Will You Be There di Looney (/viewuser.php?uid=81406)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tutto iniziò con un fazzoletto di raso color crema...(Storie del passato che si ripetono nel futuro-Prima parte) ***
Capitolo 2: *** Fidati di me( Storie del passato che si ripetono nel futuro-Seconda parte) ***
Capitolo 3: *** Facevo bene a tenere la bocca chiusa !(I segreti non smettono mai di venire a galla...) ***
Capitolo 4: *** Di nuovo insieme (Regola numero uno , non perdere mai la speranza) ***
Capitolo 5: *** Sogno di una notte di mezza estate(Le sorprese arrivano quando meno te le aspetti) ***
Capitolo 6: *** Nemico o...? (Comincio a sentire puzza di bruciato tra i banchi di scuola ..-Prima parte) ***
Capitolo 7: *** Luci celate (Comincio a sentire puzza di bruciato tra i banchi di scuola ..-Seconda parte) ***
Capitolo 8: *** Sulle colline ed oltre (Gli opposti si attraggono, sempre ed inevitabilmente) ***
Capitolo 9: *** Halloween(Anche i vampiri hanno un cuore-Prima parte) ***
Capitolo 10: *** La verità (O quasi...) (Anche i vampiri hanno un cuore-Seconda parte) ***
Capitolo 11: *** She's got a ticket to ride (But she don't care) ***
Capitolo 12: *** Happy XMas (WAR IS OVER. If you want) ***
Capitolo 13: *** Your Mother Should Know ***
Capitolo 14: *** You Must Be An Angel (E Non è Tutto...) ***
Capitolo 1 *** Tutto iniziò con un fazzoletto di raso color crema...(Storie del passato che si ripetono nel futuro-Prima parte) ***
Tutto
iniziò con un fazzoletto di raso color crema…
(Storie del passato che si ripetono nel futuro-Prima parte)
Oggi è una giornata molto calda, la tipica giornata
dall’afa massacrante in una metropoli con milioni di abitanti
e chilometri d’asfalto.
Fa così caldo che, secondo me, anche il freddo oceano non ce
la fa più e vuole un minimo di frescura.
Gli uccellini appoggiati sulle balaustre dei viali e sui pali del
telefono si stanno spennando da soli e tra un po’ si faranno
un bagnetto in qualche piscina privata, con la loro piccola mole non
danno di certo fastidio.
Mentre l’asfalto…L’asfalto rovente
ribolle e ai miei occhi sembra che si muova come un lungo fiume di Coca
Cola.
Gli alberi delle ville di fronte alla mia assomigliano a una cascata di
the verde, le case a budini multicolori che si agitano senza
sosta…
Ah, maledetto caldo, mi fa venire le allucinazioni, tra un
po’ mi mangio le tende del soggiorno scambiandole per
zucchero a velo!
Succede sempre così, quando mi metto ad aspettare mia figlia
che ritorna dalle sue scorribande con gli amici; seduta di fronte alla
finestra ammiro le case dei nababbi affacciate sull’oceano
come la mia e qualche volta mi lascio prendere
dall’immaginazione.
Stavolta però, lo devo ammettere, è stata colpa
del caldo e non della mia fervida inventiva; ed inoltre oggi
è un giorno troppo importante per me e lo sarà
anche per mia figlia: infatti sto per rivelarle un segreto che mi tengo
dentro da ventuno anni e scommetto che le piacerà, a patto
che lei non lo dica a nessuno.
Cavolo, non sto più nella pelle! Quasi quasi mi mangio anche
quella!
Non che mi dispiaccia: ha un colorito così
appetitoso…
Sono stata fortunata a nascere da uomo il cui Paese è
baciato dal sole ogni giorno dell’anno, dove la gente
è allegra e laboriosa, e ci sono chilometri e chilometri di
deserto in cui scorrazzare.
Adesso invece abito nella città che è la
più bella ma anche la più maledetta della costa
occidentale ovvero Los Angeles, la città delle stelle, un
luogo magico e ingannevole dove niente è vero e tutto
è falso.
Lo dico io, che amo le cose autentiche e i sentimenti veri e tutto
questo luccichio che serve a coprire la verità mi da la
nausea.
Ma è l’unico posto dove abbiamo trovato una casa
in vendita a un prezzo decente (una villetta a due piani con giardino e
piscina annessa a 235.000 dollari, un affarone!) ed inoltre mia figlia
ha insistito molto su questa scelta; col tempo quindi ho imparato ad
amare Los Angeles che, come tutte le città americane ha i
suoi pregi e i suoi difetti.
Mia figlia invece non sembra trovarci niente di negativo, a parte la
metropolitana, che non prende mai.
A proposito, la furbetta non è ancora tornata ed io ne
approfitto per prendere in prestito un suo 45 giri e il mangiadischi.
Faccio così tutte le volte che lei non
c’è e so che tornerà tardi, e finora
non mi ha mai scoperto!
Dovrebbe succedere il contrario, lei
dovrebbe rubare le mie cose ma noi siamo una famiglia un po’
particolare: capovolgiamo ogni cosa, perfino la più stupida,
ma ci piace, ci rende uniche e a prova di noia!
Salgo quindi in cameretta, frego il 45 giri e il mangiadischi e me ne
ritorno giù in soggiorno, dove metto il disco
nell’apparecchio e lo faccio partire sulla mia canzone
preferita.
La canzone è Billie Jean
e appena attacca mi metto a ondeggiare come la casa-budino delle mie
allucinazioni, cercando di essere il più naturale possibile.
Poi, appena lui comincia a cantare, io lo accompagno nel migliore dei
modi: però, c’è da dire che non sono
male come cantante, gli sto dietro tranquillamente e non sbaglio una
nota…
Sto al limite dello spasso quando sento il portone di casa che si apre
cigolando e dei passi che si avvicinano al soggiorno.
E una voce…
Anzi, un urlo.
“Mamma?”
“Ehm,
tesoro, sei tornata presto oggi, non me lo
aspettavo…”
Pessima bugia, è da stamattina alle nove che manca da casa e
sono le sei del pomeriggio.
C’è da ammetterlo, però, non sono mai
stata brava a raccontare bugie.
“Mamma, che cosa stai facendo con il mio Thriller
e il mio mangiadischi?”
“Beh, non si vede, lo sto ascoltando…
Perché, adesso tua madre non può prendere in
prestito i tuoi dischi?”
“No, va bene? Sono miei, e sai che sono molto gelosa delle
mie cose, quindi spegni il mangiadischi e dammi Thriller!”
“Ai suoi ordini, capitano Katie” Sbuffai io, e dopo
aver fatto quello che mi aveva ordinato la Boss, le feci
notare le condizioni deplorevoli dei suoi vestiti, che da bianchi erano
diventati color cioccolato al latte, come la sua pelle.
“Hai giocato a baseball dopo essere andata in spiaggia,
eh?”
Smascherata, lo si legge dall’espressione del suo viso.
Rassegnata e colpevole.
“Sì, Kevin ha tanto insistito perché io
facessi una partita con gli altri che alla fine non ho resistito e mi
sono buttata”
Attimo imbarazzante di silenzio.
“Sei arrabbiata?” mi chiede.
“Ma che stai dicendo Katie, certo che no! È
normale per una ragazzina della tua età giocare con gli
amici a una salutare partita di baseball, no?”
“Sì, è normale per un ragazzo. Ma per
una ragazza no”
“Adesso non metterti in testa che il baseball è
uno sport per soli maschi, perché non è vero,
capito? Anzi, scommetto che tu sei molto più brava di tutti
i tuoi amici messi insieme, non è così?”
Le sorrisi e le feci l’occhiolino.
“Beh…Sì” Anche lei mi
sorrise, con finta modestia.
“Ecco, quindi la prossima volta stendili tutti quei
maschietti e fagli vedere che noi donne non siamo solo capaci a badare
ai bimbi e a far svolazzare le gonnelle,va bene?”
“Sì, mamma. Te lo giuro su tutti i miei dischi, e
soprattutto su Thriller!” Aveva una faccia convinta, per
fortuna, ed era tornata la Katie di
prima.
E poi se giurava su Thriller potevo star certa che non mi avrebbe
delusa!
“Ah, allora okay, tesoro, ci conto! Comunque sarai stanca
adesso, ti va un po’ di the fatto dalla tua
mammina?”
“Va bene, prova pure ma scommetto che non sarà mai
buono come quello che fa Fernando!”
Fernando è il nostro fidato maggiordomo, nonché
il mio migliore amico sin da quando abitavo in Messico. Dire che fosse
un maggiordomo era piuttosto esagerato, ma lui amava definirsi
così, e non gli davamo torto, anche se non voleva da me
nessun versamento in denaro.
Dice che l’unica ricompensa per lui è vederci
felici. Che uomo generoso!
“Beh, l’unica differenza tra me e lui è
che lui prepara il the per mestiere, mentre io lo faccio
perché voglio bene alla mia adorata figliola, tutto
qui!”
“Anche lui mi vuole bene ma è un dato di fatto che
tu non sai fare un buon the!” Mi voleva stuzzicare, la
viperetta, sapeva che io non ero una brava cuoca, e lo usava ogni volta
come pretesto per sfidare la mia pazienza, ma Fiordaliso non ci casca,
nossignore!
“Bene signorinella, visto che sei stata tanto gentile con tua
madre, puoi dire addio ai tutti i tuoi dischi, compresi tutti quelli di
Michael Jackson e dei Jackson Five”
Il viso di Katie da rilassato si contrasse, la sua bocca si
spalancò in una enorme O e gli occhi si sbarrarono.
“Tu… Tu non faresti mai una cosa del genere! Anche
a te piace Michael, non butteresti mai i suoi album fuori dalla
finestra né nella pattumiera, ci scommetto un occhio nella
testa!” Ormai era diventata furiosa, e dire che io stavo solo
scherzando!
“Uffa calmati, non dico sul serio! Hai ragione, non farei mai
una cosa del genere, né tanto meno a un ragazzo bello e
bravo come Mike. Ma per chi mi hai preso?” Le mie parole
davano l’aria di averla calmata, almeno in superficie.
“Va bene, adesso basta litigare, facciamoci questo the, che
è quasi ora di cena!” In effetti abbiamo perso
più di tre quarti d’ora a parlare di emancipazione
femminile, piccoli furti casalinghi, miti afro americani e giustamente
Katie voleva il suo the.
Oh santo cielo, il segreto che dovevo rivelarle, mi ero completamente
dimenticata! I litigi mi fanno sempre questo effetto!
Vabbè, glielo dirò con calma dopo cena.
A proposito di cena…Dove diamine si è cacciato
Fernando?
Oh, accidenti, non dirmi che devo preparare la cena da sola, non sono
capace!
Ah, sento fischiettare, è lui finalmente! Sia ringraziato il
cielo, che paura che ho avuto in nemmeno un attimo!
Ripresa dallo spavento e assistita dal fidato Fernando, preparai il the
a Katie e a me, annunciandole di tenersi pronta dopo cena
perché le avrei rivelato uno dei miei più grandi
segreti.
Lei era al settimo cielo, mi disse che non vedeva l’ora di
scoprirlo ma mi promise che non avrebbe detto a nessuno ancor prima che
glielo ricordassi io… Che mi avesse letto nel pensiero?
Fatto
sta che dopo cena si lavò, si asciugò, si
pettinò i capelli e si mise la camicia da notte delle grandi
occasioni, (per quante ce ne siano state in tutta la sua carriera di
dormigliona) tutto a tempo di record e si mise seduta sul letto con le
mani incrociate in grembo e i piedi che picchiettavano sul parquet,
impazienti.
Io afferrai il segnale in codice e mi misi seduta di fronte a lei sul
letto, tirai un bel sospiro e le chiesi:
“Sei pronta?”
“Non lo sono mai stata tanto” Mi rispose
solennemente come se stesse decidendo le sorti di un malato in fin di
vita.
“Beh, ecco…” cominciai, un po’
insicura.
“Non è facile, ma se avrai un po’ di
pazienza ti racconterò tutto per filo e per segno”
“Okay, avrò pazienza, ma arriva subito al
punto”
Si vedeva a un miglio di distanza che fremeva dalla voglia di sapere, e
quindi decisi di accontentarla una volta per tutte.
“Allora…”
Tirai un altro lungo sospiro e le feci una domanda a bruciapelo, ma
sapevo già cosa mia avrebbe risposto.
“Katie, a te piace Michael Jackson, vero?”
Mia figlia mi guardò con occhi sgranati e sbottò:
“Ma che razza di domande mi fai, mamma? Lo dovresti sapere
che io ho occhi solo per lui: lo seguo da quando uscì Off
The Wall e da allora non faccio altro che ascoltare la sua musica! Per
me gli altri cantanti non sarebbero nulla senza Michael, io lo amo e
penso che sia il cantante più bravo e più bello
in assoluto! Anzi secondo me non è neanche umano,
è un angelo sceso dal cielo per deliziarci con la sua
magnifica voce e la sua innaturale bellezza…”
I suoi occhi sognanti erano rivolti al cielo e le mani erano giunte in
segno di devozione come se stesse parlando di un dio.
Sempre esagerata, mia figlia, quando si tratta di Mike.
Poi all’improvviso il suo viso si rilassò e mi
guardò come se avesse già capito.
“Perché, il segreto riguarda forse lui?”
mi chiese quasi sussurrando.
Io tirai l’ormai famoso sospiro e dalle labbra mi
uscì un fievole “Sì”
Non vidi direttamente in faccia mia figlia perché io stavo
con le spalle girate rispetto a lei ma credo che con il suo silenzio e
la sua compostezza stava aspettando il mio racconto con pazienza, come
le avevo raccomandato.
Quindi, senza nulla che mi fermasse e spinta dal solo desiderio di
togliermi quel peso cominciai a raccontare.
“Mi
ricordo che faceva caldo quel giorno, come oggi, solo che invece di
essere luglio era maggio, e mi ricordo anche che tutto
iniziò con un fazzoletto di raso color
crema…”
“Un
fazzoletto di raso color crema? E adesso che centra con
Michael?”
“Ti ho detto di avere pazienza, se mi metti fretta rovini
tutta l’atmosfera”
“Ah, scusa mamma, continua pure”
“Bene, allora, eravamo rimaste al fazzoletto color
crema…”
“Mia
sorella, ovvero la tua adorabile zietta, doveva sposarsi entro due
mesi, solo che ancora non aveva deciso il servizio da tavola
né quali tovaglie e quali tovaglioli
mettere al ricevimento. E secondo lei era un vero guaio,
perché il matrimonio della figlia
dell’imprenditore più ricco di Città
del Messico doveva essere un evento memorabile e molto lussuoso,
qualcosa che anche i posteri avrebbero dovuto ricordare come
“l’evento del secolo”.
A me sinceramente non interessava nulla di quello che passava di mente
a mia sorella, anche perché nell’anno del suo
matrimonio avevo solo dodici anni e non pensavo minimamente a sposarmi.
Per me le donne dovevano essere libere di esercitare ogni tipo di
lavoro, anche quelli che secondo i rappresentanti dell’altro
sesso erano lavori destinati ai soli uomini come il medico,
l’avvocato, l’imprenditore, il docente
universitario e molti altri.
Ma eravamo nel 1963, e il Messico, rispetto ai vicini Stati Uniti
d’America, era molto arretrato, sia economicamente che
socialmente.
E tuttora non è che sia uno dei migliori Paesi in cui
viverci.
Comunque fatto sta che mia sorella quel torrido giorno di maggio mi
chiamò dal piano di sotto ( io stavo in camera mia, al primo
piano) e mi chiese se potevo venire da lei un attimo.
Io l’accontentai seppur di malavoglia, perché
stavo ascoltando uno dei miei LP preferiti del mio cantante preferito
dell’epoca, Elvis Presley…”
“Wow,
mamma, ti piace Elvis Presley?”
“Sì, qualcosa in contrario?”
“No figurati, stavo pensando che Elvis è il
cantante preferito di Michael…”
“…E quindi anche il mio, tutti amano Elvis, ma
c’è da dirlo, Michael è molto
più bello di lui, sei d’accordo?”
“Non dovresti farmi domande del genere, risponderei sempre di
sì”
“Infatti la mia era una domanda retorica, tesoro.
Vabbè, continuiamo…”
“Devi
sapere che all’epoca io ero identica a te per quanto
riguardava il carattere, e quindi non sopportavo il fatto che qualcuno
mi disturbasse quando ascoltavo il mio mito.
Ma mia sorella non sapeva neanche chi fosse, il povero Elvis,e quindi
non poteva capirmi.
Quando scesi giù la vidi tutta indaffarata, ma sempre molto
elegante e ben pettinata, che reggeva per ciascuna mano un fazzoletto
di raso color crema e un altro dello stesso tessuto, ma pervinca.
Mi era ovvio che avrei dovuto scegliere tra i due fazzoletti ed io
scelsi quello color crema, perché mi sembrava quello
più adatto per un matrimonio.
Non l’avessi mai fatto!
L’arpia cominciò a sbraitare contro di me,
offendendo il mio modo di vestire, i miei gusti musicali, ma
soprattutto, offese la cosa che per ogni uomo è motivo
d’orgoglio.
Mi disse che io ero una “sporca negra figlia di qualche
sgualdrina da quattro soldi“ e che “in questa casa
stavo meglio come serva che come figlia del proprietario”.
Io non seppi cosa dirle, dopotutto era mia sorella, non si sarebbe mai
arrabbiata sul serio con me definendomi una
“negra”.
Anche se in fondo aveva ragione.
Io e mia
sorella eravamo completamente diverse, in tutto.
Lei, alta, bionda, occhi chiari, sorriso smagliante, spendacciona,
frivola, superficiale.
E bianca.
Io, bassina, capelli ondulati e scuri, come gli occhi, sempre
imbronciata, studiosa, matura, consapevole dei miei pregi e difetti,
orgogliosa.
E nera.
Ecco quello che ci distingueva di più, il colore della pelle.
Quand’ero piccola pensavo che fosse del tutto normale che mia
sorella fosse diversa da me, perché io ero la copia di
papà e lei la copia di mamma.
Ma non era così.
Non lo era mai stato.
Cominciai a sospettare delle mie origini.
Era impossibile, io non potevo essere figlia di Margaret Kinzner,
affermata pianista austriaca, che non aveva quindi assolutamente niente
di esotico.
Ma adesso che ci penso…
Mia sorella non poteva essere figlia di mio padre.
Troppo delicata, troppo bianca, per
essere figlia di un messicano.
Mentre io qualcosa di messicano avevo, come il colore della pelle,
oppure i capelli, o gli occhi…”
“Oh
mamma, ma allora questo significa che…”
“Se stai pensando la stessa cosa che sto per dirti, allora
sì. Io non ero la sorella di mia sorella. E
non ero neanche figlia di Margaret. Se avrai un
po’ di pazienza ti racconterò tutto, te lo
prometto”
“Va bene, è che la notizia mi hai un po’
sconvolta…”
“Anche a me, è dura da accettare, specialmente se
hai solo dodici anni”
“Il
mio cervello non sapeva più cosa pensare, era un vortice di
pensieri dolorosi, di segreti svelati implicitamente, di senso di non
appartenenza.
Non sapevo a chi rivolgermi per trovare un po’ di calma per
le mie meningi surriscaldate, avevo pensato che nessuno era a
conoscenza di segreti così intimi.
O almeno una c’era, solo
che mi vergognavo profondamente nell’andare da lei.
Quella persona era mio padre.
Era rischioso ma volli tentare lo stesso, quindi aspettai il suo
ritorno la settimana appresso e dopo i saluti di circostanza, lo
scambio dei doni che ci aveva portato dal suo ennesimo viaggio in
Europa, presi il coraggio a due mani e mi incamminai verso il suo
studio.
Mi
aveva sempre fatto paura quel posto, con i pesanti mobili di mogano, i
quadri appesi alle pareti che richiamavano alle origini della nostra
famiglia, i rapaci imbalsamati sugli scaffali, ma soprattutto la grande
scrivania che si ergeva imponente al centro della stanza.
Arrivata davanti alla porta bussai con educazione e sentii la voce
baritonale di mio padre che mi chiedeva di entrare.
Io entrai, col cuore in pezzi e il cervello…
Il cervello pensavo si fosse già decomposto,
perché non sentivo più i miei pensieri.
Mio padre si accorse della mia condizione interiore, ma non disse
niente.
Si limitò a fissarmi immobile, mentre cercavo di far uscire
dalla bocca una piccola richiesta:
“Papà, posso farti una domanda, una domanda
importante?”
“Sì tesoro, dimmi pure”
“Ma mi prometti che non mi giudicherai né lo dirai
a nessuno, neanche alla mamma?”
Ero terrorizzata da quello che sarebbe potuto succedere se avessi
proferito la fatidica domanda, e anche da cosa mi avrebbe detto mio
padre.
Lui rispose con un “Sì” deciso e sincero
ed io trattenei il respiro per un po’, poi parlai:
"Papà,
Margaret non è mia madre, vero?”
Quello
che seguì fu come non me lo sarei mai aspettato.
Invece di inveire contro di me e di cacciarmi fuori
dall’ufficio, mio padre mi guardò con dolcezza ma
non rispose direttamente alla mia domanda. Anzi, adesso che ci penso,
non mi rispose.
Ma in compenso mi disse che mi avrebbe fatto un regalo molto speciale.
Un regalo che nessun altro avrebbe potuto donarmi.
Mi stavo pian piano riprendendo dallo shock della mia audacia su un
argomento così delicato come la mia vera madre, e la notizia
che mi diede mio padre non poté farmi più che
bene!”
“La
notizia in questione riguarda Michael, vero?”
“Un attimo, dolcezza, non essere impaziente, ci siamo
quasi”
“Uffa, va bene, ma smettila di fare così la
misteriosa, non sto più nella pelle!”
“Perché, il fatto che io sia figlia di mio padre
ma non della donna con cui è sposato non ti ha
sconvolto?”
“Beh sì, in effetti mi hai lasciato decisamente di
sasso e mi sto ancora riprendendo. Ma il segreto riguardava Mike, no?
Non le tue origini”
“Sì, hai ragione, ma se salto questo pezzo poi non
capisci il resto, comprende moi?”
“Oui, ma continua per piacere!”
“Okay, Miss Impazienza, andiamo avanti…”
“Dove
ero rimasta? Ah sì, al regalo che doveva farmi mio padre!
Non sapevo minimamente cosa fosse, né quando
l’avrei ricevuto. Mi aveva solo detto di aver pazienza,
quella che tu non hai, e di star pronta a partire.
“Partire?”
“E per dove?” gli chiesi io.
“Lo saprai molto presto, amore, molto presto”
In quel momento mi sentii la ragazzina più felice di tutto
il Messico: stavo per andare in qualche posto che non avevo mai
visitato, in compagnia di mio padre.
Chissà dove saremmo andati?
La risposta non si fece attendere.
Dopo il fastoso e noioso matrimonio di mia sorella, o dovrei dire, sorellastra, qualche mese dopo
l’inizio della scuola, mio padre mi fece trovare le valigie
pronte davanti alla sua automobile nera privata sulla quale non faceva
salire nessuno, nemmeno sua moglie.
Mi diede il buongiorno, e mi disse che non saremmo stati soli: infatti
con noi sarebbe venuto il mitico Fernando, il figlio
dell’ancor più mitico maggiordomo di casa Villa,
che era al nostro servizio da più di trent’anni.
In
quel momento non seppi cosa dire.
Era tutto così irreale che non potevo crederci, o meglio,
non volevo crederci.
Mio padre era sempre stato gentile e premuroso con me, al contrario di
mia madre e mia sorella, che mi trattavano peggio di un pianoforte
scordato.
“Sei inutile” Mi dicevano.
“Non farai mai nulla di importante, sei solo
un’adolescente sognatrice che rincorre le sue fantasie e
costruisce castelli in aria. Dammi retta, le donne non sono fatte per
pensare come degli uomini”
Papà invece sosteneva le mie idee e i miei principi, mi
stava sempre accanto e non si lasciava abbindolare dai pregiudizi.
Davvero un grande uomo.
Ma
ritorniamo al nostro viaggio segreto, che si stava svelando pian piano
ai miei occhi, increduli di fronte a tanta meraviglia.
Perché mio padre non solo mi portò con
sé in uno dei suoi grandiosi viaggi ma mi portò
nello Stato più ricco, più inarrivabile,
più agognato, più desiderato da ogni persona
sulla faccia della terra.
L’America.
La Grande
America.
Il sogno di una vita stava per avverarsi.
Avrei passeggiato per le vie di Broadway, percorso la Route
66, visitato la casa di Elvis a Memphis, scorrazzato per le strade
trafficate e in discesa di San Francisco ma soprattutto…
Ma soprattutto sarei andata a Los Angeles, la Città
delle Stelle.
Hollywood, Santa Monica, Long Beach, Malibu, Beverly
Hills, Santa Barbara.
Tutto si stava materializzando di fronte a me, era impossibile ma con
mio padre niente era impossibile”.
“Mamma,
questo racconto mi sta piacendo un sacco! Ma tu hai incontrato Mike a
Hollywood?”
“No tesoro, a quei tempi non era ancora famoso, cantava nelle
recite scolastiche e nei localetti insieme ai fratelli, ma non posso
rivelarti tutto adesso, sennò sparisce la magia”
“Okay, okay, non fare la permalosa”
“Senti chi parla, la Regina Delle
Smorfiosette. Guarda che ti spacco veramente tutti i dischi di Michael
in due minuti, scommettiamo?”
“No, no! L’ultima volta che ho fatto una scommessa
con te mi sono ritrovata tutti i miei peluche appesi al lampadario del
soggiorno con tutte le orecchie tagliate, quindi no!”
“Vedi che con le buone maniere sai ragionare, cara?
Complimenti! Allora, ricominciamo…”
“La
nostra prima meta però non fu Los Angeles, bensì
New York, la Grande Mela,
dove mio padre mi portò in un posto del tutto inaspettato.
Un quartiere dove nessuno, e dico, nessun
uomo, aveva la pelle bianca.
Erano tutti scuri, come me, e tutti in un solo quartiere!
Per la prima volta, dopo dodici anni, mi sentii veramente a casa: ero
commossa da quello che mio padre stava facendo per me, aveva capito il
disagio che provavo dentro casa sua e stava cercando di farmi ricordare
da dove venivo.
Durante il viaggio per raggiungere la metropoli mi aveva raccontato
molte cose sulla mia vera madre: mi disse che si chiamava Rose e
l’aveva conosciuta quattordici anni fa, proprio in quel
quartiere di New York dove mi stava portando.
Lei cantava in un locale insieme a un’orchestra jazz ed era
la stella della banda. Mi disse anche che era molto bella, una bellezza
esotica e pungente, che una volta individuato il bersaglio, non gli
lasciava scampo.
Mio padre si innamorò di lei sin dal primo momento.
Tutte le sere andava al locale solo per sentire la sua magnifica voce,
per contemplare la sua immagine, così elegante e sinuosa.
E lei se ne accorse, eccome!
Alcune volte quando cantava si avvicinava a lui e gli dedicava canzoni
d’amore, di desiderio, di divertimento sfrenato.
La passione non tardò a sbocciare, e quando mia madre seppe
di esser rimasta incinta, mio padre doveva ritornare in Messico; era
chiaro che non voleva lasciare la ragazza, in quelle condizioni poi, ma
aveva una moglie e una figlia a cui badare e non poteva portarsi la
bella cantante con sé.
Che cosa avrebbe detto a sua moglie? E a sua figlia?
Che scusa si sarebbe dovuto inventare per giustificare la gravidanza
della ragazza?
Che cosa avrebbero sospettato nel vedere il bambino della donna che
somigliava anche a lui?
Non c’era scelta purtroppo e mio padre, seppur a malincuore,
lasciò New York e la ragazza con quel dolce ma pericoloso
segreto da custodire.
Quel segreto ero io.”
“Mamma,
posso interromperti un attimo?”
“Tanto l’hai già fatto, cosa
c’è?”
“Hai una foto della nonna, volevo vedere se era bella come
dici”
“Perché, secondo te non sono bella come
lei?”
“Non ho detto questo, sono solo curiosa di vedere
com’era!”
“Okay aspettami qui, torno subito”
Interrompo il racconto per andar a prendere una vecchia foto di mia
madre che tengo gelosamente nascosta nel cassetto della mia stanza, e
ritorno da mia figlia.
“Eccola, che te ne pare?”
“Ma mamma è bellissima! Non pensavo che fosse
così, è sconvolgente, assomiglia a Whitney
Houston!”
“Dai, non esagerare, a quei tempi Whitney non era ancora
nata, non si può paragonare a lei!”
“Beh, allora…Si può paragonare a Diana
Ross?”
“Hm, sì, assomiglia a Diana, anche se a quei tempi
lei non era molto famosa… Ma si può
fare”
“Perfetto, se avrò una figlia la
chiamerò Diana!”
“In onore della Ross?”
“Sì, e poi Diana è molto amica con
Michael, no?”
“Sì, moltissimo, ci manca poco che le dedica una
canzone!”
“Secondo me l’ha già fatto”
“Può darsi. Ma fammi andare avanti, adesso
viene il bello!”
“Sì, vai, sono tutta orecchi!”
“Bene, eravamo rimasti al segreto di mio padre, che poi ero
io…”
“Nove
mesi dopo il “fattaccio” qualcuno bussò
al portone di casa Villa. Il mitico maggiordomo andò ad
aprire, ma non vi trovò nessuno ad attenderlo…
Solo una cesta con dentro un bambino dalla pelle scura vestito di
bianco. Sulla culla era adagiato un biglietto che diceva:
“Questa
bambina si chiama Fiordaliso, è orfana di entrambi i
genitori e non ha nessuno al mondo. La prego quindi di prendersene cura
e di trattarla come vostra figlia.
Che Dio vi benedica.”
Il mitico
maggiordomo non ci pensò due volte: prese il bambino, che
era una bambina, in braccio e il biglietto, mostrando tutti e due al
padrone di casa.
Il padrone era sconvolto dal fagottino che il suo fedele maggiordomo
teneva in braccio: quella era la figlia sua e di Rose, quella ero io.
Mi guardò con tenerezza, e rivelò al mitico
maggiordomo che quella era sua figlia, ma si raccomandò di
non dirlo a nessuno.
Il povero maggiordomo, sconvolto anche lui dalla rivelazione del
padrone, gli promise solennemente che se si fosse fatto sfuggire il
segreto dalle labbra se ne sarebbe andato via da quella casa
immediatamente.
Il padrone gli sorrise, compiaciuto della sua fedeltà.
Sono
passati tredici anni da quel ritrovamento e la bambina in questione ne
è venuta finalmente a coscienza.
Ma non sembra particolarmente stupita o spaventata o disgustata, no, la
bambina è anzi felice perché finalmente ha
scoperto le sue vere origini.
Origini che affondano in un locale di New York ed una lussuosa villa di
Città del Messico.
“Finalmente
siamo arrivati a questo stramaledetto locale, non pensavo fosse
così lontano rispetto al centro della
città!”
Il mitico Fernando ha ragione ad essere stanco, è da tutto
il giorno che mio padre ci guida per le vie di New York alla ricerca
del locale dove è nato l’amore tra lui e Rose e
dove, secondo lui, sono nata anch’io!
Però dovevo ammettere che era davvero un locale molto carino.
Era piccolo ma accogliente, il pavimento era in granito rosa, i
tendaggi e i sipari del palco erano di un caldo rosso scarlatto, come
le rose nei vasi disseminati sui tavolini, che invece erano di ferro
battuto e avevano le tovaglie di un bel rosa antico. Alle pareti
c’erano manifesti, articoli di giornale, souvenir, vecchi
strumenti musicali d’ottone che ricordavano l’epoca
d’oro del jazz e l’antica fama del locale.
Infatti adesso non si suona solo jazz ma anche
rock’n’roll, musica beat e altro che sicuramente
non è jazz.
Tutto questo sinceramente a me non interessava, l’importante
è che ci fosse stata la musica!
In
un certo senso il mio desiderio venne esaudito in un modo molto
inaspettato.
La prima sera mi ricordo che non fecero niente di interessante.
Sì, il cantante era bravo, ma ero talmente stanca che non
avevo nemmeno la forza di applaudire.
Fernando e mio padre furono quindi costretti a farmi dormire
lì, negli alloggi del padrone, che non ci disse nulla (dopo
che mio padre sborsò quasi 500 dollari per convincerlo,
naturalmente!).
Al mattino mi svegliai ben riposata: il letto era molto comodo, e la
stanza era a prova di rumore, quindi non sentii nessuno schiamazzo per
tutta la notte.
Ma alla mattina udii qualcosa.
Un vociare improvviso e un scalpiccio incessante accompagnati da strani
rumori secchi mi distolse dalla quiete mattutina e attirò la
mia attenzione.
Guardai la sveglia sul comodino: erano le sette di mattina in punto.
Chi poteva mai fare tanto casino alle sette di mattina e per giunta
quando gli inquilini vicini stanno ancora dormendo dopo una notte in
bianco?
La mia risposta non si fece attendere.
Sentii dei passi abbastanza pesanti che stavano salendo le scale e un
attimo dopo qualcuno bussa alla mia porta.
“Si può?” mi chiese una voce che non era
di mio padre né di Fernando.
La mia mente cominciò a pensare le idee più
assurde: scappare dalla finestra come un ladro sorpreso a frugare in
casa altrui; barricarsi dentro la stanza ostruendo la porta col
comò e il letto; nascondersi nell’armadio; fare la
bambina indifesa e innocente per commuovere lo sconosciuto dietro la
porta; farlo entrare e poi stordirlo tirandogli la sveglia…
La soluzione più efficace sarebbe stata l’ultima,
ma alla fine optai per quella più semplice e meno
aggressiva.
Risposi alla voce e la feci entrare.
In fondo dal tono non sembrava così cattiva.
“Avanti”
La porta si apre cigolando e finalmente vedo il proprietario della
voce: un ragazzo afro americano, anzi un ragazzino, avrà
avuto sì e no la mia età.
Era vestito in modo davvero molto particolare: sembrava un astronauta,
i capelli ricci erano tagliati corti e mi guardava come se io fossi
stata un alieno!
“Oh scusa, non pensavo ci fosse una ragazza così
giovane qui dentro, perdona la mia maleducazione!”
Sembrava veramente un bravo ragazzo, ma non mi piace essere trattata
come la classica fanciulla indifesa.
“Ma che maleducazione, anzi, sei stato molto gentile a
bussare prima di entrare, tanta gente non lo fa! E poi quanto anni
pensi che io abbia, non sono molto giovane”
“Beh, dodici anni li hai sicuramente, poi magari ne hai di
più e non li dimostri!”
Anche spiritoso il ragazzo, cominciava a piacermi.
“Bravo, hai indovinato! Ho dodici anni, ma ne farò
tredici il 23 aprile!”
“Ah, guarda che caso, io ne faccio tredici il 4
maggio!”
“Ah, un altro Toro come me. Vedi di non farmi arrabbiare,
sennò ti carico contro!”
“Sarebbe impossibile, non ho molta paura dei Tori. I Leoni,
piuttosto, non li sopporto, sono troppo permalosi”
“Hai pienamente ragione!”
Scoppiammo tutti e due a ridere. Le risate si sentivano pure dalla
strada per quanto erano forti!
“Ah, ma non mi sono ancora presentata: mi chiamo
Fiordaliso”
“Che nome originale! Io invece sono Sigmund, ma tu puoi
chiamarmi solo Jackie, molto piacere”
“Beh, anche il tuo è un nome originale”
Azzardo io.
Lui mi guarda sorpreso.
“Beh, da noi è comunissimo”
“Davvero?” faccio io, con gli occhi sgranati e
un’espressione stupita dipinta sul volto.
“Sì” fa lui, come se fosse la cosa
più ovvia del mondo. Poi il suo sguardo cambia, da stupito
diventa curioso.
“Tu non sei di qui, vero?” Più che una
domanda a me suonava come un’accusa.
“Beh, ho appena saputo che mia madre faceva la cantante qui
ed era di colore, ma ho sempre vissuto in Messico con mio
padre”
“Ah capisco… Infatti mi sembrava strano che non
avessi niente di americano. Abbiamo quasi lo stesso colore della
pelle!” Sorrise e mi fece sentire stranamente bene.
“Già, chi non si sbaglierebbe? Comunque che
facciamo, scendiamo a far colazione, oppure rimaniamo qui a
fissarci?”
“Per me va bene la prima, abbiamo viaggiato tutta la notte ed
ho una fame terribile”
“Anche io!” Gli confessai e lui mi sorrise ancora.
Mentre scendevamo le scale, chiesi a Jackie da dove venisse per aver
viaggiato di notte ed essere arrivato solo di mattina, e lui mi rispose
che veniva da Gary.
“Da Gary?” Gli chiesi io. Non avevo mai sentito una
città che si chiamasse così.
Lui mi disse che era una città dell’Indiana a
confine con l’Illinois, era abbastanza grande e si affacciava
sul lago Michigan.
Gli dissi che avevo capito dove si trovava Gary, per farlo contento, ma
a dir la verità, non avevo capito un bel niente!”
“Certo
che se non sai dove si trova Gary, stai proprio messa male, cara
mamma”
“A quei tempi non era ancora famosa, quindi avevo tutte le
buone ragioni del mondo per non saperlo!”
“Beh in effetti hai ragione, scusa. E quindi, mamma, tu hai
conosciuto i Jackson Five al completo?”
“Sì. Anzi, tutta la famiglia Jackson, Michael
compreso”
“Oh mamma, ti prego va avanti, non ce la faccio
più ad aspettare! Quando entra in scena Michael?”
“Tra un po’ tesoro, è questione di poche
parole…”
“Quando
scendemmo di sotto trovai nell’angolo bar un gruppetto di
ragazzini, tra i quali c’era anche Fernando, e più
lontano tre uomini che chiacchieravano animatamente. Tra questi
riconobbi mio padre e il direttore del locale; il terzo uomo invece non
lo conoscevo, era di colore e non mi piaceva, non aveva una bella
faccia.
I ragazzi invece sembravano tutti simpatici. Anche loro stavano
discutendo, e intanto facevano colazione con latte e brioches.
Si somigliavano tutti, compreso Jackie, e quindi io sospettai che
fossero fratelli, ed erano tutti vestiti allo stesso modo: pantaloni e
giacca argentati, i capelli corti
come quelli di Jackie.
Erano tutti più piccoli di me, avranno avuto tra gli undici
e i sei anni. Forse il più grande era proprio Jackie.
Appena mi vide, Fernando alzò un braccio per salutarmi e mi
disse:”Ah, allora sono riusciti a svegliarti eh? Penso che
dovresti usare il giovanotto come sveglia!”
“Spiritoso, quando lui ha bussato io ero già
sveglia, e poi non ho bisogno di nessuno per svegliarmi”
“Beh, se lo dici tu” Fernando era presuntuoso e
rompiscatole anche di mattina, incredibile!
Anche mio padre si accorse di me, mi diede il buongiorno e mi chiese di
venire da lui perché doveva presentarmi una persona.
Io intuii fosse l’uomo di colore dalla brutta faccia, e mi
avvicinai cauta senza scompormi.
“Fiordaliso, ti presento un mio amico, Joseph Jackson. Si
esibirà stasera insieme ai suoi figli, i ragazzi con cui sta
parlando Fernando”
Io annuii e mi presentai al signor Jackson.
“Molto piacere signor Jackson, sono Fiordaliso
Villa”
“Joseph Jackson, signorina, ma tu puoi chiamarmi
semplicemente Joe”
Poi si girò verso i suoi figli e mi disse:”Vedo
che hai già conosciuto Jackie, è stato sgarbato
con te, ti ha offeso?”
“No, no, signor Jackson! Anzi, è stato
gentilissimo, non se la deve prendere con suo figlio”
“Ah bene…” Disse rassicurato, e la sua
espressione si addolcì anche se mi faceva comunque paura!
“Che ne dici, vuoi conoscere anche gli altri miei ragazzi?
Non preoccuparti, se non vuoi non fa niente”
Cercava di essere gentile con me, ma non avrebbe mai comprato la mia
simpatia con dei modi così falsi. Accettai lo stesso,
però, volevo conoscere veramente i fratelli di Jackie, al
contrario del padre sembravano simpatici.
Sentii quindi uno schioccare di dita e Jackson ordinò ai
suoi figli di disporsi in fila dal più grande al
più piccolo; i figli, con le facce terrorizzate, obbedirono.
Oltre a Jackie c’erano altri quattro bambini che educatamente
si presentarono.
Il primo aveva un nome stranissimo, Toriano Adaryll, soprannominato
però Tito, e aveva undici anni.
Il secondo si chiamava Jermaine, anche questo mai sentito, ma almeno
aveva una faccia simpatica, dieci anni.
Il terzo aveva un nome più semplice, Marlon David, sette
anni.
Il quarto aveva il nome più semplice di tutti, era facile
ricordarselo, almeno.
Appena lo vidi fui colta da una strana sensazione che
attraversò come un’onda il mio corpo: qualcosa di
elettrico c’era nell’aria, qualcosa di particolare
che leggevo negli occhi del bambino più piccolo, e che lui
leggeva nei miei.
Mi tese la manina e mi disse:”Piacere, io sono Michael Joseph
e ho sei anni”
Mi fecero una tale tenerezza, una tale compassione, quegli occhi, che
per un attimo mi dimenticai di presentarmi.
“Il piacere è tutto mio Michael, io sono
Fiordaliso”
Presi la sua mano e nel stringerla, la sensazione ritornò
più forte di prima.
Mentre i suoi figli si presentavano, il signor Jackson, non aveva
smesso di guardare neanche per un secondo la schiena del piccolo
Michael.
E questo non mi piacque per niente.
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Capitolo 2 *** Fidati di me( Storie del passato che si ripetono nel futuro-Seconda parte) ***
Fidati di me
(Storie
del passato che si ripetono nel futuro-Seconda parte)
Interrompo il mio racconto per riprendere un po’ di fiato e
per guardare la sveglia appoggiata sul comodino.
“Cavolo, è già mezzanotte! Ma quanto ho parlato?”
“Tanto, mamma, come tutti i giorni” Mi consola
Katie, gentile come sempre.
“Però io volevo sapere tutta la storia di Michael,
non vale che tu ti fermi sul più bello!”
“Beh, possiamo sempre continuare domani, ne abbiamo di
tempo…È estate”
I miei modi di persuasione non sono molto convincenti, ma è
sempre meglio tentare. Inoltre ho un sonno terribile, e per di
più domani mattina devo
andare al centro commerciale, è da tanto che non spendo solo
per me stessa!
Ma mia figlia non ha l’aria stanca. Anzi, è
sveglia e vigile, pronta a sentire il resto della storia.
Io guardo lei, lei guarda me, e alla fine capisco dal suo sguardo che
non ho scampo:devo continuare.
Mi lascio andare all’ennesimo lungo sospiro (il quarto
più lungo della serata) e ricomincio dove mi ero fermata,
ovvero alla presentazione tra me e i
futuri Jackson Five.
“Lasciai
andare la mano di Michael, e la sensazione mi abbandonò come
se non ci fosse mai stata.
Qualcosa che però mi rimase fu il suo sguardo triste che
nascondeva un segreto.
Un segreto.
Anche i bambini quindi hanno dei segreti che si tengono nascosti , non solo gli adulti.
Chissà se i segreti dei bambini sono diversi da quelli degli
adulti…
“Tesoro stai bene? Perché fissi il vuoto, hai
visto qualcosa che ti ha turbato? O
forse stavi solo riflettendo?”
La voce di mio padre mi risvegliò dalle mie elucubrazioni
interiori, e per un attimo non mi accorsi che fissavano tutti, la
brutta faccia di Jackson compresa, nella mia direzione.
Avranno pensato che io ero una sonnambula, o una che vedeva gli spiriti
dei morti, sicuramente!
“Ah,è…È
tutto a posto papà, stavo solo pensando ad una cosa. Niente di importante, veramente!”
“Sei sicura, vuoi che ti faccia portare un bicchiere
d’acqua? Sei pallida in
volto”
“Ma no, papà, ti dico che sto bene,
tranquillo!”
Il mio modo di convincere le persone era scadente anche ventuno anni
fa, figuriamoci quindi se riuscivo a convincere mio padre che stavo
bene.
Ma tutto sommato non andò male: mi guardò un
po’ preoccupato, e mi disse :”Va
bene, se lo dici tu… ma se per caso non ti senti molto bene,
dimmelo, d’accordo?”
“D’accordo papà”
Questa volta l’avevo convinto, per fortuna!
Dopo questo breve episodio di defiance mentale, feci colazione di
fianco a Fernando (che non la smetteva di lanciarmi briciole di brioche
tra i capelli, godendo dei miei lamenti) ed andammo a cercare tutti
insieme un ristorante in cui pranzare.
Io non ci trovavo niente di utile in quella operazione: erano solo le
otto di mattina, e già pensavano al pranzo! Che spreco di
tempo!
Per tutti insieme,
comunque, si intendeva io, papà, Fernando, Joe faccia da
bulldog, e i suoi cinque figlioli, che io non riuscivo proprio a capire
come mai fossero così gentili ed educati, quando invece loro
padre era maleducato e con la faccia da serial killer.
Forse la madre era un agnellino al contrario del marito, e tutti i loro
figli avevano preso da lei.
Ma mi bastò un giorno per capire come Joe Jackson sapeva
tenere in riga i suoi figli.
A
pranzo non successe nulla che potesse macchiare la fedina penale del
bulldog killer, e neanche nel pomeriggio, anche se non potevo
raccogliere prove, essendo stata fuori tutto il giorno a girovagare per
la Grande
Mela, ma dopo cena, prima che iniziasse lo
spettacolo, ebbi l’inaspettata e terribile occasione di
smascherarlo.
Ero scesa un secondo al piano bar, per respirare un po’ di
buona musica dalle pareti del locale (i muri
raccontano molte cose, se li sai ascoltare,
mi diceva sempre papà) e per vedere i fratelli Jackson che
accordavano gli strumenti.
Mi accorsi subito che mancava Michael.
Ed anche il padre.
Qualcosa mi diceva di stare all’erta. Non era un buon
segnale.
Mi misi quindi a cercare Michael per il locale, trattenendo il respiro
ogni volta che udivo un leggerissimo rumore, pensando che fosse lui che
si era nascosto per farla ai famigliari.
Ma ad ogni fallimento, il mio cuore si stringeva: non sapevo neanche
perché stavo cercando un bambino che conoscevo a malapena,
ma la testa in quel momento mi diceva solo di aiutarlo.
Non si chiedeva in che modo, per quale motivo, no, dovevo aiutarlo e
basta.
Ad un certo punto sentii una voce che proveniva dalle quinte.
Era la voce di un uomo… Di Joe il Bulldog Assassino.
Mi avvicinai di più alla porta del camerino, cercando di far
meno rumore possibile, e accostai l’orecchio destro alla
porta che era leggermente socchiusa: non avevo il coraggio di guardare
quello che stava succedendo lì dentro.
Non sentivo molto bene ciò che stavano dicendo, e mi dovetti
concentrare per capire il grosso del discorso.
Il bulldog stava parlando con un tono decisamente alterato, e gli
rispondeva una vocina stridula e affievolita dal terrore.
Oh accidenti,
Michael!
I
miei pensieri arrivarono subito a lui: quel bambino mi aveva rapito sin
dalla prima volta che i nostri sguardi si erano incrociati, e anche se
quello che lo stava sgridando era suo padre non potevo permettere che
lo trattasse in quel modo.
Fermai il flusso di pensieri, e riconcentrai l’attenzione su
quello che stava succedendo dietro la porta.
Il bulldog lo stava incoraggiando a modo suo, con quel tono
così sprezzante e umiliante: forse aveva sbagliato una nota,
saltato una strofa, aveva attaccato troppo presto o troppo
tardi…
Non lo seppi mai, perché la voce del bulldog era diventata
un vero e proprio ringhio. Non riuscivo a capire niente di quello che
diceva.
Poi sentii un rumore secco.
Il rumore della pelle che batte sulla pelle.
Uno schiaffo.
Pensai alla pelle di Michael. La pelle di un bambino, liscia,
vellutata, morbida.
E fragile.
Come lui.
Smisi
di ascoltare i lamenti che provenivano dalla stanza, accasciandomi sul
pavimento: le mie povere orecchie non ce la facevano più,
anche loro erano fragili come la pelle di un bambino.
Anche i miei occhi lo erano, anche loro stavano soffrendo…
Erano gonfi e sbarrati, non riuscivo a chiuderli.
L’unica cosa che potevano fare era piangere.
Un pianto di dolore, di rassegnazione, di ingiustizia.
Trattenevo i singhiozzi per non farmi sentire dal mostro, e mi accorsi
che anche Michael stava piangendo.
Come me.
Piangevamo all’unisono, e questo gesto, seppur doloroso, mi avvicinava a lui.
Anche lui era triste e troppo provato dalla vita, nonostante avesse
soltanto sei anni.
Non sapevo cosa avesse passato in precedenza, in casa con quel mostro
che chiamava papà, ma quello che avevo sentito (non solo con
le orecchie, ma anche con il cuore) mi bastava per capire.
Io dovevo aiutare Michael.
Era la mia missione.
E se anche non ci fossi riuscita una prima volta, avrei tentato e
ritentato fino allo stremo.
Né io né lui ci meritavamo la vita che avevamo.
Ma lui non poteva aiutarmi. Io invece sì.”
“E
quindi tu hai aiutato Michael Jackson, mamma? Sei da considerare
un’eroina per questo, lo sai?”
“Non esageriamo,
Katie! L’ho voluto aiutare perché non sopportavo
che quel mostro con un calcolatore elettronico al posto del cervello, e
senza la minima traccia di umanità nel cuore, lo trattasse
come una macchina per fare soldi, non come un bambino che ha talento. Mi chiedo ancora se ce l’abbia un
cuore”
“Per me no. Pensava solo ai soldi e alla fama, e tuttora non
pensa ad altro!”
“Sì, hai ragione. I suoi figli non avevano il
coraggio di dirgli niente per paura di essere puniti. Ma te lo dico
sinceramente, l’unico che veniva punito era Michael, gli
altri stavano zitti e guardavano impotenti. Se non facevano quello che
gli ordinava il padre, sarebbe toccato anche a loro, ma si accaniva su
Michael solo perché era il modello
di riferimento”
“Ma perché hai detto che tu potevi aiutarlo mentre
lui non poteva aiutare te?”
“Non lo so, forse l’avevo troppo
sottovalutato… A quei tempi ero veramente stupida. Ma
c’è da dirlo, anche lui mi hai aiutato, ed ho
capito che non bisogna mai considerare i
bambini creature inferiori, perché non lo
sono”
“Infatti i
bambini hanno molte bellissime qualità. Sanno sempre come consolarti”
“E poi gli adulti sono molto più stupidi dei
bambini”
“Ecco perché tu ti comporti come una bambina, in
fondo non hai tutti i torti”
“Beh, se lo può fare Michael Jackson lo posso fare
anch’io!”
“Sinceramente, io preferisco lui a te”
“Questo era implicito, anche io preferisco lui a te”
“Guarda che se dici un’altra cosa così
contro tua figlia, ti denuncio!”
“Okay, okay, non scaldarti, stavo solo scherzando!”
“Già, come al solito”
“Va bene, prima che spunti il sole voglio finire la mia
storia quindi posso andare avanti,
per piacere?”
“E va bene”
“Quando ti ci metti sai essere proprio gentile!”
“Durante
lo sfogo non mi ero accorta che stavo ancora dietro la porta, e che il
mostro sarebbe potuto uscire da un momento all’altro.
Quindi mi asciugai gli occhi e le guance e mi nascosi dietro un tendone
molto pesante, aspettando che uscisse anche Michael insieme a lui.
Sentii dei passi leggeri che correvano verso l’uscita del
camerino, e il fiato affannato di chi aveva appena pianto.
Michael.
Volevo
corrergli dietro, e provare a calmarlo, ma subito dopo uscì
suo padre, l’aria feroce e soddisfatta di chi ha vinto la
battaglia, e cambiai idea.
Mi nascosi meglio dietro il tendone, trattenendo il respiro, fin quando
non lo vidi più davanti ai miei occhi segnati dal dolore e
dalla vergogna.
Dopo
essermi un po’ ripresa, (anche se mi sarebbe servita
un’intera settimana, ne ero certa) ritornai da
mio padre, seduto in uno dei tavolini sotto il palco, con
l’aria distrutta e impotente.
Lui, vedendomi così abbattuta, mi chiese dove fossi stata, e
cosa avessi combinato per ridurmi in quello stato, ma io gli dissi che
non era nulla di importante: stavo esplorando il locale, ed a un certo
punto ero inciampata nelle mie stesse scarpe, quelle odiose scarpe da
signorina che la mia matrigna mi ordinava di indossare, e mi ero
leggermente slogata la caviglia. Ma nulla di grave, riuscivo a muoverla
benissimo.
Mio padre mi guardò torvo prima di aprir bocca ed emettere
la sua sentenza: cavolo, perché non mi credeva mai? In fondo
ero stata brava, quella volta! Avevo la faccia deformata dal dolore, no? Avevo un minimo di credibilità!
“Siediti qui accanto a me, tesoro. Non
devi sforzare tanto la gamba”
Ancora incredula, e con un sorrisone stampato in faccia, mi accomodai
al fianco di papà, attenta a non tradirmi: se mi avesse
visto correre o scattare, la mia carriera sarebbe terminata.
Vedendomi troppo euforica, mi chiese di far silenzio, perché
lo spettacolo stava per iniziare.
Al suono di quelle parole, obbedii immediatamente, curiosa di vedere
quale aspetto avesse il povero Michael, e appena si aprì il
sipario vidi il quintetto dei fratelli Jackson pronti per suonare: non
mi ricordavo ancora i nomi per intero, essendo veramente difficili da
ricordare.
Gli unici
che riconobbi furono Michael,
perché era il più piccolo, e Jackie
perché era il più grande, e inoltre era
l’unico di cui avevo un ricordo più nitido,
avendolo visto per primo.
Gli altri tre per me erano tutti uguali!
Poi in un angolo vidi l’aguzzino: sorrideva ai figli come se
prima non fosse successo niente, conscio delle sue malefatte.
Aveva il volto così falso e compiaciuto che dovetti
trattenere un conato di vomito.
Cercai di ignorarlo, e di concentrarmi sulla musica, e su Michael.
Sembrava piuttosto preoccupato, poverino: l’episodio di
qualche minuto prima doveva averlo sconvolto parecchio.
Comunque non si scoraggiò, ed attaccò a suonare
insieme ai suoi fratelli: sin dalle prime note capii che non
scherzavano per niente, erano molto bravi per essere dei bambini, e
creavano una musicalità unica.
Mi piacquero moltissimo anche le loro voci, coordinate tra di loro,
intonate e mai monotone.
Anche le note erano tutte al loro posto: tutto era così
armonioso da far paura.
Quando l’ultima canzone finì con un breve assolo
di chitarra, il Boss prese il microfono e parlò: anche la
voce era viscida come lui, al contrario di quella dei figli, calda e
amichevole, ed il microfono ampliava ancor di più quello
sgradevole tono.
“Bene signore e signori, dopo un assaggio del talento dei
miei ragazzi più grandi, voglio farvi sentire una canzone
composta appositamente per i
più piccolo dei miei figli, Michael Joseph. Vieni, Michael, non essere timido”
Tese la mano al bambino, che fino ad
allora si era esibito suonando le percussioni, e lui
obbedì, svelto come un felino, posizionandosi davanti al
microfono, regolato per lui, e il padre arretrò per lasciar
spazio alla stella della serata.
Michael si concentrò un momento, il capo chino e le mani
lungo i fianchi, e diede il segnale ai fratelli per cominciare a
suonare.
Le mie orecchie non avevano mai sentito nulla di più bello
della voce di Michael: sembrava che ci fosse solo lui in quel momento
sul palco.
Niente coro, niente orchestra,
nessun mostro dagli occhi desiderosi di denaro e successo.
Niente di niente.
Una sola persona era riuscita a stregare la sala, me compresa, con la
sola forza della sua voce dolce e rassicurante, gentile e innocente,
una voce che ti cattura il cuore e non lo lascia più.
Nonostante quello che passava tutti i giorni, soggetto al mostro come
l’attrazione circense più famosa e acclamata di
tutte, nonostante i continui schiaffi, urli, intimidazioni ricevute,
nonostante la sua innocenza che non gli permetteva di agire e
difendersi dal mondo, Michael sul palco assumeva una sicurezza unica,
cantando pensava solo alla musica che gli scivolava nelle orecchie e
alla voce che usciva dalla bocca.
Nient’altro aveva senso o importanza in quel momento.
C’erano solo lui e la sua voce perfetta.
Con quella voce, pensai subito che Michael avrebbe potuto stregare
altri cuori così come stava facendo con il mio.
Perché lui aveva un dono.
Il dono di cambiare il mondo attraverso la sua voce”
“In effetti il mondo
l’ha cambiato, basti pensare a tutto quello che ha fatto con
la sua magnifica voce!”
“Eh, io avevo avuto questo presentimento già dalla
prima volta che lo ascoltai cantare, cosa credi? Comunque,
c’è l’ultimo pezzettino adesso, il
più importante, e poi tutti a letto!”
“Uffa, va bene, anche se dopo tutto questo racconto non
sarà facile dormire!”
“A chi lo dici”
“L’applauso
del pubblico mi distolse dal mio sogno ad occhi aperti, e mi resi conto
che la canzone era finita.
Che peccato, era una canzone bellissima; non ricordo come faceva, ma
era bellissima, te lo posso assicurare!
Con quella esibizione, era finito lo show dei fratelli Jackson e
cominciavano a salire sul palco altri cantanti, ma a me non interessava
più niente, dovevo fare solo una cosa in quel momento.
Ottenuto il permesso da mio padre per allontanarmi dal nostro tavolo,
andai in camerino per complimentarmi con Michael e con i suoi fratelli,
ma soprattutto con Michael!
Arrivata nel camerino, però, non lo trovai:
c’erano solo i suoi fratelli che si stavano cambiando, con
mia grande vergogna!
Così, dopo essermi scusata, chiesi dove fosse finito Mike, e
loro mi dissero semplicemente che era uscito dal camerino, senza
neanche cambiarsi, e che non avevano la più pallida idea di
dove si fosse cacciato.
Biascicai un “Grazie” e mi precipitai a cercare
Michael.
Lo trovai seduto sul marciapiede davanti il locale, il brillante
costume di scena ancora indosso, illuminato dalla fioca luce delle
lampade al neon che davano alla sua piccola figura un’aria di
malinconia e solitudine.
A quella vista non potei trattenere le lacrime: ogni volta che lo
vedevo mi veniva da piangere.
Era un fatto naturale, ormai, e non potevo più farci niente.
Dopo aver fatto la figura della ragazzina piagnucolona, conclusi che
piangendo non avrei risolto niente, perciò asciugai il viso
con la manica del giaccone e mi avvicinai a lui.
Non si era accorto di me, quindi ne approfittai per mettermi seduta
accanto a lui.
“Ciao, ti ricordi di me?”
Lui si girò verso di me, e ancora una volta fui presa dalla
compassione che riempiva il suo sguardo.
Come faceva ad incantare le persone con la sola forza dei suoi soli
occhi?
Quegli occhi grandi e scuri, minuscola riproduzione
dell’universo… Me lo chiedevo sempre.
Non pensò molto alla risposta da darmi, anche se per me
sembrò un’eternità. Si voltò
leggermente, e mi disse, quasi sussurrandolo, un timido
“Sì”.
Io ero completamente pietrificata dalla forza magnetica del suo
sguardo, e per qualche secondo mi dimenticai di rispondergli.
“Ah, bene, mi fa piacere… Volevo farti i
complimenti per l’esibizione di stasera! Sei stato
formidabile, non ho mai sentito nessuno cantare come te, sei un bambino
eccezionale!”
Mi fa piacere…
certo che potevo dire un’altra cosa. Lo stavo trattando come
un adulto, e per giunta un adulto stupido; in quel momento mi vergognai
miseramente di me stessa.
Per fortuna Michael sembrò non badarci, e mormorò
“Grazie”, ma non molto entusiasticamente.
Il mio piano per aiutarlo stava andando mestamente a farsi benedire, e
quindi scelsi una via alternativa al dialogo.
“Ti va di fare una passeggiata?”
Imprudente e incosciente. Fantastico.
Se durante la passeggiata ci avrebbe attaccato uno psicopatico che
voleva ucciderci, sapevano a chi dare la colpa.
“Con tutto questo buio?”
“Beh, un po’ di luce c’è, non
penso che sia tutto buio, altrimenti non ci abiterebbero. Dai, ti
starò vicina, non ti succederà niente”
“Sicura?”
“Sicurissima. Fidati,
Michael”
Con mio grande stupore si alzò dal marciapiede, mi tese la
mano e mi disse:
“Andiamo”
Mi alzai anch’io, goffamente, mi pulii la gonna e gli diedi
la mano, più piccola rispetto alla mia, ma molto
più calda.
Mi faceva una strana sensazione camminare con lui mano nella mano:
sembravamo mamma e figlio che andavano a passeggio insieme, felici e
spensierati.
Insomma, se pensavo ancora una volta a quello che mi era successo negli
ultimi mesi mi veniva una tale malinconia che avrei
potuto scoppiare a piangere in qualunque momento.
In fondo per quasi tredici anni mi avevano imbrogliata, e il modo in
cui sono venuta a sapere della bugia non era dei più
ortodossi.
Poi pensavo a Michael: anche lui non aveva avuto di certo un
po’ di felicità.
L’unica cosa che lo mandava avanti era la speranza che un
giorno avrebbe smesso di soffrire.
Per me il suo canto assomigliava a un grido di speranza e fede, come i
canti di lavoro degli schiavi neri nelle piantagioni del Sud.
In fondo veniva trattato come uno schiavo, e questo mi rendeva ancora
più arrabbiata col mostro.
Stavo pensando così intensamente che non mi rendevo conto di
dove stavo andando: dopotutto, era un problema minore.
Il terrore mi attanagliò le gambe, che dannatamente non
riuscivano a fermarsi.
Oh santo
cielo, io non conosco New York! Figuriamoci se ci vado in giro di
notte, come se niente fosse, e per giunta con un bambino di sei anni!
Che stupida che sono stata! Sto trascinando me e Michael nel baratro
del pericolo… E dire che il mio piano doveva aiutarlo, non
rendergli la sua breve vita un inferno totale!
“Ehi,
Fiordaliso, ti è successo qualcosa? Perché
guardi fisso davanti a te?”
Perfetto, anche Michael adesso pensava che fossi una che vedeva i
morti, ma…
Ehi aspetta un momento, mi aveva chiamato Fiordaliso?
Oh Dio, si era ricordato il mio nome!
Nessuno riusciva a tenerselo in testa per più di cinque
secondi, e adesso incontro un bambino splendido che se lo ricorda!
Diamine, com’ero felice!
Quel piccolo gesto mi rese Michael ancora più dolce e
sensibile di quello che già pensavo, e mi fece ritornare in
mente dove l’avevo cacciato.
Dopo che mi fui ripresa, gli risposi chiaro e tondo che non lo sapevo.
Aveva la faccia terrorizzata, e mi guardava come se da me dipendesse la
sua intera esistenza futura.
In quel momento provai pena per tutti e due: per me che ero una pazza
omicida di bambini innocenti, e per lui, del tutto indifeso, che aveva
accettato la mia insana proposta.
All’improvviso mi si raggelò il sangue nelle vene.
Avevo sentito qualcosa, anzi, qualcuno, che
parlava dall’altro capo della via, e con mio immenso orrore
si stava avvicinando al punto in cui ci trovavamo.
Sentii la mano di Michael che stringeva forte il mio braccio e lui che
sussurrava atterrito:Ho paura Fiordaliso, andiamocene
via di qui , ti prego.
Aveva le lacrime agli occhi, e la cosa peggiore era che non sapevo come
aiutarlo. Non avevo mai praticato la lotta greco-romana o il pugilato,
quindi non sapevo come difendere me e Michael.
La voce e il suo possessore si stavano pericolosamente avvicinando, e
dopo poco ci ritrovammo davanti un uomo bianco, vestito pure male, che
camminava dondolando a destra e a sinistra.
Pensai subito che fosse ubriaco, e in
effetti lo era.
Canticchiava
come un ossesso una canzone che non avevo mai sentito, ma quando ci
vide smise di cantare e ci urlò: ”Aha, ma guarda chi si vede! Due bei
bambini negri tutti soli soletti nel bel mezzo della notte! Lo sapete
che non bisogna andare in giro a quest’ora senza la mamma e
il papà? Si potrebbero
fare dei brutti incontri…”
Notai, con mio grande orrore, che brandiva un coltello nella mano
destra.
Avevo il battito cardiaco a zero e la paura era così tanta
che non riuscivo a muovermi.
Sentivo solo il corpicino di Michael che tremava attaccato al mio.
Poi
mi successe qualcosa.
Qualcosa di inaspettato.
Ripensai alla stupenda voce di Michael che avevo sentito poco fa e
tutto cambiò.
No, non potevo.
Non potevo permettere a nessuno di toccare quel bambino fragile e
meraviglioso, neanche sfiorarlo con una piuma.
Chiunque ci avesse provato, sarebbe stato punito.
Anche suo padre avrebbe fatto la stessa fine, ne ero certa.
Ma adesso era a quel viscido maniaco a cui dovevo pensare: con
quell’arma voleva sicuramente ucciderci, ed inoltre era
ubriaco.
La mia mente cominciò a lavorare veloce, gli occhi e gli
arti la assecondarono.
Mi ricordai che avevo in tasca un accendino, “preso in
prestito” dal taschino di mio padre: avevo pensato che un
giorno mi sarebbe tornato utile, molto meglio di un coltellino svizzero
o di un orologio da tasca.
Quel giorno era arrivato.
Guardai il nostro assalitore con aria di sfida: si stava avvicinando.
Adesso era a tre metri circa da noi.
E poi guardai Michael, che tremava ancora alla mia destra, e non aveva
la forza di guardare.
Poi lo sentii che diceva qualcosa: la voce era arrochita dallo
spavento. Riuscii solo a sentire un pallido Aiuto.
Quell’aiuto era indirizzato a me.
Girai il viso verso di lui, e gli carezzai la testa ricciuta con la
mano destra.
“Andrà tutto bene, Michael. Non
aver paura, ci sono io con te”
“Ma io non voglio che tu muoia, non voglio, non
voglio…”
“Non
morirò, sta tranquillo, e neanche tu morirai. Sono stata
io a trascinarti in questo casino, e sarò io a tirarti
fuori.
Fidati di me,
Michael”.
Quelle
parole mi uscirono dalla bocca come un alito di vento penetra da una
finestra aperta: non sapevo cosa mi avrebbe risposto Michael ma sperai
con tutto il cuore che fosse un “Sì”.
E infatti Michael,
tremante e con gli occhi e le guance bagnate, guardandomi abbattuto e
speranzoso, mormorò quello che aspettavo da tanto:
“Sì. Sì, mi fido di te,
Fiordaliso”.
In quel momento mi sentii la ragazzina più fortunata e forte
del mondo.
Smisi di sognare ad occhi aperti e mi concentrai sul Mostro Due.
Ormai era vicinissimo: continuava a dire cose senza senso, cose
deplorevoli, soprattutto sui neri e su di noi, che eravamo appunto di
colore.
Ma quando vide che lo fissavo spavalda e sicura di me, si
fermò, e mi chiese con voce smielata
:”Ehi, dolcezza, perché mi guardi
così male, cosa ti è successo? Guarda che questo
comportamento non si addice alle signorine come te”
Rise sguaiatamente. Arricciai il naso: odiavo la gente che mi faceva i
complimenti giusto perché è buona educazione.
Ormai non mi interessava più niente del mio aspetto, della
mia situazione finanziaria, delle buone maniere… Mi avevano
causato solo seccature.
Mi avvicinai di più a lui, ignorando le sue risa e lasciando
delicatamente la mano di Michael dalla mia.
Non mi voltai a vedere com’era la sua povera faccia.
Non potevo. Dovevo prima stendere quell’individuo inferiore
che continuava a sfottermi.
“Cosa c’è, abbiamo perso la parola? Non
parli più? Che peccato, avrei tanto voluto sentire la tua
voce…”
“No, caro. Non sono muta, ma tu lo sarai molto presto”
Schivai per un pelo il primo colpo del viscido, ma sentii la fredda
lama del coltello fendermi la guancia sinistra.
A stento soffocai un lamento, e barcollai fino a inginocchiarmi per
terra, toccandomi la ferita: bruciava, e fiottava sangue come un
rubinetto rotto.
Un dolore così atroce che mi accecava, lasciandomi scorgere,
al di sopra della sofferenza, la figura dell’ubriaco che se
la rideva di gusto, mentre mi si avvicinava lentamente per completare
la sua opera.
Io però fui più veloce, e sgattaiolai fuori dalla
sua portata, lasciandolo con un palmo di naso.
Ebbi il tempo di prendere l’accendino dalla tasca, e di
tenermi pronta per attaccare definitivamente.
Il mio nemico non si fece desiderare: dopo un attimo di defiance, si
accorse che mi ero spostata, e mi venne incontro con il coltello alzato
sulla testa, pronto a colpirmi.
Quando vidi la sua orrenda faccia sfiorarmi la punta del naso,
chiacchierando come un ossesso, gli ficcai l’accendino in
gola, e lo accesi, ritraendo la mano prima che lui mi sputasse addosso.
Dopodiché si mise a ululare come un lupo alla luna piena e
con la lingua in parte ustionata biascicava qualche parola tipo:”La mia bocca, la mia
povera bocca! Maledetta bastarda, ti denuncio, ti denuncio!”
“Oh
che paura, mi stanno tremando le gambe! Aiuto, qualcuno mi aiuti!” Dimenavo
le braccia e mi esibivo in una perfetta imitazione della mia
sorellastra quando vedeva uno scarafaggio, ero identica!
Poi mi ricordai del povero Michael, che era stato dietro di me per
tutto il tempo, guardando me e il lupo mannaro combattere, atterrito.
Mi girai e vidi che era ancora lì, pallido come la luce
emessa dal neon, ma almeno non si era mosso.
Corsi verso di lui, e lo presi per mano.
“Avanti, Michael, corri !”
Lui segui il mio consiglio, e iniziammo a sfrecciare per le vie del
quartiere: ogni tanto vedevamo qualche bar aperto, un ubriaco steso per
terra, che al contrario del nostro, era pacifico, e poi pure un
edificio che assomigliava tanto ad un bordello.
Ci fermammo, stanchi e ancora un po’ spaventati, sotto un
lampione della luce, per vedere almeno il nome della via dove ci
eravamo cacciati.
E proprio in quel momento, con la voce affaticata e flebile per
l’ormai passato spavento, Michael, il piccolo angelo che mi
aveva preso il cuore, mi ringraziò:
“Grazie, Fiordaliso, mi hai salvato la vita”
Io ero rimasta senza parole. Era esattamente quello che mi aspettavo di
sentire dalla sua dolcissima voce.
“Ma figurati, l’ho fatto per te, sai a me che
importa della mia vita!”
Mi sorrise, e quello fu una specie di segno.
Michael si fidava di me.
E qualcosa mi diceva che anche io dovevo fidarmi di lui.
Per
sempre”
Tiro
il quinto, celeberrimo, sospiro e finalmente annuncio che
“È finita”.
Mia figlia si è stranamente zittita. Mi fissa come
fisserebbe Mike che balla: estasiata.
“Oh mamma, ma allora tu hai salvato Michael da un ubriaco che
voleva uccidervi? È strabiliante quello che hai
fatto… Sei, sei stata meravigliosa…”
“Perché, non lo sono tutti i giorni,
tesoro?”
“Ma ti rendi conto di quello che hai fatto? Hai salvato Michael Jackson da morte
certa! Dovrebbero farti un monumento per questo!”
“Si vabbè, non esagerare! Michael mi
sarà sicuramente ancora riconoscente, ma un monumento mi
sembra una cosa esagerata, non ti pare?”
“Per Michael, questo ed altro”
“Già, provaci anche tu, magari ti regala un
biglietto gratis per il suo prossimo concerto”
“Sarebbe il massimo!”
“Già, ma adesso vai a dormire, che saranno le
quattro di mattina, orsù, amore!”
“E va bene, buonanotte”
“’Notte, cioccolatino”
“Non chiamarmi cioccolatino, ma da
sui nervi!”
“Okay, okay, notte dolcezza!”
Ah, finalmente a nanna, non ce la faccio più a
parlare, mi fa male la mandibola!
Però almeno mi sono tolta il grande segreto e mia figlia mi
ha fatto pure i complimenti, una delle poche volte in cui lo fa: devo
raccontarle storie così più spesso!
Ritornando in camera, apro il cassetto e rovisto tra le vecchie foto di
venti anni prima: raccontare mi ha fatto venire nostalgia di Michael, e
vederlo adesso, a ventisette anni,
famoso in tutto il mondo, non è la stessa cosa di vederlo a
sei anni, in una fotografia in bianco e nero, sorridente, insieme ai
suoi fratelli.
Insieme a me.
Aaaaah, finalmente sono riuscita a finire il secondo capitolo di questa
storia infinita che a quanto pare, è abbastanza gradevole!! =)
Innanzitutto vorrei precisare che la storia di Fiordaliso non
è ancora finita, sarà costretta a raccontare la
seconda parte, smascherata dalla sua sbadataggine!!xD
Devo pure dirvi che nel primo capitolo c’è un
errore che non ho fatto in tempo a correggere e cioè lei si
sposa con il marito nel ’65 non nel ’64 ( poi
vedrete quello che gli combinerà, il Viscido Tre
è__é)
Adesso rispondiamo alle gentili signorine che hanno recensito:
eclipsenow: Grazie
amore, anche la tua storia è bellissimamente meravigliosa,
continua così !! *__* perdona la mia deficienza, prometto
che il prossimo capitolo, perché questo ancora è
scritto picciolo °-°, lo scriverò bello
grande che pure una talpa miope saprà leggerlo, te lo
prometto!! ^^
Sono contenta che le mie idee, ti siano piaciute, all’inizio
la ff doveva essere diversa ma poi è successo quel che
è successo e sono stata costretta a ripensarla….T.T
Vabbè, spero che ti piaccia anche così, tanti
saluti dalla Regina Lunatica!!
=]
MihaChan:
perdonami
per la scrittura, sono una Regina Deficiente piuttosto che
Lunatica… xD
Comunque mi fa davvero piacere che ti sia piaciuta, tranquilla,
aggiornerò presto, il tempo di buttare su carta tutto il
casino che c’ho in testa e di perfezionare al massimo il
tutto !! ^^ mi
raccomando, recensisci pure i prossimi capitoli come hai fatto con
questo, così mi verranno ancora più
meglio gli altri, ciao ciccia dalla Lunatica!!
Bene, spero che questo capitolo sia piaciuto non solo a chi ha
recensito ma anche a chi semplicemente letto!!
Ci vediamo al prossimo capitolo e ricordate sempre, non siamo soli !!!^^
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Capitolo 3 *** Facevo bene a tenere la bocca chiusa !(I segreti non smettono mai di venire a galla...) ***
Facevo bene a
tenere la bocca chiusa!
(I
segreti non smettono mai di venire a galla…)
Quella
mattina mi svegliai abbastanza presto, nonostante fossi andata a
dormire alle due di notte mi sentivo fresca come una bottiglietta di
Coca Cola appena tolta dal congelatore, forse perché mi ero
finalmente tolta il grande segreto dai pensieri.
O
forse perché ogni giorno, appena mi alzo, vedo
l’immenso oceano blu che mi da’ una dolce
sensazione di tranquillità ed equilibrio,
chissà…
Guardai
la sveglia: erano le otto e un quarto
precise.
Per i
miei standard era un po’ tardino, ma decisi di fare lo stesso
le cose con calma.
Dopotutto
era estate e a badare alla casa c’era il paziente e laborioso
Fernando, inoltre fin quando mia figlia non balzava fuori dal letto,
cosa che non succede mai prima delle nove di mattina, potevo avere il
mio meritato momento di relax casalingo.
Mi
alzai con calma dal letto, scesi le scale per andare giù in
cucina, dove trovai il fantastico Fernando, sveglio da due ore buone,
che stava preparando il caffé fischiettando come al suo
solito.
Si
sentiva anche un invitante profumino di biscottini alle mandorle, dolci
che adoro con tutta me stessa (anche se non c’è un
tipo di dolce che non mi piaccia !).
Appena
sentì i miei passi ( lui era capace di distinguere i passi
di chiunque, aveva un udito migliore di un sismografo, infatti veniva dalla penisola
della California, sotto Los Angeles, zona soggetta a frequenti sismi )
si voltò dai fornelli e mi salutò amichevolmente,
come tutte le mattine.
“Buenas dias, chica loca, como
stas?”
“Buen,
gracias e non pensare
che io non capisca quello che stai dicendo, ho vissuto in Messico per
quattordici anni e per giunta con te!”
“Ah
ma dai, Dalila, stavo scherzando, adesso ti irriti pure se ti prende in
giro il tuo maggiordomo preferito?”
“Sì,
va bene e non chiamarmi Dalila per favore…”
Il
povero Fernando non poteva sapere che Dalila era il soprannome che mi
diede Felipe, la mia più grande delusione amorosa, quando io
avevo dieci anni e lui dodici.
Mi
ricordo ancora quando lo incontrai, avevo nove anni e stavo ritornando
da scuola.
Lo
incrociai a pochi chilometri dalla mia villa mentre stava provando a
guidare una vecchia Chevrolet nel ’57, all’epoca
aveva solo undici anni ma guidava come uno di venti.
Fui
subito attratta dai suoi modi ribelli e sprezzanti, trovavo sempre un
po’ di tempo per stare con lui, mi aveva insegnato un sacco
di cose sulle automobili, la sua passione, e mi cantava sempre delle
canzoni in una lingua che non conoscevo, dicendomi che dove era nata
sua madre si cantavano alle feste tra amici e ai matrimoni.
Mi
ricordo che aveva una voce bellissima e gli dicevo sempre che doveva
fare il cantante da grande ma lui ci rideva su e mi prendeva in giro,
perché ero troppo
visionaria e infantile.
Ma
tutto quello che lui faceva per me mi rendeva la bambina più
felice di tutto il Messico.
Col
tempo cominciai a capire che la simpatia che provavo per lui non era
solo simpatia, ogni volta che lo guardavo sentivo una strana sensazione
al ventre, le cosiddette “farfalle nello stomaco”,
quando lui mi coglieva a fissare il suo volto mentre parlava con me o
facevamo qualcosa insieme, io abbassavo subito lo sguardo, decisamente
imbarazzata, sembravo una scodella piena di chili
tritato!
Quello
che aggravava di più la mia situazione di innamorata
fradicia era la bellezza di Felipe (c’è da dire
che assomigliava molto a James Dean, solo moro con gli occhi verde scuro ), tutte le
ragazze più grandi se lo litigavano come due bambini si
litigano un orsacchiotto di peluche, gli andavano dietro come cagnolini
e gli facevano le moine più disparate nel tentativo di
entrare nelle sue simpatie.
Tutto
questo mi faceva andare in escandescenza, diventavo elettrica e
inavvicinabile, un vero tornado!
Poi
però capii che a lui non interessava nessuna di quelle gatte
morte e dopo un po’ seppi il perché.
Quando
avevo quattordici anni e sapevo di dover partire per sempre, riuscii a
dichiarargli finalmente il mio amore e lui, con mia immensa gioia e
stupore, mi contraccambiava.
Non
l’avevo mai sperato ma era così e dovevo accettare
la realtà, anche se non mi dispiaceva per niente!
Ci
baciammo il giorno stesso della mia partenza e ogni volta che ci penso
paragono quella scena alla più famosa di Casablanca, in effetti un aereo
c’era e mancavo solo io a bordo, troppo impegnata e felice
per credere di doverlo lasciare per sempre.
Ma
come disse Rossella O’Hara in Via col vento “Domani
è un altro
giorno”…
“Ehi,
Fiordaliso, tutto a posto?Hai una faccia, sembra che tu abbia visto uno
zombie…”
Beh, in effetti gli zombie
c’erano, saranno stati una decina, e in mezzo a loro
c’era un ragazzo afro americano sui venticinque anni con le
braccia conserte e lo sguardo serio.
O
forse mi stavo sbagliando con uno dei tanti poster di Thriller che mia
figlia aveva piazzato per tutta la casa?
Sì,
era così, era troppo affascinante per essere un nero comune
e poi riconoscerei quello sguardo ovunque.
È
stato bello però, ripensare a Felipe, sempre meglio che
pensare alla casa o alla spesa o ad altro che non è
l’amore!
“In effetti uno zombie
l’ho visto, il più bello che si possa
immaginare…”
Fissavo
il poster, cercando di non far capire a Fernando che in
realtà non stavo pensando a Felipe ma a Michael, questo modo
di mentire mi riusciva molto bene, faccio credere a qualcuno che sto
pensando ad una cosa quando invece ne penso un’altra,
è divertente ed efficace!
Infatti
Fernando ci cascò come un uovo sbattuto in una terrina,
fissava me e poi fissava il poster, rassegnato.
Scosse
la testa.
“Io
non capisco proprio cosa ci troviate voi donne in un ragazzino troppo
cresciuto che balla con degli zombie e cammina al contrario con dei
calzini di pailletes, è incredibile!”
“Ma
come fai a dire che Michael è un ragazzino, anzi per me
è un gran bel uomo, giovane, famoso e per di più
non è fidanzato!”
“Certo,
con tutti i soldi che ha può permettersi una donna al giorno
e una alla sera, da’ retta a me, è un
mascalzone!”
“Senti
Fernando, so che a te la musica moderna non piace ma non pensi di
esagerare, Michael Jackson
è un cantante universale, piace a chiunque, pure alle matuse
come te che sono rimaste a Woodstock e non sono più riusciti
a trovare la via del ritorno, quindi se riprovi a insultare ancora quel
bravo ragazzo di Michael ti licenzio, intesi?”
La mia
pazienza ha un limite quando si tratta di Mike, anche se ormai ha ventisette anni, una lunga
carriera alle spalle e tanti anni di successi futuri, per me rimane e
rimarrà sempre il bambino dolce ed innocente che ho salvato
tanti anni prima, quella terribile notte di gennaio del ’64;
quel giorno mi ero pure ripromessa che nessuno gli avrebbe
più fatto del male e questo valeva anche per le brutte
parole che dicevano su di lui.
Anche
se Fernando è il mio migliore amico, non può
permettersi di offenderlo, neanche scherzando, come al solito.
Però,
è vero, sono stata un po’ troppo dura con lui,
anche se quella cosa di Woodstock è realmente accaduta
(penso abbia fumato così tanti spinelli che alla fine
l’hanno dato per deceduto, non si rialzava più,
almeno da quello che mi ha raccontato), ogni volta che ci penso mi
metto a ridere come una matta!
Lui
però non rideva, neanche adesso, mi guardava dritta negli
occhi e la sua espressione non lasciava trapelare nessun sentimento
interiore.
Si
limitò solo ad annuire, non molto convinto.
“Okay,
okay, ho capito. Sei davvero permalosa, delle volte, te lo posso dire?”
“Con
gentilezza e garbo puoi dirmi qualunque cosa, peperoncino
appassito”.
“Che
cosa intendi per “peperoncino appassito”?”
“Niente,
niente, sai che mi piace dare i soprannomi alle persone, lo trovo
divertente, e poi alcuni sono veramente appropriati! Non è
il tuo caso però!”
“Certo.
Per queste cose sei peggio di me, lo sai?”
“Ecco
perché litighiamo sempre come due bambini viziati, ma non ci
sarebbe gusto, no?”
Lui mi
sorrise e dal suo sguardo capii che non mi sbagliavo.
Anche
se a volte fa il presuntuoso con me ed io lo stuzzico, ci vogliamo
sempre bene come fratello e sorella.
“Sì.
Sì, hai ragione”.
Gli
sorrido anch’io, compiaciuta.
Quell’attimo
di nostalgia e magia è interrotto miseramente
dall’arrivo della Boss, i cui passi rimbombano dalle scale
del piano di sopra e arrivano a invadere la quiete pacifica e romantica
della cucina.
Stranamente
è già lavata e vestita di tutto punto e sulle
spalle ha il suo zainetto preferito, pieno di qualcosa che non voglio
neanche immaginare.
“Buongiorno
a tutti!” urla la sua squillante voce e dopo essersi presa
qualche biscotto appena sfornato dal vassoio dapprima intatto ed
esserselo messo in tasca al volo, attraversa la cucina in un lampo e va
all’ingresso.
Io
naturalmente la seguo, devo sapere dove va e soprattutto con chi va,
sarò una svampita ma sono sempre sua madre!
“Ehi,
signorinella, dove pensi di andare così in fretta, non
saluti la tua povera e vecchia madre che non vedi mai durante il giorno
e che è sempre preoccupata per sua figlia che al contrario
non se ne frega?”
Mia
figlia si gira scocciata e lascia andare un insofferente “Che
c’è?”.
“Niente,
dolcezza, non preoccuparti, l’unico problema che veramente
non riesco a tollerare è la tua educazione nei miei
confronti. Prima non eri
così, lo sai?”
“Le
persone crescono, mamma, non posso rimanere la Katie
di tre o quattro anni fa, ormai sono cresciuta, ho tredici anni se non
te lo ricordi!”
“Mi
ricordo la tua età, tranquilla, ma se tu sapessi quanto ho
sofferto per darti alla luce, per crescerti, per educarti, per
insegnarti tutto quello che una ragazzina della tua età
doveva sapere non mi tratteresti così!”
“Beh,
è normale che si soffra mentre si partorisce, è
difficile crescere ed educare un bambino ma non mi farai cambiare idea
né ora né mai!”
“Ti
conosco bene, so come sei fatta e so che dici sul serio ma dovresti
anche imparare ad ascoltarmi e a sacrificarti ogni tanto, sono tua
madre, non un’estranea!”
“Una
madre non si comporterebbe come una bambina, come invece stai facendo
tu, si farebbe rispettare sempre, non solo quando si ricorda di avere
una figlia!”
“Io
mi faccio rispettare quando e come voglio, quindi, cara, chiedimi
immediatamente scusa o ti spedisco in un college sperduto in Europa e
sappi che sto facendo sul serio!”
“Non
mi importa di quello che mi farai, io rimarrò sempre quella
di prima! Adesso se non ti dispiace ho da fare, quindi lasciami in pace!”
“Certo
che ti lascio in pace, con immenso piacere!”
“Addio!”
“Addio”.
La
porta si spalancò e si richiuse in un secondo lasciando me
da sola, immobile e impotente, davanti ad essa.
Perché
diamine dovevo avere una figlia ribelle e maleducata come Katie ?
Non le
ho mai fatto mancare niente, forse un padre ma dopo quello che mi fece
quel mostro, era meglio che crescesse senza.
L’ho
educata abbastanza bene, da sola, l’ho mandata nelle scuole
più famose e importanti di Beverly Hills, le ho fatto
frequentare corsi di ogni genere, compresi danza e pianoforte, le
compravo tutto quello che lei mi chiedeva
anche se non ne aveva bisogno.
Quando
era piccola stravedeva per me, ero la sua migliore amica, sua sorella,
suo fratello.
Suo
padre, addirittura.
Ma
adesso è tutto cambiato.
Non mi
parla più come prima, non mi sorride più, non mi
abbraccia più.
Si
dimentica persino del mio compleanno.
Fernando
dice che “è l’età“,
tutti gli adolescenti sono così, è normale.
Ma io
non ci credo.
Secondo
me mia figlia non sa più in cosa deve credere.
Vuole
essere grande ma poi capisce che è ancora troppo piccola.
Vuole
continuare a essere bambina ma poi si rende conto che sta diventando
grande.
Un
po’ come Wendy in Peter Pan, anche lei si faceva queste
domande, se rimanere bambini fosse meglio di crescere e comportarsi da
grandi.
Per me
è sempre stato meglio rimanere bambini, perché i
bambini sanno quello che gli adulti ignorano.
I
bambini ti amano senza chiedere nulla in cambio.
Ed io
l’ho vissuto direttamente, attraverso l’esperienza
di ventuno anni prima.
Solo
che a Katie non era bastato.
Lei
aveva bisogno di qualcosa di vero, qualcosa che doveva sentire sulla
sua pelle, non una mia esperienza narrata per ritrovare il mio
equilibrio interiore.
Questa
cosa era un po’ faticosa ma aveva cambiato milioni di persone
e sicuramente cambierà anche lei.
Dovevo
solo avere un po’ di pazienza e tutto si sarebbe aggiustato.
O
almeno speravo.
Decisi
che dopotutto, dopo la litigata che avevo avuto con Katie, dovevo
lasciarla un po’ tranquilla e quindi dopo aver fatto
finalmente colazione, mi lavai, mi vestii e uscii un po’ per
le vie torride di Los Angeles, decisa a farmi un bel giro per i negozi
in riva al mare e poi se mi avanzava un po’ di tempo sarei
andata ad Hollywood, volevo vedere un po’ di sana finzione,
chissà, magari mi avrebbe aiutata con Katie.
Mi
incamminai verso la spiaggia e più mi avvicinavo
più sentivo il bisogno di comprarmi una bottiglietta di Coca
Cola gelata, stavo morendo disidratata!
Dopo
aver bevuto qualche sorso di questa meravigliosa e energica bevanda
(per me è la cosa più bella e utile che abbiano
inventato in America, colleziono bottigliette e tappi e ne ho di tutti
gli anni!), mi sentii subito meglio e pronta per affrontare quel mostro
di asfalto e grattacieli che ha di nome Los Angeles.
Anche
se eravamo solo nel 1985, la sua grandezza cresceva vertiginosamente
ogni anno, superava certamente i due milioni di abitanti.
Girai
un po’ per negozi, giusto per godermi l’aria del
ventilatore e per ficcanasare in giro come mio solito, poi passeggiai
lungo il molo di Santa Monica, commentando tutte le biondine svampite
stile Barbie e i bagnini culturisti stile Big Jim che superavano il
grado di indecenza imposto dalle vecchie signore miliardarie, mie
vicine di casa, ogniqualvolta avevamo l’occasione di
spettegolare sugli altri vicini di casa, alias Barbie&Co., i
quali non conoscevano la parola “pudore” e
l’espressione “convivenza civile”.
Forse
erano troppo difficili da ricordare per delle menti piccole ed amorfe
come le loro.
La
miglior oasi di frivolezza e beata ignoranza però rimaneva
Hollywood.
Mi ero
decisamente stancata delle impudiche ragazze e dei virili ragazzi che
popolavano la spiaggia (io penso che siano tutti fatti con lo stampo,
un giorno di questi vado a far visita alla fabbrica, magari
è vicino Malibu o anche a Long Beach…) e quindi
decisi di girovagare un po’ per la vera Città
delle Stelle, lì la finzione è un’arte,
non un obbligo.
Più
camminavo e più veniva fuori dal cuore un senso di
nostalgia.
Infatti vidi
Hollywood per la prima volta con mio padre ventuno anni fa e adesso che
sono cresciuta, cammino da sola lungo la Walk of Fame,
ammiro da sola le centinaia di stelle che formano una lunga fila di
successi e glorie passate.
Avevo
percorso quella strada mano nella mano con mio padre, lui mi indicava
tutte le stelle dei personaggi più famosi dello spettacolo,
c’era anche quella di Elvis, di Marilyn, di
Audrey…
C’erano
tutti, ma proprio tutti.
Mancava
solo papà.
Mi
asciugai gli occhi, decisamente lucidi e un po’ arrossati.
Pensai
a papà, a quello che aveva rischiato rivelandomi chi ero e
da dove venivo.
Pensai
a Katie.
Dovevo
fare anch’io la stessa cosa che aveva fatto mio padre con me
e cioè dovevo dirle chi era veramente suo padre.
Sarà
stato un po’ doloroso sia per me che per lei ma non avevo
altra scelta, se volevo riconquistare la fiducia di mia figlia.
Continuai
a camminare, rilassata e appagata dalla nascita del mio nuovo piano che
la mia mente infantile e geniale aveva felicemente partorito.
Dopotutto
non ero così svampita come diceva la mia adorata bambina.
All’improvviso
mi fermai a contemplare una stella.
Una
stella che era stata aggiunta da poco ma che brillava già
come una supernova.
La
stella di Michael.
Wow,
ogni volta che passavo di lì era d’obbligo far
visita alla stella di Mike, per me era un modo per sentirlo
più vicino, anche se in
effetti vicino lo era!
Mentre
stavo guardando con amorevolezza la stella, piegata come se stessi
cercando qualcosa che avevo perso, sentii che qualcuno mi chiamava in
modo furtivo come per non farsi sentire.
Io,
incuriosita mi alzai e mi guardai intorno.
Non
c’era nessuno.
Chi
era allora il misterioso individuo che mi stava cercando?
Forse
mi stavano facendo uno scherzo (a Hollywood può succedere di
tutto, ma proprio di tutto) o forse sto diventando una che sente le
voci nella testa.
E
invece no.
Non
era così.
L’uomo
che mi stava chiamando era di colore ed avrà avuto una
cinquantina d’anni; stava nascosto dietro un vicolo
invisibile dove c’entrava al massimo un bambino, solo che lui
era un uomo e pure abbastanza in carne, infatti
aveva l’aria un po’ affaticata e sudava come un
turco nella sauna il 15 di agosto, ed inoltre si stava sgolando
sottovoce per attirare la mia attenzione.
Io
l’avevo visto ma non sapendo chi fosse, mi avvicinai cauta al
vicolo in punta di piedi e quando fui abbastanza vicina da vederlo bene
in volto, mi mancò il respiro.
L’ometto
disperato a cui interessavo non era un ometto qualunque.
Lui si
accorse che io avevo capito chi avevo davanti e cercò di
rassicurarmi, inutilmente.
“Ehi
buongiorno, tu sei Fiordaliso, vero? Piacere di conoscerti, tu mi
conosci già, giusto, quindi non c’è
bisogno che mi presenti, come stai?”
Io ero
completamente immobilizzata.
Era
Quincy Jones quello che avevo davanti e mi tendeva la mano oppure era
l’ennesimo sogno ad occhi aperti?
Mi
diedi uno schiaffo in faccia e sentii del lieve bruciore che mi
bastò per confermare alla mia testa che non stavo sognando.
No,
era tutto vero, avevo veramente davanti la faccia preoccupata e
ansimante del grande Quincy Jones, il più grande
collaboratore di Michael Jackson,
il non plus ultra dei sudditi del mio cantante preferito, un genio!
“Tutto
a posto, perché ti si sei data uno schiaffo
all’improvviso?”
“Oh…oh,
non è niente Quincy, tranquillo, è che la tua
improvvisa apparizione mi ha un po’ scombussolata, ma adesso
sto bene, veramente!”
Oh,
Santa Coca Cola, l’avevo chiamato Quincy come se si fosse
trattato del mio cane, che stupida che sono stata, in fondo Katie ha
ragione, certe volte non so tenere a freno la lingua; adesso cosa
penserà lui di me, oddio che stupida, stupida, stupida,
stupida!
“Ah
se lo dici tu, mi fido. Comunque ho
una cosa da darti, se tu sei la vera Fiordaliso”.
Dicendo
questo tirò fuori dalla tasca del gilet una busta azzurra
chiusa e sigillata e me la porse.
Nonostante
le mani che tremavano come una gelatina durante un terremoto, riuscii
ad afferrare la lettera.
Mi
accorsi che non era un azzurro comune: era lo stesso colore dei
fiordalisi e il sigillo non era come tutti gli altri…
“Me-me
la manda lui ?”: cercai
di essere il più convinta
possibile mentre domandavo a Quincy
la cosa
che più mi interessava.
Lui
annuì deciso, aggiungendo:
“Mi
ha chiesto di consegnartela in questo modo perché conoscendo
le tue abitudini sapeva che saresti venuta a passeggiare qui alla Walk
of Fame e sapeva anche che ti saresti fermata a guardare la sua stella,
quindi non è stato difficile trovarti per me, anche se non
conoscevo neanche il tuo volto. C’è da dire
però che sei un tipo molto particolare!”
Particolare?
Particolare
io?
Okay,
vado in giro vestita come una di sedici anni, mi comporto come una di
dieci, bevo Coca Cola invece della birra, preferisco i cartoni animati
della Disney ai film banali e romantici, mi piace fare il bagno
nell’oceano tutta vestita, amo gli animali esotici, sono
vegetariana, litigo con un lavello che perde come se fosse mia madre ma
non mi sono mai definita un tipo particolare.
Aspetta
un momento però, se lo diceva Quincy Jones, un fondo di
verità doveva pur averlo!
Mi
ridestai dalle mie tipiche escursioni mentali e mi ritrovai davanti
Quincy che mi fissava, non molto convinto della mia salute cerebrale.
“Eh,
già, me lo dicono tutti ma guarda un
po’!”
Era la
prima cosa che mi era venuta in mente, non sapevo neanche da dove fosse
uscita ma da me ci si può aspettare di tutto e alcune volte
mi stupisco anche di me stessa.
Quincy
era sempre più preoccupato per me e decise quindi di
tagliare corto.
“Già,
non c’è bisogno che te lo dica io, no ? Vabbè, si
è fatto tardi per me, devo andare, il capo mi aspetta!”
“Oh,
certo, il capo”.
Gli
sorrisi radiosa e abbastanza imbarazzata mentre lui usciva fuori dal
vicolo infilandosi in tutta fretta un paio di occhiali e un panama
bianco con la fascia nera e spariva tra la folla, poi si
ricordò che se ne era andato senza salutare (dopotutto ero
una donna matura, nessuno poteva negarlo) quindi si girò e
mi fece un cenno con la mano.
Io
ricambiai il saluto e dopo averlo perso completamente di vista,
ritornai anch’io tra la calca.
Non
continuai però il mio giro turistico per Hollywood, volevo
tornare a casa per leggere la lettera di Michael.
