Will You Be There

di Looney
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tutto iniziò con un fazzoletto di raso color crema...(Storie del passato che si ripetono nel futuro-Prima parte) ***
Capitolo 2: *** Fidati di me( Storie del passato che si ripetono nel futuro-Seconda parte) ***
Capitolo 3: *** Facevo bene a tenere la bocca chiusa !(I segreti non smettono mai di venire a galla...) ***
Capitolo 4: *** Di nuovo insieme (Regola numero uno , non perdere mai la speranza) ***
Capitolo 5: *** Sogno di una notte di mezza estate(Le sorprese arrivano quando meno te le aspetti) ***
Capitolo 6: *** Nemico o...? (Comincio a sentire puzza di bruciato tra i banchi di scuola ..-Prima parte) ***
Capitolo 7: *** Luci celate (Comincio a sentire puzza di bruciato tra i banchi di scuola ..-Seconda parte) ***
Capitolo 8: *** Sulle colline ed oltre (Gli opposti si attraggono, sempre ed inevitabilmente) ***
Capitolo 9: *** Halloween(Anche i vampiri hanno un cuore-Prima parte) ***
Capitolo 10: *** La verità (O quasi...) (Anche i vampiri hanno un cuore-Seconda parte) ***
Capitolo 11: *** She's got a ticket to ride (But she don't care) ***
Capitolo 12: *** Happy XMas (WAR IS OVER. If you want) ***
Capitolo 13: *** Your Mother Should Know ***
Capitolo 14: *** You Must Be An Angel (E Non è Tutto...) ***



Capitolo 1
*** Tutto iniziò con un fazzoletto di raso color crema...(Storie del passato che si ripetono nel futuro-Prima parte) ***


              Tutto iniziò con un fazzoletto di raso color crema…

        (Storie del passato che si ripetono nel futuro-Prima parte)

                              
Oggi è una giornata molto calda, la tipica giornata dall’afa massacrante in una metropoli con milioni di abitanti e chilometri d’asfalto.
Fa così caldo che, secondo me, anche il freddo oceano non ce la fa più e vuole un minimo di frescura.
Gli uccellini appoggiati sulle balaustre dei viali e sui pali del telefono si stanno spennando da soli e tra un po’ si faranno un bagnetto in qualche piscina privata, con la loro piccola mole non danno di certo fastidio.
Mentre l’asfalto…L’asfalto rovente ribolle e ai miei occhi sembra che si muova come un lungo fiume di Coca Cola.
Gli alberi delle ville di fronte alla mia assomigliano a una cascata di the verde, le case a budini multicolori che si agitano senza sosta…
Ah, maledetto caldo, mi fa venire le allucinazioni, tra un po’ mi mangio le tende del soggiorno scambiandole per zucchero a velo!
Succede sempre così, quando mi metto ad aspettare mia figlia che ritorna dalle sue scorribande con gli amici; seduta di fronte alla finestra ammiro le case dei nababbi affacciate sull’oceano come la mia e qualche volta mi lascio prendere dall’immaginazione.
Stavolta però, lo devo ammettere, è stata colpa del caldo e non della mia fervida inventiva; ed inoltre oggi è un giorno troppo importante per me e lo sarà anche per mia figlia: infatti sto per rivelarle un segreto che mi tengo dentro da ventuno anni e scommetto che le piacerà, a patto che lei non lo dica a nessuno.
Cavolo, non sto più nella pelle! Quasi quasi mi mangio anche quella!
Non che mi dispiaccia: ha un colorito così appetitoso…
Sono stata fortunata a nascere da uomo il cui Paese è baciato dal sole ogni giorno dell’anno, dove la gente è allegra e laboriosa, e ci sono chilometri e chilometri di deserto in cui scorrazzare.
Adesso invece abito nella città che è la più bella ma anche la più maledetta della costa occidentale ovvero Los Angeles, la città delle stelle, un luogo magico e ingannevole dove niente è vero e tutto è falso.
Lo dico io, che amo le cose autentiche e i sentimenti veri e tutto questo luccichio che serve a coprire la verità mi da la nausea.
Ma è l’unico posto dove abbiamo trovato una casa in vendita a un prezzo decente (una villetta a due piani con giardino e piscina annessa a 235.000 dollari, un affarone!) ed inoltre mia figlia ha insistito molto su questa scelta; col tempo quindi ho imparato ad amare Los Angeles che, come tutte le città americane ha i suoi pregi e i suoi difetti.
Mia figlia invece non sembra trovarci niente di negativo, a parte la metropolitana, che non prende mai.
A proposito, la furbetta non è ancora tornata ed io ne approfitto per prendere in prestito un suo 45 giri e il mangiadischi.
Faccio così tutte le volte che lei non c’è e so che tornerà tardi, e finora non mi ha mai scoperto!
Dovrebbe succedere il contrario, lei dovrebbe rubare le mie cose ma noi siamo una famiglia un po’ particolare: capovolgiamo ogni cosa, perfino la più stupida, ma ci piace, ci rende uniche e a prova di noia!
Salgo quindi in cameretta, frego il 45 giri e il mangiadischi e me ne ritorno giù in soggiorno, dove metto il disco nell’apparecchio e lo faccio partire sulla mia canzone preferita.
La canzone è Billie Jean e appena attacca mi metto a ondeggiare come la casa-budino delle mie allucinazioni, cercando di essere il più naturale possibile.
Poi, appena lui comincia a cantare, io lo accompagno nel migliore dei modi: però, c’è da dire che non sono male come cantante, gli sto dietro tranquillamente e non sbaglio una nota…
Sto al limite dello spasso quando sento il portone di casa che si apre cigolando e dei passi che si avvicinano al soggiorno.
E una voce…
Anzi, un urlo.

“Mamma?”
“Ehm, tesoro, sei tornata presto oggi, non me lo aspettavo…”
Pessima bugia, è da stamattina alle nove che manca da casa e sono le sei del pomeriggio.
C’è da ammetterlo, però, non sono mai stata brava a raccontare bugie.
“Mamma, che cosa stai facendo con il mio Thriller e il mio mangiadischi?”
“Beh, non si vede, lo sto ascoltando… Perché, adesso tua madre non può prendere in prestito i tuoi dischi?”
“No, va bene? Sono miei, e sai che sono molto gelosa delle mie cose, quindi spegni il mangiadischi e dammi Thriller!”
“Ai suoi ordini, capitano Katie” Sbuffai io, e dopo aver fatto quello che mi aveva ordinato la Boss, le feci notare le condizioni deplorevoli dei suoi vestiti, che da bianchi erano diventati color cioccolato al latte, come la sua pelle.
“Hai giocato a baseball dopo essere andata in spiaggia, eh?”
Smascherata, lo si legge dall’espressione del suo viso. Rassegnata e colpevole.
“Sì, Kevin ha tanto insistito perché io facessi una partita con gli altri che alla fine non ho resistito e mi sono buttata”
Attimo imbarazzante di silenzio.
“Sei arrabbiata?” mi chiede.
“Ma che stai dicendo Katie, certo che no! È normale per una ragazzina della tua età giocare con gli amici a una salutare partita di baseball, no?”
“Sì, è normale per un ragazzo. Ma per una ragazza no”
“Adesso non metterti in testa che il baseball è uno sport per soli maschi, perché non è vero, capito? Anzi, scommetto che tu sei molto più brava di tutti i tuoi amici messi insieme, non è così?”
Le sorrisi e le feci l’occhiolino.
“Beh…Sì” Anche lei mi sorrise, con finta modestia.
“Ecco, quindi la prossima volta stendili tutti quei maschietti e fagli vedere che noi donne non siamo solo capaci a badare ai bimbi e a far svolazzare le gonnelle,va bene?”
“Sì, mamma. Te lo giuro su tutti i miei dischi, e soprattutto su Thriller!” Aveva una faccia convinta, per fortuna, ed era tornata la Katie di prima.
E poi se giurava su Thriller potevo star certa che non mi avrebbe delusa!
“Ah, allora okay, tesoro, ci conto! Comunque sarai stanca adesso, ti va un po’ di the fatto dalla tua mammina?”
“Va bene, prova pure ma scommetto che non sarà mai buono come quello che fa Fernando!”
Fernando è il nostro fidato maggiordomo, nonché il mio migliore amico sin da quando abitavo in Messico. Dire che fosse un maggiordomo era piuttosto esagerato, ma lui amava definirsi così, e non gli davamo torto, anche se non voleva da me nessun versamento in denaro.
Dice che l’unica ricompensa per lui è vederci felici. Che uomo generoso!
“Beh, l’unica differenza tra me e lui è che lui prepara il the per mestiere, mentre io lo faccio perché voglio bene alla mia adorata figliola, tutto qui!”
“Anche lui mi vuole bene ma è un dato di fatto che tu non sai fare un buon the!” Mi voleva stuzzicare, la viperetta, sapeva che io non ero una brava cuoca, e lo usava ogni volta come pretesto per sfidare la mia pazienza, ma Fiordaliso non ci casca, nossignore!
“Bene signorinella, visto che sei stata tanto gentile con tua madre, puoi dire addio ai tutti i tuoi dischi, compresi tutti quelli di Michael Jackson e dei Jackson Five”
Il viso di Katie da rilassato si contrasse, la sua bocca si spalancò in una enorme O e gli occhi si sbarrarono.
“Tu… Tu non faresti mai una cosa del genere! Anche a te piace Michael, non butteresti mai i suoi album fuori dalla finestra né nella pattumiera, ci scommetto un occhio nella testa!” Ormai era diventata furiosa, e dire che io stavo solo scherzando!
“Uffa calmati, non dico sul serio! Hai ragione, non farei mai una cosa del genere, né tanto meno a un ragazzo bello e bravo come Mike. Ma per chi mi hai preso?” Le mie parole davano l’aria di averla calmata, almeno in superficie.
“Va bene, adesso basta litigare, facciamoci questo the, che è quasi ora di cena!” In effetti abbiamo perso più di tre quarti d’ora a parlare di emancipazione femminile, piccoli furti casalinghi, miti afro americani e giustamente Katie voleva il suo the.
Oh santo cielo, il segreto che dovevo rivelarle, mi ero completamente dimenticata! I litigi mi fanno sempre questo effetto!
Vabbè, glielo dirò con calma dopo cena.
A proposito di cena…Dove diamine si è cacciato Fernando?
Oh, accidenti, non dirmi che devo preparare la cena da sola, non sono capace!
Ah, sento fischiettare, è lui finalmente! Sia ringraziato il cielo, che paura che ho avuto in nemmeno un attimo!
Ripresa dallo spavento e assistita dal fidato Fernando, preparai il the a Katie e a me, annunciandole di tenersi pronta dopo cena perché le avrei rivelato uno dei miei più grandi segreti.
Lei era al settimo cielo, mi disse che non vedeva l’ora di scoprirlo ma mi promise che non avrebbe detto a nessuno ancor prima che glielo ricordassi io… Che mi avesse letto nel pensiero?

Fatto sta che dopo cena si lavò, si asciugò, si pettinò i capelli e si mise la camicia da notte delle grandi occasioni, (per quante ce ne siano state in tutta la sua carriera di dormigliona) tutto a tempo di record e si mise seduta sul letto con le mani incrociate in grembo e i piedi che picchiettavano sul parquet, impazienti.
Io afferrai il segnale in codice e mi misi seduta di fronte a lei sul letto, tirai un bel sospiro e le chiesi:
“Sei pronta?”
“Non lo sono mai stata tanto” Mi rispose solennemente come se stesse decidendo le sorti di un malato in fin di vita.
“Beh, ecco…” cominciai, un po’ insicura.
“Non è facile, ma se avrai un po’ di pazienza ti racconterò tutto per filo e per segno”
“Okay, avrò pazienza, ma arriva subito al punto”
Si vedeva a un miglio di distanza che fremeva dalla voglia di sapere, e quindi decisi di accontentarla una volta per tutte.
“Allora…”
Tirai un altro lungo sospiro e le feci una domanda a bruciapelo, ma sapevo già cosa mia avrebbe risposto.
“Katie, a te piace Michael Jackson, vero?”
Mia figlia mi guardò con occhi sgranati e sbottò:
“Ma che razza di domande mi fai, mamma? Lo dovresti sapere che io ho occhi solo per lui: lo seguo da quando uscì Off The Wall e da allora non faccio altro che ascoltare la sua musica! Per me gli altri cantanti non sarebbero nulla senza Michael, io lo amo e penso che sia il cantante più bravo e più bello in assoluto! Anzi secondo me non è neanche umano, è un angelo sceso dal cielo per deliziarci con la sua magnifica voce e la sua innaturale bellezza…”
I suoi occhi sognanti erano rivolti al cielo e le mani erano giunte in segno di devozione come se stesse parlando di un dio.
Sempre esagerata, mia figlia, quando si tratta di Mike.
Poi all’improvviso il suo viso si rilassò e mi guardò come se avesse già capito.
“Perché, il segreto riguarda forse lui?” mi chiese quasi sussurrando.
Io tirai l’ormai famoso sospiro e dalle labbra mi uscì un fievole “Sì”
Non vidi direttamente in faccia mia figlia perché io stavo con le spalle girate rispetto a lei ma credo che con il suo silenzio e la sua compostezza stava aspettando il mio racconto con pazienza, come le avevo raccomandato.
Quindi, senza nulla che mi fermasse e spinta dal solo desiderio di togliermi quel peso cominciai a raccontare.

 “Mi ricordo che faceva caldo quel giorno, come oggi, solo che invece di essere luglio era maggio, e mi ricordo anche che tutto iniziò con un fazzoletto di raso color crema…”

 “Un fazzoletto di raso color crema? E adesso che centra con Michael?”
“Ti ho detto di avere pazienza, se mi metti fretta rovini tutta l’atmosfera”
“Ah, scusa mamma, continua pure”
“Bene, allora, eravamo rimaste al fazzoletto color crema…”

 “Mia sorella, ovvero la tua adorabile zietta, doveva sposarsi entro due mesi, solo che ancora non aveva deciso il servizio da tavola né quali tovaglie e quali tovaglioli  mettere al ricevimento. E secondo lei era un vero guaio, perché il matrimonio della figlia dell’imprenditore più ricco di Città del Messico doveva essere un evento memorabile e molto lussuoso, qualcosa che anche i posteri avrebbero dovuto ricordare come “l’evento del secolo”.
A me sinceramente non interessava nulla di quello che passava di mente a mia sorella, anche perché nell’anno del suo matrimonio avevo solo dodici anni e non pensavo minimamente a sposarmi.
Per me le donne dovevano essere libere di esercitare ogni tipo di lavoro, anche quelli che secondo i rappresentanti dell’altro sesso erano lavori destinati ai soli uomini come il medico, l’avvocato, l’imprenditore, il docente universitario e molti altri.
Ma eravamo nel 1963, e il Messico, rispetto ai vicini Stati Uniti d’America, era molto arretrato, sia economicamente che socialmente.
E tuttora non è che sia uno dei migliori Paesi in cui viverci.
Comunque fatto sta che mia sorella quel torrido giorno di maggio mi chiamò dal piano di sotto ( io stavo in camera mia, al primo piano) e mi chiese se potevo venire da lei un attimo.
Io l’accontentai seppur di malavoglia, perché stavo ascoltando uno dei miei LP preferiti del mio cantante preferito dell’epoca, Elvis Presley…”

 “Wow, mamma, ti piace Elvis Presley?”
“Sì, qualcosa in contrario?”
“No figurati, stavo pensando che Elvis è il cantante preferito di Michael…”
“…E quindi anche il mio, tutti amano Elvis, ma c’è da dirlo, Michael è molto più bello di lui, sei d’accordo?”
“Non dovresti farmi domande del genere, risponderei sempre di sì”
“Infatti la mia era una domanda retorica, tesoro. Vabbè, continuiamo…”

 “Devi sapere che all’epoca io ero identica a te per quanto riguardava il carattere, e quindi non sopportavo il fatto che qualcuno mi disturbasse quando ascoltavo il mio mito.
Ma mia sorella non sapeva neanche chi fosse, il povero Elvis,e quindi non poteva capirmi.
Quando scesi giù la vidi tutta indaffarata, ma sempre molto elegante e ben pettinata, che reggeva per ciascuna mano un fazzoletto di raso color crema e un altro dello stesso tessuto, ma pervinca.
Mi era ovvio che avrei dovuto scegliere tra i due fazzoletti ed io scelsi quello color crema, perché mi sembrava quello più adatto per un matrimonio.
Non l’avessi mai fatto!
L’arpia cominciò a sbraitare contro di me, offendendo il mio modo di vestire, i miei gusti musicali, ma soprattutto, offese la cosa che per ogni uomo è motivo d’orgoglio.
Mi disse che io ero una “sporca negra figlia di qualche sgualdrina da quattro soldi“ e che “in questa casa stavo meglio come serva che come figlia del proprietario”.
Io non seppi cosa dirle, dopotutto era mia sorella, non si sarebbe mai arrabbiata sul serio con me definendomi una “negra”.
Anche se in fondo aveva ragione. 

Io e mia sorella eravamo completamente diverse, in tutto.
Lei, alta, bionda, occhi chiari, sorriso smagliante, spendacciona, frivola, superficiale.
E bianca.
Io, bassina, capelli ondulati e scuri, come gli occhi, sempre imbronciata, studiosa, matura, consapevole dei miei pregi e difetti, orgogliosa.
E nera.
Ecco quello che ci distingueva di più, il colore della pelle.
Quand’ero piccola pensavo che fosse del tutto normale che mia sorella fosse diversa da me, perché io ero la copia di papà e lei la copia di mamma.
Ma non era così.
Non lo era mai stato.
Cominciai a sospettare delle mie origini.
Era impossibile, io non potevo essere figlia di Margaret Kinzner, affermata pianista austriaca, che non aveva quindi assolutamente niente di esotico.
Ma adesso che ci penso…
Mia sorella non poteva essere figlia di mio padre.
Troppo delicata, troppo bianca, per essere figlia di un messicano.
Mentre io qualcosa di messicano avevo, come il colore della pelle, oppure i capelli, o gli occhi…”

 “Oh mamma, ma allora questo significa che…”
“Se stai pensando la stessa cosa che sto per dirti, allora sì. Io non ero la sorella di mia sorella. E non ero neanche figlia di Margaret. Se avrai un po’ di pazienza ti racconterò tutto, te lo prometto”
“Va bene, è che la notizia mi hai un po’ sconvolta…”
“Anche a me, è dura da accettare, specialmente se hai solo dodici anni”

“Il mio cervello non sapeva più cosa pensare, era un vortice di pensieri dolorosi, di segreti svelati implicitamente, di senso di non appartenenza.
Non sapevo a chi rivolgermi per trovare un po’ di calma per le mie meningi surriscaldate, avevo pensato che nessuno era a conoscenza di segreti così intimi.
O almeno una c’era, solo che mi vergognavo profondamente nell’andare da lei.
Quella persona era mio padre.
Era rischioso ma volli tentare lo stesso, quindi aspettai il suo ritorno la settimana appresso e dopo i saluti di circostanza, lo scambio dei doni che ci aveva portato dal suo ennesimo viaggio in Europa, presi il coraggio a due mani e mi incamminai verso il suo studio.

Mi aveva sempre fatto paura quel posto, con i pesanti mobili di mogano, i quadri appesi alle pareti che richiamavano alle origini della nostra famiglia, i rapaci imbalsamati sugli scaffali, ma soprattutto la grande scrivania che si ergeva imponente al centro della stanza.
Arrivata davanti alla porta bussai con educazione e sentii la voce baritonale di mio padre che mi chiedeva di entrare.
Io entrai, col cuore in pezzi e il cervello…
Il cervello pensavo si fosse già decomposto, perché non sentivo più i miei pensieri.
Mio padre si accorse della mia condizione interiore, ma non disse niente.
Si limitò a fissarmi immobile, mentre cercavo di far uscire dalla bocca una piccola richiesta:
“Papà, posso farti una domanda, una domanda importante?”
“Sì tesoro, dimmi pure”
“Ma mi prometti che non mi giudicherai né lo dirai a nessuno, neanche alla mamma?”
Ero terrorizzata da quello che sarebbe potuto succedere se avessi proferito la fatidica domanda, e anche da cosa mi avrebbe detto mio padre.
Lui rispose con un “Sì” deciso e sincero ed io trattenei il respiro per un po’, poi parlai:

"Papà, Margaret non è mia madre, vero?”
Quello che seguì fu come non me lo sarei mai aspettato.
Invece di inveire contro di me e di cacciarmi fuori dall’ufficio, mio padre mi guardò con dolcezza ma non rispose direttamente alla mia domanda. Anzi, adesso che ci penso, non mi rispose.
Ma in compenso mi disse che mi avrebbe fatto un regalo molto speciale.
Un regalo che nessun altro avrebbe potuto donarmi.
Mi stavo pian piano riprendendo dallo shock della mia audacia su un argomento così delicato come la mia vera madre, e la notizia che mi diede mio padre non poté farmi più che bene!”

“La notizia in questione riguarda Michael, vero?”
“Un attimo, dolcezza, non essere impaziente, ci siamo quasi”
“Uffa, va bene, ma smettila di fare così la misteriosa, non sto più nella pelle!”
“Perché, il fatto che io sia figlia di mio padre ma non della donna con cui è sposato non ti ha sconvolto?”
“Beh sì, in effetti mi hai lasciato decisamente di sasso e mi sto ancora riprendendo. Ma il segreto riguardava Mike, no? Non le tue origini”
“Sì, hai ragione, ma se salto questo pezzo poi non capisci il resto, comprende moi?”
“Oui, ma continua per piacere!”
“Okay, Miss Impazienza, andiamo avanti…”

“Dove ero rimasta? Ah sì, al regalo che doveva farmi mio padre!
Non sapevo minimamente cosa fosse, né quando l’avrei ricevuto. Mi aveva solo detto di aver pazienza, quella che tu non hai, e di star pronta a partire.
“Partire?”
“E per dove?” gli chiesi io.
“Lo saprai molto presto, amore, molto presto”
In quel momento mi sentii la ragazzina più felice di tutto il Messico: stavo per andare in qualche posto che non avevo mai visitato, in compagnia di mio padre.
Chissà dove saremmo andati?
La risposta non si fece attendere.
Dopo il fastoso e noioso matrimonio di mia sorella, o dovrei dire, sorellastra, qualche mese dopo l’inizio della scuola, mio padre mi fece trovare le valigie pronte davanti alla sua automobile nera privata sulla quale non faceva salire nessuno, nemmeno sua moglie.
Mi diede il buongiorno, e mi disse che non saremmo stati soli: infatti con noi sarebbe venuto il mitico Fernando, il figlio dell’ancor più mitico maggiordomo di casa Villa, che era al nostro servizio da più di trent’anni.

In quel momento non seppi cosa dire.
Era tutto così irreale che non potevo crederci, o meglio, non volevo crederci.
Mio padre era sempre stato gentile e premuroso con me, al contrario di mia madre e mia sorella, che mi trattavano peggio di un pianoforte scordato.
“Sei inutile” Mi dicevano.
“Non farai mai nulla di importante, sei solo un’adolescente sognatrice che rincorre le sue fantasie e costruisce castelli in aria. Dammi retta, le donne non sono fatte per pensare come degli uomini”
Papà invece sosteneva le mie idee e i miei principi, mi stava sempre accanto e non si lasciava abbindolare dai pregiudizi. Davvero un grande uomo.

Ma ritorniamo al nostro viaggio segreto, che si stava svelando pian piano ai miei occhi, increduli di fronte a tanta meraviglia.
Perché mio padre non solo mi portò con sé in uno dei suoi grandiosi viaggi ma mi portò nello Stato più ricco, più inarrivabile, più agognato, più desiderato da ogni persona sulla faccia della terra.
L’America.

La Grande America.
Il sogno di una vita stava per avverarsi.
Avrei passeggiato per le vie di Broadway, percorso la Route 66, visitato la casa di Elvis a Memphis, scorrazzato per le strade trafficate e in discesa di San Francisco ma soprattutto…
Ma soprattutto sarei andata a Los Angeles, la Città delle Stelle.

Hollywood, Santa Monica, Long Beach, Malibu, Beverly Hills, Santa Barbara.
Tutto si stava materializzando di fronte a me, era impossibile ma con mio padre niente era impossibile”.

“Mamma, questo racconto mi sta piacendo un sacco! Ma tu hai incontrato Mike a Hollywood?”
“No tesoro, a quei tempi non era ancora famoso, cantava nelle recite scolastiche e nei localetti insieme ai fratelli, ma non posso rivelarti tutto adesso, sennò sparisce la magia”
“Okay, okay, non fare la permalosa”
“Senti chi parla, la Regina Delle Smorfiosette. Guarda che ti spacco veramente tutti i dischi di Michael in due minuti, scommettiamo?”
“No, no! L’ultima volta che ho fatto una scommessa con te mi sono ritrovata tutti i miei peluche appesi al lampadario del soggiorno con tutte le orecchie tagliate, quindi no!”
“Vedi che con le buone maniere sai ragionare, cara? Complimenti! Allora, ricominciamo…”

“La nostra prima meta però non fu Los Angeles, bensì New York, la Grande Mela, dove mio padre mi portò in un posto del tutto inaspettato.
Un quartiere dove nessuno, e dico, nessun uomo, aveva la pelle bianca.
Erano tutti scuri, come me, e tutti in un solo quartiere!
Per la prima volta, dopo dodici anni, mi sentii veramente a casa: ero commossa da quello che mio padre stava facendo per me, aveva capito il disagio che provavo dentro casa sua e stava cercando di farmi ricordare da dove venivo.
Durante il viaggio per raggiungere la metropoli mi aveva raccontato molte cose sulla mia vera madre: mi disse che si chiamava Rose e l’aveva conosciuta quattordici anni fa, proprio in quel quartiere di New York dove mi stava portando.
Lei cantava in un locale insieme a un’orchestra jazz ed era la stella della banda. Mi disse anche che era molto bella, una bellezza esotica e pungente, che una volta individuato il bersaglio, non gli lasciava scampo.
Mio padre si innamorò di lei sin dal primo momento.
Tutte le sere andava al locale solo per sentire la sua magnifica voce, per contemplare la sua immagine, così elegante e sinuosa.
E lei se ne accorse, eccome!
Alcune volte quando cantava si avvicinava a lui e gli dedicava canzoni d’amore, di desiderio, di divertimento sfrenato.
La passione non tardò a sbocciare, e quando mia madre seppe di esser rimasta incinta, mio padre doveva ritornare in Messico; era chiaro che non voleva lasciare la ragazza, in quelle condizioni poi, ma aveva una moglie e una figlia a cui badare e non poteva portarsi la bella cantante con sé.
Che cosa avrebbe detto a sua moglie? E a sua figlia?
Che scusa si sarebbe dovuto inventare per giustificare la gravidanza della ragazza?
Che cosa avrebbero sospettato nel vedere il bambino della donna che somigliava anche a lui?
Non c’era scelta purtroppo e mio padre, seppur a malincuore, lasciò New York e la ragazza con quel dolce ma pericoloso segreto da custodire.
Quel segreto ero io.”

“Mamma, posso interromperti un attimo?”
“Tanto l’hai già fatto, cosa c’è?”
“Hai una foto della nonna, volevo vedere se era bella come dici”
“Perché, secondo te non sono bella come lei?”
“Non ho detto questo, sono solo curiosa di vedere com’era!”
“Okay aspettami qui, torno subito”
Interrompo il racconto per andar a prendere una vecchia foto di mia madre che tengo gelosamente nascosta nel cassetto della mia stanza, e ritorno da mia figlia.
“Eccola, che te ne pare?”
“Ma mamma è bellissima! Non pensavo che fosse così, è sconvolgente, assomiglia a Whitney Houston!”
“Dai, non esagerare, a quei tempi Whitney non era ancora nata, non si può paragonare a lei!”
“Beh, allora…Si può paragonare a Diana Ross?”
“Hm, sì, assomiglia a Diana, anche se a quei tempi lei non era molto famosa… Ma si può fare”
“Perfetto, se avrò una figlia la chiamerò Diana!”
“In onore della Ross?”
“Sì, e poi Diana è molto amica con Michael, no?”
“Sì, moltissimo, ci manca poco che le dedica una canzone!”
“Secondo me l’ha già fatto”
“Può darsi. Ma fammi andare avanti, adesso viene il bello!”
“Sì, vai, sono tutta orecchi!”
“Bene, eravamo rimasti al segreto di mio padre, che poi ero io…”

“Nove mesi dopo il “fattaccio” qualcuno bussò al portone di casa Villa. Il mitico maggiordomo andò ad aprire, ma non vi trovò nessuno ad attenderlo… Solo una cesta con dentro un bambino dalla pelle scura vestito di bianco. Sulla culla era adagiato un biglietto che diceva:

     Questa bambina si chiama Fiordaliso, è orfana di entrambi i genitori e non ha nessuno al mondo. La prego quindi di prendersene cura e di trattarla come vostra figlia.

                                                                            Che Dio vi benedica.”

Il mitico maggiordomo non ci pensò due volte: prese il bambino, che era una bambina, in braccio e il biglietto, mostrando tutti e due al padrone di casa.
Il padrone era sconvolto dal fagottino che il suo fedele maggiordomo teneva in braccio: quella era la figlia sua e di Rose, quella ero io.
Mi guardò con tenerezza, e rivelò al mitico maggiordomo che quella era sua figlia, ma si raccomandò di non dirlo a nessuno.
Il povero maggiordomo, sconvolto anche lui dalla rivelazione del padrone, gli promise solennemente che se si fosse fatto sfuggire il segreto dalle labbra se ne sarebbe andato via da quella casa immediatamente.
Il padrone gli sorrise, compiaciuto della sua fedeltà.

Sono passati tredici anni da quel ritrovamento e la bambina in questione ne è venuta finalmente a coscienza.
Ma non sembra particolarmente stupita o spaventata o disgustata, no, la bambina è anzi felice perché finalmente ha scoperto le sue vere origini.
Origini che affondano in un locale di New York ed una lussuosa villa di Città del Messico.

“Finalmente siamo arrivati a questo stramaledetto locale, non pensavo fosse così lontano rispetto al centro della città!”
Il mitico Fernando ha ragione ad essere stanco, è da tutto il giorno che mio padre ci guida per le vie di New York alla ricerca del locale dove è nato l’amore tra lui e Rose e dove, secondo lui, sono nata anch’io!
Però dovevo ammettere che era davvero un locale molto carino.
Era piccolo ma accogliente, il pavimento era in granito rosa, i tendaggi e i sipari del palco erano di un caldo rosso scarlatto, come le rose nei vasi disseminati sui tavolini, che invece erano di ferro battuto e avevano le tovaglie di un bel rosa antico. Alle pareti c’erano manifesti, articoli di giornale, souvenir, vecchi strumenti musicali d’ottone che ricordavano l’epoca d’oro del jazz e l’antica fama del locale.
Infatti adesso non si suona solo jazz ma anche rock’n’roll, musica beat e altro che sicuramente non è jazz.
Tutto questo sinceramente a me non interessava, l’importante è che ci fosse stata la musica!

In un certo senso il mio desiderio venne esaudito in un modo molto inaspettato.
La prima sera mi ricordo che non fecero niente di interessante. Sì, il cantante era bravo, ma ero talmente stanca che non avevo nemmeno la forza di applaudire.
Fernando e mio padre furono quindi costretti a farmi dormire lì, negli alloggi del padrone, che non ci disse nulla (dopo che mio padre sborsò quasi 500 dollari per convincerlo, naturalmente!).
Al mattino mi svegliai ben riposata: il letto era molto comodo, e la stanza era a prova di rumore, quindi non sentii nessuno schiamazzo per tutta la notte.
Ma alla mattina udii qualcosa.
Un vociare improvviso e un scalpiccio incessante accompagnati da strani rumori secchi mi distolse dalla quiete mattutina e attirò la mia attenzione.
Guardai la sveglia sul comodino: erano le sette di mattina in punto.
Chi poteva mai fare tanto casino alle sette di mattina e per giunta quando gli inquilini vicini stanno ancora dormendo dopo una notte in bianco?
La mia risposta non si fece attendere.
Sentii dei passi abbastanza pesanti che stavano salendo le scale e un attimo dopo qualcuno bussa alla mia porta.
“Si può?” mi chiese una voce che non era di mio padre né di Fernando.
La mia mente cominciò a pensare le idee più assurde: scappare dalla finestra come un ladro sorpreso a frugare in casa altrui; barricarsi dentro la stanza ostruendo la porta col comò e il letto; nascondersi nell’armadio; fare la bambina indifesa e innocente per commuovere lo sconosciuto dietro la porta; farlo entrare e poi stordirlo tirandogli la sveglia…
La soluzione più efficace sarebbe stata l’ultima, ma alla fine optai per quella più semplice e meno aggressiva.
Risposi alla voce e la feci entrare.
In fondo dal tono non sembrava così cattiva.
“Avanti”
La porta si apre cigolando e finalmente vedo il proprietario della voce: un ragazzo afro americano, anzi un ragazzino, avrà avuto sì e no la mia età.
Era vestito in modo davvero molto particolare: sembrava un astronauta, i capelli ricci erano tagliati corti e mi guardava come se io fossi stata un alieno!
“Oh scusa, non pensavo ci fosse una ragazza così giovane qui dentro, perdona la mia maleducazione!”
Sembrava veramente un bravo ragazzo, ma non mi piace essere trattata come la classica fanciulla indifesa.
“Ma che maleducazione, anzi, sei stato molto gentile a bussare prima di entrare, tanta gente non lo fa! E poi quanto anni pensi che io abbia, non sono molto giovane”
“Beh, dodici anni li hai sicuramente, poi magari ne hai di più e non li dimostri!”
Anche spiritoso il ragazzo, cominciava a piacermi.
“Bravo, hai indovinato! Ho dodici anni, ma ne farò tredici il 23 aprile!”
“Ah, guarda che caso, io ne faccio tredici il 4 maggio!”
“Ah, un altro Toro come me. Vedi di non farmi arrabbiare, sennò ti carico contro!”
“Sarebbe impossibile, non ho molta paura dei Tori. I Leoni, piuttosto, non li sopporto, sono troppo permalosi”
“Hai pienamente ragione!”
Scoppiammo tutti e due a ridere. Le risate si sentivano pure dalla strada per quanto erano forti!
“Ah, ma non mi sono ancora presentata: mi chiamo Fiordaliso”
“Che nome originale! Io invece sono Sigmund, ma tu puoi chiamarmi solo Jackie, molto piacere”
“Beh, anche il tuo è un nome originale” Azzardo io.
Lui mi guarda sorpreso.
“Beh, da noi è comunissimo”
“Davvero?” faccio io, con gli occhi sgranati e un’espressione stupita dipinta sul volto.
“Sì” fa lui, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Poi il suo sguardo cambia, da stupito diventa curioso.
“Tu non sei di qui, vero?” Più che una domanda a me suonava come un’accusa.
“Beh, ho appena saputo che mia madre faceva la cantante qui ed era di colore, ma ho sempre vissuto in Messico con mio padre”
“Ah capisco… Infatti mi sembrava strano che non avessi niente di americano. Abbiamo quasi lo stesso colore della pelle!” Sorrise e mi fece sentire stranamente bene.
“Già, chi non si sbaglierebbe? Comunque che facciamo, scendiamo a far colazione, oppure rimaniamo qui a fissarci?”
“Per me va bene la prima, abbiamo viaggiato tutta la notte ed ho una fame terribile”
“Anche io!” Gli confessai e lui mi sorrise ancora.
Mentre scendevamo le scale, chiesi a Jackie da dove venisse per aver viaggiato di notte ed essere arrivato solo di mattina, e lui mi rispose che veniva da Gary.
“Da Gary?” Gli chiesi io. Non avevo mai sentito una città che si chiamasse così.
Lui mi disse che era una città dell’Indiana a confine con l’Illinois, era abbastanza grande e si affacciava sul lago Michigan.
Gli dissi che avevo capito dove si trovava Gary, per farlo contento, ma a dir la verità, non avevo capito un bel niente!”

“Certo che se non sai dove si trova Gary, stai proprio messa male, cara mamma”
“A quei tempi non era ancora famosa, quindi avevo tutte le buone ragioni del mondo per non saperlo!”
“Beh in effetti hai ragione, scusa. E quindi, mamma, tu hai conosciuto i Jackson Five al completo?”
“Sì. Anzi, tutta la famiglia Jackson, Michael compreso”
“Oh mamma, ti prego va avanti, non ce la faccio più ad aspettare! Quando entra in scena Michael?”
“Tra un po’ tesoro, è questione di poche parole…”

“Quando scendemmo di sotto trovai nell’angolo bar un gruppetto di ragazzini, tra i quali c’era anche Fernando, e più lontano tre uomini che chiacchieravano animatamente. Tra questi riconobbi mio padre e il direttore del locale; il terzo uomo invece non lo conoscevo, era di colore e non mi piaceva, non aveva una bella faccia.
I ragazzi invece sembravano tutti simpatici. Anche loro stavano discutendo, e intanto facevano colazione con latte e brioches.
Si somigliavano tutti, compreso Jackie, e quindi io sospettai che fossero fratelli, ed erano tutti vestiti allo stesso modo: pantaloni e giacca argentati, i capelli  corti come quelli di Jackie.
Erano tutti più piccoli di me, avranno avuto tra gli undici e i sei anni. Forse il più grande era proprio Jackie.
Appena mi vide, Fernando alzò un braccio per salutarmi e mi disse:”Ah, allora sono riusciti a svegliarti eh? Penso che dovresti usare il giovanotto come sveglia!”
“Spiritoso, quando lui ha bussato io ero già sveglia, e poi non ho bisogno di nessuno per svegliarmi”
“Beh, se lo dici tu” Fernando era presuntuoso e rompiscatole anche di mattina, incredibile!
Anche mio padre si accorse di me, mi diede il buongiorno e mi chiese di venire da lui perché doveva presentarmi una persona.
Io intuii fosse l’uomo di colore dalla brutta faccia, e mi avvicinai cauta senza scompormi.
“Fiordaliso, ti presento un mio amico, Joseph Jackson. Si esibirà stasera insieme ai suoi figli, i ragazzi con cui sta parlando Fernando”
Io annuii e mi presentai al signor Jackson.
“Molto piacere signor Jackson, sono Fiordaliso Villa”
“Joseph Jackson, signorina, ma tu puoi chiamarmi semplicemente Joe”
Poi si girò verso i suoi figli e mi disse:”Vedo che hai già conosciuto Jackie, è stato sgarbato con te, ti ha offeso?”
“No, no, signor Jackson! Anzi, è stato gentilissimo, non se la deve prendere con suo figlio”
“Ah bene…” Disse rassicurato, e la sua espressione si addolcì anche se mi faceva comunque paura!
“Che ne dici, vuoi conoscere anche gli altri miei ragazzi? Non preoccuparti, se non vuoi non fa niente”
Cercava di essere gentile con me, ma non avrebbe mai comprato la mia simpatia con dei modi così falsi. Accettai lo stesso, però, volevo conoscere veramente i fratelli di Jackie, al contrario del padre sembravano simpatici.
Sentii quindi uno schioccare di dita e Jackson ordinò ai suoi figli di disporsi in fila dal più grande al più piccolo; i figli, con le facce terrorizzate, obbedirono.
Oltre a Jackie c’erano altri quattro bambini che educatamente si presentarono.
Il primo aveva un nome stranissimo, Toriano Adaryll, soprannominato però Tito, e aveva undici anni.
Il secondo si chiamava Jermaine, anche questo mai sentito, ma almeno aveva una faccia simpatica, dieci anni.
Il terzo aveva un nome più semplice, Marlon David, sette anni.
Il quarto aveva il nome più semplice di tutti, era facile ricordarselo, almeno.
Appena lo vidi fui colta da una strana sensazione che attraversò come un’onda il mio corpo: qualcosa di elettrico c’era nell’aria, qualcosa di particolare che leggevo negli occhi del bambino più piccolo, e che lui leggeva nei miei.
Mi tese la manina e mi disse:”Piacere, io sono Michael Joseph e ho sei anni”
Mi fecero una tale tenerezza, una tale compassione, quegli occhi, che per un attimo mi dimenticai di presentarmi.
“Il piacere è tutto mio Michael, io sono Fiordaliso”
Presi la sua mano e nel stringerla, la sensazione ritornò più forte di prima.
Mentre i suoi figli si presentavano, il signor Jackson, non aveva smesso di guardare neanche per un secondo la schiena del piccolo Michael.
E questo non mi piacque per niente.

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Capitolo 2
*** Fidati di me( Storie del passato che si ripetono nel futuro-Seconda parte) ***


                 Fidati di me

(Storie del passato che si ripetono nel futuro-Seconda parte)


Interrompo il mio racconto per riprendere un po’ di fiato e per guardare la sveglia appoggiata sul comodino.
“Cavolo, è già mezzanotte! Ma quanto ho parlato?”
“Tanto, mamma, come tutti i giorni” Mi consola Katie, gentile come sempre.
“Però io volevo sapere tutta la storia di Michael, non vale che tu ti fermi sul più bello!”
“Beh, possiamo sempre continuare domani, ne abbiamo di tempo…È estate
I miei modi di persuasione non sono molto convincenti, ma è sempre meglio tentare. Inoltre ho un sonno terribile, e per di più domani mattina devo andare al centro commerciale, è da tanto che non spendo solo per me stessa!
Ma mia figlia non ha l’aria stanca. Anzi, è sveglia e vigile, pronta a sentire il resto della storia.
Io guardo lei, lei guarda me, e alla fine capisco dal suo sguardo che non ho scampo:devo continuare.
Mi lascio andare all’ennesimo lungo sospiro (il quarto più lungo della serata) e ricomincio dove mi ero fermata, ovvero alla presentazione tra me e i futuri Jackson Five.

“Lasciai andare la mano di Michael, e la sensazione mi abbandonò come se non ci fosse mai stata.
Qualcosa che però mi rimase fu il suo sguardo triste che nascondeva un segreto.
Un segreto.
Anche i bambini quindi hanno dei segreti che si tengono nascosti , non solo gli adulti.
Chissà se i segreti dei bambini sono diversi da quelli degli adulti…
“Tesoro stai bene? Perché fissi il vuoto, hai visto qualcosa che ti ha turbato? O forse stavi solo riflettendo?”
La voce di mio padre mi risvegliò dalle mie elucubrazioni interiori, e per un attimo non mi accorsi che fissavano tutti, la brutta faccia di Jackson compresa, nella mia direzione.
Avranno pensato che io ero una sonnambula, o una che vedeva gli spiriti dei morti, sicuramente!
“Ah,è…È tutto a posto papà, stavo solo pensando ad una cosa. Niente di importante, veramente!”
“Sei sicura, vuoi che ti faccia portare un bicchiere d’acqua? Sei pallida in volto”
“Ma no, papà, ti dico che sto bene, tranquillo!”
Il mio modo di convincere le persone era scadente anche ventuno anni fa, figuriamoci quindi se riuscivo a convincere mio padre che stavo bene.
Ma tutto sommato non andò male: mi guardò un po’ preoccupato, e mi disse :”Va bene, se lo dici tu… ma se per caso non ti senti molto bene, dimmelo, d’accordo?”
“D’accordo papà”
Questa volta l’avevo convinto, per fortuna!
Dopo questo breve episodio di defiance mentale, feci colazione di fianco a Fernando (che non la smetteva di lanciarmi briciole di brioche tra i capelli, godendo dei miei lamenti) ed andammo a cercare tutti insieme un ristorante in cui pranzare.
Io non ci trovavo niente di utile in quella operazione: erano solo le otto di mattina, e già pensavano al pranzo! Che spreco di tempo!
Per tutti insieme, comunque, si intendeva io, papà, Fernando, Joe faccia da bulldog, e i suoi cinque figlioli, che io non riuscivo proprio a capire come mai fossero così gentili ed educati, quando invece loro padre era maleducato e con la faccia da serial killer.
Forse la madre era un agnellino al contrario del marito, e tutti i loro figli avevano preso da lei.
Ma mi bastò un giorno per capire come Joe Jackson sapeva tenere in riga i suoi figli.

A pranzo non successe nulla che potesse macchiare la fedina penale del bulldog killer, e neanche nel pomeriggio, anche se non potevo raccogliere prove, essendo stata fuori tutto il giorno a girovagare per la Grande Mela, ma dopo cena, prima che iniziasse lo spettacolo, ebbi l’inaspettata e terribile occasione di smascherarlo.
Ero scesa un secondo al piano bar, per respirare un po’ di buona musica dalle pareti del locale (i muri raccontano molte cose, se li sai ascoltare, mi diceva sempre papà) e per vedere i fratelli Jackson che accordavano gli strumenti.
Mi accorsi subito che mancava Michael.
Ed anche il padre.
Qualcosa mi diceva di stare all’erta. Non era un buon segnale.
Mi misi quindi a cercare Michael per il locale, trattenendo il respiro ogni volta che udivo un leggerissimo rumore, pensando che fosse lui che si era nascosto per farla ai famigliari.
Ma ad ogni fallimento, il mio cuore si stringeva: non sapevo neanche perché stavo cercando un bambino che conoscevo a malapena, ma la testa in quel momento mi diceva solo di aiutarlo. Non si chiedeva in che modo, per quale motivo, no, dovevo aiutarlo e basta.
Ad un certo punto sentii una voce che proveniva dalle quinte.
Era la voce di un uomo… Di Joe il Bulldog Assassino.
Mi avvicinai di più alla porta del camerino, cercando di far meno rumore possibile, e accostai l’orecchio destro alla porta che era leggermente socchiusa: non avevo il coraggio di guardare quello che stava succedendo lì dentro.
Non sentivo molto bene ciò che stavano dicendo, e mi dovetti concentrare per capire il grosso del discorso.
Il bulldog stava parlando con un tono decisamente alterato, e gli rispondeva una vocina stridula e affievolita dal terrore.

Oh accidenti, Michael!
I miei pensieri arrivarono subito a lui: quel bambino mi aveva rapito sin dalla prima volta che i nostri sguardi si erano incrociati, e anche se quello che lo stava sgridando era suo padre non potevo permettere che lo trattasse in quel modo.
Fermai il flusso di pensieri, e riconcentrai l’attenzione su quello che stava succedendo dietro la porta.
Il bulldog lo stava incoraggiando a modo suo, con quel tono così sprezzante e umiliante: forse aveva sbagliato una nota, saltato una strofa, aveva attaccato troppo presto o troppo tardi…
Non lo seppi mai, perché la voce del bulldog era diventata un vero e proprio ringhio. Non riuscivo a capire niente di quello che diceva.
Poi sentii un rumore secco.
Il rumore della pelle che batte sulla pelle.
Uno schiaffo.
Pensai alla pelle di Michael. La pelle di un bambino, liscia, vellutata, morbida.
E fragile.
Come lui.

Smisi di ascoltare i lamenti che provenivano dalla stanza, accasciandomi sul pavimento: le mie povere orecchie non ce la facevano più, anche loro erano fragili come la pelle di un bambino.
Anche i miei occhi lo erano, anche loro stavano soffrendo… Erano gonfi e sbarrati, non riuscivo a chiuderli.
L’unica cosa che potevano fare era piangere.
Un pianto di dolore, di rassegnazione, di ingiustizia.
Trattenevo i singhiozzi per non farmi sentire dal mostro, e mi accorsi che anche Michael stava piangendo.
Come me.
Piangevamo all’unisono, e questo gesto, seppur doloroso, mi avvicinava a lui.
Anche lui era triste e troppo provato dalla vita, nonostante avesse soltanto sei anni.
Non sapevo cosa avesse passato in precedenza, in casa con quel mostro che chiamava papà, ma quello che avevo sentito (non solo con le orecchie, ma anche con il cuore) mi bastava per capire.
Io dovevo aiutare Michael.
Era la mia missione.
E se anche non ci fossi riuscita una prima volta, avrei tentato e ritentato fino allo stremo.
Né io né lui ci meritavamo la vita che avevamo.
Ma lui non poteva aiutarmi. Io invece sì.”

“E quindi tu hai aiutato Michael Jackson, mamma? Sei da considerare un’eroina per questo, lo sai?
“Non esageriamo, Katie! L’ho voluto aiutare perché non sopportavo che quel mostro con un calcolatore elettronico al posto del cervello, e senza la minima traccia di umanità nel cuore, lo trattasse come una macchina per fare soldi, non come un bambino che ha talento. Mi chiedo ancora se ce l’abbia un cuore”
“Per me no. Pensava solo ai soldi e alla fama, e tuttora non pensa ad altro!
“Sì, hai ragione. I suoi figli non avevano il coraggio di dirgli niente per paura di essere puniti. Ma te lo dico sinceramente, l’unico che veniva punito era Michael, gli altri stavano zitti e guardavano impotenti. Se non facevano quello che gli ordinava il padre, sarebbe toccato anche a loro, ma si accaniva su Michael solo perché era il  modello di riferimento”
“Ma perché hai detto che tu potevi aiutarlo mentre lui non poteva aiutare te?”
“Non lo so, forse l’avevo troppo sottovalutato… A quei tempi ero veramente stupida. Ma c’è da dirlo, anche lui mi hai aiutato, ed ho capito che non bisogna mai considerare i bambini creature inferiori, perché non lo sono”
Infatti i bambini hanno molte bellissime qualità. Sanno sempre come consolarti”
“E poi gli adulti sono molto più stupidi dei bambini
“Ecco perché tu ti comporti come una bambina, in fondo non hai tutti i torti
“Beh, se lo può fare Michael Jackson lo posso fare anch’io!”
“Sinceramente, io preferisco lui a te”
“Questo era implicito, anche io preferisco lui a te
“Guarda che se dici un’altra cosa così contro tua figlia, ti denuncio!”
“Okay, okay, non scaldarti, stavo solo scherzando!”
“Già, come al solito”
“Va bene, prima che spunti il sole voglio finire la mia storia quindi posso andare avanti, per piacere?”
“E va bene”
“Quando ti ci metti sai essere proprio gentile!”

“Durante lo sfogo non mi ero accorta che stavo ancora dietro la porta, e che il mostro sarebbe potuto uscire da un momento all’altro.
Quindi mi asciugai gli occhi e le guance e mi nascosi dietro un tendone molto pesante, aspettando che uscisse anche Michael insieme a lui.
Sentii dei passi leggeri che correvano verso l’uscita del camerino, e il fiato affannato di chi aveva appena pianto.

Michael.
Volevo corrergli dietro, e provare a calmarlo, ma subito dopo uscì suo padre, l’aria feroce e soddisfatta di chi ha vinto la battaglia, e cambiai idea.
Mi nascosi meglio dietro il tendone, trattenendo il respiro, fin quando non lo vidi più davanti ai miei occhi segnati dal dolore e dalla vergogna.

Dopo essermi un po’ ripresa, (anche se mi sarebbe servita un’intera settimana, ne ero certa) ritornai  da mio padre, seduto in uno dei tavolini sotto il palco, con l’aria distrutta e impotente.
Lui, vedendomi così abbattuta, mi chiese dove fossi stata, e cosa avessi combinato per ridurmi in quello stato, ma io gli dissi che non era nulla di importante: stavo esplorando il locale, ed a un certo punto ero inciampata nelle mie stesse scarpe, quelle odiose scarpe da signorina che la mia matrigna mi ordinava di indossare, e mi ero leggermente slogata la caviglia. Ma nulla di grave, riuscivo a muoverla benissimo.
Mio padre mi guardò torvo prima di aprir bocca ed emettere la sua sentenza: cavolo, perché non mi credeva mai? In fondo ero stata brava, quella volta! Avevo la faccia deformata dal dolore, no?  Avevo un minimo di credibilità!
“Siediti qui accanto a me, tesoro. Non devi sforzare tanto la gamba”
Ancora incredula, e con un sorrisone stampato in faccia, mi accomodai al fianco di papà, attenta a non tradirmi: se mi avesse visto correre o scattare, la mia carriera sarebbe terminata.
Vedendomi troppo euforica, mi chiese di far silenzio, perché lo spettacolo stava per iniziare.
Al suono di quelle parole, obbedii immediatamente, curiosa di vedere quale aspetto avesse il povero Michael, e appena si aprì il sipario vidi il quintetto dei fratelli Jackson pronti per suonare: non mi ricordavo ancora i nomi per intero, essendo veramente difficili da ricordare.
Gli unici  che riconobbi furono Michael, perché era il più piccolo, e Jackie perché era il più grande, e inoltre era l’unico di cui avevo un ricordo più nitido, avendolo visto per primo.
Gli altri tre per me erano tutti uguali!
Poi in un angolo vidi l’aguzzino: sorrideva ai figli come se prima non fosse successo niente, conscio delle sue malefatte.
Aveva il volto così falso e compiaciuto che dovetti trattenere un conato di vomito.
Cercai di ignorarlo, e di concentrarmi sulla musica, e su Michael.
Sembrava piuttosto preoccupato, poverino: l’episodio di qualche minuto prima doveva averlo sconvolto parecchio.
Comunque non si scoraggiò, ed attaccò a suonare insieme ai suoi fratelli: sin dalle prime note capii che non scherzavano per niente, erano molto bravi per essere dei bambini, e creavano una musicalità unica.
Mi piacquero moltissimo anche le loro voci, coordinate tra di loro, intonate e mai monotone.
Anche le note erano tutte al loro posto: tutto era così armonioso da far paura.
Quando l’ultima canzone finì con un breve assolo di chitarra, il Boss prese il microfono e parlò: anche la voce era viscida come lui, al contrario di quella dei figli, calda e amichevole, ed il microfono ampliava ancor di più quello sgradevole tono.
“Bene signore e signori, dopo un assaggio del talento dei miei ragazzi più grandi, voglio farvi sentire una canzone composta appositamente per i più piccolo dei miei figli, Michael Joseph. Vieni, Michael, non essere timido”
Tese la mano al bambino, che fino ad allora si era esibito suonando le percussioni, e lui obbedì, svelto come un felino, posizionandosi davanti al microfono, regolato per lui, e il padre arretrò per lasciar spazio alla stella della serata.
Michael si concentrò un momento, il capo chino e le mani lungo i fianchi, e diede il segnale ai fratelli per cominciare a suonare.
Le mie orecchie non avevano mai sentito nulla di più bello della voce di Michael: sembrava che ci fosse solo lui in quel momento sul palco.
Niente coro, niente orchestra, nessun mostro dagli occhi desiderosi di denaro e successo.
Niente di niente.
Una sola persona era riuscita a stregare la sala, me compresa, con la sola forza della sua voce dolce e rassicurante, gentile e innocente, una voce che ti cattura il cuore e non lo lascia più.
Nonostante quello che passava tutti i giorni, soggetto al mostro come l’attrazione circense più famosa e acclamata di tutte, nonostante i continui schiaffi, urli, intimidazioni ricevute, nonostante la sua innocenza che non gli permetteva di agire e difendersi dal mondo, Michael sul palco assumeva una sicurezza unica, cantando pensava solo alla musica che gli scivolava nelle orecchie e alla voce che usciva dalla bocca.
Nient’altro aveva senso o importanza in quel momento. C’erano solo lui e la sua voce perfetta.
Con quella voce, pensai subito che Michael avrebbe potuto stregare altri cuori così come stava facendo con il mio.
Perché lui aveva un dono.
Il dono di cambiare il mondo attraverso la sua voce

In effetti il mondo l’ha cambiato, basti pensare a tutto quello che ha fatto con la sua magnifica voce!”
“Eh, io avevo avuto questo presentimento già dalla prima volta che lo ascoltai cantare, cosa credi? Comunque, c’è l’ultimo pezzettino adesso, il più importante, e poi tutti a letto!
“Uffa, va bene, anche se dopo tutto questo racconto non sarà facile dormire!”
“A chi lo dici”

“L’applauso del pubblico mi distolse dal mio sogno ad occhi aperti, e mi resi conto che la canzone era finita.
Che peccato, era una canzone bellissima; non ricordo come faceva, ma era bellissima, te lo posso assicurare!
Con quella esibizione, era finito lo show dei fratelli Jackson e cominciavano a salire sul palco altri cantanti, ma a me non interessava più niente, dovevo fare solo una cosa in quel momento.
Ottenuto il permesso da mio padre per allontanarmi dal nostro tavolo, andai in camerino per complimentarmi con Michael e con i suoi fratelli, ma soprattutto con Michael!
Arrivata nel camerino, però, non lo trovai: c’erano solo i suoi fratelli che si stavano cambiando, con mia grande vergogna!
Così, dopo essermi scusata, chiesi dove fosse finito Mike, e loro mi dissero semplicemente che era uscito dal camerino, senza neanche cambiarsi, e che non avevano la più pallida idea di dove si fosse cacciato.
Biascicai un “Grazie” e mi precipitai a cercare Michael.
Lo trovai seduto sul marciapiede davanti il locale, il brillante costume di scena ancora indosso, illuminato dalla fioca luce delle lampade al neon che davano alla sua piccola figura un’aria di malinconia e solitudine.
A quella vista non potei trattenere le lacrime: ogni volta che lo vedevo mi veniva da piangere.
Era un fatto naturale, ormai, e non potevo più farci niente.
Dopo aver fatto la figura della ragazzina piagnucolona, conclusi che piangendo non avrei risolto niente, perciò asciugai il viso con la manica del giaccone e mi avvicinai a lui.
Non si era accorto di me, quindi ne approfittai per mettermi seduta accanto a lui.
“Ciao, ti ricordi di me?”
Lui si girò verso di me, e ancora una volta fui presa dalla compassione che riempiva il suo sguardo.
Come faceva ad incantare le persone con la sola forza dei suoi soli occhi?
Quegli occhi grandi e scuri, minuscola riproduzione dell’universo… Me lo chiedevo sempre.
Non pensò molto alla risposta da darmi, anche se per me sembrò un’eternità. Si voltò leggermente, e mi disse, quasi sussurrandolo, un timido “Sì”.
Io ero completamente pietrificata dalla forza magnetica del suo sguardo, e per qualche secondo mi dimenticai di rispondergli.
“Ah, bene, mi fa piacere… Volevo farti i complimenti per l’esibizione di stasera! Sei stato formidabile, non ho mai sentito nessuno cantare come te, sei un bambino eccezionale!

Mi fa piacere… certo che potevo dire un’altra cosa. Lo stavo trattando come un adulto, e per giunta un adulto stupido; in quel momento mi vergognai miseramente di me stessa.
Per fortuna Michael sembrò non badarci, e mormorò “Grazie”, ma non molto entusiasticamente.
Il mio piano per aiutarlo stava andando mestamente a farsi benedire, e quindi scelsi una via alternativa al dialogo.
“Ti va di fare una passeggiata?”
Imprudente e incosciente. Fantastico.
Se durante la passeggiata ci avrebbe attaccato uno psicopatico che voleva ucciderci, sapevano a chi dare la colpa.
“Con tutto questo buio?”
“Beh, un po’ di luce c’è, non penso che sia tutto buio, altrimenti non ci abiterebbero. Dai, ti starò vicina, non ti succederà niente
“Sicura?”
“Sicurissima. Fidati, Michael”
Con mio grande stupore si alzò dal marciapiede, mi tese la mano e mi disse:
“Andiamo”
Mi alzai anch’io, goffamente, mi pulii la gonna e gli diedi la mano, più piccola rispetto alla mia, ma molto più calda.
Mi faceva una strana sensazione camminare con lui mano nella mano: sembravamo mamma e figlio che andavano a passeggio insieme, felici e spensierati.
Insomma, se pensavo ancora una volta a quello che mi era successo negli ultimi mesi mi veniva una tale malinconia che avrei potuto scoppiare a piangere in qualunque momento.
In fondo per quasi tredici anni mi avevano imbrogliata, e il modo in cui sono venuta a sapere della bugia non era dei più ortodossi.
Poi pensavo a Michael: anche lui non aveva avuto di certo un po’ di felicità.
L’unica cosa che lo mandava avanti era la speranza che un giorno avrebbe smesso di soffrire.
Per me il suo canto assomigliava a un grido di speranza e fede, come i canti di lavoro degli schiavi neri nelle piantagioni del Sud.
In fondo veniva trattato come uno schiavo, e questo mi rendeva ancora più arrabbiata col mostro.
Stavo pensando così intensamente che non mi rendevo conto di dove stavo andando: dopotutto, era un problema minore.
Il terrore mi attanagliò le gambe, che dannatamente non riuscivano a fermarsi.

Oh santo cielo, io non conosco New York! Figuriamoci se ci vado in giro di notte, come se niente fosse, e per giunta con un bambino di sei anni!
Che stupida che sono stata! Sto trascinando me e Michael nel baratro del pericolo… E dire che il mio piano doveva aiutarlo, non rendergli la sua breve vita un inferno totale!

“Ehi, Fiordaliso, ti è successo qualcosa? Perché guardi fisso davanti a te?”
Perfetto, anche Michael adesso pensava che fossi una che vedeva i morti, ma…
Ehi aspetta un momento, mi aveva chiamato Fiordaliso?
Oh Dio, si era ricordato il mio nome!
Nessuno riusciva a tenerselo in testa per più di cinque secondi, e adesso incontro un bambino splendido che se lo ricorda!
Diamine, com’ero felice!
Quel piccolo gesto mi rese Michael ancora più dolce e sensibile di quello che già pensavo, e mi fece ritornare in mente dove l’avevo cacciato.
Dopo che mi fui ripresa, gli risposi chiaro e tondo che non lo sapevo.
Aveva la faccia terrorizzata, e mi guardava come se da me dipendesse la sua intera esistenza futura.
In quel momento provai pena per tutti e due: per me che ero una pazza omicida di bambini innocenti, e per lui, del tutto indifeso, che aveva accettato la mia insana proposta.
All’improvviso mi si raggelò il sangue nelle vene.
Avevo sentito qualcosa, anzi, qualcuno, che parlava dall’altro capo della via, e con mio immenso orrore si stava avvicinando al punto in cui ci trovavamo.
Sentii la mano di Michael che stringeva forte il mio braccio e lui che sussurrava atterrito:Ho paura Fiordaliso, andiamocene via di qui , ti prego.
Aveva le lacrime agli occhi, e la cosa peggiore era che non sapevo come aiutarlo. Non avevo mai praticato la lotta greco-romana o il pugilato, quindi non sapevo come difendere me e Michael.
La voce e il suo possessore si stavano pericolosamente avvicinando, e dopo poco ci ritrovammo davanti un uomo bianco, vestito pure male, che camminava dondolando a destra e a sinistra.
Pensai subito che fosse ubriaco, e in effetti lo era.

Canticchiava come un ossesso una canzone che non avevo mai sentito, ma quando ci vide smise di cantare e ci urlò: ”Aha, ma guarda chi si vede! Due bei bambini negri tutti soli soletti nel bel mezzo della notte! Lo sapete che non bisogna andare in giro a quest’ora senza la mamma e il papà? Si potrebbero fare dei brutti incontri…”
Notai, con mio grande orrore, che brandiva un coltello nella mano destra.
Avevo il battito cardiaco a zero e la paura era così tanta che non riuscivo a muovermi.
Sentivo solo il corpicino di Michael che tremava attaccato al mio.

Poi mi successe qualcosa.
Qualcosa di inaspettato.
Ripensai alla stupenda voce di Michael che avevo sentito poco fa e tutto cambiò.
No, non potevo.
Non potevo permettere a nessuno di toccare quel bambino fragile e meraviglioso, neanche sfiorarlo con una piuma.
Chiunque ci avesse provato, sarebbe stato punito.
Anche suo padre avrebbe fatto la stessa fine, ne ero certa.
Ma adesso era a quel viscido maniaco a cui dovevo pensare: con quell’arma voleva sicuramente ucciderci, ed inoltre era ubriaco.
La mia mente cominciò a lavorare veloce, gli occhi e gli arti la assecondarono.
Mi ricordai che avevo in tasca un accendino, “preso in prestito” dal taschino di mio padre: avevo pensato che un giorno mi sarebbe tornato utile, molto meglio di un coltellino svizzero o di un orologio da tasca.
Quel giorno era arrivato.
Guardai il nostro assalitore con aria di sfida: si stava avvicinando. Adesso era a tre metri circa da noi.
E poi guardai Michael, che tremava ancora alla mia destra, e non aveva la forza di guardare.
Poi lo sentii che diceva qualcosa: la voce era arrochita dallo spavento. Riuscii solo a sentire un pallido Aiuto. 
Quell’aiuto era indirizzato a me.
Girai il viso verso di lui, e gli carezzai la testa ricciuta con la mano destra.
“Andrà tutto bene, Michael. Non aver paura, ci sono io con te”
“Ma io non voglio che tu muoia, non voglio, non voglio…

“Non morirò, sta tranquillo, e neanche tu morirai. Sono stata io a trascinarti in questo casino, e sarò io a tirarti fuori.
Fidati di me, Michael”.
Quelle parole mi uscirono dalla bocca come un alito di vento penetra da una finestra aperta: non sapevo cosa mi avrebbe risposto Michael ma sperai con tutto il cuore che fosse un “Sì”.
E infatti Michael, tremante e con gli occhi e le guance bagnate, guardandomi abbattuto e speranzoso, mormorò quello che aspettavo da tanto:
Sì. Sì, mi fido di te, Fiordaliso”.
In quel momento mi sentii la ragazzina più fortunata e forte del mondo.
Smisi di sognare ad occhi aperti e mi concentrai sul Mostro Due.
Ormai era vicinissimo: continuava a dire cose senza senso, cose deplorevoli, soprattutto sui neri e su di noi, che eravamo appunto di colore.
Ma quando vide che lo fissavo spavalda e sicura di me, si fermò, e mi chiese con voce smielata :”Ehi, dolcezza, perché mi guardi così male, cosa ti è successo? Guarda che questo comportamento non si addice alle signorine come te
Rise sguaiatamente. Arricciai il naso: odiavo la gente che mi faceva i complimenti giusto perché è buona educazione.
Ormai non mi interessava più niente del mio aspetto, della mia situazione finanziaria, delle buone maniere… Mi avevano causato solo seccature.
Mi avvicinai di più a lui, ignorando le sue risa e lasciando delicatamente la mano di Michael dalla mia.
Non mi voltai a vedere com’era la sua povera faccia.
Non potevo. Dovevo prima stendere quell’individuo inferiore che continuava a sfottermi.
“Cosa c’è, abbiamo perso la parola? Non parli più? Che peccato, avrei tanto voluto sentire la tua voce…
“No, caro. Non sono muta, ma tu lo sarai molto presto
Schivai per un pelo il primo colpo del viscido, ma sentii la fredda lama del coltello fendermi la guancia sinistra.
A stento soffocai un lamento, e barcollai fino a inginocchiarmi per terra, toccandomi la ferita: bruciava, e fiottava sangue come un rubinetto rotto.
Un dolore così atroce che mi accecava, lasciandomi scorgere, al di sopra della sofferenza, la figura dell’ubriaco che se la rideva di gusto, mentre mi si avvicinava lentamente per completare la sua opera.
Io però fui più veloce, e sgattaiolai fuori dalla sua portata, lasciandolo con un palmo di naso.
Ebbi il tempo di prendere l’accendino dalla tasca, e di tenermi pronta per attaccare definitivamente.
Il mio nemico non si fece desiderare: dopo un attimo di defiance, si accorse che mi ero spostata, e mi venne incontro con il coltello alzato sulla testa, pronto a colpirmi.
Quando vidi la sua orrenda faccia sfiorarmi la punta del naso, chiacchierando come un ossesso, gli ficcai l’accendino in gola, e lo accesi, ritraendo la mano prima che lui mi sputasse addosso.
Dopodiché si mise a ululare come un lupo alla luna piena e con la lingua in parte ustionata biascicava qualche parola tipo:”La mia bocca, la mia povera bocca! Maledetta bastarda, ti denuncio, ti denuncio!

“Oh che paura, mi stanno tremando le gambe! Aiuto, qualcuno mi aiuti!” Dimenavo le braccia e mi esibivo in una perfetta imitazione della mia sorellastra quando vedeva uno scarafaggio, ero identica!
Poi mi ricordai del povero Michael, che era stato dietro di me per tutto il tempo, guardando me e il lupo mannaro combattere, atterrito.
Mi girai e vidi che era ancora lì, pallido come la luce emessa dal neon, ma almeno non si era mosso.
Corsi verso di lui, e lo presi per mano.
“Avanti, Michael, corri !”
Lui segui il mio consiglio, e iniziammo a sfrecciare per le vie del quartiere: ogni tanto vedevamo qualche bar aperto, un ubriaco steso per terra, che al contrario del nostro, era pacifico, e poi pure un edificio che assomigliava tanto ad un bordello.
Ci fermammo, stanchi e ancora un po’ spaventati, sotto un lampione della luce, per vedere almeno il nome della via dove ci eravamo cacciati.
E proprio in quel momento, con la voce affaticata e flebile per l’ormai passato spavento, Michael, il piccolo angelo che mi aveva preso il cuore, mi ringraziò:
“Grazie, Fiordaliso, mi hai salvato la vita
Io ero rimasta senza parole. Era esattamente quello che mi aspettavo di sentire dalla sua dolcissima voce.
“Ma figurati, l’ho fatto per te, sai a me che importa della mia vita!”
Mi sorrise, e quello fu una specie di segno.
Michael si fidava di me.
E qualcosa mi diceva che anche io dovevo fidarmi di lui.

Per sempre”

Tiro il quinto, celeberrimo, sospiro e finalmente annuncio che “È finita”.
Mia figlia si è stranamente zittita. Mi fissa come fisserebbe Mike che balla: estasiata.
“Oh mamma, ma allora tu hai salvato Michael da un ubriaco che voleva uccidervi? È strabiliante quello che hai fatto… Sei, sei stata meravigliosa…
“Perché, non lo sono tutti i giorni, tesoro?”
“Ma ti rendi conto di quello che hai fatto? Hai salvato Michael Jackson da morte certa! Dovrebbero farti un monumento per questo!
“Si vabbè, non esagerare! Michael mi sarà sicuramente ancora riconoscente, ma un monumento mi sembra una cosa esagerata, non ti pare?
“Per Michael, questo ed altro”
“Già, provaci anche tu, magari ti regala un biglietto gratis per il suo prossimo concerto
“Sarebbe il massimo!”
“Già, ma adesso vai a dormire, che saranno le quattro di mattina, orsù, amore!”
“E va bene, buonanotte”
“’Notte, cioccolatino”
“Non chiamarmi cioccolatino, ma da sui nervi!”
“Okay, okay, notte dolcezza!”

Ah, finalmente a nanna, non ce la faccio più a parlare, mi fa male la mandibola!
Però almeno mi sono tolta il grande segreto e mia figlia mi ha fatto pure i complimenti, una delle poche volte in cui lo fa: devo raccontarle storie così più spesso!
Ritornando in camera, apro il cassetto e rovisto tra le vecchie foto di venti anni prima: raccontare mi ha fatto venire nostalgia di Michael, e vederlo adesso, a ventisette anni, famoso in tutto il mondo, non è la stessa cosa di vederlo a sei anni, in una fotografia in bianco e nero, sorridente, insieme ai suoi fratelli.
Insieme a me.


Aaaaah, finalmente sono riuscita a finire il secondo capitolo di questa storia infinita che a quanto pare, è abbastanza gradevole!! =)
Innanzitutto vorrei precisare che la storia di Fiordaliso non è ancora finita, sarà costretta a raccontare la seconda parte, smascherata dalla sua sbadataggine!!xD
Devo pure dirvi che nel primo capitolo c’è un errore che non ho fatto in tempo a correggere e cioè lei si sposa con il marito nel ’65 non nel ’64 ( poi vedrete quello che gli combinerà, il Viscido Tre è__é)
Adesso rispondiamo alle gentili signorine che hanno recensito:

eclipsenow: Grazie amore, anche la tua storia è bellissimamente meravigliosa, continua così !! *__* perdona la mia deficienza, prometto che il prossimo capitolo, perché questo ancora è scritto picciolo °-°, lo scriverò bello grande che pure una talpa miope saprà leggerlo, te lo prometto!! ^^
Sono contenta che le mie idee, ti siano piaciute, all’inizio la ff doveva essere diversa ma poi è successo quel che è successo e sono stata costretta a ripensarla….T.T
Vabbè, spero che ti piaccia anche così, tanti saluti dalla Regina Lunatica!! =]

MihaChan: perdonami per la scrittura, sono una Regina Deficiente piuttosto che Lunatica… xD
Comunque mi fa davvero piacere che ti sia piaciuta, tranquilla, aggiornerò presto, il tempo di buttare su carta tutto il casino che c’ho in testa e di perfezionare al massimo il tutto !! ^^ mi raccomando, recensisci pure i prossimi capitoli come hai fatto con questo, così mi verranno ancora più meglio gli altri, ciao ciccia dalla Lunatica!!
Bene, spero che questo capitolo sia piaciuto non solo a chi ha recensito ma anche a chi semplicemente letto!!
Ci vediamo al prossimo capitolo e ricordate sempre, non siamo soli !!!^^

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Capitolo 3
*** Facevo bene a tenere la bocca chiusa !(I segreti non smettono mai di venire a galla...) ***


   Facevo bene a tenere la bocca chiusa!

 

(I segreti non smettono mai di venire a galla…)

 

 

 

 

 

 

Quella mattina mi svegliai abbastanza presto, nonostante fossi andata a dormire alle due di notte mi sentivo fresca come una bottiglietta di Coca Cola appena tolta dal congelatore, forse perché mi ero finalmente tolta il grande segreto dai pensieri.

O forse perché ogni giorno, appena mi alzo, vedo l’immenso oceano blu che mi da’ una dolce sensazione di tranquillità ed equilibrio, chissà… 

Guardai la sveglia: erano le otto e un quarto precise.

Per i miei standard era un po’ tardino, ma decisi di fare lo stesso le cose con calma.

Dopotutto era estate e a badare alla casa c’era il paziente e laborioso Fernando, inoltre fin quando mia figlia non balzava fuori dal letto, cosa che non succede mai prima delle nove di mattina, potevo avere il mio meritato momento di relax casalingo.

Mi alzai con calma dal letto, scesi le scale per andare giù in cucina, dove trovai il fantastico Fernando, sveglio da due ore buone, che stava preparando il caffé fischiettando come al suo solito.

Si sentiva anche un invitante profumino di biscottini alle mandorle, dolci che adoro con tutta me stessa (anche se non c’è un tipo di dolce che non mi piaccia !).

Appena sentì i miei passi ( lui era capace di distinguere i passi di chiunque, aveva un udito migliore di un sismografo, infatti veniva dalla penisola della California, sotto Los Angeles, zona soggetta a frequenti sismi ) si voltò dai fornelli e mi salutò amichevolmente, come tutte le mattine.

“Buenas dias, chica loca, como stas?”

“Buen, gracias e non pensare che io non capisca quello che stai dicendo, ho vissuto in Messico per quattordici anni e per giunta con te!”

“Ah ma dai, Dalila, stavo scherzando, adesso ti irriti pure se ti prende in giro il tuo maggiordomo preferito?”

“Sì, va bene e non chiamarmi Dalila per favore…

Il povero Fernando non poteva sapere che Dalila era il soprannome che mi diede Felipe, la mia più grande delusione amorosa, quando io avevo dieci anni e lui dodici.

Mi ricordo ancora quando lo incontrai, avevo nove anni e stavo ritornando da scuola.

Lo incrociai a pochi chilometri dalla mia villa mentre stava provando a guidare una vecchia Chevrolet nel ’57, all’epoca aveva solo undici anni ma guidava come uno di venti.

Fui subito attratta dai suoi modi ribelli e sprezzanti, trovavo sempre un po’ di tempo per stare con lui, mi aveva insegnato un sacco di cose sulle automobili, la sua passione, e mi cantava sempre delle canzoni in una lingua che non conoscevo, dicendomi che dove era nata sua madre si cantavano alle feste tra amici e ai matrimoni.

Mi ricordo che aveva una voce bellissima e gli dicevo sempre che doveva fare il cantante da grande ma lui ci rideva su e mi prendeva in giro, perché ero troppo visionaria e infantile.

 

Ma tutto quello che lui faceva per me mi rendeva la bambina più felice di tutto il Messico.

Col tempo cominciai a capire che la simpatia che provavo per lui non era solo simpatia, ogni volta che lo guardavo sentivo una strana sensazione al ventre, le cosiddette “farfalle nello stomaco”, quando lui mi coglieva a fissare il suo volto mentre parlava con me o facevamo qualcosa insieme, io abbassavo subito lo sguardo, decisamente imbarazzata, sembravo una scodella piena di chili tritato!

Quello che aggravava di più la mia situazione di innamorata fradicia era la bellezza di Felipe (c’è da dire che assomigliava molto a James Dean, solo moro con gli occhi verde scuro ), tutte le ragazze più grandi se lo litigavano come due bambini si litigano un orsacchiotto di peluche, gli andavano dietro come cagnolini e gli facevano le moine più disparate nel tentativo di entrare nelle sue simpatie. 

Tutto questo mi faceva andare in escandescenza, diventavo elettrica e inavvicinabile, un vero tornado!

Poi però capii che a lui non interessava nessuna di quelle gatte morte e dopo un po’ seppi il perché.

Quando avevo quattordici anni e sapevo di dover partire per sempre, riuscii a dichiarargli finalmente il mio amore e lui, con mia immensa gioia e stupore, mi contraccambiava.

Non l’avevo mai sperato ma era così e dovevo accettare la realtà, anche se non mi dispiaceva per niente!

Ci baciammo il giorno stesso della mia partenza e ogni volta che ci penso paragono quella scena alla più famosa di Casablanca, in effetti un aereo c’era e mancavo solo io a bordo, troppo impegnata e felice per credere di doverlo lasciare per sempre.

Ma come disse Rossella O’Hara in Via col vento “Domani è un altro giorno”…

“Ehi, Fiordaliso, tutto a posto?Hai una faccia, sembra che tu abbia visto uno zombie…

Beh, in effetti gli zombie c’erano, saranno stati una decina, e in mezzo a loro c’era un ragazzo afro americano sui venticinque anni con le braccia conserte e lo sguardo serio.

O forse mi stavo sbagliando con uno dei tanti poster di Thriller che mia figlia aveva piazzato per tutta la casa?

Sì, era così, era troppo affascinante per essere un nero comune e poi riconoscerei quello sguardo ovunque.

È stato bello però, ripensare a Felipe, sempre meglio che pensare alla casa o alla spesa o ad altro che non è l’amore!

In effetti uno zombie l’ho visto, il più bello che si possa immaginare…”

Fissavo il poster, cercando di non far capire a Fernando che in realtà non stavo pensando a Felipe ma a Michael, questo modo di mentire mi riusciva molto bene, faccio credere a qualcuno che sto pensando ad una cosa quando invece ne penso un’altra, è divertente ed efficace!

Infatti Fernando ci cascò come un uovo sbattuto in una terrina, fissava me e poi fissava il poster, rassegnato.

Scosse la testa.

“Io non capisco proprio cosa ci troviate voi donne in un ragazzino troppo cresciuto che balla con degli zombie e cammina al contrario con dei calzini di pailletes, è incredibile!”

“Ma come fai a dire che Michael è un ragazzino, anzi per me è un gran bel uomo, giovane, famoso e per di più non è fidanzato!”

“Certo, con tutti i soldi che ha può permettersi una donna al giorno e una alla sera, da’ retta a me, è un mascalzone!”

“Senti Fernando, so che a te la musica moderna non piace ma non pensi di esagerare, Michael Jackson è un cantante universale, piace a chiunque, pure alle matuse come te che sono rimaste a Woodstock e non sono più riusciti a trovare la via del ritorno, quindi se riprovi a insultare ancora quel bravo ragazzo di Michael ti licenzio, intesi?”

La mia pazienza ha un limite quando si tratta di Mike, anche se ormai ha ventisette anni, una lunga carriera alle spalle e tanti anni di successi futuri, per me rimane e rimarrà sempre il bambino dolce ed innocente che ho salvato tanti anni prima, quella terribile notte di gennaio del ’64; quel giorno mi ero pure ripromessa che nessuno gli avrebbe più fatto del male e questo valeva anche per le brutte parole che dicevano su di lui.

Anche se Fernando è il mio migliore amico, non può permettersi di offenderlo, neanche scherzando, come al solito.

Però, è vero, sono stata un po’ troppo dura con lui, anche se quella cosa di Woodstock è realmente accaduta (penso abbia fumato così tanti spinelli che alla fine l’hanno dato per deceduto, non si rialzava più, almeno da quello che mi ha raccontato), ogni volta che ci penso mi metto a ridere come una matta!

Lui però non rideva, neanche adesso, mi guardava dritta negli occhi e la sua espressione non lasciava trapelare nessun sentimento interiore.

Si limitò solo ad annuire, non molto convinto.

“Okay, okay, ho capito. Sei davvero permalosa, delle volte, te lo posso dire?

“Con gentilezza e garbo puoi dirmi qualunque cosa, peperoncino appassito”.

“Che cosa intendi per “peperoncino appassito”?”

“Niente, niente, sai che mi piace dare i soprannomi alle persone, lo trovo divertente, e poi alcuni sono veramente appropriati! Non è il tuo caso però!”

“Certo. Per queste cose sei peggio di me, lo sai?

“Ecco perché litighiamo sempre come due bambini viziati, ma non ci sarebbe gusto, no?”

Lui mi sorrise e dal suo sguardo capii che non mi sbagliavo.

Anche se a volte fa il presuntuoso con me ed io lo stuzzico, ci vogliamo sempre bene come fratello e sorella.

“Sì. Sì, hai ragione”.

Gli sorrido anch’io, compiaciuta.

Quell’attimo di nostalgia e magia è interrotto miseramente dall’arrivo della Boss, i cui passi rimbombano dalle scale del piano di sopra e arrivano a invadere la quiete pacifica e romantica della cucina.

Stranamente è già lavata e vestita di tutto punto e sulle spalle ha il suo zainetto preferito, pieno di qualcosa che non voglio neanche immaginare.

“Buongiorno a tutti!” urla la sua squillante voce e dopo essersi presa qualche biscotto appena sfornato dal vassoio dapprima intatto ed esserselo messo in tasca al volo, attraversa la cucina in un lampo e va all’ingresso.

Io naturalmente la seguo, devo sapere dove va e soprattutto con chi va, sarò una svampita ma sono sempre sua madre!

“Ehi, signorinella, dove pensi di andare così in fretta, non saluti la tua povera e vecchia madre che non vedi mai durante il giorno e che è sempre preoccupata per sua figlia che al contrario non se ne frega?”

Mia figlia si gira scocciata e lascia andare un insofferente “Che c’è?”.

“Niente, dolcezza, non preoccuparti, l’unico problema che veramente non riesco a tollerare è la tua educazione nei miei confronti. Prima non eri così, lo sai?”

“Le persone crescono, mamma, non posso rimanere la Katie di tre o quattro anni fa, ormai sono cresciuta, ho tredici anni se non te lo ricordi!”

“Mi ricordo la tua età, tranquilla, ma se tu sapessi quanto ho sofferto per darti alla luce, per crescerti, per educarti, per insegnarti tutto quello che una ragazzina della tua età doveva sapere non mi tratteresti così!”

“Beh, è normale che si soffra mentre si partorisce, è difficile crescere ed educare un bambino ma non mi farai cambiare idea né ora né mai!”

“Ti conosco bene, so come sei fatta e so che dici sul serio ma dovresti anche imparare ad ascoltarmi e a sacrificarti ogni tanto, sono tua madre, non un’estranea!”

“Una madre non si comporterebbe come una bambina, come invece stai facendo tu, si farebbe rispettare sempre, non solo quando si ricorda di avere una figlia!”

“Io mi faccio rispettare quando e come voglio, quindi, cara, chiedimi immediatamente scusa o ti spedisco in un college sperduto in Europa e sappi che sto facendo sul serio!”

“Non mi importa di quello che mi farai, io rimarrò sempre quella di prima! Adesso se non ti dispiace ho da fare, quindi lasciami in pace!

“Certo che ti lascio in pace, con immenso piacere!”

“Addio!”

“Addio”.

La porta si spalancò e si richiuse in un secondo lasciando me da sola, immobile e impotente, davanti ad essa. 

Perché diamine dovevo avere una figlia ribelle e maleducata come Katie ?

Non le ho mai fatto mancare niente, forse un padre ma dopo quello che mi fece quel mostro, era meglio che crescesse senza.

L’ho educata abbastanza bene, da sola, l’ho mandata nelle scuole più famose e importanti di Beverly Hills, le ho fatto frequentare corsi di ogni genere, compresi danza e pianoforte, le compravo tutto quello che lei mi chiedeva anche se non ne aveva bisogno.

Quando era piccola stravedeva per me, ero la sua migliore amica, sua sorella, suo fratello.

Suo padre, addirittura.

Ma adesso è tutto cambiato.

Non mi parla più come prima, non mi sorride più, non mi abbraccia più.

Si dimentica persino del mio compleanno.

Fernando dice che “è l’età“, tutti gli adolescenti sono così, è normale.

Ma io non ci credo.

Secondo me mia figlia non sa più in cosa deve credere.

Vuole essere grande ma poi capisce che è ancora troppo piccola.

Vuole continuare a essere bambina ma poi si rende conto che sta diventando grande.

Un po’ come Wendy in Peter Pan, anche lei si faceva queste domande, se rimanere bambini fosse meglio di crescere e comportarsi da grandi.

Per me è sempre stato meglio rimanere bambini, perché i bambini sanno quello che gli adulti ignorano.

I bambini ti amano senza chiedere nulla in cambio.

Ed io l’ho vissuto direttamente, attraverso l’esperienza di ventuno anni prima.

Solo che a Katie non era bastato.

Lei aveva bisogno di qualcosa di vero, qualcosa che doveva sentire sulla sua pelle, non una mia esperienza narrata per ritrovare il mio equilibrio interiore.

Questa cosa era un po’ faticosa ma aveva cambiato milioni di persone e sicuramente cambierà anche lei.

Dovevo solo avere un po’ di pazienza e tutto si sarebbe aggiustato.

O almeno speravo.

 

 

Decisi che dopotutto, dopo la litigata che avevo avuto con Katie, dovevo lasciarla un po’ tranquilla e quindi dopo aver fatto finalmente colazione, mi lavai, mi vestii e uscii un po’ per le vie torride di Los Angeles, decisa a farmi un bel giro per i negozi in riva al mare e poi se mi avanzava un po’ di tempo sarei andata ad Hollywood, volevo vedere un po’ di sana finzione, chissà, magari mi avrebbe aiutata con Katie.

Mi incamminai verso la spiaggia e più mi avvicinavo più sentivo il bisogno di comprarmi una bottiglietta di Coca Cola gelata, stavo morendo disidratata!

Dopo aver bevuto qualche sorso di questa meravigliosa e energica bevanda (per me è la cosa più bella e utile che abbiano inventato in America, colleziono bottigliette e tappi e ne ho di tutti gli anni!), mi sentii subito meglio e pronta per affrontare quel mostro di asfalto e grattacieli che ha di nome Los Angeles.

Anche se eravamo solo nel 1985, la sua grandezza cresceva vertiginosamente ogni anno, superava certamente i due milioni di abitanti.

Girai un po’ per negozi, giusto per godermi l’aria del ventilatore e per ficcanasare in giro come mio solito, poi passeggiai lungo il molo di Santa Monica, commentando tutte le biondine svampite stile Barbie e i bagnini culturisti stile Big Jim che superavano il grado di indecenza imposto dalle vecchie signore miliardarie, mie vicine di casa, ogniqualvolta avevamo l’occasione di spettegolare sugli altri vicini di casa, alias Barbie&Co., i quali non conoscevano la parola “pudore” e l’espressione “convivenza civile”.

Forse erano troppo difficili da ricordare per delle menti piccole ed amorfe come le loro.

La miglior oasi di frivolezza e beata ignoranza però rimaneva Hollywood.

Mi ero decisamente stancata delle impudiche ragazze e dei virili ragazzi che popolavano la spiaggia (io penso che siano tutti fatti con lo stampo, un giorno di questi vado a far visita alla fabbrica, magari è vicino Malibu o anche a Long Beach…) e quindi decisi di girovagare un po’ per la vera Città delle Stelle, lì la finzione è un’arte, non un obbligo.

Più camminavo e più veniva fuori dal cuore un senso di nostalgia.

Infatti vidi Hollywood per la prima volta con mio padre ventuno anni fa e adesso che sono cresciuta, cammino da sola lungo la Walk of Fame, ammiro da sola le centinaia di stelle che formano una lunga fila di successi e glorie passate.

Avevo percorso quella strada mano nella mano con mio padre, lui mi indicava tutte le stelle dei personaggi più famosi dello spettacolo, c’era anche quella di Elvis, di Marilyn, di Audrey…

C’erano tutti, ma proprio tutti.

Mancava solo papà.

Mi asciugai gli occhi, decisamente lucidi e un po’ arrossati.

Pensai a papà, a quello che aveva rischiato rivelandomi chi ero e da dove venivo.

Pensai a Katie.

Dovevo fare anch’io la stessa cosa che aveva fatto mio padre con me e cioè dovevo dirle chi era veramente suo padre.

Sarà stato un po’ doloroso sia per me che per lei ma non avevo altra scelta, se volevo riconquistare la fiducia di mia figlia.

 

Continuai a camminare, rilassata e appagata dalla nascita del mio nuovo piano che la mia mente infantile e geniale aveva felicemente partorito.

Dopotutto non ero così svampita come diceva la mia adorata bambina.

All’improvviso mi fermai a contemplare una stella.

Una stella che era stata aggiunta da poco ma che brillava già come una supernova.

La stella di Michael.

Wow, ogni volta che passavo di lì era d’obbligo far visita alla stella di Mike, per me era un modo per sentirlo più vicino, anche se in effetti vicino lo era!

Mentre stavo guardando con amorevolezza la stella, piegata come se stessi cercando qualcosa che avevo perso, sentii che qualcuno mi chiamava in modo furtivo come per non farsi sentire.

Io, incuriosita mi alzai e mi guardai intorno.

Non c’era nessuno.

Chi era allora il misterioso individuo che mi stava cercando?

Forse mi stavano facendo uno scherzo (a Hollywood può succedere di tutto, ma proprio di tutto) o forse sto diventando una che sente le voci nella testa. 

E invece no.

Non era così.

L’uomo che mi stava chiamando era di colore ed avrà avuto una cinquantina d’anni; stava nascosto dietro un vicolo invisibile dove c’entrava al massimo un bambino, solo che lui era un uomo e pure abbastanza in carne, infatti aveva l’aria un po’ affaticata e sudava come un turco nella sauna il 15 di agosto, ed inoltre si stava sgolando sottovoce per attirare la mia attenzione.

Io l’avevo visto ma non sapendo chi fosse, mi avvicinai cauta al vicolo in punta di piedi e quando fui abbastanza vicina da vederlo bene in volto, mi mancò il respiro.

L’ometto disperato a cui interessavo non era un ometto qualunque.

Lui si accorse che io avevo capito chi avevo davanti e cercò di rassicurarmi, inutilmente.

“Ehi buongiorno, tu sei Fiordaliso, vero? Piacere di conoscerti, tu mi conosci già, giusto, quindi non c’è bisogno che mi presenti, come stai?

Io ero completamente immobilizzata.

Era Quincy Jones quello che avevo davanti e mi tendeva la mano oppure era l’ennesimo sogno ad occhi aperti?

Mi diedi uno schiaffo in faccia e sentii del lieve bruciore che mi bastò per confermare alla mia testa che non stavo sognando.

No, era tutto vero, avevo veramente davanti la faccia preoccupata e ansimante del grande Quincy Jones, il più grande collaboratore di Michael Jackson, il non plus ultra dei sudditi del mio cantante preferito, un genio!

“Tutto a posto, perché ti si sei data uno schiaffo all’improvviso?”

“Oh…oh, non è niente Quincy, tranquillo, è che la tua improvvisa apparizione mi ha un po’ scombussolata, ma adesso sto bene, veramente!”

Oh, Santa Coca Cola, l’avevo chiamato Quincy come se si fosse trattato del mio cane, che stupida che sono stata, in fondo Katie ha ragione, certe volte non so tenere a freno la lingua; adesso cosa penserà lui di me, oddio che stupida, stupida, stupida, stupida!

“Ah se lo dici tu, mi fido. Comunque ho una cosa da darti, se tu sei la vera Fiordaliso”.

Dicendo questo tirò fuori dalla tasca del gilet una busta azzurra chiusa e sigillata e me la porse.

Nonostante le mani che tremavano come una gelatina durante un terremoto, riuscii ad afferrare la lettera.

Mi accorsi che non era un azzurro comune: era lo stesso colore dei fiordalisi e il sigillo non era come tutti gli altri…

“Me-me la manda lui ?”: cercai di essere il più convinta possibile mentre domandavo a Quincy

la cosa che più mi interessava.

Lui annuì deciso, aggiungendo:

“Mi ha chiesto di consegnartela in questo modo perché conoscendo le tue abitudini sapeva che saresti venuta a passeggiare qui alla Walk of Fame e sapeva anche che ti saresti fermata a guardare la sua stella, quindi non è stato difficile trovarti per me, anche se non conoscevo neanche il tuo volto. C’è da dire però che sei un tipo molto particolare!

Particolare?

Particolare io?

Okay, vado in giro vestita come una di sedici anni, mi comporto come una di dieci, bevo Coca Cola invece della birra, preferisco i cartoni animati della Disney ai film banali e romantici, mi piace fare il bagno nell’oceano tutta vestita, amo gli animali esotici, sono vegetariana, litigo con un lavello che perde come se fosse mia madre ma non mi sono mai definita un tipo particolare.

Aspetta un momento però, se lo diceva Quincy Jones, un fondo di verità doveva pur averlo!

Mi ridestai dalle mie tipiche escursioni mentali e mi ritrovai davanti Quincy che mi fissava, non molto convinto della mia salute cerebrale.

“Eh, già, me lo dicono tutti ma guarda un po’!”

Era la prima cosa che mi era venuta in mente, non sapevo neanche da dove fosse uscita ma da me ci si può aspettare di tutto e alcune volte mi stupisco anche di me stessa.

Quincy era sempre più preoccupato per me e decise quindi di tagliare corto.

“Già, non c’è bisogno che te lo dica io, no ? Vabbè, si è fatto tardi per me, devo andare, il capo mi aspetta!

“Oh, certo, il capo”.

Gli sorrisi radiosa e abbastanza imbarazzata mentre lui usciva fuori dal vicolo infilandosi in tutta fretta un paio di occhiali e un panama bianco con la fascia nera e spariva tra la folla, poi si ricordò che se ne era andato senza salutare (dopotutto ero una donna matura, nessuno poteva negarlo) quindi si girò e mi fece un cenno con la mano.

Io ricambiai il saluto e dopo averlo perso completamente di vista, ritornai anch’io tra la calca.

Non continuai però il mio giro turistico per Hollywood, volevo tornare a casa per leggere la lettera di Michael.

Era la prima volta che chiedeva a un suo collaboratore di consegnarmi una lettera, di solito la trovo in qualche posto nascosto nel giardino di casa mia o nella mia stanza, messa lì da qualche sconosciuto ingaggiato da Michael come postino segreto. 

Sì, perché io e Michael dopo la vicenda del vicolo eravamo diventati praticamente inseparabili, come due gemelli siamesi, e quando loro dovettero partire per un’altra città dove sfoggiare il loro talento, lui ci rimase molto male, non voleva rimanere senza di me, da solo con suo padre, in quella casa infernale, no, non voleva lasciarmi.

Neanche io me la sentivo a dover continuare la mia vita senza di lui ma come avremmo risolto il problema?

Lui aveva solo sei anni ed io quasi tredici, eravamo entrambi troppo piccoli per prendere delle decisioni così importati ed inoltre i nostri padri non avrebbero mai permesso degli incontri, neanche durante le feste o le vacanze estive.

L’unico modo quindi per parlare e per non sentirci completamente soli era quello di scriverci delle lettere.

Michael fu molto entusiasta dell’idea e senza pensarci due volte mi diede il suo indirizzo di Gary, che si ricordava benissimo a memoria.

Io gli diedi il mio di Città del Messico e i messaggi non tardarono ad arrivare!

Mi scriveva quasi tutti i mesi, mi raccontava tutto quello che gli succedeva durante il tempo libero, i suoi progressi canori, mi parlava molto spesso di sua madre Katherine come una donna molto gentile e affabile, al contrario del padre, burbero e schivo, sempre alla ricerca di un modo per fare soldi.

Lo scambio epistolare continuò per molto tempo fino a interrompersi per qualche anno per colpa di mio marito che vedeva la mia amicizia con Michael un affronto alla sua famiglia, semplicemente perché lui era un nero ed inoltre americano.

Mio marito amava l’onore e il rispetto della sua famiglia più di ogni altra cosa al mondo, io compresa, il nostro era stato uno dei tipici matrimoni programmati dalle nostre famiglie, senza tener conto di altri fattori quali l’amore disinteressato, la differenza d’età (nel ’65, quando ci sposammo, lui aveva ventinove anni ed io quattordici, quindi addirittura quindici anni di differenza), le aspirazioni future di entrambi, insomma, quel che contava per la mia matrigna era cacciarmi via di casa, sempre per quella questione dell’onore della famiglia, il mio futuro marito invece doveva trovare una ragazza giovane e “di buona famiglia” per risanare la drammatica morte della sua precedente consorte, deceduta giovanissima per arresto cardiaco, che non aveva avuto il tempo di darle un erede.

Mi ricordo che i primi anni furono terribili con lui: mi trattava peggio di una lebbrosa, mi costringeva a lavorare in casa supervisionando il mio operato con in pugno un bastone da passeggio e se non riusciva a specchiarsi nel pavimento mi picchiava con quell’arnese terrificante e dovevo rifare tutto dall’inizio, mi mandava da sola nei quartieri più malfamati e infimi di Londra per punirmi delle mie infedeltà (anche se devo dirlo, non avevo né la forza né il tempo per uscire di casa ed incontrare qualcuno, quindi figuriamoci se avevo un amante), ma la cosa più preziosa che poteva togliermi, l’unica che mi dava sicurezza e speranza, era lo scambio di lettere tra me e Michael.

Mi scoprì mentre stavo scrivendo una missiva nella nostra camera nell’inverno del ’68.

Si infuriò così tanto che mi chiuse lì dentro per tre giorni, da sola e per giunta al buio, e non mi permise più di ricevere né inviare posta.

Otto anni dopo la situazione tra noi due era molto cambiata e quindi ripresi a conversare attraverso epistole con il mio adorato Michael che in tutto il tempo in cui aveva aspettato inutilmente la mia risposta alla sua ultima lettera, non aveva mai messo di sperare.

Che ragazzo d’oro, lo amerò sempre per questa parte del suo carattere, paziente e pacata, a parte che adoro qualunque cosa del suo carattere!

Ecco che mi sono fatta riprendere dai ricordi, ogni volta che ho in mano una lettera scritta da lui mi sento come un missile che sta per decollare da Cape Canaveral!

Non ci misi molto per arrivare a casa, Hollywood è vicina a Santa Monica e Santa Monica sta subito sotto Beverly Hills.

Anche se c’è da dirlo, quando mi metto a correre non mi raggiunge neanche una Porsche. 

Percorsi il viale dove si trovava la mia casa in tutta fretta, attirando lo sguardo curioso di qualche riccone che stava beatamente prendendo il sole in giardino insieme alla sua amante (troppo bella e avvenente per essere la moglie…).

Arrivai davanti il cancello di casa stremata ma felice, lo aprii e attraversai il giardino passando sul prato (per giunta appena potato ed irrigato, ma le lamentele di Fernando potevano aspettare), spalancai l’ingresso principale di casa, mi fiondai in soggiorno, salii le scale a tre a tre, corsi fino alla mia stanza e mi ci chiusi dentro a chiave, spegnendo la luce e facendo attenzione a non inciampare nei miei passi.

Ah, finalmente potevo leggere la tanto aspettata lettera di Mike senza che nessuno mi disturbasse, che sollievo!

Mi misi seduta con calma trapelante davanti alla scrivania, accesi la lampada da lettura, presi la lettera tra le mani e la aprii facendo attenzione a non rovinare il foglio che vi era dentro.

Appena ci riuscii la spiegai e mi arrivò un dolce profumo alle narici.

Oh, ma che galante, questo è Chanel n°5, il mio profumo preferito, ne conservo sempre una boccetta nel cassetto e come Marilyn prima di andare a nanna me ne metto qualche goccia, ma come faceva a saperlo, per certe cose era proprio speciale, lo amavo!

Dopo questa bella sorpresa mi apprestai a leggere la profumata lettera e come tutte le volte la lessi piano a bassa voce:

 “Cara, anzi, carissima Fiorellino,

 

so che il nuovo postino ti lascerà un po’ di sasso, ma di questi tempi non c’è nessuno dei mie collaboratori che voglia “collaborare” e quindi ho chiesto a Quincy di recapitarti il mio messaggio, spero non ti sia dispiaciuto altrimenti te ne mando un altro più bello e capace, a te la scelta!

Innanzitutto ti ringrazio molto per la tua lettera precedente, sai che mi fa sempre piacere conversare con te in questo modo e anche se ho da fare praticamente tutti i santi giorni trovo sempre un po’ di tempo per leggere le tue lettere e risponderti.

Volevo anche farti una proposta all’ultimo momento, ma ancora non sono sicuro: visto che questo fine settimana ho miracolosamente un po’ di tempo libero ti va se andiamo a cena insieme in qualche bel locale di Beverly Hills, tranquilla, prenoto io ,se vuoi e ti pago anche il conto!

So che sei rimasta pietrificata da questa mia proposta, come chiunque d’altronde, ma ti chiedo comunque di accettare, è da tanto tempo che non ti vedo, voglio parlarti di persona, non sempre per un pezzo di carta, capisci che intendo?

Adesso scusami, ma devo salutarti, c’è qui uno dei miei gentili e affabili collaboratori che non la smette di tartassarmi il cervello e perché, perché dice che sono in ritardo per un appuntamento, ma ti pare giusto che una persona come me debba sottostare a dei tipi così impazienti e seri, mi immagino quando sarà vecchio, diventerò rimbambito!

Mi raccomando, rispondimi presto, sai che mi piace ricevere le tue lettere più di qualunque altra cosa.

Salutami il piccolo grande Fernando, spero si ricordi ancora di me, dopotutto sono passati ventuno anni e penso che non si ricordi più di me, vero?

                                           

                                      Il tuo amico per l’eternità, Mike

 

P.S. :come sta la tua adorabile bambina, è da tanto che non la vedo, deve essere diventata una signorina ormai, me la ricordo che era più piccola di mia sorella Janet, poi un giorno di questi vengo a casa vostra e me la presenti, va bene? Già non vedo l’ora!“

 

Finii di leggere l’ultima riga e mi sentii come il Nilo pronto a straripare.

No, non era possibile.

Michael non poteva avermi fatto una proposta così, così avventata, non era assolutamente possibile, mi aveva chiesto di uscire con lui, da soli, non era da lui.

Forse doveva parlarmi di una cosa molto importante, ma non ci speravo granché, in fondo io e Mike non abbiamo grandi segreti da nasconderci.

Allora quale motivo aveva per farmi una proposta del genere?

Scartai subito l’opzione della cotta, se era innamorato, me l’avrebbe fatto capire già da prima.

Tolsi anche quella di una collaborazione per una nuova canzone o per un nuovo album, anche se ero abbastanza brava a cantare non avevo una carriera consolidata alle spalle, anzi non avevo una carriera e nemmeno le raccomandazioni necessarie. 

Alla fine, togliendo tutti i possibili motivi per cui Michael voleva urgentemente vedermi, non ne rimase nessuno.

Decisi quindi, senza alcuna malizia, che aveva solo voglia di parlare con qualcuno che non fosse un manager o un regista o un produttore, insomma una persona normale, serena e spensierata, con cui passare una piacevole serata lontano dai riflettori.

Soddisfatta della decisione che aveva preso il mio intelligente cervello, stirai le braccia sulla testa, intorpidite dalla sorpresa e dal mistero e le lasciai cadere, esausta, lungo lo schienale della sedia.

In quel istante di assoluto silenzio e calma, mi arrivò all’orecchio un rumore secco, di chi ha sbattuto la gamba o il braccio su qualche superficie dura.

Infatti dopo neanche un secondo sentii un inconfondibile “Ahia!” che proveniva probabilmente da sotto il letto.

Mi alzai dalla sedia con calma, per niente spaventata, e mi avvicinai sempre con molta calma al mio letto.

Prima che potessi raggiungere la spalliera, una voce conosciuta mi si avventò contro:

“Cosa significa questa storia, perché non mi hai mai detto che stavi in contatto con lui, per voi rappresento un pericolo, una minaccia, solo perché sono piccola secondo te certe cose non le capisco, ma per chi mi hai preso? Che c’è, non parli più, non sai più che dire eh? Bella recita, complimenti!”

“Ma-ma tesoro, sta calma, non è come pensi, io e Michael siamo soltanto amici, ma cosa vai a pensare, ti giuro, non ti farei mai una cosa simile, perché non vuoi credermi?”

“Semplice, perché quella lettera è una prova lampante della vostra relazione, chiunque lo capirebbe, non solo io! E poi, come cavolo ha fatto ad incontrarmi, io non ho mai visto Michael Jackson dentro casa nostra o sbaglio?

Non sapevo più cosa dirle, mi aveva scoperta e nel peggiore dei modi.

Ma non potevo stare in silenzio per altro tempo, lei mi aveva sentito, aveva le prove e non sarebbe uscita dalla mia stanza se prima non avesse ottenuto quello che volevo.

Ripensai alla mia sbadataggine che mi aveva sempre causato tanti problemi, non solo con mia figlia o con Fernando ma anche con individui di un certo livello sociale, se ci pensi ridivento tutta rossa e mi zittisco.

Ah, per i mocassini di Mike, facevo bene a tenere la bocca chiusa!

 

 

 

 

Aaaaaaaaaaaaaah, finalmente ho finito anche questo capitolo, pensavo di lasciare incompiuta l’opera, ma per un certo periodo non ho avuto più inventiva, forse l’effetto Mike non dura per molto…ù_ù

Vabbè, spero che abbiate trovato questo capitolo interessante e abbastanza leggibile, anche se ne dubito fortemente …O.o 

 Nel prossimo capitolo, Fiordaliso rivelerà a sua figlia quello che si è fatta sbadatamente sfuggire su Mike e anche qualcosa in più sulla vita che ha passato insieme al viscido…è_é

Non posso dirvi altro mi dispiace…^^

 

Bene, adesso rispondiamo alla gentile signorina che ha recensito entrambi i capitoli pubblicati:

Eutherpe: oh tesoro, le tue recensioni mi hanno fatto sentire così bene che non so proprio cosa scriverti per ringraziarti, posso dirti che anch’io mentre scrivevo il secondo capitolo per un attimo mi sono fermata per la troppa emozione che emanavano quelle parole, pensa che ancora non ci credo che le abbia scritte io, sto vivendo questa storia come un sogno e spero che sia lo stesso anche per te… =)

Comunque i capitoli più belli saranno i prossimi, entrerà in scena una nuova figura che sconvolgerà completamente la vita di Katie e di Fiordaliso, mi raccomando leggi e lasciami ancora una delle tue splendide recensioni, ciao e grazie ancora di tutto!!! =]

 

Ringrazio anche chi ha semplicemente letto, con la speranza che questa ff vi sia piaciuta, ciao a tutti e al prossimo capitolo!!! =)  

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Di nuovo insieme (Regola numero uno , non perdere mai la speranza) ***


          Di nuovo insieme

 

 

(Regola numero uno, non perdere mai la speranza)

 

 

Katie mi fissava, impaziente, lo sguardo truce di chi si sente tradito.

In effetti non sono stata molto giusta nei suoi confronti, le ho rivelato solo una piccola parte della verità e naturalmente a lei non è bastato.

Tirai uno dei miei affezionati sospiri e guardai mia figlia dritta negli occhi, scuri e profondi come la delusione che le avevo dato.

Ma io volevo rimediare, non volevo perdere mia figlia in questo modo e decisi ciò che il mio povero cuore desiderava da molto tempo.

“Katie, tesoro, se hai pazienza ti spiegherò tutto ma ti prego, non arrabbiarti con me, so che non ti piacciono le persone false e bugiarde, ma io sono tua madre e tutto quello che faccio per te lo faccio per il tuo bene.

So di aver fatto troppo la misteriosa, d’altronde anche tu ami moltissimo Michael, anche tu dovevi sapere delle nostre lettere ma ogni volta che cercavo di parlarti c’era qualcosa che mi fermava, non sapevo cosa fosse, ma ti prometto che da questo momento in poi non ti mentirò più.

Te lo prometto, Katherine”.

Era una delle rare volte che la chiamavo con il suo vero nome, accadeva soltanto nelle occasioni importanti, in effetti quella lo era per entrambe.

Anche Katie non sapeva più cosa dire, le mie parole l’avevano lasciata sconcertata, non mi aveva mai sentito discutere in quel modo così calmo e sicuro, così serio, ma anche così semplice e diretto.

Per un po’ continuammo a fissarci senza dire niente, aspettando una le reazioni dell’altra.

Poi finalmente Katie si avvicinò alla scrivania e mi disse quello che mi aspettavo dal momento in cui era sbucata da sotto il letto, furiosa e inarrestabile.

“Sono pronta ad ascoltare ancora la tua storia, mamma, ti prometto che sarò calma e paziente come tu lo sei stata con me, ma ti prego, continua a raccontare.

Scusami se ti ho spiato in questo modo, ma la mia curiosità non ha limiti e tu lo sai.

E poi mi piace il suono della tua voce”.

Mi sorrise spontanea, quel sorriso che ormai non vedevo da un tempo immemore e che mi riempì il cuore di serenità e amore materno ora era lì, davanti ai miei occhi e stavolta non mi sarei lasciata scappare l’occasione per rivelarle tutto ciò che voleva sapere, che aveva il diritto di sapere.

Ricambiai il suo sorriso con un altro ancora più luminoso, lo intuii dalla nuova luce che irradiava dagli occhi, una luce calda e sincera.

Mi misi seduta sul letto e me la strinsi forte al petto, come se fosse stata una neonata in fasce.

Lei non si ritrasse.

Anzi, mi abbraccio più forte.

“Allora, da dove vuoi che cominci?”

“Dall’inizio”. Mi disse serafica.

“Okay, dall’inizio, cioè dopo il mio lungo viaggio in America, successero tante di quelle cose in quell’anno che faccio ancora fatica a ricordarmele!”

“Oh, ma io non ho fretta, vai tranquilla”.

“Bene, come vuoi tu, dolcezza”.

 

“Devi sapere che dopo la nostra separazione io e Michael non abbiamo smesso mai di sentirci attraverso posta, io attendevo con ansia ogni sua lettera, amavo leggere quelle poche righe così piene di errori e bontà che emanava il suo grande cuoricino, mi parlava soprattutto di sua madre, per lui era la donna più bella dell’universo, un vero angelo sceso in terra. Mi piaceva molto anche il suo nome, Katherine, e mi ripromisi che se avessi avuto una figlia l’avrei chiamata proprio Katherine...

 

“E infatti hai mantenuto la promessa”.

“Già e non mi pentirò mai di questa scelta, puoi starne certa!”

“Lo sospettavo…”

La baciai sulla fronte e continuai a parlare.

 

“Passò così un anno tranquillo e sereno , finalmente io sapevo tutto ciò che dovevo sapere sulla mia vera famiglia e la cosa bella era che mio padre non aveva detto nulla alla mia matrigna e alla mia sorellastra, in fondo loro non dovevano interessarsi di questi problemi , per me erano delle estranee.

Per questo aspettarono l’occasione giusta per vendicarsi.

Un anno dopo accadde la più grande disgrazia che potesse mai capitarmi.

Mio padre, l’uomo della mia vita, l’unico che aveva saputo consolarmi dalle delusioni, difendermi dai soprusi quotidiani, quello che aveva avuto il coraggio di dirmi veramente chi ero e da dove venivo, era stato trovato privo di sensi nel suo adorato ufficio.

Sulla scrivania c’era un bicchierino di whisky, uno dei suoi liquori preferiti.

E dentro questo piccolo bicchierino c’era una consistente dose di cianuro”.

 

“Cianuro? Cioè veleno?”

“Sì”.

“Oh, santo cielo…”

 

“Lo trovò per caso il povero maggiordomo, doveva dirgli una cosa molto importante e quindi avendo visto la porta socchiusa era entrato senza bussare.

Anche se nessuno gli avrebbe mai risposto.

Quando lo seppi ufficialmente non sapevo cosa fare, se piangere a dirotto fino allo stremo, fregandomene di quello che pensavano gli altri di me, oppure affrontare il dolore a testa alta, trovando dentro di me la forza di continuare da sola la mia vita.

Quella forza c’era ma io non volevo farla uscire, forse avevo troppa paura degli effetti devastanti che avrebbe avuto su di me.

Perciò appena mi diedero la notizia, all’inizio non dissi niente, rimasi immobile, imperterrita, indifferente.

Poi a notte fonda, quando tutta la città dormiva e nessuno poteva sentirmi, scoppiai a piangere, un pianto liberatorio, pieno di dolore e sofferenza, e ripensai a Michael, anche lui segnato dalle più svariate sfortune, così tante che era impossibile catalogarle.

Non mi ricordo quanto piansi, mi addormentai tra le lacrime e mi svegliai il giorno dopo con gli occhi gonfi e la testa che batteva come un martello batte su un’incudine.

Non avevo neanche la forza di alzarmi ma dovetti per forza, ad attendermi ai piedi del letto c’era il nostro maggiordomo: era venuto a chiamarmi, perché la signora, cioè la mia matrigna, doveva parlarmi urgentemente.

Mi informò anche che dovevo indossare qualcosa di elegante, l’occasione lo richiedeva.

Completamente ignara di quello che la strega voleva dirmi, mi vestii e scesi riluttante la lunga fila di scale che collegavano il piano terra al primo piano.

Mi stava aspettando in soggiorno, vestita molto meglio del solito, con lei c’erano anche la mia sorellastra, naturalmente sempre accanto a lei, un folto gruppo di uomini in uniforme in piedi e seduto su una poltrona un uomo abbastanza giovane dai tratti anglosassoni; anche lui era in uniforme ma dal numero delle stelle e dei gradi sulle spalle intuii che fosse un tipo abbastanza importante nell’esercito.

Io rimasi vicino al mitico maggiordomo fino a quando la megera non mi fece cenno di venire da lei.

In quel momento assomigliava tanto alla strega di Biancaneve che le chiede di assaggiare una delle sue mele, ringiovanita certo, e ben vestita, ma l’espressione era la stessa”.

 

“Forse sono sorelle”.

“Sì può darsi, secondo me è imparentata pure con la matrigna di Cenerentola e con Malefica, hai presente la strega della Bella Addormentata Del Bosco?”

“Sì, certo…”

Abbassa lo sguardo e trattiene una risatina.

“Che c’è, a cosa stai pensando?”

“Oh, niente mamma, mi stavo chiedendo…”

“Sì…”

“Assomigliava pure a Crudelia De Mon?”

Soprattutto a Crudelia De Mon, mi ricordo che andava matta per le pellicce, ne aveva una stanza, non un armadio, una stanza, zeppa, di ogni tipo”.

“E scommetto che fumava come un cubano!”

“Oh molto più di un cubano! Ogni volta che la incrociavo, vedevo solo le gambe perché il resto ero coperto da una affezionata nuvoletta di fumo che non la lasciava mai, fumava pure a tavola”.

“Che maleducata”.

“Peggio, una strega.

Adesso però continuo perché altrimenti facciamo le otto di sera”.

“Okay, ti ascolto”.

“Buen, señorita”.

 

“Io mi avvicinai malvolentieri al divano, salutai tutti, compresi gli sconosciuti, e mi accomodai, si fa per dire, di fianco alla mia adorata matrigna.

Lei non perse tempo, mi presentò il militare pluridecorato e attaccò con una catalogazione infinita di tutti i suoi pregi, sorridente e meravigliosamente falsa.

Io non sentii assolutamente niente di quello che diceva, non me ne importava un fico secco, riuscii solo ad afferrare che era un tenente e che si chiamava di cognome Cannington.

Alla fine del monologo (tutti i cattivi devono avere il loro momento di egocentrismo) io ero un po’ stordita dalla stridula voce che sentivo ancora blaterare nelle mie povere orecchie, perciò non sapevo cosa dire per accontentare la sua proprietaria e il resto del pubblico.

Poi capii che la soluzione più semplice era annuire convinta.

La mia matrigna mi sorrise raggiante come il faro di un camion e con quello straziante rumore che emanava e chiamava erroneamente “voce” proferì le seguenti parole:

“Bene, allora a lavoro, signori, entro un mese sarà pronto tutto, sappiate che voglio il meglio per mia figlia, dopo tutto quello che ha passato desidero che sia felice per sempre!”

“Non si preoccupi, signora Villa, le prometto che tratterò sua figlia come una regina, non le farò mancare niente, vedrà, sarà veramente felice con me”.

Forse mi era sfuggito qualcosa di importante.

Qualcosa di vitale, addirittura.

Non ne ero sicura ma qualcosa mi diceva che mi ero cacciata in un brutto guaio.

Chiesi umilmente alla mia sorellastra cosa stava accadendo davanti ai miei ignari occhi e lei mi rispose con un punta di soddisfatta velenosità nella voce che sua madre stava organizzando un matrimonio da mille e una notte per la sua figliola più piccola.

Un senso di orrore mi attanagliò le membra.

Oh per le orecchie di Dumbo, la figlia, o meglio, la figliastra, più piccola di quella infima donna ero io!

Cosa diamine si era messa in testa, la versione tedesca di Crudelia De Mon, voleva combinare un matrimonio come si faceva tra le famiglie nobili del medioevo tra me, una povera orfana di padre (e pure di madre) con un tizio che non conoscevo neanche e che poteva essere pure mio padre?

Ma allora lo sapeva!

Sapeva tutto quello che mio padre ed io ci eravamo detti nel suo ufficio, sapeva che la piccola orfana trovata dal mitico maggiordomo davanti al portone di casa quattordici anni prima era la figlia di suo marito, non vi erano dubbi!

Aveva quindi aspettato che il suo adorato consorte ritornasse dall’America per vendicarsi.

Era stata lei a riempire di cianuro il bicchierino di whisky destinato a mio padre e adesso che lui era morto voleva togliere di mezzo la “meticcia”, cioè io, perché rappresentavo un pericolo per l’eredità.

Tutto ben calcolato, non c’era dubbio, voleva arrivare alle ricchezze di mio padre”.

 

“Ma scusa, mamma, che bisogno c’è di uccidere il proprio marito e far sposare la propria figliastra con uno sconosciuto per poi prendersi tutta l’eredità, tu non avevi una sorella maggiore, non potevate dividervi il tutto?”

“Beh la spiegazione è più semplice di quanto pensi, la mia matrigna si era sposata con mio padre quattro anni prima della mia nascita, e lei aveva avuto una figlia da un precedente matrimonio, quindi mia sorella non era figlia di mio padre, almeno non biologicamente”.

“Ah giusto, me l’avevi già detto l’altra sera, che sbadata, scusa!”

“Ecco, così impari a stare più attenta quando ti parlo!”

 

“Come stavo dicendo prima che tu mi interrompessi, mi ero cacciata in un enorme guaio e la mia dolce ed avara matrigna voleva accaparrarsi tutta l’immensa fortuna di mio padre senza lasciarne un po’ alla figlia legittima, che poi ero io, e quindi per tenermi lontana da casa mi stava costringendo a sposare quell’uomo, che poi non mi piaceva neanche, e per giunta era inglese.

Sarà, ma a me i biondi non sono mai piaciuti, a parte James Dean, ovvio, davano l’aria di essere troppo finti e perfettini e il peggior tipo di biondo che potesse esistere era l’inglese.

L’aveva scelto sicuramente per questo motivo, il Messico è lontano rispetto all’Inghilterra.

Voleva davvero togliermi di mezzo a tutti i costi!

Quando fui cosciente di quello che avrei dovuto passare per il resto della mia vita decisi di imporre le mie condizioni per le quali quel matrimonio non doveva celebrarsi.

Naturalmente feci la cosa peggiore.

Mia matrigna mi si avventò contro come la mia sorellastra un anno fa per quello stupido fazzoletto, mi disse che non ero degna di rimanere dentro la sua casa (come se l’avesse comprata con i suoi soldi) , che ero la “scostumata figlia illegittima di un pover’uomo che si era prodigato affinché fossi felice mentre tu non gli hai mai dato soddisfazioni, è stato troppo paziente con te, doveva rendersene conto da subito che” bla, bla, bla e bla, finché non sentii arrivare una mano sulla mia guancia.

Era successo, io avevo combattuto a parole la mia battaglia pensando di farla franca, e invece mi ero beccata un schiaffo in piena faccia.

Il dolore non era come quello per la morte di papà, ma era il dolore di chi ha miseramente perso, di chi ha provato a cambiare l’ordine delle cose e non ci è riuscito.

In quel momento mi sentii ancora come Michael (più passava il tempo e più mi rendevo conto che eravamo molto simili), sopraffatta dalla vita e dalle ingiustizie immeritate, destinata ad essere sottomessa a qualche mostro di cui odiavo anche il solo pensiero.

Guardai la faccia della mia matrigna: era tesa ma compiaciuta e mentre io cercavo di non piangere per non darle soddisfazione, una cospicua parte di lei voleva tanto che accadesse per darmi il colpo di grazia davanti a tutti i presenti.

Ma io non glielo permisi, se dovevo uscire di scena dovevo farlo con stile.

Continuai quindi a fissarla senza muovere un muscolo, il freddo azzurro dei suoi occhi che si specchiava nel mio nero misterioso.

Alla fine la gentile signora si stancò di quella silenziosa battaglia ed io capii che mi ero meritata tutta la sua ammirazione, aveva capito che con me non si doveva scherzare.

E questo l’avrebbe capito anche il mio futuro consorte”.

 

“Allora quando ti ci metti sai tirare fuori la belva che è in te, dico bene, mamma?”

“Certo, tesoro, sta attenta, un giorno potrei graffiarti con i miei artigli, li ho limati apposta per il tuo dolce visino!”

“Ah ah ah, non mi fai paura, sono grande ormai per queste cose!”

“Certo, la prima volta che ti ho portato a vedere un film dell’orrore te la sei fatta sotto dalla paura, stavi sempre con gli occhi chiusi e tremavi come una gelatina!”

“Certo, l’avevi noleggiato apposta per farmi prendere un colpo, sai che non mi piacciono i film di quel genere!”

“Però Michael Jackson che balla con degli zombie in mezzo a una cimitero abbandonato non ti fa paura, eh?”

“Beh, lui è un’altra cosa”.

“Naturalmente”.

“Comunque mamma, ritornando al discorso di prima, mi avevi promesso che mi avresti detto tutto, ma proprio tutto sul tuo più caro amico e soprattutto volevo sapere come mai io sono stata in casa Jackson, magari lui mi avrà preso in braccio, avrò giocato con lui, avrà ricambiato un mio sorriso innocente, insomma, sono stata nella stessa casa di Michael Jackson senza neanche saperlo!”

“Se non seguo i miei ricordi  la mia storia perde tutta la drammaticità e la mestizia che ho provato in quegli anni, mi capisci?”

“Sì, però lo sai come sono fatta, non so aspettare le notizie importanti, ti prego, arriva al sodo, che ci vuole, è questione di poche parole, no?”

“Lo so che vuoi sapere quello che vuoi sapere ma se non seguo l’ordine cronologico degli eventi…

“E dai, che ti costa dirmelo, voglio solo sapere se sono stata nella stessa casa di Michael o no?”

Era inutile, non avevo vie di fuga con quella piccola peste di mia figlia, sì, lo so che il mio racconto era un po’ monotono per lei, non certo noioso, ma lungo, triste e soprattutto, egocentrico…

Vabbè, pensai, dopotutto gliel’avrei dovuto dire lo stesso, altrimenti non mi avrebbe più guardato in faccia o peggio sarebbe scappata di casa (probabilmente ma ho paura solo a pensarci…).

Sospirai (ormai i sospiri sono di casa da noi), mi accomodai di più sul mio letto come una bambina stufa di ascoltare i propri genitori che la rimproverano e risposi alla sua semplice e immediata domanda:

“Sì. Sei stata in casa Jackson, hai vissuto lì per un breve anno della tua vita, Michael stravedeva per te. Tutta la famiglia, tranne il viscido, stravedevano per te. Eri la piccolina di casa, ti amavano come se fossi stata una loro parente, non smettevano di dire quanto eri bella e vivace, ti facevano un sacco di regali. Una volta cantarono anche per te, allora sei soddisfatta, adesso?

Quella rivelazione lasciò Katie senza respiro, ad un certo punto mi preoccupai davvero, era così immobile che si era dimenticata di prendere aria e ributtarla fuori.

Poi pian piano il viso si rilassò e gli occhi ritornarono della loro grandezza naturale.

“Dimmi che stai scherzando, mamma.

È tutto una balla vero?”

“No tesoro è la pura e cristallina verità ma sei anche libera di non crederci”.

“Beh… È difficile crederci come è difficile non crederci, detto da mia madre qualcosa di fondato deve avere”.

Mi guarda ancora un po’ sorpresa e socchiude gli occhi, fa così quando si spreme le meningi.

“Ma senti mamma…”

“Sì…”

“Come cavolo facevo a trovarmi nella casa dei Jackson, ti aveva invitato Mike?”

“Ehm… No, veramente, ci sono andata di mia iniziativa…

“Senza chiederlo a papà?”

Quella domanda mi spiazzò di colpo: non avevo mai raccontato nulla a mia figlia sull’identità del suo vero padre, né ciò che avevo dovuto sopportare in tutti gli anni nei quali eravamo sposati.

Lei sapeva soltanto che suo padre era morto prima che lei nascesse, con un insulso incidente mentre lavorava e da allora non mi aveva più domandato nulla su di lui.

Fino a quella sera, naturalmente.

Era complicato inventarsi qualche scusa che giustificasse la nostra fuga in America ma dalle occhiate impazienti di Katie capii che non avrebbe messo piede fuori dalla mia stanza se prima io non le avessi raccontato tutta la verità.

Era cocciuta, mia figlia, ed anche nei momenti di tenerezza riusciva a cacciar fuori la sua natura caparbia e sovversiva.

Era disposta a qualunque cosa pur di riuscire nei propri intenti.

“Sì, anzi, diciamo che l’ho fatto per scappare da lui…

“Perché, cosa ti aveva fatto, ti aveva trattato male, aveva alzato un po’ troppo le mani?”

“No, non è questo, Katie, purtroppo.

Sarebbe stato troppo bello se mi avesse solo picchiata…

“Ma allora, cosa…”

Un’idea attraversa il viso di mia figlia, un presentimento anzi, un terribile presentimento.

Mi guarda negli occhi come se avesse già capito quello che sto per dirle.

Nei suoi occhi c’è tristezza, stupore, impotenza, ma soprattutto tristezza.

Il suo coraggio era sparito come fumo al suono di quelle parole enigmatiche eppure così evidenti.

Quei sentimenti riaffiorarono anche dentro di me e al solo pensiero del mio duro passato non potei trattenere le lacrime che scendevano calde e silenziose sulle mie guance.

“Era un incubo.

Tutte le sere la stessa storia e se cercavo di resistere faceva ancora più male.

Non avevo scelta, ero costretta a sottostare ai suoi desideri, anche i più primordiali.

Non sai quanto ho pianto perché la smettesse ma lui era fissato con l’erede maschio, l’erede prima di tutto, non importava chi era la madre e quello che le faceva passare il marito, l’importante era che nascesse.

Tutto cominciò quando avevo sedici anni, una ragazzina o poco più, ancora inesperta, ingenua, ingannevole.

Il tipo di donna che le serviva per adempiere al suo compito.

Quando rimasi incinta per la prima volta, quello stesso anno, decisi di mettere in salvo almeno la piccola creatura che stava crescendo dentro di me, ormai la mia stupida vita non interessava più a nessuno, neanche a me.

Provai quindi a fuggire per i quartieri più sconosciuti della città ma la sua rete di scagnozzi era così vasta che non fu difficile riacciuffarmi.

A casa passai il momento peggiore: mi picchiò ancora una volta come uva passa fino a quando non vide che stavo sporcando il tappeto di sangue.

Troppo sangue per venire da uno schiaffo in faccia.

Non fu l’ultima volta che successe, una volta stavo nella vasca da bagno, l’altra facevo il bucato.

Pensai che neanche il piccolo che doveva nascere voleva avere quell’uomo come padre.

Non aveva tutti i torti, dopotutto.

Poi nel ’71 accadde un miracolo.

La gravidanza stava andando meravigliosamente, nessun accenno di aborto spontaneo, nessuna malattia del feto, tutto stava andando secondo i piani di mio marito.

I primi di marzo dell’anno seguente venivi al mondo tu.

Per me eri bellissima ma tuo padre non la pensava come me.

Lui voleva il fatidico maschio ma ormai doveva arrendersi all’evidenza dei fatti, aveva una figlia femmina, incantevole e in salute.

Non riuscii a convincerlo di ciò, anche se non mi sfiorava più neanche con un cucchiaino, trovava sempre l’occasione per svilire te, mia figlia, l’unica cosa per la quale mi era rimasta una ragione di vita.

Alla fine non mi rimaneva altra soluzione che tentare ancora.

Quando tu fosti abbastanza grandicella per affrontare un viaggio in aereo presi il primo Boeing che faceva volo diretto Londra-New York e lasciai quella casa infernale per andare in un’altra, sempre infernale ma senza maniaci dell’onore pronti a stuprare la prima donna che cadeva nella loro trappola.

A casa Jackson fui accolta abbastanza bene, mi ricordo che mi aprì Jackie, il caro Jackie, che non si era dimenticato del nostro incontro di dieci anni prima e convinse suo padre per farmi rimanere insieme a te, almeno per un anno, finché tu non fossi stata più grande.

Il mostro N°1 accettò la nostra proposta, mia e di tutto il resto della famiglia, che aveva ascoltato la mia storia e voleva assolutamente aiutarmi.

Appena Michael mi vide non seppe più cosa fare o dire, e neanche io in verità.

Era così felice di rivedermi che piansi al solo pensiero di andarmene e di lasciarlo da solo ancora una volta.

Ma lui mi diceva sempre, ogni volta che parlavamo di future separazioni che non dovevo preoccuparmi di lui, se veramente gli volevo bene, sarà bastato ascoltare la sua voce alla radio o col mangiadischi e anche se quella era una vera sciocchezza, lui mi assicurò che avrebbe funzionato.

Il potere della musica è immenso, mi diceva spesso, la musica cambia gli uomini ma non i veri sentimenti che ognuno prova.

Vedrai, sarà come se non ci saremmo mai lasciati.

E in effetti quando ce ne andammo via, non spegnevo mai la mia radiolina, i 45 giri e gli LP fumavano come l’asfalto della Route 66 in piena Arizona, fui costretta a comprarne di nuovi, anche il vecchio gira dischi era arrivato al capolinea.

Per un po’ vagammo senza fissa dimora, non c’era nessuna buona anima che volesse ospitarci almeno per una notte, tutti gli hotel, anche i più scadenti, erano sempre pieni, ed inoltre io non sapevo guidare, non potevo noleggiare un autoveicolo né tanto meno una moto.

Decisi così di rischiare.

Volevo attraversare il confine ed andare in Messico, nella mia vecchia casa per riscattare l’eredità di mio padre gentilmente presa in prestito dall’avara matrigna.

Ed è quello che feci.

La perfida sorellastra non poteva credere ai propri occhi, quando mi vide si versò tutto il the caldo addosso, fu uno spettacolo unico.

La madre, beh, anche lei era decisamente sorpresa e non perse tempo a chiamare il suo amichetto, ovvero mio marito, nella speranza che sarebbe venuto a riprendermi.

Ma non fu così semplice.

Prima di andarmene aveva sporto denuncia presso il commissariato di Scotland Yard, avevo raccontato tutta la mia storia nei minimi particolari, aggiungendo anche qualche piccola bugia per renderla più drammatica, anche se drammatica lo era già.

I segugi non poterono far altro che credermi, dopotutto era una ragazza e pure con una figlia a carico e quindi il giorno dopo la mia partenza (naturalmente c’eravamo messi d’accordo prima) fecero irruzione nella lussuosa dimora di tuo padre e senza tanti complimenti lo sbatterono dritto dritto in galera insieme ai ratti di fogna, suoi amici fidati.

In questo modo avevo la strada spianata da ogni minaccia, neanche la matrigna e la sorellastra non poterono fermarmi mentre rimettevo le mani sulle ricchezze che mi spettavano di diritto.

Ed inoltre mi accaparrai un notaio geniale, amico di mio padre, che sapeva delle sue ultime volontà e naturalmente di me.

Così anche le deliziose e generose dame che si reputavano mie parenti fecero la stessa fine del mio meraviglioso consorte.

Non mi restava altro che sistemarmi in qualche bel posto dove non ci rompesse le scatole nessuno: scelsi Los Angeles, primo, perché era vicina al Messico, secondo, era la città dei miei sogni e ricordi più belli, terzo, era affacciata sull’oceano, quarto, avevo sempre desiderato una casa a Beverly Hills, con giardino e piscina, come tutti i benestanti che si rispettino, ed adesso io ero una di loro.

Con noi partì anche il mitico Fernando che non aveva mai smesso di sperare nel mio ritorno, sapeva che niente e nessuno poteva trattenermi lontana dai miei sogni.

E con questo è tutto”.

Smisi di parlare che ero sfinita, la gola era secca e la testa mi ronzava come un alveare.

Era incredibile quello che avevo fatto, avevo rivelato il mio segreto più grande dopo quello di Michael, a mia figlia adolescente, dapprima ignara ed indifferente di fronte alle mie rivelazioni, le quali scalfirono di poco i suoi sentimenti più profondi.

Ma quello che avevo finito di dirle pochi secondi prima non se lo sarebbe mai aspettato, era veramente troppo per una ragazzina come lei.

Era venuta a sapere delle violenze sessuali di suo padre su sua madre, anche lei era nata in quelle circostanze orribili da accettare, ma purtroppo reali e indimenticabili.

Era rimasta un’altra volta immobile, stavolta paralizzata dal terrore e dalla sofferenza che leggeva nei miei occhi.

La sua bocca non si apriva più, era serrata come una saracinesca, un gemito di dolore voleva uscire ma lei non lo voleva e tremava per lo sforzo.

Chiuse anche gli occhi e abbassò la testa, stringendo forte i pugni nel tentativo di non far implodere il suo cuore, piccolo e fragile come la sua innocenza.

Mi si strinse il petto a vederla in questo modo, ero stata io la causa di tutto, ero esplosa col tentativo di calmarla e rassicurarla e invece avevo combinato il contrario.

Che stupida che ero stata.

Stupida ed egoista.

Provai anch’io a non piangere ma io non ero come mia figlia, lei era forte al contrario di me e non avrebbe mai mollato come invece io facevo spesso.

Presa da un’onda di rammarico e pentimento, mi voltai di scatto e la abbracciai più forte di quanto non avessi fatto prima e lei senza alcun tentennamento lo ricambiò, stringendomi le mani dietro la schiena e sciogliendosi finalmente in un pianto triste e liberatorio sul mio petto, inondandomi la maglietta di lacrime.

Neanche io ce la feci più, mi lasciai andare sulla sua esile spalla, bagnandole pure il viso.

Ma ormai a nessuna delle due importava più di questo.

Eravamo madre e figlia, il nostro sangue era lo stesso, condividevamo le gioie e i dolori e piangevamo le stesse lacrime.

Ad un certo punto Katie alzò il viso arrossato e congestionato dal pianto e tra i singhiozzi mi mormorò:

“Mi dispiace, mamma. Mi dispiace per tutto quello che potevo fare per te e non ho fatto, per tutto il tempo che hai sacrificato per rendermi la vita normale e felice, per tutta la tua esistenza non hai fatto altro che combattere contro i soprusi e le cattiverie della gente, ti difendevi da ogni accusa infamante, sopportavi il dolore e speravi che tutto un giorno finisse.

E adesso arrivo io a complicarti la vita con la mia impazienza, la mia testardaggine, la mia innata gelosia nei tuoi confronti.

E tutto questo non può farmi altro che male perché tu non ti meriti una figlia come me.

Sono stata così cieca, mamma…”

“Che ora non so più se riuscirò a vedere nel tuo cuore così come tu vedi nel mio”.

Le sue parole mi avevano così commossa che non riuscivo più a guardarla negli occhi.

Per tutto questo tempo non avevo mai pensato che mia figlia si aprisse con me in questo modo, non ci speravo più, non speravo nel ritorno della dolce e gentile Katie, la mia bambina, la mia unica ragione di vita, la mia stessa vita.

Le presi delicatamente il viso tra le mani e la guardai dritta negli occhi ancora lucidi.

“Amore, non pensare neanche quello che hai detto su di te perché non è vero niente. Tu non sei mai stata un peso per me.

Io ti voglio bene come sei, con tutti i tuoi difetti e le tue fissazioni e continuerò a volertelo per l’eternità perché tu sei mia figlia, la mia stessa essenza, non potrei mai giudicarti come un fardello troppo pesante da portare.

Ricordatelo sempre Katherine, io non ho mai smesso di volerti bene e di sperare che tu un giorno fossi ritornata la te di tanti anni fa.

E adesso che è successo non posso essere più felice”.

Lei alzò il viso che prima era affondato nel mio petto e mi guardò sorpresa e ancora un po’ scettica.

“Di-dici sul serio, mamma? Non sei arrabbiata con me, per nessun motivo?

“Ma no, tesoro, cosa vai a pensare, io non ho mai smesso di volerti bene anche quando compivi qualche azione sbagliata io ti ho sempre perdonata, sapevo che lo facevi solo per attirare l’attenzione e avresti capito presto che non stavi facendo la cosa giusta. E infatti è successo”.

“Ma sei proprio sicura di quello che dici? Non ti sei arrabbiata nemmeno quando sono sbucata fuori dal letto in preda a una crisi da fan sfegatata e gelosa del proprio idolo?

“Sì amore, sicurissima al centoventi per cento.

Ah a proposito, mi porti un secondo la lettera di Michael, voglio vedere quando me l’ha spedita”.

“Oh… Va bene”.

Katie si alza dal letto lentamente, ancora scombussolata dal pianto da poco domato, va alla scrivania e prende il foglio indaco impregnato di profumo.

Nel breve tragitto che va dalla scrivania al mio letto si mette ad annusare la lettera, inebriata dalla dolce essenza che essa emana.

“Ma questo…”

Da un’altra annusatina per trarre la conclusione più esatta.

“È  Chanel n°5, il tuo preferito!”

“Eh già, Michael voleva fare il gentiluomo e ci è riuscito, ha azzeccato subito il mio profumo preferito, quasi nessuno ci riesce”.

“Ma fa sempre così?” Mi domanda maliziosa.

Io ci penso un po’ su e le rispondo.

“A dir la verità no, è la prima volta che lo fa, forse voleva che io accettassi la sua richiesta e quindi per addolcirmi un po’ ha usato il mitico Chanel che piace a tutte le donne, ma per me è assolutamente il migliore!”

“Cosa, Michael o Chanel n°5?” Riecco lo sguardo malizioso e sfacciato che prevede le situazioni più impensate tra le persone più impensate.

“Ma ovvio Chanel n°5, che domande! Comunque mi riferivo anche a Michael”.

“Certo, dillo che un po’ ti piace, mamma, tanto noi due non abbiamo segreti, giusto?”

“Questi non sono segreti, queste sono insinuazioni diffamatorie!”

“Ma io non sarei mai capace di fare una cosa simile alla mia adorata mammina, ma cosa vai a pensare?”

Mi guarda sdolcinatamente falsa e ondeggia con fare innocente.

Io non le rispondo, tanto farebbe lo stesso effetto.

Smette un momento di ondeggiare e guarda la lettera, interessata.

Poi alza gli occhi e dice:

“Comunque la lettera è datata giovedì 11 luglio 1985 e l’appuntamento è fissato per…

Controlla ancora verso la fine della missiva.

“Sabato, cioè il 13 luglio 1985!”

All’improvviso non so cosa mi successe ma mi sentii stranamente… strana.

Stamattina appena sveglia l’orologio segnava le otto e un quarto e il giorno era …

Oddio.

Oddio, dimmi che non è vero, che è tutto uno scherzo, non sto facendo tardi all’appuntamento della mia vita solo perché mi sono dimenticata che giorno è oggi.

No, purtroppo il mio orologio non mente mai.

Guardo terrorizzata mia figlia, lei guarda me come se fossi stata una zombie e tutt’e due ci voltiamo insieme verso l’orologio tramutato in un ammasso di numeri e lettere parlante.

Poi insieme ci rigiriamo e ci guardiamo, nessuna osa proferire parola.

Poi mi faccio coraggio e accetto la cruda realtà.

“Oggi è sabato 13 luglio”.

“Vuoi dire che stai facendo tardi ad un appuntamento con Michael Jackson perché non ti sei ricordata che giorno è oggi?!

“Suppongo di sì”.

“Oh santissima Madonna di Bay City, mamma, devi assolutamente sbrigarti, non puoi far aspettare Michael in questo modo, avanti, datti una sistemata, fai pena, persino un barbone della metropolitana va in giro vestito meglio!”

“Molto gentile, Katie, come al solito.

Invece di parlare perché non vai a prepararti neanche tu stai messa tanto bene sai?

“Cosa?! Cioè, posso venire anch’io?”

“Ma si, dai, penso che a Michael non darai fastidio sulla sua limousine, c’entrerebbe un intero circo col tendone e i giocolieri! Che c’è, perché mi guardi così, ho detto che devi vestirti oppure te lo devo dire in spagnolo?

“No, no, mamma ho capito tutto, adesso vado in cameretta e torno tra cinque minuti vestita e profumata!”

“Bene, va, ti aspetterò”.

 

 

Furono i quindici minuti più lunghi della mia vita, dal momento che lessi orripilata la data di oggi fino a quando non piombò nella mia stanza il ciclone Fernando per dirmi che uno sconosciuto dall’aria misteriosa aveva suonato il campanello e chiedeva di entrare.

Io pensai subito al peggio, diedi gli ultimi ritocchi al mio abbigliamento e mi fiondai giù per le scale con i tacchi alti, rischiando pure di inciampare e di dire Bye Bye al povero Michael che si era preso un po’ di tempo libero solo per stare con la sua più cara amica.

Sulle scale incrociai Katie, anche lei vestita di tutto punto e agghindata come un’edicola sacra.

Scese le scale ci prendemmo per mano, senza guardarci, gli occhi fissi sul portone.

“Pronta dolcezza?”

“Lo sono sempre stata tesoro”.

Wow, cominciava a prenderci l’abitudine, tra un po’ saremmo state due sorelle gemelle come le Kessler, fantastico!

Vidi che anche Fernando era visibilmente turbato dall’arrivo del fantasmagorico ospite e sudava come un… come un californiano che ha mangiato troppo chili.

Ma si fece forza e ci aprì la porta, facendo attenzione a non inciampare dall’euforia.

Appena la porta si spalancò vidi due cose luccicare nell’oscurità: una scintillante berlina nera che intuii fosse una Bentley e uno sfavillare di pailletes che scese dalla macchina e mi venne incontro quasi correndo.

Adesso che ci penso, c’era un’altra cosa che brillava tra i fiochi lampioni e il bizzarro abbigliamento.

Un sorriso spettacolare e radioso invadeva tutto il mio campo visivo fino a scomparire con una nuova sensazione di calore tra le braccia.

Poi una voce parlò, una voce così lontana e celestiale ma allo stesso tempo così vicina che mi sembrò di essere morta.

Invece era tutto vero.

Lui era lì, mi stava abbracciando e la sua felicità era incontenibile così come la mia.

“Mi sei tanto mancata, Fiorellino”.

Lo strinsi più forte a me e appoggiai il mento sulla sua spalla.

“Anche tu mi sei mancato, piccolo Michael”.

 

 

 

 

 

 

 

 

Fiuuu, spero che questo capitolo non sia stato noioso, lo so, vi sto decisamente massacrando con i ricordi di Fiordaliso ma d’altronde lei è come me, è molto ma molto appiccicosa !!! (siamo anche nate lo stesso giorno, meglio di così xD)

Comunque spero che questo capitolo non abbia intaccato la vostra sensibilità con quello che vi ho scritto dentro, d’altronde è sempre un argomento molto delicato la violenza sulle donne e tante altre cose che ho scritto in questo capitolo.

Vabbè, smettiamola di parlare di cose brutte e pensiamo alle cose belle, innanzitutto volevo ringraziare tutte le cattive della Disney che ho nominato per la grande ispirazione che mi hanno dato e per la loro bontà nei miei confronti ^O^ poi tutte le gentili signorine che hanno recensito e che mi rendono ogni giorno la vita più bella e alla fine ma non meno importante il nostro adorato Mike, che ci guarda da lassù, sorridente e soddisfatto di tutte noi che gli dedichiamo le nostre storie scritte col cuore, penso che sia lui il motore che porta avanti le nostre grigie giornate e sarà così per sempre!! =)

 

Adesso passiamo alla parte burocratica (mejo de così nun se po’-.-“) e cioè rispondiamo alle signorine che stranamente quest’oggi sono tante!! ò_ò

 

MihaChan: mi dispiace bambola, quando avevi commentato io stavo già a metà opera, spero comunque che un 18 vada bene, grazie per i complimenti, continuerò come un treno ciao ciao!! ^_^

 

Eutherpe: oh amore le tue recensioni sono sempre fatte con il cuore invece che con la tastiera pensa che le vado sempre a rileggere perché sono davvero splendide!! *_*

Beh si Fernando è un vero mattacchione, sono contenta che ti piaccia e se ti fa più felice dopo avrà un ruolo molto importante ma non ti dico nient’altro… ^^

Poi Fiordaliso, beh, lei è la stella della storia, è una matta lunatica e svampita proprio come me, è adorabile per tutto quello che fa, anche a me piace tantissimo, ma col tempo il suo ruolo sarà un po’ marginale, dovrà far spazio a un personaggio molto particolare e eclettico, vedrai !! ;) i litigi tra lei e sua figlia sono la cosa che mi riescono meglio, forse perché anch’io come te sto avendo un periodaccio, purtroppo non mi va più di essere trattata come una bambina, proprio come Katie.

Uff, le mamme sono tutte uguali, non trovi?? =]

Ed infine la fantastica lettera di Mike, pure il mio profumo preferito c’ha messo, guarda che caso…. ù_ù

Ihihih, sono contenta che questo capitolo ti sia piaciuto, lo so che era un po’ troppo lunghetto ma le prossime volte vedrò di contenermi J salutissimi, bella Ambra, la Regina Lunatica non ti deluderà stanne certa!!! 

 

Eclipsenow: ehehe, sì ammetto di essere abbastanza brava ma non me li sarei mai aspettati tutti questi complimenti, davvero, grazie di tutto!!^^

Come ho detto prima i litigi tra Fiore e Katie mi riescono benissimo perché ci sto miseramente passando, poi la missiva con Quincy mi è venuta di getto, secondo me faceva effetto…ù_ù sì, hai ragione, quando Fiordaliso ha i suoi flussi di pensieri è troppo forte, anch’io quando rileggo quello che ho scritto muoio dalle risate ihihihihi!!^O^

Grazie tante per i complimenti, sei stata gentilissima e… non so più cosa devo dire, sei fantastica, continua a seguire la mia storia così come io seguo la tua, mi raccomando, tanti salutiniiiiiiiiiiii!!=)

 

Ed un altro capitolo è andato, ringrazio tutti tuttissimi, anche quelli che hanno solo letto, ci vediamo al quinto capitolo, ne vedremo delle belle!!!^^

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Capitolo 5
*** Sogno di una notte di mezza estate(Le sorprese arrivano quando meno te le aspetti) ***


         Sogno di una notte di mezza estate          

 

 

(Le sorprese arrivano quando meno te le aspetti)

 

 

Era incredibile.

Pensavo di non riuscire più a stargli accanto, di non poter più a sentire la sua splendida voce dal vivo, il suo inconfondibile profumo, la sua delicatezza nei modi, la sua dolcezza unica e inestimabile.

Mi mancava tutto di lui, dal nostro ultimo incontro sono passati già dieci anni.

Eppure nessuno dei due ha mai smesso di sperare.

Nessuno dei due ha mai pensato che un giorno non ci saremmo più rivisti.

Abbiamo fatto bene, mai perdere la speranza.

Ed adesso che ci ritroviamo qui, abbracciati e troppo felici per parlare, pensiamo che il mondo ricompensi chi ha lottato senza arrendersi mai con una felicità così grande che è impossibile riunirla in un solo abbraccio o in qualche parola buttata lì, ma solo con il puro e semplice dono dell’amicizia, quella che ci unisce da ventuno anni e ci unirà per l’eternità.

“Pensavo di non rivederti mai più, Michael.

Stavo cominciando a perdere anche l’ultima goccia di speranza che mi rimaneva”.

“Oh, Fiore, non dirlo neanche per scherzo, non perdere mai la speranza, è un errore gravissimo, lo sai?

Guarda me, che non ho mai smesso di sognare un mondo migliore e sto cercando tuttora di renderlo vivibile per chiunque attraverso la musica”.

Sospira e la sua voce perde un po’ della sua dolcezza per lasciar posto a una punta di mera amarezza.

“Dopotutto però stato uno stupido, per tutto questo tempo non ho mai pensato alla mia felicità come a un bene prezioso da tenere per me, solo a un modo per rendere felici gli altri.

E i risultati si vedono”.

“No”.

“No, Michael, non essere così cattivo con te stesso, tu non hai fatto niente di sbagliato, te lo giuro.

Hai solo seguito il tuo cuore, tutto qua.

Non dire mai più una cosa del genere, promesso?

“E tu non dire più che hai perso la speranza, promesso?”

“Promesso”.

Ci stringemmo ancora più forte l’una tra le braccia dell’altro, dimentichi di tutto, pure di chi ci stava intorno, impaziente e sconcertato alla vista di noi due, isolati dal resto del mondo come due fidanzatini innamorati fradici.

In effetti chi non conosceva tutta la nostra storia dall’inizio poteva pensare pure male.

Un colpo di tosse nervosetto e infastidito ci destò dal nostro momento di angelica estasi e mi ritrovai davanti al portone di casa mia, abbracciata a Michael Jackson come se fosse stato un orsetto di peluche, almeno una decina di presenti tra guardie del corpo, familiari e collaboratori domestici e parcheggiata davanti al cancello di ferro battuto la Bentley Mulsanne L (per intenderci una delle  limousine più piccole che possiede Mike, piccole per modo di dire).

Mi resi tristemente conto di quello che stavo facendo di fronte a tutto quel pubblico, guardai il visino innocente di Michael leggermente arrossato, come il mio certamente.

Ci slegammo velocemente dal nostro lungo abbraccio, molto imbarazzati.

“Ehm… Scusate, ma tra vecchi amici si fa così, no?”

Cercavo di scusarmi per l’appassionata dimostrazione di amicizia, inutilmente.

Mia figlia mi osservava truce, invidiosa della mia esperienza ultraterrena tra le braccia di Michael.

Come darle torto?

Fernando era impassibile, una statua di cera di Madame Tussaund ritta davanti all’uscio, sembrava proprio finto.

Michael invece stava cercando di rassicurare le sue fidate guardie del corpo che, al contrario del mio suscettibile maggiordomo, erano tipi più ragionevoli.

Dopodiché si volta verso di me e mi abbaglia ancora con il suo sorriso.

La prossima volta mi ricordo di portare un bel paio di Ray Ban, altrimenti divento cieca per davvero!

“Scusami tanto, Fiorellino, ho dovuto risolvere un po’ di problemi con i miei gentili collaboratori ma adesso che è tutto sistemato possiamo partire, va bene?”

Mi ridesto dalla mia estasi e capisco che Michael mi sta parlando.

“Ah… Oh, ma tranquillo, Mike, non preoccuparti, per così poco, in fondo per te io aspetterei per l’eternità…”

Chiunque lo farebbe, pensai.

Lui mi guarda contento.

“Anche io aspetterei te per l’eternità”.

Io distolgo subito lo sguardo dai suoi magnifici occhi e mi metto a giocherellare nervosamente con la chiusura lampo del giacchetto.

Dalla mia bocca non usciva più alcun suono, l’Effetto Michael aveva colpito nel segno; poi però mi ricordo di quello che dovevo chiedergli, mi faccio coraggio e formulo una semplice domanda che a me sembrò però un poema.

“Ah senti, Michael, può venire anche lei?”

Lui mi guarda, interdetto e adorabile.

Lei? Lei chi?”

Io prendo per un braccio mia figlia, completamente immobilizzata, e la conduco proprio davanti a Michael, estasiato alla vista di una creatura così bella ed innocente (anche se non si direbbe proprio) come mia figlia.

“Ehm, lei, mia figlia. Te la ricordi?”

Gli occhi di Michael, così come quelli di Katie, si illuminarono di gioia.

Lui si avvicina di più a mia figlia, completamente rapito.

“Ma come faccio a dimenticarmi di un visetto così dolce. Katie vero?

È da tanto che non ci vediamo e tu non ti ricorderai certamente di me. Piacere, Michael Joseph Jackson, ma tu puoi chiamarmi anche solo Michael.

O Mike, che è anche meglio!”

Cercai di rianimare mia figlia, completamente imbambolata, colpita dall’irreversibile Sorriso di Michael, che non lasciava scampo a nessuno, alcune fan le hanno portate pure in ospedale perché erano svenute come fiori appassiti, una volta successe anche che una svenne proprio tra le braccia del Re per la sottile e pericolosa vicinanza con lui. 

Finalmente riuscii a far ritornare mia figlia nel mondo dei mortali e con la mano che tremava insieme a tutto il resto, strinse quella di Michael.

“Piacere Michael, Katherine Villa, incantata”.

Incantata lo era per davvero, guardava fissa Michael e gli rispondeva atona come un tassametro.

Anche se Michael fa questo effetto anche a me, purtroppo.

“Già, non si direbbe, cara.

Villa, porti il cognome di tua madre?”

“Sì, qualcosa di strano?”

“Oh no, dolcezza, è che in America di solito i figli prendono il cognome del padre, sai com’è, la misoginia è infinita così come la stupidità umana”.

“Già, Michael, hai perfettamente ragione,  oltre ad essere bello ed intonato sei anche saggio”.

“Beh, a dir la verità ho preso in prestito la battuta da Einstein, e poi sinceramente, io non mi ritengo così bello e bravo come dici, ci sono cantanti molto più affascinanti e intonati di me, non trovi?”

“Ma se sei la cosa più perfetta e celestiale che esista al mondo, nessuno può competere con te, sei tutto quello che una donna sogna di avere: bello, ricco, gentile, romantico, sensibile, dolce, ami i bambini, canti da favola e sei maledettamente, incantevolmente…

Osserva Michael come un assetato fissa un bicchiere di Coca Cola gelata, inarrivabile eppure così vicino.

Michael, dal canto suo, era un po’ preoccupato per la sua incolumità, ma non riusciva a mollare la stretta di ferro di mia figlia, che non avrebbe di certo allentato così facilmente.

“Sexy”.

Wow, non pensavo che Mike facesse questo effetto su mia figlia, dovrei farlo venire a casa mia più spesso.

In fondo però Katie non ha tutti i torti, quando Michael balla non c’è nessuna che possa resistere al suo fascino e poi ha un fisico da paura…

Allontano questi pensieri libidinosi sul dolce ed innocente Michael, che cominciava a sudare freddo, e scollo le mani di Katie dalle sue, con grande rammarico per lei.

“Scusate se ho interrotto il vostro idillio ma non si è fatto un po’ troppo tardi, è meglio andare altrimenti ci annullano la prenotazione vero, Michael?”

Sorrido stancamente a lui che come sempre, sembra aver capito quello che sto pensando, si libera dalla morsa di Katie e fa un cenno alle bodyguards perché lo seguano.

“Perdonami Fiordaliso, ma quella bella ragazza di tua figlia non voleva mollare la preda, so di essere molto ambito tra le donne ma certe volte non so controllare la mia debolezza nei vostri confronti”.

Mi sorride, i suoi denti sono più bianchi del completo che indossa e più luccicanti di tutte le pailletes applicate sul gilet o sul papillon, esaltano il colore della sua pelle e la dolcezza dei suoi occhi scuri, è impossibile non rimanere accecati da così tanta perfezione, il calore che emana tutta la sua figura lo rendono irreale e impalpabile, un vero angelo…

Oh mammina santa, forse Katie ha ragione, mi sto invaghendo di Michael, eppure non pensavo che fosse mai successo, quando ci siamo conosciuti era ancora un bimbo e pure dieci anni dopo non è che mi interessasse, per me era solo un amico, niente di più, poi è arrivato il successo planetario, meno di tre anni fa, ma io lo vedevo ancora come il piccolo Michael, non mi interessava chi fosse diventato né che aspetto avesse!

Ma adesso…

Adesso è tutta un’altra cosa.

Appena lui mi guarda avvampo come la benzina nel fuoco, mi sorride e mi liquefaccio in una pozza d’acqua, mi tocca e mi sciolgo come un gelato al cioccolato sulla spiaggia di Santa Monica.

No, non può essere così, no, no, no, deve esserci uno sbaglio, io non posso innamorarmi di Michael Jackson, no, è troppo anormale perché succeda, non si può, va contro le mie leggi morali, è assolutamente impensabile, non posso farlo, no, non adesso che ho sistemato tutto con Katie, se lo faccio non mi guarderà in faccia per tutta la vita, no  non posso commettere questo affronto nei suoi confronti, mi rifiuto categoricamente di ciò, in fondo a Michael io non interesso, figuriamoci se accetta le mie proposte, dai, è fin troppo ridicolo, è impossibile…

“Tutto a posto Fiorellino, hai una faccia, sembra che tu abbia visto un alieno nel giardino di casa tua!”

“Beh in effetti qualche presenza strana nel mio giardino c’è…”

“E cosa sarebbe, un lupo mannaro o uno zombie o un procione mutante, cosa?”

“Ecco…”

“Sì…”

“La strana presenza che si aggira nel mio giardino… sei tu”.

“Ah, ma allora scusami per averti spaventato, prima di venire qui mi sono dimenticato di togliermi la maschera da mostro e nessuno me l’ha detto per farmi un dispetto, ma tu guarda che stupido che sono, perdonami ancora!”

“Oh, ma che dici, Michael, non hai nessuna maschera, sei vero e stupendo così come ti vedo io”.

“Lo so che tu hai il dono speciale di guardare dentro il cuore di una persona e scoprirne la vera natura ma penso che tu adesso mi stia adulando solo perché sono io. Penso anche che tu ti stia innamorando di me, dico bene?

“Ehi, ma cosa vai a pensare, io non posso fare una cosa simile, dai, è contro natura, Michael, noi siamo solo amici!”

“Calma, dai, stavo solo scherzando, neanche io farei una cosa simile, anche se sei la donna più simpatica e affascinante che abbia incontrato finora sei solo mia amica, come hai detto prima”.

“Oh, grazie al cielo”.

“Beh, adesso non esagerare, ho capito che non ti piaccio ma non penso di essere tanto orribile, no?”

“No. No, assolutamente”.

“Okay, così mi sento più sollevato. Adesso, le dispiace accomodarsi al suo posto, graziosa signora?

“Ma come, siamo già usciti dal cancello? Un minuto fa eravamo in giardino…”

Parlando con Michael avevo perso completamente la cognizione del tempo, tutto il tragitto che andava dal portone di casa fino all’inferriata era lungo circa dieci metri ma a me sembrarono millimetri.

“Sai com’è, il tempo vola quando sei in compagnia.

Ah a proposito di compagnia, posso far accomodare tua figlia con noi, non penso sia felice di stare tutta sola nel sedile anteriore, e poi voglio parlarle con più calma, abbiamo tempo prima di arrivare al ristorante, e credo che accetterebbe la mia proposta anche se glielo dicessi tu da parte mia”.

“Perché non glielo domandi tu, allora, io non sono te, non ho lo stesso effetto che tu hai su di lei”.

“Beh ecco…”

Abbassa lo sguardo a terra e la sua voce diventa un dolce sussurro.

Che carino, non riesco a staccargli gli occhi di dosso, è più forte di me.

“Mi vergogno un po’ a chiederglielo e poi detto tra noi…

Si avvicina al mio orecchio e mette la mano davanti la bocca a mo’ di altoparlante.

“Quando mi ha stretto la mano, pensavo che sarebbe rimasta nella sua, ha una presa micidiale, ho paura a starle vicino”.

“Ma dai, Michael, è solo una ragazzina, non farebbe del male ad una mosca, è semplicemente contenta di poterti incontrare, non fare l’esagerato come al solito!”

“Io non sto facendo l’esagerato, mi preoccupo per le mie mani, tutto qua”.

“Uffa, e va bene glielo chiedo io!”

“Grazie mille, Fiorellino, sei mitica!”

E detto questo mi stampa un bacino sulla guancia, un piccolo ed innocente bacio che però ha la forza di farmi barcollare come un’ubriaca.

Cominciamo bene, di questo passo non ritornerò a casa sulle mie gambe e neanche sulle mani. 

Con la poca lucidità che mi è rimasta mi dirigo verso mia figlia che per tutto il percorso dal portone al cancello è stata dietro di noi e ha mai smesso di guardare nemmeno per un nano secondo la sublime chioma di Michael, i suoi riccioli d’onice che ricadevano leggeri sulla nuca…

Okay, Fiordaliso, riprenditi, è tutto a posto, pensa a quello che devi fare, poi casomai dopo puoi permetterti qualche fantasia, ma non adesso, siamo intesi?

“Ehi tesoro, puoi venire un secondo qua?”

Katie si ridesta dal torpore post Sorriso di Michael e mi chiede serafica:

“Cosa c’è mamma, devi dirmi qualcosa?”

“Eh, sì, tesoro, Michael mi ha chiesto di dirti se per caso…

“Sì…”

“Michael mi ha chiesto di dirti se per caso ti va di stare con lui e con me nel sedile posteriore della sua macchina”.

Ecco fatto, non è stato difficile, no, una tranquilla  passeggiata per la Valle della Morte, niente di che.

“Mamma stai scherzando vero?!

“No tesoro, puoi pure chiederlo al diretto interessato, ti dirà la stessa cosa che ti ho detto io”.

“Oh Santa Barbara, ma certo che accetto, che domande mi fai, mamma, non mi capiterà più una cosa del genere, andiamo!”

“Ah, perfetto, allora… Andiamo, sì, andiamo, penso che Michael ci stia aspettando da un bel po’!”

Sorrisi nervosa a mia figlia che raggiante saltellava verso la Bentley e si accomodava sul sedile posteriore come se fosse stata una sposa emozionata pronta per andare in chiesa.

Anche se nell’abbigliamento non ci assomigliava proprio, la luce negli occhi e il sorriso stampato in faccia davano l’esatta impressione.

Mentre io…

Mi guardo orripilata il vestito che indosso.

È un tubino bianco molto semplice con la scollatura quadrata e le spalline sottili che si intrecciano dietro la schiena a X, l’unica decorazione consiste appunto nelle spalline e nella scollatura tempestate di pailletes, le scarpe sono dècolletè di vernice bianche intonate alla pochette coi bottoni argentati, poi ho un giacchino tipo chiodo con le maniche a tre quarti in tessuto lucido argentato e gli unici gioielli che indosso sono degli orecchini, uno a stella e l’altro a luna, e un braccialetto abbinato agli orecchini.

Sì, so che una donna della mia età non deve andar vestita in questo modo a un appuntamento con Michael Jackson ma non ho saputo resistere a quel meraviglioso tubino bianco ed inoltre il bianco mi sta benissimo, esalta la mia carnagione, i miei vaporosi capelli, i miei occhi luminosi, insomma non mi piace passare inosservata!

Ma non avrei mai pensato che anche lui si sarebbe vestito di bianco, naturalmente è un colore che gli sta d’incanto,(come tutti, del resto) ma chi ci vedrà camminare e conversare insieme, e succederà sicuramente, penserà che abbiamo una relazione o qualcos’altro, cioè, in un certo senso vestirsi abbinati è una cosa da fidanzati, e pure ufficiali!

Non voglio nemmeno pensare a quello che succederà dopo il nostro avvistamento da parte di qualche paparazzo…

“Fiorellino, mi senti, qui parla Michael, sei scesa dalla Luna oppure devo venirti a prendere io? Sappi che non ho problemi di equilibrio!”

“Eh? Come scusa?”

“Oh niente tesoro, è che siamo tutti pronti a partire, manchi solo tu”.

“Davvero ?”

“Eh sì, e dobbiamo essere lì verso le nove e visto che il ristorante è un po’ lontanuccio penso che se partiamo mezz’ora prima arriveremmo alle nove spaccate.

Ma non possiamo partire se non sali anche tu a bordo, mi capisci?

Ennesima figuraccia della serata, ho già perso il conto e ancora non siamo arrivati al ristorante.

Prima di farne un’altra ancora più grossa, annuisco come una foca al perplesso Michael e mi accingo a salire finalmente sulla Bentley, e come se non bastasse, lui sale per ultimo e si mette seduto proprio di fianco a me, davanti abbiamo entrambi Katie che ci guarda entusiasta e maliziosa.

Mi chiedo a cosa stia pensando la sua mente diabolica, anche se non è difficile indovinare.

Per fortuna per tutta la durata del tragitto mia figlia ha tenuto occupato Michael con un oceano di domande e esclamazioni da fan innamorata fradicia del proprio idolo.

Lui ascoltava interessato e rapito dall’acuta voce e dai gesti teatrali di Katie, che ad ogni suo sguardo incuriosito e segno di approvazione diventava via via più euforica e incontrollabile.

Dal canto mio, guardavo fuori dal finestrino e pensavo a quello che mi stava succedendo con Michael, se fossi stata innamorata sul serio oppure una semplice infatuazione dovuta al fascino illimitato che lui esercitava su tutte le donne.

Ero così intenta a pensare a tutte le possibili ipotesi che non mi accorsi che la macchina si era fermata e che l’autista stava scendendo per aprirci gli sportelli.

Michael fu il primo ad uscire ed offrì la mano sia a Katie, seppur intimorito e con qualche tentennamento, che a me, al contrario me la porse gentilmente e senza alcuna fretta.

“Ecco, finalmente siamo arrivati, spero di non aver deluso le vostre aspettative, ragazze!”

No, Michael, non ci hai assolutamente deluso.

Già dall’ingresso il locale sembra promettere bene: l’insegna, semplice e grande, spicca al centro sopra l’elegante portone di legno aperto, i muri sono dipinti di un caldo rosso mattone e il pavimento è in granito rosato, alternato a quadrati di marmo bianco.

Le persone che vi entrano sono vestite tutte abbastanza bene e dai modi educati, però si sentono anche un vociare allegro di bambini e le animate discussioni  dei giovani; questo ristorante già a prima vista non sembra un normale ristorante.

L’atmosfera che si respira già dall’esterno è accogliente ma allo stesso tempo formale, un luogo adatto per chiunque.

Michael l’aveva scelto apposta per me, sapeva che odiavo le raffinatezze della nouvelle cousine e la rigida etichetta che si doveva tenere ad una cena elegante nel ristorante più rinomato di tutta la città.

Non smetteva mai di sorprendermi, quel meraviglioso ed eterno bambino dalla voce d’angelo, ogni azione che faceva per te, ogni parola che diceva, ti scaldavano il cuore e ti facevano sentire la persona più importante di tutta la Terra, così come mi sentivo io in quel momento.

“Beh, allora cosa facciamo, entriamo?”

La voce impaziente di Katie mi aveva risvegliato dal mio solito torpore, molto più bruscamente di come faceva Michael, la cui voce era leggera e celestiale.

“Un momento, dolcezza, non agitarti, prima dobbiamo chiedere se il tavolo è già stato occupato da Quincy e poi possiamo andare”.

Ah, eccola, la sua voce, è un paradiso per il mio udito, come se stesse facendo un massaggio rilassante alle mie stanche orecchie…

“Cosa?! Ci sarà anche Quincy Jones a cena con noi, quel Quincy Jones?

“Sì, tesoro, gli ho chiesto gentilmente se poteva venire prima lui al ristorante e prendere il posto perché sapevo che avremmo fatto tardi e lui ha accettato di farlo”.

“Wow, Michael, sei fantastico, pensi sempre a tutto, sei un vero angelo, ti amo!”

“Ehi, ti avevo detto di non esagerare coi complimenti, sai, sono molto timido e se qualcuno mi riempie di lusinghe e belle parole divento tutto rosso come chili, quindi controllati per favore!”

“Okay, Michael, ci proverò anche se non sarà così facile, per me tu sei l’unica persona che merita complimenti su tutta la faccia della Terra”.

“Ecco, hai esagerato ancora, ti ho detto che non devi dirmi tutte queste cose carine, guarda che me ne ritorno a casa e non ti invito più a cena!”

“Oh, no, Michael, non potrei sopportare una cosa simile, ti prometto che non ti adulerò più, te lo prometto ma tu rimani qui con noi, ti prego!”

“Bene, così va meglio, brava ragazza! Adesso, se non ti dispiace, potresti riportare tua madre tra noi mortali, è da quando ci siamo incontrati che sta nel suo mondo e ancora non è uscita!

“Ai suoi ordini, capitano! Mamma, Mike dice che dobbiamo entrare, ti sbrighi per piacere?

Per tutta la conversazione tra Michael e Katie, io non ho fatto altro che osservare lui che parlava animatamente, si emozionava, si arrabbiava per finta, si rassicurava e infine mi guardava divertito mentre mia figlia veniva verso di me strillando come una cornacchia.

Per tutto quel tempo, che mi sembrò un’eternità, l’unica cosa che udivo era la voce di Michael, perfetta e per me anche ipnotica.

Infatti aveva sempre la capacità di immobilizzarmi e di farmi sognare ad occhi aperti come un suo bacio mi faceva barcollare instabile.

Anche adesso mi sento dondolare come se ci fosse stato il terremoto, ma ahimè, è mia figlia che mi scrolla un braccio nel tentativo di rianimarmi, e ci riesce quasi subito.

“Ehi mamma ma ci sei, devo lanciarti una secchiata d’acqua fredda oppure ce la fai anche da sola?”

Oh, mi basterebbe anche un sussurro di Michael per risvegliarmi.

“Eh? Ah sì, amore, dobbiamo andare?”

“Sì mamma, Michael ti sta aspettando da mezz’ora e tra un po’ se ne va se non ti sbrighi!”

“E va bene arrivo ma non spingermi così, ho una certa età, io !”

“Certo, ed io sono Ray Charles, avanti andiamo!”

Katie non la smetteva di torturare il mio braccio destro e alla fine mi decisi e la seguii senza esitazioni anche se ad un certo punto sarei potuta ritornare a casa correndo per la troppa tensione che provavo.

La dispettosa mi guidò vicino a Michael e lui appena mi vide prese la mia mano nella sua, non per motivi sentimentali certamente, ma mi sentii avvampare come il petrolio incendiato e guardavo dritta davanti a me, pregando che questo supplizio  finisse al più presto.

Con questa scusa ebbi l’onore di ammirare stupefatta l’interno del locale scelto da Michael e non potei far altro che lanciargli i più bei complimenti che si meritava.

Il pavimento era come si vedeva dall’ingresso, i muri invece erano salmone e lungo di essi vi era una fila interminabile di quadri che raffiguravano soprattutto velieri che cavalcavano le onde, mari in burrasca, tranquille spiagge esotiche, paesaggi mediterranei, ma anche sirene, leggendarie creature marine, feroci bucanieri, cieli stellati, incantevoli visioni di barriera corallina, che si alternavano a semplici finestre in legno molto ampie che si aprivano su una specie di veranda piastrellata e scoperta. 

Man mano che ci avvicinavamo al centro del locale notai che vi era anche un bellissimo piano bar a destra e verso l’estrema sinistra un piccolo palco con i sipari cremisi e un gruppetto di tavolini in ferro battuto e vetro senza tovaglia, destinati al cocktail o al semplice intrattenimento.

Questo posto mi ricordava meravigliosamente il locale in cui tanto tempo fa cantava mia madre, il luogo dove vidi per la prima volta Michael, dove assistetti al terribile evento che mi ha fatto cambiare vita.

Forse è per questo che Michael l’ha scelto, per farmi ricordare il nostro primo incontro nel migliore dei modi.

Mi veniva quasi da piangere per questo.

Michael era davvero capace di tutto ciò, riusciva a farti emozionare solo standoti vicino e donandoti tutto l’amore che aveva nel cuore senza chiedere nulla in cambio?

La risposta era sì, Michael sapeva fare questo e molto altro, ogni suo gesto si trasformava in una manifestazione di affetto puro e dolcezza incomparabile.

Tutto questo comunque mi faceva tanto sentire la sua fidanzata, già che mi aveva preso per mano non era un buon segno, anche se lui non ci badava minimamente a questi piccoli particolari, era solo contento di rivedermi e lo dimostrava come poteva, riuscendoci benissimo certo ma facendomi arrossire anche fino al più sottile dei capelli.

Cercavo di prestare attenzione a quello che succedeva intorno a me, senza pensare alla mano di Michael nella mia e vidi che nessuno dei presenti sembrava minimamente interessato a quel giovane uomo famosissimo che attraversava il locale in silenzio, mano nella mano con una donna finora sconosciuta, una ragazzina scattante e appariscente come un girasole e uno stuolo di bodyguards al seguito.

Pensai che qui Michael fosse di casa per non essere notato da nessuno in così malo modo oppure nessuno sapeva apprezzare la vera e spettacolare bellezza, i motivi in fondo erano pochissimi.

Per la prima volta da quando siamo entrati mi rendo conto che ancora non abbiamo trovato il tavolo preso da Quincy e neanche abbiamo trovato lui!

Mi avvicino nervosa all’orecchio di Michael e gli sussurro:

“Ma Michael, dove cavolo si è andato a cacciare Quincy, non avevi detto che aveva già occupato i posti, eppure non lo vedo da nessuna parte”.

“Calma, Fiorellino, il caro Quincy c’è ma vedrai dove ho prenotato, abbi solo un po’ di pazienza”.

“Okay”.

Continuavamo a camminare fin quando non ci dirigemmo verso la veranda sotto le stelle e imboccammo una viuzza quasi invisibile che conduceva al retro del locale che sinceramente mi inquietava un po’.

La mia situazione emotiva però cambiò quando riuscii finalmente a vedere delle luci soffuse provenire da una terrazza sulla quale vi erano anche dei tavoli apparecchiati e delle persone che mangiavano e discutevano animatamente.

Tirai un bel sospiro di sollievo, anche abbastanza rumoroso, ma nessuno badò a me, neanche Michael che continuava a guidarmi tenendomi per mano, mentre gli altri stavano dietro di noi, tranne Katie che saltellava intorno a Mike felice come un girasole che segue il sole.

In effetti nell’abbigliamento ci somigliava parecchio: avevamo deciso di vestirci abbinate come due migliori amiche che escono di sera per andare in discoteca per ricominciare la nostra unione nel più allegro dei modi, lei quindi aveva scelto uno stile solare ed io uno stile lunare; aveva una minigonna di jeans dall’aria vissuta, fuseaux giallo canarino al ginocchio, canottierina bianca con pailletes gialle sui bordi come sul mio tubino, ai piedi delle ballerine bianche di vernice con i fiocchetti di raso gialli, il giacchino era come il mio solo giallo fosforescente e sugli accessori c’erano soli e fiori, nell’insieme dava un’aria molto dolce e sbarazzina e in effetti mia figlia è proprio così (anche se a detta mia e di molti non si direbbe per niente!).

Saltellando e sospirando arrivammo ad una scaletta a chiocciola di ferro battuto ricoperta di bellissimi fiori rampicanti arancioni e arrivata alla fine dei gradini ammirai uno spettacolo unico nel suo genere: sotto di noi si stagliava infinita la leggendaria e luminosa città di Los Angeles, alte torri di luce si innalzavano tra le insegne più strane e le scie delle strade simili a stelle comete, l’oceano era buio e solitario in confronto ai quartieri palpitanti di vita sulla terraferma, solo la luna lasciava una chiara ombra sull’acqua rendendo lo spettacolo nell’insieme quasi magico e surreale.

Non riuscivo a credere ai miei occhi.

Davvero Michael aveva organizzato tutto questo per me, per passare una pacifica serata insieme alla sua migliore amica?

Non potevo credere a tutto ciò, non riuscivo più neanche a parlare per l’emozione, non vedevo più bene, mi appariva tutto sfocato e in penombra, non mi accorsi nemmeno dell’uomo di colore seduto in uno dei tavoli che alzava la mano in segno di saluto.

Quando mi ripresi un po’ dall’improvvisa ondata di offuscamento mentale dovuta a troppe premure e sorprese sorprendenti, mi resi conto che quell’ometto era Quincy che, come diceva prima Michael, ci aveva trattenuto il posto.

Neanche per andarlo a salutare Michael lasciò la mia mano ed io dovetti fare i conti con Quincy, che mi riconobbe e mi osservava perplesso come se io fossi stata una Peugeot 205 che accompagnava una Porsche 911, la stessa identica cosa.

Mi accomodai al mio posto esitante, aspettando che Michael si mettesse seduto prima di me affinché io potessi sistemarmi lontano da lui.

Non che volessi evitarlo ma il suo buon profumo e la dolcezza della sua voce mi avevano già fin troppo stordita e non volevo accasciarmi improvvisamente sul tavolo per colpa della sua azzardata vicinanza.

Mi misi quindi seduta vicino a Quincy mentre Katie fu ben contenta di star vicino a Michael; per fortuna il tavolo era apparecchiato solo per quattro, le guardie del corpo erano programmate per difendere e sorvegliare, non per mangiare o parlare o ridere, in verità mi facevano anche un po’ paura, rimanevano ferme ed immobili finché qualcuno non gli ordinava di muoversi come pezzi degli scacchi.

Tuttavia mi resi purtroppo conto di chi avevo davanti troppo tardi: Michael mi osservava sorridendo con le sue lucenti pupille, dal mio punto di vista erano di cioccolato fondente, circondate da ammiccanti ciglia nere che ad ogni battito dell’occhio invecchiavano il mio tormentato cuore di dieci anni.

La forza del suo sguardo era indicibile, puntando gli occhi su di te lui aveva la completa padronanza delle tue emozioni più profonde, con quegli occhi, sapeva scavare dentro di te negli angoli più imi della tua personalità come se fosse stato un pozzo petrolifero e avesse trovato uno sconosciuto e ricchissimo giacimento.

Era quello che stava facendo con me in questo momento, sentivo la forza del suo sguardo penetrarmi nelle viscere ma non dolorosamente, anzi, la sua forza era…

Piacevole.

Semplicemente piacevole.

Mi tenni questa strana sensazione nel mio ego per quasi tutta la durata della cena, ormai c’avevo fatto l’abitudine e non mi sembrava più così terribile.

Dopotutto è bellissimo essere guardate da Michael Jackson in questo modo, significa che per lui sei una persona molto interessante e vuole conoscerti meglio, anche se noi due ormai ci conoscevamo benissimo.

Dovevano portarci il dessert quando quei magici occhi si staccarono improvvisamente dai miei, puntati verso l’uomo alla sua destra che con una semplice occhiata sembrava aver capito ciò che Michael voleva dirgli.

Non c’era dubbio, quel ragazzo era proprio magico, riesce a comunicare con il pensiero, fantastico!

Quincy gli annuì e si scambiarono uno sguardo di intesa professionale ma anche di sospetta collaborazione iper-lavorativa che mi fece inquietare non poco.

Poi il caro Quincy si alzò stancamente dalla sedia guardando mia figlia.

“Cara, che ne dici di venire a vedere il panorama che si gode da quassù con me, ti va?”

Mia figlia guardò Michael tentennante poi si girò verso di me, stavolta indecisa e intimorita.

Capì però che doveva prendere la decisione in fretta dalle occhiate impazienti del vecchio amico di Michael e scelse la più semplice e immediata.

“Ah… Sì, sì, Quincy, certo che vengo, che domande, non voglio perdermi uno spettacolo del genere!”

Saltella fino a dove si trova lui e si allontanano verso la balaustra ferrata, lasciandoci prontamente (e anche finalmente) soli.

Michael li segue con lo sguardo finché non sono lontani da noi e poi si rigira verso di me, incatenando i suoi occhi ai miei per un lunghissimo e fibrillante minuto.

Poi sbatte le palpebre ed io mi riprendo ansimante da quella radiografia interna decisamente stressante a cui mi sta sottoponendo da quando ci siamo seduti e a cui non ancora riuscita a trovare una spiegazione.

Lui al contrario di me, invece, è tranquillo e non dà il minimo segno di cedimento cerebrale.

Sembra che sappia già tutto quello che succederà di lì a pochi secondi.

E questo devo confessarlo mi fa un po’ paura.

Non l’avevo mai visto così, così…

Determinato?

Sì, proprio così, determinato, ma non avevo la più pallida idea di quello che gli passasse per la testa.

Tutta questa aria di mistero mi fa capire che deve dirmi qualcosa.

Qualcosa di vivamente importante.

“Allora, ti piace il posto dove ti ho portato? Per me è assolutamente incantevole, ci vengo spesso e non mi ha mai deluso.

Spero che sia lo stesso anche per te”.

Esco fuori dalle mie riflessioni quotidiane e osservo Michael confusa poi capisco che mi sta parlando e dopo un attimo di imbarazzo (il ventesimo, di sicuro, ho perso il conto) gli rispondo annuendo energicamente, sorridendo nervosetta.

“Eh già…Si sta benissimo, davvero…Complimenti, come si chiama?”

“Ma come non hai letto l’insegna prima di entrare?”

“Ehm, no”.

“Oh, strano, si vede benissimo, comunque il suo nome è L’Isola Che Con C’è”.

“Davvero?”

“Sì, non è adorabile?”

“Oh, sì, certo, è assolutamente spettacolare, è un paradiso, quasi impossibile da trovare!”

“Beh, per me non è stato molto difficile, ho imboccato la seconda stella a destra e poi dritto fino al mattino”.

“Ah, ma dovrebbero mettere un cartello, una segnalazione, insomma, se uno non conosce le strade astronomiche come fa?”

“Semplice, prende il treno, così non sbaglia strada, i macchinisti dello spazio sono molto esperti!”

“Se lo dici tu, allora mi ricorderò di prendere il treno la prossima volta, tanto la stazione la trovo vicino al tramonto, no?”

“Sì, penso che sia ancora lì, se non l’hanno spostata, altrimenti devi farti tutto a piedi e credimi non è una passeggiata!”

Scoppiammo a ridere insieme come due adulti che scherzano come dei bambini e si divertono con l’immaginazione.

Mi ripresi dalla mia risata, avevo le lacrime agli occhi e mi faceva male la pancia terribilmente.

Anche Michael si stava piegando in due dalle risa, quasi non riprendeva fiato, era veramente adorabile.

Smettemmo di ridere insieme così come avevamo cominciato e lui ritornò subito serio, le labbra strette, le mani incrociate sul tavolo.

Io feci lo stesso, avevo l’impressione che sarebbe arrivata la parte più importante della serata in quel preciso momento.

“Devo dirti una cosa, Fiordaliso.

Una cosa molto importante che ti riguarda”.

Mi si bloccò il respiro come se mi fossi gettata dalle Cascate del Niagara, anche il mio cervello si era bloccato, non sentivo più i miei pensieri.

Vedevo e sentivo solo Michael  davanti a me, serio e assorto, rifletteva su ciò che avrebbe dovuto dirmi.

“Sì, lo so che ti ho lasciata decisamente di stucco ma ti prego, ascoltami attentamente, e dopo potrai dirmi tutto quello che vuoi, anche che sono un pazzo e questo succederà sicuramente”.

Rimasi con la bocca aperta e l’espressione ebete di chi non capisce niente e sinceramente non riuscivo a comprendere quello che Michael mi stava dicendo ma non potevo far altro che ascoltarlo come diceva lui e dopo avrei giudicato le sue parole.

Vedendo che non rispondevo alla sua esclamazione, lui riprese fiato e continuò a parlare.

“Come tu ben sai, cara Fiordaliso, noi ci siamo conosciuti in un frangente un po’ particolare, so che quella notte non ti revoca momenti molto felici ma è da lì che è iniziata tutta quanta la mia riflessione e adesso che sono arrivato a questo punto penso che… Tu devi essere ricompensata in qualche modo da me, non posso vivere il resto della mia vita e poi morire senza averti ricambiato il favore di quella notte”.

Ecco, ci siamo, il mio cervello ha esalato l’ultimo respiro, ormai tutto mi sembra incredibile e possibile come la capacità degli elefanti di volare, quella dei bradipi di ballare nelle discoteche e la consapevolezza che tutto quello che sta dicendo Michael si avveri.

“Per questo io ho deciso…”

Cos’hai deciso? Avanti, non tenermi sulle spine, so che tutto quello che stai dicendo è vero, lo so, posso crederci, voglio crederci!

“Di farti una sorpresa!”

Sgrano gli occhi, sbalordita.

Una sorpresa?

Una sorpresa?

Le mie orecchie hanno sentito bene oppure mi sto immaginando tutto, Michael Jackson mi farà veramente una sorpresa, una sorpresa esclusiva, riservata solo a me, in cui non sarà coinvolto nessuno, nemmeno i miei amici, i miei parenti più stretti, solo mia?!

Era incredibile eppure era così, la sorpresa sarebbe stata solo per me!

O meglio così pensava il mio cervello fumato e troppo coccolato dalle attenzioni di Mike come non mai.

“Da-davvero?”

“Sì, ti giuro non sto scherzando, ti farò veramente una sorpresa, una fantastica sorpresa! Però…”

“Però?”

“C’è un piccolo problema…”

“E di cosa si tratta?”

“Beh, ecco… Dovrai aspettare un pochino”.

“E perché, non ce l’hai qui con te, l’hai lasciata a casa, ti sei dimenticato di portarla con te?”

“No, niente di tutto ciò, vedi, la sorpresa che devo darti non è un bene materiale.

Cioè lo sarà ma non adesso”.

“In che senso Michael, non ti capisco, vuoi dire che ancora non è una sorpresa?”

“Ma sì che lo è, solo che sta alla natura decidere come sarà e quando sarà una sorpresa, cioè io posso solo dirti il giorno in cui comincerà ad essere una sorpresa ma non quando sarà diventata definitivamente una sorpresa, mi capisci?”

“Penso di sì, anche se è un po’ complicato da capire per una mente contorta come la mia”.

“Tranquilla lo capirai molto presto, tesoro, molto presto.

E ti prometto che non ne rimarrai delusa”.

“Ma come faccio a capire quando arriverà se tu mi dici che non sai il giorno in cui sarà pronta?”

“Perché lo capirai da sola, hai una sensibilità unica per queste cose, so che riuscirai ad arrivarci anche senza di me”.

“Ma come faccio a prepararmi ad una cosa che non so neanche cosa è oppure quando comincerà ad essere, come farò?”

Avevo le lacrime agli occhi, mi rifiutavo di non capire quello che invece a Michael rimaneva più facile da accettare, per me era come se non ci comprendessimo più a vicenda, non ci ascoltassimo più, non ci credessimo più dei veri amici, no, non volevo accettare tutto questo.

All’improvviso sentii una leggera carezza sulla mia guancia bagnata che mi portava via le lacrime e mi tirava su il viso arrossato dalle braccia, dove si era rifugiato per la tristezza.

La carezza scese lentamente sulle mie mani, avvolgendole e alzandole all’altezza del suo viso cosicché fui costretta anche ad alzare la testa che pulsava e sanguinava come una ferita aperta da molto tempo.

Le lacrime scendevano disperate e irrefrenabili, non riuscivo a controllarle nonostante Michael mi supplicasse con lo sguardo di smettere e di calmarmi, se continuavo a essere demoralizzata in quel modo sarei stata molto peggio, solo che io non potevo capirlo, non volevo capirlo.

Col tempo mi stancai di quel continuo singhiozzare e cominciai a respirare faticosamente per smettere definitivamente di star male.

Quando vide la mia incrollabile forza di volontà che stava dando i suoi frutti, Michael allentò la presa e posò delicatamente le mie mani sul tavolo, accarezzandole per tutta la loro lunghezza, dalla punta delle unghie fino al polso.

Rimase per tanto tempo senza dire alcuna parola mentre io guardavo le sue mani che toccavano le mie, era una sensazione così piacevole da sembrare simulata.

Non mi interessava più di niente ormai, eravamo rimasti solo noi sulla terrazza, anche Quincy, Katie e le guardie del corpo avevano furtivamente lasciato il campo libero.

Forse avevano intuito tutto ciò che sarebbe capitato quella sera tra me e Michael, niente di scandaloso certo, ma solo qualcosa di veramente importante per noi. 

Lui sospirò ed io alzai lo sguardo dalle nostre mani incrociate e incontrai i suoi occhi che stavolta però non vollero dirmi niente; ormai mi ero ripresa dall’improvviso pianto e per tutto il tempo eravamo rimasti in silenzio, forse per la troppa emozione, forse per la pesantezza della sorpresa che si era rivelata non solo necessaria ma anche vitale.

Michael sospirò e il suo viso si rilassò lentamente, anche le sue mani davano l’ultimo impercettibile tocco alle mie e andarono a sistemarsi in grembo, esauste come il proprietario.

Abbassò lo sguardo, pensoso e irresistibile nella sua sensuale innocenza, ed io non potei far altro che godermi quel magnifico spettacolo in primissima visione con i miei stanchi ma felici occhi.

“Ti ha così sconvolto la mia notizia, Fiore? Ti sembra praticamente impossibile credere a una cosa del genere?

Alzo anch’io lo sguardo sorpresa, sinceramente tutto quello che diceva mi lasciava senza parole, ma quelle due semplici domande più di ogni altra cosa.

Per fortuna sapevo già come rispondergli, stavolta non avevo ripensamenti a riguardo.

E non li avrei mai più avuti.

“No. No, Michael, perché dovrei essere stupefatta, mi hai detto soltanto che riceverò una sorpresa come ricompensa per tutto quello che io ho fatto per te, non c’è nulla di strano in ciò che mi hai rivelato!

“Sul serio? Cioè, tu aspetterai pazientemente questa quasi-sorpresa senza scoprire in alcun modo cosa sia né in che stato ti si presenterà, ti fidi così tanto di me da credere in tutto ciò che dico?

La risposta era lì, davanti a me, la si leggeva negli occhi di Michael, come se tutto il discorso che mi stesse spiegando fosse solo uno stratagemma per provare la mia fiducia nei suoi confronti.

Non c’era nulla di male in quel che stava facendo, non voleva riporre un bene così importante come la sorpresa nelle mani della persona sbagliata.

No, non poteva, non poteva sprecarla in un modo così.

“Sì.

Sì, Michael.

Mi fido di te”.

Quelle magiche parole mi uscirono dalla bocca quasi inaspettatamente e senza alcuna fatica.

Era ciò che mi veniva dal cuore e nulla mi avrebbe reso più felice se non essere sincera con Michael, quel bambino che ventuno anni prima si fidò ciecamente di me, senza badare a chi fossi, da dove venissi, che cosa gli sarebbe potuto capitare con il mio aiuto, ciò che lo spinse in quel momento fu la sua innata bontà e la sua incrollabile speranza.

Quello che successe molto tempo prima tra me e Michael in quel vicolo buio e malfamato di New York si stava ripetendo ora, in uno sconosciuto e raccolto ristorante di Los Angeles, solo che i ruoli erano rovesciati, stavolta era Michael che mi offriva la sua fiducia ed io lo accettavo indubbiamente.

“Sapevo che avresti detto così, Fiorellino”.

Mi sorrise come non aveva mai fatto in tutto l’arco della serata e quel sorriso, unico e irripetibile, dedicato solo a me, mi fece capire che non ero sola.

Non lo sarei mai più stata.

 

 

 

 

 

 

 

Sigh, sto capitolo m’ha messo un po’ di tristezza e a voi, com’è sembrato?? ;)

Mi raccomando, recensite, sennò un giorno di questi entro dalla vostra finestra aperta e vi faccio passare le pene dell’inferno, sono capace sapete, è inutile che scappate, tanto vi prendo!!! ^,..,^

Vabbè, adesso voglio porvi una domanda che sicuramente voi lettrici (o lettori, a voi la scelta ù_ù ) vi state ponendo e cioè: in che cosa consisterà la fantastica sorpresa che Michael ha predetto a Fiordaliso? In che modo arriverà, come si presenterà agli occhi stupiti della donna e soprattutto, che ruolo avrà nel seguito della storia??

Mi raccomando, recensite e se volete rispondete a questa sibillina domanda, sono curiosa di sapere cosa uscirà fuori, voi? =)

 

Bene, adesso passiamo ai ringraziamenti, allora ringrazio la bellissima, stupefacente, meravigliosa, inarrivabile Bentley nera che ho visto questa estate in vacanza e che mi ha dato lo spunto per scegliere la macchina del nostro Michael, sarà, ma a me una Cadillac mi sembrava troppo scontata, troppo finta, troppo lussuosa… ò_ò insomma non andava bene!! xD

Poi ringrazio la mitica Madonna, che mi ha dato la creatività e la grinta necessaria (in questi ultimi tempi me ne servirà ancora di più visto che ho cominciato la scuola lunedì, quindi mi scuso già da adesso per i futuri ritardi negli aggiornamenti, spero che non vi dispiaccia^-^ ) , poi un ringraziamento a parte lo merita eclipsenow che con le sue parole e i suoi complimenti mi ha reso una persona appagata e felice, per la sua capacità di giudicare senza umiliare e senza sfottere,grazie ancora di tutto. J

 

Poi per ultime ma non meno importanti ci sono:

Black_Girl96: fantastico, davvero la mia storia ti fa questo effetto, sono onorata, lo sai?? ^O^ però non svenirmi sulla tastiera sennò non puoi leggere questo capitolo nuovo nuovo!! =)

Tanti saluti da me, cioè Claudia xD, e alla prossima!!

Dolcekagome: ma che te possino, l’improvvisata l’hai fatta benissimo, te ‘o posso dì jo che so de Roma, cioè so de vicino Roma, se me metto a ‘mprovvisà in napoletano nun me capisce nessuno, tu sei stata brava invece, tesò!! ^__^

Grazie per i complimenti e la prossima volta rimani più calma quando scovi una storia che ti piace, sappi che mi preoccupo per la salute dei miei fan, ihihihihi *__* tanti saluti anche a te e spero che continuerai a seguirmi, ciao ciiiiiiiiiiiiiiiii!!!

Eutherpe : lo sai, cara Ambra, perché rispondo alle tue recensioni per ultima? Semplice perché ogni volta che le leggo mi arriva un messaggio particolare e cioè ti piace la mia storia e sai apprezzare qualunque cosa di essa, non so proprio cosa dire per ringraziarti, cioè, mi si fermano proprio le mani quando vedo le tue recensioni, non riesco più a scrivere ti giuro!! ^^

Comunque posso dirti, se ti interessa, che Michael via via avrà un ruolo molto importante e questo ruolo avrà a che fare con la famosa sorpresa che sconvolgerà completamente la vita delle due povere ragazze, vedrai!!

Per ora la storia è solo drammatica poi diventerà fantasy e romantica oltre ogni dire, quindi rimani sempre all’erta e non deludermi… =)

Un bacio cicciotto da Claudia, la Lunatica de Porta Portese, ciao miaooooooooo!!! *-*

 

Cosa devo dire adesso? °-°

Ah giusto devo ringraziare anche tutti quelli che hanno letto e anche quelli che se ne sono fregati, grazie della vostra complicità, vi amooooooooooooooooooooooooooooo!!!!!!!!! *çççç*

 

Arrivederci al prossimo capitolo…

Prossimamente su Efp Fanfiction, il tuo sito di Fanfiction… ù_ù

 

 

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Capitolo 6
*** Nemico o...? (Comincio a sentire puzza di bruciato tra i banchi di scuola ..-Prima parte) ***


                     Nemico o…?

 

 

(Comincio a sentire puzza di guai tra i banchi di scuola…-Prima parte)

 

 

 

Nella calda e insonne notte di Los Angeles una chiesa vicina batté i dodici rintocchi della mezzanotte, ben scanditi come una parola divisa in sillabe da un alunno diligente e attento.

Al primo rintocco io sussultai, ed anche Michael rimase sorpreso dal pesante suono.

“Wow, è già mezzanotte? Pensavo fosse più presto, il tempo passa quando ci si diverte, non trovi?

“Già, anch’io ho avuto la stessa impressione. Con te è impossibile non divertirsi, Mike”.

“Anche con te è impossibile non farlo, Fiorellino. Comunque penso che sia arrivato il momento di andare via, l’aria sta cominciando a rinfrescarsi e Los Angeles non è il posto adatto per due belle e indifese fanciulle come te e tua figlia”.

Mi dedica un altro dei suoi sorrisi smaglianti ed io non posso far altro che abbassare la testa, timida ma felice di ciò che mi stava capitando.

Negli ultimi cinque secondi avevo capito un sacco di cose che prima mi erano del tutto estranee, una di queste era la prova della fiducia tra me e lui attraverso l’attesa da parte mia di una fantomatica sorpresa che avrei potuto ricevere in qualsiasi momento.

Quello che mi disse Michael in proposito poteva suscitare lo stupore di un altro ma di me no.

Conoscevo bene quel ragazzo innocente e sensibile che era Michael e dalla prima parola che sentii dalle sue labbra, capii che tutto quello che stava dicendo era vero.

Vero come l’amicizia che provavo per lui, un legame unico e indiscibile, che speravamo non si fosse mai sciolto.

Secondo me però, questa sorpresa non avrebbe fatto piacere solo a me ma anche a Michael, non so cosa mi dicesse la testa ma avevo uno strano presentimento che continuava a bussare sulle meningi del mio cervello e mi dava anche un leggero fastidio come un sassolino nella scarpa o un granello di polvere nell’occhio.

Potevo aspettarmi di tutto da una mente contrita e stramba come la mia, quindi non facevo ipotesi azzardate per il puro e semplice motivo che avrei potuto sbagliarmi facilmente.

Ma su una cosa non mi sarei mai sbagliata e cioè, il sorriso di Michael era il più bello che abbia mai visto.

E questo magnifico spettacolo era solo ed esclusivamente per me, il che mi rendeva importante e appagata.

“Già, hai ragione, infatti io non vado mai in giro per la città di notte, c’è tanta di quella gente delinquente che non basta a riempire tutte le carceri degli Stati Uniti”.

“Ah ah ah, ti appoggio, secondo me dovrebbero tenere il Paese più sotto controllo, siamo già nel XX secolo e dobbiamo aver paura di uscire di casa per la cattiva gente che c’è in giro, dai, è abominevole!”

“Più che abominevole è scabroso”.

“Già, Fiorellino, hai ragione.

Comunque io volevo che tu rivenissi a casa con me, primo per il motivo che ti ho appena detto, secondo… Non ce la faccio a ritornare a casa senza prima crederti al sicuro”.

L’ultima frase fu un flebile e dolce sussurro che mi fece tremare come una foglia durante il terremoto, poi tutto ad un tratto quella sensazione scomparve per lasciar posto alla tranquillità offerta dai magnetici occhi di Michael, che mi guardavano amorevoli come se volessero proteggermi dal mondo circostante e dalle cattiverie comprese nel prezzo.

Per un po’ non sapemmo più cosa dire, le nostre lingue erano immobilizzate, così come i nostri pensieri, le nostre azioni.

Ma non le nostre emozioni naturalmente.

Ah, mi sentivo in Paradiso , era una sensazione unica e magicamente piacevole, avrei voluto che quella notte durasse per l’eternità…

Ma a farla mestamente concludere irruppero i passi pesanti di Quincy e quelli leggeri e fastidiosi di mia figlia, che mi chiedo sempre come cavolo faccia a interrompere così bruscamente i miei sogni ad occhi aperti.

In questo caso però il sogno era davanti a me e avevo gli occhi leggermente socchiusi.

Dovetti alzare lo sguardo per forza, con dispiacere mio e di Michael, altrimenti avrebbero pensato tutti male, ma molto, molto male, prima fra tutti Katie, che io ribattezzavo People, cioè ogni anno stilava una lista delle coppie più belle o dei vestiti migliori o ancora peggio, dei cantanti più sexy; mi riferisco ai cantanti per il semplice fatto che a lei piace molto la musica e non smette mai di contemplare i suoi miti (primo fra tutti Michael) per stabilire chi sia il migliore in assoluto.

Ho sempre sospettato che mia figlia sia in realtà un’aliena venuta da qualche pianeta sconosciuto per farsi gli affaracci del resto del mondo al solo scopo di divertirsi spensieratamente e di mettere in pericolo la privacy di chiunque.

E gli anni Ottanta permettevano ogni tipo di divertimento per le ragazze come lei, ovvero le famigerate, le modaiole, le malviste, ma soprattutto affascinanti…

Material Girls.

“Allora mamma, com’è andata la serata libera con Michael, vi siete divertiti da soli, su questa magica terrazza affacciata sulla splendida città di Los Angeles?”

Non so cosa avesse la voce di mia figlia per inquietarmi così tanto, ma ciò che diceva era ineluttabile e malignamente malizioso.

Tipico di lei.

“S-sì, tesoro, siamo stati benissimo, abbiamo chiacchierato tanto, abbiamo discusso dei vari problemi che affliggono la nostra povera e piangente amica Terra, abbiamo riso dei nostri difetti e delle nostre stramberie…”

Anche se qui l’unica ad avere problemi seri e incurabili sono io, pensò la mia occulta mente.

“E poi…e poi cosa abbiamo fatto Michael?”

Guardai falsamente perplessa il caro Michael, che stava per scivolare lentamente nel suo mondo segreto, ovvero quello dei sogni, e non badava più a ciò che lo circondava, nemmeno a chi aveva davanti e a cosa stavo prontamente blaterando per sviare i già consolidati sospetti di Quincy e Katie.

“Mh?”

Si risvegliò dal suo improvviso torpore, guardò me, implorante, e afferrò al volo la nostra pericolosa situazione.

“Oh… Ah giusto, cosa abbiamo fatto durante la serata a parte tutto quello che hai esposto tu? Beh… c’è da dire che ci siamo molto impegnati, non è stato facile, avevamo il cervello in tilt già all’inizio, ma alla fine…”

Mi guardò soddisfatto e sorrise come per cercare un aiuto da me con i suoi occhi che erano tutt’altro che sereni e stavano urlando silenziosamente:“Aiutami, questi vanno dire tutto a People, a Life, a Rolling Stone, pure i distributori automatici di bibite sapranno di quello che è successo stasera tra me e te, ti prego, inventa una scusa plausibile, altrimenti sarò condannato per tutta la vita, ti

prego, ti prego, ti prego!”

Sbattei le ciglia, decisa a interrompere la conversazione con il mio inconfondibile stile.

“Ma alla fine cosa?

People in persona teneva il naso vicinissimo al mio e mostrava un delizioso sorriso a trentadue denti, gli occhi attraversati da lampi subliminali e maliziosi, intenzionati a scoprire la scandalosa verità che si celava nel mio sguardo.

“Alla fine io e Michael…”

“Sì…”

“Ci siamo messi a contare tutte le insegne che spiccavano da qui! Ci abbiamo messo un sacco di tempo ma siamo riusciti a trovarle tutte, vero, Michael?”

“Oh ma certamente, cara Fiorellino, in tutto sono ben 327 e solo in questa piccola zona, ogni giorno si scopre sempre qualcosa di nuovo, è bellissimo!”

“Eh già, dovremmo farlo più spesso questo gioco, io mi sono divertita un sacco, e tu?”

“Mai divertito tanto in tutta la mia vita, ti giuro!”

“Sicuro, guarda che sono capace di rimangiarmi tutte quelle belle parole che ho detto su di te e sono parecchie, ergo dimmi sempre la verità!”

“Ai suoi ordini, Vostro Onore, giurerò di dire la verità solo la verità, nient’altro che la verità!”

Assunse l’espressione concentrata e solenne di un imputato davanti alla Corte d’Appello che prestava giuramento al giudice, era troppo dolce e adorabile, avrei voluto che fosse stato un gattino di peluche per stringerlo forte tra le braccia fino a stritolarlo con la mia immonda forza.

No, troppo truce, meglio accarezzarlo soltanto e stampargli dei leggeri baci sulle guance, sì, così andava meglio…

“Bene, signor Jackson, adesso è pregato di dare un bacio della buonanotte alla Mia Maestà, e se si rifiuterà, le infliggerò la pena capitale del…Solletico”.

Sottolineai l’ultima parola con una punta di finta cattiveria e avvicinai lentamente il suo viso al suo.

Eravamo troppo vicini per i miei standard ma non sapevo cosa fosse ciò che mi stava spingendo a farlo, forse volevo rompere gli schemi precedenti e questo mi sembrava il modo più audace per compierlo.

Michael, però, da bravo gentiluomo, non si scompose minimamente e mi lasciò un piccolo e lungo bacio sulla punta del naso, allontanandosi lentamente per contemplare la mia espressione stupita e il viso completamente rosa fosforescente come uno dei miei giacchetti preferiti.

Ancora una volta ero stata paralizzata dalla sua imprevedibilità, era veramente impossibile, anche per me che lo conoscevo da tanto tempo, scoprire cosa ti avrebbe combinato nei prossimi cinque secondi, poteva farti uno scherzo come poteva benissimo rimanere serio e zitto.

Anche se l’ultima ipotesi era decisamente improbabile!

Invece ero del tutto certa che mia figlia mi stesse incenerendo con il suo sguardo laser, imprestatogli da una delle sue più fidate amiche, Wonder Woman, e che naturalmente mi stesse lanciando le più belle e fantasiose parolacce che un onesto cittadino americano avrebbe potuto sentire.

Quincy, beh, anche lui era un gentiluomo e perciò rimase tutto impettito come una camicia inamidata ed inoltre era abituato a queste forti dimostrazioni d’affetto di Michael, ormai c’aveva quasi  fatto l’abitudine (anche se per tutta la serata non aveva fatto altro che fissarmi come se fossi stata un cetriolo avariato).

Vedendo l’espressione truce dipinta sul musetto feroce di Katie e quella perplessa e impietosa di Quincy, Michael tolse i suoi occhi color cioccolato fondente dai miei e li posò sui loschi figuri ficcanaso, sorridendo nervosamente.

“Ehm, tra vecchi amici si fa così, giusto?”

Allargò le braccia e face spallucce.

Incantevole e adorabile, come sempre.

I guastafeste non dissero nulla né cambiarono atteggiamento, anzi, le loro menti contorte stavano macchinando qualcosa di infimo, me lo sentivo nelle viscere.

Non ricevendo alcuna risposta, Mike optò per un semplice pretesto, approfittando dell’occasione.

“Oh… Beh, si è fatto tardi è mezzanotte passata, non sarebbe ora di riportare a casa queste due splendide ragazze, vi accompagno io, so dove abitate e non vi lascerò tornare a casa da sole!”

Come se la situazione non fosse già ingarbugliata mi prese sottobraccio e passando vicino a Katie fece passare il proprio sotto il suo gomito, affinché non si ingelosisse troppo e anche perché il galateo impone ai signori di essere sempre gentili con le signorine.

Così ci incamminammo verso la Bentley accompagnate dal nostro cavaliere, anzi, sarebbe più giusto dire Re: al nostre seguito c’erano il povero Quincy, che annaspava dietro di noi per la sostenuta velocità con cui Michael ci conduceva alla vettura, e le immancabili guardie del corpo che si erano magicamente materializzate sotto la scaletta a chiocciola (secondo me erano andati a far benzina in qualche distributore per androidi tuttofare, forse si trova vicino Santa Monica o pure a Santa Barbara, un giorno di questi ci andrò!).

Sulla piccola limousine si stava d’incanto, adesso che i miei dubbi su Michael erano stati consolidati, potevo godermi beatamente sia lui, seduto di fronte a me insieme a Katie, che le vie illuminate della città che non conosce il sonno.

Sfrecciavamo lungo quel caos di trasgressione e divertimento, c’era chi ci guardava attoniti come se fossimo stati dei pinguini ai Tropici, chi era troppo ubriaco per accorgersi di ciò che gli capitava intorno, chi si faceva qualche spinello di nascosto, chi aspettava sul ciglio della strada qualche anima gentile disposta a passare la notte insieme ad essa, chi chiacchierava animatamente con i propri compagni di vita, insomma ce n’erano per tutti i gusti fuori dalla confortevole Bentley, e mi sembrò per un attimo che ciò che stava succedendo fuori da essa era parte di un altro mondo sconosciuto, inavvicinabile, invivibile .

Dentro era tutta un’altra cosa.

Katie si stava miracolosamente assopendo e si era appoggiata alla spalla di Michael che non poteva di certo proibirglielo, mentre io osservavo entrambi, commossa da quanta attenzione e amore potesse darti quell’angelo, da quanto si impegnasse perché tu fossi felice, fregandosene addirittura di sé stesso.

L’espressione di entrambi era serena e in un certo senso mi diede un po’ di rammarico: avrei tanto voluto che Katie avesse avuto un padre gentile e premuroso come Michael.

Ma purtroppo il destino mi è sempre stato avverso e non potei far nulla per cambiarlo, solo sperare.

In effetti avevo fatto la scelta giusta.

Erano così affiatati insieme, dal primo momento che si erano visti era successo qualcosa, qualcosa di inaspettato e speciale che neanche io sapevo spiegarmi.

Oh, come stavo bene lì in quella lussuosa automobile in compagnia del mio migliore amico e di mia figlia, mi sentivo in un altro pianeta!

La rilassante e soffice atmosfera che si andò magicamente a creare mi fecero tornare in mente una delle più belle canzoni di Michael, (anche se tutte le sue canzoni erano splendide) adatta per l’occasione e cioè Humane Nature.

Santa Monica, ogni volta che la ascoltavo non potevo far altro che rimanere estasiata dalla sua voce dolce e leggera, dal suo profondo significato, da tutte le persone che era riuscito a incantare incidendo un solo album, un album che ha fatto la storia della musica.

E come se mi avesse letto nel pensiero, Michael domanda premuroso a Katie, che si era mossa stancamente sulla sua spalla:

“Che hai, dolcezza, sei stanca ma non riesci a prendere sonno, dico bene?”

“Mh, sì, Michael, la tua presenza mi eccita, non so perché, ma non riesco a dormire con te che mi accarezzi, anche se è una sensazione bellissima…”

“Ma la mia voce non ti da fastidio, vero? Potrei cantarti una canzone come si fa con i bimbi piccoli per farli addormentare, ti piace l’idea?”

“Certo, che domande, non sono più una bambina, ma voglio che tu lo faccia lo stesso.

Sai che amo la tua voce”.

“Allora okay, cosa ti canto, puoi scegliere qualunque pezzo”.

“Ah, quindi…”

Faceva finta di pensare , aveva gli occhi chiusi e il sorriso sulle labbra, compiaciuta come non mai.

“Può andar bene Humane Nature ?”

“Oh, Humane Nature è perfetta, hai dei gusti favolosi in fatto di musica, chissà perché non c’ho pensato prima io!”

Risi tra me e me, la sua modestia era incomparabile, nemmeno io ne sarei stata capace.

Fermai immediatamente i miei fastidiosi e insensati pensieri per tuffarmi in un oceano di magia che solo la sua voce vellutata sapeva creare, senza l’aiuto della bacchetta magica:

 

“Looking out

Across the nightime

The city winks a sleepless eye

Hear her voice

Shake my window

Sweet seducing sighs

Get me out

Into the nightime

Four walls won’t hold me tonight

If this town

Is just an apple

Then let me take a bite

 

If they say

Why, why, tell’em that it’s humane nature

Why, why, does he do me that way

If they say

Why, why, tell’em that it’s humane nature

Why, why, does he do me that way”

 

 

Angeli del Paradiso, sto arrivando, fatemi spazio, è Michael che mi ha portato qui, è un vostro concittadino per caso? Il suo aspetto richiama tanto quello di un messaggero del Nostro Signore, la sua voce è l’insieme armonioso di tutte le vostre, oh, quanto vorrei che lui fosse qui con noi, se ne abbiamo il tempo possiamo organizzare un concerto, vi va?

Magari un Tour del Regno dei Cieli insieme a lui, ci divertiremmo sicuramente…

Oh, Michael, Michael, perché sei tu, Michael?

 

“Ehi, Fiorellino, mi senti, è tutto a posto? Fiorellino? Devo portarti in braccio fin dentro la villa oppure ce la fai da sola? E dai, rispondi, è tardi, non possiamo mica aspettare te per andare a dormire!”

“Fiordaliso, per piacere, si alzi dal sedile, siamo davanti al cancello di casa vostra, è ora di andare via, è quasi l’una e non penso che la città sia molto sicura dopo quest’ora per una donna, quindi la invito a entrare a riposarsi”.

Cosa?

Cos’è successo, siamo già arrivati a casa?

Ma se un attimo fa stavamo sulla Bentley in preda al torpore incantato che Michael aveva creato con la sua voce, insieme di suoni angelici e ultraterreni…

È impossibile, non possiamo già essere giunti a Beverly Hills, il ristorante è abbastanza lontano, secondo la mia cartina mentale ed inoltre io ho un buon senso dell’orientamento.

Beh, se rimango qui, sdraiata sul sedile anteriore della macchina di Michael, c’è pure qualche speranza che mi porti con sé nella sua umile dimora senza accorgersene.

Okay, Fiordaliso, basta sognare, reagisci al mondo, alzati, ringrazia velocemente Mike e compagni e vai subito dentro casa, che è scattato il coprifuoco, non vuoi che qualche barbone ti si avvicini furtivamente e ti stupri senza tanti complimenti, vero?

Anche perché hai già vissuto la situazione e non è stato molto piacevole, no, non lo è stato per niente.

Ah, la realtà è dura da accettare ma non possiamo fare a meno di notarla.

“Mh? Cos’è successo, siamo già arrivati?”

“Sì, tesoro, hai dormito per un bel po’ in macchina, ma che ti è successo, all’improvviso sei crollata!”

“Beh, la spiegazione è semplice Michael, la tua voce ha un consistente contenuto di sonnifero, perciò ogni volta che la ascolto raggiungo il mondo dei sogni, e non parlo solo di me”.

“Oh, questo si era visto, hai un sonno particolarmente facile!”

Nella penombra vidi i suoi denti bianchissimi che rischiaravano le tenebre e rendevano le sue pupille luminose e profonde come una infinita galassia.

Forse ricambiai il sorriso ma ormai non ero più cosciente delle mie azioni, mi ricordo un veloce scambio di saluti, un abbraccio caldo e travolgente accompagnato da un leggero bacio sulla guancia, dopodiché udii il rombo potente della limousine che se ne ritornava sui propri passi e scompariva nel buio con lo stupore di quando era giunta.

Il giardino che mi circondava rispecchiava esattamente il mio stato d’animo: tutti i fiori si erano chiusi con il sorgere della notte come per nascondere ad essa un segreto impronunciabile, gli alberi frusciavano silenziosi cantando melodie arcane e sconosciute al genere umano, i grilli conversavano tra di loro, sereni ed indifferenti nella notte infuocata della città insonne, frulli d’ali invadevano l’aria con il loro suono misterioso per poi scomparire in un secondo, i lampioni sul marciapiede emanavano una luce malinconica e innaturale, illuminando le lussuose case, le rendeva spettrali e inabitabili.

Mi sentivo sola e non c’era bisogno della natura circostante per afferrarlo.

Quella serata era passata troppo in fretta, un alito di tempo breve e unico, troppo irreale perché si ripetesse.

In effetti tutto quello che mi aveva detto Michael mi lasciò un dubbio incredibilmente grande nel petto che però potevo solo sbriciolare con la fiducia, l’unica potente arma che ci aveva avvicinati.

Tutto questo gran pensare mi fece vibrare la testa come il radar di un sommergibile e decisi di entrare in casa, tirava un venticello leggero ma pericoloso per la gola ed il mio giubbino, essendo estivo, non era fatto per sopportare le improvvise bufere provenienti dall’oceano.

Con la smania di entrare dentro le coperte e rimanerci per molto, ma molto tempo, mi precipitai lungo le scale buie, facendo attenzione a non inciampare con le scarpe, che all’occorrenza potevano trasformarsi in temibili armi, essendo il tacco abbastanza alto (un dieci) da farti slogare una caviglia o romperti una gamba, tutto era possibile con le décolletè ai miei piedi.

Passai lentamente vicino alla camera di Katie e vedendo la porta socchiusa entrai: nelle tenebre notai che sdraiata sul letto c’era una sagoma supina ancora completamente vestita che ronfava serenamente.

Il suo esiguo peso aveva aiutato le guardie del corpo che sicuramente l’avevano trasportata dentro casa secondo gli ordini di Michael, per me sarebbe stato un po’ più complicato, i miei 65 chili non potevano nulla contro i 36 di Katie.

Uff, avrei tanto voluto pesare come lei, era una delle cose di lei per la quale la invidiavo (anche se alla sua età pesavo anch’io 36 chili!).

D’improvviso mi venne in mente che quando Michael e Quincy mi stavano chiamando all’unisono al fine di svegliarmi, quando me ne stavo sola in mezzo al giardino, rimuginavo sui miei vari stati d’animo e sulla serata appena trascorsa, mi era passato totalmente di testa il pensiero di mia figlia, dove caspita fosse, che fine avesse fatto, con chi fosse…

Stavo avvertendo tristemente i primi sintomi da madre snaturata, io, che per mia figlia ho dato la mia vita, la mia dignità di donna, il mio patrimonio, ho fatto mille e più sacrifici per renderla felice, non ho mai pensato a come mi sentissi io ma solo ed esclusivamente a lei.

È incredibile che una serata sia bastata a cambiare tutto.

Eppure era successo.

Volevo non pensarci, ma la realtà era così evidente…

Fu difficile scacciare quei pensieri dalla testa, l’unico modo per eliminarli completamente era fidarmi di me stessa e delle mie capacità.

E quel che feci mi rese un po’ più sollevata: mi avvicinai al suo letto, le tolsi giacca e scarpe e le sistemai intorno al corpo il lenzuolo attorcigliato alla fine del letto, com’era sua abitudine.

Vidi che le tende azzurre della finestra svolazzavano indisturbate tra le ante di legno e le richiusi, non mi piaceva tenerle spalancate per paura dei vari ladruncoli che tentavano di rubare ad un quartiere ambito e ricco come il nostro o anche a Downtown e a Bel Air, ed inoltre avevo paura delle finestre aperte di notte, mi davano un senso di angoscia.

L’angoscia più grande per me però era perdere Katie e questo, mi ripetevo sempre, non doveva accadere, se mia figlia doveva soffrire anch’io dovevo sopportare le sue pene con lei, non era giusto che pagasse solo lei, c’ero anche io.

Mi avvicinai lentamente al letto, mi abbassi fino a osservare il suo viso tranquillo e soddisfatto, una vera maschera di piacere.

Scostai un ricciolo pendulo sugli occhi e non riuscii a frenare l’istinto di darle un bacio sulla fronte.

“Perdonami, tesoro. Ti giuro che non capiterà più una cosa del genere, ti prometto che ti starò sempre vicino, anche se non ne avrai bisogno, io ci sarò sempre”.

Neanche le mie labbra si fermarono e parlarono come prova della mia infinita stupidità.

Accarezzai per un’ultima volta il volto di velluto di Katie e uscii dalla stanza in punta di piedi, come ero entrata.

Mi sentivo già meglio, anche se lei non mi aveva udito direttamente, le mie parole le avrebbero fatto sognare ciò che le avevo detto, i sogni hanno il magico potere di manifestare gli sviluppi futuri nella realtà e sicuramente sarebbe capitato anche a Katie.

 

Quella notte non avevo molto sonno.

Di solito vado a dormire tardino e mi alzo prestissimo, ma quella notte, quella desiderata e misteriosa notte mi turbava in un modo che non avevo mai testato prima.

Era come se nell’aria si nascondesse un presentimento, piccolo e ancora informe, ma che presto sarebbe diventato grandicello e preoccupante.

Questo dolce e insignificante Embrione di Presentimento svolazzava per la stanza, lo sentivo tra le lenzuola, le tende di seta fruscianti, lungo il freddo e liscio specchio del comò, tra i cassetti e le ante di ciliegio dell’armadio, insomma lo sentivo dappertutto e nessun suo movimento sfuggiva alle mie temibili orecchie.

Continuai a intercettare imperterrita i suoi spostamenti per un’ora buona, dopodiché spesi un’altra ora a contare tutti i tappi della Coca Cola custoditi nel mio cassetto segreto, come le foto, (lo facevo tutte le sere prima di andare a dormire per paura che me li rubassero) poi…

E poi il sonno finalmente mi accolse tra le sue braccia, rubandomi al mondo della realtà per farmi penetrare in quello dei sogni, decisamente meno affannoso e travagliato.

Anche i sogni però nascondono i propri problemi al nostro subconscio e non vogliono rivelarcelo per paura di farci rimanere delusi.

 

Dopo quella fantastica nottata le cose cambiarono radicalmente tra me e Katie: come quando avevamo fatto pace la sera di sabato 13 luglio, eravamo diventate molto affiatate e nulla poteva dividerci, neanche un bel paio di forbici!

L’estate continuava veloce la sua corsa e in men che non si dica si fece già agosto, il torrido, il sorridente, il festaiolo agosto, uno dei mesi preferiti da mia figlia per due grandi motivi che non avevano bisogno di spiegazioni: il primo, il più importante era il compleanno di Michael, il 29 del mese, nel quale la mia dolce Material Girl preferita non guardava in faccia a nessuno, neanche sua madre, e usciva tutto il giorno per far festa con le amiche (anche loro adoratrici di Michael) e non tornava a casa prima delle dieci di sera; il secondo motivo riguardava lei e tutti gli alunni frequentanti la sua scuola, ovvero i ragazzi più grandi dell’istituto che erano passati al liceo, organizzavano una fantasmagorica festa sulla spiaggia di Santa Monica, naturalmente il tutto era monitorato dai mitici prof della scuola e nessun fanciullo correva il rischio di rovinarsi l’adolescenza in situazioni maledettamente precoci che è meglio non precisare.

 

Anche se sarebbe stato praticamente impossibile con una accanita ciurma di monache carmelitane che professavano la saggezza e la fede in Dio (infatti tutte le ragazze dell’istituto rimanevano vergini fino alla veneranda età di diciassette anni, un traguardo unico per le scuole americane).

Naturalmente ogni volta arrivava questo momento avevo una leggera preoccupazione che affliggeva il mio istinto materno e non riuscivo a stare bene se mia figlia non era tornata a casa prima del coprifuoco; una volta mi ricordo di essermi intrufolata nella mischia e avevo riportato a casa Katie, allora dodicenne, senza tante storie, guadagnandomi la fiducia del preside e di tutto il corpo docente presente, i quali non avevano mai assistito ad una manifestazione di amore e ansia materni così forti.

Ma quello che successe quella sera non fu niente in confronto all’Agosto Caldo del 1985, l’agosto più afoso e pericoloso della mia vita di mamma: stavo beatamente ascoltando uno dei vinili di mia figlia che avevo gentilmente preso in prestito dal suo vasto repertorio, quando mi vedo lei entrare dal portone di casa come una furia e richiuderlo immediatamente dietro di lei come se qualcuno di malvagio la stesse rincorrendo.

Con la voce allarmata urla come una sirena ed io naturalmente intervengo subito come una brava mamma che si rispetti e chi posso ritrovarmi davanti se non la mia bambina spaventata e affaticata dalla celere corsa con un’ombra scura sui pantaloncini di un acceso turchese, un’ombra sospetta che consolida i miei dubbi dei giorni precedenti.

Capii subito perché Katie aveva l’umore così variabile in questi ultimi tempi, (anche se lei è più variabile del tempo a Dallas in preda all’uragano) i suoi frequenti e inspiegabili mal di testa, gli strani dolori addominali negli ultimi due giorni, la curiosa sensazione che qualcosa si stava trasformando dentro di lei, qualcosa che non aveva mai provato prima.

Anch’io ricordo le mie prime mestruazioni come un momento drammatico: tutto quel sangue uscito improvvisamente dal mio corpo mi sembrò già dall’inizio qualcosa di alieno e terribile, il presagio di qualche imminente sventura, non capivo la sua comparsa né tanto meno la sua funzione: all’epoca avevo solo undici anni e negli anni Sessanta alcuni fatti intimi della vita di ogni essere umano non dovevano essere spiegati, nemmeno anticipati ad una bambina così piccola, si pensava che fosse una cosa da grandi che noi non potevamo capire.

Quindi adesso dobbiamo ringraziare i nostri genitori se siamo rimaste incinte in tenera età, tipo quattordici o quindici anni, per il semplice motivo che a quell’epoca non capivamo, non potevamo capire.

Ha proprio ragione il mio secolare amico Albert:

 

 

“Esistono due cose infinite al mondo:

l’universo e la stupidità umana.”

 

 

Per fortuna col tempo le idee cambiarono e già negli anni Ottanta i genitori educavano al meglio i loro figli sul rischio dei rapporti precoci e li invitavano a godersi la loro giovane esistenza senza tanti eccessi, né di droga, né di alcool, né di sesso.

Katie fu una delle prime a sperimentare questo metodo: già all’età di dieci anni risposi, senza alcuna forma di volgarità e malizia nelle mie parole, a una delle domande più importanti e particolari che un bimbo possa farsi già da piccolissimo:

“Mamma, da dove vengono i bambini?”

Senza tanti giri di parole le dissi tutto per filo e per segno e la cosa che mi stupì di più fu che lei non ne rimase minimamente turbata o disgustata , accettò la realtà della vita tranquillamente , dicendomi con l’aria inconfondibile da bambina che voleva sembrare grande , che “prima o poi sarebbe capitato anche a lei e che era inutile preoccuparsi per così poco “.

Questi pensieri le rimasero inculcati nella mente fino a quel fatidico giorno di inizio agosto, il suo spavento deriva dal fatto che i suoi amici l’avevano vista in quello stato così insolito e avevano pensato subito al peggio, lei quindi era scappata via prima che la riempissero di acidi commenti o frecciate di cattivo gusto.

Quando arrivò a casa non volle nemmeno che io la aiutassi a sistemarsi: si lavò con cura immergendosi nella vasca d’acqua bollente, cambiò tutti i vestiti sporchi con un bel pigiama pulito e prese uno dei miei assorbenti dal bagno, indossandolo in modo disinvolto come se fosse stata l’ennesima di tante volte.

Si diresse subito in camera e si accoccolò tra le coperte leggere, lasciando fuori solo il viso assorto e in quel momento particolarmente adulto.

Io ero indecisa se entrare nella sua stanza a parlarle facendo la parte del genitore premuroso e consapevole delle esigenze del figlio, oppure lasciarla sola per almeno un’oretta con i suoi pensieri e le sue riflessioni, cercando di essere il meno possibile invadente e rompiscatole.

Alla fine, dopo che le mie meningi si ridussero a un sottile strato di salsa di peperoncino piccante alla Fernando, optai per la scelta che faceva meno male al mio compassionevole cuore e cioè, presi il coraggio a quattro mani e entrai nella stanza di Katie, furtivamente come quella meravigliosa sera così lontana.

Mi feci strada tra il labirinto di vestiti e cianfrusaglie che era la cameretta di mia figlia e arrivata alla spalliera del letto mi misi seduta cautamente sul materasso, accanto alla vita di Katie.

Sentendo un peso estraneo al suo corpo sul letto, la sua persona sussultò e cercò di raddrizzarsi il più velocemente possibile per scoprire chi fosse l’indesiderato inquilino che albergava nella sua stanza senza permesso di soggiorno.

Risolto il mistero si rilassò e mi guardò con una certa inappetenza.

“Ah…Sei tu”.

Si mise stancamente seduta sul letto e giunse le mani in grembo, continuando a guardarmi, stavolta però indifferente.

“Eh, sì, sono venuta perché ero un po’ preoccupata per le tue…condizioni e volevo constatare di persona che stessi bene, sai com’è, io sono molto eccitata quando si tratta di queste cose e quindi…”

“…E quindi ti sei permessa di entrare nella mia stanza senza chiedermi niente”.

“No, non è proprio come dici tu, cioè, sì, non ho bussato, non ho nemmeno controllato se ci fosse qualcuno, ma è sempre la stanza di mia figlia e quando c’è qualcosa di particolare posso anche entrare senza permesso!”

“La cosa particolare a cui alludi è…”

Aveva paura di pronunciare quella parola, glielo si leggeva negli occhi, tentava di fare la ragazza adulta consapevole del proprio corpo e della propria femminilità ma non ci riusciva molto bene, anzi, come bugiarda era anche peggio di me.

E questo stranamente mi tirò su di morale: io e mia figlia avevamo qualcosa in comune ovvero la paura di crescere e di assumerci delle responsabilità un giorno, come quella di coniuge o genitore.

Io non ho potuto far nulla perché non accadesse quello che invece è accaduto, ma Katie, figlia di una nuova generazione aperta al dialogo e alla prevenzione, sentiva questo improvviso cambiamento del suo corpo come una minaccia, un avvertimento.

Come la capivo, ora doveva guardarsi dal mondo molto più di prima, i ragazzi arrivisti erano sempre tanti, pronti ad approfittarsi di una ragazzina inesperta e ingenua come lei.

“Guarda che se non ti va di parlarne per me è lo stesso, in fondo questo fatto riguarda te, non me, e anche se ci sono già passata e posso darti vari consigli e avvertenze, la scelta migliore non puoi farla che tu”.

Cominciai ad accarezzare la schiena di Katie, avvicinandomela e mormorandole all’orecchio: era così piccola e gracile tra le mie braccia che avevo paura a stringerla più forte, come se ad un certo punto si riducesse in frantumi.

La fragilità più grande però era dentro di lei e lei, dura come il marmo, non voleva ammetterlo, nemmeno a sé stessa.

Affondai le mie mani nei suoi morbidi ricci d’ebano e lei, che prima si dimostrò schiva e riluttante alla mia ansia materna, ricambiò l’abbraccio, rimanendo però in silenzio.

Improvvisamente sentii arrivare al mio orecchio una domanda inaspettata, proveniente dalla persona alla mia sinistra.

“Mamma, tu hai mai avuto paura di crescere?”

Mi lasciò letteralmente senza parole, questa nuova Katie, così adulta, giudiziosa, preoccupata per il suo futuro.

La risposta era lì, sulla punta della mia lingua, una di quelle tante che mi toglievano la forza di controbattere per la loro devastante onda di saggezza e stupore.

Così tanta devastazione nella semplice domanda di una adolescente.

Impressionante.

Sospirai profondamente.

“È una di quelle domande che mi faccio spesso, sai? E ancora non sono riuscita a darle una risposta”.

“Davvero?”

“Sì”.

Silenzio cogitabondo.

“Pensavo che tu non avessi paura di crescere.

Ti ho sempre vista euforica e spensierata come una ragazzina, non pensavi mai al lavoro, alla casa, alle varie responsabilità che possono affliggere un’adulta.

Eri sempre pronta a scherzare e a ridere…e ciò mi dava un po’ fastidio”.

Risi di cuore.

“Sul serio?”

“Te lo giuro, mamma, in te vedevo una nemica piuttosto che una madre.

Eri diversa dalle altre donne, vedevi il bello in ogni cosa, non ti importava delle critiche, delle intimidazioni, amavi divertirti in modo semplice e creativo, non ti piaceva la violenza né la falsità o tante altri comportamenti meschini degli adulti.

La tua più grande arma era l’innocenza, il tuo più grande dono la semplicità.

Tutto quello che facevi per me senza chiedere nulla in cambio fecero nascere dentro di me l’invidia”.

“Oh santo cielo, sei invidiosa di me, di tua madre?”

Non potevo credere a ciò che aveva detto Katie, una figlia invidiosa della madre perché lei riusciva ad avere quello che voleva senza alcuno sforzo, servendosi della gentilezza e della spontaneità, incredibile!

Lei arrossì violentemente alla mia affermazione.

“No-non è come dici tu, ero ancora piccola, non potevo capire cosa stavi facendo per me, mi sentivo, come dire…

Esclusa dalla tua vita”.

Spalancai la bocca.

Tutto questo è roba dell’altro mondo.

Non poteva pensarlo veramente, no, era impossibile.

Impossibile.

“Pensavi veramente quello che mi hai appena detto?”

Silenzio imbarazzante da parte di Katie.

L’aveva fatta grossa e se n’era accorta, solo che adesso non sapeva come rimediare.

Il rimorso usci silenzioso dai suoi occhi e lo sentii bagnare il mio collo, bruciante e particolarmente doloroso.

Il mio petto sussultò, colpito dagli spasmi profondi di mia figlia singhiozzante e affranta.

Dai continui rumori che udivo dal mio petto capii che voleva dirmi qualcosa, ma io la fermai perentoria.

Non volevo sentirla ansimare quando parlava in preda ad una crisi di pianto, no, mi faceva troppo male.

Lei accolse la mia richiesta e affondò il viso tra le mie braccia, le lacrime che non ne volevano sapere di placarsi.

Rimanemmo così, senza parlare, per molto tempo.

Non avevamo la forza di alzarci da quel letto, ormai eravamo prigioniere delle nostre debolezze, nulla ci appariva più importante.

Ci ridestammo dalla nostra angoscia al suono della voce di Fernando che ci invitava a venire a cena.

Prima di scendere Katie corse in bagno e si lavò per bene la faccia arrossata dalle lacrime.

Io mi riavviai solo i capelli e mi sistemai la maglietta extra large sui fianchi.

Quando entrai in bagno per lavarmi le mani lei si stava guardando allo specchio pensosa, come se l’immagine che appariva di fronte a lei fosse una sconosciuta.

Ero stupita dal suo comportamento ma poi ci feci l’abitudine: le crisi d’identità di mia figlia da quel momento furono un fenomeno quotidiano come i miei irrefrenabili flussi di coscienza, che non mi davano mai pace, nemmeno nei sogni.

Osservai anch’io l’immagine nello specchio.

Una donna provata dalla vita, lo si capisce dalla sua espressione rassegnata, una donna diversa dalle altre che ha avuto la forza di andare avanti da sola.

Ero questo io?

No.

No, la mia vita non poteva racchiudersi in così poche e insignificanti  affermazioni.

La donna nello specchio era falsa.

Ma anche vera.

La donna nello specchio doveva cambiare.

E l’avrebbe fatto.

 

 

Dopo un agosto di riflessioni e dolori, gioie e sorprese inverosimili, (il giorno del suo compleanno Michael è sbucato davanti casa nostra, vestito come un clown, invitandoci a divertirci insieme a lui perché era il suo giorno speciale) arrivò il barbuto e serio settembre, con la sua inconfondibile aria di scuola che tanto faceva rattristare i bambini e i ragazzi di tutte le età.

Anche Katie non ne voleva sapere di ritornare nell’austero edificio gestito dalle nostre care amiche suore, primo perché non aveva la più pallida voglia di studiare, secondo faceva troppo caldo per rimanere al chiuso per mezza giornata e terzo, “l’equinozio d’autunno cade il 21 settembre, quindi fino a quella data è ancora estate e non si può andare a scuola!”.

Non aveva tutti i torti in fondo, a Los Angeles il sole ardeva incessante per quasi tutto l’inverno, invece a San Francisco, qualche miglio più in su, ad agosto c’era già la nebbia e l’inverno era lungo e nevoso.

Ma una mezza messicana come me non poteva sopportare il freddo e i colori grigi e smorti del Nord, perciò Los Angeles mi sembrava più appropriata, sia per me che per Katie.

A proposito di lei, non dimenticherò mai la mattina del suo primo giorno di scuola!

Si era stranamente alzata prestissimo , con immenso stupore mio e di Fernando e in sette minuti e due secondi esatti (avevo sincronizzato il timer del forno a microonde apposta) si era lavata, infilata la divisa scolastica, preparato la cartella, salutato noi, increduli, e avviata all’uscio di casa, sbattendo violentemente il portone dietro di sé.

E dire che non voleva ricominciare la scuola, pensai.

Qui c’è sotto qualcosa, qualcosa di losco.

Il mio istinto di mamma non mi tradiva mai e già il mio naso cominciava a sentire puzza di bruciato tra i candidi banchi di scuola clericali.

 

 

 

“Sandy! Sandy! Ehi, Sandy, mi vedi, sono qui! Non mi riconosci, sono Katie, la tua migliore amica, nonché compagna di banco, mi senti?

Katie correva come una forsennata dalla fermata dell’autobus verso il cancello in ferro battuto della scuola, agitando le mani come le ali di un elicottero in direzione di una ragazza dai codini color nocciola e dall’aria intelligente che si sentiva chiamare ma non riconosceva chi fosse, né da dove venisse la voce squillante e euforica.

“Sandy, ehi, Sandy!”

Finalmente la diretta interessata si accorge della povera Katie e alla sua vista le si illuminano gli occhi, diventati due smeraldi alla luce del sole.

Saltella entusiasta verso la nera, ormai quasi senza fiato e col colletto della camicia imperlato di sudore, ma che dopo la corsa affannata ha ancora la voglia di sorridere alla sua più cara amica.

“Oh, ciao Katie! Scusa se non riuscivo a vederti ma oggi è pieno di gente e mi spingevano da tutte le parti, perdonami!

“Tranquilla, correre mi fa bene e poi per te farei qualunque cosa, sei la mia migliore amica!”

“Hai ragione ma mai esagerare, sai che mi preoccupo molto per te, e poi dopo quello che è successo l’altra volta con i maschi…”

Katie smette per un attimo di ansimare e guarda dritta negli occhi Sandy.

“Senti, non mi va di parlarne, è stato l’incubo peggiore della mia vita e voglio dimenticarlo il prima possibile”.

“Oh…Scusami”.

La ragazza abbassa lo sguardo, imbarazzata dagli occhi scuri e temibili di Katie, una vera arma di distruzione e un universo di soggezione se la proprietaria aveva la luna storta.

Quel giorno però era stranamente di buon umore e il motivo per cui non vedeva l’ora di ritornare a scuola si manifestò in tutta la sua meraviglia davanti agli occhi stupefatti di Sandy.

Dopo che Katie la perdonò abbracciandola fortissimo com’era di sua abitudine, le confessò all’orecchio che durante l’intervallo le avrebbe rivelato un magnifico segreto.

Tale madre, tale figlia, la nostra Katie voleva mantenerlo fino all’ultimo, nonostante le preghiere in ginocchio e gli scongiuri della povera Sandy, che non aveva mai nascosto niente alla sua fedele compagna di avventure.

Suonò la campanella e tutti gli alunni, comprese Katie e Sandy, entrarono dell’antico edificio di mattoni e cemento dallo stile vagamente ottocentesco, una specie di collegio inglese alla Oliver Twist, solo rimodernato e attrezzato nel migliore dei modi dalle simpatiche monache del convento vicino.

La prima parte della lezione non fu un granché, tutti gli alunni si riunirono in aula magna per ascoltare il discorso del preside, un uomo sulla cinquantina serio e inquietante, così diverso dalle allegre suore che popolavano l’istituto insieme ai monaci.

Per tutta la durata dell’orazione, Katie cedette alle supplichevoli preghiere di Sandy e raccontò per filo e per segno tutto quello che le era capitato negli ultimi due mesi, naturalmente tralasciando i segreti della madre e i suoi pianti accorati stretta al suo petto, non voleva farsi vedere dalla sua migliore amica come la tipica ragazzina ricca, viziata e piagnucolosa, nonché cocca di mamma, lei non era così e non lo sarebbe mai stato.

Non voleva diventare come le sue care e acide compagne di classe, una più ricca e stupida dell’altra, bionde e con la permanente sempre ben fatta, pronte a ricattare chiunque con il loro nauseante sorriso.

Sandy e Katie erano le uniche “diverse” dal resto della classe: la prima era una studentessa diligente e interessata a tutto ciò che le veniva spiegato in classe, partecipava a tutte le manifestazioni culturali che la scuola organizzava, sapeva sempre come aiutare quelli in difficoltà nel migliore dei modi e in tutte le materie, tenendo anche gruppi di studio pomeridiani concessile direttamente dal preside, insomma, la classica secchiona buona, timida e riservata, anche molto carina secondo Katie ma troppo santarellina, le faceva schifo anche un semplice bacio sulle labbra o un abbraccio troppo passionale da parte di un ragazzo; la seconda invece, anche se godeva di una condizione sociale ed economica abbastanza privilegiate, veniva continuatamene esclusa dalle altre ragazze per il motivo che secondo lei era il più futile del mondo, ovvero il colore della pelle, che nel suo caso era di bel caffèlatte; veniva presa in giro dalle biondine e alcune volte esse si pentirono di quello che avevano combinato, la mente diabolica di Katie, infatti era sempre piena e mai in riserva; se la cavava bene a scuola, e anche se poteva dare di più non lo faceva perché aveva altre cose a cui pensare, quali lo sport, la musica e le vendette varie che si spandevano in tutto l’immenso edificio scolastico.

Insomma, Katie e Sandy, seppur completamente diverse, erano amiche per la pelle e per loro non contava di quale colore fosse.

Si volevano bene e basta e questo era ciò che contava.

Dopo averle raccontato della cena con l’uomo ideale per ogni ragazza e donna americana che si rispetti, ( non c’è neanche bisogno di pronunziare il suo nome ) Katie si aspettava dall’amica un’ondata pungente di imprecazioni e offese contro lei, tutta la sua famiglia, la sua razza, la stessa del suo mito per giunta, e tante altre motivazioni per rendere infelice una persona e per umiliarla nel peggior modo possibile.

Invece Sandy si limitò a guardarla stupefatta come se davanti avesse veramente lui  che le parlava come se niente fosse e poi l’amica cercò in tutti i modi di contenere una sua lista interminabile di tutti i pregi, sia fisici che morali, dell’amore segreto di tutte le adolescenti negli anni Ottanta; in effetti se Katie non l’avesse fermata in tempo tutto l’istituto si sarebbe girato verso di loro, preside e docenti compresi.

Nonostante l’incontenibile gioia da parte di Sandy, tutto andò secondo i piani di Katie e l’altra le aveva promesso che non avrebbe detto nulla a nessuno, muta come una tomba fino all’eternità.

Dopo la fine del magnifico e interessante discorso, le classi ritornarono riluttanti alle loro lezioni, di gran lunga peggiori delle annuali ed elaborate arringhe del preside, che si definiva come “un giudice dell’istruzione” anche se in verità non era altri che un ex uomo politico esaltato dalle idee nazionaliste dei suoi confratelli.

E, diciamocelo, era anche un po’ razzista, soprattutto con i ragazzi di colore i quali rappresentavano una cospicua parte dell’istituto.

La cosa peggiore era che amministrava una scuola clericale, ovvero gestita da un convento o da una parrocchia, quindi un luogo dove il razzismo e la differenza razziale non esistevano e venivano prevenuti con pesanti mezzi di persuasione.

Tutto quello che guadagnò la chiesa con le varie manifestazioni religiose e sociali, passò pian piano nelle sue tasche.

Quel che era peggio è che nessuno osava ribellarsi.

Fino a quell’anno.

 

Entrate in classe, le ragazze si misero sedute a dei banchi liberi della terza fila, davanti alle bionde chiome cotonate delle Barbie, che occupavano sempre i posti nelle prime file, per far vedere ai prof quanto erano attente e preparate.

Anche se Sandy, che era sempre stata nelle ultime file cioè quelle destinate ai ripetenti o agli svogliati, non aveva mai preso una F né una esigua nota, la sua riga nella griglia del registro era immacolata come il vestito di una Madonna.

Quella di Katie era sì immacolata, ma come il vestito di una Madonna molto più conosciuta e additata.

Tutto questo però, le dava un senso d’importanza.

Era più importante delle biondine ereditiere, dei maschi rumorosi e perfidi delle ultime file, dei mattacchioni del quarto anno di liceo, dei secchioni buoni e ingenui, delle svampite e graziose cheerleaders, dei ragazzi più affascinanti e inarrivabili addirittura di tutta Beverly Hills.

Lei era più importante.

In tutti gli anni della sua permanenza nell’istituto nessun professore sano di mente era mai riuscito a resistere più di un anno con lei, nessuno aveva mai avuto il coraggio di affrontarla faccia a faccia.

Questo per lei era l’ultimo anno alle scuole medie e c’era da dirlo, non vedeva l’ora di finire in bellezza, al liceo avrebbe cambiato insegnanti e desiderava che quelli vecchi avessero un buon ricordo di lei.

Molto buono e soprattutto indimenticabile.

 

La grande aula era dominata da un brusio incessante come il frinire di una cicala d’estate, che si zittì subito quando la vecchia porta emise un cigolio stanco e apparvero nell’ordine: una mano bianca sulla maniglia della porta, una scarpa da uomo molto elegante sormontata da un calzone gessato blu scuro, una ventiquattrore da insegnante che l’altra mano sballottava contro la coscia e per ultimo un busto maschile dall’elegante giacca abbinata ai pantaloni e il volto giovane e sicuro di uno sconosciuto, sicuramente, pensò la maggior parte della classe, il nostro nuovo professore di matematica o, sarebbe meglio precisare, l’ennesima vittima della Belva Mangia Professori, così avevano soprannominato Katie.

L’uomo, o sarebbe più corretto dire il ragazzo, si accomodò alla sua cattedra senza dire niente, posò la sua valigetta al lato della sedia e giunse le mani sul tavolo, parlando a tutta la classe con voce ferma e in modo conciso.

“Buongiorno a tutti, ragazzi. Spero che l’anno scolastico sia iniziato nel migliore dei modi per voi, anche se dalle vostre espressioni non si direbbe”.

Silenzio astioso da parte della classe.

Katie inizia a sentire una sensazione di disagio datale dal nuovo docente, non ha il coraggio di guardarlo negli occhi, anche se il resto dei suoi compagni lo osserva senza problemi.

Le ragazze ne sono addirittura rapite.

“Comunque il mio nome è Joseph, Joseph Johnson e sono il vostro nuovo insegnante di matematica.

Vengo da un istituto pubblico di Chicago e finora non avevo mai lavorato in scuole private, questa è la mia prima esperienza, quindi ci tengo a precisare che sono abituato a comportamenti disciplinari da parte degli studenti, direi quasi…

Pensò un po’ sull’aggettivo che non riusciva a ricordarsi e per un attimo Katie ebbe il coraggio di guardarlo in faccia: doveva essere molto giovane, gli dava si e no venticinque anni, la sua pelle era chiara ma leggermente abbronzata dal sole battente della California, il suo naso aveva un profilo diritto e regolare come un righello, la fronte era alta e sopra vi era una fluente chioma castana dai riflessi di un oro inesistente, così unici che era impossibile notarli su di una normale capigliatura, le sopracciglia lunghe e sottili sormontavano la cosa più bella di quel viso, cioè gli occhi, blu come il cielo californiano senza nuvole in una giornata di fine giugno.

Nell’insieme uno spettacolo magnifico.

Incredibilmente vero.

Impossibile da accettare.

No, assolutamente impossibile.

“…Intrattabili. E fuori da ogni regola morale e sociale. Spero che questa classe possa godere di una fama alquanto positiva”.

Si alzò dalla sua sedia e cominciò a camminare con passo lento ma inquietante tra i banchi di legno scarabocchiati.

“Ho sentito dire dagli altri insegnanti che la vostra classe ha da sempre avuto una vasta gamma di studenti, anche se tutti venite bene o male da famiglie molto agiate della zona: dai fannulloni dell’ultimo banco che invece di ascoltare la lezione parlottano tra di loro e si scambiano biglietti o roba del genere…”.

Detto questo sfilò con innata maestria da sotto il banco di Ed, il tipico ragazzo ricco e scansafatiche che si farà mantenere dal padre fino ai quarant’anni, una pila di biglietti e oggetti vari assolutamente incredibile, ed inoltre scoppiò il grosso palloncino che Ed aveva creato con il chewing-gum, facendolo appiccicare tutto sul naso e sulle guance del ragazzo disperato e umiliato.

Tutta la classe si mise a ridere a crepapelle, compresa Sandy che di solito rimaneva sempre seria e non rideva per nessun futile motivo.

Katie cercava di far fuoriuscire una risata ma era completamente immobilizzata dalla stretta vicinanza che c’era tra lei e il signor Johnson, ormai vicinissimo alla fila centrale, quella di Katie.

Gli si prese quasi un infarto quando si trovò la sua scintillante giacca gessata davanti agli occhi,

sussultò e divenne pallida come la camicia che indossava.

Si rilassò un po’ (anche se non ci sarebbe mai riuscita in tutta la lezione del prof. Johnson) vedendo che il suo sguardo non era indirizzato a lei ma alla sua vicina di banco.

“…Fino ad una delle menti più brillanti e scolasticamente riconosciute di tutta la contea, e forse anche più in là: Sandrah Shepard, giusto?”

La ragazza annuì timidamente.

“Il dirigente scolastico mi ha parlato molto bene di voi.

Mi ha anche detto che avete vinto già per la seconda volta le gare di logica e calcolo matematico, classificandovi prima in tutte le scuole medie dello stato della California, dico bene?

“S-sì”.

Johnson la guardò amorevolmente, e Katie si sentì esplodere improvvisamente per un motivo a lei sconosciuto.

“Spero che le mie aspettative non vengano deluse, signorina Shepard.

Da lei esigo il meglio”.

“Certo, signor Johnson. Le prometto che mi impegnerò al massimo, come ho sempre fatto d’altronde”.

“Molto bene”.

Gli occhi di ghiaccio del signor Johnson lasciarono il faccino pallido e teso di Sandy, per poi posarsi su quello altrettanto teso ma sicuro di Katie, la quale voleva affrontare il suo turbamento a testa alta, non era ancora nato chi era capace di mettergli paura e assoggettarla.

E il signor Johnson l’avrebbe capito molto presto.

“Oh, ma guarda tu chi abbiamo qui, di fianco alla signorina Shepard: allora è vero che l’amicizia non ha limiti di nessun genere, in questo caso neanche di fama”.

Sorrise disgustosamente.

Che coglione, pensò Katie, adesso una secchiona bianca e un’esponente della classe che combatte per la propria origine non possono essere amiche né vicine di banco, ma per chi mi ha preso, se non se ne va entro la fine dell’ora fuori dalla classe, lo riduco alle dimensioni di una gomma per cancellare e lo rispedisco a Chicago a forza di calci nel culo, non può permettersi di dire queste cose ad una alunna, lo spedirebbero subito davanti alla Corte Marziale e gli darebbero dieci anni di galera, senza esagerazioni, no, non può parlarmi così, non ha ancora capito chi sono“.

“Signorina Katherine Villa.

Ho sentito parlare molto anche di voi, ma da come vi hanno descritta pensavo che foste una vera e propria belva e invece…

E invece, che cosa vi sembro, un cefalopode, una lucertola a sei zampe, un rospo delle nevi?

Cosa, brutto stronzo di un razzista?

“…Non pensavo di trovarmi davanti una ragazza così tremendamente graziosa e riservata. Un vero gioiello, dovrei dire.

Forse la vostra fama non molto positiva è stata l’artefice di varie leggende sul vostro aspetto e la vostra personalità, create da una fervida e impaziente immaginazione.

Ma per il mio parere siete un’alunna e una fanciulla assolutamente perfetta”.

Colpo al cuore.

Incredulità negli occhi.

La mente stava cominciando a modificare magicamente tutto ciò che Katie avrebbe voluto dire al signor Johnson e che invece fu fermato da quelle parole.

Parole mai pronunciate, parole mai pensate da nessun insegnante che aveva calcato il pavimento di quell’aula, che l’aveva vista in faccia, che l’aveva giudicata anche senza prove schiaccianti delle sue bravate e della sua mancata disciplina.

Parole mai pronunciate da una mente gentile e spontanea.

Improvvisamente, in meno di mezzo secondo, qualcosa scattò nel cuore di Katie.

Una sensazione, uno stato d’animo mai provato prima di allora.

Attrazione e repressione, odio e simpatia si mescolavano dentro di lei come un tornado infinito.

Si faceva strada dentro di lei, un sentimento nuovo ancora indefinito ma potente e incalzante.

Avrebbe capito cosa fosse.

Doveva solo sfidarlo.

E vincerlo.

 

 

 

 

Ehi, Elvis, non battere la fiacca, aiuta il signor Armstrong a sollevare il pianoforte e mettetelo al centro del palco, bene, così, bravi!!

Bob, smettila di spacciare marijuana, siamo in Paradiso se non te lo ricordi, non in Giamaica, quindi sbrigati e va a montare il palco insieme agli altri, in quanto a te, John, accorda tutti i bassi e vedi di far presto, il Tour inizia tra nemmeno quattro settimane ed ancora abbiamo metà cose da preparare, le canzoni da scegliere, le coreografie, i costumi, tutto!!!

Oh, Michael, ma che stai facendo, non devi affaticarti così tanto, tu sei la stella di tutto il Regno dei Cieli, anzi sei il Re, tu non devi lavorare, intesi?? Riposati un po’, che qui ci pensiamo noi e se ti vedo ancora un’altra volta che ti alzi da quella sedia giuro che ti metto in punizione e non scherzo!!

 

Eh, che c’è??ò_ò

Oh, mammina santa, scusatemi, belle bambole e bei bamboli, stavo dando una mano per i preparativi del Tour, dovrebbe partire appunto tra quattro settimane ma siamo in grave ritardo… *tira uno schiaffo a Freddie che batte la fiacca insieme ad Elvis ù_ù*

 

Comunque adesso sono tutta vostra, innanzitutto, ben tornati sulla mia ff, spero che questo capitolo non vi abbia trasmesso nulla di negativo o morboso, dopotutto è dal primo capitolo che sto trattando tematiche abbastanza forti, alcuni posso anche ritenere il mio comportamento abbastanza offensivo, ergo mi scuso già da adesso.

 

Bene, momento serietà chiuso, adesso passiamo alle cose meno serie (quelle che mi piacciono più di tutte*__*)….

Mazza oh, Katie in questo capitolo è molto “focosa” e l’apparizione del nuovo affascinante professore ha turbato il suo innocente cuore di bambina, secondo voi, cosa succederà tra i due, diventeranno “amici”oppure nemici??

Rispondete a questa semplice domanda che in un certo senso si ricollega alla precedente (che non è stata azzeccata da nessuno xD) e cercate di unire nel più logico dei modi le due risposte, vediamo cosa ne salterà fuori, aspetto le vostre recensioni con ansia, mie amate fan!! *OOOOOO*

 

Adesso passiamo ai ringraziamenti, volevo ricordare tra i tanti quelli alla mia spettacolare Material Girl preferita ( oltre a Katie ^^) , quella che mi guida dappertutto anche se la via è rischiosa e piena di dolore, tanto avete già capito di chi sto parlando, quindi non vi dico chi è!!ù_ù

Poi il mio fantastico amico Alessandro Manzoni, non so se lo conoscete °-°, che mi ha dato molti spunti narrativi davvero interessanti, come quello di “andar a sciacquare i panni nell’Arno”, che mi è stato molto, ma molto utile =)

Vorrei ricordare tutti i fumetti che leggevo, e che leggo tutt’ora, ( Ma ‘ndo vai, quindic’anni ancora co’ i giornaletti, ma va va!! NdTutti) che mi hanno invece consigliato gli scenari fantasy per i capitoli successivi, tranquilli, ci saranno!! ;)

 

Ed infine, le belle bambole che hanno recensito e che sono rimaste incantate dalla mia storia *-* (Claudia saluta commossa tutti i presenti alla cerimonia di consegna per il Nobel della Letteratura *O*), ovvero:

Black_Girl96: mi dispiace di aver deluso le tue fantasie amorose ma la storia romantica ci sarà dopo, ma molto dopo, quindi ti chiedo di armarti di pazienza e di aspettare, finora non hai letto niente.. J grazie per tutto e alla prossima!!

Dolcekagome: oh Santa MeH, con tutti questi bei complimenti mi fai piangere, davvero secondo te mi merito gli urli alla MJ, le lusinghe sulla descrizione della divinità di Michael, lo stupore, l’iperventilazione, e le frasi in napoletano?? T.T oh, mio dio, sono così felice, sei proprio una Kagome dolce e sincera, e non è vero che potrei improvvisare in napoletano, nun ce riesco, me dispiace, ma mea patria est Urbem!! *_* ehm, scusa per l’uscita in latino, ritorniamo a noi: mi dispiace ma la sorpresa non è stata un bacio, prova a pensare a qualcosa di più bello e inaspettato, ah, e pensa anche alla situazione che si verrà a creare tra Katie e Joe, (manco a fallo apposta se chiamano così,ho messo i nomi a caso XDDD) dai, non è difficile, lo so, pensa, pensa… ^O^ kai grapheis…

P.S. : l’uscita stavolta l’ho fatta in greco, significa “e scrivi” =)

Grazie per la recensione e, lo posso dire, la mia Katie ha sempre ragione!!! *ççççç*

Monyprincesslovett: oi salve, come va, ciccia?? Grazie per esserti presa un colpo per Michael, il mio intento era proprio quello, vuol dire che sono stata brava, grazie amoruccia, grazie ancora!!! *ççç* **Claudia salta addosso al piccolo Michael intento a cambiarsi d’abito** ehehe , io sono cattiva, molto cattiva, e ti lascerò con il dubbio fino alla fine della scuola, per Katie intendo, e allora lì si che capirai tutto, ihihihihi *-*

Ma davvero ti faccio ridere così tanto, stai scherzando per caso???? O.o tutto ciò che pensa Fiordaliso è tutto a cui la mia mente malata arriva per prima, cioè, non ci penso nemmeno, è quello il bello, sono comunque contenta che ti piacciano le mie cavolate xD

Grazie ancora per i complimenti, Mony, ci vediamo al prossimo capitolo, che in realtà è la seconda parte di questo, ciaoooooo !!!

 

Come sempre alla fine di ogni interminabile capitolo (questo era lunghissimissimo o_o) ringrazio tutti quelli che hanno letto, se ne sono fregati, sono capitati per caso sulla mia storia , insomma tutti quelli di Efp (comprese due persone molto sospette che conosco io e che sicuramente sanno che sto scrivendo di loro J) e vi saluto al prossimo capitolo, ragazzi, ciao e divertitevi!!!!! by la vostra Looney Queen (la Matta è più corretto ù_ù ndTutti) *Grrr è_é*

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Capitolo 7
*** Luci celate (Comincio a sentire puzza di bruciato tra i banchi di scuola ..-Seconda parte) ***


                               Luci celate

 



(Comincio a sentire puzza di bruciato tra i banchi di scuola…-Seconda parte)

 

 

 

Non poteva credere a tutto ciò.

Era tutto maledettamente impossibile.

Cioè, non poteva provare simpatia per un professore, uno degli individui che detestava di più, e per giunta di matematica, la materia più inutile e pallosa di tutte quelle che insegnavano in quel cadente e obsoleto istituto, no, non era possibile tutto ciò, impossibile!

Eppure c’era qualcosa che la fermava, invece di controbattere violentemente, arricchendo le ingiurie di colorite parolacce create per l’occasione, se ne stava lì, seduta composta sulla sedia con le mani in grembo e la testa bassa per nascondere il vistoso rossore che le attanagliava le guance e anche la lingua.

Non sapeva più cosa dire.

Era la prima volta che le capitava una cosa del genere.

E tutto per colpa di un professore di matematica bastardo e nazionalista fino alla nausea.

O era quello che il cervello cercava di far capire al suo tormentato cuore?

 

“Signorina Villa? Qualcosa non va, è tutto a posto?”

“Eh?”

Katie si destò dalla sua riflessione e si guardò intorno spaesata: tutti i suoi compagni la fissavano torvi, compresa Sandy, ma il suo sguardo era più preoccupato che ostile.

Uno sguardo totalmente diverso invece se lo trovò dritta davanti a sé, a nemmeno tre centimetri del suo naso: due piccoli e luminosi pezzi di cielo, incastonati in un viso marmoreo e imperscrutabile, l’avevano rapita dal mondo reale e due buchi neri vibranti come diapason la attiravano a loro.

Nel profondo di quelle pozze turchesi si sentiva prigioniera di un’entità sconosciuta e a primo impatto spietata; ma allo stesso tempo le donava sicurezza ed estasi, come se quell’inquietudine fosse la chiave per un piacere maggiore e mai provato prima.

Era bello galleggiare in quel mare tempestoso, lasciarsi trasportare dalle onde gonfie senza tregua, annegare dolcemente, eliminando dalla mente tutti i pensieri più affannosi e pesanti.

Si sentiva libera finalmente, libera da ogni costrizione, da ogni sopruso, offesa o timore.

Tutta colpa di quel mare in burrasca, potente e piacevolmente mortale, nel quale era scioccamente affogata.

 

“Vi ho chiesto se va tutto a posto, state bene, signorina?”

“Ah… Sì. Sì, sto bene”.

“Sul serio? Dalla vostra faccia non si direbbe, perdonatemi ma sembrate uno zombie appena uscito dal suo sepolcro!”

“Oh, ma non si preoccupi, mi piacciono gli zombie, non mi fanno paura. E poi sì, ha ragione, delle volte mi blocco e divento come una morta vivente, mi scusi ancora!”

“Sicura che non avete bisogno di qualcosa? Che so, un bicchiere d’acqua, una tisana, un the, non volete nulla?”

“Le ho detto che sto bene, non si preoccupi per me, dopotutto non sono svenuta o altro, sto benone…”

Quel botta e risposta con il signor Johnson le avevano tolto le energie, compreso lo sguardo ipnotico di poco prima, sapeva di esser diventata pallida e sudava incessantemente, ma non voleva che il nuovo insegnante dovesse prendersi delle responsabilità il suo primo giorno di servizio presso quella scuola, e soprattutto con lei, la Mangiatrice di Prof più famigerata di tutta Beverly Hills.

Forse a Chicago tipe come lei non esistevano o semplicemente i prof guardavano da un’ottica diversa le loro alunne più ribelli.

“Va bene, per stavolta passi, ma se un altro di questi giorni vi vedo in difficoltà, qualsiasi sia il genere di difficoltà, io vi soccorrerò immediatamente, nonostante i vostri rifiuti e le vostre suppliche, per tutto il tempo che voi ed io staremo in questo istituto. Vi sta bene?”

Oh, dio santissimo, non solo la lusinga e la loda per il suo aspetto e per il suo comportamento in aula, ma si offre addirittura di aiutarla se ne avrà bisogno e senza alcuna ricompensa!

Ma da dove è sbucato questo?

Sicuramente non da una fogna, né da una malfamata periferia del Nord.

“S-sì… Sì, come vuole lei, signor Johnson”.

“Chiamatemi Joe. Johnson è troppo pomposo e formale, non mi piace essere ritenuto tale”.

“Oh, allora okay. Grazie… Signor Joe”.

“Grazie a voi”.

 

Quel volto.

Quel sorriso.

Quei denti troppo perfetti, quegli occhi troppo belli e azzurri le rimasero nella testa per tutta l’ora successiva, erano diventati una persecuzione, ogni volta che si girava verso la cattedra scorgeva la sua chioma mandare bagliori dorati nella sua direzione, come se stesse cercando di dirle qualcosa, come un messaggio in codice.

Era attratta da quella persona.

Da quegli occhi, da quei gesti così puri e sinceri che era impossibile imputare ad un uomo dall’aspetto così serio, membro di un corpo docente qualificato e attento alla disciplina degli studenti.

E per giunta si chiamava come la persona che odiava più di tutte, insieme all’altro bastardo del padre, entrambi da rinchiudere a Guantanamo per l’eternità.

Se non l’hanno già fatto.

 

Eppure era lì, seduto di fronte alla cattedra e discuteva animatamente, radioso come il Sole all’alba, ogni cosa che veniva catturata dal suo sguardo, seppur insignificante e ima agli occhi inesperti della gente, con lui si illuminava di una luce nuova e diventava improvvisamente la cosa più importante per tutto il genere umano e per egli. 

Katie sussultò dalla sedia, stupefatta dalla sua inaspettata riflessione.

Ogni cosa toccata dal quegli occhi, seppur ima e insignificante agli occhi inesperti della gente, con lui si illuminava di una luce nuova e diventava improvvisamente la cosa più importante per tutto il genere umano.

E per egli.

 

Oh, cazzo, non dirmi che sta succedendo la stessa cosa anche con me!

 

 

Era da tanto che non mi svegliavo così fresca e riposata, almeno da due mesi, forse il pungente caldo autunnale fa bene al mio corpo ed anche alla mia salute mentale contrariamente a ciò che si può pensare, amo il caldo soffocante e il sudore che mi cola sulla fronte, un newyorkese non potrebbe certamente dire la stessa cosa!

Quando scesi giù in cucina, un po’ barcollante e con gli occhi ancora appiccicati dal profondo sonno, trovai come al solito il mitico Fernando col grembiule a fantasia animaleur che gli avevo regalato per il suo ultimo compleanno, affaccendato di fronte ai fornelli come una brava massaia.

Mi appoggiai alla maniglia della porta, incrociando le mani dietro la schiena, e lo osservai mesta.

Mi faceva pena, in un certo senso, vederlo così, costretto a sopportare due donne nella medesima casa che si azzuffavano senza tregua e poi facevano pace, il tutto milioni di volte al giorno, pretendevano di essere servite e riverite come le mogli di sultani arabi, non davano il minimo aiuto in casa e quel che era peggio, non veniva neanche pagato.

Va bene, sto esagerando, io e mia figlia non siamo così selvatiche, quando possiamo cerchiamo di rendere la vita meno complicata alla nostra fantastica colf e poi è stato Fernando il primo a dire che non aveva la minima intenzione di accettare denaro da me, lui lavorava per noi solo per tenere occupate le sue giornate e poi amava rendersi utile.

Non l’abbiamo mai biasimato per questo, in fondo è lui che sceglie di vivere nel modo migliore.

Quell’oggi però, non ce la facevo a guardarlo svolazzare per la cucina indaffarato e preoccupato e perciò mi staccai dalla manopola d’ottone dell’ingresso per andargli incontro, lo salutai allegramente e cercai di accaparrarmi il posto di Aiutante del Maggiordomo, un posto ambitissimo, che non era mai stato riservato a nessuno in tutta la storia della mia e della sua famiglia. 

Quel giorno, però, c’era aria di cambiamenti nell’aria.

“Hola, Fernando, ben alzato, come stai, hai passato una bella nottata, mi sembri così distratto, che ti è successo, forse il troppo lavoro ti da alla testa e dopo un po’ non ti si connettono più le sinapsi nervose? Aspetta un secondo che ti aiuto io con quel caffé, la tua distrazione lo sta facendo volare fuori dalla finestra per l’esasperazione, tra un po’ se ne ritorna in Messico dai suoi parenti, credi a me! E poi, queste…”

Indicai ciò che mia figlia odiava mangiare di più a colazione, le mitiche tortillas che Fernando ci chiedeva sempre di ingerire, essendo a suo parere molto digeribili.

Con la piccola belva però, nulla che fosse messicano era dietetico.

“… È meglio che le fai sparire dalla circolazione, Katie non le sopporta e se per caso scopre che ci sono è capace anche di mangiarti vivo come Bugs Bunny mangerebbe una carota, ne sono più che certa, fidati della tua Fiordaliso!”

Sotto gli occhi increduli del povero Fernando mi misi a saltellare per tutta la cucina, sembravo Mary Poppins in pigiama versione latino americana, cercando di aiutarlo come meglio potevo preparando a modo mio la colazione e lui, che non riusciva a dire niente di fronte alla mia incontenibile vitalità mattutina, mi stette a guardare per un bel po’, rassegnato dalle mie improvvise premure.

Stavo giusto spolverando il tavolo per togliere tutte le briciole che i biscotti di cioccolato sgranocchiati dalle mie voraci mascelle vi avevano lasciato, quando sentii dei boati provenire dalle scale, come se ci fosse stato un temporale dentro casa, e mi apparve Katie, in tutto il suo splendore, lavata e vestita, zaino in spalla e un sorriso così grande che andava da un orecchio all’altro.

Dalla sua espressione si capiva da un miglio che non voleva perdere tempo in moine inutili, aveva qualcosa di particolarmente importante da sbrigare.

Perciò salutò calorosamente sia me che Fernando, bevve un po’ di caffé freddo rimasto nella caraffa, (una delle poche sostanza eccitanti che le era permesso consumare insieme alla Coca Cola e al the freddo) ci salutò ancora una volta e sparì nell’atrio, diretta al portone di noce, che si chiuse pesantemente sotto la sua energica spinta, lasciando me e Fernando esterefatti come struzzi. 

Non lo dava a vedere ma mia figlia era una ragazzina dalla muscolatura allenata e sapeva rendere la mano di chiunque un mucchietto di argilla bagnata, il bello è che non sapeva controllare tutta questa forza, quindi il più delle volte incappava in episodi imbarazzanti come quello del Natale scorso, quando passeggiavamo tra la calca festante di Hollywood ed incontrammo un mio amico; (uno degli amici di Michael, in verità, forse me l’aveva presentato a qualche incontro segreto, chissà…) naturalmente pensavo che Katie si sarebbe controllata nello stringergli la mano, ma come al solito parlo ad un muro, non ad una ragazzina di tredici anni, cosciente dei propri limiti fisici e morali, e perciò dovetti sorbirmi gli strilli del pover’uomo dalla mano sfracellata, nonché un infinito monologo alla Black Pete*, con tanto di gesti teatrali e scansione delle battute degne di un attore professionista.

Beh, dopotutto eravamo a Los Angeles, la Fabbrica degli Attori per eccellenza, chi non lo era, seppur nascondendo magnificamente la sua vera identità?

I misteri da noi sono sempre molti e stuzzicanti, e non ci si annoia mai!

A proposito di noia, appena Katie uscì di casa tutta indaffarata per correre a scuola con un’idea a me sconosciuta che gli frullava nella testa come l’elica di un elicottero, decisi, secondo le mie secolari abitudini, di prenderle in prestito uno dei suoi magnifici dischi dalla sua aulica collezione, dopotutto non sarebbe tornata prima delle cinque dalla scuola, calcolando anche le possibili soste a casa di amiche o a punti di ritrovo, avevo tutto il tempo che volevo e non poteva riprendermi in nessun modo, quindi corsi su per le scale facendo i gradini tre a tre ed entrai nella sua stanza, dirigendomi verso il piccolo altarino che lei aveva creato per custodire gelosamente tutti i dischi di Michael, compresi quelli incisi con i fratelli e, in preda ad una feroce indecisione in mezzo a tutta quella meraviglia, vi rimasi un po’ di fronte, al fine di scegliere il 33 giri che si addiceva di più al mio umore, era anche un bel modo per iniziare bene la giornata e lo facevo sempre quando Katie era impeganta con le lezioni!

Così, tra l’insuperabile Thriller e il precedente Off The Wall scelsi Off The Wall, non so il perché della mia scelta, ma quella mattina mi ispirava tantissimo, era un album quasi d’esordio, messo in ombra dallo splendore artistico di Thriller, ma pur sempre emozionante, carico di sentimento e grande creatività come tutti i capolavori lasciati da Mike.

Ridiscesi le scale saltellando e felice come Willy il Coyote che è finalmente è riuscito a catturare Road Runner, misi il disco nel grammofono e posizionai la puntina, trepidante.

In breve la musica partì e io mi lascia completamente andare dalla sua irrefrenabile magia, in Off The Wall c’erano canzoni vivaci e movimentate dallo stile puramente disco e R&B come Rock Whit You o Don’t Stop ‘Til You Get Enough, oppure se si vuole andare più sul lento e struggente c’era She’s Out Of My Life, quella che Michael non riusciva mai a finire di cantare perché gli veniva da piangere sempre verso l’ultima strofa.

Era così bello quando piangeva, non aveva paura di farlo ed in ciò stava la sua più grande forza, mi faceva tenerezza e mi ricordava quei momenti di tanto tempo prima: la notte del vicolo, la attanagliante tensione provata in quell’orribile posto, la mia adulta consapevolezza di dover proteggere quel bambino dal crudele mondo dove vivevamo entrambi, ma anche il giorno della mia partenza da casa sua, quando mossi dai sentimenti più profondi delle nostre anime ci mettemmo a piangere insieme e smettemmo insieme, abbracciati, senza parlare, asciugandoci le lacrime a vicenda, come due fratelli gemelli costretti a separarsi dopo una vita passata in simbiosi, ma consapevoli di una riunione futura.

Mio padre soleva ripetermi sempre una frase, accadeva soprattutto quando ero triste o preoccupata:

 

“I momenti più tristi nascondono anche delle inaspettate gioie”.

 

Ed io quella gioia l’avevo trovata.

 

Una gioia di nome Michael.

 

Quella mattina però valeva anche il detto “Parli del diavolo, ne spuntano le corna”.

Infatti, stavo giusto arrivando al limite del divertimento concesso alle donne sopra i trent’anni come me, che sotto il frastuono che avevo creato, sentii il distinto suono del campanello dell’ingresso il quale si ripeté incessantemente per circa cinque minuti, come se qualcuno avesse incollato il proprio indice al bottone di fianco alla porta di casa.

In men che non si dica, vidi sfrecciare Fernando sulla rampa di scale dal piano di sopra fino all’androne, ancora col grembiule leopardato indosso e i capelli brizzolati tutti scompigliati, forse era uscito per raccogliere il bucato dalla terrazza e tirava un bel venticello dall’oceano.

Ma la cosa che sentii tirare di più furono i suoi sbraiti contro di me, che cercavano di superare la musica assordante e i miei schiamazzi.

“Accidenti, Fiordaliso, smettila di saltare sul divano come un canguro e abbassa quel maledetto volume, forse non te ne sei accorta ma hanno appena suonato il campanello, potrebbe essere chiunque, quindi ti conviene darti una sistemata prima di subito, altrimenti sai che figura facciamo!”

“Ma dai, Fernando, rilassati, chi vuoi che sia a quest’ora del mattino? La solita pubblicità del lunedì per iniziare bene la settimana oppure qualche furbetto che vuole farci uno scherzo o la signora della casa di fronte che ci viene a chiedere un po’ di zucchero per il caffè, in fondo, chi si alzerebbe alle otto di mattina per venirci a trovare?”

“Sicuramente non le donne come te, cara.

E abbassa questo volume, mi stai spaccando i timpani!”

“Uffa, che noioso che sei, solo per un po’ di sano rumore ti alteri subito, sembri mia nonna”.

Dovetti abbassare proprio sul punto più bello di Rock With You, ma decisi di tenerlo ad una frequenza abbastanza gradevole, cosicché si creasse un po’ d’atmosfera ad effetto.

Scesa dal divano, infilai le pantofole rimaste ai suoi piedi e andai ad aprire saltellando, insieme a Fernando che continuava a guardarmi torvo come un avvoltoio fissa un cobra all’attacco.

Okay, non ero molto presentabile ma in fondo che me ne importava, in quel quartiere mi conoscevano tutti, perciò non dovevo preoccuparmi delle facce sconvolte e degli apprezzamenti velenosi contro il mio abbigliamento. 

Appena aprii la porta però, mi rimangiai tutto quello che avevo detto e pensato fino ad allora.

Perché davanti a me, ritto sullo zerbino, non c’era il postino o la vicina rompiscatole o comunque nessuno.

Tutt’altro, mi trovai davanti agli occhi un sorriso così bello e radioso che al confronto il Sole mi sembrava una lucciola, tutto il resto della persona era quasi impossibile scorgerlo, illuminato dalla tenue luce del Sole appena sorto e dalla sua lucentezza interna, simile a quella di una supernova.

Poi però quel sorriso si afflosciò, lasciando il posto allo stupore più totale.

Michael guardava me e Fernando come due malati di mente rinchiusi in una casa disabitata dimenticata da tutti, dondolava leggermente sui tacchi delle scarpe e notai che teneva le mani dietro la schiena come per nascondere qualcosa.

Per niente intimorito si avvicinò di un passo e riprese il suo sorriso iniziale.

“Oh, scusate per l’intrusione, deve esserci stato un errore, questa è la casa della signora Fiordaliso Villa oppure hanno inaugurato un nuovo zoo e non me l’hanno detto?”

Si mise a ridere sommessamente, sembrava una cascata di campanellini che rimbalzavano tra le nuvole del cielo, un suono forse più bello della sua già splendida voce.

Ero così ubriacata da quella magica risata che per un attimo non ci capii più niente e Fernando dovette scrollarmi per una spalla.

Come metodo fu abbastanza efficace e contribuì al mio totale risveglio, dopodichè domandai a Michael il perché della sua battuta.

Lui rise di nuovo, celestiale.

“Ma come, non vi siete guardati prima di aprire la porta? Sembrate appena usciti da un safari in piena Africa!”

“Oh, ma a dir la verità non è come…”.

Finii lì il mio discorso notando terrorizzata il grembiule leopardato di Fernando e la sua criniera sale e pepe al vento, poi guardai il mio pigiama di seta zebrato con i calzoni lunghi e la canottiera a spalline sottili e ricami di pizzo rosa confetto sul corpetto e sul bordo del pantaloni, vestaglia coordinata in seta e per completare il tutto le pantofole di Mickey Mouse ai piedi e i grandi

bigodini rosa in testa dai quali usciva qualche ricciolo ribellatosi alla morsa. 

I capelli erano la mia fissazione più grande, non erano delle morbide molle nere come quelle di Katie, che se si tiravano e poi si lasciavano ritornavano al loro posto in meno di un secondo, ma delle orrende onde di petrolio alle quali non davo mai pace: in casa avevo sempre i bigodini in testa e non me li toglievo mai se non prima di uscire.

Il motivo per questo massacrante trattamento contro i miei capelli era semplicissimo: non sopportavo che la figlia di una donna di colore americana avesse i capelli lisci come spaghetti o leggermente mossi, naturalmente era una sciocchezza e non potevo in nessun modo cambiare la natura dei miei capelli, ma mi faceva sentire più vicina alla mia terra da parte materna, alla mia gente, al mio mondo.

Oh, Michael, invece non aveva questi problemi, i suoi riccioli erano così ben tagliati e definiti, ad ogni loro leggero movimento diventavano delle spirali perfette, mi facevano diventare matta per la loro rilassante bellezza, ogni cosa di lui mi faceva diventare matta…

“Forse è meglio che ti prenda un bel caffé, Fiorellino, mi sembri leggermente appassita o forse stai ancora nel mondo dei sogni?”

Era successo un’altra volta, Michael con la sua inebriante perfezione era riuscito ad incantarmi di nuovo, senza sbattere le ciglia (quel gesto così semplice e abitudinario mette KO per quasi mezzo minuto il mio povero cuore).

Adesso invece grazie alla sua voce mi ripresi un pochino, anche se sarebbe stato impossibile parlare con lui senza svenire almeno una volta.

Con la faccia da panda addormentato che mi ritrovavo, lo rassicurai a modo mio.

“Oh, tranquillo Mike, sto benissimo, ho solo avuto un momento di… smarrimento, sì, smarrimento, non so come sia potuto succedere ma per un attimo non sono riuscita a far funzionare bene il cervello, scusami!”

Michael lasciò cadere la testa sulla spalla destra e mi guardò perplesso, meravigliosamente sperduto.

“Ah capisco… Sai ogni tanto accade anche a me, non mi ricordo più dove mi trovo e allora comincio a delirare ma poi mi passa subito”.

“Sul serio?”

“Certo, anche le stelle di Hollywood e dintorni hanno a che fare con piccoli problemi quotidiani, cosa credi?”

“Ehi, non scaldarti tanto, ti credo eccome! Comunque, sei solo, vuoi entrare dentro?”

Mi si stavano gelando le braccia e i mignoli dei piedi, ed inoltre non volevo lasciare il piccolo Michael a morire di freddo sulla mia veranda, aveva fatto un bel po’ di strada per venire nell’isolato dove abito e poi intuii che volesse dirmi qualcosa di abbastanza importante.

“Oh, certo, ma che stupidi, stiamo qui a parlare mentre tira un vento pazzesco! Ah comunque, sì, sono solo e mi piacerebbe tanto entrare nella tua accogliente casetta, ma prima…”

Tolse le mani da dietro la schiena e mi ritrovai davanti il naso un mazzo di bellissimi fiori blu come il cielo che avevano un’aria molto familiare.

“Devo darti una cosa”.

Mi sorrise, decisamente emozionato.

Notai la sua silenziosa battaglia interiore contro l’assillante timidezza e perciò cercai di aiutarlo nel migliore dei modi, come per esempio, facendolo sentire a suo agio, anche se pure io ero sorpresa e senza parole.

Era impossibile spiccicare qualcosa in quel momento, anche per un pappagallo chiacchierone.

“Ma questi…”

Presi il semplice e raffinato incarto dei fiori tra le mani per annusare la loro aroma e per osservargli meglio da vicino.

“…Sono fiordalisi. Oh, Michael, perché l’hai fatto, non dovevi sul serio, sono troppo belli per… per una come me”.

Ero rimasta veramente senza parole, non meritavo assolutamente tutto ciò che Mike stava facendo per me negli ultimi due mesi, a cominciare dalla bellissima cena e dalla misteriosa sorpresa, il cui ricordo era ancora vivo e palpitante dentro di me , inglobato dal mio cuore e impossibilitato a scappare.

Nonostante la tensione che traspariva da tutta la sua persona, ed anche da me, lui mi si avvicinò ancora di più e mi guardò amorevolmente, uno sguardo che avrebbe fatto sciogliere anche un’iceberg della Groenlandia.

C’era riuscito, dell’iceberg era rimasta solo una insignificante pozzetta d’acqua che stava pian piano evaporando per il troppo calore autunnale ed anche per un altro motivo ben evidente.

“Tu ti meriti tutto ciò che di più bello esiste in natura, Fiorellino, perché tu sei una di loro. Naturalmente ho scelto i fiordalisi perché mi ricordavano te e il tuo nome, ma qualunque fiore tu riceva ti si addice meravigliosamente.

E poi, a dirla tutta…”

Abbassò la testa, visibilmente arrossito dalla mia espressione estasiata che non dava pace al suo bellissimo viso.

“… Anche se non avremo mai una relazione impegnata né altri tipi di rapporti che possano provare la nostra complicità sentimentale, beh, ecco…”

Si vedeva da miglia che era agitato dalla situazione, poverino, già gli era costato regalarmi quei magnifici fiori senza imbarazzarsi e tentare di sparire in uno dei tanti cespugli sempreverdi del giardino, ed adesso stava cercando di dirmi ciò che più premeva sui suoi sentimenti più profondi.

Tirò un lungo sospiro e mi guardò, teso ma risoluto.

Io trattenevo il fiato, ero diventata più rigida di un palo del telefono pieno di piccioni dispettosi pronti a lasciarti un bel ricordo della loro permanenza.

“… Io… Io ti considero una donna molto…”

“Molto?”

Ecco, ci siamo, farò saltare in aria la fatidica rivelazione per via della mia mancanza di tatto, delle volte sono proprio una imbecille bella e buona, mi vergogno di me stessa!

“Molto…”

Sospirò , stavolta riempendo per bene i polmoni e poi espellendo tutta l’aria in eccesso.

Accidenti, qui le cose si fanno serie, si vede che l’annuncio deve essere davvero solenne per avere tutti questi tentennamenti, ma tutto sommato è meglio così.

Vuol dire che ciò che vuole dirmi viene veramente dal cuore e non ha nulla di falso come invece i congegnati discorsi di certa gente disposta a tutto per il potere, anche coprendosi di pura infamia.

In quel frangente però l’infamia non esisteva.

Michael non era uno di loro.

Non lo era mai stato.

“Affascinante! Ecco l’ho detto”.

Bene, stavolta le mascelle mi caddero per terra dalla stupore e dalla gioia.

Non poteva essere vero, Michael Jackson, il cantante pop più famoso dell’intero universo, vincitore di otto Grammy Awards con un solo album, detentore del record di dischi venduti negli ultimi dieci miliardi di anni, possessore di un patrimonio ineguagliabile, con cento e più ragazze che gli ronzavano incessantemente intorno, tutte belle e raccomandate, pronte a tutto pur di sfondare nel mondo dello spettacolo, si era svegliato prestissimo e senza pensarci due volte, era venuto a casa mia, di una donna ricca ma brutta, che non ha niente di bello se non la sua modesta prole e una belva come maggiordomo, per dirmi che mi trovava… affascinante.

Affascinante.

Non carina, accettabile, ruota di scorta, sproporzionata, obesa, brutta, orribile, ma affascinante.

Anzi molto affascinante.

Oh, mio Dio, tutto ciò non può essere vero, quello che ha appena pronunziato il tuo messaggero più illustre non può corrispondere alla realtà.

È sicuramente frutto della mia fervida immaginazione, dai, è assolutamente fuori dal normale, no, non può essere possibile, inconcepibile, senza senso…

“Lo so che ti ho decisamente scombussolata con la mia affermazione, Fiorellino, ma non ti sembra un po’ esagerato ciò che stai facendo?”

“Perché cosa sto facendo, caro Michael, luce dei miei ciechi occhi?”

“Non ci crederai, ma ti sei inginocchiata con le mani giunte e lo sguardo perso oltre l’orizzonte, come se stessi venerando qualcuno o qualcosa”.

“Davvero?”

“Non ci tengo a dirti bugie, lo sai”.

Sapevo di doverla evitare eppure lei era sempre in agguato: la famigerata Figuraccia non mi risparmiava neanche per mezz’ora e ogni cosa che combinavo o ogni persona che incontravo, per lei erano dei pretesti per umiliarmi di fronte alla dura e ignorante civiltà della West Coast, che seguivano la saggia Cultura del Body Building e la Dottrina delle Onde.

Naturalmente per gli episodi più ghiotti serbava tutta la sua più infida cattiveria.

Quello però era stato il limite.

“Oh. Ah… Ecco, non è come sembra, cioè sì, mi ero messa in ginocchio perché pensavo di aver sporcato le pantofole e visto che tengo moltissimo a loro e alla loro eterna pulizia, stavo pregando il Signore affinché mandasse un suo suddito addetto alla purificazione dal Malocchio e dalle macchie peccaminose come quelle di gelato o Coca Cola, o ancora meglio, alcolici vari, benzina e chi più ne ha più ne metta… Si vede che mi sono lasciata troppo prendere dalle preghiere e non mi rendevo più conto di ciò che stava accadendo intorno a me, ma sto benissimo, Michael, non preoccuparti, il mio cervello ha una garanzia di sessant’anni senza interessi, e perciò è ancora ben funzionante!”

Ripresi fiato, come al solito per convincere i miei interlocutori della mia salute mentale, riuscivo a intrecciare dei bellissimi discorsi, pieni di espressioni elaborate e di bonaria allegria, solo che non consideravo mai un fattore molto importante per la ben riuscita del mio lavaggio di testa: la logicità ed anche la razionalità.

Naturalmente i primi ad accorgersene erano sempre gli individui colti e dalle idee profondamente, come dire, conservatrici e razionaliste, che quindi non vedevano di buon occhio una tipa svampita e fuori di testa come me.

Con la restante fetta della popolazione angelina, vale a dire ispanici, afro americani, immigrati vari e bianchi obesi ed ignoranti, la situazione era completamente diversa: pensavano che io fossi certamente una pazza e mi rispedivano a casa con cortesi parolacce anche in diverse lingue (una volta addirittura in giapponese!) ed io non potevo far altro che obbedirgli.

Con Michael invece era tutto diverso.

Lui non sa cosa significhi la parola “serietà”: ogni cosa che fa, ogni canzone che scrive, ogni coreografia che produce la sua infinita creatività sono frutto di una mente geniale ed infantile, di una persona disposta al divertimento e alla spensieratezza, ritmi irrefrenabili che trasportano nella loro forza di vivere significati profondi e mille sfaccettature di un successo planetario ed inaspettato.

Tante di quelle persone colte che considerano il sapere come unica fonte di sostentamento per tutto il genere umano, secondo me non hanno mai ascoltato un brano di Michael, l’hanno sempre ripudiato nei peggiori posti dell’universo come una scomoda verità.

Evidentemente non vogliono far capire alla propria allenata mente che stanno facendo uno sbaglio incredibilmente grande e irreparabile.

“Oh, va bene. Ma se per caso ti succede un’altra volta di dover pulire le tue splendide pantofole dal male del mondo posso darti una mano io, mi piace darmi da fare per qualcuno a cui voglio bene!

E poi sono assolutamente fantastiche!”

Sorrise raggiante, il mio affannato discorso aveva l’aria di averlo convinto a sufficienza, anche se per convincere Michael bastavano un bel gesto e un caldo sorriso.

Valeva anche per me, naturalmente.

Con le guance completamente rosse e le gambe che tremolavano come gelatina, mi alzai goffamente dalla fredda superficie in marmo della veranda, raccolsi i fiordalisi che avevo lasciato stupidamente cadere dalle mie mani e mi raddrizzai, guardando Michael sorridente ed impaziente.

Poi formulai la stessa domanda di qualche minuto fa, cancellata dalla mia mente offuscata.

“Allora, entriamo?”

“Eh? Ah sì, sì, entriamo. Scusa se non te l’ho detto prima, ma sto morendo di freddo, sotto ho solo una maglietta a mezze maniche, ho preso dall’armadio la prima cosa che ho trovato, troppa era la voglia di rivederti, e non ho badato al venticello che fischiava fuori dalla mia accogliente dimora, non ti dispiace se entro prima di te?”

“Ma certo che no, Michael, sei mio ospite e poi non mi offendo certo per queste piccolezze, anche se il galateo lo impone”.

Abbassai lo sguardo, divertita.

Michael sapeva sempre come metterti in imbarazzo e quel che era bello, lo faceva senza rendersene conto.

“Il galateo però non dice che si deve essere sempre buoni e gentili con un meraviglioso fiore spuntato dal nulla per svegliare i nostri pensieri addormentati e per spazzare via tutto il grigiore che c’è nel mondo”.

Si avvicinava lentamente a me, come una tigre che ha avvistato la sua preda e fa di tutto per non farsela scappare e sa che dopo non potrà più riacciuffarla.

Si ferma a pochi centimetri dal mio viso, intento ad annusare il fresco profumo dei fiori bagnati dalla rugiada mattutina, senza farmi intendere ciò che gli frullava per la testa.

Alza lo sguardo e per un attimo, la vista mi si offusca e cominciano a materializzarsi davanti ai miei occhi tanti puntini neri e bianchi che scendevano giù come neve e invadono tutto il mio non più funzionante campo visivo, non riesco più a capire dove mi trovo, solo la sua voce udibile dal mio udito ovattato, mi fa capire che non sono in coma bensì in una dimensione ultraterrena creata appositamente da lui per incantarmi.

 

“Penso che questi fiori siano un po’ asciutti, Fiore, non li vedo in gran forma”.

Già, neanch’io sono in gran forma, Michael.

“Beh, allora rimediamo subito”.

Mi spostai nervosamente dall’ingresso, ancora scossa dal suo inebriante profumo, che superava di gran lunga il pungente aroma dei fiordalisi tra le mie braccia e lasciai entrare Michael, richiudendo la porta dietro di me.

Appoggiando la schiena su di essa lo osservai mentre si toglieva la giacca di pelle e la appendeva nella fila sinistra degli attaccapanni: le braccia e il collo sottili, insieme all’incantevole profilo del suo viso, alla chioma corvina che ricadeva leggera sulla nuca con noncuranza, alla vivace eleganza del suo abbigliamento, conferivano alla sua esile figura una dolcezza ed una sensualità unici.

Estasiata come sempre da tanta perfezione mi allontanai dal mondo circostante e anche da Michael, che mi chiamava, sempre preoccupato dai miei improvvisi decolli celesti.

Per fortuna quella volta riuscii a riprendermi prima di fare la terza, anzi la quarta, brutta figura della giornata e condussi Michael in soggiorno, dove ancora il grammofono girava sulle note di Working Day And Night, riempiendo l’ambiente di una gradevole atmosfera disco.

Al suono familiare che gli arrivava alle orecchie, Michael si voltò verso di me con gli occhi luccicanti come stelle.

“È Working Day And Night, vero? Off The Wall, edito nel 1979 dalla Epic, come Thriller, quattro singoli in Top Ten per settimane, picchi di vendita stellari e un pre successo spettacolare! Mi sono divertito ad incidere quell’album”.

Sorrise pensando ai vecchi tempi, commosso e allo stesso tempo compiaciuto.

Anch’io ero commossa, tutto il successo che Michael aveva avuto negli ultimi sei anni se lo meritava, eccome.

Cercai di fermare le lacrime che volevano uscire dagli occhi e sfregai la manica della vestaglia sugli occhi.

Per distrarmi, mi avvicinai al tavolo del soggiorno compreso tra il sofà e le poltrone e vi posai delicatamente la confezione di fiordalisi, in fondo era una scusa credibile, non avevo nessun vaso né un altro contenitore dove posizionarli, perciò diedi per un po’ le spalle a Michael per non fargli vedere le mie gote umide e arrossate.

Che stupida che ero, mettersi a piangere davanti al tuo migliore amico solo perché una sua canzone faceva riaffiorare in te ricordi tenebrosi e violenti del tuo lontano e straziante passato, ancora pulsante e vivo dentro di te, una ferita profonda e aperta, mai rimarginata e destinata a sanguinare per l’eternità.

Tirai su col naso e lo strofinai sulla manica della vestaglia di seta, pregna già delle lacrime sul viso.

“Già, è un album bellissimo, Michael, di solito lo ascolto quando sto da sola o mi sento un po’ malinconica, mi tira subito su il morale e allo stesso tempo mi culla dolcemente, portandomi nel tuo mondo e con questo mezzo quindi…”

Mi bloccai dall’emozione che sgorgava dalle mie parole, non riuscivo ad andare avanti anche per un altro motivo e cioè, sentivo sulle mie spalle delle ombre leggere e calde e il suo respiro sul mio collo tremante, una sensazione piacevole e allo stesso tempo dolorosa.

Mi voltai per guardarlo dritto in faccia e nonostante tutto ciò che avrebbe potuto ingannare la sua mente con il mio aspetto, gli sorrisi senza dimostrare il minimo segno di cedimento in quegli occhi così luminosi e misteriosi.

Ricambiò il mio sorriso timidamente, senza parlare, mi aveva già letto negli occhi ciò che pensavo, per lui io ero come un libro aperto, mentre lui per me era un diamante dalle mille sfaccettature, raro, imprevedibile, sfuggente, ma perfetto in ogni dettaglio.

Restammo a guardarci per un po’, dimentichi di tutto, l’unica cosa di cui avevamo la percezione era la musica che scivolava lenta dalla puntina del grammofono e invadeva con la sua serica magia tutta la stanza.

Partì Get On The Floor e l’improvviso cambio ci fece svegliare dal nostro torpore, tutti e due imbarazzati e rossi come papaveri.

Sorrisi nervosamente.

“Ehm… è successo ancora, ci siamo fatti prendere dalle emozioni come due inguaribili romantici”.

“Già, ma a me non dispiace, fin quando non mi cacci selvaggiamente dalla tua dimora, ogni cosa che facciamo insieme per me è unica e speciale”.

“D-dici davvero? Anche se ti ho accolto in un modo decisamente fuori dal normale non sei offeso dal mio comportamento?”

Michael sgranò gli occhi, stupito dalle mie parole.

“Ma come puoi pensare una cosa del genere, Fiorellino, io non sono arrabbiato con te per nessun motivo, come potrei prendermela con la mia migliore amica, me lo spieghi per favore?”

La sua espressione da incredula , divenne amorevole e gli occhi si colorarono di tenerezza.

Giunse dolcemente le lunghe dita della sua mano alle mie, facendo avvampare anche i bigodini come spirali di fuoco e quando mi ripresi un po’ dal quell’improvvisa vicinanza fisica mi ritrovai i suoi occhi splendenti che si riflettevano nei miei nel tentativo di rassicurarmi, come la Luna si specchiava vanitosa nel Pacifico in una serata di mezza estate.

I suoi dolci mormorii mi arrivarono dritti nelle orecchie, sentivo le sue corde vocali vibrare, appoggiate ad esso con la delicatezza di una nuvola.

“Mi spieghi come faccio a prendermela con una meraviglia della natura come te? Ogni cosa che fai, ogni pensiero che crei, non può che essere bello e positivo. Non vedi che la gente che vive insieme a te è felice e spensierata?

Perché ci sei tu.

Non far credere a te stessa ciò che non sei. Fidati, io l’ho fatto”.

Trattenei il fiato per tutto quel breve monologo, le sue parole erano così vere, così pure, che non fecero altro che rasserenare le mie tormentate meningi e il mio cuore stretto in una morsa di rassegnazione.

Ad un certo punto non sentii più la soave voce di Michael nelle mie orecchie né le vibrazioni della sua gola, rimase soltanto il leggero fruscio delle sue mani sulle mie.

Mi voltai verso di lui, trepidante.

Non aspettava altro che un mio sorriso convinto.

“Allora? È tutto passato, bocciolo di rosa?”

In quel momento avrei anche potuto svenire di fronte a lui per la felicità, ma non so cosa mi fermasse, forse i suoi occhi ipnotici e irresistibili, la sua pelle a contatto con la mia, il suo alito leggero e fresco come una brezza primaverile che mi attraversava indisturbato il profilo del viso.

O forse i suoi modi così gentili e spontanei che avrebbero consolato anche il dolore più acerbo e profondo.

Ma in fondo cosa importava, tutto quello che dovevo sapere era che lui non mi avrebbe mai abbandonata.

Mi asciugai gli occhi dalle inaspettate lacrime e gli sorrisi come lui si aspettava.

“Sì. Sì, Michael è tutto a posto. Con te è impossibile sentirsi tristi e dimenticati”.

“Oh, anche con te, cosa credi, non sono l’unica persona veramente sensibile su tutta la faccia della Terra.

Ti prego però, non metterti a piangere così improvvisamente, sai che odio vederti triste”.

Sentii il gentile tocco dei suoi polpastrelli sulle mie gote mentre toglieva le lacrime con estrema delicatezza e poi, per completare la sua opera per calmare i miei tempestosi sentimenti mi stampò un bel bacio sulla guancia, uno di quelli che lascia il segno per molto tempo.

Non potei far a meno di avvampare al suo gesto e allora lui si scostò da me e mise le mani dietro la schiena, segno che era dispiaciuto e non voleva farmi arrossire ancora così violentemente.

Dentro di me nacque una risata, aveva una faccia troppo buffa e dolce, mi ricordava tanto Winnie The Pooh.

Poi notai che sulla maglietta verde che indossava c’era proprio il piccolo orsetto giallo goloso di miele, intento a gustarsi un invitante vaso con su scritto “Honig”.

Per l’ironia della situazione mi lasciai scappare una ghigno divertito e lui non poté fare a meno di chiedermi cosa mi avesse fatto ridere così improvvisamente.

Io glielo spiegai, con le lacrime agli occhi e piegata in due per le troppe risa, ed quando ebbi finito lui prima mi fissò perplesso, constatò che ciò che avevo notato era vero, la sua bocca si piegò in un sorrisino e scoppiò a ridere come un matto insieme a me.

Le nostre risate si mischiavano serenamente alla musica travolgente di Off The Wall, rendendo la stanza che ci circondava un luogo quasi etereo ed inesistente, come l’Isola Che Non C’è, mancavano solo i pirati, le fatine e i Bimbi Sperduti.

Wendy e Peter c’erano e se la stavano spassando fino allo svenimento, si erano messi a ballare, volteggiando per tutto il soggiorno in preda a una gioia irrefrenabile, e urlavano senza ritegno.

Tutto questo gran chiasso attirò l’attenzione di Capitan Uncino, che con il suo vocione guastafeste irruppe nella sala senza tante cortesie e fermò la festa improvvisata.

“Ma che cos’è tutto questo casino? Fiordaliso, ti avevo detto di non saltare sul divano, l’ho rassettato due giorni fa e non sai quanto c’ho messo per risistemarlo, quindi scendi subito e se vuoi divertiti va in camera tua per favore! Oh, accidenti, adesso ti ci metti anche tu, solo perché sei il cantante più famoso in circolazione non puoi permetterti di saltellare sul mio divano, sono stato chiaro, ragazzino?  E abbassate il volume, il giradischi si sta surriscaldando e l’abbiamo comprato nuovo solo un anno fa!”

“Per tutti i bigodini che ho in testa, Fernando, te l’ha mai detto nessuno che sei insopportabile? Solo

perché ci stiamo divertendo un pochino tu prendi subito fuoco, non vedi chi è il nostro illustre ospite, cioè, tu intimeresti a Michael Jackson di scendere dal nostro divano che per giunta ha comprato la sottoscritta e impedire ai suoi passi incantatori di calpestare il pavimento del soggiorno?”

“Certo, per me è una persona come tutte le altre, lo sai, e poi sono un uomo che tiene semplicemente all’ordine domestico, tutto qui!”

“Quello che stai cercando di farmi credere non è il tuo rispetto per l’ordine domestico ma semplice invidia, dillo che ti piacerebbe essere lui, avanti, dillo!”

Indicai Michael con l’indice, di fianco a me, anche lui aveva smesso di saltare per ascoltare la ramanzina di Fernando, e mentre assisteva al dibattito tra me e il maggiordomo, assunse un’aria da finto innocente, dolcissima e incredibilmente convincente.

Sbattendo gli occhi, si intromise nell’accesa disputa.

“Già, chi non lo vorrebbe. Soprattutto per la grana e le belle fanciulle che mi ronzano intorno e ti giuro, sono tante!”

Fernando ripartì all’attacco, stavolta si riferiva ad entrambi.

“È incredibile, vi siete coalizzati contro di me, una frecciata simile non me l’aspettavo proprio, cara Fiordaliso, quando hai questo ragazzino al tuo fianco non capisci più niente, eh?”

“Ehi, modera i termini, Gerald, anche se non li dimostro ho sempre ventisette anni, appena compiuti per giunta!”

Michael divenne un bimbo arrabbiato e si mise a braccia conserte, il labbro inferiore arricciato.

Era un attore nato, Michael, poteva anche far credere a qualcuno di essere morto stecchito e poi saltava su divertito, di fronte a sguardi attoniti e burlati, troppo bonari per rimproverarlo seriamente delle sue marachelle.

Invece con me era tutto diverso, sia dentro che fuori casa non potevo combinare nulla che mi rimproveravano per la mia mancanza di razionalità.

Dopotutto però, non avevano torto, Michael poteva farlo, era famoso e acclamato dal mondo intero e tutti lo riconoscevano come un eterno bambino ma con me, una donna adulta, cosciente della propria personalità e dei propri limiti, la situazione era molto diversa.

Tutti i continui rimproveri che dovevo sorbirmi da Fernando e da mia figlia ne erano la prova schiacciante.

“Gerald? Ma per chi mi hai preso, ragazzino, io sono una persona seria e laboriosa, al contrario di te, ti basta camminare all’indietro e improvvisare una scenata con dei cadaveri per incassare milioni di dollari al secondo, solo perché indossi quelli non puoi ritenerti originale!”

Ed indicò col robusto indice i mocassini di pelle nera che Michael aveva lasciato ai piedi del divano, uno dei must del suo look insieme ai calzini di pailletes e ai pantaloni a sigaretta.

Fernando non sapeva di aver proferito l’affermazione sbagliata.

Michael quando voleva sapeva essere molto vendicativo, era chiaro che non lo faceva per cattiveria, ma non sopportava certi tipi di persone.

Scese dal divano e si posizionò davanti al suo nuovo nemico, a due centimetri dal suo viso e con almeno quindici centimetri di differenza per l’altezza, cosicché Fernando si ritrovò sulla sua testa gli occhi scuri e aggressivi (lo faceva per finta, naturalmente) di Michael, e quelli altrettanto cupi e indignati di Fernando.

Io ero rimasta completamente immobilizzata, coi piedi che affondavano nella soffice imbottitura del divano e osservavo la scena rapita: davanti a me il mio maggiordomo e il mio migliore amico si stavano per sfidare a duello come vecchi nobili orgogliosi.

Con una punta di romanticismo pensai che la loro eroica lotta fosse per accaparrarsi la mia fiducia e la mia più completa amicizia; sorrisi a questo pensiero, allora i veri cavalieri gentiluomini pronti a combattere per la salvezza della dama amata esistevano ancora.

Su Michael non avevo dubbi ma da Fernando proprio non mi aspettavo questo comportamento nei miei confronti!

Sospirai e mi godetti il magnifico spettacolo di fronte ai miei occhi, due signori che misuravano il loro amore verso di me a suon di battute e gare di smorfie insuperabili, come colonna sonora c’era la fantastica Girlfriend e subito dopo subentrò la bellissima She’s Out Of My Life e mossa a compassione per quei due bei fusti che avevo avuto la fortuna di incontrare, ed anche per la soffice e malinconica atmosfera che s’era venuta a creare per via di quella magica canzone, decisi di metter fine alla sanguinosa Battaglia delle Linguacce che si stava svolgendo da ormai cinque interminabili minuti.

Con passo sicuro scesi dal sofà, provando a non inciampare tra i sfuggevoli cuscini di seta, e mi intrufolai tra i due cavalieri, allontanandoli con le braccia piantate nei loro petti.

“Va bene, vi siete difesi a vicenda con accuse per giunta inesistenti, è stato uno spettacolo magnifico, siete stati formidabili ma adesso è il momento di smetterla, che ne dite di una bella chiacchierata davanti ad un bicchiere di Coca Cola e ai mitici pasticcini di Fernando, se non sono già finiti sono nella credenza, li vai a prendere per favore, ah, e già che ci sei portaci i bicchieri e le cannucce, quelle a spirale nel primo cassetto a destra, non confondere la mia con quella di Katie che quella belva mi divora se tocco le sue cose, ma che fai ancora qui, abbiamo un ospite in soggiorno e tu batti la fiacca, avanti vai in cucina, da bravo, noi ti aspettiamo qui!”

Mentre lasciai il rubinetto della bocca aperto, spinsi Fernando verso la porta della cucina, senza dargli il tempo di controbattere e quando fu sulla soglia della stanza, lo mollai e tornai da Michael, un po’ spaesato dalla mia improvvisa reazione, la bocca spalancata e gli occhi sbarrati come finestre aperte su un giardino d’estate.

“E tu, caro, chiudi quella bocca sennò ci entrano le mosche e poi non puoi più cantare come prima, mi capisci?”

Vedendo me che venivo verso di lui con l’intento di cucirgli le labbra, lui le chiuse subito con un lucchetto del quale gettò la chiave dietro di sé, per poi rimanere rigido come una statua mentre mi avvicinavo a lui.

Gli sorrisi soddisfatta.

“Bravo, sei proprio un bravo bambino”.

Con la bocca ancora chiusa mi sorrise e mi seguì fino al divano, dove ci mettemmo seduti ad aspettare Fernando e la seconda colazione della giornata (almeno per noi della casa, Michael è così sottile che secondo me non mangia niente, nemmeno a colazione, figuriamoci se si lascia tentare fuori dai pasti da qualche ghiottoneria!).

La mitica governante ritornò poco dopo con il vassoio dei dolci, freschi di giornata, la bottiglietta della Coca Cola stappata e tre bicchieri dalla fine lavorazione, presi dal servizio in cristallo traforato ereditato da mio padre, uno dei tanti regali dall’Europa che popolavano la residenza di Città del Messico, e le cannucce a spirale comprate in uno strambo negozio lungo la baia di Santa Monica: rappresentavano tre teste di animali, precisamente una zebra, una scimmietta e un ippopotamo, che si attorcigliavano su di esse e finivano con un tubicino, tranne quella della scimmietta, che al posto della testa aveva la coda che si avvolgeva su se stessa e la testa in prossimità della bocca del bevitore.

Mia figlia aveva un fenicottero rosa, forse la più bella delle quattro, perché oltre ad essere di un bellissimo rosa tendente all’argento, riproduceva esattamente il colorato piumaggio del trampoliere africano, con tanto di piume e penne intagliate nei minimi particolari.

Naturalmente quella cannuccia doveva essere mia, ma si sa, con la propria figlia bisogna condividere qualunque cosa, seppur a malincuore.

Appena vide quei piccoli capolavori di legno curati nei minimi dettagli, Michael dischiuse la bocca estasiato, aspettò che Fernando posasse il piatto sul tavolino di vetro del soggiorno e prese con delicatezza la scimmietta tra le mani, per poi rigirarvela attentamente, come se fosse stata un tesoro di cui non conosceva la stima.

Osservai le sue dita lunghe e affusolate che esploravano la sua superficie, i suoi sguardi attoniti di fronte a un banalissimo oggetto che per lui diventava una nuova scoperta, un nuovo divertimento.

Michael si stupiva di ogni novità o comunque di fenomeni che sono comunissimi in natura ma che si ripetono solo per una stagione o anche per un solo giorno: per esempio i temporali.

Lui era affascinato dalle luci spettrali che illuminava tutto il paesaggio circostante e poi come per magia si dissolvevano, il pungente e umido profumo della terra dopo un acquazzone, le pozzanghere lasciate dalla pioggia scrosciante nelle quali amava bagnarsi e impantanarsi, le plumbee nuvole che correvano nervose per il cielo coperto per annunciare l’imminente cascata.

Lui si stupiva per così poco, eppure a me non dava fastidio.

A nessuno dava fastidio.

Tranne che ad una persona.

“Fiorellino… Queste cannucce sono davvero particolari. Anzi, ancora meglio, sono molto esotiche…”

Pensò un po’ all’aggettivo adatto per descrivere quelle piccole meraviglie dinnanzi ai nostri occhi.

“…E bellissime!”

“Sono contenta che ti piacciano. Le ho prese all’inizio dell’estate da un artigiano messicano molto bravo che ha la propria bottega affacciata sulla baia di Santa Monica: era affascinato dalla natura e dai suoi abitanti, ogni oggetto che intagliava nel legno avevano come protagonisti soprattutto animali e piante, le più belle e particolari che abbia mai visto”.

Presi in mano la zebra e cominciai ad osservarla distrattamente, mi piaceva la sensazione che il legno intagliato da mani sapienti produceva sulla mia pelle.

“Andavo spesso da lui, una volta capitai nel momento più affascinante del suo lavoro: stava incidendo la corolla di un fiore, pensavo fosse una rosa, e allora lui si accorse della mia presenza e senza tanti preamboli mi disse che io dovevo avere qualcosa di quella rosa dentro di me.

All’inizio rimasi un po’ di sasso, ma ripensai a mia madre, una donna di nome Rose, a capii subito che quell’artigiano non era un semplice artigiano, era riuscito a capire scolpendo un fiore nel legno che io avevo con esso un rapporto di parentela, anche molto stretto.

Alla fine scelse di regalarmi quel capolavoro e mi disse anche che ogni cosa che gli avrei chiesto, anche la più piccola, lui l’avrebbe fatta o mi avrebbe aiutata; da quel giorno, quando passeggio per il lungomare nelle giornate di sole o nei pomeriggi velati, non manco mai l’appuntamento con il mio caro amico, che ad ogni mia visita mi fa sempre trovare qualcosa di nuovo e ineguagliabile, come la volta che mi regalò quella rosa”.

Guardavo l’infinito di fronte a me, le mani ancora strette sulla piccola zebra, adagiata sul mio grembo.

Sospirai malinconica.

“Quell’uomo mi ricorda tanto qualcuno che ho conosciuto tanti anni fa, ma tutte le volte che tento di capire che tipo di persona mi trovo di fronte non riesco mai ad afferrare la verità.

Come se essa non volesse farsi prendere da me per paura di farmi soffrire”.

Finalmente tacqui e mi adagiai stancamente sul divano , sotto gli sguardi meravigliati e attenti di Michael e Fernando, che per tutto il tempo mi avevano ascoltato e compreso in silenzio, ma la loro presenza interiore era forte e potevo sentirla come se fossi stata un radar e avessi intercettato i loro sentimenti più profondi.

Rimanemmo un po’ senza parlare, l’unica cosa che si udiva era la voce registrata di Michael che cantava dal giradischi e creava in quel momento una particolare atmosfera di malinconia anche se le canzoni erano vivaci e piacevoli all’udito.

“Allora, vogliamo cominciare? È tardi e non possiamo perdere tempo in questo modo”.

Fernando interruppe la strana quiete che si era venuta a realizzare con il suo tono tenorile da uno che la sa lunga.

Prese uno dei bicchieri dal vassoio e vi versò una consistente dose di Coca Cola che pose di fronte a me con calma e indifferenza ma con una punta di impazienza, fece lo stesso anche con Michael, che era alquanto sorpreso dalla reazione del maggiordomo, come me del resto, e la piccola porzione di bevanda che era rimasta nella bottiglia, la travasò tutta nel proprio bicchiere, posizionandovi poi l’ippopotamo e cominciò ad aspirare nervosamente tutto il contenuto, finché non ne rimase più neanche una goccia, mentre io e Michael dovevamo ancora prendere in mano i calici.

Prese un biscotto alle mandorle dal piccolo plateau e se lo divorò in meno di un minuto, fece lo stesso anche con altri due pasticcini, fissando sempre dritto a sé, un’espressione incrollabilmente indecifrabile sul suo volto d’ambra.

Poi, senza scusarsi né volgere una minima riverenza al nostro famoso ospite, si alzò velocemente dal divano e in men che non si dica, volò sulla lunga fila di scalini che conduceva al piano superiore lasciandoci tutti e due di stucco come due stoccafissi alla vista di un’orca assassina senza zanne, uno spettacolo davvero desolante.

Quel giorno non riuscivo a capire il perché di tutta la sua tensione, di solito Fernando è un uomo molto pacato e disponibile, non si arrabbia quasi mai sul serio e quando ciò succede si tratta di eventi straordinari alla nostra abitudinaria routine giornaliera.

Ma quel giorno era particolarmente irrequieto, e quando era irrequieto diventava anche distratto, infatti non si era ancora tolto il vistoso grembiule, che teneva sempre sopra la sua linda divisa da valletto casalingo.

C’è da dire che lui odiava indossare dei luridi grembiuli sopra la propria uniforme, secondo lui “colpisce l’orgoglio dei collaboratori domestici, i maggiordomi non si occupano di arte culinaria né di enologia, per quello ci sono i cuochi o i sommelier”.

Naturalmente non aveva tutti i torti, ma i collaboratori domestici, come li chiamava lui, avevano il compito di amministrare l’ordine casalingo e perciò svolgevano varie mansioni nelle quali era inserita anche l’arte culinaria e quella enologica, per me lo diceva soltanto per farsi passare come un maggiordomo vittima della padrona di casa, la quale non gli dava mai pace ed esigeva sempre qualcosa in più, anche se tutto ciò era falso.

Fatto sta che il repentino cambiamento d’umore di Fernando mi aveva messo un po’ in agitazione, cercai perciò di divagarmi nel miglior modo possibile e cioè approfittavo della aurea presenza alla mia sinistra, che stava tranquillamente sgranocchiando un amaretto preso dalla portata e accompagnava il sapore amarognolo dei pasticcini con quello dolce e gradevole della Coca Cola.

Afferrai anch’io il mio bicchiere dal tavolo e cominciai ad aspirare il suo contenuto, girandomi impercettibilmente verso Michael, il quale continuava indisturbato e visibilmente compiaciuto la sua scorpacciata, a discapito delle brutte parole dettegli da Fernando nemmeno quindici minuti prima.

Stava iniziando a darmi fastidio quell’uomo, solo perché avevamo un ospite illustre nella nostra povera dimora che si comportava come se si trovasse a casa sua, non poteva prendersela così tanto, dopotutto non era uno dei soliti forestieri che chiedeva un po’ di ospitalità per poi ridurre la villa ad un macello.

Perché seduto sul divano a pochi centimetri da me, non c’era un barbone alcolizzato, una donna di facili costumi o un latitante fuggito da Alcatraz, no, nessuno di questi mirabili individui.

Solo che, come mi ripeteva sempre, lui odiava letteralmente la musica di quel magnifico decennio che stava tristemente scemando, compreso lui, il cantante più famoso, più bello, più bravo, più premiato, più sexy, di tutti gli anni Ottanta e dei decenni successivi.

Sospirai ancora, ormai la rassegnazione si era impossessata di me e faceva a gara con il mio orgoglio nascosto, li sentivo rimbombare dentro il cuore mentre si scontravano invincibili, due cannoni carichi fino alla miccia, pronti ad aprire il fuoco in qualsiasi momento.

La scintilla che avrebbe scatenato l’inferno era prossima all’azione, anche lei si era impossessata dei miei sentimenti, danzava frenetica in me come fiamme di un falò all’aperto, cercava convulsa quelle due energie contrapposte che tentavo inutilmente di tranquillizzare.

Niente, la morsa aumentava e nacque dentro di me un presentimento, un piccolo embrione come quello che avevo udito svolazzare nella mia stanza la sera dopo la cena con Michael.

Era piccolo, ma sapeva già difendersi e mi faceva male, non potevo far nulla per fermarlo.

Un semplice abbraccio o un bacio non sarebbero bastati a cacciarlo via dal mio cuore compreso il macigno che esso aveva provocato.

All’improvviso sentii una specie di scossa, una scarica di energia incredibilmente potente che risvegliò la mia mente dal suo triste torpore.

Gemetti e mi massaggiai un po’ le tempie che pulsavano come il motore di una Jaguar alla massima accelerazione, cercando di far capire alla mia testa quale entità misteriosa avesse provocato il mio inaspettato crollo cerebrale.

Con mio grande stupore mi accorsi che Michael era chino su di me, la sua mano calda sulla mia spalla, e con il tono più dolce che la sua voce, già flebile e rilassante, possedeva naturalmente, mi stava sussurrando all’orecchio parole cariche d’ansia.

“Ehi, Fiorellino, stai bene? Sei pallida in volto, hai pensato a qualcosa che ti ha fatto star male. Vero?”

Cercai di trovare aria nei miei polmoni sgonfi come ruote di bicicletta in una foresta di cactus e quando finalmente la trovai, tirai un lunghissimo sospiro, il che fece preoccupare ancora di più Michael.

Lo rassicurai dicendogli che stavo bene e che era stato solo un momento di smarrimento, ogni tanto mi capitavano e non potevo farci nulla.

E pensare che concentrarmi così tanto su una persona e sui suoi mutevoli comportamenti mi stordiva.

Una cosa fuori dal normale!

Per fortuna Michael non volle sapere altri particolari sulla condizione della mia misteriosa psiche e mi annuì convinto, seppur con un’espressione preoccupata sul volto.

Tolse il calore del suo palmo da me, lasciando la mia spalla al gelo della lontananza, e dopo un brevissimo periodo di esplorazione mentale attraverso le sue pupille indovine, che prosciugò anche le mie ultime riserve di energia, nonché il mio autocontrollo nei confronti della perfezione fatta persona vicinissima al mio viso e innocentemente allettante, mi disse ciò che aveva notato pochi minuti prima del mio risveglio.

Una scoperta davvero insolita.

“Stavo cercando un posto per quei magnifici fiori che ti ho portato, tu però mi hai detto che al momento non hai vasi né fioriere disponibili per il travaso, giusto ?”

“Giusto”.

Mi sorrise maliziosamente, c’era una complicità nel suo sguardo impareggiabile e accattivante.

Era impossibile capire cosa gli passasse per la mente ma qualunque idea potesse essere era molto originale, qualcosa a cui neanche la mia stramba mente sarebbe arrivata.

“E quindi stavo pensando… Che ne dici se mettiamo il mazzo nella bottiglia vuota della Coca Cola?”

Arrivò un sorriso lucente come diamanti alla luce del sole, socchiusi leggermente gli occhi e cercai di ritornare nel mondo degli umani, fu difficoltoso, ma ebbi tuttavia la forza di rispondere alla proposta di Mike.

“Oh, è davvero una bellissima idea, Michael, come ho fatto a non pensarci prima io, è assolutamente, come dire…”

“Originale?”

“Beh, sì. Sì, Mike, è veramente originale”.

“Sono contento che tu la pensi come me, Fiorellino. A quest’ora, fuori da qui, mi avrebbero sicuramente ripreso per la mia singolarità. Ma tu sai vedere il bello in ogni cosa, ecco ciò che mi piace di te”.

Avvertii un leggero rossore sulle mie guance e tentai di nasconderlo, inutilmente, chinando la testa in basso, in modo che lui non vedesse il mio viso color porpora.

“Ah… Ti ringrazio, Michael. Tu sei sempre così buono con me, non ti arrabbi per nulla, sei sempre carino e affabile con chiunque.

Tutto il contrario di me”.

“Oh, Fiorellino, ma io non la penso in questo modo! Per me sei una delle persone più speciali di tutta la galassia, gli altri ti giudicano dalle apparenze, dal tuo comportamento, non capiscono ciò che il tuo cuore nasconde veramente, mi capisci? Fai meglio a non ascoltare le supposizioni di certa gente, perché quello che dicono e fanno non sempre li porterà alla fama, ma all’infamia. Mentre tu resterai saggia e sincera, come sei sempre stata”.

Questo minuto monologo oltre a farmi arrossire ancora di più, mi procurò una nervosa sudorazione alla fronte e alle mani, che non la smettevano di muoversi frenetiche sulle mie ginocchia, si strofinavano sulla seta bianca e nera dei pantaloni e producendo un sommesso stridore che solo io potevo udire.

Michael stavolta non si stupì della mia reazione, rimase impassibile e appoggiato alla spalliera del divano col gomito sinistro mi contemplava nella mia accesa disputa con la timidezza, il suo viso era serafico e vi sfrecciavano pensieri illeggibili, turbini di vapore vitreo, simili a tanti cristalli di neve sul suo volto serio.

In quel momento avrei voluto che spuntasse un serial killer da sotto il divano e mi affettasse in due con una mannaia da macellaio, la tensione era troppa, si stava appropriando dei miei arti e se non fossi stata così brava a controllare le mie emozioni di fronte a Michael a quest’ora gli sarei saltata addosso, sorda di fronte alle sue grida e ai suoi lamenti.

Oh, ma cosa mi diceva il cervello, io non potevo fare una cosa simile a Michael, era contro natura, come tutto ciò che riguardava me e lui d’altronde, io non potevo aver speranze con un uomo così.

Non potevo innamorarmi di lui.

No, non potevo.

Qualcosa mi diceva che lui mi voleva bene, mi rispettava e non mi avrebbe mai tradito.

Ma c’era una lumino che brillava fioco, una piccola luce che riscaldava il mio cuore e con i suoi caldi raggi mi infondeva una nuova idea, non un presentimento, bensì una premonizione che riaffiorava dalle ceneri del passato e che si faceva udire, bruciava e mi illuminava il cammino: avrei trovato io la persona adatta per Michael, chi poteva capirlo e sostenerlo, amarlo e consolarlo.

Esisteva un essere umano così, me lo sentivo nelle viscere.

Bastava cercare.

Oppure aspettare.

Qualunque cosa sarebbe successo, io ci sarei stata.

E Michael mi avrebbe seguito.

“Ehi, Fiore, ma oggi cos’hai? Ogni cinque minuti ti eclissi nel tuo mondo e non ti accorgi più di nulla, sappi che mi sto seriamente preoccupando per te, se ti capita qualcosa io ti sostengo nel miglior modo possibile, ma la colpa è tutta tua!”

“Eh? Cosa c’è, Michael, perché urli così tanto?”

“Non sto urlando, anzi, sto parlando a voce bassissima, sei tu che non mi senti, sembri come… addormentata”.

“Ma io sono sveglissima, Michael, e per giunta sto benissimo, non preoccuparti così tanto per me, non ne vale proprio la pena”.

“Non dire più una cosa del genere, se sei in difficoltà io ti aiuto e tu non fiati, anche se hai sbagliato io ti sto vicino, okay?”

“Okay, ma che ore sono?”

“Mh, aspetta un secondo…”

Sbattei lentamente le palpebre, mi trovavo in una dimensione parallela, sconosciuta alla nostra, e quel che era peggio non riuscivo a ritornare indietro: la bellissima atmosfera che la delicata voce e le gentili movenze di Michael avevano magicamente prodotto intorno al mio corpo appesantivano la mia mente contro un muro di estasi impareggiabile.

L’unica cosa che sentivo era la sua voce e ciò che vedevo si restringeva al soffitto del soggiorno con l’imponente lampadario in stile vittoriano, le pareti bianche e cobalto intervallate da scaffali di ciliegio dove correvano lunghe file di soprammobili impolverati e piccole cassettiere inusate, messe lì per decoro, insieme al pianoforte a coda, appartenuto a mio padre e che la mia sorellastra voleva buttare via insieme a tutto ciò che di più caro possedeva il mio genitore, appoggiata dalla perfida e adorata mammina.

Non le avrei mai perdonate per questo.

“Sono esattamente le undici meno un quarto, Fiorellino!”

La voce eterea di Michael mi ritornò alle orecchie e spazzò via gli infausti pensieri che erano emersi dalla mia cripta dei ricordi tristi, nella quale evitavo sempre di andare ma alcune volte era inevitabile passarci, anche le esperienze più buie fanno bene.

Era incredibile, però, erano già le undici meno un quarto?

Come riusciva Michael a far passare così velocemente il tempo lo dovrò ancora comprendere, ma quella mattinata è stata allo stesso tempo la più serena e la più angosciosa della mia vita, un caleidoscopio di emozioni, pensieri, situazioni, tutti inaspettati e incredibilmente chiassosi che adesso si affollavano nella mia testa e si scatenavano come ballerini di rock’n’roll nel pieno della loro esibizione.

Mi alzai dal divano, cercando di non sbandare, quell’oggi mi sentivo stranamente stordita, avevo bisogno di dormire ancora, le solite sei ore di sonno cominciavano a non bastarmi più.

Voltai la testa verso il posto dove prima vi era seduto Michael, ma il mio sguardo non lo trovò.

L’ ansia si impossessò di me e sorse spontanea una fatidica domanda: dove s’era andato a cacciare quell’imprudente?

Girai gli occhi frenetici per la stanza, ispezionando ogni minimo angolo di tutto il suo volume, ma non lo trovai subito, avevo la vista decisamente offuscata dalla improvvisa perdita che avevo ricevuto.

Camminai lentamente verso il vestibolo, se attaccato ad un pomello del lato sinistro c’era ancora il suo giacchetto di pelle allora significava che non poteva essersi allontanato di molto e quindi avevo ancora qualche speranza di ritrovarlo sano e salvo.

Ma quando posai gli occhi sulla fila degli attaccapanni non trovai solo il suo giacchetto di pelle, ma anche lui, che lo stava indossando disinvolto, non mi aveva notato e perciò ebbi il tempo di riflettere a ciò che gli avrei potuto dire, del tipo “se dovevi andartene via verso le undici per qualche appuntamento particolare potevi dirmelo, ti avremmo accompagnato” oppure “a casa mia, prima di togliere il disturbo si salutano i padroni , non puoi fare come ti pare”.

Okay, la seconda era troppo dura, meglio optare per la prima, almeno non mi avrebbe regalato una di quelle faccine dolci che farebbero resuscitare anche un intero cimitero.

Oh, ma che stupida, l’ha già fatto!

“Michael?”

Lo chiamai a bassa voce, cercando di attirare la sua attenzione, ma avendo constatato che con lui sussurrare non serve, utilizzai un tono di voce più alto.

“Michael”.

Finalmente si voltò e preparai un radioso sorriso, provando ad essere il meno possibile offesa.

Anche se con lui era impossibile offendersi.

“Oh…”

Era stato scoperto, il furbetto, e tutto ciò che poté fare fu ricambiare il mio sorriso e buttare lì qualche scusa dell’ultimo momento.

“Eh… Scusa, Fiordaliso se stavo per andarmene senza salutare ma ho un impegno per l’una e mezza e visto che il punto di incontro è molto lontano, avevo pensato di tornare prima a casa e quindi di pranzare prima.

So che sono stato un cafone, ho provato a chiamarti per dirti che me ne andavo via ma tu non mi ascoltavi, sembravi sorda alle mie parole e perciò ho deciso di lasciare un biglietto a Fernando, ma non avendolo trovato da nessuna parte ho preso il mazzo di fiordalisi e vi ho legato il foglietto ad uno degli steli e poi li ho posizionati nella bottiglietta di Coca Cola sul pianoforte, facendo attenzione per non disturbarti.

Quando poi sono venuto qui all’entrata per andarmene, sei sbucata dal nulla e questo è tutto.

Scusami davvero per ciò che ti ho fatto, mi perdoni, vero?”

Era dispiaciuto e si vedeva.

Certo, mi aveva fatto preoccupare per la sua improvvisa scomparsa ma dopo il suo elenco di scuse, le sue espressioni accorate, i suoi occhi così gonfi di rimorso nei miei confronti, non potei più pensare ad altro che a perdonarlo.

Saltellai delicatamente verso di lui e senza troppe cerimonie lo abbracciai come non avevo fatto prima.

Era bellissimo sentire il calore del suo corpo che ti avvolgeva come una nuvola di incenso alla cannella, il suo profumo era così inebriante e indispensabile che dopo un secondo respiravi soltanto esso e non volevi più il solito ossigeno nelle narici a mantenerti viva.

C’era lui e lui soltanto.

Non t’importava degli altri perché ora c’era lui, che ricambiava l’abbraccio un po’ stupito e ti appoggiava il mento sulla spalla destra, inondando il tuo ego di calma e serenità innaturali.

Ero così felice che mi dimenticai anche di rispondere alla sua domanda, ma penso che lui abbia capito, era speciale sia dentro che fuori e non c’era nessun aggettivo che potesse descriverlo.

Dopo questa surreale effusione tra me e Michael, decisi di accompagnarlo alla sua macchina: stavolta invece della silenziosa Bentley nera aveva una Mustang*rossa, gran bella macchina, ma decisamente fuori moda, infatti di trattava dell’ultimo esemplare della prima serie che fu prodotto verso gli inizi degli anni ’70.

Lui mi spiegò che non gli interessava molto il modello del veicolo, quel che contava era la potenza del motore e la impareggiabile classe che possedeva una macchina d’epoca come quella.

Assecondai la sua scelta, dopotutto aveva ragione, alcuni modelli moderni erano inguardabili di fronte a delle meraviglie come una Mustang o una Chevrolet, veri gioielli dell’antichità.

Rimanemmo un po’ a parlare e scherzare, sdraiati sul freddo cofano della veloce vettura, non volevamo lasciarci ancora e al solo pensiero avvertivo delle dolorose fitte al petto, non se ne andavano neanche con un abbraccio o un altro gesto affettuoso, con nulla.

Neanche con la promessa che ci saremmo rivisti presto.

Seguii con lo sguardo amareggiato la Mustang mentre ripartiva suoi propri passi, poi quando svoltò l’angolo fu silenzio intorno a me.

Silenzio e solitudine, non c’erano altre parole per descrivere ciò che provavo in quel momento.

Il sole era alto nel cielo ed i suoi raggi trafiggevano l’asfalto come la punta di una lancia scagliata da lontano, lungo il suo profilo si intravedevano onde di vapore rovente simili a fuochi fatui; l’oceano era una massa di azzurro che si muoveva impercettibile all’orizzonte come le onde sull’asfalto.

Anche le foglie degli alberi ondeggiano al venticello fresco che si udiva da nord, un po’ di refrigerio dopo una giornata così afosa ci voleva proprio.

Mi guardai un po’ intorno nel tentativo di scorgere qualche individuo tra le infinite schiere di ville contornate dal marciapiede bollente come una griglia: non c’era anima viva in circolazione.

Ritornai mogia mogia al cancello, che richiusi dietro di me, e percorsi di malavoglia il giardino divenuto arido per la secca canicola autunnale tipica della nostra zona.

Arrivata in soggiorno con l’intento di farmi un bel bagno ai frutti di bosco prima che Fernando cominciasse a preparare il pranzo, mi diressi verso il divano, il quale assomigliava più a un campo di battaglia marziano, misi a posto tutti i cuscini ridandogli la loro posizione originaria e raccolsi dal tavolo il vassoio con i bicchieri vuoti e le cannucce di legno, sistemandoli sul lavello in cucina per poi lavarli e rimetterli a posto, poi andai in camera mia e con gesti abili e meccanici mi tolsi tutti i bigodini che popolavano la mia scompigliata testa, lasciando cadere sulle mie spalle ordinate file di boccoli neri e leggeri come rondini, li riavviai velocemente con le dita e dopo un’ultima occhiata soddisfatta al mio fantastico aspetto ridiscesi in soggiorno alla ricerca di Fernando, il quale dopo la scenata di gelosia nei miei confronti non si era più fatto vivo ma ciò non mi stupiva granché, i californiani sono molto gelosi e permalosi, devastanti come un terremoto e pungenti come salsa piccante sulle tortillas.

Poi mi ricordai di una cosa che non avevo avuto il tempo di constatare.

Volteggiai raggiante verso il pianoforte di papà e ad accogliermi, immersi in una piccola bottiglia di Coca Cola riempita fino alla metà, trovai quei bellissimi fiordalisi che Michael mi aveva regalato con tanto affetto: sorrisi al quel dolce pensiero, carezzando i petali blu dei fiori dei quali portavo il nome, attratta dalla loro serica morbidezza e dalla sana lucentezza del loro colore.

Scostai dolcemente alcuni steli per controllare se vi era il biglietto scritto da Michael per avvisarmi della sua partenza senza passare per maleducato: (anche se Michael era impossibile additarlo con un aggettivo come “maleducato”) uno strano fruscio sotto i miei polpastrelli mi avvertì che il messaggio c’era e dovevo solo trovare il modo di sfilarlo dallo stelo senza rovinare la corolla del fiordaliso al quale era legato.

Perciò mi armai di un po’ di pazienza e separato il fiore dal resto del mazzo svolsi delicatamente lo spago al quale era legato il biglietto, anche se avvertivo che ci fosse qualcosa di più pesante insieme ad esso, del quale però ignoravo la natura.

Finalmente la piccola lettera cadde sul duro legno del pianoforte provocando però un piccolo tonfo molto misterioso, che le mie orecchie non riuscirono ad identificare come quello di un foglio di carta caduto su una superficie piatta, poggiai quindi il fiore che nascondeva la sorpresa sul pianoforte e ciò che vidi mi fece rimanere a bocca aperta: accasciati vicino al vaso improvvisato dei fiordalisi c’erano un piccolo cartoncino d’avorio piegato a due a mo’ di lettera e un oggetto molto particolare, rigido e dall’aria costosa delle dimensioni di un tappo di latta, che brillava incessantemente, mandando piccoli raggi di luce come un faro in miniatura.

Ero estasiata dalla sua vista ma allo stesso tempo un po’ intimorita: cosa ci faceva un oggetto del genere in quel mazzo di fiori? L’avrà messo lì per caso o per uno scopo preciso? E poi, era per me, un altro dei suoi regali inaspettati?

Raccolsi la minuta fonte di luce tra le mie mani tremanti, la osservai per un po’ perplessa sul da farsi ed infine decisi ciò che era meglio per me e per essa: corsi in camera a perdifiato, per la foga quasi inciampai sui miei piedi e nella scivolosa vestaglia di seta, quando arrivai nella mia camera mi gettai sul comodino, aprii velocemente il cassetto delle foto, delle lettere e dei miei altri segreti indicibili, vi appoggiai con calma trapelante la brillante galassia sconosciuta, facendo piano per non rovinarla o scheggiarla e richiusi diligentemente il cassetto, rimettendo la chiave nel suo posto segreto.

Mi accasciai sul letto, con la mente in preda a mille idee sul conto di quella strana entità che era stata lasciata sicuramente da Michael, (era totalmente infondata l’ipotesi di Fernando) anche se il mio cervello si rifiutava di oltrepassare quella opzione.

Eppure è lì, è così evidente, mi diceva.

Perché non vuoi credere alla realtà dei fatti, perché sei così testarda con te stessa?

In fondo non ti dispiacerebbe se fosse veramente come la pensi tu, no?

Tu l’hai sempre voluto, dal primo momento in cui fosti consapevole della tua femminilità, delle tue esigenze di donna, della sua avvenenza.

Perché non vuoi credermi?

Io sono tua amica, so come ti senti e non posso darti che consigli disinteressati.

 

No, ribattei io.

No, non è come dici tu, mia cara coscienza.

Qui sotto c’è qualcosa di troppo grande per un uomo piccolo e fragile come lui e vuole soltanto che io, la sua migliore amica, lo aiuti con i mezzi a me disponibili.

Non so cosa abbia in mente né come si svolgerà la vicenda in futuro ma posso solo dire che io gli sarò sempre accanto. E vedremo ciò che succederà.

Sta a noi decidere il nostro destino.

Non serve una mente geniale per capirlo o una coscienza apprensiva e velenosa come sei tu.

Il nostro cammino si illuminerà ed allora non ci basterà altro che percorrerlo.

Fino alla fine.

 

 

 

“Noooooo, ma perché non sei andata avanti, volevo sapere come finiva il capitolo, uffa!”

“Stai tranquillo, Michael, ti prometto che dopo averlo postato comincio a scrivere il successivo e poi, scusami, se non mantengo un po’ di suspense alla fine  poi la storia diventa noiosa, ed io non voglio deludere le mie fans, mi capisci?”

“Uff, sì, ma io sono il tuo fan numero uno, non potresti fare una piccolissima eccezione per me?”

“No, Mike, nessuna lo fa, e perciò non lo faccio neanche io. E poi scusami, da quando sei il mio fan numero uno?”

“Da quando hai cominciato a scrivere la storia, naturalmente!

Per me sei davvero brava, ha ragione Elena, dovresti fare la scrittrice da grande, ti ci vedo bene, sai, poi hai l’aria da secchiona, sei fantastica!”

“Dai, adesso non esagerare, sennò mi fai diventare tutta rossa, sono timida come te io.

E poi ci sono scrittrici molto più brave, vedi Orsola, lei si che è una bomboniera di autrice!”

“Questo lo sapevo, infatti siete le mie preferite, insieme ad Elena e a quell’altra ragazza di Roma della quale non c’è il nome sulla sua pagina…”

“Ah, vuoi dire Angel_Silver! Sì, anche lei è molto brava e per giunta è di Roma, come la sottoscritta, la città che amo più di tutte insieme a Los Angeles e Parigi”.

“Hai dei bei gusti in fatto di città, lo sai, Claudia? Però anch’io rimango dell’idea che Roma è la migliore!”

“Sono contenta, e come me, Angel_Silver e tutte le lettrici di Roma che mi seguono, e che spero abbiano letto questo ultimo capitolo con somma gioia!”

“Sicuramente l’hanno fatto, non preoccuparti per così poco. Vabbè, ti saluto, devo preparare le coreografie per il tour, altrimenti iniziamo non tra un mese ma a Natale!”

“Okay, salutami anche gli altri ragazzi, state facendo un lavoro meraviglioso e il fatto di avermi invitata mi rende ancora più felice, grazie, Michael!”

“Grazie a te. Ah, e di alla cara Orsola che può partecipare anche lei, anzi, dille che la raccomando io”.

“No problem, lo riferirò appena posso, ciao Michael!”

“Ciao, Pocaonthas!”

*stampa un bacio sulla guancia della malcapitata e questa casca miseramente a terra con la bava alla bocca*

 

“Ehi, ragazzina, ti cercano!”

“Eh? Oh, Santo Cielo, è vero!”

*si rialza velocemente e si rimette a posto gli occhiali in tutta fretta*

Bene, cuccioli e bamboli di tutta Italia, bentornati sulla mia storia, ormai conoscete il mio nome e la mia residenza, ergo non vi annoierò con stupidaggini simili e passerò subito al mio capolavoro!! *_*

Prima di tutto devo farvi alcune scuse: so che questo capitolo non è venuto molto bene e chiunque lo pensasse è pregato di scriverlo nelle recensioni, non mi offendo per nulla, ed ultimamente non ho avuto molto tempo per scrivere per colpa della adorata scuola che frequento e per il meraviglioso 4 che ho rimediato in latino… -.-“ (la prima verifica dell’anno, per giunta) perciò non ho avuto il tempo di ricontrollare la forma e la scorrevolezza dello scritto, scusatemi ancora, vi prometto che non lo faccio più!! T.T

Adesso che mi sono tolta questo grande peso mi sento molto meglio e sono pronta a spiegarvi ciò che ho segnato con un asterisco:

*Questo è il vero nome di Pietro Gambadilegno, uno dei più  acerrimi nemici di Topolino, ci tenevo a scriverlo in originale, secondo me faceva più figura, cosa ne pensate?? ^^

*Una vettura della Ford molto bella e sportiva, la prima serie fu prodotta dal 1964 al 1973, l’ho incontrata per caso nel romanzo di Khaled Hosseini “Il cacciatore di aquiloni” e mi è sembrata sin dall’inizio una gran bella macchina, adatta per il nostro Michael, come la Bentley per giunta, spero che la mia scelta vi garbi. ^^

 

Okay, ora voglio farvi una delle mie abituali domande che riguardano la mia storia: cosa può essere il misterioso oggetto luminoso che la sorpresa Fiordaliso ha trovato col bigliettino scrittole da Michael legato allo stelo del fiordaliso, e soprattutto, quale ruolo avrà nei capitoli successivi??

Mi raccomando, gràphete, gràphete kai gràphete, (scrivete, scrivete e scrivete) liberate la vostra immaginazione e non ditemi che quell’oggetto è un anello di fidanzamento altrimenti non scrivo più niente!! ù_ù

Vi prometto che già nel prossimo capitolo saprete di cosa si tratta ma intanto, belle bambole, spremetevi le meningi!!

 

Ooooooh, adesso è arrivato il momento più bello e cioè, quello dei ringraziamenti, i quali quest’oggi vanno a:

il mio carissimo amico di Milano, Alessandro Manzoni, che con il suo libro mi ha aiutato un sacco, come nel capitolo precedente; la mia amica del Michigan, una certa Madonna Louise Veronica Ciccone, che mi sostiene sempre e mi da la carica con le sue intramontabili canzoni; (d’altronde lei è la Regina del Pop, non c’è nessuna meglio di lei per me!! *-*) poi tutti i miei compagni di classe che anche se implicitamente mi sostengono e un’altra persona di cui non posso dire il nome ma che mi ha insegnato come nessun altro saprebbe fare il greco, una materia che io amo e che vi consiglio vivamente di apprendere!! =)

Mh, e poi chi c’è?? °-°

Ah sì, tutto ciò che mi circonda, tutti i libri che ho letto e tutte le persone che mi stanno intorno, che mi danno ogni giorno un’ispirazione nuova e delle idee che senza il loro aiuto non avrei mai trovato, grazie a tutti, bamboli!! ^-^

 

Uh uh uh, ecco, ci siamo, ringraziamo le gentili signorine che hanno recensito e che mi rendono la vita ogni giorno più bella.

Vi va bene se iniziamo dalla più picciola e cioè:

Dolcekagome: amoraaaa, mi mancano come l’aria le tue recensioni, sei fantastica, te adoro!! *-* naturalmente la sorpresa non poteva essere un bacio, hai ragione, le cose vanno meritate, ma secondo me la nostra Fiordaliso si merita molto, con tutto ciò che ha passato, non lo pensi anche tu??

Hai indovinato anche ciò che succederà tra Katie e il signor Johnson, ne vedremo delle belle, e alla fine… Oh, alla fine, ci sarà qualcosa che neanche io mi immagino, ergo lasceremo fare tutto al destino, intanto ti ringrazio della tua splendida recensione, tanti bacissimi dar Cupolone e auguri di buona lettura, cara Anna!! ^^

P.S.: anche a me piace da morire Humane Nature, la voce di Michael in quella canzone è così… così …*O*… non ci sono parole per descriverla, è troppo sexy quell’uomooooooooooooooooo!!!!*ççç*

Bad_Mickey: okay, ci siamo, cara Orsetta…Voglio cominciare questo ringraziamento con una sola piccola frase: Sei fantasticaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa, adoro le tue storie, sei l’autrice più brava della quale abbia mai letto le storie, sei il mio punto di riferimento sin dall’inizio, ho sempre pensato che tu non avresti mai considerato la mia storia come invece stai facendo e tutto ciò che hai scritto nella recensione mi ha reso la persona più felice di tutta la Terra, grazie, grazie ancora non so proprio come descrivere ciò che sto provando in questo momento, grazie….*-*

La storia di Fiordaliso l’ho pensata proprio per prevenire tutto ciò che nella nostra epoca è all’ordine del giorno, per me non dovrebbero esistere uomini del genere né tanto meno chi appoggia le proprie azioni, hai ragione, è assolutamente un abominio bello e buono…

Okay, pensiamo alle cose più belle, e cioè, Michael vestito da clown, (io lo preferivo nudo *çççç*) sono contenta che ti sia piaciuta questa parte, e la pseudo relazione tra Katie e Joe (ormai li chiamo così xDD) : mh, io non ti considero matta, dall’inizio ho pensato le stesse cose che pensi tu, sarà, ma io Katie ce la vedo bene col prof e tu?? ^^ vedremo come si svolgerà la vicenda…

Sigh, quel pezzo mi ha fatto piangere mentre lo scrivevo… T.T naturalmente ho pensato a Man In The Mirror e alle sue parole pregne di speranza e anche di dura realtà, quando saremo nel 1987 (perché la storia come ho detto sin dall’inizio è un po’ lunghetta ma cercherò in tutti i modi di renderla avvincente agli occhi dei lettori) userò alcune canzoni contenute in Bad come colonne sonore per le varie vicissitudini delle nostre eroine,un po’ come ho fatto in questo capitolo ma, ehm, più elaborato e ricontrollato, vediamo che scarabocchio combinerò!! xD

Ti ringrazio ancora per la recensione, cara, e ricordati di me quando sarai diventata una scrittrice famosa in tutto il mondo, ciaooooooo!!! =)

P.S.: da ciò che hai sentito prima, puoi partecipare al tour sotto raccomandazione di Michael, ti divertirai lo so, chiunque ci riesce con lui!! *-*

Ed ora la più grande, da quanto mi è sembrato di capire, ovvero la fantastica:

eclipsenow: ti ringrazio già da adesso per i capitoli recensiti, non preoccuparti per la scuola, ormai fai l’università… Beata te, a me mancano ancora quattro anni e già non ce la faccio più,che strazio la scuola, hai proprio ragione, a chi va di studiare quando ci sono così tante belle storie da leggere?? A me no di sicuro!!^^

Oh, Dio Santissimo, ma quanto è bono Michael?? È dura resistere alla tentazione di non saltargli addosso e di fargli le peggio cose con quel viso, quella voce e soprattutto quel corpo…. °çççç° *sviene sbavando per terra*

Hai ragione, Katie è una ragazza molto intraprendente, è tutto l’opposto della madre e la sua intraprendenza la porterà, ehm, a fare… delle cose che non posso dire ma che sicuramente hai già intuito dalla mia misteriosità, in fondo sono situazioni molto normali per una ragazza della sua età e… non posso dirti nient’altro che sennò mi lascio sfuggire mezza storia, scusami… ^_^ ops, mi hai scoperto, cara, apparivo davvero troppo capace e attenta ai particolari per essere una romanaccia venuta dalla città più vicina alla capitale, che ha voluto provare a scrivere una storiella su un sito conosciuto praticamente in tutta Italia, dove chiunque avrebbe letto la mia storia e commentato il mio lavoro… Ebbene sì, ho la cameretta strapiena di libri ed alcuni non so proprio dove metterli, nemmeno sul pavimento c’è più spazio ed inoltre i miei non aiutano in nessun modo la mia passione né quella per la lettura né per la scrittura, capirai, per loro sarei stata più brava ad un istituto professionale che al liceo classico, ma si può pensare delle cose simili per i propri figli?? è_é Uff, parliamo d’altro che sennò divento una fiera e non riesco più a controllare le mie azioni: ehehe, sono contenta di tenerti sulle spine così bene, in fondo in ciò sta la bravura di uno scrittore, no?? ^^ però non lo faccio apposta il tempo è poco ed i compiti troppi, Ihihih…

Invece è tanta la voglia di dirti grazie per le recensioni lasciate sui capitoli, le emozioni che ti faccio provare scrivendo questa storia che mi viene dal cuore e la dolce sensazione di avere il nostro amato Michael sempre vicino, come se non se ne fosse mai andato…sappi che non mi hai annoiata per niente, anzi, mi fa piacere ricevere recensioni omeriche e solenni, mi fanno sentire importante, come penso capiti anche a te!! ^^

Beh , Elena, le parole non bastano più per ringraziarti e non posso far altro che salutarti ed augurarti buona fortuna per la tua storia, arrivederci e ancora grazieeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee!!!! J

P.S.: ti appoggio sul fatto che l’aria de Roma fa bene allo spirito e al corpo e che noi romani siamo molto simpatici (forse perché ci ubriachiamo dalla mattina alla sera, ahahahah ^-^ *hic*) e per giunta riusciamo a scrivere moooolto bene, ma anche voi… ehm, di dove sei, cara?? :D del Sud o del Nord?? dimmelo, così magari mi regolo un po’ con la distanza, ehehehehe…

Monyprincesslovett : eccomi cara, la tua recensione mi è arrivata giusto adesso e ti sto ringraziando fresca come una rosa, grazie per l’interesse che metti nel leggere i miei chilometrici capitoli, lo so, ma alcune volte sono addirittura costretta a inserire interi pezzi ed a toglierne altri che poi inserirò nella parte successiva, è un lavoro un po’ lungo e faticosetto, ma ti ricompensa come non mai!! =) grazie moltissimo per tutti gli aggettivi che hai usato per descrivere me e la mia storia, delle volte mi stupisco che esistano delle persone così buone al mondo, pronte per renderti il lavoro piacevole ed appagante e tu naturalmente sei una di quelle!!

Per quanto riguarda la domandona prenditi tutto il tempo che vuoi, tanto ce ne vorrà prima che la faccenda si districhi tra Katie e il signor Johnson, più o meno, altri tre capitoli o forse anche più…

Alla prossima, bambolina di una Mony, e pazienta anche tu insieme alle altre mie fan, mi raccomando, un bacione da MeH, ovvero Looney Queen (puoi chiamarmi anche Claudia, se vuoi, a me fa piacere!! ^^ )

 

Uffi, siamo già arrivate alla fine di un altro capitolo, non sapete quanto mi rende triste sta cosa, voglio rimanere ancora un po’ con voi, ma c’è l’ottavo capitolo che aspetta solo di essere scritto e perciò io vi saluto nel migliore dei modi e vi faccio tanti auguri per tutto ciò che di più bello può capitarvi in questa vita (come quella di aver trovato MeH, eheheh…)

( Era meglio che non ti facevi viva per niente… -.-“NdTutti i brutti ceffi impegnati nel tour, tranne Mike, naturalmente *-*)

Grazie per l’incoraggiamento ragazzi, siete una squadra straordinaria, vi adoro… -__-“

(Prego!! NdI brutti ceffi)

 

P.S.: alla fine Michael ha baciato tutte le belle fanciulle presenti al suo tour e tutte quelle che scrivono delle FF su di lui, ergo non divoratemi per un insignificante bacetto, vi prego!! °-°

Ah, e vi saluta anche con tanto affetto, insieme alla sottoscritta, naturalmente!!

 

 

Ringrazio ora tutti coloro che hanno letto o che sono passati di striscio sulla mia storia, grazie ragazzi, ci vediamo al prossimo capitolo, arrivederci!!! ;)

 

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Capitolo 8
*** Sulle colline ed oltre (Gli opposti si attraggono, sempre ed inevitabilmente) ***


                           Sulle colline ed oltre   

                               

 

 

(Gli opposti si attraggono , sempre ed inevitabilmente)

 

 

 

“Uffa , che palle , è il primo giorno che lo vedo e già non lo sopporto più , ma ti rendi conto , mi ha umiliata di fronte a tutta la classe dandomi del voi , invece del tu , mi ha guardata come se fossi stata la sua fidanzata anche se non mi conosceva nemmeno da mezzo minuto e quel che è peggio , non mi ha mollata con lo sguardo nemmeno per un secondo ! Ma si può essere tanto stronzi ?”

“Beh , secondo me non aveva cattive intenzioni , come quella di imbarazzarti oppure di offenderti di fronte a tutta la classe , non penso che tu gli abbia fatto una così cattiva impressione , anzi , ti ha trattata con infinita gentilezza ed è difficile trovare professori del genere in una scuola privata .”

“Ma non capisci , Sandy , quella è una trappola ! Succede sempre così , il prof fa il carino e il simpatico con tutta la classe , specialmente con te , che guarda caso , sei l’alunna più famosa e temuta da tutto il corpo docenti per la tua innata crudeltà , ti fa credere di essere chissà chi e ti aiuta in tutti i compiti in classe , tu ci caschi come un baccalà e alla fine ti trovi sulla pagella di fine anno una collezione interminabile di F da aggiungere alle precedenti ! Credimi , quello yankee di merda non mi convince e glielo farò capire prima di subito !”

“Ti avverto , Katy , adesso incappi in guai davvero seri , gli altri anni ti hanno promossa perché stavi simpatica alla preside , inoltre adottavi un minimo di impegno nello studio e ciò ti ha portato alla promozione , ma quest’anno è tutto diverso : hai visto il nuovo dirigente che ci hanno appioppato , quello già dalla sua faccia e dai discorsi che fa si può capire che è un nazionalista , e della peggior specie , odia tutti coloro che non la pensano come lui e tutti quelli che hanno il colore della pelle diverso dal suo .

Ascolta i miei consigli , non metterti contro il signor Johnson e non provare ad architettare qualche scherzo di cattivo gusto come al tuo solito , puoi rischiare la sospensione , stavolta .”

“Adesso ti ci metti anche tu , Sandy ? Pensavo che fossi la mia vera , unica amica in mezzo a quell’indefinito ammasso di ipocrisia e belle parole che chiamano “Istituto medio e superiore delle Suore Carmelitane di Santa Caterina*” , della quale anche noi facciamo giustamente parte , e nella quale ci sono individui ignobili come quel coglione di Johnson che ammalia tutte le gatte morte delle colline soltanto per spillare soldi ai loro cari paparini ! Da’ retta a me , quello cerca rogne ma non sa con chi ha a che fare , giuro che da domani sentiranno parlare di me anche a Downtown , e stavolta non scherzo !”

“Oh … I-io non so proprio più cosa dirti , cara Katy , non vuoi darmi ascolto ed oltre a persuaderti a non combinare i tuoi soliti danni , non posso più far niente .”

“Brava , vedo che hai capito che tra me e Johnson sarà una sfida all’ultimo sangue e chi perderà pagherà !”

“Già .”

Camminavano da mezz’ora , come tutti i pomeriggi dopo la scuola , lungo i vasti viali del ricco quartiere , colorato dal calore e dalla serenità uniche dell’autunno che si manifestava in tutta la sua allegria attraverso il venticello fresco che soffiava da nord scompigliandogli leggermente le chiome cadenti sulle spalle e facendo svolazzare con leggeri movimenti ondulatori le eleganti gonne a pieghe blu scuro della loro divisa scolastica .

La dolce luce pomeridiana e la quiete del paesaggio urbano costellato da siepi ben tagliate e lampioni di ferro che si stagliavano sui marciapiedi come una lunga fila di pioppi d’inverno donavano al paesaggio un’aria di malinconica serenità , una serenità che le nostre due ragazze si fermavano spesso a contemplare sedute su una delle panchine del piccolo giardino che si ergeva tra la via per andare a scuola ed un’altra , diretta invece alla spiaggia di  Santa Monica .

Avevano smesso di parlare come facevano sempre , per ore interminabili , fino ad arrivare a quella piccola siepe dove si riposavano dopo la lunga camminata e dove le loro strade si dividevano per poi ricongiungersi la mattina dopo , nello stesso posto , alla stessa ora .

Facevano così da ormai quattro anni , quando le loro vite si erano casualmente incrociate proprio in quel bivio , a significare , forse , che anche le strade più diverse tra di loro , rettilinee o sconnesse , infinite e famose autostrade del deserto o viuzze di provincia sperdute tra le montagne e dimenticate da tutti , potevano incontrarsi pacificamente , conoscersi , parlarsi e magari unirsi e continuare il loro incessante cammino insieme , lasciandosi alle spalle i commenti velenosi delle altre strade , le quali da decenni percorrevano sempre l’identico percorso senza alcun aiuto da parte delle altre che , come tutte le strade , pensavano sempre ai fatti loro e mai a quelli delle loro compagne .

Il discorso delle strade amiche , per Katy e Sandy , era durato serenamente per quei quattro , lunghi anni : esse avevano affrontato i problemi più grandi , i soprusi più ingiusti , le violente parole dei disinibiti contro la loro innocente e sincera amicizia che , agli occhi dei più sensibili , sembrava che potesse durare per molto tempo .

Naturalmente anche le due ragazze lo pensavano e condividevano ciò che i loro bravi compagni dicevano , nulla per loro era più importante dello speciale rapporto che le legava magicamente , senza bisogno di inutili barriere di filo spinato o imponenti cancelli di ferro ad arrestare quel delicato sentimento che entrambe volevano portare fino in fondo .

Ma in quel fatidico giorno di metà settembre , dopo una mattinata particolarmente movimentata per una di loro e dopo un’accesa discussione per motivi che potevano tranquillamente definirsi superficiali agli occhi inesperti del popolo , ma soprattutto dopo una considerazione non molto carina da parte di una delle due , la serenità delle strade si stava lentamente scalfendo .

Il motivo di questo improvviso crollo era proprio quella semplice frase , detta non per offendere necessariamente le dirette interessate ma per quel ignobile individuo che le stregava tanto da guadagnarci anche una cospicua  ricompensa .

Presa in prestito , naturalmente .

Ma Katy , la quale non sapeva cosa fosse la sensibilità , né tanto meno la moderazione con persone permalose o facilmente offendibili , non riuscì a frenare la lingua prima che potesse commettere il più grande delitto che una ragazza abitante di Beverly Hills potesse commettere verso un’altra che viveva invece sulle colline di Encino , la zona residenziale più rinomata e famosa di tutta la contea di Los Angeles .

Perché Sandy , figlia di un famosissimo e ricchissimo banchiere , il quale passava quasi tutto l’anno tra le borse e le quotazioni di Wall Street , dall’altra parte della Federazione , nonché adolescente studiosa e matura più di tutte le teste cotonate delle sue compagne di classe e destinata ad un futuro pieno di agi e soprattutto di una carriera lavorativa delle più sognate da tutto il popolo americano , abitava lì , in una delle case più belle e costose di tutta Encino , tra di queste era annoverata anche l’enorme villa di Michael Jackson , il suo vicino di reggia .

La sua amica dalla parlata fluente , come al solito , non aveva saputo tener a freno la lingua , e l’aveva catalogata come una delle perfide Barbie delle prime file , le quali abitavano proprio vicino a lei , ad Encino , avevano delle dimore più modeste della sua , per così dire , ma essa non si è mai sentita a proprio agio con le sue compagne di collina : loro erano troppo stupide , troppo superficiali per intraprendere una conversazione intelligente con lei , erano delle vere e proprie oche , per Sandy , infatti , non bastava avere un conto in banca grande come tutto il Pacifico , né presentarsi tutti i giorni a scuola con una pettinatura diversa a seconda della parrucchiera giornaliera , per essere considerate popolari e soprattutto intelligenti .

Per lei la popolarità era qualcosa di diverso : essa non si prendeva gratis , non bastava avere papà e mamma ricchi, vestiti ed accessori firmati , ed il cervello piccolo come un pidocchio .

La popolarità si guadagnava , come stava facendo lei , impegnandosi fino in fondo , sacrificando il suo tempo libero e le sue amicizie , dimostrando a tutti che un bel visetto poteva nascondere anche una grande mente .

Però c’era qualcuno che non la pensava così , ovviamente .

Non voleva dire a sé stessa il nome di quella persona , ma era certa con tutta l’anima che fosse lei , il suo sottile istinto non l’aveva mai tradita per certe cose .

Però un difetto in una persona così acuta e sensibile c’era e lei non faceva altro che tormentarsi per questo : Sandy era particolarmente paurosa , di tutto e di tutti , ogni situazione che le se presentava davanti , ogni persona che cercava di offenderla , affrontava queste piccole difficoltà con la razionalità e l’indifferenza ; non era mai stata una persona combattiva e passionale , le sue uniche armi erano la pazienza e l’intelligenza smisurata .

Aveva capito , però , che in quel frangente , quelle due qualità seppur importanti e lodevoli , non sarebbero servite a nulla .

Adesso doveva servirsi della forza della parola .

Una forza che non aveva mai sperimentato ma che sicuramente l’avrebbe aiutata molto .

Occorreva soltanto convertire i suoi pensieri in parole e prepararsi allo scontro frontale .

Ma prima avrebbe aspettato la sua avversaria , era una persona leale e voleva battersi ad armi pari .

Si , avrebbe fatto così .

 

Per ora , però , esse non osavano parlare .

Anche se una di loro avrebbe tanto voluto .

Aveva i pugni chiusi sulle ginocchia tremanti , sentiva la tensione nel suo petto che inviava delle fastidiose scosse alle sue mani e queste non riuscivano a fermarsi , il labbro inferiore mosso da violenti e continui spasmi sempre dovuti alle scosse nervose , non riusciva a star ferma con i piedi che frenetici si alzavano sulle punte e si abbassavano fino ai talloni , procurando un leggero picchiettare sulle piastrelle a secco del giardinetto tra le quali spuntava timido qualche filo d’erba , verde come una ranocchia di palude .

Si voltò cautamente ad osservare la persona alla sua sinistra la quale , al contrario di lei , non dava il minimo segno di cedimento emotivo ; se ne stava lì , seduta composta sulla panchina di legno della siepe , la schiena dritta come un righello , la testa abbassata ad osservare distrattamente la cartella rigida sulle sue ginocchia sulla quale stavano poggiate due mani piccole , dalle dita affusolate e bianchissime , in netto contrasto con il cuoio scuro della cartella , gli eleganti codini castani che scendevano morbidamente lungo il suo petto fino all’altezza del cuore ed inondavano con il loro innocente splendore il bianco candido della camicetta di cotone , emanavano leggeri riflessi ramati che rendevano il volto dell’interessata ancora più dolce ma allo stesso tempo più timoroso .

La tensione aumentò in Katy , voleva essere lei a fare il primo passo e scusarsi con la sua migliore amica per le sue considerazioni troppo crudeli sul povero signor Johnson , che veramente l’aveva trattata come qualsiasi alunna delle scuole medie si sognerebbe , ma soprattutto per l’imprecazione contro le biondine delle colline , la zona in cui abitava anche Sandy , ma visto il suo inesauribile orgoglio , non voleva essere lei a fare il primo passo e dar corda a Johnson , altrimenti a scuola si sarebbe scatenato il putiferio ed allora sarebbero stati guai , sia per lei che per il suo nuovo insegnante , ed anche per la buona fama della sua amica .

Alla fine decise che rifletterci su era troppo impegnativo per una mente piccola ed insignificante come la sua e che il tempo avrebbe risolto ogni cosa .

In fondo Sandy , anche se viveva ad Encino , non era come le Barbie oche della prima fila , la sua offesa non era indirizzata propriamente a lei , ma a quelle streghe dalle chiome cotonate , e poi , per quanto riguardava Johnson , beh , con lui il tempo avrebbe aggiustato ogni cosa , era inconcepibile che lei , la Mangiatrice di Prof , avesse paura di un insegnante !  

Eppure il piccolo presentimento che un secondo prima aveva le dimensioni della manina di un neonato , rimase nel suo giovane petto , come per avvertire la proprietaria di stare attenta e di usare bene il cervello , come ormai non faceva da molto .

Ma Katy non pensava più alla sua prima mattinata di scuola , si limitava ad osservare distrattamente il lento volteggiare delle foglie gialle ed arancioni dei platani sul selciato a secco mosse dal terribile venticello che soffiava ormai da giorni sempre dalla stessa direzione .

Il movimento rotatorio delle foglie la incantò per un bel po’ , non sentiva più nessun rumore intorno a sé , solo il fruscio del vento nelle chiome ancora intere degli alberi svettanti sulla panchina , gli innumerevoli discorsi che le instancabili folate d’aria intessevano con i cespugli sempreverdi ed i fili d’erba che popolavano i sentieri di pietra del piccolo Eden in cui lei e la sua migliore amica si trovavano .

“Questo vento … Mi da sui nervi .

È da una settimana che soffia ed ancora non ha trovato pace .”

Katy sussultò nel sentire la voce flebile e vellutata di Sandy leggermente stizzita che le parlava a pochi centimetri del suo orecchio sinistro , aveva sussurrato solo qualche parola , magari non erano indirizzate nemmeno a lei ma l’avevano svegliata dal suo torpore un po’ bruscamente , sentiva uno strano ronzio nelle sue orecchie e gli battevano sommessamente le tempie .

Tuttavia rispose all’affermazione della sua compagna , non voleva passare per una maleducata , soprattutto per quello che era successo meno di un quarto d’ora fa .

“Già . Odio questa stagione . Preferisco l’estate .”

“Anch’io .”

Katy si voltò ancora e la osservò : era più tirata di una corda di violino e i suoi occhi guardavano fisso di fronte a loro , non osavano posarsi sulla figura alla sua destra , la quale pian piano si stava rilassando dagli affanni precedenti e tentava , seppur goffamente , di migliorare la situazione che si era venuta a creare .

Anche se non era mai stata brava a convincere la gente , e quando ci riusciva era soprattutto merito della diffidenza degli altri e la strana fiducia , se così si può chiamare , che essi riponevano in lei .

Con Sandy , però , tutto si stava dimostrando particolarmente complicato , ogni volta che i suoi occhi di smeraldo incrociavano quelli di pece di Katy , d’improvviso sentiva un doloroso groppo alla gola , una morsa micidiale dalla quale non riusciva a liberarsi , perché aveva sempre in mente la stessa , identica immagine di un secondo prima : quelle piccole pozze cristalline nelle quali ti ci rispecchiavi e grazie ad esse non ti sentivi perduta od estranea al mondo , ma nelle quali si avvertiva tumultuoso un leggero singulto di una imminente tempesta , che non avrebbe risparmiato nessuno .

Nemmeno lei . 

Cominciò a sudare freddo , quel silenzio così rumoroso e pieno di parole e pensieri non detti la faceva ansimare dolcemente , in preda ad una strana ansia : l’ansia di rimanere sola .

Era così sconvolgente ciò che stava pensando .

Ma nulla poté esserlo più di quello che le disse la sua compagna , un secondo e ventiquattro ansimi esatti dopo .

“Sai a cosa stavo pensando ?”

“A cosa ?”

“Beh , ecco …”

“…”

“…Secondo me ... “

“Si ?”

“…Johnson è un cafone .”

“…Davvero ?”

“Si , davvero . Perché , non mi credi ?”

“No , no , ti credo , è solo che …”

Lungo sospiro nervoso .

“…È solo che io stavo pensando la stessa cosa.”

“…Davvero ?”

“Davvero .”

“Ah … Mi fa piacere in un certo senso .”

“Anche a me .”

Sorriso teso ma sincero da entrambi le parti .

E poi silenzio , caldo silenzio .

Rotto da una sola , semplice domanda .

“Oh , senti , Katy … Posso dirti una cosa ?”

“Si , certo .”

“Allora … Che ne dici di venire a casa mia fino all’ora di cena ? Avvertiamo noi tua madre .”

“Stai scherzando , vero ? Tu non inviti mai nessuno nella tua villa , sulle colline  cosa ti è preso tutto ad un tratto ?”

“Oh , niente …”

Ancora silenzio , un silenzio pieno di imbarazzo .

Che all’improvviso si riempie di luce .

E di verità .

“…Ho solo aperto gli occhi . Ed ho visto il mio cammino illuminarsi come per guidarmi verso la giusta direzione .”

“Ed è stata la strada giusta , secondo te ?”

Silenzio , vivo e palpitante di sentimenti veri .

E sorrisi .

“Si . Penso proprio di si .”

Le due strade , illuminate dalla nuova luce che potente ed immortale , impera su di loro , si allontanano dalla piccola parte di Paradiso Terrestre ed ancora una volta insieme continuano il loro cammino , il quale però si dimostrerà tortuoso e terribile per una di loro .

Ma non ci è dato sapere nulla , fino al momento in cui la più tormentata delle due strade , dovrà scegliere .

 

Sdraiata supina sul grande letto matrimoniale della mia accogliente stanzetta , mangiucchiavo con pigra avidità delle piccole caramelle gommose alla Coca Cola a forma di panda che estraevo con la mano sinistra da un piccolo sacchetto trasparente posato sul Comodino dei Segreti , che da più di tre ore , cioè da quando Michael era ritornato zitto zitto nella sua modesta dimora senza dirmi nulla riguardo quel prezioso oggetto che avevo infatti trovato per caso , non pensavo di aprire per alcun motivo .

Il luminoso segreto che custodiva da così poco tempo era arrivato a me in modo così inaspettato e con una tale , sconvolgente forza , che al solo suo pensiero il mio cuore non poteva far altro che balzare contro le pareti del petto , intenzionato ad uscire come per dimostrare al mondo intero , il timore che provavo in quel preciso momento .

Era una situazione strana , la mia , non sapevo cosa fare né a chi rivolgermi per risolvere il lucente mistero ; anche se tutto ciò riguardava me e nessun altro .

Forse ero diventata paurosa nell’affrontare le cose : non ero mai stata così , non avevo mai pensato che una cosa del genere potesse succedere , ma con me ed il mio umore mutevole come la Luna non si poteva mai sapere .

Presi un altro panda dalla confezione e portato davanti al mio viso all’altezza precisa degli occhi , cominciai ad osservarlo distrattamente , rigirandomelo tra le dita appiccicose e dolciastre , impiastricciate da quella piccola meraviglia che viveva miracolosamente solo per un certo periodo di tempo , fin quando cioè , non scade , oppure te lo mangi prima tu , dipende da chi è più veloce , la tua gola o la data di scadenza .

In tutti casi sono sempre stata più veloce io , i piaceri della vita si godono una volta sola , dicevo spesso , e perciò è sempre meglio approfittarne ora piuttosto che rimpiangerli un giorno lontano .

Già , anche il misterioso regalo , se così si può chiamare , di Michael faceva parte di quelle imperdibili occasioni , se non avessi risolto il mistero in poco tempo , dopo sarebbe stato tutto inutile .

Dovevo pensare e capire tutto per bene ,  si preannunciava difficile , ma ci sarei riuscita lo stesso , l’avrei giurato su mia figlia ed anche sul buon nome di Michael .

Conclusi che però non sarebbe successo nulla di rilevante nella vicenda del Luminoso Mistero , se prima non mi fossi decisa ad alzarmi da quel maledetto ed avvolgente materasso , il quale ti attirava nella sua accogliente e traditrice morsa , invitandoti a prendere la vita con più tranquillità ; poi , però , era dura divincolarsi da esso , e tutto ciò che potevi fare era rimanere lì , esamine e totalmente privo di iniziativa .

Per fortuna la mia sete di curiosità , ma soprattutto di verità , furono più forti della pigrizia e contribuirono al mio totale riassestamento : balzata giù dal letto , afferrai la confezione dei panda e la feci accomodare sulla vecchia scrivania di noce , forse uno dei mobili più antichi di tutta la villa insieme al pianoforte ed al lampadario di cristallo entrambi posti in soggiorno , mi lavai per bene le mani nel bagnetto che comunicava con la mia stanza , al sol pensiero di toccare quella meraviglia unica del suo genere con delle zampe sporche di zucchero e appiccicose mi faceva star male , dopodichè estrassi la piccola chiave del Comodino dal suo usuale posto segreto , la misi nella toppa e la girai lentamente , con la mano un po’ tentennante ed un leggero tremore del labbro inferiore , il quale non smetteva di muoversi da quasi cinque minuti ; dopo i tre soliti giri la serratura fece un sonoro scatto ed a me non rimase altro che aprire il cassetto , rovistare tra i trecento e più oggetti che lo popolavano ormai da anni e che si erano inevitabilmente mescolati come se fossero stati messi tutti in uno shaker da barman , e quando ebbi trovato finalmente il misterioso regalo ( se lo si poteva chiamare regalo ) , lo raccolsi delicatamente con la mano sinistra per poi adagiarlo sulla destra , completamente tesa , pronta ad accogliere un oggetto così bello e misterioso come esso .

In quell’attimo poi , pensai che chiunque sarebbe potuto entrare nella mia stanza in qualunque momento nelle prossime ore , e colta da un improvviso slancio di panico , chiusi la porta con tre giri di chiave , spensi la luce del lampadario grande e facendo attenzione a non inciampare nella indistinta massa di vestiti con i quali avevo tappezzato l’intera stanza come un tappeto , accesi il lume della scrivania , con il quale potevo osservare l’oggetto nella mia mano più attentamente e senza aver il pericolo di essere scoperta d’un tratto da qualche indesiderato ospite .

Mi sedetti con calma sulla elegante poltrona della scrivania e mi accomodai rapidamente alla mia postazione di lavoro , i gomiti appoggiati sul tavolo e l’Oggettino Misterioso a cinque centimetri dal mio viso curioso .

Ogni volta che la osservavo , rapita dall’incredibile luccichio e dalla raffinatezza dei particolari , nonché dal suo famoso significato astratto , era come se l’avessi vista per la prima volta nella mia vita e non l’avessi mai tenuta in mano come stavo facendo in quel preciso momento : tra le mie dita lasciavo scorrere una sottile catenina d’oro zecchino dalla quale pendeva una piccola coroncina dello stesso materiale , molto simile a quella che portava la nostra amica d’oltreoceano , la Regina Elisabetta d’Inghilterra , ma dal disegno molto più semplice e tempestata di piccoli diamanti dallo scintillio di mille galassie ; a seconda di come la luce della lampada da lettura della scrivania si posava su di essa , le pietre preziose si inondavano di uno splendore sempre diverso ed assumevano varie sfumature e sfaccettature che non avevo mai visto prima di allora in un diamante o in qualunque altra pietra del suo stesso valore .

L’unicità di quella piccola meraviglia era impareggiabile , pensai che al mondo non esistessero altri manufatti del genere .

Mentre lo rigiravo , ancora incredula , tra le dita divenute tutto d’un tratto ferme ed attente all’oggetto che tenevo tra di loro , mi immaginavo nei panni di Michael nel momento preciso in cui aveva avuto la brillante idea di spedirmi in Paradiso per colpa di quel ciondolo che mi aveva nascosto nell’innocuo mazzo di fiordalisi che mi aveva regalato affettuosamente , senza lasciar trapelare nulla , né dalle sue espressioni , né dalle sue parole , che potesse in qualche modo smascherare la sua intelligente trovata , riflettendo sulle possibili opzioni che la mia furtiva condizione ammetteva .

Ma dopo un rapido viaggio tra i meandri più sconosciuti della mia infinita mente senza aver trovato una valida soluzione per il mistero che mi ritrovavo per le mani , lasciai perdere l’idea iniziale e continuai per un’altra strada : ad esempio , perché regalarmi , se di regalo posso parlare , proprio una corona ? Che senso ha per lui e soprattutto è importante ?

Certo , se fosse stato veramente cotto di me , cosa da non trascurare assolutamente dopo ciò che mi era successo negli ultimi mesi , mi avrebbe sicuramente fatto trovare nei fiordalisi , invece del ciondolo a forma di corona , un anello di diamanti , prova inconfutabile dei suoi sentimenti verso di me , ma visto che per fortuna non è stato così , potevo ritenermi un pochino più tranquilla di prima su questo punto .

Esclusi anche l’ipotesi di una svista , un uomo intelligente ed acuto come Michael non si sarebbe mai dimenticato nulla del genere in un comunissimo mazzo di fiori , qualunque cosa facesse , doveva avere un senso . 

Pensai anche alla famosa sorpresa ,  preannunciatami da Michael esattamente due mesi prima e che ancora non si era manifestata ai miei occhi , in fondo quella corona era un monile bellissimo e dalla manifattura pregiata , sarebbe piaciuto molto ad una donna della mia età possedere un oggetto del genere , ancor di più donato da Michael Jackson , il quale ama indistintamente tutte le sue fan .

Con me però era diverso : Michael non si sarebbe mai limitato ad una prova di fiducia nei miei confronti tanto misera seppur spettacolare come un ciondolo d’oro e diamanti .

No , lui mirava a qualcosa di più profondo , più personale , più … originale .

Ma cosa ?

La mia contorta mente si poneva i quesiti più strani : poteva essere una canzone che mi avrebbe dedicato in uno dei suoi prossimi album , un riconoscimento internazionale di qualunque genere , una nuova casa a Malibu , ospitalità illimitata presso la sua maestosa dimora sulle colline di Encino , possibilità di partecipare a tutte le date di tutti i concerti che avrebbe in seguito organizzato , una stella alla Walk Of Fame di Hollywood “per aver salvato il grande ed insuperabile Michael Jackson , che tutti noi amiamo e ammiriamo , in tenera età , da un balordo ubriaco e socialmente pericoloso , per le vie più malsane e buie della Grande Mela , a cavallo tra il malfamato Bronx ed il Queens , teatro di tristi episodi di criminalità e violenza” , bla , bla , bla … 

Esausta per i troppi viaggi mentali che avevo effettuato nemmeno in cinque minuti esatti , mi rassegnai all’idea che quel pendente a corona dal valore astronomico era un semplice ed innocuo regalo .

Non la tanto desiderata sorpresa che Michael mi aveva promesso , no , quella avrebbe aspettato .

Forse , pensai , quello era un piccolo anticipo , una sorta di pubblicità prima dello show vero e proprio , anche se già quella coroncina era uno spettacolo unico di per sé , dentro di me avvertivo una speranza , una … si , proprio una anticipazione .

Era da matti , anche per me , arrivare a pensare delle cose del genere , ma dopo le varie esclusioni , quale per un motivo , quale per un altro , considerando tutti i fatti che si sono succeduti ordinatamente in quei due mesi dalla nostra cena insieme , conoscendo il carattere del mittente e quello che provava per me , la sua profonda amicizia che si dimostrava anche con piccoli gesti di tutti i giorni , ecco , dopo aver analizzato ogni particolare importante della vicenda come di fronte ad una lente d’ingrandimento gigante , quella soluzione era la più attendibile di tutte .

Era comune , certo , e per diversi aspetti anche abitudinaria per uno come Mike , mostrarsi gentile con gli altri , ma la cosa più importante per me era la possibile certezza di ciò che aveva concluso la mia stramba intelligenza .

In quel momento era come se mi fossi tolta un peso dallo stomaco e perciò lasciai andare con delicatezza la coroncina sul banco e mi stiracchiai per bene la schiena , sembravo un gatto intirizzito dall’immobilità che ritornava lentamente a muoversi come un tempo .

A proposito di tempo , pensai subito che fossero all’incirca le tre del pomeriggio , in fondo il mio abituale ozio dopo pranzo ed i miei ragionamenti alla scrivania non erano durati molto , e poi il Sole era ancora alto nel cielo , era praticamente impossibile che fossero le cinque o le sei , anche perché , se fosse stato così , avrei sentito un assordante ed allegro scampanellare al portone , segno che la Belva voleva avvertire gli ignari ed impauriti abitanti di quella casa del suo ritorno dal suo ultimo primo giorno di scuola alle medie .

Ma non ci fu nessun rumore provenire dall’esterno simile a quello di una piccola campana squillante , né una voce acuta e stridula che urlava salutando me e Fernando , come al suo solito , e perciò decisi di rimettere la corona a posto prima che qualcuno aprisse la porta con la chiave di riserva di ogni stanza , una malefica trovata del nostro amato maggiordomo , “con il cervello che ti ritrovi , ti perderesti anche la strada di casa” , mi rimproverava sempre , ed io facevo spallucce ed annuivo ironicamente .

Altrimenti gli ricordavo di quella volta che si era dimenticato di ritirare il suo bucato dalla terrazza ( lui non lava mai le sue cose insieme agli indumenti miei e di Katy , e non c’è bisogno di un maggiordomo attento per capirlo ) per via del diluvio che si stava abbattendo contro la nostra amata città , “è un temporale passeggero , passerà tra non meno di dieci minuti” , ed infatti il tifone è durato quasi ventiquattr’ore , col risultato che dovetti prestargli tutti i miei vestiti più larghi e più virili , facendolo diventare da posato maggiordomo a un irriverente Charlie Chaplin versione funky , uno spettacolo da mal di pancia per le troppe , incontrollabili risa .

Non dimenticai mai quel giorno e tuttora , quando mi accusa di sbadataggini e sviste varie , glielo rinfaccio , e lui non può far altro che abbozzare e considerarsi , almeno qualche volta ogni tanto , sconfitto dalla perfidia della sua padrona di casa .

Negli ultimi tempi , però , soprattutto per via dei vari appuntamenti a cui Michael mi aveva invitata , notai che Fernando , californiano della specie più verace , uno di quegli uomini tutti d’un pezzo , che conoscevo addirittura da quando misi per la prima volta piede nella casa di mio padre , una persona di famiglia , insomma , alcune volte anche un prezioso confidente ed un amico sincero , sembrava come … Si , sembrava che gli piacesse essere preso in giro da me .

Un fenomeno inspiegabile , certo , ma esistente .

Tuttavia , non mi ci soffermai molto , il mio maggiordomo , per me , era sempre stato un individuo difficile da capire , valeva anche la situazione contraria , e perciò vivevamo sopportandoci a vicenda , da più di trent'anni .

Nel preciso momento in cui la mia mente lasciava perdere certi pensieri inutili , come quello dell’Impiccione Permaloso , stavo rimettendo a posto la coroncina nel cassetto , facendo attenzione ai tappi della Coca Cola dai bordi taglienti , che non aspettavano altro di scalfire la sua superficie dritta e liscia : fu in quel nano secondo , uno spazio di tempo veramente misero e insignificante rispetto a tutto quello che avevo passato ad osservare il brillante monile , che un raggio di luce arrivato all’improvviso dalla finestra con le ante socchiuse e le impalpabili tendine rosa confetto raccolte ai lati con delle invisibili cordicelle , illuminò la parte posteriore della coroncina , nella quale non c’erano le minute file di diamanti , ma solo freddo e liscio oro , svelando ai miei occhi ancor più spalancati , i quali stavano per uscire dalle orbite per mezzo di una molla tirata fino all’estremo del bulbo oculare , una zona in cui la luce cadeva in modo diverso dal resto della superficie dorata , formando delle onde sottili , dalla forma indistinta ma ordinata , sembravano delle …

Sì , era proprio così , quelle leggere ondine sembravano … Delle parole .

Pensai per un attimo di ritrovarmi con gli occhi nel cassetto e con la mascella all’altezza del collo , ma per qualche strano motivo , quando provai a sbattere le palpebre ed a muovere la bocca come farebbe un pesce senza ossigeno nelle branchie , i miei connotati non si erano alterati , così come il resto del mio corpo .

Neanche la sensazione di fantasmagorico stupore non mi aveva abbandonata , anzi , in quel momento raggiunse l’apice della sua grandezza .

Rimasi per un bel po’ di tempo lì , in ginocchio davanti al cassetto aperto , gli occhi puntati sulla coroncina che tenevo tra le mani tremanti , sembravo ipnotizzata da quel gioiello , così semplice e piccolo , eppure così sconvolgente .

La mia mente non seppe più cosa pensare nell’arco di ben due minuti , e la mia bocca la assecondava , insieme al resto del mio corpo , completamente immobile , come una statua di marmo .

Finalmente , dopo un tempo che mi sembrò interminabile , qualcosa di indistinto si mosse in me , provocando nel mio corpo un lento risveglio , dovuto forse alla forza di reazione che ogni tanto fuoriusciva dal mio essere più profondo nelle situazioni più strane ed immobilizzanti , esattamente come quella in cui ero incappata , e che mi dava la forza di reagire , almeno per evitare brutte figure di fronte ad altri .

In questi altri , però , non vi era compreso Michael .

La forza , forse , era impotente di fronte alla sua innocente , e soprattutto sconvolgente , bellezza .

Fatto sta che di fronte ad un oggetto come la corona regalatomi da lui , la misteriosa forza di reazione ci mise un po’ per ristabilirmi del tutto , ma per fortuna andò tutto bene e con un po’ di ruggine alle articolazioni ed i sensi ancora un po’ appannati , riuscii a muovere impercettibilmente le dita della mano destra , nelle quali vi era posata metà del ciondolo , poi fu la volta della sinistra e la corona si mosse piano piano , mandando un altro affilato fascio di luce ai miei occhi , che cominciarono a sbattere lentamente : all’inizio vidi solo ombre sfocate e opachi lampi di luce , poi riacquistai appieno la vista e dopo aver collaudato ancora le palpebre , constatando che funzionavano bene come prima , abbassai lo sguardo per osservare ancora il monile che mi aveva sconvolto la vita .

Era immobile , piccolo e freddo , impotente di fronte alla mia persona , il quale lo comandava , in un certo senso .

Perché , infatti , avrei dovuto aver paura di un normalissimo ciondolo ?

Sulla sua superficie c’era inciso sicuramente un messaggio per me , molto importante e che avrebbe certamente influenzato la mia vita futura come mai nessuna persona od oggetto avrebbe saputo fare , ma allora , prevedendo tutti i possibili sviluppi della vicenda , perché non provavo dentro di me un senso di ansia e di inquietudine ?

Dovevo essere spaventata , attonita , confusa , ma stranamente , un attimo prima , tutte queste sgradevoli sensazioni erano scomparse , per lasciar posto ad una nuova forza , che attraversando il tragitto che va dal cuore fino alla bocca , uscì dalle mie labbra sotto forma di una inaspettata minaccia .

“Va bene , dolcezza , se questa è una sfida …”

“…Allora hai tutto da perdere .”

Mi misi immediatamente una mano sulle labbra , stupita da quello che le mie instancabili mascelle s’erano lasciate uscire , come al solito non ero riuscita a frenare la lingua e quella esplicita intimidazione era indirizzata all’unica persona su tutta la faccia della Terra che non se la meritava , ovvero il piccolo Michael .

Certo , era riuscito a farmi incavolare non poco , per via di tutti quei segreti non detti , le inaspettate rivelazioni che ogni giorno mettevano alla prova il mio povero cuore , facendogli sfiorare per un pelo il settimo cielo del Firmamento , le improvvise sparizioni , delle quali non sapevo il motivo e di cui lui non parlava mai volentieri , le sue varie preoccupazioni che facevano star male anche me , ma , dopo ventuno anni di dure battaglie e di speranze sorte dalle ceneri del dolore che provai in quel periodo e di successi interplanetari , premi e riconoscimenti a raffica , accuse infondate , verità celate ingiustamente dai viscidi tabloid che popolavano la giungla del gossip , non avrei mai cambiato la mia opinione su quell’angioletto indifeso , che io , una semplice ragazzina all’epoca dei fatti , mi ero ritrovata prima di tutti a proteggere .

Successivamente erano giunti altri nuovi Angeli Custodi dell’Angelo , persone meravigliose e speciali , alcune delle quali ho avuto la fortuna di incontrare e di ricordare , che hanno , in tutti i modi a loro possibili , aiutato e sostenuto Mike nei momenti più difficili della sua carriera .

E lui , in qualsiasi istante della sua vita fino ad allora , al contrario di molti suoi colleghi ubriacati dal successo e esaltati dalle emozioni estreme che però la musica ed i fan non potevano dare , ha sempre riconosciuto la loro amicizia disinteressata nei suoi confronti , ricompensando il loro affetto come meglio poteva e come si meritavano .

Allora lì pensai che stava facendo lo stesso con me .

Voleva ringraziarmi come mai si era permesso di fare in tutta la sua tormentata vita , in una maniera alquanto sconosciuta alla mia mente e decisamente infondata per coloro che non sapevano dell’accaduto di tanto tempo prima .

Forse la sorpresa era così segreta che non doveva , e soprattutto , poteva sapere nessuno di essa ; nessuno , nemmeno i membri più stretti della mia famiglia .

Fui presa da un moto di incredula speranza : dopotutto , se la piccola coroncina che tenevo ancora tra le mani tremolanti e instabili era una anticipazione della sorpresa , allora essa non doveva essere molto lontana !

Quella affermazione mi diede così sollievo che tirai un lunghissimo sospiro , secondo le mie abitudini , e mi sciolsi dolcemente sul pavimento di marmo freddo della stanza , per fortuna coperto da un soffice e grande tappeto di lana grezza , a prova di congelamento per i miei poveri piedi nelle notti più fredde , i quali rimangono ghiacciati dal suono della sveglia fino all’ora di pranzo , e questo in ogni stagione dell’anno , estate od inverno che sia .

Finalmente rilassata dopo le mie estenuanti escursioni mentali , volsi la testa a sinistra , seguita dal resto del corpo , mi stiracchiai per bene ancora una volta e mi portai il ciondolo davanti agli occhi , fissandolo estasiata , col sorriso sulle labbra .

“Non so più cosa pensare su di te … Michael .

Stavolta hai proprio passato il senno , ma ti giuro che scoverò questo mistero .

Non ce l’ho con te , non preoccuparti … Sono solo curiosa di sapere in cosa consista la tua fantastica sorpresa ."

Cominciai a rigirarmi distrattamente la coroncina tra le mani , come un gattino indifferente di fronte ad un gomitolo di lana che tiene tra le zampe solo per passare il tempo , mentre pensavo a cosa fare per mandare avanti le indagini .

Sospirai , esausta e un pochino alterata .

"Ho bisogno di qualcosa per leggere cosa diamine c'è scritto qui ."

Girai il ciondolo in modo da osservare più da vicino la scritta misteriosa e socchiusi gli occhi , avvicinandolo di più alle scure pupille circondate da un mare bianco e pensieroso .

L'incisione era minuscola , e nonostante la vista d'aquila che possedevo era illeggibile , si distinguevano soltanto quattro piccoli gruppetti divisi tra di loro da un piccolo spazio : pensai che con molta probabilità la nuova dovesse essere lunga più di una parola e perciò poteva anche essere una frase di senso compiuto .

Fui presa da un altro attacco di sospiri , i miei fidati amici che non mi abbandonavano mai , e conclusi mestamente che senza una lente d'ingrandimento , anche se piccola e completamente scassata , non avrei risolto nulla .

Stavo giusto per alzarmi dalla mia rilassante posizione quando sentii il trillo del telefono posizionato sul Comodino dei Segreti vicino all'abat-à-jour di pizzo rosa che inondava con la sua fastidiosa vocina la mia accogliente cameretta , prima serenamente silenziosa come la baia sul Pacifico d'inverno , completamente deserta .

Prima di passare per una strega maleducata , come molti mi appellavano ma con possesso di prove assolutamente infondate , mi alzai in tutta fretta e mi misi comodamente in ginocchio , i gomiti appoggiati al comodino , la cornetta tra le mani che portai con un gesto velocissimo all'orecchio destro .

"Pronto , casa Villa ?"

Chi parlava dall'altra parte del filo era la voce di una donna , dal tono formale ma rassicurante , mi ricordava qualcuno , ma al momento non mi giungeva alcun nome in mente , quindi mi limitai solo ad annuire , una punta di insicurezza nella voce , come tutte le volte che dovevo rispondere al telefono e non riconoscevo la voce del mio interlocutore .

"S-si , salve , sono Fiordaliso ... La padrona di casa ."

Già , cominciamo proprio bene , Fiordaliso .

Potevi dirle che eri la governante , le governanti non si prendono mai la responsabilità di nulla , magari è successo qualcosa di terribile a scuola e la Madre Superiora ha fatto chiamare a casa per avvertirti del fattaccio .

Santa Caterina , non oso pensarci ...

"Si , so chi è , signora Villa .

Visto che vi sento un pò in difficoltà , forse perchè non è riuscita a riconoscermi , mi presento , sono Lily Shepard ... La madre di Sandra , si ricorda ?"

"Oh , ma ecco chi eri , non ti avevo riconosciuto , sai com'è , al telefono le voci si alterano terribilmente , scusami tantissimo , Lily !

Ah , comunque , buonasera !"

Per la foga che si abbattè sul mio cervello e che in un baleno raggiunse anche le altri parti del corpo , in preda ad una una reazione a catena , schizzai entusiasta dalla mia posizione genuflessa , per poi ritrovarmi in piedi , diritta davanti al Comodino dei Segreti , con la cornetta del telefono incollata all'orecchio , ed il resto dell'apparecchio , immobile sul misurato banco di legno traballante per l'improvvisa scossa .

Per fortuna in camera avevo fatto istallare un cordless , altrimenti con la mia scenata di euforia mi sarei tranquillamente trascinata dietro il resto del telefono e parte del comodino ( una volta mi sono incollata alla caviglia una poltrona del soggiorno , un'esperienza che non intendo ripetere per alcun motivo al mondo ) , ma per fortuna Lily non se ne accorse .

Però sembrava lo stesso perplessa .

"Oh , buonasera ... Fiordaliso . E non preoccupatevi per così poco , in fondo ci siamo viste poche volte , non potete ricordarvi di me così nitidamente ."

"Già , anche se i volti di molte delle persone che incontro mi rimangono ben fissati in testa , chissà perchè , con te non è stato lo stesso ...

Vabbè , di cosa volevi parlarmi , è successo qualcosa a scuola di Katy ?"

Naturalmente il mio apprensivo cuore di mamma non poteva pensare a nulla all'infuori delle condizioni della sua unica bambina che non si presentava ancora davanti al portone di casa come tutti i pomeriggi dopo la scuola , raggiante e con un bellissimo sorriso a trentadue denti dipinto in volto , ma conoscendo la piccola Sandra Shepard , l'amica più dolce e fidata che mia figlia abbia mai avuto nei suoi lunghi tredici anni di vita , capii che tutto stava andando per il meglio , Sandy era una brava ragazza , acuta e soprattutto benestante , con lei al fianco di Katy potevo star sicura al centoventi per cento dell'incolumità di entrambe .

Comunque chiedere non guastava .

"Ma no , cosa andate a pensare ... Fiordaliso ... Vostra figlia sta benissimo , è qui con Sandra , cioè , non sono qui vicino a me , ma in soggiorno .

Fanno un baccano tremendo , insieme ."

Rise nervosamente , con l'intento di rassicurarmi , inutilmente : la sua risata assomigliava a quella di un lama con la tosse ma scacciai subito questo inopportuno pensiero e finalmente sollevata dalla sua buona notizia , la ringraziai calorosamente , alla mia vecchia maniera .

"Oh , davvero ? Ma è bellissimo , sono davvero contenta per loro due , salutamele da parte mia e dì a Katy che ..."

Non feci in tempo a finire la frase e la causa fu per me orripilante : mentre rispondevo alla gentilissima mamma di Sandy , il mio sguardo vagava per i diversi oggetti e le cianfrusaglie più strampalate che popolavano la mia camera , fino a che i miei occhi non si posarono sul Comodino dei Segreti con il cassetto ancora aperto e la chiave nella toppa , per poi risalire pian piano alle mie mani dove un istante prima si trovava la coroncina di diamanti che brillava incessantemente dal momento in cui la tirai fuori dalla sua prigionia forzata .

Solo che quando andai a curiosare la coroncina era scomparsa .

Fui subito assalita da un attacco di ansia spaventoso : cavolo , una delle poche volte che il dolce e premuroso Michael mi regalava un gioiello così bello e ben fatto come quella corona di brillanti che la sottoscritta non perdeva tempo a farlo volare fuori dalla finestra , come se fosse l'oggetto più banale del mondo , mentre invece vale più di tutti i miei averi materiali e morali , e per giunta dovevo ancora decifrare il messaggio inciso sulla sua superficie , e se non l'avessi fatto nel giro delle prossime quarantott'ore Michael non mi avrebbe più guardata in faccia per il resto dei miei giorni !

Dovevo fare qualcosa , e subito .

Presa da un moto di avventurosa ansia , mi gettai sul liscio pavimento di marmo , per poi intrufolarmi tra le polveri secolari e terribili del letto , percorrendo tutto il tragitto che andava dalla spalliera fino alla scrivania in un battibaleno , lasciando la povera Lily attonita dall'altra parte della cornetta , che cercava in tutti i modi di richiamarmi in appello .

"Fiordaliso ? Fiordaliso , c'è qualcosa che non va , non vi sento bene , è successo qualcosa ?"

"Oh , ma non preoccuparti per me , tesoro , sto benissimo , sto solamente cercando ..."

Diamine , che cosa sto cercando ?

"Cosa ?"

"Sto cercando ... Ehm , un orecchino , si , mi è caduto da qualche parte sotto il letto e non riesco a trovarlo , ma tu guarda proprio adesso , e per giunta è minuscolo !"

Brava , Fiordaliso , se volevi rassicurare Lily Shepard , la moglie del banchiere milionario più famoso di tutta la West Coast oltre che la donna più diffidente a questo mondo , ci sei riuscita alla grande .

Per fortuna che la mia situazione rendeva l'idea .

"Oh , mi dispiace davvero tanto , Fiordaliso , una volta è capitato anche a me , sai , però io non ho fatto tutto questo trambusto per trovarlo ."

Forse perchè io ho solo due braccia ed un maggiordomo permaloso che non ti aiuta neanche se lo paghi profumatamente , mentre tu venti braccia in più e la tua voce straziante che gli detta ordini ?

"Oh , beh , ma la mia stanza non è certamente come la tua , perciò ci metto un sacco di tempo per trovare ciò che mi serve !"

"Ah , capisco ..."

Mentre la gentilissima signora Shepard mi teneva occupata al telefono lodando le varie capacità e le splendide attitudini che i suoi figli possedevano , naturalmente paragonandoli alla mia piccola Katy , io cercavo disperatamente la corona , che nemmeno dopo cinque minuti buoni di conversazione incallita ed estenuanti ricerche , era saltata fuori dai meandri della mia immensa stanza .

Col cuore in gola , pensai subito alle meste sofferenze che la mia sbadataggine avrebbe causato : a quel punto la sorpresa sarebbe volata via come un palloncino sfuggito dalla mano di un bambino poco attento ed non avrei potuto più far nulla per cambiare le cose .

Pensavo volontariamente di andar a chiedere scusa a Michael in ginocchio , come la mia condizione di stupida distratta imponeva , e conoscendolo , sicuramente lui avrebbe capito e non ne avrebbe fatto una immane tragedia , anche se "immane tragedia" era un misero diminutivo , quando un vivido bagliore proveniente da sotto l'antica scrivania mi avvisò che avevo finalmente ritrovato il fantastico oggetto dei miei affanni .

Mi precipitai velocemente verso di essa , sempre gattoni come un neonato curioso , la cornetta ancora appiccicata all'orecchio destro ed il cuore a mille , che si placò dopo che ebbi tra le mie mani la fatidica coroncina , così felice che per un momento non seppi più controllare le mie azioni e la mia voce .

"Evvai , l'ho trovata !"

"Eh ? Che-che è successo , Fiordaliso , state bene ?"

"Oh ... Eh , no , no , è tutto a posto , veramente , ho solo ritrovato l'orecchino , vedi , quando ritrovo qualcosa che mi sta particolarmente a cuore e che ho maledettamente perso , sono al settimo cielo , e perciò ... è successo questo !"

Mentre tentavo di dare delle spiegazioni plausibili alla signora Lily , mi alzavo in tutta fretta dal pavimento gelato sul quale avevo strisciato per quasi dieci minuti e mi riassettavo per bene gli abiti che avevo indosso , completamente ricoperti di polvere in ogni centimetro , dandomi dei sonori schiaffi in tutta la superficie del mio corpo coperta da tessuto , facendo preoccupare non poco la Shepard , che giustamente non era abituata alle mie strane abitudini , o semplicemente non si era mai abbassata sulle ginocchia per recuperare qualche piccolo oggetto caduto involontariamente sotto una poltrona o sotto il letto , ma conoscendo la gentile ed educata Lily Shepard era più fondata la seconda .

Tuttavia , dopo che ebbi ritrovato il mio piccolo tesoro , non vedevo l'ora di rimetterlo al sicuro nel suo bel Cassetto , chiuderlo con tre giri di chiave , e cominciare la ricerca di uno strumento che mi avrebbe aiutato tantissimo nella decifrazione del messaggio sul monile , così liquidai gentilmente Lily , raccomandandole la mia bambina e salutandola cortesemente , neanche fosse stata Lady Diana in persona , e dopo svariate cerimonie e riverenze da parte sua , riattaccai , ed esausta mi lasciai andare tra i morbidi cuscini leopardati e la trapunta coordinata del mio letto a due piazze , decisa a prendermi una pausa prima dell'inizio della ricerca .

Anche se ormai si era fatto tardi , forse erano le cinque od anche le sei del pomeriggio , e nessun bravo ed onesto cittadino angelino andava tranquillamente in giro dopo il coprifuoco , si potevano fare degli indesiderati incontri .

Ed inoltre i negozi chiudevano puntualmente verso l'ora di cena , perciò era inutile cercare una piccola lente d'ingrandimento fuori dalla mia accogliente dimora , anche se in essa scarseggiavano mestamente qualunque tipo di tale oggetto : nessuno della nostra famiglia , infatti , collezionava francobolli , o gioielli , o qualunque altro che potesse essere minuscolo .

Sospirai ancora , mettendo le braccia dietro la nuca ed osservando il lampadario spento della mia camera , un'ombra di pizzo rosa che oscillava pacato , impercettibile ai miei sensi : con ogni probabilità potevo trovare una lente in un negozio di oreficeria , lì ne hanno di tutte le tipologie e non penso che si arrabbino tanto se gli chiedo gentilmente di prestarmene una piccola per , ecco ... esigenze personali ?

Mh , no , non andava bene , troppo scontato .

Allora potrei dire ... No , anche questo non va bene .

Oppure ...

Non feci in tempo a finire la mia nuova idea che un sonno riparatore si impossessò di me e dei miei sensi , trascinandomi in un luogo in cui le preoccupazioni , i dolori , i misteri , erano solo fatti degli umani e non dovevano attraversare la barriera onirica .

Purtroppo , per una donna come me , non era mai stato così .

Ed anche i sogni se ne accorsero , in un modo o nell'altro .

 

 

Ohilà , ragazze e bimbe di tutte le età , bentornate ancora una volta sul mio capolavoro !!! ( Diffidate delle imitazioni !! xDDD )

Bene , visto che non ho molto tempo e vorrei che voi leggeste subitissimamente questo mio nuovo capitolino , innanzitutto vi chiedo infinitamente scusa per avervi fatto aspettare per così tanto tempo , purtroppo c'avevo da fa , e non mi era permesso toccare il computer nemmeno con un capello ,ergo , vi chiedo ancora scusa !!! ^^

Oh , poi devo spiegarvi quell'asterisco che ho messo all'inizio : è lo stesso nome del convento dove si era imbucata la grande Deloris in Sister Act , ve la ricordate ??? *-*

Ah ed un'altra curiosità : avete presente la scena in cui la nostra Fiordaliso mangia delle caramelle gommose a forma di panda , stesa sul letto ?? Ecco , per quella scena mi sono ispirata alla più famosa di Death Note , in cui il piccolo Ryuzaki , deciso a scoprire il segreto del Quaderno , mangia ( e spezza , anche !! xD ) dei biscottini a forma di panda , appollaiato però sulla sua mitica sedia girevole ( non so voi ma in quella scena è particolarmente sexy !! *O*)

Naturalmente alcuni di voi conosceranno questo bellissimo manga ed i suoi personaggi  , ma dirlo non fa male a nessuno !! =)

Come al solito però non poteva mancare la mia usuale Bad Question , e visto che Halloween si avvicina ed il prossimo capitolo parlerà proprio di questo terrificante giorno , io volevo chiedervi , Tesore Mie : quale sarà la vostra maschera per la Thriller Night ?? Mi raccomando , rispondete eh , la Regina vuole sapere !! *-*

 

Bene , adesso , visto che come vi ho già detto , rispondo subito subito alle vostre recensioni , vi saluto e poi tolgo il disturbo , tranquille !!! ^-^

Come ho fatto anche l'altra volta iniziamo dalla più piccina , ovvero Annie o , come si chiamare ,  :

Dolcekagome : mazza ma quanto sei impaziente , dolcezza , ecco , adesso aggiorna , mamma mia !! xDD

Ecco , per quanto riguarda il mio carissimo amico milanese , mi piacciono i Promessi Sposi ( se li leggi e ba , perchè sennò so un inferno , altro che Dante !! O_o ) ed Il Cinque Maggio , non so perchè ma quel tipo mi sta simpatico , dimme che so 'na scema , malata de mente , ma è così !! :D

Devo dire che però hai intuito : la storia tra Katy e Joe subirà vari cambiamenti nel corso di ... Un anno esatto , ecco , ti dico un po' di curiosità , così fai la brava ed aspetti il nono capitolo senza mandarmi a quel paese alla peggio maniera !!! xD

Eheh , la storia mi ricorda tanto quella di un certo Inuyasha con una certa Kagome , tu li conosci ?? *_*

Per quanto riguarda l'Oggettino Misterioso ti ho già detto tutto , perciò ti saluto e mi raccomando ...

Statte carma !!! ^^ ( Lo dico con affetto , eh !! =) )

Monyprincesslovett : bene cara , io non so quanti anni hai , ma ti ho messo nel gruppo delle cucciole , spero di non aver sbagliato !! xD

Ahahaha , ho pensato a te quando ho aggiornato sai ?? In fondo avevi lasciato una recensione sul sesto il giorno prima che io postassi il settimo e quindi te li ritrovi tutti e due in una volta sola , che bello eh ?? ; )

Comunque io non ti considero una matta , ho pensato esattamente la stessa cosa , ergo , anche l'autrice è una fori de mente !!

Spero di aver risolto il mistero del Gioiello Misterioso ... ehehe , tranquilla , non succede nulla , in fondo qualcuno non l'ha nemmeno confessato , ergo hai fatto bene a dirmi che non lo sapevi  , sei una grande !! *_*

Ihihihi , mi raccomando , stai calma quando incontri qualche descrizione di Michael così , altrimenti potresti andare fuori di testa !! ( o forse è già successo ?? xDD ) ah e poi successivamente ci saranno altre scene più , ehm ...esplicite ?? Non ti dico altro sennò mi lascio sfuggire tutta la storia , ma penso che tu abbia già capito no ?? *çç*  tanti saluti e buona lettura !! =)

 

Bene , dopo le Cucciole è la volta delle Bambole , ovvero le nostre due universitarie ^^ :

eclispenow : che come al solito mi ha lasciato delle recensioni omeriche , ma quanto scrivi cara , me c'è voluto un secolo per leggere tutto !! xD

A parte gli scherzi però , a me piacciono tantissimo le recensioni lunghe lunghe , ti caricano al massimo , e questo non smetterò mai di dirlo nemmeno dopo la fine della storia !! ^^

Ehehe , ma io sono fatta apposta per non far dormire le mie fan di notte , sono o non sono una Regina Lunatica ??? Oh , c'è così tanto da dire su quell'angioletto , nessuno si placherebbe alla sua vista fuori dal portone di casa , nemmeno una vecchietta tutta raggrinzita !! Beh , a Fiorellino glielo permettiamo , lei è ancora relativamente giovane , ma con gli ormoni in subbuglio peggio di una sedicenne !! XD ( a parte che quando scrivo devo prendermi ventimila volte qualche ricostituente forte , non ce la faccio a continuare sennò ... °çççç° ) Per il prof mi sono ispirata ad un altro sex symbol americano , degli anni '50 però , ( e da quando Michael è un sex symbol ?? O_o NdTutti ) da quando lo dico io , okay , ed ora fatemi continuare , dunque dicevo , mi sono ispirata ad un altro bel tipo , di nome James Dean , ed a un affascinante prof di informatica che ho incontrato nel numero 25 ( ma tu guarda un po' .... T.T ) di Witch , un mitico fumetto che ho amato e che continuo ad amare ... ( W Will !!! *_* ) comunque cara , io non mi annoio a leggere le tue recensioni , altrimenti non ti risponderei così , no ?? =) per quanto riguarda il tuo paesino di provenienza , beh , ti ho già risposto , ergo , ti faccio tanti saluti e ti auguro tanta buona fortuna per ogni cosa , arrivederci , Bambola !! **

LaDiavolessa : Oh , mamma ,Ale , scusa se ancora non ho recensito gli ultimi due capitoli , ma in questi ultimi tempi sono veramente molto occupata ed ho fatto in tempo a leggere solo l'ottavo ... mamma che bollori , Bambola , complimenti e W il Sorcone !!! *ççç* ti ringrazio per avermi ricordato nei ringraziamenti , sei una grande , ti voglio bene ... ^^ eheh , il Trio non si batte , ma ben presto sarà dura mantenerlo unito e saldo , non voglio anticiparti nulla , ma sono fatta così , ad ognuna di voi regalo un omaggio della casa , quello che capita , capita , ergo , non prendertela con me , io non centro nulla !! ù_ù

Oh , cara , ma anche tu hai frequentato il Liceo Classico ?? o_O io sto in quinto ginnasio .... *-* mazza però che strazio sta settimana , versioni  , compiti in classe , interrogazioni ...-.-"

beata te che fai l'università , guarda , io non vedo l'ora !! xD vabbè , buona fortuna con la tua splendida storia , ci vedremo ,tranquilla , io ci sono sempre !! =)

 

Aaaaah , e finalmente posso postare ed andare a nanna senza un'altra preoccupazione , che bello , aaah ... *_*

 

ò__ò ????

 

Un momento , ma all'appello manca qualcuno ...

Ehm ..

Orsetta !!! ^^

A dir la verità l'ho fatto apposta , volevo ringraziarti separatamente , sai com'è , lei , signorina , è il mio modello , la Super Messaggera del Sorcone , cioè , con lei devo avere un minimo di formalità mi capisce ?? ù_ù

Anche se te lo dico praticamente tutti i giorni ed ormai ti sarai stancata a morte xD ,volevo dirti , grazie ...

Grazie per tutto quello che mi hai detto e provato in questi ultimi giorni , grazie per le varie chiacchierate , le sparlate , le espressioni dialettali tipiche da entrambi le parti ( la cazzima eh ?? xDD e Sorco , naturalmente ... °ççç° ) , le varie discussioni , talvolta anche su argomenti seri e pesanti , insomma , grazie di tutto Orsola , ti voglio bene e te ne vorrò sempre !!! *-*

Per le altre : io ed Orsetta , non abbiamo una relazione , d'accordo ??

Siamo entrambi etero praticanti !! XDDD

 

Per finire , vorrei ringraziare anche la mitica Ambra , alias Eutherpe , che un giorno di questi mi ha promesso di recensire tutti i capitoli che non ha letto ...

Prenditi tutto il tempo che vuoi , Ambrina , tanto io non mi muovo di qui  e nemmeno la storia se è per questo !! xDD

Tanti saluti ed auguri , Bambola !! ^^

 

Oh , adesso che ho risposto a tutte voi mi sento meglio e pronta ad aggiornare , ergo , ringrazio anche coloro che hanno letto in silenzio , che sono veramente tanti , tutti coloro che mi hanno aggiunto ,sia come autrice che come storia , ai preferiti , e tutti coloro che la seguono , vi auguro il meglio , e tanta fortuna nella vita !!! ( per me non stata la stessa cosa , è da due giorni che c'ho il mal di gola ,che dolore !! T_T )

 

Buonanotte e arrivederci al prossimo capitolo , il mitico numero Nove !!! ^^

 

 

 

 

 

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Capitolo 9
*** Halloween(Anche i vampiri hanno un cuore-Prima parte) ***


 

                                  Halloween

 

 

      (Anche i vampiri hanno un cuore-Prima parte)

 

 

 

 

“Uffa , che coglioni !”

Una ragazzina di colore dalla vivace parlata e dall’aria alquanto stizzita , strinse la penna a sfera nel pugno della mano destra , quasi come a voler trasferire in essa la ribollente rabbia contenuta nel suo corpo , ed abbassò torva lo sguardo verso le varie scartoffie ricolme di ambigui scarabocchi che da meno di un’ora , cioè da quando quell’Ignobile Ratto di Fogna del Nord , altrimenti definito semplicemente dalla annoiata ragazza , stronzo , aveva preso possesso , per la seconda volta in quel lungo giorno , della tranquilla aula in cui insegnava , costringendo sia lei che gli altri suoi seccati compagni , ad una estenuante lezione teorica sulle equazioni di primo grado , popolavano il suo banco , più simile a quello di una stilista pazza che ad una comunissima e disordinata scrivania da studentessa creativa .

Il tedioso argomento era segnato nel programma di quell’anno , ma il nuovo arrivato non aveva perso tempo a spiegarlo ai suoi attenti alunni , uno più sveglio dell’altro , soprattutto dopo due interminabili ore di inglese , nella quale era stata decimata metà della classe , per perenne mancanza di volontari , o per sciopero da parte dei classici secchioni : tra la prima categoria c’era anche la nostra ragazza , la quale si era difesa abbastanza bene davanti alla Cattedra Maledetta servendosi della sua inconfondibile parlantina e riuscendo , con questa potente arma , ad illudere la severa professoressa , beccandosi una bella B .

Era stata la più brava degli interrogati e ciò le dava una sensazione di meritata superiorità , sia sui vari asini che brulicavano nella classe , sia sugli altri insegnanti , i quali erano sempre stati convinti che l’inguaribile indole ribelle della ragazza non le avrebbe mai permesso una discreta sufficienza in qualsiasi materia , portandola perciò alla stessa , irraggiungibile altezza dei più bravi della sezione e guadagnandosi anche frecciate velenose delle biondine cotonate della prima fila , le quali miravano da ormai tre anni alla aurea A , ma per colpa della loro natura svogliata e superficiale , votata alla pigrizia più assoluta , questa possibilità per loro rimaneva un anelato sogno .

La nostra ragazza , non avendo alcunché da desiderare e nessuno da comandare , provvista solo di una smemorata e irresponsabile madre , nonché di un testardo e permaloso maggiordomo , per giunta un tipo all’antica e Maniaco dell’Ordine Casalingo , non sprecava il suo già limitato tempo ad oziare e sapeva far fruttare moltissimo una mezz’ora libera dagli impegni quotidiani , avvantaggiandosi così con i doveri scolastici .   

Quindi , dopo quel momento di assoluta gloria , meritata ,  naturalmente , e sofferta , la ragazza aveva deciso di concedere la rimanente giornata scolastica alla totale inerzia , sia fisica che mentale : per questo non le interessava nulla di ciò che il giovane professore stava minuziosamente illustrando alla scolaresca , convinto e valoroso , come ogni volta che provava l’ebbrezza di parlare su nuovi argomenti ai suoi studenti , delle proprie impareggiabili doti di pedagogo e della grande fiducia che gli alunni riponevano in lui .

Ma questa tesi , per la ragazza , era tutta da verificare .

Infatti a lei , quell’insegnante di matematica , venuto fresco fresco dall’industrializzato e civilizzato Nord , oltretutto da Chicago , una delle città degli Stati Uniti che odiava di più , forse per il clima , troppo rigido e noioso per chi come lei era insofferente alle basse temperature .

Forse per il triste panorama lacustre , che non creava la stessa magica atmosfera del suo amato Oceano , ma anzi contribuiva a rendere la metropoli più sonnolenta di quanto già in realtà fosse .

Forse perchè le zone residenziali più abbienti non potevano essere paragonate in nessun modo a quelle site sulle ricche colline di Encino , né tanto meno alle strambe abitazioni di Beverly Hills , la sua casa da ormai dieci anni , lo odiava dal primo giorno in cui aveva messo piede in quel dannato istituto , costringendola , con una silenziosa ed irriverente proposta , la quale aveva anche categoricamente rifiutato , ( ma da parte di quel viscido individuo era possibile qualunque pensiero , anche il più assurdo ) ad una massacrante ed infinita convivenza forzata .

Ne era una delle tante prove schiaccianti quella lezione , nella quale entrambi per il disagio si sentivano più attenti e turbati degli altri sfaccendati ragazzi , e che stava lentamente e fortunatamente scemando in un assolato pomeriggio d’autunno inoltrato .

Tra non molto ci sarebbero stati altri giorni di meritata vacanza , passati a divertirsi sulla famosa baia della città , danzando intorno ad un falò appiccato per la singolare occasione che lentamente si avvicinava .

Infatti , in quella infuocata rete di lunghi viali e sconosciute viuzze , nella quale anche i sotterranei erano infestati da binari fitti e senza fine , sovrastati da una giungla di grattacieli che si stendeva per chilometri e chilometri tra il vasto e afoso deserto ed il gelido oceano , il quale era l’unico punto di refrigerio per gli angelini nella rovente stagione estiva , l’inverno tardava ad arrivare o talvolta la primavera prendeva il suo posto .

Una delle scuse che tirava fuori più spesso riguardava i trasporti pubblici : aveva perso il treno giusto ed era in immane ritardo .

Perciò quando bussava alle porte dell’estate per chiederle se poteva entrare , l’estate gli rispondeva :

“È ancora presto per venire qui , tesoro . Riprova a dicembre e sarai più fortunato !”

Ormai , quindi , nella calda Città delle Stelle si preannunciava un inverno come i precedenti : mite e fresco , con temperature non molto basse , e piogge leggere , scandite ogni tanto da una grandinata rinfrescante , ultimi spiragli dell’estate che volgeva tristemente al termine , come ogni noioso anno .

Anche se , per molti , quell’inverno sarebbe stato il più caldo degli ultimi dieci anni .

Certamente , non dal punto di vista climatico .

 

Oh , merda !”

Il velenoso sibilo diretto ad una precisa persona presente nella sonnolenta aula proveniva dalla incorreggibile boccuccia di Katy , stanca di doversi catturare sguardi languidi ed affermazioni affettuose , che a lei puzzavano tanto di menzogna , da Johnson , il Prof di Matematica più ruffiano ( e soprattutto più stronzo ) che abbia mai incontrato in tutta la sua lunga carriera di scolaretta .

Non la mollava , nemmeno per un minuto buono , sia con gli occhi che certamente anche col pensiero , e durante l’intervallo , quando il caos regnava prorompente per tutto l’istituto e le facce degli scolari si mescolavano a quelle dei loro insegnanti , impedendo loro di riconoscerli tra la calca , Katy sgattaiolava fuori dalla classe , facendosi valorosamente largo nella indistinta e rumorosa massa di nemici e colleghi , per sfuggire ai sospetti corteggiamenti di Johnson , nel posto del quale solo lei conosceva il tragitto per arrivarvi .

L’aveva scoperto due anni prima ; se lo ricordava bene quel giorno ,

era riuscita a sfuggire alle grinfie della prof di Inglese , una tipa tutta pelle e ossa , sempre provvista del temibile paio di occhialetti sulla punta del sottile naso e il classico Chignon da Educatrice , il quale aveva l’aria di non essere mai stato sciolto .

Gli alunni più anziani , ed anche quelli che se n’erano andati dall’istituto meno di un anno prima ed adesso frequentavano il college o lavoravano , o cercavano ancora un impiego stabile , avevano avuto La Prof , appena trasferita da un’altra sconosciuta scuola del Nord , come insegnante di Inglese e Letteratura , per tutta la loro permanenza tra i banchi del Santa Caterina , e , anche se ormai erano passati dieci anni dalla sua venuta , si divertivano ancora a creare delle leggende sulla sua particolare persona , che non perdevano tempo a raccontare ai novellini varcanti la soglia delle scuole medie , terrorizzati dallo sconosciuto ambiente che si trovavano a frequentare e subito attratti da particolari aneddoti riguardanti i loro nuovi insegnanti : ad esempio si pensava che La Prof fosse nata proprio con quello chignon in testa , e che non poteva essere slegato per il semplice fatto che i suoi capelli avevano quella naturale forma ; stessa cosa valeva per gli occhialini cerchiati d’oro , elemento immancabile del suo severo abbigliamento , sui quali vennero intessute leggende che vanno oltre il comune immaginario collettivo .

Con quegli occhiali , infatti , nulla poteva sfuggirle : essa era capace di vedere anche attraverso lo spesso libro di testo , posizionato a coprirle di proposito la visuale , a più di quattro file di distanza dalla sua minacciosa postazione .

Inoltre era in grado di interrogarti sull’unico argomento sul quale non ti eri preparato , e , ciò che era peggio , non ti chiedeva altro .

Le bastava un’occhiata per appiopparti una bellissima F ed era molto difficile che mettesse voti più alti di quello : naturalmente se le stavi simpatico dal primo giorno avevi la promozione assicurata , altrimenti ti abbonavi alle insufficienze per un anno intero , senza interessi .

Per prendere una striminzita B rinunciavi al tuo tempo libero , nonché alla tua preziosa vita sociale , assolutamente immancabile per un allegro adolescente frequentante le scuole medie .

Stessa cosa valeva anche per le classi superiori , o meglio , con alcune sezioni si comportava molto peggio .

Insomma , con il suo infallibile potere , La Prof era riuscita nella difficile missione di terrorizzare innocenti ed indifesi fanciulli affidati alle sue cure , i quali , dal loro primissimo compito in classe , non riuscirono più a prendere la vita serenamente , bensì , prima si arrabbiavano con la malefica donna , poi si disperavano con se stessi

, infine si ammutinavano e non combinavano più nulla per tutto il resto dell’anno , sordi alle implacabili grida della Prof , capaci di raggiungere lo stesso , opprimente suono di una sirena della polizia per le vie della città in pieno giorno lavorativo o il fischio di un Concorde che oltrepassa la barriera del suono .

Per tutti quei sette e più anni , regnò il Terrore tra gli studenti del Santa Caterina , ed al momento della festa per il Diploma che prevedeva i ringraziamenti ai docenti , scappavano a gambe levate per non salutare né rivedere mai più il satanico volto della Prof .

Neanche gli altri insegnanti erano più quieti dei loro alunni , e ciò era dovuto anche all’imperiosa presenza della affabile collega , una vera e propria Macchina del Potere , temuta anche dal simpatico Preside dell’istituto , un uomo colto ed aperto ad ogni diversità , sia fisica che sociale , ma non immune alla Prof ed al suo gelido carattere .

Le cose però cambiarono radicalmente quando , alle medie , giunse una bambina molto diversa da tutte quelle che avevano occupato i terribili banchi del Santa Caterina : aveva un visetto piccolo e dolce , e grandi occhi castani , che si intonavano alla vellutata tonalità della sua pelle ed ai suoi soffici capelli di pece liquida .

Era bassa per la sua età , e mingherlina , ma godeva di ottima salute ed anche di una coinvolgente personalità : si chiamava Katherine , come la santa alla quale era intitolato l’istituto .

Anche se di santo non aveva nulla .

E presto tutti i temibili insegnanti della scuola , che fino a poco prima della sua comparsa , erano sicuri di sé stessi , implacabili , senza pietà di fronte ad un ragazzino negligente o eccessivamente ribelle , il quale era ritenuto indegno di frequentare un così pregevole istituto e perciò relegato subito ai meandri della classe , divennero dei docili ed impauriti agnellini , sottomessi ad una nuova ed irrefrenabile tempesta , capace di ribaltare l’intera organizzazione scolastica , prof e preside compresi , in meno di due mesi .

Naturalmente si presero provvedimenti da subito : chiamate a casa dal preside in persona , note disciplinari , sospensioni con obbligo di frequenza , punizioni e sanzioni straordinarie all’orario scolastico giornaliero , divieto di partecipazione a manifestazioni scolastiche od affini…

Ma tutto fu inutile .

Nulla poteva fermare quel tornado che aveva invaso il vecchio e tranquillo istituto in così poco tempo , spazzando nella sua corsa tutto il vecchiume ed il conservatorismo tipico dell’austera educazione ecclesiastica , ritenuta dai docenti e dalle suore del convento la migliore in assoluto .

Katherine , in seguito conosciuta semplicemente come Kate o Katy , non amava molto ciò che le allegre monache professavano agli alunni e lo dimostrava attraverso prove di assoluta furbizia e creatività , idee così innovative tra i ribelli veterani dell’istituto che essi dovettero per forza lasciarle il posto e provar timore nei confronti della scatenata ragazzina .

Una cosa del genere nella storia del Santa Caterina non succedeva da più di quindici anni , cioè dalla fine degli anni Sessanta , e non essendo pronti a questa nuova situazione , oltretutto dopo aver adottato qualunque mezzo possibile per bloccare il cammino dell’Uragano , tutto ciò che gli insegnanti ed il direttore poterono fare era sopportare .

Sopportare ed aspettare il giorno del diploma .

Dopodichè sarebbe tutto finito .

Anche se quei sette anni si preannunciavano più lunghi e travagliati di quanto in realtà fossero e pian piano la minuta speranza del dirigente e dei suoi collaboratori diventava sempre più sottile e precaria .

Niente e nessuno avrebbe potuto salvare la scuola .

Fino a quel fatidico giorno di inizio settembre .

Una busta chiusa e sigillata , capitata sulla scrivania del nuovo preside per caso .

Una azzardata proposta .

Una imprevedibile occasione presa al lazo .

Senza aver considerato stupidamente le conseguenze .

 

“Oh , cazzo.”

“Ma la smetti , una volta per tutte ? In meno di cinque minuti hai detto tre parolacce , una più grossa dell’altra , e per giunta senza tener conto di chi ti sta intorno , né del luogo in cui ti trovi !  E poi , è meglio che nascondi subito quei disegni , ma ti rendi conto di quello che stai facendo , se ti scopre il professore …”

“Se mi scopre il professore sono affari miei ! E poi , non eri tu quella che odiava Johnson , che lo considerava un cafone della peggior specie , uno di quei soliti raccomandati che si presentano a inizio anno davanti il portone della scuola e dicono di venire da un’altra città , mentre in realtà sono parenti del preside o dei suoi fedelissimi colleghi ? Ma si può sapere da che parte stai ?”

“Dalla tua , ovvio , ma secondo me non dovresti prenderla tanto alla leggera , ne abbiamo già discusso e da ora in poi  non te lo ripeto più !”

“Ecco , brava , tieniti le tue idee in mente , non mi servono . So ragionare molto meglio da sola che con il tuo aiuto , è da quando sono entrata qui dentro che mi difendo così , e poi diciamocelo…”

“Tu non saresti mai capace di sfottere un professore .

Sei troppo timida ed ingenua per compiere atti così immorali…

Non resisteresti un secondo nei miei panni .

“Ma…ma stai scherzando , vero ? Co-come ti permetti di dirmi certe cose , tu non mi conosci in realtà , non sai come mi comporto al di fuori della sfera scolastica , non puoi giudicarmi solo da ciò che vedi in superficie !

Una persona può essere molto diversa da come invece ci appare , e…”

“Okay , okay , ho capito , la smetto ! Uffa… certe volte diventi permalosa in una maniera assurda .

Ma come fanno i tuoi a sopportarti tutto il santo giorno ?

“Con il medesimo sistema che adottano tua madre ed il tuo maggiordomo : resistono fino al carico di rottura , che nel loro caso è relativamente basso .”

“Grazie per la chiara e concisa rappresentazione dei miei problemi domestici , ma non pensi sia ora di finirla ?”

“Ben detto , signorina Villa : non pensate che per voi e la signorina Shepard sia vivamente migliore smettere di litigare e di concentrarsi invece sulla lezione , alquanto più utile ed interessante dei vostri scambi di opinioni avverse ?”

“…”

“Oh…Certo . Certo signor Johnson , faremo come ci ha chiesto lei .”

“Molto bene , signorina Shepard , non deludetemi ancora come questa mattina . Spero che lo stesso valga anche per voi , signorina Villa .”

“Ah…Sì , sarà lo stesso pure per me.”

“Molto bene , voi ringrazio . Ora ritorniamo alla nostra lezione .”

 

Al pungente ed urticante suono della campanella le ampie e polverose aule , che fino a quel momento apparivano agli occhi degli estranei mute e docili come grandi cactus che stendono le loro braccia al fastidioso sole , abbandonandosi al suo superfluo calore , si destano dal classico torpore che aleggia nelle scuole private e non verso la fine di una stressante giornata lavorativa e si scrollano via tutta la fatica e la noia delle ore precedenti , riversando nei lunghi corridoi , dapprima deserti e silenziosi , decine di impazienti ragazzi ed affaccendati professori , desiderosi di poter finalmente ritornare a casa a rilassarsi , pensando come ultima cosa alla marea di compiti da svolgere o correggere , e soffermando invece il proprio interesse in argomenti decisamente più interessanti e meno impegnativi : i prof di solito discorrono di cene di lavoro o con i conoscenti , massacranti colloqui con i genitori , sia di mattina che di pomeriggio , i quali sembrano non terminare mai ( soprattutto se il soggetto da analizzare è un tipetto abbastanza irrequieto ) , tipici e noiosi grattacapi scolastici , il disordine che aleggia indisturbato nelle abitazioni a causa della perenne assenza degli inquilini , lo stress della maternità , i litigi con il coniuge , con la suocera , con i parenti in generale , velenosi pettegolezzi sui colleghi…

Per i ragazzi invece era un’altra musica , in tutti i sensi : infatti in quegli anni , nelle città americane , non era difficile trovare i cortili degli istituti ed i negozi di dischi affollati da decine e decine di ilari giovincelli , che passavano le ore dopo la scuola in un minuscolo angolo di magia creato da una moltitudine di note e suoni , ascoltando e talvolta comprando , i vinili dei propri miti , in un miscuglio di generi e ritmi incomparabile , che dava al luogo un’atmosfera di sospesa allegria .

Di tanto in tanto , sfilate le cuffie per riprendersi dall’Ebbrezza del Pop , si metteva in pausa il Paradiso per qualche minuto e si cominciava a parlare del più e del meno , discorsi leggeri e talvolta anche abbastanza futili : chi adulava con teatrale sentimento il più bello ( e stupido ) della squadra di football dell’istituto , chi si lamentava con l’amica paziente dei genitori troppo oppressivi o per la scuola troppo pesante , chi discuteva animatamente sull’ultimo album acquistato , un pezzo raro che tutti bramavano di strappare dalle mani del fortunato possessore , od anche chi , preso da un moto di cultura represso , si accomodavano tranquillamente in un cantuccio e ripassava per il giorno successivo le materie in cui era meno preparato .

Ma in quel caldo giorno di metà ottobre , tra consigli di classe , accorate lamentele , mangiadischi surriscaldati , orecchie infuocate , tailleur da stirare , Converse da lavare , numerosi caffé zuccherati ingeriti , pisolini sui banchi di classe ed anche malori inscenati alla perfezione per evitare una fatale interrogazione , sia gli insegnanti che gli alunni del Santa Caterina non riuscivano a parlare d’altro : qualunque insignificante discorso era incentrato su uno degli eventi più importanti e divertenti organizzati dalla scuola ( naturalmente insieme al ballo di fine anno per i ragazzi dell’ultimo anno di liceo ) che si sarebbe tenuto ufficialmente da lì a nemmeno una settimana .

Infatti nella notte fra il 31 ottobre ed il 1 novembre , in tutti gli Stati Uniti si sarebbe scatenato il terrore nella sua forma più primordiale e terrificante , travestendosi all’occorrenza da strega , da vampiro , od anche da pipistrello , a seconda della persona da spaventare o dei propri inquietanti capricci .

Per quella magica notte i ragazzi ed i bambini di Los Angeles avevano cominciato ad organizzarsi già dall’inizio dell’estate , comprando , e talvolta fabbricando, i loro costumi per La Festa delle Streghe , i quali oltre ad essere meravigliosamente spaventosi dovevano possedere una ricercata originalità ed un sottile fascino che solo le maschere ben confezionate sapevano emanare .

Alcuni , tuttavia , non rinunciavano al loro classico abbigliamento da strega o da mummia , nel quale si trovavano perfettamente a loro agio e ritenevano le altre maschere troppo scomode per i loro gusti , o semplicemente non riuscivano ad aprirsi a nuove tendenze , al contrario degli altri adolescenti che amavano le novità , soprattutto se queste riguardavano il vestiario e le calzature e , in questo caso , i fatidici costumi per Halloween .

Era ciò che preoccupava di più la passionale Katy : infatti per ben tre anni di fila il suo travestimento per la Notte delle Streghe non si era modificato e nulla le avrebbe mai permesso di cambiarlo , neanche il pervenire di nuove mode e nuovi stili : aveva trascorso tre splendidi Halloween della sua vita vestita da zombie , la creatura terrificante e mostruosa che lei amava più di qualunque altra .

Ma in lei , già dall’inizio dell’anno , si preannunciavano diversi e devastanti cambiamenti , sia dal punto di vista fisico che caratteriale .

E tutto cominciò proprio dalla sua anonima , e a prima vista insignificante , maschera da morto vivente .

 

“Finalmente è suonata la campanella , non ne potevo più di rimanere in quella classe con quel viscido yankee che continuava a fissarmi come se fossi venuta dalla Luna ! Ma secondo te ho la faccia così ridicola oppure non sa che fare per rendermi la vita un inferno , più di quanto già in realtà non sia ?”

Impaziente , come ogni volta che udiva la stridula campanella che segnava la fine delle lezioni , ed oltretutto furibonda con il suo Nemico Numero Uno , ormai così definito da tutto l’istituto , che gliene aveva combinata un’altra delle sue , Katy camminava ( o sarebbe stato più corretto , correva ) attraversando come una furia tutta la superficie del cortile che va dall’ingresso principale fino al serio cancello in ferro battuto che segnava il confine del convento con il mondo esterno .

Dietro di lei , leggermente affannata per la celere andatura della compagna , stava Sandy , che da buona e paziente amica si sorbiva tutte le lamentele e le imprecazioni della nuova vittima del Prof : dopotutto la ragazza era stata presa di mira dal nuovo insegnante e da predatrice era diventata preda , come ormai supponeva tutta la scuola , e non perdeva naturalmente tempo , nel darle qualche consiglio .

Uno di questi , però , fu particolarmente pericoloso per la sua incolumità .

“Sai , Katy , comincio a pensare , anche ho potuto osservare degli evidenti segnali già dall’inizio dell’anno , che i suoi sguardi e le sue parole non facciano parte di una bel calcolata messinscena …”

Si avvicina di più alla inferocita ragazza , affrettando il passo , i codini ondulati che oscillano sulle spalle come pendoli .

“…Pensaci bene : Connie , Brittany  e le altre non sono mai state degnate di uno sguardo dal primo giorno e per loro ormai è diventato un lavoro conquistare gli insegnanti , soprattutto gli uomini giovani e con una grande carriera da costruire ; gli basta un ammiccamento e quelli come merluzzi cascano ai loro piedi .

Ma con Johnson non è la stessa cosa .

Lui non ha occhi che per te , le biondine della prima fila le osserva di striscio , giusto perché fanno parte della classe e provenendo da casate abbastanza celebri un minimo d’importanza devono avercela .

E tieni conto , lo dico senza offendere tua madre né la tua famiglia ovviamente , che loro sono molto più in alto di te , sia socialmente che economicamente parlando .

Se veramente , come supponi tu , è interessato ad accaparrarsi qualche bel milione dalle tasche dei padri avvicinando prima le figlie , non si sarebbe interessato a te , che nelle certificazioni dell’istituto sei iscritta come orfana di padre e da quel che so io non hai parenti dalla sua parte in circolazione , altrimenti il nostro professore si sarebbe informato ma non l’ha fatto , per fortuna . E poi , per i soldi , avrebbe anche sedotto tua madre , cosa se ne faceva della figlia di una milionaria poco più che adolescente e quindi assolutamente inadatta per un uomo adulto come lui ? Dammi retta , Johnson non vuole i tuoi soldi , vuole te .”

A quella inequivocabile e naturalmente scomoda realtà , Katy si blocca di scatto dal suo rapido viaggio , rimanendo immobile , i piedi piantati a terra ed i pugni stretti lungo i fianchi , a nemmeno due metri dalla invalicabile inferriata di metallo , mentre ragazzi e ragazze le passano accanto leggermente titubanti e preoccupati , prevedendo le future conseguenze di quella azzardata ipotesi la quale , anche se pronunciata da una bocca innocente e matura come quella di Sandy , non sarebbe stata di certo perdonata dalla bollente furia che cresceva in modo evidente sul volto già scuro naturalmente di Katy .

Molto lentamente si gira verso la sua accusatrice , la faccia così deformata dalla furia che alcuni studenti bisbigliavano addirittura una possibile sfida alle mani .

Ma per fortuna non ci fu nessun spargimento di sangue né colpi di pistola ad inquinare la celeste aria dell’istituto .

Solo una salutare ed accesa disputa , tipico fenomeno nato soprattutto da incomprensioni fra amiche .

Od anche da ribellione di fronte alla realtà da parte di una di loro .

“…Ma stai scherzando , vero ?”

“Perché dovrei ? Sono serissima .”

“No , che non lo sei ! Per dire cose del genere si deve essere per forza fuori di testa ! Ma non ti rendi conto che io odio quel coglione sin dal primo momento in cui l’ho visto e non potrò mai , e dico mai , andarci d’accordo né tanto meno sperare che un giorno la situazione cambi ? Ogni giorno che passa me ne accorgo sempre di più : lui vuole sopprimermi , uccidermi mentalmente , soffocarmi fino a farmi cedere ! Ma io non mollo , sappilo , Sandra , e non m’importa se dovrò ricorrere alle maniere forti per fargli cambiare atteggiamento nei miei confronti , non mi importa se verrò sospesa da questa maledetta scuola per tutto ciò che gli combinerò ! L’unica cosa che mi interessa è vendicarmi di quello stronzo , nel modo più rapido e meschino possibile . Ed anche se si prenderanno provvedimenti … Beh , allora me ne andrò di qui soddisfatta di me stessa . E per quanto riguarda quelle oche …”

E nel dire questo diminuì considerevolmente il tono di voce , avvicinandosi di più a Sandy , la quale era rimasta immobile ed impassibile alla scarica di ingiurie scrosciate dall’animo tormentato della sua compagna .

“…Sappi che di loro non me ne frega un emerito cazzo . Possono fare ciò che vogliono , osare qualunque cosa , ma non saranno mai alla mia altezza : non riusciranno a soppiantarmi , nessuno potrà mai farlo.

Nemmeno Johnson . Ricordatelo , Sandra .”

A quel punto Sandy , afferrate le possibili conseguenze di una sua risposta a quelle minacce , capì che con Katy e la sua immortale determinazione non c’era più nulla da fare .

Si limitò soltanto ad abbassare il capo in silenzio , per non incrociare i pozzi assassini che l’amica si ritrovava al posto degli occhi , annuendo al suolo erboso , e nonostante l’imperterrita sicurezza che emanava la sua persona , il labbro inferiore tremolava leggermente e le dita stringevano con vigore le braccia quasi a volervi conficcare dentro le unghie lunghe e curate .

Avrebbe tanto voluto perorare le sue ipotesi , convincere la sua ingenua amica che quello che il loro insegnante provava per lei non era antipatia o addirittura odio , ma semplicemente …

Simpatia .

Katy non usava mai quella parola per descrivere il comportamento affabile di un professore verso i propri alunni , anzi per lei poteva assumere diversi significati tranne una dimostrazione di puro affetto e cordialità tipica soprattutto degli educatori alle prime armi , che per sciogliere un po’ la tensione delle loro nuove esperienze lavorative cercano di instaurare un rapporto di sincera complicità con la classe , scherzando e apparendo sempre allegri e gioviali con chiunque , colleghi e collaboratori scolastici compresi .

Per lei , quella spontaneità nei modi e nelle parole , non risultava  affatto innocente : era un segnale d’allarme .

Sin da piccola sua madre le aveva imparato a non fidarsi mai degli sconosciuti , barboni sui cigli delle strade od eleganti signori stranieri che fossero , le raccomandava spesso di rimanere nelle vicinanze del quartiere dove vivevano , ed anche se Los Angeles era un metropoli di consistenti dimensioni , popolata soprattutto da extracomunitari di origine latina o afro americani poco raccomandabili , il territorio che si estendeva da Beverly Hills , il luogo in cui abitavano , e Santa Monica , dove spesso si vedeva con gli amici , non era nulla in confronto alla distanza tra Santa Monica e Malibu , o tra Santa Monica e Santa Barbara .

Rimaneva nelle più strette vicinanze della spiaggia e per spostarsi da un isolato all’altro percorreva a piedi le immense vie del quartiere in cui si trovava oppure approfittava della moltitudine di autobus e taxi gialli che schizzavano da un lato all’altro della metropoli , percorrendola in tutta la sua estensione .

Il mezzo pubblico sul quale non metteva mai piede era la metropolitana , che nella Città delle Stelle era alquanto malfamata e brulicava di ogni genere di furfanti e vagabondi , inoltre era meta di numerose ed eleganti prostitute le quali trovavano in quei sotterranei bui ed umidi la giusta clientela , che sapeva farsi pagare profumatamente ; uomini chiunque od anche di un certo spessore sociale , che ogni notte offrivano una mancia dai cinquecento dollari in su , talvolta anche più , dipendeva dalla gentile signorina con la quale si incontravano o dal peso del loro conto in banca .

Spesso si ci poteva imbattere anche in qualche ubriaco adagiato a freddi muri di intonaco o alle balaustre che separavano le lunghe rampe di scale per passare da un binario all’altro o per uscire a rivedere il Sole dopo quasi mezz’ora passata al gelo ed all’oscuro , in balia di ogni sorta di maniaco , così disparati che si aveva pure l’imbarazzo della scelta .

Naturalmente i sotterranei della metropolitana non erano frequentati soltanto dalle tipologie di individui citate sopra : ci si potevano incontrare uomini d’affari in giacca e cravatta , con la fedele ventiquattrore alla mano , donne in carriera ben vestite ed impeccabili anche dopo una folle corsa per arrivare al lavoro in orario , giovani universitari con le braccia cariche di libri e l’aria assonnata , signori e signore anziani che escono al massimo una volta al giorno per comprare il necessario per la casa o per cambiare un po’ l’aria , genitori e figli mano nella mano pronti per andare in spiaggia o al luna park o allo zoo , ragazzine del liceo eccitatissime per il loro ennesimo giorno a spasso per le vie della città senza i propri genitori alle calcagna , desiderose di percorrere almeno cento metri di strada nella più completa libertà…

Insomma , la metropolitana di Los Angeles non era poi così pericolosa da questo punto di vista , ma per una mamma dolce ed apprensiva come lo era Fiordaliso , quello non poteva essere altro che il peggior posto di tutta la città : naturalmente per certi versi la donna si era lasciata influenzare dalle sue esperienze giovanili non molto piacevoli , ed imponeva giustamente alla figlia un comportamento responsabile e giusta distanza dai pericoli che le zone più nascoste della immensa città incarnavano per la maggior parte degli abitanti , soprattutto le madri ed i padri di famiglia , ed i vecchietti impauriti .

Crescendo con queste regole severe ma utili , Katy arrivava a fidarsi ciecamente soltanto di coloro che abitavano dalle sue parti o che erano conosciuti da tutti per una buona fama , come nel caso di Sandy , anche se il rapporto con lei era molto diverso e difficile da descrivere correttamente con poche parole .

Le parole per discutere su comportamenti decisamente ambigui da parte di certe persone si trovavano , però , e non erano termini molto eleganti : basti pensare che dopo un quarto d’ora ininterrotto di fantasiose parolacce , terribili sbraiti , opinioni stroncate sul nascere , pugni alzati in aria con fare minaccioso , piedi sbattuti sul marciapiede quasi a volerci incidere delle belle crepe a testimonianza della rabbia della proprietaria , sguardi imploranti ed occhiatacce non molto rassicuranti , Sandy perse anche l’ultimo briciolo di autocontrollo che le era rimasto dal breve litigio all’uscita da scuola fino a quel momento e con una grinta ed un urlo mai pronunciato così violentemente , forse spronato da quel desiderio di riscatto e forza che da tanto tempo ormai era rimasto sopito in lei e l’aveva spinta a farsi sentire da tutti pienamente , riuscì in un’impresa quasi del tutto impossibile per chiunque , ovvero far zittire Katy almeno per cinque minuti .

Colta alla sprovvista da così tanta potenza , la mora smise subito di inveire impetuosamente come aveva fatto fino a due secondi prima e , fermata la lingua , continuò a camminare lentamente a fianco della soddisfatta amica dagli occhi che brillavano come quelli di un gatto al buio , percorsi da misteriose scosse dorate che fluttuavano nel verde , mentre quelli della compagna stavano abbassati ad osservare i mocassini neri che percorrevano il suolo minuziosamente lastricato da mani esperte , più scuri e profondi di quanto in realtà non fossero , ancora caldi e vibranti per la improvvisa e bruciante sconfitta infertale dall’ultima persona dalla quale se la aspettava .

Nessuna parola corse tra le due ragazze per più di dieci minuti , il tempo che ci volle per riprendersi dalla infuocata mattinata , sconvolgente per tutte e due : entrambe erano rivolte a riflettere intensamente sulle loro condizioni di vita così diverse , tuttavia con una invincibile sensazione di affrancamento e pace che le accomunava .

Irrimediabilmente soggette ad una esistenza in simbiosi , talvolta troppo scomoda e dura da ammettere , soffocante e impossibile da scacciare utilizzando qualche parola buttata lì per comodità e senza averci prima pensato su almeno per tre secondi .

Non erano sufficienti neanche sguardi truci e sfide corpo a corpo .

Offese intime e risposte poco gentili .

Silenzi di ferro e parole taglienti come lame .

Ma ad una occorreva soltanto udire la voce dell’altra , anche solo un monosillabo pronunciato al telefono , frettolosamente e senza sentimento , magari di nascosto dagli altri coinquilini della casa e sopprimendo anche una brutta parola sul punto di uscir fuori dalle labbra a seminar zizzania , per ritenersi davvero la persona più felice e soprattutto ricca di questo mondo .

Una ricchezza a prova di rapina ma soprattutto a prova di distanza .

 

“Tu da cosa ti maschererai per Halloween ?”

“Mh?”

“Ti ho chiesto come sarà il tuo costume per la notte del 31… Elegante o terrificante ?”

“Mah , a dir la verità non so neppure se verrò o no .

Mia madre lavora e con lei anche mio fratello , perciò tecnicamente nessuno mi ci potrà accompagnare , e non si fidano a lasciarmi in balia di sconosciuti .

Comunque se tutto va bene spero di riuscire a vestirmi da strega od anche , per cambiare un po’ stile , da vampiro : sono creature così misteriose , eleganti , inquietanti .

iose , eleganti , inquietanti e

Per molti bellissime , divine , addirittura .

Nonostante la loro natura ostile agli uomini ed alla loro società .

Mi affascinano , in un certo senso…”

“…Sì , sono molto interessanti . Ed affascinanti , soprattutto…Ma mai come gli zombie od i licantropi , loro si che sono fantastici e soprattutto insuperabili , a prova di vampiro!

“Ehi , ehi , non ti scaldare tanto , stavo solo dicendo che i vampiri hanno fascino , ma naturalmente per certe cose sono meglio gli zombie …Ed anche i licantropi , certo.”

“Hai perfettamente ragione! Ad esempio se tu ti ritrovassi a baciare un vampiro , moriresti prima di aver tolto le labbra dalle sue per dirgli che bacia divinamente , e nella migliore delle ipotesi , tu , la malcapitata di turno , diventeresti come lui , ovvero un mostro nemico degli uomini , con gli occhi indemoniati , i capelli scarmigliati e pieni di nodi , nonché l’alito che puzza di sangue rappreso e di carne umana .

Invece se ti baciasse un licantropo , naturalmente evitando di passeggiare al chiaro di luna , non correresti il rischio di ritrovarti con due zampe pelose al posto delle mani ed una lunga sega di zanne al posto dei denti , le quali devono essere anche lavate e disinfettate assiduamente , altrimenti sono più puzzolenti di una fogna sotterranea che sbuca proprio davanti le banchine dei pescherecci al porto …Un tanfo insopportabile , credimi , ci sono passata .

In quanto agli zombie , beh , non penso che sia molto igienico baciare un cadavere , anche se alcuni esemplari sono particolarmente magnifici , e a differenza di altri loro simili , sanno muoversi sinuosamente.”

“Ti riferisci a qualcuno in particolare ?”

“No! Cioè…Sì . Ma visto che a te non piacciono i morti viventi , non posso dirti di chi si tratta.”

“Oh , fa come vuoi , tanto ho già capito .”

“…Perspicace come sempre , la mia bella vampira . Scommetto che se tu venissi alla festa di giovedì , faresti strage di cuori . E potrebbe scapparci anche uno bello spuntino di mezzanotte .”

“Sono un vampiro , non un cannibale : non mangio gli umani , bevo il loro sangue , e se le mie vittime sono simpatiche e carine , e voglio risparmiargli la vita , naturalmente , le faccio divenire miei simili . Invece i licantropi quando sono trasformati non sanno quello che fanno e creano altri loro compagni senza accorgersene . E poi noi vampiri baciamo benissimo e stiamo attenti con gli umani , sappiamo resistere tantissimo , sai ?Al contrario di voi licantropi che non riuscite a manipolare il vostro aspetto , siete dominati dalla Luna e non potete cambiare la vostra natura .

In alcun modo .”

“Forse da questo punto di vista hai ragione , ma noi siamo molto più soffici e caldi dei vampiri , ed i bambini ci amano !”

“Certo , come no…Vi coccolano come orsacchiotti.”

“Esatto !Solo che siamo un pochino più grandi , e soprattutto , mangiamo di più…E produciamo più escrementi rispetto agli orsi . Beh , dai , non siamo male come animaletti da compagnia .”

“No , assolutamente .Però preferisco di gran lunga gli orsi!”

“…Grazie infinite , ogni giorno con le tue parole di conforto rendi la mia esistenza meno grigia e monotona . Ti ringrazio davvero .”

“Ah ah ah , di niente!”

Scambiandosi opinioni senza senso e passeggiando tranquillamente lungo i viali d’autunno di Beverly Hills colorati da luci calde e soffuse , create da un sole giocherellone che si divertiva a riflettere i propri raggi tra le foglie dorate , Katy e Sandy sembravano aver dimenticato la piccola litigata avuta meno di un’ora prima davanti al cancello della scuola , scatenata oltretutto da motivi futili e non certo spiacevoli per molte delle loro coetanee : ma Katy , la vittima designata dal Carnefice , sembrava non vederci nulla di positivo nella sua nuova posizione di favorita ( un altro maligno epiteto sulla sua mesta condizione ) di Johnson , uno di quegli insegnanti che con una sola lezione sono in grado di guadagnarsi la fiducia di tutta la classe .

Tranne che di una persona .

Ma magicamente , dopo quasi un mese passato ad analizzare ed a carpire più informazioni possibili sull’ indiziato Numero Uno , qualcosa era scattato nella mente di Sandy , e la chiara e concisa ipotesi elaborata dalla sua ingegnosa mente che aveva fatto scatenare l’ira della sua compagna , incendiando le sue convinzioni come una scintilla che va a posarsi su un foglio di carta , bruciandolo rapidamente , non poteva che rappresentare la giusta e veramente seccante realtà : quella angusta verità che Katy tentava in tutti i modi di allontanare dagli altri pensieri , eclissandola nel Cassetto dei Ricordi da Dimenticare .

Ma Sandy , da buona amica , e dopo aver assistito alla smodata reazione della ragazzina , non osava più aprir bocca riguardo quella  complicata faccenda e secondo lei la cosa migliore era aspettare : i tempi sarebbero maturati e forse la vittima del Prof sarebbe cresciuta di cervello oltre che di altezza , ed anche la sua opinione su Johnson sarebbe mutata .

Eppure i presentimenti non erano mai pochi .

“E te , invece ? Quale orripilante costume sceglierai , se è lecito conoscerlo in anticipo , per stregare l’intera scuola ? Qualcosa di originale e assolutamente improponibile oppure ti butti più sul classico rivisitato ?

“Beh , sinceramente …Non voglio dirtelo . Voglio che sia una sorpresa per tutti . Ma vedrai , non ne rimarrai delusa !”

“Oh , ma non sono io quella che devo rimanere delusa , cara la mia Katy : pensa piuttosto a tutti i tuoi infelici ammiratori a cui spezzerai il cuore dopo il tuo arrivo in palestra vestita da strega in pensione ! Non penso che loro gradirebbero molto la sorpresa…”

“Già...”

“…”

“Ma sinceramente non mi interessa nulla di ciò che dicono gli altri : che facciano un po’ come vogliono , io non cambierò di una virgola . Dovranno accontentarsi del mio travestimento , squallido o meraviglioso che sia .”

“Brava , hai ragione . Ma una come me che non si è mai proposta agli altri ma anzi , ha sempre cercato di tenersi alla larga dal mondo che la circondava , può permettersi un leggero strappo alla regola , vero , Capo ?”

“Naturalmente , lei può permettersi tutto , signorina Shepard ; è la più intelligente e famosa alunna di tutte le scuole medie della West Coast .

E scommetto che lo sarai anche al liceo , ed al college , ed all’università , insomma lei sarà sempre una studentessa modello per tutti noi , cara Sandy !”

“Oh , la ringrazio , Boss , lei mi lusinga così ! Ma anche lei non a da ravvedersi della sua acutezza . Anche se …

Se lei fosse un po’ meno aggressiva e vendicativa con i docenti del suo istituto , la situazione sarebbe migliore , su tutti i fronti . E la sua media aumenterebbe di molto .”

“Alcune persone meritano di essere trattate male anche per il solo fatto di esser nate . E non mi riferisco a nessuno in particolare , sappilo .”

“Ah , okay . Beh , che ne dici se parliamo d’altro ti va ?”

“Certo che mi va . Ogni argomento sarebbe di gran lunga migliore di questo .

In effetti non ha tutti i torti . Vabbè , che ne dici se andiamo a fare un giretto a Santa Monica ? Lì è sempre pieno di gente interessante e non possono querelarci perché camminiamo a piedi nudi sulla spiaggia o ci divertiamo a fare le oche davanti ai surfisti . Ti va ?”

“Sappi che ogni tua proposta sarà sempre ben accetta .”

“Oh allora sbrighiamoci altrimenti non troviamo più nessuno . Avanti , prova a prendermi !”

“Ehi , non vale , però , sei partita prima di me ! Ma tanto ti prendo , brutta strega !”

“Invece di parlare pensa ad acchiapparmi , razza di lumaca che non sei altro !”

“Se la metti così allora non ho più alternative e non mi tiro di certo indietro per una come te !”

“Prima devi acchiapparmi , tesoro , poi potrai esultare è la regola !”

“Okay , okay , ma se ti prendo promettimi che non mi lascerai sola giovedì sera .”

“Te lo prometto , Katy , e ti offrirò pure da bere , se ne vorrai , naturalmente .”

“Affare fatto , socia ! Ma facciamo presto , sennò mamma si arrabbia se ritorno a casa dopo il tramonto . Sai com’è fatta , appena vede un po’ di buio mi rispedisce dentro casa e chiude la porta a chiave e sbarra le finestre .

Ma si può essere tanto fifoni ?

 

Era da più di un quarto d’ora che i miei gomiti stavano incollati al parapetto di ferro che cingeva il balcone di piastrelle bianche unito alla mia stanzetta da una imponente finestra di legno , ed ormai non volevano più staccarsi da quella posizione così rilassante ed abituale per loro : di solito mi mettevo lì sul far della sera , quando quel tranquillo isolato lontano dal Caos e dalla trasgressione invivibile del cuore di Beverly Hills , scivolava lentamente nel dormiveglia , sbadigliando profondamente e stiracchiandosi le lunghe membra come fa un gattino per togliersi di dosso la stanchezza e la noia del giorno trascorso per poi cadere anche lui in un civettuolo riposo , destandosi appena e poi ributtandosi nel mondo dei sogni , indifferente al mondo che lo circonda .

Come al solito c’era una fredda brezza che accarezzava i tetti e gli alberi potati di fresco dei giardini svelavano i propri segreti al cielo , lasciandoli trasportare dal gentile venticello .

Le folate di vento attraversavano i viali asfaltati e traforavano i lampioni ancora non del tutto accesi , compiendo fantastiche evoluzioni , passando per i decori che ornavano i cancelli delle ville più lussuose , tra i radiatori e le borchie delle costose automobili parcheggiate stupidamente sul ciglio del marciapiede , per poi arrivare con un salto stupefacente ad investirmi completamente il viso e scompigliando i capelli divenuti quasi del tutto lisci , facendoli danzare sulla mia testa in vortici irreali e rendendo le mie mani ed il mio naso ancora più rigidi di quanto in realtà non fossero , simili a cubetti di ghiaccio appena tolti dal freezer , mentre il resto del corpo sembrava ibernato in uno strano calore interno , nonostante l’abbigliamento leggero e la lunga esposizione al freddo che aveva subito da pomeriggio inoltrato , cioè da quando la sfera solare era sul punto di abbandonare il nostro emisfero per far visita a quello opposto .

Stufa di dovermi mangiare i miei stessi capelli per colpa di quell’incessante bufera (non avevano un bellissimo aspetto ed oltretutto neanche un buon sapore) , mi sistemai quei sottili fili neri che mi svolazzavano intorno alla testa , scostandoli dal viso con le mani intorpidite e facendone una grossa coda , dopodiché li legai con la cintura della vestaglia appesa alla vita , lasciando poi fluttuare liberamente quest’ultima nelle onde ventose , ed immersa in quel mare potente ma incorporeo che mi aveva sempre ispirato utili consigli per spinose situazioni , qualunque esse siano , cominciai ad osservare distrattamente dei gabbiani che si alzavano in volo a qualche centinaio di metri dalla mia postazione , sospinti dal vento verso sud , una nuvola bianca che spezzava il blu rosseggiante del cielo , simile per intensità ad una saetta che illuminava il sereno e lasciava dietro di sé una scia di meraviglia e timore .

In quegli ultimi tempi mi capitava spesso di soffermarmi su quella metafora , che incredibilmente raccoglieva in sé tutta la mia stupefacente condizione : da quasi quattro mesi il mio cervello non pensava ad altro che a lui , a quell’oggetto inevitabilmente connesso a lui , al modo in cui aveva potuto sconvolgere la vita in meno di un battito cardiaco , così come aveva l’aveva cambiata molti anni prima con un suo sguardo innocente volto alla ragazzina unica sua fonte di salvezza .

Ma in quel ventoso tramonto di fine ottobre qualcuno avrebbe dovuto disperatamente aiutare me : non ce la facevo più a tenere il peso di un così prezioso tesoro in un banale comodino ed il suo mistero nascosto agli occhi di tutti e svelabile solo attraverso l’opera di una lente ingrandente mi aveva lasciato così debole e sconvolta che piansi nervosamente la notte successiva alla scoperta  , per tanto di quel tempo che non mi ricordo neanche ciò che avevo sognato , se il mio sonno era stato popolato da veri incubi , ricordo delle mie emozioni contrastanti avute da sveglia , o da pacifiche incursioni oniriche da parte di angeli sconosciuti al mio essere , venuti a consolare la mia impotenza di fronte a tanta oscura verità .

L’unico ricordo che la mia mente non aveva cancellato era quella incisione : la vedevo davanti ai miei occhi , indelebile come un marchio infuocato .

Era così nitida .

Perfetta .

Inequivocabile .

Era proprio la sua perfezione a spaventarmi : mai un oggetto inanimato mi era apparso così vivo e carico di parole fino ad allora e la sua fattura , nonché la sua provenienza , non lasciavamo dubbi neanche sul suo fine .

Eppure la parte di me stessa più razionale resisteva strenuamente : non poteva essere tutto così palese come invece appariva alla mia vista , non volevo arrendermi all’evidenza dei fatti perché lui , il mio migliore amico , uno dei pochissimi uomini che in tutta la mia schifosa vita non mi abbia mai torto un capello o tirato uno schiaffo (alcuni sono arrivati anche a peggio) , una di quelle persone di cui mi potevo fidare cecamente , senza aver dubbi su di lui e su come si comportava , sia con gli altri che con me , non avrebbe mai osato una pazzia del genere , non me l’avrebbe fatto notare così superficialmente , ed anche se quella catenina era un regalo meraviglioso (e sarebbe sempre stata così) , anticipazione di quella tanto agognata sorpresa che aspettavo da quel giorno di metà estate , la mia mente pensava che la sorpresa non fosse legata a quel tragico episodio di ventuno anni prima , né tantomeno a qualcosa che avrebbe permesso a me ed alla mia famiglia di vivere meglio .

Sin dall’inizio lui mi aveva detto che questa sorpresa riguardava solo me , ma non pensavo che sarebbe arrivato a tanto .

Non riuscivo a crederci .

Non poteva essere vero .

Ogni ragionamento era infondato .

Eppure tutto appariva chiarissimo , a prova di dubbi , di domande , di difficoltà .

Per molto ci fu una silenziosa battaglia tra i miei sentimenti e la mia razionalità : le convinzioni dell’animo si erano demolite come una carcassa di ferro nella pressa , e ritornavano spesso alla memoria i vecchi tempi , quando tra me e lui c’erano chilometri d’acqua salata a dividerci , ma ci sentivamo vicini nel nostro dolore , diverso per entrambi le parti ma ugualmente intenso e lacerante , da scuotere le membra e singhiozzare fino allo stremo davanti ad un semplice foglio di carta scritto dalla mano di chi ha sofferto , e la nostra consistente differenza d’età non aveva mai causato problemi di origine sentimentale .

Oltretutto era di sette anni più piccolo di me e pensava che una qualche relazione tra noi due fosse qualcosa di particolarmente ingiusto , sia per me che per lui , soprattutto perché non avremmo mai potuto vivere insieme senza essere attaccati ogni giorno da individui invidiosi ed ignobili , come ad esempio i paparazzi o i tipici ficcanaso di quartiere .

Mi venne in mente una frase detta da lui dieci anni prima di quel tramonto immerso nella bufera : riguardava l’amicizia e come ogni volta che lo sentivo aprir bocca , sia che fosse per cantare od anche solo per parlare , mi aveva lasciato totalmente stupefatta , dalla sua incredibile saggezza , nonostante sia stata pronunciata da un ragazzo di appena sedici anni .

Ma da lui ci si poteva aspettare l’impossibile .

 

L’amicizia non ha barriere di nessun tipo .

Siamo noi che ce le creiamo , per paura , per invidia ed anche per gelosia .

Ma basta un sorriso per farle cedere per sempre .

 

Io non avevo mai costruito muri tra me e Michael , nemmeno per il motivo più stupido ed insignificante , e neanche lui aveva mai tradito il nostro rapporto , nonostante il peso della carriera e dell’improvviso successo ; in qualunque posto , in qualsiasi momento , si era sempre ricordato di me e dell’affetto che ci legava .

Per più di venti anni ci siamo fidati l’uno dell’altra e pensavamo che la speranza avrebbe compensato la lontananza .

Solo ora però , affacciata al balcone di casa mia , immersa in quel mare tumultuoso ed a tratti gelido , nel quale le idee del mio cuore volavano via sospinte dal vento della ragione , mi rendevo conto , forse troppo tardi per cambiare il succedersi degli avvenimenti futuri , che si stava innalzando , indistruttibile , un muro di cemento armato dall’altezza indefinita tra me e Mike , una spessa ed inquietante lastra grigia che ci stava inevitabilmente separando .

Non potevo chiedere aiuto a nessuno e nemmeno lui riusciva a soccorrermi , chissà per quale oscuro motivo .

Riuscivo soltanto a scorgere il muro davanti ai miei occhi il quale pian piano stava assumendo la forma di quell’oggetto che aveva reso la mia vita un inferno .

Un muro d’oro e diamanti a forma di corona reale .

 

“Sei ancora qui , Fiordaliso ? Sbrigati ad entrare , si sta facendo buio ed il vento si sta alzando .

E poi non ti fa bene prendere aria di sera e per giunta vestita in quel modo ! Ma non ti sei vista , sembri un taxi nel centro di New York verniciato di fresco !”

Non udii subito la voce stanca ed irritata di Fernando che , appostato sul ciglio della finestra come un condor pronto all’assalto di una carcassa , aspettava paziente una qualche reazione alla sua richiesta ; inutilmente , poiché il mio tormentato inconscio ancora non si era ristabilito dalla valanga di amare congetture che la mia materia grigia aveva generato e ce ne voleva prima che mi riprendessi del tutto .

Ciò naturalmente lo fece incupire , ed avvertii due occhi di brace penetrarmi la schiena per il solo piacere di scoprire , attraverso un collegamento telepatico molto fastidioso , cosa avevo e se era qualcosa di grave , per ridere un po’ delle mie disgrazie .

In aggiunta la mia figura d’insieme non trasmetteva serenità , ma solo confusione e rassegnazione , il vento che danzava intorno al mio corpo rendeva il tutto più malinconico e non bastava la camicia da notte fluorescente per attutire la tristezza che provavo in quel momento .

Ero veramente messa male , sia fisicamente che cerebralmente , e come avevo previsto il mio maggiordomo se ne accorse .

Anche se avessi provato ad evitare il suo sguardo , non gli sfuggiva mai niente ronzante nella mia scatola cranica .

“Ehi , chica , sei sicura di star bene ? Hai una faccia , sembri un lupo mannaro affamato…Devo preoccuparmi ?”

“Eh?”

Accorgendomi finalmente di quel povero uomo , come imbambolata mi volto verso la finestra della mia stanza e mi ritrovo davanti gli occhi il muso tediato e rassegnato dai miei continui mancamenti mentali di Fernando , imponente nel suo austero grembiule in lino bianco , prezioso cimelio appartenuto dapprima a suo padre , il Mitico Maggiordomo di casa Villa durante il nostro ormai lontano soggiorno a Città del Messico , ed ora risiedente sul petto del nostro caro collaboratore domestico , nonché oggetto di ininterrotte ed amichevoli beffe da parte mia e di mia figlia .

Solo ora però , guardando quell’immagine così solenne ed instancabile che rappresentava il mio maggiordomo , mi resi conto che per lui quel semplice panno di lino valeva più di tutte le ricchezze del mondo e scommisi che non si sarebbe mai separato da esso , neanche per tutti gli zinali del mondo .

Sospirai mentalmente : perché ero stata così cattiva con quel disgraziato grembiule che non mi aveva mai fatto nulla ? O forse ero semplicemente così orgogliosa di ciò che possedevo che non davo valore a ciò che invece era importante per gli altri ?

Certo che la tristezza mi rendeva più ragionevole di quanto sia veramente .

“Oh…Fernando ! Scusami non ti avevo sentito arrivare… Ma da quanto tempo sei lì ?

Caspita , dovevo fare una figuraccia pure davanti al mio Capo Dell’Ordine Domestico , ovvero l’uomo più scettico ed impiccione di questo pianeta .

Complimenti , Fiordaliso , le disgrazie ti fanno diventare , oltre che a più intelligente , anche più stupida .

“Abbastanza per capire che ti è successo qualcosa di particolarmente grosso che non vuoi sia spiattellato in giro dal ficcanaso di turno e che vuoi rimanere sola con te stessa per decidere sul da farsi , visto che la situazione è molto ingarbugliata e pensi che se non risolverai il problema entro le prossime quarantotto ore dopo sarà troppo tardi per tornare indietro .”

Era incredibile quanto Fernando mi conoscesse così bene da afferrare il mio stato d’animo soltanto guardandomi in faccia per così poco tempo che stavamo l’uno di fronte all’altra e tirare delle conclusioni così rapide e precise riguardanti il mio ego più intimo ed estraneo agli altri , ma non è forse vero che i maggiordomi percepiscono ciò che gli altri inquilini della casa invece non sanno cogliere con il loro materiale tatto , troppo ottuso e barricato nelle loro condizioni da non accorgersi di ciò che gravita intorno al loro corpo terrestre ?

Beh , io ne stavo avendo la prova certa esattamente in quel momento e non potei far altro che fidarmi della mia mente una volta per tutte .

Ed anche se non potevo rivelare nulla a Fernando riguardo la coroncina dorata e la sua incisione infuocata qualche consiglio tra amici non avrebbe guastato la mia già precaria situazione .

La morbosa curiosità di Fernando e le coincidenze inopportune però non hanno limiti , neanche nelle circostanze più tragiche .

“Oh…Beh , a dire il vero…”

“C’ho azzeccato , vero ?”

“No , non è come dici te ! Cioè , il responso è simile alla mia situazione , devo dire molto più intricata di come la presenti tu , ma...”

“Oh , ma allora stavolta c’ho preso ed è pure una cosa grossa ! Avanti , non fare la sciocca , dimmi cosa ti è successo e finiamola qui !”

“Ma perché devo dirti per forza tutto quello che mi passa per la testa ! Non sei mio padre e non ti ho scelto per rimpiazzarlo , ergo ti proibisco di impicciarti negli affari degli altri e soprattutto in quelli della tua padrona di casa . Sappi che posso licenziarti da un momento all’altro ed ora non scherzo !

“Non ne avresti il coraggio , sono troppo indispensabile qui dentro o forse non ti accorgi mai della mia presenza in questa casa ? Eppure io sono sempre qui , esco soltanto per fare dei servizi o per qualche lavoro di manutenzione nelle vicinanze del portone d’ingresso e cosa più importante sono sempre disponibile per accontentare qualsiasi vostra richiesta , anche la più indecente ! Quindi , cara la mia padrona di casa , faresti meglio a trattarmi con un po’ più di rispetto !”

“Non dire stupidaggini , Fernando , io e Katy non ti abbiamo mai appesantito troppo il lavoro…Cioè , non ci rendiamo utili tutti i giorni , ma abbiamo sempre tenuto una alta considerazione di te , che sei l’unico membro della nostra famiglia , insieme a noi , naturalmente , e…”

Quel nome così semplice e noto a chiunque essere umano che non voleva saperne di uscire dalla mia bocca bloccò l’arringa improvvisata contro Fernando , impedendo ad altre parole di fuoriuscire e congelandomi in un silenzio a dir poco sospettoso per il paparazzo d’eccezione che mi trovavo di fronte , che mi osservava così malignamente che non avrei potuto aver dubbi su cosa la sua diabolica intelligenza stava architettando , e neanche sulla sua prossima vittima .

Conoscevo molto bene anche la vittima , ma dopo tutto ciò che mi aveva fatto passare non sapevo se l’avrei difesa come avevo l’abitudine di fare ogni volta che il Capo Dell’Ordine Domestico la attaccava .

Ero tra l’incudine ed il martello , insomma .

Peggio di così non poteva proprio andare .

“Stavi per pronunciare il nome di una persona di mia conoscenza , vero ? Solo che , per qualche strano motivo a me ignoto , ti sei fermata prima .

Ma sai che certe cose ormai le intuisco anche soltanto guardandoti in faccia , Fiordaliso…”

“No-non è come pensi tu , Fernando .

Io e…lui , siamo solo amici , dovresti saperlo . E poi lo considero uno di famiglia da sempre , non devi scandalizzarti tanto per…

Insomma io e quella persona non abbiamo mai avuto vicende amorose e non le avremo per il resto della nostra vita !

E quel tuo movimento delle sopracciglia a dir poco malizioso non mi incanta : anche se fossi innamorata di qualcuno non lo direi mai ad uno come te .”

Perfetto , il mio amichevole colloquio tra padrona di casa e maggiordomo era saltato in aria come una busta di popcorn caduta disgraziatamente su un barbecue rovente in piena estate , ed ormai l’unica consolazione che mi era rimasta era veder comparire sulla porta spalancata al di là della grande finestra la faccina scura e sorridente di mia figlia di ritorno dalle sue spericolate avventure metropolitane : dopotutto tra donne ci si capisce anche con uno sguardo ed anche se io e Katy eravamo due tipologie muliebri totalmente diverse , nonostante lo strettissimo legame di parentela , capivamo al volo se una era in difficoltà e l’altra la aiutava immediatamente .

Ma nel momento del bisogno quella peste non si prestava in mio soccorso .

E così dovetti sorbirmi tutte le ipotesi fiorite dalla fertile mente scandalistica di Fernando , che non dava segni di cedimento morale , neanche dopo una rivisitazione chilometrica di tutte le sue figuracce storiche , e ciò lo indeboliva sempre considerevolmente ; ma stranamente quel giorno era più pimpante e perfido del solito .

Stavo giusto rispolverando la mitica caduta di quasi vent’anni prima da una malandata motocicletta (da precisarsi , all’epoca era ancora un ragazzo , poco più grande di me) , ferma davanti al cancello della nostra dimora ,”Lasciate fare a me , so come far ritornar in vita questa vecchia carcassa ! Basta una spinta sull’acceleratore e…” , quando al rumore del portone che si apriva e poi si richiudeva enfaticamente la speranza si ridestò in me e smisi di attaccare Fernando , fissandolo con occhi incantati ed increduli   allo stesso tempo : quell’inconfondibile suono infatti preannunciava la mia rivincita .

Finalmente un alleato potente con cui vincere la Guerra Domestica che andava avanti da più di dieci anni !

Allora la buona sorte esiste anche per i comuni mortali…

Il mortale che mi trovavo di fronte però aveva sfortunatamente capito il motivo della mia felicità e per non creare sviluppi indesiderati della nostra discussione , quali risse clandestine o gare di parolacce , naturalmente mosse dalla bellicosa indole di mia figlia , da ottimo ficcanaso astuto , tronca il discorso in una scusa e si precipita sulle scale , festeggiando il ritorno della nostra diletta pupilla , balzando ed urlando a squarciagola lodi piene di smancerie e complimenti di ogni genere , uscite fuori dalla sua boccaccia senza alcun preavviso , e che stavano inevitabilmente appestando il delicato suono dei muri della nostra casa e le mie orecchie abituate a ben altro tipo di melodie .

Appoggiata alla maniglia della porta , le mani dietro la schiena a sorreggere il mio peso , ascoltavo curiosa quei canti di gioia , e mi chiedevo cosa cavolo volesse Fernando da una ragazzina come Katy , e più prolungavo l’ascolto più mi rendevo conto di quanto ridicoli fossero i discorsi che i due improvvisavano , farciti con imprecazioni e minacce non molto caste , e da ciò che potei capire dai loro urli Katy ne aveva fatta un’altra delle sue e Fernando , da buon Maniaco della Pulizia , nonché Sterminatore di Acari e Tarli Vari , la rimproverava utilizzando un linguaggio molto colorito e mia figlia gli rispondeva per le rime , creando per l’occasione delle parolacce e dei doppi sensi che mi fecero accapponare la pelle e crebbe in me il desiderio di scendere nell’atrio e darle uno bello schiaffo sulla guancia , ma per sua fortuna quella volontà così manesca scomparve , soppiantata da un’altra che non mi aspettavo sarebbe giunta per tutto il resto dei miei giorni .

Quella nuova sensazione mi guidava verso la mia stanza , di fianco al letto , in quel preciso punto in cui tutte le mie speranze avevano fine , eppure ne nascevano altre .

Non mi rendevo conto se la mia speranza era morta oppure se ne era emersa una nuova , ciò che mi importava era aprire quel cassetto , prendere la maledetta corona che custodiva e constatare con i miei occhi ciò che avevo scoperto già da molto tempo , ma che il mio animo non voleva accettare assolutamente .

Dovette ricredersi purtroppo : sulla superficie libera dalla fila di diamanti del ciondolo la scritta vibrava silenziosa e trasmetteva al mio essere lo stesso messaggio che avrebbe potuto trasmettere ad altri , anche se non tutti lo avrebbero preso sul serio , soprattutto se quel monile era un regalo del cantante più famoso di tutta la Via Lattea , un oggetto così prezioso da destare nel ricevente confusione ed incredulità , come cioè successe a me al momento del suo ritrovamento tra i fiordalisi immersi in una bottiglietta di Coca Cola a mo’ di vaso .

Capii una volta per tutte che la speranza che covavo in petto era morta per sempre ; rimisi il ciondolo dove era prima e richiusi per bene il cassetto , per poi avviarmi fuori dalla camera , scendendo le scale con una lentezza a dir poco funerea , il rumore dei piedi nudi sugli scalini di marmo che mi rimbombava nei timpani , accentuato dalla confusione al piano terra , che fortunosamente era alle ultime battute .

Non c’era rassegnazione sul mio viso , né rabbia , ma solo una terribile espressione di smarrimento e malinconia , che camminando si accentuava ancor di più , ed inghiottiva le poche briciole di fiducia che mi erano rimaste , scaraventandole in un luogo dove non avrei più potuto recuperarle .

Mossa da tutti quei pensieri negativi , sentii gli occhi appannarsi ed una scia di calore attraversarmi le guance fino a fermarsi sulle mie dita , bagnando anch’esse .

Tirai su con il naso e asciugandomi meglio gli occhi cercai di rendermi presentabile agli altri due inquilini della casa , anche se ottenere un effetto eccellente era totalmente impossibile , dopo tutto quello che avevo passato a loro insaputa .

Sospirai intensamente .

 

No , non può essere vero .

Almeno non tutto .

Lui non può farmi questo , non ne sarebbe capace , è troppo buono per farlo , troppo onesto…

Possibile che sia caduto così in basso ?

No , no , ma cosa vado a pensare , lui rimarrò sempre lo stesso , passasse un’eternità .

Non posso dubitare di lui , non voglio .

Eppure mi ha lasciato da sola .

Mi ha abbandonato .

E non tornerà mai più , me lo sento .

È da ormai più di tre settimane che non lo vedo , e per esperienza so che non riuscirebbe a trascorrere un giorno sereno senza di me e le mia voce , mi vuole troppo bene per separarsi da me .

Allora perché l’ha fatto ?

Perché mi ha fatto tutto questo ?

Cosa si aspetta da me , la sua migliore amica , la sua salvatrice , il suo eterno sostegno ?

Cosa vuole combinare di così terribilmente significativo…

 

“Alla nuova regina” ?

 

Il resto della serata trascorse tranquillamente , e come tutte le sere  dopo cena mia figlia ed io ci sistemavamo sul divano in soggiorno mentre Fernando rigovernava la cucina , e tirando fuori quella dolcezza che agli altri teneva sempre nascosta e solo io potevo contemplare ,  mi raccontava dettagliatamente tutto ciò che aveva combinato a scuola e prima di ritornare a casa , alla ricerca di luoghi ancora inesplorati da sola od in compagnia , ma comunque sempre accompagnata da una voglia di avventura e di libertà che mi stupiva ad ogni sua parola : quel giorno era tornata da una folle corsa in spiaggia (lo si capiva dalle scarpe e dai calzini colpiti da una improvvisa tempesta di sabbia) ed insieme alla educata Sandra Shepard , Sandy per gli amici , si era divertita ad osservare tutti gli strani individui che popolavano Santa Monica , e laddove scorgeva un tipo interessante non perdeva tempo a fargli la corte od a sfottere la sua prestanza , dipendeva dalla simpatia che le suscitava il bellimbusto in questione , e Sandy non faceva altro che trascinarla via da possibili risse o litigi vocali alquanto pesanti , ma Katy non demordeva ed alla fine si ritrovavano tutte e due sommerse nella sabbia dorata che circondava la baia come un anello , lottando entrambe per la sopravvivenza delle loro idee , ma sempre complici l’una dell’altra , unite da un filo sottile ma resistente che non si sarebbe mai spezzato , neanche a distanza d’anni .

Quando la adorabile peste arrivò a quel punto , oltretutto descritto con maggior gioia degli altri , cominciai a sentirmi simile ad un mollusco senza guscio , totalmente inerme e soprattutto mi sentivo molle come quelle graziose creature , una sensazione così intensa che percepivo il mio corpo fluttuare sul divano accanto a quello di Katy , i cui unici movimenti erano quelli della bocca e delle braccia , e non sembrava accorgersi minimamente della mia improvvisa metamorfosi , troppo intenta a parlare delle sue memorabili gesta .

Ben presto però capii che Katy non si trovava nella mia stessa condizione e la sua esuberanza lo constatava .

E mentre osservavo il suo viso assorto color del cioccolato , i riccioli neri che ricadevano dolcemente sulle spalle e sull’esile collo o formavano sottili spirali davanti la fronte , arrivando fin sotto i magnetici occhi di un marrone scurissimo vicinissimo al nero più buio , le delicate braccia e le mani dalle dita lunghe e magre come rametti di liquerizia che si muovevano fendendo l’aria , le instancabili labbra carnose ma proporzionate , che di volta in volta scoprivano due file di denti diritti e bianchissimi che spiccavano sul suo incarnato fresco e vellutato al tatto , mi rendevo conto che Katy possedeva ciò che invece io non avevo e per questa mancanza divenivo soffice , od ancora peggio , vulnerabile al resto del mondo .

Il volto contento ed arrossato di mia figlia , poi , non aiutava di certo la mia condizione : ella mi ricordava così tanto lui , sia nei modi che nell’aspetto , che per un attimo rimasi a fissarla imbambolata , rapita da quella crudele illusione .

Naturalmente Katy se ne accorse e dopo avermi rianimato , urlandomi contro e tirandomi anche un bel ceffone sulla guancia , consigliò di finire qui il resoconto della giornata e di andare a letto immediatamente , poiché la mia faccia era così grigia ed inespressiva che una bella dormita non avrebbe potuto farmi che bene , d’altronde il giorno dopo era domenica e potevamo riposarci quanto volevamo , senza che la nostra sveglia (la sveglia si chiama casualmente Fernando) ci disturbasse per qualunque sciocco motivo , come è solita fare .

Sottoponendomi alle decisioni della Boss , mi alzai dal morbido divano e la seguii strascicando i piedi su per le scale , cercando a tentoni la porta della mia camera , e quando la trovai varcai la soglia e mi buttai pesantemente sul grande letto che non aspettava altro di ricevere un po’ di compagnia , essendo stato solo tutto il giorno .

Ovviamente non potevo negargli la mia presenza , e prima di varcare il mondo dei sogni , rimasi accovacciata tra le coperte disordinate ed osservando nel buio il soffitto bianco della stanza ed il lampadario immobile nel silenzio , pensavo a ciò che mi aveva narrato Katy sulle sue avventure al limite del verosimile , ricordandomi anche che per giovedì 31 ottobre , per tutti gli Stati Uniti la notte d’Halloween , la scuola stava organizzando una festa a cui erano invitati alunni e professori e lei aveva espresso il diretto desiderio di andarci , ben sapendo che sua madre è sempre molto preoccupata per lei e non perderebbe tempo a trascinarla a casa dopo lo scoccare della mezzanotte , oltretutto conoscendola da quasi quattordici anni sapeva che la ragazza non si sarebbe di certo affrettata verso casa dopo la fine dei festeggiamenti , quindi se Katy non avesse avuto qualche persona di riguardo che poteva benissimo controllare le sue azioni , (pensai immediatamente alla figlia di Lily Shepard , ma con molta probabilità i genitori non l’avrebbero lasciata giustamente da sola in tutto quel trambusto e scartai quell’ipotesi) poteva benissimo scordarsi la festa .

Certo , su questo punto ero un po’ troppo severa , mia figlia aveva il diritto di divertirsi come tutti i ragazzi della sua età e l’istituto che frequentava provvedeva diligentemente alla protezione dei propri allievi , evitando per loro tutto ciò che era dannoso al corpo ed alla mente , (ed anche alla reputazione) ma le mie vecchie esperienze mi insegnavano che con i propri figli la prudenza non era mai troppa ed anche se ero più giovane rispetto alle altre mamme che conoscevo , l’attenzione rimaneva uno dei pilastri più importanti per me nel crescere un bambino , poiché molti piccoli sfortunati che brulicavano la periferia o le gallerie sotterranee della metropolitana avevano avuto un padre ed una madre poco premurosi e per nulla interessati alla sorte della loro progenie , divenuta poi un cattivo esempio per tutti i bravi ragazzi ed altrettanti genitori , che li additavano in continuazione e non riuscivano a vedere ciò che invece c’era sotto tutto quel degrado morale , augurandosi di non ridursi mai in quello stato così poco compatito .

Ecco perché non volevo che Katy andasse da sola in giro per la città di notte : con la sua ribelle condotta poteva benissimo mischiarsi in qualche brutto guaio e le avrebbero fatto pagare sicuramente le conseguenze della sua ingenuità , chissà in quale orrido modo .

Non osavo neanche pensare a come si sarebbe potuta sentire la mia bambina dopo una violenza carnale da parte di luridi sconosciuti dal sangue iniettato di odio e di una morbosa ricerca del piacere .

Non ce l’avrei fatta a sopportare quell’angoscia , il mio cuore era troppo debole non avrebbe resistito .

Avevo già perso una enorme parte della mia anima .

Mia figlia rappresentava l’altra quasi del tutto deperita .

E senza anima nessun essere umano può vivere .

Mi rigirai violentemente da un lato e cercai di asciugarmi le guance dalle lacrime e dal sudore provocati da quei ingiusti pensieri strofinando il viso contro la federa immacolata del cuscino e tirando su col naso : avevo pianto già troppo quel giorno e non intendevo continuare ancora per tutta la notte per un problema di gran lunga più piccolo rispetto a quello che mi stava facendo impazzire .

Dopotutto se avessi chiuso a chiave la porta della stanza di Katy , sbarrato le finestre e preso altre utili precauzioni , nemmeno una volpe come lei avrebbe potuto farla franca ed eventuali complici potevano benissimo essere rispediti alle proprie famiglie senza usare violenze superflue e da questo punto di vista la situazione con Katy era sistemata .

Ma come avrei dovuto comportarmi con lui ?

Abbandonare completamente la sua ricerca o rimboccarsi le mani e riportarlo sulla retta via ?

Sicuramente il sonno mi avrebbe portato consiglio , se avessi avuto la forza di chiudere gli occhi per un po’ ma riuscii ad addormentarmi solo quando ormai non si udiva più volare una mosca in tutto l’isolato ed i giovani nababbi se n’erano andati felicemente a scatenarsi in pista a ritmo magari di quelle canzoni che stavano scrivendo la storia della musica le quali mi ricordavano ogni attimo , anche in sogno , quanto mi mancasse chi le cantava .

 

La mattina dopo mi alzai di malavoglia dal soffice materasso in cui si erano annullate completamente le ansie del giorno prima , ma al mio risveglio sembrò che quella notte non avessi dormito neanche per mezz’ora , tanto forte era il mal di testa che mi trapanava le tempie e che , come tutte le volte che mi capitava qualcosa di veramente difficile da sopportare , non mi avrebbe lasciata tanto facilmente .

Perciò se non avessi trovato il modo di contattare quell’imprudente di Michael per chiedergli spiegazioni riguardo l’incisione sulla coroncina dorata la mia salute mentale poteva considerarsi in grave pericolo insieme al mio deperimento fisico e morale , e tutto questo per colpa di quell’innocuo gioiello che una sua congegnata idea aveva portato tra le mie inconsapevoli mani .

Il particolare che rimaneva più oscuro nella faccenda però , era la sua scomparsa , e ciò mi diede molti spunti per pensare ad una possibile meta : per non farsi scoprire da me potrebbe essersi rifugiato in qualunque posto lontano da Los Angeles , o addirittura lontano dalla California , ma conoscendo il profondo affetto che lo legava ai suoi familiari eliminai quella teoria dal cervello , poiché non si sarebbe mai spinto fuori dalla sua casa per più di un mese senza almeno un membro della sua famiglia , e ne rimasero pochissime , le quali restringevano il mio raggio d’azione alle zone frequentate maggiormente da Mike , ovvero la sua dimora ad Encino e tutta la zona limitrofa , compresa una piccola parte sotto le colline , completamente disabitata e sconosciuta a molti dove l’avevo visto più volte passeggiare in solitudine lontano da occhi indiscreti , ma comunque nascosto da un travestimento che avrebbe fatto invidia anche ad Arsenio Lupin .

Era quella zona il mio obiettivo , dopodiché avrei provato a bussare a casa Jackson e ragionevolmente avrei convinto i parenti di Michael , genitori compresi , a tirar fuori quel benedetto ragazzo dal suo nascondiglio per una questione molto importante di cui dovevamo discutere immediatamente e soprattutto da soli , in un luogo dove nessuno si mettesse ad origliare la nostra conversazione e ciò che sarebbe successo dopo dipendeva tutto da come Mike avrebbe risposto alla mia unica richiesta di chiarimento .

, come programma poteva andare per essere stato prodotto da una mente senza forze e folle come la mia , ed in meno di un quarto d’ora , dopo esser scesa velocemente in cucina per far colazione sotto lo sguardo incuriosito di un Fernando come al solito indaffaratissimo per star dietro alle truffe segrete della sua incorreggibile padrona di casa  , fui pronta ad avventurarmi nella metropoli , armata della vaga speranza che non voleva volare via da me e che mi sorreggeva ogniqualvolta ne avevo il completo bisogno , ed ora era la mia prima necessità , oltre a quella di trovare Michael , dovunque si nascondesse .

Camminando di buona lena , ed intanto pensando a ciò che avrei potuto dire al mio buon amico se l’avessi acchiappato , arrivai nel centro di Beverly Hills in poco tempo e da lì conoscendo bene la zona non fu difficile trovare un collegamento con Encino , spostata più ad est rispetto al famoso quartiere e collegata ad esso da ogni mezzo di trasporto disponibile in tutta la Contea di Los Angeles ; anche la metropolitana passava di lì infatti , ma ricordandomi la sua cattiva reputazione decisi di optare per un bel taxi , decisamente più sicuro e meno nascosto al mondo perverso dei sotterranei cittadini .

Scesa dal gentilissimo taxi che mi aveva accompagnato per un tragitto abbastanza lungo per i miei piedi , mi ritrovai finalmente ad Encino , un capolavoro della contea in cui la modernità ed il paesaggio si erano armonizzati con gli anni ed avevano dato vita ad

una delle zone residenziali più ambite da tutta la popolazione angelina , anche da coloro che potevano permettersi una lussuosa dimora a Beverly Hills o a Downtown o magari anche a Bel Air , ma si trattava di certi nababbi che avendo manie di grandezza volevano svegliarsi al mattino e spalancando le finestre ritrovarsi ad ammirare l’imponente e disordinato agglomerato urbano della città più frivola della California ad una altezza privilegiata dalla morfologia scoscesa del luogo .

Pensando a quei ricconi esaltati sorrisi e per poco non mi scappò una generosa risata di compassione : sinceramente non avevo di che lamentarmi riguardo la vista che si poteva godere dalla mia accogliente casetta ed ormai ero così abituata ad osservare il lento scorrere del mare , il rincorrersi delle nuvole in cielo , il fluire della vita movimentata del quartiere attraverso la finestra del soggiorno od il balcone della mia stanza che non avrei cambiato residenza per nessuna ragione al mondo , neanche se me l’avesse chiesto il presidente Reagan in persona oppure… Sì , avrebbe potuto farmi una proposta del genere ma io avrei risposto comunque di no , ci tengo troppo alla mia vita tranquilla e lontana dai guai per venire ad abitare in una villa insieme a tutta la famiglia del mio… Okay , la famiglia del mio migliore amico avrebbe pensato naturalmente male di fronte ad una donna giovane e sola con una figlia minorenne che era invitata a vivere nella loro casa da uno dei membri della parentela più famoso ed apprezzato dal mondo , ed anche molto…

Insomma , desiderato dalle donne digiune d’amore , come insomma dovevo ritenermi io , e ciò non poteva far altro che aumentare le voci di una possibile relazione fra me e Mike .

I fratelli ed i genitori di Michael (e neanche lo stesso Michael) non conoscevano però un episodio molto importante legato ai miei giorni a Londra , quando le violenze ormai arrivate al culmine della ferocia e mi avevano lasciato completamente senza forze , costringendomi ad una esistenza drammatica e priva di qualunque appiglio di salvezza : in quegli anni avevo smesso di credere in Dio ed in tutto ciò che lo riguardava , poiché avevo sempre pensato che se veramente puniva i malvagi e ricompensava i buoni ed i fedeli allora la mia vita sarebbe cambiata rapidamente grazie al suo intento , liberandomi dalla schiavitù di quei rapporti vuoti d’amore che avevo con quel mostro di mio marito e restituendomi la dignità che mi era stata tolta così improvvisamente da lui e dalla mia matrigna .

Ma più passava il tempo e più questo aiuto dal cielo non arrivava ed io mi sentivo ogni giorno sul punto di uccidermi , se non avessi trovato una luce , una speranza , per la mia condizione di sottomessa ; desideravo con tutto il cuore uscire da quella casa per sempre e non portare con me nulla se non una piccola goccia di speranza conservata per le notti più dolorose , che mi avrebbe permesso di andare avanti dopo la fuga decisiva .

Passai così un anno e tre mesi nella snervante attesa della sua voce , resistendo anche alla forza di impiccarmi con le lenzuola del letto o di lanciarmi con un peso nel Tamigi , la mia cieca fede era diventata così forte che mi impediva anche gesti estremi come il suicidio e l’assassinio del mio aguzzino .

Sapevo che un giorno avrei smesso di soffrire : non lo speravo , lo sapevo .

Me l’aveva detto lui ed a lui credevo , una volta .

Finalmente , come se il Signore avesse ascoltato per una volta la mia preghiera e volesse perdonarmi per la mia sfiducia nei suoi confronti , durante una calda mattinata di inizio agosto ricevetti il regalo più bello che una donna in difficoltà come me potesse mai desiderare : la consapevolezza di sentir crescere dentro di me un nuovo essere umano , un piccolo uovo caldo e vitale che sebbene fosse nato dalla ennesima notte di violenza , non riuscivo ad odiare con nessuna fibra del mio corpo e della mia anima , perché per me in quel tempo diventare madre non significava solamente occuparsi di una creatura nata dal tuo corpo e totalmente dipendente da te ma anche l’ora di tirar fuori le unghie ed i denti per combattere contro chiunque infimo bastardo avesse messo le mani addosso al mio piccolo ed indifeso batuffolo di cellule ancora informe , ma vivo e a suo modo pensante .

Avevo già avuto gravidanze generate da abusi ma nessuna di esse era stata portata a termine per cause abbastanza gravi e mi promettevo sempre che semmai fossi rimasta incinta ancora una volta avrei risparmiato la vita a quella minuscola parte di me , maschio o femmina che fosse , e per questo il destino mi aveva aiutato , facendomi abortire prestissimo e senza dolore .

Ma quando seppi della nuova ed ultima gestazione il contratto con il Salvatore dell’intera umanità si rinnovò , venendo in quella prossima nascita una nuova forza : se io avessi portato a termine la gravidanza riuscendo finalmente a tenere tra le braccia mio figlio e se fossi riuscita a scappare da quella casa infernale con lui , portandolo da una compagnia spietata ad una piacevole , il più lontano possibile dall’Inghilterra , e se avessi trovato una sistemazione adatta sia per me che per lui , allora non avrei più avuto bisogno di qualcuno che vivesse al mio fianco , se non il mio fagottino e persone fidate non legate a me con un contratto legale né spirituale .

Quel giorno decisi di non aver più rapporti sentimentali con un uomo , chiunque esso sia , per il bene mio e di mio figlio ; ne avevo avuto abbastanza di abusi sulla mia persona ed ero arrivata alla conclusione che tutti gli uomini erano uguali , pensavano tutti alle stesse cose e cambiare il loro modo di comportarsi era impossibile come la capacità della nostra razza di volare .

Solo un semplice ragazzo era rimasto ciò che io mi aspettavo di ritrovare e rappresentava l’unica eccezione nella mia idea , saggio e potente in mezzo agli altri , unico al mondo , perfetto .

Ed ora , mentre camminavo distrattamente per le vie di Encino lanciata alla sua ricerca e disperata più nel profondo , avevo una opinione molto diversa su di lui e solo le sue parole avrebbero potuto cambiare ciò che pensava il mio testardo cervello .

Oppure sarebbe servito qualcosa di molto più credibile , poiché non era facile convincermi del contrario dopo una serie di schiaccianti prove , qualcosa di insolito…

Qualcosa di…

…Tunf…

Non feci in tempo a finire il pensiero che mi ritrovai stesa per terra completamente infarinata , così vicina al suolo che riuscivo a distinguere ogni singolo granello di polvere , rossastra come quella del deserto , la quale mi aveva invaso anche la visuale ed ora non riuscivo più a vedere nulla se non ombre instabili ed un polverone maligno che respiravo di malavoglia e non riuscivo a togliere dagli occhi ; inoltre la cosa che non ero riuscita a percepire in tempo e mi aveva fatto cadere rovinosamente sulle ginocchia emanava un suono molto simile ad un uggiolio, accompagnato da leggere annusatine e qualche zampata alle gambe mezze addormentate per assicurarsi la natura umana di quella pazza disperata che non aveva nemmeno la forza di alzarsi da terra e di guardare dritta negli occhi quel gentilissimo animaletto che l’aveva fatta inciampare assorta nei suoi ricordi più bui e nelle sue false convinzioni , sfocando la realtà e rendendomi cieca , come in un mare di polvere insomma .

Vista la natura sconosciuta dell’ostacolo pensai da subito che si trattasse di una qualche specie canina molto grossa perciò rimasi per molto tempo immobile mentre lui mi analizzava per benino i piedi : l’esperienza mi aveva insegnato che se si incrociava una bestia feroce sui propri passi le possibilità di salvezza si alzavano se la preda avesse finto di essere morta , poiché i lupi o agli orsi non amano molto le carcasse , di cui invece vanno matte le iene o gli avvoltoi , ma non potendo esserci animale così selvatici in un centro abitato pensai che la belva fosse un cane di piccola taglia , o di un cucciolo già cresciuto , dopotutto non avevo mai avuto paura di un cagnolino , perché avrei dovuto averne ora ?

Mi issai sulle mani portando un ginocchio avanti per mantenere l’equilibrio e mi girai di scatto col busto per osservare la bestiolina che mi stava odorando da quando ero caduta e per poco non mi venne un colpo .

Ero così sconvolta e terrorizzata che lanciai un urlo , così acuto che fece sobbalzare tutte le persone intorno a me , spuntate dal polverone che si stava dissolvendo lentamente come un sogno al risveglio , e rivelava una moltitudine di uomini e donne indaffaratissimi immersi in file e file di casette di legno e mattoni appoggiate sulla sommità di una collinetta dominata dalla ghiaia e dalla polvere , mentre mi rimettevo velocemente in piedi e provavo a ragionare sensatamente ad un modo per uscirne fuori intatta e senza le gambe mangiucchiate , ma purtroppo il mio cervello pensava solamente a darsela a gambe per sfuggire dal pericolo che avevo davanti , dimenticando completamente lo scopo per il quale ero giunta fino ad Encino , anche se il posto in cui ero capitata non aveva la benché minima caratteristica di quel Paradiso Terrestre .

O meglio lo sarebbe stato se non avessi avuto davanti ai miei occhi un cucciolo di lupo grigio che mi osservava incuriosito con la testa penzoloni da un lato , l’orecchio sinistro piegato e la folta coda che si muoveva a tratti sfiorando con la sua morbidezza il terreno duro e secco , mentre le zampe anteriori erano allineate immobili al corpo , come le posteriori , ed il suo sguardo d’ambra era così assorto nella mia osservazione che sembrava chiedermi telepaticamente il perché del mio inutile spavento .

L’intensità trasparente di quelle iridi , che volevano dirmi qualcosa ma io non ne riuscivo ad afferrare il senso , mi colpirono a tal punto che la paura provata fino a quel momento scomparve dalla mia testa come se non fosse mai esistita e vi rimase soltanto l’attrazione pura verso quell’essere vivente molto insolito , capace di catturare l’attenzione di un umano servendosi dei poteri ipnotici del suo sguardo e la persona interessata non riusciva a distogliere le pupille da quella creatura irreale , che aveva le sembianze di un lupo ma l’anima non animale…

, quegli occhi avevano un’espressività irriconoscibile in qualsiasi altra belva .

Non erano occhi feroci pronti ad attaccare per istinto chiunque , uomo od animale , capaci di incutere terrore , di chi si batte per la supremazia in un branco o per accoppiarsi con le femmine più affascinanti , o per allontanare gli estranei dal territorio che spettava alla sua comunità .

No , in quello sguardo non si riusciva a scorgere l’anima di un lupo .

Le sue iridi gialle , le pupille rotonde e piccole immerse in un mare d’oro pulsante attraversato da sottili pagliuzze più scure che sembravano vagare in quell’universo sconosciuto come asteroidi possedevano una sensibilità ed una malinconia dal richiamo così…

Umano?

“Sì , il mio fedele ragazzo sa incantare così bene tutti gli stranieri che passano di qui che molti ritengono che il suo sguardo assomigli molto a quello di un nostro simile .

Anche se siamo molto diversi tra creature umane ed animali , e non possediamo certo le caratteristiche avute da un altro essere vivente e viceversa , siamo tutti figli dello stesso Grande Spirito .

Ed ognuno ha qualcosa di lui , seppur minimamente , nello sguardo  .”

La voce calma ed eterea di una donna mi giunse alle orecchie risvegliandomi dal torpore in cui ero precipitata , meravigliandomi non soltanto per le sue parole ma anche per la mancanza di una bocca e di un corpo da dove erano provenute , tanto che considerai subito l’ipotesi di un’anima intrappolata nel mondo dei vivi che si prodigava nel rilassare i miei spiriti impauriti con discorsi degni di uno stregone Sioux , ma non fece altro che peggiorare la mia situazione cerebrale : avevo avuto paura dei fantasmi da sempre , mi ricordo che quando ero piccola prima di andare a dormire facevo controllare ogni centimetro della mia stanza da papà per paura che all’improvviso , nel bel mezzo della notte spuntasse dall’armadio o da sotto il letto un indemoniato spettro venuto a vendicarsi per un torto subito da vivo , magari da una bambina molto simile a quella che rimaneva immobile e tremante sotto le coperte nell’attesa della fine .

Col passare del tempo questa paura si attenuò gradualmente , in effetti non faccio più sezionare la casa in tutti i punti per colpa di qualche fantasma dispettoso , ma ogni volta che sento un rumore sospetto o dei passi in soggiorno mentre leggo sul divano all’una di notte od anche la visione di un’ombra non umana , il mio primordiale terrore si risveglia e lì nessun abitante della casa non può dormire in pace finché non si riesce ad acchiappare il fantasma e rispedirlo dai suoi amici .

Con Halloween , poi , la mia paura si triplicava e più cercavo di evitare un film horror o una maschera terrificante più essi mi perseguitavano , anche nei sogni .

Ci fu poi un ragazzo che con la sua musica e la sua creatività mi tolse in parte la paura per i cimiteri abbandonati , ed imparai che non tutti gli zombie sono cattivi , alcuni sanno ballare in modo celestiale ed hanno il sorriso più bello di tutti quelli degli angeli del Paradiso messi insieme .

Un sorriso indimenticabile appartenente al bambino che mi aveva fatto danzare il cuore e l’aveva appeso ad una promessa ed ora lo stava incatenando dolorosamente ad una catena invincibile .

“Le catene dell’amore talvolta si spezzano , mentre il sottile filo dell’amicizia non si dissolve mai.”

Mi girai confusa verso il punto dove prima vi era seduto il cucciolo e mi ritrovai davanti la donna misteriosa in ginocchio vicino alla palla di pelo , intenta ad accarezzargli affettuosamente le orecchie ed il soffice collo mentre il piccolo emanava gorgoglii di piacere leccando le dita sottili e scure di una signora snella e delicata come un giunco , gli occhi chiusi ed i lunghi capelli raccolti in una treccia che scendeva lungo il vestito di lino lavorato e terminava alla cintura con un piccolo ciuffo ; si teneva disinvolta vicino al batuffolo argentato e lui non si discostava dal suo tocco leggero , come un bambino che non vuole smettere di essere coccolato dalla propria mamma e fa’ di tutto per tenersela vicina , in questo caso tratteneva le mani della donna con le zampe pelose facendo attenzione a non graffiarle la pelle con gli artigli affilati , ma lei si discostò dolcemente dalla stretta del lupacchiotto , che a malincuore rimase inerme nel polverone , guardandomi insistentemente e muovendo impercettibilmente la coda , ed alzandosi dalla sua posizione mi tese gentilmente la mano per aiutarmi , poiché ero rimasta seduta in terra per tutto il tempo che lei aveva parlato ed accarezzato il lupetto , causa la mia sorpresa di fronte a due figure così strane .

Lei aspettò paziente una qualche mia reazione , evitando di far incontrare i nostri sguardi , e quando finalmente mi aggrappai al suo esile braccio , mi tirò su con una forza ed una scioltezza a dir poco impossibili per un fuscello del genere , ed allentò la presa dopo che io fui completamente in piedi , di fronte a lei , e finalmente potei guardarla bene in volto , seppur inquieta : nell’insieme il suo aspetto e l’abbigliamento lasciavano pensare ad una indigena delle nostre parti , appartenente ad una tribù relegata in una riserva vicina , che vagava per la città con il suo compagno a quattro zampe senza una meta né un obiettivo precisi .

Anche se il mio sesto senso mi diceva che un obiettivo ce l’aveva .

Ciò che mi trasmettevano i suoi occhi dorati era inequivocabile .

Quella donna voleva qualcosa da me .

“Sta a te deciderlo .”

Sussulto .

Lei mi guarda ed io arrossisco violentemente .

La mente si contorce , gli occhi si sbarrano .

Come aveva fatto a rispondere ad un mio pensiero così precisamente e senza chiedermi niente ?

“Nulla è mai certo , a volte un semplice gesto può cambiare il destino , oppure cancellarlo .

Le vie della sorte sono infinite.”

Mi sorrideva innocente , e di fronte al mio sconvolgimento interiore tacque per darmi il tempo di riprendermi , poiché ogni sua parola mi paralizzava e cercai di pensare il meno possibile , chiudendo la mente ad ospiti indesiderati .

Lei se ne accorse e scostò lo sguardo rovente dal mio , sentendomi improvvisamente sollevata , e ricominciai a respirare , affannosamente , ma almeno i polmoni funzionavano insieme alla mente .

Dopo che mi fui un po’ calmata la donna mi sorrise amichevolmente , come per scusarsi della sua inattesa apparizione , e chiamò a se il cucciolo di lupo che era rimasto tutto solo in mezzo alla polvere ed al richiamo della sua padrona si scosse energicamente e trotterellò felice verso di lei , sedendosi educatamente ai suoi piedi ed aspettando il continuo del nostro pseudo - discorso , ricordandomi ancora una volta un bimbo diligente e silenzioso .

“Hai ragione , delle volte assomiglia più ad un umano che ad un lupo . Mi ricorda molto mio figlio quando era neonato : le stesse espressioni , gli stessi occhi vispi , la stessa ponderatezza… Talvolta loro assomigliano a noi e viceversa .

Sono meravigliosi .”

Parlava con una disinvoltura sconcertante guardando teneramente il cucciolo sui suoi piedi , e si accorse subito del mio disagio di fronte alle sue doti , scusandosi infinitamente per la sua ignoranza e per la sua poca abitudine a frequentare gente fuori dalla riserva .

Avrei voluto chiederle : “Ma lì avete tutti dei poteri magici?” ma mi trattenne la riservatezza ed il mio autocontrollo che si manifestava quando non ne avevo assolutamente bisogno e mi lasciava a piedi nei momenti di pura necessità : magari non vuole parlare del suo popolo per paura di essere scoperta ed io ci tenevo a non causarle tanti guai .

Anche se era un po’ inquietante mi incuriosiva come persona .

“Ti ringrazio per l’interesse , ma sul serio , non preoccuparti per me , gli altri sanno che non sono più alla riserva . Ormai sono abituati alle mie fughe… E comunque i miei non sono poteri ma sono doni della Natura , e non tutti li possediamo .

Ad esempio mio padre e mia madre non hanno mai ricevuto doni dagli spiriti ; io sono la prima della nostra famiglia .”

“…”

“Oh , perdonami ancora per la mia stoltezza ! Voi che non appartenete al nostro villaggio non siete abituati alle nostre usanze e non venerate i nostri dei , purtroppo non faccio altro che dimenticarmene . Scusami , ma mi hanno sempre insegnato che era meglio evitare l’uomo bianco e le sue convinzioni , ma da ciò che ho visto molti si lasciano trascinare da pregiudizi totalmente infondati . Ad esempio tu non mi sembri così malvagia , ed abiti tra gli uomini bianchi , in una delle zone della città più famose e popolate . E poi , tu non sei così bianca .”

Sorrise all’ultima frase , ed avendo ragione non potei far altro che ricambiare il sorriso con una delle mie tipiche citazioni .

“Beh , per me soltanto i pensieri sono a colori , noi uomini siamo incolori , ma c’è chi distingue gli altri usando una tavolozza al posto degli occhi , mentre le sue idee sono neutre e senza sostanza come l’aria . Oh , e poi a me piacciono le stranezze di voi indiani , siete fantastici !”

Le feci l’occhiolino e lei mi ringraziò commossa , ricordandomi la mia grande generosità e disponibilità , leggendo tutto nei miei occhi naturalmente .

Le sorrisi ancora , il singolare dono della fuggitiva la rendeva una creatura dolce e sensibile come poche a questo mondo , e mi sorprese il fatto che quasi non si rendesse conto della sua diversità di fronte ad un viso pallido come me e ciò non fece altro che aumentare la mia simpatia per lei , ma non meditai nulla , volevo che lo scoprisse senza leggere i miei pensieri e se veramente avesse indovinato , beh , allora ero di fronte ad un vero fenomeno della natura .

Rimanemmo in silenzio ancora per poco , l’una immersa nei propri pensieri , fin quando io decisi di rompere il silenzio chiedendole una cosa banalissima come il suo nome , anche se per i pellerossa non lo era affatto , poiché il nome segnava l’intero destino di un essere umano , ed anche per lei valeva la stessa regola : nella sua lingua era Colei Che Vede Nel Buio ,  per il dono offertole da un Spirito di cui non voleva rivelarmi l’origine per sicurezza e soprattutto per non spaventarmi ancora con le inquietanti leggende raccontate da una nativa americana , ma la tranquillizzai dicendole che le loro storie mi avevano sempre appassionata e non vi era più alcuna vena di paura in me .

Annuì non molto convinta , abbassando lo sguardo per cercare il suo piccolo amico che si era andato a cacciare chissà dove , ma dopo averlo visto ricomparire da un cespuglio di arbusti pungenti completamente ricoperto di spine e paglia secca smise di osservarlo e tornò da me immediatamente .

“Il tuo nome , invece , non l’ho mai sentito . Non mi ricordo nulla di simile ad un…Fiordaliso ? È un fiore per caso ?

“Eh… Sì , è un fiore molto diffuso nel Vecchio Continente , ma dai noi è quasi sconosciuto , l’unica pianta di fiordaliso che abbia mai visto da quando sono qui in America l’ho trovata a New York ventuno anni fa , pensa un po’ ! E poi… Beh , ne ho vista un’altra , ma non ha molta importanza…”

Ripensando a cosa avevo trovato tra i fiori di quella pianta di fiordalisi biascicai una scusa e sentii le guancie diventarmi di fuoco senza un motivo preciso ; la donna aveva compreso il mio imbarazzo e non chiese altro riguardo ciò , piuttosto era incuriosita dall’aspetto del fiore e dal perché di quel nome così bizzarro .

Mi sorpresero non poco le sue domande , ma non potevo negarle delle risposte .

“Beh , sinceramente per me non è così bizzarro , anche se non conosco nessuna donna che si chiami Fiordaliso all’infuori di me . Una volta il padrone del locale dove mia madre lavorava come cantante mi raccontò una storia che riguardava la scelta del mio nome : la mamma amava molto la natura , sul davanzale della sua finestra teneva piante e fiori di ogni tipo , e li curava come se fossero dei figli .

Ma ce n’era una che proprio non ne voleva sapere di crescere e rimaneva sempre piccola e brutta : quella piantina era un fiordaliso .

Quando io nacqui , verso la fine di aprile , improvvisamente quella pianta così rinsecchita e sterile , divenne verde e sana e cominciò a fiorire come non aveva mai fatto in tutta la sua vita . Mia madre lo vide come un presagio e volle dare alla sua bambina lo stesso nome di quei fiorellini azzurri appena sbocciati , “poiché quella mattina era nato il più bel fiore di tutti”. E da quel lontano giorno di tanti anni fa la pianta di fiordalisi che si trova sul davanzale di mia madre germoglia una sola volta all’anno , ovvero il giorno del mio compleanno .”

Finii la mia storia col cuore in subbuglio e gli occhi lucidi , il ricordo dei miei genitori era ancora forte in me dopo tutti quegli anni passati senza di loro e mi stupì la mancanza di due figure di riferimento ora che anch’io facevo parte del mondo degli adulti ; forse avevo ancora bisogno di qualcuno che si occupasse di me , proprio come una bambina non ancora pronta ad affrontare la parte più cruda della vita da sola , andata avanti per il miracolo di un angelo custode .

Smisi di singhiozzare quando mi accorsi che gli occhi gialli della donna erano fissi su di me e silenziosi carpivano il mio dolore ma non lo trasmettevano all’infuori , tutt’altro sembrava che ella capisse perfettamente cosa stavo provando e rispettava i miei sentimenti .

Per consolarmi mi raccontò come aveva vissuto fino ad allora , abbandonata da genitori troppo egoisti e superstiziosi : infatti non appena ricevette il dono dallo Spirito i suoi parenti non si accorsero della sua benignità e per non gettare sventure sulla famiglia per colpa di quel piccolo mostro , la affidarono allo stregone del villaggio , avvezzo agli Spiriti Maligni e perciò più adatto a crescere la bambina , e fuggirono portando con se pochissimi oggetti ed una immensa liberazione nell’animo .

Lo sciamano ritenne sin da subito , nonostante le imprecazioni e gli scongiuri della coppia , che quello era il dono di uno Spirito Buono e si occupò meravigliosamente della piccola , educandola come meglio poté a controllare il suo potere e le sue emozioni insegnandole anche svariati incantesimi che lei , grazie all’influsso dello Spirito , apprendeva senza alcuno sforzo .

Quando fu abbastanza grande per badare a sé da sola e lui troppo vecchio per starle ancora dietro , la donna decise di uscire per la prima volta dalla riserva per trovare un compagno con cui passare il resto della vita , lontana da tutti quegli uomini che la odiavano per il suo aspetto e per le sue capacità .

Finalmente le sue preghiere vennero esaudite: arrivata in California entrò a far parte della riserva vicina alla città di Los Angeles sposando un ragazzo della sua gente e da allora abita lì felice e contenta , come in una favola .

Quando terminò la narrazione mi sentii improvvisamente più vicina a quella sorridente squaw : entrambe infatti avevamo superato degli ostacoli a prima vista insormontabili e preso decisioni importanti che hanno influenzato considerevolmente la nostra vita e dopo anni di scherni e battaglie eravamo riuscite nel nostro intento di riscattarci alla grande e tuttora i nostri nemici ne pagano le conseguenze , isolati da noi ma ancora vicini nei nostri ricordi .

“Sì , hai proprio ragione , sai?”

“…Su cosa?”

“Siamo molto simili , Fiordaliso : tutte e due siamo reduci da una battaglia contro pregiudizi e violenze durata più di venti anni .

Tutte e due siamo state capaci di prendere delle gravi decisioni e non ci siamo mai pentite di ciò che abbiamo detto e fatto .

Tutte e due abbiamo deciso di vivere a modo nostro e di fregarcene degli altri .

Tutte e due abbiamo ricevuto delle ricompense per il nostro passato ma ancora ne aspettiamo di altre .

E tutte e due in questo momento abbiamo un grande problema da risolvere ma di fronte alla verità neghiamo le nostre vere passioni e costringiamo il nostro cuore a seguire la via sbagliata .

Vedendomi disorientata dalle sue parole si avvicinò al mio orecchio e mormorò dolcemente una promessa che si impegnava a mantenere ; e visto che ormai Colei Che Vede Nel Buio mi ispirava molta fiducia quella frase mi tranquillizzò molto .

Ad un certo punto però mi accorsi di una cosa orribile : il sole , da alto che era quando ero inciampata sul cucciolo della donna , si trovava ora dall’altra parte del cielo e percorreva il suo viaggio lento ed instancabile verso l’orizzonte , e ricordandomi che dopo il tramonto la ridente Los Angeles , città del mio cuore , diveniva il mio peggior incubo .

“Se devi andare , puoi . Non sarò certo io a trattenerti , tranquilla .”

Davanti a me lei sorrideva calma e con lo sguardo mi scrutava , vedendo ciò che gli altri non potevano scorgere , e mi esortava a lasciare quel posto non molto sicuro per una donna di città come me , offrendosi anche di accompagnarmi per un breve tratto , ma io rifiutai la proposta , dicendole che potevo cavarmela benissimo da sola e che sarei arrivata alla fermata del taxi in pochissimo tempo .

La giovane indiana assunse un’espressione imbronciata e non insistette oltre : si limitò soltanto a salutarmi ed a augurarmi la buona sorte ovunque io mi trovassi e non trascurò neanche di darmi qualche consiglio , mentre io la ascoltavo seriamente .

“Per quanto riguarda lui…”

“…”

Dagli tempo : non penso che sia così insensibile come invece si è dimostrato . Certo , non si fa vedere da più di un mese né ti chiama più , neanche per salutarti ed anche se non lo conosco di persona e non posso giudicarlo , scommetto che non farebbe mai soffrire qualcuno che gli vuole bene così intensamente come te .

Al contrario sta solo pensando al modo per scusarsi della sua assenza con te .

Tieni gli occhi ed il cuore aperti , potrebbe accaderti un fatto molto speciale , diciamo nei prossimi…Quattro giorni.”

Quattro giorni? Come fai a essere così sicura di ciò che mi accadrà fra quattro giorni?

“Vorrei tanto sapertelo spiegare , ma purtroppo è…

Non so , è una sensazione così particolare che neanche io che la provo so cos’è .

È strano , ma non ci sono parole per descriverla .”

“Nemmeno una?”

“Nemmeno una .”

“Oh…Capisco .”

“…”

“Vabbè , si è fatto tardi , dolcezza , ora devo proprio andare . Sai , ho la guardia che mi aspetta e se ritardo anche di soli cinque minuti per la cena non mi fa entrare in casa neanche per dormire sul divano !”

“Ah ah ah : va bene , va pure , non voglio che prenda una sgridata per colpa mia .

E poi la tua famiglia ti aspetta .

Addio , Fiordaliso , spero di rivederti un giorno .”

“Anche io spero di rivederti . Arrivederci !”

“Arrivederci ! E sta vicina a tua figlia , mi raccomando : avrà bisogno del tuo aiuto ora più che mai !”

“Lo farò stanne certa . A presto !”

Mentre mi allontanavo lungo la via da dove ero giunta lo scalpiccio delle suole di cuoio sul terreno arido si mescolava al rimbombo di quella raccomandazione pronunciata con così tanta sicurezza ed apprensione che al solo ripensarci mi salì un brivido freddo lungo la spina dorsale : io credevo in lei ed in quello che mi aveva detto , anche se la conoscevo da poco , ma dovevo assolutamente chiederle spiegazioni riguardo il futuro di mia figlia , poiché se le fosse successo qualcosa senza che io lo avessi saputo non me lo sarei mai perdonato .

Katy per me era importante più della mia stessa vita .

Mi voltai per tornare indietro ma non appena misi bene a fuoco la zona in cui stavamo chiacchierando sommessamente qualche momento prima tutto ciò che vidi fu polvere trasportata dal vento in mille riccioli e fuscelli d’erba che si univano a lei in una danza frenetica e silenziosa ; ma di lei e del lupetto nemmeno l’ombra o qualche impronta impressa nella polvere .

Si erano dileguati proprio come dei spiriti , senza neanche il tempo per chiederle un chiarimento soddisfacente .

Ero sola in quell’arido posto : anche la folla rumorosa e le semplici casette erano spariti , di loro rimaneva solo uno spiazzo tra piccoli e brulli canyon , colorati da erbe secche o sempreverdi .

In mezzo a tutta quella magia (come si potevano altrimenti spiegare tutti quei misteri servendosi di strumenti scientifici e razionali come il nostro cervello?) mi sentivo di troppo , non possedendo anch’io doti innate come la donna od il piccolo lupo e avevo la strana sensazione che se non avessi lasciato libero il campo nei prossimi cinque secondi il vortice di terra che il vento aveva creato mi avrebbe certamente inghiottito .

Lasciai quindi quel luogo arcano pregno di fascino e mi avviai verso casa con il petto che batteva ininterrottamente e lo stomaco sottosopra .

 

I quattro giorni che seguirono quel pomeriggio furono di certo i più lunghi della mia vita , le parole dell’indiana mi avevano molto turbato ed il fatto di non aver ottenuto delle indicazioni più specifiche riguardo il responso rendeva l’attesa ancora più angosciosa .

Non riuscivo a coricarmi senza pensare prima alla mia bambina che dormiva nella stanza a fianco e non sapeva nulla di quello strano incontro né di ciò che avevo appreso dalla donna .

Forse era un invito ad aspettare il destino tranquillamente ; magari non era così terribile come lo immaginavo io e lei voleva farmi intendere questo , in un modo un po’ particolare , ma dal profondo di me stessa ritenevo le sue intenzioni buone , una persona così sottomessa dalla vita ed attenta ai sentimenti degli altri non si sarebbe mai divertita alle spalle di chi ha sofferto i suoi stessi mali raccontando di doni della Natura e magie indigene varie con così tanta spontaneità , in fondo i nativi sono molto sinceri con chi gli dimostra fiducia .

Allo scoccare del quarto giorno però il mio dolore venne ufficialmente cancellato , sostituito da un mare di collera incredibilmente alto ; e pensare che il motivo di tutta quella rabbia doveva invece rendermi felice !

Io e mia figlia stavamo discutendo amabilmente come nostro solito e l’argomento principale era la festa d’Halloween che la scuola aveva organizzato proprio per quella sera ed avevo categoricamente proibito a mia figlia di andarci , per molti di quei motivi che io considero importanti mentre lei non l’ha mai pensata come me , e stava appunto ribattendo le sue convinzioni che si sentì distintamente una voce da fuori che esortava Katy ad uscire , una voce piccola ed acuta , che non mi ricordavo mai a chi appartenesse .

Essa interrompe la discussione e la peste guardandomi con occhi languidi mi chiede se poteva uscire almeno per salutare colui (anzi colei , era una voce femminile) che aveva urlato e sapere cosa volesse da lei ; io , rassegnata dal suo sguardo così…familiare , le do il permesso , facendole promettere di ritornare immediatamente dopo aver visto il proprietario della voce .

Lei al settimo cielo si precipita fuori dal portone di casa urlando così forte che i quadri appesi alle pareti e le corde del pianoforte vibravano pericolosamente , facendomi inquietare non poco .

Non passarono nemmeno due minuti che mi rivedo spuntare Katy dall’atrio , tutta accaldata per la corsa e molto eccitata per una causa a me ignota .

Senza neanche riprendersi un poco e senza farmi capire qualcosa riguardo la sua esuberanza comincia a trascinarmi verso il vestibolo con una forza tale da spezzarmi quasi le braccia .

“Avanti , mamma , vieni a vedere chi c’è ! Oh cavolo , non puoi capire , è stata proprio una sorpresa , sono così contenta che non riesco più a respirare !”

“E allora come diamine fa a parlare ed a tirarmi senza ansimare neanche un po’ ? Mi fai paura sai , più che una ragazzina in carne ed ossa sembri una macchina , ma cosa bevi a colazione , benzina ?”

“Mamma non dire cazzate e vieni !”

“Ehi , signorina , non si dicono parolacce a casa mia , e non voglio ripetertelo un’altra volta ! E non tirarmi così il braccio , so camminare benissimo da sola !”

“Uffa , e va bene , ma sbrigati che altrimenti se ne va !”

“Come se ne va ? Chi deve andarsene ?”

“Eh , ma se te lo dico che sorpresa è ? Eccolo , è lì !”

“Lì ? Lì dove ?”

“Ma lì , davanti a te ! Ci sta venendo incontro , non vedi ?”

“Oh , sì , ora lo vedo…”

Quella sera però era meglio se non lo avessi riconosciuto .

Ecco , il mio destino si stava avverando .

Ma io non ero pronta .

 

 

“Noooooo , l’hai interrotto proprio sul più bello , brutta cretina che non sei altro , ma come faccio io a fidarmi di te ?? Dopo tutti questi mesi passati a scrivere e a scrivere tu mi concludi il capitolo così??Ma io ti ammazzo , e butto il tuo corpo a mare!!!”

“Ri-rilassati , Veronica , non è successo niente , ho solo spostato la vicenda nel prossimo capitolo , non preoccuparti , se avrai un po’ di pazienza ti farò leggere tutto ma per ora accontentati di questo .”

“Looney ha ragione , sei troppo tesa , dovresti prenderti una vacanza una volta ogni tanto , magari lontana dai riflettori… Ti farebbe molto bene , sai?”

“Non impicciarti anche tu , per favore e lasciami finire !! Dunque , ti dicevo , cara la mia Looney…”

“S-sì…”

“Se non scrivi qualche scena di sesso molto esplicita entro il prossimo capitolo io non leggerò più la tua storia , chiaro??”

“T-ti prometto che scriverò qual cosina di erotico ma per favore non strangolarmi !!

“Io non ti sto strangolando !!

“Sì , invece , la stai strangolando ! Oppure non senti il suo collo sotto le tue zampe ??

“Le mie zampe?? Senti , cioccolatino , se sei venuto qui per insultarmi faresti bene ad andartene con quegli altri e lasciare me e la ragazza da sole… Devo finire il mio discorsetto , se non ti dispiace !”

“Lei non rimane da sola con te , Veronica ! Scusami ma tu sei poco affidabile : potrebbe succederle qualunque cosa ed io non voglio che le accada nulla !!”

“Tu… Come ti permetti di offendermi in questo modo ?? Io sono un tipo molto responsabile !! E poi lei è ormai grande e vaccinata , può cavarsela benissimo senza di te !”

“Io voglio bene a tutte le ragazze che mi amano e scrivono storie su di me , ergo devo starle vicino per forza !! O magari tu non sai ciò che provo per il fatto che nessuno scrive storie su di te ?

“Io…Sai , Mike…”

“Sì…”

“Forse hai ragione… Mi sento male perché nessuno scrive fan fiction su di me… Molte persone mi amano come amano te ma manca questo piccolo particolare : nessuno mi dedica delle storie . Cosa posso fare , Michael??”

“Beh , penso che la soluzione migliore sia chiedere a Claudia se può far qualcosa . Dopotutto lei è una tua fan e sarebbe felice d’aiutarti , vero Claudia ?”

*Io annuisco in apnea e prego mentalmente Michael di staccare Veronica dal mio collo -_-“*

“Okay , allora affare fatto , cioccolatino !! Ma che faccio , la devo lasciare ?”

“Beh , penso proprio di sì !! Guardala , è così viola che sembra una prugna matura !!”

“Oh , caspita hai ragione !! Ma come ho fatto a non accorgermi di lei ?

“Non lo so , Veronica . Voi lo sapete ??

“Forse la sua stupidità le impedisce di pensare ed agire correttamente…”(NdTutti gli altri brutti ceffi che osservano la scena perplessi -.-“)

“Ehm , sarebbe meglio non infastidirla tanto , ragazzi , siate gentili per favore : la ragazza è molto pericolosa…”

“Certo che lo sono , altrimenti non mi chiamavo Veronica , tesoro !”

“Sono contento per te , ma puoi togliere le mani da quella povera ragazza , per piacere?? Ti giuro , più la guardo e più soffre !”

“Uffa , che noioso che sei ! Sì , ora la libero…”

*Finalmente quella belva di Veronica lascia andare la presa ed io casco per terra come un sacco di patate… Cavolo , non lo da a vedere ma quella donna c’ha una forza pazzesca…O_o*

“Oh per fortuna è ancora viva !! Mi avevi fatto prendere un tale spavento , povera ragazza…”

“Ora sto bene , Michael , tranquillo , non è successo niente…Ma la prossima volta , Veronica , sfoga la tua rabbia su qualcos’altro che non sia il mio collo , per favore !! Ma lo sai che mi stavi quasi per soffocare ??

“Sì , lo so , ma quando qualcuno mi fa arrabbiare non riesco più a controllarmi , dovresti saperlo… Certo , se è Michael a farmi arrabbiare io lo punisco in altri modi , ma non posso dire come , c’è troppa gente qua…”

“Fai bene a non dircelo , potresti scandalizzare qualcuno , Veronica…Sanno tutti che le tue fantasie si restringono a campi molto materiali .”

“Bene , se la metti così….Allora vorrà dire che se mi farai arrabbiare un’altra volta non ti toccherò neanche con un dito , ma dovrai cantare Like A Virgin davanti a tutti !!”

“Like A Virgin?”

“Sì , Like A Virgin .”

“…Non è una delle mie preferite ma accetto .”

“Bene…”

“Ad una condizione .”

“Quale , sentiamo ?”

“Se mi farai arrabbiare ancora…Non ti limerò le unghie ma ti farò cantare Childhood .”

“Ch-childhood ??

“Esatto , proprio Childhood .”

“Uff , se proprio vuoi umiliarmi in questo modo per me va benissimo…”

“Beh , anche tu vuoi deridermi . Ma vedremo chi vincerà , Veronica .”

“Aspetterò quel giorno con molta ansia , bel cioccolatino .”

“Anch’io , ma non chiamarmi cioccolatino per favore . Mi suona così…”

“Invitante ?”

“Giusto .”

“Ah…Okay , come vuoi .”

*Vero sorride sadica ed osserva il piccolo e dolce Michael proprio come un cioccolatino… o_o Beh , su questo non posso darle torto , ha ragione…°ç°*

“Ehm , scusate se interrompo il vostro discorso ma vorrei dirvi che dovrei andare a rispondere alle recensioni , a ringraziare mille persone e se me lo concedete a postare entro la prossima ora !! Posso lasciarvi solo per qualche minuto senza ritrovarvi in condizioni irragionevoli ??

“Certo che puoi , piccola , baderà io a questo bel cioccolatino !!”

“Io invece vengo con te , Claudia..Non mi sento molto sicuro vicino a lei..”

“Ti capisco , Mike…Vabbè ora comincio a scrivere , siediti qui di fianco a me !”

“Con sommo piacere , dolcezza…”

Oh , diamine , dolcezza...dolcezza…DOLCEZZA…O_O *tenta di non saltare addosso a lui e con l’aiuto di qualche santo sconosciuto ci riesce e tira un sospiro sollevata*

Bene , mi sono ripresa ragazze!!** ora possiamo cominciare , certo!!^^

Eh ??ò_ò

Oh Santo Cielo , non ho fatto niente , non tiratemi i pomodori per favore !!T_T

Certo , sono stata assente per quasi due mesi , ma non penso che sia così grave , dopotutto ci sono sempre , la storia pure , ergo calmatevi per favore e fatemi parlare , dopodiché potrete leggere il vostro bel capitolo ma prima devo dirvi due cose !!

Oh caspita pure le uova mo...-.-“

Uffi , non mi interessa , io ve le dico lo stesso !!

Allora la prima cosa che voglio darvi sono le mie scuse più infinite per la mia totale eclissi : lo so , non mi sono comportata molto bene nei vostri confronti , vi ho fatto aspettare per tutto questo tempo e magari qualcuna si sarà dimenticata di me (spero che la maggior parte sia rimasta invece..^^) .

Sono stata una stupida e vi prometto che una cosa del genere non accadrà più .

Ve lo prometto con tutto il cuore , dolcezze mie..*_*

Oh e poi volevo dirvi che ho suddiviso la faccenda in due parti perché altrimenti sarebbe apparsa più lunga e monotona e non volevo annoiarvi di più !^^ nel prossimo capitolo ne vedrete delle belle però , finalmente il nostro amato Topone tornerà a deliziarci con la sua appetibile presenza , e ci rimarrete , oooh sì !!*O*

Se non vi piace questo capitolo o volete segnalarmi qualcosa che a voi è sembrato offensivo vi prego di farlo , non mi offendo come ben sapete e mi piace ricevere delle critiche , fanno molto bene allo spirito ed alla storia !!^^

Topone poi mi ha detto che quel benedetto tour che stiamo organizzando da ottobre si farà !! *urli isterici dalle fan che si strappano i capelli e piangono e qualcuna sviene pure ò_ò* la prima tappa è prevista per il 25 dicembre , una data schifosa per noi Jacksoniane ma Michael ha voluto così , spero che qualcuno ci sia , se volete comprare i biglietti rivolgetevi a me , grazie mille!!^^

Un’altra comunicazione interna : dopo aver postato questo capitolo , ovvero oggi mercoledì 23 dicembre , mi prenderò un periodo di riposo di tre giorni , comprendente quindi la Vigilia , Natale e Santo Stefano , spero che non vi dispiaccia ma per almeno un po’ non voglio vedere computer e penso che sia intuibile la mia reazione , dopo quasi tre mesi passati a scrivere e a scrivere ininterrottamente !!xD

Bene ora passiamo ai ringraziamenti e poi me ne vado , giuro ù_ù : innanzitutto vorrei ringraziare la mia amica Veronica (la biondina pazza che avete conosciuto prima , per intenderci xD) la quale riesce sempre a tirarmi su di morale , ed ha una canzone per ogni problema (per una parte di questo capitolo mi sono ispirata ad una sua canzone che mi piace tantissimo , vediamo se la indovinate xD) ; la mia amata prof di latino e greco della Garbatella (ormai la conoscono tutti !xD) con le sue perle di saggezza romanesche ; Cime Tempestose , bellissimo , ve lo consiglio ù_ù ; le vacanze di Natale che mi hanno fatto respirare un pochetto ^^ ; e per finire tu , mio dolce amico delle notti buie e dei giorni tristi , tu che riempirai per sempre il mio cuore con la tua voce ed i miei occhi col tuo bellissimo sorriso .

Grazie , Michael , ti amo con tutto il cuore ed anche se non ti ringrazio mai , e spero che anche per te sia lo stesso , ti penso sempre e non c’è giorno che io non ti senta vicino .

Non ti dimenticherò mai sappilo .

Sob , e dopo questo ringraziamento che mi ha fatto divenire gli occhi molto lucidi ed il naso gocciolante T.T , ringraziamo le belle Cucciole e le belle Bambole che hanno recensito ed alle quali penso sempre , vi voglio tanto bene Ciccine mie !!^^

Visto che è da tanto tempo che non la vedo recensire e considerato anche che le voglio un mondo di bene , vorrei cominciare con la mia dolcissima Ambra , e cioè Eutherpe : amore mio ma so io quella disgraziata mica te !!xD certo , mi hai fatto prendere un bello spavento , poiché dal terzo capitolo in poi non recensivi più ma per fortuna mi è arrivata quella mail e mi sono calmata !!*_* sono molto contenta delle tue parole ed il tuo commento mi è piaciuto moltissimo , ogni volta che leggo qualcosa scritta da te mi sento benissimo , sei proprio magica , mia piccola Ambra e non solo per me !!^^ sapevo naturalmente della simpatia per il mitico Fernando e penso che vederlo in un ruolo nuovo ti stupirà un sacco , ma non voglio dirti nulla per ora..ù_ù pensiamo a Katy , piuttosto xD : lei sì che è particolare ed il suo odio per Joe è tutta finzione da come avrai capito , e non tarderanno ad uscir fuori i suoi veri sentimenti , già dal prossimo capitolo eheheh…** e poi ci sono Fiorellino e Mike che per ora sono divisi ma ritorneranno insieme… per modo di dire insomma , non voglio farli sposare ed anche se lui è molto gentile e carino con lei ha già qualcun altro che lo aspetta…^o^ perdonami se non posso commentare ogni tua singola riga ma vado di fretta e devo rispondere alle altre : ci sentiamo tanto e fammi sapere cosa ne pensi di questo nuovo capitolo , grazie picciola , ti voglio bene !!^^

Poi c’abbiamo qui una nuova lettrice la bellissima e meravigliosa Laban , che si è anche permessa di mettere la mia storia fra le seguite e di commentare !! Brava Fabi , mi aspetto molto da te non deludermi , Cucciola!!^^

Ooooooh ed ora è arrivato il momento delle mie due sorelline preferite , ovvero Moma , la più grande , e Annina , la piccolina.. Che ne dite se iniziamo dalla più piccola ?^^

Dolcekagome : vedi tesoro che finalmente sono riuscita ad aggiornare ??^^

Eheh ma tu non credi nelle mie capacità , che ce devo fa’, purtroppo io non sono una macchina ed ognuno ha i suoi tempi , eh sì..ù_ù ma come non conosci quel gran bel fusto di Inuyasha con la sua fastidiosa ragazza Kagome ??o_o oh cavolo dovrò allestire anche un corso su manga ed anime per aspiranti otaku , qui serve avoja… per fortuna che conosci invece quel bel sorcone di Ryuzaki : hai ragione veramente troppo sexy seduto sulla sua sedia girevole che spezza un biscottino a forma di panda…come vorrei essere quel biscottino…*sbava :Q_______* ehm purtroppo a tutte queste domande non posso rispondere altrimenti la storia perde tutto il suo fascino ma almeno ora sai che cavolo c’è scritto su quella coroncina e se non l’hai capito è la frasetta tra virgolette…se per caso te se pija qualche corpo dopo aver letto quella parte sai con chi prendertela !xD aah ma grazie di che ciccina??^^ tu svolgi il tuo mestiere di lettrice assatanata ed hai il diritto di comportarti così , anzi a me fa molto piacere !!^^ spero tanto che segua questa storia fino in fondo , ormai non sono affezionata a te , mia piccola Kagome , ed anche alla grande Moma che tra un po’ m’ammazza perché ancora non ho aggiornato…o_o Vabbè intanto rispondiamo alla sua recensione , sul web lei è Monyprincesslovett : ehm , scene esplicite ancora non ci sono piccola mia , dovrai attendere ancora un pochetto , ma spero proprio che ciò che succederà tra Katy ed il prof ti interessi , e , devo dirtelo , le tue previsioni sono super azzeccate ^^ : in effetti all’inizio saranno soltanto amici ma poi vedremo cosa combineranno… ;) spero che l’incisione sul “coso sbrilluccicante” ti abbia lasciato sorpresa , perché quello era il mio intento (Ihihih**) ma mi raccomando non svenirmi eh ??xD sennò addio finale della storia !! ci vediamo amore e vedi di recensire subito chiaro ??^^

Ora si passa alla Bambola più diabolica di tutte , la nostra amatissima Alessandra , alias La Diavolessa : bella , ti ringrazio per tutte le parole che mi hai detto **: davvero , sentirsi dare della brava scrittrice da una ragazza come te che ha frequentato il liceo classico , stessa scuola che frequento io , mi da una sensazione bellissima , non so proprio come descriverla !!^^ ancora grazie per i complimenti e buonissima lettura !!^^

Eheh , e sapete mo chi viene , rega’??**

La mia bellissima , stupendissima , bravissima , acclamatissima e dolcissima maritina , la mia splendida Orsetta , o come la conoscono tutti su Efp la grandissima Bad_Mickey : ehm tesoro mio , ti dispiace se la mia risposta è molto meno lunga della tua recensione?? I miei dicono che devono andare a nanna e non mi fanno restare tanto al computer , ergo , io ti ringrazio per il papiro egiziano e spero proprio che questo nuovo capitolo ti sia piaciuto , ti amo tantissimo amore mio , ti amooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooo!!!**

ò_ò ?? Che c’è , mo non posso di a mi marita che la amo su Efp ??

Bah , che meschini che siete…-_-“

Non capite l’amore che io provo per questa ragazza ma vabbè non tutti sono perfetti…°-° ti prometto però che se c’ho un po’ de tempo ti rispondo privatamente..^^ ti amo e grazie ancora piccola!!**

 

Aaaaah , ora posso anche andare a nanna ed aspettare che arrivi Babbo Natale , non so voi , ma io non vedo l’ora di scartare i regali !!** ci vediamo dopo le feste ciccine mie , buon Natale e felice Anno Nuovo dalla vostra Looney Queen , che Dio vi benedica!!^^

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** La verità (O quasi...) (Anche i vampiri hanno un cuore-Seconda parte) ***


 

                                La verità (O quasi…)

 

     

      

            (Anche i vampiri hanno un cuore-Seconda parte)

 

 

 

Sarebbe stato molto meglio per me non lasciarmi trascinare per un braccio da mia figlia quella sera: dopotutto è piccola e magrolina, potevo tranquillamente sollevarmela sulle spalle, riportarla in casa e sigillare porte e finestre incurante dei suoi lamenti e dei suoi calci nella pancia, per poi fregarmene di quello che succedeva fuori, importante o meno che fosse, ed andare a dormire serena e senza seccature ronzanti per la testa.

Purtroppo mi rendo sempre conto di aver commesso un errore solo dopo aver constatato le sue conseguenze e ad aiutarmi c’erano Katie e il devastante subbuglio ormonale che si creava in lei alla vista del suo amore impossibile, ovvero l’artefice delle mie sciagure.

Non era solo lui però a renderla euforica: infatti vicino alla berlina blu parcheggiata fuori dal cancello della nostra villa Katie abbracciava sorridente una ragazzina bianca che aveva sì e no la sua stessa età ed un’aria da riccona inconfondibile come il suo nome, Sandrah Shepard.

Mi chiesi da subito come cavolo era giunta fin lì da Encino da sola, senza genitori, senza scorta, insomma senza nessuno che la potesse proteggere dalle insidie degli angoli più nascosti della nostra città, ma guardando verso di lui capii subito cosa era successo. 

Mi avvicinai a Katie per chiederle spiegazioni più dettagliate ed intanto saltellava e ridacchiava insieme alla sua amica, gridandomi:“Visto, te lo dicevo che sarebbe stata una sorpresa!”, quando mi sentii improvvisamente chiamare da una voce che purtroppo conoscevo benissimo e come se non bastasse si stava avvicinando sempre più.

Ero indecisa tra il rimanere attonita alla sua vista prendendola alla leggera e salutarlo affettuosamente come se non fosse successo nulla oppure fregandomene del bon ton e della sua eccelsa fama tra il popolo rimproverarlo rabbiosamente e schiaffeggiarlo fino a fargli diventare le guance rosse come salsa rubra sui tacos, e magari anche rispedirlo a casa sua con tutti gli interessi con un calcio ben assestato nel fondoschiena.

Ma osservando le temute bodyguards alle spalle delle ragazze che ricambiavano minacciose il mio sguardo cambiai immediatamente idea e decisi che un accostamento pacifico alla vicenda avrebbe giovato alle mie povere ossa.

Ma niente e nessuno mi vietava di punire per bene la mia piccola peste e stavo proprio per prenderla alle spalle sotto gli occhi sorpresi di Sandy quando qualcun altro strattonò invece me per un braccio, non molto forte ma la giusta intensità per invitarmi a voltare la faccia verso di lui.

Un volto che avrebbe addolcito anche il diavolo.

In quel momento però l’unica sensazione che mi provocava quel viso era delusione.

Non sei mai stato così diverso con me prima d’ora.

Perché ti sei comportato in questo modo?

Perché sei così cambiato, Michael?

“Fiordaliso? Cosa c’è, perché mi fissi in questo modo? Sembri così…Distante, che ti è successo?”

“E glielo chiedi anche, Mike! Secondo me è stata colpita dal tuo pungente fascino (come al solito) e non riesce più a scollarti gli occhi di dosso. Ah, se si fosse accorta prima di te, a quest’ora ti avrei come padre…”

“Non cominciare a punzecchiarmi, Katie, sei molto simpatica ma quando fai così non lo sei neanche un po’!”

“Neanche un pochino-ino-ino?”

“No!”

Ogniqualvolta Michael veniva a casa nostra per stare un po’ di tempo con noi amava litigare per finta con Katie.

Era il loro passatempo preferito, a parte giocare qualche perfido scherzo al povero Fernando che se la prendeva sempre e li rincorreva per tutte le stanze della casa e per il giardino fino a rallentare sfinito circondato dalle loro sonore risa, ed io che in quel momento divenivo la più seria dei quattro li rimproveravo piegandomi in due dalle risate, dimenticandomi pure di respirare.

Le nostre giornate finivano sempre con un sorriso ed un abbraccio lunghissimo sotto un sole caldo e morente che segnava la fine del giorno ma l’inizio della speranza, la speranza di rivederci e di divertirci ancora insieme.

Quei ricordi mi sembrarono troppo lontani per risalire soltanto a due mesi prima, eppure non riuscivo a capacitarmi sulla ricomparsa di quel mascalzone che era venuto a casa mia soltanto per ridere e scherzare con Katie tralasciando problemi più gravi, come il nostro.

La frustrazione stava cominciando ad annebbiarmi la vista e prima ciò che era nitido e inequivocabile divenne nebuloso e contorto; l’unica cosa che ancora funzionava era l’udito, sentivo perfettamente tutti i discorsi imbarazzanti che Katie rivolgeva a Michael, il suo timido disappunto e le suppliche della povera Sandrah che tentavano di placare la lingua lunga di mia figlia.

Tutto quel casino mi dava alla testa, e veniva accentuato dalla sfrenata corsa che il mio cervello stava intraprendendo per scovare una possibile scappatoia in tutto quel macello.

L’unica soluzione che mi si presentava davanti era sbarazzarsi gentilmente delle due signorine di fronte ed allontanati anche i collaboratori della star rimanere finalmente sola con essa.

Il problema ora rimaneva come : certo, potevo inventarmi la scusa della passeggiatina nel quartiere ma Katie conosceva fin troppo bene sua madre per cadere in simili tranelli.

Un’altra ipotesi ammissibile poteva dipendere dall’umidità della sera, (“Correte in casa, ragazze, qua fuori si gela e potreste prendere un raffreddore! Potete anche lasciarci soli, abbiamo le difese immunitarie che ogni giorno si allenano al bilanciere e alla boxe, dovreste sentire come scazzottano!”) ma poi pensai alla mente perversa di mia figlia e lasciai perdere subito.

Ero ormai a corto di motivi plausibili per scacciare quelle sanguisughe.

O meglio…Uno c’era.

Inspirai profondamente fino a gonfiarmi il petto come un tacchino per il Giorno del Ringraziamento e mi feci coraggio, in fondo non c’era nulla di più semplice.

No, proprio nulla, davvero.

Buttai fuori tutta l’aria: bene, era arrivato il momento.

Mi schiarii la voce rumorosamente ma nessuno osò girarsi verso di me, ancora intenti a chiacchierare come comari di paese.

Ci riprovai e stavolta funzionò, poiché mi ritrovai immersa da tre paia di occhi, di cui due scurissime e attente e l’altra di uno sperduto verde chiaro.

“Ehm…”

L’intensità degli occhi scuri che mi stavano esattamente davanti aumentò e non seppi bene come ma le parole che mi uscirono dopo dalla bocca non provenivano dalla mia istruita mente, bensì dal nulla.

“Bene, finalmente ho attirato la vostra attenzione! Volevo chiedere a voi, bambine, ed anche a te, Michael…”

Qui stavo quasi per strozzarmi con la saliva.

“…Beh, ecco…Vedete, ci ho pensato molto e penso che tu, tesorino mio, ti meriti un bel premio…”

Mi schiarii ancora per bene la gola mentre una sconcertata Katie mi fissava in silenzio.

“…Ultimamente la mia adorata Katherine ha mostrato di possedere una serietà ed una riservatezza veramente notevoli per una ragazzina di soli tredici anni, otto mesi e ventitré giorni come lei, ed io naturalmente, da mamma brava e premurosa che sono per la mia dolcissima bambolina ho intravisto queste dimostrazioni di agognata maturità come un miraggio in un deserto di disperazione ed ignoranza, e devo dirvelo, sono tuttora commossa per la mia piccolina…”

Finte lacrime mi uscirono dagli occhi per sottolineare la solennità di quel momento, le labbra si incresparono e la voce tremò sotto il peso della mia favolosa improvvisazione.

E tutto questo per rimanere sola con Michael!

Avrebbero dovuto consegnarmi immediatamente l’Oscar come Miglior Mamma Attrice del Decennio ma purtroppo non esistevano premi di quel genere e la mia arte rimaneva celata alla massa.

Gli unici che potevano goderne erano le mie vittime dagli occhi sgranati e le bocche aperte a mo’ di stoccafisso surgelato.

Ciò che mi stupì tantissimo però era la loro attenzione di fronte alla mia sceneggiata: difficilmente qualche essere umano ragionevole credeva alle stupidaggini che sparavo e l’assurdo fenomeno che mi si presentava davanti agli occhi non mi convinceva molto…

Vabbè, meglio se continuo a parlare, altrimenti si insospettiscono.

“…Per questo motivo Katie ha diritto a due ricompense: la prima è rimanere per sempre così, almeno ai miei occhi, e man mano che crescerà divenire ancor più splendida di come è ora!

La seconda cosa è, mia piccola orsacchiotta…”

Con questa espressione ho sorpassato il limite.

Katie non mi rivolgerà più la parola per l’eternità…

“…Partecipare alla festa d’istituto che si terrà stasera stessa, esattamente alle dieci e mezza! Mike è venuto qui apposta insieme alla tua amica per farti una sorpresa e per scortarti personalmente fino alla scuola, dove tu e Sandrah sarete accolte come le regine della festa!”

Conclusi il mio monologo realizzata e sorridendo osservai la buffa espressione che Katie aveva in viso, un misto tra gioia e scetticismo insuperabile; in quanto a Sandy la sua era una pura faccia da incredula.

Michael era rimasto un po’ interdetto da tutte le stramberie che avevo sparato anche più delle bambine ed anche se non era completamente al corrente del mio piano annuiva cercando di essere il più convincente possibile ai loro occhi.

Magari un briciolo del suo altruismo nei miei confronti era rimasto e voleva aiutarmi nel miglior modo possibile a risolvere il nostro problema…

Sì, non poteva essere altrimenti.

Dopo un brevissimo periodo di silenzio le due scoppiarono in urli e risate indiavolati e saltellandomi intorno mi gridavano ringraziamenti e rassicurazioni di tutti i tipi, per poi correre fuori dal cancello e precipitarsi all’interno della spaziosa vettura di Michael, senza chiedere ulteriori spiegazioni: forse erano così eccitate che i sospetti su di me erano volati via immediatamente dalle loro testoline ricciolute.

Mi augurai che fosse così, in fondo era facile eludere delle adolescenti indifese con il permesso di recarsi ad una festa fuori casa, soprattutto per Katie alla quale l’avevo negato categoricamente, in quanto a Sandy pensavo che non fosse un tipo da feste ma l’occasione non andava assolutamente sprecata.

Ero già pronta ad abbandonarmi ai saluti ed alle raccomandazioni dal marciapiede con tanto di fazzoletto svolazzante tra le dita che sopraggiunse il peggior imprevisto che potesse capitarmi quella sera.

“Mamma, ma le maschere dove le prendiamo? Dobbiamo presentarci così, vestite come due morte di fame che non siamo oppure fai in tempo a cucircene due in meno di mezz’ora?”

Mi battei una mano sulla fronte.

Per tutte le zucche del mondo, come potevo essere stata così cretina?

Avevo un talento speciale nel dimenticare le cose assolutamente necessarie e non riuscivo a togliermi questo vizio neanche con dei bigliettini appiccicati al frigorifero o in fronte e nel momento del bisogno si vedevano le conseguenze della mia incapacità.

Come potevo essere stata così maldestra in un momento cruciale come questo?

“Se volete potete prendere qualcosina che ci è avanzato dall’altro anno. Non è molto ma è merce di ottima qualità servitevi pure, ragazze, e non fate complimenti!”

Tirai un sospiro di sollievo, il gentilissimo autista con il suo tempestivo intervento aveva salvato il mio piano e non potei far altro che ringraziarlo con tutto il cuore mentre la lussuosa e superaccessoriata macchina percorreva il lungo viale d’asfalto e scompariva alla nostra vista seguita dal rombo del motore e dagli schiamazzi che provenivano dall’interno.

Dopodiché nel già tranquillo isolato non si udì più il minimo rumore, tutto era come congelato in una palla di vetro natalizia e l’unica cosa che si udiva distintamente in quella irreale quiete erano il mio respiro e quello di Michael, a circa due metri da me.

Non sembrava molto teso come invece lo ero io, e ciò mi sollevò molto: avrebbe parlato più apertamente e avremmo risolto in modo pacifico le nostre controversie, da bravi amici.

Tuttavia il nervosismo c’era sempre e non bastava un pensiero del genere a scacciarlo.

Mi rigiravo le mani nel tentativo di trovare una scusa plausibile per iniziare un discorso logico ma ciò non avvenne ed i palmi divennero ancora più arrossati e sudati di prima.

Mi girai verso Michael per osservare la sua espressione, ma vedendoci dentro soltanto serica serenità, decisi che la cosa migliore era cominciare a parlare immediatamente e senza farsi interrompere, così la riappacificazione sarebbe finita prima e ce ne saremmo tornati tutti e due nelle nostre accoglienti casette a sfondare il letto.

Stavo giusto aprendo la bocca in una bella O che Michael mi bloccò le parole in bocca dicendo:

“Fa caldo stasera, non trovi?”

Io, completamente accigliata, non sapevo cosa rispondergli.

Se voleva sdrammatizzare colpendomi nei miei punti deboli, ovvero lui e la mia perenne ricerca di un luogo fresco e lontano dalla luce allora c’era quasi riuscito: la temperatura del mio corpo si alzava se lui mi si avvicinava ed essendo molto calorosa di natura il mio termometro interno schizzava a cinquanta gradi.

Fortunatamente la distanza che ci separava era a prova di svenimento e se fossi rimasta per tutto il tempo della nostra discussione ad almeno tre metri da lui non avrei corso inutili rischi e sprecato preziosissimo tempo con la testa tra le nuvole.

Nonostante il mio profondo desiderio di farla finita con recite e presentazioni varie mi accennai a rispondere educatamente alla domanda di Michael, dopodiché avrei perorato la mia causa fino alla morte.

“Sì. Mi sento andare a fuoco, e neanche questo bel venticello aiuta molto”.

“…Anch’io ho un caldo pazzesco. Secondo te da cosa dipenderà?”

E secondo te?

“Boh, non saprei…”

“Oh…Okay”.

Il silenzio ripiombò tra di noi, era tutto così silenzioso che persino i gufi se ne stavano zitti zitti acquattati sui pali del telefono intenti ad origliare i nostri discorsi mentre i rumorosi felini del quartiere avevano smesso di amoreggiare tra di loro ed osservavano la scena appostati invece sui muretti e sui cancelli delle ville, le pupille dilatate ed il pelo ritto come se avessero appena preso la corrente.

Per colpa di quegli inguaribili guardoni cominciai a sudare ancor di più, le meningi stavano schiacciando il resto del cervello riducendolo ad un puntino insignificante nel bel mezzo del cranio, e le gambe divennero flosce, a stento riuscivano a non tremare sotto il peso del mio corpo esausto.

Michael invece non sembrava minimamente intimorito da tutto quel silenzioso pubblico, ed osservando disinvolto l’ambiente in cui si trovava ogni tanto spostava lo sguardo su di me che divenivo ad ogni occhiata sempre più nervosa.

Volevo farla finita una volta per tutte, ma disgraziatamente il ragazzo che mi trovavo di fronte aveva uno speciale talento nell’incantare povere fanciulle indifese e sole come me e l’intento si stava rivelando molto difficoltoso.

E su, Fiordaliso, in fondo di cosa hai paura?

È lui che dovrebbe tremare alla tua vista, ad ogni tuo sguardo, ora sei tu la preda e lui la vittima, non più il contrario.

Ripensa a ciò che hai passato per colpa di quel maledetto ciondolo dal significato inequivocabile, chiunque sarebbe impazzito al posto tuo, ma tu hai resistito fino a questo giorno proprio per dirgliene quattro in faccia!

Non saranno due occhi dolci a fermarti, né una carezza o un abbraccio.

No, non posso perdere così miseramente…

Michael è fin troppo buono per combattere contro una donna, e per giunta con me, la sua migliore amica.

O forse no?

 

“Michael…”

La voce era uscita dalla mia bocca stridula ed ansiosa.

Non ero riuscita a fermarla prima ed ora ne avrei pagato le conseguenze, belle o brutte che fossero.

“Sì, cosa c’è?”

“Vedi…”dissi riprendendo fiato più di quanto era permesso ai miei polmoni.

“…Tu sai che io non ti ho mai detto alcuna bugia per tutto il tempo che ci conosciamo… E quindi volevo dirtelo…”

Presi ancora un’altra bella boccata d’aria, Michael che mi fissava accigliato e provava a comprendere ciò che stavo dicendo.

“…Ho inventato la scusa della festa per tenere lontane quelle pettegole… E parlare con te…”

A quelle parole Michael non si scompose ed attese il continuo del mio racconto, non molto consapevole di ciò che gli sarebbe capitato dopo; forse mi stavo sbagliando in pieno ma la dolce luce che non abbandonava mai i suoi occhi significava fiducia, quella che solo lui, in tutti quegli anni, mi aveva concesso.

“È semplice da spiegare, eppure così difficile…” dissi contorcendomi le mani e la lingua in una morsa fastidiosa.

“Vedi, qualche tempo fa, il giorno che tu sei venuto a trovarci per l’ultima volta, mi hai portato un mazzo di fiordalisi, chiara allusione al mio nome… Mi ricordo il momento preciso in cui me li hai messi davanti agli occhi: erano così belli che non ho potuto fare a meno di addolcirmi di fronte ad essi.

Poi quel meraviglioso mazzo era stato messo da parte per un po’, abbiamo fatto altre cose, ci siamo divertiti come matti ed anche un po’ preoccupati, se ti ricordi; all’improvviso poi, sei sparito, ed io non sapevo più dove cercarti, ero disperata ma allo stesso tempo furiosa, poiché azioni del genere non erano da te…”

Trattenni una lacrima e man mano che mi avvicinavo al succo della questione la mia voce perdeva il tremore e riacquisiva il suo timbro chiaro e squillante che l’aveva sempre caratterizzata.

Forse la rabbia fa diventare le persone più sicure di sé stesse…

“Nonostante tutto ti perdonai, poiché conoscendoti credevo che quel gesto fosse meno grave compiuto da te, e così pensai… fino ad un quarto d’ora dopo”.

Sottolineai le ultime tre parole cosicché capisse bene il mio dramma interiore da quel giorno, ma non sembrava minimamente spaventato dalle mie parole.

Mentre nel mio stomaco sentivo scoppiare dalla rabbia centinaia di candelotti di dinamite ACME, lui era lì di fronte a me, e mi fissava come una madre avrebbe fissato il suo bambino.

La serenità del suo viso stonava con il rammarico del mio, appariva tutto fuorché un colpevole di fronte alla Corte d’Appello: quegli occhi urlavano la sua sincerità e la loro forza era rapida e potente.

Dovevo comunque continuare l’arringa se non volevo che quella faccenda finisse archiviata nel cassetto dei Ricordi da Dimenticare e così abbassai lo sguardo al suolo e continuai, la voce completamente stabilizzata.

“…Mentre stavo cercando un tuo biglietto tra i fiori qualcosa cadde sul pianoforte: non un foglietto, bensì qualcosa di più pesante… E prezioso.

Un oggetto così bello da togliere il fiato, Michael…

Un ciondolo a forma di corona, come quella che indossano le regine”.

Mi avvicinai a lui, gli occhi incollati ai suoi e la voce sempre più acuta.

“…Mi chiesi da subito chi mi avesse regalato un gioiello così costoso e raffinato nascondendolo così bene d’altronde… La risposta però era esattamente davanti ai miei occhi…

E lo è tuttora”.

Conclusi il discorso in un soffio, a pochi centimetri dalle labbra ferme di Michael.

Rimase impassibile al mio sguardo inquisitorio, eppure non distoglieva l’attenzione dalle mie pupille: in esse ci leggeva tutta la mia frustrazione, la mia umiliazione, la snervante attesa di una risposta che non era mai arrivata.

Non aveva paura, glielo leggevo in faccia, e ciò mi rendeva ancora più arrabbiata: perché diamine non si difendeva?

Trovava gusto nel vedermi in quello stato per colpa sua, era davvero così meschino da non fregarsene più di me?

Era difficile pensare che Michael compisse misfatti del genere ma essendo fornita di prove schiaccianti non potevo pensare altrimenti.

Attesi un suo cenno di scuse senza successo, continuò seraficamente a guardarmi, totalmente estraneo alle mie preoccupazioni.

Alla fine per fargli uscire qualche parola di bocca formulai la tipica domanda che si rivolge all’imputato dopo aver ascoltato la difesa avversaria:”Cosa hai da dire a tua discolpa?”

Michael ci pensò un po’ su prima di rispondere.

Respirò profondamente, le mani in tasca, il volto rilassato; sembrava stesse conversando con un conoscente che non vedeva da cinque minuti.

“Non ho molto da dire per togliere tutti i sospetti su di me.

Ormai è palese la mia cattura, Fiordaliso. E se avrai un po’ di pazienza e non ti metterai ad urlare come a tuo solito…”

“Io non mi metto mai a urlare quando sta parlando qualcuno, Michael!” sbottai prima che potesse finire la frase, e lui mi guardò affettuosamente, tanto che sentii lo stomaco stringersi alla sua visione.

“L’hai appena fatto”.

“Ah… Hai ragione, sì. Non lo faccio più, promesso”.

“Molto bene. Ti stavo dicendo, se avrai un po’ pazienza ti racconterò le cause della mia assenza dopodiché ti chiederò mille volte scusa ma soltanto se mi lasci spiegare. Me lo concedi?”

Altro sorriso contorci – budella.

Non sapevo cosa rispondere sinceramente: ero troppo arrabbiata per ascoltare inutili spiegazioni ma allo stesso tempo desideravo calorosamente che Michael si inginocchiasse umilmente e si scusasse finché la lingua non gli fosse caduta a terra a forza di parlare.

La situazione però imponeva una scelta rapida ed alla fine scelsi il male minore: lasciar parlare Michael, dopo le sue confessioni avrei dato delle conclusioni più esaurienti e soprattutto meno irrazionali.

“Sì, te lo concedo” risposi asciutta.

Molto sollevato per la mia risposta, Michael si schiarì garbatamente la voce, senza smettere di fissarmi amorevolmente, poi sospirò profondamente.

“Arriverò direttamente al punto senza troppi preamboli.

È giusto che tu sappia, e tuttora è forte in me la vergogna per non averti detto tutto subito. Ora però capirai e le nostre inquietudini spariranno, stanne certa, Fiordaliso.

In questo ultimo mese non mi permettevano di avere contatti con te, era praticamente impossibile parlarti, ed ogni via di comunicazione era sorvegliata a vista, non potevo neanche uscire di casa.

Ora prima che tu ti metta a far domanda a raffica sappi che mi isolavano per assurdi “motivi di lavoro” come dicevano loro, che poi erano degli impegni assolutamente banali, che di mia volontà non mi sarei mai piegato ad assolvere.

Ogni giorno era forte il desiderio di sfuggire per venire da te, per aiutarti nel risolvere quel maledetto mistero del ciondolo, poiché avevo previsto perfettamente la tua reazione, ma quando seppi che c’eri riuscita da sola mi tranquillizzai un po’, anche se ero comunque molto arrabbiato con i miei carcerieri, dei quali non posso fare i nomi, mi dispiace!”

Michael alzando di poco la voce aveva bloccato il mio intento di chiedere chi cavolo fossero i suoi carcerieri, (se fossero stati i suoi parenti me l’avrebbe sicuramente detto) e come se non fosse stato interrotto continuò.

“E poi quando loro ritennero necessario togliermi dalla loro protezione, così per dire, erano già passate due settimane.

Due settimane dal nostro ultimo incontro, Fiordaliso, e tu avevi già scovato da un pezzo il segreto della corona.

Mi sentii così inutile: avrei dovuto aiutarti ma non l’avevo fatto.

Anche se ero stato costretto all’immobilità c’erano molti modi per comunicare con te senza farmi scoprire dagli altri, solo che ero stato così stupido da non pensarci prima.

Approfittando della mia libertà perciò, decisi di incontrarti in un giorno stabilito, portando con te oltre che le mie scuse, che ti darò non appena avrò finito di parlare…”

Qui mi rivolse ancora uno sguardo dolce e sorrise alla mia faccia cupamente disorientata: sembrava prendersi gioco della mia confusione interiore.

“…La scoperta delle mie ricerche, una notizia che non ti saresti mai aspettata di ricevere da me.

Ho impiegato qualche giorno per trovarla e penso di essere stato abbastanza preciso, anche perché non potevo permettermi di sbagliare, soprattutto se c’è in ballo la tua sorpresa!”

All’ultima parola pronunciata dalla voce calma e suadente di Michael sussultai come se mi fossi appena accorta che stavo seduta su un cactus.

“Questo vuol dire che…” cominciai indignata ma lui fu più veloce e mi fermò, accompagnato dal suo fedele sorrisone.

“Questo vuol dire, tesoro, che ora sono venuto a conoscenza della data di consegna della sorpresa e sono pronto a dirtela, se tu vuoi”.

Concluse la frase sussurrando, lo sguardo infuocato.

Rimasi per un bel po’ di tempo con la bocca spalancata.

Ciò che pensavo non sarebbe mai successo stava per accadere: Michael stava perdendo la testa e lo dimostrava il discorso che aveva appena concluso, per le mie orecchie assolutamente senza senso.

Forse in quel mese era cambiato così tanto da non essere più riconoscibile.

Eppure era lì, davanti a me, come avrei potuto sbagliarmi?

No, c’era sotto qualcosa e me lo sentivo: già da molto tempo prima mi era salito il sospetto che Michael mi stesse nascondendo un segreto, anche se non era da lui, e stava facendo di tutto per incuriosirmi.

E poi c’era anche il fattore rabbia che mi spingeva a dire affermazioni che in condizioni normali non mi permettevo neanche di pensare.

“E quindi tu… Tu sei venuto qui, da me, a sera inoltrata, solo per dirmi questo?”

“Non necessariamente, tesoro. Vedi, il punto è che…”

Non c’è nessun punto, tesoro! Mi sono stufata di questa farsa che stai inscenando per costringermi a perdonarti, i tuoi discorsi lasciali per quelli meno furbi di te, perché la sottoscritta non ci crederà mai!”

Stavo sul punto di aggredire Michael quando l’orribile sensazione di star per ammazzare un innocente malandrino mi bloccò braccia e gambe e mi sigillò le labbra.

In generale non ero un tipo bellicoso ma ogniqualvolta venivo insultata o derisa la sete di vendetta si appropriava di me ed era molto meglio per la mia preda tenersi alla larga piuttosto che prendersi ancora gioco di me.

Quella volta ero riuscita a placare la belva silenziosa che attaccava quando veniva stuzzicata ma soltanto perché la mia bontà aveva avuto il sopravvento su di essa.

Michael non si accorse neanche della mia esplosione, anzi, sembrava più calmo e stupido che mai, forse un po’ turbato dalle mie parole ma niente di che.

Dopo quella che sembrò un’eternità, ma che in realtà fu solo un manciata di secondi, ripresi fiato e guardai più intensamente Michael, la cui mente per me era impenetrabile e potevo entrarvi solo dimostrandogli la mia fastidiosa angoscia.

“Ciò che tu ignori nella tua grandezza, Michael, è la dura realtà: non tutti sono felici e spensierati come te in questo momento, non tutti mentono sul loro stato d’animo da schifo, facendo vedere agli altri di essere sereni quando poi non lo sono.

Esattamente ora il mio cuore si sta spezzando per colpa tua; pensavo che tu avessi almeno capito ciò che avevo provato senza la tua presenza, ero convinta, seppur minimamente, che un giorno saresti venuto qui a schiarirmi le idee una volta per tutte.

Tu sai a cosa mi riferisco.

Beh, quel giorno è arrivato, Michael: sei venuto qui di tua spontanea volontà, non sono stata io a costringerti, oltretutto non mi hai nemmeno avvisato prima, mi hai fatto una sorpresa, proprio come piace a te.

Sinceramente devo dire però che mi aspettavo una reazione diversa da te.

Invece di essere dispiaciuto per la tua assenza hai sfoggiato uno dei tuoi sorrisi più ammalianti e mi hai detto che mi avresti raccontato le ragioni per cui sei mancato e poi ti saresti scusato con me, ma solo se prima ti avessi lasciato parlare.

Io ho accettato la tua richiesta, ma forse non avrei mai dovuto.

Il tuo discorso, te lo ripeto, è insensato, e lo sarebbe per ogni individuo su questa terra con il cervello nella zucca.

Non posso sapere se le tue condizioni cerebrali sono nella norma ma una cosa è certa, dolcezza: se entrò due minuti non ritorni il Michael di tanto tempo fa giuro che giro i tacchi e rientro dentro casa, lasciandoti qui solo come un cane e non ti aprirò neanche se stessi per essere ammazzato da un teppista di strada”.

Sibilai un impaziente “Intesi?” prima di scostare il mio viso umido da quello non più serafico di Michael, che sembrava aver capito che con me le scenate non servivano, ed essendo una pessima attrice sapevo riconoscere un mio simile quando lo incontravo.

Non me lo sarei mai aspettato da Michael ma i miei occhi non mentivano mai.

Era uno strano sollievo vederlo in difficoltà, così turbato dalle mie parole, così improvvisamente fragile; rividi il Michael di prima, il mio Michael, osservarmi sbigottito mentre aspettavo la sua risposta.

La sensazione di potenza però svanì non appena Michael aprì bocca, la sua voce dolce e sottile divenuta un acuto singulto.

“Avevo sempre sospettato che prima o poi mi avresti scoperto ancora, Fiordaliso. Ammetto di esser stato un po’ troppo sdolcinato per le tue abitudini, pensando così di cavarmela con qualche occhiatina e paroline dolci, ma non ho fatto i conti con il tuo eccellente spirito d’osservazione.

Sei molto più brava di me a comprendere l’animo di una persona e le sue più invisibili sfaccettature, tanto che sapresti riconoscermi tra i miliardi di abitanti di questa terra senza neanche chiedere dove mi trovo.

Tu hai un grande dono, e non sempre si nota a prima vista.

Io, conoscendolo, l’ho sottovalutato ed eccomi qui a scusarmi dei miei torti, con te che mi guardi come se volessi mangiarmi, costretto a rispondere a tanti dei tuoi dubbi più grandi.

Ora non c’è più bisogno di evitarlo.

Puoi chiedermi qualunque cosa ma non aspettarti una soluzione per tutte: alcune informazioni sono top secret ed anche se ti sbattessi per terra e cominciassi ad urlarmi nei timpani non mi lascerò sfuggire una parola, neanche una singola virgola.

Sta a te dopotutto scegliere, Fiordaliso, se perdonarmi oppure no.

Per quanto io possa scusarmi la succube sei tu e come tale hai sofferto le pene che ti ho inflitto e nessuno meglio di te può appiopparmi una bella punizione che possa ricordarmi per tutta la vita”.

Si slacciò dal mio sguardo, le pupille tremanti.

“Avanti, prendi la tua decisione. Io sono pronto”.

Chinò il capo sottomesso alle mie parole ed alla mia severità.

Al contrario di lui, io non sapevo quale decisione pigliare, poiché come al solito si frapponevano delle opinioni molto convincenti: la prima mi spingeva a perdere ulteriormente il controllo sin da cacciare Michael da casa mia, mentre la seconda desiderava saltargli addosso e rimanere con lui abbracciata per tutta la serata.

Così, sospesa tra amicizia e vendetta, con le mie infinite elucubrazioni ritornavo sempre al punto di partenza.

Non potevo lasciare la faccenda in sospeso, ora che finalmente entrambi c’eravamo confessati ed aspettavamo solo qualche chiarimento in più.

Ma in fondo, pensai guardando apprensiva la figura immobile e tremante di fronte a me, chi se ne importa?

Senza che Michael se lo aspettasse, lo cinsi con un saldo e tanto agognato abbraccio, assaporando il calore del suo corpo, il fruscio dei suoi vestiti contro i miei, il suo profumo che sovrastava gli altri aleggianti intorno a noi, dimenticando improvvisamente tutto ciò che avevo detto e pensato precedentemente su di lui.

Le congetture e le ansie divennero polvere e l’improvviso scrosciare di sentimenti positivi le cancellò definitivamente e prese il loro posto.

Era come se il mio cervello si fosse svuotato di tutte le infamanti accuse che prima avevo lanciato all’indirizzo di Michael, come se lui non fosse mai sparito per un mese, come se non avessi mai trovato quella coroncina nel mazzo di fiordalisi, come se non fossi mai impazzita nel tentativo di capirci qualcosa.

Ero misteriosamente libera dalla disperazione e dalla rabbia, ed ancora una volta non seppi spiegarmi cosa precisamente mi era successo.

Volevo solo rimanere abbracciata a Michael per sempre, non c’era bisogno di spiegazioni, almeno stavolta.

Dopo un tempo che mi sembrò infinito mi sciolsi da lui e vidi riflessa nei suoi occhi profondi la mia immagine, l’immagine di una donna sospesa tra la piena giovinezza e la nebulosa maturità ma incapace di scegliere tra le due, un po’ per abitudine dell’una, un po’ per paura dell’altra.

Per me era sempre stato molto difficile scegliere o cambiare, sin da bambina, soprattutto perché mi ritenevo immatura per farlo ed avevo il perenne timore di errare, anche se ai bambini sono permessi molti più sbagli che ad un adulto.

Forse è per questo, ed anche per un altro motivo, che all’età di tredici anni mi feci la promessa di non crescere mai e di continuare a vivere come se fossi stata una ragazzina, sfuggendo così alle dure responsabilità cui sono succubi le persone mature.

Non avevo però calcolato le conseguenze di questo errore gravissimo.

Infatti ora, sola nel giardino di casa mia insieme a Michael, dovevo scegliere, poiché un abbraccio poteva significare molte cose, non necessariamente il totale perdono di Michael.

“Michael, io…”

Non sapevo nemmeno da dove cominciare, e mentre uno stordito Michael mi fissava impaziente cercavo di prendere una decisione il più velocemente possibile, ma non ci riuscivo.

Era troppo difficile per me.

“Cosa ti succede, Fiore?”

“Niente, Michael, niente”.

“Sicura?

“Ma sì, non ti preoccupare. Sono solo un po’… Stanca. E…”

La tensione inghiottì ciò che volevo dire e dolorosamente gliele strappai.

“…Ecco, Michael, io… Io ti capisco benissimo, lo sai. So cosa hai provato per tutti quegli anni e sinceramente non lo auguro a nessuno, così come non voglio che qualcuno soffra come me.

Hai sopportato per tutti gli anni della tua infanzia, ed anche dell’adolescenza, le violenze di tuo padre, le sue parole, i suoi lamenti, e quando sei cresciuto hai voluto che nessun altro dovesse calare nel buio in cui prima stavi tu.

Sin dal primo momento in cui ti vidi mi sentii attratta da te: eri di una purezza così celestiale che non mi sembravi nemmeno umano, addirittura un angelo poteva eguagliarti.

E non volevo assolutamente che soffrissi.

Volevo proteggerti, dal mondo, da tuo padre, da qualsiasi cosa che intaccasse la tua perfezione.

Ci riuscii solo una volta e poi fummo separati per molto tempo, ma la tua voce non sparì mai dai miei ricordi: più mi ritornava in mente e più ti sentivo vicino, pronto a scacciare qualunque pericolo intorno a te.

La tua magnifica aura però ti teneva lontano dai guai e la tua fama continuava vertiginosamente a salire fino a tre anni fa, quando hai dimostrato al mondo intero quanto potevi dare e stai dando ancora.

Il successo non ti ha mai montato la testa, lo so, ma hai sempre nascosto i tuoi sentimenti, Michael, anche a me che ero e spero ancora di essere, la tua migliore amica.

Eri così sicuro di te da non aver considerato un piccolo inconveniente: io non riesco ad incantare gli altri come fai tu, ma ho molta esperienza nell’individuare i furbetti come te.

Facevo finta di niente ma mi ero accorta da subito che c’era qualcosa che non andava”.

Tesi una mano per accarezzargli i capelli: lui non si ritrasse.

All’inizio si aspettava che io non gli rispondessi neanche per il modo in cui l’avevo attaccato, poi sentendo il mio discorso la sua espressione si era addolcita, liberando anche un leggero sorriso.

“Ho sempre assecondato le tue trovate, ma stavolta l’hai combinata proprio grossa, tesoro. Non farlo mai più”.

Il sorriso che prima si notava appena sulle sue labbra si allargò ed annuì abbracciandomi più forte di quanto non feci io, strizzandomi lo stomaco contro le costole e facendomi capire che era d’accordissimo con me.

Le nostre effusioni durarono più del previsto e quando riuscimmo a svincolarci l’uno dalle braccia delle altre mi sentii come un topolino in un groviera.

Non era stato molto difficile scegliere, no?

Ho preso la decisione giusta, così almeno Michael continuerà ad essere mio amico e non dovremmo più litigare per simili stupidaggini, ormai sa che con me ed il mio sesto senso non ha praticamente scampo.

Ma c’era sempre quel non-so-ché nel suo sguardo che mi incuriosiva, mi istigava a continuare la ricerca nell’io più profondo di Michael ed a carpire finalmente le sue trame.

Come avevo detto, però, era molto difficile scoprire quali fossero realmente i suoi sentimenti.

Riconobbe tuttavia la distrazione che gli aveva costato il bel piano che aveva architettato nella sua mente e mi sentii profondamente sollevata ma anche un po’ turbata quando accettando un suo piccolo favore mi rivelò la data di consegna della sua sorpresa: il 31 ottobre 1986, esattamente tra un anno.

Appariva convinto della sua scoperta ma ciò che invece non convinceva me era il come aveva fatto: okay, ero un po’ scettica su questo, ma se avesse dovuto spedirmelo via posta non ci sarebbero state le tante ricerche cui lui aveva accennato.

A meno che non me lo volesse spedire via piccione viaggiatore o tappeto volante la sua notizia mi puzzava, ed anche molto.

Volevo scoprire almeno uno dei suoi segreti, il più recente, ed avendo libero accesso all’abitazione dei Jackson non mi bastava altro che prendere l’autobus per Encino il più presto possibile e portare con me molta prudenza.

I familiari di Michael erano da sempre stati gentilissimi con me, non mi avrebbero di certo negato qualche domandina innocente.

No, assolutamente…

Mentre stavo disegnando nella mia mente una delle mie visite tipo a casa di Michael, lui mi prese delicatamente la mano con la scusa di parlarmi di qualcosa di molto importante.

Come se di problemi molto importanti non ne avessimo già discusso, pensai io, ma mi accorsi di aver dimenticato qualcosa di veramente importante: il ciondolo!

Come non avevo potuto pensare a quell’oggetto così significativo dopo un bel discorso forense su di esso e senza chiedermi perché l’avevo spinto ai limiti della mia mente, ricordandomene solo quando io e Michael non c’eravamo conciliati?

Sbuffai alla mia sbadataggine ed ascoltai con certo interesse ciò che Michael voleva dirmi: e quando ebbe finito avrei desiderato strangolarlo con le stringhe delle mie Converse.

Mi aveva appena riferito, senza dovizia di particolari, che la coroncina che tenevo celata agli occhi di curiosi e lingue lunghe in realtà non era un regalo per me.

Nel senso, mi spiegò lui con tutta la calma possibile che il mio sguardo assassino sul suo collo permetteva, che ora il ciondolo apparteneva a me ma avrei dovuto ben presto cederlo.

A chi Michael non me lo disse, e quando tentai di ribattere alle sue affermazioni insensate lui mi bloccava sempre, con scuse del tipo: “Tranquilla, se avrai un po’ di fiducia capirai tutto!” oppure “È solo questione di tempo, qualche mesetto e la situazione sarà risolta! Non preoccuparti per questo, non ce n’è bisogno”.

Smisi di lottare quando compresi che Michael non si sarebbe mai lasciato sfuggire una parola su ciò che mi aveva accennato.

Come gli avevo fatto notare prima io, era abile a nascondere i suoi pensieri e sentimenti, soprattutto quelli negativi, e non sempre dimostrava la sua tristezza interiore.

La copriva sempre con un bel sorriso stampato in viso e tanto affetto verso quelli che gli volevano bene, compresi gli abbracci stritola budella cui ero spesso sottoposta, e dal quale ero mollemente incatenata.

Mi abbandonai completamente sulla sua spalla, senza protestare, non ne avevo più la forza dopo le precedenti sfuriate e non pensai più a nulla, non ne sentivo il bisogno.

Michael mi sussurrava delle parole di conforto all’orecchio che per me non avevano più alcun interesse, perché avevo lui, ero tra le sue braccia, odoravo i suoi capelli che casualmente sfioravano il mio naso, premevo le mani lungo la morbida schiena accarezzando il tessuto dei vestiti con placida lentezza.

Ero così rilassata dal calore del suo corpo che non mi accorsi che mi stava parlando all’orecchio: non erano i soliti sussurri, le parole si udivano perfettamente ed il soggetto della frase mi confuse parecchio.

“Mi raccomando, sta’ vicina a tua figlia, Fiordaliso. Lei ora avrà bisogno di te, non lasciarla sola. Sembra più grande della sua età, ma è ancora una bambina, non conosce ciò che la aspetta fuori dal suo mondo. Non deluderla ancora una volta, fallo per lei ed anche per me. Promettimelo”.

E mentre riascoltavo nella testa quella raccomandazione davanti all’immagine di una Katie sola e terrorizzata da un essere che solo lei poteva vedere, due grandi occhi ambrati osservavano ciò che doveva ancora succedere e che io non conoscevo.

 

 

L’elegante vettura si accostò con grazia al marciapiede illuminato da un esercito di fari colorati che andò ad impregnare anche la scintillante carrozzeria blu della macchina.

Le luci provenivano da una costruzione in mattoni non molto lontana dal nucleo antico della scuola, fabbricata qualche anno prima come regalo per gli alunni ed in certi casi anche per gli insegnanti.

La palestra però quella sera era totalmente irriconoscibile per entrambi: sormontata da lugubri decorazioni artigianali e molto realistiche, rese ancora più spettrali dall’unica fonte di luce presente, insieme a quella fioca dei lampioni,  un sentiero di zucche intagliate per assumere espressioni ghignanti e riempite dalle classiche candele, che conduceva all’entrata della palestra, il cui interno certamente era molto più spaventoso.

C’era un grande viavai di ragazzi e tutti indossavano una terrificante maschera che li rendeva irriconoscibili: per molti era un bene, per i popolari un utile stratagemma per vincere il premio di Miglior Maschera della Serata e perciò diventare ancor più famosi.

Si muovevano da soli o a gruppi e si dirigevano tutti verso l’entrata dell’edificio, dal quale proveniva un brusio concitato che aumentava sempre più.

Seccato da quell’unitile spreco di squisiti frutti autunnali per farne delle banali lanterne e dal crescente volume degli urli e della musica, il conducente dell’automobile tirò un “Ehi, siamo arrivati, è ora di scendere!” alle due inquiline del sedile posteriore che smisero immediatamente di ridacchiare tra di loro e dopo essersi scusate molte volte scesero frettolosamente dalla macchina e la seguirono con lo sguardo diretta alla grande macchia di luce appoggiata al buio oceano sotto di loro.

Rimasero per un po’ a guardare il vuoto, improvvisamente incerte sul da farsi.

“Allora, entriamo?” Katie indicò titubante la palestra col piccolo indice smaltato di rosso e di rimando Sandy la fissò sorpresa.

“Non eri tu quella che voleva a tutti i costi partecipare alla festa? Che ti è successo tutto ad un tratto?”

“Nulla! Mi stavo chiedendo se anche i professori parteciperanno alla festa…” Il suo sguardo girava irrequieto tra la folla festante in cerca di una inconfondibile crocchia o di una chioma dorata.

“Può darsi che…”

“Oh andiamo, Katie, ancora ti preoccupi per Johnson? Te l’ho ripetuto milioni di volte, è innocuo, non farebbe del male ad una sua alunna neanche se lo pagassero!”

“Non è quello che mi preoccupa, Sandy! Piuttosto non voglio rimanergli appiccicata a forza tutta la serata, mi rovinerebbe la reputazione, capisci? Se lui c’è, io non entro”.

“Secondo me non c’è, è appena arrivato, non si fidano molto di lui! O forse sì?” domandò Sandy più a se stessa che all’amica ma Katie la ignorò, intenta a controllare il cortile della scuola che stava diventando man mano sempre più deserto.

Quando fu certa che non ci fossero insegnanti nei paraggi fece cenno a Sandy di entrare nella palestra e quest’ultima la seguì molto sollevata: almeno per quella serata poteva star alla larga dalla pioggia di imprecazioni che Katie lanciava sempre contro Johnson in sua presenza.

Mentre camminavano discutevano dei propri travestimenti: Katie più che un licantropo sembrava una donna barbuta del circo in divisa scolastica mentre Sandy, i capelli sciolti sulle spalle, con il suo abitino di seta nera di pizzi inamidati e calze a righe nere e bianche, era una inquietante bambola da ventriloquo.

“Era quanto di più possibile sono riuscita a trovare ad un costume da vampiro: il mantello mi sembrava troppo banale e la camicia sporca di sangue pure. E poi le vampire sono pur sempre donne”.

“Certo, e voi andate vestite così tutte le notti?”

“Non sempre, ogni tanto ci mettiamo anche la minigonna e i tacchi a spillo”.

“Oh immagino…”

“Beh, almeno noi possiamo permettercelo, voi con quelle zampe…” Ed indicò perplessa i piedi nascosti di Katie da due pantofole grosse e pelose, “…dovete girare per forza scalzi”.

“Mai sentito parlare di Stivali delle Sette Leghe?”

Sandy dovette riprendersi dall’assurdità della battuta prima di scoppiare a ridere senza controllo in faccia a Katie.

“Oh, Katie, sei incredibile! Gli Stivali delle Sette Leghe, ma come ti saltano in mente certe cose?”

“Non chiederlo a me, non centro nulla” le rispose sincera Katie strascicando le zampone.

“Delle volte il mio cervello lavora senza la mia approvazione”.

L’amica non sembrava molto turbata dalle sue parole: qualcosa di più curioso attirava la sua attenzione.

“Allora fareste meglio a collaborare, perché ne avrai bisogno nelle prossime ore della serata”.

“Perché, cosa succederà stasera di così interessante?”

“Per me nulla, ma se fossi in te starei cauta…” Avvicinò discretamente la bocca all’orecchio della ragazza per sussurrarle la sua scoperta: “Ho appena visto Johnson chiacchierare con un gruppo di studenti ed evidentemente l’hanno mandato a sorvegliare la situazione insieme agli altri docenti. Mi raccomando, cerca di non dare troppo nell’occhio altrimenti puoi dire addio alla tua serata tranquilla…”

“Ma non eri tu quella che non si faceva problemi su Johnson?”

“Non mi faccio problemi su di lui, figuriamoci! E poi te l’ho detto per aiutarti! Avanti, nasconditi dietro di me”.

“Ma non potrei rimediare una maschera da qualche parte, almeno do meno nell’occhio? In fondo è Halloween!”

“E dove pensi di trovare una maschera da lupo mannaro dentro la scuola? Non hai pensato a prendere quella che stava in macchina sopra gli altri costumi?”

“Vuoi dire che c’era una maschera da lupo mannaro su quella macchina e tu non…”

“Scusami, non c’è tempo per le spiegazioni, sparisci da qui! Sta arrivando…”

Per tutto il tempo che lei e Katie avevano discusso Sandy non aveva perso alcun movimento del professore che poteva osservare benissimo in viso senza essere notata e quando lui ebbe terminato il suo colloquio con altri studenti si diresse pericolosamente verso di loro.

Fu in quel momento che Sandy spinse via Katie dal percorso di Johnson con tutta la forza che le sue parole e le sue braccia erano capaci, e la vittima dopo aver finalmente ceduto filò via, lanciando imprecazioni all’indirizzo del suo aguzzino, correndo verso il punto dell’istituto più lontano dal pericolo.

Superato il grande spiazzo sul quale si affacciava il corpo principale della scuola e la sua maestosa entrata lo percorse per tutto il suo perimetro fino ad imboccare una sgangherata scaletta antincendio così che si ritrovò sul terrazzo dell’edificio, che sembrava molto più grande di quanto in realtà non fosse.

Ci mise due minuti buoni per percorrerlo tutto correndo ed arrivata all’estremo angolo, quello più riparato e sconosciuto, si appoggiò affannata alla balaustra, contemplando un panorama di case e luci tutte diverse tra di loro, ma abitate dalla stessa gente.

Il rettangolo di mattoni alla sua estrema destra, non molto visibile per via degli alberi del viale, sembrava ondeggiare a ritmo di musica e divertimento, il divertimento che lei aveva tanto immaginato nel mese precedente come balli scatenati fino a mezzanotte, quando giungevano gli spiriti dall’Aldilà per spaventare i vivi, scherzi, risate con gli amici ed anche pazzie mai provate prima.

Invece si ritrovava a scappare da un persecutore che non le avrebbe dato pace finché non sarebbe caduta nelle sue sudice grinfie: aveva appreso da sua madre i crimini che erano capaci di commettere uomini apparentemente buoni e gentili come suo padre e si era sempre sentita ammonire, con dolcezza e durezza nelle stesse parole, di non frequentare quel tipo di gente.“Credimi, Katie, non è piacevole essere ingannate soltanto per il raggiungimento di un bene astratto. Tutti noi crediamo in valori e proseguiamo la nostra vita per realizzarli; però ci sono diversi modi per raggiungerli e non sempre sono tutti molto ortodossi. Impara a distinguere il bene dal male prima che tu possa fare il mio stesso errore” le ripeteva spesso ed il risultato fu che venne su una ragazzina del tutto diffidente verso i rappresentanti dell’altro sesso.

Il massimo rapporto che aveva finora instaurato con un maschio era l’amicizia e non osava spingersi oltre, soprattutto dopo lo sviluppo del suo corpo a causa della maledetta natura.

Se qualcuno osava avvicinarsi per motivi poco innocenti lei lo stendeva con un pugno sul naso o con un bel calcio tra le gambe, esultando alle urla del malcapitato aggressore.

Sarebbe successo anche a Johnson se si fosse avvicinato anche solo di un metro a lei.

“Vi disturbo?”

Katie sussultò così forte che fu quasi per cadere dal terrazzo.

Era forse la sua voce che le aveva rivolto la parola?

No, non poteva essere possibile, lui non conosceva quel posto, era appena arrivato, non poteva sapere, non poteva…

“State bene, signorina Katherine?”

Sto benissimo, coglione di uno Yankee, non si vede?

Lei si appoggiò con più forza al freddo parapetto di metallo per trattenere le mani che altrimenti avrebbero picchiato a sangue il suo insopportabile insegnante di matematica.

“Sto benissimo, la ringrazio. Non si preoccupi”.

Colse distrattamente il suo aspetto: non portava un costume anche se la sua faccia lo faceva assomigliare moltissimo ad un vampiro alla ricerca del vergine sangue di una giovane pulzella.

Tuttavia quella sera sembrava molto più umano di quanto non lo era in classe, alle prese con una trentina di alunni di cui almeno una dozzina eterni scansafatiche e bulletti del quartiere.

“Allora okay. L’importante è che voi vi sentiate bene”.

“Ha detto bene, professore” rispose lei con una certa riluttanza: se si fosse mostrata scontrosa la situazione sarebbe peggiorata e non era certo quello che voleva.

Desiderava andarsene da quel posto il più presto possibile ed un cattivo comportamento non l’avrebbe di certo permesso.

Con disinvoltura ignorò Johnson e si appoggiò coi gomiti sulla balaustra per contemplare il paesaggio, anche se non c’era granché di spettacolare da ammirare.

Passò una manciata di minuti nel silenzio illuminato da scoppi, urla e risate e quando Katie decise di svignarsela inventando qualche candida scusa per ritornare in palestra, anche lui si sistemò al suo fianco senza una parola, osservando beato il cielo.

Ora sarebbe stato davvero difficile sfuggirgli.

“Bellissima serata, non trovate?”

“Già”.

“Il cielo stellato mi procura sempre una grande serenità. Come se tutto il bene del mondo sia racchiuso in quelle piccole e luminose macchie di luce sospese in aria che ci basta guardare per ricevere la fine delle nostre sofferenze. Molti dicono che le stelle in realtà siano le anime dei morti che ci proteggono da lassù, consapevoli del nostro dolore e della nostra felicità. Anche voi la pensate allo stesso modo?”

“Sì, più o meno”.

“Anche voi credete che le stelle possano aiutare la gente?”

“Sì. Insomma… Non molto, ecco. Mia madre crede a queste cose: Stelle dei Desideri, portafortuna, profezie, roba del genere… Non so proprio come faccia, i suoi ragionamenti sono senza senso, non riesce a capire che ormai ho superato la fase più brutta dell’adolescenza e cioè lo sviluppo. Ancora non osa crederci”.

Perché stesse informando Johnson sulle stravaganze di sua madre Katie non lo sapeva, il suo cervello nemmeno.

La sua lingua andava praticamente da sola.

“Vi capisco. L’amore che una madre prova per un figlio è qualcosa che va oltre l’essere. Anche oltre quelle stelle lassù, le più lontane del nostro emisfero, oltre l’incognito.

Non prendertevela come una scocciatura, lei vi vuole bene, soltanto che lo dimostra non nel modo in cui preferireste voi ma spontaneamente, come si sente di farlo. Capite?”

“Sì, la capisco. Lei però non ha conosciuto mia madre. Non può comprendere quanto sia stancante vivere insieme ad una donna come lei”.

“Beh, almeno voi avete una madre, Katherine”.

Katie ebbe un sussulto.

Sembrava impossibile ma anche il suo peggior nemico le stava rivelando candidamente dei particolari sulla sua vita privata.

Desiderò che fossero almeno tutti autentici.

“Oh…Già. Sempre una che nessuna”.

“Esatto. Non potete capire quanto mi è mancata la sua figura col passare dell’età. Prima della sua scomparsa eravamo una famiglia felice, molto felice.

Poi una malattia incurabile ha rovinato tutto: mio padre, essendo medico, fece di tutto per curare mia madre ma la sua morte gli tolse la voglia di sorridere, e da allora non fu più lo stesso.

Divenne severo con me ed i miei fratelli, più di quanto già non fosse, e volle che tutti noi, indistintamente, intraprendessimo la professione di medico, per aiutare le persone che soffrivano e permettergli di sopravvivere, ciò che non era successo alla mamma.

I miei fratelli più grandi si arresero alle richieste di mio padre, ma io no: non volevo che il mio futuro fosse manipolato da un altro, anche se l’altro era mio padre.

Fu con questo proposito che un giorno decisi di rivelarmi a lui.

Avevo quattordici anni ma con ciò che avevo passato in quella casa infestata di spiriti violenti ne dimostravo il doppio.

Ed ero anche abbastanza coraggioso da beccarmi un bel ceffone in faccia: fu ciò che successe dopo aver chiaramente detto a mio padre che non ero portato per un mestiere così pieno di responsabilità come quello di curare ed aiutare gli altri e che i miei progetti futuri erano molto diversi da quelli che aveva architettato lui in otto anni di tristezza.

Penso che lui non abbia nemmeno ascoltato le mie parole e quando io tentai di ribattere mi fece capire che a lui non piacevano i disertori.

Già, proprio disertori. Aveva fatto di noi il suo piccolo esercito privato e lui ne era il comandante.

Dopo quella esperienza poco piacevole evitai di esprimere le mie opinioni davanti a lui e resistetti per altri tre anni, fino alla Cerimonia di Consegna dei Diplomi.

Quel giorno pieno di luce e gloria per molti studenti che si accennavano ad iscriversi al college per me rappresentava la sconfitta di una guerra fredda fatta di sguardi atroci e cazzotti nello stomaco.

Ero orgoglioso però di esserne uscito vivo interpretando il ruolo della spia, ed avrei vinto da spia.

Avevo intenzione di fuggire con un gruppo di amici per l’Europa, dove mio padre non mi avrebbe mai scovato, ma qualcuno cantò e fui costretto a tornare a casa.

Fu terribile, signorina Katherine, davvero terribile.

Mio padre era talmente furioso con me che non volle ascoltare le mie ragioni e mi barricò dentro casa… La spia era stata scoperta ed ora il comandante godeva della sua disfatta insieme al resto della truppa”.

“E riuscì a fuggire?”

“Oh, certamente. Dopo un po’ ma ci riuscii, però dovetti darmi alla macchia.

Non furono giorni felici ma seppi adattarmi, scoprendo i vantaggi della clandestinità: potevo andare dove volevo o quasi, conoscere posti e genti nuovi che in tutti i miei anni di segregazione avevo osservato da vecchie fotografie ingiallite e mangiate dalle tarme, fingermi chiunque e nessuno, trovare ospitalità presso una famiglia di indigeni, cenare con dei barboni ed improvvisarmi artista di strada per divertire i bambini.

Ne ho passate davvero tante in poco tempo. Ma una in particolare ne valse per tutte”.

Nella penombra del terrazzo Katie notò Johnson ammutolito dai suoi stessi ricordi lucidi come appena vissuti: poteva leggerli dai suoi occhi contemplanti il nulla di fronte a sé, ma non avrebbe mai provato le sue stesse emozioni.

“Ero nei pressi di Dallas quando la vidi: mi passò accanto e poi sparì come se avessi vissuto un sogno. Lei era un sogno.

Ne rimasi completamente folgorato, la cercai in lungo e in largo, tra verdi cactus e nuvole di fumo rossastro dove avevo come unica compagnia serpenti a sonagli e lucertole, finché la trovai.

Era ancora più bella di come me la ricordavo.

All’inizio mi evitava, le facevo praticamente schifo e non desiderava altro che togliermi dalla faccia della Terra con la sola colpa di essere nato ad una latitudine più elevata della sua: non era razzista ma pensava che noi uomini del Nord, comunemente detti yankee dai piantatori dei Sud, fossimo dei buoni a nulla”.

Non che abbia tutti i torti.

“Continuammo così per molto tempo: combattevamo a parole perché non avrei mai avuto il coraggio di mettere le mani addosso ad una donna ma lei si dimostrò più forte di quanto pensassi.

Il giorno che cedette però fu memorabile.

Successe tutto così in fretta, era sfinita mentalmente e proclamò la sua resa.

Io ero al settimo cielo: firmammo l’armistizio e godemmo della nostra pace nel modo più consono”.

Katie arricciò il naso disgustata e per fortuna lui non la vide, ricordando quella deliziosa tregua.

“Ci fidanzammo dopo che fui presentato al padre di lei e mi ritenne adatto per sua figlia. Mi fece notare soltanto che avevo gli occhi troppo ravvicinati e le dita dei piedi troppo lunghe”.

“Davvero? È impossibile!”

“Nulla è impossibile se hai a che fare con mio suocero. È il tipo più bizzarro che conosca. Pensa che una volta voleva dar la caccia agli alligatori nel Mississippi provvisto solo di una canna da pesca e lombrichi. Naturalmente sua moglie non glielo permise, che santa donna! La figlia aveva ereditato da lei tutta la sua forza e la sua riluttanza verso le regole.

Mi raccontò della sua natura selvaggia, ribelle, spensierata, dei vari ammonimenti che ha dovuto sopportare seppur con leggerezza da parte dei suoi insegnanti e dalle caste signore di paese che vedevano nei suoi capelli sciolti e nei virili jeans rattoppati un pericolo per la loro natura polverosa e flemmatica.

Fu una novità per loro il suo matrimonio con un giovanotto così ben educato e pulito che ero io, commentando i nostri sguardi incatenati dalla passione con un bel “All’assurdo non c’è mai limite!”.

Al contrario la sua famiglia era entusiasta di me e della nostra unione, forse anche troppo. Non ero abituato a simili dimostrazioni di affetto e per tutti i preparativi del matrimonio fuggivo spesso da loro, sentendomi soffocare.

Non mi piaceva stare al centro dell’attenzione e due mesi di calda armonia non potevano supplire a troppi anni di freddo.

L’unica di cui desideravo la compagnia era lei, la mia piccola volpe dagli occhi ardenti, ed anche dopo la cerimonia ed il viaggio di nozze non potei staccarmi da lei nemmeno un momento.

Ero diventato del tutto dipendente da lei e viceversa.

Diventammo complici del nostro amore, custodi di segreti proibiti.

Era l’amante ideale, instancabile, sensuale… Possessiva, arrogante…

E soprattutto creativa”.

Katie arricciò ancora il naso, immaginandosi senza il permesso della sua testa scene da ninfomane.

Fortunatamente il suo indissoluto professore non scese in particolari poco interessanti.

“Tutta la sua esperienza però le costò cara perché nel giro di qualche mese scoprì di essere incinta e ciò significava addio notti impavide troppo brevi di sudore e benvenute notti insonni senza fine.

Durante la gravidanza fu intrattabile e non osavo immaginare cosa sarebbe diventata alla nascita di nostro figlio.

Fu per questo che il suo mutamento mi stupì moltissimo: dopo un travaglio lungo e più snervante per me che per lei invece di buttare via la minuscola creatura rossastra ed umida come una pila scarica lo prese tra le braccia senza protestare e non volle nessuno vicino tranne me.

I suoi occhi, che un tempo avevo visto accesi di avventura e desiderio, ora erano pieni del bimbo che stringeva tra le braccia.

Suo figlio, una netta parte di sé, il frutto di un amore vissuto fino in fondo, ora era lì con lei.

La sua felicità si percepiva anche al di fuori della stanza dove riposava insieme al piccolino e mi sembrava di essere di troppo nel loro nucleo di serenità ma lei mi voleva vicino a tutti i costi.

Senza di me era totalmente persa.

È strano che una persona così indipendente come mia moglie non voglia e non possa staccarsi da un’altra persona, in questo caso suo marito.

Era una strana contrapposizione cui dovetti farci l’abitudine poiché molto spesso traducevo il suo bisogno d’affetto per mancanza di interesse nei miei confronti.

Chiamammo il bambino John come il padre di lei e perché ci sembrava divertente l’assonanza fra il cognome ed il nome, inoltre quando discutevamo scherzosamente su quale nome dare a nostro figlio saltava sempre fuori John e non sapevamo spiegarci il perché di questa stranezza! Forse perché ci ubriacavamo troppo spesso la sera ed il tronco dell’albero più vecchio del suo giardino ci ricordava John Lennon… Boh.

Fatto sta che quel nome, ormai divenuto una fissazione bella e buona, ci piacque moltissimo ed il nostro piccolo divenne John Johnson e lo battezzammo così.

Con l’avvento della sua nascita la monotonia che da anni aveva accompagnato i genitori di mia moglie nei loro lavori campestri si smosse subito ed un’ondata di euforia li sconvolse, erano addirittura più eccitati che al nostro matrimonio!

Inoltre qualche tempo prima della sua nascita mi ero iscritto al college di Austin per completare gli studi e successivamente essere ammesso all’università e mio suocero andava in giro a dire orgogliosamente che sua figlia aveva sposato un giovane di buona famiglia e per di più molto intelligente che sapeva bene come renderla felice”.

“Questo è vero”.

“So benissimo a quale momento vi riferite, signorina. Non sono così stupido da non capirlo”.

“Gliel’ho fatto notare apposta, signore!”

“Siete incorreggibile, Katherine. Però mi piacete così come siete”.

Wow, non l’avevo capito. Che genio!

“Grazie”.

“Di niente. Ben presto però io non potei più renderla felice come una volta”.

“E perché?” Katie provò uno strano freddo alle mani coperte da voluminosi guanti e le sue gambe si irrigidirono. Il suo professore per tutto il suo racconto aveva guardato perso nel buio di luce della strada qualcosa che lei non poteva vedere.

Aveva visto felicità, compassione, amore, tristezza, rabbia, umiliazione in quel viso ed ora sapeva distinguere un’espressione dall’altra.

Ma l’ultima era impossibile da descrivere.

Come se i ricordi avessero cancellato le emozioni del presente il suo sguardo era indecifrabile, muto.

Katie voleva conoscere il suo segreto ma aveva anche molta paura di ferirlo: cavolo, era pur sempre un essere umano, seppur insopportabile!

“Cos’ha, professore? Si sente bene?”

“È tutto a posto, signorina, non vi preoccupate. Sono un uomo debole e mi faccio prendere spesso dai rimpianti e dai dolori passati, ma non voglio che voi veniate coinvolta nella mia vita. Ne avete già avuto abbastanza”.

“Ma cosa sta dicendo? Io non me ne andrò di qui finché lei non mi avrà detto cos’ha! Deve essere una faccenda molto triste ed io voglio aiutarla”.

Cazzo, ma che sto dicendo io! Ora penserà inevitabilmente che io sono innamorata di lui, questo mi pare ovvio! Ma perché la mia lingua non sta mai al posto suo, nella bocca? Che deficiente che sono stata… Più me lo ripeto e più lo sono!

“Se proprio volete ascoltarmi ancora io non vi biasimo. Ma vi avverto, Katherine, io sarò sincero con voi e voi dovrete essere sincera con me. D’accordo?”

“D’accordo”.

Johnson tirò un sospiro nervoso al cielo cercando un aiuto da esso.

Lontano brillava la Luna nel suo solitario splendore e le stelle dormivano accanto a lei sognando oppure vegliando dall’alto il mondo addormentato.

Doveva essere quasi mezzanotte perché lentamente la musica nella palestra si stava abbassando e gli studenti ne uscivano a gruppi sorreggendosi l’un l’altro sfiniti per chiudere in bellezza la serata salutando le streghe e gli spiriti.

In quel casino Katie non riuscì a scorgere Sandy: doveva essersi appartata lontano dal putiferio come aveva cercato di fare lei, soltanto che l’amica aveva avuto meno fortuna poiché non c’era nascondiglio migliore di quello conosciuto da Katie.

Nessuno sano di mente si sarebbe avventurato sul tetto della scuola di notte, era molto più grande di quello che sembrava e ci si poteva far male facilmente inciampando su qualche tubo di metallo od uno scalino ben nascosto.

Per le sua ricercata agilità e per la conoscenza del luogo Katie non cadeva ormai più e difficilmente riuscivano a raggiungerla nel labirinto di cianfrusaglie del terrazzo.

Proprio per quel motivo si stava chiedendo da molto come diamine il suo professore impiccione si fosse intrufolato sul tetto in un batter d’occhio proprio come era abituata a far lei ma una soluzione non arrivava.

Un altro mistero da aggiungere alla lista…

“Non avrei mai dovuto permettere che succedesse”.

“Eh?”

Inondata la mente di pensieri, Katie aveva dimenticato il segreto del suo insegnante e ciò che gli aveva fatto notare a riguardo lei, per cui le ci volle un po’ prima di stabilire un contatto con mondo esterno e si preparò ad ascoltare un altro pezzo di vita dell’uomo che le aveva rovinato la vita.

“Lei era così… Piena di vita che a distanza di mesi ancora non riesco a crederci. È successo tutto così in fretta e non ho potuto far nulla contro il tempo, l’odioso tempo che deposita i suoi freddi granelli su di noi fino a sotterrarci del tutto come se fossimo clessidre.

Rimpiansi il rifiuto di una brillante carriera medica ed ecco cosa mi successe: forse il destino voleva punirmi proprio per la mia voglia di sovvertire gli ordini di mio padre che di certo mi avrebbero aiutato in seguito, perché qualsiasi consiglio dato dai genitori è degno di essere seguito alla lettera.

Accadde un giorno d’estate così afoso che il calore ti bruciava le ossa e si mangiava il midollo senza pietà.

Johnny aveva pochi mesi ma era un bimbo sveglio e se ne stava sempre appiccicato a sua madre, il centro del suo universo, dimenticandosi addirittura di avere un padre.

Essendo impegnato al college stavo sempre fuori casa e loro rimanevano sempre da soli a casa e mia moglie aiutava i suoi prendendosi cura del bimbo.

Un giorno era uscita di fretta per chissà quale impegno ed aveva lasciato John a casa dalla nonna. Io non c’ero perché era mercoledì, stavo a scuola e quando giunsi sul luogo della sventura mi raccontarono i testimoni ciò che era successo.

Ciò che videro fu il corpo di una giovane accasciarsi senza forze sui bordi del marciapiede per poi non muoversi più.

Inutilmente cercarono di rianimarla. La malattia aveva scavato fin nel profondo risucchiandole in poco tempo la vita.

Capii il perché dei suoi continui svenimenti, il dolore insopportabile al braccio od alla gamba ed il suo sorriso forzato ma sempre bellissimo.

Il sorriso che mi aveva illuminato le giornate non c’era più. Si era spento nel buio di un orribile segreto e la sua eco rimaneva sul viso di nostro figlio, perfetto miscuglio d’amore tra me e lei.

Ha i suoi stessi occhi, signorina, i suoi stessi identici occhi.

Non mi stancherò mai di guardarlo. In lui ci vedo lei”.

Non essendo tuttavia riuscita a capire di quale male fosse morta la moglie di Johnson, Katie sentì le guancie bollenti solcate da un’umidità particolare, che stava scendendo fino al collo e lei preferiva non asciugarsi il viso.

Pensava che non era educato. Voleva partecipare al dolore di un’altra persona nel miglior modo possibile.

Lui stava piangendo già da molto e non si vergognava di mostrare le sue lacrime ad una ragazza, vuol dire che si fidava molto di lei.

Katie rabbrividì sotto il pelo sintetico del suo costume e pensò all’ultimo film horror che aveva visto senza usare sua madre come cuscino per coprirsi il viso: bene non ce n’erano.

Okay, pensa a un cucciolo di foca squartato brutalmente da dei bracconieri senza scrupoli.

Sì, il biancore intatto della banchisa schizzato di un atroce rosso sangue, due loschi individui alle prese con un tenero cadavere peloso in mezzo alla orrida pozza, avidi di denaro e morbide pellicce…

“Dopo la morte di mia moglie nulla mi andò più nel verso giusto: a scuola i miei voti oscillavano tra l’eccellenza e la mediocrità, Johnny piangeva senza la mamma ad ogni ora della giornata ed io non sapevo come calmarlo perché non me ne intendo di ragazzini, sua nonna e suo nonno non potevano aiutarmi perché altrimenti avrebbero lasciato la fattoria in totale abbandono e come se non bastasse un giorno mi arrivò una lettera da una scuola in California della quale non conoscevo nemmeno l’esistenza”.

“La-la nostra scuola?”

“Esatto”.

“Ma allora lei… Cioè, in pratica non voleva neanche insegnare nella nostra scuola? Qualcun altro ha spedito una lettera al posto suo?”

“Penso proprio di sì, anche se non ho la più pallida idea di chi sia.

Probabilmente uno dei miei tanti nemici segreti che non mi vedevano di buon occhio al liceo. O magari anche mio padre”.

“Suo padre? Ma cosa cazzo voleva da lei quel brutto bastardo? Che viscido!”

“Non pensavo che una ragazza così graziosa e gentile come voi fosse capace di simili esclamazioni” rispose Johnson sconvolto dopo essere rimasto dieci secondi buoni con la bocca spalancata in una perfetta O. Sembrava sinceramente dispiaciuto.

“Oh mi scusi. È che alcune volte non riesco a controllarmi” si difese lei, rossa in viso come una fragola matura.

“Non preoccupatevi, mi piacciono le persone schiette, inoltre la vostra reazione è perfettamente prevedibile. Quel vecchio volpone di mio padre sarebbe stato capace di farlo ma tuttora non ho prove necessarie ad incastrarlo.

Dovetti passare per laureato e partire per Los Angeles qualche giorno dopo portandomi dietro mio figlio.

Fu dura per un bimbo come lui abbandonare il luogo in cui era nato e cresciuto: molti pensano che i bambini non provino emozioni solo perché non sono ancora consapevoli di cosa sia vivere.

Per me non è così, anzi loro sono addirittura più intelligenti di noi. E sanno amare profondamente”.

“Anch’io la penso come lei, signor Johnson”.

“Mi fa piacere”.

“Perciò… Lei frequenta ancora il college? Non è laureato?”

“Macché, magari! Ho iniziato il college tardi, sono solo al secondo anno e dopo il trasferimento non ho avuto più modo di studiare, neanche a distanza. Penso che tra un po’ mi sbatteranno fuori. Mi sono preso troppi anni sabbatici dopo le superiori”.

“E quindi voi…Avete…?”

“Ventitré anni. Ventiquattro a gennaio”.

“Oh…”

“Sconvolta?”

“Un poco”.

“Ti capisco. Non l’ho mai detto a nessuno”.

“Altrimenti l’avrebbero buttata fuori da qui?”

“Forse. O magari avevo solo paura di quello che mi avrebbero detto. Non lo do a vedere ma sono molto timido”.

“In effetti non mi sembra così timido!”.

“Oh solo quando ho a che fare con gente che non conosco mi emoziono!”.

“E con le donne?”.

“Con le donne no”.

“Lei mente signor Johnson. Una personalità influente come la sua non ha paura dell’altro sesso, altrimenti non mi avrebbe mai parlato davanti a tutta la classe, non conoscendomi per giunta. Lei usa la timidezza quando le pare… Non è così?”.

“Assolutamente no, la mia è una forma di timidezza particolare! E poi voi non potete sapere cosa…”.

“Non lo posso sapere perché secondo lei sono una ragazzina?”.

“Non ho detto questo!”.

“Invece sì, signore”.

Si guardarono per alcuni secondi, sicuri delle proprie opinioni.

Avevano da sempre avuto un po’ di timore quando incrociavano per sbaglio lo sguardo ma quella sera non ve ne era la minima traccia: come se da sempre fossero stati buoni amici.

Che strana parola per due persone così diverse come noi…Amici, chi l’avrebbe mai detto? Eppure lui mi ha raccontato la sua vita, quante alunne di questa scuola la conoscono veramente a fondo così come l’ho conosciuta io? Forse qualcuna… O nessuna. Solo io.

Io, la ragazza che gli ha stregato il cuore.

Ma ancora mi chiedo perché proprio io! Ha davvero dei gusti strani in fatto di donne. E poi dice di non esser timido con noi…

Bah, gli uomini, perché li hanno inventati?

“Se non vi dispiace io tornerei di sotto, signorina Katherine”.

“Faccia come vuole. Io rimango ancora un po’ qui”.

“Siete sicura? Questo non è un bel posto per una ragazza come voi.

Davvero non…?”

“Ho detto che rimarrò ancora un po’ qui, dopodiché scenderò. Va bene?”

Katie si sarebbe aspettata una bella ramanzina dall’uomo, che però non arrivò mai. Egli si limitò solo a sorriderle e ad annuire.

Si stava voltando per andarsene quando ricordandosi qualcosa di particolarmente importante si girò verso Katie, appoggiata di schiena alla ringhiera, la testa tra le ginocchia ripiegate.

“Ah, comunque, bella maschera!”

Si destò subito dai suoi sogni ad occhi aperti, osservando l’uomo, o sarebbe stato meglio dire, il ragazzo di fronte a lei.

Non aspettava altro che una risposta.

“Grazie”.

Lui le sorrise ancora e lei lo ricambiò. E poi lui se ne andò lasciandola sola ancora una volta.

Katie restò a guardarsi per un po’ le zampone deformi aspettando che finisse il casino dei suoi colleghi di sotto che festeggiavano gasati la dolce notte d’Halloween.

Dopodiché si alzò con molta calma e ridiscese la tremenda scaletta antincendio in punta di piedi, e senza salutare Sandy né le povere suore prese la via per ritornare a casa, gli alti lampioni che illuminavano ogni suo passo e le facevano toccare la sponda dell’altro marciapiede con l’ombra delle sue mani.

Per la prima volta dopo tanto tempo desiderava abbracciare sua madre con tutto il cuore.

 

 

 

E buonasera popolo di Efp!!Vi sono mancata vero??^__^

ò_ò?

*Claudia si guarda attentamente intorno*

*non c’è anima viva, se non qualche procione affamato che chiacchiera con uno scarabeo che fuma*

*tira un lungo sospiro rassegnato*

Avrei dovuto aggiornare prima, a quest’ora ci sarebbe stata la fila per leggere la mia storia..ç____ç Orde di giovani donzelle (e giovani donzelli…ù__ù) pronti a ricevere ancora una volta una meravigliosa scarica di emozioni dalle mie parole…Ed invece non c’è nessuno..-.-“

Va bene, ammetto di essere stata scorretta nei vostri confronti, non avrei dovuto aggiornare così tardi…Però voi dovete comprendere che io non ho sempre tempo per scrivere e scrivere come facevo prima di iniziare la scuola mi capite??=( Perciò io vi chiedo scusa in tutte le lingue del mondo a patto che voi possiate capirmi: alcune di voi sono delle bravissime scrittici ma non aggiornano molto spesso eppure le loro storie sono molto seguite, ma moltissimo!! Io che non sarò mai alla loro altezza non chiedo di ricevere lo stesso trattamento ma… Per favore, almeno ricordatevi di me..ç____ç se avete un cuore recensite, anche se non ve ne frega niente…

Scusate ancora, non posso promettermi che aggiornerò presto ma di una cosa sono certa: io non vi abbandonerò mai, bellissime fan, e mai abbandonerò la mia storia!!^^

Ve lo giuro su Michael e sulla sua riccioluta testolina che mi fa impazzire!!*_*

Bene, ora sarò breve con le spiegazioni del capitolo, solo qualche precisazione: all’inizio leggendo il discorso vi sembrerà molto irrazionale, ma ho deciso di farlo così per creare un po’ di suspense nel racconto (come se non ce ne fosse..ù___ù NdTutti)

Grazie, ragazzi, molte grazie..-.-“ Dicevo questo è un motivo e poi anche perché non avevo molto tempo!!xD Avevo già riscritto tre volte, e dico TRE, la prima parte e non mi andava di ricontrollarla ugualmente… Scusate…^_^”

Per quanto riguarda la seconda parte…Oooh finalmente qualche nodino viene al pettine!!XD Anche se come avrete ben capito il prof è un tipo molto misterioso e ce ne vorrà prima che lui e Katie diventino dei veri amici, per ora hanno fatto un bel passo avanti..;)

Ho avuto anche qualche momento di crisi ma robetta da niente tranquille..ù__ù

Bene, non ho tempo per salutarvi tutte per una, stavolta facciamo un piccolo elenco e ce le togliamo tutte okay??XD

Sappiate che non seguo un ordine preciso spero che non ve la prendiate!!^^

·        Le carissime e bellissime sorelline Annina e Moma ovvero Dolcekagome e Monyprincesslovett;

·        La mia adorata mogliettina Orsetta che ora si fa chiamare da tutti Miss Prongs *ù__ù* ma per me rimarrà per sempre così come l’ho conosciuta, ovvero Bad_Mickey…Ti voglio bene tesoro sappilo!!^^

·        La gentilissima Girl_Just Smile che finora è stata l’unica a criticarmi e la ringrazio tantissimo, anche se non sono riuscita a seguire il suo consiglio!xD

·        La piccola Laban, fedelissima come molte mie fan..^^

·        La mia capellona preferita ovvero GioTanner (più capellona di lei non c’è nessuno a parte me..ù__ù) che oltre a essere una bravissima capellona è anche la moglie di Paulie perciò che dire tanti auguri Romina!!^^ Ah e tanti auguri Paulie!XD

Ed infine anche se ancora non hanno recensito ma so che seguono mi seguono ci sono Eutherpe, Eclipsenow e La Diavolessa!!*__*

Le ultime due sono giustificate ma tu mia cara Ambra, quando hai intenzione di recensire??è___é Pestifera bambina, ora dovrai per forza scrivermi una bella recensione come le altre volte altrimenti addio Mega Tributo a Michael con me!!ù__ù

Ma dai scherzo, non sono così cattiva e poi sai che ti voglio bene, tantissimo bene!!^^

Però mi hai fatto arrabbiare lo stesso..xD

 

 

Vabbè e dopo questo tolgo il disturbo ragazzi!!^^ Stavolta sono stata molto breve perciò non lamentatevi..ù_ù

Alla prossima, ed anche se sarà molto dura aggiornerò prima della fine della scuola!! Anche se di questo passo dovrò mettermi sotto a studiare invece che scrivere..ç___ç Vabbè non pensiamo a queste cose!!xD

Buonanotte e tanti sogni d’oro, spero che vi abbiano fatto piacere le mie righe!!^_^

                         

                                                        **Looney, The Material Queen**

 

 

 

 

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Capitolo 11
*** She's got a ticket to ride (But she don't care) ***


                                 She got a ticket to ride 

 

                                   (But she don’t care)

 

 

 

Faceva molto freddo fuori quella mattina, un freddo insolito nelle latitudini in cui sorgeva Los Angeles, eppure come tutti gli inverni che si rispettassero un poco di gelo doveva pur sempre presentarsi in ogni angolo del mondo.

Proprio per questo motivo, ed anche perché essendo sabato poteva dormire quanto voleva senza esser disturbata, Katie se ne stava accoccolata nel sul bel lettuccio imbottito di piumoni e lenzuola calde, con gli occhi chiusi ed i capelli che formavano una aureola scura intorno al suo viso, distesa in una meravigliosa estasi.

Chi aveva il coraggio di alzarsi da quel meraviglioso giaciglio mentre fuori impazzava la tormenta (si fa così per dire)?

Solo due pazzi come sua madre e Fernando potevano.

Infatti stavano girando per casa già da due ore, chi spolverando, lavando e pulendo, chi sdraiata sul divano in soggiorno a vedere i cartoni animati della mattina.

Katie si rigirò al pensiero della madre: andava per i quarant’anni ed ancora si guardava i Looney Tunes!

Lei invece tra non molto avrebbe compiuto quattordici anni e Willie il Coyote che tentava di acchiappare con qualunque mezzo a disposizione Road Runner sfrecciante per la strada rappresentava solo un ricordo della sua breve infanzia, nel complesso spensierata ma tormentata da fantasmi sconosciuti che si erano presentati a lei solo molto tempo dopo.

Si rigirò bruscamente su sé stessa per scacciare il ricordo di sua madre che la stringeva a sé, piangendo per tutto quello che aveva passato e per l’odio che provava verso suo padre.

Non l’aveva mai conosciuto né aveva visto sue fotografie ma non voleva immaginarselo: avrebbe visto soltanto dolore.

E macabra soddisfazione.

All’improvviso Katie si sentì chiamare dabbasso da una voce particolarmente acuta e scocciata che lei riconobbe come quella di quel ficcanaso di Fernando: non capiva ciò che le stava urlando ma comprese che si trattava di qualcosa d’importante, di solito non si sgolava per una stupidaggine qualsiasi.

Per un po’ non osò muoversi dalla posizione in cui stava dolcemente rannicchiata assaporando la gioia di poltrire sotto le coperte fino all’ora di pranzo ma alla fine, spinta dal desiderio di conoscere il messaggio di Fernando ed anche perché la sua voce insopportabile le stava perforando i timpani, si alzò con molta calma dal suo giaciglio, si grattò la testa e borbottando scese le scale barcollando, usando più l’olfatto che la vista, poiché amando moltissimo la cucina del maggiordomo (naturalmente quando non preparava le tortillas e la salsa guaca mole) ed avendo sperimentato vari modi di cucinare la torta di mele arrivando alla conclusione che quella di Fernando era la migliore, avrebbe potuto riconoscere il suo profumo anche tra milioni.

Quando però si affacciò alla porta della cucina assaporando già con il naso la sua colazione si accorse che lui non era lì, bensì in soggiorno e stava chiacchierando probabilmente al telefono con qualcuno di cui lei ignorava l’identità.

Si avvicinò con cautela, fremendo di curiosità, e stava per appostarsi dietro una colonna portante della stanza per spiare la spia che questa si girò di scatto verso di lei e la investì con un gran sorriso mischiato a sollievo, che però non la convincevano per niente.

“Oh eccola qui! Finalmente si è alzata la nostra piccola peste, spero di non averla fatta aspettare molto, ma come ben sa i giovani hanno il sonno pesante e Katie non è da meno! Okay, ora gliela passo, non si preoccupi…

Abbassò la cornetta e fece segno a Katie di avvicinarsi.

Lei eseguì l’ordine seppur un po’ scettica nei riguardi dello sconosciuto che stava conversando con Fernando poiché non conosceva qualcuno di così importante a cui dava del “lei”.

O meglio uno c’era ed il suo presentimento si faceva via via più grande.

“Dice di essere un tuo amico, anche se dalla voce non si direbbe. È da quasi un quarto d’ora che ti aspetta e non ha dato segni di cedimento. Posso fidarmi?” le disse Fernando porgendogli la cornetta.

“Ma sì, Fernando, chi vuoi che sia? Sai che non frequento brutta gente, almeno non ancora”rispose Katie scocciata.

“Oh allora possiamo sperare nella nascita di una nuova teppista!”.

“Peccato che già lo sia. Allora, vuoi toglierti di mezzo?”

“Ai suoi ordini, sergente!” Fernando si raddrizzò e partì a passo di marcia verso i piani superiori, dando di tanto in tanto un’occhiatina a Katie nel soggiorno.

Lei non gli badò e si rivolse invece al suo interlocutore che preoccupato per il suo silenzio la stava aspettando all’altro capo del filo.

“Scusatemi ma stavo parlando con il mio maggiordomo, non la smette di rompere le palle neanche di mattina”.

“Vi capisco, ne conosco fin troppa di gente ficcanaso. Ma non mi è sembrato molto antipatico, sinceramente”.

“Lo sa essere molto bene, non si preoccupi. Comunque perché mi avete chiamato proprio oggi?”.

“Perché oggi è sabato e da ciò che mi risulta non andate a scuola”.

“E questo cosa centra?”

Centra eccome. Ecco, volevo chiedervi… Se non avete nulla da fare naturalmente questa mattina…

“Non si preoccupi, non ho impegni importanti stamattina”.

“Bene, allora vi va di… Venire a casa mia tra mezz’ora? Tanto non abito lontano da voi, ci metterete poco per arrivare… Allora?

“Beh ecco… Non so, devo chiedere prima a mia madre, non voglio che si faccia investire da un taxi perché sono sparita di casa sotto il suo naso, e sinceramente non la vedo dell’umore adatto per una domanda del genere…

“Comprendo il viscerale amore che provate per vostra madre, assolutamente. Ma ho bisogno della vostra presenza, di parlarvi e di vedervi. Soprattutto vedervi. Vi giuro che non vi tratterrò molto e ritornerete a casa prima dell’ora di pranzo, mi basta solo un vostro sguardo”.

“E da quando tutto questo romanticismo? Le ricordo che non sono la sua fidanzata, bensì sua alunna e voi siete l’insegnante giovane ma intransigente che purtroppo non posso cacciar via dalla scuola perché la sua furbizia non me lo permette. Però una cosa positiva ce l’avete e cioè non sopportate le regole, proprio come me; e visto che abbiamo questo particolare in comune accetto la vostra proposta”.

“Non mi piace il ragionamento che avete fatto ma sono contento lo stesso”.

“Okay, anche io allora lo sono. Bene, allora tra mezz’ora… A casa vostra?”

“Esatto. Sapete già dove abito, vero?”

“Sì, non mi ci vorrà molto se prendo un taxi. Ed ora scusate ma vado a prepararmi, a dopo”.

“A dopo, signorina Katherine”.

Johnson riattaccò e Katie mise giù il ricevitore.

Non era la prima volta che il suo professore di matematica la richiedeva come confidente e psicologa e si stava abituando alle sue telefonate a tutte le ore, talvolta disturbate dagli urli di un bambino piccolo che reclamava i suoi bisogni fondamentali e non la smetteva fin quando non raggiungeva il suo scopo.

Tuttavia Katie non mostrava nervosismo né stanchezza, anzi si divertiva a consigliare un tipo così diverso da lei come Joe e la sua soddisfazione cresceva quando constatava che i suoi consigli erano stati veramente utili a lui.

Non perse neanche un secondo a lavarsi, vestirsi e far colazione ed in meno di un quarto d’ora era già per strada, ben coperta dalla testa ai piedi, sbracciandosi per fermare un gentilissimo taxi che le avrebbe risparmiato tanta strada ed inutili fatiche, ma fortunatamente ce n’era sempre uno disposto ad accompagnarla a destinazione: il tassista infatti era un suo vecchio amico e spesso gli ritornavano alla memoria come nuovi i ricordi di lei e dei suoi pestiferi amichetti che scappavano con il fiatone dentro la sua vettura da qualche vecchio signore colpito da una delle loro malefatte o da un poliziotto dalla faccia paonazza dal manganello volante.

Con questa scusa perdeva addirittura venti minuti a girare in tondo ad alla fine Katie si congedava molto gentilmente, dicendogli che doveva andare e lui dispiaciuto si fermava e la accompagnava per un tratto fino all’imbocco della via in cui abitava il professore.

Lei si incamminava con un ronzio formidabile nelle orecchie ma ancora abbastanza lucida da conversare con Joe.

Percorreva le lunghe file di case con una certa meraviglia tutte le volte.

Non sapeva neanche che ci fosse una zona così silenziosa e sgombra di criminali come quella in cui vivevano Joe e suo figlio: sembrava di essere in qualche pulita ed ordinata capitale del Centro Europa, anche i gatti erano più grassi e puliti di quelli che si incontravano continuamente nel viale in cui viveva Katie, l’erba e gli alberelli delle aiuole crescevano più alti ed erano continuamente potati da mani esperte.

Le case non erano alte più di tre piani ed incastrate una vicino all’altra come pezzi di un bizzarro puzzle e trasmettevano l’idea del calore e della fratellanza più di quella dell’asfissia.

L’abitazione di Joe si trovava nelle prime file e non era facile individuarla poiché era una delle più piccole; un utile contrassegno però era la mitica cassetta per la posta rossa con tanto di bandierina che come uno strano fungo gigante sbucava dal terreno in prossimità della porticina di legno della casa.

Katie diede un sospiro di sollievo quando la riconobbe, impaziente si mise a correre fino ad arrivare sullo zerbino dove si pulì per bene gli stivali ed infine bussò in attesa di una risposta: dapprima sentì dei passi affrettati dirigersi verso la porta, qualcuno che inciampava, si rialzava come se non si fosse fatto niente e proseguiva con più scioltezza verso la sua meta ed infine la serratura che scattava, lo scuro legno che lasciava spazio all’azzurro degli occhi di Joe ed al suo sorriso cui solo il sole poteva tener testa.

Katie si sentì il bisogno di andare in bagno anche se c’era stata quindici minuti prima: forse l’azzurro le stimolava la diuresi.

“Benvenuta, signorina Katherine. Spero di non avervi fatto attendere molto”.

“Non si preoccupi, signore, è tutto a posto. Buongiorno!”

Ed aveva anche urgente bisogno di un calmante, anzi di un anestetico.

“Buongiorno. Vi sentite bene, vi vedo un po’ troppo euforica…

“Oh non si preoccupi, sto benissimo! Davvero!”

Una buona dose di morfina.

“Sicura?”

“Sicurissima! Allora, rimaniamo qui a morirci di freddo oppure entriamo?

“Oh accidenti, avete ragione! Scusatemi, entrate pure”.

Joe si tolse dall’uscio per farla passare e lei, titubante come tutte le volte, entrò nella casa del suo insegnante: era così piccola che il primo piano fungeva da atrio, soggiorno e cucina, mentre al secondo piano dovevano esserci almeno due stanze ma questo Katie non lo sapeva poiché non c’era mai stata. I mobili e l’arredamento erano semplici così come chi vi abitava, di un legno scuro e fuori moda, gli unici elettrodomestici erano un frigorifero, una piccola televisione che avrà avuto sì e no quindici anni ed un telefono anch’esso molto vissuto, con i numeri stampati sui tasti che quasi non si vedevano più ed il cavo consunto.

Gli unici oggetti completamente integri erano l’attaccapanni dinnanzi alla porta, il massiccio divano di pelle scarlatta appoggiato al muro di destra ed una bellissima macchinina colorata appartenente sicuramente al piccolo John posizionata sul tavolo davanti ai fornelli, così come gli scarabocchi ed i pastelli sparsi per tutto il pavimento, anch’essi colorati e preziosi.

Katie ancora non riusciva a comprendere come un bimbo così piccolo avesse tali capacità: quando aveva un anno lei non sapeva neanche cosa fossero dei fogli e dei colori mentre il figlio di Joe ormai era diventato un esperto del campo.

Ma il padre ribadiva che la sua era tutta intelligenza.

Erano invece meno colorate e preziose le pile di documenti e compiti in classe che Joe si portava a casa e controllava mentre intanto si occupava della casa e del bambino.

Katie camminava lentamente in mezzo a tanta bellezza: i disegni di un bambino all’apparenza non hanno alcun significato ma analizzandoli per bene si coglie appieno ciò che gli adulti ignorano da tempo e non saranno più in grado di comprendere.

Stonavano alla perfezione con le due torri bianche ed intatte sulla cui cima stavano un paio di occhiali da lettura rettangolari ed una stilografica che rendevano le torri ancora più austere.

Si guardò intorno, indecisa tra il mettersi seduta sul divano oppure aspettare l’invito del padrone di casa, nel frattempo strizzandosi le mani in grembo.

Il suo respiro già affannoso si bloccò quando Joe si voltò verso di lei guardandola innocentemente.

Sembrava un bambino, proprio come suo figlio.

“Perché non vi siete ancora accomodata? Che ci fate ancora lì in piedi?”

“Oh… Stavo… Stavo guardando le opere di John!”

Raccolse uno dei fogli dal pavimento attraversato per tutto il suo perimetro da una serie di strisce colorate accostate senza logica da una mano malferma, eppure per Katie a modo suo possedeva carattere.

“Sono contento che vi piacciano. Un artista prolifico come lui ha il diritto di far conoscere le sue opere al mondo intero ed essere giudicato secondo precisi criteri. Comunque ce ne sono di più belli, se vuole vederli…

“Oh non si preoccupi, faccio da sola!”

Si accucciò per terra e stava esaminando il secondo foglio quando le sorse spontanea una domanda.

“A proposito dov’è John?”

“È di sopra, in camera. Sta ancora dormendo, e per di più sul mio letto! Io non ero così dormiglione da piccolo”.

“Avrà preso sicuramente dalla madre”.

“Sua madre si alzava tutti i giorni all’alba ed andava a dormire alle due di notte. Se non doveva andare a qualche festa, naturalmente”.

“Allora è un bimbo che ha capito tutto della vita”.

“Penso proprio che voi abbiate ragione, Katie! È un vero furbacchione!”

“Per quanto lo può essere un bambino di un anno e cinque settimane”.

“Oh ma lui è molto più avanti dei suoi coetanei! Mi immagino quando andrà a scuola… Diventerà sicuramente un ribelle…

Il pensiero di un teppista come figlio non piaceva a Joe: pensava che sarebbe diventato uno di quei genitori esauriti e certe volte anche depressi che non riescono a contenere la mancata libertà dei figli e finiscono per aiutarli a tal punto che essi si sentono oppressi e scappano di casa delle volte senza far ritorno.

E nonostante John fosse ancora piccolino per metter sotto sopra la città, l’ansia per il futuro cresceva.

“Non quanto me, almeno”.

Katie sapeva benissimo a cosa andava incontro pronunciando quella frase: il suo insegnante l’avrebbe certamente consolata e coccolata fino alla nausea al fine di farle cambiare idea ma ormai sapeva che in certi momenti la sua bocca ragionava da sola, senza l’aiuto del cervello.

Non poteva farci nulla.

“Non dite più cose del genere, avete capito? Voi non siete una ribelle, signorina Katherine! Siete solo…”.

Solo cosa? Non ci sono altri aggettivi per descrivermi!

“Ed invece sì! Siete così testarda che non riuscite a comprendere quando qualcuno vi sta aiutando o vuole aiutarvi, lo prendete solo per una fastidiosa intrusione nella vostra vita! Voi non siete ribelle… Siete libera”.

“Non mi pare che ci siano differenze…”

“Ce ne sono, eccome. Guardate mio figlio, Katherine, guardate ciò che lascia al suo passaggio senza rendersene conto. So che i bambini hanno delle libertà in più rispetto ai grandi ma ogni bambino è diverso, e perciò ce ne sono di tranquilli, di irrequieti, di obbedienti, di dispettosi, di lunatici, di abitudinari, di teneri, di indifferenti.

E ci sono anche i bambini liberi.

Si prendono i loro spazi e non vogliono esser disturbati se non quando sono loro a cercare te.

Sì, sono poco ortodossi, ma è la loro natura che glielo impone, così come voi da bambina eravate libera da ogni catena che potesse opprimervi. E lo siete tuttora.

Non sopportate che qualcuno vi comandi perché ritenete che vivendo liberi si viva meglio. Tutto qui.

Io non sono stato capace di liberarmi prima che mio padre mi avvincesse nella sua morsa ma ho sempre sperato incontrare qualcuno che fosse diverso da me, per trasmettermi un po’ quel suo amore per la libertà impareggiabile.

Difatti ho incontrato mia moglie, e nostro figlio ora è proprio come lei. Libero.

Ed io non posso essere più che felice per lui! Crescerà libero e sarà un uomo libero, come io ho sempre sognato di essere.

Sarà tutto ciò che non sono stato io, sarà tutto ciò che avrei soltanto potuto immaginare.

IMAGINE.

Sarò Libero... in lui.

Non siate così dura con voi. Non serve a nulla, ve lo posso dire io”.

Se Katie avesse controbattuto anche un monologo così disarmante come quello che le aveva appena regalato Joe sicuramente il loro strano litigio sarebbe continuato per molto tempo.

Ma lei non voleva vederlo soffrire per una senza speranza come lei, aveva già tanti di quei problemi a cui provvedere.

Si alzò dal freddo pavimento tremando come una gelatina alla frutta e gli mise una mano sulla triste spalla; lui non si ritrasse e la guardò con la potenza di un microscopio, minima in confronto a quella che esercitavano gli occhi di Katie nei suoi.

Come è di natura negli esseri umani gli occhi scuri sono un carattere dominante, gli occhi chiari invece recessivo: non c’era verità più palese per sottolineare l’indole dei due, poiché uno sguardo cupo e tempestoso non potrà mai essere sottomesso da uno sguardo chiaro e docile.

Però c’era sempre quel grigio minaccioso a sporcare la tranquillità dell’azzurro primaverile ma non molti lo notavano: Katie nonostante conoscesse ciò che avevano visto quegli occhi non riusciva a comprendere cosa nascondessero in realtà.

Il grigio rimaneva sempre indecifrabile, muto come la lapide di uno sconosciuto, e proprio come se si trovasse in un cimitero il suo corpo si illanguidiva per l’impotenza, una sensazione che non aveva mai provato prima, e che ora stava scavando ancor più profondamente in lei e si sostituiva alla sua naturale forza, ormai completamente inutile.

E più passava il tempo in compagnia del suo insegnante e del suo bimbo più si sentiva inadatta a loro: aveva una vita fin troppo felice.

Non aveva mai provato sulla sua pelle ciò che aveva provato sua madre e si riteneva fortunata per questo.

Aveva un amico ed un confidente magnifico, un altro amico permaloso e pignolo ma estremamente sincero ed una madre appiccicosa ma simpatica.

Aveva da sempre desiderato un padre ma dopo aver scoperto quale razza di figlio di puttana fosse non dava più importanza alla sua figura: viveva così bene senza di lui e le sue morbose manie!

Invece Joe… Cosa possedeva Joe? Un figlio che si esprimeva a monosillabi che seppur carino ed intelligente non poteva essere usato come strumento del padre per sfogarsi di tutte le sue pene interne.

Un’infanzia per certi versi negata, una giovinezza sregolata e spezzata per sempre.

Nessun amico.

Distolse gli occhi da quelli dell’uomo: la loro profonda passione la facevano rabbrividire più del gelo della casetta, e quelle sue pupille solitarie come isole nell’oceano non la rassicuravano.

Lui però la prese delicatamente per il mento e la riportò sulla sua isola deserta, sul suo oceano tempestoso che rifletteva le nuvole di una tempesta perenne.

Come la prima volta che vide quegli occhi vi annegò senza neanche ribellarsi alle onde alte e soffocanti, provando piacere nel suo totale abbandono, un piacere indescrivibile.

Katie non conosceva molti piaceri terreni ed alcuni non riusciva ad apprezzarli, ma quello dal quale si era lasciata trasportare era assolutamente il migliore ed il più appagante di tutti.

Non aveva mai incrociato occhi simili.

Perderli sarebbe stata la sua fine.

Un urlo la fece ritornare a riva, abbattuta e bagnata: proveniva dal piano di sopra e la sua intensità accennava a non diminuire.

Joe, premuroso com’era nei confronti del figlio, salì di sopra per non lasciarlo solo nel lettone e Katie rimase in mezzo alla stanzetta come una stupida: con tutti i momenti che c’erano proprio quando stava per raggiungere l’apoteosi John doveva svegliarsi e frignare affinché il suo paparino gli facesse un po’ di coccole prima di scendere in cucina e mangiare la pappa da bravo bambino?

Katie sbuffò: e dire che i bambini al di sotto dei due anni erano i suoi preferiti proprio perché non davano fastidi!

John però, da come aveva potuto constatare varie volte, era un tipetto molto particolare.

Era molto carino, con degli occhi scuri e dolci ed una nuvola di capelli biondissimi attorno alla testolina sempre in movimento, le guancie tonde e rosse come due mele che stonavano con il candore della sua pelle e dei suoi capelli.

Nonostante la bellezza quasi angelica che possedeva questo bambino il suo comportamento simile a quello di un allegro hippie dei tempi andati le dava noia, e non sarebbero bastati tutti i bei discorsi di suo padre a convincerla sulla dolcezza e bontà di suo figlio, perché la dolcezza e la bontà di John si fermavano al suo aspetto fisico.

Quando Joe discese le scale con John in braccio che si era miracolosamente calmato e la osservava con curiosità, Katie si avvicinò e cominciò a carezzargli i ciuffi argentei, facendo attenzione a non impigliarci le unghie altrimenti gli urli del piccolo sarebbero arrivati in Paradiso e le sue orecchie pure.

John sembrava gradire il trattamento e fece per sbracciarsi verso Katie quando il padre lo riprese sotto la sua ala protettrice ammonendolo dolcemente: lui ci rimase molto male, quando l’amichetta del papà gli faceva le coccole gli stava simpatica.

Anche Katie era molto dispiaciuta.

Dopo che ebbe avuto il permesso da Joe, poté sistemare John sul divano scarlatto e giocare con lui, mentre il padre svolgeva le sue abituali mansioni scolastiche.

Continuarono così fin quando Joe si stancò di correggere compiti e volle parlare un po’ con Katie, e lei non le rifiutò questo piacere.

Quando lui non aveva particolari problemi da risolvere, sia di geometria che quotidiani, chiamava la ragazzina per farsi quattro chiacchiere e far divertire sia lui che John, e senza che nessuno dei tre se ne accorgesse passavano tranquillamente le ore; fortunatamente quel giorno Katie si lasciò guidare dal suo stomaco e seppe che era giunta l’ora di ritornare a casa.

Joe le chiese anche se voleva rimanere a pranzo da lui ma lei disse che non poteva assolutamente, poiché il governatore della casa esigeva che lei mangiasse solo quello che cucinava lui invece di “schifezze che solo gli americani potevano inventarsi”, e perciò Katie si imbottì di malavoglia, salutò il professore e suo figlio e si incamminò verso casa.

E mentre proseguiva con il ticchettio dei stivali come unica compagnia il tenero calore del sole d’inverno le illuminò il viso ed il suoi abiti scuri e non la lasciarono per tutto il tragitto verso casa, come se volessero ricordarle qualcosa che lei aveva stupidamente dimenticato.

Oppure per dirle semplicemente che anche lui, il Sole, era lì a sostenerla, nel freddo e solitario inverno.

 

 

 

E con questa bella atmosfera romantica chiudo il mio undicesimo capitolo!!^_^

Sconvolti eh?XD Beh, fortunatamente ho avuto pochissimo da fare di questi tempi e mi sono potuta dedicare di più alla mia storia, e poi da questo momento fino a non lo so xD i capitoli saranno più corti, così non vi annoiate a leggervi venti o venticinque pagine di capitolo!xD

Comunque bentornati sulla mia storia!!*_*

Spero che il fatidico capitolo dieci vi sia piaciuto, in prova contraria sarete severamente puniti con la Pena Capitale del Solletico..*___*

Prima dei ringraziamenti devo darvi un po’ di spiegazioni (come al solito!xD) : innanzitutto per molto tempo approfondirò di più il rapporto tra Katie e Joe che se per voi può essere totalmente inutile per me e per la storia non lo è affatto!!ù___ù Infatti se non si fossero mai conosciuti non avrei mai potuto continuare la storia!xD Inoltre sarà grazie a loro che Michael dirà finalmente a Fiordaliso che razza di sorpresa ha in serbo per lei, perciò tenete Efp sempre aperto e drizzate le antenne!!^^

Vi chiedo inoltre di avere un po’ di pazienza perché Michael ritornerà ed in perfetta forma!! (Anche se lui, maledetto, ha una fisico pazzesco!*__*)

Poi molti si chiederanno: ma cosa cavolo significa il titolo del capitolo?? Bene, ho la risposta alla vostra domanda!!ù__ù

Naturalmente per chi non è fan dei grandi Beatles non conosce la canzone “Ticket To Ride” , sappiate però che parla di una ragazza che ha un biglietto per andar via ma non le importa, semplicemente questo!! (Molto complesso il significato eh?XD) Ed è ovvio che mi riferisca a Katie!!^^

Bene, ed ora passiamo ai ringraziamenti!! Visto che ci sono tante mie fan che ancora non hanno recensito e non mi hanno fatto saper nulla le ringrazio tutte insieme con l’augurio che si ricordino di me nella valanga di storie che popolano la loro mente!!XD

Poi un ringraziamento a parte lo meritano la mia collega, Mrs Cartney alias GioTanner (che ha anche commentato..<___<) la quale mi ha aiutato a scegliere il titolo per il capitolo… (A dir la verità c’ho pensato da sola ma mi andava di ricordarla!!XD) Brava Romina, continuami ad aiutare e ti regalerò una scatola di biscotti per cani!!ù__ù *A Cuccia!!*

Ah e poi è stata lei a suggerire quel pezzettino alla fine del discorso del prof sulla differenza tra l’essere ribelli e l’essere liberi, un chiarissimo riferimento a Imagine del grandissimo ( e soprattutto bellissimo!XD) John Lennon, che io amo incommensurabilmente!(Fateci caso, tutti i buoni li ammazzano e quelli che dovrebbero andare all’inferno con tutte le scarpe invece rimangono qui a romperci le palle!! Ma si può??ù__ù)

Comunque grazie di tutto, Picci!!^__^ Tra non molto spaccheremo Efp noi due, e sai a cosa mi riferisco!!* faccina ammiccante* ^__^

Poi la mia dolcissima maritina Bad_Mickey alias MissProngs per la sua recensione a telefono, poiché non ha mai tempo per connettersi a Internet!! Poverina, ti capisco, una donna impegnata come te ha tutta la comprensione possibile da una donna pigra come me!ù__ù Complimenti vivissimi, ti voglio bene Orsola e ricorda che io sono sempre qui per te, e non solo io!! Ah, tutti noi aspettiamo il tuo ritorno, sii forte..^_^

Oh e poi ho finito!!XD

“E noi chi siamo, i figli dell’oca bianca??

“Oca bianca? Oca bianca?? DOVE, DOVE???

“È un modo di dire, George”

“Ah… Bene” *George si incantuccia mogio mogio in un angoletto con lo stomaco che brontola come una locomotiva*

“Non preoccuparti, George, qui ci sono persone molto peggiori di te!”

“Ah e chi sarebbero queste persone?”

“Tu ad esempio!!

“I-io??

“Sì, tu!”

“E perché proprio io?”

“Perché il tuo naso è indecente!!

“Oh senti chi parla!!

“Il mio naso è bellissimo!”

“Certo, ed io sono la Regina!!

“Non immischiare la Regina in affari di questo genere!!

“Io parlo della Regina quando e come mi pare!”

“Questa l’hai voluta, nasone!!

*John e Ringo iniziano a scazzottarsi da tutte le parti, il punto più colpito dai pugni di John è proprio il naso di Ringo!!*

“Oh santo cielo calmatevi voi due!!

*Claudia allontana i due combattenti con una forza innata nelle braccia che non sa nemmeno da dove è sbucata*

“Ragazzi, state calmi per favore, devo salutare le mie fan!! Dopo potrete parlare con calma ma, vi prego, comportatevi bene!! Paul, ci pensi tu a guardarli?”

“Con molto piacere!!

“Bene, posso andarmene tranquilla!!

Oh Veronica, è dura vivere con quattro tipi del genere, più una pazza ninfomane che si diverte a stuzzicare il povero Michael… Cioè, i miei gusti musicali fanno veramente a cazzotti tra di loro!XD

“Vorrai dire loro fanno a cazzotti!!

“Beh, il concetto è simile, Paul…”

“Già…” *Paul strizza gli occhi e ragiona su ciò che ho appena detto*

Che tipi ragazzi!! Però li amo tutti, indistintamente!!^_^

Beh, è arrivato il momento di salutarci, Bamboli e Cuccioli, vi auguro vista l’occasione un buon fine di anno scolastico, questi sono gli ultimi giorni, cercate di tener duro come sto facendo io!!^__^

A presto ed ancora tanti saluti dalla vostra….

 

                                                                          * .*.Looney!!*.*.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 12
*** Happy XMas (WAR IS OVER. If you want) ***


                                               Happy XMas

 

                               (WAR IS OVER. If you want)

 

 

Il caffè era particolarmente amaro di mattina, soprattutto dopo una notte infestata da informi incubi generati da ansie che avrebbero fatto ridere un pollo allo spiedo.

Eppure non riuscivo a superarle, certe paure: perché diamine mia figlia se ne andava in giro da sola senza dirmi neanche dove fosse diretta o con chi stava andando, per giunta quando fuori faceva così freddo che era impossibile ritornare a casa senza i piedi gelati?

Non mi convinceva neanche il suo buonumore di ritorno da scuola poiché per lei non era mai stato un luogo felice sotto molti punti di vista, e come mamma c’ero passata in pieno e stavo ancora affrontando la battaglia a testa alta ma con una gran noia nelle ossa.

No, non mi convinceva per niente il suo comportamento.

Alzai il coperchio della zuccheriera e versai un altro cucchiaino di zucchero nella tazzina, mescolai per bene e me lo portai con speranza alla bocca. Sì, ora era bevibile finalmente!

Soddisfatta trangugiai ciò che restava del mio caffè, mi pulii la bocca ed andai a cercare Fernando per dirgli che stavo uscendo ed andavo da Michael per una chiacchierata segreta.

Da quando si era ripresentato davanti il cancello della mia casa la notte di Halloween, era ritornato il Michael che avevo conosciuto da bambina e, ciò che mi rese più felice, i suoi sentimenti per me non erano mutati.

All’inizio il ligio maggiordomo mi guardò con fare sospetto, poi la sua espressione si rilassò e riprese a pulire un calice di cristallo dal vecchio servizio di nozze di mio padre, sbuffò sonoramente e mi disse che potevo andare tranquilla, l’importante è che ritornassi per l’ora di pranzo.

E come sempre non accettava ritardi.

Gli promisi che mi sarei comportata bene e che in meno di un’oretta avrei sbrigato le mie faccende con Michael (anche se non era assolutamente vero) e salii le scale saltellando per andarmi a vestire.

Fui in strada quindici minuti dopo e facendo ricorso al mio infallibile senso dell’orientamento, riuscii a rintracciare l’immensa villa di Michael tra quelle che spuntavano come funghi dalle colline di Encino, rese irriconoscibili dall’inverno e bagnate talvolta da un tiepido sole.

Nonostante facesse freddo il clima era sopportabile, e l’avvento del Natale rendeva tutto più allegro: Los Angeles si era trasformata in un pacco regalo e alle migliaia di luci che già la popolavano si erano aggiunte le lampadine colorate ed i festoni appesi ad ogni porta invitavano ad entrare per gustarsi un po’ di calore domestico.

Anche noi avevamo addobbato per bene la nostra casetta sia dentro che fuori, impiegandoci due giorni, ed alla fine assomigliava più ad un budino di Natale che a una villa di Beverly Hills, ma in confronto ad alcuni nostri vicini di casa la nostra era decisamente meno appariscente.

La villa di Michael invece più che volgare appariscenza possedeva una maestosità invidiabile alla Casa Bianca: le decorazioni erano state scelte con cura da una persona di buon gusto e nonostante la loro abbondanza non mettevano a disagio chi le osservava, anzi, li confortava.

Il loro instancabile sfavillio era visibile da molto lontano e perciò scorsi sotto di esso la reggia che mi interessava tra le altre.

Affrettai il passo speranzosa, con i piedi che si stavano congelando nelle Converse nere e consunte e la giacca a vento che non proteggeva granché le mie gambe: ma perché non guardo mai quello che pesco dall’armadio prima di indossarlo ed uscirci con conseguenze poco piacevoli?

Scossi la testa, rassegnata da me stessa.

Arrivata all’entrata principale suonai al campanello della maestosa villa di Encino e dopo aver constatato che non ero un paparazzo né il sicario di qualche presunto rivale di Michael Jackson l’ancor più maestoso cancello si aprì per lasciarmi entrare.

Vista dall’interno l’abitazione della famiglia Jackson era ancor più grande di quanto sembrava: il giardino sarà stato sì e no il triplo del primo e la villa che si ergeva dinnanzi a me anche.

Pensai che la grandezza del luogo serviva per nascondere persone semplici e buone come Michael e la sua famiglia.

Naturalmente esclusi certi elementi deplorevoli.

Man mano che percorrevo l’enorme viale che attraversava il giardino mi facevo più tesa: e di cosa poi? In fondo non è la prima volta che visitavo casa Jackson ed i parenti di Michael sanno bene che non ho alcuna relazione con lui, ci mancherebbe!

Forse il mio nervosismo riguardava ciò di cui dovevamo parlare, ovvero mia figlia.

Era la prima volta dall’inizio dell’adolescenza che la vedevo diversa e, buon segno o cattivo che sia, avevo bisogno di qualche parere dal mio amico fidato, dopodiché avrei parlato con Katie a quattr’occhi.

E sarei riuscita a espiantare la verità dalla radice.

Okay, Michael mi aveva vivamente consigliato di starle vicina in qualunque momento ma se non mi complicavo la vita non ero contenta.

Quando giunsi davanti il portone questo era già aperto.

Non mi feci tanti scrupoli, pensando che fosse stato spalancato apposta per me, ed entrai nella reggia.

L’interno era molto più spettacolare dell’esterno, e persi così tanto tempo ad osservare i festoni natalizi lungo i passamano delle scale ed i bordi delle porte, i vari gingilli posizionati con gran cura su scaffali di vetro, le fotografie sbiadite della famiglia incastonate in cornici antiquate che conservavano ancora il loro fascino d’altri tempi che non mi accorsi di un uomo ben vestito che gentilmente si offrì di aiutarmi, vedendomi un po’ smarrita.

Io sussultai e per poco non lasciai scivolare dal loro posto un delicatissimo cavallino in cristallo che fortunatamente non balzò via e cadde tra le mie mani.

Mortificata come se avessi fatto la pipì al letto, rimisi a posto il cavallino e la mia attenzione fu occupata solo dalla ricerca di Michael, che il buon uomo mi aveva detto si trovasse in camera sua, libero dagli impegni più importanti ed intento ad un lavoro speciale che non aveva osato rivelare a nessuno.

Conoscendo Michael sicuramente qualcosa di straordinario!

Dissi al buon uomo di accompagnarmi davanti la stanza del mio amico non ricordandomi la strada e con gentilezza lui mi ci guidò, e congedandosi con una discrezione che solo i maggiordomi hanno mi lasciò sola di fronte alla porta.

Non bussai subito: stavo studiando come cominciare il discorso su mia figlia con Michael quando pensai che non gli sarebbe importato nulla e mi avrebbe aiutato volentieri in qualunque mio turbamento.

Perciò mi feci coraggio e bussai pianino pianino.

Nessun rumore.

Riprovai e stavolta tesi l’orecchio per ascoltare: sapevo di non fare bella figura ma la situazione era urgente.

Dai leggeri rumori che provenivano dalla stanza compresi che ci fosse qualcuno dentro, intento ad una attività così travolgente da non udire neanche il più impercettibile dei rumori.

Mi ero sbagliata di grosso perché senza accorgermi di nulla la porta si era aperta e si era andata a spiaccicare sulla punta del mio naso, come se non fosse già orribile, e chi stava uscendo dalla stanza mi guardava sorpreso e preoccupato allo stesso tempo.

Reggendomi ancora il naso dolorante e barcollando qua e là per il corridoio mi accorsi di Michael e mancò poco che andassi ad inciampare non so neanche io dove, per poi rizzarmi per bene in piedi come una brava bambina maldestra.

La sua espressione era immutabile.

Io ero nel panico più assoluto.

“Ehm… Buongiorno Michael! Bella giornata, non trovi?”

“Bellissima, almeno c’è il sole. Ma… Tu cosa ci fai qui?”

“Beh, ecco… Volevo parlare con te di una cosa… Molto importante, e perciò sono venuta qui, a Encino, dove tu abiti, e mi hanno fatto entrare quando gli dissi che io ero tua amica e non avevo alcuna intenzione di farti del male, poi un brav’uomo si è offerto di condurmi davanti alla tua stanza ed eccomi qui!”

“Ah bene! Allora… È molto importante ciò di cui vuoi parlarmi?

Sospirai sonoramente.

“Direi di sì, caro Michael. Riguarda mia figlia…”

Al ricordo di Katie il volto liscio di Michael si increspò, la bocca si assottigliò ed il suo sguardo cadde sul pavimento appena tirato a lucido.

Mi invitò ad entrare immediatamente nella sua stanza e dopo che mi fui sistemata sul letto chiuse la porta a chiave e la lasciò nella serratura.

Ebbi tempo di osservare lo spazio attorno a me per vedere se ci fossero delle prove del lavoro segreto di Michael ma non vidi nulla: i suoi normali passatempi preferiti e null’altro.

Smisi di guardarmi intorno quando lui sii accomodò di fianco a me e mi guardò dritta negli occhi: riusciva a leggerci dentro ciò che volevo dirgli, l’angoscia che provavo in quei giorni, la tremenda consapevolezza che qualcosa stava cambiando intorno a me?

Sicuramente sì, ma i suoi occhi erano così scuri e impenetrabili che si poteva facilmente sbandare nel percorso verso la verità.

Rapita dalle sue pupille non mi accorsi della sua mano che stringeva la mia, incitandomi a parlare.

Rimasi stupita da quel gesto che non ripeteva da tanto tempo e dopo aver cacciato un sospiro cominciai la mia confessione.

“Da un po’ di tempo Katie non è più la stessa: tu l’hai conosciuta quando era ancora una bambina, ma fin da subito ti hanno sorpreso la sua indipendenza, la sua curiosità, la sua indicibile maliziosità ma non gli hai dato molto peso poiché i bambini alla sua età sono tutti così.

Quando varcò i confini dell’infanzia per entrare nell’adolescenza ero un po’ preoccupata per la strada che avrebbe preso poiché il suo carattere era più che intrattabile e si sa cosa combinano i figli intrattabili ai genitori apprensivi.

Ho sempre saputo perfettamente di essere una mamma troppo premurosa e attenta per la mia piccola, e sapevo anche che troppo amore le avrebbe fatto male… Ed ecco il risultato.

Fugge l’amore, e non solo quello materno.

Ormai a casa ci incrociamo solo nelle ore dei pasti e non ci scambiamo nemmeno una parolina, la più cretina, insignificante parola che esista.

Esce e non mi dice neanche dove va, ritorna e fila in camera sua.

Però quando la vedo spuntare dal portone il suo volto esprime felicità: è felice, capito, Michael?

È felice di restare lontana dalla casa in cui è cresciuta, lontana dalle persone che le vogliono bene, lontana da me, sua madre, quella che ha sacrificato l’intera vita affinché lei potesse vivere serenamente!

Ed ora c’è qualcosa che la rende ancora più felice, e non mi lascia condividere la sua felicità!

Vorrei tanto capirla ma non posso. Sono un’illusa, Michael.

Una stupida illusa.

E se tu puoi, e soprattutto vuoi aiutarmi, io te ne sarò grata, fino alla fine”.

Le ultime parole morirono strozzate da un pianto nato più per nervosismo che per tristezza, il nervosismo di non riuscire a capire cosa frullasse in testa a quella pazza di mia figlia.

Mi ero appoggiata alla spalla consolatrice di Michael e lui come al solito non aveva fatto storie né mi aveva interrotto durante il mio sfogo.

Ora accarezzandomi i capelli ondulati e tenendomi ancora la mano pensava sicuramente ad una risposta, un consiglio che mi avrebbe aiutato ad affrontare la situazione.

E quel consiglio arrivò.

“Io penso che dovresti lasciarla camminare lungo la sua strada: ora non le serve più il tuo aiuto per andare avanti e può benissimo farcela da sola.

Una sola cosa ti chiedo di fare, Fiorellino: quando lei vorrà venire da te per piangere, per urlare o semplicemente per sfogarsi tu non esitare a darle il tuo sostegno, a sopportarla, a consigliarla, a consolarla, perché non c’è nessuno migliore di te che può farlo.

Ricordatelo sempre”.

“Va - va bene, Michael. Ma cos’è che la spinge così lontana da me? Qualcosa che avrebbe dovuto evitare?”

“No, assolutamente! Se la rende felice può farle soltanto che bene.

È qualcosa che lei non aveva mai sperimentato e della quale si pente amaramente… No, non è la droga o l’alcool, tranquilla!

“Ma se non ho neanche parlato”

“Il tuo sguardo parla per te”

“Ah, ecco. E…cos’è, allora?”

“Oh questo non posso dirtelo io, Fiordaliso! Io non sono infallibile, lo sai, e potrei sbagliarmi. Aspetta che te lo dica Katie, così sarete entrambe più sollevate

“Okay. Grazie, Michael!”

Lo presi per il collo e quasi lo strozzai per quanta forza ci misi nell’abbraccio tantoché dovetti mollarlo subito, inerme sul suo bel letto imbottito.

Sorrisi alla tenerezza che mi trasmetteva quel ragazzo semplice e generoso: quante persone avrà aiutato e sostenuto nei suoi ventisette anni di vita oltre me?

Rimanemmo a guardarci per un po’, sperduti l’uno negli occhi dell’altra, senza neanche toccarci.

Mi bastava semplicemente il fresco tocco dei suoi occhi sul mio viso per essere serena.

Naturalmente quel sensazionale attimo di estasi doveva essere interrotto da qualcosa di umanamente fastidioso ma indispensabile.

“Oh santo cielo! Scusa, Mike, devo andare a pranzo!”

Mi alzai dal letto alla velocità di una stella cadente e corsi lungo le scale ancora più velocemente, lasciando il povero Michael ancora disteso sul letto, completamente basito.

Mi stavo rimettendo il cappotto per uscire quando lo vidi scendere lentamente le scale.

Gli andai incontro per scusarmi del mio comportamento e lui sembrò aver letto i miei pensieri perché mi mise una mano sulla spalla e mi tranquillizzò dicendomi: “Non fa niente. Vai pure a casa” e poi avvicinando la bocca al mio orecchio: “Katie ti aspetta”.

Sorrisi e lo abbracciai per l’ultima volta prima di aprire il grande portone e sparire nel gelo di dicembre, con la consapevolezza che quel giorno sarebbe stato un giorno migliore dei precedenti.

 

 

“Ma ti rendi conto? È ufficialmente finita!”

“Non cantare vittoria, mancano ancora cinque mesi!”

“Ma non mi riferivo alla scuola, Sandy!”

“Ed a cosa?”

“Beh… Se hai un po’ di pazienza te lo spiego

“Io ho tutta la pazienza del mondo quando si tratta di te, cara

“Oh, allora… Troviamo un posto appartato dove nasconderci

Sandy seguì Katie attraverso il cortile quasi deserto della scuola, facendo piuttosto fatica per colpa delle sue scarpette scomode che la madre le imponeva sempre di indossare e diede in un sospiro di sollievo quando si mise seduta su una delle panchine che circondavano l’edificio, anche se era piuttosto fredda.

Ma non ci badò molto, e neanche Katie.

Voleva solo ascoltare ciò che voleva dirle la sua migliore amica.

“Allora… Di che cosa si tratta?”

“Non mettermi fretta, diamine!”

“Ma ti ho solo chiesto…”

“Non importa, non devi mettermi fretta lo stesso!”

“Uffa, e va bene!”

“Okay…”

Katie si schiarì la voce ed osservo Sandy maliziosamente.

“È da un po’ di tempo che io ed una certa persona ci incontriamo e parliamo. Stiamo bene insieme ma ci manca ancora qualcosa per essere davvero degli amici. Questa persona la conosci bene, soprattutto per un particolare…

“Stai parlando del professor Johnson?”

Katie diventò improvvisamente rossa come brace e si guardava attorno nervosamente per assicurarsi che nessuno avesse udito il terribile segreto tra lei ed il suo professore: non era normale che fossero così intimi, soprattutto dopo che Katie si era ripromessa di rovinarlo come uomo e come insegnante.

Sin dall’inizio si erano prefissi che i loro incontri sarebbero rimasti sconosciuti agli occhi ed alle orecchie di chiunque li conoscesse, prima fra tutti la madre di Katie che sarebbe stata capace di rinchiuderla dentro la sua stanza per il resto della sua vita, e non voleva giocarsi per una semplice svista la sua giovinezza appena iniziata.

“Cazzo, non parlare a voce così alta, potrebbero sentirci!”

“Ma io sto parlando pianissimo, sei tu che ti agiti per un nonnulla!”

“Okay, sono io che mi agito per un nonnulla, ma la tua voce è comunque troppo alta!”

“Vabbè, la mia voce è troppo alta, cosa devo dirti!”

“Niente, stammi a sentire!”

“Okay”

“Allora…” Riprese Katie, tirando un lunghissimo sospiro a mo’ della mamma ed osservando in silenzio una impaziente Sandy con il solo pretesto di vederla soffrire.

“Io ti racconto tutto per filo e per segno, ma ad una condizione

“E quale?”

“Mantieni il segreto. O ti farò passare la peggiore nottataccia della tua vita!

“Va – va bene, inizia pure!”

Katie sorrise sadica all’amica e finalmente partì con la sua narrazione.

“Non so bene come sia accaduto. So solo che dalla notte di Halloween io e Johnson siamo amici. Cioè, non proprio amici per la pelle, ma riusciamo a capirci l’un l’altra, comunichiamo con linguaggi diversi dai soliti e… Niente, semplicemente stiamo bene insieme!

Non pensavo che fosse così bravo e sensibile: a scuola non dimostra assolutamente questa parte del suo carattere, come se volesse nascondere la sua timidezza e la sua poca esperienza con eccellenti doti di insegnamento e completo controllo della classe.

In realtà il primo che vuole essere guidato è lui, poiché si sente molto meno maturo di un ragazzino di tredici anni; perciò mi ha preso come sua personale strizzacervelli.

Lo aiuto a comprendere i suoi problemi ed a risolverli e lui sta cominciando a migliorare sotto le mie direttive, anche se penso che me lo faccia apposta per rendermi contenta.

E poi mi ha narrato la sua storia ma era meglio se si stava zitto!

Sospirò stancamente ed abbassò la testa.

“Sono troppo felice per essere sua amica…

Katie cominciò a giocare distrattamente con l’orlo della gonna mentre Sandy la osservava sovrappensiero, indecisa su come controbattere al discorso dell’amica.

Dopotutto non era un argomento delicato.

E poi la lampadina della ragione le si accese con un allegro scoppiettio.

“Ma Katie, che assurdità stai dicendo? Proprio perché sei felice dovresti trasmettere la tua felicità a chi non ne ha ma ne ha infinitamente bisogno, proprio come il nostro professore! E solo essendo consapevole di farlo veramente felice tu riuscirai ad allontanare il brutto malessere che alloggia nel tuo cuore senza permesso di soggiorno!

“La vedi facile, tu. Non hai un cervello, anzi due cervelli, a cui pensare. E poi posso anche restituirgli la sua felicità di una volta ma non potrò far nulla per la sua condizione terrena: non hai visto in che posto abita, la casa a malapena riesce a contenere lui e suo figlio…

“Ha un figlio?”

“Sì. È piccolo e si chiama John”

“Oh…”

I brillanti occhi di Sandy fissarono per qualche secondo il suolo ghiaioso sotto di lei. Stavolta non sapeva proprio cosa rispondere.

“Non ci ha mai parlato molto della sua famiglia. Avrei dovuto aspettarmi una situazione del genere…

“Già”

“Sembra così sicuro di sé… Ed invece è molto fragile

“Molto, sì”

“Mi raccomando, stagli vicino!”

“E che cosa sto facendo ora?”

“Ah giusto! Beh… Sai cosa dovresti fare?”

“Cosa?”

“Io penso che lui sia ormai diventato completamente indipendente da te e dai tuoi consigli. Dimostragli che anche tu tieni a lui! Così non avrai più la scusa di essere troppo felice per una persona come lui e sarai finalmente contenta, mentre lui, poiché si sente ricambiato dalla ragazza che gli ha salvato, per così dire, la vita, sarà ancora più felice di prima! Allora, che te ne pare?”

Stavolta era Katie quella che si stava spremendo le meningi: l’idea di Sandy le piaceva ma non sapeva come metterla in pratica.

Pensò al particolare rapporto che univa lei a Joe, alla prima volta in cui lui la invitò a casa sua senza alcun pensiero malizioso e come lei, forse per ignoranza o compassione, aveva accettato.

Da quel momento era stato sempre lui a chiamarla, e lei senza protestare giungeva nella sua modesta abitazione, sola ma con una gran voglia di aiutarlo.

Eppure lei non l’aveva mai cercato, per quanto l’altro avesse bisogno della sua presenza…

“Ho trovato!”

Si dette una pacca sulla fronte con la sua amica che la osservava perplessa, ma invece della lampadina della ragione spuntò un bel livido.

Beh, meglio di nulla!

“Da quando abbiamo cominciato a frequentarci è sempre stato lui a cercarmi, mentre io me ne fregavo altamente e soddisfacevo soltanto il suo bisogno di compagnia… Ma non ho mai pensato a me!

Non mi sono mai chiesta se mi piacesse veramente conversare con lui, l’importante è che stesse bene con sé stesso.

E poi non l’ho mai invitato a casa mia nelle vesti di un bravo amico, e neanche ad uscire per le vie della città.

Penso che gli farà piacere…”

Gli occhi di Katie si illuminarono di una luce che aveva poco a che fare con la sua tipica maliziosità e nascondevano un forte e sano ottimismo.

“… Una bella passeggiata per Los Angeles il giorno di Natale! Noi due, soli, insieme alla città! Come ti sembra?”

“Molto promettente, devo dire! Però, se qualcuno che conoscete vi vedrà? Cosa dovrà pensare?”

“Nulla, semplicemente che siamo grandi amici! Secondo te io vado a mettermi con un uomo di dieci anni più vecchio di me? Ma per favore!”

“Giusto, sono una stupida a pensare certe cose! Scusami!”

“Di niente, tesoro”

Katie sorrise all’amica e lei la ricambiò quando la campanella suonò la fine della ricreazione e dovettero ritornare alle lezioni noiose ed infinite di sempre; fortunatamente quello era l’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze di Natale, dovevano sopportare ancora quattro ore e poi avrebbero avuto quasi tre settimane di assoluta libertà.

Per Katie sarebbe stata l’evoluzione di un’amicizia già consolidata e preziosa.

Non voleva neanche pensare alla strana sensazione che le prendeva lo stomaco ogni volta che lui le si avvicinava od ai suoi occhi burrascosi che l’avevano conquistata dalla prima volta.

Non voleva dare un nome diverso al loro rapporto se non quello di “amicizia”.

Desiderava essere solo sua amica.

Solo sua amica…Solo sua amica…

Sua amica…

No, nulla di più.

 

 

Strano a dirsi, ma sentiva un freddo tremendo alle gambe.

Forse perché indossi la gonna, cretina?

Può darsi… Però non è normale lo stesso.

Perché Katie in tutta la sua vita non aveva mai tremato di freddo né di paura.

Ed ora invece un semplice appuntamento, oltretutto con un uomo innocuo che non avrebbe fatto del male neanche ad una mosca, la spaventava!

Certo, lo conosceva da quasi quattro mesi, ma quello era il loro primo appuntamento ufficiale e tutto ciò che era ufficiale la rendeva nervosa.

Cominciò a saltellare in tondo sul marciapiede per generare un po’ di calore in corpo, non preoccupandosi minimamente dei passanti che la osservavano perplessi, poiché ognuno aveva la sua vita ed i suoi impegni ed una ragazzina che aspettava un suo amico saltellando sul ciglio del marciapiede non era nulla di interessante da vedere, neanche il giorno di Natale, quando tutti erano impegnati nei preparativi per la cena e si stupivano nel vedere un essere umano solo e ansioso sul marciapiede umido, come era lei.

Guardò l’orologio: erano le cinque meno dieci.

Dai, manca poco, Katie. Ancora qualche minuto ed arriverà.

Sì, arriverà…

Stava per esibirsi in una versione del Moonwalk che avrebbe fatto rabbrividire il povero Michael al solo fruscio delle suole della scarpe sull’asfalto quando sentì una pacca sulla spalla che la invitava a voltarsi, e lei appunto si voltò, riconoscendo quelle mani, quegli occhi, quel sorriso che le lasciavano una macchia di compassione nel cuore, tanto grande da invaderlo quasi del tutto.

Come aveva fatto a vivere per tutto questo tempo senza conoscerlo?

“Ciao”

“Ciao. Come state, è da molto che aspettate?”

“No, sono appena arrivata!”

Ma se sei qui da mezz’ora!

“Okay”

Joe le sorrise teso, ben sapendo cosa doveva dirle, ma le cose semplici erano quelle che meno gli riuscivano ed in circostanze simili ancora peggio.

“Ah a proposito… Buon Natale!”

“Buon Natale anche a te”

Ecco, gliel’aveva detto! Nulla di più facile.

Ora però veniva la parte peggiore…

“Vi va se iniziamo a camminare?”

“Certamente”

Si ritrovarono l’uno di fianco all’altra, immersi in una folla illuminata da colori ed emozioni, tutti differenti tra di loro, volti sorridenti, spiritosi, euforici, preoccupati o spensierati.

E nessuna di quelle brave persone che si erano preparate al meglio per assistere alla Messa mattutina come cristiani modello ed avevano cucinato con le loro curate mani il pranzo di Natale, guadagnandosi i complimenti dei parenti e degli amici, od avevano cantato a squarciagola le carole insieme ad un piccolo coro posizionato davanti alla propria casetta riccamente decorata, notava le decine di cartoni ed umide pattumiere che infestavano gli angoli più impensabili della città, abitate da individui sudici e arrabbiati col mondo, che si accontentavano di poco ma avevano bisogno di molto.

Alla vista di uno di loro Katie si irrigidì nel cappotto imbottito e senza aspettare nulla e nessuno si fermò e frugò nelle tasche in cerca di qualche centesimo, anche un insulso nichelino, per placare la sua insana solidarietà.

Finalmente riuscì a trovare dieci centesimi, che le sembravano più pesanti di un rotolo di banconote da cinquanta, si avvicinò al triste barbone e glieli mise nel cappello che porgeva alla gente con la mano tremante e l’ombra negli occhi.

Non appena sentì il tintinnio della monetina contro le poche altre che era riuscito a racimolare il suo viso si illuminò e regalò uno stanco sorriso alla sua benefattrice, che lo ricambiò.

Buon Natale, signorina

“Buon Natale a lei” rispose Katie mesta.

E dopo aver salutato il malcapitato ritornò da Joe, che si era fermato ad aspettarla appoggiato ad un palo dell’autobus, e manco a dirlo aveva un grandissimo sorriso stampato in faccia.

“Sono molto contento del vostro gesto, Katherine. Avete dato a quel pover’uomo un barlume di speranza nel giorno che è per noi il più felice di tutto l’anno, mentre per lui purtroppo no. Sono fiero di voi”

“Grazie, ma non ho fatto nulla di speciale. Mi faceva pena, ed ho pensato che potevo vivere benissimo senza quei venti centesimi in tasca, mentre per lui erano indispensabili. Chiunque l’avrebbe fatto”

“Chiunque con una generosità ed una sensibilità pari alla vostra, Katherine

“Chiunque con un minimo di pietà”

“Voi non conoscete la pietà. È ben diversa dalla solidarietà”

“Come no…”

“Delle volte siete proprio cocciuta!” mormorò Joe divertito, e Katie ridacchiò sotto i baffi per il successo ottenuto: era riuscita a farlo stare zitto finalmente!

“Ehm, ci sediamo un attimo, per favore? Sono un po’ stanco”

“Okay, non preoccuparti”

Occuparono la prima panchina che avvistarono e lui ci si lasciò andare sospirando, massaggiandosi la testa con gli occhi chiusi.

Katie non si stupì del suo comportamento, poiché l’aveva visto ancora più spossato di quanto non fosse ora e sperò che il malessere gli passasse prestissimo.

Odiava vederlo così.

E al massimo poteva diminuirgli lo stress psichico ma non quello fisico.

Cominciò a sentire uno strano caldo nel ventre, che gli saliva pian piano fino ad arrivare alle guancie e lì si trasformava nella prova inconfutabile della sua paura.

Paura per cosa poi?

Lei non aveva mai avuto paura.

Provò a distrarsi osservando la strada, la folla, il cielo ma nulla.

Aveva un problema.

Ed anche grosso.

“Alla fine siete riuscita a parlare con vostra madre?”

La voce calma e rilassante di Joe la riportò sulla Terra dolcemente fino a ritrovarsi seduta sulla stessa panchina gelida dove consumava la sua sofferenza.

“Eh… Sì. Sì, oggi abbiamo parlato: le ho spiegato molte cose che lei da molto tempo non riusciva più a capire di me. Le ho parlato della scuola, dei miei amici, dei miei interessi… Ed ho parlato anche di te!

“Di me?”

“Esatto. All’inizio non voleva credere che io fossi diventata amica di un professore, e per giunta che insegnava matematica, ma poi si è ricreduta e mi ha detto “Beh, mia piccola Katie, hai fatto proprio centro! Sta certa che ora non avrai più problemi con le equazioni e non ci romperai più l’anima di insulse parolacce uscite dalla tua perversa mente!”, e poi abbiamo cominciato a ridere entrambe, e ci voluto un bel po’ prima che ci fermassimo! È stato bellissimo” concluse sospirando col sorriso sulle labbra.

“Lo credo. Vostra madre, da quelle poche volte in cui ci siamo visti ai ricevimenti scolastici, mi è sembrata una donna molto originale. Ed anche molto buona e generosa”

Lo è. Solo ora comincio a capire qualcosa del suo carattere: prima la prendevo sempre in giro, e le poche volte che le davo ragione era per farla stare zitta e non sentirmi ripetere sempre le stesse cose! Ma è una grande donna. Sì…”

Al serafico sorriso di Katie, Joe si sentì anch’egli esplodere il cuore.

Smise di fissarla e si concentrò sulla punta delle sue eleganti scarpe di cuoio: aveva completamente perso la facoltà di esprimersi chiaramente e se avesse provato ad aprir bocca ne sarebbero uscite parole deformate da fastidiosi balbettii nervosi.

Diede in un bel sospiro e si fece coraggio: doveva dirle una cosa molto importante.

E non poteva tirarsi indietro, assolutamente!

“Signorina Katherine…”

“Sì?”

“Scusate se vi faccio questa domanda senza alcun pudore, e certamente penserete di me che sono un impiccione, però…Voi...

E qui Joe iniziò la lunga sfilza di sospiri epici.

“Siete stata mai innamorata nella vostra vita?”

La domanda colse Katie completamente alla sprovvista: ed ora cosa  doveva dirgli?

No.

No, non poteva farlo.

Doveva cercare in tutti i modi di non agitarsi così da non uscire allo scoperto. In fondo era lei che l’aveva invitato ad una bella passeggiata romantica il giorno di Natale, era lei che cercava un modo per ricambiare i suoi sentimenti, era sempre lei che doveva fare il primo passo.

Ed anche se lui era l’uomoDoveva compiere il suo dovere!

“Ehm, veramente…”

Il problema è che non sapeva cosa rispondere.

Davvero una cazzata!

Ma cosa mi importa, tanto prima o poi lo verrà a sapere! In quale modo non lo so, però è inutile fingere ancora!

“Veramente . Sono cotta da un bel po’ di tempo, non mi ricordo bene da quanto

“Avete mai provato a confessargli i vostri sentimenti?”

“No. Non ne ho mai avuto il coraggio. Non ho paura di lui, tanto del fatto di non essere la ragazza adatta a lui. Sembra così maturo in confronto a me”

“Non dite così, non è vero!”

Allo sguardo sgomento di Katie, Joe si interruppe e la guardò spaventato, come se in realtà avesse davanti una bestia feroce sul punto di assalirlo per colpa della sua sbadataggine che si presentava sempre nei momenti meno opportuni.

“Cioè…” cercò di spiegare, ma la ragazzina si era calmata ed ora non aveva più alcuna intenzione di sbranarlo.

Seppe perciò che poteva rispondere alla sua affermazione diversamente.

“Secondo me… Il vostro amore non è come voi lo vedete: magari è rappresentato da una persona dolce e riservata, che aspetta soltanto di ricevere affetto e consolazione. E se voi sareste in grado di renderlo felice certamente non vi lascerà mai più

“Come fai a dire queste cose? Ti pare tanto facile strappargli un sorriso? Ormai è troppo tardi… Non ho potuto fare niente per lui…”

“Perché dite così? Come al solito vi sbagliate in pieno!”

“Perché è la verità! Per quanto io mi sia impegnata per aiutarlo, non sono riuscita a far nulla, perché non mi sono resa conto prima che la sua condizione era irreparabile! Sono stata un’illusa. Ed ora ne vedo le conseguenze”

“Mi dispiace contraddirvi ancora, ma io non voglio che vi lasciate annegare nelle vostre stesse colpe… Perché non ne avete. Avete reso questa persona (ragazzo o uomo che sia) la più felice di tutto l’universo semplicemente esistendo e standogli accanto. Penso che in questo momento sia molto grato nei vostri confronti

“Lo credete davvero?”

“Sì”

“E pensate che lui non si offenderà se… Se gli dico che dal primo momento in cui ci siamo incontrati io ho finto di odiarlo perché avevo paura di innamorarmi di lui? Continueremo ancora ad essere amici come prima?

“Beh, penso che non se la prenderà assolutamente. Vi perdonerà e vi chiederà di stare per sempre accanto a lui, come due bravi innamorati

“Ancora un’altra domanda! Se non ti dispiace, naturalmente…”

“Potete farmi tutte le domande che volete, Katherine

“Oh bene!”

A Katie cominciò di nuovo ad ardere il ventre come se avesse inghiottito del carbone ardente, o peggio ancora, dello stufato di carne al peperoncino di Fernando (che ha la maledetta abitudine di mettere il peperoncino da tutte le parti) e non sapeva bene da cosa dipendesse questa odiosa sensazione: forse aveva mangiato troppo a pranzo, ed ora si sentivano le conseguenze.

Però il peperoncino non aumentava i battiti del cuore fino a renderlo indomabile…

“Gli dispiacerà se gli do’ un bacio? Uno di quelli piccoli, sulle labbra, senza troppa bava né lingue attorcigliate tra di loro?

“Penso che lo fareste il ragazzo più felice di tutta la Terra

“Anche se è un bacio rubato?”

“Anche se è un bacio rubato”

Katie ridacchiò sotto i baffi, constatando con stupore che la sua testa e quella di Joe si stavano pericolosamente avvicinando, fino a che le fronti si toccarono e l’uno sentì sulla propria pelle il sudore dell’altra e viceversa.

I capelli che catturavano la luce incontrarono quelli che la fuggivano.

Le labbra caste e profumate di fragola trovarono le accoglienti ed esperte e guidate da un gioco di irrefrenabile amore, cominciarono a conoscersi meglio, assaporandosi e scoprendosi a vicenda, ma senza schiudersi in una morsa fatale per entrambe, poiché un coinvolgente scambio di sapori avrebbe rotto la romantica e pura magia che aleggiava intorno ai possessori delle labbra.

Due individui così differenti da essersi trovati per caso seduti su una panchina lungo una via affollatissima ormai sgombra da qualsiasi pericolo, da qualsiasi guardone che potesse sconvolgere la loro passione tenuta a freno dal giusto pudore del primo bacio.

 

 

 

 

Ed eccomi ritornata a rompervi le palle!!XD

Come state, miei sopravvissuti?^__^ Bene, spero, perché devo darvi una bella notizia!! (Oh finalmente!!XD NdTutti)

Ahahahah spiritosi..-.-“

Comunque è davvero una bella notizia poiché dopo quasi un anno in cui vi ho tenuti con il fiato sospeso, vi ho fatto piangere, arrabbiare, ridere e quant’altro scoprirete finalmente la verità!! Sì, capirete cos’è questa razza di sorpresa il cui pensiero non vi ha fatto dormire la notte, e conoscerete molte cose sulla vita di Michael che nessuno (neanche uno di quei paparazzi da strapazzo, che il cielo li fulmini!<___<) ha mai raccontato per tutto il tempo in cui Michael ha vissuto su questa Terra!!

Eheh siete curiosi??:D Allora seguitemi fino alla fine e se perderete la via io vi ci ricondurrò senza tanti complimenti!!^_^ Letteralmente vi prenderò per la collottola e vi trascinerò fino a quando non sarete in grado di reggervi da soli in piedi, dopodiché vi spingerò per la schiena e, se dovrò, vi caricherò sulla schiena ignorando i vostri calci ed i vostri pugni!!ù__ù

Siete ancora interessati all’ammutinamento??*___*

Bene, vedo che non ci sono mani alzate! Perciò posso continuare!!

Ah, c’è un’altra cosa che devo dirvi: l’ultima parte di questo capitolo, che dovrebbe essere la più bella e la più significativa (poi vedrete ù_ù) mi è venuta in realtà uno schifo immane!!O__O Perciò, se volete leggerla bene, altrimenti potete anche farne a meno!XD

E posso dirvi anche qualcosina che non riguarda la storia di per sé, è un’accortezza che ho preso io per renderla meno pesante e monotona: la suddividerò in due o tre parti, ( ma io opto per le tre) nelle quali cambieranno di gran lunga gli eventi ed i personaggi (tranquilli, alcuni rimarranno!^^) e vi prometto che vi piacerà ancora di più di prima!! Farò un miscuglio esagerato, tenetevi pronti!!XD

Oooh ma il titolo di questo capitolo?? Avanti, non ditemi che non conoscete “Happy XMas (War Is Over)” di John Lennon perché altrimenti vi fucilo, ed al diavolo l’amore e la pace nel mondo!!ù__ù Bene, sto calma..°__° In fondo ora vi devo salutare perché la mia mente vuole riposare e voi dovete leggere, giustamente!! (Se se, contaci..-.-“ NdTutti)

Ma oggi siete proprio tremendi eh??O__O Mi volete proprio male, santo cielo!!

E visto che non sono apprezzata io me ne vado!ù__ù *si infila il cappotto di pelliccia di alce e scompare nella nebbia*

Arrivederci!!ù___ù Ed al prossimo capitolo, che sarà naturalmente un capitolo di passaggio! (lo ammetto, non vedo l’ora di finire la mia storia!XD)

Tantissimi saluti, e soprattutto BUONE VACANZE *__*, dalla vostra .*.*Looney.*.!!

 

P.S.: Ah sì dimenticavo!! (Che sbadata che sono!!XD) Ringrazio tutte le dolci fanciulle che hanno letto e recensito (anche se solo la cara Romy ha recensito..ç__ç) con l’augurio che questo capitolo gli piacerà!!^___^

 

 

 

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Capitolo 13
*** Your Mother Should Know ***


ATTENZIONE: in questo capitolo, anche se trattate in maniera molto leggera, sono presenti riferimenti a rapporti sessuali tra una ragazzina di quattordici anni ed un uomo di ventiquattro, tuttavia non voglio inserire il rating rosso per un semplice accenno.

Se fossi scesa maggiormente nei particolari l’avrei fatto, ma ritengo che sia inutile.

Spero che non vi rechi disturbo. Se c’è qualsiasi cosa che vi abbia turbato, la responsabilità è soltanto mia.

Mi scuso per questo improponibile messaggio e vi auguro buona lettura.

 

 

                     

                        Your mother should know

 

 

 

 

 

Da quel giorno in poi le cose cambiarono radicalmente per entrambi.

Era come se avessero riacquistato la vista dopo anni e anni di mortale oscurità, persi nei propri incubi e ossessionati dalle vane speranze nella conquista della luce perduta.

Fu Joe il primo a risvegliarsi dal maledetto torpore che avvolgeva la sua vita dopo la morte della moglie grazie alla riscoperta dell’amore verso Katie: dall’insegnante severo e silenzioso che i suoi alunni più ribelli conoscevano bene, soprattutto per la confisca del walk-man e per voti in pagella, divenne un uomo sorridente, luminoso come non lo erano stati neanche i suoi capelli rapitori della luce, e felice di poter accogliere ed educare nelle sue classi le più svariate tipologie di adolescenti benestanti o quasi, per poterli non solo aiutare nei problemi di geometria, ma anche nei problemi della vita, e non solo le tipiche ansie di un ragazzino cresciuto nella bambagia.

Ben presto si rivelò uno psicologo più capace di quanto non lo fosse stata Katie per lui: forse fu proprio grazie a lei che riuscì ad aprirsi ai suoi studenti, rendendo la sua professione non solo un onere ma anche un grandissimo piacere, sia per lui che per i suoi alunni.

Katie aveva notato qualcosa di diverso nel suo mare tempestoso già dal primo giorno di scuola dopo le vacanze di Natale, e dovette resistere parecchio per non alzarsi dalla sedia nel bel mezzo della lezione ed abbracciare con trasporto Joe, dondolandosi sul posto per l’occasione ed abbandonandosi sul suo petto, sotto gli occhi sgomenti di trentatré ragazzi in cerca di piccanti pettegolezzi, purtroppo con un considerevole fondo di verità.

Era felice per lui come mai lo era stata dal momento in cui aveva iniziato a parlarsi segretamente, e la faceva soffrire non potergli andare incontro nei corridoi e baciarlo dolcemente sulle labbra, quei baci che si regalavano l’un l’altro a riparo da occhi indiscreti nei luoghi più impensabili della città.

Lei amava la clandestinità del loro rapporto, la eccitava in tutti i sensi, la faceva sentire adulta e padrona della propria vita, anche se c’era ancora molta strada da compiere prima di arrivare alla completa maturità della sua mente.

Nonostante sembrasse più grande di quanto fosse dal punto di vista fisico, dentro di sé era ancora una bambina giocherellona e tenera, che si vergognava degli estranei, inciampava facilmente sul gradino del marciapiede, odiava esser baciata da sua madre (per quanto le volesse bene) ed amava giocare a baseball con i suoi amici nel tempo libero.

Il corpo, però, aveva i suoi bisogni che la mente non comprendeva e cercava di scacciare.

La mente ed il corpo di Katie non erano mai stati grandi amici, perciò non fu difficile convincere il corpo a piegarsi ai suoi primordiali desideri e partire alla conquista della preda designata. L’unico problema riguardava il corpo di Joe, che al contrario di quello di Katie, aveva buonissimi rapporti con la sua mente, e dal compimento dei quattordici anni della ragazza fino all’ultimo giorno di scuola si unirono in battaglia per sconfiggere quella effimera tentazione rappresentata dall’amore carnale.

Katie, che difficilmente si tirava indietro ma certe volte capiva quando era meglio fermarsi, non si stupì del comportamento di Joe: dopotutto per lui era complicato fare l’amore con un’altra donna (in questo caso ragazza) con il ricordo della moglie ancora vivo e sano nei suoi pensieri, e la loro unione fisica gli avrebbe procurato solo dolore non piacere.

Perciò si vide dall’insistere ancora, e si mise ad aspettare con pazienza: era lui l’uomo, era lui che doveva fare il primo passo, ed era sempre lui che doveva decidere tra sì e no.

Quando entrambi si sentirono avvincere da un calore opprimente all’addome (e non avevano mangiato pesante) ed i loro occhi cominciarono a produrre luccichii a volontà non appena le loro mani si furono sfiorate si sentirono finalmente pronti.

Era una giornata caldissima, e nessun uomo sano di mente gironzolava per i ribollenti fiumi d’asfalto della città né a piedi né in automobile (poiché la carrozzeria di quest’ultima si sarebbe sicuramente sciolta al calore del sole).

Sia bambini che adulti trovavano un po’ di refrigerio correndo in spiaggia o bagnandosi nelle immense fontane del Centro, per poi esser ripescati dalla polizia, contemplando tristemente la vasca piena d’acqua gelida, mentre gli uomini d’ordine sogghignavano soddisfatti nella loro pesante divisa blu.

Gli unici contenti erano i pesci, che sguazzavano nell’oceano e non versavano neanche una goccia di sudore, prendendo in giro gli esseri umani completamente bagnati e appiccicosi.

Era per molti ragazzi l’ultimo giorno di scuola, e ciò li faceva rinsavire moltissimo, poiché per tre mesi non sarebbero dovuti ritornare in quei grandi forni che chiamavano erroneamente aule.

Appena ritornata da una eroica battaglia di gavettoni per festeggiare la fine dell’anno scolastico, Katie se ne stava sdraiata in giardino sventolandosi il viso con una rivista, imprecando contro il Tropico del Cancro, contro Los Angeles e contro l’acqua che evaporava troppo presto, mentre Fernando annaffiava diligentemente le piante e gli alberi in canottiera e bermuda, e sua madre sguazzava nella vasca da bagno per colpa del’afa che l’aveva fatta sciogliere come una caramella di zucchero.

Guardando il cielo sopra di lei pensava come al solito a Joe, ed il suo malessere cresceva ancor di più: aveva concluso le medie e non l’avrebbe più visto entrare dalla porta dell’aula con la solita aria rassegnata ed i capelli scomposti dal sonno, poiché lui non insegnava al liceo, e non avrebbe mai più potuto.

Qualche giorno prima che la scuola finisse qualcuno fece la spia al preside riguardo uno dei suoi colleghi più preparati ed amati dagli studenti, ed egli gentilmente congedò Joe, con l’augurio di non tornare mai più nella sua scuola, a meno che non abbia portato con lui un minimo di responsabilità ed un ricco risarcimento in denaro (anche se non c’era nulla da risarcire).

La notizia di un falso insegnante che si era preso gioco di tutta la scuola per un anno intero fece così scalpore che non ne discutevano soltanto i ragazzi ed i docenti, ma anche le oneste suore che gestivano la scuola, ma le loro opinioni erano ben diverse dalle più maligne dei genitori dei ragazzi che avevano avuto come insegnante Joe, poiché si sentivano presi in giro come mai nella loro grassa vita.

Dal canto suo, Joe cercò di scovare il traditore, ma non aveva prove plausibili, ed era convinto al cento per cento che l’unica persona che conoscesse assieme a lui il suo segreto, non avrebbe di certo cantato così facilmente: a Katie non interessava la fama, poiché ne aveva già parecchia, e lo amava fin troppo per consegnarlo in modo così meschino nelle mani della spietata legge americana e soprattutto nelle mani del suo temibile preside.

Gli promise che non appena avesse trovato il colpevole l’avrebbe strangolato con le sue stesse mani, ma lui la tranquillizzò dicendole di non preoccuparsi per lui, aveva un piano.

Katie rispose scetticamente che non avrebbe potuto passare la vita intera a scappare dalla giustizia, ma Joe fu così irremovibile che lei dovette soccombere.

Aveva intenzione di occupare la vecchia casa di suo padre situata nel centro di Londra, dove abitava insieme alla sua famiglia prima di trasferirsi definitivamente negli Stati Uniti.

Lì sarebbe stato al sicuro, nessuno avrebbe fatto del male a lui e a suo figlio.

Voleva tagliare la corda la sera del 7 giugno, il giorno che segnava la fine della scuola per Katie; tutti gli oggetti di valore, qualche vestito ed i giocattoli di John erano stati impacchettati ed ora si trovavano davanti all’uscio in attesa della fuga.

John si era lasciato andare sul letto del padre e dormiva aspettando la cosiddetta “fine”, mentre suo padre seduto sul divano rosso faceva l’inventario di tutto ciò che doveva portarsi nel lungo viaggio, e dopo la sedicesima volta constatò che non mancava nulla.

A parte lei.

In quel momento Katie si sentì prudere l’orecchio, e comprese che non poteva starsene tutto il giorno a non far nulla quando sapeva benissimo che non avrebbe mai più rivisto Joe.

Ciò che fece dopo fu prova della sua incalcolabile pazzia accentuata dall’amore: si alzò lentamente dal prato inaridito, chiamò Fernando dicendogli che aveva intenzione di andare in spiaggia per sopprimere il caldo con un bel bagno gelido e di avvertire sua madre altrimenti quella sarebbe stata capace di chiamare la polizia notando la sua assenza, e dopo aver ottenuto il permesso di andare, invece di scendere lungo l’immenso viale che portava a Santa Monica, si diresse nella stretta viuzza in cui Joe stava consumando il tempo nell’attesa della partenza.

Katie apparve come una visione negli occhi tristi ed annebbiati di Joe, che si alzò precipitosamente dal divano e la abbracciò con quanta forza aveva in corpo, temendo che potesse sparire da un momento all’altro lasciandolo di nuovo solo.

Ma lei non se ne andò, e ricambiò l’abbraccio ancor più intensamente, baciandogli il viso e le mani, e mormorando lamenti senza senso scaturiti dal suo cuore dolorante per la separazione alle porte.

Poi smisero di agitarsi e le loro mani goffamente si incontrarono, giocherellando tra di loro e scolpendo nella memoria l’esatta delicatezza del loro tocco, nonostante si fossero sempre ripetuti che quel giorno non sarebbe mai arrivato.

Eppure era lì, incombente più della morte: come avrebbero potuto ignorare tanto terrore?

Solo una promessa poteva scacciare la sofferenza, e per suggellarla definitivamente occorreva un ricordo così intenso da non sfuggire mai dalle dense nebbie del passato, e di ritornare a riproporsi nel futuro con la stessa antica forza.

Ciò che li spaventava al sol pensiero ma che li tentava invincibilmente.

Ciò che li avrebbe uniti per sempre ed oltre.

Guidati dall’istinto che rendeva sicure anche le membra dell’amante inesperto e madidi di sudore e piacevoli brividi, si lasciarono avvincere dalla tentazione e consumarono il loro amore sopra il pavimento rovente e pulito illuminato dal riflesso delle loro anime tormentate ma felici.

 

 

Quella fu per Katie l’estate più calda e deprimente degli ultimi dieci anni: tutto ciò che voleva fare era star rinchiusa dentro casa munita di un ventilatore e di un mangiadischi eroso dalla temperatura e dall’uso poco ortodosso che ne faceva lei, per non parlare dei 33 giri che dovette buttare e dei soldi spesi per ricomprarli uno ad uno.

A nulla bastavano le suppliche di sua madre e gli strilli di Fernando per convincerla a smuoversi dal suo letto ed uscire a farsi una passeggiata: lei non voleva ascoltare nessuno, soltanto i suoi dischi, soprattutto la voce di Michael, che con la sua innaturale dolcezza rendeva il suo dolore piacevole, di qualunque argomento parlassero le canzoni.

In fondo l’aveva sempre detto lei che ascoltare Michael Jackson rende la vita migliore!

Non era così per sua madre.

Con i suoi giorni di isolamento aumentarono anche le crisi nervose di Fiordaliso, che voleva aiutare sua figlia ma non poteva, poiché non sapeva da che male fosse afflitta ed ogni suo intervento impulsivo avrebbe reso la situazione peggiore di quel che era.

Fernando la rassicurava sul comportamento della figlia, con frasi del tipo “I giovani sono così, un giorno sorridono e l’altro piangono, senza un motivo preciso. Vedrai che tra non molto si alzerà da quel letto ed uscirà di casa con i suoi amici dopo averci salutato con la mano. È un dato di fatto, lo dicono anche gli psicologi!”.

Ma a Fiordaliso non interessava minimamente ciò che dicevano gli psicologi, e l’unico dato di fatto era che sua figlia stava male e doveva essere curata immediatamente.

Cominciarono ad indagare su di lei, come due detective ficcanaso che erano disposti a tutto pur di giungere alla conclusione del caso.

In effetti utilizzarono tutti i mezzi a loro disponibili, ma i loro sforzi non valsero a nulla: l’unica cura per Katie era l’amore di Joe, e di quell’amore rimaneva soltanto un bellissimo ricordo.

Bellissimo, certo, ma pur sempre un ricordo.

Neanche il minimo sentore di una gravidanza inaspettata ma ben voluta.

Solo un misero ricordo.

Uno ricordo che il tempo avrebbe sicuramente cancellato, trasformandolo in spirali di fumo che si sarebbero dissolte nel cielo dell’oblio…

 

…Se il fattore caso non fosse intervenuto nella sua vita!

 

Erano passati tre mesi e sei giorni esatti da quel meraviglioso giorno in cui Katie e Joe si erano incontrati con la più profonda parte di loro stessi, conoscendo finalmente attraverso il corpo l’amore che ognuno provava per l’altra, e viceversa, soltanto spiritualmente.

Quello per Katie era l’ultimo sabato libero dai compiti prima dell’inizio della scuola, dopodiché avrebbe dovuto combattere strenuamente per raggiungere i voti alti cui era abituata: le scuole superiori non erano un gioco, ed i professori non sarebbero più stati molto benevoli con lei.

È ora che cresca, si ripetevano in continuazione tra una lezione e l’altra, non può continuare a divertirsi tutto il giorno senza pensare minimamente allo studio ed alla disciplina! E se non ci sono riusciti i nostri colleghi delle medie vuol dire che sono stati troppo buoni con lei: vedremo come se la caverà al liceo, senza la sua faccina d’angelo e quella fastidiosa aria da impertinente!

Ma a Katie tutto ciò che dicevano i docenti non la sfiorava: aveva un problema più grande con il quale vedersela, e loro non potevano impicciarsi nella sua vita, togliendone addirittura una significativa parte.

Era un crimine abominevole, non lo accettava.

Se avesse dovuto rinunciare all’amore, l’unica cosa di cui aveva bisogno, non sarebbe sopravvissuta molto.

Per fortuna l’amore, avvertendo il suo malessere, venne a fargli visita quello stesso sabato, ancora caldo del malinconico riflesso estivo e che si volgeva lentamente verso l’inverno.

All’inizio non voleva credere ai suoi occhi: l’avevano spesso tradita, senza scrupoli.

Eppure era il suo amore: come avrebbe potuto sbagliarsi?

Gli corse incontro, abbracciandolo come lui fece il giorno della loro apoteosi, strofinando il viso sui suoi vestiti freschi e sempre profumati, accarezzando il suo viso reso ruvido dalla tristezza, baciando le sue labbra morbide e dolci, come se le ricordava.

Non furono capaci di parlare per molto, poiché le emozioni avevano preso il sopravvento.

Sapevano soltanto che dovevano andare in un posto.

Un posto segreto che nessuno di loro conosceva.

Il desiderio era troppo forte, e come tutte le coppie destinate ad amarsi clandestinamente, fuggirono lontano dai loro oppressori e trovarono la pace lungo la costa, in una baia protetta da occhi indiscreti dove molti innamorati prima di loro si erano amati.

Si rotolarono sulla sabbia, entrambi così felici da non credere ancora alla loro riunione, e rinnovarono la loro promessa nel miglior modo possibile.

Ora il ricordo del loro amore non sarebbe stato cancellato dal tempo, neanche dopo mille anni, neanche dopo la loro morte, neanche dopo l’oscuro infinito…

Quando si liberarono dell’ultimo granello di sabbia nei capelli e si contemplarono un’ultima volta negli occhi, si separarono e ripresero la via del ritorno: rimanere insieme sarebbe stato rischioso e non volevano passare ancora guai inutili.

Quelli sarebbero venuti dopo, quando si sarebbe scoperta la verità, ma non volevano fasciarsi la testa prima di romperla: ogni cosa a tempo debito.

 

Dopo il suo fugace incontro con Joe, che nel frattempo se ne era ritornato a Londra dal suo John, Katie poté iniziare la scuola serenamente: mai si era aspettata una visita dal suo unico amore, giunto dalla fredda Inghilterra per augurarle buona fortuna per il nuovo anno scolastico e passare ancora un momento di totale estasi con lei, affinché la separazione le fosse sembrata meno tragica.

Non appena ripensava alle poche parole scambiate con lui quel giorno ed al ritrovato piacere del suo amplesso, si sentiva davvero fortunata ad avere un uomo così: sembrava uscito da un dramma di Shakespeare, senza baffi e pizzetto, però.

Per la prima volta dopo tanto tempo sorrise alla vita: era capace di affrontare qualunque ostacolo con l’amore.

Qualunque ostacolo.

Già, qualunque ostacolo.

Anche uno non previsto, e sinceramente poco desiderato.

Ma in fondo tutti gli ostacoli sono indesiderati, no?

 

Successe una mattina a scuola: la professoressa di matematica l’aveva chiamata alla lavagna e lei sbuffando aveva obbedito al suo ordine. Quanto avrebbe voluto Joe al suo posto!

Almeno la sua visione l’avrebbe incoraggiata; invece questa megera era tutt’altro che rassicurante, ed i suoi discorsi erano così contorti che una buona parte della classe aveva seri problemi con la matematica (e chi non li ha mai avuti?).

Fu forse per questo che, durante un’equazione particolarmente complicata, Katie perse le forze e si accasciò a terra, sotto gli occhi increduli di tutta la classe, prof compresa.

La soccorsero immediatamente, e con un paio di schiaffi ed una caramella al limone riuscì a sedersi sul pavimento, con gli occhi chiusi ed una sgradevole sensazione in bocca.

Chiese di chiamare sua madre e ritornare a casa, ma, come era venuto, il fastidio svanì immediatamente.

Sollevata, si alzò dal pavimento e sotto ordine della megera, che era più sconvolta di lei, si accomodò al suo posto, osservando perplessa un suo compagno che se la stava vedendo con la sua equazione lasciata a metà.

Ma neanche il pensiero di averla scampata da una F sicura la rassicurava, e ripensò al suo malore per tutto il tempo che rimase con i gomiti sul banco e lungo il tragitto per ritornare a casa: magari era dovuto alla stanchezza, o alla mancanza di zuccheri nel sangue…

O magari…

No, non voleva pensarci.

Doveva esserne sicura al cento per cento per tirare delle conclusioni ammissibili, e facendo delle ipotesi affettate avrebbe soltanto peggiorato la situazione.

Innanzitutto, da dove si cominciava?

Ma certo, le mestruazioni!

Quando era stato l’ultima volta che le erano venute? Due settimane fa, forse...? Od anche più in là, boh…

Cazzo, che giorno era oggi? Ah sì, giusto, il 23 ottobre!

Bene. Andiamo proprio bene, Katie. È da due settimane e tre giorni precisi che il ciclo ti ritarda… E tu non te ne sei neanche accorta!

Che stupida che sei stata!

E poi mi pare che tu abbia avvertito altri sentori, o mi sbaglio?

Alcune volte non hai cenato per via della nausea, un giorno hai addirittura vomitato sul divano per poi abbuffarti di cetrioli e carote, manco fossi stata un coniglio.

Per non parlare dei tuoi vari sbalzi di umore! Oh, ma quelli ce li hai sempre, perciò non possono far altro che peggiorarti con l’avanzare della…

Sì, insomma… Con l’avanzare della gravidanza.

Perché eri incinta, Katie!

Incinta!

Incinta…

Sei rimasta incinta come una cogliona.

Ma in fondo avresti dovuto aspettartelo: come pretendi di salvarti dopo aver fatto sesso senza alcuna protezione?

Sei stata davvero una stupida, ed ora ne pagherai le conseguenze!

Cosa diranno tutti?

Cosa dirà tua madre?

Oh cazzo… Non ci avevo pensato!

Ma una persona non si stupirà di certo se gli riveli questo segreto…

 

Dieci minuti dopo Katie stava percorrendo il viale nel quale abitava la sua amica Sandy, con una falcata degna di un velocista, e si fermò davanti il cancello dell’immensa villa, una delle più grandi di tutta Encino: a quell’ora doveva essere già ritornata a casa.

Ora che frequentavano scuole diverse (la differenza economica cominciava a farsi sentire) non percorrevano più un tratto di strada insieme, potevano vedersi soltanto dopo la scuola, il che non era per niente facile poiché la grande ondata di compiti le divorava ogni giorno, tanto da togliergli molto tempo da passare assieme.

Suonò il campanello, ed aspettò che le aprissero: ormai era di casa, e non si preoccupavano minimamente di guardare dalle telecamere di sorveglianza.

Nonostante la famigliarità, il luogo le procurava sempre un po’ di timore, ma non appena entrava il nodo alla gola spariva, sostituito da una profonda allegria: gli inquilini di casa Shepard erano uno più stravagante dell’altro, a cominciare dal signor Shepard, che nonostante fosse un tipo tosto della finanza, non perdeva mai tempo a combinare meravigliosi scherzi ai colleghi, e loro naturalmente non se la prendevano, poiché sarebbero incappati in guai serissimi.

La signora Shepard era il completo opposto del marito, ma era lei che comandava dentro casa, e nulla sfuggiva al suo occhio attento, neanche una macchia invisibile sul pavimento, ed allora lì ordinava alle sue cameriere di pulire immediatamente altrimenti non le avrebbe più pagate.

Le povere ragazze obbedivano sbuffando.

I membri meno bizzarri della famiglia erano i due ragazzi Shepard, Daniel e Sandrah: entrambi eccellevano sia nello studio che nello sport, frequentavano scuole private ed avevano accesso a tutti i luoghi più interessanti di questo mondo, tra cui Disneyland ed il Wembley Stadium di Londra, ma nessuno dei due c’aveva mai messo piede.

Avevano le loro passioni ed i loro svaghi, ed erano molto più maturi dei loro genitori, che talvolta dovevano riprendere manco fossero dei lattanti.

Fu Daniel a condurre Katie in soggiorno dove l’aspettavano sua madre e Sandy, prese da una partita a carte che durava da almeno un’ora e mezza.

Di solito nessuno osava disturbare madre e figlia mentre erano impegnate in qualche attività abituale, ma non appena Sandy vide Katie ritta di fianco a Daniel, lanciò le carte che teneva in mano sul tavolino, sotto gli occhi sconcertati di sua madre e di suo fratello, e portò Katie in camera sua, senza dirle una parola: era evidente che c’era qualcosa che non andava, e voleva parlarne con lei a quattr’occhi, senza scocciatori nei dintorni.

Non appena furono entrambe dentro la stanza, Sandy chiuse la porta, e vi si appoggiò dando in un sospiro nervoso.

Poi guardò la sua amica con uno sguardo che avrebbe benissimo trapassato il muro della cameretta.

“Come hai fatto a capire che volevo parlarti semplicemente vedendomi?” cominciò Katie prima che la sua amica potesse dire qualcosa.

“Perché ormai riconosco l’espressione del tuo viso ed il brillio dei tuoi occhi quando vuoi dirmi qualcosa. E tu sei una persona molto prevedibile, Katie” si giustificò Sandy alzando gli occhi al soffitto.

“Anche tu lo sei, se è per questo!”

“Ma non come te…”

Katie non seppe ribattere alle parole dell’amica, e diede in un lungo sospiro.

“Sono stata una cretina, Sandy. Pensavo di cavarmela, e invece…”

“Eh? Ma di cosa stai parlando?”

Sandy si avvicinò al letto dove stava seduta Katie e si sistemò accanto a lei: dal suo tono era evidente che aveva un grosso problema, anzi un gigantesco problema da risolvere.

“Di me e Johnson. Abbiamo scopato…”

“Questo già lo sapevo!”

“…E sono rimasta incinta”

“CHE COSA?”

Alle ultime parole di Katie, Sandy si alzò in piedi e squadrò la sua amica come non aveva mai fatto prima: di solito si limitava a sgranare gli occhi ed a spalancare la bocca in una grande O, ma non si era mai permessa di gridarle in faccia.

Per tutta risposta Katie non disse nulla.

“Ma-ma ti rendi conto di quello che hai fatto?riprese Sandy dopo un po’, le tempie che pulsavano pericolosamente.

“Certamente, Sandy, ma non penso che sia il caso di urlare! Dopotutto sono cose che succedono e…”

Lo so, ma… Capisci, Katie, che così la tua vita rimarrà segnata per sempre? Non potrai più goderti la giovinezza perché dovrai maturare in fretta, dovrai accudire un bambino da sola, senza un padre, dovrai trascurare la scuola! Cosa ne sarà di te? Diventerai una donna prima ancora di aver varcato la soglia della maturità. E non è piacevole. Per niente. Se avessi avuto più buonsenso a quest’ora non saresti qui, a casa mia, a sfogarti per un’azione che potevi benissimo evitare. E sai a cosa mi riferisco”

“Avevamo fretta…”

“Si vede, infatti! Ecco il risultato!”

“Non sai cosa significa, è meglio che ti stai zitta

“Certamente! Mentre tu te ne intendi, vero? A quanto vedo, non sei rimasta fregata!”

“Se fosse successo a te, ti saresti comportata allo stesso modo! A quest’ora staresti a casa mia a piangere sulla mia spalla, a lamentarti della tua situazione, della tua stupidità ed anche di quel cretino che ti ha messa incinta!”

Anche se Joe non è un cretino, specifichiamo!

“Se fosse successo a me…”

Le parole morirono in gola a Sandy, che consapevole della sconfitta, non sapeva più come rispondere all’amica.

Buttò stancamente le braccia lungo i fianchi e sospirò guardandosi la punta delle scarpe.

“Se fosse successo a me, a quest’ora mi sarei già suicidata

Per molto Katie rimase ad osservare la triste sagoma della sua amica, poi si alzò e le prese la mano guidata dalla compassione, anche se era lei quella che doveva essere compatita, non la sua amica.

“Non dirlo neanche per scherzo. Tutto si risolve, prima o poi, tranne che la morte. Vedrai che troverò una soluzione, e tu non dovrai più preoccuparti per me. Me la caverò da sola, Sandy, come ho sempre fatto. E smettila di piangere per una stupida come me!

Asciugò il candido viso dell’amica, i suoi occhi luminosi spenti dal pianto, le sue labbra contratte per non singhiozzare, e si sentì subito meglio: le era quasi impossibile che qualcuno tenesse così tanto a lei da piangere perché non poteva aiutarla.

Eppure persone del genere esistevano, ne aveva un esemplare davanti a lei.

“Senti…” strinse ancora più forte la mano di Sandy nella sua, fino a far diventare le sue nocche “…Oggi ho anche fatto troppo tardi, e tra non molto ritornerò a casa. Ma domani, non appena usciamo da scuola, ci incontriamo al nostro incrocio ed andiamo nella farmacia più vicina, compriamo un test di gravidanza istantaneo, veniamo a casa tua…E controlliamo se sono veramente incinta oppure è una mia impressione. Okay?”

“Okay”

Sandy si era ormai calmata del tutto, ma non lasciava la presa di Katie: era immersa nei suoi pensieri, più grandi e magnifici di lei.

“Cosa dirà tua madre non appena glielo dirai?”

“Ancora non ci ho pensato. Magari mi caccerà di casa, ma poco importa! Verrò ad abitare da te!”

“Col cavolo! Ti toccherà sotto un ponte, di questo passo!

“E tu lasceresti la tua migliore amica, oltretutto incinta, sotto un ponte?”

“La mia crudeltà non ha limiti, Katherine

“Soprattutto quando usi il mio nome per intero!”

Scoppiarono a ridere insieme, consapevoli che da quel momento in poi non ci sarebbero più stati molti momenti per divertirsi.

 

Ohilà, belle ragazze mie!! Non ho molto tempo perciò non risponderò alle recensioni, ma devo dirvi alcune cosette (come al solito XD) riguardanti la mia storiella…

Innanzitutto, la notizia più importante di tutte: il prossimo capitolo che scriverò sarà l’ultimo capitolo.

Ehi, ehi, non pensate male!XD Semplicemente sarà la fine di un ciclo, e successivamente continuerò con un altro ciclo, ben diverso da quello che avete appena letto, ma di certo non meno avvincente!

Solo una cosa vi chiedo di avere: pazienza.

So che purtroppo ve ne è servita parecchia in questi mesi in cui io ho prodotto la mia storia e non voglio assolutamente farvi attendere ancora molto, ma ho deciso di scrivere almeno tre capitoli e poi di pubblicarli tranquillamente ogni settimana. Così io mi rilasso e produco molto di più e voi non rimanete a bocca asciutta!XD

Come vi pare l’idea? Fatemi sapere, vi ringrazio!^^

Poi dovete anche sapere che con la fine di questa maledetta storia sveleremo il mistero della sorpresa di Michael, di quel maledetto ciondolo ed anche del suo strano comportamento che tanto ha fatto deprimere la povera Fiorellino XD

Non posso svelarvi nulla, poiché altrimenti vi rovinerei in pieno la sorpresa, perciò aspetto soltanto un vostro parere, e la speranza che voi continuiate a seguirmi anche dopo un periodo di assenza abbastanza lungo (siete già allenati, tanto!XD): sappiate che vi voglio un mondo di bene, non solo perché siete delle persone meravigliose e le vostre parole mi fanno sciogliere dall’emozione, ma soprattutto perché siete riusciti a comprendere il messaggio che Michael, attraverso di me, vi ha trasmesso.

E questo messaggio qual è, nostra maestra onnipotente?-.-“

Beh, chiedetelo a lui, io non centro nulla ù__ù

Ed ora (vi prometto che me ne vado immediatamente!xD) passiamo ai ringraziamenti: alla mia cara Romina per avermi trovato un bellissimo titolo per il capitolo (Eheh, i Fab aiutano sempre chi ha bisogno di ispirazione ^^) e per la sua incrollabile pazienza (Già, davvero moltissima! * annuisce *;

Alle mie care sorelline, Moma e Annina, che mi seguono anche verso l’infinito e oltre XD;

E per ultima, ma non per importanza, la mia maritina, Orsetta, per essersi ricordata di recensire un mio capitolo (XD) ma soprattutto per aver incrociato la mia strada… Ti voglio bene, Orsola, e non ci sono altre parole per dirtelo ^__^

 

            E con questo vi saluto! Al prossimo ed ultimo capitolo, gente!;)

                                       

                                                                                      Looney

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 14
*** You Must Be An Angel (E Non è Tutto...) ***


                                You Must Be An Angel

 

                                       (E non è tutto…)

 

“Sei sicura di volerglielo dire proprio ora?”

“E quando, sennò? Se continuo a rimandare, non glielo dirò più!

“Ma se ne accorgerà comunque, Katie! In fondo, la pancia deve pur crescerti tra qualche mese…

“Non parlarmi della pancia, altrimenti mi sento male! Come farò a scuola, in giro per la città, a casa mia

“In questo momento la pancia è il problema minore: si tratta solo di far conoscente tua madre della tua gravidanza! So che non la prenderà bene…”

“Si darà la colpa per la mia imprudenza, e cadrà nella depressione…

“Non dire così, tua madre non ne sarebbe capace!”

“Tenterà di suicidarsi, Sandy!”

“Ma chi te lo dice?”

“Lo dico io, cazzo! Tu non conosci mia madre: si dispererà inutilmente quando verrà a sapere che sono incinta, e non mi farà più uscir di casa per il resto dei miei giorni! Sai che è terribilmente protettiva, non si darà pace finché non avrà capito perché è successo quel che è successo

“E se invece la prende bene?”

“Non la prenderà bene, maledizione!”

“C’è sempre una possibilità, Katie! Ora tu ritorni a casa, e le dici chiaro e tondo che sei incinta!

“Non mettermi ansia, so perfettamente quello che devo fare!”

“Ed allora fallo

“Aspetta un secondo”

“Cosa c’è?”

“Come glielo dico?”

“Potresti prenderla da una parte, e cominciare immediatamente, senza tanti preamboli. Però, mi raccomando, guardala in faccia mentre le stai parlando: capirà che ti fidi di lei, e che non aspetti altro che ti dia qualche consiglio su come affrontare la tua situazione nel migliore dei modi. Dopotutto lei ci è passata prima di te, e saprà rassicurarti alla perfezione

“Okay. Però c’è un altro problema, Sandy…”

“E cioè?”

“Vorrà sapere… Insomma… Chi è stato…”

“E tu glielo dirai. Non c’è nulla di più semplice!”

“Sì, ma…”

“Fidati di me, Katie. Scommetto che non farà commenti poco ortodossi su Joe. Tua madre non è il tipo per queste cose”

“Lo so… Bene, allora vado…”

“Vai, con forza e coraggio!”

“Lo spero!”

 

Possibile che il 31 di ottobre facesse un caldo tremendo?

Okay, abito a Los Angeles, una delle città più assolate di tutto il mondo, ma mi pare abbastanza esagerato tenere le finestre aperte e gironzolare per casa a piedi nudi, sventolandomi con Rolling Stones e sorseggiando the freddo al limone.

Ah sì, stavo cominciando a sudare come un bufalo.

E tutto questo per colpa di Michael e della sua stupida sorpresa!

Ma quando cavolo si volevano presentare entrambi?

Ho ricontrollato trentasette volte la data sul calendario appeso in cucina e se ancora la vista mi regge segna il giorno venerdì 31 ottobre 1986, ovvero il giorno in cui la sorpresa di quel benedetto ragazzo dovrebbe presentarsi a casa mia.

È da mezzanotte che aspetto ma ancora non ho visto nulla!

Oh, che strazio!

Decisi di sedermi sul divano ed aspettare la sorpresa comodamente seduta: se disgraziatamente fossi svenuta per l’emozione la mia testa non si sarebbe sfracellata al suolo, bensì sui morbidi cuscini del divano.

Mi stavo appisolando quando sentii sbattere violentemente il portone d’ingresso, tanto che il divano vibrò sotto di me: non avevo dubbi su chi fosse appena entrato.

Mi sporsi un poco per osservare Katie che si toglieva il cappotto e lo appendeva nel vestibolo: dalla lentezza dei suoi gesti sembrava molto stanca, e decisi di non infastidirla ulteriormente con le mie chiacchiere insensate, anche perché se avessi osato avvicinarla in simili frangenti non sarei uscita viva od almeno con tutte le parti del corpo al loro posto.

Infatti mi stupì molto vedermela davanti agli occhi dopo qualche momento, le mani dietro la schiena e gli occhi bassi.

Il mio istinto materno non mentiva mai, e compresi che c’era qualcosa che non andava: non la vedevo così preoccupata da quando aveva cinque anni ed aveva paura di cadere dalla biciclettina senza ruote.

“Devo parlarti, mamma…”

Oh fantastico. Ora sì che mi sento meglio!

“Siediti accanto a me, tesoro, e dimmi tutto. Non aver paura”

“No, non fa niente, mamma! Rimango in piedi, non preoccuparti”

“Okay… Allora, cosa c’è?”

“Non è facile spiegarlo… Non so neanche da dove cominciare… Insomma…

Il nervosismo nella voce e nei gesti di Katie cominciò a rendere nervosa anche me: quando mai mia figlia era stata così ansiosa?

Bene, quasi mai in tutta la sua breve vita.

Deglutii e la rassicurai, dicendole di fare un bel respiro e di dire ciò che doveva dirmi nel modo più semplice ed immediato.

Dopo qualche minuto di tentativi le gambe di Katie smisero di tremare così come la sua voce.

Ne rimasi molto sollevata, anche se avvertii un presentimento che svolazzava felice attorno al mio naso, e di solito i miei presentimenti non si sbagliano mai, per la gioia dei diretti interessati.

“Allora…”

Quella parolina così piccola ed insignificante mi fece aggrappare alla fodera del divano, stringendola a tal punto che temevo di strapparla.

Ma in fondo succedevano cose peggiori!

“Il punto è che…”

Mi sporsi verso Katie, in preda all’angoscia dell’attesa, e sicuramente la mia faccia era mostruosamente deformata perché arricciò il naso ed arretrò di un passo.

“Sono incinta!”

Bene.

“Mamma?”

Okay, Fiordaliso.

“Mamma?”

Abbiamo proprio svoltato!

“Mamma, mi senti?”

E come faccio a sentirti se sono svenuta?

 

“Ma cosa diavolo hai combinato per ridurla così, Katie?”

“Niente, le ho solo detto una cosa”

“E di che cosa si tratta?”

“Beh… È una storia lunga”

“…Che tu mi dirai non appena tua madre si sarà ripresa!”

“Perché mai dovrei dirtelo, impiccione di un maggiordomo?”

“Perché è mio diritto saperlo, ragazzina!”

“Ma come ti permetti? Questa è violazione della privacy altrui!

“Ehi, voi due, smettetela! Si sta risvegliando! Ehi Fiorellino, mi senti? Tutto okay?”

Insomma, non che mi sentissi molto bene.

Dopotutto mia figlia di quattordici anni mi aveva appena detto che era incinta, o sbaglio?

Eppure al solo udire quella voce le mie membra si ammorbidirono ed i miei occhi lentamente si riaprirono alla luce: all’inizio riuscii a scorgere soltanto delle ombre sfocate dalla lampada del soggiorno e dalla mia indisposizione ma dopo un po’ mi riabituai al mondo dei non-svenuti e potei mettermi a sedere sul divano.

A fissarmi con aria confusa c’erano mia figlia, Fernando e Michael…

Ecco di chi era la voce che mi aveva risvegliato! E di chi, sennò?

Riuscirei a distinguerla anche in un nugolo di persone vocianti.

“Michael… Ma tu che ci fai qui?”

“Mi hanno chiamato Katie e Fernando, no? Volevano un supporto per farti rinvenire, perciò ho lasciato tutto il mio bel lavoro a metà e sono venuto da te” mi rispose, sorridendomi.

“Oh, ma perché l’hai fatto? Non ce n’era bisogno, Michael!”

“Per te questo ed altro”

Si sistemò accanto a me, circondandomi i fianchi con un braccio, e lì mi sentii svenire di nuovo, se non mi avesse sussurrato all’orecchio una frase che sviava tutte le sue potenziali azioni pericolose: mi fidavo di Michael, ma più passava il tempo e più mi accorgevo che il suo atteggiamento nei miei confronti stava cambiando, e non sapevo dire con esattezza se in meglio o in peggio.

Veniva spesso a trovarmi, ed era molto protettivo: delle volte trascurava il suo lavoro per stare con me, e tutto ciò mi rendeva abbastanza nervosa.

Chiedeva spesso di Katie, ed io gli rispondevo che era sempre impegnata con i suoi amici, con la scuola, con i suoi imprevedibili sbalzi d’umore, e lui ci rimaneva molto male: erano sempre stati buoi amici, ma un così tale attaccamento non l’avevo mai visto.

Cominciai a preoccuparmi per noi due: Michael era una persona misteriosa ed il suo comportamento era difficile da prevedere, ne aveva già dato prova molto tempo prima.

Tuttavia riuscivo a scorgere nei suoi occhi un bagliore di sincerità, anche se piuttosto timoroso: chissà cosa avesse in serbo per me.

Me lo chiedevo da più di un anno.

“Non preoccuparti, Katie mi ha raccontato tutto”

Sussultai sotto il suo candido tocco.

“Capisco quanto possa essere difficile, ma tieni duro. Saprai consigliarla a dovere, lei non aspetta altro

Al suono di quelle parole gli occhi scuri di Michael furono sostituiti da due pupille dorate molto famigliari: dove avevo già visto quegli occhi?

“Ha un grande compito da assolvere…”

Un momento…

“Proteggila…”

Ma non può essere…

“Stalle accanto…”

“Ma come facevi a sapere…”

Le mie labbra si bloccarono impedendomi di finire la frase, così come gli occhi erano fissi su Michael: era come se avessi trovato la soluzione ad un enigma infinito, sciogliendo i nodi che mi tenevano lontana dalla verità.

Finalmente ogni cosa combaciava al proprio posto: come cavolo non avevo fatto ad accorgermene prima?

“Ti senti bene, mamma?”

I mormorii di Katie mi riportarono a galla dai miei infallibili presentimenti, e dopo averla rassicurata sulla mia salute decisi che in quel modo non si poteva più continuare: o la verità o niente!

Perciò cacciai dal soggiorno sia mia figlia che Fernando, che se ne andarono via mogi come due cani bastonati: li avrei fatti rimanere se solo non avessero dovuto sentire ciò di cui dovevamo discutere io e Michael.

Per quanto volessi bene ad entrambi la situazione era troppo delicata: prima avrei preteso la verità, poi mi sarei occupata d’altro.

Quell’altro era Katie: mi sentivo una scatola di fagioli vuota dimenticata sul marciapiede per averla buttata fuori in quel modo, fregandomene completamente della sua condizione e del suo stato d’animo, ma i miei presentimenti, non sbagliando mai, pensavano che se prima avessi risolto un problema più grande, come quello di Michael, dopo sarei riuscita a dedicare più tempo a mia figlia.

Dopotutto la sorpresa era un problema, no?

A quanto pare anche dei ricconi come Michael non andavano molto d’accordo con i servizi postali.

A proposito di Michael, perché era così impaurito?

Di solito sfoggia quella irresistibile faccetta da schiaffi con la quale è impossibile insultarlo senza cadere nei sensi di colpa, ed invece ora devo sorbirmi questa nuova particolare espressione con la quale Michael non si divertirà più a regalarmi sorprese.

“Innanzitutto devo porti due basilari domande, Michael

Bene, si comincia!

“Okay, dimmi” rispose Michael visibilmente preoccupato.

“Prima basilare domanda: come facevi a sapere che mia figlia era incinta prima che lo venissi a sapere io? Te l’ha detto lei, per caso?”

“No, non mi ha detto nulla…”

“Centra qualcosa una certa indigena con un nome che ora non mi ricordo?”

Michael mi fissò interdetto, cercando di afferrare il concetto della mia affermazione.

“Stai parlando di Elizabeth?”

“Di chi?”

“Di Elizabeth. Occhi Che Vedono Nel Buio è il suo nome indiano, non lo usa molto spesso. Anzi, ora che ci penso, non lo usa mai! Come fai a conoscerla?”

“Come fai a conoscerla tu!

“È… Una mia vecchia amica”

“Quanto vecchia?”

“Ha più o meno la tua età. Ci frequentiamo da parecchio, ma non siamo mai andati oltre… Siamo solo buoni amici

“Lo immagino”

“Dove l’hai conosciuta?”

“Non importa! Ciò che mi ha sconvolto è quanto mi ha detto su Katie, praticamente le stesse cose che mi hai detto tu! Cioè, ci ha azzeccato!”

“Per forza, è una veggente”

“Davvero?”

“Sì. Sapeva di lei ancor prima che Katie conoscesse il padre di sua figlia

“Sua figlia?”

Indietreggiai terrorizzata e rischiai quasi di cadere per colpa del maledetto tavolinetto del soggiorno che si era appostato dietro di me, ma fortunatamente mi ci ritrovai seduta sopra, fissando Michael come se fosse stato un cervo a tre teste che stava bevendo Coca Cola con le orecchie.

Quel ragazzo mi è sempre apparso diverso dagli altri, ed ora avevo la prova che lo era: non sapevo cosa in realtà fosse, se non che non era umano.

A meno che non fosse anche lui un veggente, come aveva fatto a sapere che Katie aspettava una bambina?

Il sesso del neonato è uno dei problemi minori di una mamma: l’importante è che suo figlio sia sano e cresca bene, perciò, conoscendo Katie, pensai che non gliene interessasse nulla.

Inoltre prima di qualche mese non si nota neanche, e Katie presentava ancora la sua solita pancia da adolescente seria e magra.

Conosceva anche il padre della piccola!

No no, non può essere umano…

“T-tu come cavolo fai a… A sapere…”

“Calmati, Fiordaliso, non è successo niente…

“I-io sono calmissima, Michael… Vorrei solo capire in che guaio mi sono cacciata… E come mai tu sai di mio, anzi, di mia nipote…

“Ti spiegherò tutto, ma stai calma, per favore!”

Michael riuscì a bloccare le mie braccia che stavano per strozzarlo e con esse si bloccarono anche le mie labbra, non tanto perché stavo per ricevere la verità tanto agognata, quanto per la tranquillità interiore che mi trasmetteva il tocco di Michael.

Ancora un altro inspiegabile fenomeno che a distanza di anni non ho ancora compreso…

“Allora, Fiordaliso…So così tante cose sul conto di tua figlia perché…

“Perché?”

“Perché…Oh, così è troppo difficile da spiegare!”

“Ed allora spiegati diversamente!”

“Okay, allora… Hai presente la tua sorpresa?”

“Ho presente, purtroppo”

“Bene, allora devi sapere che…”

Michael trattenne il respiro per un tempo che mi sembrò infinito. O forse è la mia fervida immaginazione che mi fa allungare il tempo?

“La sorpresa che avresti dovuto ricevere oggi…

Stavolta ero io a trattenere il respiro: la situazione mi ricordava tanto quei concorsi alla TV nei quali il conduttore ti lascia addirittura il tempo di depilarti entrambi le gambe prima di designare il nome del vincitore.

Odio i concorsi televisivi.

“È tua nipote”

Bene, questa ci voleva proprio!

 

“Sei svenuta un’altra volta?”

“Oh figuriamoci, con tutto quello che mi è successo oggi è un miracolo che sia partita per poco tempo!”

“Scusami”

Per la seconda volta Michael mi aiutò ad alzarmi, stavolta dal pavimento, e mi fece accomodare sul povero divano, che in meno di mezz’ora ne aveva passate di tutti i colori.

Dopo che mi fui ripresa mi chiese se poteva continuare la sua spiegazione ed io, curiosa e senza alcuna preoccupazione sulla mia emotività vacillante, accettai.

Non mi preoccupavo di perdere i sensi se c’era Michael a soccorrermi.

“Innanzitutto devi sapere che io non sono un vero e proprio essere umano… Bensì un angelo

“Questo me l’ero immaginato”

“Perché ora non ti stupisci… E non svieni?” mi chiese Michael confuso dal mio tono di voce pacato.

“Per far contento te? Ormai non mi emoziono più per così poco, al mondo succedono cose peggiori. E poi me lo aspettavo: una persona meravigliosa come Michael Jackson non può certo venire da questo mondo

“Grazie per avermi fatto notare il fatto che io sia un extraterrestre” rispose ironicamente, facendomi ridacchiare soddisfatta.

“Anche se non sono un extraterreste: sono un angelo”

“Questo l’avevo capito. Ma cosa centra con la mia sorpresa?”

Michael sospirò e mi guardò stancamente.

“È una storia troppo complicata: non posso iniziare da metà racconto e poi terminare al suo inizio. Perciò ti farò conoscere la nostra storia, e poi arriverò alla tua sorpresa

“Okay, ma sbrigati, sono impaziente!”

Michael sospirò ancora.

“E va bene! Innanzitutto devi sapere che gli angeli si dividono in varie categorie, ma ce ne sono due estremamente importanti…

“Okay…”

“La prima è rappresentata dagli essere umani che morendo si trasformano in angeli custodi, (di solito proteggono le persone che più hanno amato nella loro vita terrena) ma naturalmente non sanno che, arrivati in Paradiso, diventeranno messaggeri del Signore.

La seconda categoria, cui appartengo io, contiene degli angeli molto particolari, che nascono con il potere di trasmettere messaggi al mondo ed all’umanità attraverso il loro talento divino: sono gli artisti. Pittori, musicisti, scrittori, cantanti, ballerini, disegnatori, e quant’altro sono i messaggeri del Signore per eccellenza: attraverso la loro arte il messaggio divino arriva diretto al cuore di ogni persona, e fa sì che si trasmetta più velocemente, da individuo a individuo.

“Sospettavo anche questo”

“Mi fa piacere, vuol dire che hai recepito il messaggio!”

“Certamente! Ma la mia sorpresa?”

E qui Michael sospirò per la terza volta.

“Ci sto arrivando!”

“Okay”

“Bene! Dicevo, noi artisti siamo consapevoli sin da subito dell’influenza divina in noi, e questo non può far altro che accentuare le nostre capacità.

Naturalmente abbiamo caratteristiche diverse dai nostri colleghi terrestri: possiamo calmare gli animi affannati semplicemente stando accanto ai diretti interessati. L’effetto, di solito, è immediato.

Poi, ogniqualvolta ci troviamo in pubblico, ogni attenzione è concentrata su di noi, e non possiamo assolutamente evitarlo: purtroppo ne so qualcosa…

“Già!”

“E, cosa più importante, possiamo proteggere un umano mentre siamo ancora in vita.

Ma non siamo noi a sceglierlo”

“Perché?”

“Siamo angeli particolari, e non possiamo privilegiare una persona, ben sapendo che ce ne sono altre che hanno più bisogno del nostro aiuto. Perciò ci accontentiamo di quello che ci viene dato

“Ma non è giusto! Magari vi capita un cretino che odia la vostra arte, e voi ve lo dovete portare appresso finché non muore!

“Col tempo si diventa amici, tranquilla. Esistono problemi peggiori”

“Anche questo è vero. Ma la mia sorpresa?”

Michael non ne poteva più di sospirarmi in faccia, perciò si limitò a guardarmi esausto.

“Ora ci arrivo. Stavo parlando dei nostri protetti, che quasi sempre sono semplici esseri umani. Dico quasi sempre perché può capitare che ci vengano dati angeli custodi come noi.

È un fenomeno rarissimo, che si ripete ogni secolo: in questi cento anni a quattro angeli custodi molto influenti viene affidato un bambino, che può nascere in qualsiasi anno ed in qualsiasi luogo, ma solo il suo protettore può sapere ciò.

Prima della loro nascita noi incontriamo i loro parenti, ai quali diamo tutte le informazioni necessarie per crescere e tenere al sicuro il piccolo prima che venga affidato a noi. Lì diventiamo amici dei bambini, facendogli conoscere la loro vera natura, e non ci separeremo finché loro moriranno. In certi casi siamo noi a morire, ma non lasciamo mai solo il nostro protetto: il rapporto che ci lega è così forte che neanche la morte può spezzarlo

“Perciò tu vuoi dire che…”

“Sì, la bambina che sta aspettando Katie è la mia protetta. Ed è un angelo custode… Come me”

“Forte!” dissi dopo parecchi minuti di silenzio.

Veramente non sapevo cos’altro dire: la notizia era sconvolgente.

Troppo sconvolgente.

“Sorpresa?”

“Molto. Però mi aspettavo di peggio”

“Davvero?” ridacchiò Michael.

“Sì. Pensavo che fossi un extraterrestre, e che volessi regalarmi una nipote extraterrestre. Ma fortunatamente non è andata così.

Mia nipote è un angelo”

Sorrisi a quel maledetto ragazzo che mi aveva cambiato la vita in meno di dieci minuti, con una piccola frase.

Ne avrei viste di peggiori, ora che mi toccava allevare una creatura molto particolare e delicata, ma sapevo che con il suo aiuto sarei riuscita in qualunque impresa.

Ma c’era ancora qualcosa che volevo sapere.

“Ed il ciondolo?”

“Cosa?”

“Il ciondolo a forma di coroncina che mi avevi regalato… È per lei, vero?”

“Sì. Le servirà per farsi riconoscere dai suoi tre simili, e dovrai donarglielo tu, visto che sei la prima alla quale il suo protettore ha parlato

“Ho capito. Perciò ora lo dirai anche a Katie?”

“Ed anche a Fernando”

“Quel capoccione non ti crederà mai!”

“Dovrà, per forza. Anche lui fa parte della tua famiglia”

“Già. Allora… Glielo diciamo subito?”

“Come vuoi”

“Okay, vado a chiamarli!”

Mi alzai velocemente dal divano e corsi verso la porta, ansiosa di raccontare alla mia famiglia ciò che avevo scoperto: certamente ci sarebbero rimasti di stucco come me, ma mi sentivo in dovere di farlo.

Michael si fidava di me, non potevo deluderlo.

Mi resi conto solo allora della luce misteriosa che aleggiava per tutta la nostra casa: la dolce luce di un angelo in arrivo.

 

Come avevo previsto, al ricevimento della notiziona, Katie si immobilizzò come un palo del telefono e non si mosse fin quando Michael non la rassicurò dolcemente, e Fernando cominciò ad urlare insulti e scongiuri all’indirizzo mio e di Michael, tantoché dovemmo inondarlo di camomilla e carezze.

Tutto sommato, però, mi aspettavo una reazione peggiore da entrambi: dopo lo sconvolgimento iniziale si ammorbidirono e promisero di mantenere il segreto fin quando la piccola nel grembo di mia figlia non fosse stata abbastanza autosufficiente e matura da cavarsela da sola nel temibile mondo in cui sarebbe nata.

Nel frattempo noi quattro l’avremmo educata e protetta, a partire dalla madre, che sarebbe stata la sua prima amica.

Negli otto mesi che seguirono quel meraviglioso Halloween la gravidanza di Katie procedette a meraviglia, con qualche disturbo tipico del periodo e continui sbalzi di umore della diretta interessata, che tuttavia non si preoccupava minimamente della sua condizione, come invece molte ragazze della sua età facevano: ciò mi rese decisamente più tranquilla, e meno apprensiva, anche se l’ansia di diventare nonna così giovane (avevo pur sempre trentacinque anni!) non diminuiva col passare del tempo.

Fernando e Michael, gli uomini della situazione, furono molto interessati a ciò che succedeva a mia figlia, visto che le volevano entrambi molto bene, ma poterono stare poco tempo con lei: Fernando doveva tener pulita la casa e sbrigare tutte le sue mansioni da brava governante, mentre Michael era impegnato a perseguire la sua brillante carriera, rimanendo ore e ore rinchiuso negli studi di registrazione assieme ai suoi fidati collaboratori.

Il panico si scatenò il giorno del parto: era un caldo giorno estivo, e Katie aveva da poco finito la scuola quando avvertì degli strani dolori provenire dal suo pancione, che durarono per molte ore, diventando via via più intensi, e costringendola a sdraiarsi sul divano.

Io e Fernando la spingevamo a correre in ospedale ma lei, che odiava qualsiasi medico e qualsiasi nosocomio esistente sulla faccia della Terra, preferiva sopportare i dolori del travaglio nella sua accogliente casetta; anzi, si era ripromessa che sua figlia sarebbe nata nel soggiorno di casa sua.

Le sue previsioni si avverarono, il giorno 18 giugno 1987, alle prime luci del mattino, dopo una notte intera passata nel dolore e nell’ansia.

Dopo qualche ora di tentativi, mia nipote venne alla luce, infagottata nel liquido amniotico e nel sangue, ma bellissima, così bella che mi era impossibile smettere di guardarla.

Michael mi aveva avvertito riguardo ciò: loro angeli sono attraenti, anzi, magnetici, ma naturalmente innocui.

Mi aveva anche detto che, nonostante il piccolo angelo custode somigli molto ai suoi genitori, sia fisicamente che caratterialmente, chiunque lo conoscerà non potrà far a meno di dire che gli ricorda moltissimo una persona: nel caso di mia nipote, perciò, Michael Jackson.

Ebbi la conferma di questa bizzarra affermazione lavandola ed asciugandola con cura nel lavandino del bagno: il colore della sua pelle era leggermente più scuro di quello di Katie, gli occhi scuri come i miei, ma molto più grandi, dotati di ciglia lunghe e ricurve, strane per una neonata, ed i capelli neri le avvolgevano la testolina in un nugolo di riccioli incredibile.

In effetti, seppur fosse appena nata, mi ricordava terribilmente sia Katie che Michael.

Aveva qualcosa anche del padre, ma non sapevo distinguere cosa: forse non aveva preso molto da lui, dopotutto i caratteri dominanti appartenevano alla madre, ma aveva qualcosa di lui.

Mi sembrava impossibile, ma stavo ammirando una meraviglia della natura, e non lo dicevo solo perché la bimba in questione era mia nipote, poiché chiunque si sarebbe accorto della sua particolarità: la piccola era così bella da non sembrare addirittura umana.

Anche sua madre si stupì, la prima volta che la prese in braccio: nonostante gli avvertimenti di Michael il risultato era assolutamente inimmaginabile, poiché nel suo dolce visino ci vedeva tre persone completamente diverse.

Fu sua l’idea di donare un nome speciale a quella creatura traboccante di magia, e tutti, compreso quello scettico di Fernando, furono d’accordo.

Aspettammo il ritorno di Michael dai suoi impegni, che negli ultimi tempi si erano infittiti, e ci sedemmo con calma sul famoso divano del soggiorno: i primi a parlare furono io e Michael, poiché Katie voleva che il primo nome di sua figlia fosse scelto dal suo padrino e da sua nonna, dopodiché sarebbe arrivato il suo, e poi quello di Fernando.

Sia io che Michael eravamo molto indecisi sull’argomento: in fondo non era una cosetta da poco!

Dopo vari ripensamenti, però, arrivammo alla soluzione: Michael era il nome giusto per la bambina, e l’avrebbe portata fiera come una medaglia.

Dapprima Katie e Fernando ci fissarono torvi, poiché erano dell’opinione che Michael fosse un nome maschile, poco adatto allo splendore che riposava tranquillo tra le braccia della mamma e su cui erano puntati i miei occhi da molto.

Giustificai la nostra scelta dicendo che conoscevo molte ragazze che si chiamavano Michael, e che nessuna si era mai lamentata.

In realtà non conoscevo nessuno, ma sempre meglio fare un po’ di scena per far valere le proprie idee.

Fatto sta che i due testardi accettarono la mia richiesta, e Katie si accinse a rivelare il secondo nome per la figlia.

L’aveva deciso da parecchio, perciò non dovette pensarci su: fu così che a Michael si aggiunse Diana, sotto l’appoggio di tutti.

Rimaneva Fernando, che in quanto a nomi aveva gusti molto discutibili: sin dalla nascita della sua famiglia i bambini si erano dovuti sorbire i nomi dei propri nonni, ed in un’epoca del tutto superata per questa tipologia di rituale, lui si presentò con Maria Teresa, la sua dolce nonnina andata ormai da anni.

Naturalmente nessuno si trovò d’accordo con lui: a Katie non piaceva, io lo ritenevo troppo antiquato e Michael disse che era troppo lungo.

Continuammo così fin quando Fernando propose il nome della sua bis-bis nonna, Josefina, una tipa tosta, nonché ottima cuoca.

Aspettò il nostro responso con un grande sorrisone stampato in faccia, fin quando Michael alzò il suo viso pensieroso dalla contemplazione del pavimento e disse:

“Mi piace”

Io non sapevo cosa dire, poiché Josefina mi ricordava terribilmente Joseph… Ma pensandoci bene, il padre della bambina si chiamava Joseph, perciò non c’era rischio di viscidi fraintendimenti.

Piacque anche a mia figlia, ribadendo che un omaggio a Joseph Johnson era d’obbligo, anche se non sapeva ancora come avrebbe spiegato a sua figlia dove cavolo si era cacciato suo padre.

Ma questo, per lei, era uno dei problemi minori, come la giovinezza storpiata: infatti, se qualche mese prima si era disperata per la sua gravidanza, sbattendo la testa addosso al muro fino a far vibrare le tegole del tetto, ripetendosi ad alta voce insulti e piangendo come un’isterica, ora era la ragazza più felice del mondo.

Perché, nonostante dovesse badare da sola ad una bambina, senza un padre né la maturità di un adulto, pensava che tutto sarebbe andato per il meglio, senza intoppi.

Mia figlia sognava, e non era l’unica: anche io mi lasciavo andare alla convinzione che nulla avrebbe intaccato la nostra felicità.

In fondo, bastava crederci.

Nulla è reale, tutto è possibile.

Al termine della nostra riunione Michael se ne ritornò nella sua accogliente casetta di Encino, salutando la sua omonima baciandola dolcemente sulla fronte, e lei, avvertendo il tocco del suo padrino, si sbracciò per ringraziarlo, parlandogli in una lingua sconosciuta a noi esseri umani.

Compresi, quindi, che mia nipote non solo era bellissima ma anche intelligentissima, forse più intelligente di un bambino di due anni, lei, che aveva neanche due giorni.

A molti avrebbe spaventato tenere un angioletto in casa, oltretutto se si trattava di un angelo speciale come la piccola Michael: gli angeli sono così sensibili che si ha sempre paura di parlargli o di toccarli, facendo sì che loro si scostino da noi e ritornino nel loro mondo incantato, popolato da esseri simili a loro, in cui la realtà viene del tutto cancellata.

Le esperienze passate mi avevano aiutata ad affrontare la realtà, non a fuggirla, seppur con fatica: sono sempre stata una sognatrice, e mi era difficile dimenticare il passato per pensare meglio al presente.

L’avventura che stavo cominciando con mia nipote, però, rappresentava una brillante scusa per rianimare la non-realtà, tutto ciò che supera i limiti convenzionali della ragione, e certe volte anche della fantasia.

L’unico modo per proteggerla era viaggiare sulle vette dell’immaginazione.

E sicuramente né io né lei mancavamo di immaginazione.

Sì, sarà una meravigliosa avventura.

 

 

                                   The End        

 

 

 

Buonasera a tutti, gentili signori.

Chi vi parla è la vostra amata Looney, ovvero l’autrice di questa pregevole opera ù___ù

Ebbene, siamo arrivati alla fine, e ciò mi dispiace parecchio (spero che dispiaccia anche a voi!XD)

Comunque ora non voglio dilungarmi tanto, poiché sicuramente siete stanchi di sorbirvi i miei capitoli chilometrici, e le mie innumerevoli “cosette”: vi dirò soltanto qualcosina riguardo la seconda parte della storia, e poi passerò ai ringraziamenti.

Innanzitutto la seconda parte di Will You Be There arriverà verso la fine dell’estate, poiché voglio prima scrivere un considerevole numero di capitoli prima di pubblicarla, così non mi ammazzerò come ho fatto quest’anno… Non ne parliamo .___.

Poi non sarà più raccontata da Fiordaliso, bensì dalla sua nipotina Michael, che io chiamo Mike per comodità, ma voi potete chiamarla come vi pare XD state tranquilli, perché Fiorellino non se ne andrà! Le piace essere al centro dell’attenzione, in qualsiasi momento, e la dovrete sopportare ancora per molto XD

Poi, poi… E poi cosa c’è da dire? °__°

Aaaaaah, ecco….!*___*

Ehi, ma perché devo dirvelo? <___<

Se lo faccio, vi rovinerete tutta la sorpresa, ed è l’ultima cosa che voglio fare!ù__ù

Perciò, passiamo subito ai ringraziamenti, così tolgo immediatamente il disturbo, ed inizio a scrivere la seconda parte!*__*

Vorrei ringraziare, prima di tutti:

·        Le persone meravigliose che in questo anno mi sono state vicine, e mi hanno aiutato, anche semplicemente con la loro presenza, ad alleviare la fatica e la stanchezza del duro mestiere di scrittore. Ma anche del duro mestiere di ragazza di sedici anni;

·        Tutto ciò che mi circonda, a partire da tutto ciò che non è come sembra, e da tutto ciò che è ma non esiste, ovvero la non-realtà;

·        La mia inafferrabile cultura, ed il mio egocentrismo senza pari (appunto ù__ù);

 

E per ultimo, ma non meno importante, Michael Jackson: perché senza di lui questa storia non sarebbe mai esistita.

Ti ringrazio dal profondo dell’anima, Michael, angelo custode di tutti coloro che ti hanno amato e continueranno a farlo per sempre, come me.

Ti voglio bene, ricordati di me passeggiando tra le nuvole con i tuoi simili.

 

 

E dopo questa, passo e chiudo!

A presto

                                                                                  **Looney**

 

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