Sette giorni con Frank Iero. di dirtytrenchcoat (/viewuser.php?uid=95109)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rollerblade; ***
Capitolo 2: *** Vinile; ***
Capitolo 3: *** Fiori; ***
Capitolo 4: *** Cibo cinese; ***
Capitolo 5: *** Gerard; ***
Capitolo 6: *** Car wash ***
Capitolo 7: *** So long; ***
Capitolo 8: *** Epilogo; ***
Capitolo 1 *** Rollerblade; ***
Disclaimer: Frank Iero e i My Chemical Romance, fortunatamente per loro, non mi appartengono; tutto ciò che è descritto qui è frutto della mia mante malata.
Sono seduta sulla valigia e aspetto il treno, che è in ritardo di mezz’ora. È tutto così simile all’anno scorso, mi sembra persino di stare fra la stessa gente.
Spero solo che anche Belleville sia come l’anno scorso.
Il treno finalmente arriva. Salgo, sollevo la valigia e la sistemo sull’apposito ripiano, poi mi siedo e accendo l’i-Pod. Una valanga di immagini mi affolla la testa. Comincio a ricordare.
Era esattamente l’estate scorsa. Stesso mese, stesso giorno, stessa ora. Arrivai a Belleville da mia zia verso mezzogiorno. Lei è un’arzilla vecchietta adorabile, devo dire, ma il posto non sembrava un granché. Mi apprestavo a vivere una settimana al limite della noia, ma avrei passato i sette giorni più belli della mia insulsa vita.
Non vedevo la zia Annie da praticamente quattordici anni, così mia madre mi aveva spedita a casa sua per una settimana.
La zia fu felicissima di rivedermi e anche io ero molto entusiasta. Aveva preparato i biscotti al cioccolato e fatto il letto con le lenzuola più candide che avessi mai visto. Mi accolse con un abbraccio, commossa, e mi mostrò la mia stanza al piano superiore. C’era un giradischi posto sopra una scrivania ordinata, un armadio di ebano, una poltroncina azzurra e un letto comodissimo. Mi colpirono, però, le tende, di un azzurro chiaro che sfumava al lilla. Deliziose, come tutta la casa, che odorava di antico ed era quasi tutta di legno.
Dopo essermi sistemata e aver mangiato i biscotti, la zia Annie mi portò a fare un giro per Belleville. c’erano tanti negozietti carini e mi regalò un cappello. Ci fermammo per un caffè e un cappuccino al bar Dante. Sedemmo in un piccolo tavolo accanto alla vetrata. Chiacchieravamo allegramente del più e del meno –famiglia, amici, scuola, salute, amore, football, cappelli, animali–, quando il mio sguardo si posò su un ragazzo che passava lì davanti. Era con i suoi amici, ma notai solamente lui. lo ricordo perfettamente quel momento, come se non fossero passati 365 giorni, ma uno o due.
Era basso, un nanetto, come ancora lo chiamo io. Aveva i capelli castani con un ciuffo adorabile che gli ricadeva sul viso tenero da bambino, gli occhi grandi, color nocciola, che brillavano e sotto il sole diventavano verdi, un sorriso così dannatamente dolce e sincero, così contagioso, che l’avrei fissato per ore, mi aveva fatto sciogliere l’anima. Indossava una t-shirt nera attillata, che valorizzava il suo fisico magro, non esageratamente muscoloso, ma tremendamente sensuale, dei jeans strappati e un paio di All Star. Camminava serenamente por la strada, ridendo, e quando sentii la sua risata cristallina, probabilmente mi luccicarono gli occhi.
Lo guardavo con interesse mentre sorseggiavo il mio cappuccino. Ad un certo punto, lui fissò i suoi occhioni dolci nei miei. Non so di preciso quando durò quello sguardo, la mia cognizione del tempo del tempo venne risucchiata dalla sua personalità, però fu così intenso e tenero che mi sentii trapassare l’anima.
Mi sorrise e il mio cuore batteva così forte da far male. Sorrisi impacciata e lui svoltò l’angolo, mentre sentivo ancora i suoi occhi puntati nei miei.
Girai la testa, mi zia mi guardava con un sorriso malizioso sulle labbra rosee. « Si chiama Frank, Frank Iero. È il mio vicino di casa, pensa un po’. Potremmo portargli dei biscotti… »
Frank. Frank Iero.
Quel pomeriggio feci un altro giro in città, ma in bicicletta. Aveva una gran voglia di sentire il vento fra i capelli.
Stavo percorrendo la pista ciclabile di un piccolo parco pieno di fiori gialli e viola, quando improvvisamente qualcosa, prima che imboccassi la curva, mi venne addosso ad una velocità impensabile per un parchetto di una tranquilla cittadina del New Jersey.
Ero stesa per terra ad imprecare prima che una mano con tatuata la scritta HALLO sulle dita si protese davanti a me. Alzai lo sguardo sul resto del braccio tatuato, sul petto che si alzava e abbassava freneticamente, fino ad arrivare al viso. Frank. Frank Iero.
« Scusami, non pensavo che venisse ancora qualcuno qui! » esclamò imbarazzato mentre gli afferravo poco saldamente la mano. « E poi… Non so frenare » scoppiò a ridere. Quella sua risata argentina mi fece sciogliere.
Lo guardai attentamente. Era vestito come prima, solo che al posto delle Converse indossava dei rollerblade.
« Hey, ragazza, stai bene? » il suo tono incuriosito e preoccupato mi riportò, più o meno, alla realtà.
« Oh, sì sì certo. Tutto okay! » risposi nella maniera più convinta che potessi usare.
« Bene! Piacere, Frank. Sei la ragazza del bar, vero? » aveva i capelli scompigliati, un sorriso spontaneo sulle labbra che gli illuminava il volto e si grattava la testa leggermente imbarazzato.
Annuii. « Piacere, Pansy » gli strinsi timidamente la mano.
« Pansy… Che nome strano. Mi piace! » era così solare che sembrava lui a diffondere la luce del giorno. « Allora, Pansy, che ci fai in questa povera cittadino del New Jersey a metà luglio? »
Passammo il pomeriggio chiacchierando in quel parco. Mi fece anche provare i suoi rollerblade, ma caddi una decina di volte e promisi a me stessa che non avrei mai più indossato quelle trappole.
Tornammo a casa verso l’ora di cena.
« Ti va di andare da qualche parte domani? Potrei mostrarti le rinomate opere artistiche di Belleville » disse ironico quando arrivammo davanti alla mia porta.
« Oggi mi sono divertita, quindi, perché no? » cercavo di mantenere un controllo, in realtà avrei voluto saltare di gioia.
« Perfetto! Vengo io dopo pranzo. A domani, senza rollerblade! » mi fece l’occhiolino e se ne andò.
Riuscii a dire « ciao » prima di mettermi a saltare con un’idiota entrando in casa.
Zia Annie aveva appena finito di preparare la cena. Mi sentivo in colpa per averla lasciata tutto il pomeriggio sola –in fondo, ero lì per lei– e glielo confessai scusandomi, ma risposa che era felice del fatto che avessi visitato Belleville.
« E poi, » aggiunse sogghignando « Frank Iero è un bel ragazzo.»
Sentendo quel nome mi vibrò la colonna vertebrale. « Come sai che ero con lui? » ero arrossita.
« Te lo leggo negli occhi, mia cara! Su, non pensare ai ragazzi e mangia! »
La cena era squisita. Prima di andare a letto, io e zia An guardammo un film. Fu una serata stupenda.
Avvolta nel lenzuolo fresco, pensai che la mia breve vacanza non era iniziata male. Anzi, il primo giorno era stato una meraviglia.
Sospiro. Desidero ritrovarlo, Frank. Magari proverò i rollerblade! Per ogni caduta, lui mi stringerà la mano, aiutandomi ad alzarmi.
Accarezzo la felpa rossa che spunta dalla mia borsa e mi immergo nuovamente nei miei pensieri.
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Capitolo 2 *** Vinile; ***
Disclaimer: Frank Iero e i My Chemical Romance, fortunatamente per loro, non mi appartengono; tutto ciò che è descritto qui è frutto della mia mante malata.
Il tintinnio del braccialetto che porto al polso mi risveglia dal mio leggero pisolino. Mi accorgo che durante il sonno mi sono infilata la felpa rossa. La felpa di Frank. Ricordo bene il giorno in cui me la prestò, per così dire.
Mi svegliai e feci colazione con la zia. Mi parlò di lui.
« Vedi, Frank Iero ha appena finito le superiori. È un caro ragazzo, mi ha aiutata spesso nei lavoretti di manutenzione della casa. Certo, è pieno di tatuaggi, dice un mucchio di parolacce e quel piercing non mi convince » zia An aveva una mentalità all’antica, ovviamente, io però trovavo i suoi tatuaggi davvero stupendi e quel piercing così dannatamente sexy, « comunque è tanto tenero e solare, ha sempre la battuta pronta. Inoltre è molto bello. » Io ero arrossita fino alla punta dei capelli.
« Okay, zia, lasciamo perdere Frank Iero e guardiamoci un bel film! »
« Dal tuo sguardo mi pare proprio che Iero non lo vuoi lasciar perdere » esclamò divertita « comunque mi farebbe molto piacere guardare un film con la mia nipotina infatuata! Andiamo in salotto. »
« Infatuata?! » esclamai con tono indignato mentre la seguivo e mi accomodavo accanto a lei sul divano « Non sono infatuata. Quell’idiota mi ha scaraventata giù dalla bici e… »
« Hey, che fine ha fatto il “lasciamo perdere Frank Iero”? » scoppiò a ridere e non potei far altro che unirmi a lei.
Dopo pranzo attendevo con ansia il suo arrivo, solo che non volevo ammetterlo a me stessa. Mi affacciavo alla finestra ripetendomi che volevo guardare il cielo.
Alle 3 ancora niente. Mi buttai sul letto in preda allo sconforto, cercando di dormire un po’, quando qualcuno suonò il campanello. Il mio cuore prese a battere all’impazzata e mi precipitai giù dalle scale dandomi un contegno solo sull’ultimo scalino perché notai che Annie mi guardava divertita. Procedetti lentamente –anche troppo– verso la porta. Aprii con un sorriso smagliante che subito mi si spense sulle labbra, perché mi trovai davanti un uomo enorme tutto sudato, con la pancia che usciva dalla maglietta, un cappellino unto e una cassetta degli attrezzi in mano. L’idraulico.
« Oh, Bob, entri pure! Dovrebbe controllarmi il lavandino del bagno al piano superiore » disse gentilmente Annie.
Mi scostai con un sospiro e lasciai entrare Bob.
« Hey, scusa! A casa mia si pranza tardi » una voce allegra, piena di vita. Mi ritrovai davanti Iero.
« Frank! Pensavo non saresti venuto » gli dissi raggiante.
« Naaah, non do buca alle ragazze! »
Mi portò in un negozio di musica.
« La musica è il perno attorno al quale gira la mia vita » sorrise con gi occhi che scintillavano « il rock, il punk… I Queen, i Muse, i Misfits, i Ramones… Suono anche la chitarra. »
« I Muse sono il mio gruppo preferito! » esclamai « Peccato, non ho portato con me i CD. »
« Allora ti faccio un regalo. Stai ferma qui » obbedii incuriosita. Frank aveva sempre una luce allegra negli occhi, trasmetteva felicità. Impossibile non amarlo.
Tornò cinque minuti dopo con un vinile. « So che tua zia ha un giradischi. Puoi ascoltare questo » mi porse il regalo e io avevo praticamente gli occhi lucidi.
« Oh, Showbiz. Oddio, grazie, Frank, non avresti dovuto… »
« Ma figurati! Forza, andiamo, ti porto in un parco » mi prese per mano e corse via, facevo fatica a stargli dietro.
Quando finalmente si fermò avevo il fiatone e lui rideva come un pazzo. Ci sedemmo su una panchina azzurra, la ricordo bene.
« Ti piace vivere qui? »
« Sì, è un posto delizioso » mi disse sorridendo « anche se preferirei una città più grande e viva » mi fece ridere.
« Io vengo da Dallas ed è un po’ più vivo come posto. »
« Mi piacerebbe venirci, qualche volta. »
Parlammo per due ore di cose assolutamente stupide. Frank mi faceva ridere, era il sole fatto a persona.
Una goccia mi bagnò il viso, un’altra bagnò la mano di Frank che era impegnato in una pessima quanto buffa imitazione dei Village People –non uno, tutti quanti. Non facemmo in tempo a dire una parola che iniziò a diluviare.
« Cazzo, piove che Dio la manda! » esclamò Frank sbalordito. Poi mi prese di nuovo per mano e mi costrinse a ballare in mezzo al parco deserto, sotto la pioggia.
I nostri visi erano vicini. Vedevo il suo ciuffo appiccicato alla sua fronte e il mio riflesso nei suoi occhioni nocciola. Rideva, rideva come un pazzo, e la sua risata da bambino contagiò anche me.
« Splendido quanto improvviso acquazzone estivo! Benvenuta a Belleville! »
Io per tutta risposta starnutii. Frank si sfilò la sua larga felpa rossa e me la sistemò sulle spalle. « Non vorrai mica ammalarti a luglio, in vacanza, a Belleville, quando ci sono ancora così tanti posti da vedere » sussurrò con tono ironico.
« Grazie, Frankie » mi sorrise dolcemente.
Ricordo che trascorremmo la restante parte di quel martedì piovoso a chiacchierare davanti ad una tazza di caffè al bar Novecento. Poi, all’ora di cena, mi riaccompagnò a casa.
« Tienila, la felpa » disse sorridendo mentre cercavo inutilmente di levarmi quell’involucro bagnato che ormai era una seconda pelle, « la riprenderò futuramente. »
« Grazie mille. A domani, » afferrai la maniglia della porta, ma mi voltai con uno scatto « se vuoi. » Dì di sì, dì di sì, dì di sì.
« Certo! Ciao e buona notte, per dopo. »
« Ciao Frank. »
« Pansy, cara, ti presento Larry, un mio amico » Annie mi fece l’occhiolino. Strinsi la mano all’uomo seduto sul divano, un bel tipo sulla sessantina che si manteneva in forma e da giovane doveva essere stato sicuramente proprio bello.
« Allora, » esordì la zia « vogliamo cenare? » Larry si alzò con un sorriso bonario stampato in faccia e, insieme a me, seguì An in cucina.
La cena fu fantastica, Annie è una cuoca eccezionale. Larry se ne andò prima delle 23. Era un uomo davvero simpatico e si vedeva lontano un miglio che faceva la corte a mia zia. Io ero sfinita. « Zia, vorrei tanto rimanere qui con te a parlare della tua nuova fiamma… »
« Non è la mia nuova fiamma! » mi interruppe imbarazzata.
« Certo, certo. Comunque sono stanca morta e vorrei andare a letto. Ne parliamo domani? » chiesi con tono di scusa.
« Ma non preoccuparti, tesoro! Buona notte, ti voglio bene » mi stampò un bacio sulla fronte.
« Anche io, zia infatuata » e scappai su prima che potesse ribattere.
Per la prima volta, scostai le tende. A me non piacevano le stanze illuminate dal sole, non so perché, e la mia era proprio inondata dalla luce di giorno.
Guardai dall’altro lato della strada. Andavano tutti a letto presto, c’era solo una finestra da cui usciva una luce fioca, le altre stanze della via erano buie. Era la casa di Iero.
E lo vidi, ad un certo punto, togliersi la maglietta e sedersi sul letto con una chitarra acustica fra le mani. Aveva gli occhi chiusi e suonava. Rimasi a fissarlo per dieci minuti buoni. Poi Frank si alzò e spense la luce. Io mi infilai di nuovo la sua felpa, che avevo tolto prima di andare a cena e nel frattempo si era asciugata, e andai a letto.
Morivo di caldo, ma stavo bene.
Guardo fuori dal finestrino. Piove e fa freddo qui. Constato con piacere che la felpa di Frank riscalda ancora allo stesso modo ed è dello stesso rosso acceso di un anno fa.
Accarezzo il mio braccialetto. Mi manca Frank Iero. Tanto.
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Capitolo 3 *** Fiori; ***
Disclaimer: Frank Iero e i My Chemical Romance, fortunatamente per loro, non mi appartengono; tutto ciò che è descritto qui è frutto della mia mante malata.
Guardo fuori dal finestrino. Ora il sole è pallido, coperto
da qualche nuvola, ma non penso che a Belleville pioverà.
Squilla il cellulare.
« Pronto? »
« Ciao, tesoro! » La mamma, esuberante e allegra
come al solito. « Ti chiamo da un telefono pubblico, qui a
Città del Messico, una meraviglia. Tu dove sei?
Già dalla zia? »
« No, sono ancora sul treno, arriverò tra circa
due ore e mezza… Vi divertite, tu e papà?
»
« Oh, sì! I messicani sprizzano vita da tutti i
pori! Devo andare, tesoro, la guida mi aspetta. Ti voglio bene e
divertiti! »
« Certo, mamma. Anche io » riattacco.
Arriverò tra circa due ore e mezza. Un paio d’ore
a Frank. Voglio vederlo, parlargli, abbracciarlo, baciarlo. Voglio
sentire la sua risata. Chissà che faccia farà
quando vedrà il regalo che gli ho preso.
Chiudo gli occhi e penso a lui.
Il terzo giorno, mercoledì, mi svegliai stranamente tardi
con l’immagine di un Frank Iero sorridente impressa sulle
palpebre. L’avevo sognato, quella notte. Il suo sorriso, i
suoi occhi avevano preso possesso della mia mente per una notte intera.
Squillò il telefono mentre mi vestivo e mi sistemavo un
po’ assonnata.
« Pansy, cara, è per te! »
La voce di mia zia mi risvegliò del tutto, ma senza
cancellare le immagini di Frank dalla mia testa. Scesi lentamente le
scale, convinta che avrei dovuto parlare per mezz’ora con
qualche vecchio parente noioso.
Annie mi porse la cornetta sorridendo.
« Pronto? » pregavo solamente che non fosse mia
nonna. Almeno quello. Tutti tranne lei…
« Buongiorno, Pansy! Com’è il risveglio
a Belleville? » quella voce squillante mi sorprese. Frank.
« Oh, ehm, im-impegnativo…? »
Lui rise. « Sì, direi! Senti, ti va di fare un
picnic oggi pomeriggio? »
« Sicuro! » esclamai subito, forse troppo
energicamente. « Noi due? » speravo in un
sì. Speravo dannatamente in un fottuto sì.
« No, mio nonno e tua sorella! Sì, noi due, se
vuoi… Se non ti scoccia, voglio dire. Altrimenti posso
invitare qualche amico e… »
« No, no » lo interruppi « non
disturbarli! »
« Okay, allora ti passo a prendere io. A dopo! »
« Frank! Aspetta! »
« Sì? »
« Perché mi telefoni se abiti dall’altra
parte della strada?! »
« Hey, ragazza, noi di Belleville siamo estremamente pigri!
»
« A te va bene, zia? Perché altrimenti lo richiamo
e gli dico… »
« Ma no, cara! Vai e divertiti » mi fece
l’occhiolino. « Si vede che pranzerò
fuori con Larry… »
« Piccioncini » sussurrai ridacchiando.
« Piccioncioni, al massimo, siamo over 60! »
Frank bussò alla porta alle 12 in punto. Avevo indossato un
vestitino lilla a fiori e mi ero fatta la coda di cavallo. Mi trovavo,
tutto sommato, carina. Non ero uno schianto, certo, ma passabile.
Lasciai che mia zia aprisse la porta. Frank entrò, allegro e
bellissimo come sempre. Portava delle Converse blu, una tuta nera e una
maglietta grigia dei Misfits. Capelli arruffati e una specie di
cestino nella mano sinistra.
« Buongiorno, signora Annie! Sua nipote è pronta?
»
Mi precipitai all’ingresso prima che mia zia potesse
rispondere.
« Molto bene, andiamo! Torneremo all'ora di cena. Arrivederci e buona giornata!
»
Quando mi voltai per salutare Annie, questa mi fece uno dei suoi soliti
sorrisetti maliziosi.
Frank mi prese a braccetto, compiacendosi nel vedere il rossore sulle
mie guance.
« Stai molto bene vestita così! Hai un
aspetto… Primaverile » disse sorridendo.
« Oh, grazie. Era quello l’effetto che volevo dare
» non sapevo che altro dire. Sentivo il contatto della sua
pelle con la mia, i nostri corpi così vicini. Ero bloccata.
Il mio cuore era bloccato. O forse batteva così velocemente
che era impercettibile, non lo so.
Passeggiavamo serenamente per Belleville, era una giornata stupenda.
Frank mi spiegò qualcosa sulle persone che incontravamo.
« Salve, signor Smith! » salutò un uomo
anziano, con lo sguardo ostile e il volto stanco, che rispose con un
sorriso tirato.
« Quello è il signor Paul Smith, un grande
guastafeste. Sta sempre in casa a maledire i ragazzini che giocano per
strada. Oh, quella invece è Marta Williams, insegna alle
elementari, è una ragazza meravigliosa, sempre disponibile
» Marta Williams ci salutò raggiante.
« E quello è… »
« Larry » lo interruppi ridendo.
« Come fai a conoscerlo? »
« Esce con mia zia! »
« Ooooh, che scoop! » esclamò
« un nuovo amore a Belleville. Come ti sembra? »
« Perfetto per lei » risposi con
semplicità.
« Quindi la signorina Pansy approva? » chiese con
un sorriso.
« Approvo, approvo! » scoppiammo a ridere per
strada. Lui rendeva ogni cosa dannatamente divertente.
« Hey, Frankie-boy, vedo che ti diverti! Non mi presenti la
tua nuova amica? » un ragazzo alto e magrissimo, con gli
occhiali, i capelli mori e un sorriso curioso si fermò
davanti a noi.
« Certo, Mikey » Frank si girò verso di
me. « Pansy, lui è Mikey Way; Mikey, lei
è Pansy, la nipote della signora Annie, ed è qui
in vacanza. »
« In vacanza? A Belleville? » Mikey Way trattenne
una risata e mi allungò la mano. « Molto piacere,
signorina! »
Strinsi la sua mano con energia e gli sorrisi, Mikey Way mi faceva
simpatia.
Improvvisamente sbucò di corsa da dietro l’angolo
un ragazzo vestito di nero. « Michael James Way! Dove cazzo
è la mia macchina?! » urlò furiosamente
prima di saltargli addosso. Era un ragazzo pallidissimo, con i capelli
lunghi e nerissimi e due occhi verde smeraldo. Mi sembrava bello.
Niente a che vedere con Frank, sicuramente –lui aveva un
sorriso così dolce da far apparire insulso tutto il
resto–, però quegli occhi verdi e la carnagione
candida mi affascinavano.
Mikey Way e il ragazzo pallido si azzuffarono lì, sul
marciapiede. Io ero abbastanza sconvolta. Diedi uno sguardo a Frank che
rideva con le lacrime agli occhi. « Amore fraterno
» mi spiegò. Notai però che guardava il
ragazzo dagli occhi verdi in modo strano. Sembrava attratto da lui.
« Hey, Gee! » esclamò Mikey tentando di
liberarsi da lui « su, non mi sembra il caso davanti ad una
ragazza! »
Quel Gee si alzò spolverandosi i vestiti. «
Giusto! Piacere, Gerard » mi rivolse un sorriso abbastanza
inquietante, devo dire, ma bello.
« Pansy, piacere. »
« Pansy! Come i fiori! Okay, devo scappare. Michael James,
finiamo di parlare a casa. »
« Bene, Gerard Arthur. »
Gerard ci salutò e scappò via, tanto velocemente
quanto quando era arrivato. Tipo strano… Come i fiori?! Che
cavolo…
« Ragazzi, vi lascio alla vostra vita. Pansy, è
stato un piacere; Frank, cerca di riportare l’auto di Gee
intera, altrimenti mi ammazza. Adios! » Mikey girò
i tacchi sistemandosi gli occhiali sul naso.
« I tuoi amici non sono normali » sussurrai a Frank
che ancora rideva.
« Lo so! Per questo sono miei amici. »
« Su, andiamo, Frankie-boy » dissi sorridente.
« Frankie. Solo Frankie, ti prego. »
Il parco era delizioso. Ci arrivammo dopo dieci minuti. Era una piccola
distesa verde smeraldo, circondata da cespugli di rose che brillavano
sotto il sole; gli alberi erano alti e sembravano fragili,
così fragili che temevo cadessero ogni volta che un
uccellino si posava su un ramo; la cosa più bella,
però, erano le margherite disseminate sul prato, le ho
sempre adorate, sono fiori estremamente semplici, ma meravigliosi.
Frank stese la tovaglia e si sedette, seguito da me. Aveva preparato un
picnic in piena regola.
« Allora, parlami un po’ di te »
suggerì passandomi un panino con pomodori e insalata.
« Bah, non sono interessante… Ho diciassette anni,
vivo a Trenton con i miei genitori che ora sono in Messico e mi piace la
musica. »
« Che gruppi ascolti, oltre ai Muse? » mi chiese
incuriosito.
« Be’, un po’ tutti i gruppi rock e punk.
Queen, Deep Purple, Ramones, Misfits, Black Flag… »
Gli si illuminarono gli occhi. Dio, erano meravigliosi. Lui lo era.
« Ho dischi di tutti questi gruppi! Te li faccio ascoltare
domani, se ti va » annuii con entusiasmo e iniziai a mangiare.
« Li hai preparati tutti tu, i panini? »
« Sì, ho fatto tutto io, da solo, con quello che
avevo in casa » rispose con un sorriso soddisfatto
« abito da solo. »
« Oh, che carino » non riuscii e trattenermi e
arrossii tutta. Anche lui sembrava leggermente imbarazzato. Le sue
guance assunsero un colorito più rosaceo. Si
scostò il ciuffo dagli occhi e mi sorrise di nuovo. Un
sorriso sincero, tenero, magnetico, che mi annullò e fece
evaporare qualsiasi pensiero razionale mi stesse rimbalzando in testa.
« Ah, mi ero dimenticato! » la sua voce cristallina
interruppe quel silenzio imbarazzato e dolce. « Tieni
» mi disse porgendomi un mazzo di fiori lilla e gialli dalle
sfumature blu. « Si chiamano Pansy, non potevo non prenderli
» aggiunse con un altro sorriso smagliante che andava da un
orecchio all’altro.
“Pansy! Come i fiori!” Finalmente compresi le
parole di Gerard e lo considerai un po’ meno pazzo. Poco
però. Strano che non avessi mai chiesto ai miei genitori il
significato del mio nome.
« Grazie, Frankie! Sei un tesoro » ero quasi
commossa. Quei fiori erano bellissimi e poi me li aveva regalati lui,
quindi…
« Figurati! Ho fatto delle ricerche sul tuo nome ieri,
così ho pensato di… » gli saltai
addosso e lo abbracciai, non so esattamente con che coraggio. Ci
rotolammo sul prato ridendo. Frank odorava di shampoo, ero impregnata
del suo splendido profumo. Stavo così bene fra le sue
braccia, ero sicura che non ci fosse un posto migliore sulla Terra.
Ci sdraiammo vicini. Frankie mi passò un braccio attorno
alle spalle e io poggiai la testa sul suo petto che ancora si alzava e
abbassava freneticamente per la risata. Ridevo anche io, i polmoni
erano stanchi e il cuore esplodeva di gioia. Non mi ero mai sentita
così viva, credo.
Parlammo tanto, di tutto –di ideali, di cose serie,
importanti, impegnative e di noi, dei bei momenti che avevamo
trascorso, delle cazzate che avevamo fatto con gli amici–,
fermi lì, su quel prato di un verde acceso, abbracciati.
« È tardissimo! » esclamò
« devo riportarti a casa all’ora di cena.
»
« Ma come sei protettivo e responsabile, Frank Iero!
» dissi ironica.
« Così ho detto a tua zia e così
farò. » Si alzò piano, prendendomi per
mano. Faceva fresco a quell’ora, nonostante fosse luglio, e
io mi ero abituata al calore del corpo di Frank.
Tornammo a casa e lui non lasciò la mia casa
finché non arrivammo davanti alla porta di casa mia.
A cena raccontai tutto ad Annie.
« Oh, cara, sono così felice per te! »
mi prese la mano e mi diede un bacetto sulla fronte.
Quella sera guardai la casa di Frankie. Era tutto spento e lui non era
in camera. Ma ero troppo stanca e felice per pormi domande,
così mi buttai a letto che mi addormentai ascoltando il
disco dei Muse.
Ce l’ho ancora, quel disco, ovviamente. Lo tengo sul comodino
e lo ascolto sempre quando la mancanza di Frank si fa insopportabile e
straziante.
Uhm, so che i primi capitoli sono terribilmente noiosi, ma da qui la faccenda si fa più interessante, yeyeah. ._.
Thanks to Pandins per le sue dolci parole *commossa* <3
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Capitolo 4 *** Cibo cinese; ***
Frank Iero e i My Chemical Romance non mi appartengono, tutto questo è frutto della mia mente bacata e blablabla, lo sappiamo. Allora, chiedo perdono per il ritardo, ma ho avuto problemi con il PC. Ho fatto una bella pulizia e ho dovuto anche cambiare nickname (non so perché, ma così mi hanno detto di fare). Ho riscritto questo capitolo otto volte e, be', mi fa ancora schifo. Comunque pazienza. All'inizio ci avevo messo una scena UUUH, ma ho pensato che almeno una fottuta ff poteva evitarlo il rating rosso. I ringraziamenti li inserisco nel prossimo capitolo perché è l'una e mezza, devo postare ancora una cosa e mia madre mi sta bestemmiando dietro. :D Chiedo scusa per eventuali errori, ma non l'ho ricontrollata.
Quanto manca ancora? Voglio Frankie. Guardo l’orologio e sospiro. Che faccio un due ore? Si è anche scaricato l’i-Pod. Mi toccherà pensare. Forse penso troppo.
Pioveva. Lo ricordo bene. Pioveva che Dio la mandava, come avrebbe detto Frank. E io che avrei fatto? Niente bici, niente picnic, niente passeggiata. Mi alzai, confusa e stanca. Mi sentivo davvero spompata. Perché?
Strascicai i piedi col resto della mia carcassa fino al bagno e mi sciacquai il viso con l’acqua gelata. In quell’istante ricordati a cosa era dovuta la mia stanchezza. Avevo sognato di fare l’amore con Frank. Arrossii leggermente. Era stato così bello, sul prato del picnic… Ore le mi guance erano in fiamme. Mi lavai la faccia tre volte con l’acqua gelide, avevo quasi perso la sensibilità.
Scesi in soggiorno, la zia non c’era, ma trovai un suo biglietto sul divano.
« Larry ha chiamato questa mattina presto » lessi ad alta voce, « sono andata con lui in campagna. Tornerò a cena. Non penso che ti dispiacerà, c’è Frank! Ti voglio bene, Annie. »
Bene. Niente da fare, nessun con cui mangiare. Barcollante, andai in cucina. Il caffè era pronto e sul tavolo c’erano due muffin. Due? Perché? Sa che non ne mangio mai più di uno.
Come risposta ai miei pensieri, qualcuno bussò alla porta. Mi diressi verso l’ingresso, sperando che non fosse l’idraulico, Bob. Quell’uomo mi inquieta. Diedi un morsetto al mio muffin e aprii la porta.
Frank Iero. Sorridente. Bagnato.
Quasi sputai in cibo che avevo in bocca quando mi apparse quel ragazzo meraviglioso davanti agli occhi. In quel momento mi riaffiorarono in mente le immagini del sogno. Arrossii di nuovo, come se lui potesse leggermi i pensieri. Sapeva leggere i miei stati d’animo, non si può mai sapere. Inoltre ero in pigiama e spettinata, con un aspetto terribile.
Mi chiesi perché non avesse preso un ombrello. Ma da Frank ci si poteva aspettare qualsiasi cazzata.
« Hey, ragazza, mi fai entrare o preferisci che muoia congelato?! »
Mi risvegliai e lo feci accomodare, cercando disperatamente quanto inutilmente di darmi una sistemata.
« Tua zia mi ha telefonato » esordì mentre appendeva la felpa fradicia all’attaccapanni, « mi ha detto che saresti stata sola tutto il giorno, così sono venuto a farti compagnia. »
“Non penso che ti dispiacerà, c’è Frank!” Malefica vecchietta. Dolce, intelligente, amabile malefica vecchietta.
« Non mi sembri molto entusiasta » Frank mi squadrava stranito.
« No no, scusa, è che mi sono appena alzata. Vuoi un muffin? »
Sorrise raggiante e annuì con vigore.
La mattinata passò benissimo, avevamo fatto colazione e guardato due dei film che aveva portato. Li avevamo guardati seduti sul divano. Insieme. Vicini. Tanto.
Frank sollevò la cornetta del telefono « Cinese? »
« Okay… Involtini primavera, per me. Quasi tutto contiene carne. »
« Sei… Vegetariana? » mi chiese mentre componeva il numero.
« Sì, perché? » speravo che non fosse un problema per lui.
« Lo sono anche io » disse sorridendo.
I nostri involtini arrivarono dopo dieci minuti. Portai i sacchetti in cucina, Frankie aveva apparecchiato.
« Dio, sono ancora fradicio! Come diavolo è possibile?! » esclamò toccandosi la maglietta bagnata.
« Hey, vuoi un phon? Oppure ti presto una delle mie camicette » dissi ridendo.
« Ehm, no, grazie. Ti dispiace se la tolgo? »
« Fa’ pure » risposi semplicemente, senza pensare, troppo indaffarata a prendere gli involtini primavera. Poi, realizzai. Frank Iero si era tolto la maglietta. Nella mia cucina. Ed era vicino a me, indaffarato a sistemarsi i capelli.
« Puah, magari per questi mi ci vuole davvero, il phon! »
Okay, calma. Che vuoi che sia? Mi dissi. Alza la testa e dagli i suoi involtini.
« Frankie, vuoi… » mi si fermò il cuore. Era… bellissimo.
Mi avvicinai a lui lentamente, come in trans. Appoggiai le mani sul suo petto fresco e alzai gli occhi. Li puntai nei suoi. E mi ci persi. Avvicinai le mie labbra alle sue, lui non si scostò. Mi cinse un fianco con una mano e avvicinò ancora di più il suo volto al mio. Chiusi gli occhi e lo baciai, come desideravo fare dal primo istante in cui l’avevo visto.
Le nostre labbra di schiusero insieme, le lingue si cercarono, i respiri si mischiarono e i battiti si confusero. Mi guidò lentamente verso il soggiorno e mi spinse sul divano, delicatamente. Era sopra di me. Continuava a baciarmi, continuavo a baciarlo. Io lo amavo, Frank. Me ne resi conto. Era il mio primo bacio, quello. Volevo aspettare la persona giusta ed era lui. Frank Iero era la persona giusta, lo sapevo, nonostante lo conoscessi da quattro giorni.
Frank mi tolse la maglietta e mi sfilò i pantaloni, prima di fare lo stesso con i suoi. Mi sganciò il reggiseno e lo lanciò via. Avevo un po’ di paura, ma lui era Frank, così mi feci coraggio.
Puntò i suoi occhi brillanti nei miei, mi sorrise, poi passò a baciarmi il collo. Tanti piccoli e dolci baci umidi, che si spostarono sempre più giù, sui miei seni, sullo sterno, sulla pancia, sul ventre. Afferrò delicatamente l’orlo dei mie slip e mi guardò. Io gli sorrisi, capì che era un cenno d’assenso. Noi ci capivamo, eravamo Frank e Pansy, eravamo perfetti. Io lo amavo.
Mi esplode il cuore ricordando quel momento. Avevamo fatto l’amore, lì, sul divano di Annie. Ed era stato bello, come nel mio sogno. Poi rimanemmo vicini, abbracciati, per un tempo indefinito.
Strinsi forte la sua mano. « Ti amo, Frankie » ero innamorata, finalmente. Stavo così bene con lui ed ero felice di aver aspettato per cercare la persona perfetta.
Lui non disse niente. Mi guardò, nient’altro. Mi fissò per un istante. Poi sorrise e chiuse gli occhi, passandomi delicatamente una mano sulla guancia.
Quel pomeriggio mi portò a casa sua ad ascoltare quei famosi dischi. In realtà, sinceramente, volevo Frank, non mi interessava altro, non mi era bastata la meravigliosa esperienza di prima.
« Ecco, Ramones » disse sorridente mentre inseriva il CD. Io però volevo che inserisse qualcos’altro in qualche altra parte e mi stupii di quel pensiero, diventando rossa fino alla punta dei capelli.
Mi accomodai sul suo letto e chiusi gli occhi. Lo sentii sedersi vicino a me, il cuore mi batteva forte, lo ricordo perfettamente, ma cercavo di concentrarmi sulla voce di Joey Ramone e non sul respiro di Frank.
Gli strinsi la mano. All’improvviso la paura che potesse lasciarmi e sparire per sempre mi avvolse, dovevo sentire che lui c’era, che era lì con me. Mi lasciò fare e mi sorrise, poi si alzò, tenendomi per mano, e mi accompagnò a casa.
« Ciao, a domani » disse baciandomi delicatamente.
« A domani » lo abbracciai appoggiando la testa nell’incavo della sua spalla e beandomi del calore e della protezione che mi dava, « ti amo. »
Mi sorrise teneramente e se ne andò.
Gliel’avevo detto due volte, che l’amavo. Non mi aveva risposto. Pazienza, non volevo pensarci. E poi, se aveva fatto l’amore con me, mi amava, giusto?
Quei ricordi mi accendono una fiamma nell’anima. Fra poco lo rivedrò e faremo di nuovo l’amore, fino a crollare. E lui mi dirà che mi ama.
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Capitolo 5 *** Gerard; ***
I MyChem non mi appartengono e blablabla, dai, lo sappiamo. u.u Un colpo di scena, oh finally! :D E mi scuso per eventuali errori, ma l'ho copiate all'una ed è già tanto se mi ricordo la discografia dei MyChem a quest'ora. D: Peace;
Un’ora. Manca solo un’ora. Questo pensiero allontana un po’ la noia di un viaggio senza musica. Cosa gli dirò una volta arrivata? “Frankie! Sono Pansy, ricordi?” Be’, si ricorderà per forza di me, giusto? Dopo una settimana meravigliosa passata insieme… Magari lo abbraccio semplicemente e gli chiedo come sta. O lo devo baciare? No, meglio di no. È passato un anno.
Mi arriva un sms.
‘Ciao, tesoro! Sono Annie, ho imparato ad usare questo aggeggio. Fra quanto arrivi? Ho preparato i soliti biscotti. (: Un bacio, zia An.'
PS: ho detto a Frank Iero che stai venendo qui.’
Ora le rispondo. Le dico che manca un’ora. Un’ora, un’ora sola. Un’ora a Frank.
Non dormii affatto quella notte. Ero troppo felice per dormire. Ma in mezzo alla mia felicità si insinuavano delle domande, dei dubbi. Perché Frank non mi aveva risposto quando gli avevo detto che lo amavo? Ciò che avevamo fatto non significava niente? Io cosa significavo per lui?
Mi alzai alle sette. Scesi piano le scale per non svegliare Annie e mi preparai la colazione. Mentre mangiavo un muffin in piedi, scostai le tendine della finestra. Dalla cucina si vede la piazza principale della città. Già a quell’ora c’era un sacco di gente che passava. M’incantai a guardare tutti quegli sconosciuti assonnati. Passarono anche Marta Williams, con un sorriso radioso sulle labbra e una cartelletta in mano, e Larry, che si accorse di me e mi salutò allegramente.
Zia Annie mi spaventò quando scese in cucina.
« Che stai guardando, cara? »
« Niente… Le persone » risposi con semplicità. Mi voltai per guardare l’orologio, erano le 10. Avevo passato tre ore alla finestra –assurdo, lo so– ma non mi ero ancora stancata, quindi mi affacciai di nuovo.
Notai due ragazzi che litigavano in fondo alla piazza. Uno era quel tipo strano, quello pallido. Gerard Way. L’altro non l’avevo mai visto. Sembrava uno normale. Ad un certo punto, quello normale se ne andò, lasciando Gerard da solo. Mi sembrò di vederlo piangere. Gerard Way, intendo. Si coprì il volto con le mani e corse via. Faccenda strana.
« Pansy, esci, su! C’è il sole, ma non fa nemmeno troppo caldo. Fai un giro in bici.»
La zia aveva ragione, dovevo uscire un po’. Salii le scale e qualcuno bussò alla porta. Era Larry.
Oooh, ora capisco. Pensai, sorridendo.
Era davvero una bella giornata. Si stava bene con i jeans e il sole splendeva dietro alle nuvole bianche. Ogni tanto passava anche un venticello quasi fresco.
Andavo tranquillamente in bicicletta canticchiando ‘We Will Rock You’, quando, costeggiando il parco del pic-nic, giunse alle mie orecchie un suono strano. Un lamento. Un pianto.
Entrai nel parco, magari qualcuno aveva bisogno d’aiuto. Trovai Gerard Way in lacrime, seduto sul prato. Quell’immagine mi spezzò il cuore, davvero. Non conoscevo quel ragazzo, ma mi sembrava fragile e vederlo piangere era straziante.
Appoggiai la bicicletta ad un albero e mi sedetti accanto a lui, senza dire una parola. Gerard si accorse di me, ma continuò a piangere. Io guardavo di fronte a me, senza muovermi.
« Ciao » disse fra i singhiozzi, spezzando il silenzio.
« Ciao » lo guardai. Aveva gli occhi rossi, appannati e stanchi. L’immagine di due giorni prima, quando avevo visto i suoi occhi verdi brillare, si sovrappose a ciò che vedevo in quel momento. Era terribile vederli spenti dopo averli visti accesi e vivi, anche se animati dalla rabbia nei confronti del fratello.
« Vuoi parlare? » gli chiesi tranquillamente.
« E tu vuoi ascoltare i lamenti di uno sconosciuto? »
« Sì. »
Mi rivolse un sorriso stanco. « Mi ha lasciato. »
« La tua ragazza? »
« Il mio ragazzo. »
« Ah » ecco chi era il tipo in piazza con lui. Il suo ragazzo.
« Si chiama Matt. È un po’ arrogante, ma se lo conosci bene non ci fai nemmeno caso. Inoltre è un bravo batterista, sai? »
« E cos’è successo? »
« Mi ha visto mentre baciavo… » si interruppe un attimo e mi guardò, quasi colpevole. « ... Un altro. »
« Oh, capisco… Tu di chi sei innamorato? Di Matt o dell’altro? »
« È questo il problema, non lo so. Io e Matt stiamo insieme da qualche mese, lui è molto protettivo nei miei confronti. Frank invece è… »
« FRANK? » sgranai gli occhi.
« Ops. »
« Frank, quel Frank? Frank Iero? Ti ha baciato? »
« Sì, l’altra sera. Ma non c’è niente fra di noi, non vogliamo rovinare un’amicizia e la band. Poi mi ha detto che è innamorato di un’altra. »
Un’altra. Io?
« Chi? »
« Non lo so. »
« Be’, comunque spiega a Matt quello che hai spiegato a me. Se ti ama, ti perdonerà, altrimenti ci sta un bel vaffanculo. »
« Sai, hai ragione! Grazie. »
Ero contenta di averlo aiutato, anche se ero ancora un po’ scossa per il fatto del bacio. Su, è stato solo un bacio fra amici.
Gerard si alzò e mi porse una mano.
« Pranziamo insieme? »
« Uhm… » lasciare Annie sola con Larry mi sembrava una buona idea. « Okay! »
« Bene! Pizza? »
« Perfetto. »
« Vieni, dai, mangiamo da me. »
« Hai un appartamento… »
« Strano? » disse ridendo mentre ordinava le pizze.
« Ecco. »
« Sì, lo so, è quello che dicono tutti. »
Era un appartamento, per così dire, inquietante. Era lugubre.
Aiutai Gerard ad apparecchiare la tavola, lui intanto mi parlava della sua vita. Era un ragazzo interessante, nonostante lui pensasse il contrario.
« E fu così che Frank trovò una forchetta nel tostapane! »
Scoppiai a ridere. Ma che famiglia strana, Dio mio!
Qualcuno suonò il campanello e Gerard andò ad aprire.
« Gee, mi dispiace, è tutta colpa mia » dall’ingresso arrivava la voce di Frank. « Dobbiamo parlare. Ascolta, tu, io, il bacio… era giusto così, Gee, lo sai! Noi… tu… cazzo, Gerard, io ti… »
Uscii dalla sala da pranzo, Frank mi vide e si interruppe.
« Pansy… Che ci fai qui? »
« L’ho invitata a pranzo » Gerard rispose per me.
« Oh, be’, tornerò più tardi. Ciao, ragazzi. »
Gee mi guardò interrogativo, io aggrottai un sopracciglio. « Boh. »
Ero stata molto bene con Gerard quella mattina. Mi aveva fatto vedere i suoi disegni e aveva anche cantato qualcosa.
Quando mi aveva accompagnata a casa, gli avevo scritto il mio numero di cellulare su un foglio. « Se hai bisogno di parlare… » avevo detto. Non ci stavo provando, lo sapevamo entrambi.
« Pansy, vado a fare la spesa » Annie mi svegliò dai miei pensieri.
« Ti serve una mano? »
« No, vado con Larry… »
« Oooh, capisco. A dopo, divertitevi! »
Mi alzai dal letto e andai in soggiorno a guardare la tv. Desideravo chiamare Frank, ma avevo la sensazione che lui volesse evitarmi.
Lo squillo del telefono mi svegliò. Erano le 5, Annie non era ancora tornata.
« Pronto? »
« Pansy, ciao » il mio cuore iniziò a battere un po’ più forte.
« Ciao Frank. »
« Che fai domani sera? »
« Niente, perché? »
« Io e i miei amici abbiamo pensato di cenare fuori, tutti insieme. Vuoi venire? Ci sarà anche Gerard… »
« Certo. »
« Okay, passo a prenderti io. Ciao… »
« Frank. »
« Sì? »
« Che hai? »
« Niente, non preoccuparti. »
« Okay, ciao. »
« Ciao, Pansy. »
Ricordo ancora il suo tono di voce. Era strano. Sembrava triste, deluso. Era bruttissimo non sentire il suo solito tono gioioso.
Manca solo un’ora a Belleville, potrei dormire un po’.
Tadan! Qui le cose si fanno interessanti, a parer mio (che non ho ancora idea di come andare avanti... Mi verrà l'ispirazione in un sogno, come sempre). Chi sarà questa lei di cui Frankie è innamorato? E la faccenda con Gee? Boh, non lo so nemmeno io. ._.
Allooooora, passiamo alle cose serie. u.u
Ringrazio la mia Als, aka halscott, perché mi ha obbligata a postare questo capitolo now e non fra dieci anni. Ti lOwwO sister, lo sai. è.é Anche tu sei un Dio.
Poi Pandins che si è ricordata della mia esistenza e mi ha chiesto se fossi viva. Grazie. *commossa, come al solito*
BBBlondie, il fatto della chitarra è il pezzo forte della ff, alla fine. Poi si saprà. u.u
E, ovviamente, grazie a tutte le altre belle donne che hanno recensito questa ff che ormai sta avendo una piega tutta sua, ovvero: jessromance, Nightrain e Lady Numb. Scusate, ma mi gaso troppo a scrivere i ringraziamenti, cioèèè. u.u Sono idiota, lo so. Bye. ♥
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Capitolo 6 *** Car wash ***
Il disclaimer è sempre lo stesso. ._. Spero sia minimamente decente. Peace. :)
Il cielo
è sempre più scuro. Mi piace, devo dire. Non so
come mai.
Non
riesco a calmarmi, un nome mi rimbalza fra le pareti della testa. Un
nome,
sempre lo stesso, lo stesso da giorni, da mesi, lo stesso da un anno.
Manca
poco ormai. Due - tre fermate? Sono elettrizzata, non riesco a stare
ferma,
voglio alzarmi, voglio muovermi, urlare il suo nome, camminare avanti e
indietro. Mi sento dannatamente idiota.
Quella
mattina tirava un vento fresco. Era sabato.
Stavo
aiutando mia zia con le borse della spesa. Mi sentivo un po’
impacciata
camminando per strada carica come un mulo.
« Pansy,
ce la fai? »
« Sì,
zia, non preoccuparti, sono solo fuori allentamento! »
« Lo
vedo, infatti. Dovresti fare un po’ più di sport,
sai, cara? »
« Lo so,
è che sono pigra… » Mentre imprecavo
contro una bottiglia d’acqua che stava
quasi per squarciare il sacchetto, incrociai lo sguardo di Mikey Way,
che mi
salutò con un sorriso.
« Ciao,
bella! Vieni stasera, vero? »
« Oh,
ehm, sì, credo… »
« Certo
che viene, Michael! » mia zia si intromise, ridendo.
« Le farà bene
socializzare con gli altri, non esiste solo Frank Iero. »
Io
arrossii da capo a piedi e le lanciai uno sguardo che sarebbe dovuto
essere
intimidatorio. Probabilmente non ottenni l’effetto
desiderato, non sono mai
stata brava in queste cose.
« Oh,
già, ma Frankie fa un certo effetto alle ragazze…
Lo invidio! » Mikey Way rise,
timidamente. « Sono contento che verrai anche tu, Pansy, lo
dirò a Gerard, ne
sarà entusiasta! Devo andare, ci vediamo più
tardi. Arrivederci, signorine »
esclamò facendo un breve inchino.
« Gerard?
» Annie mi guardava divertita.
« Cosa? »
sbuffai « Abbiamo pranzato insieme ieri. Niente di strano.
»
« Sarà… »
Quel
pomeriggio decisi di dedicarmi a mia zia. Mi mancava passare il tempo
con lei,
come quando ero piccola. Era sempre stata una specie di seconda mamma
per me.
« Ma no!
Mi hai mangiato il cavallo! »
« Sì,
cara. »
« Ma io
sono vegetariana » esclamai ridendo, « non puoi
mangiarmi il cavallo! »
Annie si
unì alla mia risata. « Non usare queste scuse,
tesoro, tanto non puoi battermi.
»
« Oh,
be’, io non so giocare a scacchi, è risaputo!
»
« Sei
troppo pigra per imparare. »
«
Esattamente. »
Cercai di
capire che mossa fare mentre mangiucchiavo delle patatine. «
Uhm, basta, mi
arrendo. »
« La tua
vecchia zia è o non è la campionessa mondiale di
scacchi!? »
« No,
direi di no. Però puoi essere la campionessa di Belleville,
se ci tieni. »
« Mi
accontenterò. »
Squillò
il mio cellulare, la voce possente di Bon Scott riempì il
salotto. « Sì? »
« Ciao,
sono Frank » il suo tono sembrava tornato normale, allegro
come al solito.
« Oh,
ciao Frankie. Come hai il mio numero? »
« Gerard…
Senti, ascolta, ti va di farmi un favore? »
« Certo,
dimmi. »
« Vieni a
casa mia e ti spiego. »
« Okay,
attraverso la strada » risposi ridendo.
Mia zia
mi guardava divertita.
« Vado da
Frank Iero. »
« Brava,
cara » mi strizzò l’occhio e sorrise
notando il rossore sulle mie guance.
«
Ma lo
fai apposta?! » gridai una volta entrata nel giardino di
Frank, ritrovandomelo
davanti a petto nudo, completamente bagnato e… insaponato?
« Be’, in
effetti sì! » sorrise e mi cinse i fianchi, prima
di lasciarmi un breve e
tenero bacio sulle labbra, che mi confuse e mi fece girare la testa.
« Ti senti
bene? »
« Sì sì »
mi affrettai a rispondere, « allora? Che devo fare?
»
«
Aiutarmi a pulire l’auto di Gerard! » Frank aveva
un sorriso smagliante
stampato sulle labbra. Mi accompagnò in garage, raccolse una
spugna da terra e
me la porse, facendomi l’occhiolino. «
Be’? Diamoci da fare, su. »
« Ma voi
di Belleville mica eravate pigri? »
« Ogni
tanto ci risvegliamo. »
Frank
immerse la sua spugna in un secchio pieno d’acqua e sapone e
iniziò a lavare il
cofano, che era incredibilmente sporco.
« Ma che
cazzo ci hai fatto con questa macchina? » chiesi alzando un
sopracciglio.
« Diciamo
che ho avuto un piccolo incidente con una pozza di fango…
Ma, bellezza, sei qui
per pulire, non per fare domande compromettenti. »
Lo baciai
lentamente e iniziai a ripulire il parabrezza. In poco tempo mi ero
completamente bagnata. Sbuffai.
« Uhm… »
« Che
c’è? »
« Stai
bene bagnata, sai? » Frankie mi regalò un
sorrisetto malizioso, avvicinandosi a
me.
« Anche
tu, direi. Però siamo qui per pulire, ricordi? »
«
Ricordo, ma pensi che mi importi? » mi spinse piano contro la
portiera dell’auto
e appoggiò le labbra umide sulle mie. Sapeva sempre di
buono, Frank Iero.
Dischiusi le mie labbra in un bacio appassionato, infila dogli le mani
fra i
capelli bagnati e fremendo al contatto con la sua pelle fresca sui miei
fianchi.
E si
azzardano a chiedermi cosa ci trovo in Frank. È
così difficile da capire,
insomma?
Staccò le
labbra dalle mie, tenendo il viso a pochi centimetri dal mio. I nostri
nasi si
sfioravano. Sorrisi. Stavo bene.
« Non mi
era mai piaciuto così tanto lavare una macchina. »
« Forse
dovremmo farlo più spesso allora, Frankie. »
« Direi
proprio di sì » mi prese per mano e mi
accompagnò in casa.
« Ehm,
Frankie, stiamo sporcando tutto. »
« Oh,
pazienza! »
« Certo
che sei proprio una perfetta donna di casa » dissi, ridendo e
passandogli una
mano fra i capelli. Notai l’enorme orologio appeso di fronte
all’ingresso. «
Merda, è tardi! Devo andare. »
« Oh… »
Frank mi guardò con quegli occhi grandi, grandi e
bellissimi, e mi sorrise
teneramente. Capii che non voleva che me ne andassi. Gli poggiai una
mano sulla
guancia e la accarezzai delicatamente. « Devi proprio andare?
»
« Sì,
Frankie… »
« Ci
vediamo stasera, vero? » i suoi occhi brillavano sopra al suo
sorriso
meraviglioso, pieno di speranza.
« Certo »
lo baciai. Le sue labbra, ora ardenti, si muovevano con le mie,
movimenti
perfetti, lenti, dolci, senza pretese, senza fretta. « A
dopo. »
« A dopo,
Pansy. »
Mi voltai
e afferrai la maniglia della porta così piano da risultare
ritardata, ma non
volevo andarmene.
« Pansy! »
« Sì? »
girai la testa, confusa.
« Mettiti
quel vestito… Quello a fiori. »
« Quello
che mi dà un’aria primaverile?
»
« Quello »
mi salutò sorridendo ed io ero così dannatamente
felice di vederlo sorridere
ancora che sarei rimasta a fissarlo per ore.
Frank
arrivò alle otto e trenta in punto. Indossava una maglietta
dei Ramones,
attillata come al solito, e un paio di jeans semplici. Era bello,
ovvio, non me
ne meravigliavo nemmeno più. Okay, forse un po’.
Quando aprii la porta, mi
sorrise notando il mio vestito. Quello primaverile,
sì.
«
Andiamo? »
«
Andiamo. »
Il
ristorante era piccolo piccolo, un posto accogliente. Al nostro tavolo
erano
sedute una dozzina di persone. Frank me le presentò tutte,
ma non ricordo chi
ci fosse oltre ai fratelli Way, una certa Gina, un tipo strano di nome
Jack,
Jamia, una ragazzetta mora, e Ray, un capellone dall’aria
simpatica.
A metà
serata eravamo tutti un po’ brilli. Gerard si era addirittura
messo a ballare
una specie di danza indiana sulla sedia. Era buffo.
Frank
rideva in continuazione, senza mai fermarsi. Non ero nemmeno sicura che
respirasse. Parlava con quella ragazza, quella mora. Jamia. Lei
sembrava cotta
fino all’osso, se si può dire così.
Era
bella, Jamia. Mi piaceva. Aveva un sorriso che le illuminava il volto
delicato,
contornato da lisci e fini capelli neri che le ricadevano sulle spalle
esili.
Era stata gentile con me, fin dall’inizio, ma notavo un
po’ di competizione – o
gelosia? – nel suo sguardo.
Ad un
certo punto, uscii. Non so perché, forse mi stavo annoiando,
forse volevo solo
stare tranquilla, forse mi irritava il fatto che Frankie parlasse
più con Jamia
che con me.
« Hey »
Gerard mi seguì barcollando, « dove vai?
»
« Volevo
solo prendere un po’ d’aria, tutto qui »
risposi sorridendo.
Ci
sedemmo su una panchina. « Chi è quella ragazza
mora? »
« Jamia? »
« Sì,
lei. »
« L’ex
ragazza di Frank » disse abbassando gli occhi.
« Ah… »
« Gelosa?
» mi chiese alzando un sopracciglio e regalandomi un sorriso
malizioso.
« Sì »
confessai tranquillamente. Non sapevo mentire a Gerard. Non sapevo
mentire in
generale, veramente.
« Anche
io » guardò davanti a sé e si
passò una mano fra i capelli. « Ma è
finita, non
preoccuparti. Sono rimasti solo buoni amici. » Gerard si
alzò e mi prese per
mano. « Dai, torniamo dentro. Poi pensano cose strane
» rise. Una risata
lugubre. A volte Gerard Way faceva paura.
Alla
fine, mi lasciai andare anche io. Ray mi invitò a ballare un
valzer e mi pestò
i piedi minimo cento volte. Però non mi importava, era
divertente.
Tornai a
casa completamente ubriaca, sorretta da Frank, appena più
sobrio di me.
« Cazzo,
cosa dirà tua zia? Non dovevo farti bere così
tanto! »
« Farmi
b-bere? » risposi tra risate e singhiozzi. « Mica
sei mio padre! »
Frank mi guardò, confuso, e ci
mise quindici minuti buoni ad infilare la chiave nella serratura di
casa mia.
Mi prese in braccio e mi portò in stanza, cercando di non
fare rumore. Ora, un
ubriaco che cerca di non fare rumore non riesce quasi mai nel suo scopo
e zia
Annie si svegliò. Guardò me, guardò
Frank e scosse la testa, poi tornò in
stanza ridacchiando e blaterando qualcosa sulle nuove
generazioni prive di fede, freni e inibizioni.
« Fa
rima! » esclamò Frankie, ridendo.
« Non fa
ridere, Frank! » ridevo anche io, intanto.
Mi adagiò
sul letto e mi rimboccò le coperte.
« Mi
metti a letto vestita? »
« Sarebbe
bello svestirti, ma non mi sembra il caso » Frank si
avviò ridacchiando verso
la porta.
« E
daiiii Frankie! Domani me ne vado. »
« Ah.
Domani » si voltò. Non rideva più.
« Allora vedremo di fare qualcosa di
speciale, domani » mi strizzò l’occhio e
uscì dalla mia camera. Probabilmente
rotolò giù per le scale perché sentii
un tonfo sospetto, ma non me ne curai e
mi addormentai, serena, prima di sentire il rumore della porta
principale che
veniva chiusa a chiave.
Ripensare
a Ray ubriaco mi fa ridere. Ripensare a Gerard, Mikey, Gina, Jack
ubriachi mi
fa ridere, in effetti. Frank invece è tenero comunque. Anzi,
forse anche di
più.
Ripensare
a Jamia mi fa uno strano effetto però. Non lo so,
sarò idiota, probabilmente.
Ripensare
a Belleville mi fa venire una nostalgia mai provata prima.
Pensieri
che mi girano alla rinfusa nella testa, mentre le prime gocce
d’acqua corrono e
disegnano ruscelli in miniatura sul finestrino.
Si ringrazia willwoosh, ovviamente. xD Chi capisce ha la mia stima. u.u Vero, Ale? Se non hai capito, ti prendo a sprangate. E, ah, so che la scena del lavaggio è estremamente corta e non rende l'idea. L'avevo fatta molto più lunga, ma i capitoli lunghi mi scazzano, quindi l'ho accorciata. D:
Love ♥ |
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Capitolo 7 *** So long; ***
Il disclaimer è sempre quello. I MyChem non mi appartengono, no no no. D:
Avevo voglia di scriverlo adesso. Be', l'ho scritto. ._.
Sto
pensando che magari potrei
prenderle un regalo. Alla zia, un regalo alla zia. Le piacciono i
cioccolatini.
Ma sì, magari scendo dal treno e cerco un negozietto di
dolci in stazione. Ne
sarà entusiasta.
Anche a Frank piace il cioccolato.
«
Cazzo,
sto per avere un orgasmo! »
Lo
guardai, alzando il sopracciglio.
« Che
c’è? In senso figurato dai. È troppo
buono »
Frank aveva
infilato tutta la testa nella scatola di cioccolatini che qualcuno misteriosamente gli aveva
spedito.
«
Ma chi
te li ha mandati, scusa? »
« Uhm…
Non lo so » scrollò le spalle, «
però sono buoni. Vuoi assaggiare? »
Feci
segno di no con la testa e tornai a guardare fuori dalla finestra della
sua
camera. « Domani vado via, Frank. »
Silenzio.
Un
silenzio dannatamente irritante, denso e doloroso.
« Non
voglio che tu te ne vada » disse tranquillamente, guardandomi
con quei suoi
fottutissimi occhi che non smetterò mai di amare.
« Nemmeno
io voglio andarmene, ma devo. Tornerò l’anno
prossimo, comunque. »
« Brava,
altrimenti ti vengo a rapire io! »
« Devo
ammettere che l’idea di essere rapita non mi dispiace affatto
» sorrisi. «
Avevi detto che avremmo fatto qualcosa di speciale oggi. »
« Già… è
che non ho la più pallida idea di cosa fare. Scusami,
davvero, sono a corto di
idee » Frank si grattò la testa, imbarazzato.
« Oh, non
importa. Mi basta stare con te. »
Si alzò,
mi prese per mano e uscimmo per le calde strade del New Jersey.
« Ma qui un
giorno piove, un giorno c’è il sole…
bah. »
« Io ci
ho fatto l’abitudine » rispose con un sorriso,
« ed è meraviglioso. Non c’è
nessun posto come il Jersey. »
Anche io
amavo il New Jersey. Amavo Belleville. Solo per Frank, immagino.
« Sai,
questa è stata la settimana più bella della mia
vita » ero commossa, ma non
volevo piangere. Insomma, dai, a diciassette anni non si piange per
queste
cazzate. « E tu, Frankie, non sei un amore estivo »
mi fermai e puntai gli
occhi nei suoi. Lui mi guardava, confuso, tenendo ancora stretta la mia
mano. «
Sei di più. Se capisci cosa intendo. Gli amori estivi
finiscono, durano
un’estate » e certo, sono
estivi, brutta
idiota, « ma tu… tu, sei diverso. Non mi
dimenticherò di te, Frank Iero.
Aspetterò un anno e tornerò qui, da te. Magari mi
trasferirò anche, un giorno »
sorrisi. « Ti amo, Frank. »
E questa volta, cazzo, dopo un discorso
così – che per me è a dir poco
profondo, dato che non sono la maga dei
sentimenti – mi aspettavo un
“ti amo anche io” o almeno un fottuto
“grazie”. No. Niente. Non disse niente.
Niente. Niente di niente.
Continuò a guardarmi. Sorrise. Però mi
sorrise. E mi bastava quello, in fondo. Amavo il suo sorriso, valeva
più di
qualsiasi parola.
Voltai la testa e mi ritrovai davanti
Gerard.
«
Hey »
« Ciao,
Pansy. Frank… » fece un cenno con la mano, a
mo’ di saluto. « Vai via oggi? »
Annuii,
sorridendo tristemente. Gerard mi abbracciò. E, oh, era un
abbraccio caldo. Forse a vederlo
non si direbbe
che Gerard Way è uno che regala abbracci caldi, insomma,
sembra più una specie
di vampiro, no? E invece mi abbracciò, come si abbracciano
due fratelli prima
di un viaggio, due amici, due che si conoscono da una vita. Due che si
vogliono
bene.
Ricambiai
l’abbraccio e mi posai un bacio sulla guancia. « Mi
chiamerai, ogni tanto,
vero? »
« Se non
sarò troppo impegnato… » rispose con
l’aria di un grande uomo vissuto.
« E che
avrà mai di così importante da fare, Gerard
Arthur Way?! »
«
Accademia d’arte! » esclamò, raggiante.
« Ti
hanno presto? » Frank si intromise, mezzo sconvolto. Non so
come mai, a me
sembrava una bella notizia.
« Sì!
Parto fra… uhm, un’ora? »
« Ma… » si
interruppe e abbassò la testa, improvvisamente
trovò le sue All Star
dannatamente interessanti.
« Ma? »
« Niente.
Mi mancherai, Gee » e lo abbracciò, lentamente.
Troppo lentamente. Rimasero
così, abbracciati, per un bel po’ di tempo. Mi
sembravano carini. Come amici,
si intende.
« Anche
tu mi mancherai » Gerard sciolse
l’abbracciò e ci salutò. «
Vado a fare le
valigie. Ci vediamo l’anno prossimo, okay? Ciao, ragazzi
» e se ne andò via di
corsa, proprio come la prima volta che lo vidi. Salutarlo
così mi fece uno
strano effetto. Mi mancava già.
Frank era
strano.
« Che
hai? »
« Niente,
è che mi mancherà il mio migliore amico. Tutto
qui » aveva gli occhi lucidi.
« Pansy!
Hai preso tutto? »
« Sì, zia
» risposi mentre ero indaffarata a sistemare i bagagli. Il
vinile di Frank
l’avevo lasciato fuori. Volevo portarlo a mano, avrebbe
potuto rompersi.
« Hey,
ragazza » quanto mi
mancherà questo “hey
ragazza”.
« Ciao,
Frankie. »
« Hai
presente quel qualcosa di speciale? » disse richiudendosi la
porta della mia
stanza dietro le spalle.
« Quel
qualcosa che non c’è? » scoppiai a
ridere.
« No,
cara, quel qualcosa che c’è ora » si
avvicinò a me e mi allungò un cofanetto di
velluto blu. Io adoro il blu. E adoro i cofanetti. E adoro Frank. Okay,
no, sto
divagando.
« Che
cos’è? » chiesi, sorpresa.
« Be’,
aprilo, no? »
Aprii il
piccolo cofanetto e qualcosa scintillò sotto i miei occhi.
Un bracciale. Con
tanti ciondoli. Sgranai gli occhi, commossa.
« Allora…
» iniziò Frank, « sono sette. Il primo
» disse indicando un ciondolo, « è un
pattino a rotelle. Non avevano i rollerblade, scusa, ma il concetto
è quello.
Ricordi il primo giorno, vero? Quando sei caduta mille volte?
» sorrise.
A me
veniva già da piangere.
« Questo
è un disco. Un vinile. Il primo regalo che ti ho fatto
» girò la testa e indicò
il disco dei Muse che avevo appoggiato sul letto. « Poi
c’è un fiorellino… »
« Per
quando mi hai regalato i fiori, sì. Quelli che si chiamano Pansy » dissi, con gli occhi
ormai lucidi e un groppo in gola.
« Esatto.
Non piangere però! Almeno fammi finire… Questo
qui dovrebbe essere un involtino
primavera, ho girato un sacco di gioiellerie prima di trovare qualcuno
che me
lo facesse! Per quel giorno, quando sono venuto da te e abbiamo
mangiato cibo
cinese… » abbassò gli occhi,
imbarazzato. Io arrossii ricordando quella
giornata.
« Questo
cos’è? » chiesi cercando di rompere
l’imbarazzo.
« Oh,
ehm, un telefono. È banale, lo so, ma non avevo idea di cosa
metterci. »
« Un
telefono? »
« Sì,
quando ti ho telefonato per invitarti alla cena. Quel giorno non ci
siamo
visti, tu eri con Gee… »
« Ah,
okay, capisco. Be’, mi piace! »
« Bene. Poi
c’è questo, un’auto » disse
ridendo « e una minuscola barretta di cioccolato,
che rappresenterebbe oggi. Piangi?! »
Oh, non
me n’ero accorta. Piangevo.
« Sì… »
gli saltai al collo. «
Cazzo, grazie Frank! Grazie! »
« Prego!
Però non piangere » mi strinse forte a
sé.
Non
sapevo come avrei fatto senza di lui per un anno. Probabilmente sarei
morta,
pensavo.
« Ciao
zia, ti chiamo appena arrivo » la abbracciai, forte. Quella
donnina era una
forza della natura. La adoravo.
« Brava,
cara. Mi mancherai tanto! Ti aspetto l’anno prossimo
» mi lasciò un piccolo
tenero bacio sulla fronte.
C’erano
Larry, Frank, Mikey e Ray alla stazione.
Il primo
mi salutò con l’ennesimo abbraccio. Forte, come un
nonno, come uno zio, come un
padre.
« Ho
l’approvazione per uscire con tua zia? » mi chiese,
facendomi l’occhiolino.
« Vai
tranquillo, Larry »
Ray e
Mikey mi abbracciarono, insieme. Mi dispiaceva lasciarli. Salutarsi era
stato
terribile, come con Gerard. Mi sarebbe piaciuto averlo lì,
ma era già partito
da un pezzo.
« Ciao,
Pansy, ci vediamo l’anno prossimo » Ray mi
batté una pacca sulla spalla. «
Intanto prenderò lezioni di danza! »
Mi
avvicinai a Frank, ridendo.
« Allora…
»
« Allora, arrivederci » gli accarezzai una guancia.
Lui mi
attirò a sé e mi baciò. Ma era triste,
lo sentivo.
« Fatti
sentire, Frankie. »
« Okay,
ma tu non piangere. »
« Cazzo »
stavo piangendo, di nuovo. Le lacrime si seccarono sulla mia pelle.
Faceva
caldo.
Salii sul
treno e presi posto, accanto al finestrino. Salutai con una mano le
persone che
erano lì per me. Zia Annie, Larry, Mikey, Ray. Frank. Mi
sarebbero mancati
tutti.
Piansi
ancora, per un’ora buona, finché non mi
addormentai.
Una volta
a casa, telefonai a tutti. Frank non rispose. Fu l’unico che
non mi rispose.
Mi
richiamò dopo due giorni. Poi chiamò ancora, dopo
una settimana e non rispose
quando gli telefonai io, qualche giorno dopo.
Per tutto
l’anno ci sentivamo una volta al mese, massimo. Frank era
strano, al telefono.
Freddo? Triste? Non lo so. Strano.
Io lo
amavo ancora, però. Non avevo mai smesso.
Devo
scendere. Finalmente, devo scendere.
Afferro
le valigie e cammino per il corridoio del vagone, diretta verso la
porta.
Sto
fremendo. E penso di avere un sorriso da ebete stampato in faccia.
Alouuuur, questo è, tecnicamente, l'ultimo capitolo della ff. Però manca l'epilogo e, oh, lì tutto sarà fottutamente chiaro! Vorrei ringraziare tutte quelle anime pie che hanno recensito *commossa* e Als che ormai è la mia fonte di ispirazione, fuckyeah. L'epilogo arriverà fra poco, in teoria, perché non vedo l'ora di finirla e dedicarmi totalmente alle altre tre ff abbastanza complesse che sto scrivendo (due Frerard e l'altra è una sorpresa :D).
Vi lOwwO tUtTi. <3455
Kiss. ♥
*ai uos meid for lovin iu beibe, ai uos meid for lovin iuuuu D:* |
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Capitolo 8 *** Epilogo; ***
Frank Iero e i MyChem non mi appartengono, i fatti narrati non sono reali. u___u (E Pansy non esiste, poverina. D:)
So che avevo promesso di postarlo presto, maaaa ho iniziato la scuola e ho avuto pochissimo tempo. E poi, lo ammetto, è stato duro da partorire eh. Ci ho messo un bel po'. D: Mi scuso per eventuali errori, ma sono di corsa e non posso ricontrollare. Peace;
Il treno
si ferma. Le porte si aprono.
Sta diluviando e fa freddo. Non ho nemmeno
l’ombrello. Scendo a
fatica dal treno, la mia valigia pesa quintali. La stazione
è vuota. È una cosa
deprimente, direi. Non c’è un’anima
neanche a pagarla. Nessuno che mi aspetta,
nessuno è venuto a prendermi. Le strade
sono semi-vuote. Ma perché mi faccio queste paranoie?
È normale: piove. Immersa
nei miei pensieri, quasi vado a sbattere contro qualcuno. È
tutto così
uguale, comunque. Ogni cosa è come l’ho lasciata
un anno fa. La
zia è sulla
porta che mi aspetta. «Pansy!» Le
sorrido e l’abbraccio. È invecchiata un
po’. Le rughe sul suo volto la rendono
tenera. Lei
mi abbraccia forte e mi invita ad entrare. Nella
mia stanza non è cambiato nulla. Disfo i bagagli e scosto un
po’ le tende. La
finestra è chiusa. La sua finestra è chiusa. Mi
sento turbata. Non so come mai.
«È
un problema se esco stasera, zia?» chiedo mordendo una mela. «Problema?
No, no. Figurati!» mi bacia con tenerezza sulla fronte, come
faceva sempre. Il
suo bacio mi lascia un piacevole tepore che fa svanire di poco quel
senso di
inquietudine che mi attanaglia lo stomaco. «Perché
non esci adesso, invece? Almeno c’è ancora
luce.» «Hai
ragione» sorrido, prendo l’ombrello, afferro il
pacchetto che avevo lasciato
sul divano ed esco. Voglio
giusto fare due passi, niente di più. O
forse spero dannatamente di incontrare Frank. Okay,
la seconda. Cammino
lentamente, godendomi il vento che mi scompiglia i capelli. Stringo
forte il
regalo per Frankie, sorridendo. Gli piacerà, ne sono certa. Non
so esattamente dove sto andando. Giro senza meta, mille pensieri mi
affollano
la testa, sono confusa. Eppure dovrei essere felice. Distinguo
qualche sagoma da lontano. Un gruppo di ragazzi. Mi sembra di vedere
Frank. Mi
avvicino. E
sì, è Frank. Riconosco perfettamente la sua
figura asciutta e bassa, i capelli
bagnati e appiccicati sul volto e quel sorriso capace di aprirti
l’anima in due
che mi era mancato come manca l’acqua nel deserto. Il
cuore mi batte sempre più forte. Vorrei correre, ma sono
sicura che cadrei
distesa sull’asfalto. C’è
Gerard. E suo fratello, anche. Mikey. Vedo Ray, Jamia e un altro paio
di
ragazzi intenti ad accendersi una sigaretta sotto la pioggia. Jamia
ride. È
bella quando ride. Nessuno
di loro mi ha ancora vista. Cerco di prepararmi qualcosa da dire. E
poi basta. Mi crolla tutto. Il regalo, l’ombrello, il cuore.
La pioggia mi
scorre sul volto e si mischia alle mie lacrime. Rimango paralizzata, al
centro
della strada, come una statua. Ferma, immobile. Si è fermato
tutto. Si è
fermato il respiro, si è fermato il sangue che mi scorreva
nelle vene e si è
fermato il tempo nell’istante esatto in cui lui
l’ha baciata. E
sono ancora lì, infatti. Lei che gli passa le mani attorno
al collo e lui che
le stringe la vita; noto i loro sorrisi sulle labbra
dell’altro, mentre il
bacio si fa sempre più appassionato. E
fa… male. Jamia
si stacca lentamente e rimane a pochi centimetri di distanza dal volto
di
Frank. Lui la guarda, sognante, le accarezza una guancia, le scosta i
capelli
dal viso. Io,
be’, penso di essere morta. «Hey.»< Giro
la testa con una lentezza innaturale, sorpresa di riuscire ancora a
comandare
il mio corpo. «Hey»
rispondo a Gerard, che si era materializzato di fianco a me. Apparso
dal nulla,
sì. «Mi
dispiace» dice solo questo e si zittisce. Lo apprezzo, in
fondo. «Anche
a me» la mia voce mi suona innaturale. Non mi sembra la mia.
Non mi sono
nemmeno resa conto di aver parlato. Ma sono io quella ragazza? O sto
guardando
la scena da fuori? Questo è il mio corpo, la mia anima
dov’è? Giro
nuovamente la testa. Frank mi sta guardando. Si avvicina a me, a testa
bassa,
le mani infilate nelle tasche dei jeans. Gerard
mi sorride e si allontana, mentre Frank mi si piazza davanti. Cosa
devo dire? Tutto. Niente. «Ascolta,
Pansy…» E
già quando qualcuno inizia così, finisce male. Ma
io non voglio ascoltare,
cazzo. Voglio tornare ad un anno fa, quando eravamo io e Frank, non
Frank e
Jamia. Quando ridevamo, mangiavamo cinese, lavavamo la sua fottuta
macchina e
facevamo l’amore sul divano di mia zia. Cos’ ha
significato tutto questo per
lui? Devo chiederglielo, ma non ci riesco. «Sono
molto affezionato a te, davvero. Non pensare che la nostra sia stata
solo una
breve storiella estiva senza alcun significato, solo per divertimento.
Perché
non è stato così…» «Ah
no, Frank?» riesco a parlare? E con questo tono duro?
«Dimmelo, allora, cosa ha
significato tutto questo, cosa sono stata io per te. Cosa sono adesso.
Cosa,
Frank? Cosa?» Lui
mi guarda e piega leggermente la testa da un lato, aggrottando la
fronte. «Non
lo so. Ma tu significavi tanto per me, te lo giuro.» «Perché
dovrei crederti?» Non
risponde. Perché non risponde? E perché vedo un
qualcosa che sembra sofferenza
nei suoi occhi? Forse è solo senso di colpa. Forse
è la pioggia. Forse finge. «Jamia
è la mia ragazza da anni. Lasciarla era stato un terribile
sbaglio. È la donna
della mia vita.» «Okay,
Frank Iero, goditela, ma sappi che non puoi giocare con i sentimenti
delle
persone come ti pare e piace. Ancora ancora io, va bene, io che non
sono
nessuno, che non conto niente, che ti ho frequentato solo per una
settimana, ma
Gerard… Gerard, Frank. Il tuo migliore amico.» È
sorpreso che io sappia. Apre la bocca, ma non dà fiato e la
richiude. Penso
stia piangendo. Forse è solo la pioggia. Forse finge. «Gerard
è… un altro discorso. Io…» Tu.
Tu. Tu. Lui, sa pensare solamente a se stesso. «Non
è questo il punto, Pansy. Non mi sono fatto sentire
perché io sto con Jamia,
capisci? Non potevo… permettermelo. E pensavo che a te fosse
passata… Io non so
che dire.» «Non
dire niente» afferro l’ombrello da terra e mi
incammino verso casa. «Sappi
solo che ci tenevo a te, Pansy, davvero!» La
voce mi arriva lontana, come se fossi chiusa in una bolla di sapone. Ho
pianto
tutte le mie lacrime, sento una stanchezza millenaria sulle spalle.
Cerco di
sorridere a Gerard quando gli passo di fianco. Poi arrivo a casa,
faccio la
valigia, bacio mi zia e la lascio incredula sulla porta mentre torno
alla
stazione.
*
«Sono
a casa!» «Okay,
Pansy. La cena sarà pronta fra mezz’ora.» Salgo
in camera e mi sdraio sul letto. Odio la mia camera. Non vedo
l’ora di
andarmene di casa. Ma forse ha ragione mia madre, in fondo, a
vent’anni si ha
il cervello di un bambino di nove. Accendo
la tv. Non la guardo quasi mai, ora che ci penso, preferisco la radio,
ma ogni
tanto la noia è così densa che mi spinge a
guardarla. Zapping. Niente. Dibattito
politico, reality show, video di Britney Spears, film per dodicenni
arrapate. Sospiro
e torno sul video della Spears, sperando di trovare qualcosa di
più decente
dopo. E
poi un riff coinvolgente invade il silenzio della mia stanza e appare
sullo
schermo un ragazzo a me familiare. I capelli neri scompigliati, la
maglia dei
Motorhead, la mano che si muove a ritmo della musica. «G-Gerard»
sussurro, sgranando gli occhi. E
Mikey, dietro di lui, con una t-shirt verde. Poi inquadrano un
capellone. Ray.
Ray, è sicuramente Ray. È
un video scuro. Una
macchia blu attira la mia attenzione per un istante. Mi metto seduta,
avvicinando il viso al televisore. Noto
Matt, il vecchio ragazzo di Gerard, alla batteria. E
la musica continua. Di
nuovo blu. La macchina è una maglietta. Una maglietta
indossata da un ragazzo.
Da Frank. Ci
metto un po’ a realizzare il concetto. Lo
vedo, dietro a Mikey, che si scatena come solo lui sa fare. Muove il
busto
avanti e indietro, in sincronia con la sua chitarra e, oh, è
meraviglioso. Si è
fatto un tatuaggio. Uno scorpione, sul collo.
«The amount of pills I'm taking counteracts
the booze I'm drinking… Sono letteralmente incantata. Sembro
ebete. E
poi eccolo, ancora, Frank Iero. Sento
la sua voce dopo tutti questi anni. E non importa che stia urlando come
un
disperato, è bellissima. Lui è bellissimo. Mi
si ferma il cuore. «And you can cry all you want to, I don't
care how much!» Sono
meravigliosi. Loro, la loro musica. Io non riesco a crederci. «And
you can’t keep my brother and you won’t fuck my
Frank…» Frank?
Oddio, ha detto Frank?
Forse sono idiota. La
canzone finisce. È stupenda. Mi
alzo e corro ad accendere il computer. Google.
Frank Iero. Immagini. Scorro
la pagina sorridendo, gli occhi che diventavano lucidi.
All’improvviso noto una
foto. Frank con una chitarra. Una chitarra bianca. C’era
scritto Pansy. Una
chitarra che si chiama Pansy. Pansy. Io mi chiamo Pansy. Pansy. Pansy,
come me. Una
lacrima mi riga il volto, scendendo fino alle labbra curvate in un
sorriso.
Tadan! D: Allora, dico subito che il video di cui parlo è proprio il primo videoclip dei Chem, Honey, this mirror isn't big enough for the two of us. <3 Nel booklet del disco c'è scritto 'and you can't keep my brother and you won't fuck my friends' ma a me sembra che dica 'Frank' e quindi dice Frank, punto e stop. u.u Frerard lives. No, okay, serietà. Grazie a chi ha seguito questo fiasco di ff. Grazie, danke, gracias, thanks, merci. Non conosco altre lingue, sorry. Tornerò presto. è.é Love ya! <3 Bye, Vals.
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