Era la
prima volta che chiedeva a un suo collaboratore di consegnarmi una
lettera, di solito la trovo in qualche posto nascosto nel giardino di
casa mia o nella mia stanza, messa lì da qualche sconosciuto
ingaggiato da Michael come postino segreto.
Sì,
perché io e Michael dopo la vicenda del vicolo eravamo
diventati praticamente inseparabili, come due gemelli siamesi, e quando
loro dovettero partire per un’altra città dove
sfoggiare il loro talento, lui ci rimase molto male, non voleva
rimanere senza di me, da solo con suo padre, in quella casa infernale,
no, non voleva lasciarmi.
Neanche
io me la sentivo a dover continuare la mia vita senza di lui ma come
avremmo risolto il problema?
Lui
aveva solo sei anni ed io quasi tredici, eravamo entrambi troppo
piccoli per prendere delle decisioni così importati ed
inoltre i nostri padri non avrebbero mai permesso degli incontri,
neanche durante le feste o le vacanze estive.
L’unico
modo quindi per parlare e per non sentirci completamente soli era
quello di scriverci delle lettere.
Michael
fu molto entusiasta dell’idea e senza pensarci due volte mi
diede il suo indirizzo di Gary, che si ricordava benissimo a memoria.
Io gli
diedi il mio di Città del Messico e i messaggi non tardarono
ad arrivare!
Mi
scriveva quasi tutti i mesi, mi raccontava tutto quello che gli
succedeva durante il tempo libero, i suoi progressi canori, mi parlava
molto spesso di sua madre Katherine come una donna molto gentile e
affabile, al contrario del padre, burbero e schivo, sempre alla ricerca
di un modo per fare soldi.
Lo
scambio epistolare continuò per molto tempo fino a
interrompersi per qualche anno per colpa di mio marito che vedeva la
mia amicizia con Michael un affronto alla sua famiglia, semplicemente
perché lui era un nero ed inoltre americano.
Mio
marito amava l’onore e il rispetto della sua famiglia
più di ogni altra cosa al mondo, io compresa, il nostro era
stato uno dei tipici matrimoni programmati dalle nostre famiglie, senza
tener conto di altri fattori quali l’amore disinteressato, la
differenza d’età (nel ’65, quando ci
sposammo, lui aveva ventinove anni ed io quattordici, quindi
addirittura quindici anni di differenza), le aspirazioni future di
entrambi, insomma, quel che contava per la mia matrigna era cacciarmi
via di casa, sempre per quella questione dell’onore della
famiglia, il mio futuro marito invece doveva trovare una ragazza
giovane e “di buona famiglia” per risanare la
drammatica morte della sua precedente consorte, deceduta giovanissima
per arresto cardiaco, che non aveva avuto il tempo di darle un erede.
Mi
ricordo che i primi anni furono terribili con lui: mi trattava peggio
di una lebbrosa, mi costringeva a lavorare in casa supervisionando il
mio operato con in pugno
un bastone da passeggio e se non riusciva a specchiarsi nel pavimento
mi picchiava con quell’arnese terrificante e dovevo rifare
tutto dall’inizio, mi mandava da sola nei quartieri
più malfamati e infimi di Londra per punirmi delle mie
infedeltà (anche se devo dirlo, non avevo né la
forza né il tempo per uscire di casa ed incontrare qualcuno,
quindi figuriamoci se avevo un amante), ma la cosa più
preziosa che poteva togliermi, l’unica che mi dava sicurezza
e speranza, era lo scambio di lettere tra me e Michael.
Mi
scoprì mentre stavo scrivendo una missiva nella nostra
camera nell’inverno del ’68.
Si
infuriò così tanto che mi chiuse lì
dentro per tre giorni, da sola e per giunta al buio, e non mi permise
più di ricevere né inviare posta.
Otto
anni dopo la situazione tra noi due era molto cambiata e quindi ripresi
a conversare attraverso epistole con il mio adorato Michael che in
tutto il tempo in cui aveva aspettato inutilmente la mia risposta alla
sua ultima lettera, non aveva mai messo di sperare.
Che
ragazzo d’oro, lo amerò sempre per questa parte
del suo carattere, paziente e pacata, a parte che adoro qualunque cosa
del suo carattere!
Ecco
che mi sono fatta riprendere dai ricordi, ogni volta che ho in mano una
lettera scritta da lui mi sento come un missile che sta per decollare
da Cape Canaveral!
Non ci
misi molto per arrivare a casa, Hollywood è vicina a Santa
Monica e Santa Monica sta subito sotto Beverly Hills.
Anche
se c’è da dirlo, quando mi metto a correre non mi
raggiunge neanche una Porsche.
Percorsi
il viale dove si trovava la mia casa in tutta fretta, attirando lo
sguardo curioso di qualche riccone che stava beatamente prendendo il
sole in giardino insieme alla sua amante (troppo bella e avvenente per
essere la moglie…).
Arrivai
davanti il cancello di casa stremata ma felice, lo aprii e attraversai
il giardino passando sul prato (per giunta appena potato ed irrigato,
ma le lamentele di Fernando potevano aspettare), spalancai
l’ingresso principale di casa, mi fiondai in soggiorno, salii
le scale a tre a tre, corsi fino alla mia stanza e mi ci chiusi dentro
a chiave, spegnendo la luce e facendo attenzione a non inciampare nei
miei passi.
Ah,
finalmente potevo leggere la tanto aspettata lettera di Mike senza che
nessuno mi disturbasse, che sollievo!
Mi
misi seduta con calma trapelante davanti alla scrivania, accesi la
lampada da lettura, presi la lettera tra le mani e la aprii facendo
attenzione a non rovinare il foglio che vi era dentro.
Appena
ci riuscii la spiegai e mi arrivò un dolce profumo alle
narici.
Oh, ma
che galante, questo è Chanel n°5, il mio profumo
preferito, ne conservo sempre una boccetta nel cassetto e come Marilyn
prima di andare a nanna me ne metto qualche goccia, ma come faceva a
saperlo, per certe cose era proprio speciale, lo amavo!
Dopo
questa bella sorpresa mi apprestai a leggere la profumata lettera e
come tutte le volte la lessi piano a bassa voce:
“Cara,
anzi, carissima Fiorellino,
so che il nuovo
postino ti lascerà un po’ di sasso, ma di questi
tempi non c’è nessuno dei mie collaboratori che
voglia “collaborare” e quindi ho chiesto a Quincy
di recapitarti il mio messaggio, spero non ti sia dispiaciuto
altrimenti te ne mando un altro più bello e capace, a te la
scelta!
Innanzitutto
ti ringrazio molto per la tua lettera precedente, sai che mi fa sempre
piacere conversare con te in questo modo e anche se ho da fare
praticamente tutti i santi giorni trovo sempre un po’ di
tempo per leggere le tue lettere e risponderti.
Volevo anche
farti una proposta all’ultimo momento, ma ancora non sono
sicuro: visto che questo fine
settimana ho miracolosamente un po’ di tempo
libero ti va se andiamo a cena insieme in qualche bel locale di Beverly
Hills, tranquilla, prenoto io ,se vuoi e ti pago anche il conto!
So che sei
rimasta pietrificata da questa mia proposta, come chiunque
d’altronde, ma ti chiedo comunque di accettare, è
da tanto tempo che non ti vedo, voglio parlarti di persona, non sempre
per un pezzo di carta, capisci che intendo?
Adesso
scusami, ma devo salutarti, c’è qui uno dei miei
gentili e affabili collaboratori che non la smette di tartassarmi il
cervello e perché, perché dice che sono in
ritardo per un appuntamento, ma ti pare giusto che una persona come me
debba sottostare a dei tipi così impazienti e seri, mi
immagino quando sarà vecchio, diventerò
rimbambito!
Mi
raccomando, rispondimi presto, sai che mi piace ricevere le tue lettere
più di qualunque altra cosa.
Salutami il
piccolo grande Fernando, spero si ricordi ancora di me, dopotutto sono
passati ventuno anni e penso che non si ricordi più di me,
vero?
Il
tuo amico per l’eternità, Mike
P.S. :come sta la tua adorabile
bambina, è da tanto che non la vedo, deve essere diventata
una signorina ormai, me la ricordo che era più piccola di
mia sorella Janet, poi un giorno di questi vengo a casa vostra e me la
presenti, va bene? Già non
vedo l’ora!“
Finii
di leggere l’ultima riga e mi sentii come il Nilo pronto a
straripare.
No,
non era possibile.
Michael
non poteva avermi fatto una proposta così, così
avventata, non era assolutamente possibile, mi aveva chiesto di uscire
con lui, da soli, non era da lui.
Forse
doveva parlarmi di una cosa molto importante, ma non ci speravo
granché, in fondo io e Mike non abbiamo grandi segreti da
nasconderci.
Allora
quale motivo aveva per farmi una proposta del genere?
Scartai
subito l’opzione della cotta, se era innamorato, me
l’avrebbe fatto capire già da prima.
Tolsi
anche quella di una collaborazione per una nuova canzone o per un nuovo
album, anche se ero abbastanza brava a cantare non avevo una carriera
consolidata alle spalle, anzi non avevo una carriera e nemmeno le
raccomandazioni necessarie.
Alla
fine, togliendo tutti i possibili motivi per cui Michael voleva
urgentemente vedermi, non ne rimase nessuno.
Decisi
quindi, senza alcuna malizia, che aveva solo voglia di parlare con
qualcuno che non fosse un manager o un regista o un produttore, insomma
una persona normale, serena e spensierata, con cui passare una
piacevole serata lontano dai riflettori.
Soddisfatta
della decisione che aveva preso il mio intelligente cervello, stirai le
braccia sulla testa, intorpidite dalla sorpresa e dal mistero e le
lasciai cadere, esausta, lungo lo schienale della sedia.
In
quel istante di assoluto silenzio e calma, mi arrivò
all’orecchio un rumore secco, di chi ha sbattuto la gamba o
il braccio su qualche superficie dura.
Infatti dopo
neanche un secondo sentii un inconfondibile “Ahia!”
che proveniva probabilmente da sotto il letto.
Mi
alzai dalla sedia con calma, per niente spaventata, e mi avvicinai
sempre con molta calma al mio letto.
Prima
che potessi raggiungere la spalliera, una voce conosciuta mi si
avventò contro:
“Cosa
significa questa storia, perché non mi hai mai detto che
stavi in contatto con lui, per voi
rappresento un pericolo, una minaccia, solo perché sono
piccola secondo te certe cose non le capisco, ma per chi mi hai preso?
Che c’è, non parli più, non sai
più che dire eh? Bella
recita, complimenti!”
“Ma-ma
tesoro, sta calma, non è come pensi, io e Michael siamo
soltanto amici, ma cosa vai a pensare, ti giuro, non ti farei mai una
cosa simile, perché non vuoi credermi?”
“Semplice,
perché quella lettera è una prova lampante della
vostra relazione, chiunque lo capirebbe, non solo io! E poi, come
cavolo ha fatto ad incontrarmi, io non ho mai visto Michael
Jackson dentro casa nostra o sbaglio?”
Non
sapevo più cosa dirle, mi aveva scoperta e nel peggiore dei
modi.
Ma non
potevo stare in silenzio per altro tempo, lei mi aveva sentito, aveva
le prove e non sarebbe uscita dalla mia stanza se prima non avesse
ottenuto quello che volevo.
Ripensai
alla mia sbadataggine che mi aveva sempre causato tanti problemi, non
solo con mia figlia o con Fernando ma anche con individui di un certo
livello sociale, se ci pensi ridivento tutta rossa e mi zittisco.
Ah,
per i mocassini di Mike, facevo bene a tenere la bocca chiusa!
Aaaaaaaaaaaaaah,
finalmente ho finito anche questo capitolo, pensavo di lasciare
incompiuta l’opera, ma per un certo periodo non ho avuto
più inventiva, forse l’effetto Mike non dura per
molto…ù_ù
Vabbè,
spero che abbiate trovato questo capitolo interessante e abbastanza
leggibile, anche se ne dubito fortemente …O.o
Nel
prossimo capitolo, Fiordaliso rivelerà a sua figlia quello
che si è fatta sbadatamente sfuggire su Mike e anche
qualcosa in più sulla vita che ha passato insieme al
viscido…è_é
Non
posso dirvi altro mi dispiace…^^
Bene,
adesso rispondiamo alla gentile signorina che ha recensito entrambi i
capitoli pubblicati:
Eutherpe: oh
tesoro, le tue recensioni mi hanno fatto sentire così bene
che non so proprio cosa scriverti per ringraziarti, posso dirti che
anch’io mentre scrivevo il secondo capitolo per un attimo mi
sono fermata per la troppa emozione che emanavano quelle parole, pensa
che ancora non ci credo
che le abbia scritte io, sto vivendo questa storia come un sogno e
spero che sia lo stesso anche per te… =)
Comunque
i capitoli più belli saranno i prossimi, entrerà
in scena una nuova figura che sconvolgerà completamente la
vita di Katie e di Fiordaliso, mi raccomando leggi e lasciami ancora
una delle tue splendide recensioni, ciao e grazie ancora di tutto!!! =]
Ringrazio
anche chi ha semplicemente letto, con la speranza che questa ff vi sia
piaciuta, ciao a tutti e al prossimo capitolo!!!
=)
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Capitolo 4 *** Di nuovo insieme (Regola numero uno , non perdere mai la speranza) ***
Di nuovo insieme
(Regola
numero uno, non perdere mai la speranza)
Katie
mi fissava, impaziente, lo sguardo truce di chi si sente tradito.
In
effetti non
sono stata molto giusta nei suoi confronti, le ho rivelato solo una
piccola parte della verità e naturalmente a lei non
è bastato.
Tirai
uno dei miei affezionati sospiri e guardai mia figlia dritta negli
occhi, scuri e profondi come la delusione che le avevo dato.
Ma io volevo rimediare, non volevo perdere mia
figlia in questo modo e decisi ciò che il mio povero cuore
desiderava da molto tempo.
“Katie,
tesoro, se hai pazienza ti spiegherò tutto ma ti prego, non
arrabbiarti con me, so che non ti piacciono le persone false e
bugiarde, ma io sono tua madre e tutto quello che faccio per te lo
faccio per il tuo bene.
So di
aver fatto troppo la misteriosa, d’altronde anche tu ami
moltissimo Michael, anche tu dovevi sapere delle nostre lettere ma ogni
volta che cercavo di parlarti c’era qualcosa che mi fermava,
non sapevo cosa fosse, ma ti prometto che da questo momento in poi non
ti mentirò più.
Te lo prometto, Katherine”.
Era
una delle rare volte che la chiamavo con il suo vero nome, accadeva
soltanto nelle occasioni importanti, in
effetti quella lo era per entrambe.
Anche
Katie non sapeva più cosa dire, le mie parole
l’avevano lasciata sconcertata, non mi aveva mai sentito
discutere in quel modo così calmo e sicuro, così serio, ma anche così semplice
e diretto.
Per un
po’ continuammo a fissarci senza dire niente, aspettando una
le reazioni dell’altra.
Poi
finalmente Katie si avvicinò alla scrivania e mi disse
quello che mi aspettavo dal momento in cui era sbucata da sotto il
letto, furiosa e inarrestabile.
“Sono
pronta ad ascoltare ancora la tua storia, mamma, ti prometto che
sarò calma e paziente come tu
lo sei stata con me, ma ti prego, continua a raccontare.
Scusami
se ti ho spiato in questo modo, ma la mia curiosità non ha
limiti e tu lo sai.
E poi
mi piace il suono della tua voce”.
Mi
sorrise spontanea, quel sorriso che ormai non vedevo da un tempo
immemore e che mi riempì il cuore di serenità e
amore materno ora era lì, davanti ai miei occhi e stavolta
non mi sarei lasciata scappare l’occasione per rivelarle
tutto ciò che voleva sapere, che aveva il diritto di sapere.
Ricambiai
il suo sorriso con un altro ancora più luminoso, lo intuii
dalla nuova luce che irradiava dagli occhi, una luce calda e sincera.
Mi
misi seduta sul letto e me la strinsi forte al petto, come se fosse
stata una neonata in fasce.
Lei
non si ritrasse.
Anzi,
mi abbraccio più forte.
“Allora,
da dove vuoi che cominci?”
“Dall’inizio”.
Mi disse serafica.
“Okay,
dall’inizio, cioè dopo il mio lungo viaggio in
America, successero tante di quelle cose in quell’anno che
faccio ancora fatica a ricordarmele!”
“Oh,
ma io non ho fretta, vai tranquilla”.
“Bene,
come vuoi tu, dolcezza”.
“Devi
sapere che dopo la nostra separazione io e Michael non abbiamo smesso
mai di sentirci attraverso posta, io attendevo con ansia ogni sua
lettera, amavo leggere quelle poche righe così piene di
errori e bontà che emanava il suo grande cuoricino, mi
parlava soprattutto di sua madre, per lui era la donna più
bella dell’universo, un vero angelo sceso in terra. Mi
piaceva molto anche il suo nome, Katherine, e mi ripromisi che se
avessi avuto una figlia l’avrei chiamata proprio Katherine...”
“E infatti hai mantenuto la
promessa”.
“Già
e non mi pentirò mai di questa scelta, puoi starne certa!”
“Lo
sospettavo…”
La
baciai sulla fronte e continuai a parlare.
“Passò
così un anno tranquillo e sereno
, finalmente io sapevo tutto ciò che dovevo
sapere sulla mia vera famiglia e la cosa bella era che mio padre non
aveva detto nulla alla mia matrigna e alla mia sorellastra, in fondo
loro non dovevano interessarsi di questi problemi , per me erano delle
estranee.
Per questo
aspettarono l’occasione giusta per vendicarsi.
Un anno dopo
accadde la più grande disgrazia che potesse mai capitarmi.
Mio padre,
l’uomo della mia vita, l’unico che aveva saputo
consolarmi dalle delusioni, difendermi dai soprusi quotidiani, quello
che aveva avuto il coraggio di dirmi veramente chi ero e da dove
venivo, era stato trovato privo di sensi nel suo adorato ufficio.
Sulla
scrivania c’era un bicchierino di whisky, uno dei suoi
liquori preferiti.
E dentro
questo piccolo bicchierino c’era una consistente dose di
cianuro”.
“Cianuro?
Cioè veleno?”
“Sì”.
“Oh,
santo cielo…”
“Lo
trovò per caso il povero maggiordomo, doveva dirgli una cosa
molto importante e quindi avendo visto la porta socchiusa era entrato
senza bussare.
Anche se
nessuno gli avrebbe mai risposto.
Quando lo
seppi ufficialmente non sapevo cosa fare, se piangere a dirotto fino
allo stremo,
fregandomene di quello che pensavano gli altri di me, oppure affrontare
il dolore a testa alta, trovando dentro di me la forza di continuare da sola la mia vita.
Quella forza
c’era ma io non
volevo farla uscire, forse avevo troppa paura degli
effetti devastanti che avrebbe avuto su di me.
Perciò
appena mi diedero la notizia, all’inizio non dissi niente,
rimasi immobile, imperterrita, indifferente.
Poi a notte
fonda, quando tutta la città dormiva e nessuno poteva
sentirmi, scoppiai a piangere, un pianto liberatorio, pieno di dolore e
sofferenza, e ripensai a Michael, anche lui segnato dalle
più svariate sfortune, così tante che era
impossibile catalogarle.
Non mi
ricordo quanto piansi, mi addormentai tra le lacrime e mi svegliai il
giorno dopo con gli occhi gonfi e la testa che batteva come un martello
batte su un’incudine.
Non avevo
neanche la forza di alzarmi ma dovetti per forza, ad attendermi ai
piedi del letto c’era il nostro maggiordomo: era venuto a
chiamarmi, perché la signora, cioè la mia
matrigna, doveva parlarmi urgentemente.
Mi
informò anche che dovevo indossare qualcosa di elegante,
l’occasione lo richiedeva.
Completamente
ignara di quello che la strega voleva dirmi, mi vestii e scesi
riluttante la lunga fila
di scale che collegavano il piano terra al primo piano.
Mi stava
aspettando in soggiorno, vestita molto meglio del solito, con lei
c’erano anche la mia sorellastra, naturalmente sempre accanto
a lei, un folto gruppo di uomini in uniforme in piedi e seduto su una
poltrona un uomo abbastanza giovane dai tratti anglosassoni; anche lui
era in uniforme ma dal numero delle stelle e dei gradi sulle spalle
intuii che fosse un tipo abbastanza importante nell’esercito.
Io rimasi
vicino al mitico maggiordomo fino a quando la megera non mi fece cenno
di venire da lei.
In quel
momento assomigliava tanto alla strega di Biancaneve che le chiede di
assaggiare una delle sue mele, ringiovanita certo, e ben vestita, ma
l’espressione era la stessa”.
“Forse
sono sorelle”.
“Sì
può darsi, secondo me è imparentata pure con la
matrigna di Cenerentola e con Malefica, hai presente la strega della
Bella Addormentata Del Bosco?”
“Sì,
certo…”
Abbassa
lo sguardo e trattiene una risatina.
“Che
c’è, a cosa stai pensando?”
“Oh,
niente mamma, mi stavo chiedendo…”
“Sì…”
“Assomigliava
pure a Crudelia De Mon?”
“Soprattutto a Crudelia De Mon, mi ricordo che andava matta
per le pellicce, ne aveva una stanza, non un armadio, una stanza,
zeppa, di ogni tipo”.
“E
scommetto che fumava come un cubano!”
“Oh
molto più di un cubano! Ogni volta che la incrociavo, vedevo
solo le gambe perché il resto ero coperto da una affezionata nuvoletta di
fumo che non la lasciava mai, fumava pure a tavola”.
“Che
maleducata”.
“Peggio,
una strega.
Adesso
però continuo perché altrimenti facciamo le otto
di sera”.
“Okay,
ti ascolto”.
“Buen,
señorita”.
“Io
mi avvicinai malvolentieri al divano, salutai tutti, compresi gli
sconosciuti, e mi accomodai, si fa per dire, di fianco alla mia adorata
matrigna.
Lei non perse
tempo, mi presentò il militare pluridecorato e
attaccò con una catalogazione infinita di tutti i suoi
pregi, sorridente e meravigliosamente falsa.
Io non sentii
assolutamente niente di quello che diceva, non me ne importava un fico
secco, riuscii solo ad afferrare che era un tenente e che si chiamava
di cognome Cannington.
Alla fine del
monologo (tutti i cattivi devono avere il loro momento di egocentrismo)
io ero un po’ stordita dalla stridula voce che sentivo ancora
blaterare nelle mie povere orecchie, perciò non sapevo cosa
dire per accontentare la sua proprietaria e il resto del pubblico.
Poi capii che
la soluzione più semplice era annuire convinta.
La mia
matrigna mi sorrise raggiante come il faro di un camion e con quello
straziante rumore che emanava e chiamava erroneamente
“voce” proferì le seguenti parole:
“Bene,
allora a lavoro, signori, entro un mese sarà pronto tutto,
sappiate che voglio il meglio per mia figlia, dopo tutto quello che ha passato
desidero che sia felice per sempre!”
“Non
si preoccupi, signora Villa, le prometto che tratterò sua
figlia come una regina, non le farò mancare niente,
vedrà, sarà veramente felice con me”.
Forse mi era
sfuggito qualcosa di importante.
Qualcosa di
vitale, addirittura.
Non ne ero
sicura ma qualcosa mi diceva che mi ero cacciata in un brutto guaio.
Chiesi
umilmente alla mia sorellastra cosa stava accadendo davanti ai miei
ignari occhi e lei mi rispose con un
punta di soddisfatta velenosità nella voce che sua madre stava organizzando un
matrimonio da mille e una notte per la sua figliola più
piccola.
Un senso di
orrore mi attanagliò le membra.
Oh per le
orecchie di Dumbo, la figlia, o meglio, la figliastra, più
piccola di quella infima
donna ero io!
Cosa diamine
si era messa in testa, la versione tedesca di Crudelia De Mon, voleva combinare un
matrimonio come si faceva tra le famiglie nobili del medioevo tra me,
una povera orfana di padre (e pure di madre) con un tizio che non
conoscevo neanche e che poteva essere pure mio padre?
Ma allora lo
sapeva!
Sapeva tutto
quello che mio padre ed io ci eravamo detti nel suo ufficio, sapeva che
la piccola orfana trovata dal mitico maggiordomo davanti al portone di
casa quattordici anni prima era la figlia di suo marito, non vi erano
dubbi!
Aveva quindi
aspettato che il suo adorato consorte ritornasse dall’America
per vendicarsi.
Era stata lei
a riempire di cianuro il bicchierino di whisky destinato a mio padre e
adesso che lui era morto voleva togliere di mezzo la
“meticcia”, cioè io, perché
rappresentavo un pericolo per l’eredità.
Tutto ben
calcolato, non c’era dubbio, voleva arrivare alle ricchezze
di mio padre”.
“Ma
scusa, mamma, che bisogno c’è di uccidere il proprio marito e far sposare
la propria figliastra con uno sconosciuto per poi prendersi tutta
l’eredità, tu non avevi una sorella maggiore, non
potevate dividervi il tutto?”
“Beh
la spiegazione è più semplice di quanto pensi, la
mia matrigna si era sposata con mio padre quattro anni prima della mia
nascita, e lei aveva avuto una figlia da un precedente matrimonio,
quindi mia sorella non era figlia di mio padre, almeno non
biologicamente”.
“Ah
giusto, me l’avevi già detto l’altra
sera, che sbadata, scusa!”
“Ecco,
così impari a stare più attenta quando ti
parlo!”
“Come
stavo dicendo prima che tu mi interrompessi, mi ero cacciata in un
enorme guaio e la mia dolce ed avara matrigna voleva accaparrarsi tutta
l’immensa fortuna di mio padre senza lasciarne un
po’ alla figlia legittima, che poi ero io, e quindi per
tenermi lontana da casa mi stava costringendo a sposare
quell’uomo, che poi non mi piaceva neanche, e per giunta era inglese.
Sarà,
ma a me i biondi non sono mai piaciuti, a parte James Dean, ovvio,
davano l’aria di essere troppo
finti e perfettini e il peggior tipo di biondo che potesse
esistere era l’inglese.
L’aveva
scelto sicuramente per questo motivo,
il Messico è lontano rispetto all’Inghilterra.
Voleva
davvero togliermi di mezzo a tutti i costi!
Quando fui
cosciente di quello che avrei dovuto passare per il resto della mia
vita decisi di imporre le mie condizioni per le quali quel matrimonio
non doveva celebrarsi.
Naturalmente
feci la cosa peggiore.
Mia matrigna
mi si avventò contro come la mia sorellastra un anno fa per
quello stupido fazzoletto, mi disse che non ero degna di rimanere
dentro la sua casa (come se
l’avesse comprata con i suoi soldi)
, che ero la “scostumata figlia illegittima di
un pover’uomo che si era prodigato affinché fossi
felice mentre tu non gli hai mai dato soddisfazioni, è stato
troppo paziente con te, doveva rendersene conto da subito
che” bla, bla, bla e bla, finché non sentii
arrivare una mano sulla mia guancia.
Era successo,
io avevo combattuto a parole la mia battaglia pensando di farla franca,
e invece mi ero beccata un
schiaffo in piena faccia.
Il dolore non
era come quello per la morte di papà, ma era il dolore di
chi ha miseramente perso, di chi ha provato a cambiare
l’ordine delle cose e non ci è riuscito.
In quel
momento mi sentii ancora come Michael (più passava il tempo
e più mi rendevo conto che eravamo molto simili),
sopraffatta dalla vita e dalle ingiustizie immeritate, destinata ad
essere sottomessa a qualche mostro di cui odiavo anche il solo
pensiero.
Guardai la
faccia della mia matrigna: era tesa ma compiaciuta e mentre io cercavo
di non piangere per non darle soddisfazione, una cospicua parte di lei
voleva tanto che accadesse per darmi il colpo di grazia davanti a tutti
i presenti.
Ma io non
glielo permisi, se dovevo uscire di scena dovevo farlo con stile.
Continuai
quindi a fissarla senza muovere un muscolo, il freddo azzurro dei suoi
occhi che si specchiava nel mio nero misterioso.
Alla fine la
gentile signora si stancò di quella silenziosa battaglia ed
io capii che mi ero meritata tutta la sua ammirazione, aveva capito che
con me non si doveva scherzare.
E questo
l’avrebbe capito anche il mio futuro consorte”.
“Allora
quando ti ci metti sai tirare fuori la belva che è in te,
dico bene, mamma?”
“Certo,
tesoro, sta attenta, un giorno potrei graffiarti con i miei artigli, li
ho limati apposta per il tuo dolce visino!”
“Ah
ah ah, non mi fai paura,
sono grande ormai per queste cose!”
“Certo,
la prima volta che ti ho portato a vedere un film dell’orrore
te la sei fatta sotto dalla paura, stavi sempre con gli occhi chiusi e
tremavi come una gelatina!”
“Certo,
l’avevi noleggiato apposta per farmi prendere un colpo, sai
che non mi piacciono i film di quel genere!”
“Però
Michael Jackson che balla con degli
zombie in mezzo a una
cimitero abbandonato non ti fa paura, eh?”
“Beh,
lui è un’altra cosa”.
“Naturalmente”.
“Comunque
mamma, ritornando al discorso di prima, mi avevi promesso che mi
avresti detto tutto, ma proprio tutto sul
tuo più caro amico e soprattutto
volevo sapere come mai io sono
stata in casa Jackson, magari lui mi
avrà preso in braccio, avrò giocato con lui, avrà ricambiato un mio
sorriso innocente, insomma, sono stata nella stessa casa di Michael Jackson senza neanche
saperlo!”
“Se
non seguo i miei ricordi la mia storia
perde tutta la drammaticità e la mestizia che ho provato in
quegli anni, mi capisci?”
“Sì,
però lo sai come sono fatta, non so aspettare le notizie
importanti, ti prego, arriva al sodo, che ci vuole, è
questione di poche parole, no?”
“Lo
so che vuoi sapere quello che vuoi sapere ma se non seguo
l’ordine cronologico degli eventi…”
“E
dai, che ti costa dirmelo, voglio solo sapere se sono stata nella
stessa casa di Michael o no?”
Era
inutile, non avevo vie di fuga con quella piccola peste di mia figlia,
sì, lo so che il mio racconto era un po’ monotono
per lei, non certo noioso, ma lungo, triste e soprattutto,
egocentrico…
Vabbè,
pensai, dopotutto gliel’avrei dovuto dire lo stesso,
altrimenti non mi avrebbe più guardato in faccia o peggio
sarebbe scappata di casa (probabilmente ma ho paura solo a
pensarci…).
Sospirai
(ormai i sospiri sono di casa da noi), mi accomodai di più
sul mio letto come una bambina stufa di ascoltare i propri genitori che
la rimproverano e risposi alla sua semplice e immediata domanda:
“Sì.
Sei stata in casa Jackson, hai vissuto lì per un breve anno
della tua vita, Michael stravedeva per te. Tutta la famiglia, tranne il
viscido, stravedevano per te. Eri la piccolina di casa, ti amavano come
se fossi stata una loro parente, non smettevano di dire quanto eri
bella e vivace, ti facevano un sacco di regali. Una volta cantarono
anche per te, allora sei soddisfatta, adesso?”
Quella
rivelazione lasciò Katie senza respiro, ad un certo punto mi
preoccupai davvero, era così immobile che si era dimenticata
di prendere aria e ributtarla fuori.
Poi
pian piano il viso si rilassò e gli occhi ritornarono della
loro grandezza naturale.
“Dimmi
che stai scherzando, mamma.
È
tutto una balla vero?”
“No
tesoro è la pura e cristallina verità ma sei
anche libera di non crederci”.
“Beh…
È difficile crederci come è difficile non
crederci, detto da mia madre qualcosa di fondato deve avere”.
Mi
guarda ancora un po’ sorpresa e socchiude gli occhi, fa
così quando si spreme le meningi.
“Ma
senti mamma…”
“Sì…”
“Come
cavolo facevo a trovarmi nella casa dei
Jackson, ti aveva invitato Mike?”
“Ehm…
No, veramente, ci sono andata di mia iniziativa…”
“Senza
chiederlo a papà?”
Quella
domanda mi spiazzò di colpo: non avevo mai raccontato nulla
a mia figlia sull’identità del suo vero padre,
né ciò che avevo dovuto sopportare in tutti gli
anni nei quali eravamo sposati.
Lei
sapeva soltanto che suo padre era morto prima che lei nascesse, con un
insulso incidente mentre lavorava e da allora non mi aveva
più domandato nulla su di lui.
Fino a
quella sera, naturalmente.
Era
complicato inventarsi qualche scusa che giustificasse la nostra fuga in
America ma dalle occhiate impazienti di Katie capii che non avrebbe
messo piede fuori dalla mia stanza se prima io non le avessi raccontato
tutta la verità.
Era
cocciuta, mia figlia, ed anche nei momenti di tenerezza riusciva a
cacciar fuori la sua natura caparbia e sovversiva.
Era
disposta a qualunque cosa pur di riuscire nei propri intenti.
“Sì,
anzi, diciamo che l’ho fatto per scappare da lui…”
“Perché,
cosa ti aveva fatto, ti aveva trattato male, aveva alzato un
po’ troppo le mani?”
“No,
non è questo, Katie, purtroppo.
Sarebbe
stato troppo bello se mi avesse solo picchiata…”
“Ma
allora, cosa…”
Un’idea
attraversa il viso di mia figlia, un presentimento anzi, un terribile
presentimento.
Mi
guarda negli occhi come se avesse già capito quello che sto
per dirle.
Nei
suoi occhi c’è tristezza, stupore, impotenza, ma
soprattutto tristezza.
Il suo
coraggio era sparito come fumo al suono di quelle parole enigmatiche
eppure così evidenti.
Quei
sentimenti riaffiorarono anche dentro di me e al solo pensiero del mio
duro passato non potei trattenere le lacrime che scendevano calde e
silenziose sulle mie guance.
“Era
un incubo.
Tutte
le sere la stessa storia e se cercavo di resistere faceva ancora
più male.
Non
avevo scelta, ero costretta a sottostare ai suoi desideri, anche i
più primordiali.
Non
sai quanto ho pianto perché la smettesse ma lui era fissato
con l’erede maschio, l’erede prima di tutto, non
importava chi era la madre e quello che le faceva passare il marito,
l’importante era che nascesse.
Tutto
cominciò quando avevo sedici anni, una ragazzina o poco
più, ancora inesperta, ingenua, ingannevole.
Il
tipo di donna che le serviva per adempiere
al suo compito.
Quando
rimasi incinta per la prima volta, quello stesso anno, decisi di
mettere in salvo almeno la piccola creatura che stava crescendo dentro
di me, ormai la mia stupida vita non interessava più a
nessuno, neanche a me.
Provai
quindi a fuggire per i quartieri più sconosciuti della
città ma la sua rete di scagnozzi era così vasta
che non fu difficile riacciuffarmi.
A casa
passai il momento peggiore: mi picchiò ancora una volta come
uva passa fino a quando non vide che stavo sporcando il tappeto di
sangue.
Troppo
sangue per venire da uno schiaffo in faccia.
Non fu
l’ultima volta che successe, una volta stavo nella vasca da
bagno, l’altra facevo il bucato.
Pensai
che neanche il piccolo che doveva nascere voleva
avere quell’uomo come padre.
Non
aveva tutti i torti, dopotutto.
Poi
nel ’71 accadde un miracolo.
La
gravidanza stava andando meravigliosamente, nessun accenno di aborto
spontaneo, nessuna malattia del feto, tutto stava andando secondo i
piani di mio marito.
I
primi di marzo dell’anno seguente venivi al mondo tu.
Per me
eri bellissima ma tuo padre
non la pensava come me.
Lui
voleva il fatidico maschio ma ormai doveva arrendersi
all’evidenza dei fatti, aveva una figlia femmina, incantevole
e in salute.
Non
riuscii a convincerlo di ciò, anche se non mi sfiorava
più neanche con un cucchiaino, trovava sempre
l’occasione per svilire te, mia figlia, l’unica
cosa per la quale mi era rimasta una ragione di vita.
Alla
fine non mi rimaneva altra soluzione che tentare ancora.
Quando
tu fosti abbastanza grandicella per
affrontare un viaggio in aereo presi il primo Boeing che faceva volo
diretto Londra-New York e lasciai quella casa infernale per andare in
un’altra, sempre infernale ma senza maniaci
dell’onore pronti a stuprare la prima donna che cadeva nella
loro trappola.
A casa
Jackson fui accolta abbastanza bene, mi ricordo che mi aprì
Jackie, il caro Jackie, che non si era dimenticato del nostro incontro
di dieci anni prima e convinse suo padre per farmi rimanere insieme a
te, almeno per un anno, finché tu non fossi stata
più grande.
Il
mostro N°1 accettò la nostra proposta, mia e di
tutto il resto della famiglia, che aveva ascoltato la mia storia e
voleva assolutamente aiutarmi.
Appena
Michael mi vide non seppe più cosa fare o dire, e neanche io
in verità.
Era
così felice di rivedermi che piansi al solo pensiero di
andarmene e di lasciarlo da solo ancora una volta.
Ma lui
mi diceva sempre, ogni volta che parlavamo di future separazioni che
non dovevo preoccuparmi di lui, se veramente gli volevo bene,
sarà bastato ascoltare la sua voce alla radio o col
mangiadischi e anche se quella era una vera sciocchezza, lui mi
assicurò che avrebbe funzionato.
Il
potere della musica è immenso, mi diceva spesso, la musica
cambia gli uomini ma non i veri sentimenti che ognuno prova.
Vedrai,
sarà come se non ci saremmo mai lasciati.
E in effetti quando ce ne andammo
via, non spegnevo mai la mia radiolina, i 45 giri e gli LP fumavano
come l’asfalto della Route 66 in piena
Arizona, fui costretta a comprarne di nuovi, anche il vecchio gira
dischi era arrivato al capolinea.
Per un
po’ vagammo senza fissa dimora, non c’era nessuna
buona anima che volesse ospitarci almeno per una notte, tutti gli
hotel, anche i più scadenti, erano sempre pieni, ed inoltre
io non sapevo guidare, non potevo noleggiare un autoveicolo
né tanto meno una moto.
Decisi
così di rischiare.
Volevo
attraversare il confine ed andare in Messico, nella mia vecchia casa
per riscattare l’eredità di mio padre gentilmente
presa in prestito dall’avara matrigna.
Ed
è quello che feci.
La
perfida sorellastra non poteva credere ai propri occhi, quando mi vide
si versò tutto il the caldo addosso, fu uno spettacolo
unico.
La
madre, beh, anche lei era decisamente sorpresa e non perse tempo a
chiamare il suo amichetto, ovvero mio marito, nella speranza che
sarebbe venuto a riprendermi.
Ma non
fu così semplice.
Prima
di andarmene aveva sporto denuncia presso il commissariato di Scotland
Yard, avevo raccontato tutta la mia storia nei minimi particolari,
aggiungendo anche qualche piccola bugia per renderla più
drammatica, anche se drammatica lo era già.
I
segugi non poterono far altro che credermi, dopotutto era una ragazza e
pure con una figlia a carico e quindi il giorno dopo la mia partenza
(naturalmente c’eravamo messi d’accordo prima)
fecero irruzione nella lussuosa dimora di tuo padre e senza tanti
complimenti lo sbatterono dritto
dritto in galera insieme ai ratti di fogna, suoi amici
fidati.
In
questo modo avevo la strada spianata da ogni minaccia, neanche la
matrigna e la sorellastra non poterono fermarmi mentre rimettevo le
mani sulle ricchezze che mi spettavano di diritto.
Ed
inoltre mi accaparrai un notaio geniale, amico di mio padre, che sapeva
delle sue ultime volontà e naturalmente di me.
Così
anche le deliziose e generose dame che si reputavano mie parenti fecero
la stessa fine del mio meraviglioso consorte.
Non mi
restava altro che sistemarmi in qualche bel posto dove non ci rompesse
le scatole nessuno: scelsi Los Angeles, primo, perché era
vicina al Messico, secondo, era la città dei miei sogni e
ricordi più belli, terzo, era affacciata
sull’oceano, quarto, avevo sempre desiderato una casa a
Beverly Hills, con giardino e piscina, come tutti i benestanti che si
rispettino, ed adesso io ero una di loro.
Con
noi partì anche il mitico Fernando che non aveva mai smesso
di sperare nel mio ritorno, sapeva che niente e nessuno poteva
trattenermi lontana dai miei sogni.
E con
questo è tutto”.
Smisi
di parlare che ero sfinita, la gola era secca e la testa mi ronzava
come un alveare.
Era
incredibile quello che avevo fatto, avevo rivelato il mio segreto
più grande dopo quello
di Michael, a mia figlia adolescente, dapprima ignara ed indifferente
di fronte alle mie rivelazioni, le quali scalfirono di poco i suoi
sentimenti più profondi.
Ma
quello che avevo finito di dirle pochi secondi prima non se lo sarebbe
mai aspettato, era veramente troppo per una ragazzina come lei.
Era
venuta a sapere delle violenze sessuali di suo padre su sua madre,
anche lei era nata in quelle circostanze orribili da accettare, ma
purtroppo reali e indimenticabili.
Era
rimasta un’altra volta immobile, stavolta paralizzata dal
terrore e dalla sofferenza che leggeva nei miei occhi.
La sua
bocca non si apriva più, era serrata come una saracinesca,
un gemito di dolore voleva uscire ma lei non lo voleva e tremava per lo
sforzo.
Chiuse
anche gli occhi e abbassò la testa, stringendo forte i pugni
nel tentativo di non far implodere il suo cuore, piccolo e fragile come
la sua innocenza.
Mi si
strinse il petto a vederla in questo modo, ero stata io la causa di
tutto, ero esplosa col tentativo di calmarla e rassicurarla e invece
avevo combinato il contrario.
Che
stupida che ero stata.
Stupida
ed egoista.
Provai
anch’io a non piangere ma io non ero come mia figlia, lei era
forte al contrario di me e non avrebbe mai mollato come invece io
facevo spesso.
Presa
da un’onda di rammarico e pentimento, mi voltai di scatto e
la abbracciai più forte di quanto non avessi fatto prima e
lei senza alcun tentennamento lo ricambiò, stringendomi le
mani dietro la schiena e sciogliendosi finalmente in un pianto triste e
liberatorio sul mio petto, inondandomi la maglietta di lacrime.
Neanche
io ce la feci più, mi lasciai andare sulla sua esile spalla,
bagnandole pure il viso.
Ma
ormai a nessuna delle due importava più di questo.
Eravamo
madre e figlia, il nostro sangue era lo stesso, condividevamo le gioie
e i dolori e piangevamo le stesse lacrime.
Ad un
certo punto Katie alzò il viso arrossato e congestionato dal
pianto e tra i singhiozzi mi mormorò:
“Mi
dispiace, mamma. Mi
dispiace per tutto quello che potevo fare per te e non ho fatto, per
tutto il tempo che hai sacrificato per rendermi la vita normale e
felice, per tutta la tua esistenza non hai fatto altro che combattere
contro i soprusi e le cattiverie della gente, ti difendevi da ogni
accusa infamante, sopportavi il dolore e speravi che tutto un giorno
finisse.
E
adesso arrivo io a complicarti la vita con la mia impazienza, la mia
testardaggine, la mia innata gelosia nei tuoi confronti.
E
tutto questo non può farmi altro che male perché
tu non ti meriti una figlia come me.
Sono
stata così cieca, mamma…”
“Che
ora non so più se riuscirò a vedere nel tuo cuore
così come tu vedi nel mio”.
Le sue
parole mi avevano così commossa che non riuscivo
più a guardarla negli occhi.
Per
tutto questo tempo non avevo mai pensato che mia figlia si aprisse con
me in questo modo, non ci speravo più, non speravo nel
ritorno della dolce e gentile Katie, la mia bambina, la mia unica
ragione di vita, la mia stessa vita.
Le
presi delicatamente il viso tra le mani e la guardai dritta negli occhi
ancora lucidi.
“Amore,
non pensare neanche quello che hai detto su di te perché non
è vero niente. Tu
non sei mai stata un peso per me.
Io ti
voglio bene come sei, con tutti i tuoi difetti e le tue fissazioni e
continuerò a volertelo per l’eternità
perché tu sei mia figlia, la mia stessa essenza, non potrei
mai giudicarti come un fardello troppo pesante da portare.
Ricordatelo
sempre Katherine, io non ho mai smesso di volerti bene e di sperare che
tu un giorno fossi ritornata la te
di tanti anni fa.
E
adesso che è successo non posso essere più
felice”.
Lei
alzò il viso che prima era affondato nel mio petto e mi
guardò sorpresa e ancora un po’ scettica.
“Di-dici
sul serio, mamma? Non sei arrabbiata con me, per nessun motivo?”
“Ma
no, tesoro, cosa vai a pensare, io non ho mai smesso di volerti bene
anche quando compivi qualche azione sbagliata io ti ho sempre
perdonata, sapevo che lo facevi solo per attirare
l’attenzione e avresti capito presto che non stavi facendo la
cosa giusta. E infatti
è successo”.
“Ma
sei proprio sicura di quello che dici? Non ti sei arrabbiata nemmeno
quando sono sbucata fuori dal letto in preda a una crisi da fan
sfegatata e gelosa del proprio idolo?”
“Sì
amore, sicurissima al centoventi per cento.
Ah a
proposito, mi porti un secondo la
lettera di Michael, voglio vedere quando me l’ha
spedita”.
“Oh…
Va bene”.
Katie
si alza dal letto lentamente, ancora scombussolata dal pianto da poco
domato, va alla scrivania e prende il foglio indaco impregnato di
profumo.
Nel
breve tragitto che va dalla scrivania al mio letto si mette ad annusare
la lettera, inebriata dalla dolce essenza che essa emana.
“Ma
questo…”
Da
un’altra annusatina per trarre la conclusione più
esatta.
“È Chanel
n°5, il tuo preferito!”
“Eh
già, Michael voleva fare il gentiluomo e ci è
riuscito, ha azzeccato subito il mio profumo preferito, quasi nessuno
ci riesce”.
“Ma
fa sempre così?” Mi domanda maliziosa.
Io ci
penso un po’ su e le rispondo.
“A
dir la verità no, è la prima volta che lo fa,
forse voleva che io accettassi la sua richiesta e quindi per addolcirmi
un po’ ha usato il mitico Chanel che piace a tutte le donne,
ma per me è assolutamente il migliore!”
“Cosa,
Michael o Chanel n°5?” Riecco lo sguardo malizioso e
sfacciato che prevede le situazioni più impensate tra le
persone più impensate.
“Ma
ovvio Chanel n°5, che domande! Comunque
mi riferivo anche a Michael”.
“Certo,
dillo che un po’ ti piace, mamma, tanto noi due non abbiamo
segreti, giusto?”
“Questi
non sono segreti, queste sono insinuazioni diffamatorie!”
“Ma
io non sarei mai capace di fare una cosa simile alla mia adorata
mammina, ma cosa vai a pensare?”
Mi
guarda sdolcinatamente falsa e ondeggia con fare innocente.
Io non
le rispondo, tanto farebbe lo stesso effetto.
Smette
un momento di ondeggiare e guarda la lettera, interessata.
Poi
alza gli occhi e dice:
“Comunque
la lettera è datata giovedì 11 luglio 1985 e
l’appuntamento è fissato per…”
Controlla
ancora verso la fine della missiva.
“Sabato,
cioè il 13 luglio 1985!”
All’improvviso
non so cosa mi successe ma mi sentii stranamente… strana.
Stamattina
appena sveglia l’orologio segnava le otto e un quarto e il
giorno era …
Oddio.
Oddio,
dimmi che non è vero, che è tutto uno scherzo,
non sto facendo tardi all’appuntamento della mia vita solo
perché mi sono dimenticata che giorno è oggi.
No,
purtroppo il mio orologio non mente mai.
Guardo
terrorizzata mia figlia, lei guarda me come se fossi stata una zombie e tutt’e due
ci voltiamo insieme verso l’orologio tramutato in un ammasso
di numeri e lettere parlante.
Poi
insieme ci rigiriamo e ci guardiamo, nessuna osa proferire parola.
Poi mi
faccio coraggio e accetto la cruda realtà.
“Oggi
è sabato 13 luglio”.
“Vuoi
dire che stai facendo tardi ad un appuntamento con Michael
Jackson perché non ti sei ricordata che giorno
è oggi?!”
“Suppongo
di sì”.
“Oh
santissima Madonna di Bay City, mamma, devi assolutamente sbrigarti,
non puoi far aspettare Michael in questo modo, avanti, datti una
sistemata, fai pena, persino un barbone della metropolitana va in giro
vestito meglio!”
“Molto
gentile, Katie, come al solito.
Invece
di parlare perché non vai a prepararti neanche tu stai messa
tanto bene sai?”
“Cosa?! Cioè,
posso venire anch’io?”
“Ma
si, dai, penso che a
Michael non darai fastidio sulla sua limousine, c’entrerebbe
un intero circo col tendone e i giocolieri! Che
c’è, perché mi guardi così,
ho detto che devi vestirti oppure te lo devo dire in spagnolo?”
“No,
no, mamma ho capito tutto, adesso vado in cameretta e torno tra cinque minuti vestita e profumata!”
“Bene,
va, ti aspetterò”.
Furono
i quindici minuti più lunghi della mia vita, dal momento che
lessi orripilata la data di oggi fino a quando non piombò
nella mia stanza il ciclone Fernando per dirmi che uno sconosciuto
dall’aria misteriosa aveva suonato il campanello e chiedeva
di entrare.
Io
pensai subito al peggio, diedi gli ultimi ritocchi al mio abbigliamento
e mi fiondai giù per le scale con i tacchi alti, rischiando
pure di inciampare e di dire Bye Bye
al povero Michael che si era preso un po’ di tempo libero
solo per stare con la sua più cara amica.
Sulle
scale incrociai Katie, anche lei vestita di tutto punto e agghindata
come un’edicola sacra.
Scese
le scale ci prendemmo per mano, senza guardarci, gli occhi fissi sul
portone.
“Pronta
dolcezza?”
“Lo
sono sempre stata tesoro”.
Wow,
cominciava a prenderci l’abitudine, tra un po’
saremmo state due sorelle gemelle come le Kessler, fantastico!
Vidi
che anche Fernando era visibilmente turbato dall’arrivo del
fantasmagorico ospite e sudava come un… come un californiano
che ha mangiato troppo chili.
Ma si
fece forza e ci aprì la porta, facendo attenzione a non
inciampare dall’euforia.
Appena
la porta si spalancò vidi due cose luccicare
nell’oscurità: una scintillante berlina nera che
intuii fosse una Bentley e uno sfavillare di pailletes che scese dalla
macchina e mi venne incontro quasi correndo.
Adesso
che ci penso, c’era un’altra cosa che brillava tra
i fiochi lampioni e il bizzarro abbigliamento.
Un
sorriso spettacolare e radioso invadeva tutto il mio campo visivo fino
a scomparire con una nuova sensazione di calore tra le braccia.
Poi
una voce parlò, una voce così lontana e
celestiale ma allo stesso tempo così vicina che mi
sembrò di essere morta.
Invece
era tutto vero.
Lui era
lì, mi stava abbracciando e la sua felicità era
incontenibile così come la mia.
“Mi
sei tanto mancata, Fiorellino”.
Lo
strinsi più forte a me e appoggiai il mento sulla sua
spalla.
“Anche
tu mi sei mancato, piccolo Michael”.
Fiuuu,
spero che questo capitolo non sia stato noioso, lo so, vi sto
decisamente massacrando con i ricordi di Fiordaliso ma
d’altronde lei è come me, è molto ma
molto appiccicosa !!!
(siamo anche nate lo stesso giorno, meglio di così xD)
Comunque
spero che questo capitolo non abbia intaccato la vostra
sensibilità con quello che vi ho scritto dentro,
d’altronde è sempre un argomento molto delicato la
violenza sulle donne e tante altre cose che ho scritto in questo
capitolo.
Vabbè,
smettiamola di parlare di cose brutte e pensiamo alle cose belle,
innanzitutto volevo ringraziare tutte le cattive della Disney che ho
nominato per la grande ispirazione che mi hanno dato e per la loro
bontà nei miei confronti ^O^ poi tutte le gentili signorine
che hanno recensito e che mi rendono ogni giorno la vita più
bella e alla fine ma non meno importante il nostro adorato Mike, che ci
guarda da lassù, sorridente e soddisfatto di tutte noi che
gli dedichiamo le nostre storie scritte col cuore, penso che sia lui il
motore che porta avanti le nostre grigie giornate e sarà
così per sempre!!
=)
Adesso
passiamo alla parte burocratica (mejo de così nun se
po’-.-“) e cioè rispondiamo alle
signorine che stranamente quest’oggi sono tante!! ò_ò
MihaChan:
mi
dispiace bambola, quando avevi commentato io
stavo già a metà opera, spero comunque che un 18
vada bene, grazie per i complimenti, continuerò come un
treno ciao ciao!! ^_^
Eutherpe:
oh
amore le tue recensioni sono sempre fatte con il cuore invece che con
la tastiera pensa che le vado sempre
a rileggere perché sono davvero splendide!! *_*
Beh si
Fernando è un vero mattacchione, sono contenta che ti
piaccia e se ti fa più felice dopo avrà un ruolo
molto importante ma non ti dico nient’altro… ^^
Poi
Fiordaliso, beh, lei è la stella della storia, è una matta lunatica e svampita proprio
come me, è adorabile per tutto quello che fa, anche a me
piace tantissimo, ma col tempo il suo ruolo sarà un
po’ marginale, dovrà far spazio a un personaggio
molto particolare e eclettico, vedrai !! ;)
i litigi tra lei e sua figlia sono la cosa che mi riescono meglio,
forse perché anch’io come te sto avendo un
periodaccio, purtroppo non mi va più di essere trattata come
una bambina, proprio come Katie.
Uff,
le mamme sono tutte uguali, non trovi??
=]
Ed
infine la fantastica lettera di Mike, pure il mio profumo preferito
c’ha messo, guarda che caso….
ù_ù
Ihihih,
sono contenta che questo capitolo ti sia piaciuto, lo so che era un
po’ troppo lunghetto ma le prossime volte vedrò di
contenermi J
salutissimi, bella Ambra, la Regina Lunatica
non ti deluderà stanne certa!!!
Eclipsenow:
ehehe, sì ammetto di essere abbastanza brava ma non me li
sarei mai aspettati tutti questi complimenti, davvero, grazie di tutto!!^^
Come
ho detto prima i litigi tra Fiore e Katie mi riescono benissimo
perché ci sto miseramente passando, poi la missiva con
Quincy mi è venuta di getto, secondo me faceva
effetto…ù_ù sì, hai
ragione, quando Fiordaliso ha i suoi flussi di pensieri è
troppo forte, anch’io quando rileggo quello che ho scritto
muoio dalle risate ihihihihi!!^O^
Grazie
tante per i complimenti, sei stata gentilissima e… non so
più cosa devo dire, sei
fantastica, continua a seguire la mia storia
così come io seguo la tua, mi raccomando, tanti
salutiniiiiiiiiiiii!!=)
Ed un
altro capitolo è andato, ringrazio tutti tuttissimi, anche
quelli che hanno solo letto, ci vediamo al quinto capitolo, ne vedremo
delle belle!!!^^
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Capitolo 5 *** Sogno di una notte di mezza estate(Le sorprese arrivano quando meno te le aspetti) ***
Sogno di una notte di mezza estate
(Le
sorprese arrivano quando meno te le aspetti)
Era
incredibile.
Pensavo
di non riuscire più a stargli accanto, di non poter
più a sentire la sua splendida voce dal vivo, il suo
inconfondibile profumo, la sua delicatezza nei modi, la sua dolcezza
unica e inestimabile.
Mi
mancava tutto di lui, dal nostro ultimo incontro sono passati
già dieci anni.
Eppure
nessuno dei due ha mai smesso di sperare.
Nessuno
dei due ha mai pensato che un giorno non ci saremmo più
rivisti.
Abbiamo
fatto bene, mai perdere la speranza.
Ed
adesso che ci ritroviamo qui, abbracciati e troppo felici per parlare,
pensiamo che il mondo ricompensi chi ha lottato senza arrendersi mai
con una felicità così grande che è
impossibile riunirla in un solo abbraccio o in qualche parola buttata
lì, ma solo con il puro e semplice dono
dell’amicizia, quella che ci unisce da ventuno anni e ci
unirà per l’eternità.
“Pensavo
di non rivederti mai più,
Michael.
Stavo
cominciando a perdere anche l’ultima goccia di speranza che
mi rimaneva”.
“Oh,
Fiore, non dirlo neanche per scherzo, non perdere mai la speranza,
è un errore gravissimo, lo sai?
Guarda
me, che non ho mai smesso di sognare un mondo migliore e sto cercando
tuttora di renderlo vivibile per chiunque attraverso la
musica”.
Sospira
e la sua voce perde un po’ della sua dolcezza per lasciar
posto a una punta di mera amarezza.
“Dopotutto
però stato uno stupido, per tutto questo tempo non ho mai
pensato alla mia felicità come a un bene prezioso da tenere
per me, solo a un modo per rendere felici gli altri.
E i
risultati si vedono”.
“No”.
“No,
Michael, non essere così cattivo con te stesso, tu non hai
fatto niente di sbagliato, te lo giuro.
Hai
solo seguito il tuo cuore, tutto qua.
Non
dire mai più una cosa del genere, promesso?”
“E
tu non dire più che hai perso la speranza,
promesso?”
“Promesso”.
Ci
stringemmo ancora più forte l’una tra le braccia
dell’altro, dimentichi di tutto, pure di chi ci stava
intorno, impaziente e sconcertato alla vista di noi due, isolati dal
resto del mondo come due fidanzatini innamorati fradici.
In
effetti chi
non conosceva tutta la nostra storia dall’inizio poteva
pensare pure male.
Un
colpo di tosse nervosetto e infastidito ci destò dal nostro
momento di angelica estasi e mi ritrovai davanti al portone di casa
mia, abbracciata a Michael Jackson come
se fosse stato un orsetto di peluche, almeno una decina di presenti tra
guardie del corpo, familiari e
collaboratori domestici e parcheggiata davanti al cancello
di ferro battuto la Bentley Mulsanne
L (per intenderci una delle limousine
più piccole che possiede Mike, piccole per modo di dire).
Mi
resi tristemente conto di quello che stavo facendo di fronte a tutto
quel pubblico, guardai il visino innocente di Michael leggermente
arrossato, come il mio certamente.
Ci
slegammo velocemente dal nostro lungo abbraccio, molto imbarazzati.
“Ehm…
Scusate, ma tra vecchi amici si fa così, no?”
Cercavo
di scusarmi per l’appassionata dimostrazione di amicizia,
inutilmente.
Mia
figlia mi osservava truce, invidiosa della mia esperienza ultraterrena
tra le braccia di Michael.
Come
darle torto?
Fernando
era impassibile, una statua di cera di Madame Tussaund ritta davanti
all’uscio, sembrava proprio finto.
Michael
invece stava cercando di rassicurare le sue fidate guardie del corpo
che, al contrario del mio suscettibile maggiordomo, erano tipi
più ragionevoli.
Dopodiché
si volta verso di me e mi abbaglia ancora con il suo sorriso.
La
prossima volta mi ricordo di portare un bel paio di Ray Ban, altrimenti
divento cieca per davvero!
“Scusami
tanto, Fiorellino, ho dovuto risolvere un po’ di problemi con
i miei gentili collaboratori ma adesso che è tutto sistemato
possiamo partire, va bene?”
Mi
ridesto dalla mia estasi e capisco che Michael mi sta parlando.
“Ah…
Oh, ma tranquillo, Mike,
non preoccuparti, per così poco, in fondo per te io
aspetterei per l’eternità…”
Chiunque
lo farebbe, pensai.
Lui mi
guarda contento.
“Anche
io aspetterei te per l’eternità”.
Io
distolgo subito lo sguardo dai suoi magnifici occhi e mi metto a
giocherellare nervosamente con la chiusura lampo del giacchetto.
Dalla
mia bocca non usciva più alcun suono, l’Effetto
Michael aveva colpito nel segno; poi però mi ricordo di
quello che dovevo chiedergli, mi faccio coraggio e formulo una semplice
domanda che a me sembrò però un poema.
“Ah
senti, Michael,
può venire anche lei?”
Lui mi
guarda, interdetto e
adorabile.
“Lei? Lei
chi?”
Io
prendo per un braccio mia figlia, completamente immobilizzata, e la
conduco proprio davanti a Michael, estasiato alla vista di una creatura
così bella ed innocente (anche se non si direbbe proprio)
come mia figlia.
“Ehm,
lei, mia figlia. Te la ricordi?”
Gli
occhi di Michael, così come quelli di Katie, si illuminarono
di gioia.
Lui si
avvicina di più a mia figlia, completamente rapito.
“Ma
come faccio a dimenticarmi di un visetto così dolce.
Katie vero?
È
da tanto che non ci vediamo e tu non ti ricorderai certamente di me.
Piacere, Michael Joseph Jackson, ma tu puoi chiamarmi anche solo
Michael.
O
Mike, che è anche meglio!”
Cercai
di rianimare mia figlia, completamente imbambolata, colpita
dall’irreversibile Sorriso di Michael, che non lasciava
scampo a nessuno, alcune fan le hanno portate pure in ospedale
perché erano svenute come fiori appassiti, una volta
successe anche che una svenne proprio tra le braccia del Re per la
sottile e pericolosa vicinanza con lui.
Finalmente
riuscii a far ritornare mia figlia nel mondo dei mortali e con la mano
che tremava insieme a tutto il resto, strinse quella di Michael.
“Piacere
Michael, Katherine Villa, incantata”.
Incantata
lo era per davvero,
guardava fissa Michael e gli rispondeva atona come un tassametro.
Anche
se Michael fa questo effetto anche a me, purtroppo.
“Già,
non si direbbe, cara.
Villa,
porti il cognome di tua madre?”
“Sì,
qualcosa di strano?”
“Oh
no, dolcezza, è che in America di solito i figli prendono il
cognome del padre, sai com’è, la misoginia
è infinita così come la stupidità
umana”.
“Già,
Michael, hai perfettamente ragione, oltre ad
essere bello ed intonato sei anche saggio”.
“Beh,
a dir la verità ho preso in prestito la battuta da Einstein,
e poi sinceramente, io non mi ritengo così bello e bravo
come dici, ci sono cantanti molto più affascinanti e
intonati di me, non trovi?”
“Ma
se sei la cosa più perfetta e celestiale che esista al
mondo, nessuno può competere con te, sei tutto quello che
una donna sogna di avere: bello, ricco, gentile, romantico, sensibile,
dolce, ami i bambini, canti da favola e sei maledettamente,
incantevolmente…”
Osserva
Michael come un assetato fissa un bicchiere di Coca Cola gelata,
inarrivabile eppure così vicino.
Michael,
dal canto suo, era un po’ preoccupato per la sua
incolumità, ma non riusciva a mollare la stretta di ferro di
mia figlia, che non avrebbe di certo allentato così
facilmente.
“Sexy”.
Wow,
non pensavo che Mike facesse questo effetto su mia figlia, dovrei farlo
venire a casa mia più spesso.
In
fondo però Katie non ha tutti i torti, quando Michael balla
non c’è nessuna che possa resistere al suo fascino
e poi ha un fisico da paura…
Allontano
questi pensieri libidinosi sul dolce ed innocente Michael, che
cominciava a sudare freddo, e scollo le mani di Katie dalle sue, con
grande rammarico per lei.
“Scusate
se ho interrotto il vostro idillio ma non si è fatto un
po’ troppo tardi, è meglio andare altrimenti ci
annullano la prenotazione vero,
Michael?”
Sorrido
stancamente a lui che come sempre, sembra aver capito quello che sto
pensando, si libera dalla morsa di Katie e fa un cenno alle bodyguards
perché lo seguano.
“Perdonami
Fiordaliso, ma quella
bella ragazza di tua figlia non voleva mollare la preda, so di essere
molto ambito tra le donne ma certe volte non so controllare la mia
debolezza nei vostri confronti”.
Mi
sorride, i suoi denti sono più bianchi del completo che
indossa e più luccicanti di tutte le pailletes applicate sul
gilet o sul papillon, esaltano il colore della sua pelle e la dolcezza
dei suoi occhi scuri, è impossibile non rimanere accecati da
così tanta perfezione, il calore che emana tutta la sua
figura lo rendono irreale e impalpabile, un vero angelo…
Oh
mammina santa, forse Katie ha ragione, mi sto invaghendo di Michael,
eppure non pensavo che fosse mai successo, quando ci siamo conosciuti
era ancora un bimbo e pure dieci anni dopo non è che mi
interessasse, per me era solo un amico, niente di più, poi
è arrivato il successo planetario, meno di tre anni fa, ma
io lo vedevo ancora come il piccolo Michael, non mi interessava chi
fosse diventato né che aspetto avesse!
Ma
adesso…
Adesso
è tutta un’altra cosa.
Appena
lui mi guarda avvampo come la benzina nel fuoco, mi sorride e mi
liquefaccio in una pozza d’acqua, mi tocca e mi sciolgo come
un gelato al cioccolato sulla spiaggia di Santa Monica.
No,
non può essere così, no, no, no, deve esserci uno
sbaglio, io non posso innamorarmi di Michael
Jackson, no, è troppo anormale perché
succeda, non si può, va contro le mie leggi morali,
è assolutamente impensabile, non posso farlo, no, non adesso
che ho sistemato tutto con Katie, se lo faccio non mi
guarderà in faccia per tutta la vita, no non
posso commettere questo affronto nei suoi confronti, mi rifiuto
categoricamente di ciò, in fondo a Michael io non interesso,
figuriamoci se accetta le mie proposte, dai, è fin troppo
ridicolo, è impossibile…
“Tutto
a posto Fiorellino, hai una faccia, sembra che tu abbia visto un alieno
nel giardino di casa tua!”
“Beh in effetti qualche presenza
strana nel mio giardino c’è…”
“E
cosa sarebbe, un lupo mannaro o uno zombie o un procione mutante,
cosa?”
“Ecco…”
“Sì…”
“La
strana presenza che si aggira nel mio giardino… sei
tu”.
“Ah,
ma allora scusami per averti spaventato, prima di venire qui mi sono dimenticato di
togliermi la maschera da mostro e nessuno me l’ha detto per
farmi un dispetto, ma tu guarda che stupido che sono, perdonami
ancora!”
“Oh,
ma che dici, Michael, non hai nessuna maschera, sei vero e stupendo
così come ti vedo io”.
“Lo
so che tu hai il dono speciale di guardare dentro il cuore di una
persona e scoprirne la vera natura ma penso che tu adesso mi stia
adulando solo perché sono io.
Penso anche che tu ti stia innamorando di me, dico bene?”
“Ehi,
ma cosa vai a pensare, io non posso fare una cosa simile, dai,
è contro natura, Michael, noi siamo solo amici!”
“Calma,
dai, stavo solo scherzando, neanche io farei una cosa simile, anche se
sei la donna più simpatica e affascinante che abbia
incontrato finora sei solo mia amica,
come hai detto prima”.
“Oh,
grazie al cielo”.
“Beh,
adesso non esagerare, ho capito che non ti piaccio ma non penso di
essere tanto orribile, no?”
“No.
No, assolutamente”.
“Okay,
così mi sento più sollevato. Adesso, le dispiace
accomodarsi al suo posto, graziosa signora?”
“Ma
come, siamo già usciti dal cancello? Un
minuto fa eravamo in giardino…”
Parlando
con Michael avevo perso completamente la cognizione del tempo, tutto il
tragitto che andava dal portone di casa fino all’inferriata
era lungo circa dieci metri ma a me sembrarono millimetri.
“Sai
com’è, il tempo vola quando sei in compagnia.
Ah a
proposito di compagnia, posso far accomodare tua figlia con noi, non
penso sia felice di stare tutta sola nel sedile anteriore, e poi voglio
parlarle con più calma, abbiamo tempo prima di arrivare al
ristorante, e credo che accetterebbe la mia proposta
anche se glielo dicessi tu da parte mia”.
“Perché
non glielo domandi tu, allora, io non sono te, non ho lo stesso effetto
che tu hai su di lei”.
“Beh
ecco…”
Abbassa
lo sguardo a terra e la sua voce diventa un dolce sussurro.
Che
carino, non riesco a staccargli gli occhi di dosso, è
più forte di me.
“Mi
vergogno un po’ a chiederglielo e poi detto tra
noi…”
Si
avvicina al mio orecchio e mette la mano davanti la bocca a
mo’ di altoparlante.
“Quando
mi ha stretto la mano, pensavo che sarebbe rimasta nella sua, ha una
presa micidiale, ho paura a starle vicino”.
“Ma
dai, Michael, è solo una ragazzina, non farebbe del male ad
una mosca, è semplicemente contenta di poterti incontrare,
non fare l’esagerato come al solito!”
“Io
non sto facendo l’esagerato, mi preoccupo per le mie mani,
tutto qua”.
“Uffa,
e va bene glielo chiedo io!”
“Grazie
mille, Fiorellino, sei mitica!”
E
detto questo mi stampa un bacino sulla guancia, un piccolo ed innocente
bacio che però ha la forza di farmi barcollare come
un’ubriaca.
Cominciamo
bene, di questo passo non ritornerò a casa sulle mie gambe e
neanche sulle mani.
Con la
poca lucidità che mi è rimasta mi dirigo verso
mia figlia che per tutto il percorso dal portone al cancello
è stata dietro di noi e ha mai smesso di guardare nemmeno
per un nano secondo la sublime chioma di Michael, i suoi riccioli
d’onice che ricadevano leggeri sulla nuca…
Okay,
Fiordaliso, riprenditi, è tutto a posto, pensa a quello che
devi fare, poi casomai dopo puoi
permetterti qualche fantasia, ma non adesso, siamo intesi?
“Ehi
tesoro, puoi venire un secondo qua?”
Katie
si ridesta dal torpore post Sorriso di Michael e mi chiede serafica:
“Cosa
c’è mamma, devi dirmi qualcosa?”
“Eh,
sì, tesoro, Michael mi ha chiesto di dirti se per
caso…”
“Sì…”
“Michael
mi ha chiesto di dirti se per caso ti va di stare con lui e con me nel
sedile posteriore della sua macchina”.
Ecco
fatto, non è stato difficile, no, una tranquilla passeggiata
per la
Valle della Morte, niente di che.
“Mamma
stai scherzando vero?!”
“No
tesoro, puoi pure chiederlo al diretto interessato, ti dirà
la stessa cosa che ti ho detto io”.
“Oh
Santa Barbara, ma certo che accetto,
che domande mi fai, mamma, non mi capiterà più
una cosa del genere, andiamo!”
“Ah,
perfetto, allora… Andiamo, sì, andiamo, penso che
Michael ci stia aspettando da un bel po’!”
Sorrisi
nervosa a mia figlia che raggiante saltellava verso la Bentley
e si accomodava sul sedile posteriore come se fosse stata una sposa
emozionata pronta per andare in chiesa.
Anche
se nell’abbigliamento non ci assomigliava proprio, la luce
negli occhi e il sorriso stampato in faccia davano l’esatta
impressione.
Mentre
io…
Mi
guardo orripilata il vestito che indosso.
È
un tubino bianco molto semplice con la scollatura quadrata e le
spalline sottili che si intrecciano dietro la schiena a X,
l’unica decorazione consiste appunto nelle spalline e nella
scollatura tempestate di pailletes, le scarpe sono dècolletè
di vernice bianche intonate alla pochette coi bottoni argentati, poi ho
un giacchino tipo chiodo con le maniche a tre quarti in tessuto lucido
argentato e gli unici gioielli che indosso sono degli orecchini, uno a
stella e l’altro a luna, e un braccialetto abbinato agli
orecchini.
Sì,
so che una donna della mia età non deve andar vestita in questo modo a un appuntamento con Michael Jackson ma non ho saputo
resistere a quel meraviglioso tubino bianco ed inoltre il bianco mi sta
benissimo, esalta la mia carnagione, i miei vaporosi capelli, i miei
occhi luminosi, insomma non mi piace passare inosservata!
Ma non
avrei mai pensato che anche lui si
sarebbe vestito di bianco, naturalmente è un colore che gli
sta d’incanto,(come
tutti, del resto) ma chi ci vedrà camminare e conversare
insieme, e succederà sicuramente, penserà che
abbiamo una relazione o qualcos’altro, cioè, in un
certo senso vestirsi abbinati è una cosa da fidanzati,
e pure ufficiali!
Non
voglio nemmeno pensare a quello che succederà dopo il nostro
avvistamento da parte di qualche paparazzo…
“Fiorellino,
mi senti, qui parla Michael, sei scesa dalla Luna oppure devo venirti a
prendere io? Sappi che non ho
problemi di equilibrio!”
“Eh?
Come scusa?”
“Oh
niente tesoro, è che siamo tutti pronti a partire, manchi
solo tu”.
“Davvero
?”
“Eh
sì, e dobbiamo essere lì verso le nove e visto
che il ristorante è un po’ lontanuccio penso che
se partiamo mezz’ora prima arriveremmo alle nove spaccate.
Ma non
possiamo partire se non sali anche tu a bordo, mi capisci?”
Ennesima
figuraccia della serata, ho già perso il conto e ancora non
siamo arrivati al ristorante.
Prima
di farne un’altra ancora più grossa, annuisco come
una foca al perplesso Michael e mi accingo a salire finalmente sulla
Bentley, e come se non bastasse, lui sale per ultimo e si mette seduto
proprio di fianco a me, davanti
abbiamo entrambi Katie che ci guarda entusiasta e
maliziosa.
Mi
chiedo a cosa stia pensando la sua mente diabolica, anche se non
è difficile indovinare.
Per
fortuna per tutta la durata del tragitto mia figlia ha tenuto occupato
Michael con un oceano di domande e esclamazioni da fan innamorata
fradicia del proprio idolo.
Lui
ascoltava interessato e rapito dall’acuta voce e dai gesti
teatrali di Katie, che ad ogni suo sguardo incuriosito e segno di
approvazione diventava via via
più euforica e incontrollabile.
Dal
canto mio, guardavo fuori dal finestrino e pensavo a quello che mi
stava succedendo con Michael, se fossi stata innamorata sul serio
oppure una semplice infatuazione dovuta al fascino illimitato che lui
esercitava su tutte le donne.
Ero
così intenta a pensare a tutte le possibili ipotesi che non
mi accorsi che la macchina si era fermata e che l’autista
stava scendendo per aprirci gli sportelli.
Michael
fu il primo ad uscire ed offrì la mano sia a Katie, seppur
intimorito e con qualche tentennamento, che a me, al contrario me la
porse gentilmente e senza alcuna fretta.
“Ecco,
finalmente siamo arrivati, spero di non aver deluso le vostre
aspettative, ragazze!”
No,
Michael, non ci hai assolutamente deluso.
Già
dall’ingresso il locale sembra promettere bene:
l’insegna, semplice e grande, spicca al centro sopra
l’elegante portone di legno aperto, i muri sono dipinti di un
caldo rosso mattone e il pavimento è in granito rosato,
alternato a quadrati di marmo bianco.
Le
persone che vi entrano sono vestite tutte abbastanza bene e dai modi
educati, però si sentono anche un vociare allegro di bambini
e le animate discussioni dei giovani;
questo ristorante già a prima vista non sembra un normale
ristorante.
L’atmosfera
che si respira già dall’esterno è
accogliente ma allo stesso tempo formale, un luogo adatto per chiunque.
Michael
l’aveva scelto apposta per me, sapeva che odiavo le
raffinatezze della nouvelle cousine e la rigida etichetta che si doveva
tenere ad una cena elegante nel ristorante più rinomato di
tutta la città.
Non
smetteva mai di sorprendermi, quel meraviglioso ed eterno bambino dalla
voce d’angelo, ogni azione che faceva per te, ogni parola che
diceva, ti scaldavano il cuore e ti facevano sentire la persona
più importante di tutta la Terra,
così come mi sentivo io in quel momento.
“Beh,
allora cosa facciamo, entriamo?”
La
voce impaziente di Katie mi aveva risvegliato dal mio solito torpore,
molto più bruscamente di come faceva Michael, la cui voce
era leggera e celestiale.
“Un
momento, dolcezza, non agitarti, prima dobbiamo chiedere se il tavolo
è già stato occupato da Quincy e poi possiamo
andare”.
Ah,
eccola, la sua voce, è un paradiso per il mio udito, come se
stesse facendo un massaggio rilassante alle mie stanche
orecchie…
“Cosa?! Ci sarà anche
Quincy Jones a cena con noi, quel Quincy
Jones?”
“Sì,
tesoro, gli ho chiesto gentilmente se poteva venire prima lui al
ristorante e prendere il posto perché sapevo che avremmo
fatto tardi e lui ha accettato di farlo”.
“Wow,
Michael, sei fantastico,
pensi sempre a tutto, sei un vero angelo, ti amo!”
“Ehi,
ti avevo detto di non esagerare coi complimenti, sai, sono molto timido
e se qualcuno mi riempie di lusinghe e belle parole divento tutto rosso
come chili, quindi controllati per favore!”
“Okay,
Michael, ci proverò anche
se non sarà così facile, per me tu
sei l’unica persona che merita complimenti su tutta la faccia
della Terra”.
“Ecco,
hai esagerato ancora, ti ho detto che non devi dirmi tutte queste cose
carine, guarda che me ne ritorno a casa e non ti invito più
a cena!”
“Oh,
no, Michael, non potrei sopportare una cosa simile, ti prometto che non
ti adulerò più, te lo prometto ma tu rimani qui
con noi, ti prego!”
“Bene,
così va meglio, brava ragazza! Adesso, se non ti dispiace,
potresti riportare tua madre tra noi mortali, è da quando ci
siamo incontrati che sta nel suo mondo e ancora non è uscita!”
“Ai
suoi ordini, capitano! Mamma, Mike dice che dobbiamo entrare, ti
sbrighi per piacere?”
Per
tutta la conversazione tra Michael e Katie, io non ho fatto altro che
osservare lui che parlava animatamente, si emozionava, si arrabbiava
per finta, si rassicurava e infine mi guardava divertito mentre mia
figlia veniva verso di me strillando come una cornacchia.
Per
tutto quel tempo, che mi sembrò
un’eternità, l’unica cosa che udivo era
la voce di Michael, perfetta e per me anche ipnotica.
Infatti aveva
sempre la capacità di immobilizzarmi e di farmi sognare ad
occhi aperti come un suo bacio mi faceva barcollare instabile.
Anche
adesso mi sento dondolare come se ci fosse stato il terremoto, ma ahimè,
è mia figlia che mi scrolla un braccio nel tentativo di
rianimarmi, e ci riesce quasi subito.
“Ehi
mamma ma ci sei, devo lanciarti una secchiata d’acqua fredda
oppure ce la fai anche da sola?”
Oh, mi
basterebbe anche un sussurro di Michael per risvegliarmi.
“Eh?
Ah sì, amore, dobbiamo
andare?”
“Sì
mamma, Michael ti sta aspettando da mezz’ora e tra un
po’ se ne va se non ti sbrighi!”
“E
va bene arrivo ma non spingermi così, ho una certa
età, io !”
“Certo,
ed io sono Ray Charles, avanti andiamo!”
Katie
non la smetteva di torturare il mio braccio destro e alla fine mi
decisi e la seguii senza esitazioni
anche se ad un certo punto sarei potuta ritornare a casa
correndo per la troppa tensione che provavo.
La
dispettosa mi guidò vicino a Michael e lui appena mi vide
prese la mia mano nella sua, non per motivi sentimentali certamente, ma
mi sentii avvampare come il petrolio incendiato e guardavo dritta
davanti a me, pregando che questo supplizio finisse
al più presto.
Con
questa scusa ebbi l’onore di ammirare stupefatta
l’interno del locale scelto da Michael e non potei far altro
che lanciargli i più bei complimenti che si meritava.
Il
pavimento era come si vedeva dall’ingresso, i muri invece
erano salmone e lungo di essi vi era una fila interminabile di quadri
che raffiguravano soprattutto velieri che cavalcavano le onde, mari in
burrasca, tranquille spiagge esotiche, paesaggi mediterranei, ma anche
sirene, leggendarie creature marine, feroci bucanieri, cieli stellati,
incantevoli visioni di barriera corallina, che si alternavano a
semplici finestre in legno molto ampie che si aprivano su una specie di
veranda piastrellata e scoperta.
Man
mano che ci avvicinavamo al centro del
locale notai che vi era anche un bellissimo piano bar a
destra e verso l’estrema sinistra un piccolo palco con i
sipari cremisi e un gruppetto di tavolini in ferro battuto e vetro
senza tovaglia, destinati al cocktail o al semplice intrattenimento.
Questo
posto mi ricordava meravigliosamente il locale in cui tanto tempo fa
cantava mia madre, il luogo dove vidi per la prima volta Michael, dove
assistetti al terribile evento che mi ha fatto cambiare vita.
Forse
è per questo che Michael l’ha scelto, per farmi
ricordare il nostro primo incontro nel migliore dei modi.
Mi
veniva quasi da piangere per questo.
Michael
era davvero capace di tutto ciò, riusciva a farti emozionare
solo standoti vicino e donandoti tutto l’amore che aveva nel
cuore senza chiedere nulla in cambio?
La
risposta era sì, Michael sapeva fare questo e molto altro,
ogni suo gesto si trasformava in una manifestazione di affetto puro e
dolcezza incomparabile.
Tutto
questo comunque mi faceva tanto sentire la sua fidanzata,
già che mi aveva preso per mano non era un buon segno, anche
se lui non ci badava minimamente a questi piccoli particolari, era solo
contento di rivedermi e lo dimostrava come poteva, riuscendoci
benissimo certo ma facendomi arrossire anche fino al più
sottile dei capelli.
Cercavo
di prestare attenzione a quello che succedeva intorno a me, senza
pensare alla mano di Michael nella mia e vidi che nessuno dei presenti
sembrava minimamente interessato a quel giovane uomo famosissimo che
attraversava il locale in silenzio, mano nella mano con una donna
finora sconosciuta, una ragazzina scattante e appariscente come un
girasole e uno stuolo di bodyguards al seguito.
Pensai
che qui Michael fosse di casa per non essere notato da nessuno in
così malo modo oppure nessuno sapeva apprezzare la vera e
spettacolare bellezza, i motivi in fondo erano pochissimi.
Per la
prima volta da quando siamo entrati mi rendo conto che ancora non
abbiamo trovato il tavolo preso da Quincy e neanche abbiamo trovato lui!
Mi
avvicino nervosa all’orecchio di Michael e gli sussurro:
“Ma
Michael, dove cavolo si è andato a cacciare Quincy, non
avevi detto che aveva già occupato i posti, eppure non lo
vedo da nessuna parte”.
“Calma,
Fiorellino, il caro Quincy
c’è ma vedrai dove ho prenotato, abbi solo un
po’ di pazienza”.
“Okay”.
Continuavamo
a camminare fin quando non ci dirigemmo verso la veranda sotto le
stelle e imboccammo una viuzza quasi invisibile che conduceva al retro
del locale che sinceramente mi inquietava un po’.
La mia
situazione emotiva però cambiò quando riuscii
finalmente a vedere delle luci soffuse provenire da una terrazza sulla
quale vi erano anche dei tavoli apparecchiati e delle persone che
mangiavano e discutevano animatamente.
Tirai
un bel sospiro di sollievo, anche abbastanza rumoroso, ma nessuno
badò a me, neanche Michael che continuava a guidarmi
tenendomi per mano, mentre gli altri stavano dietro di noi, tranne
Katie che saltellava intorno a Mike felice come un girasole che segue
il sole.
In
effetti
nell’abbigliamento ci somigliava parecchio: avevamo deciso di
vestirci abbinate come due migliori amiche che escono di sera per
andare in discoteca per ricominciare la nostra unione nel
più allegro dei modi, lei quindi aveva scelto uno stile
solare ed io uno stile lunare; aveva una minigonna di jeans
dall’aria vissuta, fuseaux giallo canarino al ginocchio,
canottierina bianca con pailletes gialle sui bordi come sul mio tubino,
ai piedi delle ballerine bianche di vernice con i fiocchetti di raso
gialli, il giacchino era come il mio solo giallo fosforescente e sugli
accessori c’erano soli e fiori, nell’insieme dava
un’aria molto dolce e sbarazzina e in effetti mia figlia
è proprio così (anche se a detta mia e di molti
non si direbbe per niente!).
Saltellando
e sospirando arrivammo ad una scaletta a chiocciola di ferro battuto
ricoperta di bellissimi fiori rampicanti arancioni e arrivata alla fine
dei gradini ammirai uno spettacolo unico nel suo genere: sotto di noi
si stagliava infinita la leggendaria e luminosa città di Los
Angeles, alte torri di luce si innalzavano tra le insegne
più strane e le scie delle strade simili a stelle comete,
l’oceano era buio e solitario in confronto ai quartieri
palpitanti di vita sulla terraferma, solo la luna lasciava una chiara
ombra sull’acqua rendendo lo spettacolo
nell’insieme quasi magico e surreale.
Non
riuscivo a credere ai miei occhi.
Davvero
Michael aveva organizzato tutto questo per me,
per passare una pacifica serata insieme alla sua migliore amica?
Non
potevo credere a tutto ciò, non riuscivo più
neanche a parlare per l’emozione, non vedevo più
bene, mi appariva tutto sfocato e in penombra, non mi accorsi nemmeno
dell’uomo di colore seduto in uno dei tavoli che alzava la
mano in segno di saluto.
Quando
mi ripresi un po’ dall’improvvisa ondata di
offuscamento mentale dovuta a troppe premure e sorprese sorprendenti,
mi resi conto che quell’ometto era Quincy che, come diceva
prima Michael, ci aveva trattenuto il posto.
Neanche
per andarlo a salutare Michael lasciò la mia mano ed io
dovetti fare i conti con Quincy, che mi riconobbe e mi osservava
perplesso come se io fossi stata una Peugeot 205 che accompagnava una
Porsche 911, la stessa identica cosa.
Mi
accomodai al mio posto esitante, aspettando che Michael si mettesse
seduto prima di me affinché io potessi sistemarmi lontano da
lui.
Non
che volessi evitarlo ma il suo buon profumo e la dolcezza della sua
voce mi avevano già fin troppo stordita e non volevo
accasciarmi improvvisamente sul tavolo per colpa della sua azzardata
vicinanza.
Mi
misi quindi seduta vicino a Quincy mentre Katie fu ben contenta di star
vicino a Michael; per fortuna il tavolo era apparecchiato solo per
quattro, le guardie del corpo erano programmate per difendere e
sorvegliare, non per mangiare o parlare o ridere, in verità
mi facevano anche un po’ paura, rimanevano ferme ed immobili
finché qualcuno non gli ordinava di muoversi come pezzi
degli scacchi.
Tuttavia
mi resi purtroppo conto di chi avevo davanti troppo tardi: Michael mi
osservava sorridendo con le sue lucenti pupille, dal mio punto di vista
erano di cioccolato fondente, circondate da ammiccanti ciglia nere che
ad ogni battito dell’occhio invecchiavano il mio tormentato
cuore di dieci anni.
La
forza del suo sguardo era indicibile, puntando gli occhi su di te lui
aveva la completa padronanza delle tue emozioni più
profonde, con quegli occhi, sapeva scavare dentro di te negli angoli
più imi della tua personalità come se fosse stato
un pozzo petrolifero e avesse trovato uno sconosciuto e ricchissimo
giacimento.
Era
quello che stava facendo con me in questo momento, sentivo la forza del
suo sguardo penetrarmi nelle viscere ma non dolorosamente, anzi, la sua
forza era…
Piacevole.
Semplicemente
piacevole.
Mi
tenni questa strana sensazione nel mio ego per quasi tutta la durata
della cena, ormai c’avevo fatto l’abitudine e non
mi sembrava più così terribile.
Dopotutto
è bellissimo essere guardate da Michael
Jackson in questo modo, significa che per lui sei una
persona molto interessante e vuole conoscerti meglio, anche se noi due
ormai ci conoscevamo benissimo.
Dovevano
portarci il dessert quando quei magici occhi si staccarono
improvvisamente dai miei, puntati verso l’uomo alla sua
destra che con una semplice occhiata sembrava aver capito
ciò che Michael voleva dirgli.
Non
c’era dubbio, quel ragazzo era proprio magico, riesce a
comunicare con il pensiero, fantastico!
Quincy
gli annuì e si scambiarono uno sguardo di intesa
professionale ma anche di sospetta collaborazione iper-lavorativa che
mi fece inquietare non poco.
Poi il caro Quincy si alzò
stancamente dalla sedia guardando mia figlia.
“Cara,
che ne dici di venire a vedere il panorama che si gode da
quassù con me, ti va?”
Mia
figlia guardò Michael tentennante poi si girò
verso di me, stavolta indecisa e intimorita.
Capì
però che doveva prendere la decisione in fretta dalle
occhiate impazienti del vecchio amico di Michael e scelse la
più semplice e immediata.
“Ah…
Sì, sì, Quincy, certo che vengo, che domande, non
voglio perdermi uno spettacolo del genere!”
Saltella
fino a dove si trova lui e si allontanano verso la balaustra ferrata,
lasciandoci prontamente (e anche finalmente) soli.
Michael
li segue con lo sguardo finché non sono lontani da noi e poi
si rigira verso di me, incatenando i suoi occhi ai miei per un
lunghissimo e fibrillante minuto.
Poi
sbatte le palpebre ed io mi riprendo ansimante da quella radiografia
interna decisamente stressante a cui mi sta sottoponendo da quando ci
siamo seduti e a cui non ancora riuscita a trovare una spiegazione.
Lui al
contrario di me, invece, è tranquillo e non dà il
minimo segno di cedimento cerebrale.
Sembra
che sappia già tutto
quello che succederà di lì a pochi secondi.
E
questo devo confessarlo mi fa un po’ paura.
Non
l’avevo mai visto così,
così…
Determinato?
Sì,
proprio così, determinato, ma non avevo la più
pallida idea di quello che gli passasse per la testa.
Tutta
questa aria di mistero mi fa capire che deve dirmi qualcosa.
Qualcosa
di vivamente importante.
“Allora,
ti piace il posto dove ti ho portato? Per
me è assolutamente incantevole, ci vengo spesso e non mi ha
mai deluso.
Spero
che sia lo stesso anche per te”.
Esco
fuori dalle mie riflessioni quotidiane e osservo Michael
confusa poi capisco che mi sta parlando e dopo un attimo
di imbarazzo (il ventesimo, di sicuro, ho perso il conto) gli rispondo
annuendo energicamente, sorridendo nervosetta.
“Eh
già…Si sta benissimo,
davvero…Complimenti, come si chiama?”
“Ma
come non hai letto l’insegna prima di entrare?”
“Ehm,
no”.
“Oh,
strano, si vede benissimo, comunque il suo nome è L’Isola Che Con C’è”.
“Davvero?”
“Sì,
non è adorabile?”
“Oh,
sì, certo, è assolutamente spettacolare,
è un paradiso, quasi impossibile da trovare!”
“Beh,
per me non è stato molto difficile, ho imboccato la seconda
stella a destra e poi dritto fino al mattino”.
“Ah,
ma dovrebbero mettere un cartello, una segnalazione, insomma, se uno
non conosce le strade astronomiche come fa?”
“Semplice,
prende il treno, così non sbaglia strada, i macchinisti
dello spazio sono molto esperti!”
“Se
lo dici tu, allora mi ricorderò di prendere il treno la
prossima volta, tanto la stazione la trovo vicino al tramonto,
no?”
“Sì,
penso che sia ancora lì, se non l’hanno spostata,
altrimenti devi farti tutto a piedi e credimi non è una
passeggiata!”
Scoppiammo
a ridere insieme come due adulti che scherzano come dei bambini e si
divertono con l’immaginazione.
Mi
ripresi dalla mia risata, avevo le lacrime agli occhi e mi faceva male
la pancia terribilmente.
Anche
Michael si stava piegando in due dalle risa, quasi non riprendeva
fiato, era veramente adorabile.
Smettemmo
di ridere insieme così come avevamo cominciato e lui
ritornò subito serio, le labbra strette, le mani incrociate
sul tavolo.
Io
feci lo stesso, avevo l’impressione che sarebbe arrivata la
parte più importante della serata in quel
preciso momento.
“Devo
dirti una cosa, Fiordaliso.
Una
cosa molto importante che ti riguarda”.
Mi si
bloccò il respiro come se mi fossi gettata dalle Cascate del
Niagara, anche il mio cervello si era bloccato, non sentivo
più i miei pensieri.
Vedevo
e sentivo solo Michael
davanti
a me, serio e assorto, rifletteva su ciò che avrebbe dovuto
dirmi.
“Sì,
lo so che ti ho lasciata decisamente di stucco ma ti prego, ascoltami
attentamente, e dopo potrai dirmi tutto quello che vuoi, anche che sono un pazzo e questo
succederà sicuramente”.
Rimasi
con la bocca aperta e l’espressione ebete di chi non capisce
niente e sinceramente non riuscivo a comprendere quello che Michael mi
stava dicendo ma non potevo far altro che ascoltarlo come diceva lui e
dopo avrei giudicato le sue parole.
Vedendo
che non rispondevo alla sua esclamazione, lui riprese
fiato e continuò a parlare.
“Come
tu ben sai, cara
Fiordaliso, noi ci siamo conosciuti in un frangente un po’
particolare, so che quella notte non ti revoca momenti molto felici ma
è da lì che è iniziata tutta quanta la
mia riflessione e adesso che sono arrivato a questo punto penso
che… Tu devi essere ricompensata in qualche modo da me, non
posso vivere il resto della mia vita e poi morire senza averti
ricambiato il favore di quella notte”.
Ecco,
ci siamo, il mio cervello ha esalato l’ultimo respiro, ormai
tutto mi sembra incredibile e possibile come la capacità
degli elefanti di volare, quella dei bradipi di ballare nelle
discoteche e la consapevolezza che tutto quello che sta dicendo Michael
si avveri.
“Per
questo io ho deciso…”
Cos’hai
deciso? Avanti, non tenermi sulle spine, so che tutto quello che stai
dicendo è vero, lo so, posso crederci, voglio
crederci!
“Di
farti una sorpresa!”
Sgrano
gli occhi, sbalordita.
Una
sorpresa?
Una sorpresa?
Le mie
orecchie hanno sentito bene oppure mi sto immaginando tutto, Michael Jackson mi farà
veramente una sorpresa, una sorpresa esclusiva, riservata solo a me, in
cui non sarà coinvolto nessuno, nemmeno i miei amici, i miei
parenti più stretti, solo mia?!
Era
incredibile eppure era così, la sorpresa sarebbe stata solo
per me!
O
meglio così pensava il mio cervello fumato e troppo
coccolato dalle attenzioni di Mike come non mai.
“Da-davvero?”
“Sì,
ti giuro non sto scherzando, ti farò veramente una sorpresa,
una fantastica sorpresa! Però…”
“Però?”
“C’è
un piccolo problema…”
“E
di cosa si tratta?”
“Beh,
ecco… Dovrai aspettare un pochino”.
“E
perché, non ce l’hai qui con te, l’hai
lasciata a casa, ti sei dimenticato di portarla con te?”
“No,
niente di tutto ciò, vedi, la sorpresa che devo darti non è un bene materiale.
Cioè
lo sarà ma non adesso”.
“In
che senso Michael, non ti capisco, vuoi dire che ancora non è una sorpresa?”
“Ma
sì che lo è, solo che sta alla natura decidere
come sarà e quando sarà una sorpresa,
cioè io posso solo dirti il giorno in cui
comincerà ad essere una sorpresa ma non quando
sarà diventata definitivamente una sorpresa, mi
capisci?”
“Penso
di sì, anche se è un po’ complicato da
capire per una mente contorta come la mia”.
“Tranquilla
lo capirai molto presto, tesoro, molto presto.
E ti
prometto che non ne rimarrai delusa”.
“Ma
come faccio a capire quando arriverà se tu mi dici che non
sai il giorno in cui sarà pronta?”
“Perché
lo capirai da sola, hai una sensibilità unica per queste
cose, so che riuscirai ad arrivarci anche senza di me”.
“Ma
come faccio a prepararmi ad una cosa che non so neanche cosa
è oppure quando comincerà ad essere, come
farò?”
Avevo
le lacrime agli occhi, mi rifiutavo di non capire quello che invece a
Michael rimaneva più facile da accettare, per me era come se
non ci comprendessimo più a vicenda, non ci ascoltassimo
più, non ci credessimo più dei veri amici, no,
non volevo accettare tutto questo.
All’improvviso
sentii una leggera carezza sulla mia guancia bagnata che mi portava via
le lacrime e mi tirava su il viso arrossato dalle braccia, dove si era
rifugiato per la tristezza.
La
carezza scese lentamente sulle mie mani, avvolgendole e alzandole
all’altezza del suo viso cosicché fui costretta
anche ad alzare la testa che pulsava e sanguinava come una ferita
aperta da molto tempo.
Le
lacrime scendevano disperate e irrefrenabili, non riuscivo a
controllarle nonostante Michael mi supplicasse con lo sguardo di
smettere e di calmarmi, se continuavo a essere demoralizzata in quel
modo sarei stata molto peggio, solo che io non potevo capirlo, non
volevo capirlo.
Col
tempo mi stancai di quel continuo singhiozzare e cominciai a respirare
faticosamente per smettere definitivamente di star male.
Quando
vide la mia incrollabile forza di volontà che stava dando i
suoi frutti, Michael allentò la presa e posò
delicatamente le mie mani sul tavolo, accarezzandole per tutta la loro
lunghezza, dalla punta delle unghie fino al polso.
Rimase
per tanto tempo senza dire alcuna parola mentre io guardavo le sue mani
che toccavano le mie, era una sensazione così piacevole da
sembrare simulata.
Non mi
interessava più di niente ormai, eravamo rimasti solo noi
sulla terrazza, anche Quincy, Katie e le guardie del corpo avevano
furtivamente lasciato il campo libero.
Forse
avevano intuito tutto ciò che sarebbe capitato quella sera
tra me e Michael, niente di scandaloso certo, ma solo qualcosa di
veramente importante per noi.
Lui
sospirò ed io alzai lo sguardo dalle nostre mani incrociate
e incontrai i suoi occhi che stavolta però non vollero dirmi
niente; ormai mi ero ripresa dall’improvviso pianto e per
tutto il tempo eravamo rimasti in silenzio, forse per la troppa
emozione, forse per la pesantezza della sorpresa che si era rivelata
non solo necessaria ma anche vitale.
Michael
sospirò e il suo viso si rilassò lentamente,
anche le sue mani davano l’ultimo impercettibile tocco alle
mie e andarono a sistemarsi in grembo, esauste come il proprietario.
Abbassò
lo sguardo, pensoso e irresistibile nella sua sensuale innocenza, ed io
non potei far altro che godermi quel magnifico spettacolo in primissima
visione con i miei stanchi ma felici occhi.
“Ti
ha così sconvolto la mia notizia, Fiore? Ti sembra
praticamente impossibile credere a una cosa del genere?”
Alzo
anch’io lo sguardo sorpresa,
sinceramente tutto quello che diceva mi lasciava senza parole, ma
quelle due semplici domande più di ogni altra cosa.
Per
fortuna sapevo già come rispondergli, stavolta non avevo
ripensamenti a riguardo.
E non
li avrei mai più avuti.
“No.
No, Michael, perché dovrei essere stupefatta, mi hai detto
soltanto che riceverò una sorpresa come ricompensa per tutto
quello che io ho fatto per te, non c’è nulla di
strano in ciò che mi hai rivelato!”
“Sul
serio? Cioè, tu aspetterai pazientemente questa
quasi-sorpresa senza scoprire in alcun modo cosa sia né in
che stato ti si presenterà, ti fidi così tanto di
me da credere in tutto ciò che dico?”
La
risposta era lì, davanti a me, la si leggeva negli occhi di
Michael, come se tutto il discorso che mi stesse spiegando fosse solo
uno stratagemma per provare la mia fiducia nei suoi confronti.
Non
c’era nulla di male in quel che stava facendo, non voleva
riporre un bene così importante come la sorpresa nelle mani
della persona sbagliata.
No,
non poteva, non poteva sprecarla in un modo così.
“Sì.
Sì,
Michael.
Mi
fido di te”.
Quelle
magiche parole mi uscirono dalla bocca quasi inaspettatamente e senza
alcuna fatica.
Era
ciò che mi veniva dal cuore e nulla mi avrebbe reso
più felice se non essere sincera con Michael, quel bambino
che ventuno anni prima si fidò ciecamente di me, senza
badare a chi fossi, da dove venissi, che cosa gli sarebbe potuto
capitare con il mio aiuto, ciò che lo spinse in quel momento
fu la sua innata bontà e la sua incrollabile speranza.
Quello
che successe molto tempo prima tra me e Michael in quel vicolo buio e
malfamato di New York si stava ripetendo ora, in uno sconosciuto e
raccolto ristorante di Los Angeles, solo che i ruoli erano rovesciati,
stavolta era Michael che mi offriva la sua fiducia ed io lo accettavo
indubbiamente.
“Sapevo
che avresti detto così,
Fiorellino”.
Mi
sorrise come non aveva mai fatto in tutto l’arco della serata
e quel sorriso, unico e irripetibile, dedicato solo a me, mi fece
capire che non ero sola.
Non lo
sarei mai più stata.
Sigh, sto
capitolo m’ha messo un po’ di tristezza e a voi,
com’è sembrato??
;)
Mi
raccomando, recensite, sennò un giorno di questi entro dalla
vostra finestra aperta e vi faccio
passare le pene dell’inferno, sono capace sapete,
è inutile che scappate, tanto
vi prendo!!! ^,..,^
Vabbè,
adesso voglio porvi una domanda che sicuramente voi lettrici (o
lettori, a voi la scelta ù_ù ) vi state ponendo e
cioè: in che cosa consisterà la fantastica
sorpresa che Michael ha predetto a Fiordaliso? In che modo
arriverà, come si presenterà agli occhi stupiti
della donna e soprattutto, che ruolo avrà nel seguito della
storia??
Mi
raccomando, recensite e se volete rispondete a questa sibillina
domanda, sono curiosa di sapere cosa uscirà fuori, voi? =)
Bene, adesso
passiamo ai ringraziamenti, allora ringrazio la bellissima,
stupefacente, meravigliosa, inarrivabile Bentley nera che ho visto
questa estate in vacanza e che mi ha dato lo spunto per scegliere la
macchina del nostro Michael, sarà, ma a me una Cadillac mi sembrava troppo scontata,
troppo finta, troppo lussuosa… ò_ò
insomma non andava bene!! xD
Poi ringrazio
la mitica Madonna, che mi ha dato la creatività e la grinta
necessaria (in questi ultimi tempi me ne servirà ancora di
più visto che ho cominciato la scuola lunedì,
quindi mi scuso già da adesso per i futuri ritardi negli
aggiornamenti, spero che non vi
dispiaccia^-^ ) , poi un ringraziamento a parte lo merita eclipsenow che con le sue parole e i
suoi complimenti mi ha reso una persona appagata e felice, per la sua
capacità di giudicare senza umiliare e senza sfottere,grazie
ancora di tutto. J
Poi per
ultime ma non meno importanti ci sono:
Black_Girl96:
fantastico,
davvero la mia storia ti fa questo effetto, sono onorata, lo sai?? ^O^ però non
svenirmi sulla tastiera sennò non puoi leggere questo
capitolo nuovo nuovo!! =)
Tanti saluti
da me, cioè Claudia xD, e alla prossima!!
Dolcekagome: ma che te possino,
l’improvvisata l’hai fatta benissimo, te
‘o posso dì jo che so de Roma, cioè so
de vicino Roma, se me metto a ‘mprovvisà in
napoletano nun me capisce nessuno, tu sei stata brava invece,
tesò!! ^__^
Grazie per i
complimenti e la prossima volta rimani più calma quando
scovi una storia che ti piace, sappi che mi preoccupo per la salute dei
miei fan, ihihihihi *__* tanti saluti anche a te e spero che
continuerai a seguirmi, ciao ciiiiiiiiiiiiiiiii!!!
Eutherpe : lo sai, cara
Ambra, perché rispondo alle tue recensioni per ultima?
Semplice perché ogni volta che le leggo mi arriva un
messaggio particolare e cioè ti piace la mia storia e sai
apprezzare qualunque cosa di essa, non so proprio cosa dire per
ringraziarti, cioè, mi si fermano proprio le mani quando
vedo le tue recensioni, non riesco più a scrivere ti giuro!! ^^
Comunque
posso dirti, se ti interessa, che Michael via via
avrà un ruolo molto importante e questo ruolo
avrà a che fare con la famosa sorpresa che
sconvolgerà completamente la vita delle due povere ragazze,
vedrai!!
Per ora la
storia è solo drammatica poi diventerà fantasy e
romantica oltre ogni dire, quindi rimani sempre all’erta e
non deludermi… =)
Un bacio
cicciotto da Claudia, la Lunatica
de Porta Portese, ciao miaooooooooo!!!
*-*
Cosa devo
dire adesso? °-°
Ah giusto
devo ringraziare anche tutti quelli che hanno letto e anche quelli che
se ne sono fregati, grazie della vostra complicità, vi
amooooooooooooooooooooooooooooo!!!!!!!!!
*çççç*
Arrivederci
al prossimo capitolo…
Prossimamente
su Efp Fanfiction, il tuo sito di
Fanfiction… ù_ù
|
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Capitolo 6 *** Nemico o...? (Comincio a sentire puzza di bruciato tra i banchi di scuola ..-Prima parte) ***
Nemico o…?
(Comincio
a sentire puzza di guai tra i banchi di scuola…-Prima parte)
Nella
calda e insonne notte di Los Angeles una chiesa vicina batté
i dodici rintocchi della mezzanotte, ben scanditi come una parola
divisa in sillabe da un alunno diligente e attento.
Al
primo rintocco io sussultai, ed anche Michael rimase sorpreso dal
pesante suono.
“Wow,
è già mezzanotte? Pensavo fosse più
presto, il tempo passa quando ci si diverte, non trovi?”
“Già,
anch’io ho avuto la stessa impressione. Con te è
impossibile non divertirsi,
Mike”.
“Anche
con te è impossibile non farlo, Fiorellino. Comunque penso
che sia arrivato il momento di andare via, l’aria sta
cominciando a rinfrescarsi e Los Angeles non è il posto
adatto per due belle e indifese fanciulle come te e tua
figlia”.
Mi
dedica un altro dei suoi sorrisi smaglianti ed io non posso far altro
che abbassare la testa, timida ma felice di ciò che mi stava
capitando.
Negli
ultimi cinque secondi avevo capito un sacco di cose che prima mi erano
del tutto estranee, una di queste era la prova della fiducia tra me e
lui attraverso l’attesa da parte mia di una fantomatica
sorpresa che avrei potuto ricevere in qualsiasi momento.
Quello
che mi disse Michael in proposito poteva suscitare lo stupore di un
altro ma di me no.
Conoscevo
bene quel ragazzo innocente e sensibile che era Michael e dalla prima
parola che sentii dalle sue labbra, capii che tutto quello che stava
dicendo era vero.
Vero
come l’amicizia che provavo per lui, un legame unico e
indiscibile, che speravamo non si fosse mai sciolto.
Secondo
me però, questa sorpresa non avrebbe fatto piacere solo a me
ma anche a Michael, non so cosa mi dicesse la testa ma avevo uno strano
presentimento che continuava a bussare sulle meningi del mio cervello e
mi dava anche un leggero fastidio come un sassolino nella scarpa o un
granello di polvere nell’occhio.
Potevo
aspettarmi di tutto da una mente contrita e stramba come la mia, quindi
non facevo ipotesi azzardate per il puro e semplice motivo che avrei
potuto sbagliarmi facilmente.
Ma su
una cosa non mi sarei mai sbagliata e cioè, il sorriso di
Michael era il più bello che abbia mai visto.
E
questo magnifico spettacolo era solo ed esclusivamente per me, il che
mi rendeva importante e appagata.
“Già,
hai ragione, infatti io non vado mai in giro per la città di
notte, c’è tanta di quella gente delinquente che
non basta a riempire tutte le carceri degli Stati Uniti”.
“Ah
ah ah, ti appoggio, secondo me dovrebbero tenere il Paese
più sotto controllo, siamo già nel XX secolo e
dobbiamo aver paura di uscire di casa per la cattiva gente che
c’è in giro, dai, è
abominevole!”
“Più
che abominevole è scabroso”.
“Già,
Fiorellino, hai ragione.
Comunque
io volevo che tu rivenissi a casa con me, primo per il motivo che ti ho
appena detto, secondo… Non ce la faccio a ritornare a casa
senza prima crederti al sicuro”.
L’ultima
frase fu un flebile e dolce sussurro che mi fece tremare come una
foglia durante il terremoto, poi tutto ad un tratto quella sensazione
scomparve per lasciar posto alla tranquillità offerta dai
magnetici occhi di Michael, che mi guardavano amorevoli come se
volessero proteggermi dal mondo circostante e dalle cattiverie comprese
nel prezzo.
Per un
po’ non sapemmo più cosa dire, le nostre lingue
erano immobilizzate, così come i nostri pensieri, le nostre
azioni.
Ma non
le nostre emozioni naturalmente.
Ah, mi
sentivo in Paradiso , era una sensazione unica e magicamente piacevole,
avrei voluto che quella notte durasse per
l’eternità…
Ma a
farla mestamente concludere irruppero i passi pesanti di Quincy e
quelli leggeri e fastidiosi di mia figlia, che mi chiedo sempre come
cavolo faccia a interrompere così bruscamente i miei sogni
ad occhi aperti.
In
questo caso però il sogno era davanti a me e avevo gli occhi
leggermente socchiusi.
Dovetti
alzare lo sguardo per forza, con dispiacere mio e di Michael,
altrimenti avrebbero pensato tutti male, ma molto, molto male, prima
fra tutti Katie, che io ribattezzavo People, cioè ogni anno
stilava una lista delle coppie più belle o dei vestiti
migliori o ancora peggio, dei cantanti più sexy; mi
riferisco ai cantanti per il semplice fatto che a lei piace molto la
musica e non smette mai di contemplare i suoi miti (primo fra tutti
Michael) per stabilire chi sia il migliore in assoluto.
Ho
sempre sospettato che mia figlia sia in realtà
un’aliena venuta da qualche pianeta sconosciuto per farsi gli
affaracci del resto del mondo al solo scopo di divertirsi
spensieratamente e di mettere in pericolo la privacy di chiunque.
E gli
anni Ottanta permettevano ogni tipo di divertimento per le ragazze come
lei, ovvero le famigerate, le modaiole, le malviste, ma soprattutto
affascinanti…
Material
Girls.
“Allora
mamma, com’è andata la serata libera con Michael,
vi siete divertiti da soli, su questa magica
terrazza affacciata sulla splendida città di Los
Angeles?”
Non so
cosa avesse la voce di mia figlia per inquietarmi così
tanto, ma ciò che diceva era ineluttabile e malignamente
malizioso.
Tipico
di lei.
“S-sì,
tesoro, siamo stati benissimo, abbiamo chiacchierato tanto, abbiamo
discusso dei vari problemi che affliggono la nostra povera e piangente
amica Terra, abbiamo riso dei nostri difetti e delle nostre
stramberie…”
Anche
se qui l’unica ad avere problemi seri e incurabili sono io,
pensò la mia occulta mente.
“E
poi…e poi cosa abbiamo fatto Michael?”
Guardai
falsamente perplessa il caro Michael, che stava per scivolare
lentamente nel suo mondo segreto, ovvero quello dei sogni, e non badava
più a ciò che lo circondava, nemmeno a chi aveva
davanti e a cosa stavo prontamente blaterando per sviare i
già consolidati sospetti di Quincy e Katie.
“Mh?”
Si
risvegliò dal suo improvviso torpore, guardò me,
implorante, e afferrò al volo la nostra pericolosa
situazione.
“Oh…
Ah giusto, cosa abbiamo fatto durante la serata a parte tutto quello
che hai esposto tu? Beh… c’è da dire
che ci siamo molto impegnati, non è stato facile, avevamo il
cervello in tilt già all’inizio, ma alla
fine…”
Mi
guardò soddisfatto e sorrise come per cercare un aiuto da me
con i suoi occhi che erano tutt’altro che sereni e stavano
urlando silenziosamente:“Aiutami, questi vanno dire tutto a
People, a Life, a Rolling Stone, pure i distributori automatici di
bibite sapranno di quello che è successo stasera tra me e
te, ti prego, inventa una scusa plausibile, altrimenti sarò
condannato per tutta la vita, ti
prego,
ti prego, ti prego!”
Sbattei
le ciglia, decisa a interrompere la conversazione con il mio
inconfondibile stile.
“Ma
alla fine cosa?”
People
in persona teneva il naso vicinissimo al mio e mostrava un delizioso
sorriso a trentadue denti, gli occhi attraversati da lampi subliminali
e maliziosi, intenzionati a scoprire la scandalosa verità
che si celava nel mio sguardo.
“Alla
fine io e Michael…”
“Sì…”
“Ci
siamo messi a contare tutte le insegne che spiccavano da qui! Ci
abbiamo messo un sacco di tempo ma siamo riusciti a trovarle tutte,
vero, Michael?”
“Oh
ma certamente, cara Fiorellino, in tutto sono ben 327 e solo in questa
piccola zona, ogni giorno si scopre sempre qualcosa di nuovo,
è bellissimo!”
“Eh
già, dovremmo farlo più spesso questo gioco, io
mi sono divertita un sacco, e tu?”
“Mai
divertito tanto in tutta la mia vita, ti giuro!”
“Sicuro,
guarda che sono capace di rimangiarmi tutte quelle belle parole che ho
detto su di te e sono parecchie, ergo dimmi sempre la
verità!”
“Ai
suoi ordini, Vostro Onore, giurerò di dire la
verità solo la verità, nient’altro che
la verità!”
Assunse
l’espressione concentrata e solenne di un imputato davanti
alla Corte d’Appello che prestava giuramento al giudice, era
troppo dolce e adorabile, avrei voluto che fosse stato un gattino di
peluche per stringerlo forte tra le braccia fino a stritolarlo con la
mia immonda forza.
No,
troppo truce, meglio accarezzarlo soltanto e stampargli dei leggeri
baci sulle guance, sì, così andava
meglio…
“Bene,
signor Jackson, adesso è pregato di dare un bacio della
buonanotte alla Mia Maestà, e se si rifiuterà, le
infliggerò la pena capitale del…Solletico”.
Sottolineai
l’ultima parola con una punta di finta cattiveria e avvicinai
lentamente il suo viso al suo.
Eravamo
troppo vicini per i miei standard ma
non sapevo cosa fosse ciò che mi stava spingendo a farlo,
forse volevo rompere gli schemi precedenti e questo mi sembrava il modo
più audace per compierlo.
Michael,
però, da bravo gentiluomo, non si scompose minimamente e mi
lasciò un piccolo e lungo bacio sulla punta del naso,
allontanandosi lentamente per contemplare la mia espressione stupita e
il viso completamente rosa fosforescente come uno dei miei giacchetti
preferiti.
Ancora
una volta ero stata paralizzata dalla sua imprevedibilità,
era veramente impossibile, anche per me che lo conoscevo da tanto
tempo, scoprire cosa ti avrebbe combinato nei prossimi cinque secondi,
poteva farti uno scherzo come poteva benissimo rimanere serio e zitto.
Anche
se l’ultima ipotesi era decisamente improbabile!
Invece
ero del tutto certa che mia figlia mi stesse incenerendo con il suo
sguardo laser, imprestatogli da una delle sue più fidate
amiche, Wonder Woman, e che naturalmente mi stesse lanciando le
più belle e fantasiose parolacce che un onesto cittadino
americano avrebbe potuto sentire.
Quincy,
beh, anche lui era un gentiluomo e perciò rimase tutto
impettito come una camicia inamidata ed inoltre era abituato a queste
forti dimostrazioni d’affetto di Michael, ormai
c’aveva quasi fatto l’abitudine
(anche se per tutta la serata non aveva fatto altro che fissarmi come
se fossi stata un cetriolo avariato).
Vedendo
l’espressione truce dipinta sul musetto feroce di Katie e
quella perplessa e impietosa di Quincy, Michael tolse i suoi occhi
color cioccolato fondente dai miei e li posò sui loschi
figuri ficcanaso, sorridendo nervosamente.
“Ehm,
tra vecchi amici si fa così, giusto?”
Allargò
le braccia e face spallucce.
Incantevole
e adorabile, come sempre.
I
guastafeste non dissero nulla né cambiarono atteggiamento,
anzi, le loro menti contorte stavano macchinando qualcosa di infimo, me
lo sentivo nelle viscere.
Non
ricevendo alcuna risposta, Mike optò per un semplice
pretesto, approfittando dell’occasione.
“Oh…
Beh, si è fatto tardi è mezzanotte passata, non
sarebbe ora di riportare a casa queste due splendide ragazze, vi
accompagno io, so dove abitate e non vi lascerò tornare a
casa da sole!”
Come
se la situazione non fosse già ingarbugliata mi prese
sottobraccio e passando vicino a Katie fece passare il proprio sotto il
suo gomito, affinché non si ingelosisse troppo e anche
perché il galateo impone ai signori di essere sempre gentili
con le signorine.
Così
ci incamminammo verso la Bentley
accompagnate dal nostro cavaliere, anzi, sarebbe più giusto
dire Re: al nostre seguito
c’erano il povero Quincy, che annaspava dietro di noi per la
sostenuta velocità con cui Michael ci conduceva alla
vettura, e le immancabili guardie del corpo che si erano magicamente
materializzate sotto la scaletta a chiocciola (secondo me erano andati
a far benzina in qualche distributore per androidi tuttofare, forse si
trova vicino Santa Monica o pure a Santa Barbara, un giorno di questi
ci andrò!).
Sulla
piccola limousine si stava d’incanto, adesso che i miei dubbi
su Michael erano stati consolidati, potevo godermi beatamente sia lui,
seduto di fronte a me insieme a Katie, che le vie illuminate della
città che non conosce il sonno.
Sfrecciavamo
lungo quel caos di trasgressione e divertimento, c’era chi ci
guardava attoniti come se fossimo stati dei pinguini ai Tropici, chi
era troppo ubriaco per accorgersi di ciò che gli capitava
intorno, chi si faceva qualche spinello di nascosto, chi aspettava sul
ciglio della strada qualche anima gentile disposta a passare la notte
insieme ad essa, chi chiacchierava animatamente con i propri compagni
di vita, insomma ce n’erano per tutti i gusti fuori dalla
confortevole Bentley, e mi sembrò per un attimo che
ciò che stava succedendo fuori da essa era parte di un altro
mondo sconosciuto, inavvicinabile, invivibile .
Dentro
era tutta un’altra cosa.
Katie
si stava miracolosamente assopendo e si era appoggiata alla spalla di
Michael che non poteva di certo proibirglielo, mentre io osservavo
entrambi, commossa da quanta attenzione e amore potesse darti
quell’angelo, da quanto si impegnasse perché tu
fossi felice, fregandosene addirittura di sé stesso.
L’espressione
di entrambi era serena e in un certo senso mi diede un po’ di
rammarico: avrei tanto voluto che Katie avesse avuto un padre gentile e
premuroso come Michael.
Ma
purtroppo il destino mi è sempre stato avverso e non potei
far nulla per cambiarlo, solo sperare.
In
effetti avevo fatto la scelta giusta.
Erano
così affiatati insieme, dal primo momento che si erano visti
era successo qualcosa, qualcosa di inaspettato e speciale che neanche
io sapevo spiegarmi.
Oh,
come stavo bene lì in quella lussuosa automobile in
compagnia del mio migliore amico e di mia figlia, mi sentivo in un
altro pianeta!
La
rilassante e soffice atmosfera che si andò magicamente a
creare mi fecero tornare in mente una delle più belle
canzoni di Michael, (anche se tutte le sue canzoni erano splendide)
adatta per l’occasione e cioè Humane Nature.
Santa
Monica, ogni volta che la ascoltavo non potevo far altro che rimanere
estasiata dalla sua voce dolce e leggera, dal suo profondo significato,
da tutte le persone che era riuscito a incantare incidendo un solo
album, un album che ha fatto la storia della musica.
E come
se mi avesse letto nel pensiero, Michael domanda premuroso a Katie, che
si era mossa stancamente sulla sua spalla:
“Che
hai, dolcezza, sei stanca ma non riesci a prendere sonno, dico
bene?”
“Mh,
sì, Michael, la tua presenza mi eccita, non so
perché, ma non riesco a dormire con te che mi accarezzi,
anche se è una sensazione bellissima…”
“Ma
la mia voce non ti da fastidio, vero? Potrei cantarti una canzone come
si fa con i bimbi piccoli per farli addormentare, ti piace
l’idea?”
“Certo,
che domande, non sono più una bambina, ma voglio che tu lo
faccia lo stesso.
Sai
che amo la tua voce”.
“Allora
okay, cosa ti canto, puoi scegliere qualunque pezzo”.
“Ah,
quindi…”
Faceva
finta di pensare , aveva gli occhi chiusi e il sorriso sulle labbra,
compiaciuta come non mai.
“Può
andar bene Humane Nature ?”
“Oh,
Humane Nature è perfetta, hai dei gusti favolosi in fatto di
musica, chissà perché non c’ho pensato
prima io!”
Risi
tra me e me, la sua modestia era incomparabile, nemmeno io ne sarei
stata capace.
Fermai
immediatamente i miei fastidiosi e insensati pensieri per tuffarmi in
un oceano di magia che solo la sua voce vellutata sapeva creare, senza
l’aiuto della bacchetta magica:
“Looking
out
Across
the nightime
The
city winks a sleepless eye
Hear
her voice
Shake
my window
Sweet
seducing sighs
Get
me out
Into
the nightime
Four
walls won’t hold me tonight
If
this town
Is
just an apple
Then
let me take a bite
If
they say
Why,
why, tell’em that it’s humane nature
Why,
why, does he do me that way
If
they say
Why,
why, tell’em that it’s humane nature
Why,
why, does he do me that way”
Angeli
del Paradiso, sto arrivando, fatemi spazio, è Michael che mi
ha portato qui, è un vostro concittadino per caso? Il suo
aspetto richiama tanto quello di un messaggero del Nostro Signore, la
sua voce è l’insieme armonioso di tutte le vostre,
oh, quanto vorrei che lui fosse qui con noi, se ne abbiamo il tempo
possiamo organizzare un concerto, vi va?
Magari
un Tour del Regno dei Cieli insieme a lui, ci divertiremmo
sicuramente…
Oh,
Michael, Michael, perché sei tu, Michael?
“Ehi,
Fiorellino, mi senti, è tutto a posto? Fiorellino? Devo
portarti in braccio fin dentro la villa oppure ce la fai da sola? E
dai, rispondi, è tardi, non possiamo mica aspettare te per
andare a dormire!”
“Fiordaliso,
per piacere, si alzi dal sedile, siamo davanti al cancello di casa
vostra, è ora di andare via, è quasi
l’una e non penso che la città sia molto sicura
dopo quest’ora per una donna, quindi la invito a entrare a
riposarsi”.
Cosa?
Cos’è
successo, siamo già arrivati a casa?
Ma se
un attimo fa stavamo sulla Bentley in preda al torpore incantato che
Michael aveva creato con la sua voce, insieme di suoni angelici e
ultraterreni…
È
impossibile, non possiamo già essere giunti a Beverly Hills,
il ristorante è abbastanza lontano, secondo la mia cartina
mentale ed inoltre io ho un buon senso dell’orientamento.
Beh,
se rimango qui, sdraiata sul sedile anteriore della macchina di
Michael, c’è pure qualche speranza che mi porti
con sé nella sua umile dimora senza accorgersene.
Okay,
Fiordaliso, basta sognare, reagisci al mondo, alzati, ringrazia
velocemente Mike e compagni e vai subito dentro casa, che è
scattato il coprifuoco, non vuoi che qualche barbone ti si avvicini
furtivamente e ti stupri senza tanti complimenti, vero?
Anche
perché hai già vissuto la situazione e non è stato molto piacevole,
no, non lo è stato per niente.
Ah, la
realtà è dura da accettare ma non possiamo fare a
meno di notarla.
“Mh?
Cos’è successo, siamo già
arrivati?”
“Sì,
tesoro, hai dormito per un bel po’ in macchina, ma che ti
è successo, all’improvviso sei crollata!”
“Beh,
la spiegazione è semplice Michael, la tua voce ha un
consistente contenuto di sonnifero, perciò ogni volta che la
ascolto raggiungo il mondo dei sogni, e non parlo solo di me”.
“Oh,
questo si era visto, hai un sonno particolarmente facile!”
Nella
penombra vidi i suoi denti bianchissimi che rischiaravano le tenebre e
rendevano le sue pupille luminose e profonde come una infinita
galassia.
Forse
ricambiai il sorriso ma ormai non ero più cosciente delle
mie azioni, mi ricordo un veloce scambio di saluti, un abbraccio caldo
e travolgente accompagnato da un leggero bacio sulla guancia,
dopodiché udii il rombo potente della limousine che se ne
ritornava sui propri passi e scompariva nel buio con lo stupore di
quando era giunta.
Il
giardino che mi circondava rispecchiava esattamente il mio stato
d’animo: tutti i fiori si erano chiusi con il sorgere della
notte come per nascondere ad essa un segreto impronunciabile, gli
alberi frusciavano silenziosi cantando melodie arcane e sconosciute al
genere umano, i grilli conversavano tra di loro, sereni ed indifferenti
nella notte infuocata della città insonne, frulli
d’ali invadevano l’aria con il loro suono
misterioso per poi scomparire in un secondo, i lampioni sul marciapiede
emanavano una luce malinconica e innaturale, illuminando le lussuose
case, le rendeva spettrali e inabitabili.
Mi
sentivo sola e non c’era bisogno della natura circostante per
afferrarlo.
Quella
serata era passata troppo in fretta, un alito di tempo breve e unico,
troppo irreale perché si ripetesse.
In
effetti tutto quello che mi aveva detto Michael mi lasciò un
dubbio incredibilmente grande nel petto che però potevo solo
sbriciolare con la fiducia, l’unica potente arma che ci aveva
avvicinati.
Tutto
questo gran pensare mi fece vibrare la testa come il radar di un
sommergibile e decisi di entrare in casa, tirava un venticello leggero
ma pericoloso per la gola ed il mio giubbino, essendo estivo, non era
fatto per sopportare le improvvise bufere provenienti
dall’oceano.
Con la
smania di entrare dentro le coperte e rimanerci per molto, ma molto
tempo, mi precipitai lungo le scale buie, facendo attenzione a non
inciampare con le scarpe, che all’occorrenza potevano
trasformarsi in temibili armi, essendo il tacco abbastanza alto (un
dieci) da farti slogare una caviglia o romperti una gamba, tutto era
possibile con le décolletè ai miei piedi.
Passai
lentamente vicino alla camera di Katie e vedendo la porta socchiusa
entrai: nelle tenebre notai che sdraiata sul letto c’era una
sagoma supina ancora completamente vestita che ronfava serenamente.
Il suo
esiguo peso aveva aiutato le guardie del corpo che sicuramente
l’avevano trasportata dentro casa secondo gli ordini di
Michael, per me sarebbe stato un po’ più
complicato, i miei 65 chili non potevano nulla contro i 36 di Katie.
Uff,
avrei tanto voluto pesare come lei, era una delle cose di lei per la
quale la invidiavo (anche se alla sua età pesavo
anch’io 36 chili!).
D’improvviso
mi venne in mente che quando Michael e Quincy mi stavano chiamando
all’unisono al fine di svegliarmi, quando me ne stavo sola in
mezzo al giardino, rimuginavo sui miei vari stati d’animo e
sulla serata appena trascorsa, mi era passato totalmente di testa il
pensiero di mia figlia, dove caspita fosse, che fine avesse fatto, con
chi fosse…
Stavo
avvertendo tristemente i primi sintomi da madre snaturata, io, che per
mia figlia ho dato la mia vita, la mia dignità di donna, il
mio patrimonio, ho fatto mille e più sacrifici per renderla
felice, non ho mai pensato a come mi sentissi io ma solo ed
esclusivamente a lei.
È
incredibile che una serata sia bastata a cambiare tutto.
Eppure
era successo.
Volevo
non pensarci, ma la realtà era così
evidente…
Fu
difficile scacciare quei pensieri dalla testa, l’unico modo
per eliminarli completamente era fidarmi di me stessa e delle mie
capacità.
E quel
che feci mi rese un po’ più sollevata: mi
avvicinai al suo letto, le tolsi giacca e scarpe e le sistemai intorno
al corpo il lenzuolo attorcigliato alla fine del letto,
com’era sua abitudine.
Vidi
che le tende azzurre della finestra svolazzavano indisturbate tra le
ante di legno e le richiusi, non mi piaceva tenerle spalancate per
paura dei vari ladruncoli che tentavano di rubare ad un quartiere
ambito e ricco come il nostro o anche a Downtown e a Bel Air, ed
inoltre avevo paura delle finestre aperte di notte, mi davano un senso
di angoscia.
L’angoscia
più grande per me però era perdere Katie e
questo, mi ripetevo sempre, non doveva accadere, se mia figlia doveva
soffrire anch’io dovevo sopportare le sue pene con lei, non
era giusto che pagasse solo lei, c’ero anche io.
Mi
avvicinai lentamente al letto, mi abbassi fino a osservare il suo viso
tranquillo e soddisfatto, una vera maschera di piacere.
Scostai
un ricciolo pendulo sugli occhi e non riuscii a frenare
l’istinto di darle un bacio sulla fronte.
“Perdonami,
tesoro. Ti giuro che non capiterà più una cosa
del genere, ti prometto che ti starò sempre vicino, anche se
non ne avrai bisogno, io ci sarò sempre”.
Neanche
le mie labbra si fermarono e parlarono come prova della mia infinita
stupidità.
Accarezzai
per un’ultima volta il volto di velluto di Katie e uscii
dalla stanza in punta di piedi, come ero entrata.
Mi
sentivo già meglio, anche se lei non mi aveva udito
direttamente, le mie parole le avrebbero fatto sognare ciò
che le avevo detto, i sogni hanno il magico potere di manifestare gli
sviluppi futuri nella realtà e sicuramente sarebbe capitato
anche a Katie.
Quella
notte non avevo molto sonno.
Di
solito vado a dormire tardino e mi alzo prestissimo, ma quella notte,
quella desiderata e misteriosa notte mi turbava in un modo che non
avevo mai testato prima.
Era
come se nell’aria si nascondesse un presentimento, piccolo e
ancora informe, ma che presto sarebbe diventato grandicello e
preoccupante.
Questo
dolce e insignificante Embrione di Presentimento svolazzava per la
stanza, lo sentivo tra le lenzuola, le tende di seta fruscianti, lungo
il freddo e liscio specchio del comò, tra i cassetti e le
ante di ciliegio dell’armadio, insomma lo sentivo dappertutto
e nessun suo movimento sfuggiva alle mie temibili orecchie.
Continuai
a intercettare imperterrita i suoi spostamenti per un’ora
buona, dopodiché spesi un’altra ora a contare
tutti i tappi della Coca Cola custoditi nel mio cassetto segreto, come
le foto, (lo facevo tutte le sere prima di andare a dormire per paura
che me li rubassero) poi…
E poi
il sonno finalmente mi accolse tra le sue braccia, rubandomi al mondo
della realtà per farmi penetrare in quello dei sogni,
decisamente meno affannoso e travagliato.
Anche
i sogni però nascondono i propri problemi al nostro
subconscio e non vogliono rivelarcelo per paura di farci rimanere
delusi.
Dopo
quella fantastica nottata le cose cambiarono radicalmente tra me e
Katie: come quando avevamo fatto pace la sera di sabato 13 luglio,
eravamo diventate molto affiatate e nulla poteva dividerci, neanche un
bel paio di forbici!
L’estate
continuava veloce la sua corsa e in men che non si dica si fece
già agosto, il torrido, il sorridente, il festaiolo agosto,
uno dei mesi preferiti da mia figlia per due grandi motivi che non
avevano bisogno di spiegazioni: il primo, il più importante
era il compleanno di Michael, il 29 del mese, nel quale la mia dolce
Material Girl preferita non guardava in faccia a nessuno, neanche sua
madre, e usciva tutto il giorno per far festa con le amiche (anche loro
adoratrici di Michael) e non tornava a casa prima delle dieci di sera;
il secondo motivo riguardava lei e tutti gli alunni frequentanti la sua
scuola, ovvero i ragazzi più grandi dell’istituto
che erano passati al liceo, organizzavano una fantasmagorica festa
sulla spiaggia di Santa Monica, naturalmente il tutto era monitorato
dai mitici prof della scuola e nessun fanciullo correva il rischio di
rovinarsi l’adolescenza in situazioni maledettamente precoci
che è meglio non precisare.
Anche
se sarebbe stato praticamente impossibile con una accanita ciurma di
monache carmelitane che professavano la saggezza e la fede in Dio
(infatti tutte le ragazze dell’istituto rimanevano vergini
fino alla veneranda età di diciassette anni, un traguardo
unico per le scuole americane).
Naturalmente
ogni volta arrivava questo momento avevo una leggera preoccupazione che
affliggeva il mio istinto materno e non riuscivo a stare bene se mia
figlia non era tornata a casa prima del coprifuoco; una volta mi
ricordo di essermi intrufolata nella mischia e avevo riportato a casa
Katie, allora dodicenne, senza tante storie, guadagnandomi la fiducia
del preside e di tutto il corpo docente presente, i quali non avevano
mai assistito ad una manifestazione di amore e ansia materni
così forti.
Ma
quello che successe quella sera non fu niente in confronto
all’Agosto Caldo del 1985, l’agosto più
afoso e pericoloso della mia vita di mamma: stavo beatamente ascoltando
uno dei vinili di mia figlia che avevo gentilmente
preso in prestito dal suo
vasto repertorio, quando mi vedo lei entrare dal portone di casa come
una furia e richiuderlo immediatamente dietro di lei come se qualcuno
di malvagio la stesse rincorrendo.
Con la
voce allarmata urla come una sirena ed io naturalmente intervengo
subito come una brava mamma che si rispetti e chi posso ritrovarmi
davanti se non la mia bambina spaventata e affaticata dalla celere
corsa con un’ombra scura sui pantaloncini di un acceso
turchese, un’ombra sospetta che consolida i miei dubbi dei
giorni precedenti.
Capii
subito perché Katie aveva l’umore così
variabile in questi ultimi tempi, (anche se lei è
più variabile del tempo a Dallas in preda
all’uragano) i suoi frequenti e inspiegabili mal di testa,
gli strani dolori addominali negli ultimi due giorni, la curiosa
sensazione che qualcosa si stava trasformando dentro di lei, qualcosa
che non aveva mai provato prima.
Anch’io
ricordo le mie prime mestruazioni come un momento drammatico: tutto
quel sangue uscito improvvisamente dal mio corpo mi sembrò
già dall’inizio qualcosa di alieno e terribile, il
presagio di qualche imminente sventura, non capivo la sua comparsa
né tanto meno la sua funzione: all’epoca avevo
solo undici anni e negli anni Sessanta alcuni fatti intimi della vita
di ogni essere umano non dovevano essere spiegati, nemmeno anticipati
ad una bambina così piccola, si pensava che fosse una cosa
da grandi che noi non potevamo
capire.
Quindi
adesso dobbiamo ringraziare i nostri genitori se siamo rimaste incinte
in tenera età, tipo quattordici o quindici anni, per il
semplice motivo che a quell’epoca non
capivamo, non potevamo capire.
Ha
proprio ragione il mio secolare amico Albert:
“Esistono
due cose infinite al mondo:
l’universo
e la stupidità umana.”
Per
fortuna col tempo le idee cambiarono e già negli anni
Ottanta i genitori educavano al meglio i loro figli sul rischio dei
rapporti precoci e li invitavano a godersi la loro giovane esistenza
senza tanti eccessi, né di droga, né di alcool,
né di sesso.
Katie
fu una delle prime a sperimentare questo metodo: già
all’età di dieci anni risposi, senza alcuna forma
di volgarità e malizia nelle mie parole, a una delle domande
più importanti e particolari che un bimbo possa farsi
già da piccolissimo:
“Mamma,
da dove vengono i bambini?”
Senza
tanti giri di parole le dissi tutto per filo e per segno e la cosa che
mi stupì di più fu che lei non ne rimase
minimamente turbata o disgustata , accettò la
realtà della vita tranquillamente , dicendomi con
l’aria inconfondibile da bambina che voleva sembrare grande ,
che “prima o poi sarebbe capitato anche a lei e che era
inutile preoccuparsi per così poco “.
Questi
pensieri le rimasero inculcati nella mente fino a quel fatidico giorno
di inizio agosto, il suo spavento deriva dal fatto che i suoi amici
l’avevano vista in quello stato così insolito e
avevano pensato subito al peggio, lei quindi era scappata via prima che
la riempissero di acidi commenti o frecciate di cattivo gusto.
Quando
arrivò a casa non volle nemmeno che io la aiutassi a
sistemarsi: si lavò con cura immergendosi nella vasca
d’acqua bollente, cambiò tutti i vestiti sporchi
con un bel pigiama pulito e prese uno dei miei assorbenti dal bagno,
indossandolo in modo disinvolto come se fosse stata
l’ennesima di tante volte.
Si
diresse subito in camera e si accoccolò tra le coperte
leggere, lasciando fuori solo il viso assorto e in quel momento
particolarmente adulto.
Io ero
indecisa se entrare nella sua stanza a parlarle facendo la parte del
genitore premuroso e consapevole delle esigenze del figlio, oppure
lasciarla sola per almeno un’oretta con i suoi pensieri e le
sue riflessioni, cercando di essere il meno possibile invadente e
rompiscatole.
Alla
fine, dopo che le mie meningi si ridussero a un sottile strato di salsa
di peperoncino piccante alla Fernando, optai per la scelta che faceva
meno male al mio compassionevole cuore e cioè, presi il
coraggio a quattro mani e entrai nella stanza di Katie, furtivamente
come quella meravigliosa sera così lontana.
Mi
feci strada tra il labirinto di vestiti e cianfrusaglie che era la
cameretta di mia figlia e arrivata alla spalliera del letto mi misi
seduta cautamente sul materasso, accanto alla vita di Katie.
Sentendo
un peso estraneo al suo corpo sul letto, la sua persona
sussultò e cercò di raddrizzarsi il
più velocemente possibile per scoprire chi fosse
l’indesiderato inquilino che albergava nella sua stanza senza
permesso di soggiorno.
Risolto
il mistero si rilassò e mi guardò con una certa
inappetenza.
“Ah…Sei
tu”.
Si
mise stancamente seduta sul letto e giunse le mani in grembo,
continuando a guardarmi, stavolta però indifferente.
“Eh,
sì, sono venuta perché ero un po’
preoccupata per le tue…condizioni e volevo constatare di
persona che stessi bene, sai com’è, io sono molto
eccitata quando si tratta di queste cose e quindi…”
“…E
quindi ti sei permessa di entrare nella mia stanza senza chiedermi
niente”.
“No,
non è proprio come dici tu, cioè, sì,
non ho bussato, non ho nemmeno controllato se ci fosse qualcuno, ma
è sempre la stanza di mia figlia e quando
c’è qualcosa di particolare posso anche entrare
senza permesso!”
“La
cosa particolare a cui alludi è…”
Aveva
paura di pronunciare quella parola, glielo si leggeva negli occhi,
tentava di fare la ragazza adulta consapevole del proprio corpo e della
propria femminilità ma non ci riusciva molto bene, anzi,
come bugiarda era anche peggio di me.
E
questo stranamente mi tirò su di morale: io e mia figlia
avevamo qualcosa in comune ovvero la paura di crescere e di assumerci
delle responsabilità un giorno, come quella di coniuge o
genitore.
Io non
ho potuto far nulla perché non accadesse quello che invece
è accaduto, ma Katie, figlia di una nuova generazione aperta
al dialogo e alla prevenzione, sentiva questo improvviso cambiamento
del suo corpo come una minaccia, un avvertimento.
Come
la capivo, ora doveva guardarsi dal mondo molto più di
prima, i ragazzi arrivisti erano sempre tanti, pronti ad approfittarsi
di una ragazzina inesperta e ingenua come lei.
“Guarda
che se non ti va di parlarne per me è lo stesso, in fondo
questo fatto riguarda te, non me, e anche se ci sono già
passata e posso darti vari consigli e avvertenze, la scelta migliore
non puoi farla che tu”.
Cominciai
ad accarezzare la schiena di Katie, avvicinandomela e mormorandole
all’orecchio: era così piccola e gracile tra le
mie braccia che avevo paura a stringerla più forte, come se
ad un certo punto si riducesse in frantumi.
La
fragilità più grande però era dentro
di lei e lei, dura come il marmo, non voleva ammetterlo, nemmeno a
sé stessa.
Affondai
le mie mani nei suoi morbidi ricci d’ebano e lei, che prima
si dimostrò schiva e riluttante alla mia ansia materna,
ricambiò l’abbraccio, rimanendo però in
silenzio.
Improvvisamente
sentii arrivare al mio orecchio una domanda inaspettata, proveniente
dalla persona alla mia sinistra.
“Mamma,
tu hai mai avuto paura di crescere?”
Mi
lasciò letteralmente senza parole, questa nuova Katie,
così adulta, giudiziosa, preoccupata per il suo futuro.
La
risposta era lì, sulla punta della mia lingua, una di quelle
tante che mi toglievano la forza di controbattere per la loro
devastante onda di saggezza e stupore.
Così
tanta devastazione nella semplice domanda di una adolescente.
Impressionante.
Sospirai
profondamente.
“È
una di quelle domande che mi faccio spesso, sai? E ancora non sono
riuscita a darle una risposta”.
“Davvero?”
“Sì”.
Silenzio
cogitabondo.
“Pensavo
che tu non avessi paura di crescere.
Ti ho
sempre vista euforica e spensierata come una ragazzina, non pensavi mai
al lavoro, alla casa, alle varie responsabilità che possono
affliggere un’adulta.
Eri
sempre pronta a scherzare e a ridere…e ciò mi
dava un po’ fastidio”.
Risi
di cuore.
“Sul
serio?”
“Te
lo giuro, mamma, in te vedevo una nemica piuttosto che una madre.
Eri
diversa dalle altre donne, vedevi il bello in ogni cosa, non ti
importava delle critiche, delle intimidazioni, amavi divertirti in modo
semplice e creativo, non ti piaceva la violenza né la
falsità o tante altri comportamenti meschini degli adulti.
La tua
più grande arma era l’innocenza, il tuo
più grande dono la semplicità.
Tutto
quello che facevi per me senza chiedere nulla in cambio fecero nascere
dentro di me l’invidia”.
“Oh
santo cielo, sei invidiosa di me, di tua madre?”
Non
potevo credere a ciò che aveva detto Katie, una figlia
invidiosa della madre perché lei riusciva ad avere quello
che voleva senza alcuno sforzo, servendosi della gentilezza e della
spontaneità, incredibile!
Lei
arrossì violentemente alla mia affermazione.
“No-non
è come dici tu, ero ancora piccola, non potevo capire cosa
stavi facendo per me, mi sentivo, come dire…
Esclusa
dalla tua vita”.
Spalancai
la bocca.
Tutto
questo è roba dell’altro mondo.
Non
poteva pensarlo veramente, no, era impossibile.
Impossibile.
“Pensavi
veramente quello che mi hai appena detto?”
Silenzio
imbarazzante da parte di Katie.
L’aveva
fatta grossa e se n’era accorta, solo che adesso non sapeva
come rimediare.
Il
rimorso usci silenzioso dai suoi occhi e lo sentii bagnare il mio
collo, bruciante e particolarmente doloroso.
Il mio
petto sussultò, colpito dagli spasmi profondi di mia figlia
singhiozzante e affranta.
Dai
continui rumori che udivo dal mio petto capii che voleva dirmi
qualcosa, ma io la fermai perentoria.
Non
volevo sentirla ansimare quando parlava in preda ad una crisi di
pianto, no, mi faceva troppo male.
Lei
accolse la mia richiesta e affondò il viso tra le mie
braccia, le lacrime che non ne volevano sapere di placarsi.
Rimanemmo
così, senza parlare, per molto tempo.
Non
avevamo la forza di alzarci da quel letto, ormai eravamo prigioniere
delle nostre debolezze, nulla ci appariva più importante.
Ci
ridestammo dalla nostra angoscia al suono della voce di Fernando che ci
invitava a venire a cena.
Prima
di scendere Katie corse in bagno e si lavò per bene la
faccia arrossata dalle lacrime.
Io mi
riavviai solo i capelli e mi sistemai la maglietta extra large sui
fianchi.
Quando
entrai in bagno per lavarmi le mani lei si stava guardando allo
specchio pensosa, come se l’immagine che appariva di fronte a
lei fosse una sconosciuta.
Ero
stupita dal suo comportamento ma poi ci feci l’abitudine: le
crisi d’identità di mia figlia da quel momento
furono un fenomeno quotidiano come i miei irrefrenabili flussi di
coscienza, che non mi davano mai pace, nemmeno nei sogni.
Osservai
anch’io l’immagine nello specchio.
Una
donna provata dalla vita, lo si capisce dalla sua espressione
rassegnata, una donna diversa dalle altre che ha avuto la forza di
andare avanti da sola.
Ero
questo io?
No.
No, la
mia vita non poteva racchiudersi in così poche e
insignificanti affermazioni.
La
donna nello specchio era falsa.
Ma
anche vera.
La
donna nello specchio doveva cambiare.
E
l’avrebbe fatto.
Dopo
un agosto di riflessioni e dolori, gioie e sorprese inverosimili, (il
giorno del suo compleanno Michael è sbucato davanti casa
nostra, vestito come un clown, invitandoci a divertirci insieme a lui
perché era il suo giorno speciale) arrivò il
barbuto e serio settembre, con la sua inconfondibile aria di scuola che
tanto faceva rattristare i bambini e i ragazzi di tutte le
età.
Anche
Katie non ne voleva sapere di ritornare nell’austero edificio
gestito dalle nostre care amiche suore, primo perché non
aveva la più pallida voglia di studiare, secondo faceva
troppo caldo per rimanere al chiuso per mezza giornata e terzo,
“l’equinozio d’autunno cade il 21
settembre, quindi fino a quella data è ancora estate e non
si può andare a scuola!”.
Non
aveva tutti i torti in fondo, a Los Angeles il sole ardeva incessante
per quasi tutto l’inverno, invece a San Francisco, qualche
miglio più in su,
ad agosto c’era già la nebbia e
l’inverno era lungo e nevoso.
Ma una
mezza messicana come me non poteva sopportare il
freddo e i colori grigi e smorti del Nord,
perciò Los Angeles mi sembrava più appropriata,
sia per me che per Katie.
A
proposito di lei, non dimenticherò mai la mattina del suo
primo giorno di scuola!
Si era
stranamente alzata prestissimo ,
con immenso stupore mio e di Fernando e in sette minuti e due secondi
esatti (avevo sincronizzato il timer del forno a microonde apposta) si
era lavata, infilata la divisa scolastica, preparato la cartella,
salutato noi, increduli, e avviata all’uscio di casa,
sbattendo violentemente il portone dietro di sé.
E dire
che non voleva ricominciare la scuola, pensai.
Qui
c’è sotto qualcosa, qualcosa di losco.
Il mio
istinto di mamma non mi tradiva mai e già il mio naso
cominciava a sentire puzza di bruciato tra i candidi banchi di scuola
clericali.
“Sandy!
Sandy! Ehi, Sandy, mi vedi, sono qui! Non mi riconosci, sono Katie, la
tua migliore amica, nonché compagna di banco, mi senti?”
Katie
correva come una forsennata dalla fermata dell’autobus verso
il cancello in ferro battuto della scuola, agitando le mani come le ali
di un elicottero in direzione di una ragazza dai codini color nocciola
e dall’aria intelligente che si sentiva chiamare ma non
riconosceva chi fosse, né da dove venisse la voce squillante
e euforica.
“Sandy,
ehi, Sandy!”
Finalmente
la diretta interessata si accorge della povera Katie e alla sua vista
le si illuminano gli
occhi, diventati due smeraldi alla luce del sole.
Saltella
entusiasta verso la nera, ormai quasi senza fiato e col colletto della
camicia imperlato di sudore, ma che dopo la corsa affannata ha ancora
la voglia di sorridere alla sua più cara amica.
“Oh,
ciao Katie! Scusa se non riuscivo a vederti ma oggi è pieno
di gente e mi spingevano da tutte le parti, perdonami!”
“Tranquilla,
correre mi fa bene e poi per te farei qualunque cosa, sei la mia
migliore amica!”
“Hai
ragione ma mai esagerare, sai che mi preoccupo molto per te, e poi dopo
quello che è
successo l’altra volta con i maschi…”
Katie
smette per un attimo di ansimare e guarda dritta negli occhi Sandy.
“Senti,
non mi va di parlarne, è stato l’incubo peggiore
della mia vita e voglio dimenticarlo il
prima possibile”.
“Oh…Scusami”.
La
ragazza abbassa lo sguardo, imbarazzata dagli occhi scuri e temibili di
Katie, una vera arma di distruzione e un universo di soggezione se la
proprietaria aveva la luna storta.
Quel
giorno però era stranamente di buon umore e il motivo per
cui non vedeva l’ora di ritornare a scuola si
manifestò in tutta la sua meraviglia davanti agli occhi
stupefatti di Sandy.
Dopo
che Katie la perdonò abbracciandola fortissimo
com’era di sua abitudine, le confessò
all’orecchio che durante l’intervallo le avrebbe
rivelato un magnifico segreto.
Tale
madre, tale figlia, la nostra Katie voleva mantenerlo fino
all’ultimo, nonostante le preghiere in ginocchio e gli
scongiuri della povera Sandy,
che non aveva mai nascosto niente alla sua fedele compagna di
avventure.
Suonò
la campanella e tutti gli alunni, comprese Katie e Sandy, entrarono
dell’antico edificio di mattoni e cemento dallo stile
vagamente ottocentesco, una specie di collegio inglese alla Oliver Twist, solo
rimodernato e attrezzato nel migliore dei modi dalle simpatiche monache
del convento vicino.
La
prima parte della lezione non fu un granché, tutti gli
alunni si riunirono in aula magna per ascoltare il discorso del
preside, un uomo sulla cinquantina serio e inquietante, così
diverso dalle allegre suore che popolavano l’istituto insieme
ai monaci.
Per
tutta la durata dell’orazione, Katie cedette alle
supplichevoli preghiere di Sandy e raccontò per filo e per
segno tutto quello che le era
capitato negli ultimi due mesi, naturalmente tralasciando i segreti
della madre e i suoi pianti accorati stretta al suo petto, non voleva
farsi vedere dalla sua migliore amica come la tipica ragazzina ricca,
viziata e piagnucolosa, nonché cocca di mamma, lei non era
così e non lo sarebbe mai stato.
Non
voleva diventare come le sue care e acide compagne di classe, una
più ricca e stupida dell’altra, bionde e con la
permanente sempre ben fatta, pronte
a ricattare chiunque con il loro nauseante sorriso.
Sandy
e Katie erano le uniche “diverse” dal resto della
classe: la prima era una studentessa diligente e interessata a tutto
ciò che le veniva spiegato in classe, partecipava a tutte le
manifestazioni culturali che la scuola organizzava, sapeva sempre come
aiutare quelli in difficoltà nel migliore dei modi e in
tutte le materie, tenendo anche gruppi di studio pomeridiani concessile
direttamente dal preside, insomma, la classica secchiona buona, timida
e riservata, anche molto carina secondo Katie ma troppo
santarellina, le faceva schifo anche un semplice bacio
sulle labbra o un abbraccio troppo passionale da parte di un ragazzo;
la seconda invece, anche se godeva di una condizione sociale ed
economica abbastanza privilegiate, veniva continuatamene esclusa dalle
altre ragazze per il motivo che secondo lei era il più
futile del mondo, ovvero il colore della pelle, che nel suo caso era di
bel caffèlatte; veniva presa in giro dalle biondine e alcune
volte esse si pentirono di quello che avevano combinato, la mente
diabolica di Katie, infatti era sempre piena e mai in riserva; se la
cavava bene a scuola, e anche se poteva dare di più non lo
faceva perché aveva altre cose a cui pensare, quali lo
sport, la musica e le vendette varie che si spandevano in tutto
l’immenso edificio scolastico.
Insomma,
Katie e Sandy, seppur completamente diverse, erano
amiche per la pelle e per loro non contava di quale colore
fosse.
Si
volevano bene e basta e questo era ciò che contava.
Dopo
averle raccontato della cena con l’uomo ideale per ogni
ragazza e donna americana che si rispetti, ( non
c’è neanche bisogno di pronunziare il suo nome )
Katie si aspettava dall’amica un’ondata pungente di
imprecazioni e offese contro lei,
tutta la sua famiglia, la sua razza, la stessa del suo mito per giunta,
e tante altre motivazioni per rendere infelice una persona e per
umiliarla nel peggior modo possibile.
Invece
Sandy si limitò a guardarla stupefatta come se davanti
avesse veramente lui che
le parlava come se niente fosse e poi l’amica
cercò in tutti i modi di contenere una sua lista
interminabile di tutti i pregi, sia fisici che morali,
dell’amore segreto di tutte le adolescenti negli anni
Ottanta; in effetti se Katie non l’avesse fermata in tempo
tutto l’istituto si sarebbe girato verso di loro, preside e
docenti compresi.
Nonostante
l’incontenibile gioia da parte di Sandy, tutto
andò secondo i piani di Katie e l’altra le aveva
promesso che non avrebbe detto nulla a nessuno, muta come una tomba
fino all’eternità.
Dopo
la fine del magnifico e interessante discorso, le classi ritornarono
riluttanti alle loro lezioni, di gran lunga peggiori delle annuali ed
elaborate arringhe del preside, che si definiva come “un
giudice dell’istruzione” anche se in
verità non era altri che un ex uomo politico esaltato dalle
idee nazionaliste dei suoi confratelli.
E,
diciamocelo, era anche un po’ razzista, soprattutto con i
ragazzi di colore i quali rappresentavano una cospicua parte
dell’istituto.
La
cosa peggiore era che amministrava una scuola clericale, ovvero gestita
da un convento o da una parrocchia, quindi un luogo dove il razzismo e
la differenza razziale non esistevano e venivano prevenuti con pesanti
mezzi di persuasione.
Tutto
quello che guadagnò la chiesa con le varie manifestazioni
religiose e sociali, passò pian piano nelle sue tasche.
Quel
che era peggio è che nessuno osava ribellarsi.
Fino a
quell’anno.
Entrate
in classe, le ragazze si misero sedute a dei banchi liberi della terza
fila, davanti alle bionde chiome cotonate delle Barbie, che occupavano
sempre i posti nelle prime file, per far vedere ai prof quanto erano
attente e preparate.
Anche
se Sandy, che era sempre stata nelle ultime file cioè quelle
destinate ai ripetenti o agli svogliati, non aveva mai preso una F
né una esigua
nota, la sua riga nella griglia del registro era immacolata come il
vestito di una Madonna.
Quella
di Katie era sì immacolata, ma come il vestito di una
Madonna molto più conosciuta e additata.
Tutto
questo però,
le dava un senso d’importanza.
Era
più importante delle biondine ereditiere, dei maschi
rumorosi e perfidi delle ultime file, dei mattacchioni del quarto anno
di liceo, dei secchioni buoni e ingenui, delle svampite e graziose
cheerleaders, dei ragazzi più affascinanti e inarrivabili
addirittura di tutta Beverly Hills.
Lei
era più importante.
In
tutti gli anni della sua permanenza nell’istituto nessun
professore sano di mente era mai riuscito a resistere più di
un anno con lei, nessuno aveva mai avuto il coraggio di affrontarla
faccia a faccia.
Questo
per lei era l’ultimo anno alle scuole medie e c’era
da dirlo, non vedeva l’ora di finire in bellezza, al liceo
avrebbe cambiato insegnanti e desiderava che quelli vecchi avessero un
buon ricordo di lei.
Molto
buono e soprattutto indimenticabile.
La
grande aula era dominata da un brusio incessante come il frinire di una
cicala d’estate, che si zittì subito quando la
vecchia porta emise un cigolio stanco e apparvero
nell’ordine: una mano bianca sulla maniglia della porta, una
scarpa da uomo molto elegante sormontata da un calzone gessato blu
scuro, una ventiquattrore da insegnante che l’altra mano
sballottava contro la coscia e per ultimo un busto maschile
dall’elegante giacca abbinata ai pantaloni e il volto giovane
e sicuro di uno sconosciuto, sicuramente, pensò la maggior
parte della classe, il nostro nuovo professore di matematica o, sarebbe
meglio precisare, l’ennesima vittima della Belva Mangia
Professori, così avevano soprannominato Katie.
L’uomo,
o sarebbe più corretto dire il ragazzo, si
accomodò alla sua cattedra senza dire niente,
posò la sua valigetta al lato della sedia e giunse le mani
sul tavolo, parlando a tutta la classe con voce ferma e in modo conciso.
“Buongiorno
a tutti, ragazzi. Spero che
l’anno scolastico sia iniziato nel migliore dei modi per voi,
anche se dalle vostre espressioni non si direbbe”.
Silenzio
astioso da parte della classe.
Katie
inizia a sentire una sensazione di disagio datale dal nuovo docente,
non ha il coraggio di guardarlo negli occhi, anche se il resto dei suoi
compagni lo osserva senza problemi.
Le
ragazze ne sono addirittura rapite.
“Comunque
il mio nome è Joseph, Joseph Johnson e sono il vostro nuovo
insegnante di matematica.
Vengo
da un istituto pubblico di Chicago e finora non avevo mai lavorato in
scuole private, questa è la mia prima esperienza, quindi ci
tengo a precisare che sono abituato a comportamenti disciplinari da
parte degli studenti, direi quasi…”
Pensò
un po’ sull’aggettivo che non riusciva a ricordarsi
e per un attimo Katie ebbe il coraggio di guardarlo in faccia: doveva
essere molto giovane, gli dava si
e no venticinque anni, la sua pelle era chiara ma leggermente
abbronzata dal sole battente della California, il suo naso aveva un
profilo diritto e regolare come un righello, la fronte era alta e sopra
vi era una fluente chioma castana dai riflessi di un oro inesistente,
così unici che era impossibile notarli su di una normale
capigliatura, le sopracciglia lunghe e sottili sormontavano la cosa
più bella di quel viso, cioè gli occhi, blu come
il cielo californiano senza nuvole in una giornata di fine giugno.
Nell’insieme
uno spettacolo magnifico.
Incredibilmente
vero.
Impossibile
da accettare.
No,
assolutamente impossibile.
“…Intrattabili.
E fuori da ogni regola morale e sociale. Spero
che questa classe possa godere di una fama alquanto positiva”.
Si
alzò dalla sua sedia e cominciò a camminare con
passo lento ma inquietante tra i banchi di legno scarabocchiati.
“Ho
sentito dire dagli altri insegnanti che la vostra classe ha da sempre
avuto una vasta gamma di studenti, anche se tutti venite bene o male da
famiglie molto agiate della zona: dai fannulloni dell’ultimo
banco che invece di ascoltare la lezione parlottano tra di loro e si
scambiano biglietti o roba del genere…”.
Detto
questo sfilò con innata maestria da sotto il banco di Ed, il
tipico ragazzo ricco e scansafatiche che si farà mantenere
dal padre fino ai quarant’anni, una pila di biglietti e
oggetti vari assolutamente incredibile, ed inoltre scoppiò
il grosso palloncino che Ed aveva creato con il chewing-gum, facendolo
appiccicare tutto sul naso e sulle guance del ragazzo disperato e
umiliato.
Tutta
la classe si mise a ridere a crepapelle, compresa
Sandy che di solito rimaneva sempre seria e non rideva per
nessun futile motivo.
Katie
cercava di far fuoriuscire una risata ma era completamente
immobilizzata dalla stretta vicinanza che c’era tra lei e il
signor Johnson, ormai vicinissimo alla fila centrale, quella di Katie.
Gli si
prese quasi un infarto quando si trovò la sua scintillante
giacca gessata davanti agli occhi,
sussultò e
divenne pallida come la camicia che indossava.
Si
rilassò un po’ (anche se non ci sarebbe mai
riuscita in tutta la lezione del prof. Johnson) vedendo che il suo
sguardo non era indirizzato a lei ma alla sua vicina di banco.
“…Fino
ad una delle menti più brillanti e scolasticamente
riconosciute di tutta la contea, e forse anche più in
là: Sandrah Shepard, giusto?”
La
ragazza annuì timidamente.
“Il
dirigente scolastico mi ha parlato molto bene di voi.
Mi ha
anche detto che avete vinto già per la seconda volta le gare
di logica e calcolo matematico, classificandovi prima in tutte le
scuole medie dello stato della California, dico bene?”
“S-sì”.
Johnson
la guardò amorevolmente, e Katie si sentì
esplodere improvvisamente per un motivo a lei sconosciuto.
“Spero
che le mie aspettative non vengano deluse, signorina Shepard.
Da lei
esigo il meglio”.
“Certo,
signor Johnson. Le prometto che mi
impegnerò al massimo, come ho sempre fatto
d’altronde”.
“Molto
bene”.
Gli
occhi di ghiaccio del signor Johnson lasciarono il faccino pallido e
teso di Sandy, per poi posarsi su quello altrettanto teso ma sicuro di
Katie, la quale voleva affrontare il suo turbamento a testa alta, non
era ancora nato chi era capace di mettergli paura e assoggettarla.
E il
signor Johnson l’avrebbe capito molto presto.
“Oh,
ma guarda tu chi abbiamo qui, di fianco alla signorina Shepard: allora
è vero che l’amicizia non ha limiti di nessun
genere, in questo caso neanche di fama”.
Sorrise
disgustosamente.
Che
coglione,
pensò Katie, adesso una secchiona
bianca e un’esponente della classe che combatte per la
propria origine non possono essere amiche né vicine di
banco, ma per chi mi ha preso, se non se ne va entro la fine
dell’ora fuori dalla classe, lo riduco alle dimensioni di una
gomma per cancellare e lo rispedisco a Chicago a forza di calci nel
culo, non può permettersi di dire queste cose ad una alunna, lo spedirebbero
subito davanti alla Corte Marziale e gli darebbero dieci anni di
galera, senza esagerazioni, no, non può parlarmi
così, non ha ancora capito chi sono“.
“Signorina
Katherine Villa.
Ho
sentito parlare molto anche di voi, ma da come vi hanno descritta
pensavo che foste una vera e propria belva e invece…”
E
invece, che cosa vi sembro, un cefalopode, una lucertola a sei zampe,
un rospo delle nevi?
Cosa,
brutto stronzo di un razzista?
“…Non
pensavo di trovarmi davanti una ragazza così tremendamente
graziosa e riservata. Un
vero gioiello, dovrei dire.
Forse
la vostra fama non molto positiva è stata
l’artefice di varie leggende sul vostro aspetto e la vostra
personalità, create da una fervida e impaziente
immaginazione.
Ma per
il mio parere siete un’alunna e una fanciulla assolutamente
perfetta”.
Colpo
al cuore.
Incredulità
negli occhi.
La
mente stava cominciando a modificare magicamente tutto ciò
che Katie avrebbe voluto dire al signor Johnson e che invece fu fermato
da quelle parole.
Parole
mai pronunciate, parole mai pensate da nessun insegnante che aveva
calcato il pavimento di quell’aula, che l’aveva
vista in faccia, che l’aveva giudicata anche senza prove
schiaccianti delle sue bravate e della sua mancata disciplina.
Parole
mai pronunciate da una mente gentile e spontanea.
Improvvisamente,
in meno di mezzo secondo, qualcosa scattò nel cuore di
Katie.
Una
sensazione, uno stato d’animo mai provato prima di allora.
Attrazione
e repressione, odio e simpatia si mescolavano dentro di lei come un
tornado infinito.
Si
faceva strada dentro di lei, un sentimento nuovo ancora indefinito ma
potente e incalzante.
Avrebbe
capito cosa fosse.
Doveva
solo sfidarlo.
E
vincerlo.
Ehi,
Elvis, non battere la fiacca, aiuta il signor Armstrong a sollevare il
pianoforte e mettetelo al centro del palco, bene, così, bravi!!
Bob,
smettila di spacciare marijuana, siamo in Paradiso se non te lo
ricordi, non in Giamaica, quindi sbrigati e va a montare il palco
insieme agli altri, in quanto a te, John, accorda tutti i bassi e vedi
di far presto, il Tour inizia tra nemmeno quattro settimane ed ancora
abbiamo metà cose da preparare, le canzoni da scegliere, le
coreografie, i costumi, tutto!!!
Oh,
Michael, ma che stai facendo, non devi affaticarti così
tanto, tu sei la stella di tutto il
Regno dei Cieli, anzi sei il Re, tu
non devi lavorare, intesi?? Riposati un po’, che
qui ci pensiamo noi e se ti vedo
ancora un’altra volta che ti alzi da quella sedia giuro che
ti metto in punizione e non scherzo!!
Eh,
che c’è??ò_ò
Oh,
mammina santa, scusatemi, belle bambole e bei bamboli, stavo dando una
mano per i preparativi del Tour, dovrebbe partire appunto tra quattro
settimane ma siamo in grave ritardo… *tira uno schiaffo a
Freddie che batte la fiacca insieme ad Elvis ù_ù*
Comunque
adesso sono tutta vostra, innanzitutto, ben tornati sulla mia ff, spero
che questo capitolo non vi abbia trasmesso nulla di negativo o morboso,
dopotutto è dal primo capitolo che sto trattando tematiche abbastanza forti,
alcuni posso anche ritenere il mio comportamento abbastanza offensivo,
ergo mi scuso già da adesso.
Bene,
momento serietà chiuso, adesso passiamo alle cose meno serie
(quelle che mi piacciono più di tutte*__*)….
Mazza
oh, Katie in questo capitolo è molto
“focosa” e l’apparizione del nuovo
affascinante professore ha turbato il suo innocente cuore di bambina,
secondo voi, cosa succederà tra i due, diventeranno
“amici”oppure nemici??
Rispondete
a questa semplice domanda che in un certo senso si ricollega alla
precedente (che non è stata azzeccata da nessuno xD) e
cercate di unire nel più logico dei modi le due risposte,
vediamo cosa ne salterà fuori, aspetto le vostre recensioni
con ansia, mie amate fan!!
*OOOOOO*
Adesso
passiamo ai ringraziamenti, volevo ricordare tra i tanti quelli alla
mia spettacolare Material Girl preferita ( oltre a Katie ^^) , quella che mi guida
dappertutto anche se la via è rischiosa e piena di dolore,
tanto avete già capito di chi sto parlando, quindi non vi
dico chi è!!ù_ù
Poi il
mio fantastico amico Alessandro Manzoni, non so se lo conoscete
°-°, che mi ha dato molti spunti narrativi davvero
interessanti, come quello di “andar a sciacquare i panni
nell’Arno”, che mi è stato molto, ma
molto utile =)
Vorrei
ricordare tutti i fumetti che leggevo, e che leggo tutt’ora,
( Ma ‘ndo vai, quindic’anni ancora co’ i
giornaletti, ma va va!!
NdTutti) che mi hanno invece consigliato gli scenari fantasy per i
capitoli successivi, tranquilli, ci saranno!!
;)
Ed
infine, le belle bambole che hanno recensito e che sono rimaste
incantate dalla mia storia *-* (Claudia saluta commossa tutti i
presenti alla cerimonia di consegna per il Nobel della Letteratura
*O*), ovvero:
Black_Girl96:
mi
dispiace di aver deluso le tue fantasie amorose ma la storia romantica
ci sarà dopo, ma molto dopo, quindi ti chiedo di armarti di
pazienza e di aspettare, finora non hai letto niente.. J grazie per tutto e alla prossima!!
Dolcekagome:
oh
Santa MeH, con tutti questi bei complimenti mi fai piangere, davvero
secondo te mi merito gli urli alla MJ, le lusinghe sulla descrizione
della divinità di Michael, lo stupore,
l’iperventilazione, e le frasi in napoletano?? T.T oh, mio dio, sono
così felice, sei proprio una Kagome dolce e sincera, e non
è vero che potrei improvvisare in napoletano, nun ce riesco, me dispiace, ma mea
patria est Urbem!! *_* ehm, scusa per l’uscita in latino,
ritorniamo a noi: mi dispiace ma la sorpresa non è stata un
bacio, prova a pensare a qualcosa di più bello e
inaspettato, ah, e pensa anche alla situazione che si verrà
a creare tra Katie e Joe, (manco a fallo apposta se chiamano
così,ho messo
i nomi a caso XDDD) dai, non è difficile, lo so, pensa,
pensa… ^O^ kai grapheis…
P.S. : l’uscita stavolta
l’ho fatta in greco, significa “e scrivi”
=)
Grazie
per la recensione e, lo posso dire,
la mia Katie ha sempre ragione!!!
*ççççç*
Monyprincesslovett:
oi
salve, come va, ciccia??
Grazie per esserti presa un colpo per Michael, il mio intento era
proprio quello, vuol dire che sono stata brava, grazie amoruccia,
grazie ancora!!!
*ççç* **Claudia salta addosso al
piccolo Michael intento a cambiarsi d’abito** ehehe , io sono
cattiva, molto cattiva, e ti lascerò con il dubbio fino alla
fine della scuola, per Katie intendo, e allora lì si che
capirai tutto, ihihihihi *-*
Ma
davvero ti faccio ridere così tanto, stai scherzando per
caso???? O.o tutto
ciò che pensa Fiordaliso è tutto a cui la mia
mente malata arriva per prima, cioè, non ci penso nemmeno,
è quello il bello, sono comunque contenta che ti piacciano
le mie cavolate xD
Grazie
ancora per i complimenti, Mony, ci vediamo al prossimo capitolo, che in
realtà è la seconda parte di questo, ciaoooooo !!!
Come
sempre alla fine di ogni interminabile capitolo (questo era
lunghissimissimo o_o) ringrazio tutti quelli che hanno letto, se ne
sono fregati, sono capitati per caso sulla mia storia , insomma tutti quelli di Efp
(comprese due persone molto sospette che conosco io e che sicuramente
sanno che sto scrivendo di loro J) e vi
saluto al prossimo capitolo, ragazzi, ciao e divertitevi!!!!! by la vostra Looney Queen (la Matta
è più corretto
ù_ù ndTutti)
*Grrr è_é*
|
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Capitolo 7 *** Luci celate (Comincio a sentire puzza di bruciato tra i banchi di scuola ..-Seconda parte) ***
Luci celate
(Comincio
a sentire puzza di bruciato tra i banchi di scuola…-Seconda
parte)
Non
poteva credere a tutto ciò.
Era
tutto maledettamente impossibile.
Cioè,
non poteva provare simpatia per un professore, uno degli individui che
detestava di più, e per giunta di matematica, la materia
più inutile e pallosa di tutte quelle che insegnavano in
quel cadente e obsoleto istituto, no, non era possibile tutto
ciò, impossibile!
Eppure
c’era qualcosa che la fermava, invece di controbattere
violentemente, arricchendo le ingiurie di colorite parolacce create per
l’occasione, se ne stava lì, seduta composta sulla
sedia con le mani in grembo e la testa bassa per nascondere il vistoso
rossore che le attanagliava le guance e anche la lingua.
Non
sapeva più cosa dire.
Era la
prima volta che le capitava una cosa del genere.
E
tutto per colpa di un professore di matematica bastardo e nazionalista
fino alla nausea.
O era
quello che il cervello cercava di far capire al suo tormentato cuore?
“Signorina
Villa? Qualcosa non va, è tutto a posto?”
“Eh?”
Katie
si destò dalla sua riflessione e si guardò
intorno spaesata: tutti i suoi compagni la fissavano torvi, compresa
Sandy, ma il suo sguardo era più preoccupato che ostile.
Uno
sguardo totalmente diverso invece se lo trovò dritta davanti
a sé, a nemmeno tre centimetri del suo naso: due piccoli e
luminosi pezzi di cielo, incastonati in un viso marmoreo e
imperscrutabile, l’avevano rapita dal mondo reale e due buchi
neri vibranti come diapason la attiravano a loro.
Nel
profondo di quelle pozze turchesi si sentiva prigioniera di
un’entità sconosciuta e a primo impatto spietata;
ma allo stesso tempo le donava sicurezza ed estasi, come se
quell’inquietudine fosse la chiave per un piacere maggiore e
mai provato prima.
Era
bello galleggiare in quel mare tempestoso, lasciarsi trasportare dalle
onde gonfie senza tregua, annegare dolcemente, eliminando dalla mente
tutti i pensieri più affannosi e pesanti.
Si
sentiva libera finalmente, libera da ogni costrizione, da ogni sopruso,
offesa o timore.
Tutta
colpa di quel mare in burrasca, potente e piacevolmente mortale, nel
quale era scioccamente affogata.
“Vi
ho chiesto se va tutto a posto, state bene, signorina?”
“Ah…
Sì. Sì, sto bene”.
“Sul
serio? Dalla vostra faccia non si direbbe, perdonatemi ma sembrate uno
zombie appena uscito dal suo sepolcro!”
“Oh,
ma non si preoccupi, mi piacciono gli zombie, non mi fanno paura. E poi
sì, ha ragione, delle volte mi blocco e divento come una
morta vivente, mi scusi ancora!”
“Sicura
che non avete bisogno di qualcosa? Che so, un bicchiere
d’acqua, una tisana, un the, non volete nulla?”
“Le
ho detto che sto bene, non si preoccupi per me, dopotutto non sono
svenuta o altro, sto benone…”
Quel
botta e risposta con il signor Johnson le avevano tolto le energie,
compreso lo sguardo ipnotico di poco prima, sapeva di esser diventata
pallida e sudava incessantemente, ma non voleva che il nuovo insegnante
dovesse prendersi delle responsabilità il suo primo giorno
di servizio presso quella scuola, e soprattutto con lei,
la
Mangiatrice di Prof più famigerata di
tutta Beverly Hills.
Forse
a Chicago tipe come lei non esistevano o semplicemente i prof
guardavano da un’ottica diversa le loro alunne più
ribelli.
“Va
bene, per stavolta passi, ma se un altro di questi giorni vi vedo in
difficoltà, qualsiasi sia il genere di
difficoltà, io vi soccorrerò immediatamente,
nonostante i vostri rifiuti e le vostre suppliche, per tutto il tempo
che voi ed io staremo in questo istituto. Vi sta bene?”
Oh,
dio santissimo, non solo la lusinga e la loda per il suo aspetto e per
il suo comportamento in aula, ma si offre addirittura di aiutarla se ne
avrà bisogno e senza alcuna ricompensa!
Ma da
dove è sbucato questo?
Sicuramente
non da una fogna, né da una malfamata periferia del Nord.
“S-sì…
Sì, come vuole lei, signor Johnson”.
“Chiamatemi
Joe. Johnson è troppo pomposo e formale, non mi piace essere
ritenuto tale”.
“Oh,
allora okay. Grazie… Signor Joe”.
“Grazie
a voi”.
Quel
volto.
Quel
sorriso.
Quei
denti troppo perfetti, quegli occhi troppo belli e azzurri le rimasero
nella testa per tutta l’ora successiva, erano diventati una
persecuzione, ogni volta che si girava verso la cattedra scorgeva la
sua chioma mandare bagliori dorati nella sua direzione, come se stesse
cercando di dirle qualcosa, come un messaggio in codice.
Era
attratta da quella persona.
Da
quegli occhi, da quei gesti così puri e sinceri che era
impossibile imputare ad un uomo dall’aspetto così
serio, membro di un corpo docente qualificato e attento alla disciplina
degli studenti.
E per
giunta si chiamava come la persona che odiava più di tutte,
insieme all’altro bastardo del padre, entrambi da rinchiudere
a Guantanamo per l’eternità.
Se non
l’hanno già fatto.
Eppure
era lì, seduto di fronte alla cattedra e discuteva
animatamente, radioso come il Sole all’alba, ogni cosa che
veniva catturata dal suo sguardo, seppur insignificante e ima agli
occhi inesperti della gente, con lui si illuminava di una luce nuova e
diventava improvvisamente la cosa più importante per tutto
il genere umano e per egli.
Katie
sussultò dalla sedia, stupefatta dalla sua inaspettata
riflessione.
Ogni
cosa toccata dal quegli occhi, seppur ima e insignificante agli occhi
inesperti della gente, con lui si illuminava di una luce nuova e
diventava improvvisamente la cosa più importante per tutto
il genere umano.
E per
egli.
Oh,
cazzo, non dirmi che sta succedendo la stessa cosa anche con me!
Era da
tanto che non mi svegliavo così fresca e riposata, almeno da
due mesi, forse il pungente caldo autunnale fa bene al mio corpo ed
anche alla mia salute mentale contrariamente a ciò che si
può pensare, amo il caldo soffocante e il sudore che mi cola
sulla fronte, un newyorkese non potrebbe certamente dire la stessa
cosa!
Quando
scesi giù in cucina, un po’ barcollante e con gli
occhi ancora appiccicati dal profondo sonno, trovai come al solito il
mitico Fernando col grembiule a fantasia animaleur che gli avevo
regalato per il suo ultimo compleanno, affaccendato di fronte ai
fornelli come una brava massaia.
Mi
appoggiai alla maniglia della porta, incrociando le mani dietro la
schiena, e lo osservai mesta.
Mi
faceva pena, in un certo senso, vederlo così, costretto a
sopportare due donne nella medesima casa che si azzuffavano senza
tregua e poi facevano pace, il tutto milioni di volte al giorno,
pretendevano di essere servite e riverite come le mogli di sultani
arabi, non davano il minimo aiuto in casa e quel che era peggio, non
veniva neanche pagato.
Va
bene, sto esagerando, io e mia figlia non siamo così
selvatiche, quando possiamo cerchiamo di rendere la vita meno
complicata alla nostra fantastica colf e poi è stato
Fernando il primo a dire che non aveva la minima intenzione di
accettare denaro da me, lui lavorava per noi solo per tenere occupate
le sue giornate e poi amava rendersi utile.
Non
l’abbiamo mai biasimato per questo, in fondo è lui
che sceglie di vivere nel modo migliore.
Quell’oggi
però, non ce la facevo a guardarlo svolazzare per la cucina
indaffarato e preoccupato e perciò mi staccai dalla manopola
d’ottone dell’ingresso per andargli incontro, lo
salutai allegramente e cercai di accaparrarmi il posto di Aiutante del
Maggiordomo, un posto ambitissimo, che non era mai stato riservato a
nessuno in tutta la storia della mia e della sua famiglia.
Quel
giorno, però, c’era aria di cambiamenti
nell’aria.
“Hola,
Fernando, ben alzato, come stai, hai passato una bella nottata, mi
sembri così distratto, che ti è successo, forse
il troppo lavoro ti da alla testa e dopo un po’ non ti si
connettono più le sinapsi nervose? Aspetta un secondo che ti
aiuto io con quel caffé, la tua distrazione lo sta facendo
volare fuori dalla finestra per l’esasperazione, tra un
po’ se ne ritorna in Messico dai suoi parenti, credi a me! E
poi, queste…”
Indicai
ciò che mia figlia odiava mangiare di più a
colazione, le mitiche tortillas che Fernando ci chiedeva sempre di
ingerire, essendo a suo parere molto digeribili.
Con la
piccola belva però, nulla che fosse messicano era dietetico.
“…
È meglio che le fai sparire dalla circolazione, Katie non le
sopporta e se per caso scopre che ci sono è capace anche di
mangiarti vivo come Bugs Bunny mangerebbe una carota, ne sono
più che certa, fidati della tua Fiordaliso!”
Sotto
gli occhi increduli del povero Fernando mi misi a saltellare per tutta
la cucina, sembravo Mary Poppins in pigiama versione latino americana,
cercando di aiutarlo come meglio potevo preparando a
modo mio la colazione e lui, che non riusciva a dire niente
di fronte alla mia incontenibile vitalità mattutina, mi
stette a guardare per un bel po’, rassegnato dalle mie
improvvise premure.
Stavo
giusto spolverando il tavolo per togliere tutte le briciole che i
biscotti di cioccolato sgranocchiati dalle mie voraci mascelle vi
avevano lasciato, quando sentii dei boati provenire dalle scale, come
se ci fosse stato un temporale dentro casa, e mi apparve Katie, in
tutto il suo splendore, lavata e vestita, zaino in spalla e un sorriso
così grande che andava da un orecchio all’altro.
Dalla
sua espressione si capiva da un miglio che non voleva perdere tempo in
moine inutili, aveva qualcosa di particolarmente importante da
sbrigare.
Perciò
salutò calorosamente sia me che Fernando, bevve un
po’ di caffé freddo rimasto nella caraffa, (una
delle poche sostanza eccitanti che le era permesso consumare insieme
alla Coca Cola e al the freddo) ci salutò ancora una volta e
sparì nell’atrio, diretta al portone di noce, che
si chiuse pesantemente sotto la sua energica spinta, lasciando me e
Fernando esterefatti come struzzi.
Non lo
dava a vedere ma mia figlia era una ragazzina dalla muscolatura
allenata e sapeva rendere la mano di chiunque un mucchietto di argilla
bagnata, il bello è che non sapeva controllare tutta questa
forza, quindi il più delle volte incappava in episodi
imbarazzanti come quello del Natale scorso, quando passeggiavamo tra la
calca festante di Hollywood ed incontrammo un
mio amico; (uno degli amici di Michael, in verità,
forse me l’aveva presentato a qualche incontro
segreto, chissà…) naturalmente pensavo
che Katie si sarebbe controllata nello stringergli la mano, ma come al
solito parlo ad un muro, non ad una ragazzina di tredici anni,
cosciente dei propri limiti fisici e morali, e perciò
dovetti sorbirmi gli strilli del pover’uomo dalla mano
sfracellata, nonché un infinito monologo alla Black Pete*,
con tanto di gesti teatrali e scansione delle battute degne di un
attore professionista.
Beh,
dopotutto eravamo a Los Angeles, la Fabbrica
degli Attori per eccellenza, chi non lo era, seppur nascondendo
magnificamente la sua vera identità?
I
misteri da noi sono sempre molti e stuzzicanti, e non ci si annoia mai!
A
proposito di noia, appena Katie uscì di casa tutta
indaffarata per correre a scuola con un’idea a me sconosciuta
che gli frullava nella testa come l’elica di un elicottero,
decisi, secondo le mie secolari abitudini, di prenderle
in prestito uno dei suoi magnifici dischi dalla sua aulica
collezione, dopotutto non sarebbe tornata prima delle cinque dalla
scuola, calcolando anche le possibili soste a casa di amiche o a punti
di ritrovo, avevo tutto il tempo che volevo e non poteva riprendermi in
nessun modo, quindi corsi su per le scale facendo i gradini tre a tre
ed entrai nella sua stanza, dirigendomi verso il piccolo altarino che
lei aveva creato per custodire gelosamente tutti i dischi di Michael,
compresi quelli incisi con i fratelli e, in preda ad una feroce
indecisione in mezzo a tutta quella meraviglia, vi rimasi un
po’ di fronte, al fine di scegliere il 33 giri che si
addiceva di più al mio umore, era anche un bel modo per
iniziare bene la giornata e lo facevo sempre quando Katie era impeganta
con le lezioni!
Così,
tra l’insuperabile Thriller e il precedente Off The Wall
scelsi Off The Wall, non so il perché della mia scelta, ma
quella mattina mi ispirava tantissimo, era un album quasi
d’esordio, messo in ombra dallo splendore artistico di
Thriller, ma pur sempre emozionante, carico di sentimento e grande
creatività come tutti i capolavori lasciati da Mike.
Ridiscesi
le scale saltellando e felice come Willy il Coyote che è
finalmente è riuscito a catturare Road Runner, misi il disco
nel grammofono e posizionai la puntina, trepidante.
In
breve la musica partì e io mi lascia completamente andare
dalla sua irrefrenabile magia, in Off The Wall c’erano
canzoni vivaci e movimentate dallo stile puramente disco e R&B
come Rock Whit You o Don’t Stop ‘Til You Get
Enough, oppure se si vuole andare più sul lento e struggente
c’era She’s Out Of My Life, quella che Michael non
riusciva mai a finire di cantare perché gli veniva da
piangere sempre verso l’ultima strofa.
Era
così bello quando piangeva, non aveva paura di farlo ed in
ciò stava la sua più grande forza, mi faceva
tenerezza e mi ricordava quei momenti di tanto tempo prima: la notte
del vicolo, la attanagliante tensione provata in
quell’orribile posto, la mia adulta consapevolezza di dover
proteggere quel bambino dal crudele mondo dove vivevamo entrambi, ma
anche il giorno della mia partenza da casa sua, quando mossi dai
sentimenti più profondi delle nostre anime ci mettemmo a
piangere insieme e smettemmo insieme, abbracciati, senza parlare,
asciugandoci le lacrime a vicenda, come due fratelli gemelli costretti
a separarsi dopo una vita passata in simbiosi, ma consapevoli di una
riunione futura.
Mio
padre soleva ripetermi sempre una frase, accadeva soprattutto quando
ero triste o preoccupata:
“I
momenti più tristi nascondono anche delle inaspettate
gioie”.
Ed io
quella gioia l’avevo trovata.
Una
gioia di nome Michael.
Quella
mattina però valeva anche il detto “Parli del
diavolo, ne spuntano le corna”.
Infatti,
stavo giusto arrivando al limite del divertimento concesso alle donne
sopra i trent’anni come me, che sotto il frastuono che avevo
creato, sentii il distinto suono del campanello dell’ingresso
il quale si ripeté incessantemente per circa cinque minuti,
come se qualcuno avesse incollato il proprio indice al bottone di
fianco alla porta di casa.
In men
che non si dica, vidi sfrecciare Fernando sulla rampa di scale dal
piano di sopra fino all’androne, ancora col grembiule
leopardato indosso e i capelli brizzolati tutti scompigliati, forse era
uscito per raccogliere il bucato dalla terrazza e tirava un bel
venticello dall’oceano.
Ma la
cosa che sentii tirare di più furono i suoi sbraiti contro
di me, che cercavano di superare la musica assordante e i miei
schiamazzi.
“Accidenti,
Fiordaliso, smettila di saltare sul divano come un canguro e abbassa
quel maledetto volume, forse non te ne sei accorta ma hanno appena
suonato il campanello, potrebbe essere chiunque,
quindi ti conviene darti una sistemata prima di subito, altrimenti sai
che figura facciamo!”
“Ma
dai, Fernando, rilassati, chi vuoi che sia a quest’ora del
mattino? La solita pubblicità del lunedì per
iniziare bene la settimana oppure qualche furbetto che vuole farci uno
scherzo o la signora della casa di fronte che ci viene a chiedere un
po’ di zucchero per il caffè, in fondo, chi si
alzerebbe alle otto di mattina per venirci a trovare?”
“Sicuramente
non le donne come te, cara.
E
abbassa questo volume, mi stai spaccando i timpani!”
“Uffa,
che noioso che sei, solo per un po’ di sano rumore ti alteri
subito, sembri mia nonna”.
Dovetti
abbassare proprio sul punto più bello di Rock With You, ma
decisi di tenerlo ad una frequenza abbastanza gradevole,
cosicché si creasse un po’ d’atmosfera
ad effetto.
Scesa
dal divano, infilai le pantofole rimaste ai suoi piedi e andai ad
aprire saltellando, insieme a Fernando che continuava a guardarmi torvo
come un avvoltoio fissa un cobra all’attacco.
Okay,
non ero molto presentabile ma in fondo che me ne importava, in quel
quartiere mi conoscevano tutti, perciò non dovevo
preoccuparmi delle facce sconvolte e degli apprezzamenti velenosi
contro il mio abbigliamento.
Appena
aprii la porta però, mi rimangiai tutto quello che avevo
detto e pensato fino ad allora.
Perché
davanti a me, ritto sullo zerbino, non c’era il postino o la
vicina rompiscatole o comunque nessuno.
Tutt’altro,
mi trovai davanti agli occhi un sorriso così bello e radioso
che al confronto il Sole mi sembrava una lucciola, tutto il resto della
persona era quasi impossibile scorgerlo, illuminato dalla tenue luce
del Sole appena sorto e dalla sua lucentezza interna, simile a quella
di una supernova.
Poi
però quel sorriso si afflosciò, lasciando il
posto allo stupore più totale.
Michael
guardava me e Fernando come due malati di mente rinchiusi in una casa
disabitata dimenticata da tutti, dondolava leggermente sui tacchi delle
scarpe e notai che teneva le mani dietro la schiena come per nascondere
qualcosa.
Per
niente intimorito si avvicinò di un passo e riprese il suo
sorriso iniziale.
“Oh,
scusate per l’intrusione, deve esserci stato un errore,
questa è la casa della signora Fiordaliso Villa oppure hanno
inaugurato un nuovo zoo e non me l’hanno detto?”
Si
mise a ridere sommessamente, sembrava una cascata di campanellini che
rimbalzavano tra le nuvole del cielo, un suono forse più
bello della sua già splendida voce.
Ero
così ubriacata da quella magica risata che per un attimo non
ci capii più niente e Fernando dovette scrollarmi per una
spalla.
Come
metodo fu abbastanza efficace e contribuì al mio totale
risveglio, dopodichè domandai a Michael il perché
della sua battuta.
Lui
rise di nuovo, celestiale.
“Ma
come, non vi siete guardati prima di aprire la porta? Sembrate appena
usciti da un safari in piena Africa!”
“Oh,
ma a dir la verità non è
come…”.
Finii
lì il mio discorso notando terrorizzata il grembiule
leopardato di Fernando e la sua criniera sale e pepe al vento, poi
guardai il mio pigiama di seta zebrato con i calzoni lunghi e la
canottiera a spalline sottili e ricami di pizzo rosa confetto sul
corpetto e sul bordo del pantaloni, vestaglia coordinata in seta e per
completare il tutto le pantofole di Mickey Mouse ai piedi e i grandi
bigodini
rosa in testa dai quali usciva qualche ricciolo ribellatosi alla morsa.
I
capelli erano la mia fissazione più grande, non erano delle
morbide molle nere come quelle di Katie, che se si tiravano e poi si
lasciavano ritornavano al loro posto in meno di un secondo, ma delle
orrende onde di petrolio alle quali non davo mai pace: in casa avevo
sempre i bigodini in testa e non me li toglievo mai se non prima di
uscire.
Il
motivo per questo massacrante trattamento contro i miei capelli era
semplicissimo: non sopportavo che la figlia di una donna di colore
americana avesse i capelli lisci come spaghetti o leggermente mossi,
naturalmente era una sciocchezza e non potevo in nessun modo cambiare
la natura dei miei capelli, ma mi faceva sentire più vicina
alla mia terra da parte materna, alla mia gente, al
mio mondo.
Oh,
Michael, invece non aveva questi problemi, i suoi riccioli erano
così ben tagliati e definiti, ad ogni loro leggero movimento
diventavano delle spirali perfette, mi facevano diventare matta per la
loro rilassante bellezza, ogni cosa di lui mi faceva diventare
matta…
“Forse
è meglio che ti prenda un bel caffé, Fiorellino,
mi sembri leggermente appassita o
forse stai ancora nel mondo dei sogni?”
Era
successo un’altra volta, Michael con la sua inebriante
perfezione era riuscito ad incantarmi di nuovo, senza sbattere le
ciglia (quel gesto così semplice e abitudinario mette KO per
quasi mezzo minuto il mio povero cuore).
Adesso
invece grazie alla sua voce mi ripresi un pochino, anche se sarebbe
stato impossibile parlare con lui senza svenire almeno una volta.
Con la
faccia da panda addormentato che mi ritrovavo, lo rassicurai a modo mio.
“Oh,
tranquillo Mike, sto benissimo, ho solo avuto un momento di…
smarrimento, sì, smarrimento, non so come sia potuto
succedere ma per un attimo non sono riuscita a far funzionare bene il
cervello, scusami!”
Michael
lasciò cadere la testa sulla spalla destra e mi
guardò perplesso, meravigliosamente sperduto.
“Ah
capisco… Sai ogni tanto accade anche a me, non mi ricordo
più dove mi trovo e allora comincio a delirare ma poi mi
passa subito”.
“Sul
serio?”
“Certo,
anche le stelle di Hollywood e dintorni hanno a che fare con piccoli
problemi quotidiani, cosa credi?”
“Ehi,
non scaldarti tanto, ti credo eccome! Comunque, sei solo, vuoi entrare
dentro?”
Mi si
stavano gelando le braccia e i mignoli dei piedi, ed inoltre non volevo
lasciare il piccolo Michael a morire di freddo sulla mia veranda, aveva
fatto un bel po’ di strada per venire nell’isolato
dove abito e poi intuii che volesse dirmi qualcosa di abbastanza
importante.
“Oh,
certo, ma che stupidi, stiamo qui a parlare mentre tira un vento
pazzesco! Ah comunque, sì, sono solo e mi piacerebbe tanto
entrare nella tua accogliente casetta, ma prima…”
Tolse
le mani da dietro la schiena e mi ritrovai davanti il naso un mazzo di
bellissimi fiori blu come il cielo che avevano un’aria molto
familiare.
“Devo
darti una cosa”.
Mi
sorrise, decisamente emozionato.
Notai
la sua silenziosa battaglia interiore contro l’assillante
timidezza e perciò cercai di aiutarlo nel migliore dei modi,
come per esempio, facendolo sentire a suo agio, anche se pure io ero
sorpresa e senza parole.
Era
impossibile spiccicare qualcosa in quel
momento, anche per un pappagallo chiacchierone.
“Ma
questi…”
Presi
il semplice e raffinato incarto dei fiori tra le mani per annusare la
loro aroma e per osservargli meglio da vicino.
“…Sono
fiordalisi. Oh, Michael,
perché l’hai fatto, non dovevi sul serio, sono
troppo belli per… per una come me”.
Ero
rimasta veramente senza parole, non meritavo assolutamente tutto
ciò che Mike stava facendo per me negli ultimi due mesi, a
cominciare dalla bellissima cena e dalla misteriosa sorpresa, il cui
ricordo era ancora vivo e palpitante dentro di me , inglobato dal mio
cuore e impossibilitato a scappare.
Nonostante
la tensione che traspariva da tutta la sua persona, ed anche da me, lui
mi si avvicinò ancora di più e mi
guardò amorevolmente, uno sguardo che avrebbe fatto
sciogliere anche un’iceberg della Groenlandia.
C’era
riuscito, dell’iceberg era rimasta solo una insignificante
pozzetta d’acqua che stava pian piano evaporando per il
troppo calore autunnale ed anche per un altro motivo ben evidente.
“Tu
ti meriti tutto ciò che di più bello esiste in
natura, Fiorellino, perché tu sei una di loro. Naturalmente
ho scelto i fiordalisi perché mi ricordavano te e il tuo
nome, ma qualunque fiore tu riceva ti si addice meravigliosamente.
E poi,
a dirla tutta…”
Abbassò
la testa, visibilmente arrossito dalla mia espressione estasiata che
non dava pace al suo bellissimo viso.
“…
Anche se non avremo mai una relazione impegnata né altri
tipi di rapporti che possano provare la nostra complicità
sentimentale, beh, ecco…”
Si
vedeva da miglia che era agitato dalla situazione, poverino,
già gli era costato regalarmi quei magnifici fiori senza
imbarazzarsi e tentare di sparire in uno dei tanti cespugli sempreverdi
del giardino, ed adesso stava cercando di dirmi ciò che
più premeva sui suoi sentimenti più profondi.
Tirò
un lungo sospiro e mi guardò, teso ma risoluto.
Io
trattenevo il fiato, ero diventata più rigida di un palo del
telefono pieno di piccioni dispettosi pronti a lasciarti un bel ricordo
della loro permanenza.
“…
Io… Io ti considero una donna molto…”
“Molto?”
Ecco,
ci siamo, farò saltare in aria la fatidica rivelazione per
via della mia mancanza di tatto, delle volte sono proprio una imbecille
bella e buona, mi vergogno di me stessa!
“Molto…”
Sospirò
, stavolta riempendo per bene i polmoni e poi espellendo tutta
l’aria in eccesso.
Accidenti,
qui le cose si fanno serie, si vede che l’annuncio deve
essere davvero solenne per avere tutti questi tentennamenti, ma tutto
sommato è meglio così.
Vuol
dire che ciò che vuole dirmi viene veramente dal cuore e non
ha nulla di falso come invece i congegnati discorsi di certa gente
disposta a tutto per il potere, anche coprendosi di pura infamia.
In
quel frangente però l’infamia non esisteva.
Michael
non era uno di loro.
Non lo
era mai stato.
“Affascinante!
Ecco l’ho detto”.
Bene,
stavolta le mascelle mi caddero per terra dalla stupore e dalla gioia.
Non
poteva essere vero, Michael Jackson,
il cantante pop più famoso dell’intero universo,
vincitore di otto Grammy Awards con un solo album, detentore del record
di dischi venduti negli ultimi dieci miliardi di anni, possessore di un
patrimonio ineguagliabile, con cento e più ragazze che gli
ronzavano incessantemente intorno, tutte belle e raccomandate, pronte a
tutto pur di sfondare nel mondo dello spettacolo, si era svegliato
prestissimo e senza pensarci due volte, era venuto a casa mia, di una donna ricca ma brutta, che
non ha niente di bello se non la sua modesta prole e una belva come
maggiordomo, per dirmi che mi trovava… affascinante.
Affascinante.
Non
carina, accettabile, ruota di scorta, sproporzionata, obesa, brutta,
orribile, ma affascinante.
Anzi molto affascinante.
Oh,
mio Dio, tutto ciò non può essere vero, quello
che ha appena pronunziato il tuo messaggero più illustre non
può corrispondere alla realtà.
È
sicuramente frutto della mia fervida immaginazione, dai, è
assolutamente fuori dal normale, no, non può essere
possibile, inconcepibile, senza senso…
“Lo
so che ti ho decisamente scombussolata con la mia affermazione,
Fiorellino, ma non ti sembra un po’ esagerato ciò
che stai facendo?”
“Perché
cosa sto facendo, caro Michael, luce dei miei ciechi occhi?”
“Non
ci crederai, ma ti sei inginocchiata con le mani giunte e lo sguardo
perso oltre l’orizzonte, come se stessi venerando qualcuno o
qualcosa”.
“Davvero?”
“Non
ci tengo a dirti bugie, lo sai”.
Sapevo
di doverla evitare eppure lei era sempre in agguato: la famigerata
Figuraccia non mi risparmiava neanche per mezz’ora e ogni
cosa che combinavo o ogni persona che incontravo, per lei erano dei
pretesti per umiliarmi di fronte alla dura e ignorante
civiltà della West Coast, che seguivano la saggia Cultura
del Body Building e la Dottrina
delle Onde.
Naturalmente
per gli episodi più ghiotti serbava tutta la sua
più infida cattiveria.
Quello
però era stato il limite.
“Oh.
Ah… Ecco, non è come sembra, cioè
sì, mi ero messa in ginocchio perché pensavo di
aver sporcato le pantofole e visto che tengo moltissimo a loro e alla
loro eterna pulizia, stavo pregando il Signore affinché
mandasse un suo suddito addetto alla purificazione dal Malocchio e
dalle macchie peccaminose come quelle di gelato o Coca Cola, o ancora
meglio, alcolici vari, benzina e chi più ne ha
più ne metta… Si vede che mi sono lasciata troppo
prendere dalle preghiere e non mi rendevo più conto di
ciò che stava accadendo intorno a me, ma sto benissimo,
Michael, non preoccuparti, il mio cervello ha una garanzia di
sessant’anni senza interessi, e perciò
è ancora ben funzionante!”
Ripresi
fiato, come al solito per convincere i miei
interlocutori della mia salute mentale, riuscivo a intrecciare dei
bellissimi discorsi, pieni di espressioni elaborate e di bonaria
allegria, solo che non consideravo mai un fattore molto importante per
la ben riuscita del mio lavaggio di testa: la logicità ed
anche la razionalità.
Naturalmente
i primi ad accorgersene erano sempre gli individui colti e dalle idee
profondamente, come dire, conservatrici e razionaliste, che quindi non
vedevano di buon occhio una tipa svampita e fuori di testa come me.
Con la
restante fetta della popolazione angelina, vale a dire ispanici, afro
americani, immigrati vari e bianchi obesi ed ignoranti, la situazione
era completamente diversa: pensavano che io fossi certamente una pazza
e mi rispedivano a casa con cortesi parolacce anche in diverse lingue
(una volta addirittura in giapponese!) ed io non potevo far altro che
obbedirgli.
Con
Michael invece era tutto diverso.
Lui
non sa cosa significhi la parola
“serietà”: ogni cosa che fa, ogni
canzone che scrive, ogni coreografia che produce la sua infinita
creatività sono frutto di una mente geniale ed infantile, di
una persona disposta al divertimento e alla spensieratezza, ritmi
irrefrenabili che trasportano nella loro forza di vivere significati
profondi e mille sfaccettature di un successo planetario ed
inaspettato.
Tante
di quelle persone colte che considerano il sapere come unica fonte di
sostentamento per tutto il genere umano, secondo me non hanno mai
ascoltato un brano di Michael, l’hanno sempre ripudiato nei
peggiori posti dell’universo come una scomoda
verità.
Evidentemente
non vogliono far capire alla propria allenata mente che stanno facendo
uno sbaglio incredibilmente grande e irreparabile.
“Oh,
va bene. Ma se per caso ti succede un’altra volta di dover
pulire le tue splendide pantofole dal male del mondo posso darti una
mano io, mi piace darmi da fare per qualcuno a cui voglio bene!
E poi
sono assolutamente fantastiche!”
Sorrise
raggiante, il mio affannato discorso aveva l’aria di averlo
convinto a sufficienza, anche se per convincere Michael bastavano un
bel gesto e un caldo sorriso.
Valeva
anche per me, naturalmente.
Con le
guance completamente rosse e le gambe che tremolavano come gelatina, mi
alzai goffamente dalla fredda superficie in marmo della veranda,
raccolsi i fiordalisi che avevo lasciato stupidamente cadere dalle mie
mani e mi raddrizzai, guardando Michael sorridente ed impaziente.
Poi
formulai la stessa domanda di qualche minuto fa, cancellata dalla mia
mente offuscata.
“Allora,
entriamo?”
“Eh?
Ah sì, sì, entriamo. Scusa se non te
l’ho detto prima, ma sto morendo di freddo, sotto ho solo una
maglietta a mezze maniche, ho preso dall’armadio la prima
cosa che ho trovato, troppa era la voglia di rivederti, e non ho badato
al venticello che fischiava fuori dalla mia accogliente dimora, non ti
dispiace se entro prima di te?”
“Ma
certo che no, Michael, sei mio ospite e poi non mi offendo certo per
queste piccolezze, anche se il galateo lo impone”.
Abbassai
lo sguardo, divertita.
Michael
sapeva sempre come metterti in imbarazzo e quel che era bello, lo
faceva senza rendersene conto.
“Il
galateo però non dice che si deve essere sempre buoni e
gentili con un meraviglioso fiore spuntato dal nulla per svegliare i
nostri pensieri addormentati e per spazzare via tutto il grigiore che
c’è nel mondo”.
Si
avvicinava lentamente a me, come una tigre che ha avvistato la sua
preda e fa di tutto per non farsela scappare e sa che dopo non
potrà più riacciuffarla.
Si
ferma a pochi centimetri dal mio viso, intento ad annusare il fresco
profumo dei fiori bagnati dalla rugiada mattutina, senza farmi
intendere ciò che gli frullava per la testa.
Alza
lo sguardo e per un attimo, la vista mi si offusca e cominciano a
materializzarsi davanti ai miei occhi tanti puntini neri e bianchi che
scendevano giù come neve e invadono tutto il mio non
più funzionante campo visivo, non riesco più a
capire dove mi trovo, solo la sua voce udibile dal mio udito ovattato,
mi fa capire che non sono in coma bensì in una dimensione
ultraterrena creata appositamente da lui per incantarmi.
“Penso
che questi fiori siano un po’ asciutti, Fiore, non li vedo in
gran forma”.
Già,
neanch’io sono in gran forma, Michael.
“Beh,
allora rimediamo subito”.
Mi
spostai nervosamente dall’ingresso, ancora scossa dal suo
inebriante profumo, che superava di gran lunga il pungente aroma dei
fiordalisi tra le mie braccia e lasciai entrare Michael, richiudendo la
porta dietro di me.
Appoggiando
la schiena su di essa lo osservai mentre si toglieva la giacca di pelle
e la appendeva nella fila sinistra degli attaccapanni: le braccia e il
collo sottili, insieme all’incantevole profilo del suo viso,
alla chioma corvina che ricadeva leggera sulla nuca con noncuranza,
alla vivace eleganza del suo abbigliamento, conferivano alla sua esile
figura una dolcezza ed una sensualità unici.
Estasiata
come sempre da tanta perfezione mi allontanai dal mondo circostante e
anche da Michael, che mi chiamava, sempre preoccupato dai miei
improvvisi decolli celesti.
Per
fortuna quella volta riuscii a riprendermi prima di fare la terza, anzi
la quarta, brutta figura della giornata e condussi Michael in
soggiorno, dove ancora il grammofono girava sulle note di Working Day
And Night, riempiendo l’ambiente di una gradevole atmosfera
disco.
Al
suono familiare che gli arrivava alle orecchie, Michael si
voltò verso di me con gli occhi luccicanti come stelle.
“È Working Day And Night,
vero? Off
The Wall, edito nel 1979 dalla Epic, come Thriller, quattro singoli in
Top Ten per settimane, picchi di vendita stellari e un pre successo
spettacolare! Mi sono divertito ad incidere
quell’album”.
Sorrise
pensando ai vecchi tempi, commosso e allo stesso tempo compiaciuto.
Anch’io
ero commossa, tutto il successo che Michael aveva avuto negli ultimi
sei anni se lo meritava, eccome.
Cercai
di fermare le lacrime che volevano uscire dagli occhi e sfregai la
manica della vestaglia sugli occhi.
Per
distrarmi, mi avvicinai al tavolo del soggiorno compreso tra il
sofà e le poltrone e vi posai delicatamente la confezione di
fiordalisi, in fondo era una scusa credibile, non avevo nessun vaso
né un altro contenitore dove posizionarli, perciò
diedi per un po’ le spalle a Michael per non fargli vedere le
mie gote umide e arrossate.
Che
stupida che ero, mettersi a piangere davanti al tuo migliore amico solo
perché una sua canzone faceva riaffiorare in te ricordi
tenebrosi e violenti del tuo lontano e straziante passato, ancora
pulsante e vivo dentro di te, una ferita profonda e aperta, mai
rimarginata e destinata a sanguinare per
l’eternità.
Tirai
su col naso e lo strofinai sulla manica della vestaglia di seta, pregna
già delle lacrime sul viso.
“Già,
è un album bellissimo, Michael, di solito lo ascolto quando
sto da sola o mi sento un po’ malinconica, mi tira subito su
il morale e allo stesso tempo mi culla dolcemente, portandomi nel tuo
mondo e con questo mezzo quindi…”
Mi
bloccai dall’emozione che sgorgava dalle mie parole, non
riuscivo ad andare avanti anche per un altro motivo e cioè,
sentivo sulle mie spalle delle ombre leggere e calde e il suo respiro
sul mio collo tremante, una sensazione piacevole e allo stesso tempo
dolorosa.
Mi
voltai per guardarlo dritto in faccia e nonostante tutto ciò
che avrebbe potuto ingannare la sua mente con il mio aspetto, gli
sorrisi senza dimostrare il minimo segno di cedimento in quegli occhi
così luminosi e misteriosi.
Ricambiò
il mio sorriso timidamente, senza parlare, mi aveva già
letto negli occhi ciò che pensavo, per lui io ero come un
libro aperto, mentre lui per me era un diamante dalle mille
sfaccettature, raro, imprevedibile, sfuggente, ma perfetto in ogni
dettaglio.
Restammo
a guardarci per un po’, dimentichi di tutto,
l’unica cosa di cui avevamo la percezione era la musica che
scivolava lenta dalla puntina del grammofono e invadeva con la sua
serica magia tutta la stanza.
Partì
Get On The Floor e l’improvviso cambio ci fece svegliare dal
nostro torpore, tutti e due imbarazzati e rossi come papaveri.
Sorrisi
nervosamente.
“Ehm…
è successo ancora, ci siamo fatti prendere dalle emozioni
come due inguaribili romantici”.
“Già,
ma a me non dispiace, fin quando non mi cacci selvaggiamente dalla tua dimora,
ogni cosa che facciamo insieme per me è unica e
speciale”.
“D-dici
davvero? Anche se ti ho accolto in un modo decisamente fuori dal
normale non sei offeso dal mio comportamento?”
Michael
sgranò gli occhi, stupito dalle mie parole.
“Ma
come puoi pensare una cosa del genere, Fiorellino, io non sono
arrabbiato con te per nessun motivo, come potrei prendermela con la mia
migliore amica, me lo spieghi per favore?”
La sua
espressione da incredula , divenne amorevole e gli occhi si colorarono
di tenerezza.
Giunse
dolcemente le lunghe dita della sua mano alle mie, facendo avvampare
anche i bigodini come spirali di fuoco e quando mi ripresi un
po’ dal quell’improvvisa vicinanza fisica mi
ritrovai i suoi occhi splendenti che si riflettevano nei miei nel
tentativo di rassicurarmi, come la Luna si
specchiava vanitosa nel Pacifico in una serata di mezza estate.
I suoi
dolci mormorii mi arrivarono dritti nelle orecchie, sentivo le sue
corde vocali vibrare, appoggiate ad esso con la delicatezza di una
nuvola.
“Mi
spieghi come faccio a prendermela con una meraviglia della natura come
te? Ogni cosa che fai, ogni pensiero che crei, non può che
essere bello e positivo. Non vedi che la gente che vive insieme a te
è felice e spensierata?
Perché
ci sei tu.
Non
far credere a te stessa ciò che non sei. Fidati, io
l’ho fatto”.
Trattenei
il fiato per tutto quel breve monologo, le sue parole erano
così vere, così pure, che non fecero altro che
rasserenare le mie tormentate meningi e il mio cuore stretto in una
morsa di rassegnazione.
Ad un
certo punto non sentii più la soave voce di Michael nelle
mie orecchie né le vibrazioni della sua gola, rimase
soltanto il leggero fruscio delle sue mani sulle mie.
Mi
voltai verso di lui, trepidante.
Non
aspettava altro che un mio sorriso convinto.
“Allora?
È tutto passato, bocciolo di rosa?”
In
quel momento avrei anche potuto svenire di fronte a lui per la
felicità, ma non so cosa mi fermasse, forse i suoi occhi
ipnotici e irresistibili, la sua pelle a contatto con la mia, il suo
alito leggero e fresco come una brezza primaverile che mi attraversava
indisturbato il profilo del viso.
O
forse i suoi modi così gentili e spontanei che avrebbero
consolato anche il dolore più acerbo e profondo.
Ma in
fondo cosa importava, tutto quello che dovevo sapere era che lui non mi
avrebbe mai abbandonata.
Mi
asciugai gli occhi dalle inaspettate lacrime e gli sorrisi come lui si
aspettava.
“Sì.
Sì, Michael è tutto a posto. Con te è
impossibile sentirsi tristi e dimenticati”.
“Oh,
anche con te, cosa credi, non sono l’unica persona veramente
sensibile su tutta la faccia della Terra.
Ti
prego però, non metterti a piangere così
improvvisamente, sai che odio vederti triste”.
Sentii
il gentile tocco dei suoi polpastrelli sulle mie gote mentre toglieva
le lacrime con estrema delicatezza e poi, per completare la sua opera
per calmare i miei tempestosi sentimenti mi stampò un bel
bacio sulla guancia, uno di quelli che lascia il segno per molto tempo.
Non
potei far a meno di avvampare al suo gesto e allora lui si
scostò da me e mise le mani dietro la schiena, segno che era
dispiaciuto e non voleva farmi arrossire ancora così
violentemente.
Dentro
di me nacque una risata, aveva una faccia troppo buffa e dolce, mi
ricordava tanto Winnie The Pooh.
Poi
notai che sulla maglietta verde che indossava c’era proprio
il piccolo orsetto giallo goloso di miele, intento a gustarsi un
invitante vaso con su scritto “Honig”.
Per
l’ironia della situazione mi lasciai scappare una ghigno
divertito e lui non poté fare a meno di chiedermi cosa mi
avesse fatto ridere così improvvisamente.
Io
glielo spiegai, con le lacrime agli occhi e piegata in due per le
troppe risa, ed quando ebbi finito lui prima mi fissò
perplesso, constatò che ciò che avevo notato era
vero, la sua bocca si piegò in un sorrisino e
scoppiò a ridere come un matto insieme a me.
Le
nostre risate si mischiavano serenamente alla musica travolgente di Off
The Wall, rendendo la stanza che ci circondava un luogo quasi etereo ed
inesistente, come l’Isola Che Non C’è,
mancavano solo i pirati, le fatine e i Bimbi Sperduti.
Wendy
e Peter c’erano e se la stavano spassando fino allo
svenimento, si erano messi a ballare, volteggiando per tutto il
soggiorno in preda a una gioia irrefrenabile, e urlavano senza ritegno.
Tutto
questo gran chiasso attirò l’attenzione di Capitan
Uncino, che con il suo vocione guastafeste irruppe nella sala senza
tante cortesie e fermò la festa improvvisata.
“Ma
che cos’è tutto questo casino? Fiordaliso, ti
avevo detto di non saltare sul divano, l’ho rassettato due
giorni fa e non sai quanto c’ho messo per risistemarlo,
quindi scendi subito e se vuoi divertiti va in camera tua per favore!
Oh, accidenti, adesso ti ci metti anche tu,
solo perché sei il cantante più famoso in
circolazione non puoi permetterti di saltellare sul mio
divano, sono stato chiaro, ragazzino? E abbassate il volume, il
giradischi si sta surriscaldando e l’abbiamo comprato nuovo solo un anno fa!”
“Per
tutti i bigodini che ho in testa, Fernando, te l’ha mai detto
nessuno che sei insopportabile? Solo
perché
ci stiamo divertendo un pochino tu prendi subito fuoco, non vedi chi
è il nostro illustre ospite, cioè, tu intimeresti
a Michael Jackson
di scendere dal nostro divano che
per giunta ha comprato la sottoscritta e impedire ai suoi passi
incantatori di calpestare il pavimento del soggiorno?”
“Certo,
per me è una persona come tutte le altre, lo sai, e poi sono
un uomo che tiene semplicemente all’ordine domestico, tutto
qui!”
“Quello
che stai cercando di farmi credere non è il tuo rispetto per
l’ordine domestico ma
semplice invidia, dillo che ti piacerebbe essere
lui, avanti, dillo!”
Indicai
Michael con l’indice, di fianco a me, anche lui aveva smesso
di saltare per ascoltare la ramanzina di Fernando, e mentre assisteva
al dibattito tra me e il maggiordomo, assunse un’aria da
finto innocente, dolcissima e incredibilmente convincente.
Sbattendo
gli occhi, si intromise nell’accesa disputa.
“Già,
chi non lo vorrebbe. Soprattutto per la grana e le belle fanciulle che
mi ronzano intorno e ti giuro, sono tante!”
Fernando
ripartì all’attacco, stavolta si riferiva ad
entrambi.
“È
incredibile, vi siete coalizzati contro di me, una frecciata simile non
me l’aspettavo proprio, cara Fiordaliso, quando hai questo ragazzino al tuo fianco non capisci
più niente, eh?”
“Ehi,
modera i termini, Gerald, anche se non li dimostro ho sempre ventisette
anni, appena compiuti per giunta!”
Michael
divenne un bimbo arrabbiato e si mise a braccia conserte, il labbro
inferiore arricciato.
Era un
attore nato, Michael, poteva anche far credere a qualcuno di essere
morto stecchito e poi saltava su divertito, di fronte a sguardi
attoniti e burlati, troppo bonari per rimproverarlo seriamente delle
sue marachelle.
Invece
con me era tutto diverso, sia dentro che fuori casa non potevo
combinare nulla che mi rimproveravano per la mia mancanza di
razionalità.
Dopotutto
però, non avevano torto, Michael poteva farlo, era famoso e
acclamato dal mondo intero e tutti lo riconoscevano come un eterno
bambino ma con me, una donna adulta, cosciente della propria
personalità e dei propri limiti, la situazione era molto
diversa.
Tutti
i continui rimproveri che dovevo sorbirmi da Fernando e da mia figlia
ne erano la prova schiacciante.
“Gerald?
Ma per chi mi hai preso, ragazzino,
io sono una persona seria e laboriosa, al contrario di te, ti basta
camminare all’indietro e improvvisare una scenata con dei
cadaveri per incassare milioni di dollari al secondo, solo
perché indossi quelli
non puoi ritenerti originale!”
Ed
indicò col robusto indice i mocassini di pelle nera che
Michael aveva lasciato ai piedi del divano, uno dei must del suo look
insieme ai calzini di pailletes e ai pantaloni a sigaretta.
Fernando
non sapeva di aver proferito l’affermazione sbagliata.
Michael
quando voleva sapeva essere molto vendicativo, era chiaro che non lo
faceva per cattiveria, ma non sopportava certi tipi di persone.
Scese
dal divano e si posizionò davanti al suo nuovo nemico, a due
centimetri dal suo viso e con almeno quindici centimetri di differenza
per l’altezza, cosicché Fernando si
ritrovò sulla sua testa gli occhi scuri e aggressivi (lo
faceva per finta, naturalmente) di Michael, e quelli altrettanto cupi e
indignati di Fernando.
Io ero
rimasta completamente immobilizzata, coi piedi che affondavano nella
soffice imbottitura del divano e osservavo la scena rapita: davanti a
me il mio maggiordomo e il mio migliore amico si stavano per sfidare a
duello come vecchi nobili orgogliosi.
Con
una punta di romanticismo pensai che la loro eroica lotta fosse per
accaparrarsi la mia fiducia e la mia più completa amicizia;
sorrisi a questo pensiero, allora i veri cavalieri gentiluomini pronti
a combattere per la salvezza della dama amata esistevano ancora.
Su
Michael non avevo dubbi ma da Fernando proprio non mi aspettavo questo
comportamento nei miei confronti!
Sospirai
e mi godetti il magnifico spettacolo di fronte ai miei occhi, due
signori che misuravano il loro amore verso di me a suon di battute e
gare di smorfie insuperabili, come colonna sonora c’era la
fantastica Girlfriend e subito dopo subentrò la bellissima
She’s Out Of My Life e mossa a compassione per quei due bei
fusti che avevo avuto la fortuna di incontrare, ed anche per la soffice
e malinconica atmosfera che s’era venuta a creare per via di
quella magica canzone, decisi di metter fine alla sanguinosa Battaglia
delle Linguacce che si stava svolgendo da ormai cinque interminabili
minuti.
Con
passo sicuro scesi dal sofà, provando a non inciampare tra i
sfuggevoli cuscini di seta, e mi intrufolai tra i due cavalieri,
allontanandoli con le braccia piantate nei loro petti.
“Va
bene, vi siete difesi a vicenda con accuse per giunta inesistenti,
è stato uno spettacolo magnifico, siete stati formidabili ma
adesso è il momento di smetterla, che ne dite di una bella
chiacchierata davanti ad un bicchiere di Coca Cola e ai mitici
pasticcini di Fernando, se non sono già finiti sono nella
credenza, li vai a prendere per favore, ah, e già che ci sei
portaci i bicchieri e le cannucce, quelle a spirale nel primo cassetto
a destra, non confondere la mia con quella di Katie che quella belva mi
divora se tocco le sue cose, ma che fai ancora qui, abbiamo un ospite
in soggiorno e tu batti la fiacca, avanti vai in cucina, da bravo, noi
ti aspettiamo qui!”
Mentre
lasciai il rubinetto della bocca aperto, spinsi Fernando verso la porta
della cucina, senza dargli il tempo di controbattere e quando fu sulla
soglia della stanza, lo mollai e tornai da Michael, un po’
spaesato dalla mia improvvisa reazione, la bocca spalancata e gli occhi
sbarrati come finestre aperte su un giardino d’estate.
“E
tu, caro, chiudi quella bocca sennò ci entrano le mosche e
poi non puoi più cantare come prima, mi capisci?”
Vedendo
me che venivo verso di lui con l’intento di cucirgli le
labbra, lui le chiuse subito con un lucchetto del quale
gettò la chiave dietro di sé, per poi rimanere
rigido come una statua mentre mi avvicinavo a lui.
Gli
sorrisi soddisfatta.
“Bravo,
sei proprio un bravo bambino”.
Con la
bocca ancora chiusa mi sorrise e mi seguì fino al divano,
dove ci mettemmo seduti ad aspettare Fernando e la seconda colazione
della giornata (almeno per noi della casa, Michael è
così sottile che secondo me non mangia niente, nemmeno a
colazione, figuriamoci se si lascia tentare fuori dai pasti da qualche
ghiottoneria!).
La
mitica governante ritornò poco dopo con il vassoio dei
dolci, freschi di giornata, la bottiglietta della Coca Cola stappata e
tre bicchieri dalla fine lavorazione, presi dal servizio in cristallo
traforato ereditato da mio padre, uno dei tanti regali
dall’Europa che popolavano la residenza di Città
del Messico, e le cannucce a spirale comprate in uno strambo negozio
lungo la baia di Santa Monica: rappresentavano tre teste di animali,
precisamente una zebra, una scimmietta e un ippopotamo, che si
attorcigliavano su di esse e finivano con un tubicino, tranne quella
della scimmietta, che al posto della testa aveva la coda che si
avvolgeva su se stessa e la testa in prossimità della bocca
del bevitore.
Mia
figlia aveva un fenicottero rosa, forse la più bella delle
quattro, perché oltre ad essere di un bellissimo rosa
tendente all’argento, riproduceva esattamente il colorato
piumaggio del trampoliere africano, con tanto di piume e penne
intagliate nei minimi particolari.
Naturalmente
quella cannuccia doveva essere mia,
ma si sa, con la propria figlia bisogna condividere qualunque cosa,
seppur a malincuore.
Appena
vide quei piccoli capolavori di legno curati nei minimi dettagli,
Michael dischiuse la bocca estasiato, aspettò che Fernando
posasse il piatto sul tavolino di vetro del soggiorno e prese con
delicatezza la scimmietta tra le mani, per poi rigirarvela
attentamente, come se fosse stata un tesoro di cui non conosceva la
stima.
Osservai
le sue dita lunghe e affusolate che esploravano la sua superficie, i
suoi sguardi attoniti di fronte a un banalissimo oggetto che per lui
diventava una nuova scoperta, un nuovo divertimento.
Michael
si stupiva di ogni novità o comunque di fenomeni che sono
comunissimi in natura ma che si ripetono solo per una stagione o anche
per un solo giorno: per esempio i temporali.
Lui
era affascinato dalle luci spettrali che illuminava tutto il paesaggio
circostante e poi come per magia si dissolvevano, il pungente e umido
profumo della terra dopo un acquazzone, le pozzanghere lasciate dalla
pioggia scrosciante nelle quali amava bagnarsi e impantanarsi, le
plumbee nuvole che correvano nervose per il cielo coperto per
annunciare l’imminente cascata.
Lui si
stupiva per così poco, eppure a me non dava fastidio.
A
nessuno dava fastidio.
Tranne
che ad una persona.
“Fiorellino…
Queste cannucce sono davvero particolari. Anzi, ancora meglio, sono
molto esotiche…”
Pensò
un po’ all’aggettivo adatto per descrivere quelle
piccole meraviglie dinnanzi ai nostri occhi.
“…E
bellissime!”
“Sono
contenta che ti piacciano. Le ho prese all’inizio
dell’estate da un artigiano messicano molto bravo che ha la
propria bottega affacciata sulla baia di Santa Monica: era affascinato
dalla natura e dai suoi abitanti, ogni oggetto che intagliava nel legno
avevano come protagonisti soprattutto animali e piante, le
più belle e particolari che abbia mai visto”.
Presi
in mano la zebra e cominciai ad osservarla distrattamente, mi piaceva
la sensazione che il legno intagliato da mani sapienti produceva sulla
mia pelle.
“Andavo
spesso da lui, una volta capitai nel momento più
affascinante del suo lavoro: stava incidendo la corolla di un fiore,
pensavo fosse una rosa, e allora lui si accorse della mia presenza e
senza tanti preamboli mi disse che io dovevo avere qualcosa di quella
rosa dentro di me.
All’inizio
rimasi un po’ di sasso, ma ripensai a mia madre, una donna di
nome Rose, a capii subito che quell’artigiano non era un
semplice artigiano, era riuscito a capire scolpendo un fiore nel legno
che io avevo con esso un rapporto di parentela, anche molto stretto.
Alla
fine scelse di regalarmi quel capolavoro e mi disse anche che ogni cosa
che gli avrei chiesto, anche la più piccola, lui
l’avrebbe fatta o mi avrebbe aiutata; da quel giorno, quando
passeggio per il lungomare nelle giornate di sole o nei pomeriggi
velati, non manco mai l’appuntamento con il mio caro amico,
che ad ogni mia visita mi fa sempre trovare qualcosa di nuovo e
ineguagliabile, come la volta che mi regalò quella
rosa”.
Guardavo
l’infinito di fronte a me, le mani ancora strette sulla
piccola zebra, adagiata sul mio grembo.
Sospirai
malinconica.
“Quell’uomo
mi ricorda tanto qualcuno che ho conosciuto tanti anni fa, ma tutte le
volte che tento di capire che tipo di persona mi trovo di fronte non
riesco mai ad afferrare la verità.
Come
se essa non volesse farsi prendere da me per paura di farmi
soffrire”.
Finalmente
tacqui e mi adagiai stancamente sul divano , sotto gli sguardi
meravigliati e attenti di Michael e Fernando, che per tutto il tempo mi
avevano ascoltato e compreso in silenzio, ma la loro presenza interiore
era forte e potevo sentirla come se fossi stata un radar e avessi
intercettato i loro sentimenti più profondi.
Rimanemmo
un po’ senza parlare, l’unica cosa che si udiva era
la voce registrata di Michael che cantava dal giradischi e creava in
quel momento una particolare atmosfera di malinconia anche se le
canzoni erano vivaci e piacevoli all’udito.
“Allora,
vogliamo cominciare? È tardi e non possiamo perdere tempo in
questo modo”.
Fernando
interruppe la strana quiete che si era venuta a realizzare con il suo
tono tenorile da uno che la sa lunga.
Prese
uno dei bicchieri dal vassoio e vi versò una consistente
dose di Coca Cola che pose di fronte a me con calma e indifferenza ma
con una punta di impazienza, fece lo stesso anche con Michael, che era
alquanto sorpreso dalla reazione del maggiordomo, come me del resto, e
la piccola porzione di bevanda che era rimasta nella bottiglia, la
travasò tutta nel proprio bicchiere, posizionandovi poi
l’ippopotamo e cominciò ad aspirare nervosamente
tutto il contenuto, finché non ne rimase più
neanche una goccia, mentre io e Michael dovevamo ancora prendere in
mano i calici.
Prese
un biscotto alle mandorle dal piccolo plateau e se lo divorò
in meno di un minuto, fece lo stesso anche con altri due pasticcini,
fissando sempre dritto a sé, un’espressione
incrollabilmente indecifrabile sul suo volto d’ambra.
Poi,
senza scusarsi né volgere una minima riverenza al nostro
famoso ospite, si alzò velocemente dal divano e in men che
non si dica, volò sulla lunga fila di scalini che conduceva
al piano superiore lasciandoci tutti e due di stucco come due
stoccafissi alla vista di un’orca assassina senza zanne, uno
spettacolo davvero desolante.
Quel
giorno non riuscivo a capire il perché di tutta la sua
tensione, di solito Fernando è un uomo molto pacato e
disponibile, non si arrabbia quasi mai sul serio e quando
ciò succede si tratta di eventi straordinari alla nostra
abitudinaria routine giornaliera.
Ma
quel giorno era particolarmente irrequieto, e quando era irrequieto
diventava anche distratto, infatti non si era ancora tolto il vistoso
grembiule, che teneva sempre sopra la sua linda divisa da valletto
casalingo.
C’è
da dire che lui odiava indossare dei luridi grembiuli sopra la propria
uniforme, secondo lui “colpisce l’orgoglio dei
collaboratori domestici, i maggiordomi non si occupano di arte
culinaria né di enologia, per quello ci sono i cuochi o i
sommelier”.
Naturalmente
non aveva tutti i torti, ma i collaboratori
domestici, come li chiamava lui, avevano il compito di
amministrare l’ordine casalingo e perciò
svolgevano varie mansioni nelle quali era inserita anche
l’arte culinaria e quella enologica, per me lo diceva
soltanto per farsi passare come un maggiordomo vittima della padrona di
casa, la quale non gli dava mai pace ed esigeva sempre qualcosa in
più, anche se tutto ciò era falso.
Fatto
sta che il repentino cambiamento d’umore di Fernando mi aveva
messo un po’ in agitazione, cercai perciò di
divagarmi nel miglior modo possibile e cioè approfittavo
della aurea presenza alla mia sinistra, che stava tranquillamente
sgranocchiando un amaretto preso dalla portata e accompagnava il sapore
amarognolo dei pasticcini con quello dolce e gradevole della Coca Cola.
Afferrai
anch’io il mio bicchiere dal tavolo e cominciai ad aspirare
il suo contenuto, girandomi impercettibilmente verso Michael, il quale
continuava indisturbato e visibilmente compiaciuto la sua scorpacciata,
a discapito delle brutte parole dettegli da Fernando nemmeno quindici
minuti prima.
Stava
iniziando a darmi fastidio quell’uomo, solo perché
avevamo un ospite illustre nella nostra povera dimora che si comportava
come se si trovasse a casa sua, non poteva prendersela così
tanto, dopotutto non era uno dei soliti forestieri che chiedeva un
po’ di ospitalità per poi ridurre la villa ad un
macello.
Perché
seduto sul divano a pochi centimetri da me, non c’era un
barbone alcolizzato, una donna di facili costumi o un latitante fuggito
da Alcatraz, no, nessuno di questi mirabili individui.
Solo
che, come mi ripeteva sempre, lui odiava letteralmente
la musica di quel magnifico decennio che stava tristemente scemando,
compreso lui, il cantante
più famoso, più bello, più bravo,
più premiato, più sexy,
di tutti gli anni Ottanta e dei decenni successivi.
Sospirai
ancora, ormai la rassegnazione si era impossessata di me e faceva a
gara con il mio orgoglio nascosto, li sentivo rimbombare dentro il
cuore mentre si scontravano invincibili, due cannoni carichi fino alla
miccia, pronti ad aprire il fuoco in qualsiasi momento.
La
scintilla che avrebbe scatenato l’inferno era prossima
all’azione, anche lei si era impossessata dei miei
sentimenti, danzava frenetica in me come fiamme di un falò
all’aperto, cercava convulsa quelle due energie contrapposte
che tentavo inutilmente di tranquillizzare.
Niente,
la morsa aumentava e nacque dentro di me un presentimento, un piccolo
embrione come quello che avevo udito svolazzare nella mia stanza la
sera dopo la cena con Michael.
Era
piccolo, ma sapeva già difendersi e mi faceva male, non
potevo far nulla per fermarlo.
Un
semplice abbraccio o un bacio non sarebbero bastati a cacciarlo via dal
mio cuore compreso il macigno che esso aveva provocato.
All’improvviso
sentii una specie di scossa, una scarica di energia incredibilmente
potente che risvegliò la mia mente dal suo triste torpore.
Gemetti
e mi massaggiai un po’ le tempie che pulsavano come il motore
di una Jaguar alla massima accelerazione, cercando di far capire alla
mia testa quale entità misteriosa avesse provocato il mio
inaspettato crollo cerebrale.
Con
mio grande stupore mi accorsi che Michael era chino su di me, la sua
mano calda sulla mia spalla, e con il tono più dolce che la
sua voce, già flebile e rilassante, possedeva naturalmente,
mi stava sussurrando all’orecchio parole cariche
d’ansia.
“Ehi,
Fiorellino, stai bene? Sei pallida in volto, hai pensato a qualcosa che
ti ha fatto star male. Vero?”
Cercai
di trovare aria nei miei polmoni sgonfi come ruote di bicicletta in una
foresta di cactus e quando finalmente la trovai, tirai un lunghissimo
sospiro, il che fece preoccupare ancora di più Michael.
Lo
rassicurai dicendogli che stavo bene e che era stato solo un momento di
smarrimento, ogni tanto mi
capitavano e non potevo farci nulla.
E
pensare che concentrarmi così tanto su una persona e sui
suoi mutevoli comportamenti mi stordiva.
Una
cosa fuori dal normale!
Per
fortuna Michael non volle sapere altri particolari sulla condizione
della mia misteriosa psiche e mi annuì convinto, seppur con
un’espressione preoccupata sul volto.
Tolse
il calore del suo palmo da me, lasciando la mia spalla al gelo della
lontananza, e dopo un brevissimo periodo di esplorazione mentale
attraverso le sue pupille indovine, che prosciugò anche le
mie ultime riserve di energia, nonché il mio autocontrollo
nei confronti della perfezione fatta persona vicinissima al mio viso e
innocentemente allettante, mi disse ciò che aveva notato
pochi minuti prima del mio risveglio.
Una
scoperta davvero insolita.
“Stavo
cercando un posto per quei magnifici fiori che ti ho portato, tu
però mi hai detto che al momento non hai vasi né
fioriere disponibili per il travaso, giusto ?”
“Giusto”.
Mi
sorrise maliziosamente, c’era una complicità nel
suo sguardo impareggiabile e accattivante.
Era
impossibile capire cosa gli passasse per la mente ma qualunque idea
potesse essere era molto originale, qualcosa a cui neanche la mia
stramba mente sarebbe arrivata.
“E
quindi stavo pensando… Che ne dici se mettiamo il mazzo
nella bottiglia vuota della Coca Cola?”
Arrivò
un sorriso lucente come diamanti alla luce del sole, socchiusi
leggermente gli occhi e cercai di ritornare nel mondo degli umani, fu
difficoltoso, ma ebbi tuttavia la forza di rispondere alla proposta di
Mike.
“Oh,
è davvero una bellissima idea, Michael, come ho fatto a non
pensarci prima io, è assolutamente, come
dire…”
“Originale?”
“Beh,
sì. Sì, Mike, è veramente
originale”.
“Sono
contento che tu la pensi come me, Fiorellino. A quest’ora,
fuori da qui, mi avrebbero sicuramente ripreso per la mia
singolarità. Ma tu sai vedere il bello in ogni cosa, ecco
ciò che mi piace di te”.
Avvertii
un leggero rossore sulle mie guance e tentai di nasconderlo,
inutilmente, chinando la testa in basso, in modo che lui non vedesse il
mio viso color porpora.
“Ah…
Ti ringrazio, Michael. Tu sei sempre così buono con me, non
ti arrabbi per nulla, sei sempre carino e affabile con chiunque.
Tutto
il contrario di me”.
“Oh,
Fiorellino, ma io non la penso in questo modo! Per me sei una delle
persone più speciali di tutta la galassia, gli altri ti
giudicano dalle apparenze, dal tuo comportamento, non capiscono
ciò che il tuo cuore nasconde veramente, mi capisci? Fai
meglio a non ascoltare le supposizioni di certa gente,
perché quello che dicono e fanno non sempre li
porterà alla fama, ma all’infamia. Mentre tu
resterai saggia e sincera, come sei sempre stata”.
Questo
minuto monologo oltre a farmi arrossire ancora di più, mi
procurò una nervosa sudorazione alla fronte e alle mani, che
non la smettevano di muoversi frenetiche sulle mie ginocchia, si
strofinavano sulla seta bianca e nera dei pantaloni e producendo un
sommesso stridore che solo io potevo udire.
Michael
stavolta non si stupì della mia reazione, rimase impassibile
e appoggiato alla spalliera del divano col gomito sinistro mi
contemplava nella mia accesa disputa con la timidezza, il suo viso era
serafico e vi sfrecciavano pensieri illeggibili, turbini di vapore
vitreo, simili a tanti cristalli di neve sul suo volto serio.
In
quel momento avrei voluto che spuntasse un serial killer da sotto il
divano e mi affettasse in due con una mannaia da macellaio, la tensione
era troppa, si stava appropriando dei miei arti e se non fossi stata
così brava a controllare le mie emozioni di fronte a Michael
a quest’ora gli sarei saltata addosso, sorda di fronte alle
sue grida e ai suoi lamenti.
Oh, ma
cosa mi diceva il cervello, io non potevo fare una cosa simile a
Michael, era contro natura, come tutto ciò che riguardava me
e lui d’altronde, io non potevo aver speranze con un uomo
così.
Non
potevo innamorarmi di lui.
No,
non potevo.
Qualcosa
mi diceva che lui mi voleva bene, mi rispettava e non mi avrebbe mai
tradito.
Ma
c’era una lumino che brillava fioco, una piccola luce che
riscaldava il mio cuore e con i suoi caldi raggi mi infondeva una nuova
idea, non un presentimento, bensì una premonizione che
riaffiorava dalle ceneri del passato e che si faceva udire, bruciava e
mi illuminava il cammino: avrei trovato io la persona adatta per
Michael, chi poteva capirlo e sostenerlo, amarlo e consolarlo.
Esisteva
un essere umano così, me lo sentivo nelle viscere.
Bastava
cercare.
Oppure
aspettare.
Qualunque
cosa sarebbe successo, io ci sarei stata.
E
Michael mi avrebbe seguito.
“Ehi,
Fiore, ma oggi cos’hai? Ogni cinque minuti ti eclissi nel tuo
mondo e non ti accorgi più di nulla, sappi che mi sto
seriamente preoccupando per te, se ti capita qualcosa io ti sostengo
nel miglior modo possibile, ma la colpa è tutta
tua!”
“Eh?
Cosa c’è, Michael, perché urli
così tanto?”
“Non
sto urlando, anzi, sto parlando a voce bassissima, sei tu che non mi
senti, sembri come… addormentata”.
“Ma
io sono sveglissima, Michael, e per giunta sto benissimo, non
preoccuparti così tanto per me, non ne vale proprio la
pena”.
“Non
dire più una cosa del genere, se sei in
difficoltà io ti aiuto e tu non fiati, anche se hai
sbagliato io ti sto vicino, okay?”
“Okay,
ma che ore sono?”
“Mh,
aspetta un secondo…”
Sbattei
lentamente le palpebre, mi trovavo in una dimensione parallela,
sconosciuta alla nostra, e quel che era peggio non riuscivo a ritornare
indietro: la bellissima atmosfera che la delicata voce e le gentili
movenze di Michael avevano magicamente prodotto intorno al mio corpo
appesantivano la mia mente contro un muro di estasi impareggiabile.
L’unica
cosa che sentivo era la sua voce e ciò che vedevo si
restringeva al soffitto del soggiorno con l’imponente
lampadario in stile vittoriano, le pareti bianche e cobalto
intervallate da scaffali di ciliegio dove correvano lunghe file di
soprammobili impolverati e piccole cassettiere inusate, messe
lì per decoro, insieme al pianoforte a coda, appartenuto a
mio padre e che la mia sorellastra voleva buttare via insieme a tutto
ciò che di più caro possedeva il mio genitore,
appoggiata dalla perfida e adorata mammina.
Non le
avrei mai perdonate per questo.
“Sono
esattamente le undici meno un quarto, Fiorellino!”
La
voce eterea di Michael mi ritornò alle orecchie e
spazzò via gli infausti pensieri che erano emersi dalla mia
cripta dei ricordi tristi, nella quale evitavo sempre di andare ma
alcune volte era inevitabile passarci, anche le esperienze
più buie fanno bene.
Era
incredibile, però, erano già le undici meno un
quarto?
Come
riusciva Michael a far passare così velocemente il tempo lo
dovrò ancora comprendere, ma quella mattinata è
stata allo stesso tempo la più serena e la più
angosciosa della mia vita, un caleidoscopio di emozioni, pensieri,
situazioni, tutti inaspettati e incredibilmente chiassosi che adesso si
affollavano nella mia testa e si scatenavano come ballerini di
rock’n’roll nel pieno della loro esibizione.
Mi
alzai dal divano, cercando di non sbandare, quell’oggi mi
sentivo stranamente stordita, avevo bisogno di dormire ancora, le
solite sei ore di sonno cominciavano a non bastarmi più.
Voltai
la testa verso il posto dove prima vi era seduto Michael, ma il mio
sguardo non lo trovò.
L’
ansia si impossessò di me e sorse spontanea una fatidica
domanda: dove s’era andato a cacciare
quell’imprudente?
Girai
gli occhi frenetici per la stanza, ispezionando ogni minimo angolo di
tutto il suo volume, ma non lo trovai subito, avevo la vista
decisamente offuscata dalla improvvisa perdita che avevo ricevuto.
Camminai
lentamente verso il vestibolo, se attaccato ad un pomello del lato
sinistro c’era ancora il suo giacchetto di pelle allora
significava che non poteva essersi allontanato di molto e quindi avevo
ancora qualche speranza di ritrovarlo sano e salvo.
Ma
quando posai gli occhi sulla fila degli attaccapanni non trovai solo il
suo giacchetto di pelle, ma anche lui, che lo stava indossando
disinvolto, non mi aveva notato e perciò ebbi il tempo di
riflettere a ciò che gli avrei potuto dire, del tipo
“se dovevi andartene via verso le undici per qualche
appuntamento particolare potevi dirmelo, ti avremmo
accompagnato” oppure “a casa mia, prima di togliere
il disturbo si salutano i padroni , non puoi fare come ti
pare”.
Okay,
la seconda era troppo dura, meglio optare per la prima, almeno non mi
avrebbe regalato una di quelle faccine dolci che farebbero resuscitare
anche un intero cimitero.
Oh, ma
che stupida, l’ha già fatto!
“Michael?”
Lo
chiamai a bassa voce, cercando di attirare la sua attenzione, ma avendo
constatato che con lui sussurrare non serve, utilizzai un tono di voce
più alto.
“Michael”.
Finalmente
si voltò e preparai un radioso sorriso, provando ad essere
il meno possibile offesa.
Anche
se con lui era impossibile offendersi.
“Oh…”
Era
stato scoperto, il furbetto, e tutto ciò che poté
fare fu ricambiare il mio sorriso e buttare lì qualche scusa
dell’ultimo momento.
“Eh…
Scusa, Fiordaliso se stavo per andarmene senza salutare ma ho un
impegno per l’una e mezza e visto che il punto di incontro
è molto lontano, avevo pensato di tornare prima a casa e
quindi di pranzare prima.
So che
sono stato un cafone, ho provato a chiamarti per dirti che me ne andavo
via ma tu non mi ascoltavi, sembravi sorda alle mie parole e
perciò ho deciso di lasciare un biglietto a Fernando, ma non
avendolo trovato da nessuna parte ho preso il mazzo di fiordalisi e vi
ho legato il foglietto ad uno degli steli e poi li ho posizionati nella
bottiglietta di Coca Cola sul pianoforte, facendo attenzione per non
disturbarti.
Quando
poi sono venuto qui all’entrata per andarmene, sei sbucata
dal nulla e questo è tutto.
Scusami
davvero per ciò che ti ho fatto, mi perdoni, vero?”
Era
dispiaciuto e si vedeva.
Certo,
mi aveva fatto preoccupare per la sua improvvisa scomparsa ma dopo il
suo elenco di scuse, le sue espressioni accorate, i suoi occhi
così gonfi di rimorso nei miei confronti, non potei
più pensare ad altro che a perdonarlo.
Saltellai
delicatamente verso di lui e senza troppe cerimonie lo abbracciai come
non avevo fatto prima.
Era
bellissimo sentire il calore del suo corpo che ti avvolgeva come una
nuvola di incenso alla cannella, il suo profumo era così
inebriante e indispensabile che dopo un secondo respiravi soltanto esso
e non volevi più il solito ossigeno nelle narici a
mantenerti viva.
C’era
lui e lui soltanto.
Non
t’importava degli altri perché ora c’era
lui, che ricambiava l’abbraccio un po’ stupito e ti
appoggiava il mento sulla spalla destra, inondando il tuo ego di calma
e serenità innaturali.
Ero
così felice che mi dimenticai anche di rispondere alla sua
domanda, ma penso che lui abbia capito, era speciale sia dentro che
fuori e non c’era nessun aggettivo che potesse descriverlo.
Dopo
questa surreale effusione tra me e Michael, decisi di accompagnarlo
alla sua macchina: stavolta invece della silenziosa Bentley nera aveva
una Mustang*rossa, gran bella macchina, ma decisamente fuori moda,
infatti di trattava dell’ultimo esemplare della prima serie
che fu prodotto verso gli inizi degli anni ’70.
Lui mi
spiegò che non gli interessava molto il modello del veicolo,
quel che contava era la potenza del motore e la impareggiabile classe
che possedeva una macchina d’epoca come quella.
Assecondai
la sua scelta, dopotutto aveva ragione, alcuni modelli moderni erano
inguardabili di fronte a delle meraviglie come una Mustang o una
Chevrolet, veri gioielli dell’antichità.
Rimanemmo
un po’ a parlare e scherzare, sdraiati sul freddo cofano
della veloce vettura, non volevamo lasciarci ancora e al solo pensiero
avvertivo delle dolorose fitte al petto, non se ne andavano neanche con
un abbraccio o un altro gesto affettuoso, con nulla.
Neanche
con la promessa che ci saremmo rivisti presto.
Seguii
con lo sguardo amareggiato la Mustang
mentre ripartiva suoi propri passi, poi quando svoltò
l’angolo fu silenzio intorno a me.
Silenzio
e solitudine, non c’erano altre parole per descrivere
ciò che provavo in quel momento.
Il
sole era alto nel cielo ed i suoi raggi trafiggevano
l’asfalto come la punta di una lancia scagliata da lontano,
lungo il suo profilo si intravedevano onde di vapore rovente simili a
fuochi fatui; l’oceano era una massa di azzurro che si
muoveva impercettibile all’orizzonte come le onde
sull’asfalto.
Anche
le foglie degli alberi ondeggiano al venticello fresco che si udiva da
nord, un po’ di refrigerio dopo una giornata così
afosa ci voleva proprio.
Mi
guardai un po’ intorno nel tentativo di scorgere qualche
individuo tra le infinite schiere di ville contornate dal marciapiede
bollente come una griglia: non c’era anima viva in
circolazione.
Ritornai
mogia mogia al cancello, che richiusi dietro di me, e percorsi di
malavoglia il giardino divenuto arido per la secca canicola autunnale
tipica della nostra zona.
Arrivata
in soggiorno con l’intento di farmi un bel bagno ai frutti di
bosco prima che Fernando cominciasse a preparare il pranzo, mi diressi
verso il divano, il quale assomigliava più a un campo di
battaglia marziano, misi a posto tutti i cuscini ridandogli la loro
posizione originaria e raccolsi dal tavolo il vassoio con i bicchieri
vuoti e le cannucce di legno, sistemandoli sul lavello in cucina per
poi lavarli e rimetterli a posto, poi andai in camera mia e con gesti
abili e meccanici mi tolsi tutti i bigodini che popolavano la mia
scompigliata testa, lasciando cadere sulle mie spalle ordinate file di
boccoli neri e leggeri come rondini, li riavviai velocemente con le
dita e dopo un’ultima occhiata soddisfatta al mio fantastico
aspetto ridiscesi in soggiorno alla ricerca di Fernando, il quale dopo
la scenata di gelosia nei miei confronti non si era più
fatto vivo ma ciò non mi stupiva granché, i
californiani sono molto gelosi e permalosi, devastanti come un
terremoto e pungenti come salsa piccante sulle tortillas.
Poi mi
ricordai di una cosa che non avevo avuto il tempo di constatare.
Volteggiai
raggiante verso il pianoforte di papà e ad accogliermi,
immersi in una piccola bottiglia di Coca Cola riempita fino alla
metà, trovai quei bellissimi fiordalisi che Michael mi aveva
regalato con tanto affetto: sorrisi al quel dolce pensiero, carezzando
i petali blu dei fiori dei quali portavo il nome, attratta dalla loro
serica morbidezza e dalla sana lucentezza del loro colore.
Scostai
dolcemente alcuni steli per controllare se vi era il biglietto scritto
da Michael per avvisarmi della sua partenza senza passare per
maleducato: (anche se Michael era impossibile additarlo con un
aggettivo come “maleducato”) uno strano fruscio
sotto i miei polpastrelli mi avvertì che il messaggio
c’era e dovevo solo trovare il modo di sfilarlo dallo stelo
senza rovinare la corolla del fiordaliso al quale era legato.
Perciò
mi armai di un po’ di pazienza e separato il fiore dal resto
del mazzo svolsi delicatamente lo spago al quale era legato il
biglietto, anche se avvertivo che ci fosse qualcosa di più
pesante insieme ad esso, del quale però ignoravo la natura.
Finalmente
la piccola lettera cadde sul duro legno del pianoforte provocando
però un piccolo tonfo molto misterioso, che le mie orecchie
non riuscirono ad identificare come quello di un foglio di carta caduto
su una superficie piatta, poggiai quindi il fiore che nascondeva la
sorpresa sul pianoforte e ciò che vidi mi fece rimanere a
bocca aperta: accasciati vicino al vaso improvvisato dei fiordalisi
c’erano un piccolo cartoncino d’avorio piegato a
due a mo’ di lettera e un oggetto molto particolare, rigido e
dall’aria costosa delle dimensioni di un tappo di latta, che
brillava incessantemente, mandando piccoli raggi di luce come un faro
in miniatura.
Ero
estasiata dalla sua vista ma allo stesso tempo un po’
intimorita: cosa ci faceva un oggetto del genere in quel mazzo di
fiori? L’avrà messo lì per caso o per
uno scopo preciso? E poi, era per me, un altro dei suoi regali
inaspettati?
Raccolsi
la minuta fonte di luce tra le mie mani tremanti, la osservai per un
po’ perplessa sul da farsi ed infine decisi ciò
che era meglio per me e per essa: corsi in camera a perdifiato, per la
foga quasi inciampai sui miei piedi e nella scivolosa vestaglia di
seta, quando arrivai nella mia camera mi gettai sul comodino, aprii
velocemente il cassetto delle foto, delle lettere e dei miei altri
segreti indicibili, vi appoggiai con calma trapelante la brillante
galassia sconosciuta, facendo piano per non rovinarla o scheggiarla e
richiusi diligentemente il cassetto, rimettendo la chiave nel suo posto
segreto.
Mi
accasciai sul letto, con la mente in preda a mille idee sul conto di
quella strana entità che era stata lasciata sicuramente da
Michael, (era totalmente infondata l’ipotesi di Fernando)
anche se il mio cervello si rifiutava di oltrepassare quella opzione.
Eppure
è lì, è così evidente, mi
diceva.
Perché
non vuoi credere alla realtà dei fatti, perché
sei così testarda con te stessa?
In
fondo non ti dispiacerebbe se fosse veramente come la pensi tu, no?
Tu
l’hai sempre voluto, dal primo momento in cui fosti
consapevole della tua femminilità, delle tue esigenze di
donna, della sua avvenenza.
Perché
non vuoi credermi?
Io
sono tua amica, so come ti senti e non posso darti che consigli
disinteressati.
No,
ribattei io.
No,
non è come dici tu, mia cara coscienza.
Qui
sotto c’è qualcosa di troppo grande per un uomo
piccolo e fragile come lui e vuole soltanto che io, la sua migliore
amica, lo aiuti con i mezzi a me disponibili.
Non so
cosa abbia in mente né come si svolgerà la
vicenda in futuro ma posso solo dire che io gli sarò sempre
accanto. E vedremo ciò che succederà.
Sta a
noi decidere il nostro destino.
Non
serve una mente geniale per capirlo o una coscienza apprensiva e
velenosa come sei tu.
Il
nostro cammino si illuminerà ed allora non ci
basterà altro che percorrerlo.
Fino
alla fine.
“Noooooo,
ma perché non sei andata avanti, volevo sapere come finiva
il capitolo, uffa!”
“Stai
tranquillo, Michael, ti prometto che dopo averlo postato comincio a
scrivere il successivo e poi, scusami, se non mantengo un po’
di suspense alla fine poi
la storia diventa noiosa, ed io non voglio deludere le mie fans, mi
capisci?”
“Uff,
sì, ma io sono il tuo fan numero uno, non potresti fare una
piccolissima eccezione per me?”
“No,
Mike, nessuna lo fa, e perciò non lo faccio neanche io. E
poi scusami, da quando sei il mio fan numero uno?”
“Da
quando hai cominciato a scrivere la storia, naturalmente!
Per me
sei davvero brava, ha ragione Elena, dovresti fare la scrittrice da
grande, ti ci vedo bene, sai, poi hai l’aria da secchiona,
sei fantastica!”
“Dai,
adesso non esagerare, sennò mi fai diventare tutta rossa,
sono timida come te io.
E poi
ci sono scrittrici molto più brave, vedi Orsola, lei si che
è una bomboniera di autrice!”
“Questo
lo sapevo, infatti siete le mie preferite, insieme ad Elena e a
quell’altra ragazza di Roma della quale non
c’è il nome sulla sua pagina…”
“Ah,
vuoi dire Angel_Silver!
Sì, anche lei è molto brava e per giunta
è di Roma, come la sottoscritta, la città che amo
più di tutte insieme a Los Angeles e Parigi”.
“Hai
dei bei gusti in fatto di città, lo sai, Claudia?
Però anch’io rimango dell’idea che Roma
è la migliore!”
“Sono
contenta, e come me, Angel_Silver e tutte le lettrici di Roma
che mi seguono, e che spero abbiano letto questo ultimo capitolo con
somma gioia!”
“Sicuramente
l’hanno fatto, non preoccuparti per così poco.
Vabbè, ti saluto, devo preparare le coreografie per il tour,
altrimenti iniziamo non tra un mese ma a Natale!”
“Okay,
salutami anche gli altri ragazzi, state facendo un lavoro meraviglioso
e il fatto di avermi invitata mi rende ancora più felice,
grazie, Michael!”
“Grazie
a te. Ah, e di alla cara Orsola che può partecipare anche
lei, anzi, dille che la raccomando io”.
“No
problem, lo riferirò appena posso, ciao Michael!”
“Ciao,
Pocaonthas!”
*stampa
un bacio sulla guancia della malcapitata e questa casca miseramente a
terra con la bava alla bocca*
“Ehi,
ragazzina, ti cercano!”
“Eh?
Oh, Santo Cielo, è vero!”
*si
rialza velocemente e si rimette a posto gli occhiali in tutta fretta*
Bene,
cuccioli e bamboli di tutta Italia, bentornati sulla mia storia, ormai
conoscete il mio nome e la mia residenza, ergo non vi
annoierò con stupidaggini simili e passerò subito
al mio capolavoro!! *_*
Prima
di tutto devo farvi alcune scuse: so che questo capitolo non
è venuto molto bene e chiunque lo pensasse è
pregato di scriverlo nelle recensioni, non mi offendo per nulla, ed
ultimamente non ho avuto molto tempo per scrivere per colpa della
adorata scuola che frequento e per il meraviglioso 4 che ho rimediato
in latino… -.-“ (la prima verifica
dell’anno, per giunta) perciò non ho avuto il
tempo di ricontrollare la forma e la scorrevolezza dello scritto,
scusatemi ancora, vi prometto che non lo faccio più!! T.T
Adesso
che mi sono tolta questo grande peso mi sento molto meglio e sono
pronta a spiegarvi ciò che ho segnato con un asterisco:
*Questo
è il vero nome di Pietro Gambadilegno, uno dei più acerrimi nemici di
Topolino, ci tenevo a scriverlo in originale, secondo me faceva
più figura, cosa ne pensate?? ^^
*Una
vettura della Ford molto bella e sportiva, la prima serie fu prodotta
dal 1964 al 1973, l’ho incontrata per caso nel romanzo di
Khaled Hosseini “Il cacciatore di aquiloni” e mi
è sembrata sin dall’inizio una gran bella
macchina, adatta per il nostro Michael, come la Bentley
per giunta, spero che la mia scelta vi garbi. ^^
Okay,
ora voglio farvi una delle mie abituali domande che riguardano la mia
storia: cosa può essere il misterioso oggetto luminoso che
la sorpresa Fiordaliso ha trovato col bigliettino scrittole da Michael
legato allo stelo del fiordaliso, e soprattutto, quale ruolo
avrà nei capitoli successivi??
Mi
raccomando, gràphete, gràphete kai
gràphete, (scrivete, scrivete e scrivete) liberate la vostra
immaginazione e non ditemi che
quell’oggetto è un anello di fidanzamento
altrimenti non scrivo più niente!! ù_ù
Vi
prometto che già nel prossimo capitolo saprete di cosa si
tratta ma intanto, belle bambole, spremetevi le meningi!!
Ooooooh,
adesso è arrivato il momento più bello e
cioè, quello dei ringraziamenti, i quali
quest’oggi vanno a:
il mio
carissimo amico di Milano, Alessandro Manzoni, che con il suo libro mi
ha aiutato un sacco, come nel capitolo precedente; la mia amica del
Michigan, una certa Madonna Louise Veronica Ciccone, che mi sostiene
sempre e mi da la carica con le sue intramontabili canzoni;
(d’altronde lei è la Regina del
Pop, non c’è nessuna meglio di lei per me!! *-*)
poi tutti i miei compagni di classe che anche se implicitamente mi
sostengono e un’altra persona di cui non posso dire il nome
ma che mi ha insegnato come nessun altro saprebbe fare il greco, una
materia che io amo e che vi consiglio vivamente di apprendere!! =)
Mh, e
poi chi c’è?? °-°
Ah
sì, tutto ciò che mi circonda, tutti i libri che
ho letto e tutte le persone che mi stanno intorno, che mi danno ogni
giorno un’ispirazione nuova e delle idee che senza il loro
aiuto non avrei mai trovato, grazie a tutti, bamboli!! ^-^
Uh uh
uh, ecco, ci siamo, ringraziamo le gentili signorine che hanno
recensito e che mi rendono la vita ogni giorno più bella.
Vi va
bene se iniziamo dalla più picciola e cioè:
Dolcekagome:
amoraaaa, mi mancano come l’aria le tue recensioni, sei
fantastica, te adoro!! *-* naturalmente la sorpresa non poteva essere
un bacio, hai ragione, le cose vanno meritate, ma secondo me la nostra
Fiordaliso si merita molto, con tutto ciò che ha passato,
non lo pensi anche tu??
Hai
indovinato anche ciò che succederà tra Katie e il
signor Johnson, ne vedremo delle belle, e alla fine… Oh,
alla fine, ci sarà qualcosa che neanche io mi immagino, ergo
lasceremo fare tutto al destino, intanto ti ringrazio della tua
splendida recensione, tanti bacissimi dar Cupolone e auguri di buona
lettura, cara Anna!! ^^
P.S.:
anche a me piace da morire Humane Nature, la voce di Michael in quella
canzone è così… così
…*O*… non ci sono parole per descriverla,
è troppo sexy
quell’uomooooooooooooooooo!!!!*ççç*
Bad_Mickey:
okay, ci siamo, cara Orsetta…Voglio cominciare questo
ringraziamento con una sola piccola frase: Sei
fantasticaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa, adoro le tue storie, sei
l’autrice più brava della quale abbia mai letto le
storie, sei il mio punto di
riferimento sin dall’inizio, ho sempre pensato che tu non
avresti mai considerato la mia storia come invece stai facendo e tutto
ciò che hai scritto nella recensione mi ha reso la persona
più felice di tutta la Terra,
grazie, grazie ancora non so proprio come descrivere ciò che
sto provando in questo momento, grazie….*-*
La
storia di Fiordaliso l’ho pensata proprio per prevenire tutto
ciò che nella nostra epoca è all’ordine
del giorno, per me non dovrebbero esistere uomini del genere
né tanto meno chi appoggia le proprie azioni, hai ragione,
è assolutamente un abominio bello e buono…
Okay,
pensiamo alle cose più belle, e cioè, Michael
vestito da clown, (io lo preferivo nudo
*çççç*) sono contenta che
ti sia piaciuta questa parte, e la pseudo relazione tra Katie e Joe
(ormai li chiamo così xDD) : mh, io non ti considero matta,
dall’inizio ho pensato le stesse cose che pensi tu,
sarà, ma io Katie ce la vedo bene col prof e tu?? ^^ vedremo
come si svolgerà la vicenda…
Sigh,
quel pezzo mi ha fatto piangere mentre lo scrivevo… T.T
naturalmente ho pensato a Man In The Mirror e alle sue parole pregne di
speranza e anche di dura realtà, quando saremo nel 1987
(perché la storia come ho detto sin dall’inizio
è un po’ lunghetta ma cercherò in tutti
i modi di renderla avvincente agli occhi dei lettori) userò
alcune canzoni contenute in Bad come colonne sonore per le varie
vicissitudini delle nostre eroine,un po’ come ho fatto in
questo capitolo ma, ehm, più elaborato e ricontrollato,
vediamo che scarabocchio combinerò!! xD
Ti
ringrazio ancora per la recensione, cara, e ricordati di me quando
sarai diventata una scrittrice famosa in tutto il mondo, ciaooooooo!!!
=)
P.S.:
da ciò che hai sentito prima, puoi partecipare al tour sotto
raccomandazione di Michael, ti divertirai lo so, chiunque ci riesce con
lui!! *-*
Ed ora
la più grande, da quanto mi è sembrato di capire,
ovvero la fantastica:
eclipsenow: ti
ringrazio già da adesso per i capitoli recensiti, non
preoccuparti per la scuola, ormai fai
l’università… Beata te, a me mancano
ancora quattro anni e già non ce la faccio
più,che strazio la scuola, hai proprio ragione, a chi va di
studiare quando ci sono così tante belle storie da leggere??
A me no di sicuro!!^^
Oh,
Dio Santissimo, ma quanto è bono Michael?? È dura
resistere alla tentazione di non saltargli addosso e di fargli le
peggio cose con quel viso, quella voce e soprattutto quel
corpo….
°çççç°
*sviene sbavando per terra*
Hai
ragione, Katie è una ragazza molto intraprendente,
è tutto l’opposto della madre e la sua
intraprendenza la porterà, ehm, a fare… delle
cose che non posso dire ma che sicuramente hai già intuito
dalla mia misteriosità, in fondo sono situazioni molto
normali per una ragazza della sua età e… non
posso dirti nient’altro che sennò mi lascio
sfuggire mezza storia, scusami… ^_^ ops, mi hai scoperto,
cara, apparivo davvero troppo capace e attenta ai particolari per
essere una romanaccia venuta dalla città più
vicina alla capitale, che ha voluto provare a scrivere una storiella su
un sito conosciuto praticamente in tutta Italia, dove chiunque avrebbe
letto la mia storia e commentato il mio lavoro… Ebbene
sì, ho la cameretta strapiena di libri ed alcuni non so
proprio dove metterli, nemmeno sul pavimento c’è
più spazio ed inoltre i miei non aiutano in nessun modo la
mia passione né quella per la lettura né per la
scrittura, capirai, per loro sarei stata più brava ad un
istituto professionale che al liceo classico, ma si può
pensare delle cose simili per i propri figli??
è_é Uff, parliamo d’altro che
sennò divento una fiera e non riesco più a
controllare le mie azioni: ehehe, sono contenta di tenerti sulle spine
così bene, in fondo in ciò sta la bravura di uno
scrittore, no?? ^^ però non lo faccio apposta il tempo
è poco ed i compiti troppi, Ihihih…
Invece
è tanta la voglia di dirti grazie per le recensioni lasciate
sui capitoli, le emozioni che ti faccio provare scrivendo questa storia
che mi viene dal cuore e la dolce sensazione di avere il nostro amato
Michael sempre vicino, come se non se ne fosse mai
andato…sappi che non mi hai annoiata per niente, anzi, mi fa
piacere ricevere recensioni omeriche e solenni, mi fanno sentire
importante, come penso capiti anche a te!! ^^
Beh ,
Elena, le parole non bastano più per ringraziarti e non
posso far altro che salutarti ed augurarti buona fortuna per la tua
storia, arrivederci e ancora grazieeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee!!!! J
P.S.:
ti appoggio sul fatto che l’aria de Roma fa bene allo spirito
e al corpo e che noi romani siamo molto simpatici (forse
perché ci ubriachiamo dalla mattina alla sera, ahahahah ^-^
*hic*) e per giunta riusciamo a scrivere moooolto bene, ma anche
voi… ehm, di dove sei, cara?? :D del Sud o del Nord??
dimmelo, così magari mi regolo un po’ con la
distanza, ehehehehe…
Monyprincesslovett :
eccomi cara, la tua recensione mi è arrivata giusto adesso e
ti sto ringraziando fresca come una rosa, grazie per
l’interesse che metti nel leggere i miei chilometrici
capitoli, lo so, ma alcune volte sono addirittura costretta a inserire
interi pezzi ed a toglierne altri che poi inserirò nella
parte successiva, è un lavoro un po’ lungo e
faticosetto, ma ti ricompensa come non mai!! =) grazie moltissimo per
tutti gli aggettivi che hai usato per descrivere me e la mia storia,
delle volte mi stupisco che esistano delle persone così
buone al mondo, pronte per renderti il lavoro piacevole ed appagante e
tu naturalmente sei una di quelle!!
Per
quanto riguarda la domandona prenditi tutto il tempo che vuoi, tanto ce
ne vorrà prima che la faccenda si districhi tra Katie e il
signor Johnson, più o meno, altri tre capitoli o forse anche
più…
Alla
prossima, bambolina di una Mony, e pazienta anche tu insieme alle altre
mie fan, mi raccomando, un bacione da MeH, ovvero Looney Queen (puoi
chiamarmi anche Claudia, se vuoi, a me fa piacere!! ^^ )
Uffi,
siamo già arrivate alla fine di un altro capitolo, non
sapete quanto mi rende triste sta cosa, voglio rimanere ancora un
po’ con voi, ma c’è l’ottavo
capitolo che aspetta solo di essere scritto e perciò io vi
saluto nel migliore dei modi e vi faccio tanti auguri per tutto
ciò che di più bello può capitarvi in
questa vita (come quella di aver trovato MeH, eheheh…)
( Era
meglio che non ti facevi viva per niente…
-.-“NdTutti i brutti ceffi impegnati nel tour, tranne Mike,
naturalmente *-*)
Grazie
per l’incoraggiamento ragazzi, siete una squadra
straordinaria, vi adoro… -__-“
(Prego!!
NdI brutti ceffi)
P.S.:
alla fine Michael ha baciato tutte le belle fanciulle presenti al suo
tour e tutte quelle che scrivono delle FF su di lui, ergo non
divoratemi per un insignificante bacetto, vi prego!!
°-°
Ah, e
vi saluta anche con tanto affetto, insieme alla sottoscritta,
naturalmente!!
Ringrazio
ora tutti coloro che hanno letto o che sono passati di striscio sulla
mia storia, grazie ragazzi, ci vediamo al prossimo capitolo,
arrivederci!!! ;)
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Capitolo 8 *** Sulle colline ed oltre (Gli opposti si attraggono, sempre ed inevitabilmente) ***
Sulle
colline ed oltre
(Gli
opposti si attraggono , sempre ed inevitabilmente)
“Uffa
, che palle , è il primo giorno che lo vedo e già
non lo sopporto più , ma ti rendi conto , mi ha umiliata
di fronte a tutta la classe dandomi del voi ,
invece del tu , mi ha guardata come se fossi stata
la sua fidanzata anche se non mi conosceva nemmeno
da mezzo minuto e quel che è peggio , non mi ha mollata con
lo sguardo nemmeno per un secondo ! Ma si
può essere tanto stronzi ?”
“Beh
, secondo me non aveva cattive intenzioni , come quella di imbarazzarti
oppure di offenderti di fronte a tutta la classe , non
penso che tu gli abbia fatto una così cattiva impressione ,
anzi , ti ha trattata con infinita gentilezza ed è difficile
trovare professori del genere in una scuola privata .”
“Ma
non capisci , Sandy , quella è una trappola ! Succede sempre
così , il prof fa il carino e il simpatico con tutta la
classe , specialmente con te , che guarda caso , sei l’alunna
più famosa e temuta da tutto il corpo docenti per la tua
innata crudeltà , ti fa credere di essere chissà
chi e ti aiuta in tutti i compiti in classe , tu ci caschi come un
baccalà e alla fine ti trovi sulla pagella di fine anno una
collezione interminabile di F da aggiungere alle precedenti ! Credimi ,
quello yankee di merda non mi convince e glielo farò capire
prima di subito !”
“Ti
avverto , Katy , adesso incappi in guai davvero seri , gli altri anni
ti hanno promossa perché stavi simpatica alla preside ,
inoltre adottavi un minimo di impegno nello studio e ciò ti
ha portato alla promozione , ma quest’anno è tutto
diverso : hai visto il nuovo dirigente che ci hanno appioppato , quello
già dalla sua faccia e dai discorsi che fa si può
capire che è un nazionalista , e della peggior specie , odia
tutti coloro che non la pensano come lui e tutti quelli che hanno il
colore della pelle diverso dal suo .
Ascolta
i miei consigli , non metterti contro il signor Johnson e non provare
ad architettare qualche scherzo di cattivo gusto come al tuo solito ,
puoi rischiare la sospensione , stavolta .”
“Adesso
ti ci metti anche tu , Sandy ? Pensavo che fossi la mia vera , unica
amica in mezzo a quell’indefinito ammasso di ipocrisia e
belle parole che chiamano “Istituto medio e
superiore delle Suore Carmelitane di Santa Caterina*”
, della quale anche noi facciamo giustamente parte , e nella quale ci
sono individui ignobili come quel coglione di Johnson che ammalia tutte
le gatte morte delle colline soltanto per spillare
soldi ai loro cari paparini ! Da’ retta a me , quello cerca
rogne ma non sa con chi ha a che fare , giuro che da domani sentiranno
parlare di me anche a Downtown , e stavolta non scherzo !”
“Oh
… I-io non so proprio più cosa dirti , cara Katy
, non vuoi darmi ascolto ed oltre a persuaderti a non combinare i tuoi
soliti danni , non posso più far niente .”
“Brava
, vedo che hai capito che tra me e Johnson sarà una sfida
all’ultimo sangue e chi perderà pagherà
!”
“Già
.”
Camminavano
da mezz’ora , come tutti i pomeriggi dopo la scuola , lungo i
vasti viali del ricco quartiere , colorato dal calore e dalla
serenità uniche dell’autunno che si manifestava in
tutta la sua allegria attraverso il venticello fresco che soffiava da
nord scompigliandogli leggermente le chiome cadenti sulle spalle e
facendo svolazzare con leggeri movimenti ondulatori le eleganti gonne a
pieghe blu scuro della loro divisa scolastica .
La
dolce luce pomeridiana e la quiete del paesaggio urbano costellato da
siepi ben tagliate e lampioni di ferro che si stagliavano sui
marciapiedi come una lunga fila di pioppi d’inverno donavano
al paesaggio un’aria di malinconica serenità , una
serenità che le nostre due ragazze si fermavano spesso a
contemplare sedute su una delle panchine del piccolo giardino che si
ergeva tra la via per andare a scuola ed un’altra , diretta
invece alla spiaggia di Santa
Monica .
Avevano
smesso di parlare come facevano sempre , per ore interminabili , fino
ad arrivare a quella piccola siepe dove si riposavano dopo la lunga
camminata e dove le loro strade si dividevano per poi ricongiungersi la
mattina dopo , nello stesso posto , alla stessa ora .
Facevano
così da ormai quattro anni , quando le loro vite si erano
casualmente incrociate proprio in quel bivio , a significare , forse ,
che anche le strade più diverse tra di loro , rettilinee o
sconnesse , infinite e famose autostrade del deserto o viuzze di
provincia sperdute tra le montagne e dimenticate da tutti , potevano
incontrarsi pacificamente , conoscersi , parlarsi e magari unirsi e
continuare il loro incessante cammino insieme , lasciandosi alle spalle
i commenti velenosi delle altre strade , le quali da decenni
percorrevano sempre l’identico percorso senza alcun aiuto da
parte delle altre che , come tutte le strade , pensavano sempre ai
fatti loro e mai a quelli delle loro compagne .
Il
discorso delle strade amiche , per Katy e Sandy , era durato
serenamente per quei quattro , lunghi anni : esse avevano affrontato i
problemi più grandi , i soprusi più ingiusti , le
violente parole dei disinibiti contro la loro innocente e sincera
amicizia che , agli occhi dei più sensibili , sembrava che
potesse durare per molto tempo .
Naturalmente
anche le due ragazze lo pensavano e condividevano ciò che i
loro bravi compagni dicevano , nulla per loro era più
importante dello speciale rapporto che le legava magicamente , senza
bisogno di inutili barriere di filo spinato o imponenti cancelli di
ferro ad arrestare quel delicato sentimento che entrambe volevano
portare fino in fondo .
Ma in
quel fatidico giorno di metà settembre , dopo una mattinata
particolarmente movimentata per una di loro e dopo un’accesa
discussione per motivi che potevano tranquillamente definirsi
superficiali agli occhi inesperti del popolo , ma soprattutto dopo una
considerazione non molto carina da parte di una delle due , la
serenità delle strade si stava lentamente scalfendo .
Il
motivo di questo improvviso crollo era proprio quella semplice frase ,
detta non per offendere necessariamente le dirette interessate ma per
quel ignobile individuo che le stregava tanto da guadagnarci anche una
cospicua ricompensa
.
Presa
in prestito ,
naturalmente .
Ma
Katy , la quale non sapeva cosa fosse la sensibilità
, né tanto meno la moderazione con
persone permalose o facilmente offendibili , non riuscì a
frenare la lingua prima che potesse commettere il più grande
delitto che una ragazza abitante di Beverly Hills potesse commettere
verso un’altra che viveva invece sulle colline di Encino , la
zona residenziale più rinomata e famosa di tutta la contea
di Los Angeles .
Perché
Sandy , figlia di un famosissimo e ricchissimo banchiere , il quale
passava quasi tutto l’anno tra le borse e le quotazioni di
Wall Street , dall’altra parte della Federazione ,
nonché adolescente studiosa e matura più di tutte
le teste cotonate delle sue compagne di classe e destinata ad un futuro
pieno di agi e soprattutto di una carriera lavorativa delle
più sognate da tutto il popolo americano , abitava
lì , in una delle case più belle e costose di
tutta Encino , tra di queste era annoverata anche l’enorme
villa di Michael Jackson , il suo
vicino di reggia .
La sua
amica dalla parlata fluente , come al solito , non aveva saputo tener a
freno la lingua , e l’aveva catalogata come una delle perfide
Barbie delle prime file , le quali abitavano proprio vicino a lei , ad
Encino , avevano delle dimore più modeste della
sua , per così dire , ma essa non si è mai
sentita a proprio agio con le sue compagne di collina : loro erano
troppo stupide , troppo superficiali per intraprendere una
conversazione intelligente con lei , erano delle vere e proprie oche ,
per Sandy , infatti , non bastava avere un conto in banca grande come
tutto il Pacifico , né presentarsi tutti i giorni a scuola
con una pettinatura diversa a seconda della parrucchiera giornaliera ,
per essere considerate popolari e soprattutto intelligenti
.
Per
lei la popolarità era qualcosa di diverso : essa non si
prendeva gratis , non bastava avere papà e mamma ricchi,
vestiti ed accessori firmati , ed il cervello piccolo come un pidocchio
.
La
popolarità si guadagnava , come stava facendo lei ,
impegnandosi fino in fondo , sacrificando il suo tempo libero e le sue
amicizie , dimostrando a tutti che un bel visetto poteva nascondere
anche una grande mente .
Però
c’era qualcuno che non la pensava così ,
ovviamente .
Non
voleva dire a sé stessa il nome di quella persona , ma era
certa con tutta l’anima che fosse lei , il suo sottile
istinto non l’aveva mai tradita per certe cose .
Però
un difetto in una persona così acuta e sensibile
c’era e lei non faceva altro che tormentarsi per questo :
Sandy era particolarmente paurosa , di tutto e di tutti , ogni
situazione che le se presentava davanti , ogni persona che cercava di
offenderla , affrontava queste piccole difficoltà con la
razionalità e l’indifferenza ; non era mai stata
una persona combattiva e passionale , le sue uniche armi erano la
pazienza e l’intelligenza smisurata .
Aveva
capito , però , che in quel frangente , quelle due
qualità seppur importanti e lodevoli , non sarebbero servite
a nulla .
Adesso
doveva servirsi della forza della parola .
Una
forza che non aveva mai sperimentato ma che sicuramente
l’avrebbe aiutata molto .
Occorreva
soltanto convertire i suoi pensieri in parole e prepararsi allo scontro
frontale .
Ma
prima avrebbe aspettato la sua avversaria , era una persona leale e
voleva battersi ad armi pari .
Si ,
avrebbe fatto così .
Per
ora , però , esse non osavano parlare .
Anche
se una di loro avrebbe tanto voluto .
Aveva
i pugni chiusi sulle ginocchia tremanti , sentiva la tensione nel suo
petto che inviava delle fastidiose scosse alle sue mani e queste non
riuscivano a fermarsi , il labbro inferiore mosso da violenti e
continui spasmi sempre dovuti alle scosse nervose , non riusciva a star
ferma con i piedi che frenetici si alzavano sulle punte e si
abbassavano fino ai talloni , procurando un leggero picchiettare sulle
piastrelle a secco del giardinetto tra le quali spuntava timido qualche
filo d’erba , verde come una ranocchia di palude .
Si
voltò cautamente ad osservare la persona alla sua sinistra
la quale , al contrario di lei , non dava il minimo segno di cedimento
emotivo ; se ne stava lì , seduta composta sulla panchina di
legno della siepe , la schiena dritta come un righello , la testa
abbassata ad osservare distrattamente la cartella rigida sulle sue
ginocchia sulla quale stavano poggiate due mani piccole , dalle dita
affusolate e bianchissime , in netto contrasto con il cuoio scuro della
cartella , gli eleganti codini castani che scendevano morbidamente
lungo il suo petto fino all’altezza del cuore ed inondavano
con il loro innocente splendore il bianco candido della camicetta di
cotone , emanavano leggeri riflessi ramati che rendevano il volto
dell’interessata ancora più dolce ma allo stesso
tempo più timoroso .
La
tensione aumentò in Katy , voleva essere lei a fare il primo
passo e scusarsi con la sua migliore amica per le sue considerazioni
troppo crudeli sul povero signor Johnson , che veramente
l’aveva trattata come qualsiasi alunna delle scuole medie si
sognerebbe , ma soprattutto per l’imprecazione contro le
biondine delle colline , la zona in cui abitava anche Sandy , ma visto
il suo inesauribile orgoglio , non voleva essere lei a fare il primo
passo e dar corda a Johnson , altrimenti a scuola si sarebbe scatenato
il putiferio ed allora sarebbero stati guai , sia per lei che per il
suo nuovo insegnante , ed anche per la buona fama della sua amica
.
Alla
fine decise che rifletterci su era troppo impegnativo per una mente
piccola ed insignificante come la sua e che il tempo avrebbe risolto
ogni cosa .
In
fondo Sandy , anche se viveva ad Encino , non era come le Barbie oche
della prima fila , la sua offesa non era indirizzata propriamente a lei
, ma a quelle streghe dalle chiome cotonate , e poi , per quanto
riguardava Johnson , beh , con lui il tempo avrebbe aggiustato ogni
cosa , era inconcepibile che lei , la Mangiatrice di Prof , avesse
paura di un insegnante !
Eppure
il piccolo presentimento che un secondo prima aveva le dimensioni della
manina di un neonato , rimase nel suo giovane petto , come per
avvertire la proprietaria di stare attenta e di usare bene il cervello
, come ormai non faceva da molto .
Ma
Katy non pensava più alla sua prima mattinata di scuola , si
limitava ad osservare distrattamente il lento volteggiare delle foglie
gialle ed arancioni dei platani sul selciato a secco mosse dal
terribile venticello che soffiava ormai da giorni sempre dalla stessa
direzione .
Il
movimento rotatorio delle foglie la incantò per un bel
po’ , non sentiva più nessun rumore intorno a
sé , solo il fruscio del vento nelle chiome ancora intere
degli alberi svettanti sulla panchina , gli innumerevoli discorsi che
le instancabili folate d’aria intessevano con i cespugli
sempreverdi ed i fili d’erba che popolavano i sentieri di
pietra del piccolo Eden in cui lei e la sua migliore amica
si trovavano .
“Questo
vento … Mi da sui nervi .
È
da una settimana che soffia ed ancora non ha trovato pace .”
Katy
sussultò nel sentire la voce flebile e vellutata di Sandy
leggermente stizzita che le parlava a pochi centimetri del suo orecchio
sinistro , aveva sussurrato solo qualche parola , magari non erano
indirizzate nemmeno a lei ma l’avevano svegliata dal suo
torpore un po’ bruscamente , sentiva uno strano ronzio nelle
sue orecchie e gli battevano sommessamente le tempie .
Tuttavia
rispose all’affermazione della sua compagna , non voleva
passare per una maleducata , soprattutto per quello che era successo
meno di un quarto d’ora fa .
“Già
. Odio questa stagione . Preferisco l’estate .”
“Anch’io
.”
Katy
si voltò ancora e la osservò : era più
tirata di una corda di violino e i suoi occhi guardavano fisso di
fronte a loro , non osavano posarsi sulla figura alla sua destra , la
quale pian piano si stava rilassando dagli affanni precedenti e tentava
, seppur goffamente , di migliorare la situazione che si era venuta a
creare .
Anche
se non era mai stata brava a convincere la gente , e quando ci riusciva
era soprattutto merito della diffidenza degli altri e la strana fiducia
, se così si può chiamare , che essi riponevano
in lei .
Con
Sandy , però , tutto si stava dimostrando particolarmente
complicato , ogni volta che i suoi occhi di smeraldo incrociavano
quelli di pece di Katy , d’improvviso sentiva un doloroso
groppo alla gola , una morsa micidiale dalla quale non riusciva a
liberarsi , perché aveva sempre in mente la stessa ,
identica immagine di un secondo prima : quelle piccole pozze
cristalline nelle quali ti ci rispecchiavi e grazie ad esse non ti
sentivi perduta od estranea al mondo , ma nelle quali si avvertiva
tumultuoso un leggero singulto di una imminente tempesta , che non
avrebbe risparmiato nessuno .
Nemmeno
lei .
Cominciò
a sudare freddo , quel silenzio così rumoroso e pieno di
parole e pensieri non detti la faceva ansimare dolcemente , in preda ad
una strana ansia : l’ansia di rimanere sola .
Era
così sconvolgente ciò che stava pensando .
Ma
nulla poté esserlo più di quello che le disse la
sua compagna , un secondo e ventiquattro ansimi esatti dopo .
“Sai
a cosa stavo pensando ?”
“A
cosa ?”
“Beh
, ecco …”
“…”
“…Secondo
me ... “
“Si
?”
“…Johnson
è un cafone .”
“…Davvero
?”
“Si
, davvero . Perché , non mi credi ?”
“No
, no , ti credo , è solo che …”
Lungo
sospiro nervoso .
“…È
solo che io stavo pensando la stessa cosa.”
“…Davvero
?”
“Davvero
.”
“Ah
… Mi fa piacere in un certo senso .”
“Anche
a me .”
Sorriso
teso ma sincero da entrambi le parti .
E poi
silenzio , caldo silenzio .
Rotto
da una sola , semplice domanda .
“Oh
, senti , Katy … Posso dirti una cosa ?”
“Si
, certo .”
“Allora
… Che ne dici di venire a casa mia fino all’ora di
cena ? Avvertiamo noi tua madre .”
“Stai
scherzando , vero ? Tu non inviti mai nessuno nella tua villa , sulle colline
… cosa
ti è preso tutto ad un tratto ?”
“Oh
, niente …”
Ancora
silenzio , un silenzio pieno di imbarazzo .
Che
all’improvviso si riempie di luce .
E di
verità .
“…Ho
solo aperto gli occhi . Ed ho visto il mio cammino illuminarsi come per
guidarmi verso la giusta direzione .”
“Ed
è stata la strada giusta , secondo te ?”
Silenzio
, vivo e palpitante di sentimenti veri .
E
sorrisi .
“Si
. Penso proprio di si .”
Le due
strade , illuminate dalla nuova luce che potente ed immortale , impera
su di loro , si allontanano dalla piccola parte di Paradiso Terrestre
ed ancora una volta insieme continuano il loro cammino , il quale
però si dimostrerà tortuoso e terribile per una
di loro .
Ma non
ci è dato sapere nulla , fino al momento in cui la
più tormentata delle due strade , dovrà scegliere
.
Sdraiata
supina sul grande letto matrimoniale della mia accogliente stanzetta ,
mangiucchiavo con pigra avidità delle piccole caramelle
gommose alla Coca Cola a forma di panda che estraevo con la mano
sinistra da un piccolo sacchetto trasparente posato sul Comodino dei
Segreti , che da più di tre ore , cioè da quando
Michael era ritornato zitto zitto nella sua modesta dimora senza dirmi
nulla riguardo quel prezioso oggetto che avevo infatti trovato per
caso , non pensavo di aprire per alcun motivo .
Il
luminoso segreto che custodiva da così poco tempo era
arrivato a me in modo così inaspettato e con una tale ,
sconvolgente forza , che al solo suo pensiero il mio cuore non poteva
far altro che balzare contro le pareti del petto , intenzionato ad
uscire come per dimostrare al mondo intero , il timore che provavo in
quel preciso momento .
Era
una situazione strana , la mia , non sapevo cosa fare né a
chi rivolgermi per risolvere il lucente mistero ; anche se tutto
ciò riguardava me e nessun altro .
Forse
ero diventata paurosa nell’affrontare le cose : non ero mai
stata così , non avevo mai pensato che una cosa del genere
potesse succedere , ma con me ed il mio umore mutevole come la Luna non
si poteva mai sapere .
Presi
un altro panda dalla confezione e portato davanti al mio viso
all’altezza precisa degli occhi , cominciai ad osservarlo
distrattamente , rigirandomelo tra le dita appiccicose e dolciastre ,
impiastricciate da quella piccola meraviglia che viveva miracolosamente
solo per un certo periodo di tempo , fin quando cioè , non
scade , oppure te lo mangi prima tu , dipende da chi è
più veloce , la tua gola o la data di scadenza .
In
tutti casi sono sempre stata più veloce io , i piaceri della
vita si godono una volta sola , dicevo spesso , e perciò
è sempre meglio approfittarne ora piuttosto che rimpiangerli
un giorno lontano .
Già
, anche il misterioso regalo , se così si può
chiamare , di Michael faceva parte di quelle imperdibili occasioni , se
non avessi risolto il mistero in poco tempo , dopo sarebbe stato tutto
inutile .
Dovevo
pensare e capire tutto per bene ,
si preannunciava difficile , ma ci sarei riuscita lo
stesso , l’avrei giurato su mia figlia ed anche sul buon nome
di Michael .
Conclusi
che però non sarebbe successo nulla di rilevante nella
vicenda del Luminoso Mistero , se prima non mi fossi decisa ad alzarmi
da quel maledetto ed avvolgente materasso , il quale ti attirava nella
sua accogliente e traditrice morsa , invitandoti a prendere la vita con
più tranquillità ; poi , però , era
dura divincolarsi da esso , e tutto ciò che potevi fare era
rimanere lì , esamine e totalmente privo di iniziativa .
Per
fortuna la mia sete di curiosità , ma soprattutto di
verità , furono più forti della pigrizia e
contribuirono al mio totale riassestamento : balzata giù dal
letto , afferrai la confezione dei panda e la feci accomodare sulla
vecchia scrivania di noce , forse uno dei mobili più antichi
di tutta la villa insieme al pianoforte ed al lampadario di cristallo
entrambi posti in soggiorno , mi lavai per bene le mani nel bagnetto
che comunicava con la mia stanza , al sol pensiero di toccare quella
meraviglia unica del suo genere con delle zampe sporche di zucchero e
appiccicose mi faceva star male , dopodichè estrassi la
piccola chiave del Comodino dal suo usuale posto segreto , la misi
nella toppa e la girai lentamente , con la mano un po’
tentennante ed un leggero tremore del labbro inferiore , il quale non
smetteva di muoversi da quasi cinque minuti ; dopo i tre soliti giri la
serratura fece un sonoro scatto ed a me non rimase altro che aprire il
cassetto , rovistare tra i trecento e più oggetti che lo
popolavano ormai da anni e che si erano inevitabilmente mescolati come
se fossero stati messi tutti in uno shaker da barman , e quando ebbi
trovato finalmente il misterioso regalo ( se lo si poteva chiamare
regalo ) , lo raccolsi delicatamente con la mano sinistra per poi
adagiarlo sulla destra , completamente tesa , pronta ad accogliere un
oggetto così bello e misterioso come esso .
In
quell’attimo poi , pensai che chiunque
sarebbe potuto entrare nella mia stanza in qualunque
momento nelle prossime ore , e colta da un improvviso slancio di panico
, chiusi la porta con tre giri di chiave , spensi la luce del
lampadario grande e facendo attenzione a non inciampare nella
indistinta massa di vestiti con i quali avevo tappezzato
l’intera stanza come un tappeto , accesi il lume della
scrivania , con il quale potevo osservare l’oggetto nella mia
mano più attentamente e senza aver il pericolo di essere
scoperta d’un tratto da qualche indesiderato ospite
.
Mi
sedetti con calma sulla elegante poltrona della scrivania e mi
accomodai rapidamente alla mia postazione di lavoro , i gomiti
appoggiati sul tavolo e l’Oggettino Misterioso a cinque
centimetri dal mio viso curioso .
Ogni
volta che la osservavo , rapita dall’incredibile luccichio e
dalla raffinatezza dei particolari , nonché dal suo famoso
significato astratto , era come se l’avessi vista per la
prima volta nella mia vita e non l’avessi mai tenuta in mano
come stavo facendo in quel preciso momento : tra le mie dita lasciavo
scorrere una sottile catenina d’oro zecchino dalla quale
pendeva una piccola coroncina dello stesso materiale , molto simile a
quella che portava la nostra amica d’oltreoceano , la Regina
Elisabetta d’Inghilterra , ma dal disegno molto
più semplice e tempestata di piccoli diamanti dallo
scintillio di mille galassie ; a seconda di come la luce della lampada
da lettura della scrivania si posava su di essa , le pietre preziose si
inondavano di uno splendore sempre diverso ed assumevano varie
sfumature e sfaccettature che non avevo mai visto prima di allora in un
diamante o in qualunque altra pietra del suo stesso valore .
L’unicità
di quella piccola meraviglia era impareggiabile , pensai che al mondo
non esistessero altri manufatti del genere .
Mentre
lo rigiravo , ancora incredula , tra le dita divenute tutto
d’un tratto ferme ed attente all’oggetto che tenevo
tra di loro , mi immaginavo nei panni di Michael nel momento preciso in
cui aveva avuto la brillante idea di spedirmi in
Paradiso per colpa di quel ciondolo che mi aveva nascosto
nell’innocuo mazzo di fiordalisi che mi aveva regalato
affettuosamente , senza lasciar trapelare nulla , né dalle
sue espressioni , né dalle sue parole , che potesse in
qualche modo smascherare la sua intelligente trovata , riflettendo
sulle possibili opzioni che la mia furtiva condizione ammetteva .
Ma
dopo un rapido viaggio tra i meandri più sconosciuti della
mia infinita mente senza aver trovato una valida soluzione per il
mistero che mi ritrovavo per le mani , lasciai perdere l’idea
iniziale e continuai per un’altra strada : ad esempio ,
perché regalarmi , se di regalo posso parlare , proprio una
corona ? Che senso ha per lui e soprattutto è importante ?
Certo
, se fosse stato veramente cotto di me , cosa da non trascurare
assolutamente dopo ciò che mi era successo negli ultimi mesi
, mi avrebbe sicuramente fatto trovare nei fiordalisi , invece del
ciondolo a forma di corona , un anello di diamanti , prova
inconfutabile dei suoi sentimenti verso di me , ma visto che per
fortuna non è stato così , potevo
ritenermi un pochino più tranquilla di prima su questo punto
.
Esclusi
anche l’ipotesi di una svista , un uomo intelligente ed acuto
come Michael non si sarebbe mai dimenticato nulla del genere in un
comunissimo mazzo di fiori , qualunque cosa facesse , doveva avere
un senso .
Pensai
anche alla famosa sorpresa , preannunciatami
da Michael esattamente due mesi prima e che ancora non si era
manifestata ai miei occhi , in fondo quella corona era un monile
bellissimo e dalla manifattura pregiata , sarebbe piaciuto molto ad una
donna della mia età possedere un oggetto del genere , ancor
di più donato da Michael Jackson , il
quale ama indistintamente tutte le sue fan .
Con me
però era diverso : Michael non si
sarebbe mai limitato ad una prova di fiducia nei
miei confronti tanto misera seppur spettacolare come un ciondolo
d’oro e diamanti .
No ,
lui mirava a qualcosa di più profondo , più
personale , più … originale .
Ma
cosa ?
La mia
contorta mente si poneva i quesiti più strani : poteva
essere una canzone che mi avrebbe dedicato in uno dei suoi prossimi
album , un riconoscimento internazionale di qualunque genere , una
nuova casa a Malibu , ospitalità illimitata presso la sua
maestosa dimora sulle colline di Encino , possibilità di
partecipare a tutte le date di tutti i concerti che avrebbe in seguito
organizzato , una stella alla Walk Of Fame di Hollywood “per
aver salvato il grande ed insuperabile Michael Jackson
, che tutti noi amiamo e ammiriamo , in tenera età , da un
balordo ubriaco e socialmente pericoloso , per le vie più
malsane e buie della Grande Mela , a cavallo tra il malfamato Bronx ed
il Queens , teatro di tristi episodi di criminalità e
violenza” , bla , bla , bla …
Esausta
per i troppi viaggi mentali che avevo effettuato nemmeno in cinque
minuti esatti , mi rassegnai all’idea che quel pendente a
corona dal valore astronomico era un semplice ed innocuo regalo
.
Non la
tanto desiderata sorpresa che Michael mi aveva promesso , no , quella
avrebbe aspettato .
Forse
, pensai , quello era un piccolo anticipo , una sorta di
pubblicità prima dello show vero e proprio , anche se
già quella coroncina era uno spettacolo unico di per
sé , dentro di me avvertivo una speranza , una …
si , proprio una anticipazione .
Era da
matti , anche per me , arrivare a pensare delle cose del genere , ma
dopo le varie esclusioni , quale per un motivo , quale per un altro ,
considerando tutti i fatti che si sono succeduti ordinatamente in quei
due mesi dalla nostra cena insieme , conoscendo il carattere del
mittente e quello che provava per me , la sua profonda amicizia che si
dimostrava anche con piccoli gesti di tutti i giorni , ecco , dopo aver
analizzato ogni particolare importante della vicenda come di fronte ad
una lente d’ingrandimento gigante , quella
soluzione era la più attendibile di tutte .
Era
comune , certo , e per diversi aspetti anche abitudinaria per
uno come Mike , mostrarsi gentile con gli altri , ma la cosa
più importante per me era la possibile certezza
di ciò che aveva concluso la mia stramba intelligenza .
In
quel momento era come se mi fossi tolta un peso dallo stomaco e
perciò lasciai andare con delicatezza la coroncina sul banco
e mi stiracchiai per bene la schiena , sembravo un gatto intirizzito
dall’immobilità che ritornava lentamente a
muoversi come un tempo .
A
proposito di tempo , pensai subito che fossero all’incirca le
tre del pomeriggio , in fondo il mio abituale ozio dopo pranzo ed i
miei ragionamenti alla scrivania non erano durati molto , e poi il Sole
era ancora alto nel cielo , era praticamente impossibile che fossero le
cinque o le sei , anche perché , se fosse stato
così , avrei sentito un assordante ed allegro scampanellare
al portone , segno che la Belva voleva avvertire gli ignari ed
impauriti abitanti di quella casa del suo ritorno dal suo ultimo
primo giorno di scuola alle medie .
Ma non
ci fu nessun rumore provenire dall’esterno simile a quello di
una piccola campana squillante , né una voce acuta e
stridula che urlava salutando me e Fernando , come al suo solito , e
perciò decisi di rimettere la corona a posto prima che qualcuno
aprisse la porta con la chiave di riserva di ogni stanza , una malefica
trovata del nostro amato maggiordomo , “con il cervello che
ti ritrovi , ti perderesti anche la strada di casa” , mi
rimproverava sempre , ed io facevo spallucce ed annuivo ironicamente .
Altrimenti
gli ricordavo di quella volta che si era dimenticato di ritirare il suo
bucato dalla terrazza ( lui non lava mai le sue cose insieme agli
indumenti miei e di Katy , e non c’è bisogno di un
maggiordomo attento per capirlo ) per via del
diluvio che si stava abbattendo contro la nostra amata città
, “è un temporale passeggero , passerà
tra non meno di dieci minuti” , ed infatti il tifone
è durato quasi ventiquattr’ore , col risultato che
dovetti prestargli tutti i miei vestiti più larghi e
più virili , facendolo diventare da
posato maggiordomo a un irriverente Charlie Chaplin versione funky ,
uno spettacolo da mal di pancia per le troppe , incontrollabili risa .
Non
dimenticai mai quel giorno e tuttora , quando mi
accusa di sbadataggini e sviste varie , glielo rinfaccio , e lui non
può far altro che abbozzare e considerarsi , almeno qualche
volta ogni tanto , sconfitto dalla perfidia della sua padrona di casa .
Negli
ultimi tempi , però , soprattutto per via dei vari
appuntamenti a cui Michael mi aveva invitata , notai che Fernando ,
californiano della specie più verace , uno di quegli uomini
tutti d’un pezzo , che conoscevo addirittura da quando misi
per la prima volta piede nella casa di mio padre , una persona di
famiglia , insomma , alcune volte anche un prezioso confidente ed un
amico sincero , sembrava come … Si , sembrava che gli
piacesse essere preso in giro da me .
Un
fenomeno inspiegabile , certo , ma esistente .
Tuttavia
, non mi ci soffermai molto , il mio maggiordomo , per me , era sempre
stato un individuo difficile da capire , valeva anche la situazione
contraria , e perciò vivevamo sopportandoci a vicenda , da
più di trent'anni .
Nel
preciso momento in cui la mia mente lasciava perdere certi pensieri
inutili , come quello dell’Impiccione Permaloso , stavo
rimettendo a posto la coroncina nel cassetto , facendo attenzione ai
tappi della Coca Cola dai bordi taglienti , che non aspettavano altro
di scalfire la sua superficie dritta e liscia : fu in quel nano secondo
, uno spazio di tempo veramente misero e insignificante rispetto a
tutto quello che avevo passato ad osservare il brillante monile , che
un raggio di luce arrivato all’improvviso dalla finestra con
le ante socchiuse e le impalpabili tendine rosa confetto raccolte ai
lati con delle invisibili cordicelle , illuminò la parte
posteriore della coroncina , nella quale non c’erano le
minute file di diamanti , ma solo freddo e liscio oro , svelando ai
miei occhi ancor più spalancati , i quali stavano per uscire
dalle orbite per mezzo di una molla tirata fino all’estremo
del bulbo oculare , una zona in cui la luce cadeva in modo diverso dal
resto della superficie dorata , formando delle onde sottili , dalla
forma indistinta ma ordinata , sembravano delle …
Sì
, era proprio così , quelle leggere ondine sembravano
… Delle parole .
Pensai
per un attimo di ritrovarmi con gli occhi nel cassetto e con la
mascella all’altezza del collo , ma per qualche strano motivo
, quando provai a sbattere le palpebre ed a muovere la bocca come
farebbe un pesce senza ossigeno nelle branchie , i miei connotati non
si erano alterati , così come il resto del mio corpo .
Neanche
la sensazione di fantasmagorico stupore non mi aveva abbandonata , anzi
, in quel momento raggiunse l’apice della sua grandezza .
Rimasi
per un bel po’ di tempo lì , in ginocchio davanti
al cassetto aperto , gli occhi puntati sulla coroncina che tenevo tra
le mani tremanti , sembravo ipnotizzata da quel gioiello ,
così semplice e piccolo , eppure così
sconvolgente .
La mia
mente non seppe più cosa pensare nell’arco di ben
due minuti , e la mia bocca la assecondava , insieme al resto del mio
corpo , completamente immobile , come una statua di marmo .
Finalmente
, dopo un tempo che mi sembrò interminabile , qualcosa di
indistinto si mosse in me , provocando nel mio corpo un lento risveglio
, dovuto forse alla forza di reazione che ogni tanto fuoriusciva dal
mio essere più profondo nelle situazioni più
strane ed immobilizzanti , esattamente come quella
in cui ero incappata , e che mi dava la forza di reagire , almeno per
evitare brutte figure di fronte ad altri .
In
questi altri , però , non vi era
compreso Michael .
La
forza , forse , era impotente di fronte alla sua innocente , e
soprattutto sconvolgente , bellezza .
Fatto
sta che di fronte ad un oggetto come la corona regalatomi da lui , la
misteriosa forza di reazione ci mise un po’ per ristabilirmi
del tutto , ma per fortuna andò tutto bene e con un
po’ di ruggine alle articolazioni ed i sensi ancora un
po’ appannati , riuscii a muovere impercettibilmente le dita
della mano destra , nelle quali vi era posata metà del
ciondolo , poi fu la volta della sinistra e la corona si mosse piano
piano , mandando un altro affilato fascio di luce ai miei occhi , che
cominciarono a sbattere lentamente : all’inizio vidi solo
ombre sfocate e opachi lampi di luce , poi riacquistai appieno la vista
e dopo aver collaudato ancora le palpebre , constatando che
funzionavano bene come prima , abbassai lo sguardo per osservare ancora
il monile che mi aveva sconvolto la vita .
Era
immobile , piccolo e freddo , impotente di fronte alla mia persona , il
quale lo comandava , in un certo senso .
Perché
, infatti , avrei dovuto aver paura di un normalissimo ciondolo ?
Sulla
sua superficie c’era inciso sicuramente un messaggio per me ,
molto importante e che avrebbe certamente influenzato la mia vita
futura come mai nessuna persona od oggetto avrebbe saputo fare , ma
allora , prevedendo tutti i possibili sviluppi della vicenda ,
perché non provavo dentro di me un senso di ansia e di
inquietudine ?
Dovevo
essere spaventata , attonita , confusa , ma stranamente , un attimo
prima , tutte queste sgradevoli sensazioni erano scomparse , per
lasciar posto ad una nuova forza , che attraversando il tragitto che va
dal cuore fino alla bocca , uscì dalle mie labbra sotto
forma di una inaspettata minaccia .
“Va
bene , dolcezza , se questa è una sfida
…”
“…Allora
hai tutto da perdere .”
Mi
misi immediatamente una mano sulle labbra , stupita da quello che le
mie instancabili mascelle s’erano lasciate uscire , come al
solito non ero riuscita a frenare la lingua e quella esplicita
intimidazione era indirizzata all’unica persona su tutta la
faccia della Terra che non se la meritava , ovvero il piccolo Michael .
Certo
, era riuscito a farmi incavolare non poco , per via di tutti quei
segreti non detti , le inaspettate rivelazioni che ogni giorno
mettevano alla prova il mio povero cuore , facendogli sfiorare per un
pelo il settimo cielo del Firmamento , le improvvise sparizioni , delle
quali non sapevo il motivo e di cui lui non parlava mai volentieri , le
sue varie preoccupazioni che facevano star male anche me , ma , dopo
ventuno anni di dure battaglie e di speranze sorte dalle ceneri del
dolore che provai in quel periodo e di successi interplanetari , premi
e riconoscimenti a raffica , accuse infondate , verità
celate ingiustamente dai viscidi tabloid che popolavano la giungla del
gossip , non avrei mai cambiato la mia opinione su
quell’angioletto indifeso , che io , una semplice ragazzina
all’epoca dei fatti , mi ero ritrovata prima di tutti a
proteggere .
Successivamente
erano giunti altri nuovi Angeli Custodi dell’Angelo , persone
meravigliose e speciali , alcune delle quali ho avuto la fortuna di
incontrare e di ricordare , che hanno , in tutti i modi a loro
possibili , aiutato e sostenuto Mike nei momenti più
difficili della sua carriera .
E lui
, in qualsiasi istante della sua vita fino ad allora , al contrario di
molti suoi colleghi ubriacati dal successo e esaltati dalle emozioni
estreme che però la musica ed i fan non potevano dare , ha
sempre riconosciuto la loro amicizia disinteressata nei suoi confronti
, ricompensando il loro affetto come meglio poteva e come si meritavano
.
Allora
lì pensai che stava facendo lo stesso con me .
Voleva
ringraziarmi come mai si era permesso di fare in tutta la sua
tormentata vita , in una maniera alquanto sconosciuta alla mia mente e
decisamente infondata per coloro che non sapevano
dell’accaduto di tanto tempo prima .
Forse
la sorpresa era così segreta che non doveva , e soprattutto
, poteva sapere nessuno di essa ; nessuno , nemmeno
i membri più stretti della mia famiglia .
Fui
presa da un moto di incredula speranza : dopotutto , se la piccola
coroncina che tenevo ancora tra le mani tremolanti e instabili era una anticipazione
della sorpresa , allora essa non doveva essere molto lontana !
Quella
affermazione mi diede così sollievo che tirai un lunghissimo
sospiro , secondo le mie abitudini , e mi sciolsi dolcemente sul
pavimento di marmo freddo della stanza , per fortuna coperto da un
soffice e grande tappeto di lana grezza , a prova di congelamento per i
miei poveri piedi nelle notti più fredde , i quali rimangono
ghiacciati dal suono della sveglia fino all’ora di pranzo , e
questo in ogni stagione dell’anno , estate od inverno che sia
.
Finalmente
rilassata dopo le mie estenuanti escursioni mentali , volsi la testa a
sinistra , seguita dal resto del corpo , mi stiracchiai per bene ancora
una volta e mi portai il ciondolo davanti agli occhi , fissandolo
estasiata , col sorriso sulle labbra .
“Non
so più cosa pensare su di te … Michael .
Stavolta
hai proprio passato il senno , ma ti giuro che scoverò
questo mistero .
Non ce
l’ho con te , non preoccuparti … Sono solo curiosa
di sapere in cosa consista la tua fantastica sorpresa ."
Cominciai
a rigirarmi distrattamente la coroncina tra le mani , come un gattino
indifferente di fronte ad un gomitolo di lana che tiene tra le zampe
solo per passare il tempo , mentre pensavo a cosa fare per mandare
avanti le indagini .
Sospirai
, esausta e un pochino alterata .
"Ho
bisogno di qualcosa per leggere cosa diamine c'è scritto qui
."
Girai
il ciondolo in modo da osservare più da vicino la scritta
misteriosa e socchiusi gli occhi , avvicinandolo di più alle
scure pupille circondate da un mare bianco e pensieroso .
L'incisione
era minuscola , e nonostante la vista d'aquila che possedevo era
illeggibile , si distinguevano soltanto quattro piccoli gruppetti
divisi tra di loro da un piccolo spazio : pensai che con molta
probabilità la nuova dovesse essere lunga più di
una parola e perciò poteva anche essere una frase di senso
compiuto .
Fui
presa da un altro attacco di sospiri , i miei fidati amici che non mi
abbandonavano mai , e conclusi mestamente che senza una lente
d'ingrandimento , anche se piccola e completamente scassata , non avrei
risolto nulla .
Stavo
giusto per alzarmi dalla mia rilassante posizione quando sentii il
trillo del telefono posizionato sul Comodino dei Segreti vicino
all'abat-à-jour di pizzo rosa che
inondava con la sua fastidiosa vocina la mia accogliente cameretta ,
prima serenamente silenziosa come la baia sul Pacifico d'inverno ,
completamente deserta .
Prima
di passare per una strega maleducata , come molti mi appellavano ma con
possesso di prove assolutamente infondate , mi alzai in tutta fretta e
mi misi comodamente in ginocchio , i gomiti appoggiati al comodino , la
cornetta tra le mani che portai con un gesto velocissimo all'orecchio
destro .
"Pronto
, casa Villa ?"
Chi
parlava dall'altra parte del filo era la voce di una donna , dal tono
formale ma rassicurante , mi ricordava qualcuno , ma al momento non mi
giungeva alcun nome in mente , quindi mi limitai solo ad annuire , una
punta di insicurezza nella voce , come tutte le volte che dovevo
rispondere al telefono e non riconoscevo la voce del mio interlocutore
.
"S-si
, salve , sono Fiordaliso ... La padrona di casa ."
Già
, cominciamo proprio bene , Fiordaliso .
Potevi
dirle che eri la governante , le governanti non si prendono mai la
responsabilità di nulla , magari è successo
qualcosa di terribile a scuola e la Madre Superiora ha fatto chiamare a
casa per avvertirti del fattaccio .
Santa
Caterina , non oso pensarci ...
"Si ,
so chi è , signora Villa .
Visto
che vi sento un pò in difficoltà , forse
perchè non è riuscita a riconoscermi , mi
presento , sono Lily Shepard ... La madre di Sandra , si ricorda ?"
"Oh ,
ma ecco chi eri , non ti avevo riconosciuto , sai com'è , al
telefono le voci si alterano terribilmente , scusami tantissimo , Lily
!
Ah ,
comunque , buonasera !"
Per la
foga che si abbattè sul mio cervello e che in un baleno
raggiunse anche le altri parti del corpo , in preda ad una una reazione
a catena , schizzai entusiasta dalla mia posizione genuflessa , per poi
ritrovarmi in piedi , diritta davanti al Comodino dei Segreti , con la
cornetta del telefono incollata all'orecchio , ed il resto
dell'apparecchio , immobile sul misurato banco di legno traballante per
l'improvvisa scossa .
Per
fortuna in camera avevo fatto istallare un cordless , altrimenti con la
mia scenata di euforia mi sarei tranquillamente trascinata dietro il
resto del telefono e parte del comodino ( una volta mi sono incollata
alla caviglia una poltrona del soggiorno , un'esperienza che non
intendo ripetere per alcun motivo al mondo ) , ma per fortuna Lily non
se ne accorse .
Però
sembrava lo stesso perplessa .
"Oh ,
buonasera ... Fiordaliso . E non preoccupatevi per
così poco , in fondo ci siamo viste poche volte , non potete
ricordarvi di me così nitidamente ."
"Già
, anche se i volti di molte delle persone che incontro mi rimangono ben
fissati in testa , chissà perchè , con te non
è stato lo stesso ...
Vabbè
, di cosa volevi parlarmi , è successo qualcosa a scuola di
Katy ?"
Naturalmente
il mio apprensivo cuore di mamma non poteva pensare a nulla all'infuori
delle condizioni della sua unica bambina che non si presentava ancora
davanti al portone di casa come tutti i pomeriggi dopo la scuola ,
raggiante e con un bellissimo sorriso a trentadue denti dipinto in
volto , ma conoscendo la piccola Sandra Shepard , l'amica
più dolce e fidata che mia figlia abbia mai avuto nei suoi
lunghi tredici anni di vita , capii che tutto stava andando per il
meglio , Sandy era una brava ragazza , acuta e soprattutto benestante ,
con lei al fianco di Katy potevo star sicura al centoventi per cento
dell'incolumità di entrambe .
Comunque
chiedere non guastava .
"Ma no
, cosa andate a pensare ... Fiordaliso ... Vostra
figlia sta benissimo , è qui con Sandra , cioè ,
non sono qui vicino a me , ma in soggiorno .
Fanno
un baccano tremendo , insieme ."
Rise
nervosamente , con l'intento di rassicurarmi , inutilmente : la sua
risata assomigliava a quella di un lama con la tosse ma scacciai subito
questo inopportuno pensiero e finalmente sollevata dalla sua buona
notizia , la ringraziai calorosamente , alla mia vecchia maniera .
"Oh ,
davvero ? Ma è bellissimo , sono davvero contenta per loro
due , salutamele da parte mia e dì a Katy che ..."
Non
feci in tempo a finire la frase e la causa fu per me orripilante :
mentre rispondevo alla gentilissima mamma di Sandy , il mio sguardo
vagava per i diversi oggetti e le cianfrusaglie più
strampalate che popolavano la mia camera , fino a che i miei occhi non
si posarono sul Comodino dei Segreti con il cassetto ancora aperto e la
chiave nella toppa , per poi risalire pian piano alle mie mani dove un
istante prima si trovava la coroncina di diamanti che brillava
incessantemente dal momento in cui la tirai fuori dalla sua prigionia
forzata .
Solo
che quando andai a curiosare la coroncina era scomparsa .
Fui
subito assalita da un attacco di ansia spaventoso : cavolo , una delle
poche volte che il dolce e premuroso Michael mi regalava un
gioiello così bello e ben fatto come quella corona di
brillanti che la sottoscritta non perdeva tempo a farlo volare fuori
dalla finestra , come se fosse l'oggetto più banale del
mondo , mentre invece vale più di tutti i miei averi
materiali e morali , e per giunta dovevo ancora decifrare il messaggio
inciso sulla sua superficie , e se non l'avessi fatto nel giro delle
prossime quarantott'ore Michael non mi avrebbe più guardata
in faccia per il resto dei miei giorni !
Dovevo
fare qualcosa , e subito .
Presa
da un moto di avventurosa ansia , mi gettai sul liscio pavimento di
marmo , per poi intrufolarmi tra le polveri secolari e terribili del
letto , percorrendo tutto il tragitto che andava dalla spalliera fino
alla scrivania in un battibaleno , lasciando la povera Lily attonita
dall'altra parte della cornetta , che cercava in tutti i modi di
richiamarmi in appello .
"Fiordaliso
? Fiordaliso , c'è qualcosa che non va , non vi sento bene ,
è successo qualcosa ?"
"Oh ,
ma non preoccuparti per me , tesoro , sto benissimo , sto solamente
cercando ..."
Diamine
, che cosa sto cercando ?
"Cosa
?"
"Sto
cercando ... Ehm , un orecchino , si , mi è caduto da
qualche parte sotto il letto e non riesco a trovarlo , ma tu guarda
proprio adesso , e per giunta è minuscolo !"
Brava
, Fiordaliso , se volevi rassicurare Lily Shepard , la moglie del
banchiere milionario più famoso di tutta la West Coast oltre
che la donna più diffidente a questo mondo , ci sei riuscita
alla grande .
Per
fortuna che la mia situazione rendeva l'idea .
"Oh ,
mi dispiace davvero tanto , Fiordaliso , una volta
è capitato anche a me , sai , però io non ho
fatto tutto questo trambusto per trovarlo ."
Forse
perchè io ho solo due braccia ed un maggiordomo permaloso
che non ti aiuta neanche se lo paghi profumatamente , mentre tu venti
braccia in più e la tua voce straziante che gli detta ordini
?
"Oh ,
beh , ma la mia stanza non è certamente come la tua ,
perciò ci metto un sacco di tempo per trovare ciò
che mi serve !"
"Ah ,
capisco ..."
Mentre
la gentilissima signora Shepard mi teneva occupata al telefono lodando
le varie capacità e le splendide attitudini che i suoi figli
possedevano , naturalmente paragonandoli alla mia piccola Katy , io
cercavo disperatamente la corona , che nemmeno dopo cinque minuti buoni
di conversazione incallita ed estenuanti ricerche , era saltata fuori
dai meandri della mia immensa stanza .
Col
cuore in gola , pensai subito alle meste sofferenze che la mia
sbadataggine avrebbe causato : a quel punto la sorpresa sarebbe volata
via come un palloncino sfuggito dalla mano di un bambino poco attento
ed non avrei potuto più far nulla per cambiare le cose .
Pensavo
volontariamente di andar a chiedere scusa a Michael in ginocchio , come
la mia condizione di stupida distratta imponeva , e conoscendolo ,
sicuramente lui avrebbe capito e non ne avrebbe fatto una immane
tragedia , anche se "immane tragedia" era un misero diminutivo , quando
un vivido bagliore proveniente da sotto l'antica scrivania mi
avvisò che avevo finalmente ritrovato il fantastico oggetto
dei miei affanni .
Mi
precipitai velocemente verso di essa , sempre gattoni come un neonato
curioso , la cornetta ancora appiccicata all'orecchio destro ed il
cuore a mille , che si placò dopo che ebbi tra le mie mani
la fatidica coroncina , così felice che per un momento non
seppi più controllare le mie azioni e la mia voce .
"Evvai
, l'ho trovata !"
"Eh ?
Che-che è successo , Fiordaliso , state
bene ?"
"Oh
... Eh , no , no , è tutto a posto , veramente , ho solo
ritrovato l'orecchino , vedi , quando ritrovo qualcosa che mi sta
particolarmente a cuore e che ho maledettamente perso , sono al settimo
cielo , e perciò ... è successo questo !"
Mentre
tentavo di dare delle spiegazioni plausibili alla signora Lily , mi
alzavo in tutta fretta dal pavimento gelato sul quale avevo strisciato
per quasi dieci minuti e mi riassettavo per bene gli abiti che avevo
indosso , completamente ricoperti di polvere in ogni centimetro ,
dandomi dei sonori schiaffi in tutta la superficie del mio corpo
coperta da tessuto , facendo preoccupare non poco la Shepard , che
giustamente non era abituata alle mie strane abitudini , o
semplicemente non si era mai abbassata sulle ginocchia per recuperare
qualche piccolo oggetto caduto involontariamente sotto una poltrona o
sotto il letto , ma conoscendo la gentile ed educata Lily Shepard era
più fondata la seconda .
Tuttavia
, dopo che ebbi ritrovato il mio piccolo tesoro , non vedevo l'ora di
rimetterlo al sicuro nel suo bel Cassetto , chiuderlo con tre giri di
chiave , e cominciare la ricerca di uno strumento che mi avrebbe
aiutato tantissimo nella decifrazione del messaggio sul monile ,
così liquidai gentilmente Lily , raccomandandole la mia
bambina e salutandola cortesemente , neanche fosse stata Lady Diana in
persona , e dopo svariate cerimonie e riverenze da parte sua ,
riattaccai , ed esausta mi lasciai andare tra i morbidi cuscini
leopardati e la trapunta coordinata del mio letto a due piazze , decisa
a prendermi una pausa prima dell'inizio della ricerca .
Anche
se ormai si era fatto tardi , forse erano le cinque od anche le sei del
pomeriggio , e nessun bravo ed onesto cittadino angelino andava
tranquillamente in giro dopo il coprifuoco , si potevano fare degli
indesiderati incontri .
Ed
inoltre i negozi chiudevano puntualmente verso l'ora di cena ,
perciò era inutile cercare una piccola lente d'ingrandimento
fuori dalla mia accogliente dimora , anche se in essa scarseggiavano
mestamente qualunque tipo di tale oggetto : nessuno della nostra
famiglia , infatti , collezionava francobolli , o gioielli , o
qualunque altro che potesse essere minuscolo .
Sospirai
ancora , mettendo le braccia dietro la nuca ed osservando il lampadario
spento della mia camera , un'ombra di pizzo rosa che
oscillava pacato , impercettibile ai miei sensi : con ogni
probabilità potevo trovare una lente in un negozio di
oreficeria , lì ne hanno di tutte le tipologie e non penso
che si arrabbino tanto se gli chiedo gentilmente di prestarmene una
piccola per , ecco ... esigenze personali ?
Mh ,
no , non andava bene , troppo scontato .
Allora
potrei dire ... No , anche questo non va bene .
Oppure
...
Non
feci in tempo a finire la mia nuova idea che un sonno riparatore si
impossessò di me e dei miei sensi , trascinandomi in un
luogo in cui le preoccupazioni , i dolori , i misteri , erano solo
fatti degli umani e non dovevano attraversare la barriera onirica .
Purtroppo
, per una donna come me , non era mai stato così .
Ed
anche i sogni se ne accorsero , in un modo o nell'altro .
Ohilà
, ragazze e bimbe di tutte le età , bentornate ancora una
volta sul mio capolavoro !!! ( Diffidate delle imitazioni !! xDDD )
Bene ,
visto che non ho molto tempo e vorrei che voi leggeste subitissimamente
questo mio nuovo capitolino , innanzitutto vi chiedo infinitamente
scusa per avervi fatto aspettare per così tanto tempo ,
purtroppo c'avevo da fa , e non mi era permesso toccare il computer
nemmeno con un capello ,ergo , vi chiedo ancora scusa !!! ^^
Oh ,
poi devo spiegarvi quell'asterisco che ho messo all'inizio :
è lo stesso nome del convento dove si era imbucata la grande
Deloris in Sister Act , ve la ricordate ??? *-*
Ah ed
un'altra curiosità : avete presente la scena in cui la
nostra Fiordaliso mangia delle caramelle gommose a forma di panda ,
stesa sul letto ?? Ecco , per quella scena mi sono ispirata alla
più famosa di Death Note , in cui il piccolo Ryuzaki ,
deciso a scoprire il segreto del Quaderno , mangia ( e spezza , anche
!! xD ) dei biscottini a forma di panda , appollaiato però
sulla sua mitica sedia girevole ( non so voi ma in quella scena
è particolarmente sexy !! *O*)
Naturalmente
alcuni di voi conosceranno questo bellissimo manga ed i suoi personaggi , ma dirlo non fa male a
nessuno !! =)
Come
al solito però non poteva mancare la mia usuale Bad Question
, e visto che Halloween si avvicina ed il prossimo capitolo
parlerà proprio di questo terrificante giorno , io volevo
chiedervi , Tesore Mie : quale sarà la vostra maschera per
la Thriller Night ?? Mi raccomando , rispondete eh , la Regina vuole
sapere !! *-*
Bene ,
adesso , visto che come vi ho già detto , rispondo subito
subito alle vostre recensioni , vi saluto e poi tolgo il disturbo ,
tranquille !!! ^-^
Come
ho fatto anche l'altra volta iniziamo dalla più piccina ,
ovvero Annie o , come si chiamare ,
:
Dolcekagome
:
mazza ma quanto sei impaziente , dolcezza , ecco , adesso aggiorna ,
mamma mia !! xDD
Ecco ,
per quanto riguarda il mio carissimo amico milanese , mi piacciono i
Promessi Sposi ( se li leggi e ba , perchè sennò
so un inferno , altro che Dante !! O_o ) ed Il Cinque Maggio , non so
perchè ma quel tipo mi sta simpatico , dimme che so 'na
scema , malata de mente , ma è così !! :D
Devo
dire che però hai intuito : la storia tra Katy e Joe
subirà vari cambiamenti nel corso di ... Un anno esatto ,
ecco , ti dico un po' di curiosità , così fai la
brava ed aspetti il nono capitolo senza mandarmi a quel paese alla
peggio maniera !!! xD
Eheh ,
la storia mi ricorda tanto quella di un certo Inuyasha con una certa
Kagome , tu li conosci ?? *_*
Per
quanto riguarda l'Oggettino Misterioso ti ho già detto tutto
, perciò ti saluto e mi raccomando ...
Statte
carma !!! ^^ ( Lo dico con affetto , eh !! =) )
Monyprincesslovett :
bene cara , io non so quanti anni hai , ma ti ho messo nel gruppo delle
cucciole , spero di non aver sbagliato !! xD
Ahahaha
, ho pensato a te quando ho aggiornato sai ?? In fondo avevi lasciato
una recensione sul sesto il giorno prima che io postassi il settimo e
quindi te li ritrovi tutti e due in una volta sola , che bello eh ?? ; )
Comunque
io non ti considero una matta , ho pensato esattamente la stessa cosa ,
ergo , anche l'autrice è una fori de mente !!
Spero
di aver risolto il mistero del Gioiello Misterioso ... ehehe ,
tranquilla , non succede nulla , in fondo qualcuno non l'ha nemmeno
confessato , ergo hai fatto bene a dirmi che non lo sapevi , sei una grande !! *_*
Ihihihi
, mi raccomando , stai calma quando incontri qualche descrizione di
Michael così , altrimenti potresti andare fuori di testa !!
( o forse è già successo ?? xDD ) ah e poi
successivamente ci saranno altre scene più , ehm
...esplicite ?? Non ti dico altro sennò mi lascio sfuggire
tutta la storia , ma penso che tu abbia già capito no ??
*çç* tanti
saluti e buona lettura !! =)
Bene ,
dopo le Cucciole è la volta delle Bambole , ovvero le nostre
due universitarie ^^ :
eclispenow : che
come al solito mi ha lasciato delle recensioni omeriche , ma quanto
scrivi cara , me c'è voluto un secolo per leggere tutto !!
xD
A
parte gli scherzi però , a me piacciono tantissimo le
recensioni lunghe lunghe , ti caricano al massimo , e questo non
smetterò mai di dirlo nemmeno dopo la fine della storia !! ^^
Ehehe
, ma io sono fatta apposta per non far dormire le mie fan di notte ,
sono o non sono una Regina Lunatica ??? Oh , c'è
così tanto da dire su quell'angioletto , nessuno si
placherebbe alla sua vista fuori dal portone di casa , nemmeno una
vecchietta tutta raggrinzita !! Beh , a Fiorellino glielo permettiamo ,
lei è ancora relativamente giovane , ma con gli ormoni in
subbuglio peggio di una sedicenne !! XD ( a parte che quando scrivo
devo prendermi ventimila volte qualche ricostituente forte , non ce la
faccio a continuare sennò ...
°çççç° )
Per il prof mi sono ispirata ad un altro sex symbol americano , degli
anni '50 però , ( e da quando Michael è un sex
symbol ?? O_o NdTutti ) da quando lo dico io , okay , ed ora fatemi
continuare , dunque dicevo , mi sono ispirata ad un altro bel tipo , di
nome James Dean , ed a un affascinante prof di informatica che ho
incontrato nel numero 25 ( ma tu guarda un po' .... T.T ) di Witch , un
mitico fumetto che ho amato e che continuo ad amare ... ( W Will !!!
*_* ) comunque cara , io non mi annoio a leggere le tue recensioni ,
altrimenti non ti risponderei così , no ?? =) per quanto
riguarda il tuo paesino di provenienza , beh , ti ho già
risposto , ergo , ti faccio tanti saluti e ti auguro tanta buona
fortuna per ogni cosa , arrivederci , Bambola !! **
LaDiavolessa
: Oh ,
mamma ,Ale , scusa se ancora non ho recensito gli ultimi due capitoli ,
ma in questi ultimi tempi sono veramente molto occupata ed ho fatto in
tempo a leggere solo l'ottavo ... mamma che bollori , Bambola ,
complimenti e W il Sorcone !!! *ççç*
ti ringrazio per avermi ricordato nei ringraziamenti , sei una grande ,
ti voglio bene ... ^^ eheh , il Trio non si batte , ma ben presto
sarà dura mantenerlo unito e saldo , non voglio anticiparti
nulla , ma sono fatta così , ad ognuna di voi regalo un
omaggio della casa , quello che capita , capita , ergo , non
prendertela con me , io non centro nulla !! ù_ù
Oh ,
cara , ma anche tu hai frequentato il Liceo Classico ?? o_O io sto in
quinto ginnasio .... *-* mazza però che strazio sta
settimana , versioni ,
compiti in classe , interrogazioni ...-.-"
beata
te che fai l'università , guarda , io non vedo l'ora !! xD
vabbè , buona fortuna con la tua splendida storia , ci
vedremo ,tranquilla , io ci sono sempre !! =)
Aaaaah
, e finalmente posso postare ed andare a nanna senza un'altra
preoccupazione , che bello , aaah ... *_*
ò__ò
????
Un
momento , ma all'appello manca qualcuno ...
Ehm ..
Orsetta
!!! ^^
A dir
la verità l'ho fatto apposta , volevo ringraziarti
separatamente , sai com'è , lei , signorina , è
il mio modello , la Super Messaggera del Sorcone , cioè ,
con lei devo avere un minimo di formalità mi capisce ??
ù_ù
Anche
se te lo dico praticamente tutti i giorni ed ormai ti sarai stancata a
morte xD ,volevo dirti , grazie ...
Grazie
per tutto quello che mi hai detto e provato in questi ultimi giorni ,
grazie per le varie chiacchierate , le sparlate , le espressioni
dialettali tipiche da entrambi le parti ( la cazzima eh ?? xDD e Sorco
, naturalmente ...
°ççç° ) , le varie
discussioni , talvolta anche su argomenti seri e pesanti , insomma ,
grazie di tutto Orsola , ti voglio bene e te ne vorrò sempre
!!! *-*
Per le
altre : io ed Orsetta , non abbiamo una relazione , d'accordo ??
Siamo
entrambi etero praticanti !! XDDD
Per
finire , vorrei ringraziare anche la mitica Ambra , alias Eutherpe ,
che un giorno di questi mi ha promesso di recensire tutti i capitoli
che non ha letto ...
Prenditi
tutto il tempo che vuoi , Ambrina , tanto io non mi muovo di qui e nemmeno la storia se
è per questo !! xDD
Tanti
saluti ed auguri , Bambola !! ^^
Oh ,
adesso che ho risposto a tutte voi mi sento meglio e pronta ad
aggiornare , ergo , ringrazio anche coloro che hanno letto in silenzio
, che sono veramente tanti , tutti coloro che mi hanno aggiunto ,sia
come autrice che come storia , ai preferiti , e tutti coloro che la
seguono , vi auguro il meglio , e tanta fortuna nella vita !!! ( per me
non stata la stessa cosa , è da due giorni che c'ho il mal
di gola ,che dolore !! T_T )
Buonanotte
e arrivederci al prossimo capitolo , il mitico numero Nove !!! ^^
|
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Capitolo 9 *** Halloween(Anche i vampiri hanno un cuore-Prima parte) ***
Halloween
(Anche
i vampiri hanno un cuore-Prima parte)
“Uffa , che coglioni !”
Una
ragazzina di colore dalla vivace parlata e dall’aria alquanto
stizzita , strinse la
penna a sfera nel pugno della mano destra , quasi come a voler
trasferire in essa la ribollente rabbia contenuta nel suo corpo , ed
abbassò torva lo sguardo verso le varie scartoffie ricolme
di ambigui scarabocchi che da meno di un’ora ,
cioè da quando quell’Ignobile
Ratto di Fogna del Nord , altrimenti
definito semplicemente dalla annoiata ragazza , stronzo
, aveva preso possesso , per la seconda volta in quel lungo giorno ,
della tranquilla aula in cui insegnava , costringendo sia lei che gli
altri suoi seccati compagni , ad una estenuante lezione teorica sulle
equazioni di primo grado , popolavano il suo banco , più
simile a quello di una stilista pazza che ad una comunissima e
disordinata scrivania da studentessa creativa .
Il
tedioso argomento era segnato nel programma di quell’anno , ma il nuovo arrivato non aveva
perso tempo a spiegarlo ai suoi attenti alunni , uno più
sveglio dell’altro , soprattutto dopo due interminabili ore
di inglese , nella quale era stata decimata metà della
classe , per perenne mancanza di volontari , o per sciopero da parte
dei classici secchioni : tra la prima categoria c’era anche
la nostra ragazza , la quale si era difesa abbastanza bene davanti alla
Cattedra Maledetta servendosi della
sua inconfondibile parlantina e riuscendo , con questa potente arma ,
ad illudere la severa professoressa , beccandosi una bella B .
Era
stata la più brava degli interrogati e ciò le
dava una sensazione di meritata superiorità , sia sui vari asini che
brulicavano nella classe , sia sugli altri insegnanti , i quali erano
sempre stati convinti che l’inguaribile indole ribelle della
ragazza non le avrebbe mai permesso una discreta sufficienza in
qualsiasi materia , portandola perciò alla stessa ,
irraggiungibile altezza dei più bravi della sezione e
guadagnandosi anche frecciate velenose delle biondine cotonate della
prima fila , le quali miravano da ormai tre anni alla aurea A , ma per
colpa della loro natura svogliata e superficiale , votata alla pigrizia
più assoluta , questa possibilità per loro
rimaneva un anelato sogno .
La
nostra ragazza , non
avendo alcunché da desiderare e nessuno da comandare ,
provvista solo di una smemorata e irresponsabile madre ,
nonché di un testardo e permaloso maggiordomo , per giunta
un tipo all’antica e Maniaco
dell’Ordine Casalingo , non sprecava il suo
già limitato tempo ad oziare e sapeva far fruttare
moltissimo una mezz’ora libera dagli impegni quotidiani ,
avvantaggiandosi così con i doveri scolastici .
Quindi , dopo quel momento di assoluta
gloria , meritata , naturalmente
, e sofferta , la ragazza aveva deciso di concedere la rimanente
giornata scolastica alla totale inerzia , sia fisica che mentale : per
questo non le interessava nulla di ciò che il giovane
professore stava minuziosamente illustrando alla scolaresca , convinto
e valoroso , come ogni volta che provava l’ebbrezza di
parlare su nuovi argomenti ai suoi studenti , delle proprie
impareggiabili doti di pedagogo e della grande fiducia che gli alunni
riponevano in lui .
Ma
questa tesi , per la
ragazza , era tutta da verificare .
Infatti a lei
, quell’insegnante di matematica , venuto fresco fresco
dall’industrializzato e civilizzato Nord , oltretutto da
Chicago , una delle città degli Stati Uniti che odiava di
più , forse per il clima , troppo rigido e noioso per chi
come lei era insofferente alle basse temperature .
Forse
per il triste panorama lacustre ,
che non creava la stessa magica atmosfera del suo amato Oceano , ma
anzi contribuiva a rendere la metropoli più sonnolenta di
quanto già in realtà fosse .
Forse
perchè le zone residenziali più abbienti non
potevano essere paragonate in nessun modo a quelle site sulle ricche
colline di Encino ,
né tanto meno alle strambe abitazioni di Beverly Hills , la
sua casa da ormai dieci anni , lo odiava dal primo giorno in cui aveva
messo piede in quel dannato istituto , costringendola , con una
silenziosa ed irriverente proposta , la quale aveva anche
categoricamente rifiutato , ( ma da parte di quel viscido individuo era
possibile qualunque pensiero , anche il più assurdo ) ad una
massacrante ed infinita convivenza forzata .
Ne era
una delle tante prove schiaccianti quella lezione
, nella quale entrambi per il disagio si sentivano
più attenti e turbati degli altri sfaccendati ragazzi , e
che stava lentamente e fortunatamente scemando in un assolato
pomeriggio d’autunno inoltrato .
Tra
non molto ci sarebbero stati altri giorni di meritata vacanza , passati a divertirsi sulla
famosa baia della città , danzando intorno ad un
falò appiccato per la singolare occasione che lentamente si
avvicinava .
Infatti , in quella infuocata rete di
lunghi viali e sconosciute viuzze , nella quale anche i sotterranei
erano infestati da binari fitti e senza fine , sovrastati da una
giungla di grattacieli che si stendeva per chilometri e chilometri tra
il vasto e afoso deserto ed il gelido oceano , il quale era
l’unico punto di refrigerio per gli angelini nella rovente
stagione estiva , l’inverno tardava ad arrivare o talvolta la
primavera prendeva il suo posto .
Una
delle scuse che tirava fuori più spesso riguardava i
trasporti pubblici :
aveva perso il treno giusto ed era in immane ritardo .
Perciò
quando bussava alle porte dell’estate per chiederle se poteva
entrare ,
l’estate gli rispondeva :
“È
ancora presto per venire qui
, tesoro . Riprova a dicembre e sarai più fortunato
!”
Ormai , quindi , nella calda
Città delle Stelle si preannunciava un inverno come i
precedenti : mite e fresco , con temperature non molto basse , e piogge
leggere , scandite ogni tanto da una grandinata rinfrescante , ultimi
spiragli dell’estate che volgeva tristemente al termine ,
come ogni noioso anno .
Anche
se , per molti ,
quell’inverno sarebbe stato il più caldo degli
ultimi dieci anni .
Certamente , non dal punto di vista
climatico .
“Oh ,
merda !”
Il
velenoso sibilo diretto ad una precisa persona presente nella
sonnolenta aula proveniva dalla incorreggibile
boccuccia di Katy , stanca di doversi catturare sguardi languidi ed
affermazioni affettuose , che a lei puzzavano tanto di menzogna , da
Johnson , il Prof di Matematica più ruffiano
( e soprattutto più stronzo
) che abbia mai incontrato in tutta la sua lunga carriera di scolaretta
.
Non la
mollava , nemmeno per un
minuto buono , sia con gli occhi che certamente anche col pensiero , e
durante l’intervallo , quando il caos regnava prorompente per
tutto l’istituto e le facce degli scolari si mescolavano a
quelle dei loro insegnanti , impedendo loro di riconoscerli tra la
calca , Katy sgattaiolava fuori dalla classe , facendosi valorosamente
largo nella indistinta e rumorosa massa di nemici e colleghi , per
sfuggire ai sospetti corteggiamenti di Johnson , nel posto del quale
solo lei conosceva il tragitto per arrivarvi .
L’aveva
scoperto due anni prima ;
se lo ricordava bene quel giorno ,
era
riuscita a sfuggire alle grinfie della prof di Inglese , una tipa tutta
pelle e ossa , sempre provvista del temibile paio di occhialetti sulla
punta del sottile naso e il classico Chignon
da Educatrice , il quale aveva l’aria di non
essere mai stato sciolto .
Gli
alunni più anziani ,
ed anche quelli che se n’erano andati dall’istituto
meno di un anno prima ed adesso frequentavano il college o lavoravano ,
o cercavano ancora un impiego stabile , avevano avuto La
Prof ,
appena trasferita da un’altra sconosciuta scuola del Nord ,
come insegnante di Inglese e Letteratura , per tutta la loro permanenza
tra i banchi del Santa Caterina , e , anche se ormai erano passati
dieci anni dalla sua venuta , si divertivano ancora a creare delle
leggende sulla sua particolare persona , che non perdevano tempo a
raccontare ai novellini varcanti la soglia delle scuole medie ,
terrorizzati dallo sconosciuto ambiente che si trovavano a frequentare
e subito attratti da particolari aneddoti riguardanti i loro nuovi
insegnanti : ad esempio si pensava che La Prof
fosse nata proprio con quello chignon in testa , e che non poteva
essere slegato per il semplice fatto che i suoi capelli avevano quella
naturale forma ; stessa cosa valeva per gli occhialini cerchiati
d’oro , elemento immancabile del suo severo abbigliamento ,
sui quali vennero intessute leggende che vanno oltre il comune
immaginario collettivo .
Con
quegli occhiali , infatti
, nulla poteva sfuggirle : essa era capace di vedere anche attraverso
lo spesso libro di testo , posizionato a coprirle di proposito la
visuale , a più di quattro file di distanza dalla sua
minacciosa postazione .
Inoltre
era in grado di interrogarti sull’unico argomento sul quale
non ti eri preparato , e
, ciò che era peggio , non ti chiedeva altro .
Le
bastava un’occhiata per appiopparti una bellissima F ed era
molto difficile che mettesse voti più alti di quello : naturalmente se le stavi
simpatico dal primo giorno avevi la promozione assicurata , altrimenti
ti abbonavi alle insufficienze per un anno intero , senza interessi .
Per
prendere una striminzita B rinunciavi al tuo tempo libero , nonché alla tua
preziosa vita sociale , assolutamente immancabile per un allegro
adolescente frequentante le scuole medie .
Stessa
cosa valeva anche per le classi superiori
, o meglio , con alcune sezioni si comportava molto peggio
.
Insomma , con il suo infallibile potere
, La Prof era riuscita nella difficile missione
di terrorizzare innocenti ed indifesi fanciulli affidati alle sue cure
, i quali , dal loro primissimo compito in classe , non riuscirono
più a prendere la vita serenamente , bensì ,
prima si arrabbiavano con la malefica donna , poi si disperavano con se
stessi
, infine
si ammutinavano e non combinavano più nulla per tutto il
resto dell’anno , sordi alle implacabili grida della Prof , capaci di raggiungere lo stesso ,
opprimente suono di una sirena della polizia per le vie della
città in pieno giorno lavorativo o il fischio di un Concorde
che oltrepassa la barriera del suono .
Per
tutti quei sette e più anni
, regnò il Terrore tra gli studenti del Santa
Caterina , ed al momento della festa per il Diploma che prevedeva i
ringraziamenti ai docenti , scappavano a gambe levate per non salutare
né rivedere mai più il satanico volto della Prof .
Neanche
gli altri insegnanti erano più quieti dei loro alunni , e ciò era dovuto
anche all’imperiosa presenza della affabile collega , una
vera e propria Macchina del Potere ,
temuta anche dal simpatico Preside dell’istituto , un uomo
colto ed aperto ad ogni diversità , sia fisica che sociale ,
ma non immune alla Prof ed al suo
gelido carattere .
Le
cose però cambiarono radicalmente quando , alle medie , giunse una
bambina molto diversa da tutte quelle che avevano occupato i terribili
banchi del Santa Caterina : aveva un visetto piccolo e dolce , e grandi
occhi castani , che si intonavano alla vellutata tonalità
della sua pelle ed ai suoi soffici capelli di pece liquida .
Era
bassa per la sua età ,
e mingherlina , ma godeva di ottima salute ed anche di una coinvolgente
personalità : si chiamava Katherine , come la santa alla
quale era intitolato l’istituto .
Anche
se di santo non aveva nulla .
E
presto tutti i temibili insegnanti della scuola
, che fino a poco prima della sua comparsa , erano sicuri
di sé stessi , implacabili , senza pietà di
fronte ad un ragazzino negligente o eccessivamente ribelle , il quale
era ritenuto indegno di frequentare
un così pregevole istituto e perciò relegato
subito ai meandri della classe , divennero dei docili ed impauriti
agnellini , sottomessi ad una nuova ed irrefrenabile tempesta , capace
di ribaltare l’intera organizzazione scolastica , prof e
preside compresi , in meno di due mesi .
Naturalmente
si presero provvedimenti da subito :
chiamate a casa dal preside in persona , note disciplinari ,
sospensioni con obbligo di frequenza , punizioni e sanzioni
straordinarie all’orario scolastico giornaliero , divieto di
partecipazione a manifestazioni scolastiche od affini…
Ma
tutto fu inutile .
Nulla
poteva fermare quel tornado che aveva invaso il vecchio e tranquillo
istituto in così poco tempo
, spazzando nella sua corsa tutto il vecchiume ed il
conservatorismo tipico dell’austera educazione ecclesiastica
, ritenuta dai docenti e dalle suore del convento la migliore in
assoluto .
Katherine , in seguito conosciuta
semplicemente come Kate o Katy , non amava molto ciò che le
allegre monache professavano agli alunni e lo dimostrava attraverso
prove di assoluta furbizia e creatività , idee
così innovative tra i ribelli veterani
dell’istituto che essi dovettero per forza lasciarle il posto
e provar timore nei confronti della scatenata ragazzina .
Una
cosa del genere nella storia del
Santa Caterina non succedeva da più di quindici anni ,
cioè dalla fine degli anni Sessanta , e non essendo pronti a
questa nuova situazione , oltretutto dopo aver adottato qualunque mezzo
possibile per bloccare il cammino dell’Uragano
, tutto ciò che gli insegnanti ed il direttore poterono fare
era sopportare .
Sopportare
ed aspettare il giorno del diploma .
Dopodichè
sarebbe tutto finito .
Anche
se quei sette anni si preannunciavano più lunghi e
travagliati di quanto in realtà fossero e pian piano la
minuta speranza del dirigente e dei suoi collaboratori diventava sempre
più sottile e precaria .
Niente
e nessuno avrebbe potuto salvare la scuola .
Fino a
quel fatidico giorno di inizio settembre
.
Una
busta chiusa e sigillata ,
capitata sulla scrivania del nuovo preside per caso .
Una azzardata
proposta .
Una imprevedibile
occasione presa al lazo .
Senza
aver considerato stupidamente le conseguenze
.
“Oh , cazzo.”
“Ma
la smetti , una volta per
tutte ? In meno di cinque minuti hai detto tre
parolacce , una
più grossa dell’altra , e per giunta senza tener
conto di chi ti sta intorno , né del luogo in cui ti trovi ! E poi , è
meglio che nascondi subito quei disegni
, ma ti rendi conto di quello che stai facendo , se ti scopre il
professore …”
“Se
mi scopre il professore sono affari miei
! E poi ,
non eri tu quella che odiava
Johnson , che lo considerava un cafone della peggior specie , uno di
quei soliti raccomandati che si presentano a inizio anno davanti il
portone della scuola e dicono di venire da un’altra
città , mentre in realtà sono parenti del preside
o dei suoi fedelissimi colleghi ? Ma
si può sapere da che parte stai ?”
“Dalla
tua , ovvio , ma secondo
me non dovresti prenderla tanto alla leggera , ne abbiamo
già discusso e da ora in poi
non te lo ripeto più !”
“Ecco , brava , tieniti le tue idee in
mente , non mi servono . So ragionare molto meglio da sola che con il
tuo aiuto , è
da quando sono entrata qui dentro che mi difendo così , e
poi diciamocelo…”
“Tu
non saresti mai capace di sfottere un professore
.
Sei
troppo timida ed ingenua per compiere atti così
immorali…
Non
resisteresti un secondo nei miei panni .”
“Ma…ma
stai scherzando , vero ?
Co-come ti permetti di dirmi certe cose
, tu non mi conosci in
realtà , non sai come mi comporto al di fuori della sfera
scolastica , non puoi giudicarmi solo da ciò che vedi in
superficie !
Una
persona può essere molto diversa da come invece ci appare , e…”
“Okay , okay , ho capito , la smetto !
Uffa… certe volte diventi permalosa in una maniera assurda .
Ma
come fanno i tuoi a sopportarti tutto il santo giorno ?”
“Con
il medesimo sistema che adottano tua madre ed il tuo maggiordomo : resistono fino al carico di
rottura , che nel loro caso è relativamente basso
.”
“Grazie
per la chiara e concisa rappresentazione dei miei problemi domestici , ma non pensi sia ora di
finirla ?”
“Ben
detto , signorina Villa :
non pensate che per voi e la signorina Shepard sia vivamente migliore
smettere di litigare e di concentrarsi invece sulla lezione , alquanto
più utile ed interessante dei vostri scambi di opinioni
avverse ?”
“…”
“Oh…Certo . Certo signor Johnson , faremo come ci ha chiesto lei
.”
“Molto
bene , signorina Shepard
, non deludetemi ancora come questa mattina . Spero che lo stesso valga
anche per voi , signorina
Villa .”
“Ah…Sì , sarà lo stesso pure
per me.”
“Molto
bene , voi ringrazio .
Ora ritorniamo alla nostra lezione .”
Al
pungente ed urticante suono della campanella le ampie e polverose aule , che fino a quel momento
apparivano agli occhi degli estranei mute e docili come grandi cactus
che stendono le loro braccia al fastidioso sole , abbandonandosi al suo
superfluo calore , si destano dal classico torpore che aleggia nelle
scuole private e non verso la fine di una stressante giornata
lavorativa e si scrollano via tutta la fatica e la noia delle ore
precedenti , riversando nei lunghi corridoi , dapprima deserti e
silenziosi , decine di impazienti ragazzi ed affaccendati professori ,
desiderosi di poter finalmente ritornare a casa a rilassarsi , pensando
come ultima cosa alla marea di compiti da svolgere o correggere , e
soffermando invece il proprio interesse in argomenti decisamente
più interessanti e meno impegnativi : i prof di solito
discorrono di cene di lavoro o con i conoscenti , massacranti colloqui
con i genitori , sia di mattina che di pomeriggio , i quali sembrano
non terminare mai ( soprattutto se il soggetto da analizzare
è un tipetto abbastanza irrequieto ) , tipici e noiosi
grattacapi scolastici , il disordine che aleggia indisturbato nelle
abitazioni a causa della perenne assenza degli inquilini , lo stress
della maternità , i litigi con il coniuge , con la suocera ,
con i parenti in generale , velenosi pettegolezzi sui
colleghi…
Per i
ragazzi invece era un’altra musica
, in tutti i sensi : infatti in quegli anni , nelle
città americane , non era difficile trovare i cortili degli
istituti ed i negozi di dischi affollati da decine e decine di ilari
giovincelli , che passavano le ore dopo la scuola in un minuscolo
angolo di magia creato da una moltitudine di note e suoni , ascoltando
e talvolta comprando , i vinili dei propri miti , in un miscuglio di
generi e ritmi incomparabile , che dava al luogo un’atmosfera
di sospesa allegria .
Di
tanto in tanto , sfilate
le cuffie per riprendersi dall’Ebbrezza del Pop , si metteva
in pausa il Paradiso per qualche minuto e si cominciava a parlare del
più e del meno , discorsi leggeri e talvolta anche
abbastanza futili : chi adulava con teatrale sentimento il
più bello ( e stupido ) della squadra di football
dell’istituto , chi si lamentava con l’amica
paziente dei genitori troppo oppressivi o per la scuola troppo pesante
, chi discuteva animatamente sull’ultimo album acquistato ,
un pezzo raro che tutti bramavano di strappare dalle mani del fortunato
possessore , od anche chi , preso da un moto di cultura represso , si
accomodavano tranquillamente in un cantuccio e ripassava per il giorno
successivo le materie in cui era meno preparato .
Ma in
quel caldo giorno di metà ottobre
, tra consigli di classe , accorate lamentele ,
mangiadischi surriscaldati , orecchie infuocate , tailleur da stirare ,
Converse da lavare , numerosi caffé zuccherati ingeriti ,
pisolini sui banchi di classe ed anche malori inscenati alla perfezione
per evitare una fatale interrogazione , sia gli insegnanti che gli
alunni del Santa Caterina non riuscivano a parlare d’altro :
qualunque insignificante discorso era incentrato su uno degli eventi
più importanti e divertenti organizzati dalla scuola (
naturalmente insieme al ballo di fine anno per i ragazzi
dell’ultimo anno di liceo ) che si sarebbe tenuto
ufficialmente da lì a nemmeno una settimana .
Infatti nella
notte fra il 31 ottobre ed il 1 novembre , in tutti gli Stati Uniti si
sarebbe scatenato il terrore nella sua forma più primordiale
e terrificante , travestendosi all’occorrenza da strega , da
vampiro , od anche da pipistrello , a seconda della persona da
spaventare o dei propri inquietanti capricci .
Per
quella magica notte i ragazzi ed i bambini di Los Angeles avevano
cominciato ad organizzarsi già dall’inizio
dell’estate ,
comprando , e talvolta fabbricando, i loro costumi per La
Festa delle Streghe , i quali oltre ad essere
meravigliosamente spaventosi dovevano possedere una ricercata
originalità ed un sottile fascino che solo le maschere ben
confezionate sapevano emanare .
Alcuni , tuttavia , non rinunciavano al
loro classico abbigliamento da strega o da mummia , nel quale si
trovavano perfettamente a loro agio e ritenevano le altre maschere troppo scomode per i loro gusti , o
semplicemente non riuscivano ad aprirsi a nuove tendenze , al contrario
degli altri adolescenti che amavano le novità , soprattutto
se queste riguardavano il vestiario e le calzature e , in questo caso ,
i fatidici costumi per Halloween .
Era
ciò che preoccupava di più la passionale Katy : infatti per ben tre anni di
fila il suo travestimento per la Notte delle Streghe non si era modificato e
nulla le avrebbe mai permesso di cambiarlo , neanche il pervenire di
nuove mode e nuovi stili : aveva trascorso tre splendidi Halloween
della sua vita vestita da zombie , la creatura terrificante e mostruosa
che lei amava più di qualunque altra .
Ma in
lei , già
dall’inizio dell’anno , si preannunciavano diversi
e devastanti cambiamenti , sia dal punto di vista fisico che
caratteriale .
E
tutto cominciò proprio dalla sua anonima , e a prima vista insignificante
, maschera da morto vivente .
“Finalmente
è suonata la campanella ,
non ne potevo più di rimanere in quella classe con quel
viscido yankee che continuava a fissarmi come se fossi venuta dalla
Luna ! Ma secondo te ho la faccia così ridicola oppure non
sa che fare per rendermi la vita un inferno
, più di quanto già in
realtà non sia ?”
Impaziente , come ogni volta che udiva la
stridula campanella che segnava la fine delle lezioni , ed oltretutto
furibonda con il suo Nemico Numero Uno , ormai così definito da
tutto l’istituto , che gliene aveva combinata
un’altra delle sue , Katy camminava ( o sarebbe stato
più corretto , correva ) attraversando come una furia tutta
la superficie del cortile che va dall’ingresso principale
fino al serio cancello in ferro battuto che segnava il confine del
convento con il mondo esterno .
Dietro
di lei , leggermente
affannata per la celere andatura della compagna , stava Sandy , che da
buona e paziente amica si sorbiva tutte le lamentele e le imprecazioni
della nuova vittima del Prof :
dopotutto la ragazza era stata presa di mira dal nuovo insegnante e da predatrice era diventata preda
, come ormai supponeva tutta la scuola , e non perdeva naturalmente
tempo , nel darle qualche consiglio .
Uno di
questi , però
, fu particolarmente pericoloso per
la sua incolumità .
“Sai , Katy , comincio a pensare ,
anche ho potuto osservare degli evidenti segnali già
dall’inizio dell’anno , che i suoi sguardi e le sue
parole non facciano parte di una bel calcolata messinscena
…”
Si
avvicina di più alla inferocita
ragazza , affrettando il passo , i codini ondulati che oscillano sulle
spalle come pendoli .
“…Pensaci
bene : Connie , Brittany e le altre non sono mai
state degnate di uno sguardo dal primo giorno e per loro ormai
è diventato un lavoro conquistare gli insegnanti ,
soprattutto gli uomini giovani e con una grande carriera da costruire ;
gli basta un ammiccamento e quelli come merluzzi cascano ai loro piedi .
Ma con
Johnson non è la stessa cosa
.
Lui
non ha occhi che per te ,
le biondine della prima fila le osserva di striscio , giusto
perché fanno parte della classe e provenendo da casate
abbastanza celebri un minimo d’importanza devono avercela .
E
tieni conto , lo dico
senza offendere tua madre né la tua famiglia ovviamente ,
che loro sono molto più in alto di te
, sia socialmente che economicamente parlando .
Se
veramente , come supponi tu , è interessato ad
accaparrarsi qualche bel milione dalle tasche dei padri avvicinando
prima le figlie , non si sarebbe interessato a te
, che nelle certificazioni dell’istituto sei iscritta come orfana di padre e da quel che so io non
hai parenti dalla sua parte in circolazione , altrimenti il nostro
professore si sarebbe informato ma non l’ha fatto , per
fortuna . E poi , per i
soldi , avrebbe anche sedotto tua madre , cosa se ne faceva della
figlia di una milionaria poco più che adolescente e quindi
assolutamente inadatta per un uomo adulto come lui ? Dammi retta , Johnson non vuole i tuoi soldi
, vuole te .”
A
quella inequivocabile e naturalmente scomoda realtà , Katy si blocca di scatto dal
suo rapido viaggio , rimanendo immobile , i piedi piantati a terra ed i
pugni stretti lungo i fianchi , a nemmeno due metri dalla invalicabile
inferriata di metallo , mentre ragazzi e ragazze le passano accanto
leggermente titubanti e preoccupati , prevedendo le future conseguenze
di quella azzardata ipotesi la quale , anche se pronunciata da una
bocca innocente e matura come quella di Sandy , non sarebbe stata di
certo perdonata dalla bollente furia che cresceva in modo evidente sul
volto già scuro naturalmente di Katy .
Molto
lentamente si gira verso la sua accusatrice
, la faccia così deformata dalla furia che
alcuni studenti bisbigliavano addirittura una possibile sfida alle mani
.
Ma per
fortuna non ci fu nessun spargimento di sangue né colpi di
pistola ad inquinare la celeste aria dell’istituto .
Solo
una salutare ed accesa disputa ,
tipico fenomeno nato soprattutto da incomprensioni fra amiche .
Od
anche da ribellione di fronte alla
realtà da parte di una di loro .
“…Ma
stai scherzando , vero ?”
“Perché
dovrei ? Sono serissima
.”
“No , che non lo sei ! Per dire cose
del genere si deve essere per forza fuori di testa
! Ma non ti rendi conto che io odio quel coglione
sin dal primo momento in cui l’ho visto e non
potrò mai , e
dico mai , andarci
d’accordo né tanto meno sperare che un giorno la
situazione cambi ? Ogni giorno che passa me ne accorgo sempre di
più : lui
vuole sopprimermi , uccidermi
mentalmente , soffocarmi fino
a farmi cedere ! Ma io non mollo ,
sappilo , Sandra , e non
m’importa se dovrò ricorrere alle maniere forti
per fargli cambiare atteggiamento nei miei confronti , non mi importa
se verrò sospesa da questa maledetta scuola per tutto
ciò che gli combinerò ! L’unica cosa
che mi interessa è vendicarmi di quello stronzo ,
nel modo più rapido e meschino possibile . Ed anche se si
prenderanno provvedimenti … Beh
, allora me ne andrò di qui soddisfatta di me
stessa . E per quanto riguarda quelle
oche …”
E nel
dire questo diminuì considerevolmente il tono di voce , avvicinandosi di
più a Sandy , la quale era rimasta immobile ed impassibile
alla scarica di ingiurie scrosciate dall’animo tormentato
della sua compagna .
“…Sappi
che di loro non me ne frega un emerito cazzo
. Possono fare ciò che vogliono , osare qualunque cosa , ma non
saranno mai alla mia altezza : non riusciranno a soppiantarmi , nessuno
potrà mai farlo.
Nemmeno
Johnson . Ricordatelo , Sandra
.”
A quel
punto Sandy , afferrate
le possibili conseguenze di una sua risposta a quelle minacce ,
capì che con Katy e la sua immortale determinazione non
c’era più nulla da fare .
Si
limitò soltanto ad abbassare il capo in silenzio , per non incrociare i pozzi
assassini che l’amica si ritrovava al posto degli occhi ,
annuendo al suolo erboso , e nonostante l’imperterrita
sicurezza che emanava la sua persona , il labbro inferiore tremolava
leggermente e le dita stringevano con vigore le braccia quasi a volervi
conficcare dentro le unghie lunghe e curate .
Avrebbe
tanto voluto perorare le sue ipotesi ,
convincere la sua ingenua amica che quello che il loro insegnante
provava per lei non era antipatia o addirittura odio , ma semplicemente
…
Simpatia .
Katy
non usava mai quella parola per descrivere il comportamento affabile di
un professore verso i propri alunni ,
anzi per lei poteva assumere diversi significati tranne una
dimostrazione di puro affetto e cordialità tipica
soprattutto degli educatori alle prime armi , che per sciogliere un
po’ la tensione delle loro nuove esperienze lavorative
cercano di instaurare un rapporto di sincera complicità con
la classe , scherzando e apparendo sempre allegri e gioviali con
chiunque , colleghi e collaboratori scolastici compresi .
Per lei , quella spontaneità
nei modi e nelle parole , non risultava
affatto innocente : era un segnale d’allarme .
Sin da
piccola sua madre le aveva imparato a non fidarsi mai degli sconosciuti , barboni sui cigli delle strade
od eleganti signori stranieri che fossero , le raccomandava spesso di
rimanere nelle vicinanze del quartiere dove vivevano , ed anche se Los
Angeles era un metropoli di consistenti dimensioni , popolata
soprattutto da extracomunitari di origine latina o afro americani poco
raccomandabili , il territorio che si estendeva da Beverly Hills , il
luogo in cui abitavano , e Santa Monica , dove spesso si vedeva con gli
amici , non era nulla in confronto alla distanza tra Santa Monica e
Malibu , o tra Santa Monica e Santa Barbara .
Rimaneva
nelle più strette vicinanze della spiaggia e per spostarsi
da un isolato all’altro percorreva a piedi le immense vie del
quartiere in cui si trovava oppure approfittava della moltitudine di
autobus e taxi gialli che schizzavano da un lato all’altro
della metropoli ,
percorrendola in tutta la sua estensione .
Il
mezzo pubblico sul quale non metteva mai piede era la metropolitana , che nella Città
delle Stelle era alquanto malfamata e brulicava di ogni genere di
furfanti e vagabondi , inoltre era meta di numerose ed eleganti
prostitute le quali trovavano in quei sotterranei bui ed umidi la
giusta clientela , che sapeva farsi pagare profumatamente ; uomini
chiunque od anche di un certo spessore sociale , che ogni notte
offrivano una mancia dai cinquecento dollari in su , talvolta anche
più , dipendeva dalla gentile signorina con la quale si
incontravano o dal peso del loro conto in banca .
Spesso
si ci poteva imbattere
anche in qualche ubriaco adagiato a freddi muri di intonaco o alle
balaustre che separavano le lunghe rampe di scale per passare da un
binario all’altro o per uscire a rivedere il Sole dopo quasi
mezz’ora passata al gelo ed all’oscuro , in balia
di ogni sorta di maniaco , così disparati che si aveva pure
l’imbarazzo della scelta .
Naturalmente
i sotterranei della metropolitana non erano frequentati soltanto dalle
tipologie di individui citate sopra :
ci si potevano incontrare uomini d’affari in giacca e
cravatta , con la fedele ventiquattrore alla mano , donne in carriera
ben vestite ed impeccabili anche dopo una folle corsa per arrivare al
lavoro in orario , giovani universitari con le braccia cariche di libri
e l’aria assonnata , signori e signore anziani che escono al
massimo una volta al giorno per comprare il necessario per la casa o
per cambiare un po’ l’aria , genitori e figli mano
nella mano pronti per andare in spiaggia o al luna park o allo zoo ,
ragazzine del liceo eccitatissime per il loro ennesimo giorno a spasso
per le vie della città senza i propri genitori alle calcagna
, desiderose di percorrere almeno cento metri di strada nella
più completa libertà…
Insomma , la metropolitana di Los
Angeles non era poi così pericolosa da questo punto di vista
, ma per una mamma dolce ed apprensiva come lo era Fiordaliso , quello
non poteva essere altro che il peggior posto di tutta la
città : naturalmente per certi versi la donna si era
lasciata influenzare dalle sue esperienze giovanili non molto piacevoli
, ed imponeva giustamente alla figlia un comportamento responsabile e
giusta distanza dai pericoli che le zone più nascoste della
immensa città incarnavano per la maggior parte degli
abitanti , soprattutto le madri ed i padri di famiglia , ed i
vecchietti impauriti .
Crescendo
con queste regole severe ma utili ,
Katy arrivava a fidarsi ciecamente soltanto di coloro che abitavano
dalle sue parti o che erano conosciuti da tutti per una buona fama ,
come nel caso di Sandy , anche se il rapporto con lei era molto diverso
e difficile da descrivere correttamente con poche parole .
Le
parole per discutere su comportamenti decisamente ambigui da parte di certe persone si trovavano , però , e non erano
termini molto eleganti : basti pensare che dopo un quarto
d’ora ininterrotto di fantasiose parolacce , terribili
sbraiti , opinioni stroncate sul nascere , pugni alzati in aria con
fare minaccioso , piedi sbattuti sul marciapiede quasi a volerci
incidere delle belle crepe a testimonianza della rabbia della
proprietaria , sguardi imploranti ed occhiatacce non molto rassicuranti
, Sandy perse anche l’ultimo briciolo di autocontrollo che le
era rimasto dal breve litigio all’uscita da scuola fino a
quel momento e con una grinta ed un urlo mai pronunciato
così violentemente , forse spronato da quel desiderio di
riscatto e forza che da tanto tempo ormai era rimasto sopito in lei e
l’aveva spinta a farsi sentire da tutti pienamente ,
riuscì in un’impresa quasi del tutto impossibile
per chiunque , ovvero far zittire Katy almeno per cinque minuti .
Colta
alla sprovvista da così tanta potenza
, la mora smise subito di inveire impetuosamente come
aveva fatto fino a due secondi prima e , fermata la lingua ,
continuò a camminare lentamente a fianco della soddisfatta
amica dagli occhi che brillavano come quelli di un gatto al buio ,
percorsi da misteriose scosse dorate che fluttuavano nel verde , mentre
quelli della compagna stavano abbassati ad osservare i mocassini neri
che percorrevano il suolo minuziosamente lastricato da mani esperte ,
più scuri e profondi di quanto in realtà non
fossero , ancora caldi e vibranti per la improvvisa e bruciante
sconfitta infertale dall’ultima persona dalla quale se la
aspettava .
Nessuna
parola corse tra le due ragazze per più di dieci minuti , il tempo che ci volle per
riprendersi dalla infuocata mattinata , sconvolgente per tutte e due :
entrambe erano rivolte a riflettere intensamente sulle loro condizioni
di vita così diverse , tuttavia con una invincibile
sensazione di affrancamento e pace che le accomunava .
Irrimediabilmente
soggette ad una esistenza
in simbiosi , talvolta troppo scomoda e dura da ammettere , soffocante
e impossibile da scacciare utilizzando qualche parola buttata
lì per comodità e senza averci prima pensato su
almeno per tre secondi .
Non
erano sufficienti neanche sguardi truci e sfide corpo a corpo .
Offese
intime e risposte poco gentili .
Silenzi
di ferro e parole taglienti come lame .
Ma ad
una occorreva soltanto udire la voce dell’altra , anche solo un monosillabo
pronunciato al telefono , frettolosamente e senza sentimento , magari
di nascosto dagli altri coinquilini della casa e sopprimendo anche una
brutta parola sul punto di uscir fuori dalle labbra a seminar zizzania
, per ritenersi davvero la persona più felice e soprattutto
ricca di questo mondo .
Una
ricchezza a prova di rapina ma soprattutto a prova di distanza .
“Tu
da cosa ti maschererai per Halloween ?”
“Mh?”
“Ti
ho chiesto come sarà il tuo costume per la notte del
31… Elegante o terrificante ?”
“Mah , a dir la verità non
so neppure se verrò o no .
Mia
madre lavora e con lei anche mio fratello
, perciò tecnicamente nessuno mi ci
potrà accompagnare , e non si fidano a lasciarmi in balia di
sconosciuti .
Comunque
se tutto va bene spero di riuscire a vestirmi da strega od anche , per cambiare un po’
stile , da vampiro : sono creature così misteriose ,
eleganti , inquietanti .
iose
, eleganti , inquietanti e
Per molti bellissime , divine ,
addirittura .
Nonostante
la loro natura ostile agli uomini ed alla loro società .
Mi
affascinano , in un certo
senso…”
“…Sì , sono molto interessanti . Ed
affascinanti ,
soprattutto…Ma mai come gli zombie od i licantropi , loro si
che sono fantastici e soprattutto insuperabili , a prova di vampiro! ”
“Ehi , ehi , non ti scaldare
tanto , stavo solo dicendo che i vampiri hanno fascino , ma
naturalmente per certe cose sono meglio gli zombie …Ed anche
i licantropi , certo.”
“Hai
perfettamente ragione! Ad esempio se tu ti ritrovassi a baciare un
vampiro , moriresti prima
di aver tolto le labbra dalle sue per dirgli che bacia divinamente , e
nella migliore delle ipotesi , tu , la malcapitata di turno ,
diventeresti come lui , ovvero un mostro nemico degli uomini , con gli
occhi indemoniati , i capelli scarmigliati e pieni di nodi ,
nonché l’alito che puzza di sangue rappreso e di
carne umana .
Invece
se ti baciasse un licantropo ,
naturalmente evitando di passeggiare al chiaro di luna , non correresti
il rischio di ritrovarti con due zampe pelose al posto delle mani ed
una lunga sega di zanne al posto dei denti , le quali devono essere
anche lavate e disinfettate assiduamente , altrimenti sono
più puzzolenti di una fogna sotterranea che sbuca proprio
davanti le banchine dei pescherecci al porto …Un tanfo
insopportabile , credimi , ci sono passata .
In
quanto agli zombie , beh
, non penso che sia molto igienico baciare un cadavere , anche se
alcuni esemplari sono particolarmente magnifici , e a differenza di
altri loro simili , sanno muoversi sinuosamente.”
“Ti
riferisci a qualcuno in particolare ?”
“No!
Cioè…Sì
. Ma visto che a te non piacciono i morti viventi , non posso dirti di chi si
tratta.”
“Oh , fa come vuoi , tanto ho
già capito .”
“…Perspicace
come sempre , la mia
bella vampira . Scommetto che se tu venissi alla festa di
giovedì ,
faresti strage di cuori . E potrebbe scapparci anche uno bello spuntino di mezzanotte
.”
“Sono
un vampiro , non un
cannibale : non mangio gli umani , bevo il loro sangue , e se le mie
vittime sono simpatiche e carine , e voglio risparmiargli la vita ,
naturalmente , le faccio divenire miei simili . Invece i licantropi
quando sono trasformati non sanno quello che fanno e creano altri loro
compagni senza accorgersene .
E poi noi vampiri baciamo benissimo e stiamo attenti con gli umani , sappiamo resistere tantissimo
, sai ?Al contrario di voi licantropi che non riuscite a manipolare il
vostro aspetto , siete dominati dalla Luna e non potete cambiare la
vostra natura .
In
alcun modo .”
“Forse
da questo punto di vista hai ragione ,
ma noi siamo molto più soffici e caldi dei vampiri , ed i
bambini ci amano !”
“Certo , come no…Vi
coccolano come orsacchiotti.”
“Esatto
!Solo che siamo un pochino
più grandi , e soprattutto , mangiamo di
più…E produciamo più escrementi
rispetto agli orsi . Beh , dai , non siamo male come animaletti da compagnia .”
“No , assolutamente .Però preferisco di gran lunga gli orsi!”
“…Grazie
infinite , ogni giorno
con le tue parole di conforto rendi la mia esistenza meno grigia e
monotona . Ti ringrazio davvero .”
“Ah
ah ah , di
niente!”
Scambiandosi
opinioni senza senso e passeggiando tranquillamente lungo i viali
d’autunno di Beverly Hills colorati da luci calde e soffuse , create da un sole
giocherellone che si divertiva a riflettere i propri raggi tra le
foglie dorate , Katy e Sandy sembravano aver dimenticato la piccola
litigata avuta meno di un’ora prima davanti al cancello della
scuola , scatenata oltretutto da motivi futili e non certo spiacevoli
per molte delle loro coetanee : ma Katy , la vittima designata dal Carnefice , sembrava non vederci nulla di
positivo nella sua nuova posizione di favorita
( un altro maligno epiteto sulla sua mesta condizione ) di Johnson ,
uno di quegli insegnanti che con una sola lezione sono in grado di
guadagnarsi la fiducia di tutta la classe .
Tranne
che di una persona .
Ma
magicamente , dopo quasi
un mese passato ad analizzare ed a carpire più informazioni
possibili sull’ indiziato Numero Uno , qualcosa era scattato
nella mente di Sandy , e la chiara e concisa ipotesi elaborata dalla
sua ingegnosa mente che aveva fatto scatenare l’ira della sua
compagna , incendiando le sue convinzioni come una scintilla che va a
posarsi su un foglio di carta , bruciandolo rapidamente , non poteva
che rappresentare la giusta e veramente seccante realtà :
quella angusta verità che Katy tentava in tutti i modi di
allontanare dagli altri pensieri , eclissandola nel Cassetto
dei Ricordi da Dimenticare .
Ma
Sandy , da buona amica ,
e dopo aver assistito alla smodata reazione della ragazzina , non osava
più aprir bocca riguardo quella complicata
faccenda e secondo lei la cosa migliore era aspettare : i tempi
sarebbero maturati e forse la vittima
del Prof sarebbe cresciuta di cervello oltre che di altezza , ed anche
la sua opinione su Johnson sarebbe mutata .
Eppure
i presentimenti non erano mai pochi .
“E
te , invece ? Quale
orripilante costume sceglierai ,
se è lecito conoscerlo in anticipo , per stregare
l’intera scuola ? Qualcosa di originale e assolutamente
improponibile oppure ti butti più sul classico rivisitato ?”
“Beh , sinceramente …Non
voglio dirtelo . Voglio che sia una sorpresa per tutti . Ma vedrai
, non ne rimarrai delusa !”
“Oh , ma non sono io quella che devo
rimanere delusa , cara la mia Katy : pensa piuttosto a tutti i tuoi
infelici ammiratori a cui spezzerai il cuore dopo il tuo arrivo in
palestra vestita da strega in pensione ! Non penso che loro
gradirebbero molto la sorpresa…”
“Già...”
“…”
“Ma
sinceramente non mi interessa nulla di ciò che dicono gli
altri : che facciano un
po’ come vogliono , io non cambierò di una virgola
. Dovranno accontentarsi del mio travestimento
, squallido o meraviglioso che sia .”
“Brava , hai ragione . Ma una come me che non si
è mai proposta agli altri ma anzi , ha sempre cercato di
tenersi alla larga dal mondo che la circondava , può
permettersi un leggero strappo alla regola , vero , Capo ?”
“Naturalmente , lei può permettersi
tutto , signorina Shepard ; è la più intelligente
e famosa alunna di tutte le scuole medie della West Coast .
E
scommetto che lo sarai anche al liceo ,
ed al college , ed all’università , insomma lei
sarà sempre una studentessa modello per tutti noi , cara
Sandy !”
“Oh , la ringrazio , Boss , lei mi
lusinga così ! Ma anche lei non a
da ravvedersi della sua acutezza . Anche se …
Se lei
fosse un po’ meno aggressiva e vendicativa con i docenti del
suo istituto , la
situazione sarebbe migliore , su tutti i fronti . E la sua media aumenterebbe di molto
.”
“Alcune
persone meritano di essere trattate male anche per il solo fatto di
esser nate . E non mi
riferisco a nessuno in particolare ,
sappilo .”
“Ah , okay . Beh , che ne dici se parliamo
d’altro ti va ?”
“Certo
che mi va . Ogni
argomento sarebbe di gran lunga migliore di questo .”
“In effetti non ha tutti i torti .
Vabbè , che ne
dici se andiamo a fare un giretto a Santa Monica ? Lì
è sempre pieno di gente interessante e non possono
querelarci perché camminiamo a piedi nudi sulla spiaggia o
ci divertiamo a fare le oche davanti ai surfisti
. Ti va ?”
“Sappi
che ogni tua proposta sarà sempre ben accetta .”
“Oh
allora sbrighiamoci altrimenti non troviamo più nessuno . Avanti
, prova a prendermi !”
“Ehi , non vale , però ,
sei partita prima di me ! Ma tanto ti prendo
, brutta strega !”
“Invece
di parlare pensa ad acchiapparmi ,
razza di lumaca che non sei altro !”
“Se
la metti così allora non ho più alternative e non
mi tiro di certo indietro per una
come te !”
“Prima
devi acchiapparmi ,
tesoro , poi potrai esultare è la regola !”
“Okay , okay , ma se ti prendo
promettimi che non mi lascerai sola giovedì sera .”
“Te
lo prometto , Katy , e ti
offrirò pure da bere , se ne vorrai , naturalmente
.”
“Affare
fatto , socia ! Ma
facciamo presto ,
sennò mamma si arrabbia se ritorno a casa dopo il tramonto .
Sai com’è fatta ,
appena vede un po’ di buio mi rispedisce dentro casa e chiude
la porta a chiave e sbarra le finestre .
Ma si
può essere tanto fifoni ?
Era da
più di un quarto d’ora che i miei gomiti stavano
incollati al parapetto di ferro che cingeva il balcone di piastrelle
bianche unito alla mia stanzetta da una
imponente finestra di legno , ed ormai non volevano
più staccarsi da quella posizione così rilassante
ed abituale per loro : di solito mi mettevo lì sul far della
sera , quando quel tranquillo isolato lontano dal Caos e dalla
trasgressione invivibile del cuore di Beverly Hills , scivolava
lentamente nel dormiveglia , sbadigliando profondamente e
stiracchiandosi le lunghe membra come fa un gattino per togliersi di
dosso la stanchezza e la noia del giorno trascorso per poi cadere anche
lui in un civettuolo riposo , destandosi appena e poi ributtandosi nel
mondo dei sogni , indifferente al mondo che lo circonda .
Come
al solito c’era una fredda brezza che accarezzava i tetti e
gli alberi potati di fresco dei giardini svelavano i propri segreti al
cielo , lasciandoli
trasportare dal gentile venticello .
Le
folate di vento attraversavano i viali asfaltati e traforavano i
lampioni ancora non del tutto accesi ,
compiendo fantastiche evoluzioni , passando per i decori che ornavano i
cancelli delle ville più lussuose , tra i radiatori e le
borchie delle costose automobili parcheggiate stupidamente sul ciglio
del marciapiede , per poi arrivare con un salto stupefacente ad
investirmi completamente il viso e scompigliando i capelli divenuti
quasi del tutto lisci , facendoli danzare sulla mia testa in vortici
irreali e rendendo le mie mani ed il mio naso ancora più
rigidi di quanto in realtà non fossero , simili a cubetti di
ghiaccio appena tolti dal freezer , mentre il resto del corpo sembrava
ibernato in uno strano calore interno , nonostante
l’abbigliamento leggero e la lunga esposizione al freddo che
aveva subito da pomeriggio inoltrato , cioè da quando la
sfera solare era sul punto di abbandonare il nostro emisfero per far
visita a quello opposto .
Stufa
di dovermi mangiare i miei stessi capelli per colpa di
quell’incessante bufera (non avevano un bellissimo aspetto ed
oltretutto neanche un buon sapore) ,
mi sistemai quei sottili fili neri che mi svolazzavano intorno alla
testa , scostandoli dal viso con le mani intorpidite e facendone una
grossa coda , dopodiché li legai con la cintura della
vestaglia appesa alla vita , lasciando poi fluttuare liberamente
quest’ultima nelle onde ventose , ed immersa in quel mare
potente ma incorporeo che mi aveva sempre ispirato utili consigli per
spinose situazioni , qualunque esse siano , cominciai ad osservare
distrattamente dei gabbiani che si alzavano in volo a qualche centinaio
di metri dalla mia postazione , sospinti dal vento verso sud , una
nuvola bianca che spezzava il blu rosseggiante del cielo , simile per
intensità ad una saetta che illuminava il sereno e lasciava
dietro di sé una scia di meraviglia e timore .
In
quegli ultimi tempi mi capitava spesso di soffermarmi su quella metafora , che incredibilmente
raccoglieva in sé tutta la mia stupefacente condizione : da
quasi quattro mesi il mio cervello non pensava ad altro che a lui , a quell’oggetto
inevitabilmente connesso a lui , al
modo in cui aveva potuto sconvolgere la vita in meno di un battito
cardiaco , così come aveva l’aveva cambiata molti
anni prima con un suo sguardo innocente volto alla ragazzina unica sua
fonte di salvezza .
Ma in
quel ventoso tramonto di fine ottobre qualcuno avrebbe dovuto
disperatamente aiutare me :
non ce la facevo più a tenere il peso di un così
prezioso tesoro in un banale comodino ed il suo mistero nascosto agli
occhi di tutti e svelabile solo attraverso l’opera di una
lente ingrandente mi aveva lasciato così debole e sconvolta
che piansi nervosamente la notte successiva alla scoperta , per tanto di quel tempo
che non mi ricordo neanche ciò che avevo sognato , se il mio
sonno era stato popolato da veri incubi , ricordo delle mie emozioni
contrastanti avute da sveglia , o da pacifiche incursioni oniriche da
parte di angeli sconosciuti al mio essere , venuti a consolare la mia
impotenza di fronte a tanta oscura verità .
L’unico
ricordo che la mia mente non aveva cancellato era quella incisione : la vedevo davanti ai miei
occhi , indelebile come un marchio infuocato .
Era
così nitida .
Perfetta .
Inequivocabile
.
Era
proprio la sua perfezione a spaventarmi
: mai un oggetto inanimato mi era apparso così
vivo e carico di parole fino ad allora e la sua fattura ,
nonché la sua provenienza , non lasciavamo dubbi neanche sul
suo fine .
Eppure
la parte di me stessa più razionale resisteva strenuamente : non poteva essere tutto
così palese come invece appariva alla mia vista , non volevo
arrendermi all’evidenza dei fatti perché lui , il mio
migliore amico , uno dei
pochissimi uomini che in tutta la mia schifosa vita non mi abbia mai
torto un capello o tirato uno schiaffo (alcuni
sono arrivati anche a peggio) , una di quelle persone di cui mi potevo
fidare cecamente , senza aver dubbi su di lui
e su come si comportava , sia con gli altri che con me , non avrebbe
mai osato una pazzia del genere , non me l’avrebbe fatto
notare così superficialmente , ed anche se quella catenina
era un regalo meraviglioso (e
sarebbe sempre stata così) , anticipazione
di quella tanto agognata sorpresa che aspettavo da quel giorno di
metà estate , la mia mente pensava che la sorpresa non fosse
legata a quel tragico episodio di ventuno anni prima , né
tantomeno a qualcosa che avrebbe permesso a me ed alla mia famiglia di
vivere meglio .
Sin
dall’inizio lui mi aveva
detto che questa sorpresa riguardava solo me , ma non pensavo che sarebbe
arrivato a tanto .
Non
riuscivo a crederci .
Non
poteva essere vero .
Ogni
ragionamento era infondato .
Eppure
tutto appariva chiarissimo ,
a prova di dubbi , di domande , di difficoltà .
Per
molto ci fu una silenziosa battaglia tra i miei sentimenti e la mia
razionalità :
le convinzioni dell’animo si erano demolite come una carcassa
di ferro nella pressa , e ritornavano spesso alla memoria i vecchi
tempi , quando tra me e lui
c’erano chilometri d’acqua salata a dividerci , ma
ci sentivamo vicini nel nostro dolore , diverso per entrambi le parti
ma ugualmente intenso e lacerante , da scuotere le membra e
singhiozzare fino allo stremo davanti ad un semplice foglio di carta
scritto dalla mano di chi ha sofferto , e la nostra consistente
differenza d’età non aveva mai causato problemi di
origine sentimentale .
Oltretutto
era di sette anni più piccolo di me e pensava che una
qualche relazione tra noi due fosse qualcosa di particolarmente ingiusto , sia per me che per lui , soprattutto perché non
avremmo mai potuto vivere insieme senza essere attaccati ogni giorno da
individui invidiosi ed ignobili , come ad esempio i paparazzi o i
tipici ficcanaso di quartiere .
Mi
venne in mente una frase detta da lui
dieci anni prima di quel tramonto immerso nella bufera : riguardava
l’amicizia e come ogni volta che lo sentivo aprir bocca , sia
che fosse per cantare od anche solo per parlare , mi aveva lasciato
totalmente stupefatta , dalla sua incredibile saggezza , nonostante sia
stata pronunciata da un ragazzo di appena sedici anni .
Ma da lui ci si poteva aspettare
l’impossibile .
L’amicizia
non ha barriere di nessun tipo .
Siamo
noi che ce le creiamo ,
per paura , per invidia ed anche per gelosia .
Ma
basta un sorriso per farle cedere per sempre
.
Io non
avevo mai costruito muri tra me e Michael
, nemmeno per il motivo più stupido ed
insignificante , e neanche lui aveva mai tradito il nostro rapporto ,
nonostante il peso della carriera e dell’improvviso successo
; in qualunque posto , in qualsiasi momento , si era sempre ricordato
di me e dell’affetto che ci legava .
Per
più di venti anni ci siamo fidati l’uno
dell’altra e pensavamo che la speranza avrebbe compensato la
lontananza .
Solo
ora
però , affacciata al balcone di casa mia , immersa in quel
mare tumultuoso ed a tratti gelido , nel quale le idee del mio cuore
volavano via sospinte dal vento della ragione , mi rendevo conto ,
forse troppo tardi per cambiare il succedersi degli avvenimenti futuri
, che si stava innalzando , indistruttibile , un muro di cemento armato
dall’altezza indefinita tra me e Mike , una spessa ed
inquietante lastra grigia che ci stava inevitabilmente separando .
Non
potevo chiedere aiuto a nessuno e nemmeno lui riusciva a soccorrermi , chissà per quale
oscuro motivo .
Riuscivo
soltanto a scorgere il muro davanti ai miei occhi il quale pian piano
stava assumendo la forma di quell’oggetto che aveva reso la
mia vita un inferno .
Un
muro d’oro e diamanti a forma di corona reale .
“Sei
ancora qui , Fiordaliso
? Sbrigati ad entrare ,
si sta facendo buio ed il vento si sta alzando .
E poi
non ti fa bene prendere aria di sera e per giunta vestita in quel modo ! Ma non ti sei vista , sembri un taxi nel centro di
New York verniciato di fresco !”
Non
udii subito la voce stanca ed irritata di Fernando che , appostato sul ciglio della
finestra come un condor pronto all’assalto di una carcassa ,
aspettava paziente una qualche reazione alla sua richiesta ;
inutilmente , poiché il mio tormentato inconscio ancora non
si era ristabilito dalla valanga di amare congetture che la mia materia
grigia aveva generato e ce ne voleva prima che mi riprendessi del tutto
.
Ciò
naturalmente lo fece incupire ,
ed avvertii due occhi di brace penetrarmi la schiena per il solo
piacere di scoprire , attraverso un collegamento telepatico molto
fastidioso , cosa avevo e se era qualcosa di grave , per ridere un
po’ delle mie disgrazie .
In
aggiunta la mia figura d’insieme non trasmetteva
serenità , ma
solo confusione e rassegnazione , il vento che danzava intorno al mio
corpo rendeva il tutto più malinconico e non bastava la
camicia da notte fluorescente per attutire la tristezza che provavo in
quel momento .
Ero
veramente messa male ,
sia fisicamente che cerebralmente , e come avevo previsto il mio
maggiordomo se ne accorse .
Anche
se avessi provato ad evitare il suo sguardo
, non gli sfuggiva mai niente ronzante nella mia scatola
cranica .
“Ehi , chica
, sei sicura di star bene ? Hai una faccia
, sembri un lupo mannaro affamato…Devo
preoccuparmi ?”
“Eh?”
Accorgendomi
finalmente di quel povero uomo ,
come imbambolata mi volto verso la finestra della mia stanza e mi
ritrovo davanti gli occhi il muso tediato e rassegnato dai miei
continui mancamenti mentali di Fernando , imponente nel suo austero
grembiule in lino bianco , prezioso cimelio appartenuto dapprima a suo
padre , il Mitico Maggiordomo di
casa Villa durante il nostro ormai lontano soggiorno a Città
del Messico , ed ora risiedente sul petto del nostro caro collaboratore
domestico , nonché oggetto di ininterrotte ed amichevoli
beffe da parte mia e di mia figlia .
Solo
ora
però , guardando quell’immagine così
solenne ed instancabile che rappresentava il mio maggiordomo , mi resi
conto che per lui quel semplice panno di lino valeva più di
tutte le ricchezze del mondo e scommisi che non si sarebbe mai separato
da esso , neanche per tutti gli zinali del mondo .
Sospirai
mentalmente :
perché ero stata così cattiva con quel
disgraziato grembiule che non mi aveva mai fatto nulla ? O forse ero
semplicemente così orgogliosa di ciò che
possedevo che non davo valore a ciò che invece era
importante per gli altri ?
Certo
che la tristezza mi rendeva più ragionevole di quanto sia
veramente .
“Oh…Fernando ! Scusami non ti avevo sentito
arrivare… Ma da quanto tempo sei lì ?”
Caspita , dovevo fare una figuraccia
pure davanti al mio Capo Dell’Ordine Domestico , ovvero
l’uomo più scettico ed impiccione di questo
pianeta .
Complimenti , Fiordaliso , le disgrazie ti
fanno diventare , oltre che a più intelligente , anche
più stupida .
“Abbastanza
per capire che ti
è successo qualcosa di particolarmente grosso che non vuoi
sia spiattellato in giro dal ficcanaso di turno e che vuoi rimanere
sola con te stessa per decidere sul da farsi , visto che la situazione
è molto ingarbugliata e pensi che se non risolverai il
problema entro le prossime quarantotto ore dopo sarà troppo
tardi per tornare indietro .”
Era
incredibile quanto Fernando mi conoscesse così bene da
afferrare il mio stato d’animo soltanto guardandomi in faccia
per così poco tempo che stavamo l’uno di fronte
all’altra e tirare delle conclusioni così rapide e
precise riguardanti il mio ego più intimo ed estraneo agli
altri , ma non
è forse vero che i maggiordomi percepiscono ciò
che gli altri inquilini della casa invece non sanno cogliere con il
loro materiale tatto , troppo ottuso e barricato nelle loro condizioni
da non accorgersi di ciò che gravita intorno al loro corpo
terrestre ?
Beh , io ne stavo avendo la prova
certa esattamente in quel momento e non potei far altro che fidarmi
della mia mente una volta per tutte .
Ed
anche se non potevo rivelare nulla a Fernando riguardo la coroncina dorata e la sua
incisione infuocata qualche consiglio tra amici non avrebbe guastato la
mia già precaria situazione .
La
morbosa curiosità di Fernando e le coincidenze inopportune
però non hanno limiti ,
neanche nelle circostanze più
tragiche .
“Oh…Beh , a dire il
vero…”
“C’ho
azzeccato , vero
?”
“No , non è come dici te
! Cioè , il
responso è simile alla mia situazione , devo dire molto
più intricata di come la presenti tu , ma...”
“Oh , ma allora stavolta
c’ho preso ed è pure una cosa grossa ! Avanti , non fare la sciocca , dimmi
cosa ti è successo e finiamola qui !”
“Ma
perché devo dirti per forza tutto quello che mi passa per la
testa ! Non sei mio padre
e non ti ho scelto per rimpiazzarlo ,
ergo ti proibisco di impicciarti
negli affari degli altri e soprattutto in quelli della tua padrona di
casa . Sappi che posso licenziarti da un momento all’altro ed
ora non scherzo !”
“Non
ne avresti il coraggio ,
sono troppo indispensabile qui
dentro o forse non ti accorgi mai della mia presenza in questa casa ?
Eppure io sono sempre qui ,
esco soltanto per fare dei servizi o per qualche lavoro di manutenzione
nelle vicinanze del portone d’ingresso e cosa più
importante sono sempre disponibile per accontentare qualsiasi vostra
richiesta , anche la più indecente
! Quindi , cara la mia padrona di casa , faresti meglio a
trattarmi con un po’ più di rispetto !”
“Non
dire stupidaggini ,
Fernando , io e Katy non ti abbiamo mai appesantito troppo il
lavoro…Cioè , non ci rendiamo utili tutti i
giorni , ma abbiamo sempre tenuto una alta considerazione di te , che
sei l’unico membro della nostra famiglia , insieme a noi ,
naturalmente , e…”
Quel
nome così semplice e noto a chiunque essere umano che non
voleva saperne di uscire dalla mia bocca bloccò
l’arringa improvvisata contro Fernando
, impedendo ad altre parole di fuoriuscire e congelandomi
in un silenzio a dir poco sospettoso per il paparazzo
d’eccezione che mi trovavo di fronte , che mi osservava
così malignamente che non avrei potuto aver dubbi su cosa la
sua diabolica intelligenza stava architettando , e neanche sulla sua
prossima vittima .
Conoscevo
molto bene anche la vittima , ma dopo tutto ciò
che mi aveva fatto passare non sapevo se l’avrei difesa come
avevo l’abitudine di fare ogni volta che il Capo
Dell’Ordine Domestico la attaccava .
Ero
tra l’incudine ed il martello
, insomma .
Peggio
di così non poteva proprio andare
.
“Stavi
per pronunciare il nome di una persona di mia
conoscenza ,
vero ? Solo che , per
qualche strano motivo a me ignoto , ti sei fermata prima .
Ma sai
che certe cose ormai le intuisco anche soltanto guardandoti in faccia ,
Fiordaliso…”
“No-non
è come pensi tu ,
Fernando .
Io
e…lui , siamo solo amici , dovresti
saperlo . E poi lo considero uno di famiglia da sempre , non devi scandalizzarti tanto
per…
Insomma
io e quella persona non abbiamo mai avuto vicende amorose e non le avremo
per il resto della nostra vita !
E quel
tuo movimento delle sopracciglia a dir poco malizioso
non mi incanta : anche se
fossi innamorata di qualcuno non lo direi mai ad uno come te
.”
Perfetto , il mio amichevole colloquio
tra padrona di casa e maggiordomo era saltato in aria come una
busta di popcorn caduta disgraziatamente su un barbecue rovente in
piena estate , ed ormai l’unica consolazione che mi era
rimasta era veder comparire sulla porta spalancata al di là
della grande finestra la faccina scura e sorridente di mia figlia di
ritorno dalle sue spericolate avventure metropolitane : dopotutto tra
donne ci si capisce anche con uno sguardo ed anche se io e Katy eravamo
due tipologie muliebri totalmente diverse , nonostante lo strettissimo
legame di parentela , capivamo al volo se una era in
difficoltà e l’altra la aiutava immediatamente .
Ma nel
momento del bisogno quella peste non si prestava in mio soccorso .
E
così dovetti sorbirmi tutte le ipotesi fiorite dalla fertile
mente scandalistica di Fernando ,
che non dava segni di cedimento morale , neanche dopo una rivisitazione
chilometrica di tutte le sue figuracce storiche , e ciò lo
indeboliva sempre considerevolmente ; ma stranamente quel giorno era
più pimpante e perfido del solito .
Stavo
giusto rispolverando la mitica caduta di quasi vent’anni
prima da una malandata motocicletta (da precisarsi
, all’epoca era ancora un ragazzo , poco
più grande di me) , ferma
davanti al cancello della nostra dimora ,”Lasciate fare a me
, so come far ritornar in vita questa vecchia carcassa ! Basta una
spinta sull’acceleratore e…” , quando al rumore del portone
che si apriva e poi si richiudeva enfaticamente la speranza si
ridestò in me e smisi di attaccare Fernando , fissandolo con
occhi incantati ed increduli
allo stesso tempo : quell’inconfondibile suono
infatti preannunciava la mia rivincita .
Finalmente
un alleato potente con cui vincere la Guerra Domestica che
andava avanti da più di dieci anni
!
Allora
la buona sorte esiste anche per i comuni mortali…
Il
mortale che mi trovavo di fronte però aveva sfortunatamente
capito il motivo della mia felicità e per non creare
sviluppi indesiderati della nostra discussione
, quali risse clandestine o gare di parolacce ,
naturalmente mosse dalla bellicosa indole di mia figlia , da ottimo
ficcanaso astuto , tronca il discorso in una scusa e si precipita sulle
scale , festeggiando il ritorno della nostra diletta pupilla , balzando
ed urlando a squarciagola lodi piene di smancerie e complimenti di ogni
genere , uscite fuori dalla sua boccaccia senza alcun preavviso , e che
stavano inevitabilmente appestando il delicato suono dei muri della
nostra casa e le mie orecchie abituate a ben altro tipo di melodie .
Appoggiata
alla maniglia della porta ,
le mani dietro la schiena a sorreggere il mio peso , ascoltavo curiosa
quei canti di gioia , e mi chiedevo cosa cavolo volesse Fernando da una
ragazzina come Katy , e più prolungavo l’ascolto
più mi rendevo conto di quanto ridicoli fossero i discorsi
che i due improvvisavano , farciti con imprecazioni e minacce non molto
caste , e da ciò che potei capire dai loro urli Katy ne
aveva fatta un’altra delle sue e Fernando , da buon Maniaco della Pulizia ,
nonché Sterminatore di Acari e
Tarli Vari , la rimproverava utilizzando un linguaggio molto
colorito e mia figlia gli rispondeva per le rime , creando per
l’occasione delle parolacce e dei doppi sensi che mi fecero
accapponare la pelle e crebbe in me il desiderio di scendere
nell’atrio e darle uno bello schiaffo sulla guancia , ma per
sua fortuna quella volontà così manesca scomparve
, soppiantata da un’altra che non mi aspettavo sarebbe giunta
per tutto il resto dei miei giorni .
Quella
nuova sensazione mi guidava verso la mia stanza
, di fianco al letto , in quel preciso punto in cui tutte
le mie speranze avevano fine , eppure ne nascevano altre .
Non mi
rendevo conto se la mia speranza era morta oppure se ne era emersa una
nuova , ciò
che mi importava era aprire quel cassetto , prendere la maledetta
corona che custodiva e constatare con i miei occhi ciò che
avevo scoperto già da molto tempo , ma che il mio animo non
voleva accettare assolutamente .
Dovette
ricredersi purtroppo :
sulla superficie libera dalla fila di diamanti del ciondolo la scritta
vibrava silenziosa e trasmetteva al mio essere lo stesso messaggio che
avrebbe potuto trasmettere ad altri , anche se non tutti lo avrebbero
preso sul serio , soprattutto se quel monile era un regalo
del cantante più famoso di tutta la Via
Lattea , un oggetto così prezioso da
destare nel ricevente confusione ed incredulità , come
cioè successe a me al momento del suo ritrovamento tra i
fiordalisi immersi in una bottiglietta di Coca Cola a mo’ di
vaso .
Capii
una volta per tutte che la speranza che covavo in petto era morta per
sempre ; rimisi il
ciondolo dove era prima e richiusi per bene il cassetto , per poi
avviarmi fuori dalla camera , scendendo le scale con una lentezza a dir
poco funerea , il rumore dei piedi nudi sugli scalini di marmo che mi
rimbombava nei timpani , accentuato dalla confusione al piano terra ,
che fortunosamente era alle ultime battute .
Non
c’era rassegnazione sul mio viso
, né rabbia , ma solo una terribile espressione
di smarrimento e malinconia , che camminando si accentuava ancor di
più , ed inghiottiva le poche briciole di fiducia che mi
erano rimaste , scaraventandole in un luogo dove non avrei
più potuto recuperarle .
Mossa
da tutti quei pensieri negativi ,
sentii gli occhi appannarsi ed una scia di calore attraversarmi le
guance fino a fermarsi sulle mie dita , bagnando anch’esse .
Tirai
su con il naso e asciugandomi meglio gli occhi cercai di rendermi
presentabile agli altri due inquilini della casa
, anche se ottenere un effetto eccellente era totalmente
impossibile , dopo tutto quello che avevo passato a loro insaputa .
Sospirai
intensamente .
No , non può essere vero
.
Almeno
non tutto .
Lui
non può farmi questo ,
non ne sarebbe capace , è troppo buono per farlo , troppo
onesto…
Possibile
che sia caduto così in basso ?
No , no , ma cosa vado a pensare ,
lui rimarrò sempre lo stesso , passasse
un’eternità .
Non
posso dubitare di lui ,
non voglio .
Eppure
mi ha lasciato da sola .
Mi ha
abbandonato .
E non
tornerà mai più ,
me lo sento .
È
da ormai più di tre settimane che non lo vedo , e per esperienza so che non
riuscirebbe a trascorrere un giorno sereno senza di me e le mia voce ,
mi vuole troppo bene per separarsi da me .
Allora
perché l’ha fatto
?
Perché
mi ha fatto tutto questo ?
Cosa
si aspetta da me , la sua
migliore amica , la sua salvatrice , il suo eterno sostegno ?
Cosa
vuole combinare di così terribilmente
significativo…
“Alla
nuova regina” ?
Il
resto della serata trascorse tranquillamente
, e come tutte le sere
dopo cena mia figlia ed io ci sistemavamo sul divano in
soggiorno mentre Fernando rigovernava la cucina , e tirando fuori
quella dolcezza che agli altri teneva sempre nascosta e solo io potevo
contemplare , mi
raccontava dettagliatamente tutto ciò che aveva combinato a
scuola e prima di ritornare a casa , alla ricerca di luoghi ancora
inesplorati da sola od in compagnia , ma comunque sempre accompagnata
da una voglia di avventura e di libertà che mi stupiva ad
ogni sua parola : quel giorno era tornata da una folle corsa in
spiaggia (lo si capiva dalle scarpe e dai calzini colpiti da una
improvvisa tempesta di sabbia) ed insieme alla educata Sandra Shepard ,
Sandy per gli amici , si era divertita ad osservare tutti gli strani
individui che popolavano Santa Monica , e laddove scorgeva un tipo
interessante non perdeva tempo a fargli la corte od a sfottere la sua
prestanza , dipendeva dalla simpatia che le suscitava il bellimbusto in
questione , e Sandy non faceva altro che trascinarla via da possibili
risse o litigi vocali alquanto pesanti , ma Katy non demordeva ed alla
fine si ritrovavano tutte e due sommerse nella sabbia dorata che
circondava la baia come un anello , lottando entrambe per la
sopravvivenza delle loro idee , ma sempre complici l’una
dell’altra , unite da un filo sottile ma resistente che non
si sarebbe mai spezzato , neanche a distanza d’anni .
Quando
la adorabile peste
arrivò a quel punto , oltretutto descritto con maggior gioia
degli altri , cominciai a sentirmi simile ad un mollusco senza guscio ,
totalmente inerme e soprattutto mi sentivo molle
come quelle graziose creature , una sensazione così intensa
che percepivo il mio corpo fluttuare sul divano accanto a quello di
Katy , i cui unici movimenti erano quelli della bocca e delle braccia ,
e non sembrava accorgersi minimamente della mia improvvisa metamorfosi
, troppo intenta a parlare delle sue memorabili gesta .
Ben
presto però capii che Katy non si trovava nella mia stessa
condizione e la sua esuberanza lo constatava
.
E
mentre osservavo il suo viso assorto color del cioccolato , i riccioli neri che ricadevano
dolcemente sulle spalle e sull’esile collo o formavano
sottili spirali davanti la fronte , arrivando fin sotto i magnetici
occhi di un marrone scurissimo vicinissimo al nero più buio
, le delicate braccia e le mani dalle dita lunghe e magre come rametti
di liquerizia che si muovevano fendendo l’aria , le
instancabili labbra carnose ma proporzionate , che di volta in volta
scoprivano due file di denti diritti e bianchissimi che spiccavano sul
suo incarnato fresco e vellutato al tatto , mi rendevo conto che Katy
possedeva ciò che invece io non avevo e per questa mancanza
divenivo soffice , od ancora peggio , vulnerabile
al resto del mondo .
Il
volto contento ed arrossato di mia figlia
, poi , non aiutava di certo la mia condizione : ella mi
ricordava così tanto lui
, sia nei modi che nell’aspetto , che per un attimo rimasi a
fissarla imbambolata , rapita da quella crudele illusione .
Naturalmente
Katy se ne accorse e dopo avermi rianimato
, urlandomi contro e tirandomi anche un bel ceffone sulla
guancia , consigliò di finire qui il resoconto della
giornata e di andare a letto immediatamente , poiché la mia
faccia era così grigia ed inespressiva che una bella dormita
non avrebbe potuto farmi che bene , d’altronde il giorno dopo
era domenica e potevamo riposarci quanto volevamo , senza che la nostra sveglia (la sveglia
si chiama casualmente Fernando) ci
disturbasse per qualunque sciocco motivo , come è solita
fare .
Sottoponendomi
alle decisioni della Boss ,
mi alzai dal morbido divano e la seguii strascicando i piedi su per le
scale , cercando a tentoni la porta della mia camera , e quando la
trovai varcai la soglia e mi buttai pesantemente sul grande letto che
non aspettava altro di ricevere un po’ di compagnia , essendo
stato solo tutto il giorno .
Ovviamente
non potevo negargli la mia presenza ,
e prima di varcare il mondo dei sogni , rimasi accovacciata tra le
coperte disordinate ed osservando nel buio il soffitto bianco della
stanza ed il lampadario immobile nel silenzio , pensavo a
ciò che mi aveva narrato Katy sulle sue avventure al limite
del verosimile , ricordandomi anche che per giovedì 31
ottobre , per tutti gli Stati Uniti la notte d’Halloween , la
scuola stava organizzando una festa a cui erano invitati alunni e
professori e lei aveva espresso il diretto desiderio di andarci , ben
sapendo che sua madre è
sempre molto preoccupata per lei e non perderebbe tempo a trascinarla a
casa dopo lo scoccare della mezzanotte , oltretutto conoscendola da
quasi quattordici anni sapeva che la ragazza non si sarebbe di certo
affrettata verso casa dopo la fine dei festeggiamenti , quindi se Katy
non avesse avuto qualche persona di riguardo che poteva benissimo
controllare le sue azioni , (pensai immediatamente alla figlia di Lily
Shepard , ma con molta probabilità i genitori non
l’avrebbero lasciata giustamente da sola in tutto quel
trambusto e scartai quell’ipotesi) poteva benissimo scordarsi
la festa .
Certo , su questo punto ero un
po’ troppo severa , mia figlia aveva il diritto di divertirsi
come tutti i ragazzi della sua età e l’istituto
che frequentava provvedeva diligentemente alla protezione dei propri
allievi , evitando per loro tutto ciò che era dannoso al
corpo ed alla mente , (ed anche alla reputazione) ma le mie vecchie
esperienze mi insegnavano che con i propri figli la prudenza non era
mai troppa ed anche se ero più giovane rispetto alle altre
mamme che conoscevo , l’attenzione rimaneva uno dei pilastri
più importanti per me nel crescere un bambino ,
poiché molti piccoli sfortunati che brulicavano la periferia
o le gallerie sotterranee della metropolitana avevano avuto un padre ed
una madre poco premurosi e per nulla interessati alla sorte della loro
progenie , divenuta poi un cattivo esempio per tutti i bravi ragazzi ed
altrettanti genitori , che li additavano in continuazione e non
riuscivano a vedere ciò che invece c’era sotto
tutto quel degrado morale , augurandosi di non ridursi mai in quello
stato così poco compatito .
Ecco
perché non volevo che Katy andasse da sola in giro per la
città di notte :
con la sua ribelle condotta poteva benissimo mischiarsi in qualche
brutto guaio e le avrebbero fatto pagare sicuramente le conseguenze
della sua ingenuità , chissà in quale orrido modo
.
Non
osavo neanche pensare a come si sarebbe potuta sentire la mia bambina
dopo una violenza carnale da parte di luridi sconosciuti dal sangue
iniettato di odio e di una morbosa ricerca del piacere .
Non ce
l’avrei fatta a sopportare quell’angoscia , il mio cuore era troppo debole
non avrebbe resistito .
Avevo
già perso una enorme
parte della mia anima .
Mia
figlia rappresentava l’altra quasi del tutto deperita .
E
senza anima nessun essere umano può vivere .
Mi
rigirai violentemente da un lato e cercai di asciugarmi le guance dalle
lacrime e dal sudore provocati da quei ingiusti pensieri strofinando il
viso contro la federa immacolata del cuscino e tirando su col naso : avevo pianto già
troppo quel giorno e non intendevo continuare ancora per tutta la notte
per un problema di gran lunga più piccolo rispetto a quello
che mi stava facendo impazzire .
Dopotutto
se avessi chiuso a chiave la porta della stanza di Katy , sbarrato le finestre e preso
altre utili precauzioni , nemmeno una volpe come lei avrebbe potuto
farla franca ed eventuali complici potevano benissimo essere rispediti
alle proprie famiglie senza usare violenze superflue e da questo punto
di vista la situazione con Katy era sistemata .
Ma
come avrei dovuto comportarmi con lui ?
Abbandonare
completamente la sua ricerca o rimboccarsi le mani e riportarlo sulla
retta via ?
Sicuramente
il sonno mi avrebbe portato consiglio ,
se avessi avuto la forza di chiudere gli occhi per un po’ ma
riuscii ad addormentarmi solo quando ormai non si udiva più
volare una mosca in tutto l’isolato ed i giovani nababbi se
n’erano andati felicemente a scatenarsi in pista a ritmo
magari di quelle canzoni che stavano scrivendo la storia della musica
le quali mi ricordavano ogni attimo , anche in sogno , quanto mi
mancasse chi le cantava .
La
mattina dopo mi alzai di malavoglia dal soffice materasso in cui si
erano annullate completamente le ansie del giorno prima , ma al mio risveglio
sembrò che quella notte non avessi dormito neanche per
mezz’ora , tanto forte era il mal di testa che mi trapanava
le tempie e che , come tutte le volte che mi capitava qualcosa di
veramente difficile da sopportare , non mi avrebbe lasciata tanto
facilmente .
Perciò
se non avessi trovato il modo di contattare quell’imprudente
di Michael per chiedergli spiegazioni riguardo l’incisione
sulla coroncina dorata la mia salute mentale poteva considerarsi in
grave pericolo insieme al mio deperimento fisico e morale , e tutto
questo per colpa di quell’innocuo gioiello che una sua
congegnata idea aveva portato tra le mie inconsapevoli mani .
Il
particolare che rimaneva più oscuro nella faccenda
però , era la
sua scomparsa , e ciò mi diede molti spunti per pensare ad
una possibile meta : per non farsi scoprire da me potrebbe essersi
rifugiato in qualunque posto lontano da Los Angeles , o addirittura
lontano dalla California , ma conoscendo il profondo affetto che lo
legava ai suoi familiari eliminai quella teoria dal cervello ,
poiché non si sarebbe mai spinto fuori dalla sua casa per
più di un mese senza almeno un membro della sua famiglia , e
ne rimasero pochissime , le quali restringevano il mio raggio
d’azione alle zone frequentate maggiormente da Mike , ovvero
la sua dimora ad Encino e tutta la zona limitrofa , compresa una
piccola parte sotto le colline , completamente disabitata e sconosciuta
a molti dove l’avevo visto più volte passeggiare
in solitudine lontano da occhi indiscreti , ma comunque nascosto da un
travestimento che avrebbe fatto invidia anche ad Arsenio Lupin .
Era
quella zona il mio obiettivo ,
dopodiché avrei provato a bussare a casa Jackson e ragionevolmente avrei convinto i parenti
di Michael , genitori compresi , a tirar fuori quel benedetto ragazzo
dal suo nascondiglio per una questione molto importante di cui dovevamo
discutere immediatamente e soprattutto da soli
, in un luogo dove nessuno si mettesse ad origliare la nostra
conversazione e ciò che sarebbe successo dopo dipendeva
tutto da come Mike avrebbe risposto alla mia unica richiesta di
chiarimento .
Sì , come programma poteva andare
per essere stato prodotto da una mente senza forze e folle come la mia
, ed in meno di un quarto d’ora , dopo esser scesa
velocemente in cucina per far colazione sotto lo sguardo incuriosito di
un Fernando come al solito indaffaratissimo per star dietro alle truffe
segrete della sua incorreggibile padrona di casa
, fui pronta ad avventurarmi nella metropoli , armata
della vaga speranza che non voleva volare via da me e che mi sorreggeva
ogniqualvolta ne avevo il completo bisogno , ed ora era la mia prima
necessità , oltre a quella di trovare Michael , dovunque si
nascondesse .
Camminando
di buona lena , ed
intanto pensando a ciò che avrei potuto dire al mio buon
amico se l’avessi acchiappato , arrivai nel centro di Beverly
Hills in poco tempo e da lì conoscendo bene la zona non fu
difficile trovare un collegamento con Encino , spostata più
ad est rispetto al famoso quartiere e collegata ad esso da ogni mezzo
di trasporto disponibile in tutta la Contea di
Los Angeles ; anche la metropolitana passava di lì infatti ,
ma ricordandomi la sua cattiva reputazione decisi di optare per un bel
taxi , decisamente più sicuro e meno nascosto al mondo
perverso dei sotterranei cittadini .
Scesa
dal gentilissimo taxi che mi aveva accompagnato per un tragitto
abbastanza lungo per i miei piedi ,
mi ritrovai finalmente ad Encino , un capolavoro della contea in cui la
modernità ed il paesaggio si erano armonizzati con gli anni
ed avevano dato vita ad
una delle
zone residenziali più ambite da tutta la popolazione
angelina , anche da coloro che potevano permettersi una lussuosa dimora
a Beverly Hills o a Downtown o magari anche a Bel Air , ma si trattava
di certi nababbi che avendo manie di grandezza volevano svegliarsi al
mattino e spalancando le finestre ritrovarsi ad ammirare
l’imponente e disordinato agglomerato urbano della
città più frivola della California ad una altezza
privilegiata dalla morfologia scoscesa del luogo .
Pensando
a quei ricconi esaltati sorrisi e per poco non mi scappò una
generosa risata di compassione :
sinceramente non avevo di che lamentarmi riguardo la vista che si
poteva godere dalla mia accogliente casetta ed ormai ero
così abituata ad osservare il lento scorrere del mare , il
rincorrersi delle nuvole in cielo , il fluire della vita movimentata
del quartiere attraverso la finestra del soggiorno od il balcone della
mia stanza che non avrei cambiato residenza per nessuna ragione al
mondo , neanche se me l’avesse chiesto il presidente Reagan
in persona oppure… Sì , avrebbe potuto farmi una
proposta del genere ma io avrei risposto comunque di
no , ci tengo troppo alla mia vita tranquilla e lontana dai
guai per venire ad abitare in una villa insieme a tutta la famiglia del
mio… Okay , la famiglia del mio
migliore amico avrebbe pensato naturalmente male di fronte ad
una donna giovane e sola con una figlia minorenne che era invitata a
vivere nella loro casa da uno dei membri della parentela più
famoso ed apprezzato dal mondo , ed anche molto…
Insomma ,
desiderato dalle donne digiune d’amore , come
insomma dovevo ritenermi io , e ciò non poteva far altro che
aumentare le voci di una possibile relazione fra me e Mike .
I
fratelli ed i genitori di Michael (e neanche lo stesso Michael) non
conoscevano però un episodio molto importante legato ai miei
giorni a Londra , quando
le violenze ormai arrivate al culmine della ferocia e mi avevano
lasciato completamente senza forze , costringendomi ad una esistenza
drammatica e priva di qualunque appiglio di salvezza : in quegli anni
avevo smesso di credere in Dio ed in tutto ciò che lo
riguardava , poiché avevo sempre pensato che se veramente
puniva i malvagi e ricompensava i buoni ed i fedeli allora la mia vita
sarebbe cambiata rapidamente grazie al suo intento , liberandomi dalla
schiavitù di quei rapporti vuoti d’amore che avevo
con quel mostro di mio marito e restituendomi la dignità che
mi era stata tolta così improvvisamente da lui e dalla mia
matrigna .
Ma
più passava il tempo e più questo aiuto dal cielo
non arrivava ed io mi sentivo ogni giorno sul punto di uccidermi , se non avessi trovato una luce
, una speranza , per la mia condizione di sottomessa ; desideravo con
tutto il cuore uscire da quella casa per sempre e non portare con me
nulla se non una piccola goccia di speranza
conservata per le notti più dolorose , che mi avrebbe
permesso di andare avanti dopo la fuga decisiva .
Passai
così un anno e tre mesi nella snervante attesa della sua voce ,
resistendo anche alla forza di impiccarmi con le lenzuola del letto o
di lanciarmi con un peso nel Tamigi , la mia cieca fede era diventata
così forte che mi impediva anche gesti estremi come il
suicidio e l’assassinio del mio aguzzino .
Sapevo che
un giorno avrei smesso di soffrire :
non lo speravo , lo sapevo
.
Me
l’aveva detto lui ed a
lui credevo , una volta .
Finalmente , come se il Signore avesse
ascoltato per una volta la mia preghiera
e volesse perdonarmi per la mia sfiducia nei suoi confronti , durante
una calda mattinata di inizio agosto ricevetti il regalo più
bello che una donna in difficoltà come me potesse mai
desiderare : la consapevolezza di sentir crescere dentro di me un nuovo
essere umano , un piccolo uovo caldo e vitale che sebbene fosse nato
dalla ennesima notte di violenza , non riuscivo ad odiare con nessuna
fibra del mio corpo e della mia anima , perché per me in
quel tempo diventare madre non significava solamente occuparsi di una
creatura nata dal tuo corpo e totalmente dipendente da te ma anche
l’ora di tirar fuori le unghie ed i denti per combattere
contro chiunque infimo bastardo avesse messo le mani addosso al mio
piccolo ed indifeso batuffolo di cellule ancora informe , ma vivo e a suo modo
pensante .
Avevo
già avuto gravidanze generate da abusi ma nessuna di esse
era stata portata a termine per cause abbastanza gravi e mi promettevo
sempre che semmai fossi rimasta incinta ancora una volta avrei
risparmiato la vita a quella minuscola parte di me
, maschio o femmina che fosse , e per questo il destino mi
aveva aiutato , facendomi abortire prestissimo e senza dolore .
Ma
quando seppi della nuova ed ultima gestazione il contratto con il
Salvatore dell’intera umanità si rinnovò , venendo in quella prossima
nascita una nuova forza : se io avessi portato a termine la gravidanza
riuscendo finalmente a tenere tra le braccia mio
figlio e se fossi riuscita a scappare da quella casa
infernale con lui , portandolo da una compagnia spietata ad una
piacevole , il più lontano possibile
dall’Inghilterra , e se avessi trovato una sistemazione
adatta sia per me che per lui , allora non avrei più avuto
bisogno di qualcuno che vivesse al mio fianco , se non il mio fagottino
e persone fidate non legate a me con un contratto legale né
spirituale .
Quel
giorno decisi di non aver più rapporti sentimentali con un
uomo , chiunque esso sia
, per il bene mio e di mio figlio ; ne avevo avuto abbastanza di abusi
sulla mia persona ed ero arrivata alla conclusione che tutti gli uomini
erano uguali , pensavano tutti alle stesse cose e cambiare il loro modo
di comportarsi era impossibile come la capacità della nostra
razza di volare .
Solo
un semplice ragazzo era rimasto ciò che io mi aspettavo di
ritrovare e rappresentava l’unica eccezione nella mia idea , saggio e potente in mezzo agli
altri , unico al mondo , perfetto .
Ed ora , mentre camminavo
distrattamente per le vie di Encino lanciata alla sua ricerca e
disperata più nel profondo , avevo una opinione molto
diversa su di lui e solo le sue parole avrebbero potuto cambiare
ciò che pensava il mio testardo cervello .
Oppure
sarebbe servito qualcosa di molto più credibile , poiché non era
facile convincermi del contrario dopo una serie di schiaccianti prove ,
qualcosa di insolito…
Qualcosa
di…
…Tunf…
Non
feci in tempo a finire il pensiero che mi ritrovai stesa per terra
completamente infarinata ,
così vicina al suolo che riuscivo a distinguere ogni singolo
granello di polvere , rossastra come quella del deserto , la quale mi
aveva invaso anche la visuale ed ora non riuscivo più a
vedere nulla se non ombre instabili ed un polverone maligno che
respiravo di malavoglia e non riuscivo a togliere dagli occhi ; inoltre
la cosa che non ero riuscita a
percepire in tempo e mi aveva fatto cadere rovinosamente sulle
ginocchia emanava un suono molto simile ad un uggiolio, accompagnato da
leggere annusatine e qualche zampata alle gambe mezze addormentate per
assicurarsi la natura umana di quella pazza disperata che non aveva
nemmeno la forza di alzarsi da terra e di guardare dritta negli occhi
quel gentilissimo animaletto che l’aveva fatta inciampare
assorta nei suoi ricordi più bui e nelle sue false
convinzioni , sfocando la realtà e rendendomi cieca , come
in un mare di polvere insomma .
Vista
la natura sconosciuta dell’ostacolo pensai da subito che si
trattasse di una qualche specie canina molto grossa perciò
rimasi per molto tempo immobile mentre lui mi analizzava per benino i
piedi :
l’esperienza mi aveva insegnato che se si incrociava una
bestia feroce sui propri passi le possibilità di salvezza si
alzavano se la preda avesse finto di essere morta , poiché i
lupi o agli orsi non amano molto le carcasse , di cui invece vanno
matte le iene o gli avvoltoi , ma non potendo esserci animale
così selvatici in un centro abitato pensai che la belva fosse un cane di piccola taglia ,
o di un cucciolo già cresciuto , dopotutto non avevo mai
avuto paura di un cagnolino , perché avrei dovuto averne ora
?
Mi
issai sulle mani portando un ginocchio avanti per mantenere
l’equilibrio e mi girai di scatto col busto per osservare la
bestiolina che mi stava odorando da quando ero caduta e per poco non mi
venne un colpo .
Ero
così sconvolta e terrorizzata che lanciai un urlo , così acuto che fece
sobbalzare tutte le persone intorno a me , spuntate dal polverone che
si stava dissolvendo lentamente come un sogno al risveglio , e rivelava
una moltitudine di uomini e donne indaffaratissimi immersi in file e
file di casette di legno e mattoni appoggiate sulla sommità
di una collinetta dominata dalla ghiaia e dalla polvere , mentre mi
rimettevo velocemente in piedi e provavo a ragionare sensatamente ad un
modo per uscirne fuori intatta e senza le gambe mangiucchiate , ma
purtroppo il mio cervello pensava solamente a darsela a gambe per
sfuggire dal pericolo che avevo davanti , dimenticando completamente lo
scopo per il quale ero giunta fino ad Encino , anche se il posto in cui
ero capitata non aveva la benché minima caratteristica di
quel Paradiso Terrestre .
O
meglio lo sarebbe stato se non avessi avuto davanti ai miei occhi un
cucciolo di lupo grigio che mi osservava incuriosito con la testa
penzoloni da un lato ,
l’orecchio sinistro piegato e la folta coda che si muoveva a
tratti sfiorando con la sua morbidezza il terreno duro e secco , mentre
le zampe anteriori erano allineate immobili al corpo , come le
posteriori , ed il suo sguardo d’ambra era così
assorto nella mia osservazione che sembrava chiedermi telepaticamente
il perché del mio inutile spavento .
L’intensità
trasparente di quelle iridi ,
che volevano dirmi qualcosa ma io non ne riuscivo ad afferrare il senso
, mi colpirono a tal punto che la paura provata fino a quel momento
scomparve dalla mia testa come se non fosse mai esistita e vi rimase
soltanto l’attrazione pura verso quell’essere
vivente molto insolito , capace di catturare l’attenzione di
un umano servendosi dei poteri ipnotici del suo sguardo e la persona
interessata non riusciva a distogliere le pupille da quella creatura
irreale , che aveva le sembianze di un lupo ma l’anima non
animale…
Sì , quegli occhi avevano
un’espressività irriconoscibile in qualsiasi altra
belva .
Non
erano occhi feroci pronti ad attaccare per istinto chiunque , uomo od animale , capaci di
incutere terrore , di chi si batte per la supremazia in un branco o per
accoppiarsi con le femmine più affascinanti , o per
allontanare gli estranei dal territorio che spettava alla sua
comunità .
No , in quello sguardo non si
riusciva a scorgere l’anima di un lupo .
Le sue
iridi gialle , le pupille
rotonde e piccole immerse in un mare d’oro pulsante
attraversato da sottili pagliuzze più scure che sembravano
vagare in quell’universo sconosciuto come asteroidi
possedevano una sensibilità ed una malinconia dal richiamo
così…
Umano?
“Sì , il mio fedele ragazzo sa
incantare così bene tutti gli stranieri che passano di qui
che molti ritengono che il suo sguardo assomigli molto a quello di un
nostro simile .
Anche
se siamo molto diversi tra creature umane ed animali , e non possediamo certo le
caratteristiche avute da un altro essere vivente e viceversa , siamo
tutti figli dello stesso Grande Spirito .
Ed
ognuno ha qualcosa di lui ,
seppur minimamente , nello sguardo
.”
La
voce calma ed eterea di una donna mi giunse alle orecchie
risvegliandomi dal torpore in cui ero precipitata
, meravigliandomi non soltanto per le sue parole ma anche
per la mancanza di una bocca e di un corpo da dove erano provenute ,
tanto che considerai subito l’ipotesi di un’anima
intrappolata nel mondo dei vivi che si prodigava nel rilassare i miei
spiriti impauriti con discorsi degni di uno stregone Sioux , ma non
fece altro che peggiorare la mia situazione cerebrale : avevo avuto
paura dei fantasmi da sempre , mi ricordo che quando ero piccola prima
di andare a dormire facevo controllare ogni centimetro della mia stanza
da papà per paura che all’improvviso , nel bel
mezzo della notte spuntasse dall’armadio o da sotto il letto
un indemoniato spettro venuto a vendicarsi per un torto subito da vivo
, magari da una bambina molto simile a quella che rimaneva immobile e
tremante sotto le coperte nell’attesa della fine .
Col
passare del tempo questa paura si attenuò gradualmente , in effetti non faccio
più sezionare la casa in tutti i punti per colpa di qualche
fantasma dispettoso , ma ogni volta che sento un rumore sospetto o dei
passi in soggiorno mentre leggo sul divano all’una di notte
od anche la visione di un’ombra non umana , il mio
primordiale terrore si risveglia e lì nessun abitante della
casa non può dormire in pace finché non si riesce
ad acchiappare il fantasma e rispedirlo dai suoi amici .
Con
Halloween , poi , la mia
paura si triplicava e più cercavo di evitare un film horror
o una maschera terrificante più essi mi perseguitavano ,
anche nei sogni .
Ci fu
poi un ragazzo che con la sua musica e la sua creatività mi
tolse in parte la paura per i cimiteri abbandonati
, ed imparai che non tutti gli zombie sono cattivi ,
alcuni sanno ballare in modo celestiale ed hanno il sorriso
più bello di tutti quelli degli angeli del Paradiso messi
insieme .
Un
sorriso indimenticabile appartenente al bambino che mi aveva fatto
danzare il cuore e l’aveva appeso ad una promessa ed ora lo
stava incatenando dolorosamente ad una catena invincibile .
“Le
catene dell’amore talvolta si spezzano
, mentre il sottile filo dell’amicizia non si
dissolve mai.”
Mi
girai confusa verso il punto dove prima vi era seduto il cucciolo e mi
ritrovai davanti la donna misteriosa in ginocchio vicino alla palla di
pelo , intenta ad
accarezzargli affettuosamente le orecchie ed il soffice collo mentre il
piccolo emanava gorgoglii di piacere leccando le dita sottili e scure
di una signora snella e delicata come un giunco , gli occhi chiusi ed i
lunghi capelli raccolti in una treccia che scendeva lungo il vestito di
lino lavorato e terminava alla cintura con un piccolo ciuffo ; si
teneva disinvolta vicino al batuffolo argentato e lui non si discostava
dal suo tocco leggero , come un bambino che non vuole smettere di
essere coccolato dalla propria mamma e fa’ di tutto per
tenersela vicina , in questo caso tratteneva le mani della donna con le
zampe pelose facendo attenzione a non graffiarle la pelle con gli
artigli affilati , ma lei si discostò dolcemente dalla
stretta del lupacchiotto , che a malincuore rimase inerme nel polverone
, guardandomi insistentemente e muovendo impercettibilmente la coda ,
ed alzandosi dalla sua posizione mi tese gentilmente la mano per
aiutarmi , poiché ero rimasta seduta in terra per tutto il
tempo che lei aveva parlato ed accarezzato il lupetto , causa la mia
sorpresa di fronte a due figure così strane .
Lei
aspettò paziente una qualche mia reazione , evitando di far incontrare i
nostri sguardi , e quando finalmente mi aggrappai al suo esile braccio
, mi tirò su con una forza ed una scioltezza a dir poco
impossibili per un fuscello del genere , ed allentò la presa
dopo che io fui completamente in piedi , di fronte a lei , e finalmente
potei guardarla bene in volto , seppur inquieta :
nell’insieme il suo aspetto e l’abbigliamento
lasciavano pensare ad una indigena delle nostre parti , appartenente ad
una tribù relegata in una riserva vicina , che vagava per la
città con il suo compagno a quattro zampe senza una meta
né un obiettivo precisi .
Anche
se il mio sesto senso mi diceva che un obiettivo ce l’aveva .
Ciò
che mi trasmettevano i suoi occhi dorati era inequivocabile .
Quella
donna voleva qualcosa da me .
“Sta
a te deciderlo .”
Sussulto .
Lei mi
guarda ed io arrossisco violentemente .
La
mente si contorce , gli
occhi si sbarrano .
Come
aveva fatto a rispondere ad un mio pensiero così
precisamente e senza chiedermi niente ?
“Nulla
è mai certo ,
a volte un semplice gesto può cambiare il destino , oppure
cancellarlo .
Le vie
della sorte sono infinite.”
Mi
sorrideva innocente , e
di fronte al mio sconvolgimento interiore tacque per darmi il tempo di
riprendermi , poiché ogni sua parola mi paralizzava e cercai
di pensare il meno possibile , chiudendo la mente ad ospiti
indesiderati .
Lei se
ne accorse e scostò lo sguardo rovente dal mio , sentendomi improvvisamente
sollevata , e ricominciai a respirare , affannosamente , ma almeno i
polmoni funzionavano insieme alla mente .
Dopo
che mi fui un po’ calmata la donna mi sorrise amichevolmente , come per scusarsi della sua
inattesa apparizione , e chiamò a se il cucciolo di lupo che
era rimasto tutto solo in mezzo alla polvere ed al richiamo della sua
padrona si scosse energicamente e trotterellò felice verso
di lei , sedendosi educatamente ai suoi piedi ed aspettando il continuo
del nostro pseudo - discorso , ricordandomi ancora una volta un bimbo
diligente e silenzioso .
“Hai
ragione , delle volte
assomiglia più ad un umano che ad un lupo . Mi ricorda molto
mio figlio quando era neonato :
le stesse espressioni , gli stessi occhi vispi , la stessa
ponderatezza… Talvolta loro assomigliano a noi e viceversa .
Sono
meravigliosi .”
Parlava
con una disinvoltura sconcertante guardando teneramente il cucciolo sui
suoi piedi , e si accorse
subito del mio disagio di fronte alle sue doti , scusandosi
infinitamente per la sua ignoranza e per la sua poca abitudine a
frequentare gente fuori dalla riserva .
Avrei
voluto chiederle :
“Ma lì avete tutti dei poteri magici?”
ma mi trattenne la riservatezza ed il mio autocontrollo che si
manifestava quando non ne avevo assolutamente bisogno e mi lasciava a
piedi nei momenti di pura necessità : magari non vuole
parlare del suo popolo per paura di essere scoperta ed io ci tenevo a
non causarle tanti guai .
Anche
se era un po’ inquietante mi incuriosiva come persona .
“Ti
ringrazio per l’interesse ,
ma sul serio , non preoccuparti per me , gli altri sanno che non sono
più alla riserva . Ormai sono abituati alle mie
fughe… E comunque i miei non sono poteri ma sono doni della
Natura , e non tutti li
possediamo .
Ad
esempio mio padre e mia madre non hanno mai ricevuto doni dagli spiriti ; io sono la prima della nostra
famiglia .”
“…”
“Oh , perdonami ancora per la mia
stoltezza ! Voi che non appartenete al nostro villaggio non siete
abituati alle nostre usanze e non venerate i nostri dei , purtroppo non faccio altro che
dimenticarmene . Scusami ,
ma mi hanno sempre insegnato che era meglio evitare l’uomo
bianco e le sue convinzioni , ma da ciò che ho visto molti
si lasciano trascinare da pregiudizi totalmente infondati . Ad esempio
tu non mi sembri così malvagia
, ed abiti tra gli uomini bianchi , in una delle zone
della città più famose e popolate . E poi , tu non sei così bianca .”
Sorrise
all’ultima frase ,
ed avendo ragione non potei far altro che ricambiare il sorriso con una
delle mie tipiche citazioni .
“Beh , per me soltanto i pensieri
sono a colori , noi uomini siamo incolori , ma c’è
chi distingue gli altri usando una tavolozza al posto degli occhi ,
mentre le sue idee sono neutre e senza sostanza come l’aria .
Oh , e poi a me piacciono
le stranezze di voi indiani ,
siete fantastici !”
Le
feci l’occhiolino e lei mi ringraziò commossa , ricordandomi la mia grande
generosità e disponibilità , leggendo tutto nei
miei occhi naturalmente .
Le
sorrisi ancora , il
singolare dono della fuggitiva la rendeva una creatura dolce e
sensibile come poche a questo mondo , e mi sorprese il fatto che quasi
non si rendesse conto della sua diversità di fronte ad un viso pallido come me e ciò non
fece altro che aumentare la mia simpatia per lei , ma non meditai nulla
, volevo che lo scoprisse senza leggere i miei pensieri e se veramente
avesse indovinato , beh , allora ero di fronte ad un vero fenomeno
della natura .
Rimanemmo
in silenzio ancora per poco ,
l’una immersa nei propri pensieri , fin quando io decisi di
rompere il silenzio chiedendole una cosa banalissima come il suo nome ,
anche se per i pellerossa non lo era affatto , poiché il
nome segnava l’intero destino di un essere umano , ed anche
per lei valeva la stessa regola : nella sua lingua era Colei
Che Vede Nel Buio , per
il dono offertole da un Spirito di cui non voleva rivelarmi
l’origine per sicurezza e soprattutto per non spaventarmi
ancora con le inquietanti leggende raccontate da una nativa americana ,
ma la tranquillizzai dicendole che le loro storie mi avevano sempre
appassionata e non vi era più alcuna vena di paura in me .
Annuì
non molto convinta ,
abbassando lo sguardo per cercare il suo piccolo amico che si era
andato a cacciare chissà dove , ma dopo averlo visto
ricomparire da un cespuglio di arbusti pungenti completamente ricoperto
di spine e paglia secca smise di osservarlo e tornò da me
immediatamente .
“Il
tuo nome , invece , non
l’ho mai sentito . Non mi ricordo nulla di simile ad
un…Fiordaliso ?
È un fiore per caso ?”
“Eh…
Sì ,
è un fiore molto diffuso nel Vecchio Continente , ma dai noi
è quasi sconosciuto , l’unica pianta di fiordaliso
che abbia mai visto da quando sono qui in America l’ho
trovata a New York ventuno anni fa , pensa un po’ ! E
poi… Beh , ne
ho vista un’altra , ma non ha molta
importanza…”
Ripensando
a cosa avevo trovato tra i fiori di quella
pianta di fiordalisi biascicai una scusa e sentii le guancie diventarmi
di fuoco senza un motivo preciso ;
la donna aveva compreso il mio imbarazzo e non chiese altro riguardo
ciò , piuttosto era incuriosita dall’aspetto del
fiore e dal perché di quel nome così bizzarro .
Mi
sorpresero non poco le sue domande ,
ma non potevo negarle delle risposte .
“Beh , sinceramente per me non
è così bizzarro , anche se non conosco nessuna
donna che si chiami Fiordaliso all’infuori di me . Una volta
il padrone del locale dove mia madre lavorava come cantante mi
raccontò una storia che riguardava la scelta del mio nome : la mamma amava molto la natura
, sul davanzale della sua finestra teneva piante e fiori di ogni tipo ,
e li curava come se fossero dei figli .
Ma ce
n’era una che proprio non ne voleva sapere di crescere e
rimaneva sempre piccola e brutta :
quella piantina era un fiordaliso .
Quando
io nacqui , verso la fine
di aprile , improvvisamente quella pianta così rinsecchita e
sterile , divenne verde e sana e cominciò a fiorire come non
aveva mai fatto in tutta la sua vita . Mia madre lo vide come un
presagio e volle dare alla sua bambina lo stesso nome di quei
fiorellini azzurri appena sbocciati ,
“poiché quella mattina
era nato il più bel fiore di
tutti”. E da quel lontano giorno di tanti anni fa
la pianta di fiordalisi che si trova sul davanzale di mia madre
germoglia una sola volta all’anno
, ovvero il giorno del mio compleanno .”
Finii
la mia storia col cuore in subbuglio e gli occhi lucidi , il ricordo dei miei genitori
era ancora forte in me dopo tutti quegli anni passati senza di loro e
mi stupì la mancanza di due figure di riferimento ora che
anch’io facevo parte del mondo degli adulti ; forse avevo
ancora bisogno di qualcuno che si occupasse di me , proprio come una
bambina non ancora pronta ad affrontare la parte più cruda
della vita da sola , andata avanti per il miracolo di un angelo custode
.
Smisi
di singhiozzare quando mi accorsi che gli occhi gialli della donna
erano fissi su di me e silenziosi carpivano il mio dolore ma non lo
trasmettevano all’infuori ,
tutt’altro sembrava che ella capisse perfettamente cosa stavo
provando e rispettava i miei sentimenti .
Per
consolarmi mi raccontò come aveva vissuto fino ad allora , abbandonata da
genitori troppo egoisti e superstiziosi : infatti non appena ricevette
il dono dallo Spirito i suoi parenti non si accorsero della sua
benignità e per non gettare sventure sulla famiglia per
colpa di quel piccolo mostro , la affidarono allo stregone del
villaggio , avvezzo agli Spiriti Maligni e perciò
più adatto a crescere la bambina , e fuggirono portando con
se pochissimi oggetti ed una immensa liberazione nell’animo .
Lo
sciamano ritenne sin da subito ,
nonostante le imprecazioni e gli scongiuri della coppia , che quello
era il dono di uno Spirito Buono e si occupò
meravigliosamente della piccola , educandola come meglio
poté a controllare il suo potere e le sue emozioni
insegnandole anche svariati incantesimi che lei , grazie
all’influsso dello Spirito , apprendeva senza alcuno sforzo .
Quando
fu abbastanza grande per
badare a sé da sola e lui troppo vecchio per starle ancora
dietro , la donna decise di uscire per la prima volta dalla riserva per
trovare un compagno con cui passare il resto della vita , lontana da
tutti quegli uomini che la odiavano per il suo aspetto e per le sue
capacità .
Finalmente
le sue preghiere vennero esaudite: arrivata in California
entrò a far parte della riserva vicina alla città
di Los Angeles sposando un ragazzo della sua gente e da allora abita
lì felice e contenta ,
come in una favola .
Quando
terminò la narrazione mi sentii improvvisamente
più vicina a quella sorridente squaw
: entrambe infatti avevamo superato degli ostacoli a prima
vista insormontabili e preso decisioni importanti che hanno influenzato
considerevolmente la nostra vita e dopo anni di scherni e battaglie
eravamo riuscite nel nostro intento di riscattarci alla grande e
tuttora i nostri nemici ne pagano le conseguenze , isolati da noi ma
ancora vicini nei nostri ricordi .
“Sì , hai proprio ragione ,
sai?”
“…Su
cosa?”
“Siamo
molto simili , Fiordaliso : tutte e due siamo reduci da
una battaglia contro pregiudizi e violenze durata più di
venti anni .
Tutte
e due siamo state capaci di prendere delle gravi decisioni e non ci
siamo mai pentite di ciò che abbiamo detto e fatto .
Tutte
e due abbiamo deciso di vivere a modo nostro e di fregarcene degli altri .
Tutte
e due abbiamo ricevuto delle ricompense per il nostro passato ma ancora
ne aspettiamo di altre .
E
tutte e due in questo momento abbiamo un grande problema da risolvere
ma di fronte alla verità neghiamo le nostre vere passioni e
costringiamo il nostro cuore a seguire la via sbagliata .”
Vedendomi
disorientata dalle sue parole si avvicinò al mio orecchio e
mormorò dolcemente una promessa che si impegnava a mantenere ; e visto che ormai Colei Che Vede Nel Buio mi ispirava molta
fiducia quella frase mi tranquillizzò molto .
Ad un
certo punto però mi accorsi di una cosa orribile : il sole , da alto che era
quando ero inciampata sul cucciolo della donna , si trovava ora
dall’altra parte del cielo e percorreva il suo viaggio lento
ed instancabile verso l’orizzonte , e ricordandomi che dopo
il tramonto la ridente Los Angeles , città del mio cuore ,
diveniva il mio peggior incubo .
“Se
devi andare , puoi . Non
sarò certo io a trattenerti
, tranquilla .”
Davanti
a me lei sorrideva calma e con lo sguardo mi scrutava , vedendo ciò che gli
altri non potevano scorgere , e mi esortava a lasciare quel posto non
molto sicuro per una donna di città come me , offrendosi
anche di accompagnarmi per un breve tratto , ma io rifiutai la proposta
, dicendole che potevo cavarmela benissimo da sola e che sarei arrivata
alla fermata del taxi in pochissimo tempo .
La
giovane indiana assunse un’espressione imbronciata e non
insistette oltre : si
limitò soltanto a salutarmi ed a augurarmi la buona sorte
ovunque io mi trovassi e non trascurò neanche di darmi
qualche consiglio , mentre io la ascoltavo seriamente .
“Per
quanto riguarda lui…”
“…”
“Dagli tempo : non penso che sia
così insensibile come invece si è dimostrato .
Certo , non si fa vedere
da più di un mese né ti chiama più ,
neanche per salutarti ed anche se non lo conosco di persona e non posso
giudicarlo , scommetto che non farebbe mai soffrire qualcuno che gli
vuole bene così intensamente come te .
Al
contrario sta solo pensando al modo per scusarsi della sua assenza con
te .
Tieni
gli occhi ed il cuore aperti ,
potrebbe accaderti un fatto molto speciale , diciamo nei
prossimi…Quattro giorni.”
“Quattro giorni? Come fai a essere
così sicura di ciò che mi accadrà fra quattro giorni?”
“Vorrei
tanto sapertelo spiegare ,
ma purtroppo è…
Non so , è una sensazione
così particolare che neanche io che la provo so
cos’è .
È
strano , ma non ci sono
parole per descriverla .”
“Nemmeno
una?”
“Nemmeno
una .”
“Oh…Capisco
.”
“…”
“Vabbè , si è fatto tardi ,
dolcezza , ora devo proprio andare . Sai
, ho la guardia che mi aspetta e se ritardo anche di soli
cinque minuti per la cena non mi fa entrare in casa neanche per dormire
sul divano !”
“Ah
ah ah : va bene , va pure
, non voglio che prenda una sgridata per colpa mia .
E poi
la tua famiglia ti aspetta .
Addio , Fiordaliso , spero di
rivederti un giorno .”
“Anche
io spero di rivederti . Arrivederci
!”
“Arrivederci ! E sta vicina a tua figlia , mi raccomando :
avrà bisogno del tuo aiuto ora più che mai
!”
“Lo
farò stanne certa .
A presto !”
Mentre
mi allontanavo lungo la via da dove ero giunta lo scalpiccio delle
suole di cuoio sul terreno arido si mescolava al rimbombo di quella
raccomandazione pronunciata con così tanta sicurezza ed
apprensione che al solo ripensarci mi salì un brivido freddo
lungo la spina dorsale :
io credevo in lei ed in quello che
mi aveva detto , anche se la conoscevo da poco , ma dovevo
assolutamente chiederle spiegazioni riguardo il futuro di mia figlia ,
poiché se le fosse successo qualcosa senza che io lo avessi
saputo non me lo sarei mai perdonato .
Katy
per me era importante più della mia stessa vita .
Mi
voltai per tornare indietro ma non appena misi bene a fuoco la zona in
cui stavamo chiacchierando sommessamente qualche momento prima tutto
ciò che vidi fu polvere trasportata dal vento in mille
riccioli e fuscelli d’erba che si univano a lei in una danza
frenetica e silenziosa ;
ma di lei e del lupetto nemmeno l’ombra o qualche impronta
impressa nella polvere .
Si
erano dileguati proprio come dei
spiriti , senza neanche il tempo per chiederle un chiarimento
soddisfacente .
Ero
sola in quell’arido posto :
anche la folla rumorosa e le semplici casette erano spariti , di loro
rimaneva solo uno spiazzo tra piccoli e brulli canyon , colorati da
erbe secche o sempreverdi .
In
mezzo a tutta quella magia (come si
potevano altrimenti spiegare tutti quei misteri servendosi di strumenti
scientifici e razionali come il nostro cervello?) mi sentivo di troppo , non possedendo
anch’io doti innate come la donna od il piccolo lupo e avevo
la strana sensazione che se non avessi lasciato libero il campo nei
prossimi cinque secondi il vortice di terra che il vento aveva creato
mi avrebbe certamente inghiottito .
Lasciai
quindi quel luogo arcano pregno di fascino e mi avviai verso casa con
il petto che batteva ininterrottamente e lo stomaco sottosopra .
I
quattro giorni che seguirono quel pomeriggio furono di certo i
più lunghi della mia vita ,
le parole dell’indiana mi avevano molto turbato ed il fatto
di non aver ottenuto delle indicazioni più specifiche
riguardo il responso rendeva l’attesa ancora più
angosciosa .
Non
riuscivo a coricarmi senza pensare prima alla mia bambina che dormiva
nella stanza a fianco e non sapeva nulla di quello strano incontro
né di ciò che avevo appreso dalla donna .
Forse
era un invito ad aspettare il destino tranquillamente ; magari non era così
terribile come lo immaginavo io e lei
voleva farmi intendere questo , in un modo un po’ particolare
, ma dal profondo di me stessa ritenevo le sue intenzioni buone , una
persona così sottomessa dalla vita ed attenta ai sentimenti
degli altri non si sarebbe mai divertita alle spalle di chi ha sofferto
i suoi stessi mali raccontando di doni della Natura e magie indigene
varie con così tanta spontaneità , in fondo i
nativi sono molto sinceri con chi gli dimostra fiducia .
Allo
scoccare del quarto giorno però il mio dolore venne
ufficialmente cancellato ,
sostituito da un mare di collera incredibilmente alto ; e pensare che
il motivo di tutta quella rabbia doveva invece rendermi felice !
Io e
mia figlia stavamo discutendo amabilmente
come nostro solito e l’argomento principale era la festa
d’Halloween che la scuola aveva organizzato proprio per
quella sera ed avevo categoricamente proibito a mia figlia di andarci , per molti di quei motivi che
io considero importanti mentre lei non l’ha mai pensata come
me , e stava appunto ribattendo le sue convinzioni che si
sentì distintamente una voce da fuori che esortava Katy ad
uscire , una voce piccola ed acuta , che non mi ricordavo mai a chi
appartenesse .
Essa
interrompe la discussione e la peste guardandomi con occhi languidi mi
chiede se poteva uscire almeno per salutare colui (anzi colei , era una voce femminile) che
aveva urlato e sapere cosa volesse da lei ; io , rassegnata dal suo
sguardo così…familiare ,
le do il permesso , facendole promettere di ritornare immediatamente
dopo aver visto il proprietario della voce .
Lei al
settimo cielo si precipita fuori dal portone di casa urlando
così forte che i quadri appesi alle pareti e le corde del
pianoforte vibravano pericolosamente ,
facendomi inquietare non poco .
Non
passarono nemmeno due minuti che mi rivedo spuntare Katy
dall’atrio ,
tutta accaldata per la corsa e molto eccitata per una causa a me ignota
.
Senza
neanche riprendersi un poco e senza farmi capire qualcosa riguardo la sua esuberanza comincia a
trascinarmi verso il vestibolo con una forza tale da spezzarmi quasi le
braccia .
“Avanti , mamma , vieni a vedere chi
c’è ! Oh cavolo ,
non puoi capire , è stata proprio una sorpresa , sono
così contenta che non riesco più a respirare
!”
“E
allora come diamine fa a parlare ed a tirarmi senza ansimare neanche un
po’ ? Mi fai
paura sai ,
più che una ragazzina in carne ed ossa sembri una macchina ,
ma cosa bevi a colazione , benzina ?”
“Mamma
non dire cazzate e vieni !”
“Ehi , signorina , non si dicono
parolacce a casa mia , e non voglio ripetertelo un’altra
volta ! E non tirarmi così il braccio
, so camminare benissimo da sola !”
“Uffa , e va bene , ma sbrigati che
altrimenti se ne va !”
“Come
se ne va
? Chi deve andarsene
?”
“Eh , ma se te lo dico che sorpresa
è ? Eccolo ,
è lì !”
“Lì ? Lì
dove ?”
“Ma
lì , davanti a
te ! Ci sta venendo incontro ,
non vedi ?”
“Oh , sì , ora lo
vedo…”
Quella
sera però era meglio se non lo avessi riconosciuto .
Ecco , il mio destino si stava
avverando .
Ma io
non ero pronta .
“Noooooo , l’hai interrotto
proprio sul più bello , brutta
cretina che non sei altro , ma come faccio io a fidarmi di te
?? Dopo tutti questi mesi passati a scrivere e a scrivere tu mi
concludi il capitolo così??Ma io ti ammazzo , e butto il
tuo corpo a mare!!!”
“Ri-rilassati , Veronica
, non è successo niente , ho solo spostato la
vicenda nel prossimo capitolo , non preoccuparti , se avrai un
po’ di pazienza ti farò leggere tutto ma per ora
accontentati di questo .”
“Looney
ha ragione , sei troppo
tesa , dovresti prenderti una vacanza una volta ogni tanto , magari
lontana dai riflettori… Ti farebbe molto bene ,
sai?”
“Non
impicciarti anche tu ,
per favore e lasciami finire !! Dunque
, ti dicevo , cara la mia Looney…”
“S-sì…”
“Se
non scrivi qualche scena di sesso molto
esplicita entro il prossimo capitolo io non
leggerò più la tua storia
, chiaro??”
“T-ti
prometto che scriverò qual cosina di erotico ma per favore
non strangolarmi !!”
“Io
non ti sto strangolando !!”
“Sì , invece , la stai strangolando
! Oppure non senti il suo collo sotto le tue zampe ??”
“Le
mie zampe?? Senti ,
cioccolatino , se sei venuto qui per insultarmi faresti bene
ad andartene con quegli altri e lasciare me e la ragazza da
sole… Devo finire il mio discorsetto , se non ti dispiace
!”
“Lei
non rimane da sola con te ,
Veronica ! Scusami ma tu sei poco affidabile
: potrebbe succederle qualunque cosa ed io non voglio che
le accada nulla !!”
“Tu…
Come ti permetti di offendermi in questo modo ??
Io sono un tipo molto responsabile !!
E poi lei è ormai grande e vaccinata
, può cavarsela benissimo senza di te
!”
“Io
voglio bene a tutte le ragazze che mi amano e scrivono storie su di me , ergo devo starle vicino per
forza !! O magari tu non sai ciò che provo per il fatto che
nessuno scrive storie su di te ?”
“Io…Sai , Mike…”
“Sì…”
“Forse
hai ragione… Mi sento male perché nessuno scrive
fan fiction su di me… Molte persone mi amano come amano te
ma manca questo piccolo particolare :
nessuno mi dedica delle storie . Cosa posso fare
, Michael??”
“Beh , penso che la soluzione
migliore sia chiedere a Claudia se può far qualcosa .
Dopotutto lei è una tua fan e sarebbe felice
d’aiutarti ,
vero Claudia ?”
*Io
annuisco in apnea e prego mentalmente Michael di staccare Veronica dal
mio collo -_-“*
“Okay , allora affare fatto , cioccolatino !! Ma che faccio , la devo lasciare ?”
“Beh , penso proprio di sì
!! Guardala ,
è così viola che sembra una prugna matura
!!”
“Oh , caspita hai ragione !! Ma come
ho fatto a non accorgermi di lei ?”
“Non
lo so , Veronica . Voi
lo sapete ??”
“Forse
la sua stupidità le impedisce di pensare ed agire
correttamente…”(NdTutti
gli altri brutti ceffi che osservano la scena perplessi -.-“)
“Ehm , sarebbe meglio non
infastidirla tanto , ragazzi , siate gentili per favore : la ragazza
è molto pericolosa…”
“Certo
che lo sono , altrimenti
non mi chiamavo Veronica , tesoro !”
“Sono
contento per te , ma puoi
togliere le mani da quella povera ragazza , per piacere?? Ti giuro , più la guardo e
più soffre !”
“Uffa , che noioso che sei !
Sì , ora la
libero…”
*Finalmente
quella belva di Veronica lascia andare la presa ed io casco per terra
come un sacco di patate… Cavolo
, non lo da a vedere ma quella donna c’ha una
forza pazzesca…O_o*
“Oh
per fortuna è ancora viva !!
Mi avevi fatto prendere un tale spavento
, povera ragazza…”
“Ora
sto bene , Michael ,
tranquillo , non è successo niente…Ma la prossima
volta , Veronica , sfoga la tua rabbia su qualcos’altro che
non sia il mio collo , per favore !! Ma lo sai che mi stavi quasi per
soffocare ??”
“Sì , lo so , ma quando qualcuno mi
fa arrabbiare non riesco più a controllarmi , dovresti
saperlo… Certo , se è Michael a farmi arrabbiare
io lo punisco in altri modi , ma non posso dire come ,
c’è troppa gente qua…”
“Fai
bene a non dircelo ,
potresti scandalizzare qualcuno , Veronica…Sanno tutti che
le tue fantasie si restringono a campi molto materiali .”
“Bene , se la metti
così….Allora vorrà dire che se mi
farai arrabbiare un’altra volta non ti toccherò
neanche con un dito , ma
dovrai cantare Like A Virgin davanti a tutti !!”
“Like A Virgin?”
“Sì , Like A Virgin .”
“…Non
è una delle mie preferite ma accetto .”
“Bene…”
“Ad
una condizione .”
“Quale , sentiamo ?”
“Se
mi farai arrabbiare ancora…Non ti limerò le
unghie ma ti farò cantare Childhood .”
“Ch-childhood
??”
“Esatto , proprio Childhood .”
“Uff , se proprio vuoi umiliarmi in
questo modo per me va benissimo…”
“Beh , anche tu vuoi deridermi . Ma
vedremo chi vincerà ,
Veronica .”
“Aspetterò
quel giorno con molta ansia ,
bel cioccolatino .”
“Anch’io , ma non chiamarmi cioccolatino
per favore . Mi suona
così…”
“Invitante
?”
“Giusto
.”
“Ah…Okay , come vuoi .”
*Vero
sorride sadica ed osserva il piccolo e dolce Michael proprio come un
cioccolatino… o_o Beh ,
su questo non posso darle torto , ha
ragione…°ç°*
“Ehm , scusate se interrompo il
vostro discorso ma vorrei dirvi che dovrei andare a rispondere alle
recensioni , a ringraziare mille persone e se me lo concedete a postare
entro la prossima ora !! Posso lasciarvi solo per qualche minuto senza
ritrovarvi in condizioni irragionevoli ??”
“Certo
che puoi , piccola ,
baderà io a questo bel cioccolatino !!”
“Io
invece vengo con te ,
Claudia..Non mi sento molto sicuro vicino a lei..”
“Ti
capisco ,
Mike…Vabbè ora comincio a scrivere , siediti qui
di fianco a me !”
“Con
sommo piacere ,
dolcezza…”
Oh , diamine , dolcezza...dolcezza…DOLCEZZA…O_O
*tenta di non saltare addosso a lui e con l’aiuto di qualche
santo sconosciuto ci riesce e tira un sospiro sollevata*
Bene , mi sono ripresa ragazze!!**
ora possiamo cominciare , certo!!^^
Eh ??ò_ò
Oh
Santo Cielo , non ho
fatto niente , non tiratemi i pomodori per favore !!T_T
Certo , sono stata assente per quasi
due mesi , ma non penso che sia così grave , dopotutto ci
sono sempre , la storia pure , ergo
calmatevi per favore e fatemi parlare , dopodiché potrete
leggere il vostro bel capitolo ma prima devo dirvi due cose !!
Oh
caspita pure le uova mo...-.-“
Uffi , non mi interessa , io ve le
dico lo stesso !!
Allora
la prima cosa che voglio darvi sono le mie scuse più
infinite per la mia totale eclissi :
lo so , non mi sono comportata molto bene nei vostri confronti , vi ho
fatto aspettare per tutto questo tempo e magari qualcuna si
sarà dimenticata di me (spero che la maggior parte sia
rimasta invece..^^) .
Sono
stata una stupida e vi prometto che una cosa del genere non
accadrà più .
Ve lo
prometto con tutto il cuore ,
dolcezze mie..*_*
Oh e
poi volevo dirvi che ho suddiviso la faccenda in due parti
perché altrimenti sarebbe apparsa più lunga e
monotona e non volevo annoiarvi di più !^^ nel prossimo
capitolo ne vedrete delle belle però
, finalmente il nostro amato Topone tornerà a
deliziarci con la sua appetibile presenza , e ci rimarrete , oooh
sì !!*O*
Se non
vi piace questo capitolo o volete segnalarmi qualcosa che a voi
è sembrato offensivo vi prego di farlo
, non mi offendo come ben sapete e mi piace ricevere delle
critiche , fanno molto bene allo spirito ed alla storia !!^^
Topone
poi mi ha detto che quel benedetto tour che stiamo organizzando da
ottobre si farà !!
*urli isterici dalle fan che si strappano i capelli e piangono e
qualcuna sviene pure ò_ò* la prima tappa
è prevista per il 25 dicembre
, una data schifosa per noi Jacksoniane ma Michael ha
voluto così , spero che qualcuno ci sia , se volete comprare
i biglietti rivolgetevi a me , grazie mille!!^^
Un’altra
comunicazione interna :
dopo aver postato questo capitolo , ovvero oggi mercoledì 23
dicembre , mi prenderò un periodo di riposo di tre giorni ,
comprendente quindi la Vigilia ,
Natale e Santo Stefano , spero che non vi dispiaccia ma per almeno un
po’ non voglio vedere computer e penso che sia intuibile la
mia reazione , dopo quasi tre mesi passati a scrivere e a scrivere
ininterrottamente !!xD
Bene
ora passiamo ai ringraziamenti e poi me ne vado
, giuro ù_ù : innanzitutto vorrei
ringraziare la mia amica Veronica (la biondina pazza che avete
conosciuto prima , per intenderci xD) la quale riesce sempre a tirarmi
su di morale , ed ha una canzone per ogni problema (per una parte di
questo capitolo mi sono ispirata ad una sua canzone che mi piace
tantissimo , vediamo se la indovinate xD) ; la mia amata prof di latino
e greco della Garbatella (ormai la conoscono tutti !xD) con le sue
perle di saggezza romanesche ; Cime Tempestose , bellissimo , ve lo
consiglio ù_ù ; le vacanze di Natale che mi hanno
fatto respirare un pochetto ^^ ; e per finire tu , mio dolce amico
delle notti buie e dei giorni tristi , tu che riempirai per sempre il
mio cuore con la tua voce ed i miei occhi col tuo bellissimo sorriso .
Grazie , Michael , ti amo con tutto il
cuore ed anche se non ti ringrazio mai , e spero che anche per te sia
lo stesso , ti penso sempre e non c’è giorno che
io non ti senta vicino .
Non ti
dimenticherò mai sappilo .
Sob , e dopo questo ringraziamento
che mi ha fatto divenire gli occhi molto lucidi ed il naso gocciolante
T.T , ringraziamo le belle Cucciole e le belle Bambole che hanno
recensito ed alle quali penso sempre , vi voglio tanto bene Ciccine mie
!!^^
Visto
che è da tanto tempo che non la vedo recensire e considerato
anche che le voglio un mondo di bene ,
vorrei cominciare con la mia dolcissima Ambra , e cioè Eutherpe : amore mio ma so io quella
disgraziata mica te !!xD certo , mi hai fatto prendere un bello
spavento , poiché dal terzo capitolo in poi non recensivi
più ma per fortuna mi è arrivata quella mail e mi
sono calmata !!*_* sono molto contenta delle tue parole ed il tuo
commento mi è piaciuto moltissimo , ogni volta che leggo
qualcosa scritta da te mi sento benissimo , sei proprio magica , mia
piccola Ambra e non solo per me !!^^ sapevo naturalmente della simpatia
per il mitico Fernando e penso che vederlo in un ruolo nuovo ti
stupirà un sacco , ma non voglio dirti nulla per
ora..ù_ù pensiamo a Katy , piuttosto xD : lei
sì che è particolare ed il suo odio per Joe
è tutta finzione da come avrai capito , e non tarderanno ad
uscir fuori i suoi veri sentimenti , già dal prossimo
capitolo eheheh…** e poi ci sono Fiorellino e Mike che per
ora sono divisi ma ritorneranno insieme… per modo di dire
insomma , non voglio farli sposare ed anche se lui è molto
gentile e carino con lei ha già qualcun altro che lo
aspetta…^o^ perdonami se non posso commentare ogni tua
singola riga ma vado di fretta e devo rispondere alle altre : ci
sentiamo tanto e fammi sapere cosa ne pensi di questo nuovo capitolo ,
grazie picciola , ti voglio bene !!^^
Poi
c’abbiamo qui una nuova lettrice la bellissima e meravigliosa
Laban
, che si è anche permessa di mettere la mia
storia fra le seguite e di commentare !! Brava Fabi , mi aspetto molto da te non
deludermi , Cucciola!!^^
Ooooooh
ed ora è arrivato il momento delle mie due sorelline
preferite , ovvero Moma ,
la più grande , e Annina , la piccolina.. Che ne dite se
iniziamo dalla più piccola ?^^
Dolcekagome : vedi
tesoro che finalmente sono riuscita ad aggiornare ??^^
Eheh
ma tu non credi nelle mie capacità
, che ce devo fa’, purtroppo io non sono una
macchina ed ognuno ha i suoi tempi , eh
sì..ù_ù ma come non conosci quel gran
bel fusto di Inuyasha con la sua fastidiosa ragazza Kagome ??o_o oh
cavolo dovrò allestire anche un corso su manga ed anime per
aspiranti otaku , qui serve avoja… per fortuna che conosci
invece quel bel sorcone di Ryuzaki : hai ragione veramente troppo sexy
seduto sulla sua sedia girevole che spezza un biscottino a forma di
panda…come vorrei essere quel biscottino…*sbava
:Q_______* ehm purtroppo a tutte queste domande non posso rispondere
altrimenti la storia perde tutto il suo fascino ma almeno ora sai che
cavolo c’è scritto su quella coroncina e se non
l’hai capito è la frasetta tra
virgolette…se per caso te se pija qualche corpo dopo aver
letto quella parte sai con chi prendertela !xD aah ma grazie di che
ciccina??^^ tu svolgi il tuo mestiere di lettrice assatanata ed hai il
diritto di comportarti così , anzi a me fa molto piacere
!!^^ spero tanto che segua questa storia fino in fondo , ormai non sono
affezionata a te , mia piccola Kagome , ed anche alla grande Moma che
tra un po’ m’ammazza perché ancora non
ho aggiornato…o_o Vabbè intanto rispondiamo alla
sua recensione , sul web lei è Monyprincesslovett
: ehm , scene esplicite ancora non ci sono piccola mia , dovrai
attendere ancora un pochetto , ma spero proprio che ciò che
succederà tra Katy ed il prof ti interessi , e , devo
dirtelo , le tue previsioni sono super azzeccate ^^ : in effetti
all’inizio saranno soltanto amici ma poi vedremo cosa
combineranno… ;) spero che l’incisione sul
“coso sbrilluccicante” ti abbia lasciato sorpresa ,
perché quello era il mio intento (Ihihih**) ma mi raccomando
non svenirmi eh ??xD sennò addio finale della storia !! ci vediamo amore e vedi di
recensire subito chiaro ??^^
Ora si
passa alla Bambola più diabolica di tutte , la nostra amatissima
Alessandra , alias La
Diavolessa : bella , ti ringrazio per
tutte le parole che mi hai detto **: davvero , sentirsi dare della
brava scrittrice da una ragazza come te che ha frequentato il liceo
classico , stessa scuola che frequento io , mi da una sensazione
bellissima , non so proprio come descriverla !!^^ ancora grazie per i
complimenti e buonissima lettura !!^^
Eheh , e sapete mo chi viene ,
rega’??**
La mia
bellissima ,
stupendissima , bravissima , acclamatissima e dolcissima maritina , la
mia splendida Orsetta , o come la conoscono tutti su Efp la grandissima
Bad_Mickey : ehm tesoro mio , ti
dispiace se la mia risposta è molto meno lunga della tua
recensione?? I miei dicono che devono andare a nanna e non mi fanno
restare tanto al computer ,
ergo , io ti ringrazio per il papiro egiziano e spero proprio che
questo nuovo capitolo ti sia piaciuto , ti amo tantissimo amore mio ,
ti amooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooo!!!**
ò_ò
?? Che
c’è ,
mo non posso di a mi marita che la amo su Efp ??
Bah , che meschini che
siete…-_-“
Non
capite l’amore che io provo per questa ragazza ma
vabbè non tutti sono perfetti…°-°
ti prometto però che se c’ho un po’ de
tempo ti rispondo privatamente..^^
ti amo e grazie ancora piccola!!**
Aaaaah , ora posso anche andare a nanna
ed aspettare che arrivi Babbo Natale , non so voi , ma io non vedo
l’ora di scartare i regali !!** ci vediamo dopo le feste
ciccine mie , buon Natale e felice Anno Nuovo dalla vostra Looney Queen
, che Dio vi benedica!!^^
|
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Capitolo 10 *** La verità (O quasi...) (Anche i vampiri hanno un cuore-Seconda parte) ***
La verità (O quasi…)
(Anche i vampiri hanno un cuore-Seconda parte)
Sarebbe
stato molto meglio per me non lasciarmi trascinare per un braccio da
mia figlia quella sera: dopotutto è piccola e magrolina,
potevo tranquillamente sollevarmela sulle spalle, riportarla in casa e
sigillare porte e finestre incurante dei suoi lamenti e dei suoi calci
nella pancia, per poi fregarmene di quello che succedeva fuori,
importante o meno che fosse, ed andare a dormire serena e senza
seccature ronzanti per la testa.
Purtroppo
mi rendo sempre conto di aver commesso un errore solo dopo aver
constatato le sue conseguenze e ad aiutarmi c’erano Katie e
il devastante subbuglio ormonale che si creava in lei alla vista del
suo amore impossibile, ovvero l’artefice delle mie sciagure.
Non
era solo lui però a renderla euforica: infatti vicino alla
berlina blu parcheggiata fuori dal cancello della nostra villa Katie
abbracciava sorridente una ragazzina bianca che aveva sì e
no la sua stessa età ed un’aria da riccona
inconfondibile come il suo nome, Sandrah Shepard.
Mi
chiesi da subito come cavolo era giunta fin lì da Encino da
sola, senza genitori, senza scorta, insomma senza nessuno che la
potesse proteggere dalle insidie degli angoli più nascosti
della nostra città, ma guardando verso di
lui capii subito cosa era successo.
Mi
avvicinai a Katie per chiederle spiegazioni più dettagliate
ed intanto saltellava e ridacchiava insieme alla sua amica,
gridandomi:“Visto, te lo dicevo che sarebbe stata una
sorpresa!”, quando mi sentii improvvisamente chiamare da una
voce che purtroppo conoscevo benissimo e come se non bastasse si stava
avvicinando sempre più.
Ero
indecisa tra il rimanere attonita alla sua vista prendendola alla
leggera e salutarlo affettuosamente come se non fosse successo nulla
oppure fregandomene del bon ton e della sua eccelsa fama tra il popolo
rimproverarlo rabbiosamente e schiaffeggiarlo fino a fargli diventare
le guance rosse come salsa rubra sui tacos, e magari anche rispedirlo a
casa sua con tutti gli interessi con un calcio ben assestato nel
fondoschiena.
Ma
osservando le temute bodyguards alle spalle delle ragazze che
ricambiavano minacciose il mio sguardo cambiai immediatamente idea e
decisi che un accostamento pacifico alla vicenda avrebbe giovato alle
mie povere ossa.
Ma
niente e nessuno mi vietava di punire per bene la mia piccola peste e
stavo proprio per prenderla alle spalle sotto gli occhi sorpresi di
Sandy quando qualcun altro strattonò invece me per un
braccio, non molto forte ma la giusta intensità per
invitarmi a voltare la faccia verso di lui.
Un
volto che avrebbe addolcito anche il diavolo.
In
quel momento però l’unica sensazione che mi
provocava quel viso era delusione.
Non
sei mai stato così diverso con me prima d’ora.
Perché
ti sei comportato in questo modo?
Perché
sei così cambiato, Michael?
“Fiordaliso?
Cosa c’è, perché mi fissi in questo
modo? Sembri così…Distante, che ti è
successo?”
“E
glielo chiedi anche, Mike! Secondo me è stata colpita dal
tuo pungente fascino (come al solito) e non riesce più a
scollarti gli occhi di dosso. Ah, se si fosse accorta prima di te, a
quest’ora ti avrei come padre…”
“Non
cominciare a punzecchiarmi, Katie, sei molto simpatica ma quando fai
così non lo sei neanche un po’!”
“Neanche
un pochino-ino-ino?”
“No!”
Ogniqualvolta
Michael veniva a casa nostra per stare un po’ di tempo con
noi amava litigare per finta con Katie.
Era il
loro passatempo preferito, a parte giocare qualche perfido scherzo al
povero Fernando che se la prendeva sempre e li rincorreva per tutte le
stanze della casa e per il giardino fino a rallentare sfinito
circondato dalle loro sonore risa, ed io che in quel momento divenivo
la più seria dei quattro li rimproveravo piegandomi in due
dalle risate, dimenticandomi pure di respirare.
Le
nostre giornate finivano sempre con un sorriso ed un abbraccio
lunghissimo sotto un sole caldo e morente che segnava la fine del
giorno ma l’inizio della speranza, la speranza di rivederci e
di divertirci ancora insieme.
Quei
ricordi mi sembrarono troppo lontani per risalire soltanto a due mesi
prima, eppure non riuscivo a capacitarmi sulla ricomparsa di quel mascalzone che era venuto a casa mia
soltanto per ridere e scherzare con Katie tralasciando problemi
più gravi, come il nostro.
La
frustrazione stava cominciando ad annebbiarmi la vista e prima
ciò che era nitido e inequivocabile divenne nebuloso e
contorto; l’unica cosa che ancora funzionava era
l’udito, sentivo perfettamente tutti i discorsi imbarazzanti
che Katie rivolgeva a Michael, il suo timido disappunto e le suppliche
della povera Sandrah che tentavano di placare la lingua lunga di mia
figlia.
Tutto
quel casino mi dava alla testa, e veniva accentuato dalla sfrenata
corsa che il mio cervello stava intraprendendo per scovare una
possibile scappatoia in tutto quel macello.
L’unica
soluzione che mi si presentava davanti era sbarazzarsi gentilmente
delle due signorine di fronte ed allontanati anche i collaboratori
della star rimanere finalmente sola
con essa.
Il
problema ora rimaneva come : certo,
potevo inventarmi la scusa della passeggiatina nel quartiere ma Katie
conosceva fin troppo bene sua madre per cadere in simili tranelli.
Un’altra
ipotesi ammissibile poteva dipendere dall’umidità
della sera, (“Correte in casa, ragazze, qua fuori si gela e
potreste prendere un raffreddore! Potete anche lasciarci soli, abbiamo
le difese immunitarie che ogni giorno si allenano al bilanciere e alla
boxe, dovreste sentire come scazzottano!”) ma poi pensai alla
mente perversa di mia figlia e lasciai perdere subito.
Ero
ormai a corto di motivi plausibili per scacciare quelle sanguisughe.
O
meglio…Uno c’era.
Inspirai
profondamente fino a gonfiarmi il petto come un tacchino per il Giorno
del Ringraziamento e mi feci coraggio, in fondo non c’era
nulla di più semplice.
No,
proprio nulla, davvero.
Buttai
fuori tutta l’aria: bene, era arrivato il momento.
Mi
schiarii la voce rumorosamente ma nessuno osò girarsi verso
di me, ancora intenti a chiacchierare come comari di paese.
Ci
riprovai e stavolta funzionò, poiché mi ritrovai
immersa da tre paia di occhi, di cui due scurissime e attente e
l’altra di uno sperduto verde chiaro.
“Ehm…”
L’intensità
degli occhi scuri che mi stavano esattamente davanti aumentò
e non seppi bene come ma le parole che mi uscirono dopo dalla bocca non
provenivano dalla mia istruita mente, bensì dal nulla.
“Bene,
finalmente ho attirato la vostra attenzione! Volevo chiedere a voi, bambine, ed anche a te, Michael…”
Qui
stavo quasi per strozzarmi con la saliva.
“…Beh,
ecco…Vedete, ci ho pensato molto e penso che tu, tesorino mio,
ti meriti un bel premio…”
Mi
schiarii ancora per bene la gola mentre una sconcertata Katie mi
fissava in silenzio.
“…Ultimamente
la mia adorata Katherine ha mostrato di possedere una
serietà ed una
riservatezza veramente notevoli per una ragazzina di soli
tredici anni, otto mesi e ventitré giorni come lei, ed io
naturalmente, da mamma brava e premurosa che sono per la mia dolcissima bambolina ho intravisto queste
dimostrazioni di agognata maturità come un miraggio in un
deserto di disperazione ed ignoranza, e devo dirvelo, sono tuttora commossa per la mia
piccolina…”
Finte
lacrime mi uscirono dagli occhi per sottolineare la
solennità di quel momento, le labbra si incresparono e la
voce tremò sotto il peso della mia favolosa improvvisazione.
E
tutto questo per rimanere sola con Michael!
Avrebbero
dovuto consegnarmi immediatamente l’Oscar come Miglior Mamma
Attrice del Decennio ma purtroppo non esistevano premi di quel genere e
la mia arte rimaneva celata alla massa.
Gli
unici che potevano goderne erano le mie vittime dagli occhi sgranati e
le bocche aperte a mo’ di stoccafisso surgelato.
Ciò
che mi stupì tantissimo però era la loro
attenzione di fronte alla mia sceneggiata: difficilmente qualche essere
umano ragionevole credeva alle stupidaggini che sparavo e
l’assurdo fenomeno che mi si presentava davanti agli occhi
non mi convinceva molto…
Vabbè,
meglio se continuo a parlare, altrimenti si insospettiscono.
“…Per
questo motivo Katie ha diritto a due ricompense: la prima è
rimanere per sempre così, almeno ai miei occhi, e man mano
che crescerà divenire ancor più splendida di come
è ora!
La
seconda cosa è, mia piccola
orsacchiotta…”
Con
questa espressione ho sorpassato il limite.
Katie
non mi rivolgerà più la parola per
l’eternità…
“…Partecipare
alla festa d’istituto che si terrà stasera
stessa, esattamente alle dieci e mezza! Mike è
venuto qui apposta insieme alla tua amica per farti una sorpresa e per
scortarti personalmente fino alla scuola, dove tu e Sandrah sarete
accolte come le regine della
festa!”
Conclusi
il mio monologo realizzata e sorridendo osservai la buffa espressione
che Katie aveva in viso, un misto tra gioia e scetticismo insuperabile;
in quanto a Sandy la sua era una pura faccia da incredula.
Michael
era rimasto un po’ interdetto da tutte le stramberie che
avevo sparato anche più delle bambine ed anche se non era
completamente al corrente del mio piano annuiva cercando di essere il
più convincente possibile ai loro occhi.
Magari
un briciolo del suo altruismo nei miei confronti era rimasto e voleva
aiutarmi nel miglior modo possibile a risolvere il nostro
problema…
Sì,
non poteva essere altrimenti.
Dopo
un brevissimo periodo di silenzio le due scoppiarono in urli e risate
indiavolati e saltellandomi intorno mi gridavano ringraziamenti e
rassicurazioni di tutti i tipi, per poi correre fuori dal cancello e
precipitarsi all’interno della spaziosa vettura di Michael,
senza chiedere ulteriori spiegazioni: forse erano così
eccitate che i sospetti su di me erano volati via immediatamente dalle
loro testoline ricciolute.
Mi
augurai che fosse così, in fondo era facile eludere delle
adolescenti indifese con il permesso di recarsi ad una festa fuori
casa, soprattutto per Katie alla quale l’avevo negato
categoricamente, in quanto a Sandy pensavo che non fosse un tipo da
feste ma l’occasione non andava assolutamente sprecata.
Ero
già pronta ad abbandonarmi ai saluti ed alle raccomandazioni
dal marciapiede con tanto di fazzoletto svolazzante tra le dita che
sopraggiunse il peggior imprevisto che potesse capitarmi quella sera.
“Mamma,
ma le maschere dove le prendiamo?
Dobbiamo presentarci così, vestite come due
morte di fame che non siamo oppure fai in tempo a cucircene
due in meno di mezz’ora?”
Mi
battei una mano sulla fronte.
Per
tutte le zucche del mondo, come potevo essere stata così
cretina?
Avevo
un talento speciale nel dimenticare le cose assolutamente necessarie e
non riuscivo a togliermi questo vizio neanche con dei bigliettini
appiccicati al frigorifero o in fronte e nel momento del bisogno si
vedevano le conseguenze della mia incapacità.
Come
potevo essere stata così maldestra in
un momento cruciale come questo?
“Se
volete potete prendere qualcosina che ci è avanzato
dall’altro anno. Non è molto ma è merce
di ottima qualità servitevi pure, ragazze, e non fate
complimenti!”
Tirai
un sospiro di sollievo, il gentilissimo autista con il suo tempestivo
intervento aveva salvato il mio piano e non potei far altro che
ringraziarlo con tutto il cuore mentre la lussuosa e superaccessoriata
macchina percorreva il lungo viale d’asfalto e scompariva
alla nostra vista seguita dal rombo del motore e dagli schiamazzi che
provenivano dall’interno.
Dopodiché
nel già tranquillo isolato non si udì
più il minimo rumore, tutto era come congelato in una palla
di vetro natalizia e l’unica cosa che si udiva distintamente
in quella irreale quiete erano il mio respiro e quello di Michael, a
circa due metri da me.
Non
sembrava molto teso come invece lo ero io, e ciò mi
sollevò molto: avrebbe parlato più apertamente e
avremmo risolto in modo pacifico le nostre controversie, da bravi amici.
Tuttavia
il nervosismo c’era sempre e non bastava un pensiero del
genere a scacciarlo.
Mi
rigiravo le mani nel tentativo di trovare una scusa plausibile per
iniziare un discorso logico ma ciò non avvenne ed i palmi
divennero ancora più arrossati e sudati di prima.
Mi
girai verso Michael per osservare la sua espressione, ma vedendoci
dentro soltanto serica serenità, decisi che la cosa migliore
era cominciare a parlare immediatamente e senza farsi interrompere,
così la riappacificazione sarebbe finita prima e ce ne
saremmo tornati tutti e due nelle nostre accoglienti casette a sfondare
il letto.
Stavo
giusto aprendo la bocca in una bella O che Michael mi bloccò
le parole in bocca dicendo:
“Fa
caldo stasera, non trovi?”
Io,
completamente accigliata, non sapevo cosa rispondergli.
Se
voleva sdrammatizzare colpendomi nei miei punti deboli, ovvero lui e la
mia perenne ricerca di un luogo fresco e lontano dalla luce allora
c’era quasi riuscito: la temperatura del mio corpo si alzava
se lui mi si avvicinava ed essendo molto calorosa di natura il mio
termometro interno schizzava a cinquanta gradi.
Fortunatamente
la distanza che ci separava era a prova di svenimento e se fossi
rimasta per tutto il tempo della nostra discussione ad almeno tre metri
da lui non avrei corso inutili rischi e sprecato preziosissimo tempo
con la testa tra le nuvole.
Nonostante
il mio profondo desiderio di farla finita con recite e presentazioni
varie mi accennai a rispondere educatamente alla domanda di Michael,
dopodiché avrei perorato la mia causa fino alla morte.
“Sì.
Mi sento andare a fuoco, e neanche questo bel venticello aiuta
molto”.
“…Anch’io
ho un caldo pazzesco. Secondo te da cosa
dipenderà?”
E
secondo te?
“Boh,
non saprei…”
“Oh…Okay”.
Il
silenzio ripiombò tra di noi, era tutto così
silenzioso che persino i gufi se ne stavano zitti zitti acquattati sui
pali del telefono intenti ad origliare i nostri discorsi mentre i
rumorosi felini del quartiere avevano smesso di amoreggiare tra di loro
ed osservavano la scena appostati invece sui muretti e sui cancelli
delle ville, le pupille dilatate ed il pelo ritto come se avessero
appena preso la corrente.
Per
colpa di quegli inguaribili guardoni cominciai a sudare ancor di
più, le meningi stavano schiacciando il resto del cervello
riducendolo ad un puntino insignificante nel bel mezzo del cranio, e le
gambe divennero flosce, a stento riuscivano a non tremare sotto il peso
del mio corpo esausto.
Michael
invece non sembrava minimamente intimorito da tutto quel silenzioso
pubblico, ed osservando disinvolto l’ambiente in cui si
trovava ogni tanto spostava lo sguardo su di me che divenivo ad ogni
occhiata sempre più nervosa.
Volevo
farla finita una volta per tutte, ma disgraziatamente il ragazzo che mi
trovavo di fronte aveva uno speciale talento nell’incantare
povere fanciulle indifese e sole come me e l’intento si stava
rivelando molto difficoltoso.
E su,
Fiordaliso, in fondo di cosa hai paura?
È
lui che dovrebbe tremare alla tua vista, ad ogni tuo sguardo, ora sei
tu la preda e lui la vittima, non più il contrario.
Ripensa
a ciò che hai passato per colpa di quel maledetto ciondolo
dal significato inequivocabile, chiunque sarebbe impazzito al posto
tuo, ma tu hai resistito fino a questo giorno proprio per dirgliene
quattro in faccia!
Non
saranno due occhi dolci a fermarti, né una carezza o un
abbraccio.
No,
non posso perdere così miseramente…
Michael
è fin troppo buono per combattere contro una donna, e per
giunta con me, la sua migliore amica.
O
forse no?
“Michael…”
La
voce era uscita dalla mia bocca stridula ed ansiosa.
Non
ero riuscita a fermarla prima ed ora ne avrei pagato le conseguenze,
belle o brutte che fossero.
“Sì,
cosa c’è?”
“Vedi…”dissi
riprendendo fiato più di quanto era permesso ai miei polmoni.
“…Tu
sai che io non ti ho mai detto alcuna bugia per tutto il tempo che ci
conosciamo… E quindi volevo dirtelo…”
Presi
ancora un’altra bella boccata d’aria, Michael che
mi fissava accigliato e provava a comprendere ciò che stavo
dicendo.
“…Ho
inventato la scusa della festa per tenere lontane quelle pettegole…
E parlare con te…”
A
quelle parole Michael non si scompose ed attese il continuo del mio
racconto, non molto consapevole di ciò che gli sarebbe
capitato dopo; forse mi stavo sbagliando in pieno ma la dolce luce che
non abbandonava mai i suoi occhi significava fiducia, quella che solo
lui, in tutti quegli anni, mi aveva concesso.
“È
semplice da spiegare, eppure così
difficile…” dissi contorcendomi le mani e la
lingua in una morsa fastidiosa.
“Vedi,
qualche tempo fa, il giorno che tu sei venuto a trovarci per
l’ultima volta, mi hai portato un mazzo di fiordalisi, chiara
allusione al mio nome… Mi ricordo il momento preciso in cui
me li hai messi davanti agli occhi: erano così belli che non
ho potuto fare a meno di addolcirmi di fronte ad essi.
Poi
quel meraviglioso mazzo era stato messo da parte per un po’,
abbiamo fatto altre cose, ci siamo divertiti come matti ed anche un
po’ preoccupati, se ti ricordi; all’improvviso poi,
sei sparito, ed io non sapevo più dove cercarti, ero
disperata ma allo stesso tempo furiosa, poiché azioni del
genere non erano da te…”
Trattenni
una lacrima e man mano che mi avvicinavo al succo della questione la
mia voce perdeva il tremore e riacquisiva il suo timbro chiaro e
squillante che l’aveva sempre caratterizzata.
Forse
la rabbia fa diventare le persone più sicure di
sé stesse…
“Nonostante
tutto ti perdonai, poiché conoscendoti credevo che quel
gesto fosse meno grave compiuto da te, e così
pensai… fino ad un quarto d’ora dopo”.
Sottolineai
le ultime tre parole cosicché capisse bene il mio dramma
interiore da quel giorno, ma non sembrava minimamente spaventato dalle
mie parole.
Mentre
nel mio stomaco sentivo scoppiare dalla rabbia centinaia di candelotti
di dinamite ACME, lui era lì di fronte a me, e mi fissava
come una madre avrebbe fissato il suo bambino.
La
serenità del suo viso stonava con il rammarico del mio,
appariva tutto fuorché un colpevole di fronte alla Corte
d’Appello: quegli occhi urlavano la sua sincerità
e la loro forza era rapida e potente.
Dovevo
comunque continuare l’arringa se non volevo che quella
faccenda finisse archiviata nel cassetto dei Ricordi
da Dimenticare e così abbassai lo sguardo al
suolo e continuai, la voce completamente stabilizzata.
“…Mentre
stavo cercando un tuo biglietto tra i fiori qualcosa cadde sul
pianoforte: non un foglietto, bensì qualcosa di
più pesante… E prezioso.
Un
oggetto così bello da togliere il fiato, Michael…
Un
ciondolo a forma di corona, come quella che indossano le regine”.
Mi
avvicinai a lui, gli occhi incollati ai suoi e la voce sempre
più acuta.
“…Mi
chiesi da subito chi mi avesse regalato un gioiello così
costoso e raffinato nascondendolo così bene
d’altronde… La risposta però era
esattamente davanti ai miei occhi…
E lo
è tuttora”.
Conclusi
il discorso in un soffio, a pochi centimetri dalle labbra ferme di
Michael.
Rimase
impassibile al mio sguardo inquisitorio, eppure non distoglieva
l’attenzione dalle mie pupille: in esse ci leggeva tutta la
mia frustrazione, la mia umiliazione, la snervante attesa di una
risposta che non era mai arrivata.
Non
aveva paura, glielo leggevo in faccia, e ciò mi rendeva
ancora più arrabbiata: perché diamine non si
difendeva?
Trovava
gusto nel vedermi in quello stato per colpa sua, era davvero
così meschino da non fregarsene più di me?
Era
difficile pensare che Michael compisse misfatti del genere ma essendo
fornita di prove schiaccianti non potevo pensare altrimenti.
Attesi
un suo cenno di scuse senza successo, continuò seraficamente
a guardarmi, totalmente estraneo alle mie preoccupazioni.
Alla
fine per fargli uscire qualche parola di bocca formulai la tipica
domanda che si rivolge all’imputato dopo aver ascoltato la
difesa avversaria:”Cosa hai da dire
a tua discolpa?”
Michael
ci pensò un po’ su prima di rispondere.
Respirò
profondamente, le mani in tasca, il volto rilassato; sembrava stesse
conversando con un conoscente che non vedeva da cinque minuti.
“Non
ho molto da dire per togliere tutti i sospetti su di me.
Ormai
è palese la mia cattura,
Fiordaliso. E se avrai un po’ di pazienza e non ti metterai
ad urlare come a tuo solito…”
“Io
non mi metto mai a urlare quando sta parlando qualcuno,
Michael!” sbottai prima che potesse finire la frase, e lui mi
guardò affettuosamente, tanto che sentii lo stomaco
stringersi alla sua visione.
“L’hai
appena fatto”.
“Ah…
Hai ragione, sì. Non lo faccio più,
promesso”.
“Molto
bene. Ti stavo dicendo, se avrai un po’ pazienza ti
racconterò le cause della mia assenza dopodiché
ti chiederò mille volte scusa ma soltanto
se mi lasci spiegare. Me lo concedi?”
Altro
sorriso contorci – budella.
Non
sapevo cosa rispondere sinceramente: ero troppo arrabbiata per
ascoltare inutili spiegazioni ma allo stesso tempo desideravo
calorosamente che Michael si inginocchiasse umilmente e si scusasse
finché la lingua non gli fosse caduta a terra a forza di
parlare.
La
situazione però imponeva una scelta rapida ed alla fine
scelsi il male minore: lasciar parlare Michael, dopo le sue confessioni
avrei dato delle conclusioni più esaurienti e soprattutto
meno irrazionali.
“Sì,
te lo concedo” risposi asciutta.
Molto
sollevato per la mia risposta, Michael si schiarì
garbatamente la voce, senza smettere di fissarmi amorevolmente, poi
sospirò profondamente.
“Arriverò
direttamente al punto senza troppi preamboli.
È
giusto che tu sappia, e tuttora è forte in me la vergogna
per non averti detto tutto subito. Ora però capirai e le
nostre inquietudini spariranno, stanne certa, Fiordaliso.
In
questo ultimo mese non mi permettevano di avere contatti con te, era
praticamente impossibile parlarti, ed ogni via di comunicazione era
sorvegliata a vista, non potevo neanche uscire di casa.
Ora
prima che tu ti metta a far domanda a raffica sappi che mi isolavano
per assurdi “motivi di lavoro” come dicevano loro, che poi erano degli impegni
assolutamente banali, che di mia volontà non mi sarei mai
piegato ad assolvere.
Ogni
giorno era forte il desiderio di sfuggire per venire da te, per
aiutarti nel risolvere quel maledetto mistero del ciondolo,
poiché avevo previsto perfettamente la tua reazione, ma
quando seppi che c’eri riuscita da sola mi tranquillizzai un
po’, anche se ero comunque molto arrabbiato con i miei
carcerieri, dei quali non posso fare i nomi, mi dispiace!”
Michael
alzando di poco la voce aveva bloccato il mio intento di chiedere chi
cavolo fossero i suoi carcerieri, (se fossero stati i suoi parenti me
l’avrebbe sicuramente detto) e come se non fosse stato
interrotto continuò.
“E
poi quando loro ritennero necessario togliermi dalla loro protezione, così per dire,
erano già passate due settimane.
Due
settimane dal nostro ultimo incontro, Fiordaliso, e tu avevi
già scovato da un pezzo il segreto della corona.
Mi
sentii così inutile: avrei dovuto aiutarti ma non
l’avevo fatto.
Anche
se ero stato costretto all’immobilità
c’erano molti modi per comunicare con te senza farmi scoprire
dagli altri, solo che ero stato così stupido da non pensarci
prima.
Approfittando
della mia libertà perciò, decisi di incontrarti
in un giorno stabilito, portando con te oltre che le mie scuse, che ti
darò non appena avrò finito di
parlare…”
Qui mi
rivolse ancora uno sguardo dolce e sorrise alla mia faccia cupamente
disorientata: sembrava prendersi gioco della mia confusione interiore.
“…La
scoperta delle mie ricerche, una notizia che non ti saresti mai
aspettata di ricevere da me.
Ho
impiegato qualche giorno per trovarla e penso di essere stato
abbastanza preciso, anche perché non potevo permettermi di
sbagliare, soprattutto se c’è in ballo la tua
sorpresa!”
All’ultima
parola pronunciata dalla voce calma e suadente di Michael sussultai
come se mi fossi appena accorta che stavo seduta su un cactus.
“Questo
vuol dire che…” cominciai indignata ma lui fu
più veloce e mi fermò, accompagnato dal suo
fedele sorrisone.
“Questo
vuol dire, tesoro, che ora sono venuto a conoscenza della data di
consegna della sorpresa e sono pronto a dirtela, se tu vuoi”.
Concluse
la frase sussurrando, lo sguardo infuocato.
Rimasi
per un bel po’ di tempo con la bocca spalancata.
Ciò
che pensavo non sarebbe mai successo stava per accadere: Michael stava
perdendo la testa e lo dimostrava il discorso che aveva appena
concluso, per le mie orecchie assolutamente senza senso.
Forse
in quel mese era cambiato così tanto da non essere
più riconoscibile.
Eppure
era lì, davanti a me, come avrei potuto sbagliarmi?
No,
c’era sotto qualcosa e me lo sentivo: già da molto
tempo prima mi era salito il sospetto che Michael mi stesse nascondendo
un segreto, anche se non era da lui, e stava facendo di tutto per
incuriosirmi.
E poi
c’era anche il fattore rabbia che mi spingeva a dire
affermazioni che in condizioni normali non mi permettevo neanche di
pensare.
“E
quindi tu… Tu sei venuto qui, da me,
a sera
inoltrata, solo per dirmi questo?”
“Non
necessariamente, tesoro. Vedi, il punto è
che…”
“Non c’è nessun punto, tesoro!
Mi sono stufata di questa farsa che stai inscenando per costringermi a
perdonarti, i tuoi discorsi lasciali per quelli meno furbi di te,
perché la sottoscritta non ci crederà
mai!”
Stavo
sul punto di aggredire Michael quando l’orribile sensazione
di star per ammazzare un innocente malandrino mi bloccò
braccia e gambe e mi sigillò le labbra.
In
generale non ero un tipo bellicoso ma ogniqualvolta venivo insultata o
derisa la sete di vendetta si appropriava di me ed era molto meglio per
la mia preda tenersi alla larga piuttosto che prendersi ancora gioco di
me.
Quella
volta ero riuscita a placare la belva silenziosa che attaccava quando
veniva stuzzicata ma soltanto perché la mia bontà
aveva avuto il sopravvento su di essa.
Michael
non si accorse neanche della mia esplosione, anzi, sembrava
più calmo e stupido che mai, forse un po’ turbato
dalle mie parole ma niente di che.
Dopo
quella che sembrò un’eternità, ma che
in realtà fu solo un manciata di secondi, ripresi fiato e
guardai più intensamente Michael, la cui mente per me era
impenetrabile e potevo entrarvi solo dimostrandogli la mia fastidiosa
angoscia.
“Ciò
che tu ignori nella tua grandezza, Michael, è la dura
realtà: non tutti sono felici e spensierati come te in
questo momento, non tutti mentono sul loro stato d’animo da
schifo, facendo vedere agli altri di essere sereni quando poi non lo
sono.
Esattamente
ora il mio cuore si sta spezzando per colpa tua; pensavo che tu avessi
almeno capito ciò che avevo provato senza la tua presenza,
ero convinta, seppur minimamente, che un giorno saresti venuto qui a
schiarirmi le idee una volta per tutte.
Tu sai
a cosa mi riferisco.
Beh,
quel giorno è arrivato, Michael: sei venuto qui di tua
spontanea volontà, non sono stata io a costringerti,
oltretutto non mi hai nemmeno avvisato prima, mi hai fatto una
sorpresa, proprio come piace a te.
Sinceramente
devo dire però che mi aspettavo una reazione diversa da te.
Invece
di essere dispiaciuto per la tua assenza hai sfoggiato uno dei tuoi
sorrisi più ammalianti e mi hai detto che mi avresti
raccontato le ragioni per cui sei mancato e poi ti saresti scusato con
me, ma solo se prima ti avessi lasciato parlare.
Io ho
accettato la tua richiesta, ma forse non avrei mai dovuto.
Il tuo
discorso, te lo ripeto, è insensato, e lo sarebbe per ogni
individuo su questa terra con il cervello nella zucca.
Non
posso sapere se le tue condizioni cerebrali sono nella norma ma una
cosa è certa, dolcezza: se entrò due minuti non
ritorni il Michael di tanto tempo fa giuro che giro i tacchi e rientro
dentro casa, lasciandoti qui solo come un cane e non ti
aprirò neanche se stessi per essere ammazzato da un teppista
di strada”.
Sibilai
un impaziente “Intesi?” prima di scostare il mio
viso umido da quello non più serafico di Michael, che
sembrava aver capito che con me le scenate non servivano, ed essendo
una pessima attrice sapevo riconoscere un mio simile quando lo
incontravo.
Non me
lo sarei mai aspettato da Michael ma i miei occhi non mentivano mai.
Era
uno strano sollievo vederlo in difficoltà, così
turbato dalle mie parole, così improvvisamente fragile;
rividi il Michael di prima, il mio Michael, osservarmi sbigottito
mentre aspettavo la sua risposta.
La
sensazione di potenza però svanì non appena
Michael aprì bocca, la sua voce dolce e sottile divenuta un
acuto singulto.
“Avevo
sempre sospettato che prima o poi mi avresti scoperto ancora,
Fiordaliso. Ammetto di esser stato un po’ troppo sdolcinato
per le tue abitudini, pensando così di cavarmela con qualche
occhiatina e paroline dolci, ma non ho fatto i conti con il tuo
eccellente spirito d’osservazione.
Sei
molto più brava di me a comprendere l’animo di una
persona e le sue più invisibili sfaccettature, tanto che
sapresti riconoscermi tra i miliardi di abitanti di questa terra senza
neanche chiedere dove mi trovo.
Tu hai
un grande dono, e non sempre si nota a prima vista.
Io,
conoscendolo, l’ho sottovalutato ed eccomi qui a scusarmi dei
miei torti, con te che mi guardi come se volessi mangiarmi, costretto a
rispondere a tanti dei tuoi dubbi più grandi.
Ora
non c’è più bisogno di evitarlo.
Puoi
chiedermi qualunque cosa ma non aspettarti una soluzione per tutte:
alcune informazioni sono top secret ed anche se ti sbattessi per terra
e cominciassi ad urlarmi nei timpani non mi lascerò sfuggire
una parola, neanche una singola virgola.
Sta a
te dopotutto scegliere, Fiordaliso, se perdonarmi oppure no.
Per
quanto io possa scusarmi la succube sei tu e come tale hai sofferto le
pene che ti ho inflitto e nessuno meglio di te può
appiopparmi una bella punizione che possa ricordarmi per tutta la
vita”.
Si
slacciò dal mio sguardo, le pupille tremanti.
“Avanti,
prendi la tua decisione. Io sono pronto”.
Chinò
il capo sottomesso alle mie parole ed alla mia severità.
Al
contrario di lui, io non sapevo quale decisione pigliare,
poiché come al solito si frapponevano delle opinioni molto
convincenti: la prima mi spingeva a perdere ulteriormente il controllo
sin da cacciare Michael da casa mia, mentre la seconda desiderava
saltargli addosso e rimanere con lui abbracciata per tutta la serata.
Così,
sospesa tra amicizia e vendetta, con le mie infinite elucubrazioni
ritornavo sempre al punto di partenza.
Non
potevo lasciare la faccenda in sospeso, ora che finalmente entrambi
c’eravamo confessati ed aspettavamo solo qualche chiarimento
in più.
Ma in
fondo, pensai guardando apprensiva la figura immobile e tremante di
fronte a me, chi se ne importa?
Senza
che Michael se lo aspettasse, lo cinsi con un saldo e tanto agognato
abbraccio, assaporando il calore del suo corpo, il fruscio dei suoi
vestiti contro i miei, il suo profumo che sovrastava gli altri
aleggianti intorno a noi, dimenticando improvvisamente tutto
ciò che avevo detto e pensato precedentemente su di lui.
Le
congetture e le ansie divennero polvere e l’improvviso
scrosciare di sentimenti positivi le cancellò
definitivamente e prese il loro posto.
Era
come se il mio cervello si fosse svuotato di tutte le infamanti accuse
che prima avevo lanciato all’indirizzo di Michael, come se
lui non fosse mai sparito per un mese, come se non avessi mai trovato
quella coroncina nel mazzo di fiordalisi, come se non fossi mai
impazzita nel tentativo di capirci qualcosa.
Ero
misteriosamente libera dalla disperazione e dalla rabbia, ed ancora una
volta non seppi spiegarmi cosa precisamente mi era successo.
Volevo
solo rimanere abbracciata a Michael per sempre, non c’era
bisogno di spiegazioni, almeno stavolta.
Dopo
un tempo che mi sembrò infinito mi sciolsi da lui e vidi
riflessa nei suoi occhi profondi la mia immagine, l’immagine
di una donna sospesa tra la piena giovinezza e la nebulosa
maturità ma incapace di scegliere tra le due, un
po’ per abitudine dell’una, un po’ per
paura dell’altra.
Per me
era sempre stato molto difficile scegliere o cambiare, sin da bambina,
soprattutto perché mi ritenevo immatura per farlo ed avevo
il perenne timore di errare, anche se ai bambini sono permessi molti
più sbagli che ad un adulto.
Forse
è per questo, ed anche per un altro motivo, che
all’età di tredici anni mi feci la promessa di non
crescere mai e di continuare a vivere come se fossi stata una
ragazzina, sfuggendo così alle dure
responsabilità cui sono succubi le persone mature.
Non
avevo però calcolato le conseguenze di questo errore
gravissimo.
Infatti
ora, sola nel giardino di casa mia insieme a Michael, dovevo scegliere,
poiché un abbraccio poteva significare molte cose, non
necessariamente il totale perdono di Michael.
“Michael,
io…”
Non
sapevo nemmeno da dove cominciare, e mentre uno stordito Michael mi
fissava impaziente cercavo di prendere una decisione il più
velocemente possibile, ma non ci riuscivo.
Era
troppo difficile per me.
“Cosa
ti succede, Fiore?”
“Niente,
Michael, niente”.
“Sicura?
“Ma
sì, non ti preoccupare. Sono solo un
po’… Stanca. E…”
La
tensione inghiottì ciò che volevo dire e
dolorosamente gliele strappai.
“…Ecco,
Michael, io… Io ti capisco benissimo, lo sai. So cosa hai
provato per tutti quegli anni e sinceramente non lo auguro a nessuno,
così come non voglio che qualcuno soffra come me.
Hai
sopportato per tutti gli anni della tua infanzia, ed anche
dell’adolescenza, le violenze di tuo padre, le sue parole, i
suoi lamenti, e quando sei cresciuto hai voluto che nessun altro
dovesse calare nel buio in cui prima stavi tu.
Sin
dal primo momento in cui ti vidi mi sentii attratta da te: eri di una
purezza così celestiale che non mi sembravi nemmeno umano,
addirittura un angelo poteva
eguagliarti.
E non
volevo assolutamente che soffrissi.
Volevo
proteggerti, dal mondo, da tuo padre, da qualsiasi cosa che intaccasse
la tua perfezione.
Ci
riuscii solo una volta e poi fummo separati per molto tempo, ma la tua
voce non sparì mai dai miei ricordi: più mi
ritornava in mente e più ti sentivo vicino, pronto a
scacciare qualunque pericolo intorno a te.
La tua
magnifica aura però ti teneva lontano dai guai e la tua fama
continuava vertiginosamente a salire fino a tre anni fa, quando hai
dimostrato al mondo intero quanto potevi dare e stai dando ancora.
Il
successo non ti ha mai montato la testa, lo so, ma hai sempre nascosto
i tuoi sentimenti, Michael, anche a me che ero e spero ancora di
essere, la tua migliore amica.
Eri
così sicuro di te da non aver considerato un piccolo
inconveniente: io non riesco ad incantare gli altri come fai tu, ma ho
molta esperienza nell’individuare i furbetti come te.
Facevo
finta di niente ma mi ero accorta da subito che c’era
qualcosa che non andava”.
Tesi
una mano per accarezzargli i capelli: lui non si ritrasse.
All’inizio
si aspettava che io non gli rispondessi neanche per il modo in cui
l’avevo attaccato, poi sentendo il mio discorso la sua
espressione si era addolcita, liberando anche un leggero sorriso.
“Ho
sempre assecondato le tue trovate, ma stavolta l’hai
combinata proprio grossa, tesoro. Non farlo mai
più”.
Il
sorriso che prima si notava appena sulle sue labbra si
allargò ed annuì abbracciandomi più
forte di quanto non feci io, strizzandomi lo stomaco contro le costole
e facendomi capire che era d’accordissimo con me.
Le
nostre effusioni durarono più del previsto e quando
riuscimmo a svincolarci l’uno dalle braccia delle altre mi
sentii come un topolino in un groviera.
Non
era stato molto difficile scegliere, no?
Ho
preso la decisione giusta, così almeno Michael
continuerà ad essere mio amico e non dovremmo più
litigare per simili stupidaggini, ormai sa che con me ed il mio sesto
senso non ha praticamente scampo.
Ma
c’era sempre quel non-so-ché nel suo sguardo che
mi incuriosiva, mi istigava a continuare la ricerca nell’io
più profondo di Michael ed a carpire finalmente le sue trame.
Come
avevo detto, però, era molto difficile scoprire quali
fossero realmente i suoi sentimenti.
Riconobbe
tuttavia la distrazione che gli aveva costato il bel piano che aveva
architettato nella sua mente e mi sentii profondamente sollevata ma
anche un po’ turbata quando accettando un suo piccolo favore
mi rivelò la data di consegna della sua sorpresa: il 31
ottobre 1986, esattamente tra un anno.
Appariva
convinto della sua scoperta ma ciò che invece non convinceva
me era il come aveva fatto: okay,
ero un po’ scettica su questo, ma se avesse dovuto spedirmelo
via posta non ci sarebbero state le tante ricerche cui lui aveva
accennato.
A meno
che non me lo volesse spedire via piccione viaggiatore o tappeto
volante la sua notizia mi puzzava, ed anche molto.
Volevo
scoprire almeno uno dei suoi segreti, il più recente, ed
avendo libero accesso all’abitazione dei Jackson non mi
bastava altro che prendere l’autobus per Encino il
più presto possibile e portare con me molta prudenza.
I
familiari di Michael erano da sempre stati gentilissimi con me, non mi
avrebbero di certo negato qualche domandina innocente.
No,
assolutamente…
Mentre
stavo disegnando nella mia mente una delle mie visite tipo a casa di
Michael, lui mi prese delicatamente la mano con la scusa di parlarmi di
qualcosa di molto importante.
Come
se di problemi molto importanti non ne avessimo già discusso,
pensai io, ma mi accorsi di aver dimenticato qualcosa di veramente
importante: il ciondolo!
Come
non avevo potuto pensare a quell’oggetto così
significativo dopo un bel discorso forense su di esso e senza chiedermi
perché l’avevo spinto ai limiti della mia mente,
ricordandomene solo quando io e Michael non c’eravamo
conciliati?
Sbuffai
alla mia sbadataggine ed ascoltai con certo interesse ciò
che Michael voleva dirmi: e quando ebbe finito avrei desiderato
strangolarlo con le stringhe delle mie Converse.
Mi
aveva appena riferito, senza dovizia di particolari, che la coroncina
che tenevo celata agli occhi di curiosi e lingue lunghe in
realtà non era un regalo per me.
Nel
senso, mi spiegò lui con tutta la calma possibile che il mio
sguardo assassino sul suo collo permetteva, che ora il ciondolo
apparteneva a me ma avrei dovuto ben presto cederlo.
A chi
Michael non me lo disse, e quando tentai di ribattere alle sue
affermazioni insensate lui mi bloccava sempre, con scuse del tipo:
“Tranquilla, se avrai un po’ di fiducia capirai
tutto!” oppure “È solo questione di
tempo, qualche mesetto e la situazione sarà risolta! Non
preoccuparti per questo, non ce n’è
bisogno”.
Smisi
di lottare quando compresi che Michael non si sarebbe mai lasciato
sfuggire una parola su ciò che mi aveva accennato.
Come
gli avevo fatto notare prima io, era abile a nascondere i suoi pensieri
e sentimenti, soprattutto quelli negativi, e non sempre dimostrava la
sua tristezza interiore.
La
copriva sempre con un bel sorriso stampato in viso e tanto affetto
verso quelli che gli volevano bene, compresi gli abbracci stritola
budella cui ero spesso sottoposta, e dal quale ero mollemente
incatenata.
Mi
abbandonai completamente sulla sua spalla, senza protestare, non ne
avevo più la forza dopo le precedenti sfuriate e non pensai
più a nulla, non ne sentivo il bisogno.
Michael
mi sussurrava delle parole di conforto all’orecchio che per
me non avevano più alcun interesse, perché avevo
lui, ero tra le sue braccia, odoravo i suoi capelli che casualmente
sfioravano il mio naso, premevo le mani lungo la morbida schiena
accarezzando il tessuto dei vestiti con placida lentezza.
Ero
così rilassata dal calore del suo corpo che non mi accorsi
che mi stava parlando all’orecchio: non erano i soliti
sussurri, le parole si udivano perfettamente ed il soggetto della frase
mi confuse parecchio.
“Mi
raccomando, sta’ vicina a tua figlia, Fiordaliso. Lei ora
avrà bisogno di te, non lasciarla sola. Sembra
più grande della sua età, ma è ancora
una bambina, non conosce ciò che la aspetta fuori dal suo
mondo. Non deluderla ancora una volta, fallo per lei ed anche per me.
Promettimelo”.
E
mentre riascoltavo nella testa quella raccomandazione davanti
all’immagine di una Katie sola e terrorizzata da un essere
che solo lei poteva vedere, due grandi occhi ambrati osservavano
ciò che doveva ancora succedere e che io non conoscevo.
L’elegante
vettura si accostò con grazia al marciapiede illuminato da
un esercito di fari colorati che andò ad impregnare anche la
scintillante carrozzeria blu della macchina.
Le
luci provenivano da una costruzione in mattoni non molto lontana dal
nucleo antico della scuola, fabbricata qualche anno prima come regalo
per gli alunni ed in certi casi anche per gli insegnanti.
La
palestra però quella sera era totalmente irriconoscibile per
entrambi: sormontata da lugubri decorazioni artigianali e molto
realistiche, rese ancora più spettrali dall’unica
fonte di luce presente, insieme a quella fioca dei lampioni, un sentiero di zucche
intagliate per assumere espressioni ghignanti e riempite dalle
classiche candele, che conduceva all’entrata della palestra,
il cui interno certamente era molto più spaventoso.
C’era
un grande viavai di ragazzi e tutti indossavano una terrificante
maschera che li rendeva irriconoscibili: per molti era un bene, per i
popolari un utile stratagemma per vincere il premio di Miglior Maschera
della Serata e perciò diventare ancor più famosi.
Si
muovevano da soli o a gruppi e si dirigevano tutti verso
l’entrata dell’edificio, dal quale proveniva un
brusio concitato che aumentava sempre più.
Seccato
da quell’unitile spreco di squisiti frutti autunnali per
farne delle banali lanterne e dal crescente volume degli urli e della
musica, il conducente dell’automobile tirò un
“Ehi, siamo arrivati, è ora di
scendere!” alle due inquiline del sedile posteriore che
smisero immediatamente di ridacchiare tra di loro e dopo essersi
scusate molte volte scesero frettolosamente dalla macchina e la
seguirono con lo sguardo diretta alla grande macchia di luce appoggiata
al buio oceano sotto di loro.
Rimasero
per un po’ a guardare il vuoto, improvvisamente incerte sul
da farsi.
“Allora,
entriamo?” Katie indicò titubante la palestra col
piccolo indice smaltato di rosso e di rimando Sandy la fissò
sorpresa.
“Non
eri tu quella che voleva a tutti i costi
partecipare alla festa? Che ti è successo tutto ad un
tratto?”
“Nulla!
Mi stavo chiedendo se anche i professori parteciperanno alla
festa…” Il suo sguardo girava irrequieto tra la
folla festante in cerca di una inconfondibile crocchia o di una chioma
dorata.
“Può
darsi che…”
“Oh
andiamo, Katie, ancora ti preoccupi per Johnson? Te l’ho
ripetuto milioni di volte, è innocuo, non farebbe del male
ad una sua alunna neanche se lo pagassero!”
“Non
è quello che mi preoccupa, Sandy! Piuttosto non voglio
rimanergli appiccicata a forza tutta la serata, mi rovinerebbe la
reputazione, capisci? Se lui c’è, io non
entro”.
“Secondo
me non c’è, è appena arrivato, non si
fidano molto di lui! O forse sì?”
domandò Sandy più a se stessa che
all’amica ma Katie la ignorò, intenta a
controllare il cortile della scuola che stava diventando man mano
sempre più deserto.
Quando
fu certa che non ci fossero insegnanti nei paraggi fece cenno a Sandy
di entrare nella palestra e quest’ultima la seguì
molto sollevata: almeno per quella serata poteva star alla larga dalla
pioggia di imprecazioni che Katie lanciava sempre contro Johnson in sua
presenza.
Mentre
camminavano discutevano dei propri travestimenti: Katie più
che un licantropo sembrava una donna barbuta del circo in divisa
scolastica mentre Sandy, i capelli sciolti sulle spalle, con il suo
abitino di seta nera di pizzi inamidati e calze a righe nere e bianche,
era una inquietante bambola da ventriloquo.
“Era
quanto di più possibile sono riuscita a trovare ad un
costume da vampiro: il mantello mi sembrava troppo banale e la camicia
sporca di sangue pure. E poi le vampire sono pur sempre donne”.
“Certo,
e voi andate vestite così tutte le notti?”
“Non
sempre, ogni tanto ci mettiamo anche la minigonna e i tacchi a
spillo”.
“Oh
immagino…”
“Beh,
almeno noi possiamo permettercelo, voi con quelle zampe…”
Ed indicò perplessa i piedi nascosti di Katie da
due pantofole grosse e pelose, “…dovete girare per
forza scalzi”.
“Mai
sentito parlare di Stivali delle Sette Leghe?”
Sandy
dovette riprendersi dall’assurdità della battuta
prima di scoppiare a ridere senza controllo in faccia a Katie.
“Oh,
Katie, sei incredibile! Gli Stivali delle Sette Leghe, ma come ti
saltano in mente certe cose?”
“Non
chiederlo a me, non centro nulla” le rispose sincera Katie
strascicando le zampone.
“Delle
volte il mio cervello lavora senza la mia approvazione”.
L’amica
non sembrava molto turbata dalle sue parole: qualcosa di più
curioso attirava la sua attenzione.
“Allora
fareste meglio a collaborare, perché ne avrai bisogno nelle
prossime ore della serata”.
“Perché,
cosa succederà stasera di così
interessante?”
“Per
me nulla, ma se fossi in te starei cauta…”
Avvicinò discretamente la bocca all’orecchio della
ragazza per sussurrarle la sua scoperta: “Ho appena visto
Johnson chiacchierare con un gruppo di studenti ed evidentemente
l’hanno mandato a sorvegliare la situazione insieme agli
altri docenti. Mi raccomando, cerca di non dare troppo
nell’occhio altrimenti puoi dire addio alla tua serata
tranquilla…”
“Ma
non eri tu quella che non si faceva problemi su Johnson?”
“Non
mi faccio problemi su di lui, figuriamoci! E poi te l’ho
detto per aiutarti! Avanti, nasconditi dietro di me”.
“Ma
non potrei rimediare una maschera da qualche parte, almeno do meno
nell’occhio? In fondo è Halloween!”
“E
dove pensi di trovare una maschera da lupo mannaro dentro la scuola?
Non hai pensato a prendere quella che stava in macchina sopra gli altri
costumi?”
“Vuoi
dire che c’era una maschera da lupo mannaro su quella
macchina e tu non…”
“Scusami,
non c’è tempo per le spiegazioni, sparisci da qui!
Sta arrivando…”
Per
tutto il tempo che lei e Katie avevano discusso Sandy non aveva perso
alcun movimento del professore che poteva osservare benissimo in viso
senza essere notata e quando lui ebbe terminato il suo colloquio con
altri studenti si diresse pericolosamente verso di loro.
Fu in
quel momento che Sandy spinse via Katie dal percorso di Johnson con
tutta la forza che le sue parole e le sue braccia erano capaci, e la
vittima dopo aver finalmente ceduto filò via, lanciando
imprecazioni all’indirizzo del suo aguzzino, correndo verso
il punto dell’istituto più lontano dal pericolo.
Superato
il grande spiazzo sul quale si affacciava il corpo principale della
scuola e la sua maestosa entrata lo percorse per tutto il suo perimetro
fino ad imboccare una sgangherata scaletta antincendio così
che si ritrovò sul terrazzo dell’edificio, che
sembrava molto più grande di quanto in realtà non
fosse.
Ci
mise due minuti buoni per percorrerlo tutto correndo ed arrivata
all’estremo angolo, quello più riparato e
sconosciuto, si appoggiò affannata alla balaustra,
contemplando un panorama di case e luci tutte diverse tra di loro, ma
abitate dalla stessa gente.
Il
rettangolo di mattoni alla sua estrema destra, non molto visibile per
via degli alberi del viale, sembrava ondeggiare a ritmo di musica e
divertimento, il divertimento che lei aveva tanto immaginato nel mese
precedente come balli scatenati fino a mezzanotte, quando giungevano
gli spiriti dall’Aldilà per spaventare i vivi,
scherzi, risate con gli amici ed anche pazzie mai provate prima.
Invece
si ritrovava a scappare da un persecutore che non le avrebbe dato pace
finché non sarebbe caduta nelle sue sudice grinfie: aveva
appreso da sua madre i crimini che erano capaci di commettere uomini
apparentemente buoni e gentili come suo padre e si era sempre sentita
ammonire, con dolcezza e durezza nelle stesse parole, di non
frequentare quel tipo di gente.“Credimi, Katie, non
è piacevole essere ingannate soltanto per il raggiungimento
di un bene astratto. Tutti noi crediamo in valori e proseguiamo la
nostra vita per realizzarli; però ci sono diversi modi per
raggiungerli e non sempre sono tutti molto ortodossi. Impara a
distinguere il bene dal male prima che tu possa fare il mio stesso
errore” le ripeteva spesso ed il risultato fu che venne su
una ragazzina del tutto diffidente verso i rappresentanti
dell’altro sesso.
Il
massimo rapporto che aveva finora instaurato con un maschio era
l’amicizia e non osava spingersi oltre, soprattutto dopo lo
sviluppo del suo corpo a causa della maledetta natura.
Se
qualcuno osava avvicinarsi per motivi poco innocenti lei lo stendeva
con un pugno sul naso o con un bel calcio tra le gambe, esultando alle
urla del malcapitato aggressore.
Sarebbe
successo anche a Johnson se si fosse avvicinato anche solo di un metro
a lei.
“Vi
disturbo?”
Katie
sussultò così forte che fu quasi per cadere dal
terrazzo.
Era
forse la sua voce che le aveva
rivolto la parola?
No,
non poteva essere possibile, lui non conosceva quel posto, era appena
arrivato, non poteva sapere, non poteva…
“State
bene, signorina Katherine?”
Sto
benissimo, coglione di uno Yankee, non si vede?
Lei si
appoggiò con più forza al freddo parapetto di
metallo per trattenere le mani che altrimenti avrebbero picchiato a
sangue il suo insopportabile insegnante di matematica.
“Sto
benissimo, la ringrazio. Non si preoccupi”.
Colse
distrattamente il suo aspetto: non portava un costume anche se la sua
faccia lo faceva assomigliare moltissimo ad un vampiro alla ricerca del
vergine sangue di una giovane pulzella.
Tuttavia
quella sera sembrava molto più umano di quanto non lo era in
classe, alle prese con una trentina di alunni di cui almeno una dozzina
eterni scansafatiche e bulletti del quartiere.
“Allora
okay. L’importante è che voi vi sentiate
bene”.
“Ha
detto bene, professore” rispose lei con una certa riluttanza:
se si fosse mostrata scontrosa la situazione sarebbe peggiorata e non
era certo quello che voleva.
Desiderava
andarsene da quel posto il più presto possibile ed un
cattivo comportamento non l’avrebbe di certo permesso.
Con
disinvoltura ignorò Johnson e si appoggiò coi
gomiti sulla balaustra per contemplare il paesaggio, anche se non
c’era granché di spettacolare da ammirare.
Passò
una manciata di minuti nel silenzio illuminato da scoppi, urla e risate
e quando Katie decise di svignarsela inventando qualche candida scusa
per ritornare in palestra, anche lui si sistemò al suo
fianco senza una parola, osservando beato il cielo.
Ora
sarebbe stato davvero difficile sfuggirgli.
“Bellissima
serata, non trovate?”
“Già”.
“Il
cielo stellato mi procura sempre una grande serenità. Come
se tutto il bene del mondo sia racchiuso in quelle piccole e luminose
macchie di luce sospese in aria che ci basta guardare per ricevere la
fine delle nostre sofferenze. Molti dicono che le stelle in
realtà siano le anime dei morti che ci proteggono da
lassù, consapevoli del nostro dolore e della nostra
felicità. Anche voi la pensate allo stesso modo?”
“Sì,
più o meno”.
“Anche
voi credete che le stelle possano aiutare la gente?”
“Sì.
Insomma… Non molto, ecco. Mia madre crede a queste cose:
Stelle dei Desideri, portafortuna, profezie, roba del
genere… Non so proprio come faccia, i suoi ragionamenti sono
senza senso, non riesce a capire che ormai ho superato la fase
più brutta dell’adolescenza e cioè lo
sviluppo. Ancora non osa crederci”.
Perché
stesse informando Johnson sulle stravaganze di sua madre Katie non lo
sapeva, il suo cervello nemmeno.
La sua
lingua andava praticamente da sola.
“Vi
capisco. L’amore che una madre prova per un figlio
è qualcosa che va oltre l’essere. Anche oltre
quelle stelle lassù, le più lontane del nostro
emisfero, oltre l’incognito.
Non
prendertevela come una scocciatura, lei vi vuole bene, soltanto che lo
dimostra non nel modo in cui preferireste voi ma spontaneamente, come
si sente di farlo. Capite?”
“Sì,
la capisco. Lei però non ha conosciuto mia madre. Non
può comprendere quanto sia stancante vivere insieme ad una
donna come lei”.
“Beh,
almeno voi avete una madre,
Katherine”.
Katie
ebbe un sussulto.
Sembrava
impossibile ma anche il suo peggior nemico le stava rivelando
candidamente dei particolari sulla sua vita privata.
Desiderò
che fossero almeno tutti autentici.
“Oh…Già.
Sempre una che nessuna”.
“Esatto.
Non potete capire quanto mi è mancata la sua figura col
passare dell’età. Prima della sua scomparsa
eravamo una famiglia felice, molto felice.
Poi
una malattia incurabile ha rovinato tutto: mio padre, essendo medico,
fece di tutto per curare mia madre ma la sua morte gli tolse la voglia
di sorridere, e da allora non fu più lo stesso.
Divenne
severo con me ed i miei fratelli, più di quanto
già non fosse, e volle che tutti noi, indistintamente,
intraprendessimo la professione di medico, per aiutare le persone che
soffrivano e permettergli di sopravvivere, ciò che non era
successo alla mamma.
I miei
fratelli più grandi si arresero alle richieste di mio padre,
ma io no: non volevo che il mio futuro fosse manipolato da un altro,
anche se l’altro era mio padre.
Fu con
questo proposito che un giorno decisi di rivelarmi a lui.
Avevo
quattordici anni ma con ciò che avevo passato in quella casa
infestata di spiriti violenti ne dimostravo il doppio.
Ed ero
anche abbastanza coraggioso da beccarmi un bel ceffone in faccia: fu
ciò che successe dopo aver chiaramente detto a mio padre che
non ero portato per un mestiere così pieno di
responsabilità come quello di curare ed aiutare gli altri e
che i miei progetti futuri erano molto diversi da quelli che aveva
architettato lui in otto anni di tristezza.
Penso
che lui non abbia nemmeno ascoltato le mie parole e quando io tentai di
ribattere mi fece capire che a lui non piacevano i disertori.
Già,
proprio disertori. Aveva fatto di noi il suo piccolo esercito privato e
lui ne era il comandante.
Dopo
quella esperienza poco piacevole evitai di esprimere le mie opinioni
davanti a lui e resistetti per altri tre anni, fino alla Cerimonia di
Consegna dei Diplomi.
Quel
giorno pieno di luce e gloria per molti studenti che si accennavano ad
iscriversi al college per me rappresentava la sconfitta di una guerra
fredda fatta di sguardi atroci e cazzotti nello stomaco.
Ero
orgoglioso però di esserne uscito vivo interpretando il
ruolo della spia, ed avrei vinto da spia.
Avevo
intenzione di fuggire con un gruppo di amici per l’Europa,
dove mio padre non mi avrebbe mai scovato, ma qualcuno cantò
e fui costretto a tornare a casa.
Fu
terribile, signorina Katherine, davvero terribile.
Mio
padre era talmente furioso con me che non volle ascoltare le mie
ragioni e mi barricò dentro casa… La spia era
stata scoperta ed ora il comandante godeva della sua disfatta insieme
al resto della truppa”.
“E
riuscì a fuggire?”
“Oh,
certamente. Dopo un po’ ma ci riuscii, però
dovetti darmi alla macchia.
Non
furono giorni felici ma seppi adattarmi, scoprendo i vantaggi della
clandestinità: potevo andare dove volevo o quasi, conoscere
posti e genti nuovi che in tutti i miei anni di segregazione avevo
osservato da vecchie fotografie ingiallite e mangiate dalle tarme,
fingermi chiunque e nessuno, trovare ospitalità presso una
famiglia di indigeni, cenare con dei barboni ed improvvisarmi artista
di strada per divertire i bambini.
Ne ho
passate davvero tante in poco tempo. Ma una in particolare ne valse per
tutte”.
Nella
penombra del terrazzo Katie notò Johnson ammutolito dai suoi
stessi ricordi lucidi come appena vissuti: poteva leggerli dai suoi
occhi contemplanti il nulla di fronte a sé, ma non avrebbe
mai provato le sue stesse emozioni.
“Ero
nei pressi di Dallas quando la vidi: mi passò accanto e poi
sparì come se avessi vissuto un sogno. Lei era un sogno.
Ne
rimasi completamente folgorato, la cercai in lungo e in largo, tra
verdi cactus e nuvole di fumo rossastro dove avevo come unica compagnia
serpenti a sonagli e lucertole, finché la trovai.
Era
ancora più bella di come me la ricordavo.
All’inizio
mi evitava, le facevo praticamente schifo e non desiderava altro che
togliermi dalla faccia della Terra con la sola colpa di essere nato ad
una latitudine più elevata della sua: non era razzista ma
pensava che noi uomini del Nord, comunemente detti yankee dai
piantatori dei Sud, fossimo dei buoni a nulla”.
Non
che abbia tutti i torti.
“Continuammo
così per molto tempo: combattevamo a parole
perché non avrei mai avuto il coraggio di mettere le mani
addosso ad una donna ma lei si dimostrò più forte
di quanto pensassi.
Il
giorno che cedette però fu memorabile.
Successe
tutto così in fretta, era sfinita mentalmente e
proclamò la sua resa.
Io ero
al settimo cielo: firmammo l’armistizio e godemmo della
nostra pace nel modo più consono”.
Katie
arricciò il naso disgustata e per fortuna lui non la vide,
ricordando quella deliziosa tregua.
“Ci
fidanzammo dopo che fui presentato al padre di lei e mi ritenne adatto
per sua figlia. Mi fece notare soltanto che avevo gli occhi troppo
ravvicinati e le dita dei piedi troppo lunghe”.
“Davvero?
È impossibile!”
“Nulla
è impossibile se hai a che fare con mio suocero.
È il tipo più bizzarro che conosca. Pensa che una
volta voleva dar la caccia agli alligatori nel Mississippi provvisto
solo di una canna da pesca e lombrichi. Naturalmente sua moglie non
glielo permise, che santa donna! La figlia aveva ereditato da lei tutta
la sua forza e la sua riluttanza verso le regole.
Mi
raccontò della sua natura selvaggia, ribelle, spensierata,
dei vari ammonimenti che ha dovuto sopportare seppur con leggerezza da
parte dei suoi insegnanti e dalle caste signore di paese che vedevano
nei suoi capelli sciolti e nei virili jeans rattoppati un pericolo per
la loro natura polverosa e flemmatica.
Fu una
novità per loro il suo matrimonio con un giovanotto
così ben educato e pulito che ero io, commentando i nostri
sguardi incatenati dalla passione con un bel
“All’assurdo non c’è mai
limite!”.
Al
contrario la sua famiglia era entusiasta di me e della nostra unione,
forse anche troppo. Non ero abituato a simili dimostrazioni di affetto
e per tutti i preparativi del matrimonio fuggivo spesso da loro,
sentendomi soffocare.
Non mi
piaceva stare al centro dell’attenzione e due mesi di calda
armonia non potevano supplire a troppi anni di freddo.
L’unica
di cui desideravo la compagnia era lei, la mia piccola volpe dagli
occhi ardenti, ed anche dopo la cerimonia ed il viaggio di nozze non
potei staccarmi da lei nemmeno un momento.
Ero
diventato del tutto dipendente da lei e viceversa.
Diventammo
complici del nostro amore, custodi di segreti proibiti.
Era
l’amante ideale, instancabile, sensuale…
Possessiva, arrogante…
E
soprattutto creativa”.
Katie
arricciò ancora il naso, immaginandosi senza il permesso
della sua testa scene da ninfomane.
Fortunatamente
il suo indissoluto professore non scese in particolari poco
interessanti.
“Tutta
la sua esperienza però le costò cara
perché nel giro di qualche mese scoprì di essere
incinta e ciò significava addio notti impavide troppo brevi
di sudore e benvenute notti insonni senza fine.
Durante
la gravidanza fu intrattabile e non osavo immaginare cosa sarebbe
diventata alla nascita di nostro figlio.
Fu per
questo che il suo mutamento mi stupì moltissimo: dopo un
travaglio lungo e più snervante per me che per lei invece di
buttare via la minuscola creatura rossastra ed umida come una pila
scarica lo prese tra le braccia senza protestare e non volle nessuno
vicino tranne me.
I suoi
occhi, che un tempo avevo visto accesi di avventura e desiderio, ora
erano pieni del bimbo che stringeva tra le braccia.
Suo
figlio, una netta parte di sé, il frutto di un amore vissuto
fino in fondo, ora era lì con lei.
La sua
felicità si percepiva anche al di fuori della stanza dove
riposava insieme al piccolino e mi sembrava di essere di troppo nel
loro nucleo di serenità ma lei mi voleva vicino a tutti i
costi.
Senza
di me era totalmente persa.
È
strano che una persona così indipendente come mia moglie non
voglia e non possa staccarsi da un’altra persona, in questo
caso suo marito.
Era
una strana contrapposizione cui dovetti farci l’abitudine
poiché molto spesso traducevo il suo bisogno
d’affetto per mancanza di interesse nei miei confronti.
Chiamammo
il bambino John come il padre di lei e perché ci sembrava
divertente l’assonanza fra il cognome ed il nome, inoltre
quando discutevamo scherzosamente su quale nome dare a nostro figlio
saltava sempre fuori John e non sapevamo spiegarci il perché
di questa stranezza! Forse perché ci ubriacavamo troppo
spesso la sera ed il tronco dell’albero più
vecchio del suo giardino ci ricordava John Lennon… Boh.
Fatto
sta che quel nome, ormai divenuto una fissazione bella e buona, ci
piacque moltissimo ed il nostro piccolo divenne John Johnson e lo
battezzammo così.
Con
l’avvento della sua nascita la monotonia che da anni aveva
accompagnato i genitori di mia moglie nei loro lavori campestri si
smosse subito ed un’ondata di euforia li sconvolse, erano
addirittura più eccitati che al nostro matrimonio!
Inoltre
qualche tempo prima della sua nascita mi ero iscritto al college di
Austin per completare gli studi e successivamente essere ammesso
all’università e mio suocero andava in giro a dire
orgogliosamente che sua figlia aveva sposato un giovane di buona
famiglia e per di più molto intelligente che sapeva bene
come renderla felice”.
“Questo
è vero”.
“So
benissimo a quale momento vi riferite, signorina. Non sono
così stupido da non capirlo”.
“Gliel’ho
fatto notare apposta, signore!”
“Siete
incorreggibile, Katherine. Però mi piacete così
come siete”.
Wow,
non l’avevo capito. Che genio!
“Grazie”.
“Di
niente. Ben presto però io non potei più renderla
felice come una volta”.
“E
perché?” Katie provò uno strano freddo
alle mani coperte da voluminosi guanti e le sue gambe si irrigidirono.
Il suo professore per tutto il suo racconto aveva guardato perso nel
buio di luce della strada qualcosa che lei non poteva vedere.
Aveva
visto felicità, compassione, amore, tristezza, rabbia,
umiliazione in quel viso ed ora sapeva distinguere
un’espressione dall’altra.
Ma
l’ultima era impossibile da descrivere.
Come
se i ricordi avessero cancellato le emozioni del presente il suo
sguardo era indecifrabile, muto.
Katie
voleva conoscere il suo segreto ma aveva anche molta paura di ferirlo:
cavolo, era pur sempre un essere umano, seppur insopportabile!
“Cos’ha,
professore? Si sente bene?”
“È
tutto a posto, signorina, non vi preoccupate. Sono un uomo debole e mi
faccio prendere spesso dai rimpianti e dai dolori passati, ma non
voglio che voi veniate coinvolta nella mia vita. Ne avete
già avuto abbastanza”.
“Ma
cosa sta dicendo? Io non me ne andrò di qui
finché lei non mi avrà detto cos’ha!
Deve essere una faccenda molto triste ed io voglio aiutarla”.
Cazzo,
ma che sto dicendo io! Ora penserà inevitabilmente che io
sono innamorata di lui, questo mi pare ovvio! Ma perché la
mia lingua non sta mai al posto suo, nella bocca? Che deficiente che
sono stata… Più me lo ripeto e più lo
sono!
“Se
proprio volete ascoltarmi ancora io non vi biasimo. Ma vi avverto,
Katherine, io sarò sincero con voi e voi dovrete essere
sincera con me. D’accordo?”
“D’accordo”.
Johnson
tirò un sospiro nervoso al cielo cercando un aiuto da esso.
Lontano
brillava la
Luna nel suo solitario splendore e le stelle
dormivano accanto a lei sognando oppure vegliando dall’alto
il mondo addormentato.
Doveva
essere quasi mezzanotte perché lentamente la musica nella
palestra si stava abbassando e gli studenti ne uscivano a gruppi
sorreggendosi l’un l’altro sfiniti per chiudere in
bellezza la serata salutando le streghe e gli spiriti.
In
quel casino Katie non riuscì a scorgere Sandy: doveva
essersi appartata lontano dal putiferio come aveva cercato di fare lei,
soltanto che l’amica aveva avuto meno fortuna
poiché non c’era nascondiglio migliore di quello
conosciuto da Katie.
Nessuno
sano di mente si sarebbe avventurato sul tetto della scuola di notte,
era molto più grande di quello che sembrava e ci si poteva
far male facilmente inciampando su qualche tubo di metallo od uno
scalino ben nascosto.
Per le
sua ricercata agilità e per la conoscenza del luogo Katie
non cadeva ormai più e difficilmente riuscivano a
raggiungerla nel labirinto di cianfrusaglie del terrazzo.
Proprio
per quel motivo si stava chiedendo da molto come diamine il suo
professore impiccione si fosse intrufolato sul tetto in un batter
d’occhio proprio come era abituata a far lei ma una soluzione
non arrivava.
Un
altro mistero da aggiungere alla lista…
“Non
avrei mai dovuto permettere che succedesse”.
“Eh?”
Inondata
la mente di pensieri, Katie aveva dimenticato il segreto del suo
insegnante e ciò che gli aveva fatto notare a riguardo lei,
per cui le ci volle un po’ prima di stabilire un contatto con
mondo esterno e si preparò ad ascoltare un altro pezzo di
vita dell’uomo che le aveva rovinato la vita.
“Lei
era così… Piena di vita che a distanza di mesi
ancora non riesco a crederci. È successo tutto
così in fretta e non ho potuto far nulla contro il tempo,
l’odioso tempo che deposita i suoi freddi granelli su di noi
fino a sotterrarci del tutto come se fossimo clessidre.
Rimpiansi
il rifiuto di una brillante carriera medica ed ecco cosa mi successe:
forse il destino voleva punirmi proprio per la mia voglia di sovvertire
gli ordini di mio padre che di certo mi avrebbero aiutato in seguito,
perché qualsiasi consiglio dato dai genitori è
degno di essere seguito alla lettera.
Accadde
un giorno d’estate così afoso che il calore ti
bruciava le ossa e si mangiava il midollo senza pietà.
Johnny
aveva pochi mesi ma era un bimbo sveglio e se ne stava sempre
appiccicato a sua madre, il centro del suo universo, dimenticandosi
addirittura di avere un padre.
Essendo
impegnato al college stavo sempre fuori casa e loro rimanevano sempre
da soli a casa e mia moglie aiutava i suoi prendendosi cura del bimbo.
Un
giorno era uscita di fretta per chissà quale impegno ed
aveva lasciato John a casa dalla nonna. Io non c’ero
perché era mercoledì, stavo a scuola e quando
giunsi sul luogo della sventura mi raccontarono i testimoni
ciò che era successo.
Ciò
che videro fu il corpo di una giovane accasciarsi senza forze sui bordi
del marciapiede per poi non muoversi più.
Inutilmente
cercarono di rianimarla. La malattia aveva scavato fin nel profondo
risucchiandole in poco tempo la vita.
Capii
il perché dei suoi continui svenimenti, il dolore
insopportabile al braccio od alla gamba ed il suo sorriso forzato ma
sempre bellissimo.
Il
sorriso che mi aveva illuminato le giornate non c’era
più. Si era spento nel buio di un orribile segreto e la sua
eco rimaneva sul viso di nostro figlio, perfetto miscuglio
d’amore tra me e lei.
Ha i
suoi stessi occhi, signorina, i suoi stessi identici occhi.
Non mi
stancherò mai di guardarlo. In lui ci vedo
lei”.
Non
essendo tuttavia riuscita a capire di quale male fosse morta la moglie
di Johnson, Katie sentì le guancie bollenti solcate da
un’umidità particolare, che stava scendendo fino
al collo e lei preferiva non asciugarsi il viso.
Pensava
che non era educato. Voleva partecipare al dolore di un’altra
persona nel miglior modo possibile.
Lui
stava piangendo già da molto e non si vergognava di mostrare
le sue lacrime ad una ragazza, vuol dire che si fidava molto di lei.
Katie
rabbrividì sotto il pelo sintetico del suo costume e
pensò all’ultimo film horror che aveva visto senza
usare sua madre come cuscino per coprirsi il viso: bene non ce
n’erano.
Okay,
pensa a un cucciolo di foca squartato brutalmente da dei bracconieri
senza scrupoli.
Sì,
il biancore intatto della banchisa schizzato di un atroce rosso sangue,
due loschi individui alle prese con un tenero cadavere peloso in mezzo
alla orrida pozza, avidi di denaro e morbide pellicce…
“Dopo
la morte di mia moglie nulla mi andò più nel
verso giusto: a scuola i miei voti oscillavano tra
l’eccellenza e la mediocrità, Johnny piangeva
senza la mamma ad ogni ora della giornata ed io non sapevo come
calmarlo perché non me ne intendo di ragazzini, sua nonna e
suo nonno non potevano aiutarmi perché altrimenti avrebbero
lasciato la fattoria in totale abbandono e come se non bastasse un
giorno mi arrivò una lettera da una scuola in California
della quale non conoscevo nemmeno l’esistenza”.
“La-la
nostra scuola?”
“Esatto”.
“Ma
allora lei… Cioè, in pratica non voleva neanche
insegnare nella nostra scuola? Qualcun altro ha spedito una lettera al
posto suo?”
“Penso
proprio di sì, anche se non ho la più pallida
idea di chi sia.
Probabilmente
uno dei miei tanti nemici segreti che non mi vedevano di buon occhio al
liceo. O magari anche mio padre”.
“Suo
padre? Ma cosa cazzo voleva da lei
quel brutto bastardo? Che viscido!”
“Non
pensavo che una ragazza così graziosa e gentile come voi
fosse capace di simili esclamazioni” rispose Johnson
sconvolto dopo essere rimasto dieci secondi buoni con la bocca
spalancata in una perfetta O. Sembrava sinceramente dispiaciuto.
“Oh
mi scusi. È che alcune volte non riesco a
controllarmi” si difese lei, rossa in viso come una fragola
matura.
“Non
preoccupatevi, mi piacciono le persone schiette, inoltre la vostra
reazione è perfettamente prevedibile. Quel vecchio volpone
di mio padre sarebbe stato capace di farlo ma tuttora non ho prove
necessarie ad incastrarlo.
Dovetti
passare per laureato e partire per Los Angeles qualche giorno dopo
portandomi dietro mio figlio.
Fu
dura per un bimbo come lui abbandonare il luogo in cui era nato e
cresciuto: molti pensano che i bambini non provino emozioni solo
perché non sono ancora consapevoli di cosa sia vivere.
Per me
non è così, anzi loro sono addirittura
più intelligenti di noi. E sanno amare
profondamente”.
“Anch’io
la penso come lei, signor Johnson”.
“Mi
fa piacere”.
“Perciò…
Lei frequenta ancora il college? Non è laureato?”
“Macché,
magari! Ho iniziato il college tardi, sono solo al secondo anno e dopo
il trasferimento non ho avuto più modo di studiare, neanche
a distanza. Penso che tra un po’ mi sbatteranno fuori. Mi
sono preso troppi anni sabbatici dopo le superiori”.
“E
quindi voi…Avete…?”
“Ventitré
anni. Ventiquattro a gennaio”.
“Oh…”
“Sconvolta?”
“Un
poco”.
“Ti
capisco. Non l’ho mai detto a nessuno”.
“Altrimenti
l’avrebbero buttata fuori da qui?”
“Forse.
O magari avevo solo paura di quello che mi avrebbero detto. Non lo do a
vedere ma sono molto timido”.
“In
effetti non mi sembra così timido!”.
“Oh
solo quando ho a che fare con gente che non conosco mi
emoziono!”.
“E
con le donne?”.
“Con
le donne no”.
“Lei
mente signor Johnson. Una personalità influente come la sua
non ha paura dell’altro sesso, altrimenti non mi avrebbe mai
parlato davanti a tutta la classe, non conoscendomi per giunta. Lei usa
la timidezza quando le pare… Non è
così?”.
“Assolutamente
no, la mia è una forma di timidezza particolare! E poi voi
non potete sapere cosa…”.
“Non
lo posso sapere perché secondo lei
sono una ragazzina?”.
“Non
ho detto questo!”.
“Invece
sì, signore”.
Si
guardarono per alcuni secondi, sicuri delle proprie opinioni.
Avevano
da sempre avuto un po’ di timore quando incrociavano per
sbaglio lo sguardo ma quella sera non ve ne era la minima traccia: come
se da sempre fossero stati buoni amici.
Che
strana parola per due persone così diverse come
noi…Amici, chi l’avrebbe mai detto? Eppure lui mi
ha raccontato la sua vita, quante alunne di questa scuola la conoscono
veramente a fondo così come l’ho conosciuta io?
Forse qualcuna… O nessuna. Solo io.
Io, la
ragazza che gli ha stregato il cuore.
Ma
ancora mi chiedo perché proprio io! Ha davvero dei gusti
strani in fatto di donne. E poi dice di non esser timido con
noi…
Bah,
gli uomini, perché li hanno inventati?
“Se
non vi dispiace io tornerei di sotto, signorina Katherine”.
“Faccia
come vuole. Io rimango ancora un po’ qui”.
“Siete
sicura? Questo non è un bel posto per una ragazza come voi.
Davvero
non…?”
“Ho
detto che rimarrò ancora un po’ qui, dopodiché scenderò.
Va bene?”
Katie
si sarebbe aspettata una bella ramanzina dall’uomo, che
però non arrivò mai. Egli si limitò
solo a sorriderle e ad annuire.
Si
stava voltando per andarsene quando ricordandosi qualcosa di
particolarmente importante si girò verso Katie, appoggiata
di schiena alla ringhiera, la testa tra le ginocchia ripiegate.
“Ah,
comunque, bella maschera!”
Si
destò subito dai suoi sogni ad occhi aperti, osservando
l’uomo, o sarebbe stato meglio dire, il ragazzo di fronte a
lei.
Non
aspettava altro che una risposta.
“Grazie”.
Lui le
sorrise ancora e lei lo ricambiò. E poi lui se ne
andò lasciandola sola ancora una volta.
Katie
restò a guardarsi per un po’ le zampone deformi
aspettando che finisse il casino dei suoi colleghi di sotto che
festeggiavano gasati la dolce notte d’Halloween.
Dopodiché
si alzò con molta calma e ridiscese la tremenda scaletta
antincendio in punta di piedi, e senza salutare Sandy né le
povere suore prese la via per ritornare a casa, gli alti lampioni che
illuminavano ogni suo passo e le facevano toccare la sponda
dell’altro marciapiede con l’ombra delle sue mani.
Per la
prima volta dopo tanto tempo desiderava abbracciare sua madre con tutto
il cuore.
E buonasera
popolo di Efp!!Vi sono mancata vero??^__^
ò_ò?
*Claudia si
guarda attentamente intorno*
*non
c’è anima viva, se non qualche procione affamato
che chiacchiera con uno scarabeo che fuma*
*tira un
lungo sospiro rassegnato*
Avrei dovuto
aggiornare prima, a quest’ora ci sarebbe stata la fila per
leggere la mia storia..ç____ç Orde di giovani
donzelle (e giovani donzelli…ù__ù)
pronti a ricevere ancora una volta una meravigliosa scarica di emozioni
dalle mie parole…Ed invece non c’è
nessuno..-.-“
Va bene,
ammetto di essere stata scorretta nei vostri confronti, non avrei
dovuto aggiornare così tardi…Però voi
dovete comprendere che io non ho sempre tempo per scrivere e scrivere
come facevo prima di iniziare la scuola mi capite??=( Perciò
io vi chiedo scusa in tutte le lingue del mondo a patto che voi
possiate capirmi: alcune di voi sono delle bravissime scrittici ma non
aggiornano molto spesso eppure le loro storie sono molto seguite, ma
moltissimo!! Io che non sarò mai alla loro altezza non
chiedo di ricevere lo stesso trattamento ma… Per favore,
almeno ricordatevi di me..ç____ç se avete un
cuore recensite, anche se non ve ne frega niente…
Scusate
ancora, non posso promettermi che aggiornerò presto ma di
una cosa sono certa: io non vi abbandonerò mai, bellissime
fan, e mai abbandonerò la mia storia!!^^
Ve lo giuro
su Michael e sulla sua riccioluta testolina che mi fa impazzire!!*_*
Bene, ora
sarò breve con le spiegazioni del capitolo, solo qualche
precisazione: all’inizio leggendo il discorso vi
sembrerà molto irrazionale, ma ho deciso di farlo
così per creare un po’ di suspense nel racconto
(come se non ce ne fosse..ù___ù NdTutti)
Grazie,
ragazzi, molte grazie..-.-“
Dicevo
questo è un motivo e poi anche perché non avevo
molto tempo!!xD Avevo già riscritto tre volte, e dico TRE,
la prima parte e non mi andava di ricontrollarla ugualmente…
Scusate…^_^”
Per quanto
riguarda la seconda parte…Oooh finalmente qualche nodino
viene al pettine!!XD Anche se come avrete ben capito il prof
è un tipo molto misterioso e ce ne vorrà prima
che lui e Katie diventino dei veri amici, per ora hanno fatto un bel
passo avanti..;)
Ho avuto
anche qualche momento di crisi ma robetta da niente
tranquille..ù__ù
Bene, non ho
tempo per salutarvi tutte per una, stavolta facciamo un piccolo elenco
e ce le togliamo tutte okay??XD
Sappiate che
non seguo un ordine preciso spero che non ve la prendiate!!^^
·
Le carissime
e bellissime sorelline Annina e Moma ovvero Dolcekagome
e Monyprincesslovett;
·
La mia
adorata mogliettina Orsetta che ora si fa chiamare da tutti Miss Prongs *ù__ù*
ma per me rimarrà per sempre così come
l’ho conosciuta, ovvero Bad_Mickey…Ti
voglio bene tesoro sappilo!!^^
·
La
gentilissima Girl_Just Smile che
finora è stata l’unica a criticarmi e la ringrazio
tantissimo, anche se non sono riuscita a seguire il suo consiglio!xD
·
La piccola Laban, fedelissima come molte mie fan..^^
·
La mia
capellona preferita ovvero GioTanner (più
capellona di lei non c’è nessuno a parte
me..ù__ù) che oltre a essere una bravissima
capellona è anche la moglie di Paulie perciò che
dire tanti auguri Romina!!^^ Ah e tanti auguri Paulie!XD
Ed infine
anche se ancora non hanno recensito ma so che seguono mi seguono ci
sono Eutherpe, Eclipsenow
e La Diavolessa!!*__*
Le ultime due
sono giustificate ma tu mia cara Ambra, quando hai intenzione di
recensire??è___é Pestifera bambina, ora dovrai
per forza scrivermi una bella recensione come le altre volte altrimenti
addio Mega Tributo a Michael con me!!ù__ù
Ma dai
scherzo, non sono così cattiva e poi sai che ti voglio bene,
tantissimo bene!!^^
Però
mi hai fatto arrabbiare lo stesso..xD
Vabbè
e dopo questo tolgo il disturbo ragazzi!!^^ Stavolta sono stata molto
breve perciò non lamentatevi..ù_ù
Alla
prossima, ed anche se sarà molto dura aggiornerò
prima della fine della scuola!! Anche se di questo passo
dovrò mettermi sotto a studiare invece che
scrivere..ç___ç Vabbè non pensiamo a
queste cose!!xD
Buonanotte e
tanti sogni d’oro, spero che vi abbiano fatto piacere le mie
righe!!^_^
**Looney, The Material Queen**
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Capitolo 11 *** She's got a ticket to ride (But she don't care) ***
She got a ticket to ride
(But she
don’t care)
Faceva
molto freddo fuori quella mattina, un freddo insolito nelle latitudini
in cui sorgeva Los Angeles, eppure come tutti gli inverni che si
rispettassero un poco di gelo doveva pur sempre presentarsi in ogni
angolo del mondo.
Proprio
per questo motivo, ed anche perché essendo sabato poteva
dormire quanto voleva senza esser disturbata, Katie se ne stava
accoccolata nel sul bel
lettuccio imbottito di piumoni e lenzuola calde, con gli occhi chiusi
ed i capelli che formavano una aureola scura intorno al suo viso,
distesa in una meravigliosa estasi.
Chi
aveva il coraggio di alzarsi da quel meraviglioso giaciglio mentre
fuori impazzava la tormenta (si fa così per dire)?
Solo
due pazzi come sua madre e Fernando potevano.
Infatti
stavano girando per casa già da due ore, chi spolverando,
lavando e pulendo, chi sdraiata sul divano in soggiorno a vedere i
cartoni animati della mattina.
Katie
si rigirò al pensiero della madre: andava per i
quarant’anni ed ancora si guardava i Looney Tunes!
Lei
invece tra non molto avrebbe compiuto quattordici anni e Willie il
Coyote che tentava di acchiappare con qualunque mezzo a disposizione
Road Runner sfrecciante per la strada rappresentava solo un ricordo
della sua breve infanzia, nel complesso spensierata ma tormentata da
fantasmi sconosciuti che si erano presentati a lei solo molto tempo
dopo.
Si
rigirò bruscamente su sé stessa per scacciare il
ricordo di sua madre che la stringeva a sé, piangendo per
tutto quello che aveva passato e per l’odio che provava verso
suo padre.
Non
l’aveva mai conosciuto né aveva visto sue
fotografie ma non voleva immaginarselo: avrebbe visto soltanto dolore.
E
macabra soddisfazione.
All’improvviso
Katie si sentì chiamare dabbasso da una voce particolarmente
acuta e scocciata che lei riconobbe come quella di quel ficcanaso di
Fernando: non capiva ciò che le stava urlando ma comprese
che si trattava di qualcosa d’importante, di solito non si
sgolava per una stupidaggine qualsiasi.
Per un
po’ non osò muoversi dalla posizione in cui stava
dolcemente rannicchiata assaporando la gioia di poltrire sotto le
coperte fino all’ora di pranzo ma alla fine, spinta dal
desiderio di conoscere il messaggio di Fernando ed anche
perché la sua voce insopportabile le stava perforando i
timpani, si alzò con molta calma dal suo giaciglio, si
grattò la testa e borbottando scese le scale barcollando,
usando più l’olfatto che la vista,
poiché amando moltissimo la cucina del maggiordomo
(naturalmente quando non preparava le tortillas e la salsa guaca mole)
ed avendo sperimentato vari modi di cucinare la torta di mele arrivando
alla conclusione che quella di Fernando era la migliore, avrebbe potuto
riconoscere il suo profumo anche tra milioni.
Quando
però si affacciò alla porta della cucina
assaporando già con il naso la sua colazione si accorse che
lui non era lì, bensì in soggiorno e stava
chiacchierando probabilmente al telefono con qualcuno di cui lei
ignorava l’identità.
Si
avvicinò con cautela, fremendo di curiosità, e
stava per appostarsi dietro una colonna portante della stanza per
spiare la spia che questa si girò di scatto verso di lei e
la investì con un gran sorriso mischiato a sollievo, che
però non la convincevano per niente.
“Oh
eccola qui! Finalmente si è alzata la nostra piccola peste,
spero di non averla fatta aspettare molto, ma come ben sa i giovani
hanno il sonno pesante e Katie non è da meno! Okay, ora
gliela passo, non si preoccupi…”
Abbassò
la cornetta e fece segno a Katie di avvicinarsi.
Lei
eseguì l’ordine seppur un po’ scettica
nei riguardi dello sconosciuto che stava conversando con Fernando
poiché non conosceva qualcuno di così importante
a cui dava del “lei”.
O
meglio uno c’era ed il suo presentimento si faceva via via più grande.
“Dice
di essere un tuo amico, anche se dalla voce non si direbbe.
È da quasi un quarto d’ora che ti aspetta e non ha
dato segni di cedimento. Posso
fidarmi?” le disse Fernando porgendogli la cornetta.
“Ma
sì, Fernando, chi vuoi che sia? Sai
che non frequento brutta gente, almeno non ancora”rispose
Katie scocciata.
“Oh
allora possiamo sperare nella nascita di una nuova teppista!”.
“Peccato
che già lo sia. Allora,
vuoi toglierti di mezzo?”
“Ai
suoi ordini, sergente!” Fernando si raddrizzò e
partì a passo di marcia verso i piani superiori, dando di
tanto in tanto un’occhiatina a Katie nel soggiorno.
Lei
non gli badò e si rivolse invece al suo interlocutore che
preoccupato per il suo silenzio la stava aspettando all’altro
capo del filo.
“Scusatemi
ma stavo parlando con il mio maggiordomo, non la smette di rompere le
palle neanche di mattina”.
“Vi
capisco, ne conosco fin troppa di gente ficcanaso. Ma non mi è sembrato molto
antipatico, sinceramente”.
“Lo
sa essere molto bene, non si preoccupi. Comunque
perché mi avete chiamato proprio oggi?”.
“Perché
oggi è sabato e da ciò che mi risulta non andate
a scuola”.
“E
questo cosa
centra?”
“Centra eccome. Ecco, volevo
chiedervi… Se non avete nulla da fare naturalmente questa
mattina…”
“Non
si preoccupi, non ho impegni importanti stamattina”.
“Bene,
allora vi va di… Venire a casa mia tra mezz’ora?
Tanto non abito lontano da voi, ci metterete poco per
arrivare… Allora?”
“Beh
ecco… Non so, devo chiedere prima a mia madre, non voglio
che si faccia investire da un taxi perché sono sparita di
casa sotto il suo naso, e sinceramente non la vedo dell’umore
adatto per una domanda del genere…”
“Comprendo
il viscerale amore che provate per
vostra madre, assolutamente. Ma ho bisogno della vostra presenza, di
parlarvi e di vedervi. Soprattutto vedervi. Vi
giuro che non vi tratterrò molto e ritornerete a casa prima
dell’ora di pranzo, mi basta solo un vostro
sguardo”.
“E
da quando tutto questo romanticismo? Le ricordo che non sono la sua
fidanzata, bensì sua alunna
e voi siete l’insegnante
giovane ma intransigente che purtroppo non posso cacciar via dalla
scuola perché la sua furbizia non me lo permette. Però una cosa positiva ce
l’avete e cioè non sopportate le regole, proprio
come me; e visto che abbiamo questo particolare in comune accetto la
vostra proposta”.
“Non
mi piace il ragionamento che avete fatto ma sono contento lo
stesso”.
“Okay,
anche io allora lo sono. Bene, allora
tra mezz’ora… A casa vostra?”
“Esatto.
Sapete già dove abito,
vero?”
“Sì,
non mi ci vorrà molto se prendo un taxi. Ed ora scusate ma vado a prepararmi, a
dopo”.
“A
dopo, signorina Katherine”.
Johnson
riattaccò e Katie mise giù il ricevitore.
Non
era la prima volta che il suo professore di matematica la richiedeva
come confidente e psicologa e si stava abituando alle sue telefonate a
tutte le ore, talvolta disturbate dagli urli di un bambino piccolo che
reclamava i suoi bisogni fondamentali e non la smetteva fin quando non
raggiungeva il suo scopo.
Tuttavia
Katie non mostrava nervosismo né stanchezza, anzi si
divertiva a consigliare un tipo così diverso da lei come Joe
e la sua soddisfazione cresceva quando constatava che i suoi consigli
erano stati veramente utili a lui.
Non
perse neanche un secondo a lavarsi, vestirsi e far colazione ed in meno
di un quarto d’ora era già per strada, ben coperta
dalla testa ai piedi, sbracciandosi per fermare un gentilissimo taxi
che le avrebbe risparmiato tanta strada ed inutili fatiche, ma
fortunatamente ce n’era sempre uno
disposto ad accompagnarla a destinazione: il tassista infatti era un
suo vecchio amico e spesso gli ritornavano alla memoria come nuovi i
ricordi di lei e dei suoi pestiferi amichetti che scappavano con il
fiatone dentro la sua vettura da qualche vecchio signore colpito da una
delle loro malefatte o da un poliziotto dalla faccia paonazza dal
manganello volante.
Con
questa scusa perdeva addirittura venti minuti a girare in tondo ad alla fine Katie si congedava
molto gentilmente, dicendogli che doveva andare e lui dispiaciuto si
fermava e la accompagnava per un tratto fino all’imbocco
della via in cui abitava il professore.
Lei si
incamminava con un ronzio formidabile nelle orecchie ma ancora
abbastanza lucida da conversare con Joe.
Percorreva
le lunghe file di case con una certa meraviglia tutte le volte.
Non
sapeva neanche che ci fosse una zona così silenziosa e
sgombra di criminali come quella in cui vivevano Joe e suo figlio:
sembrava di essere in qualche pulita ed ordinata capitale del Centro
Europa, anche i gatti erano più grassi e puliti di quelli
che si incontravano continuamente nel viale in cui viveva Katie,
l’erba e gli alberelli delle aiuole crescevano più
alti ed erano continuamente potati da mani esperte.
Le
case non erano alte più di tre piani ed incastrate una vicino all’altra
come pezzi di un bizzarro puzzle e trasmettevano l’idea del
calore e della fratellanza più di quella
dell’asfissia.
L’abitazione
di Joe si trovava nelle prime file e non era facile individuarla
poiché era una delle più piccole; un utile
contrassegno però era la mitica cassetta per la posta rossa
con tanto di bandierina che come uno strano fungo gigante sbucava dal
terreno in prossimità della porticina di legno della casa.
Katie
diede un sospiro di sollievo quando la riconobbe, impaziente si mise a
correre fino ad arrivare sullo zerbino dove si pulì per bene
gli stivali ed infine bussò in attesa di una risposta:
dapprima sentì dei passi affrettati dirigersi verso la
porta, qualcuno che inciampava, si rialzava come se non si fosse fatto
niente e proseguiva con più scioltezza verso la sua meta ed
infine la serratura che scattava, lo scuro legno che lasciava spazio
all’azzurro degli occhi di Joe ed al suo sorriso cui solo il
sole poteva tener testa.
Katie
si sentì il bisogno di andare in bagno
anche se c’era stata quindici minuti prima:
forse l’azzurro le stimolava la diuresi.
“Benvenuta,
signorina Katherine. Spero di non
avervi fatto attendere molto”.
“Non
si preoccupi, signore,
è tutto a posto. Buongiorno!”
Ed
aveva anche urgente bisogno di un calmante, anzi di un anestetico.
“Buongiorno.
Vi sentite bene, vi vedo un po’ troppo euforica…”
“Oh
non si preoccupi, sto benissimo! Davvero!”
Una
buona dose di morfina.
“Sicura?”
“Sicurissima!
Allora, rimaniamo qui a morirci di freddo oppure entriamo?”
“Oh
accidenti, avete ragione! Scusatemi,
entrate pure”.
Joe si
tolse dall’uscio per farla passare e lei, titubante come
tutte le volte, entrò nella casa del suo insegnante: era
così piccola che il primo piano fungeva da atrio, soggiorno
e cucina, mentre al secondo piano dovevano esserci almeno due stanze ma
questo Katie non lo sapeva poiché non c’era mai
stata. I mobili e l’arredamento erano semplici
così come chi vi abitava, di un legno scuro e fuori moda,
gli unici elettrodomestici erano un frigorifero, una piccola
televisione che avrà avuto sì e no quindici anni
ed un telefono anch’esso molto vissuto, con i numeri stampati
sui tasti che quasi non si vedevano più ed il cavo consunto.
Gli
unici oggetti completamente integri erano l’attaccapanni
dinnanzi alla porta, il massiccio divano di pelle scarlatta appoggiato
al muro di destra ed una bellissima macchinina colorata appartenente
sicuramente al piccolo John posizionata sul tavolo davanti ai fornelli,
così come gli scarabocchi ed i pastelli sparsi per tutto il
pavimento, anch’essi colorati e preziosi.
Katie
ancora non riusciva a comprendere come un bimbo così piccolo
avesse tali capacità: quando aveva un anno lei non sapeva
neanche cosa fossero dei fogli e dei colori mentre il figlio di Joe
ormai era diventato un esperto del campo.
Ma il
padre ribadiva che la sua era tutta intelligenza.
Erano
invece meno colorate e preziose le pile di documenti e compiti in
classe che Joe si portava a casa e controllava mentre intanto si
occupava della casa e del bambino.
Katie
camminava lentamente in mezzo a tanta bellezza: i disegni di un bambino
all’apparenza non hanno alcun significato ma analizzandoli
per bene si coglie appieno ciò che gli adulti ignorano da
tempo e non saranno più in grado di comprendere.
Stonavano
alla perfezione con le due torri bianche ed intatte sulla cui cima
stavano un paio di occhiali da lettura rettangolari ed una stilografica
che rendevano le torri ancora più austere.
Si
guardò intorno, indecisa tra il mettersi seduta sul divano
oppure aspettare l’invito del padrone di casa, nel frattempo
strizzandosi le mani in grembo.
Il suo
respiro già affannoso si bloccò quando Joe si
voltò verso di lei guardandola innocentemente.
Sembrava
un bambino, proprio come suo figlio.
“Perché
non vi siete ancora accomodata? Che
ci fate ancora lì in piedi?”
“Oh…
Stavo… Stavo guardando le opere di John!”
Raccolse
uno dei fogli dal pavimento attraversato per tutto il suo perimetro da
una serie di strisce colorate accostate senza logica da una mano
malferma, eppure per Katie a modo suo possedeva carattere.
“Sono
contento che vi piacciano. Un artista prolifico come lui ha il diritto
di far conoscere le sue opere al mondo intero ed essere giudicato
secondo precisi criteri. Comunque ce ne sono di più belli,
se vuole vederli…”
“Oh
non si preoccupi, faccio da sola!”
Si
accucciò per terra e stava esaminando il secondo foglio
quando le sorse spontanea una domanda.
“A
proposito dov’è John?”
“È
di sopra, in camera. Sta ancora dormendo, e per di più sul
mio letto! Io non ero così
dormiglione da piccolo”.
“Avrà
preso sicuramente dalla madre”.
“Sua
madre si alzava tutti i giorni all’alba ed andava a dormire
alle due di notte. Se non doveva
andare a qualche festa, naturalmente”.
“Allora
è un bimbo che ha capito tutto della vita”.
“Penso
proprio che voi abbiate ragione, Katie! È
un vero furbacchione!”
“Per
quanto lo può essere un bambino di un anno e cinque
settimane”.
“Oh
ma lui è molto
più avanti dei suoi coetanei! Mi immagino
quando andrà a scuola… Diventerà
sicuramente un ribelle…”
Il
pensiero di un teppista come figlio non piaceva a Joe: pensava che
sarebbe diventato uno di quei genitori esauriti e certe volte anche
depressi che non riescono a contenere la mancata libertà dei
figli e finiscono per aiutarli a tal punto che essi si sentono oppressi
e scappano di casa delle volte senza far ritorno.
E
nonostante John fosse ancora piccolino per metter sotto sopra la
città, l’ansia per il futuro cresceva.
“Non
quanto me, almeno”.
Katie
sapeva benissimo a cosa andava incontro pronunciando quella frase: il
suo insegnante l’avrebbe certamente consolata e coccolata
fino alla nausea al fine di farle cambiare idea ma ormai sapeva che in
certi momenti la sua bocca ragionava da sola, senza l’aiuto
del cervello.
Non
poteva farci nulla.
“Non
dite più cose del genere, avete capito? Voi non siete una
ribelle, signorina Katherine! Siete
solo…”.
“Solo cosa? Non ci sono altri
aggettivi per descrivermi!”
“Ed
invece sì! Siete così testarda che non riuscite a
comprendere quando qualcuno vi sta aiutando o vuole aiutarvi, lo
prendete solo per una fastidiosa intrusione nella vostra vita! Voi non siete ribelle… Siete libera”.
“Non
mi pare che ci siano differenze…”
“Ce
ne sono, eccome.
Guardate mio figlio, Katherine, guardate ciò che lascia al
suo passaggio senza rendersene conto. So che i bambini hanno delle
libertà in più rispetto ai grandi ma ogni bambino
è diverso, e perciò ce ne sono di tranquilli, di
irrequieti, di obbedienti, di dispettosi, di lunatici, di abitudinari,
di teneri, di indifferenti.
E ci
sono anche i bambini liberi.
Si
prendono i loro spazi e non vogliono esser disturbati se non quando
sono loro a cercare te.
Sì,
sono poco ortodossi, ma è la loro natura che glielo impone,
così come voi da bambina eravate libera da ogni catena che
potesse opprimervi. E lo siete tuttora.
Non
sopportate che qualcuno vi comandi perché ritenete che vivendo liberi si viva meglio.
Tutto qui.
Io non
sono stato capace di liberarmi prima che mio padre mi avvincesse nella
sua morsa ma ho sempre sperato incontrare qualcuno che fosse diverso da
me, per trasmettermi un po’ quel suo amore per la
libertà impareggiabile.
Difatti
ho incontrato mia moglie, e nostro figlio ora è proprio come
lei. Libero.
Ed io
non posso essere più che felice per lui! Crescerà
libero e sarà un uomo libero, come io ho sempre sognato di
essere.
Sarà
tutto ciò che non sono stato io, sarà tutto
ciò che avrei soltanto potuto immaginare.
IMAGINE.
Sarò
Libero... in lui.
Non
siate così dura con voi. Non
serve a nulla, ve lo posso dire io”.
Se
Katie avesse controbattuto anche un monologo così disarmante
come quello che le aveva appena regalato Joe sicuramente il loro strano
litigio sarebbe continuato per molto tempo.
Ma lei
non voleva vederlo soffrire per una senza speranza come lei, aveva
già tanti di quei problemi a cui provvedere.
Si
alzò dal freddo pavimento tremando come una gelatina alla
frutta e gli mise una mano sulla triste spalla; lui non si ritrasse e
la guardò con la potenza di un microscopio, minima in
confronto a quella che esercitavano gli occhi di Katie nei suoi.
Come
è di natura negli esseri umani gli occhi scuri sono un
carattere dominante, gli occhi chiari
invece recessivo: non c’era verità
più palese per sottolineare l’indole dei due,
poiché uno sguardo cupo e tempestoso non potrà
mai essere sottomesso da uno sguardo chiaro e docile.
Però
c’era sempre quel grigio minaccioso a sporcare la
tranquillità dell’azzurro primaverile ma non molti
lo notavano: Katie nonostante conoscesse ciò che avevano
visto quegli occhi non riusciva a comprendere cosa nascondessero in
realtà.
Il
grigio rimaneva sempre indecifrabile, muto come la lapide di uno
sconosciuto, e proprio come se si trovasse in un cimitero il suo corpo
si illanguidiva per l’impotenza, una sensazione che non aveva
mai provato prima, e che ora stava scavando ancor più
profondamente in lei e si sostituiva alla sua naturale forza, ormai
completamente inutile.
E
più passava il tempo in compagnia del suo insegnante e del
suo bimbo più si sentiva inadatta a loro: aveva una vita fin
troppo felice.
Non
aveva mai provato sulla sua pelle ciò che aveva provato sua
madre e si riteneva fortunata per questo.
Aveva
un amico ed un confidente magnifico, un altro amico permaloso e pignolo
ma estremamente sincero ed una madre appiccicosa ma simpatica.
Aveva
da sempre desiderato un padre ma dopo aver scoperto quale razza di
figlio di puttana fosse non dava più importanza alla sua
figura: viveva così bene senza di lui e le sue morbose manie!
Invece
Joe… Cosa possedeva Joe? Un figlio che si esprimeva a
monosillabi che seppur carino ed intelligente non poteva essere usato
come strumento del padre per sfogarsi di tutte le sue pene interne.
Un’infanzia
per certi versi negata, una giovinezza sregolata e spezzata per sempre.
Nessun
amico.
Distolse
gli occhi da quelli dell’uomo: la loro profonda passione la
facevano rabbrividire più del gelo della casetta, e quelle
sue pupille solitarie come isole nell’oceano non la
rassicuravano.
Lui
però la prese delicatamente per il mento e la
riportò sulla sua isola deserta, sul suo oceano tempestoso
che rifletteva le nuvole di una tempesta perenne.
Come
la prima volta che vide quegli occhi vi annegò senza neanche
ribellarsi alle onde alte e soffocanti, provando piacere nel suo totale
abbandono, un piacere indescrivibile.
Katie
non conosceva molti piaceri terreni ed alcuni non riusciva ad
apprezzarli, ma quello dal quale si era lasciata trasportare era
assolutamente il migliore ed il più appagante di tutti.
Non
aveva mai incrociato occhi simili.
Perderli
sarebbe stata la sua fine.
Un
urlo la fece ritornare a riva, abbattuta e bagnata: proveniva dal piano
di sopra e la sua intensità accennava a non diminuire.
Joe,
premuroso com’era nei confronti del figlio, salì
di sopra per non lasciarlo solo nel lettone e Katie rimase in mezzo
alla stanzetta come una stupida: con tutti i momenti che
c’erano proprio quando stava per raggiungere
l’apoteosi John doveva svegliarsi e frignare
affinché il suo paparino gli facesse un po’ di
coccole prima di scendere in cucina e mangiare la pappa da bravo
bambino?
Katie
sbuffò: e dire che i bambini al di sotto dei due anni erano
i suoi preferiti proprio perché non davano fastidi!
John
però, da come aveva potuto constatare varie volte, era un
tipetto molto particolare.
Era
molto carino, con degli occhi scuri e dolci ed una nuvola di capelli
biondissimi attorno alla testolina sempre in movimento, le guancie
tonde e rosse come due mele che stonavano con il candore della sua
pelle e dei suoi capelli.
Nonostante
la bellezza quasi angelica che possedeva questo bambino il suo
comportamento simile a quello di un allegro hippie dei tempi andati le
dava noia, e non sarebbero bastati tutti i bei discorsi di suo padre a
convincerla sulla dolcezza e bontà di suo figlio,
perché la dolcezza e la bontà di John si
fermavano al suo aspetto fisico.
Quando
Joe discese le scale con John in braccio che si era miracolosamente
calmato e la osservava con curiosità, Katie si
avvicinò e cominciò a carezzargli i ciuffi
argentei, facendo attenzione a non impigliarci le unghie altrimenti gli
urli del piccolo sarebbero arrivati in Paradiso e le sue orecchie pure.
John
sembrava gradire il trattamento e fece per sbracciarsi verso Katie
quando il padre lo riprese sotto la sua ala protettrice ammonendolo
dolcemente: lui ci rimase molto male, quando l’amichetta del
papà gli faceva le coccole gli stava simpatica.
Anche
Katie era molto dispiaciuta.
Dopo
che ebbe avuto il permesso da Joe, poté sistemare John sul
divano scarlatto e giocare con lui, mentre il padre svolgeva le sue
abituali mansioni scolastiche.
Continuarono
così fin quando Joe si stancò di correggere
compiti e volle parlare un po’ con Katie, e lei non le
rifiutò questo piacere.
Quando
lui non aveva particolari problemi da risolvere, sia di geometria che
quotidiani, chiamava la ragazzina per farsi quattro chiacchiere e far
divertire sia lui che John, e senza che nessuno dei tre se ne
accorgesse passavano tranquillamente le ore; fortunatamente quel giorno
Katie si lasciò guidare dal suo stomaco e seppe che era
giunta l’ora di ritornare a casa.
Joe le
chiese anche se voleva rimanere a pranzo da lui ma lei disse che non
poteva assolutamente, poiché il governatore
della casa esigeva che lei mangiasse solo quello che
cucinava lui invece di “schifezze che solo gli americani
potevano inventarsi”, e perciò Katie si
imbottì di malavoglia, salutò il professore e suo
figlio e si incamminò verso casa.
E
mentre proseguiva con il ticchettio dei
stivali come unica compagnia il tenero calore del sole
d’inverno le illuminò il viso ed il suoi abiti
scuri e non la lasciarono per tutto il tragitto verso casa, come se
volessero ricordarle qualcosa che lei aveva stupidamente dimenticato.
Oppure
per dirle semplicemente che anche lui, il Sole, era lì a
sostenerla, nel freddo e solitario inverno.
E con questa
bella atmosfera romantica chiudo il mio undicesimo capitolo!!^_^
Sconvolti
eh?XD Beh, fortunatamente ho avuto pochissimo da fare di questi tempi e
mi sono potuta dedicare di più alla mia storia, e poi da
questo momento fino a non lo so xD i capitoli saranno più
corti, così non vi annoiate a leggervi venti o venticinque
pagine di capitolo!xD
Comunque
bentornati sulla mia storia!!*_*
Spero che il
fatidico capitolo dieci vi sia piaciuto, in prova contraria sarete
severamente puniti con la Pena Capitale
del Solletico..*___*
Prima dei
ringraziamenti devo darvi un po’ di spiegazioni (come al
solito!xD) : innanzitutto
per molto tempo approfondirò di più il rapporto
tra Katie e Joe che se per voi può essere totalmente inutile
per me e per la storia non lo è
affatto!!ù___ù Infatti se non si fossero mai
conosciuti non avrei mai potuto continuare la storia!xD Inoltre
sarà grazie a loro che Michael dirà finalmente a
Fiordaliso che razza di sorpresa ha in serbo per lei, perciò
tenete Efp sempre aperto e drizzate le antenne!!^^
Vi chiedo
inoltre di avere un po’ di pazienza perché Michael
ritornerà ed in perfetta forma!!
(Anche se lui, maledetto, ha una
fisico pazzesco!*__*)
Poi molti si
chiederanno: ma cosa cavolo significa il titolo del capitolo?? Bene, ho la risposta alla
vostra domanda!!ù__ù
Naturalmente
per chi non è fan dei grandi Beatles non conosce la canzone
“Ticket To
Ride” ,
sappiate però che parla di una ragazza che ha un biglietto
per andar via ma non le importa, semplicemente questo!! (Molto complesso il significato
eh?XD) Ed è ovvio che mi riferisca a Katie!!^^
Bene, ed ora
passiamo ai ringraziamenti!!
Visto che ci sono tante mie fan che ancora non hanno recensito e non mi
hanno fatto saper nulla le ringrazio tutte
insieme con l’augurio che si ricordino di me
nella valanga di storie che popolano la loro mente!!XD
Poi un
ringraziamento a parte lo meritano la mia collega, Mrs Cartney
alias GioTanner (che ha anche
commentato..<___<)
la quale mi ha aiutato a scegliere il titolo per il
capitolo… (A dir la verità c’ho pensato
da sola ma mi andava di ricordarla!!XD) Brava Romina, continuami ad
aiutare e ti regalerò una scatola di biscotti per
cani!!ù__ù *A Cuccia!!*
Ah e poi
è stata lei a suggerire quel pezzettino alla fine del
discorso del prof sulla differenza tra l’essere
ribelli e l’essere liberi, un chiarissimo
riferimento a Imagine
del grandissimo ( e soprattutto bellissimo!XD) John Lennon, che io amo
incommensurabilmente!(Fateci caso, tutti i buoni li ammazzano e quelli
che dovrebbero andare all’inferno con tutte le scarpe invece
rimangono qui a romperci le palle!! Ma si può??ù__ù)
Comunque
grazie di tutto, Picci!!^__^ Tra non molto spaccheremo
Efp noi due, e sai a cosa mi riferisco!!* faccina ammiccante* ^__^
Poi la mia
dolcissima maritina Bad_Mickey
alias MissProngs
per la sua recensione a telefono, poiché non ha mai tempo
per connettersi a Internet!!
Poverina, ti capisco, una donna impegnata come te ha tutta la
comprensione possibile da una donna pigra come
me!ù__ù Complimenti vivissimi, ti voglio bene
Orsola e ricorda che io sono sempre qui per te, e non solo io!! Ah, tutti noi aspettiamo il
tuo ritorno, sii forte..^_^
Oh e poi ho
finito!!XD
“E
noi chi siamo, i figli dell’oca bianca??”
“Oca
bianca? Oca bianca?? DOVE, DOVE???”
“È
un modo di dire,
George”
“Ah…
Bene” *George si incantuccia mogio mogio
in un angoletto con lo stomaco che brontola come una locomotiva*
“Non
preoccuparti, George, qui
ci sono persone molto peggiori di te!”
“Ah
e chi sarebbero queste persone?”
“Tu
ad esempio!!”
“I-io??”
“Sì,
tu!”
“E
perché proprio io?”
“Perché
il tuo naso è indecente!!”
“Oh
senti chi parla!!”
“Il
mio naso è bellissimo!”
“Certo,
ed io sono la
Regina!!”
“Non
immischiare la
Regina in affari di questo genere!!”
“Io
parlo della Regina quando e come mi pare!”
“Questa
l’hai voluta, nasone!!”
*John e Ringo
iniziano a scazzottarsi da tutte le parti, il punto più
colpito dai pugni di John è proprio il naso di Ringo!!*
“Oh
santo cielo calmatevi voi due!!”
*Claudia
allontana i due combattenti con una forza innata nelle braccia che non
sa nemmeno da dove è sbucata*
“Ragazzi,
state calmi per favore, devo salutare le mie fan!!
Dopo potrete parlare con calma ma, vi prego, comportatevi bene!! Paul,
ci pensi tu a guardarli?”
“Con
molto piacere!!”
“Bene,
posso andarmene tranquilla!!”
Oh Veronica,
è dura vivere con quattro tipi del genere, più
una pazza ninfomane che si diverte a stuzzicare il povero
Michael… Cioè, i miei gusti musicali fanno
veramente a cazzotti tra di loro!XD
“Vorrai
dire loro fanno a cazzotti!!”
“Beh,
il concetto è simile, Paul…”
“Già…”
*Paul strizza gli occhi e ragiona su ciò che ho appena detto*
Che tipi
ragazzi!! Però
li amo tutti, indistintamente!!^_^
Beh,
è arrivato il momento di salutarci, Bamboli e Cuccioli, vi
auguro vista l’occasione un buon fine di anno scolastico,
questi sono gli ultimi giorni, cercate di tener duro come sto facendo io!!^__^
A presto ed
ancora tanti saluti dalla vostra….
*
.*.Looney!!*.*.
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Capitolo 12 *** Happy XMas (WAR IS OVER. If you want) ***
Happy XMas
(WAR IS OVER. If you want)
Il
caffè era particolarmente amaro di mattina, soprattutto dopo
una notte infestata da informi incubi generati da ansie che avrebbero
fatto ridere un pollo allo spiedo.
Eppure
non riuscivo a superarle, certe paure: perché diamine mia
figlia se ne andava in giro da sola senza dirmi neanche dove fosse
diretta o con chi stava andando,
per giunta quando fuori faceva così freddo che era
impossibile ritornare a casa senza i piedi gelati?
Non mi
convinceva neanche il suo buonumore di ritorno da scuola
poiché per lei non era mai stato un luogo felice sotto molti
punti di vista, e come mamma c’ero passata in pieno e stavo
ancora affrontando la battaglia a testa alta ma con una gran noia nelle
ossa.
No,
non mi convinceva per niente il suo comportamento.
Alzai
il coperchio della zuccheriera e versai un altro cucchiaino di zucchero
nella tazzina, mescolai per bene e me lo portai con speranza alla
bocca. Sì, ora era bevibile finalmente!
Soddisfatta
trangugiai ciò che restava del mio caffè, mi
pulii la bocca ed andai a cercare Fernando per dirgli che stavo uscendo
ed andavo da Michael per una chiacchierata segreta.
Da
quando si era ripresentato davanti il cancello della mia casa la notte
di Halloween, era ritornato il Michael che avevo conosciuto da bambina
e, ciò che mi rese più felice, i suoi sentimenti
per me non erano mutati.
All’inizio
il ligio maggiordomo mi guardò con fare sospetto, poi la sua
espressione si rilassò e riprese a pulire un calice di
cristallo dal vecchio servizio di nozze di mio padre, sbuffò
sonoramente e mi disse che potevo andare tranquilla,
l’importante è che ritornassi per l’ora
di pranzo.
E come
sempre non accettava ritardi.
Gli
promisi che mi sarei comportata bene e che in meno di
un’oretta avrei sbrigato le mie faccende con Michael (anche
se non era assolutamente vero) e salii le scale saltellando per andarmi
a vestire.
Fui in
strada quindici minuti dopo e facendo ricorso al mio infallibile senso
dell’orientamento, riuscii a rintracciare l’immensa
villa di Michael tra quelle che spuntavano come funghi dalle colline di
Encino, rese irriconoscibili dall’inverno e bagnate talvolta
da un tiepido sole.
Nonostante
facesse freddo il clima era sopportabile, e l’avvento del
Natale rendeva tutto più allegro: Los Angeles si era
trasformata in un pacco regalo e alle migliaia di luci che
già la popolavano si erano aggiunte le lampadine colorate ed
i festoni appesi ad ogni porta invitavano ad entrare per gustarsi un
po’ di calore domestico.
Anche
noi avevamo addobbato per bene la nostra casetta sia dentro che fuori,
impiegandoci due giorni, ed alla fine assomigliava più ad un
budino di Natale che a una villa di Beverly Hills, ma in confronto ad
alcuni nostri vicini di casa la nostra era decisamente meno
appariscente.
La
villa di Michael invece più che volgare appariscenza
possedeva una maestosità invidiabile alla Casa Bianca: le
decorazioni erano state scelte con cura da una persona di buon gusto e
nonostante la loro abbondanza non mettevano a disagio chi le osservava,
anzi, li confortava.
Il
loro instancabile sfavillio era visibile da molto lontano e
perciò scorsi sotto di esso la reggia che mi interessava tra
le altre.
Affrettai
il passo speranzosa, con
i piedi che si stavano congelando nelle Converse nere e consunte e la
giacca a vento che non proteggeva granché le mie gambe: ma
perché non guardo mai quello che pesco
dall’armadio prima di indossarlo ed uscirci con conseguenze
poco piacevoli?
Scossi
la testa, rassegnata da me stessa.
Arrivata
all’entrata principale suonai al campanello della maestosa
villa di Encino e dopo aver constatato che non ero un paparazzo
né il sicario di qualche presunto
rivale di Michael Jackson l’ancor più
maestoso cancello si aprì per lasciarmi entrare.
Vista
dall’interno l’abitazione della famiglia Jackson
era ancor più grande di quanto sembrava: il giardino
sarà stato sì e no il triplo del primo e la villa
che si ergeva dinnanzi a me anche.
Pensai
che la grandezza del luogo serviva
per nascondere persone semplici e buone come Michael e la sua famiglia.
Naturalmente
esclusi certi elementi deplorevoli.
Man
mano che percorrevo l’enorme viale che attraversava il
giardino mi facevo più tesa: e di cosa poi? In fondo non
è la prima volta che visitavo casa Jackson ed i parenti di
Michael sanno bene che non ho alcuna relazione con lui, ci mancherebbe!
Forse
il mio nervosismo riguardava ciò di cui dovevamo parlare,
ovvero mia figlia.
Era la
prima volta dall’inizio dell’adolescenza che la
vedevo diversa e, buon segno o cattivo che sia, avevo bisogno di
qualche parere dal mio amico fidato, dopodiché avrei parlato
con Katie a quattr’occhi.
E
sarei riuscita a espiantare la verità dalla radice.
Okay,
Michael mi aveva vivamente consigliato di starle vicina in qualunque
momento ma se non mi complicavo la vita non ero contenta.
Quando
giunsi davanti il portone questo era già aperto.
Non mi
feci tanti scrupoli, pensando che fosse stato spalancato apposta per
me, ed entrai nella reggia.
L’interno
era molto più spettacolare dell’esterno, e persi
così tanto tempo ad osservare i festoni natalizi lungo i passamano delle scale ed i
bordi delle porte, i vari gingilli posizionati con gran cura su
scaffali di vetro, le fotografie sbiadite della famiglia incastonate in
cornici antiquate che conservavano ancora il loro fascino
d’altri tempi che non mi accorsi di un uomo ben vestito che
gentilmente si offrì di aiutarmi, vedendomi un po’
smarrita.
Io
sussultai e per poco non lasciai scivolare dal loro posto un
delicatissimo cavallino in cristallo che fortunatamente non
balzò via e cadde tra le mie mani.
Mortificata
come se avessi fatto la pipì al letto, rimisi a posto il
cavallino e la mia attenzione fu occupata solo dalla ricerca di
Michael, che il buon uomo mi aveva detto si trovasse in camera sua,
libero dagli impegni più importanti ed intento ad un lavoro
speciale che non aveva osato rivelare a nessuno.
Conoscendo
Michael sicuramente qualcosa di straordinario!
Dissi
al buon uomo di accompagnarmi davanti la stanza del mio amico non
ricordandomi la strada e con gentilezza lui mi ci guidò, e
congedandosi con una discrezione che solo i maggiordomi hanno mi
lasciò sola di fronte alla porta.
Non
bussai subito: stavo studiando come cominciare il discorso su mia
figlia con Michael quando pensai che non gli sarebbe importato nulla e
mi avrebbe aiutato volentieri in qualunque
mio turbamento.
Perciò
mi feci coraggio e bussai pianino
pianino.
Nessun
rumore.
Riprovai
e stavolta tesi l’orecchio per ascoltare: sapevo di non fare
bella figura ma la situazione era urgente.
Dai
leggeri rumori che provenivano dalla
stanza compresi che ci fosse qualcuno dentro, intento ad
una attività così travolgente da non udire
neanche il più impercettibile dei rumori.
Mi ero
sbagliata di grosso perché senza accorgermi di nulla la
porta si era aperta e si era andata a spiaccicare sulla punta del mio
naso, come se non fosse già orribile, e chi stava uscendo
dalla stanza mi guardava sorpreso e preoccupato allo stesso tempo.
Reggendomi
ancora il naso dolorante e barcollando qua e là per il
corridoio mi accorsi di Michael e mancò poco che andassi ad
inciampare non so neanche io dove,
per poi rizzarmi per bene in piedi come una brava bambina maldestra.
La sua
espressione era immutabile.
Io ero
nel panico più assoluto.
“Ehm…
Buongiorno Michael! Bella giornata,
non trovi?”
“Bellissima,
almeno c’è il sole. Ma…
Tu cosa ci fai qui?”
“Beh,
ecco… Volevo parlare con te di una cosa… Molto
importante, e perciò sono venuta qui,
a Encino, dove tu abiti, e mi hanno fatto entrare quando gli dissi che
io ero tua amica e non avevo alcuna intenzione di farti del male, poi
un brav’uomo si è offerto di condurmi davanti alla
tua stanza ed eccomi qui!”
“Ah
bene! Allora… È molto importante ciò
di cui vuoi parlarmi?”
Sospirai
sonoramente.
“Direi
di sì, caro Michael. Riguarda
mia figlia…”
Al
ricordo di Katie il volto liscio di Michael si increspò, la
bocca si assottigliò ed il suo sguardo cadde sul pavimento
appena tirato a lucido.
Mi
invitò ad entrare immediatamente nella sua stanza e dopo che
mi fui sistemata sul letto chiuse la porta a chiave e la
lasciò nella serratura.
Ebbi
tempo di osservare lo spazio attorno a me per vedere se ci fossero
delle prove del lavoro segreto di Michael ma non vidi nulla: i suoi
normali passatempi preferiti e null’altro.
Smisi
di guardarmi intorno quando lui sii accomodò di fianco a me
e mi guardò
dritta negli occhi: riusciva a leggerci dentro ciò che
volevo dirgli, l’angoscia che provavo in quei giorni, la
tremenda consapevolezza che qualcosa stava cambiando intorno a me?
Sicuramente
sì, ma i suoi occhi erano così scuri e
impenetrabili che si poteva facilmente sbandare nel percorso verso la
verità.
Rapita
dalle sue pupille non mi accorsi della sua mano che stringeva la mia,
incitandomi a parlare.
Rimasi
stupita da quel gesto che non ripeteva da tanto tempo e dopo aver
cacciato un sospiro cominciai la mia confessione.
“Da
un po’ di tempo Katie non è più la
stessa: tu l’hai conosciuta quando era ancora una bambina, ma
fin da subito ti hanno sorpreso la sua indipendenza, la sua
curiosità, la sua indicibile maliziosità ma non
gli hai dato molto peso poiché i bambini alla sua
età sono tutti così.
Quando
varcò i confini dell’infanzia per entrare
nell’adolescenza ero un po’ preoccupata per la
strada che avrebbe preso poiché il suo carattere era
più che intrattabile e si sa cosa combinano i figli
intrattabili ai genitori apprensivi.
Ho
sempre saputo perfettamente di essere una mamma troppo premurosa e
attenta per la mia piccola, e sapevo anche che troppo amore le avrebbe
fatto male… Ed ecco il risultato.
Fugge
l’amore, e non solo quello materno.
Ormai
a casa ci incrociamo solo nelle ore dei pasti e non ci scambiamo
nemmeno una parolina, la più cretina, insignificante parola
che esista.
Esce e
non mi dice neanche dove va, ritorna e fila in camera sua.
Però
quando la vedo spuntare dal portone il suo volto esprime
felicità: è felice,
capito, Michael?
È
felice di restare lontana dalla casa in cui è cresciuta,
lontana dalle persone che le vogliono bene, lontana da me, sua madre,
quella che ha sacrificato l’intera vita affinché
lei potesse vivere serenamente!
Ed ora
c’è qualcosa che la rende ancora più
felice, e non mi lascia condividere la sua felicità!
Vorrei
tanto capirla ma non posso. Sono un’illusa, Michael.
Una
stupida illusa.
E se
tu puoi, e soprattutto vuoi
aiutarmi, io te ne sarò grata, fino alla fine”.
Le
ultime parole morirono strozzate da un pianto nato più per
nervosismo che per tristezza, il nervosismo di non riuscire a capire
cosa frullasse in testa a quella pazza di mia figlia.
Mi ero
appoggiata alla spalla consolatrice di Michael e lui come al solito non
aveva fatto storie né mi aveva interrotto durante il mio
sfogo.
Ora
accarezzandomi i capelli ondulati e tenendomi ancora la mano pensava
sicuramente ad una risposta, un consiglio che mi avrebbe aiutato ad
affrontare la situazione.
E quel
consiglio arrivò.
“Io
penso che dovresti lasciarla camminare lungo la sua strada: ora non le
serve più il tuo aiuto per andare avanti e può
benissimo farcela da sola.
Una
sola cosa ti chiedo di fare, Fiorellino: quando lei vorrà
venire da te per piangere, per urlare o semplicemente per sfogarsi tu
non esitare a darle il tuo sostegno, a sopportarla, a consigliarla, a
consolarla, perché non c’è nessuno
migliore di te che può farlo.
Ricordatelo
sempre”.
“Va
- va bene, Michael. Ma cos’è che la spinge
così lontana da me? Qualcosa
che avrebbe dovuto evitare?”
“No,
assolutamente! Se
la rende felice può farle soltanto che bene.
È
qualcosa che lei non aveva mai sperimentato e della quale si pente
amaramente… No, non è la droga o
l’alcool, tranquilla!”
“Ma
se non ho neanche parlato”
“Il
tuo sguardo parla per te”
“Ah,
ecco. E…cos’è,
allora?”
“Oh
questo non posso dirtelo io, Fiordaliso! Io non sono infallibile, lo
sai, e potrei sbagliarmi. Aspetta che te lo dica Katie, così
sarete entrambe più sollevate”
“Okay.
Grazie, Michael!”
Lo
presi per il collo e quasi lo strozzai per quanta forza ci misi
nell’abbraccio tantoché dovetti mollarlo subito,
inerme sul suo bel letto imbottito.
Sorrisi
alla tenerezza che mi trasmetteva quel ragazzo semplice e generoso:
quante persone avrà aiutato e sostenuto nei suoi ventisette anni di vita
oltre me?
Rimanemmo
a guardarci per un po’, sperduti l’uno negli occhi
dell’altra, senza neanche toccarci.
Mi
bastava semplicemente il fresco tocco dei suoi occhi sul mio viso per
essere serena.
Naturalmente
quel sensazionale attimo di estasi doveva essere interrotto da qualcosa
di umanamente fastidioso ma indispensabile.
“Oh
santo cielo! Scusa, Mike, devo andare
a pranzo!”
Mi
alzai dal letto alla velocità di una stella cadente e corsi
lungo le scale ancora più velocemente, lasciando il povero
Michael ancora disteso sul letto, completamente basito.
Mi
stavo rimettendo il cappotto per uscire quando lo vidi scendere
lentamente le scale.
Gli
andai incontro per scusarmi del mio comportamento e lui
sembrò aver letto i miei pensieri perché mi mise
una mano sulla spalla e mi tranquillizzò dicendomi:
“Non fa niente. Vai pure a casa” e poi avvicinando
la bocca al mio orecchio: “Katie ti aspetta”.
Sorrisi
e lo abbracciai per l’ultima volta prima di aprire il grande
portone e sparire nel gelo di dicembre, con la consapevolezza che quel
giorno sarebbe stato un giorno migliore dei precedenti.
“Ma
ti rendi conto? È
ufficialmente finita!”
“Non
cantare vittoria, mancano ancora cinque mesi!”
“Ma
non mi riferivo alla scuola, Sandy!”
“Ed
a cosa?”
“Beh…
Se hai un po’ di pazienza te lo spiego”
“Io
ho tutta la pazienza del mondo quando si tratta di te, cara”
“Oh,
allora… Troviamo un posto appartato dove nasconderci”
Sandy
seguì Katie attraverso il cortile quasi deserto della
scuola, facendo piuttosto fatica per colpa delle sue scarpette scomode
che la madre le imponeva sempre di indossare e diede in un sospiro di
sollievo quando si mise seduta su una delle panchine che circondavano
l’edificio, anche se era piuttosto fredda.
Ma non
ci badò molto, e neanche Katie.
Voleva
solo ascoltare ciò che voleva dirle la sua migliore amica.
“Allora…
Di che cosa si tratta?”
“Non
mettermi fretta, diamine!”
“Ma
ti ho solo chiesto…”
“Non
importa, non devi mettermi fretta lo stesso!”
“Uffa,
e va bene!”
“Okay…”
Katie
si schiarì la voce ed osservo Sandy maliziosamente.
“È
da un po’ di tempo che io ed una certa persona ci incontriamo
e parliamo. Stiamo bene insieme ma ci manca ancora qualcosa per essere
davvero degli amici. Questa persona
la conosci bene, soprattutto per un particolare…”
“Stai
parlando del professor Johnson?”
Katie
diventò improvvisamente rossa come brace e si guardava
attorno nervosamente per assicurarsi che nessuno avesse udito il
terribile segreto tra lei ed il suo professore: non era normale che
fossero così intimi, soprattutto dopo che Katie si era
ripromessa di rovinarlo come uomo e come insegnante.
Sin
dall’inizio si erano prefissi che i loro incontri sarebbero
rimasti sconosciuti agli occhi ed alle orecchie di chiunque li
conoscesse, prima fra tutti la madre di Katie che sarebbe stata capace
di rinchiuderla dentro la sua stanza per il resto della sua vita, e non
voleva giocarsi per una semplice svista la sua giovinezza appena
iniziata.
“Cazzo,
non parlare a voce così alta, potrebbero sentirci!”
“Ma
io sto parlando pianissimo, sei tu che ti agiti per un
nonnulla!”
“Okay,
sono io che mi agito per un nonnulla, ma la tua voce è
comunque troppo alta!”
“Vabbè,
la mia voce è troppo alta, cosa devo dirti!”
“Niente,
stammi a sentire!”
“Okay”
“Allora…”
Riprese Katie, tirando un lunghissimo sospiro a mo’ della
mamma ed osservando in silenzio una impaziente
Sandy con il solo pretesto di vederla soffrire.
“Io
ti racconto tutto per filo e per segno, ma ad una condizione”
“E
quale?”
“Mantieni
il segreto. O ti farò passare la peggiore nottataccia della
tua vita!”
“Va
– va bene, inizia pure!”
Katie
sorrise sadica
all’amica e finalmente partì con la sua narrazione.
“Non
so bene come sia accaduto. So
solo che dalla notte di Halloween io e Johnson siamo amici.
Cioè, non proprio amici per la pelle, ma riusciamo a capirci
l’un l’altra,
comunichiamo con linguaggi diversi dai soliti e… Niente,
semplicemente stiamo bene insieme!
Non
pensavo che fosse così bravo e sensibile: a scuola non
dimostra assolutamente questa parte del suo carattere, come se volesse
nascondere la sua timidezza e la sua poca esperienza con eccellenti
doti di insegnamento e completo controllo della classe.
In
realtà il primo che vuole essere guidato è lui,
poiché si sente molto meno maturo di un ragazzino di tredici
anni; perciò mi ha preso come sua personale strizzacervelli.
Lo
aiuto a comprendere i suoi problemi ed a risolverli e lui sta
cominciando a migliorare sotto le mie direttive, anche se penso che me
lo faccia apposta per rendermi contenta.
E poi
mi ha narrato la sua storia ma era meglio se si stava zitto!”
Sospirò
stancamente ed abbassò la testa.
“Sono
troppo felice per essere sua
amica…”
Katie
cominciò a giocare distrattamente con l’orlo della
gonna mentre Sandy la osservava sovrappensiero, indecisa su come
controbattere al discorso dell’amica.
Dopotutto
non era un argomento delicato.
E poi
la lampadina della ragione le si accese con un allegro scoppiettio.
“Ma
Katie, che assurdità stai dicendo? Proprio perché
sei felice dovresti trasmettere la tua felicità a chi non ne
ha ma ne ha infinitamente bisogno, proprio come il nostro professore! E
solo essendo consapevole di farlo veramente felice tu riuscirai ad
allontanare il brutto malessere che alloggia nel tuo cuore senza
permesso di soggiorno!”
“La
vedi facile, tu. Non hai un cervello, anzi due
cervelli, a cui pensare. E poi posso anche restituirgli la sua
felicità di una volta ma non potrò far nulla per
la sua condizione terrena: non hai visto in che posto abita, la casa a
malapena riesce a contenere lui e suo figlio…”
“Ha
un figlio?”
“Sì.
È piccolo e si chiama
John”
“Oh…”
I
brillanti occhi di Sandy fissarono per qualche secondo il suolo
ghiaioso sotto di lei. Stavolta non sapeva proprio cosa rispondere.
“Non
ci ha mai parlato molto della sua famiglia. Avrei dovuto aspettarmi una
situazione del genere…”
“Già”
“Sembra
così sicuro di sé… Ed invece
è molto fragile”
“Molto,
sì”
“Mi
raccomando, stagli
vicino!”
“E
che cosa sto facendo ora?”
“Ah
giusto! Beh… Sai cosa
dovresti fare?”
“Cosa?”
“Io
penso che lui sia ormai diventato completamente indipendente da te e
dai tuoi consigli. Dimostragli che anche tu tieni a lui!
Così non avrai più la scusa di essere troppo
felice per una persona come lui e sarai finalmente contenta, mentre
lui, poiché si sente ricambiato dalla ragazza che gli ha salvato, per così dire, la
vita, sarà ancora più felice di prima! Allora, che te ne pare?”
Stavolta
era Katie quella che si stava spremendo le meningi: l’idea di
Sandy le piaceva ma non sapeva come metterla in pratica.
Pensò
al particolare rapporto che univa lei a Joe, alla prima volta in cui
lui la invitò a casa sua senza alcun pensiero malizioso e
come lei, forse per ignoranza o compassione, aveva accettato.
Da
quel momento era stato sempre lui a chiamarla, e lei senza protestare
giungeva nella sua modesta abitazione, sola ma con una gran voglia di
aiutarlo.
Eppure
lei non l’aveva mai cercato, per quanto l’altro
avesse bisogno della sua presenza…
“Ho
trovato!”
Si
dette una pacca sulla fronte con la sua amica che la osservava
perplessa, ma invece della lampadina della ragione spuntò un
bel livido.
Beh,
meglio di nulla!
“Da
quando abbiamo cominciato a frequentarci è sempre stato lui
a cercarmi, mentre io me ne fregavo altamente e soddisfacevo soltanto
il suo bisogno di compagnia… Ma non ho mai pensato a me!
Non mi
sono mai chiesta se mi piacesse veramente conversare con lui,
l’importante è che stesse
bene con sé stesso.
E poi
non l’ho mai invitato a casa mia nelle vesti di un bravo
amico, e neanche ad uscire per le vie della città.
Penso
che gli farà piacere…”
Gli
occhi di Katie si illuminarono di una luce che aveva poco a che fare
con la sua tipica maliziosità e nascondevano un forte e sano
ottimismo.
“…
Una bella passeggiata per Los Angeles il giorno di Natale! Noi due,
soli, insieme alla città! Come
ti sembra?”
“Molto
promettente, devo dire! Però, se qualcuno che conoscete vi
vedrà? Cosa
dovrà pensare?”
“Nulla,
semplicemente che siamo grandi amici! Secondo te io vado a mettermi con
un uomo di dieci anni più vecchio di me? Ma per favore!”
“Giusto,
sono una stupida a pensare certe cose! Scusami!”
“Di
niente, tesoro”
Katie
sorrise all’amica e lei la ricambiò quando la
campanella suonò la fine della ricreazione e dovettero
ritornare alle lezioni noiose ed infinite di sempre; fortunatamente
quello era l’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze di
Natale, dovevano sopportare ancora quattro ore e poi avrebbero avuto
quasi tre settimane di assoluta libertà.
Per
Katie sarebbe stata l’evoluzione di un’amicizia
già consolidata e preziosa.
Non
voleva neanche pensare alla strana sensazione che le prendeva lo
stomaco ogni volta che lui le si avvicinava od ai suoi occhi burrascosi
che l’avevano conquistata dalla prima volta.
Non
voleva dare un nome diverso al loro rapporto se non quello di
“amicizia”.
Desiderava
essere solo sua amica.
Solo
sua amica…Solo sua amica…
Sua
amica…
No,
nulla di più.
Strano
a dirsi, ma sentiva un freddo tremendo alle gambe.
Forse
perché indossi la gonna, cretina?
Può
darsi… Però non è normale lo stesso.
Perché
Katie in tutta la sua vita non aveva mai tremato di freddo
né di paura.
Ed ora
invece un semplice appuntamento, oltretutto con un uomo innocuo che non
avrebbe fatto del male neanche ad una mosca, la spaventava!
Certo,
lo conosceva da quasi quattro mesi, ma quello era il loro primo
appuntamento ufficiale e tutto
ciò che era ufficiale la
rendeva nervosa.
Cominciò
a saltellare in tondo sul marciapiede per generare un po’ di
calore in corpo, non preoccupandosi minimamente dei passanti che la
osservavano perplessi, poiché ognuno aveva la sua vita ed i
suoi impegni ed una ragazzina che aspettava un suo amico
saltellando sul ciglio del marciapiede non era nulla di
interessante da vedere, neanche il giorno di Natale, quando tutti erano
impegnati nei preparativi per la cena e si stupivano nel vedere un
essere umano solo e ansioso sul marciapiede umido, come era lei.
Guardò
l’orologio: erano le cinque meno dieci.
Dai, manca
poco, Katie. Ancora qualche minuto ed arriverà.
Sì,
arriverà…
Stava
per esibirsi in una versione del Moonwalk che avrebbe fatto
rabbrividire il povero Michael al solo fruscio delle suole della scarpe
sull’asfalto quando sentì una pacca sulla spalla
che la invitava a voltarsi, e lei appunto si voltò,
riconoscendo quelle mani, quegli occhi, quel sorriso che le lasciavano
una macchia di compassione nel cuore, tanto grande da invaderlo quasi
del tutto.
Come
aveva fatto a vivere per tutto questo tempo senza conoscerlo?
“Ciao”
“Ciao.
Come state, è da molto che
aspettate?”
“No,
sono appena arrivata!”
Ma se
sei qui da mezz’ora!
“Okay”
Joe le sorrise teso, ben sapendo cosa
doveva dirle, ma le cose semplici erano quelle che meno gli riuscivano
ed in circostanze simili ancora peggio.
“Ah
a proposito… Buon Natale!”
“Buon
Natale anche a te”
Ecco,
gliel’aveva detto! Nulla di più facile.
Ora
però veniva la parte peggiore…
“Vi
va se iniziamo a camminare?”
“Certamente”
Si
ritrovarono l’uno di fianco all’altra, immersi in
una folla illuminata da colori ed emozioni, tutti differenti tra di
loro, volti sorridenti, spiritosi, euforici, preoccupati o spensierati.
E
nessuna di quelle brave persone che si erano preparate al meglio per
assistere alla Messa mattutina come cristiani
modello ed avevano cucinato con le loro curate mani il
pranzo di Natale, guadagnandosi i complimenti dei parenti e degli
amici, od avevano cantato a squarciagola le carole insieme ad un
piccolo coro posizionato davanti alla propria casetta riccamente
decorata, notava le decine di cartoni ed umide pattumiere che
infestavano gli angoli più impensabili della
città, abitate da individui sudici e arrabbiati col mondo,
che si accontentavano di poco ma avevano bisogno di molto.
Alla
vista di uno di loro Katie si irrigidì nel cappotto
imbottito e senza aspettare nulla e nessuno si fermò e
frugò nelle tasche in cerca di qualche centesimo, anche un
insulso nichelino, per placare la sua insana solidarietà.
Finalmente
riuscì a trovare dieci centesimi, che le sembravano
più pesanti di un rotolo di banconote da cinquanta, si
avvicinò al triste barbone e glieli mise nel cappello che
porgeva alla gente con la mano tremante e l’ombra negli occhi.
Non
appena sentì il tintinnio della monetina contro le poche
altre che era riuscito a racimolare il suo viso si illuminò
e regalò uno stanco sorriso alla sua benefattrice, che lo
ricambiò.
“Buon Natale, signorina”
“Buon
Natale a lei” rispose Katie mesta.
E dopo
aver salutato il malcapitato ritornò da Joe, che si era
fermato ad aspettarla appoggiato ad un palo dell’autobus, e
manco a dirlo aveva un grandissimo sorriso stampato in faccia.
“Sono
molto contento del vostro gesto, Katherine. Avete dato a quel
pover’uomo un barlume di speranza nel giorno che è
per noi il più felice di tutto l’anno, mentre per
lui purtroppo no. Sono fiero di
voi”
“Grazie,
ma non ho fatto nulla di speciale. Mi faceva pena, ed ho pensato che
potevo vivere benissimo senza quei venti centesimi in tasca, mentre per
lui erano indispensabili. Chiunque
l’avrebbe fatto”
“Chiunque
con una generosità ed una sensibilità pari alla
vostra, Katherine”
“Chiunque
con un minimo di pietà”
“Voi
non conoscete la pietà. È
ben diversa dalla solidarietà”
“Come
no…”
“Delle
volte siete proprio cocciuta!” mormorò Joe
divertito, e Katie ridacchiò sotto i baffi per il successo
ottenuto: era riuscita a farlo stare zitto finalmente!
“Ehm,
ci sediamo un attimo, per favore? Sono
un po’ stanco”
“Okay,
non preoccuparti”
Occuparono
la prima panchina che avvistarono e lui ci si lasciò andare
sospirando, massaggiandosi la testa con gli occhi chiusi.
Katie
non si stupì del suo comportamento, poiché
l’aveva visto ancora più spossato di quanto non
fosse ora e sperò che il malessere gli passasse prestissimo.
Odiava
vederlo così.
E al
massimo poteva diminuirgli lo stress psichico ma non quello fisico.
Cominciò
a sentire uno strano caldo nel ventre, che gli
saliva pian piano fino ad arrivare alle guancie e lì si
trasformava nella prova inconfutabile della sua paura.
Paura
per cosa poi?
Lei
non aveva mai avuto paura.
Provò
a distrarsi osservando la strada, la folla, il cielo ma nulla.
Aveva
un problema.
Ed
anche grosso.
“Alla
fine siete riuscita a parlare con vostra madre?”
La
voce calma e rilassante di Joe la riportò sulla Terra
dolcemente fino a ritrovarsi seduta sulla stessa panchina gelida dove
consumava la sua sofferenza.
“Eh…
Sì. Sì, oggi abbiamo parlato: le ho spiegato
molte cose che lei da molto tempo non riusciva più a capire
di me. Le ho parlato della scuola, dei miei amici, dei miei
interessi… Ed ho parlato anche di te!”
“Di
me?”
“Esatto. All’inizio non voleva credere che io
fossi diventata amica di un professore, e per giunta che insegnava
matematica, ma poi si è ricreduta e mi ha detto
“Beh, mia piccola Katie, hai fatto proprio centro!
Sta certa che ora non avrai
più problemi con le equazioni e non ci romperai
più l’anima di insulse parolacce uscite dalla tua
perversa mente!”, e poi abbiamo cominciato a ridere entrambe,
e ci voluto un bel po’ prima che ci fermassimo! È stato bellissimo”
concluse sospirando col sorriso sulle labbra.
“Lo
credo. Vostra madre, da quelle poche volte in cui ci siamo visti ai
ricevimenti scolastici, mi è sembrata una donna molto
originale. Ed anche molto buona e
generosa”
“Lo è. Solo ora
comincio a capire qualcosa del suo carattere: prima la prendevo sempre
in giro, e le poche volte che le davo ragione era per farla stare zitta
e non sentirmi ripetere sempre le stesse cose! Ma è una
grande donna. Sì…”
Al
serafico sorriso di Katie, Joe si sentì anch’egli
esplodere il cuore.
Smise
di fissarla e si concentrò sulla punta delle sue eleganti
scarpe di cuoio: aveva completamente perso la facoltà di
esprimersi chiaramente e se avesse provato ad aprir bocca ne sarebbero
uscite parole deformate da fastidiosi balbettii nervosi.
Diede
in un bel sospiro e si fece coraggio: doveva dirle una cosa molto importante.
E non
poteva tirarsi indietro, assolutamente!
“Signorina
Katherine…”
“Sì?”
“Scusate
se vi faccio questa domanda senza alcun pudore, e certamente penserete
di me che sono un impiccione, però…Voi...”
E qui
Joe iniziò la lunga sfilza di sospiri epici.
“Siete
stata mai innamorata nella vostra vita?”
La
domanda colse Katie completamente alla sprovvista: ed ora
cosa
doveva dirgli?
No.
No,
non poteva farlo.
Doveva
cercare in tutti i modi di non agitarsi così da non uscire
allo scoperto. In fondo era lei che
l’aveva invitato ad una bella passeggiata romantica il giorno
di Natale, era lei che cercava un
modo per ricambiare i suoi sentimenti, era sempre lei
che doveva fare il primo passo.
Ed
anche se lui era l’uomo…
Doveva compiere il suo dovere!
“Ehm,
veramente…”
Il
problema è che non sapeva cosa rispondere.
Davvero
una cazzata!
Ma
cosa mi importa, tanto prima o poi lo verrà a sapere! In
quale modo non lo so, però è inutile fingere
ancora!
“Veramente
sì. Sono cotta da un bel
po’ di tempo, non mi ricordo bene da quanto”
“Avete
mai provato a confessargli i vostri sentimenti?”
“No.
Non ne ho mai avuto il coraggio. Non ho paura di lui, tanto del fatto
di non essere la ragazza adatta a lui. Sembra
così maturo in confronto a me”
“Non
dite così, non è vero!”
Allo
sguardo sgomento di Katie, Joe si interruppe e la guardò
spaventato, come se in realtà avesse davanti una bestia
feroce sul punto di assalirlo per colpa della sua sbadataggine che si
presentava sempre nei momenti meno opportuni.
“Cioè…”
cercò di spiegare, ma la ragazzina si era calmata ed ora non
aveva più alcuna intenzione di sbranarlo.
Seppe
perciò che poteva rispondere alla sua affermazione
diversamente.
“Secondo
me… Il vostro amore non è come voi lo vedete:
magari è rappresentato da una persona dolce e riservata, che
aspetta soltanto di ricevere affetto e consolazione. E se voi sareste
in grado di renderlo felice certamente non vi lascerà mai
più”
“Come
fai a dire queste cose? Ti pare tanto facile strappargli un sorriso?
Ormai è troppo tardi…
Non ho potuto fare niente per lui…”
“Perché
dite così? Come al solito
vi sbagliate in pieno!”
“Perché
è la verità! Per quanto io
mi sia impegnata per aiutarlo, non sono riuscita a far nulla,
perché non mi sono resa conto prima che la sua condizione
era irreparabile! Sono stata un’illusa. Ed ora ne vedo le conseguenze”
“Mi
dispiace contraddirvi ancora, ma io non voglio che vi lasciate annegare
nelle vostre stesse colpe… Perché non ne avete.
Avete reso questa persona (ragazzo o uomo che sia) la più felice di tutto l’universo
semplicemente esistendo e standogli accanto. Penso che in questo
momento sia molto grato nei vostri confronti”
“Lo
credete davvero?”
“Sì”
“E
pensate che lui non si offenderà se… Se gli dico
che dal primo momento in cui ci siamo incontrati io
ho finto di odiarlo perché avevo paura di innamorarmi di
lui? Continueremo ancora ad essere amici come prima?”
“Beh,
penso che non se la prenderà assolutamente. Vi
perdonerà e vi chiederà di stare per sempre
accanto a lui, come due bravi innamorati”
“Ancora
un’altra domanda! Se non ti
dispiace, naturalmente…”
“Potete
farmi tutte le domande che volete, Katherine”
“Oh
bene!”
A
Katie cominciò di nuovo ad ardere il ventre come se avesse
inghiottito del carbone ardente, o peggio ancora, dello stufato di
carne al peperoncino di Fernando (che ha la maledetta abitudine di
mettere il peperoncino da tutte le parti) e non sapeva bene da cosa
dipendesse questa odiosa sensazione: forse aveva mangiato troppo a
pranzo, ed ora si sentivano le conseguenze.
Però
il peperoncino non aumentava i battiti del cuore fino a renderlo
indomabile…
“Gli
dispiacerà se gli
do’ un bacio? Uno di quelli piccoli, sulle labbra, senza
troppa bava né lingue attorcigliate tra di loro?”
“Penso
che lo fareste il ragazzo più felice di tutta la Terra”
“Anche
se è un bacio rubato?”
“Anche
se è un bacio rubato”
Katie
ridacchiò sotto i baffi, constatando con stupore che la sua
testa e quella di Joe si stavano pericolosamente avvicinando, fino a
che le fronti si toccarono e l’uno sentì sulla
propria pelle il sudore dell’altra e viceversa.
I
capelli che catturavano la luce incontrarono quelli che la fuggivano.
Le
labbra caste e profumate di fragola trovarono le accoglienti ed esperte
e guidate da un gioco di irrefrenabile amore, cominciarono a conoscersi
meglio, assaporandosi e scoprendosi a vicenda, ma senza schiudersi in
una morsa fatale per entrambe, poiché un coinvolgente
scambio di sapori avrebbe rotto la romantica e pura magia che aleggiava
intorno ai possessori delle labbra.
Due
individui così differenti da essersi trovati per caso seduti
su una panchina lungo una via affollatissima ormai sgombra da qualsiasi
pericolo, da qualsiasi guardone che potesse sconvolgere la loro
passione tenuta a freno dal giusto pudore del primo bacio.
Ed
eccomi ritornata a rompervi le palle!!XD
Come
state, miei sopravvissuti?^__^ Bene, spero, perché devo
darvi una bella notizia!!
(Oh finalmente!!XD
NdTutti)
Ahahahah
spiritosi..-.-“
Comunque
è davvero una bella notizia poiché dopo quasi un
anno in cui vi ho tenuti con il fiato sospeso, vi ho fatto piangere,
arrabbiare, ridere e quant’altro scoprirete finalmente la
verità!!
Sì, capirete cos’è questa razza di
sorpresa il cui pensiero non vi ha fatto dormire la notte, e
conoscerete molte cose sulla vita di Michael che nessuno (neanche uno
di quei paparazzi da strapazzo, che il cielo li
fulmini!<___<) ha mai raccontato per tutto il tempo in
cui Michael ha vissuto su questa Terra!!
Eheh
siete curiosi??:D Allora
seguitemi fino alla fine e se perderete la via io vi ci
ricondurrò senza tanti complimenti!!^_^ Letteralmente vi
prenderò per la collottola e vi trascinerò fino a
quando non sarete in grado di reggervi da soli in piedi,
dopodiché vi spingerò per la schiena e, se
dovrò, vi caricherò sulla schiena ignorando i
vostri calci ed i vostri pugni!!ù__ù
Siete
ancora interessati all’ammutinamento??*___*
Bene,
vedo che non ci sono mani alzate! Perciò posso continuare!!
Ah,
c’è un’altra cosa che devo dirvi:
l’ultima parte di questo capitolo, che dovrebbe essere la
più bella e la più significativa (poi vedrete
ù_ù) mi è venuta in realtà
uno schifo immane!!O__O
Perciò, se volete leggerla bene, altrimenti potete anche
farne a meno!XD
E
posso dirvi anche qualcosina che non riguarda la storia di per
sé, è un’accortezza che ho preso io per
renderla meno pesante e monotona: la suddividerò in due o
tre parti, ( ma io opto per le tre) nelle
quali cambieranno di gran lunga gli eventi ed i personaggi
(tranquilli, alcuni rimarranno!^^) e vi prometto che vi
piacerà ancora di più di prima!! Farò
un miscuglio esagerato, tenetevi pronti!!XD
Oooh
ma il titolo di questo capitolo??
Avanti, non ditemi che non conoscete “Happy XMas (War Is Over)” di
John Lennon perché altrimenti vi fucilo, ed al diavolo
l’amore e la pace nel mondo!!ù__ù Bene,
sto calma..°__° In fondo ora vi devo salutare
perché la mia mente vuole riposare e voi dovete leggere,
giustamente!! (Se se, contaci..-.-“ NdTutti)
Ma
oggi siete proprio tremendi eh??O__O
Mi volete proprio male, santo cielo!!
E
visto che non sono apprezzata io me ne vado!ù__ù
*si infila il cappotto di pelliccia di alce e scompare nella nebbia*
Arrivederci!!ù___ù Ed
al prossimo capitolo, che sarà naturalmente un capitolo di
passaggio! (lo ammetto, non vedo l’ora di finire la mia
storia!XD)
Tantissimi
saluti, e soprattutto BUONE VACANZE *__*, dalla vostra .*.*Looney.*.!!
P.S.:
Ah sì dimenticavo!!
(Che sbadata che
sono!!XD) Ringrazio tutte le dolci fanciulle che hanno letto e
recensito (anche se solo la cara Romy ha
recensito..ç__ç) con l’augurio che
questo capitolo gli piacerà!!^___^
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Capitolo 13 *** Your Mother Should Know ***
ATTENZIONE: in questo
capitolo, anche se trattate in maniera molto leggera, sono presenti
riferimenti a rapporti sessuali tra una ragazzina di quattordici anni
ed un uomo di ventiquattro, tuttavia non voglio inserire il rating
rosso per un semplice accenno.
Se fossi scesa
maggiormente nei particolari l’avrei fatto, ma ritengo che
sia inutile.
Spero che non vi rechi
disturbo. Se c’è qualsiasi cosa che vi abbia
turbato, la responsabilità è soltanto mia.
Mi scuso per questo
improponibile messaggio e vi auguro buona lettura.
Your mother should know
Da
quel giorno in poi le cose cambiarono radicalmente per entrambi.
Era
come se avessero riacquistato la vista dopo anni e anni di mortale
oscurità, persi nei propri incubi e ossessionati dalle vane
speranze nella conquista della luce perduta.
Fu Joe
il primo a risvegliarsi dal maledetto torpore che avvolgeva la sua vita
dopo la morte della moglie grazie alla riscoperta dell’amore
verso Katie: dall’insegnante severo e silenzioso che i suoi
alunni più ribelli conoscevano bene, soprattutto per la
confisca del walk-man e per voti in pagella, divenne un uomo
sorridente, luminoso come non lo erano stati neanche i suoi capelli
rapitori della luce, e felice di poter accogliere ed educare nelle sue
classi le più svariate tipologie di adolescenti benestanti o
quasi, per poterli non solo aiutare nei problemi di geometria, ma anche
nei problemi della vita, e non solo le tipiche ansie di un ragazzino
cresciuto nella bambagia.
Ben
presto si rivelò uno psicologo più capace di
quanto non lo fosse stata Katie per lui: forse fu proprio grazie a lei
che riuscì ad aprirsi ai suoi studenti, rendendo la sua
professione non solo un
onere ma anche un grandissimo piacere, sia per lui che per i suoi
alunni.
Katie
aveva notato qualcosa di diverso nel suo mare tempestoso già
dal primo giorno di scuola dopo le vacanze di Natale, e dovette
resistere parecchio per non alzarsi dalla sedia nel bel mezzo della
lezione ed abbracciare con trasporto Joe, dondolandosi sul posto per
l’occasione ed abbandonandosi sul suo petto, sotto gli occhi
sgomenti di trentatré ragazzi in cerca di piccanti
pettegolezzi, purtroppo con un considerevole fondo di verità.
Era
felice per lui come mai lo era
stata dal momento in cui aveva iniziato a parlarsi segretamente, e la
faceva soffrire non potergli andare incontro nei corridoi e baciarlo
dolcemente sulle labbra, quei baci che si regalavano l’un
l’altro a riparo da occhi indiscreti nei luoghi
più impensabili della città.
Lei
amava la clandestinità del loro rapporto, la eccitava in
tutti i sensi, la faceva sentire adulta e padrona della propria vita,
anche se c’era ancora molta strada da compiere prima di
arrivare alla completa maturità della sua mente.
Nonostante
sembrasse più grande di quanto fosse dal punto di vista
fisico, dentro di sé era ancora una bambina giocherellona e
tenera, che si vergognava degli estranei, inciampava facilmente sul
gradino del marciapiede, odiava esser baciata da sua madre (per quanto
le volesse bene) ed amava giocare a baseball con i suoi amici nel tempo
libero.
Il
corpo, però, aveva i suoi bisogni che la mente non
comprendeva e cercava di scacciare.
La
mente ed il corpo di Katie non erano mai stati grandi amici,
perciò non fu difficile convincere il corpo a piegarsi ai
suoi primordiali desideri e partire alla conquista della preda
designata. L’unico problema riguardava il corpo di Joe, che
al contrario di quello di Katie, aveva buonissimi rapporti con la sua
mente, e dal compimento dei quattordici anni della ragazza fino
all’ultimo giorno di scuola si unirono in battaglia per
sconfiggere quella effimera tentazione rappresentata
dall’amore carnale.
Katie,
che difficilmente si tirava indietro ma certe
volte capiva quando era meglio fermarsi, non si
stupì del comportamento di Joe: dopotutto per lui era
complicato fare l’amore con un’altra donna (in
questo caso ragazza) con il ricordo della moglie ancora vivo e sano nei
suoi pensieri, e la loro unione fisica gli avrebbe procurato solo
dolore non piacere.
Perciò
si vide dall’insistere ancora, e si mise ad aspettare con
pazienza: era lui l’uomo,
era lui che doveva fare il primo
passo, ed era sempre lui che doveva
decidere tra sì e no.
Quando
entrambi si sentirono avvincere da un calore opprimente
all’addome (e non avevano mangiato pesante) ed i loro occhi
cominciarono a produrre luccichii a volontà non appena le
loro mani si furono sfiorate si sentirono finalmente pronti.
Era
una giornata caldissima, e nessun uomo sano di mente gironzolava per i
ribollenti fiumi d’asfalto della città
né a piedi né in automobile (poiché la
carrozzeria di quest’ultima si sarebbe sicuramente sciolta al
calore del sole).
Sia
bambini che adulti trovavano un po’ di refrigerio correndo in
spiaggia o bagnandosi nelle immense fontane del Centro, per poi esser
ripescati dalla polizia, contemplando tristemente la vasca piena
d’acqua gelida, mentre gli uomini d’ordine
sogghignavano soddisfatti nella loro pesante divisa blu.
Gli
unici contenti erano i pesci, che sguazzavano nell’oceano e
non versavano neanche una goccia di sudore, prendendo in giro gli
esseri umani completamente bagnati e appiccicosi.
Era
per molti ragazzi l’ultimo giorno di scuola, e ciò
li faceva rinsavire moltissimo, poiché per tre mesi non
sarebbero dovuti ritornare in quei grandi forni che chiamavano
erroneamente aule.
Appena
ritornata da una eroica
battaglia di gavettoni per festeggiare la fine dell’anno
scolastico, Katie se ne stava sdraiata in giardino sventolandosi il
viso con una rivista, imprecando contro il Tropico del Cancro, contro
Los Angeles e contro l’acqua che evaporava troppo presto,
mentre Fernando annaffiava diligentemente le piante e gli alberi in
canottiera e bermuda, e sua madre sguazzava nella vasca da bagno per
colpa del’afa che l’aveva fatta sciogliere come una
caramella di zucchero.
Guardando
il cielo sopra di lei pensava come al solito a Joe, ed il suo malessere
cresceva ancor di più: aveva concluso le medie e non
l’avrebbe più visto entrare dalla porta
dell’aula con la solita aria rassegnata ed i capelli
scomposti dal sonno, poiché lui non insegnava al liceo, e
non avrebbe mai più potuto.
Qualche
giorno prima che la scuola finisse qualcuno fece la spia al preside
riguardo uno dei suoi colleghi più preparati ed amati dagli
studenti, ed egli gentilmente congedò Joe, con
l’augurio di non tornare mai più nella sua scuola,
a meno che non abbia portato con lui un minimo di
responsabilità ed un ricco risarcimento in denaro (anche se
non c’era nulla da risarcire).
La
notizia di un falso insegnante che si era preso gioco di tutta la
scuola per un anno intero fece così scalpore che non ne
discutevano soltanto i ragazzi ed i docenti, ma anche le oneste suore
che gestivano la scuola, ma le loro opinioni erano ben diverse dalle
più maligne dei genitori dei ragazzi che avevano avuto come
insegnante Joe, poiché si sentivano presi in giro come mai
nella loro grassa vita.
Dal
canto suo, Joe cercò di scovare il traditore, ma non aveva
prove plausibili, ed era convinto al cento per cento che
l’unica persona che conoscesse assieme a lui il suo segreto,
non avrebbe di certo cantato così facilmente: a Katie non
interessava la fama, poiché ne aveva già
parecchia, e lo amava fin troppo per consegnarlo in modo
così meschino nelle mani della spietata legge americana e
soprattutto nelle mani del suo temibile preside.
Gli
promise che non appena avesse trovato il colpevole l’avrebbe
strangolato con le sue stesse mani, ma lui la tranquillizzò
dicendole di non preoccuparsi per lui, aveva un piano.
Katie
rispose scetticamente che non avrebbe potuto passare la vita intera a
scappare dalla giustizia, ma
Joe fu così irremovibile che lei dovette soccombere.
Aveva
intenzione di occupare la vecchia casa di suo padre situata nel centro
di Londra, dove abitava insieme alla sua famiglia prima di trasferirsi
definitivamente negli Stati Uniti.
Lì
sarebbe stato al sicuro, nessuno avrebbe fatto del male a lui e a suo
figlio.
Voleva
tagliare la corda la sera del 7 giugno, il giorno che segnava la fine
della scuola per Katie; tutti gli oggetti di valore, qualche vestito ed
i giocattoli di John erano stati impacchettati ed ora si trovavano
davanti all’uscio in attesa della fuga.
John
si era lasciato andare sul letto del padre e dormiva aspettando la
cosiddetta “fine”, mentre suo padre seduto sul
divano rosso faceva l’inventario di tutto ciò che
doveva portarsi nel lungo viaggio, e dopo la sedicesima volta
constatò che non mancava nulla.
A
parte lei.
In
quel momento Katie si sentì prudere l’orecchio, e
comprese che non poteva starsene tutto il giorno a non far nulla quando
sapeva benissimo che non avrebbe mai più rivisto Joe.
Ciò
che fece dopo fu prova della sua incalcolabile pazzia accentuata
dall’amore: si alzò lentamente dal prato
inaridito, chiamò Fernando dicendogli che aveva intenzione
di andare in spiaggia per sopprimere il caldo con un bel bagno gelido e
di avvertire sua madre altrimenti quella sarebbe stata capace di
chiamare la polizia notando la sua assenza, e dopo aver ottenuto il
permesso di andare, invece di scendere lungo l’immenso viale
che portava a Santa Monica, si diresse nella stretta viuzza in cui Joe
stava consumando il tempo nell’attesa della partenza.
Katie
apparve come una visione negli occhi tristi ed annebbiati di Joe, che
si alzò precipitosamente dal divano e la
abbracciò con quanta forza aveva in corpo, temendo che
potesse sparire da un momento all’altro lasciandolo di nuovo
solo.
Ma lei
non se ne andò, e ricambiò l’abbraccio
ancor più intensamente, baciandogli il viso e le mani, e
mormorando lamenti senza senso scaturiti dal suo cuore dolorante per la
separazione alle porte.
Poi
smisero di agitarsi e le loro mani goffamente si incontrarono,
giocherellando tra di loro e scolpendo nella memoria l’esatta
delicatezza del loro tocco, nonostante si fossero sempre ripetuti che
quel giorno non sarebbe mai arrivato.
Eppure
era lì, incombente più della morte: come
avrebbero potuto ignorare tanto terrore?
Solo
una promessa poteva scacciare la sofferenza, e per suggellarla
definitivamente occorreva un ricordo così intenso da non
sfuggire mai dalle dense nebbie del passato, e di ritornare a
riproporsi nel futuro con la stessa antica forza.
Ciò
che li spaventava al sol pensiero ma che li tentava invincibilmente.
Ciò
che li avrebbe uniti per sempre ed oltre.
Guidati
dall’istinto che rendeva sicure anche le membra dell’amante inesperto e madidi
di sudore e piacevoli brividi, si lasciarono avvincere dalla tentazione
e consumarono il loro amore sopra il pavimento rovente e pulito
illuminato dal riflesso delle loro anime tormentate ma felici.
Quella
fu per Katie l’estate più calda e deprimente degli
ultimi dieci anni: tutto ciò che voleva fare era star
rinchiusa dentro casa munita di un ventilatore e di un mangiadischi
eroso dalla temperatura e dall’uso poco ortodosso che ne
faceva lei, per non parlare dei 33 giri che dovette buttare e dei soldi
spesi per ricomprarli uno ad uno.
A
nulla bastavano le suppliche di sua madre e gli strilli di Fernando per
convincerla a smuoversi dal suo letto ed uscire a farsi una
passeggiata: lei non voleva ascoltare nessuno, soltanto i suoi dischi,
soprattutto la voce di Michael, che con la sua innaturale dolcezza
rendeva il suo dolore piacevole, di qualunque argomento parlassero le
canzoni.
In
fondo l’aveva sempre detto lei che ascoltare Michael Jackson
rende la vita migliore!
Non
era così per sua madre.
Con i
suoi giorni di isolamento aumentarono anche le crisi nervose di
Fiordaliso, che voleva aiutare sua figlia ma non poteva,
poiché non sapeva da che male fosse afflitta
ed ogni suo intervento impulsivo avrebbe reso la
situazione peggiore di quel che era.
Fernando
la rassicurava sul comportamento della figlia, con frasi del tipo “I giovani sono così, un
giorno sorridono e l’altro piangono, senza un motivo preciso.
Vedrai che tra non molto si alzerà da quel letto ed
uscirà di casa con i suoi amici dopo averci salutato con la
mano. È un dato di fatto,
lo dicono anche gli psicologi!”.
Ma a
Fiordaliso non interessava minimamente ciò che dicevano gli
psicologi, e l’unico dato di fatto era che sua figlia stava
male e doveva essere curata immediatamente.
Cominciarono
ad indagare su di lei, come due detective ficcanaso che erano disposti
a tutto pur di giungere alla conclusione del caso.
In
effetti
utilizzarono tutti i mezzi a loro disponibili, ma i loro sforzi non
valsero a nulla: l’unica cura per Katie era l’amore
di Joe, e di quell’amore rimaneva soltanto un bellissimo
ricordo.
Bellissimo,
certo, ma pur sempre un ricordo.
Neanche
il minimo sentore di una gravidanza inaspettata ma ben voluta.
Solo
un misero ricordo.
Uno
ricordo che il tempo avrebbe sicuramente cancellato, trasformandolo in
spirali di fumo che si sarebbero dissolte nel cielo
dell’oblio…
…Se
il fattore caso non fosse
intervenuto nella sua vita!
Erano
passati tre mesi e sei giorni esatti da quel meraviglioso giorno in cui
Katie e Joe si erano incontrati con la più profonda parte di
loro stessi, conoscendo finalmente attraverso il corpo
l’amore che ognuno provava per l’altra, e
viceversa, soltanto spiritualmente.
Quello
per Katie era l’ultimo sabato libero dai compiti prima
dell’inizio della scuola, dopodiché avrebbe dovuto
combattere strenuamente per raggiungere i voti alti cui era abituata:
le scuole superiori non erano un gioco, ed i professori non sarebbero
più stati molto benevoli con lei.
È
ora che cresca, si
ripetevano in continuazione tra una lezione e l’altra, non può continuare a divertirsi tutto
il giorno senza pensare minimamente allo studio ed alla disciplina! E
se non ci sono riusciti i nostri colleghi delle medie vuol dire che
sono stati troppo buoni con lei: vedremo come se la caverà
al liceo, senza la sua faccina d’angelo e quella fastidiosa aria da impertinente!
Ma a
Katie tutto ciò che dicevano i docenti non la sfiorava:
aveva un problema più grande con il quale vedersela, e loro
non potevano impicciarsi nella sua vita, togliendone addirittura una
significativa parte.
Era un
crimine abominevole, non lo accettava.
Se
avesse dovuto rinunciare all’amore, l’unica cosa di
cui aveva bisogno, non sarebbe sopravvissuta molto.
Per
fortuna l’amore, avvertendo il suo malessere, venne a fargli
visita quello stesso sabato, ancora caldo del malinconico riflesso
estivo e che si volgeva lentamente verso l’inverno.
All’inizio
non voleva credere ai suoi occhi: l’avevano spesso tradita,
senza scrupoli.
Eppure
era il suo amore: come avrebbe potuto sbagliarsi?
Gli
corse incontro, abbracciandolo come lui fece il giorno della loro
apoteosi, strofinando il viso sui suoi vestiti freschi e sempre
profumati, accarezzando il suo viso reso ruvido dalla tristezza,
baciando le sue labbra morbide e dolci, come se le ricordava.
Non
furono capaci di parlare per molto, poiché le emozioni
avevano preso il sopravvento.
Sapevano
soltanto che dovevano andare in un posto.
Un
posto segreto che nessuno di loro conosceva.
Il
desiderio era troppo forte, e come tutte le coppie destinate ad amarsi
clandestinamente, fuggirono lontano dai loro oppressori e trovarono la
pace lungo la costa, in una baia protetta da occhi indiscreti dove
molti innamorati prima di loro si erano amati.
Si
rotolarono sulla sabbia, entrambi così felici da non credere
ancora alla loro riunione, e rinnovarono la loro promessa nel miglior
modo possibile.
Ora il
ricordo del loro amore non sarebbe stato cancellato dal tempo, neanche
dopo mille anni, neanche dopo la loro morte, neanche dopo
l’oscuro infinito…
Quando
si liberarono dell’ultimo granello di sabbia nei capelli e si
contemplarono un’ultima volta negli occhi, si separarono e
ripresero la via del ritorno: rimanere insieme sarebbe stato rischioso
e non volevano passare ancora guai inutili.
Quelli
sarebbero venuti dopo, quando si sarebbe scoperta la verità,
ma non volevano fasciarsi la testa prima di romperla: ogni cosa a tempo
debito.
Dopo
il suo fugace incontro con Joe, che nel frattempo se ne era ritornato a
Londra dal suo John, Katie poté iniziare la scuola
serenamente: mai si era aspettata una visita dal suo unico amore,
giunto dalla fredda Inghilterra per augurarle buona fortuna per il
nuovo anno scolastico e passare ancora un momento di totale estasi con
lei, affinché la separazione le fosse sembrata meno tragica.
Non
appena ripensava alle poche parole scambiate con lui quel giorno ed al
ritrovato piacere del suo amplesso, si sentiva davvero fortunata ad
avere un uomo così: sembrava uscito da un dramma di
Shakespeare, senza baffi e pizzetto, però.
Per la
prima volta dopo tanto tempo sorrise alla vita: era capace di
affrontare qualunque ostacolo con l’amore.
Qualunque
ostacolo.
Già,
qualunque ostacolo.
Anche
uno non previsto, e sinceramente poco desiderato.
Ma in
fondo tutti gli ostacoli sono indesiderati, no?
Successe
una mattina a scuola: la professoressa di matematica l’aveva
chiamata alla lavagna e lei sbuffando aveva obbedito al suo ordine.
Quanto avrebbe voluto Joe al suo posto!
Almeno
la sua visione l’avrebbe incoraggiata; invece questa megera
era tutt’altro che rassicurante, ed i suoi discorsi erano
così contorti che una buona parte della classe aveva seri
problemi con la matematica (e chi non li ha mai avuti?).
Fu forse per questo che, durante
un’equazione particolarmente complicata, Katie perse le forze
e si accasciò a terra, sotto gli occhi increduli di tutta la
classe, prof compresa.
La
soccorsero immediatamente, e con un paio di schiaffi ed una caramella
al limone riuscì a sedersi sul pavimento, con gli occhi
chiusi ed una sgradevole sensazione in bocca.
Chiese
di chiamare sua madre e ritornare a casa, ma, come era venuto, il
fastidio svanì immediatamente.
Sollevata,
si alzò dal pavimento e sotto ordine della megera, che era
più sconvolta di lei, si accomodò al suo posto,
osservando perplessa un suo compagno che se la stava vedendo con la sua
equazione lasciata a metà.
Ma
neanche il pensiero di averla scampata da una F sicura la rassicurava,
e ripensò al suo malore per tutto il tempo che rimase con i
gomiti sul banco e lungo il tragitto per ritornare a casa: magari era
dovuto alla stanchezza, o alla mancanza di zuccheri nel
sangue…
O
magari…
No,
non voleva pensarci.
Doveva
esserne sicura al cento per cento per tirare delle conclusioni
ammissibili, e facendo delle ipotesi affettate avrebbe soltanto
peggiorato la situazione.
Innanzitutto,
da dove si cominciava?
Ma
certo, le mestruazioni!
Quando
era stato l’ultima volta che le erano venute? Due settimane
fa, forse...? Od anche
più in là, boh…
Cazzo,
che giorno era oggi? Ah sì, giusto, il 23 ottobre!
Bene.
Andiamo proprio bene, Katie. È da due settimane e tre giorni
precisi che il ciclo ti ritarda… E tu non te ne sei neanche
accorta!
Che
stupida che sei stata!
E poi
mi pare che tu abbia avvertito altri sentori, o mi sbaglio?
Alcune
volte non hai cenato per via della nausea, un giorno hai addirittura
vomitato sul divano per poi abbuffarti di cetrioli e carote, manco
fossi stata un coniglio.
Per
non parlare dei tuoi vari sbalzi di umore! Oh, ma quelli ce li hai
sempre, perciò non possono far altro che peggiorarti con
l’avanzare della…
Sì,
insomma… Con l’avanzare della gravidanza.
Perché
eri incinta, Katie!
Incinta!
Incinta…
Sei
rimasta incinta come una cogliona.
Ma in
fondo avresti dovuto aspettartelo: come pretendi di salvarti dopo aver
fatto sesso senza alcuna protezione?
Sei
stata davvero una stupida, ed ora ne pagherai le conseguenze!
Cosa
diranno tutti?
Cosa
dirà tua madre?
Oh
cazzo… Non ci avevo pensato!
Ma una
persona non si stupirà di certo se gli riveli questo
segreto…
Dieci
minuti dopo Katie stava percorrendo il viale nel quale abitava la sua
amica Sandy, con una falcata degna di un velocista, e si
fermò davanti il cancello dell’immensa villa, una
delle più grandi di tutta Encino: a quell’ora
doveva essere già ritornata a casa.
Ora
che frequentavano scuole diverse (la differenza economica cominciava a
farsi sentire) non percorrevano più un tratto di strada
insieme, potevano vedersi soltanto dopo la scuola, il che non era per
niente facile poiché la grande ondata di compiti le divorava
ogni giorno, tanto da togliergli molto tempo da passare assieme.
Suonò
il campanello, ed aspettò che le aprissero: ormai era di
casa, e non si preoccupavano minimamente di guardare dalle telecamere
di sorveglianza.
Nonostante
la famigliarità, il luogo le procurava sempre un
po’ di timore, ma non appena entrava il nodo alla gola
spariva, sostituito da una profonda allegria: gli inquilini di casa
Shepard erano uno più stravagante dell’altro, a
cominciare dal signor Shepard, che nonostante fosse un tipo tosto della
finanza, non perdeva mai tempo a combinare meravigliosi scherzi ai
colleghi, e loro naturalmente non se la prendevano, poiché
sarebbero incappati in guai serissimi.
La
signora Shepard era il completo opposto del marito, ma era lei che
comandava dentro casa, e nulla sfuggiva al suo occhio attento, neanche
una macchia invisibile sul pavimento, ed allora lì ordinava
alle sue cameriere di pulire immediatamente altrimenti non le avrebbe
più pagate.
Le
povere ragazze obbedivano sbuffando.
I
membri meno bizzarri della famiglia erano i due ragazzi Shepard, Daniel
e Sandrah: entrambi eccellevano sia nello studio che nello sport,
frequentavano scuole private ed avevano accesso a tutti i luoghi
più interessanti di
questo mondo, tra cui Disneyland ed il Wembley Stadium di Londra, ma
nessuno dei due c’aveva mai messo piede.
Avevano
le loro passioni ed i loro svaghi, ed erano molto più maturi
dei loro genitori, che talvolta dovevano riprendere manco fossero dei
lattanti.
Fu
Daniel a condurre Katie in soggiorno dove l’aspettavano sua
madre e Sandy, prese da una partita a carte che durava da almeno
un’ora e mezza.
Di
solito nessuno osava disturbare madre e figlia mentre erano impegnate
in qualche attività abituale, ma non appena Sandy vide Katie
ritta di fianco a Daniel, lanciò le carte che teneva in mano
sul tavolino, sotto gli occhi sconcertati di sua madre e di suo
fratello, e portò Katie in camera sua, senza dirle una
parola: era evidente che c’era qualcosa che non andava, e
voleva parlarne con lei a quattr’occhi, senza scocciatori nei
dintorni.
Non
appena furono entrambe dentro la stanza, Sandy chiuse la porta, e vi si
appoggiò dando in un sospiro nervoso.
Poi
guardò la sua amica con uno sguardo che avrebbe benissimo
trapassato il muro della cameretta.
“Come
hai fatto a capire che volevo parlarti semplicemente
vedendomi?” cominciò Katie prima che la sua amica
potesse dire qualcosa.
“Perché
ormai riconosco l’espressione del tuo viso ed il brillio dei
tuoi occhi quando vuoi dirmi qualcosa. E tu sei una persona molto prevedibile,
Katie” si giustificò Sandy alzando gli occhi al
soffitto.
“Anche
tu lo sei, se è per questo!”
“Ma
non come te…”
Katie
non seppe ribattere alle parole dell’amica, e diede in un
lungo sospiro.
“Sono
stata una cretina, Sandy. Pensavo di
cavarmela, e invece…”
“Eh?
Ma di cosa stai parlando?”
Sandy
si avvicinò al letto dove stava seduta Katie e si
sistemò accanto a lei: dal suo tono era evidente che aveva
un grosso problema, anzi un gigantesco problema
da risolvere.
“Di
me e Johnson. Abbiamo
scopato…”
“Questo
già lo sapevo!”
“…E
sono rimasta incinta”
“CHE
COSA?”
Alle
ultime parole di Katie, Sandy si alzò in piedi e
squadrò la sua amica come non aveva mai fatto prima: di
solito si limitava a sgranare gli occhi ed a spalancare la bocca in una
grande O, ma non si era mai permessa di gridarle in faccia.
Per
tutta risposta Katie non disse nulla.
“Ma-ma
ti rendi conto di quello che hai fatto?” riprese Sandy dopo un
po’, le tempie che pulsavano pericolosamente.
“Certamente,
Sandy, ma non penso che sia il caso di urlare! Dopotutto
sono cose che succedono e…”
“Lo so, ma… Capisci, Katie, che
così la tua vita rimarrà segnata per sempre? Non
potrai più goderti la giovinezza perché dovrai
maturare in fretta, dovrai accudire un
bambino da sola, senza un padre, dovrai trascurare la scuola! Cosa ne
sarà di te? Diventerai una donna prima ancora di aver
varcato la soglia della maturità. E non è
piacevole. Per niente. Se avessi avuto più buonsenso a
quest’ora non saresti qui, a casa mia, a sfogarti per
un’azione che potevi benissimo evitare. E sai a cosa mi riferisco”
“Avevamo
fretta…”
“Si
vede, infatti! Ecco il
risultato!”
“Non
sai cosa significa, è meglio che ti stai zitta”
“Certamente!
Mentre tu te ne intendi, vero? A
quanto vedo, non sei rimasta fregata!”
“Se
fosse successo a te, ti saresti comportata allo stesso modo! A
quest’ora staresti a
casa mia a piangere sulla mia spalla, a lamentarti della tua
situazione, della tua stupidità ed anche di quel cretino che
ti ha messa incinta!”
Anche
se Joe non è un cretino, specifichiamo!
“Se
fosse successo a me…”
Le
parole morirono in gola a Sandy, che consapevole della sconfitta, non
sapeva più come rispondere all’amica.
Buttò
stancamente le braccia lungo i fianchi e sospirò guardandosi
la punta delle scarpe.
“Se
fosse successo a me, a quest’ora mi sarei già
suicidata”
Per
molto Katie rimase ad osservare la triste sagoma della sua amica, poi
si alzò e le prese la mano guidata dalla compassione, anche
se era lei quella che doveva essere compatita, non la sua amica.
“Non
dirlo neanche per scherzo. Tutto si risolve, prima o poi, tranne che la
morte. Vedrai che troverò una soluzione, e tu non dovrai
più preoccuparti per me. Me la caverò da sola, Sandy, come ho sempre
fatto. E smettila di piangere per una stupida come me!”
Asciugò
il candido viso dell’amica, i suoi occhi luminosi spenti dal
pianto, le sue labbra contratte per non singhiozzare, e si
sentì subito meglio: le era quasi impossibile che qualcuno
tenesse così tanto a lei da piangere perché non
poteva aiutarla.
Eppure
persone del genere esistevano, ne aveva un esemplare davanti a lei.
“Senti…”
strinse ancora più forte la mano di Sandy nella sua, fino a
far diventare le sue nocche “…Oggi ho anche fatto
troppo tardi, e tra non molto ritornerò a casa. Ma domani,
non appena usciamo da scuola, ci incontriamo al nostro incrocio ed
andiamo nella farmacia più vicina, compriamo un test di
gravidanza istantaneo, veniamo a casa tua…E controlliamo se
sono veramente incinta oppure
è una mia impressione. Okay?”
“Okay”
Sandy
si era ormai calmata del tutto, ma non lasciava la presa di Katie: era
immersa nei suoi pensieri, più grandi e magnifici di lei.
“Cosa
dirà tua madre non appena glielo dirai?”
“Ancora
non ci ho pensato. Magari mi caccerà di casa, ma poco
importa! Verrò ad abitare
da te!”
“Col
cavolo! Ti toccherà sotto un ponte, di questo passo!”
“E
tu lasceresti la tua migliore amica, oltretutto incinta,
sotto un ponte?”
“La
mia crudeltà non ha limiti, Katherine”
“Soprattutto
quando usi il mio nome per intero!”
Scoppiarono
a ridere insieme, consapevoli che da quel momento in poi non ci
sarebbero più stati molti momenti per divertirsi.
Ohilà,
belle ragazze mie!! Non
ho molto tempo perciò non risponderò alle
recensioni, ma devo dirvi alcune cosette (come al solito XD)
riguardanti la mia storiella…
Innanzitutto,
la notizia più importante di tutte: il prossimo capitolo che
scriverò sarà l’ultimo capitolo.
Ehi, ehi, non
pensate male!XD
Semplicemente sarà la fine di un ciclo, e successivamente
continuerò con un altro ciclo, ben diverso da quello che
avete appena letto, ma di certo non meno avvincente!
Solo una cosa
vi chiedo di avere: pazienza.
So che
purtroppo ve ne è servita parecchia in questi mesi in cui io
ho prodotto la mia storia e non voglio assolutamente farvi attendere
ancora molto, ma ho deciso di scrivere almeno tre capitoli e poi di
pubblicarli tranquillamente ogni settimana. Così io mi
rilasso e produco molto di più e voi non rimanete a bocca
asciutta!XD
Come vi pare
l’idea? Fatemi sapere, vi ringrazio!^^
Poi dovete
anche sapere che con la fine di questa maledetta storia sveleremo il
mistero della sorpresa di Michael, di quel maledetto ciondolo ed anche
del suo strano comportamento che tanto ha fatto deprimere la povera
Fiorellino XD
Non posso
svelarvi nulla, poiché altrimenti vi rovinerei in pieno la
sorpresa, perciò aspetto soltanto un vostro parere, e la
speranza che voi continuiate a seguirmi anche dopo un periodo di
assenza abbastanza lungo (siete già allenati, tanto!XD):
sappiate che vi voglio un mondo di bene, non solo perché
siete delle persone meravigliose e le vostre parole mi fanno sciogliere
dall’emozione, ma soprattutto perché siete
riusciti a comprendere il messaggio che Michael, attraverso di me, vi
ha trasmesso.
E questo
messaggio qual è, nostra maestra onnipotente?-.-“
Beh,
chiedetelo a lui, io non centro nulla ù__ù
Ed ora (vi
prometto che me ne vado immediatamente!xD) passiamo ai ringraziamenti:
alla mia cara Romina per avermi trovato un bellissimo titolo per il
capitolo (Eheh, i Fab aiutano sempre chi ha bisogno di ispirazione ^^)
e per la sua incrollabile pazienza (Già, davvero moltissima!
* annuisce *;
Alle mie care
sorelline, Moma e Annina, che mi seguono anche verso
l’infinito e oltre XD;
E per ultima, ma non per importanza, la
mia maritina, Orsetta, per essersi ricordata di recensire un mio
capitolo (XD) ma soprattutto per aver incrociato la mia
strada… Ti voglio bene, Orsola, e non ci sono altre parole
per dirtelo ^__^
E con questo vi saluto! Al prossimo ed ultimo capitolo,
gente!;)
Looney
|
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Capitolo 14 *** You Must Be An Angel (E Non è Tutto...) ***
You Must Be An
Angel
(E non è
tutto…)
“Sei
sicura di volerglielo dire proprio
ora?”
“E
quando, sennò? Se continuo a rimandare, non glielo
dirò più!”
“Ma
se ne accorgerà comunque, Katie! In fondo, la pancia deve pur crescerti tra qualche
mese…”
“Non
parlarmi della pancia, altrimenti
mi sento male! Come farò a scuola, in giro per la
città, a casa mia…”
“In
questo momento la pancia è il problema minore: si tratta
solo di far conoscente tua madre della tua gravidanza! So che non la prenderà
bene…”
“Si
darà la colpa per la mia imprudenza, e cadrà
nella depressione…”
“Non
dire così,
tua madre non ne sarebbe capace!”
“Tenterà
di suicidarsi,
Sandy!”
“Ma
chi te lo dice?”
“Lo
dico io, cazzo! Tu non conosci mia madre: si dispererà
inutilmente quando verrà a sapere che sono incinta, e non mi
farà più uscir di casa per il resto dei miei
giorni! Sai che è terribilmente protettiva, non si
darà pace finché non avrà capito perché è successo
quel che è successo”
“E
se invece la prende bene?”
“Non
la prenderà bene,
maledizione!”
“C’è
sempre una possibilità, Katie! Ora
tu ritorni a casa, e le dici chiaro e tondo che sei incinta!”
“Non
mettermi ansia, so perfettamente quello che devo fare!”
“Ed
allora fallo”
“Aspetta
un secondo”
“Cosa
c’è?”
“Come
glielo dico?”
“Potresti
prenderla da una parte, e cominciare immediatamente, senza tanti
preamboli. Però, mi raccomando, guardala in faccia mentre le
stai parlando: capirà che ti fidi di lei, e che non aspetti
altro che ti dia qualche consiglio su come affrontare la tua situazione
nel migliore dei modi. Dopotutto lei ci è passata prima di
te, e saprà rassicurarti alla perfezione”
“Okay.
Però
c’è un altro problema, Sandy…”
“E
cioè?”
“Vorrà
sapere… Insomma… Chi
è stato…”
“E
tu glielo dirai. Non
c’è nulla di più semplice!”
“Sì,
ma…”
“Fidati
di me, Katie. Scommetto che non farà commenti poco ortodossi
su Joe. Tua madre non è il
tipo per queste cose”
“Lo
so… Bene, allora vado…”
“Vai,
con forza e coraggio!”
“Lo
spero!”
Possibile
che il 31 di ottobre facesse un caldo tremendo?
Okay,
abito a Los Angeles, una delle città più assolate
di tutto il mondo, ma mi pare abbastanza esagerato tenere le finestre
aperte e gironzolare per casa a piedi nudi, sventolandomi con Rolling
Stones e sorseggiando the freddo al limone.
Ah
sì, stavo cominciando a sudare come un bufalo.
E
tutto questo per colpa di Michael e della sua stupida sorpresa!
Ma
quando cavolo si volevano presentare entrambi?
Ho
ricontrollato trentasette volte la data sul calendario appeso in cucina
e se ancora la vista mi regge segna il giorno venerdì 31
ottobre 1986, ovvero il giorno in cui la sorpresa di quel benedetto
ragazzo dovrebbe presentarsi a casa mia.
È
da mezzanotte che aspetto ma ancora non ho visto nulla!
Oh,
che strazio!
Decisi
di sedermi sul divano ed aspettare la sorpresa comodamente seduta: se
disgraziatamente fossi svenuta per l’emozione la mia testa
non si sarebbe sfracellata al suolo, bensì sui morbidi
cuscini del divano.
Mi
stavo appisolando quando sentii sbattere violentemente il portone
d’ingresso, tanto che il divano vibrò sotto di me:
non avevo dubbi su chi fosse appena entrato.
Mi
sporsi un poco per osservare Katie che si toglieva il cappotto e lo
appendeva nel vestibolo: dalla lentezza dei suoi gesti sembrava molto
stanca, e decisi di non infastidirla ulteriormente con le mie
chiacchiere insensate, anche perché se avessi osato
avvicinarla in simili frangenti non sarei uscita viva od almeno con
tutte le parti del corpo al loro posto.
Infatti mi
stupì molto vedermela davanti agli occhi dopo qualche
momento, le mani dietro la schiena e gli occhi bassi.
Il mio
istinto materno non mentiva mai, e compresi che c’era
qualcosa che non andava: non la vedevo così preoccupata da
quando aveva cinque anni ed aveva paura di cadere dalla biciclettina
senza ruote.
“Devo
parlarti,
mamma…”
Oh
fantastico. Ora sì che mi sento meglio!
“Siediti
accanto a me, tesoro, e dimmi tutto. Non
aver paura”
“No,
non fa niente, mamma! Rimango in piedi, non preoccuparti”
“Okay…
Allora, cosa c’è?”
“Non
è facile spiegarlo… Non so neanche da dove
cominciare… Insomma…”
Il
nervosismo nella voce e nei gesti di Katie cominciò a
rendere nervosa anche me: quando mai mia figlia era stata
così ansiosa?
Bene,
quasi mai in tutta la sua breve vita.
Deglutii
e la rassicurai, dicendole di fare un bel respiro e di dire
ciò che doveva dirmi nel modo più semplice ed
immediato.
Dopo
qualche minuto di tentativi le gambe di Katie smisero di tremare
così come la sua voce.
Ne
rimasi molto sollevata, anche se avvertii un presentimento che
svolazzava felice attorno al mio naso, e di solito i miei presentimenti
non si sbagliano mai, per la gioia dei diretti interessati.
“Allora…”
Quella
parolina così piccola ed insignificante mi fece aggrappare
alla fodera del divano, stringendola a tal punto che temevo di
strapparla.
Ma in
fondo succedevano cose peggiori!
“Il
punto è che…”
Mi
sporsi verso Katie, in preda all’angoscia
dell’attesa, e sicuramente la mia faccia era mostruosamente
deformata perché arricciò il naso ed
arretrò di un passo.
“Sono
incinta!”
Bene.
“Mamma?”
Okay,
Fiordaliso.
“Mamma?”
Abbiamo
proprio svoltato!
“Mamma,
mi senti?”
E come
faccio a sentirti se sono svenuta?
“Ma
cosa diavolo hai combinato per ridurla così,
Katie?”
“Niente,
le ho solo detto una cosa”
“E
di che cosa si tratta?”
“Beh…
È una storia lunga”
“…Che
tu mi dirai non appena tua madre si sarà ripresa!”
“Perché
mai dovrei dirtelo,
impiccione di un maggiordomo?”
“Perché
è mio diritto saperlo, ragazzina!”
“Ma
come ti permetti? Questa è violazione
della privacy altrui!”
“Ehi,
voi due, smettetela! Si sta risvegliando! Ehi Fiorellino, mi senti? Tutto okay?”
Insomma,
non che mi sentissi molto bene.
Dopotutto
mia figlia di quattordici anni mi aveva appena detto che era incinta, o
sbaglio?
Eppure
al solo udire quella voce le mie membra si ammorbidirono ed i miei
occhi lentamente si riaprirono alla luce: all’inizio riuscii
a scorgere soltanto delle ombre sfocate dalla lampada del soggiorno e
dalla mia indisposizione ma dopo un po’ mi riabituai al mondo
dei non-svenuti e potei mettermi a sedere sul divano.
A
fissarmi con aria confusa c’erano mia figlia, Fernando e
Michael…
Ecco
di chi era la voce che mi aveva risvegliato! E di chi, sennò?
Riuscirei
a distinguerla anche in un nugolo di persone vocianti.
“Michael…
Ma tu che ci fai qui?”
“Mi
hanno chiamato Katie e Fernando, no? Volevano un supporto per farti rinvenire,
perciò ho lasciato tutto il mio bel lavoro a metà
e sono venuto da te” mi rispose, sorridendomi.
“Oh,
ma perché l’hai fatto? Non
ce n’era bisogno, Michael!”
“Per
te questo ed altro”
Si
sistemò accanto a me, circondandomi i fianchi con un
braccio, e lì mi sentii svenire di nuovo, se non mi avesse
sussurrato all’orecchio una frase che sviava tutte le sue
potenziali azioni pericolose: mi fidavo di Michael, ma più
passava il tempo e più mi accorgevo che il suo atteggiamento
nei miei confronti stava cambiando, e non sapevo dire con esattezza se
in meglio o in peggio.
Veniva
spesso a trovarmi, ed era molto protettivo: delle volte trascurava il
suo lavoro per stare con me, e tutto ciò mi rendeva
abbastanza nervosa.
Chiedeva
spesso di Katie, ed io gli rispondevo che era sempre impegnata con i
suoi amici, con la scuola, con i suoi imprevedibili sbalzi
d’umore, e lui ci rimaneva molto male: erano sempre stati
buoi amici, ma un così tale attaccamento non
l’avevo mai visto.
Cominciai
a preoccuparmi per noi due: Michael era una persona misteriosa ed il
suo comportamento era difficile da prevedere, ne aveva già
dato prova molto tempo prima.
Tuttavia
riuscivo a scorgere nei suoi occhi un bagliore di sincerità,
anche se piuttosto timoroso: chissà cosa avesse in serbo per
me.
Me lo
chiedevo da più di un anno.
“Non
preoccuparti, Katie mi ha
raccontato tutto”
Sussultai
sotto il suo candido tocco.
“Capisco
quanto possa essere difficile, ma tieni duro. Saprai consigliarla a
dovere, lei non aspetta altro”
Al
suono di quelle parole gli occhi scuri di Michael furono sostituiti da
due pupille dorate molto famigliari: dove avevo già visto
quegli occhi?
“Ha
un grande compito da assolvere…”
Un
momento…
“Proteggila…”
Ma non
può essere…
“Stalle
accanto…”
“Ma
come facevi a sapere…”
Le mie
labbra si bloccarono impedendomi di finire la frase, così
come gli occhi erano fissi su Michael: era come se avessi trovato la
soluzione ad un enigma infinito, sciogliendo i nodi che mi tenevano
lontana dalla verità.
Finalmente
ogni cosa combaciava al proprio posto: come cavolo non avevo fatto ad
accorgermene prima?
“Ti
senti bene,
mamma?”
I
mormorii di Katie mi riportarono a galla dai miei infallibili
presentimenti, e dopo averla rassicurata sulla
mia salute decisi che in quel modo non si poteva
più continuare: o la verità o niente!
Perciò
cacciai dal soggiorno sia mia figlia che Fernando, che se ne andarono
via mogi come due cani bastonati: li avrei fatti rimanere se solo non
avessero dovuto sentire ciò di cui dovevamo discutere io e
Michael.
Per
quanto volessi bene ad entrambi la situazione era troppo delicata: prima avrei preteso la verità,
poi mi sarei occupata
d’altro.
Quell’altro
era Katie: mi sentivo una scatola di fagioli vuota dimenticata sul
marciapiede per averla buttata fuori in quel modo, fregandomene
completamente della sua condizione e del suo stato d’animo,
ma i miei presentimenti, non sbagliando mai, pensavano che se prima
avessi risolto un problema più grande, come quello di
Michael, dopo sarei riuscita a dedicare più tempo a mia
figlia.
Dopotutto
la sorpresa era un problema, no?
A
quanto pare anche dei ricconi come Michael non andavano molto
d’accordo con i servizi postali.
A
proposito di Michael, perché era così impaurito?
Di
solito sfoggia quella irresistibile faccetta da schiaffi con la quale
è impossibile insultarlo senza cadere nei sensi di colpa, ed
invece ora devo sorbirmi questa nuova particolare espressione con la
quale Michael non si divertirà più a regalarmi
sorprese.
“Innanzitutto
devo porti due basilari domande, Michael”
Bene,
si comincia!
“Okay,
dimmi” rispose Michael visibilmente preoccupato.
“Prima
basilare domanda: come facevi a sapere che mia figlia era incinta prima
che lo venissi a sapere io? Te
l’ha detto lei, per caso?”
“No,
non mi ha detto nulla…”
“Centra
qualcosa una certa indigena con un nome che ora non mi
ricordo?”
Michael
mi fissò interdetto, cercando di afferrare il concetto della
mia affermazione.
“Stai
parlando di Elizabeth?”
“Di
chi?”
“Di
Elizabeth. Occhi Che Vedono Nel Buio
è il suo nome indiano, non lo usa molto spesso. Anzi, ora
che ci penso, non lo usa mai! Come
fai a conoscerla?”
“Come
fai a conoscerla tu!”
“È…
Una mia vecchia amica”
“Quanto
vecchia?”
“Ha
più o meno la tua età. Ci frequentiamo da
parecchio, ma non siamo mai andati oltre… Siamo solo buoni
amici”
“Lo
immagino”
“Dove
l’hai conosciuta?”
“Non
importa! Ciò che mi ha sconvolto è quanto mi ha
detto su Katie, praticamente le stesse cose che mi hai detto tu! Cioè, ci ha azzeccato!”
“Per
forza, è una veggente”
“Davvero?”
“Sì.
Sapeva di lei ancor prima che Katie conoscesse il padre di sua figlia”
“Sua
figlia?”
Indietreggiai
terrorizzata e rischiai quasi di cadere per colpa del maledetto
tavolinetto del soggiorno che si era appostato dietro di me, ma
fortunatamente mi ci ritrovai seduta sopra, fissando Michael come se
fosse stato un cervo a tre teste che stava bevendo Coca Cola con le
orecchie.
Quel
ragazzo mi è sempre apparso diverso dagli altri, ed ora
avevo la prova che lo era: non sapevo
cosa in realtà fosse, se non che non era umano.
A meno
che non fosse anche lui un veggente, come aveva fatto a sapere che
Katie aspettava una bambina?
Il
sesso del neonato è uno dei problemi minori di una mamma:
l’importante è che suo figlio sia sano e cresca
bene, perciò, conoscendo Katie, pensai che non gliene
interessasse nulla.
Inoltre
prima di qualche mese non si nota neanche, e Katie presentava ancora la
sua solita pancia da adolescente seria e magra.
Conosceva
anche il padre della piccola!
No no,
non può essere umano…
“T-tu
come cavolo fai a… A sapere…”
“Calmati,
Fiordaliso, non è successo niente…”
“I-io
sono calmissima, Michael… Vorrei solo capire in che guaio mi
sono cacciata… E come mai tu sai di mio, anzi, di mia nipote…”
“Ti
spiegherò tutto, ma stai calma, per favore!”
Michael
riuscì a bloccare le mie braccia che stavano per strozzarlo
e con esse si bloccarono anche le mie labbra, non
tanto perché stavo per ricevere la
verità tanto agognata, quanto per la tranquillità
interiore che mi trasmetteva il tocco di Michael.
Ancora
un altro inspiegabile fenomeno che a distanza di anni non ho ancora
compreso…
“Allora,
Fiordaliso…So così tante cose sul conto di tua
figlia perché…”
“Perché?”
“Perché…Oh,
così è troppo difficile da spiegare!”
“Ed
allora spiegati diversamente!”
“Okay,
allora… Hai presente la tua sorpresa?”
“Ho
presente, purtroppo”
“Bene,
allora devi sapere che…”
Michael
trattenne il respiro per un tempo che mi sembrò infinito. O
forse è la mia fervida immaginazione che mi fa allungare il
tempo?
“La
sorpresa che avresti dovuto ricevere oggi…”
Stavolta
ero io a trattenere il respiro: la situazione mi ricordava tanto quei
concorsi alla TV nei quali il conduttore ti lascia addirittura il tempo
di depilarti entrambi le gambe prima di designare il nome del vincitore.
Odio i
concorsi televisivi.
“È
tua nipote”
Bene,
questa ci voleva proprio!
“Sei
svenuta un’altra volta?”
“Oh
figuriamoci, con tutto quello che mi è successo oggi
è un miracolo che sia partita per
poco tempo!”
“Scusami”
Per la
seconda volta Michael mi aiutò ad alzarmi, stavolta dal
pavimento, e mi fece accomodare sul povero divano, che in meno di
mezz’ora ne aveva passate di tutti i colori.
Dopo
che mi fui ripresa mi chiese se poteva continuare la sua spiegazione ed
io, curiosa e senza alcuna preoccupazione sulla mia
emotività vacillante, accettai.
Non mi
preoccupavo di perdere i sensi se c’era Michael a soccorrermi.
“Innanzitutto
devi sapere che io non sono un vero e proprio essere umano…
Bensì un angelo”
“Questo
me l’ero immaginato”
“Perché
ora non ti stupisci… E non svieni?” mi chiese
Michael confuso dal mio tono di voce pacato.
“Per
far contento te? Ormai non mi emoziono più per
così poco, al mondo succedono cose peggiori. E poi me lo
aspettavo: una persona meravigliosa come Michael Jackson non
può certo venire da questo mondo”
“Grazie
per avermi fatto notare il fatto che io sia un
extraterrestre” rispose ironicamente, facendomi ridacchiare
soddisfatta.
“Anche
se non sono un extraterreste:
sono un angelo”
“Questo
l’avevo capito. Ma cosa
centra con la mia sorpresa?”
Michael
sospirò e mi guardò stancamente.
“È
una storia troppo complicata: non posso iniziare da metà
racconto e poi terminare al suo inizio. Perciò ti
farò conoscere la nostra storia,
e poi arriverò alla tua sorpresa”
“Okay,
ma sbrigati, sono impaziente!”
Michael
sospirò ancora.
“E
va bene! Innanzitutto devi sapere che gli angeli si dividono in varie
categorie, ma ce ne sono due estremamente importanti…”
“Okay…”
“La
prima è rappresentata dagli
essere umani che morendo si trasformano in angeli custodi,
(di solito proteggono le persone che più hanno amato nella
loro vita terrena) ma naturalmente non sanno che, arrivati in Paradiso,
diventeranno messaggeri del Signore.
La
seconda categoria, cui appartengo io, contiene degli angeli molto
particolari, che nascono con il potere di trasmettere messaggi al mondo
ed all’umanità attraverso il loro talento divino:
sono gli artisti. Pittori, musicisti, scrittori, cantanti, ballerini,
disegnatori, e quant’altro sono i messaggeri del Signore per
eccellenza: attraverso la loro arte il messaggio divino arriva diretto
al cuore di ogni persona, e fa sì che si trasmetta
più velocemente, da individuo a individuo.
“Sospettavo
anche questo”
“Mi
fa piacere, vuol dire che hai recepito il messaggio!”
“Certamente!
Ma la mia sorpresa?”
E qui
Michael sospirò per la terza volta.
“Ci
sto arrivando!”
“Okay”
“Bene!
Dicevo, noi artisti siamo consapevoli sin da subito
dell’influenza divina in noi, e questo non può far
altro che accentuare le nostre capacità.
Naturalmente
abbiamo caratteristiche diverse dai nostri colleghi terrestri: possiamo
calmare gli animi affannati semplicemente stando accanto ai diretti
interessati. L’effetto, di solito, è immediato.
Poi,
ogniqualvolta ci troviamo in pubblico, ogni attenzione è
concentrata su di noi, e non possiamo assolutamente evitarlo: purtroppo
ne so qualcosa…”
“Già!”
“E,
cosa più importante, possiamo proteggere un umano mentre
siamo ancora in vita.
Ma non
siamo noi a sceglierlo”
“Perché?”
“Siamo
angeli particolari, e non possiamo
privilegiare una persona, ben sapendo che ce ne sono altre che hanno
più bisogno del nostro aiuto. Perciò ci
accontentiamo di quello che ci viene dato”
“Ma
non è giusto! Magari vi capita un cretino che odia la vostra
arte, e voi ve lo dovete portare appresso finché non muore!”
“Col
tempo si diventa amici, tranquilla. Esistono
problemi peggiori”
“Anche
questo è vero. Ma la mia
sorpresa?”
Michael
non ne poteva più di sospirarmi in faccia, perciò
si limitò a guardarmi esausto.
“Ora
ci arrivo.
Stavo parlando dei nostri protetti, che quasi sempre sono semplici
esseri umani. Dico quasi sempre
perché può capitare che ci vengano dati angeli
custodi come noi.
È
un fenomeno rarissimo, che si ripete ogni secolo: in questi cento anni
a quattro angeli custodi molto influenti viene affidato un bambino, che
può nascere in qualsiasi anno ed in qualsiasi luogo, ma solo
il suo protettore può sapere ciò.
Prima
della loro nascita noi incontriamo i loro parenti, ai quali diamo tutte
le informazioni necessarie per crescere e tenere al sicuro il piccolo
prima che venga affidato a noi. Lì diventiamo amici dei
bambini, facendogli conoscere la loro vera natura, e non ci separeremo
finché loro moriranno. In certi casi siamo noi a morire, ma
non lasciamo mai solo il nostro protetto: il rapporto che ci lega
è così forte che neanche la morte può
spezzarlo”
“Perciò
tu vuoi dire che…”
“Sì,
la bambina che sta aspettando Katie è la mia protetta. Ed è un angelo custode…
Come me”
“Forte!”
dissi dopo parecchi minuti di silenzio.
Veramente
non sapevo cos’altro dire: la notizia era sconvolgente.
Troppo
sconvolgente.
“Sorpresa?”
“Molto.
Però mi aspettavo di
peggio”
“Davvero?”
ridacchiò Michael.
“Sì.
Pensavo che fossi un extraterrestre, e che volessi regalarmi una nipote
extraterrestre. Ma fortunatamente non è andata
così.
Mia
nipote è un angelo”
Sorrisi
a quel maledetto ragazzo che mi aveva cambiato la vita in meno di dieci
minuti, con una piccola frase.
Ne
avrei viste di peggiori, ora che mi toccava allevare una creatura molto
particolare e delicata, ma sapevo che con il suo aiuto sarei riuscita
in qualunque impresa.
Ma
c’era ancora qualcosa che volevo sapere.
“Ed
il ciondolo?”
“Cosa?”
“Il
ciondolo a forma di coroncina che mi avevi regalato…
È per lei, vero?”
“Sì.
Le servirà per farsi riconoscere dai suoi tre simili, e
dovrai donarglielo tu, visto che sei la prima alla quale il suo
protettore ha parlato”
“Ho
capito. Perciò ora lo
dirai anche a Katie?”
“Ed
anche a Fernando”
“Quel
capoccione non ti crederà mai!”
“Dovrà,
per forza. Anche lui fa parte della
tua famiglia”
“Già.
Allora… Glielo diciamo
subito?”
“Come
vuoi”
“Okay,
vado a chiamarli!”
Mi
alzai velocemente dal divano e corsi verso la porta, ansiosa di
raccontare alla mia famiglia ciò che avevo scoperto:
certamente ci sarebbero rimasti di stucco come me, ma mi sentivo in
dovere di farlo.
Michael
si fidava di me, non potevo deluderlo.
Mi
resi conto solo allora della luce misteriosa che aleggiava per tutta la
nostra casa: la dolce luce di un angelo in arrivo.
Come
avevo previsto, al ricevimento della notiziona, Katie si
immobilizzò come un palo del telefono e non si mosse fin
quando Michael non la rassicurò dolcemente, e Fernando
cominciò ad urlare insulti e scongiuri
all’indirizzo mio e di Michael, tantoché dovemmo
inondarlo di camomilla e carezze.
Tutto
sommato, però, mi aspettavo una reazione peggiore da
entrambi: dopo lo sconvolgimento iniziale si ammorbidirono e promisero
di mantenere il segreto fin quando la piccola nel grembo di mia figlia
non fosse stata abbastanza autosufficiente e matura da cavarsela da
sola nel temibile mondo in cui sarebbe nata.
Nel
frattempo noi quattro l’avremmo educata e protetta, a partire
dalla madre, che sarebbe stata la sua prima amica.
Negli
otto mesi che seguirono quel meraviglioso Halloween la gravidanza di
Katie procedette a meraviglia, con qualche disturbo tipico del periodo
e continui sbalzi di umore della diretta interessata, che tuttavia non
si preoccupava minimamente della sua condizione, come invece molte
ragazze della sua età facevano: ciò mi rese
decisamente più tranquilla, e meno apprensiva, anche se
l’ansia di diventare nonna così giovane (avevo pur
sempre trentacinque anni!) non diminuiva col passare del tempo.
Fernando
e Michael, gli uomini della situazione, furono molto interessati a
ciò che succedeva a mia figlia, visto che le volevano
entrambi molto bene, ma poterono stare poco tempo con lei: Fernando
doveva tener pulita la casa e sbrigare tutte le sue mansioni da brava
governante, mentre Michael era impegnato a perseguire la sua brillante
carriera, rimanendo ore e ore rinchiuso negli studi di registrazione
assieme ai suoi fidati collaboratori.
Il
panico si scatenò il giorno del parto: era un caldo giorno
estivo, e Katie aveva da poco finito la scuola quando
avvertì degli strani dolori provenire dal suo pancione, che
durarono per molte ore, diventando via via più intensi, e
costringendola a sdraiarsi sul divano.
Io e
Fernando la spingevamo a correre in ospedale ma lei, che odiava
qualsiasi medico e qualsiasi nosocomio esistente sulla faccia della
Terra, preferiva sopportare i dolori del travaglio nella sua
accogliente casetta; anzi, si era ripromessa che sua figlia sarebbe
nata nel soggiorno di casa sua.
Le sue
previsioni si avverarono, il giorno 18 giugno 1987, alle prime luci del
mattino, dopo una notte intera passata nel dolore e
nell’ansia.
Dopo
qualche ora di tentativi, mia nipote venne alla luce, infagottata nel
liquido amniotico e nel sangue, ma bellissima, così bella
che mi era impossibile smettere di guardarla.
Michael
mi aveva avvertito riguardo ciò: loro angeli sono attraenti,
anzi, magnetici, ma naturalmente
innocui.
Mi
aveva anche detto che, nonostante il piccolo angelo custode somigli
molto ai suoi genitori, sia fisicamente che caratterialmente, chiunque
lo conoscerà non potrà far a meno di dire che gli
ricorda moltissimo una persona: nel caso di mia nipote,
perciò, Michael Jackson.
Ebbi
la conferma di questa bizzarra affermazione lavandola ed asciugandola
con cura nel lavandino del bagno: il colore della sua pelle era
leggermente più scuro di quello di Katie, gli occhi scuri
come i miei, ma molto più grandi, dotati di ciglia lunghe e
ricurve, strane per una neonata, ed i capelli neri le avvolgevano la
testolina in un nugolo di riccioli incredibile.
In
effetti, seppur fosse appena nata, mi ricordava terribilmente sia Katie
che Michael.
Aveva
qualcosa anche del padre, ma non sapevo distinguere cosa: forse non
aveva preso molto da lui, dopotutto i caratteri dominanti appartenevano
alla madre, ma aveva qualcosa di
lui.
Mi
sembrava impossibile, ma stavo ammirando una meraviglia della natura, e
non lo dicevo solo perché la bimba in questione era mia
nipote, poiché chiunque si sarebbe accorto della sua
particolarità: la piccola era così bella da non
sembrare addirittura umana.
Anche
sua madre si stupì, la prima volta che la prese in braccio:
nonostante gli avvertimenti di Michael il risultato era assolutamente
inimmaginabile, poiché nel suo dolce visino ci vedeva tre
persone completamente diverse.
Fu sua
l’idea di donare un nome speciale a quella creatura
traboccante di magia, e tutti, compreso quello scettico di Fernando,
furono d’accordo.
Aspettammo
il ritorno di Michael dai suoi impegni, che negli ultimi tempi si erano
infittiti, e ci sedemmo con calma sul famoso divano del soggiorno: i
primi a parlare furono io e Michael, poiché Katie voleva che
il primo nome di sua figlia fosse scelto dal suo padrino e da sua
nonna, dopodiché sarebbe arrivato il suo, e poi quello di
Fernando.
Sia io
che Michael eravamo molto indecisi sull’argomento: in fondo
non era una cosetta da poco!
Dopo
vari ripensamenti, però, arrivammo alla soluzione: Michael
era il nome giusto per la bambina, e l’avrebbe portata fiera
come una medaglia.
Dapprima
Katie e Fernando ci fissarono torvi, poiché erano
dell’opinione che Michael fosse un nome maschile, poco adatto
allo splendore che riposava tranquillo tra le braccia della mamma e su
cui erano puntati i miei occhi da molto.
Giustificai
la nostra scelta dicendo che conoscevo molte ragazze che si chiamavano
Michael, e che nessuna si era mai lamentata.
In
realtà non conoscevo nessuno, ma sempre meglio fare un
po’ di scena per far valere le proprie idee.
Fatto
sta che i due testardi accettarono la mia richiesta, e Katie si accinse
a rivelare il secondo nome per la figlia.
L’aveva
deciso da parecchio, perciò non dovette pensarci su: fu
così che a Michael si aggiunse Diana, sotto
l’appoggio di tutti.
Rimaneva
Fernando, che in quanto a nomi aveva gusti molto discutibili: sin dalla
nascita della sua famiglia i bambini si erano dovuti sorbire i nomi dei
propri nonni, ed in un’epoca del tutto superata per questa
tipologia di rituale, lui si presentò con Maria Teresa, la
sua dolce nonnina andata ormai da anni.
Naturalmente
nessuno si trovò d’accordo con lui: a Katie non
piaceva, io lo ritenevo troppo antiquato e Michael disse che era troppo
lungo.
Continuammo
così fin quando Fernando propose il nome della sua bis-bis
nonna, Josefina, una tipa tosta, nonché ottima cuoca.
Aspettò
il nostro responso con un grande sorrisone stampato in faccia, fin
quando Michael alzò il suo viso pensieroso dalla
contemplazione del pavimento e disse:
“Mi
piace”
Io non
sapevo cosa dire, poiché Josefina mi ricordava terribilmente
Joseph… Ma pensandoci
bene, il padre della bambina si chiamava Joseph, perciò non
c’era rischio di viscidi fraintendimenti.
Piacque
anche a mia figlia, ribadendo che un omaggio a Joseph Johnson era
d’obbligo, anche se non sapeva ancora come avrebbe spiegato a
sua figlia dove cavolo si era cacciato suo padre.
Ma
questo, per lei, era uno dei problemi minori, come la giovinezza
storpiata: infatti, se qualche mese prima si era disperata per la sua
gravidanza, sbattendo la testa addosso al muro fino a far vibrare le
tegole del tetto, ripetendosi ad alta voce insulti e piangendo come
un’isterica, ora era la ragazza più felice del
mondo.
Perché,
nonostante dovesse badare da sola ad una bambina, senza un padre
né la maturità di un adulto, pensava che tutto
sarebbe andato per il meglio, senza intoppi.
Mia
figlia sognava, e non era l’unica: anche io mi lasciavo
andare alla convinzione che nulla avrebbe intaccato la nostra
felicità.
In
fondo, bastava crederci.
Nulla
è reale, tutto è possibile.
Al
termine della nostra riunione Michael se ne ritornò nella
sua accogliente casetta di Encino, salutando la sua omonima baciandola
dolcemente sulla fronte, e lei, avvertendo il tocco del suo padrino, si
sbracciò per ringraziarlo, parlandogli in una lingua
sconosciuta a noi esseri umani.
Compresi,
quindi, che mia nipote non solo
era bellissima ma anche intelligentissima, forse più
intelligente di un bambino di due anni, lei, che aveva neanche due
giorni.
A
molti avrebbe spaventato tenere un angioletto in casa, oltretutto se si
trattava di un angelo speciale come la
piccola Michael: gli angeli sono così sensibili
che si ha sempre paura di parlargli o di toccarli, facendo
sì che loro si scostino da noi e ritornino nel loro mondo
incantato, popolato da esseri simili a loro, in cui la
realtà viene del tutto cancellata.
Le
esperienze passate mi avevano aiutata ad affrontare la
realtà, non a fuggirla, seppur con fatica: sono sempre stata
una sognatrice, e mi era difficile dimenticare il passato per pensare
meglio al presente.
L’avventura
che stavo cominciando con mia nipote, però, rappresentava
una brillante scusa per rianimare la non-realtà, tutto
ciò che supera i limiti convenzionali della ragione, e certe
volte anche della fantasia.
L’unico
modo per proteggerla era viaggiare sulle vette
dell’immaginazione.
E
sicuramente né io né lei mancavamo di
immaginazione.
Sì,
sarà una meravigliosa avventura.
The
End
Buonasera a
tutti, gentili signori.
Chi vi parla
è la vostra amata Looney, ovvero l’autrice di
questa pregevole opera ù___ù
Ebbene, siamo
arrivati alla fine, e ciò mi dispiace parecchio (spero che
dispiaccia anche a voi!XD)
Comunque ora
non voglio dilungarmi tanto, poiché sicuramente siete
stanchi di sorbirvi i miei capitoli chilometrici, e le mie innumerevoli
“cosette”: vi dirò soltanto qualcosina
riguardo la seconda
parte della storia, e poi passerò ai ringraziamenti.
Innanzitutto
la seconda parte di Will You Be There arriverà verso la fine
dell’estate, poiché voglio prima scrivere un
considerevole numero di capitoli prima di pubblicarla, così
non mi ammazzerò come ho fatto
quest’anno… Non ne parliamo .___.
Poi non
sarà più raccontata da Fiordaliso,
bensì dalla sua nipotina Michael, che io chiamo Mike per
comodità, ma voi potete chiamarla come vi pare XD state tranquilli,
perché Fiorellino non se ne andrà! Le piace
essere al centro dell’attenzione, in qualsiasi momento, e la
dovrete sopportare ancora per molto XD
Poi,
poi… E poi cosa c’è da dire?
°__°
Aaaaaah,
ecco….!*___*
Ehi, ma
perché devo dirvelo? <___<
Se lo faccio,
vi rovinerete tutta la sorpresa, ed è l’ultima
cosa che voglio fare!ù__ù
Perciò,
passiamo subito ai ringraziamenti, così tolgo immediatamente
il disturbo, ed inizio a scrivere la seconda parte!*__*
Vorrei
ringraziare, prima di tutti:
·
Le persone
meravigliose che in questo anno mi sono state vicine, e mi hanno
aiutato, anche semplicemente con la loro presenza, ad alleviare la
fatica e la stanchezza del duro mestiere di scrittore. Ma anche del
duro mestiere di ragazza di sedici anni;
·
Tutto
ciò che mi circonda, a partire da tutto ciò che
non è come sembra, e da tutto ciò che
è ma non esiste, ovvero la non-realtà;
·
La mia
inafferrabile cultura, ed il mio egocentrismo senza pari (appunto
ù__ù);
E per ultimo,
ma non meno importante, Michael Jackson: perché senza di lui
questa storia non sarebbe mai esistita.
Ti ringrazio
dal profondo dell’anima, Michael, angelo custode di tutti
coloro che ti hanno amato e continueranno a farlo per sempre, come me.
Ti voglio
bene, ricordati di me passeggiando tra le nuvole con i tuoi simili.
E dopo questa, passo e chiudo!
A presto
**Looney**
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