Forget the Apple

di Lover
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 0tt0 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


capitolo primo

Una nuova vita


Carlisle diede altre due bracciate e lasciò che la corrente lo depositasse, come un fiore di sconosciuta provenienza e nordica bellezza, sulla sabbia di una spiaggia. Fortunatamente deserta, questa gli offrì il primo benvenuto in Europa. In Europa continentale, ovvio.

A malincuore aveva lasciato la terra che gli aveva dato i primi natali, sia di una vita che dell'altra. Delle due, rimpiangeva soltanto la prima: dalla seconda fuggiva sin dal primo suo nuovo respiro. Anche per questo era stato costretto a lasciare la Gran Bretagna, con le sue praterie verdi ed i giorni pieni di nebbia. L'aveva fatto anche perché aveva capito di non aver un futuro in quel posto, che lo teneva così saldamente ancorato al passato. Si mise in piedi e si scrollò di dosso l'acqua marina: il profumo del sale gli permase fra i capelli, ciocche di un biondo pallido su cui il sole si crogiolava di bellezza e non di calore. Si voltò e diede l'ultimo saluto alla sua terra natia, al di là delle onde, così come all'acqua stessa, che l'aveva cullato come un indesiderato figlio per giorni. Dal suo ventre era caduto sulla terra, quella terra che ora gli copriva la camicia e la pelle di milioni di granelli d'oro, pronto per rinascere ancora.

Si voltò ancora, verso la patria sconosciuta che gli si estendeva di fronte. Pronto per una nuova vita.

Non aveva bisogno di riposare, nemmeno dopo una nuotata simile, e quella caratteristica non smetteva mai di stupirlo. Nonostante si sentisse ancora fresco, quindi, e pronto per cominciare una nuova avventura, si lasciò scivolare sulla spiaggia e decise di godere del cielo azzurro per qualche istante. L'azzurro da sempre lo appacificava, ma da quando il suo cuore aveva cessato di battere gli dava una malinconia incredibile perché gli riportava alla mente il colore delle sue iridi. Ormai perduto. Quella malinconia e quel senso di perdita irreversibile lo riportarono a riflettere sul suo passato. Pensò che era l'occasione giusta per congedarsi dai ricordi, quella spiaggia abbandonata e quel cielo nuvoloso di pensieri. Là, dove la terra abbracciava il mare e veniva da questo baciata, avrebbe detto addio a ciò che era stato.

Un umano, era stato. Innanzitutto un umano, figlio di un pastore rispettabile e di una madre affettuosa ed amorevole. Un figlio docile, amato ed amante, che mai aveva pensato di tradire la fiducia dei suoi padri. Dover involontariamente deludere il loro affetto l'aveva ferito più di ogni altro morso.

I morsi, si. Era stato morso da una creatura tanto forte quanto spregevole, che l'aveva attaccato come un predatore fa con la preda e l'aveva reso vittima della sua gioventù. Immortalato in quell'attimo di fatale agonia, il suo volto era stato percorso dai brividi dell'immortalità ed ancora adesso sentiva gli spasmi di quel dolore.

Il dolore, giusto, ma mai intenso quanto la fame. Assetato, era stato, e si era fatto prima suicida e poi cacciatore a sua volta per sfuggire ad un destino più tremendo della morte. Aveva pregato nel folto dei boschi di morire, di svanire, di polverizzarsi nel nulla o semplicemente smettere di respirare. Che tipo di creatura era quella che riusciva a vivere senza il sole, senza l'aria, senza l'amore e senza un cuore funzionante? Che tipo di creatura era diventato?

Un fantasma, uno spettro di quel Carlisle che tanti avevano amato e chissà quanti avevano rimpianto, questo era stato.. Suo padre l'aveva rimpianto? Se lo chiedeva spesso. Non avevano mai trovato il suo corpo senza luce e senza vita sdraiato in qualche strada buia. Aveva capito, il pastore, che era stato morso e che non era più il figlio che aveva cresciuto.

Crescere. A furia di cercare di morire non era mai morto, a furia di pregare per la luce non era mai stato illuminato. Alla fine, però, la luna l'aveva colpito con raggi divini e gli aveva mostrato come uno come lui poteva essere moralmente e spiritualmente sé stesso. Si era fatto cacciatore, ma non di corpi umani inermi e deboli ma di animali. Selvaggina, come quella che era solito mangiare quando era piccolo e umano.

Umano, umano era stato. Ed ora non lo era più. Era un vampiro. Non lo considerava fortunato, quel gioco del destino, ma da qualche tempo aveva cominciato a vederlo sotto diversi aspetti.

Sfumature, le si potrebbe aver definite.

Da tante sfumature era nato un sospetto, da un sospetto un'idea, da un'idea un sogno, da un sogno un progetto e dal progetto la voglia di vivere ancora. E quindi scappare, scappare da quel paese che ormai lo soffocava e cercare pezzi di quel Carlisle dilaniato e diviso in un altro luogo. Aveva cercato ed approfondito, studiato fino a non capire più quale fosse la volontà e quale la realtà. Le sue ricerche l'avevano portato a nuotare fino al di là del canale, a toccare le sponde del continente. Da lì avrebbe raggiunto il suo obiettivo. Avrebbe ricominciato la sua esistenza da capo, senza costrizioni né ingombranti ricordi. A ricordargli chi era stato e chi voleva diventare ci sarebbe stata la croce del Padre, che stringeva fra le mani. Avrebbe tenuto per sé solamente gli insegnamenti che il tempo aveva scelto di donargli. Voleva votare la sua vita agli altri, voleva diventare un medico, voleva studiare come un qualsiasi altro studente ma essere il più bravo, voleva trovare compagnia.

Voleva illudersi, almeno su quella spiaggia deserta stesa sotto un cielo dove le nuvole viaggiavano pigramente come viandanti pensierosi, che avrebbe trovato il calore perduto. L'integrazione.

Sbatté i grandi occhi color ambra e si alzò, scuotendosi di dosso tutta la tristezza. Si dipinse sul volto un bel sorriso e concesse al vecchio Carlisle solo una lacrima. Si inchinò al suo passato e si rivolse al futuro. Il futuro che l'avrebbe visto completo e felice e, sperava, non più diviso fra realtà e volontà.

Una nuova vita.

Commenti dell'autrice

Ecco il primo capitolo! Come si è già intuito, introduzione e narrazione intendo, saranno per la maggior parte incentrati sul punto di vista di Carlisle! Vi prometto che aggiornerò il più frequente possibile.

Alla prossima, Love.

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Capitolo 2
*** Capitolo due ***


 

Un incontro

 

Carlisle giunse a Siena verso la metà del diciottesimo secolo. La prima cosa che decise di fare, ancora prima di cercare alloggio, fu iscriversi all'università. Scelse tre facoltà diverse: scienze, per placare la sua fame di conoscenza; musica, per affinare il suo spirito romantico; chirurgia, per portare avanti il progetto che gli avrebbe salvato la vita. Forse.

Le materie erano molte, i professori che lo accolsero tentarono di dissuaderlo da una scelta simile. Quando lui si rifiutò di rinunciare ad una sola delle materie prescelte, lo osservarono con sospetto. Evidentemente pensavano di trovarsi di fronte un viziatello, un patetico indeciso o peggio un nullafacente che collezionava le facoltà come le ragazze di fronte a casa.

Si sarebbero dovuti ricredere. Con i soldi che si era portato dalla Gran Bretagna, riuscì ad acquistare quasi tutti i libri per scienze e chirurgia; per il resto, dovette cercare un lavoro che gli desse una certezza finanziaria ed una base economica su cui costruire il suo futuro. Con sua sorpresa, trovò una casa ed un lavoro nello stesso giorno: il signor Tancredi Pace, un simpatico cinquantenne dall'aria vivace e furba, aveva una madre da accudire ed una soffitta da affittare. Si accordò con Carlisle che avrebbe badato alla madre di giorno, studiando poi di notte. Per tale compito avrebbe avuto vitto ed alloggio gratuiti, oltre ad un piccolo stipendio che gli avrebbe consentito di terminare le compere delle attrezzature. Non approfittò mai della gentilezza casalinga che si respirava nella cucina dei Pace, ma in compenso beneficiò e non poco dell'abilità di sarta della signora Gaetana. La donna, sui settant'anni e non più, viveva per soffrire di due cose: la morte del marito ed il figlio ancora scapolo. L'arrivo di Carlisle sembrò portarle felicità, la considerò per sempre il primo essere umano che gli diede l'onore di entrare nel suo cuore. Nei lunghi pomeriggi passati a chiacchierare con lei, ritrovò finalmente quella qualità che caratterizzava il cognome: la pace.

La notte il vampiro studiava. Seguire le lezioni per lui era difficile, visto che la maggior parte dell'anno Siena si deliziava in un piacevole bagno di sole, ma non ebbe mai difficoltà a recuperare. Il tempo per studiare non gli mancava di certo, d'altronde. L'unica pecca di quella sua vita solitaria era appunto questa: la solitudine. Dopo un mese passato nella nuova città ancora non conosceva nessuno che fosse al di fuori della signora e del signor Pace. L'occasione per uscire gli si presentò sotto spoglie inaspettate.

Visti i suoi progressi ed i risultati ottenuti, gli fu proposto di diventare aiuto professore. Il suo compito sarebbe stato semplice, avrebbe consistito nell'aiutare i professori durante le lezioni e nell'effettuare sessioni private di studio con i compagni in difficoltà. Non sapeva se accettare, comunque, perché farlo significava dover prendere parte a tutte le lezioni. Persino nei giorni di sole, durante i quali la sua pelle avrebbe brillato così tanto da abbagliare gli altri docenti e studenti.

Ad aiutarlo a risolvere tutti i suoi problemi, proprio quando stava per arrendersi, fu un'inaspettata conversazione con Gaetana. Stavano seduti uno di fronte all'altra, accanto alla piccola finestra del soggiorno, e la donna gli stava arrangiando un completo di fustagno. Era di un insolito buon umore, addirittura canticchiava mentre le mani rugose scorrevano sulla stoffa intrecciando fili color castagna, e questo lo aiutò a ritrovare un po' di serenità nella tribolata mattina che aveva trascorso.

-Sei silenzioso, oggi, ragazzo. C'è qualche problema, forse?-

Quando Carlisle sollevò lo sguardo, si trovò gli occhi dell'anziana che lo fissavano. Sussultò, per la profondità che lesse nelle iridi opache di cataratta, e sorrise.

-No, signora, tutto bene.-

La donna borbottò una lamentela che, nonostante l'udito fine, gli risultò incomprensibile. Aveva ancora dei problemi con l'italiano regionale, il dialetto toscano soprattutto lo faceva impazzire.

-Mi pensi davvero così vecchia e rimbambita, giovanotto?- lo rimproverò.

-Non mi permetterei mai, signora...- cercò di riparare, preoccupato di averle arrecato offesa.

-E piantala di chiamarmi signora. Chiamami come ti pare, anche nonna, ma basta con le formalità: sembri venuto da uno di quei romanzetti che leggono le fidanzate di mio figlio.-

Sorrise, il vampiro, cercando di trattenere una risata.

-Va bene, Gaetana. Perdonatemi se vi ho, in qualche modo, offeso.-

L'anziana donna fece un gesto con la mano, a congedare bruscamente le sue inutili scuse, poi riprese:-Sai, Carlisle, ho vissuto parecchi anni più di te e so quando una persona ha un problema.-

Dovette trattenersi ancora per non ridere, pensando che aveva già vissuto cinquantacinque anni più della signora Pace.

-Si, effettivamente c'è qualcosa che mi turba.- confessò, alla fine, per farla contenta.

-E sarebbe? Hai problemi con la scuola?-

La donna alzò le braccia al cielo, poi si voltò e mandò una silenziosa preghiera latina alla Madonna sopra il comò.

-Studi così tanto, povero caro, e dormi poco. Ma come fai, come fai?-

-Sto bene, Gaetana, non è per quello che mi preoccupo. Il problema ha a che vedere con l'università, ma lo studio non c'entra nulla.-

-Mangi troppo poco, ecco che cos'è! Sei debole, pallido come il latte e così magro come un chiodo... Ma come fai, come si può fare a vivere così?-

Carlisle si sentì sciogliere, di fronte alle attenzioni amorevoli che la donna gli prodigava. Erano anni che nessuno si prendeva cura di lui con l'affetto di una madre.

-No, il problema è che mi hanno offerto di divenire aiuto professore. Sarebbe importante per me, mi consentirebbe di conoscere qualche nuovo compagno.-

-E quindi? Dov'è il problema?-

Carlisle lasciò che il suo corpo si rilassasse contro la poltrona e si fissò la punta delle scarpe.

-Il punto è che dovrei andare al polo universitario tutti i giorni, frequentare ogni lezione e per alcuni motivi non mi è possibile.-

Gaetana agitò un dito in aria, un indice severamente alzato, e prese a rimproverarlo ancora.

-Il tuo problema è che non vuoi, ecco cos'è! Tu non vuoi trovare una soluzione al tuo problema, perché se ci pensi sono certa che non è nulla di così impossibile.-

Si chinò verso di lui, appoggiandogli una carezza sulla coscia.

-Un giovane ragazzo così vivace ed intelligente non può avere problemi. Nessuno insormontabile, almeno.-

Si ritirò. Carlisle si preoccupò che si fosse accorta di quanto era freddo il suo corpo, nonostante la temperatura della stanza fosse mantenuta tiepida da un caminetto acceso.

Si alzò, andò a gettare legno nel fuoco e lasciò che le sue iridi si scaldassero alla vista delle fiamme che danzavano allegre.

-Sei timido, ecco qual è il problema.- mormorò la donna. Il suo cuore batteva piano, mentre l'arrabbiatura cedeva il passo ad una sorta di piacevole sonnolenza. -Non riuscirai mai a farti degli amici finché avrai paura della tua stessa ombra.-

-Soltanto quella mi spaventa.- mormorò Carlisle, sentendosi invadere da un'improvvisa malinconia.

-Come?-

Sorrise, il vampiro, e cambiò discorso:-Dovete essere molto stanca, Gaetana. Coraggio, vi porto a schiacciare un pisolino.-

La donna posò di malavoglia i pantaloni ai quali stava lavorando con tanta paziente costanza, e si lasciò sollevare delicatamente dalle sue braccia. Era leggera come una bambina, per lui, che così la portò nella sua camera al piano superiore per depositarla sul letto. Le rimboccò le coperte e lei gli sorrise.

-Sei un così caro ragazzo.- gli sussurrò, prima di chiudere gli occhi. -Troverai di certo qualcuno disposto ad amarti per ciò che sei.-

Storse la bocca, il biondo giovane, e la baciò sulla fronte. Sentì il sangue scorrere dentro le vene sotto le sue labbra, si spaventò e si ritirò in tutta fretta per il timore di compiere qualche gesto di cui avrebbe finito per pentirsi. Fare del male a quel piccolo fagotto di ossa e lacrime l'avrebbe ucciso una volta per tutte: certe sue caratteristiche necessitavano di un autocontrollo maggiore, se voleva utilizzarle un giorno per salvare persone come lei.

Una volta giunto al piano di sotto, immerso nel silenzio della casa appena smorzato dal respiro dell'unico altro occupante, momentaneamente assopito, e dai rumori provenienti dalla strada poco lontana, Carlisle rifletté. Gaetana aveva ragione, doveva smettere di avere paura di quello che era e per questo negarsi al mondo. Avrebbe accettato quel ruolo, avrebbe finalmente preso parte alla vita del campus cercando di socializzare un po'. Non doveva dimenticare chi era, o cos'era, ma non per questo doveva negarsi di vivere.

Vivere era l'unica altra cosa che gli rimaneva, dopo il suo progetto. Rinunciare ad una significava compromettere la riuscita dell'altro.

Si trovò così, qualche giorno più tardi, ad affiancare il suo professore di biologia in una lezione ufficiale. Vedere tanta gente tutta insieme lo intimidì, di primo acchito, e per questo si sorprese a dover dare merito alle accuse di Gaetana: era vero, a furia di avere paura di sé e delle sue reazioni aveva finito per aver timore degli altri.

Col passare dei giorni, però, diventò sempre più a suo agio con gli sguardi delle persone e le loro domande. Trovò anche una soluzione per le giornate soleggiate, che consisteva nel coprirsi completamente finché era per strada ed indossare camice con relativi guanti e mascherina quando era in laboratorio. Avrebbe funzionato, visto che nessuno avrebbe potuto sospettare del suo essere freddoloso o ligio al dovere.

Mentre i suoi progressi in campo scolastico, però, andavano di pari passo con l'aumento delle amicizie, Carlisle iniziò a soffrire di un'altra specialissima forma di tormento. Il non potersi rivelare a nessuno, il dover rimanere nascosto sempre agli occhi degli altri lo faceva soffrire come nient'altro. Era più evidente la distanza che lo separava dagli altri uomini, quando stava in gruppo: anche se parlava, scherzava ed a volte rideva con loro, si sentiva sempre lontano dal loro mondo. Avrebbe voluto prendervi parte, avrebbe voluto sentirsi come uno di loro ed esserlo magari, ma non gli era consentito. Non poteva lasciarsi andare, motivo per cui chiunque lo considerava simpatico ma non pensava a lui come un amico intimo. Figuriamoci un amante!

Carlisle iniziò a passare i suoi pomeriggi in casa, chiuso nella soffitta fra libri e mantelli gettati alla rinfusa. Riproduceva la musica dei compositori che adorava e si struggeva al pensiero dell'amore. L'amore ideale, quello dolce e passionale, che ti pervade l'anima e ti uccide di dolore quando finisce. Durante le lunghe notti passate a studiare, spesso alzava lo sguardo dal libro e lasciava che le sue iridi color caramello si perdessero fra le stelle lontane. Lasciava che diventassero loro compagne, mentre portavano a passeggio i suoi più grandi ed amletici dubbi. Avrebbe mai provato anche lui un amore così unico? Così forte da spingerlo a comporre sonetti con le dita sul corpo di chi gli aveva rubato il cuore, così unico da creare una melodia che si sprigionasse dalle sue labbra pallide? Soprattutto, uno come lui poteva amare? Amare chi, poi? Un umano, era praticamente fuori discussione. Se soltanto avesse provato a rivelarsi a qualcuno per quello che era, sarebbe finita molto male. Allora, un altro vampiro. Il problema era che di vampiri lui non ne aveva ancora visti. Non credeva di essere l'unico al mondo, ma gli altri se c'erano facevano di tutto per nascondersi e giocare a farglielo pensare.

Intanto, con tutte queste domande, si sentiva sempre più solo e confuso. Passava le notti studiando e stringendo a sé la speranza che, se si fosse comportato bene, prima o poi sarebbe stato ricompensato. Aveva Fede, la croce del padre appesa sopra la sua scrivania glielo ricordava ogni giorno. Era uno degli ultimi regali che il pastore era riuscito a concedergli, la Fede.

E fu così che, due o forse tre mesi prima la conclusione dell'anno scolastico, le sue speranze trovarono conferma. Si stava preparando ai suoi ultimi esami, seduto nella grande biblioteca della scuola. Era tardi, erano le otto passate, e di certo Gaetana doveva essere preoccupata per la sua assenza. Carlisle però non riusciva ad alzarsi dalla sedia di legno, non riusciva a prendere i libri e tornare a casa. Voleva starsene lì, a godersi il buio che filtrava dalle ampie vetrate ed il silenzio che arrecava con sé. Invece di leggere un altro capitolo di uno dei libri che aveva davanti, aperti ed abbandonati a sé stessi, si era perso a vagare assieme ai granelli di polvere che fluttuavano nell'aria. Leggeri, dorati, colpiti dalla luce della lampada da tavolo che aveva acceso, milioni di gemme si muovevano nella biblioteca deserta sollevandosi da tomi antiquati e dai tavoli di legno di ciliegio. Era uno spettacolo bellissimo, gli ricordavano tanto i suoi desideri ed i suoi pensieri che si muovevano danzando all'interno della sua mente vuota.

La luna colpì la sua mano, abbandonata sopra alcune pagine, e la accese di un debole sfavillio. Era meno forte dell'iridescenza provocata dai caldi raggi solari, ma altrettanto insolita ed originale. Mentre osservava affascinato quella curiosa danza adamantina sulle sue dita, un rumore andò ad infrangere l'idillio che aveva assaporato fino a quel momento. Si chiese chi potesse essere, a quell'ora: pensò ad un inserviente, o ad un professore che poteva aver scordato del materiale per la lezione del giorno. Tenne la testa china, fingendo di leggere, mentre nascondeva la mano per evitare che potesse essere notato lo strano fenomeno della sua epidermide brillante. Attese che un battito, un passo o lo scorrere del sangue dentro vene ed arterie gli rivelasse la presenza dell'indesiderato ospite.

Nulla.

Sollevò lo sguardo, sorpreso. Non poteva essersi sbagliato, aveva sentito quel rumore. Era stata una porta che si era aperta e poi chiusa, molto velocemente. Forse troppo velocemente...

Prima di vederli, sentì il loro profumo. Un profumo fresco, che ricordava tanto l'essenza emanata da un pino coperto di neve. Gli ferì le narici, perché non era abituato ad essenze così intensi.

E poi li vide, a circa cinquanta metri da lui. In tre, ma non uomini. Il fiato gli si mozzò in gola, come decapitato da una ghigliottina, quando l'intuizione divenne pensiero e si fece strada fino alla sua mente: vampiri.

Note dell'autrice

 

Ciao a tutti! Ho cercato di essere il più puntuale possibile, spero che apprezziate il secondo capitolo come il primo, intanto grazie a tutti quelli che l'hanno letto, a coloro che hanno aggiunto la storia fra le preferite, le seguite e le ricordate e quelli che mi considerano ancora la loro autrice preferita!


kakashina97100 - sono contenta che ti piaccia la mia fanfic! sto cercando di descrivere come carlisle si sia sentito nel vivere il mondo da vampiro e non è facile, perciò sono sempre grata a chi mi offre il proprio supporto recensendo ed apprezzando!

CondroitinSolfato - si, è una pena ed una vergogna entrare negli altri siti in lingua inglese e vedere centinaia di yaoi con edward e carlisle e poi arrivare qui e trovarne una! Però siamo i migliori (megalomania terminale)! spero che ti piaccia e che continuerai a farmi sapere la tua opinione, vorrei meritare il tuo posto nelle tue preferite.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


I Volturi

 

Tre vampiri, di questo era certo, si trovavano a poca distanza da lui. E lui, paralizzato dal fascino e dall'attrazione che sentiva verso di loro, non si preoccupò nemmeno di considerare l'ipotesi che potessero essergli nemici.

Erano piuttosto diversi da quello che l'aveva trasformato, da quelli che era solito inseguire fin nelle fogne di Londra con una croce in una mano e la Bibbia nell'altra. Indossavano lunghe tuniche nere, pantaloni scuri e si coprivano i volti con cappucci foderati di seta. Sembravano indecisi se proseguire o meno, quello un po' più basso allungò una mano verso il più alto e questo la strinse. Avevano unghie lunghe, quasi degli artigli, che conferivano alle loro estremità candide un'aria di selvatico indefinibile.

Rimasero in quella posizione per qualche minuto, poi la figura più alta annuì e lasciò andare la mano dell'altra. Carlisle si chiese che cosa avessero fatto, ma la sua testa fu in grado di creare solo quel pensiero e non una risposta. Non respirava nemmeno.

A quel punto i tre si fecero avanti, lasciando cadere i cappucci con grazia innaturale. Non emisero un solo rumore mentre lo facevano, solo la sua sorpresa infranse il ghiaccio dell'assenza di suono.

-Che cosa abbiamo qui?- disse la figura più alta, un uomo. Aveva lunghi capelli scuri, più scuri della tenebra, e un sorriso di aperta curiosità sul volto. I suoi compagni erano anch'essi uomini, uno aveva i capelli dello stesso colore di quello che aveva parlato mentre l'altro, il più basso e tarchiato, aveva una chioma di un pallido dorato. Ciò che li accomunava, e che li rendeva perversamente simili, erano la pelle e gli occhi. La prima, così chiara e fragile da sembrare un antico raggio di luna; i secondi, rossi come il sangue. Erano fratelli di sangue, bevitori di esseri umani.

Nonostante la paura, Carlisle non si mosse. Pensò che era meglio studiarli, e quindi affrontarli in un scontro verbale prima che in uno scontro fisico. Erano comunque sempre tre e lui era da solo.

-Aro, andiamocene.- disse il piccoletto, muovendosi nervosamente. Fulminò Carlisle con una sola occhiata e lo fece rabbrividire, costringendolo a riservare la sua attenzione interamente a colui che aveva parlato. Il terzo vampiro, quello con i capelli scuri, continuava a guardarsi attorno senza mostrare il minimo interesse per quello che accadeva e per questo non fu attirato dalla sua presenza.

-Perché? Mi sembra che questo giovane studente meriti la nostra attenzione.-

La risposta del moro non aveva soddisfatto pienamente il biondo che rimase immobile, mentre gli altri due compagni si spostavano insieme con movimenti gemelli.

-Che cosa stai studiando?- gli chiese, quando fu abbastanza vicino. Gli puntò gli occhi addosso, occhi grandi che sembravano fatti per scrutare dentro la mente delle persone, e gli sorrise spingendolo a parlare.

-Medicina.- rispose Carlisle, cercando di mantenere la sua voce su un tono più monocorde possibile. L'eccitazione e la paura, però, formavano un mix così micidiale che nessun drink sarebbe riuscito ad eguagliare. Non era facile inebriarlo, nelle sue nuove spoglie.

-Affascinante, molto affascinante. E poi?-

Il vampiro biondo concesse un'occhiata alle mani dell'altro che si muovevano fra i suoi appunti, spargendoli senza farsi troppi problemi.

-Studio musica, medicina e scienze. Se non vi dispiace.- e strappò di mano le carte al nuovo arrivato. Questi lo fissò, dapprima colpito, poi il suo volto si allargò in un sorriso compiaciuto. Di più, soddisfatto.

-Materie importanti e serie, per un ragazzo giudizioso. Un bel carattere, aggiungerei.-

-Aro, stiamo solo perdendo tempo.- si lamentò ancora il piccoletto.

-Non ne sono certo.-

Di fronte alla scarsa collaborazione del compagno, il piccoletto avanzò velocemente e squadrò Carlisle dalla testa ai piedi.

-Non ha niente di speciale, è uno come tanti altri.- borbottò, fra sé e sé. -Studia medicina soltanto per sapere meglio dove mordere, fine dei misteriosi misteri.-

-Io penso che di misteriosi misteri qui ce ne siano molti. Per esempio, è inspiegabile la presenza del tuo parere quando non è stato richiesto.-

Era un duro rimprovero, il biondino aprì e chiuse un paio di volte la bocca ma non replicò. L'altro moro sorrise, quando lo vide giungere al suo fianco, e sembrò diventare finalmente partecipe della realtà contemporanea.

-Perdona Caius.- gli disse il vampiro che aveva inquadrato come leader.

-Chi siete?- domandò, deciso ad impedire la svolta assurda che stava avendo quell'approccio.

-Non fingere di non sapere chi siamo.- borbottò il rimproverato, puntando ostinatamente lo sguardo a terra. L'altro doveva averlo udito, ma distese un sorriso sul volto e non replicò.

-Perdona anche la mia maleducazione. Tanti anni di solitudine ci hanno arrugginito la capacità di socializzare.-

Si voltò verso i suoi compagni e li presentò:-Siamo Marcus,- ed indicò il moro distratto. -Aro,- ed appoggiò la mano sul suo petto. -e quel brontolone che hai avuto la sfortuna di conoscere è Caius.- additando il piccoletto ancora furente per il biasimo da poco ricevuto. Avevano tutti nomi strani, quei tipi, ed erano caduti lungo il corso della sua vita in modo ancora più strano.

Non erano buoni motivi per mettere da parte le buone maniere, tuttavia, quindi quando quello che si era presentato come Aro gli tese la mano per stringerla, Carlisle ricambiò. Le mani dell'altro erano forti e fredde come il ghiaccio, non lo lasciarono in fretta. Aro infatti aveva chiuso gli occhi ed aveva smesso il sorriso cordiale per vestire un'espressione di intensa concentrazione. Si chiese che cosa stesse facendo, si ricordò di quanto era accaduto quando erano arrivati e di così aveva preso la mano del biondo Caius per qualche attimo. Aveva poi annuito, come se si fossero parlati, ma le loro bocche non avevano emesso fiato.

Aveva fatto in tempo a riportare a galla quel momento dai turbolenti flutti della sua sovraccarica memoria quando l'altro lo lasciò andare. Riaprì gli occhi e vide impressa nelle iridi scure una comprensione che lo turbò. Di tutta risposta Aro batté le mani con aria gioiosa, ma nei suoi occhi restava una scintilla di fredda analisi.

-Piacere di conoscerti, Carlisle.- trillò, felice come un bambino sotto il periodo natalizio.

Carlisle si pietrificò. -Come fate a sapere il mio nome?

-So molte cose di te, adesso.- annunciò, voltandosi nuovamente verso i compagni. -Ma sono quelle che non so ad incuriosirmi maggiormente. Caius?-

Il biondo sollevò la testa, smettendo di fissarsi le ginocchia con aria imbronciata.

-Che ne dici?-

Carlisle li fissò mentre si avvicinavano e si stringevano le mani, come poc'anzi era toccato anche a lui. Osservò quello che faceva Caius, ma pareva piuttosto indolente, mentre Aro aveva vestito una strana espressione.

-Si, senza dubbio sei diretto e sincero.- disse Aro, quando lasciò la mano del compagno. -Forse troppo.-

Caius indietreggiò ed Aro si rivolse con lo sguardo a Marcus.

-Non c'è niente di interessante da leggere, per adesso.- fu l'avvertimento dell'altro.

Allora Aro tornò con il suo sguardo su Carlisle, che aveva ancora il volto agghiacciato tanto era profondamente sconvolto.

-Avremo piacere che ci venissi a trovare, giovane vampiro.- dichiarò, con un tocco di solennità nella voce.

-Trovarvi?- ripeté Carlisle, ancora molto confuso.

-Abitiamo a Volterra, non molto lontano da qui. Diciamo, un ora abbondante se prendi il cavallo.-

-Sempre che voglia avvicinarsi a te.- mormorò Marcus, sorridente come se avesse appena fatto una battuta divertente. Così doveva trovarla Aro, perché scoppiò in una risata poco genuina che coinvolse anche Caius. Sebbene tenesse ancora il broncio.

-Sono più intelligenti degli umani. Un cane o un gatto non si lascerebbe mai incantare dal nostro dubbio fascino.-

Non aveva staccato gli occhi di dosso al vampiro biondo dagli occhi di sole per un solo istante.

-E tu, giovane vampiro, ti lascerai stregare da noi?-

Carlisle sobbalzò e non rispose. Tutta quella situazione era per lui imbarazzante.

-Se prendi la strada dei campi, sarai da noi in meno di dieci minuti. Quindici, se ti muoverai così tardi da incontrare qualche contadino.- gli insegnò Marcus.

-Si svegliano presto, la mattina.- lo ammonì Aro.

-Ma come farò a trovarvi?- chiese.

I tre risero educatamente, le labbra nemmeno si mossero troppo per lasciar uscire una diplomatica ilarità.

-Non dimenticherai così presto il nostro odore, spero.-

Aro finse di sembrare offeso e si ritirò. Sorrise, per mostrargli che stava scherzando.

-Non sono sicuro di potermi fidare di voi.- confessò il giovane dai capelli biondi, sorridendo imbarazzato.

Aro rise. La sua risata era come un suono di campanelli celesti, ma l'apparente ilarità svaniva prima di lambire gli occhi rossi. Rossi come un incendio di ghiaccio.

Carlisle provava una sorta di attrazione fatale verso quel vampiro. Era qualcosa di fisico, una specie di reazione chimica e psicologica che accadeva soltanto quando i propri occhi color dell'ambra purissima si legavano ai suoi. Si disse che doveva essere l'emozione che veniva dall'incontro con un altro della sua maledetta specie a fargli quell'effetto.

-Mi sembra logico che non puoi fidarti di noi, non ci conosci nemmeno. Lascia che però ti dica una cosa, giovane Carlisle.- e qui Aro si piegò appropriandosi, con languida ed affettata dolcezza che forse celava una volontà di possessione più intensa, la mano. La sollevò verso la luce della luna, che colpì l'epidermide esaltandone lo splendore innaturale.

-Con noi non avrai mai bisogno di nascondere la meraviglia che sei. Mai, non ti costringerei a porti le spoglie di un mediocre umano.-

Carlisle lesse qualcosa di nuovo negli occhi del bruno vampiro, un sentimento forse. Solitudine? Abbandono? Era sempre stato bravo a cogliere sfumature di sensazioni, ma in quella situazione si trovò in seria difficoltà.

-A domani, allora.- gli sussurrò Aro, mentre si allontanava senza lasciare tracce, così come era venuto. Rimase a fissarli mentre sparivano. Quando erano giunti alla porta, Caius che la teneva aperta, il moro dagli occhi di fuoco di voltò un'altra volta verso di lui e parlò.

Piano, ma naturalmente riuscì ad udirlo ugualmente.

-Un tipo affascinante, sono sincero. Ho scorto in lui almeno un paio di aspetti che meritano uno studio più appropriato.-

Uscirono, sparendo come spettri scuri capaci di confondersi con la notte più nera. Sparirono, lasciandolo tremante a ricercare le loro tracce come un disperato segugio.

Note dell'autrice

A distanza di una settimana, eccomi qui! La storia continua e Carlisle si sta per gettare in una nuova avventura molto incerta. Che cosa succederà? Lo scoprirete solo continuando a leggere la mia storia! Intanto ringrazio tutti quelli che la leggono senza recensirla e che mi hanno registrato come loro autrice preferita!

CondroitinSolfato: grazie a tutte e due per aver recensito! Mi fa piacere che vi piaccia la mia storia, avevate ragione stavo per far entrare i Volturi! Spero che continuerete a leggere e a recensire, anche perchè detto in confidenza (guardo intorno con circospezione) fra Carlisle e Aro potrebbe esserci qualcosa! A presto!

Alla prossima, Love.



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Capitolo 4
*** Capitolo quattro ***


Corrompere un'anima

 

Aro correva davanti agli altri, la testa piena di pensieri che minacciavano di ucciderlo. Gli altri capivano quando non era in vena di parlare, quindi erano soliti lasciarlo da solo a riflettere. Solo, si sentiva sempre più solo. C’era stato un tempo in cui aveva creduto che i suoi fratelli di sangue fossero la sua parte complementare, tutto ciò di cui aveva bisogno nella vita. Era stato un tempo bello ed infinito, o almeno così aveva sperato che fosse, e lui era arrivato a credere di essere un vampiro sopra le righe, sopra le regole.

Non sopra a sé stesso.

Era lontano, ormai, quel tempo spensierato e verde della gioventù. Ricordò il giorno in cui aveva dovuto ammettere a sé stesso che non era così tanto felice come voleva far credere. Aveva continuato a mentire agli altri, ma non era riuscito a mettere in piedi la stessa tragica farsa per la sua coscienza. Ammesso che ne possedesse ancora una. Si era allontanato da tutto,  dalle sue abitudini di libri e sangue, e da tutti, facendosi distante. Nemmeno la sua biblioteca era più capace di dargli la serenità di un tempo. Niente l’appagava più come una volta e sapeva bene su chi puntare l’indice accusatore.

L’amore. L’amore l’aveva tormentato quando era un umano, l’amore da cui era scappato diventando quello che era, l’amore che l’aveva cercato e strappato al suo angolo tenebroso di sanguinosa serenità. L’amore a cui nessuno può sfuggire, nemmeno un demone come lui poteva evitare di pagare il suo prezzo. Maledetto sentimento che lo faceva sentire sempre incompleto.

Il peggio di tutta quella situazione era che nessuno sembrava comprendere la sua sofferenza. Caius non riusciva a vedere ad un palmo dal suo smisurato ego e si umiliava di fronte agli altri soltanto per poterli pugnalare alle spalle; Marcus aveva la testa chissà dove per la maggior parte del giorno e parlare con lui significava conversare amabilmente con sé stessi. E poi c’erano le loro guardie, le loro sentinelle dell’esterno, che tolleravano la loro presenza solo perché erano capaci di fornire un’alta protezione. Tutti gli altri vampiri non li considerava nemmeno, sanguisughe animali capaci soltanto di nutrirsi e di litigare fra loro. Nessuno di loro era mai riuscito a pensare a qualcosa che non fosse il sangue, nessuno era mai riuscito a gettare lo sguardo oltre il proprio stomaco.

Tranne Carlisle.

Il calore della sua anima era ancora impresso nella sua pelle. Sfiorò con le dita il palmo della mano e sospirò, angosciato. Esaminare la mente del vampiro dagli occhi d’ambra gli era costato molto più di quanto aveva previsto, aveva visto cose che l’avevano affascinato e al tempo stesso turbato profondamente. Aveva visto come l’uomo dai capelli di sole era diventato una creatura della notte, regalando il suo calore e la sua luce alla luna. Aveva visto chi era prima di essere morso, chi stava inseguendo e chi l’aveva arditamente affrontato e trasformato per sbaglio. Aveva visto le decisioni che aveva preso, le scelte che aveva fatto. Si era sempre vantato di poter descrivere in tre parole qualsiasi persona, vampira o umana che fosse, dopo cinque minuti che parlavano insieme. Quella sera aveva dovuto ricredersi sulle sue capacità.

Per chi ha vissuto la bellezza di circa un millennio nell’indolenza, perché questo effettivamente era, non può che rimanere estasiato di fronte alla prospettiva di una distrazione. Di qualsiasi tipo essa fosse. Aro invece si sentiva spaventato, perché quella distrazione più giovane e più ingenua di lui lo intimidiva. Si sentiva vulnerabile come mai era stato, nemmeno da umano, davanti ai suoi grandi occhi casti e sinceri.

Aveva paura, come ha paura un’ombra davanti ad una luce capace di accecarla e di distruggerla.

Quel vampiro aveva gettato al vento tutte le certezze della sua misera esistenza in pochi istanti. Poche parole, uno sguardo timido che in realtà celava una volontà di ferro. E poi il suo viso, il suo unico viso! Quale meravigliosa bellezza, poi, nel suo corpo dorato!  L’aveva toccato nel profondo, con la purezza di un bambino, ed aveva esercitato su di lui il potere del divino.

Non avrebbe più potuto dimenticarlo. Tale debolezza, quell’arrendevole impotenza, era dolce come il primo goccio di sangue che aveva bevuto.

Dentro gli occhi della sua prima vittima aveva visto il potere. Dentro gli occhi del suo secondo predatore aveva scorto la sua fine.

Tutti quei pensieri gli attraversarono la mente come un lampo nel cielo sereno, gli rubarono pochi secondi di vita che avrebbero riecheggiato nella sua esistenza per sempre. Confuso e frustrato, smise di pensare e si lasciò guidare dalle sensazioni, sempre più veloce, sempre più distante. Il respiro dei suoi compagni si fece lontano, fino a svanire nell’immobilità dei campi congelati, ma quando i suoi passi lo portarono a percorrere come un’ombra le pietre di una Volterra addormentata essi ritornarono al suo fianco e lo presero sottobraccio. Non commentò quella loro iniziativa, in quanto vide nei loro pensieri la preoccupazione di una sua fuga, ma un ringhio gli percorse il petto e la gola come un brivido. Non aveva motivo di arrabbiarsi, in fondo. Si trova di fronte all’ennesima conferma dell’incapacità degli altri di capire.

Arrivati nella loro casa, spalancò la porta ed entrò in silenzio. La cameriera andò loro incontro ma la ignorò. Sentì Caius che la congedava in modo brusco e Marcus che si scusava, un tocco di nervosismo nel suo tono. Si chiese che cosa riuscisse a turbarlo al punto da costringerlo a separarsi dal suo mondo per qualche istante.

Alcuni vampiri a loro sconosciuti stavano discutendo animatamente davanti alle scale. Aro fece un cenno alla sua guardia, Ramira, perché si occupasse della questione. Questa avanzò, con sguardo letale, ed impose il silenzio senza troppe buone maniere. Ridotti all’obbedienza, gli stranieri chiesero udienza e si sedettero in un angolo ad attendere di essere ascoltati. Insofferente, il bruno giudice si avviò verso le scale per cercare cinque minuti di pace prima di immergersi nel caos che proveniva dal seminterrato, nel tribunale.

Si sentì afferrare per un braccio e, istintivamente, si girò. Il suo volto era a pochi centimetri da quello di Caius, furibondo ed arrabbiato. La sua mano era piegata sulla stoffa, in modo che non potesse leggere ciò che stava pensando. Si ritrasse, cercando di mantenere la calma di fronte a quell’affronto intollerabile e pubblico.

-Dove pensi di andare?- gli sibilò il vampiro biondo, senza farsi udire da altre orecchie che non fossero le sue.

-Sto andando nella mia stanza a cercare un po’ di quella pace che qui non posso avere.- gli comunicò, freddamente.  Marcus avanzò di qualche passo e si fermò ad un metro da loro.

-Penso che tu ci debba delle spiegazioni, se non è pretendere troppo.-

Aro disse addio silenziosamente ai suoi desiderati minuti di calma e salutò con altrettanto dolore e più rabbia i minuti che avrebbero percorso l’indesiderato confronto che gli veniva richiesto.

-Io non devo niente a nessuno. Adesso lasciami andare, Caius.-

-Siamo preoccupati per te. Non essere così sgarbato, ti prego, spiegaci che cosa sta succedendo.- intervenne Marcus.

-Non sta succedendo nulla, non vedo perché vi preoccupiate per me. Non vi ho dato nessuna ragione per dubitare della mia lealtà a voi.-

-Lasciamo da parte questi discorsi sulla lealtà.- li interruppe il biondo. –Raccontaci chi è quel vampiro che hai invitato qui senza consultarci.-

-È solo un altro vampiro, come quelli che vediamo tutti i giorni dentro casa nostra. Non abbiamo mai bisogno di consultarci, mi pare.-

-Quello non è come tutti gli altri. Lo sappiamo bene, anche se non abbiamo letto nella sua mente e nella sua vita come te. Lui è diverso da tutti gli altri, e non sono solo i dettagli fisici a renderlo  differente. È tutto quell’insieme di abitudini e di progetti che ha sviluppato ad elevarlo dalla massa, ad innalzarlo ad un livello superiore che mici terrorizza.- spaventa,

Marcus si limitò ad annuire, tenendo le braccia conserte.

-Carlisle non è una minaccia, non per voi almeno.- assicurò Aro, con un tocco di malinconia dovuta al suo nuovo  ruolo di rassegnato.

-Che cosa significa?-

-Significa che è un pericolo, si, ma solo per me.-

Aro chinò la testa e disegnò sulla sua bocca un sorriso d’amaro compiacimento. Si sentiva come il condannato a morte, che dopo aver nascosto per tanto tempo segreti inconfessabili alla fine si confida con chi ha l’onere di ascoltarlo per lavarsi malamente la coscienza in attesa del giudizio. Quei segreti gli avevano vestito il volto di una maschera di pena e silenzio che non gli si addiceva. Levarla fu come liberarsi di un peso insostenibile, anche se non gli soddisfò l’animo come aveva sperato. In fondo, quando si parla dei propri problemi è solo per alleviare i pensieri e non per trovare una soluzione definitiva. Non quando i compagni con cui ti sfoghi ti fissano come se fossi una creatura sconosciuta e si schermano la mente di giudizi prima ancora che tu inizi a parlare.

-Voi non avete idea, non potete nemmeno immaginare!- sbottò, incapace di fermarsi ora che aveva abbattuto ogni barriera di contenimento dei propri dolori. –Io mi sentivo così solo, così isolato. Nessuno di voi riusciva a capire come mi sentivo, perché secondo la vostra opinione avevo più di quanto potessi chiedere, più di quanto meritassi. Ma io non la vedevo in questo modo, io mi sentivo come se qualcosa di importante che avevo sempre sottovalutato od ignorato mi mancasse!-

-Che cosa vuoi dire, che non eravamo abbastanza per te? Che tu ti sei evoluto a tal punto da diventare troppo superiore?- domandò Marcus, stringendosi sempre più le braccia al corpo. Sembrava quasi avesse timore che gli sfuggisse.

-Non sto dicendo questo, lo vedi che non…- cercò di spiegare Aro.

-No, Marcus ha ragione.- intervenne Caius. –Hai passato decenni a convincerci che ciò ci era successo era la cosa migliore al mondo. Ci hai detto che per noi la vita sarebbe stato un infinito corso di gioie e felicità. Adesso te ne esci dicendoci che non ti abbiamo mai capito. Come avremmo potuto, Aro?-

-Quando ero giovane, pensavo che le cose stessero esattamente così come hai detto. Vi insegnai io ogni singola parola che ora tu mi hai ripetuto, ma le cose sono cambiate. Per me, hanno preso a scorrere in maniera diversa da come facevano un tempo, quasi il tempo fosse un oceano di onde che avesse preso a soffocarmi invece di cullarmi con dolcezza.-

-Noi vampiri non possiamo soffocare, non possiamo annegare, siamo già morti.- mormorò Marcus.

-Da quando sarebbe iniziata questa mutazione?- chiese Caius.

Aro scosse la testa e rispose:-Non lo so. So solo che un giorno ho aperto gli occhi sulla realtà e l’ho trovata manchevole.-

-Pazzesco!- fu l’unico commento di Caius.

-In tutto ciò che ci hai detto non trovo il nesso con Carlisle.- fece loro notare il paziente Marcus.

-L’hai detto tu: noi vampiri siamo morti. Non c’è vita per quelli il cui cuore ha smesso di battere da tanto tempo da non ricordare come fosse esistere. Ma l’amore?-

Il sorriso di Aro, sempre più grande e sempre più dolce, si scontrò con l’espressione di agghiacciato sconvolgimento di Marcus.

-Se soltanto aveste potuto vedere quanto è speciale, potreste capire quello che vi sto dicendo.- proseguì il bruno volture, inorgogliendosi ad ogni singola parola quasi fosse impegnato a parlare di un figlio. –Sapete quanti anni ha? Ha passato da un paio di decenni il secolo, eppure è in grado di avvicinarsi alle persone e studiare i loro corpi senza desiderare di nutrirsi del loro sangue! Ha sviluppato un autocontrollo eccezionale che nemmeno noi abbiamo, che neppure Caius può vantare nonostante sia quello che sta più a contatto con gli esseri umani di tutti noi.-

-Solo perché non ho voglia di controllarmi, non significa che non sia capace di farlo.- brontolò il biondo vampiro, incrociando le braccia al petto. Era sulla difensiva, mentiva, e per questo Aro scelse di lasciar correre.

-Per questo ha gli occhi di quel particolare colore, per questo è così diverso da tutti quelli che ho conosciuto fino a questo momento. Così diverso persino da come siamo noi.-

-Cosa intendi per diverso?- domandò Marcus.

-Intende dire migliore.-

-No, non migliore. Penso che il termine giusto sia superiore. Lui è superiore ai suoi istinti, superiore ai suoi bisogni, superiore alla sua razza. Ha dei progetti, dei desideri che vanno oltre la sete che prova, o la sopravvivenza. Crede persino in Dio.-

Rise, portandosi le mani al volto. Si ravviò i capelli mentre l’altro vampiro che li aveva così simili ai suoi concludeva:-Per questo è speciale. Per questo tu lo…-

Non aveva il coraggio di proseguire. Caius gli lanciò un’occhiata di disprezzo e sbottò:-Se non hai il fegato di terminare le tue frasi, non dovresti cominciarle nemmeno. Tanto è così evidente che il nostro glaciale Aro è stato trafitto da una freccia di cupido, così speciale da fargli perdere la bussola.-

-Che cosa dici, Caius?- chiese Aro, irritato. –Io sono presente di fronte a voi e a me stesso.-

-Certo, certo.- fu l’arrendevole reazione di Marcus.

Quella di Caius fu più intensa e concitata.

-Cerca di essere sincero, Aro, per la prima volta dopo tanto tempo.- prese a rimproverarlo. –Anche se non so leggere nella mente come fai tu, ho ancora una buona vista e quello che vedo nei tuoi occhi è fin troppo chiaro perché tu possa continuare a nascondercelo.-

Circondato da tante voci che lo accerchiavano cercando di spingerlo a tradirsi, Aro non trovò altra via che quella della verità. Gli occhi che brillavano di fantasie nascoste ed il petto scosso da rantoli di passioni a lungo represse, ammise:-Penso di sentire qualcosa per Carlisle.-

-Pensi?- ripeté Marcus, speranzoso.

-Lo sa per certo, solo cerca ancora di mascherare la sua pietosa situazione con bugie che non coprono nemmeno una fiamma di quelle che ardono nelle sue iridi.- disse Caius.

-Non devo rendere conto a voi delle mie problematiche sentimentali.- si difese Aro, stanco di essere osservato e giudicato persino dagli stranieri che seguivano il litigio con curiosità. Probabilmente non capivano una sola parola di quello che si dicevano, visto che la loro madrelingua era il croato, ma avevano una comprensione abbastanza buona da capire che erano in due contro uno e che quello che se la cavava peggio era lui. Ciò lo infastidiva.

Così come lo infastidiva dover esprimere i propri sentimenti di fronte a chi non aveva diritto o ragione di ascoltarli e conoscerli. Davanti alle guardie che sorridevano nell’oscurità della sala.

-Le menzogne sono come legna secca che nutra un falò.-

-Volete sapere la verità?- esplose, alla fine, il vampiro dagli occhi di brace. Fissò ad uno ad uno tutti i presenti, quasi sfidandoli, poi si soffermò a lungo su Caius e gli gettò in faccia tutto ciò che dava mostra di desiderare sapere.

-Si, io desidero Carlisle. L’ho pedinato per mesi, ho seguito ogni sua mossa, sono stato sotto casa sua per ogni notte a guardarlo studiare e l’ho accompagnato ogni mattina fino a che non entrava in aula. Si, io desidero Carlisle. Sono arrivato a volermi esporre alla luce del sole, non mi andava più di continuare a spiarlo nel buio e vi ho portati con me, perché speravo poteste aiutarmi. Perché sono uno sciocco, uno scemo, un illuso. Credevo che avreste potuto capirmi, invece vi limitate a fare domande ed a giudicarmi dalle risposte e forse prima di averle udite. Io desidero Carlisle, lo desidero con tutto me stesso, e non avrei mai voluto avvicinarmi a lui per paura di corrompere la sua anima perfetta ma lo voglio talmente tanto che a volte non riesco nemmeno a respirare.-

Si bloccò, ansante. Si sorprese di aver detto tutte quelle cose che sino a qualche momento prima non aveva avuto il coraggio di pensare.

-Dovremo farcene una ragione.- sospirò Marcus, tremante e pallido come non lo aveva mai visto.

Le conseguenze di quello che era accaduto erano più chiare a lui che ad Aro stesso, investito dal suo stesso reflusso.

-Che tu possa godere della felicità che tanto cerchi, Aro, fra le cosce di un uomo.- rise il biondo vampiro, mentre il compagno scivolava per terra. Chiunque avrebbe avuto tatto, in quella situazione, ma non lui. Non lui.

Non dopo che gli era appena stato spezzato il cuore.

 

Note

Salve a tutte! Eccomi qui con un nuovo capitolo, spero che vi piaccia tanto quanto gli altri! Ci stiamo avvicinando alla prima relazione di Carlisle, ma per Edward si deve aspettare ancora un poco!

CondroitinSolfato -_- Sembra che riusciate sempre ad anticipare ogni mia mossa! Ebbene, eccovi un pò di gelosia in stile Caius, frustrazione in stile Marcus ed ardente passione firmata Aro volture! Spero che vi piaccia!

Gattino Bianco -_- Bello il tuo nick! Ad ogni modo, mi fa molto piacere che ti sia piaciuto il mio capitolo! Si, continuerò a scrivere in narratore terza persona esterno ma sarà focalizzato sul vampiro biondo dagli occhi creme caramel, tranne per alcuni passaggi (come questo capitolo particolare) in cui vedrò le cose da un altro tipo di prospettiva per spiegare meglio cosa sta accadendo attorno al personaggio! Spero continuerai a seguire la mia storia, grazie per gli auguri e spero tu abbia passato un buon ferragosto!

Grazie a coloro che seguono, mi aggiungono alle loro preferite, mi fanno accedere alle loro ricordate e mi considerano la loro autrice preferita!

Alla prossima!

 



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Capitolo 5
*** Capitolo cinque ***


Splendida, tenebrosa, Volterra

 

Carlisle scivolò sulla sedia dalla quale si era alzato pochi istanti prima, avendo come la sensazione di aver appena assistito ad un momento di svolta. Aveva incontrato altri vampiri, vampiri come lui! L'entusiasmo si smorzò a quel pensiero. Come lui, già, mostri assetati di carne e sangue. La visione dei loro occhi rossi come il fuoco lo tormentava, eppure c'era una parte di lui che non li rifiutava affatto. Anzi, li ammirava.

Ciò era estremamente spaventoso, ai limiti della pericolosità.

Il fragile equilibrio che aveva trovato in anni di autocontrollo forzato stava rompendosi dopo soli cinque minuti. Meno, forse. Il tempo aveva perso la sua originaria cognizione matematica per farsi qualcosa di più personale, più profondo. Scordò che i Pace stessero a preoccuparsi per lui, continuò a pensare ancora avvolto da un'emozione particolare.

C'era un angolo della sua anima che si era steso in un sorriso solare. Pareva dare il benvenuto a quel nuovo incontro, quasi fino a quel momento avesse segretamente disprezzato e snobbato ogni altro tipo di compagnia in vista di quell'attimo. C'era un silenzio dall'altro lato, il lato che gli ordinava di dimenticare quello che era appena accaduto e continuare la sua vita così com'era. E poi c'era il suo cuore, pieno di solitudine e gonfio di lacrime mai versate. C'era il suo cuore spezzato, troncato, pronafato e ridotto in pezzi di cupo ed imbronciato silenzio da un morso. Un morso di creature simili a quelle che desiderava tanto rivedere.

In quel mentre, il volto di Aro si fece largo nella sua memoria come un'apparizione non richiesta. Era vero, era un vampiro, aveva gli occhi rossi e probabilmente aveva ammazzato quanta più gente lui avesse mai immaginato o sperato di conoscere. Eppure quegli sguardi che gli aveva riservato, il modo in cui l'aveva toccato, la passione dipinta nel suo invito e l'irruenza nel prendere le sue difese verso il piccolo vampiro biondo l'avevano colpito.

Si sentiva toccato da Aro, ad un livello troppo profondo da poterlo ignorare.

Una campana lontano suonò le nove di sera. Lo fece riprendere dal mondo di fantasmi in cui si era tuffato ed alzare dalla sedia, raccogliendo i libri sparsi sopra il tavolo e raggiungendo la porta per tornare a casa. Avrebbe dovuto trovare una scusa con Gaetana, ma anche con sé stesso per la decisione che aveva appena preso.

 

-Signor Pace, mi scusate?-

Tancredi alzò gli occhi da quello che stava facendo. Carlisle immaginò che stesse stendendo diligentemente qualche conto della sua attività mercantile, oppure la lista delle nuove amanti. Aveva ragione Gaetana, a volte, ad essere tanto iperprotettiva.

-Dimmi pure, figliolo. Vieni avanti.-

Carlisle entrò nello studio del signor Pace e sorrise, spostandosi una ciocca dei capelli dietro all'orecchio destro.

-Dovrei chiedervi un favore.-

L'altro alzò gli occhi, sorpreso. Carlisle comprendeva il suo sbigottimento: in tanti mesi di convivenza, avevano scambiato si e no due parole e per l'uomo lui era stato niente più che un'ombra macchiata di sole.

-Un favore? Certo, nessun problema.-

Si umettò le labbra, era in imbarazzo.

-Ecco, domani io avrei un impegno piuttosto importante all'università. Non penso mi sarà possibile tornare a casa prima di sera, perciò non potrò badare a...-

-Non ti preoccupare, figliolo, non c'è nessun problema!- esclamò il signor Pace, allegro. Evidentemente l'aveva trovato di buon umore, poiché rideva ignorando il fatto che era tornato a casa ad un orario fin troppo tardo e lo stava importunando con delle bugie sciocche. -Ti sei sempre comportato bene e non hai mai saltato un giorno di lavoro.-

Il mercante si sporse verso di lui e gli sorrise con aria complice.

-Mia madre è molto contenta che tu le faccia compagnia, la aiuti a sentirsi utile e credo che il fatto di avere un bel ragazzo che le gira attorno sia per lei fonte di divertimento.-

Gli diede una gomitata ed ammiccò. Carlisle sorrise, pensando a come Gaetana vedesse tutto in lui tranne che la sua prestanza fisica.

-Penso mi consideri un figlio, più che altro, signor Pace.-

-Ad ogni modo, accordato.- concluse sbrigativamente l'altro. Carlisle lo seguì con gli occhi mentre tornava alla scrivania ed al suo lavoro. Mentre l'altro prendeva a mischiare alcune carte, attese che dicesse qualcos'altro.

-Grazie, allora. Grazie infinite.-

Tancredi sorrise.

-Se è per uno studente modello, questo ed altro. E poi, il denaro che mi risparmi in cibo lo posso investire in una giornata di chiacchiere con mia madre.-

Assunse un'aria giustamente colpevole. -Ammetto, è molto tempo che non parliamo.-

-Gaetana desidera che voi le dedichiate più tempo.-

-Domani starò con lei tutto il giorno, lo prometto.- giurò l'uomo, incrociando le dita sulla bocca.

Carlisle uscì dall'ufficio felice, in un certo senso. In fondo, aveva appena raccontato una bugia ad un uomo che gli aveva sempre dato la sua piena fiducia e questo non avrebbe dovuto compiacerlo o gratificarlo in nessun modo. In quella maniera, però, pareva aver contribuito al crearsi di un'atmosfera positiva in casa. Andò in camera sua, velocemente come soltanto lui sapeva fare, e si inginocchiò davanti alla croce del padre sussurrando una preghiera. Le parole dell'Ode si mischiavano al respiro sereno di Gaetana e al grattare della penna del figlio su un foglio. Strinse le mani convulsamente, si strinse alla sua fede, e riportò alla mente quegli attimi passati alla spiaggia.

Sentiva che ne avrebbe avuto bisogno, il giorno successivo.

 

Erano appena le sei quando scese in strada e prese a correre. Tutte le case erano silenziose, le luci spente e gli unici bagliori che si potevano scorgere erano quelli degli ultimi raggi lunari che si infrangevano contro i vetri dei panettieri. Nessun nobile avrebbe mai messo un piede giù dal letto prima del mezzogiorno. Continuò a correre fra i campi, dove i contadini iniziavano a svegliarsi. Le loro case, perse per la campagna, erano come dei fari nell'alba. Si tenne sempre a debita distanza dalle abitazione, preferendo celarsi fra gli alberi e sentire le foglie frustargli le guance.

Da tempo non godeva di una libertà simile. Era qualcosa di spaventoso, di assoluto, in esso non vedeva la possibilità di controllo di sé.

Volterra era un piccolo paesino fortificato, poche case di pietra sparse a guisa di una manciata di sassi fra strade sterrate. Il centro era costituito da una chiesa piuttosto imponente e maestosa, che faceva da capo ad una piazza elegante e signorile. La situazione cambiava leggermente, da qui partivano varie stradine dove si affacciavano meravigliose tenute nobili, utilizzate prevalentemente per le vacanze di qualche signorotto locale. Era un posto bellissimo, Carlisle non l'aveva mai visto prima di allora ma ne rimase incredibilmente affascinato. Mentre rimaneva a godersi il panorama mozzafiato per qualche minuto, assaporando l'aria ghiacciata sul volto, avvertì subito un profumo familiare. Era qualcosa di antico ma insieme fresco, vitale. Era bello come può esserlo la vista di un burrone fra la neve, oppure lo scorrere del sangue sul marmo. Gli dava i brividi in tutto il corpo, lo spaventava tanto da fargli attivare i sistemi di difesa e ripensare sulla sua decisione. Lo attirava, lo attirava con lo stesso fascino che la preda prova per il suo predatore e che la porta ad abbracciarlo anche se sa che le costerà la sua esistenza. Adorava quel profumo perché era fin dentro di lui, inciso nel suo cuore, scolpito nella sua pelle, impresso a fuoco nella sua mente, scavato nella sua anima, conficcato nelle sue narici. Adorava quel profumo, come si può adorare la morte prima del suo arrivo. Lo portava a ripensare alla sua decisione. Aveva fatto bene ad andare fin lì? Forse sarebbe dovuto tornare a Siena, andare all'università come aveva raccontato a Pace e dimenticare tutta quella storia. Avrebbe dovuto. La sua natura, però, sembrava decisa a fare tutt'altro. Mosse i primi, struggenti passi verso quella fonte di paradiso. In fondo, tutte le prede amano il loro predatore fino a pochi istanti prima di venire smembrate dalle sue labbra di rubino. Rosse come il sangue, con denti aguzzi come avorio vero.

Prese a correre verso la direzione che il suo corpo, il suo maledetto istinto, aveva scelto. Giunse in breve tempo ad una piccola villa, dall'aria antiquata e buia come coloro che vi vivevano. Rispecchiava, in un certo senso, i suoi abitanti e per questo si distingueva da tutte le altre della via. Era spettrale, vista a quell'ora di mattina, ed era certo che nessuno nei dintorni si sarebbe mai rischiato a bussare ai battenti di legno e ferro arrugginito per chiedere un'informazione o consegnare un invito per un ballo. Lui, invece, bussò senza dare ascolto a quell'angolo di ragione che lo pregava di scappare. Tre colpi distinti, poi il silenzio. Ormai aveva scelto, aveva scelto e dentro di lui una parte gioiva accanto ad una che moriva nel buio. Era qualcosa di sbagliato, ma qualcosa che lo faceva stare bene, soddisfatto di sé. Col tempo, avrebbe imparato a vedere in quella soddisfazione una forma di masochismo, di desiderio di dolore per vendicare l'esistenza che gli era stata imposta e la presenza della sua ombra che si trovava a dover imporre agli altri. La volontà di ferirsi, forse la voglia di capire quale sarebbe stata la sua strada, ma nulla di più l'aveva portato a bussare a quella porta di quella villa in quella piccola via di quella piccola città di mura e case chiamata Volterra.

Tutto il resto sarebbe arrivato. A volte lo scorrere di quella cosa frustrante e finita che è il tempo si rivela l'unica via per capire o per capirci.

Venne ad aprirgli una donna in divisa da cameriera. Lo salutò, nonostante l'ora non proprio consona, con un sorriso cordiale ed un gesto che voleva essere un invito ad entrare. Carlisle si lasciò guidare per corridoi di marmo definiti da pareti foderate di velluto viola, finché giunse in una sala dalle dimensioni contenute e dallo stile sobrio. Capì dovesse essere un salotto per il thè, ma era più che certo che nessuna teiera aveva mai respirato l'aria tingendola di una piacevole fragranza capace di rendere ospitale e calda persino la polvere che si sollevava dai divani. Non immaginava Aro, Caius e Marcus seduti sulle poltroncine di raso a chiacchierare amabilmente di teatro mentre le loro dita si attorcigliavano a stringere tazze colme di accogliente infuso. Immaginava invece mani fredde dalle unghie affilate che si stringevano attorno ai polsi di una vittima indifesa che gettava grida perdute nella discrezione del marmo e del ferro arrugginito.

-Carlisle.- lo salutò una voce familiare, che accolse con entusiasmo assurdamente esagerato.

-Aro.- salutò a sua volta, voltandosi. Il vampiro moro era alla porta, assieme a Marcus.

-Siamo molto felici che tu abbia deciso di venirci a trovare.- sorrise Marcus, inclinando la testa e mostrando i canini affilati.

-Il signor Caius è uscito. Mi ha lasciato detto che verrà a salutare il signor Carlisle prima che se ne vada.- informò la cameriera, chinando il capo.

Aro le sorrise glacialmente e la congedò con brutalità. Quando fu uscita, Carlisle restò a fissare la porta che le aveva appena visto oltrepassare con cauto sconvolgimento. Il battito del cuore della donna si udiva ancora, nonostante si fosse allontanata.

-Esseri inferiori, fatti per servire quelli come noi.- spiegò Aro, notando la sua espressione ed intuendone la causa. Era bravo in queste cose, ma non era stato il semplice intuito a fornirgli il suo nome la sera precedente.

-Esseri inferiori?- ripeté, contrariato. Incrociò le braccia al petto e fissò gli altri due vampiri in attesa di una replica. Invece di rispondere, si accomodarono e l'invitarono a fare lo stesso.

-So bene che hai un'opinione che diverge dalla nostra, in fatto di umani intendo.- esordì Aro, con tranquilla indifferenza.

-Sono stato umano anch'io, mi considero ancora uno di loro in un certo senso.-

I suoi due ospiti si permisero una risata più aperta.

-Oh, Carlisle, diciamo la verità senza troppi giri di parole. Tu non sei più umano da secoli, o sbaglio? Non puoi continuare a mentire a te stesso.-

-Voi come fate a sapere tanto di me?- chiese, irritato. Non era possibile che avanzassero tante ipotesi solo per intuizione, c'era qualcosa di più. Qualcosa che sembravano non volergli rivelare.

-Ieri sera, quando avete stretto la mano a Caius. È stato come se aveste comunicato, vi ho visto annuire da sotto il cappuccio del mantello.-

-Avevi ragione, Aro. È davvero sveglio.- commentò Marcus, con voce particolarmente viva ed interessata. Carlisle non lo conosceva da molto, ma riuscire ad attrarlo per farlo uscire dal suo mondo dei sogni non doveva essere cosa facile.

-E poi mi avete fatto la stessa cosa con me. Quella vostra particolare espressione sul volto, quel misto di concentrazione e sorpresa. Sembravata quasi colpito, quasi sofferente.-

Aro accavallò le gambe e torse la bocca fine in una smorfia rosso rubino. Evidentemente aveva rivelato qualcosa che non avrebbe voluto sentire.

-Si, questo è il talento del nostro vampiro.- gli spiegò Marcus, vedendo che l'altro non accennava a parlare.

-Un talento?- ripeté Carlisle, scioccato. Non aveva mai immaginato che dei vampiri potessero avere una particolare capacità o qualità. Il fatto che esistessero, che egli stesso esistesse, lo turbava.

-Si.- rispose Aro, fissandolo negli occhi. Aveva l'aria di volergli respirare l'anima, ma che ci fosse qualcosa che glielo impediva. Gli piacevano da morire quegli occhi, il pensiero che uno come Aro potesse desiderare di conoscerlo lo onorava e lo disgustava al tempo stesso. -Io so leggere nella mente delle persone, ma solo se queste mi consentono di toccarle.-

-Molto più di questo, è pura comprensione dello spirito. Aro riesce a carpire i pensieri del presente e ad estirpare passato e futuro dell'individuo.-

Ricordò la sera precedente, quando gli aveva stretto le dita in quella che esteriormente gli era parsa

una presentazione. Era stato di più, molto di più, un intromissione nel suo io più segreto.

-Davvero? È... terrificante.-

Aro sorrise, facendo scintillare i suoi denti candidi alla luce che entrava dalle finestre. Ormai il sole cominciava a filtrare attraverso le vetrate, appoggiandosi sulle loro epidermidi e dando loro vita.

-È affascinante, non trovi?-

Si chiese che cosa avesse visto in lui da spingerlo ad invitarlo a casa loro. Forse l'aveva interessato il passato, oppure l'aveva attratto il futuro? Il fatto che uno come lui potesse trovarlo degno di un più approfondito studio non era qualcosa di completamente positivo. Ricordò l'espressione di rabbia negli occhi di Aro. Era stato più di un attimo, più di un istante di pura ed intensa rabbia. No, frustrazione definiva meglio il velo che era calato sulle iridi rosse.

Che fosse quello che non era riuscito a vedere ad interessarlo maggiormente? Carlisle sorrise, al pensiero, felice come un bambino che vuole giocare con ciò che i genitori gli vietano.

-Si, molto.- commentò, semplicemente. Aro continuava a studiarlo da lontano, con l'aria di una pantera che segue i movimenti di una gazzella.

-Non tanto quanto te.- terminò l'altro, distogliendo lo sguardo.

-Penso sia talmente ingiusto, Aro, che noi sappiamo tanto del giovane Carlisle senza avergli detto niente di noi.- s'intromise Marcus. Dallo sguardo che lanciò al vampiro che gli stava seduto a fianco, capì che era sconvolto dalla sua debolezza.

-Si, presentiamoci come si deve.- mormorò Aro, alzando gli occhi.

-Noi siamo i Volturi.- annunciò Marcus, con orgoglio.

-I Volturi?-

Carlisle non ne aveva mai sentito parlare.

-Si, siamo la famiglia reale dei vampiri.-

-Vampiri quasi millenari, a cui fa capo tutta la razza. Tutto ciò che accade fra i vampiri è sotto la nostra responsabilità, ogni nuovo nato entra spontaneamente o meno sotto la nostra osservazione e tutela.-

-Siete una famiglia reale? Prima di adesso non ho mai pensato che ne esistesse una.-

Aro sorrise.

-Risulterebbe compromettente che uscissimo per le strade ad annunciarlo, no? Non dovrebbe nemmeno esistere la razza vampira.-

-E poi, se ci mettessimo delle corone in testa ed uscissimo in parata per le strade rischieremmo seriamente di venire attaccati da chiunque.-

-Siete come dei nobili, quindi. Perché invitarmi fra di voi?-

Nessuno dei due rispose. Rimasero in silenzio, Marcus che lanciava qualche occhiata ad Aro ed Aro che lo evitava tenendo gli occhi ostinatamente puntati altrove.

In quel momento entrò Caius, senza nemmeno bussare o preoccuparsi di annunciare la sua presenza.

-Perchè il nostro amato Aro pensa tu sia interessante da conoscere.- disse il biondo vampiro, levandosi il cappotto di dosso e sospirando di stanchezza.

-Caius, non è apprezzata la tua presenza qui.- ringhiò Marcus. Aro fu attraversato da un tremito, che nessuno notò tranne Carlisle che gli stava seduto davanti.

Non capiva quanto stava accadendo, ma ciò che aveva ricavato dall'osservazione attenta dei comportamenti degli altri gli fece pensare che vi fossero delle tensioni fra i membri del trio.

-Tu si e io no. Perché questa disparità di ruoli, Marcus?-

Caius si sedette accanto a Carlisle e gli mise il braccio attorno alle spalle.

-In fondo, siamo sempre stati tutti uguali. I Volturi, gli avete raccontato la nostra storia e spiegato il nostro ruolo?-

-Caius, se te ne vai è meglio.-

La voce di Aro era spezzata da un'ira profonda, il suo corpo la tradiva solo attraverso le mani scosse. Il compagno, tuttavia, rimase seduto dov'era e si voltò verso Carlisle.

-Non è una bellezza?- gli sussurrò, ruotando con due dita il suo volto verso il proprio e sorridendogli sensualmente.

-Io credo di non capire.- confessò, infastidito.

-Io penso, Carlisle, che tu sia soltanto una bella bambola per i nostri scaffali. Per la mensola di Aro, a voler essere precisi. Niente di più. Non c'è niente di affascinante in te, tranne la tua capacità di aver sedotto un vampiro che voleva affascinare te.-

Non ebbe nemmeno il tempo di indignarsi, di ribattere in qualche modo, che un lampo scuro passò davanti ai suoi occhi e cadde sulla figura inerme di Caius. Non appena capì che cosa stesse succedendo, la mano di Aro stringeva la gola del vampiro biondo artigliandola con le lunghe unghie. Marcus era dietro di lui, in piedi, che si consumava nell'incertezza di quale dei due avrebbe dovuto difendere.

-Aro, per favore.- disse infine senza troppa convinzione.

-Non lo devi toccare, con quelle tue mani sudice di arrogante ignoranza, Caius.- sibilò Aro, stringendo la presa. Caius lasciò cadere il braccio dalle spalle di Carlisle e lo avvicinò mollemente al fianco.

Carlisle scattò in piedi e si allontanò dalla colluttazione. Aro lo seguì con lo sguardo, affrettandosi a lasciare il biondo compagno. Sembrava sorpreso egli stesso di quanto era riuscito a fare, si guardava le mani e poi gli altri compagni con un'espressione di assoluto sconvolgimento. Era come se la rabbia gli avesse comandato di agire senza ragionarci troppo sopra, come se l'avesse ipnotizzato.

-Perdonatemi.- disse infine il vampiro, tendendo la mano per aiutare Caius a rialzarsi. Questi la rifiutò e si tirò in piedi da solo, uscendo da quella porta che aveva appena oltrepassato.

-Marcus, è meglio se lo controlli.- disse all'altro membro del trio rimasto nella stanza. Questo annuì, seguendo quello che era uscito senza proferire parola. Carlisle rimase ad osservare, senza capire che cosa stesse accadendo, mentre la stanza si svuotava piano.

 

Note dell'autrice


Salve salve a tutte! Ecco il nuovo capitolo! Come al solito, frustrazione, passioni represse, turbe mentali e psicosi religiose di un dottore ed un vampiro sbandato!

CondroitinSolfato -_- allora allora, come al solito avevate previsto tutto! Devo cercare di stupirvi, prossimamente! Sono felice che il mio capitolo vi sia piaciuto! Soprattutto l'ultima frase. Per quanto riguarda le mogli, non entreranno mai in scena. Forse per personaggi da fondo, ma già parlare di Bella ed Esme mi creerà dei problemi!


Gattino Bianco -_- Prego del tuo grazie! Sono felice che il capitolo ti sia piaciuto! Grazie anche per avermi inserito fra le tue autrici preferite! Spero di essere all'altezza! Aro... non è definibile. Insomma, a lui piace Carlisle e lo desidera pazzamente, ma un tipo che vive per 1000 anni non si fa attrarre solo dal sesso. è ossessionato dalla purezza e dalla mente di Carlisle, ma lo si capirà più avanti.


Grazie a tutte quelle che leggono, mi inseriscono nelle "preferite", "ricordate" e "seguite". E, naturalmente, mi considerano la loro autrice preferita!



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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Unico fra le sue labbra

 

-Credo di dover andare anch'io.- propose Carlisle, infine, di fronte al sepolcrale silenzio dell'altro.

Aro alzò lo sguardo da terra e lo inchiodò su di lui. Nel fondo delle iridi scure c'era un miscuglio di sentimenti indefinibili ma terribilmente sconvolgenti. Pentimento, paura, rabbia e qualcos'altro che rendeva tutto legittimo e coeso ma al quale non riusciva a dare un nome.

Era qualcosa di simile a quel pensiero senza nome che creava il silenzio fra loro e che iniziava la sua sanguinosa danza anche dentro la sua anima.

-No, ti prego. Resta, resta con me.-

La voce era addirittura peggio dello sguardo. C'era una debolezza, una fragilità fra le parole, che sembrava impedire che esse stessero unite a formare una frase di senso compiuto.

-Aro, non mi va che voi litighiate con i vostri amici per colpa mia.-

Vide formarsi sul suo volto un sorriso di sofferente divertimento e lo trovò bello, nonostante tutto.

-Se c'è qualcuno che non ha nessuna colpa sei proprio tu, Carlisle.-

Chinò il capo, il modo in cui aveva pronunciato il suo nome l'aveva toccato. Era come se gli avesse lanciato una richiesta di aiuto, una sorta di pagana implorazione che era il solo a poter capire. Aro gli tese la mano e lui, seppure con qualche tremito, la afferrò. Questa volta non si concentrò, come invece Carlisle si era aspettato, ma rimase disteso e azzardò un timido sorriso.

-Non ti leggerò, stai tranquillo.- gli assicurò. -Lo farò soltanto quando tu me lo concederai.-

-È... grazie.- rispose. Si avvicinò all'altro di qualche passo, affiancandoglisi. Erano entrambi della stessa altezza, ma nonostante la corporatura esile era Aro a sembrare più vecchio. E così era, a ben pensarci, se davvero i tre erano millenari come gli avevano raccontato.

-Vuoi fare il giro della casa? Ti va?-

Annuì, sperando soltanto che la scoperta dell'abitazione non gli avrebbe riservato brutte sorprese.

Uscirono dal salotto che aveva ospitato la parte più violenta del loro incontro. Iniziarono l'esplorazione del piano in cui si trovavano, il primo, per poi salire o scendere a seconda dell'ispirazione del suo improvvisato cicerone. La casa era davvero enorme, costituita di un numero impressionante di stanze da letto, bagni, salotti, salottini, alcove più o meno improvvisate, studi. Avevano una serie di piccole biblioteche sparse per ogni piano, gremite di libri di ogni lingua a lui conosciuta o meno. La più grande di tutte, però, si trovava al primo piano ed era enorme, vasta come l'intera hall del piano terra, ed era colma di libri scrupolosamente sistemati su scaffali di legno antico che andavano dal pavimento al soffitto. Grandi finestre illuminavano alcuni tavoli disposti quasi casualmente qua e là, attorniati da sedie e piccole poltrone. Le scarse porzioni di muro in vista erano ricoperte di appunti e di quadri. Incorniciate con puntigliosa pignoleria, c'erano alcune lauree divise per anno.

Carlisle si fermò di fronte a quei particolari quadri e li ammirò, colpito.

-Sono tutte vostre?- domandò al suo compagno, indicando una pergamena piuttosto incartapecorita datata Bologna, 1614. Aveva tutta l'aria di qualcosa di estremamente pallido e fragile, che non avrebbe retto la luce diretta del sole.

Un po' come Aro.

-Si, sono mie, di Caius e di Marcus.- accertò questi, con orgoglio malcelato. Carlisle non sapeva vantasse i titoli di studio, la vastità della sua conoscenza, la bellezza accecante della sua biblioteca oppure il fatto che attirasse tanto la sua attenzione da avergli fatto dimenticare quanto accaduto precedentemente.

-Non ho mai conosciuto nessuno che amasse tanto lo studio e l'arte.- mormorò, in soggezione.

-Nessuno come noi, intendi?- gli chiese il vampiro bruno. Annuì e l'altro aggiunse:-Si, siamo merce rara e questo ci ha fatto diventare ciò che siamo. Conosco bene le creature della notte della Londra che abitavi tu, la stessa Londra che ti ha visto emettere i tuoi ultimi battiti e respiri.-

Carlisle tornò con lo sguardo su Aro, curioso. L'altro agitò la mano libera, imbarazzato.

-Perdonami, ieri sera ho letto più di quanto avrei potuto. Di solito non agisco così, con gli sconosciuti perbene, ma la mia sorpresa nel vederti era così grande che...-

Lo guardò, come si guarda qualcosa di bellissimo ed irripetibile. Quasi temesse che un momento come quello non gli sarebbe stato più concesso, nonostante la presunta immortalità.

-Il prezzo dell'unicità è la solitudine, Carlisle. Io e gli altri viviamo soli da sempre, a volte la nostra compagnia non ci basta perché è fine a sé stessa. Non cambiamo, non abbiamo nessun contatto, non facciamo altro che studiare senza avere nessuno con cui condividere il piacere della sapienza, non viviamo davvero capisci?-

-Ma siete sempre soli?- domandò, comprendendo bene ciò che gli veniva detto.

-Siamo i Volturi, non possiamo vivere soli. Ospitiamo vampiri di passaggio, li aiutiamo a trovare la loro strada e di stanze ne abbiamo abbastanza per tutti, ma è come se ci mancasse sempre qualcosa.-

Il vecchio vampiro chinò il capo mentre ammetteva:-Soprattutto a me, manca quel qualcosa. Caius ha le sue prostitute, Marcus i suoi sogni, io avevo l'insegnamento e la gioia della cultura. Mi è rimasta solo l'ultima, che senza il primo sa solo di vecchio professore seppellito nei suoi ricordi.-

Tornò a studiarlo, con gratitudine.

-Per questo, quando ho visto te, ho deciso di avvicinarmi e di invitarti qui. Gli altri non erano d'accordo, loro temono il progresso perché pensano che finirà per sommergerci, per creare dei rimpiazzi. