C.O.T.I. - Cross Over The Immagination di HHS_892 (/viewuser.php?uid=93209)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Illusa e Disillusa ***
Capitolo 2: *** Ammissioni e negazioni ***
Capitolo 3: *** Spiegazioni ***
Capitolo 4: *** Cacciatrici ***
Capitolo 5: *** Devi farlo ***
Capitolo 6: *** Meno tre giorni da domani ***
Capitolo 7: *** Onnipotenza ***
Capitolo 8: *** Passaparola ***
Capitolo 1 *** Illusa e Disillusa ***
Capitolo
primo – Illusa e disillusa
Nella
penombra della mia camera iniziai a scarabocchiare sul quaderno
frasi senza senso sperando che prima o poi arrivasse la tanto attesa
ispirazione. Mi stavo illudendo, il mio blocco era più forte
di quanto temessi.
Avevo
finito gli esami da un paio di settimane, ma pur essendo libera mi
sentii più vuota di prima, come se non potessi fare a meno
di alzarmi presto la
mattina e avere
qualcosa da fare, magari imposto
da qualcuno pronto a decidere del
mio futuro. Io
l’ho sempre pensato, la scuola rovina la gioventù.
Il mio
sogno era fare la scrittrice: fin da piccola passavo le mie
giornate a inventare storie assurde sperando che un giorno le avrei
scritte e
pubblicate, ero addirittura convinta
che una volta
cresciuta la mia fantasia sarebbe rimasta tale. Ahi, ahi, beata
innocenza. In
quel momento fui costretta a dover chiudere il mio sogno nel cassetto e
iniziare a cercare un’università dove avrei preso
una buona laurea per
diventare un avvocato o buttarmi in qualche ufficio a fare la precaria
perditempo.
Sì,
mi arresi senza opporre resistenza.
«Buon
giorno.» quello stesso pomeriggio mi recai allo sportello
universitario.
Dovetti
prendere l’autobus per raggiungerlo visto che quello del mio
piccolo e disperso paese era fuori uso da quasi un anno.
«Salve,
lei è?» una signora visibilmente robusta e sulla
cinquantina mi
guardò con aria di sfida portando gli occhiali sulla punta
del naso in attesa
di una mia risposta.
«Agata,
Agata Condorelli.» risposi io stranita.
«Bene
signorina “Agata Condorelli”, lei lo sa che le
iscrizioni per le
università ormai si fanno su internet, vero?».
Ero
davvero sbigottita nel vedere come quella sconosciuta fosse tanto
incazzata con me (perché non si può dire che
fosse semplicemente “arrabbiata”).
La fissai per un attimo, poi risposi prima che mi potesse avvelenare
aprendo
bocca.
«Si,
certo… ero venuta solo –
«Oh,
Cristo, arrivi al dunque!» esclamò interrompendomi.
Chiusi
gli occhi e portai la mano destra alla fronte massaggiando con il
pollice e l’indice l’estremità superiore
del naso cercando di calmare i miei
istinti omicidi, poi riaprii gli occhi.
«Senta
signora…» mi avvicinai allo sportello
«non ho idea di cosa lei
abbia nei miei confronti, ma le chiedo cortesemente di fare il suo
lavoro e di
darmi queste cazzo di informazioni su queste cazzo di
università. Chiaro?» dissi
abbassando la tonalità della mia voce.
La
signora accennò un sorriso, non uno intimidatorio, era un
misto di
presa per il culo e di allegria, questo mi fece innervosire
ulteriormente.
«Sono
“signorina”, prego.» mi diede un malloppo
di fogli, per poi alzarsi
e scoppiare a ridere.
«Grazie.»
furiosa mi allontanai, pensai che la “signorina”
prima di
andare a lavorare avesse sniffato probabilmente qualche bella dose di
cocaina.
«E meno male che è signorina.» borbottai.
Quando
arrivai alla fermata dell’autobus mi sedetti su una panchina
e
iniziai a sfogliare il malloppo…
qualcosa evidentemente non andava.
«FOGLI
BIANCHI?!» mi alzai dalla panchina con un diavolo per capello.
Quando questi mi
caddero dalle mani mi accorsi che erano
semplicemente girati.
Dopo
averli raccolti mi risedetti mantenendo la calma. Mi sentii
esaurita, pensai che il mio “self control” fosse
andato a farsi friggere, risi
rendendomi conto di quanto ero ridicola.
In mezzo
al malloppo c’era una busta grande quanto un foglio A4, lo
aprii.
Ciò
che la busta conteneva era una sorta di modulo di iscrizione per una
fantomatica accademia di scrittura. Il contenuto era totalmente scritto
in
inglese e, per quanto me la cavassi, in alcuni punti non era chiaro
cosa
volesse dire.
Pensai
fosse una presa per il culo, ma in effetti era un documento
talmente ben fatto che non poteva essere uno scherzo (e poi a quella
chi la
conosceva…).
Le
domande del modulo erano al quanto bizzarre, alcune addirittura
interessanti, le lessi una
volta tornata
nella mia umile dimora ed iniziai a rispondere un po’ per
gioco, un po’ per curiosità.
Le domande erano tipo:
“How
did you find this form?”
E le mie
risposte erano tipo:
“Because
of a bitch.”
Inutile
tradurre.
Finito
il modulo decisi che era ora di fare un po’ di zapping, non
avevo
sonno quindi provai a cercare in televisione qualcosa di interessante,
ma al solito
non c’era niente di che.
Furono i
“dolci” rimproveri di mia madre a svegliarmi
l’indomani mattina,
tutto questo per non aver preso informazioni sui test di ammissione per
l’università. Mi ordinò che il prossimo
venerdì mattina ci sarei dovuta andare
insieme a lei nonostante avessi insistito che bastava semplicemente
fare tutto
su internet.
Proprio
quel pomeriggio mi resi conto che quello strano modulo era
sparito. Non era importante, però durante la notte avevo
pensato a nuove
risposte altrettanto idiote da scriverci sopra.
«Pazienza.»
mi dissi.
Da quel
momento in poi, però, il mio pensiero era andato a finire su
quel
modulo… chissà, magari era davvero
un’accademia di scrittura. Sarebbe stato
bello andare in America o in qualche altro luogo all’infuori
di questo per
studiare come si deve e iniziare una vera carriera da
scrittrice… o magari mi
stavo semplicemente illudendo.
«Cazzo quanto sono
stupida…» in
quel periodo facevo abuso di parole poco fini per esprimere le mie
emozioni,
portai le mani sul volto e stetti sdraiata sul letto per quasi un
quarto d’ora.
***
A
Day_Dreamer: ti ringrazio per
avermi avvertito degli orrori grammaticali e per aver aggiunto questa
storia
tra quelle seguite!
|
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Capitolo 2 *** Ammissioni e negazioni ***
Capitolo 2
– Ammissioni e negazioni
«Oh,
così tu sei una delle nuove matricole!».
Una
donna dai capelli rossi si avvicinò a me con
cordialità, vederla così
allegra e pimpante mi fece arretrare di qualche passo.
«Sì…
sì, esatto.» risposi imbarazzata.
«Benvenuta,
io sono Willow Rosenberg.»
«Piacere,
il mio nome è Agata… Condorelli.» mi
vergognai del mio cognome
che in confronto al suo era cacca, inoltre non ero abituata a parlare l’inglese e solo
il fatto di essere in un luogo molto
lontano da casa mi rendeva irrequieta.
«Vieni,
ti accompagno al dormitorio. Hai bisogno di aiuto con i
bagagli?»
stranamente riuscii a comprendere ciò che disse come se
stesse parlando in
italiano.
«No,
grazie, ce la faccio.» risposi cordialmente.
La
sconosciuta aveva un non so che di familiare, come se la conoscessi da
sempre.
Durante
tutto il tragitto la fissai stranita, ma il mio pensiero primario
era ancora quello del “come sono arrivata qua?”.
Qualche mese
prima, quando riferii
del modulo ai miei genitori, questi la presero a ridere.
«Ma
dai, la signora-
«”Signorina”.»
«La
“signorina” ti avrà dato il modulo
sbagliato. Invece di aprirla avresti dovuto riportarla subito
indietro.»
«Non
ci avevo pensato...»
«E poi
se era scritto in inglese
chissà dove si trovava questa accademia. Lascia stare, non
abbiamo abbastanza
denaro per mandarti all’estero.».
Ci rimasi male
nonostante sapessi che
quel modulo ormai era andato perso.
Dopo le
persuasioni da parte dei miei
genitori dimenticai questo fatto e iniziai gli esami per entrare nella
facoltà
di legge, di lettere e filosofia.
Qualche giorno
prima di saper i
risultati degli esami ricevetti una lettera di ammissione in inglese da
parte
della “fantomatica accademia di scrittura”. Quando
tradussi il contenuto ad
alta voce ai miei genitori, il loro cinismo mutò in
entusiasmo, insistendo che
era il luogo più adatto a me e che i soldi non erano un
problema.
Stavolta provai
io a persuaderli, ma
quando posai la lettera sul tavolo, questa scivolò a terra
facendo svolazzare
un foglietto poco più in là. Mi avvicinai e lo
colsi… era un assegno! Era un
assegno con un enorme quantità di denaro perfetto per
mantenermi all’estero per
almeno tre anni.
«Siamo
arrivate.» Willow mi portò di fronte ad una porta
in legno
massiccio. In alto c’era una piccola insegna con scritto
“D3-4K” al posto del
numero della camera.
«Che
significa?»
«Quello?
“Dormitorio tre, quarto piano, camera K”, serve per
distinguere
le camere dagli altri dormitori.»
Ero
talmente persa nei miei pensieri che non mi resi conto dove mi aveva
portato.
Per un attimo ci scambiammo uno sguardo in silenzio, a giudicare dal
suo sembrava
aver capito che ero in difficoltà.
«Dai
vieni, ti faccio fare un giro per l’accademia.»
Posai la
valigia e la seguii.
Una volta scese al piano
terra mi bloccai vedendo
alcuni tizi vestiti in modo molto strano, avevo
già il dubbio se questa era un vera
accademia di scrittura o meno, ma feci finta di niente.
Man mano che andavamo
avanti un pensiero buffo mi
passò per la mente: possibile che mi trovavo in una specie
di Hogwarts? No, non
può essere. A parte il fatto che Harry Potter non
è mai stato un mio interesse e
poi questi tizi, compresa Willow, non avevano la faccia da scuola di
magia, o
almeno mi sembravano troppo grandi per esserlo.
A dividere i dormitori da
quell’edificio che doveva
essere un’accademia, c’era un enorme spiazzale con
tanto di panchine e di spazi
verdi, dove alcuni gruppi di ragazzi di età differente,
seppur fosse sera, si
stavano riunendo. Avevano quasi tutti facce da bravi ragazzi, non
sembravano
proprio essere tipi che mi ero abituata a vedere in Italia, anzi,
avevano
addirittura un abbigliamento orientale o molto, e quando dico molto
intendo sul
serio, bizzarro.
Ciò che mi fece
capire che questo non era un luogo
normale fu un ragazzo di un gruppetto poco distante da me che con un
movimento
veloce di mani creò una sfera d’aria dove si
sedette iniziando a percorrere
tutto il parco ad una velocità impressionante ridendo di
cuore. Mi bloccai.
«Ok, ora si che
sono a Hogwarts.» borbottai mentre
Willow imbarazzata mi trascinò via iniziando a farfugliare
frasi come se
volesse distogliermi da ciò che avevo visto.
Dopo aver corso per almeno
una decina di minuti la
donna mi portò in un’enorme biblioteca dove un
uomo composto e dall’aspetto
elegante leggeva un libro sorseggiando del caffè, quando si
accorse di noi due
sembrò stupito.
«Willow, che ci
fai qui?»
«Ero
passata…» mi indicò con lo sguardo come
se avesse
combinato un guaio.
L’uomo si
alzò subito, schiarì la voce e mi diede da
parlare con gentilezza.
«Benvenuta…
tu sei una nuova matricola, giusto?»
«Esatto…»
risposi ancora sotto shock.
L’uomo
cercò di distrarmi facendomi visitare la
biblioteca, iniziò a dire che se avessi avuto dubbi o
problemi bastava
semplicemente andare da lui per trovare una soluzione.
Non stesi molto a sentirlo,
più che altro avevo
intenzione di iniziare a fare domande a raffica su
cos’è esattamente questo
posto, ma interromperlo mi sembrò un gesto da maleducati,
quindi mi limitai ad
aspettare che avesse finito di parlare.
«Questo non
è un luogo normale, vero?» arrivai subito
al dunque.
«Ma certo che lo
è! Cos-Cosa ti fa pensare il
contrario?» rispose Willow nel panico.
Rupert, così
aveva detto fosse il suo nome, bloccò
la donna e mi rispose con sincerità.
«No, questo non
è un luogo da considerare
“normale”.».
Era la risposta che volevo.
«Ah?» ma anche quella che
non mi aspettavo.
Avrei voluto dire:
“E io che ci faccio qui? Le sembro
il tipo con poteri magici? Cosa sono, Harry Potter al femminile? Sono
una maga?
E voi? Ahahahahah!!” e avrei iniziato a delirare urlando come
un’indemoniata
con la schiuma alla bocca. Mi limitai a dire «Ah?
Ah.».
***
Ho
finito di
correggere anche questo capitolo (YEEEH!), spero che vi sia piaciuto.
È
un po’
lento come inizio, ma visto che questa storia è nata dal
nulla sto iniziando a
costruirla pian piano ad ogni capitolo.
Se
avete
dubbi, domande, suggerimenti o correzioni sono disposta a prenderli in
considerazione!
A
proposito,
il personaggio ritratto nell’immagine sopra è
Agata, per adesso ho potuto
utilizzare solo quei due bozzetti, ma al più presto
disegnerò le scene e alcuni
personaggi da mettere all’inizio o alla fine di ogni
capitolo.
Ci
vediamo al
terzo!
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Capitolo 3 *** Spiegazioni ***
Capitolo 3
– Spiegazioni
Rimasi quasi tutta la sera
in biblioteca, non avevo il
coraggio di uscire da quell’enorme sala nonostante mi fossi
ripresa un po’
dalla sconcertante notizia.
“Questo non
è un luogo da considerare normale”
non era una risposta tanto scioccante, fu ciò che venne dopo
a lasciarmi di
stucco.
«…
diciamo che questo è un luogo dove i personaggi che
per te possono sembrare di “fantasia” vengono per
chiedere asilo.» continuò
Willow.
«Non
capisco.» feci notare.
Vidi Rupert Giles
pensieroso, probabilmente stava
cercando le parole giuste per spiegarmi la situazione, ma proprio
quando stava
per aprir bocca, una bionda dall’aria furibonda
entrò con passo spedito.
«Quel
maledetto!» borbottò sotto il nostro sguardo
interrogativo.
«Che è
successo?» domandò Willow preoccupata.
«Uno di quei
bastardi mi è scappato. È saltato oltre
il muro e si è diretto verso il bosco.»
andò verso la macchinetta del caffè
posta accanto al bancone.
In effetti, poco prima di
entrare in biblioteca, avevo
notato che tutta la zona dei dormitori e dell’edificio
principale fosse
circondata da una cinta di mura molto alta, ma non riuscivo a capire di
cosa
stessero parlando quelle due.
«Comunque adesso
non dovrebbero essercene altri.»
concluse sorseggiando un bicchiere di caffè.
Appena finì di
bere un terzo sorso alzò lo sguardo
verso di me, mi fissò allibita per qualche istante come se
fossi un’aliena «e
lei? È una delle nostre?».
«Non
esattamente.»
Mi parve come se stessero
parlando in codice o in
qualche lingua sconosciuta, rimasi in silenzio fino a quando la bionda
non si
presentò.
«Tu allora sei
una delle matricole di scrittura, vero?
Sono Buffy Summers.» allungò la mano verso di me.
«Io sono Agata
Condorelli.» ricambiai il gesto.
«Di che stavate
parlando?» domandò ai presenti mentre
riprese a sorseggiare il caffè.
«Di cosa
realmente è questo edificio.» mi feci avanti visto
che il
bibliotecario e la rossa cercavano di cambiare argomento.
La bionda capì a
cosa mi riferivo, quindi assunse un
atteggiamento sicuro «Alla fine ne verresti comunque a
conoscenza.» poi
aggiunse «cosa vuoi sapere?».
«Perché
sono qui.» risposi io.
«Per questo
dovresti parlare con il direttore.».
«E dove lo posso
trovare?».
«Giacché
sono le nove e mezzo lo puoi trovare in
ufficio… ma dubito che voglia vederti, a quest’ora
sarà impegnato con
scartoffie varie.» fece spallucce, poi riprese a parlare.
«Comunque se hai
altre domande puoi sempre chiedere a me.»
Ci pensai un attimo, visto
che c’ero potevo finalmente
sapere dov’ero finita.
«Allora…
cos’è questo posto?»
In un caldo
pomeriggio di settembre io e la mia famiglia ci recammo in
aeroporto, era la prima volta che qualcuno della famiglia si
allontanasse così
a lungo da casa, quindi per l’occasione mi vennero a salutare
anche le mie
nonne e le mie sorelle maggiori, Maria e Barbara, con i rispettivi
consorti.
Quello che doveva rivelarsi un saluto veloce divenne una tragedia
greca; pochi
minuti prima di partire erano iniziati i pianti e gli abbracci
interminabili
che odiavo tanto. All’inizio mi commossi anch’io,
poi, però iniziai ad avere i
nervi a fior di pelle.
«Si…
va bene… ho capito…» cercai di
scrollarmi di
dosso più parenti che potevo, salutai i miei genitori e
corsi a fare il
check-in prima che potessero riattaccarsi come polipi per non lasciarmi
partire.
L’aereo
era piccolissimo, uno di quello a sei posti,
ma comunque confortevole. Era adatto ai viaggi lunghi fino
all’America, dotato
di sedili/letto e un ampio spazio dove poter fare i propri comodi.
Nella prima ora di
viaggio iniziai a leggere per la
sesta volta “Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor
Hyde”, un libro che
mi appassionò molto e che portai agli esami per
l’interrogazione di inglese.
Già a
due ore di viaggio mi ero appisolata sul
confortevole sedile del piccolo aereo, mi sentivo in paradiso e nessuno
mi
avrebbe svegliata o avrebbe rovinato il mio piccolo momento di riposo,
ma mi
stavo sbagliando.
«Signorina…
signorina, si svegli!» un’hostess apparsa
dal nulla mi svegliò dopo pochi minuti.
«hmm?»
«L’aereo
è atterrato da quasi dieci minuti.»
Balzai dal sedile
rendendomi conto che non avevo
dormito per pochi minuti, ma per un bel po’ d’ore.
Scesi
dall’aereo e corsi verso il piccolo bus che
portava dalla pista all’aeroporto.
Buffy si sedette di fronte
a me e iniziò a parlare, dalla sua espressione e
dalla parlata veloce capii che probabilmente era una storia lunga e che
aveva
una gran fretta di finirla, tuttavia rimasi ad ascoltare con attenzione
ciò che
aveva da dirmi e che gli altri non erano stati in grado di spiegarmi.
«L’accademia
di scrittura è solo una scusa per
attirare quante più persone possibili in questo…
chiamiamolo “mondo”, ma anche
“dimensione” va bene. Il punto è questo:
nel tuo mondo noi siamo visti
come personaggi irreali, creati per intrattenere, ma la
realtà è totalmente
diversa. In pratica noi esistiamo già e
la nostra storia reale è
collegata a quella che è rappresentata sottoforma cartacea o
in tv.» fece una
breve pausa per riprendere fiato.
«Quindi voi non
siete reali, ma lo siete…» balbettai confusa.
«Oh, Lo siamo
eccome!» ribatté la bionda con una nota
di sarcasmo.
«Quello che Buffy
intende dire è il tuo mondo con
quello nostro è collegato dalla fantasia e dal lavoro di chi
ha potuto
raccontare la nostra storia.» aggiunse Giles.
«E la stessa cosa
vale anche per i ragazzi che hai visto fuori.»
precisò
Willow.
Ci fu un attimo di silenzio
in cui me ne approfittai per riflettere su quello
che mi avevano rivelato, anche se ciò non spiegava il
perché fossi lì.
«Senti, facciamo
così: domani ti presento il
direttore, così potremo capire perché sei
qui.» disse Buffy con un tono
sgarbato «ora si è fatto tardi, è
meglio se vai a letto.».
Non so il perché
ma la presi come un’offesa.
Willow poco più
tardi mi ricondusse nel mio
dormitorio, disse che domani mattino alle otto sarebbe passata per
portarmi da
Buffy insieme con altre ragazze per una prova di chissà
cosa.
Il solo pensiero che ci
fossero altre ragazze normali come me mi dava un certo
senso di sollievo.
***
Salve e grazie per
aver letto!
Dal prossimo
capitolo il punto di vista del narratore
potrebbe cambiare (ancora non ne sono sicura).
Bye bye!
|
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Capitolo 4 *** Cacciatrici ***
Buon
Salve! Con questo capitolo la storia inizia ad entrare nella fase
più movimentata, man mano aumenteranno i personaggi e
altrettante avventure.
Ovviamente non mancheranno i momenti di divertimento!
Inoltre
con questo capitolo inizia la doppia narrazione. Con il
carattere “Arial” è il narratore esterno
a raccontare gli eventi, con il “Verdana”,
invece, Agata narrerà la storia sotto il suo punto di vista.
Il
narratore esterno non narrerà gli stessi eventi alla quale
assisterà
Agata, ma racconterà oggettivamente quelli dove saranno
protagonisti gli altri
personaggi.
Capitolo 4
– Cacciatrici
Bi-bip
- Bi-bip!!
«mmh…
no… voglio
ancora dormire.»
Agata
aprì lentamente
gli occhi in preda a sbadigli, non ci volle molto prima che si
accorgesse che
quella non era casa sua. Con una strana stretta allo stomaco si accorse
che la
malinconia aveva iniziato a farsi sentire, le mancavano i suoi genitori
e la
sua famiglia rumorosa.
Si
diede uno sguardo
intorno e si accorse che la parete opposta alla sua era piena di foto,
di
medaglie e di pupazzi, inoltre, poco distante da lei, c’era
un secondo letto
ben ordinato. Agata cercò di ricordare se la sera prima
avesse incontrato
qualcuno o se Willow le avesse accennato che non sarebbe stata sola, ma
nulla.
La
scorsa notte era
ritornata esausta dalla biblioteca, non era stanca fisicamente, ma
aveva un
doloroso mal di testa. Dopo aver salutato Willow era entrata in camera
non
curante di accendere la luce e si era tuffata sul letto dove poche ore
prima la
rossa le aveva posato la valigia, forse la sua coinquilina stava
già dormendo o
forse era tornata più tardi di lei.
Poco
le avrebbe
importato, aveva un appuntamento e non voleva ritardare.
Si
trascinò in bagno,
arrivò davanti al lavandino e iniziò a lavarsi i
denti, il modo in cui era
arredata la camera e il solo fatto di esser in un dormitorio la faceva
stare
bene, tutto era “all’americana” come
aveva visto e ammirato nei telefilm.
Dopo
aver sciacquato
i denti alzò il volto verso lo specchio.
«Sono
un mostro.»
borbottò guardando la sua immagine riflessa.
Agata
non si era mai
giudicata una gran bellezza, come tutte le ragazze della sua
età si piaceva, ma
non troppo. Avrebbe voluto i capelli più chiari, essere
più alta, più magra…
non aveva complessi, solo qualche momento di autocritica.
Dopo
essersi ricomposta
e vestita guardò nuovamente l’orologio, erano le
otto meno un quarto,
approfittò del momento per sistemare il letto e per posare
la valigia sotto di
esso.
«Ti
ho fatto
aspettare?» domandò Willow raggiungendo Agata
all’uscita dei dormitori insieme
a una decina di ragazze dall’aspetto aggressivo e dal fisico
palestrato.
«No,
no, sono appena
scesa.» la ragazza si sentì intimidita, nonostante
a nessuna delle presenti
sembrava importasse la sua presenta. Provò un senso di
antipatia.
Poco
più tardi Willow
le portò in una palestra sotterranea, attaccate alle pareti
c’erano attrezzi
vari e armi bianche(asce, coltelli, spade…), inoltre al
centro della palestra
c’era Buffy con un’espressione rude in volto e
altre ragazze disposte una accanto
all’altra di fronte a lei.
Sembrava
di esser
nell’esercito, Willow mi fece posizionare come la prima della
seconda fila,
accanto a me c’erano altre ragazze dall’aspetto
ribelle e duro e Buffy non era
da meno.
«Se
siete venute
qua c’è un motivo.» disse iniziando a
camminare guardandoci in faccia una ad
una. «Tramite queste prove riuscirò a capire se
siete delle cacciatrici o se il
direttore si è sbagliato.» dicendo questo mi
guardò, poi riprese a camminare.
«Io sono Buffy Summers e sono la vice direttrice.
Probabilmente alcune di voi
avranno già sentito parlare di me. Durante questi tre anni
allenerò duramente
tutte coloro che ritengo abbiano lo spirito della cacciatrice, ma basta
perdersi in chiacchiere.» si riposizionò al centro
della palestra. «Adesso
voglio vedervi correre, dirò io quando finire e quando
aumentare o meno la
velocità. E ora muovetevi.»
Non
ci posso
credere, ero finita in una lezione di educazione fisica! Mi sentii
persa, non
ero preparata a questo e stavo entrando nel panico, ma dovetti iniziare
a
correre visto che le tizie dietro di me iniziarono a spingermi.
«Forza!
Più
veloci!»
Brava,
la fai semplice te!
– pensai mentre mi
accorsi che in una ventina mi avevano già superato.
La
corsa durò circa
un quarto d’ora, non so quanti giri feci intorno a quella
maledetta palestra e
non so quante volte fui superata e presa a spintoni. Era già
troppo per me,
adesso ci mancavano anche le bulle. Dov’ero finita, in un
asilo? Decisi di
accelerare il passo, ma proprio quando iniziai a correre più
veloce «Piano!»
ordinò Buffy e mi ritrovai a correre come una deficiente
sotto le risate di quelle
stronze. Mi fermai trattenendo imprecazioni pesanti per la rabbia.
Buffy
sembrò
infastidita dagli sghignazzi delle ragazze, fece fermare la corsa e
iniziò a
parlare.
«Mettiamo
le cose in
chiaro: non siete venute per fare le coglione. Voglio persone serie,
perché l’equilibrio
tra bene e male dipende da noi e presto non ci sarà tempo
per ridere. Altre
risate senza motivo e potete considerarvi fuori.» fu chiara,
le ragazze
chiusero i loro becchi e aspettarono altri ordini.
«Questa
prima prova è
servita per vedere quanto siete veloci, ora invece voglio vedere quanto
siete
agili. Xander, Willow, fuori è tutto pronto?»
Un
uomo con una benda
sull’occhio entrò in palestra insieme a Willow.
«Si,
abbiamo finito.»
La
donna fece segno
di uscire e tutte obbedirono senza far domande. Una volta fuori
trovarono un
percorso simile a quello che si vede nei film di guerra quando i
cadetti
vengono allenati.
«Ricordo
che questa
non è una competizione, ma solo una prova per vedere le
vostre capacità, non
voglio atteggiamenti da idiote. E ora iniziate.»
Ecco,
un’altra
tortura. Non bastava farmi correre come una pazza, ora
c’erano anche i percorsi
ad ostacoli. Di male in peggio.
Iniziai
la mia
folle corsa, mi arrampicai su di un muretto, atterrai a stento in
piedi, corsi
fino al secondo ostacolo… beh, mi muovevo già
meglio di prima, o almeno fino al
salto, in pratica dovevo prendere la rincorsa e saltare una parete.
«Ma
siamo pazzi?!»
balbettai guardando le altre che atleticamente la superarono con uno o
più
salti. Io a sento mi sollevavo di tre centimetri. Cercai con lo sguardo
Willow
sperando in un aiuto, ma lei non si accorse di me. Tutto questo era
ridicolo, volevo
tornare indietro, ma era praticamente
impossibile. Agirai la parete camminando rassegnata.
Inutile
descrivere
le altre prove, anche se in alcune ero andata piuttosto bene, in altre
ero uno
schifo.
Buffy
ci ordinò di
riposizionarci in palestra nei punti dove eravamo prima,
iniziò a guardare ogni
ragazza e a dire se era passata o meno. Inutile aggiungere che fui
scartata.
«Agata,
con te
vorrei parlare dopo.» mi disse.
Quando
tutte le
ragazze uscirono dalla palestra si erano fatte le unici e mezzo, Agata
invece
era rimasta dentro per ascoltare ciò che Buffy aveva da
dirle.
«Agata.»
si sentì
chiamare e si avvicinò alla donna.
«Il
direttore mi ha
detto che vuole vederti, ci vediamo tra un’ora di fronte il
dormitorio.» detto
questo andò via.
***
Ringrazio
tutti
coloro che seguono questa storia!
Alla
prossima!
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Capitolo 5 *** Devi farlo ***
Capitolo 5 – Devi farlo
Proprio
come era
cominciata quella mattina, Agata tornò nel dormitorio,
esausta si sdraiò sul
letto per poi rialzarsi nuovamente per portarsi in bagno. Dopo una
lunga doccia
cambiò gli abiti e aspettò che l’ora
finisse per incontrare Buffy…
«Buon
giorno Cacciatrice!» nel
suo ufficio un uomo
corpulento di mezza età salutò Buffy che era
appena entrata.
«Ciao
Jordan, ci sono
novità?»
«No,
la solita
routine. A proposito, come và la ricerca delle cacciatrici?
Quelle che ho
trovato vanno bene?»
«Si,
tutte tranne
una.»
«Agata,
giusto?
Adesso che ci penso, dovrei incontrarla tra un quarto
d’ora.»
«La
vado a prendere
io, ma prima vorrei sapere perché l’hai
ammessa.»
L’uomo
emise una
lieve risata, aprì la finestra e accese una sigaretta.
Scesi
le scale del
dormitorio, avevo le ossa a pezzi e i muscoli doloranti, il dolore
però era
niente in confronto alla sete di
curiosità. Finalmente stavo per sapere la verità
e magari sarei tornata a casa
per riprendere la mia noiosa routine.
Sceso
l’ultimo
scalino incrociai lo sguardo di Buffy, in confronto a poche ore prima
adesso
sembrava una donna tranquilla, aveva anche uno strano sorrisetto e si
comportava in maniera gentile. Questo veloce cambiamento mi
lasciò perplessa
per tutto il tempo della strada fino a quando non arrivammo di fronte
ad una
porta in legno massiccio. La porta era decorata con scene di lotta tra
individui alati che non avevano niente a che vedere con figure di
angeli o
demoni che si vedevano nei quadri.
«Io
non posso
entrare perché ho una lezione con altre ragazze, ma tu vai
pure, il direttore
ti aspetta.»
Annuii
e dopo
averla salutata entrai nell’ufficio.
«Benvenuta
Agata!»
il fantomatico direttore della fantomatica accademia (sempre se si
può
considerare tale) si alzò dalla sedia in pelle e
allargò le braccia
«Accomodati!».
Avevo
l’impressione
di trovarmi di fronte a Babbo Natale in versione giacca e cravatta coi
capelli
brizzolati e con due cicatrici che partivano dalla fronte alla guancia
destra.
«Salve…»
dissi io,
mi sedetti su una poltroncina di fronte la scrivania.
«Mi
hanno detto che
vuoi sapere perché sei qui.» si sedette anche lui.
«Si…»
«Perché?»
«Perché…»
mi
vennero in mente quelle ragazze atletiche e quei ragazzi strani della
sera
prima, provai rabbia e gelosia «…
perché questa chiaramente non è
un’accademia
di scrittura, perché non sono un’atleta e
perché non ho poteri!» esclamai
nervosa.
Lui
sorrise e prese
un paio di fogli da un cassetto.
«Ogni
tanto mando
in dimensioni diverse dei moduli-»
Lo
interruppi. «Dimensioni?
Che genere di dimensioni?».
«Per
dimensioni
intendo “mondi diversi”, “dimensioni
spazio-temporali”, “dimensioni
alternative”, eccetera,
eccetera.»
«Quindi
questa è
una “dimensione alternativa”?»
«Vedo
che ci sei
arrivata. Comunque, dicevo, mando dei moduli per selezionare nuovi
studenti che
trovo perfetti per questa accademia. Scelgo solo quelli che mi hanno
colpito o
che hanno risposto eccellentemente a molte domande.»
«Allora
le mie
risposte erano eccellenti?»
«Stai
scherzando?
Erano pessime, ma molto divertenti e ridicole!»
sfogliò i fogli ridendo.
Rimasi
senza parole,
nella vergogna assoluta.
«Poi
la risposta
alla domanda “Come hai trovato questo modulo?” mi
ha fatto morire, “per colpa
di una stronza”» continuò a ridere
«quando mia moglie l’ha letto si è
offesa,
ma poi anche lei ha riso.»
Portai
una mano
alla bocca, avevo gli occhi lucidi e mi sentivo umiliata.
«Era sua moglie a
dare i moduli..?» dissi con voce tremante.
«Oh,
no, una delle
sue subordinate.».
Volevo
alzarmi e
andare via, in quel luogo ero capitata solo per farmi prendere in giro
e non
volevo rimanere un attimo di più.
«Agata.»
divenne
serio. «So quello che stai pensando, ma ti stai
sbagliando.» prese la mia mano
con fare paterno, «tu non sei qui per essere presa in giro.
Tu hai qualcosa che
tutti gli alunni di questa accademia non hanno, non sono i poteri o la
forza
fisica, è quello che hai nella tua mente che ti da
forza.» mi fece alzare dalla
sedia e andammo di fronte la finestra, da lì si riuscivano a
vedere alcune
stanze dell’edificio e la palestra. «Questa
è davvero un’accademia, qui vengono
i ragazzi degli altri mondi per imparare a governare la propria forza e
i
propri poteri, alcuni addirittura per iniziare gli studi e altri ancora
per
avere un posto dove andare.»
Rimasi
in silenzio
per ammirare ciò che vedevo.
«Agata,
alcuni di
loro hanno problemi più gravi di quelli che potresti avere
tu. Molti di loro rischiano
di scomparire. Come Giles ti avrà sicuramente spiegato i
loro mondi e il tuo
sono legati. Quando un autore scrive un libro, fa una sceneggiatura o
disegna
una storia non sta del tutto inventando gli avvenimenti
perché sono già
accaduti o accadranno.»
«E
io cosa centro
con questo?»
«Hai
avuto la
fortuna di aver trovato il modulo prima di altri, è raro che
arrivi nella tua
dimensione. Quando qualcuno riceve quel modulo le domande e
l’intestazione
cambiano a seconda dei desideri di chi risponde. Tu volevi diventare
una
scrittrice, ma le tue risposte alle domande erano stupide e orribili,
questo
significa che non ci credi più. Tuttavia non mi sono arreso,
tu puoi fare
qualcosa, non è molto, ma ce la puoi fare a salvarne una
piccola parte.»
«Come?»
«Scrivi.
Devi
solamente scrivere. Devi conoscere questi personaggi e devi scrivere
per loro e
per i propri mondi.»
Agata
continuò a
guardare in silenzio fuori dalla finestra mentre lo sguardo del
direttore si
era posato su di lei.
«Cazzate.»
fissò con
uno sguardo di ghiaccio l’uomo e andò via furiosa.
Aveva
già abbandonato
la scrittura da molto tempo, non era più la sua passione e
ormai odiava
scrivere, perché avrebbe dovuto farlo? E poi, se ne avrebbe
salvati pochi, gli
altri sarebbero morti comunque. O tutti, o nessuno.
***
Ringrazio
Day_Dreamer e sweetthings per le recensioni e per i complimenti,
ringrazio
anche coloro che leggono e che seguono questa storia!
Ci
vediamo al
sesto capitolo!
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Capitolo 6 *** Meno tre giorni da domani ***
Salve
a tutti! In questo capitolo inizierete a trovare l’asterisco
(*) che servirà
per indicare una frase, un nome o una parola alla quale pochi possono
capire il
significato o l’uso. Chi legge molto saprà che
questo simbolo lo troverà alla
fine del capitolo come nei libri per la spiegazione.
Inoltre
alla fine dei capitoli troverete lo spazio per i miei commenti divisi
in
quattro parti: la prima per gli asterischi, la seconda per segnare le
serie/anime/manga/fumetto presenti in questo capitolo (soprattutto nel
caso in
cui alcuni personaggi siano poco conosciuti), la terza per le risposte
alle
domande(nel caso ci siano) e la quarta parte per i saluti e
ringraziamenti(o
altro).
Capitolo
6 –
Meno tre giorni da domani
La
giornata era
iniziata malissimo, non solo ho dovuto partecipare a
un’esercitazione degna
dell’esercito (e neanche), ma pure il direttore ci si era
messo a prendermi per
il culo. Volevo andare via, inutile ripeterlo.
Tornai
in camera e
trovai una ragazza sdraiata sull’altro letto ad ascoltare la
radio, quando si
girò vide che stavo piangendo come una disperata, ma cercavo
di coprire il
volto per non far vedere in che stato ero.
«Tutto
ok?» domandò
lei stranita.
«Si…
tranquilla...»
asciugai le lacrime.
La
situazione che
si era creata era di imbarazzante silenzio e solo dopo una decina di
minuti,
nella quale mi ero finalmente tranquillizzata, lei si decise a parlare.
«Io
sono Natsumi Hinata, tu come ti
chiami?»
Prima
di rispondere osservai per un
momento la ragazza che stava di fronte a me. Aveva i capelli rossi, ma
anche i
lineamenti giapponesi, era snella e non sembrava essere molto alta,
pareva
anche più piccola di me di almeno uno o due anni.
«Agata
Condorelli.»
«Ti
hanno già detto in che reparto
sei?»
«Reparto?»
«Non
ti hanno detto niente?» sembrava
stupita «prima di selezionare le camere dei dormitori, ti
danno un depliant e un
test da compilare, a seconda delle risposte ti fanno fare delle brevi
prove e
poi ti indicano quale reparto frequentare.»
«Ah,
io ho fatto una prova… ma,
diciamo, che è andata maluccio.»
«Mi
dispiace… non ne hai fatte di
riserva?»
«No,
anzi, il direttore mi ha
convocato e mi ha anche preso per il culo. Tu di che
“reparto” sei?»
«Reparto
lotta femminile “C”, non da
cacciatrice, ma quello alternativo.» io annuii come se
capissi a che si
riferiva, poi continuò «comunque è
strano ch ti abbia convocato. Nessuno, a
parte gli insegnanti, lo ha mai visto in faccia! Neanche i casinisti di
lotta
maschile che sono perennemente in punizione. Lo hai visto in faccia?
Che
aspetto ha?»
«Si,
mhm… è un tipo strano e
assomiglia a Babbo Natale!»
In
poco tempo iniziammo a parlare del
più e del meno come se ci conoscessimo da sempre, era una
sensazione strana,
perché nel “mio mondo” raramente
riuscivo a parlare così tanto con una
sconosciuta.
«Tesoro,
ciao sono io.»
Fuori
dalle mura un uomo dall’aspetto
effemminato e minaccioso, osservava nascosto dai rami di una quercia
altissima
l’istituto.
«Il
sensore capta un segnale anomalo,
forse è lei.»
«Con
che sicurezza puoi dire che è una
lei?» dall’altro capo di una sorta di cellulare
ovale e senza tasti provenì una
voce maschile.
«Ricordati,
sfortunatamente in mondi
come questi è sempre una ragazza ad aver il comando e il
potere…»
«Si,
come mia sorella.» emisero una
breve risata forzata. «la vuole, viva o morta non importa, ma
il corpo deve
essere parzialmente illeso o intatto.»
«Ricevuto.»
finita la comunicazione lo
strano oggetto cambiò colore dall’azzurro al nero,
l’uomo lo ripose nella tasca
del lungo cappotto verde mimetico e sfilò un taccuino dove
appuntò qualcosa.
“Mancano
tre giorni cominciando da domani.”
Scese
dall’albero e scomparve nella
boscaglia.
Si
fece l’ora di pranzo, Natsumi mi
invitò ad uscire dalla camera per incontrarci con altri suoi
amici alla mensa,
inoltre mi avrebbe fatto visitare una parte dell’istituto che
lei diceva di
conoscere bene.
«Tranquilla,
ormai frequento questo
posto da quasi due anni!» mi convinse a seguirla.
Quando
arrivammo ai paragi della mensa
iniziai a scorgere molta più gente di quanta ne avessi vista
la sera prima.
Stavolta non c’erano solo ragazzi, ma anche persone di una
certa età, per non
parlare di alcune strane creature che mi fecero venire un colpo per lo
spavento.
«Natsumi-dono*!»
un esserino verde e
dall’aspetto odioso si avvicinò a noi con voce
stridula insieme ad un gruppetto
di cosi simili a lui.
«Che
vuoi stupido ranocchio? Dov’è mio
fratello?» domandò lei assumendo un’aria
antipatica.
Sperai
per un attimo che il fratello
fosse almeno carino.
«Fuyuki-dono**
sta venendo, è a
parlare in corridoio con l’insegnante e con qualche compagno
di occulto.»
«Oddio,
qua si fa notte.»
Non
capivo di che stavano parlando, ma
ascoltai in silenzio fino a quando non si ricordarono della mia
presenza.
«E
lei chi è?» domandò uno di quei
cosi di colore rosso con un’espressione incazzata sul volto.
«Lei
è Agata. Agata, loro sono dei stupidi
ranocchi alieni.»
«…
piacere…» feci un gesto di saluto
con la mano anche se mi sentivo un’idiota.
Pochi
attimi dopo esser entrati, un
ragazzino sui sedici - diciassette anni ci raggiunse vicino al bancone
del self
service.
«Questo
è mio fratello Fuyuki.»
Le
mie aspettative erano state
distrutte dall’arrivo di un ragazzetto magrolino coi capelli
neri, il fratello
di Natsumi non era decisamente il mio tipo.
Dopo
aver preso abbastanza cibo da
sfamare un esercito andammo a prendere posto. Sembrava essere in uno di
quei
locali di lusso dove tutti i tavoli sono prenotati, perché
nonostante ci fosse
confusione non c’erano persone isolate in tavoli mezzi vuoti
come accadeva nelle
mense dei telefilm americani; per non parlare delle tovaglie candide e
dal
gusto raffinato dei centritavola… a rovinare
l’atmosfera c’erano molte persone
(soprattutto ragazzi) che mangiavano come porci buttando tutto il cibo
sui
tavoli. Che schifo.
«Quando
sei arrivata?» uno di quei
ranocchi mi fece tornare sul pianeta Terra, sempre se lo era…
«Ieri.»
«Sola?»
«Si,
perché?»
«Normalmente
qui si arriva a gruppi.»
spiegò Natsumi.
Aggiunsero
un posto in più al tavolo e
ci sedemmo.
«Ah,
e come mai?»
Si
guardarono tra di loro come se
avessi detto qualcosa di impronunciabile.
«No
- non ne sai nulla?» domandò con
voce tremante Fuyuki.
«Se
mi dici di cosa magari potrei
capire.» feci notare io.
Sembrò
esser calato un velo di
depressione.
«Ci
sono delle guerre in corso…
l’equilibrio di ogni mondo parallelo è stato
spezzato.» disse il ranocchio
azzurro.
***
*Natsumi-dono:
il
personaggio Keroro usa il suffisso “-dono”(che si
dovrebbe leggere “do-nò”) per
rivolgersi agli umani in maniera formale, nel caso di
“Natsumi-dono” qui in
Italia viene tradotto con “signorina Natsumi” o
“lady Natsumi”.
**Fuyuki-dono:
“Mister
Fuyuki”.
I
personaggi presenti in
questo capitolo sono dell’anime/manga “Keroro
Gunso” (Sergente Keroro).
Negli
altri capitoli: “Buffy”
e “Avatar, la leggenda di Aang” (il ragazzo che
volava sulla sfera di aria del
secondo capitolo).
A
Day_Dreamer: ti ringrazio
per i complimenti e per la domanda! In realtà il personaggio
Jordan è
totalmente inventato, ma nella storia conosce Buffy da molto tempo e
quindi lei
si permette di dargli del tu.
Al solito,
ringrazio a tutti coloro che seguono questa storia e quelli che la
stanno
appena leggendo!! =9
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Capitolo 7 *** Onnipotenza ***
Capitolo 7
– Onnipotenza
Dopo
pranzo Natsumi non poté
accompagnare Agata per fare un giro dell’accademia.
«Sarà
per un’altra volta.» disse in
preda ai singhiozzi.
L’argomento
trattato pochi attimi prima
aveva scosso Agata facendole rendere conto della situazione che quella
stessa
mattina il direttore le aveva accennato, ma non credeva fosse
così grave.
Il
pranzo divenne una lagna, ognuno
trattenne le lacrime o si lasciò andare, raccontando la loro
versione dei
fatti. C’è chi aveva perso un intero pianeta, chi
solo i genitori e amici.
«Nostra
madre… i nostri amici… tutti.
Tutti morti…» borbottò Natsumi
singhiozzando mentre Fuyuki poggiò le braccia
sul tavolo coprendo il volto.
«Abbiamo
combattuto fino alla fine, ma
non abbiamo potuto fare niente…» aggiunse il
ranocchio rosso.
Agata
stese lì ad ascoltare tutto il
tempo la loro storia, pianse anche lei, ma fu in quel momento che si
rese conto
che poteva fare qualcosa e avrebbe tentato di capire come avrebbe
potuto
salvare tutti.
«Forse
io posso fare qualcosa.» disse
asciugandosi le lacrime.
I
presenti la guardarono come se fosse
un faro in una notte di tempesta, parevano dire “tu
puoi?”.
«kukuku!»
il ranocchio giallo emise una
risata fastidiosa «allora ho capito chi sei.»
Durante
tutto il pranzo mi assillarono
con domande alla quale non sapevo dare una risposta. Il ranocchio
giallo,
Kururu, mi disse che aveva sentito parlare di me qualche giorno prima
che io
venissi. Diceva che solo chi faceva parte del mio mondo poteva
salvarli, perché
era l’unico mondo in cui le “forze del
male” non potevano entrare.
Caspita.
-
mi dissi – allora ho dei poteri. -
Solo
procedendo con la discussione
capii che, ahimè, non parlavano di me.
«Se
sei qui vuole dire che sei la
migliore nel tuo campo. Cosa fai, scrittrice? Sceneggiatrice?
Regista?»
«Scrittrice.»
mentii spudoratamente,
ma in quel momento mi sentii onnipotente e orgogliosa di me. Mi accorsi
che
molti dei presenti in quella sala mi fissavano ed era calato il
silenzio.
Per
la prima volta mi sentii
importante, avevo lasciato Natsumi e i suoi amici per conto loro per
smaltire
le lacrime, ma già neanche il tempo di allontanarmi dalla
sala che mi accorsi
che alcuni personaggi mi stavano seguendo.
Normalmente
mi sarei sentita a
disagio, anche in colpa e spaventata nel vedere la confusione che si
stava
creando in torno a me, per non parlare delle false speranze che stavo
costruendo…
«Ciao.»
Una
ragazza dai strani capelli color
smeraldo si fiondò dinnanzi a me.
«Il
mio nome è Shion Sonozaki, tu sei
la nuova, giusto?»
«Si,
sono io, Agata Condorelli.»
«Piacere
di conoscerti. Vieni, ti
presento alcuni miei amici.»
«Ferma
lì stronzetta, lei verrà con
me.» una donna vestita con un abito lungo ottocentesco e dai
capelli oro si
intromise tra me e Shion.
«Mi
dispiace signora, ma Agata viene
con me.» mi prese dalla manica della
giacchetta e ci allontanammo lungo il corridoio sotto lo sguardo di
quella
donna dal ghigno minaccioso.
«Quella
chi è?» domandai stranita.
«Beatrice,
una tipa non proprio
affidabile, si dice che sia la “strega senza
limiti”, ma qui pare che i suoi superpoteri
non funzionino del tutto.»
«Ah…»
Non
so il perché, ma quella ragazza mi
metteva i brividi nonostante fosse stata gentile con me. Mentre
camminavamo la
sua mano mi stringeva sempre di più il polso.
«Shion.»
«Si?»
«Il
polso è mio.» le feci notare fermandomi.
«Oh,
scusa!» allentò la morsa, per
liberarmi del tutto dovetti scostarla.
Fu
in quel momento che mi accorsi che
aveva un non so ché di nervoso e inquietante.
«Allora,
cosa c’è che non va in te?»
le chiesi nervosa.
«Cosa?
Ma di che parli?»
«Se
vuoi il mio aiuto non c’è bisogno
che mi trascini. Ma prima di poterti aiutare devo sapere come si
fa!», in altre
occasioni avrei avuto un atteggiamento più pacato, tuttavia
mi sentivo
minacciata da qualcosa.
«scusami…»
balbettò dispiaciuta.
«Ascolta,»
mi tranquillizzai «dimmi in
che dormitorio sei, io intanto vado a parlare col direttore e dopo
CASOMAI mi
dirai che vuoi. Intese?»
Annuì,
mi disse dove risiedeva e poi
andai via.
Mi
sentivo potente, eppure non era
successo nulla per farmi sentire tale, ero sempre la stessa Agata, la
solita e
innocua Agata, solo un po’ più bugiarda.
Dietro
la sua scrivania, alle prese con
un castello di carte, il direttore Jordan si stava rilassando godendo
ogni
istante di quel momento, di certo non si aspettava l’arrivo
di Agata senza
l’avvertimento della segretaria.
Sbattendo
la porta, presa dall’euforia,
Agata entrò nell’ufficio facendo accasciare il
fragile castello di carta.
«No,
stai tranquilla, non disturbi
mica.» borbottò sarcastico Jordan.
«Voglio
sapere come si fa.»
«Basta
che appoggi le carte una sopra
l’altra con attenzione e-
«No,
voglio sapere come posso salvarli
scrivendo.» lo interruppi.
«Cosa
ti ha fatto cambiare idea, il
fatto che ti credono una vera “salvatrice”? Solo
chi ha abbastanza esperienza
potrà salvarli tutti. Pecchi di arroganza signorina, ci
vuole così poco per
farti montare la testa?»
Agata
rimase in silenzio, poi disse.
«Non
mi sto montando la testa, voglio
davvero aiutarli! Ho ascoltato alcune storie e mi hanno convinta a
credere in
me stessa. Se ci vuole esperienza allora la farò! Posso
farcela e sono
fiduciosa.»
«Questa
mattina non lo eri.» si alzò
dalla poltrona «ma pazienza. Se pensi di potercela fare
allora provaci.» prese
un libro dalla libreria che circondava i muri dell’ufficio.
«Io e questo libro
saremo i tuoi maestri.» glielo porse.
«E’
bianco!»
«Lo
è perché sarai tu a riempirlo.
Incominciando a ora ti dirò le istruzioni, tu cerca di
calmare i tuoi bollenti
spiriti e di seguirmi senza conclusioni affrettate. E ora siediti che
abbiamo
poco tempo.»
***
Shion
Sonozaki è uno dei
personaggi dell’anime “Higurashi no naku koro
ni”.
Beatrice
appartiene a
“Umineko no naku koro ni”.
Ringrazio
coloro che seguono questa storia! Alla prossima!
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Capitolo 8 *** Passaparola ***
Capitolo 8
– Passaparola
Alle
sette e mezzo della sera la campana
suonò per la fine delle lezioni, ogni alunno e insegnante
uscì dalle sale,
organizzate per assomigliare a una sorta di aule, e si riunivano
ciascuno al
proprio gruppo.
Non
gli importava se il suo giro di
amicizie comprendeva individui di razze e dimensioni diverse, era bello
così ed
era anche piacevole. In quel luogo tutti erano in armonia, non
importava se in
passato eri stato un bastardo, l’importante era pentirsi e
tutti ti perdonavano
tutto (o quasi).
Zuko
non era l’unico con “precedenti”,
certo, magari non aveva fatto carneficine, ma la sua parte da cattivo
l’aveva
fatta e ora, invece, era insieme alle persone alla quale anni prima
aveva dato
la caccia. Anche la sua cicatrice, seppur visibilissima, non bruciava
più.
Era
in pace… tutto era piacevole… aveva
dei fantastici amici… ma il suo regno era crollato.
Da
quando quegli stranieri invasero il
paese del Fuoco tutto è caduto in
rovina. In poco tempo anche le tribù dell’Acqua e
il regno della Terra caddero
sotto il loro dominio. Tutto poteva
ricominciare d’accapo?
«Zuko,
tutto ok?»
«Uh,
si, certo, perché?»
«Ti
vedo pensieroso…» fece notare il
ragazzo con una freccia celeste tatuata sul capo.
Neanche
l’Avatar, il dominatore degli
elementi più potente dell’intero pianeta, era
stato capace di tenerli a bada.
Erano rimasti in vita solo il solito piccolo gruppo, tutti gli altri?
Morti.
«Aang!
Sokka! Zuko!» di corsa,
dell’altra parte dell’enorme corridoio
settecentesco, due ragazze si
avvicinarono al trio. Le due ragazze erano: quella con la pelle
più scura,
Katara della tribù dell’Acqua e Toph, la cieca,
del regno della Terra.
«Come
mai tutta questa grande eccitazione?»
domandò sarcastico Sokka, il fratello maggiore di Katara.
«Dicono
che sia qui! Lo “scrittore” è
qui!» urlò a squarcia gola Toph alzando le braccia
al cielo euforica.
«Tutto
potrà tornare come prima!
Finalmente potremo riabbracciare papà e magari far tornare
in vita anche la
mamma!» aggiunse l’altra.
I
tre ragazzi rimasero sbigottiti,
indecisi se scoppiare a piangere o mettersi a saltellare per la
felicità. Aang,
il ragazzo con la freccia, decise la seconda opzione pochi secondi dopo.
Era
da quando tutto era scomparso che si
sentiva in colpa per non aver potuto fare niente, ma finalmente avrebbe
avuto
la sua rivincita.
Colui
che invece non era convinto era
Zuko, che preferì stare in silenzio ascoltando la
discussione dei compagni.
«Smettila
di lamentarti e studia!» Jordan
sbatté un libro in testa ad Agata.
«AH!»
portò le mani alla testa guardando
addolorante il direttore.
«Continua.»
ordinò lui.
La
lezione consisteva alla lettura, non
la solita lettura, quella fatta con pace e serenità, ma un
tipo di lettura ad
alta voce, veloce, senza errori (ogni errore uno scappellotto), con
un’analisi
accurata. Insomma, per leggere un paragrafo, per quanto veloce poteva
essere,
ci impiegava quasi un quarto d’ora per tutte quelle volte che
si fermavano a
discutere.
«Non
penso che uno scrittore faccia cose
del genere.» replicò lei.
«No,
uno scrittore non lo fa. Un vero
scrittore ha l’esperienza, uno scrittore si impegna a fondo
affinché il proprio
lavoro risulti di qualità.»
«Ma
ci vuole anche la passione.»
«Si,
ma in questo caso tu non l’hai. E
ora continua. Entro quest’anno devi diventare la
migliore.»
Agata
annuì imbronciata, riprese il
libro che stava leggendo e ricominciò da dove aveva
interrotto.
La
lezione si protrasse fino alle dieci
di sera.
«Adesso
porta con te questo libro,
inizia ad abbozzare qualcosa sulle ultime pagine. Non scrivere assolutissimamente
sulle altre perché i guai che potresti provocare sarebbero
immondi. Posso
fidarmi o devo mandarti Buffy a tenerti sotto controllo? Ti assicuro
che non è
tenera.»
Agata
prese il libro dalle pagine
bianche e lo sfogliò fino ad arrivare alle ultime.
«Perché
solo le ultime?»
«Perché
sono fogli normali. Qualsiasi
cosa scriverai sulle altre pagine diventerà
realtà, qualsiasi cosa.»
sottolineò «se tu dovessi scrivere con
“l’abilità”
che hai ora potrebbe scatenarsi il caos. In questi giorni, tutte quelle
volte
che non avremo lezione, dovrai stare a contatto con ogni essere vivente
in
questo edificio, dovrai conoscerli e dovrai studiarli. Non farti
ingannare da
come vorrebbero essere o da come vuoi tu
che fossero.»
Jordan
stese un attimo in silenzio per
far assimilare ad Agata ciò che le aveva appena riferito,
lei si limitò ad
annuire, ma ciò che lo preoccupava di più era non
trovare quell’entusiasmo
negli occhi di quella ragazza.
«Quanti
anni hai di preciso?» in quella
domanda Jordan aveva assunto un tono rassegnato.
«Venti.»
rispose come se non capisse il
perché del tono di quella domanda.
«Che
cosa ti ha spento?»
«La
realtà.» disse decisa e serena.
Ormai
era notte inoltrata, Beatrice
percorreva il desolato viale circondato da arbusti di un verde
splendente che,
unito alle farfalle dorate al suo seguito, donavano
un’atmosfera magica. Il suo
sorriso beffardo era la testimonianza dei suoi pensieri, finalmente
poteva
vendicarsi sfruttando quella insulsa ragazzina; l’avrebbe
convinta, anche con
la forza, a realizzare ciò che con la sua magia non poteva
fare, avrebbe avuto
come schiavo quel reietto di Blatter*, il suo rivale, e avrebbe
torturato lui e
la sua famiglia all’infinito. Ora, però, doveva
convincere tutti che era una
strega buona e che non avrebbe fatto male ad una mosca.
La
sua vendetta sarebbe stata subdola e
crudele. Non le importava far ritornare in vita le streghe che erano
morte
durante lo scontro contro quei strani individui. Solo lui e la sua
fottuta
famiglia.
Dall’altra
parte del muretto l’uomo
misterioso osservava la strega con interesse.
«Pssst!»
La
donna si girò fulminea, come se i
suoi pensieri fossero stati detti ad alta voce e qualcuno li avesse
ascoltati.
L’uomo
salì sul muretto e la guardò con
un sorriso ammiccante, lei, al contrario, con disgusto.
«Salve
dolcezza.» disse lui
atteggiandosi.
«Sei
uno di quei vampiri della
cacciatrice?»
«Di
chi? Qualsiasi persona sia questa
cacciatrice non so chi sia. Io sono venuto per lei.»
Beatrice
capì che stava parlando della
scrittrice e sorrise avidamente.
«Cosa
cerchi da me?»
«Diciamo
che sei una bella donna.»
rispose vago.
«Diciamo?
Tsè, come si vede che sei
gay.» continuò a sorridere per poi diventare seria
«rispondi alla mia domanda.»
«So
cosa vuoi dalla scrittrice. Ma non
hai abbastanza potere per poter competere con tutti gli esseri presenti
in
questo luogo. Se ti unisci a me tutto sarà più
semplice.»
Beatrice
fece una risata fastidiosa «ah,
si?».
L’uomo
che pochi istanti era di fronte a
lei era scomparso, in quell’attimo il suo sorriso scomparve
dal suo volto come
inquietata. Qualcosa in lei la convisse di unirsi alla folle idea di
quel
pazzo, era la cosa più conveniente.
Prima
delle luci dell’alba una minuscola
parte dei “pentiti” fu convinta da uno strano
individuo ad unirsi a lui.
Meno
tre giorni da ora. Scrisse
sul suo taccuino.
***
*Blatter:
si legge “Batora”,
protagonista maschile di “Umineko no naku koro ni”.
I
personaggi presenti in
questo capitolo sono:
Zuko,
Aang, Sokka, Katara e
Toph di “Avatar, la leggenda di Aang”.
Beatrice,
come lo scorso
capitolo, di “Umineko no naku koro ni”.
A
Sarhita: ti
ringrazio per le recensioni! Per me è davvero un onore che
il mio modo di scrivere e che questa storia ti piacciano.
In
realtà è tutto frutto di
una totale improvvisazione che è iniziata partendo da un
momento di noia.
Io
e Agata, al contrario di
quello che potresti pensare, non abbiamo quasi nulla in comune, se non
l’unico
fatto di esser italiane e di alcuni piccoli particolari non importanti
per la
storia. Mi diverto a muovere personaggi che con me non hanno niente in
comune.
XD
I
personaggi non inventati
appartengono a serie quasi sconosciute(ma anche odiate) alla
maggioranza dei
lettori non perché io sia una loro fan, ma perché
penso che alcuni personaggi
si debbano conoscere piano piano con altre sfaccettature come se
fossero nuovi
nonostante io cerchi di muoverli con i loro caratteri originali (non so
se mi
sono spiegata bene).
Spero
di aver alimentato la
tua curiosità.
Ogni volta
leggere le recensioni per me è una vera soddisfazione!
Ringrazio tutti coloro
che lo fanno e anche coloro che semplicemente leggono e continuano a
seguire
questa storia!
Il prossimo
capitolo lo pubblicherò al ritorno dalle vacanze!
Buon Agosto
e alla prossima!
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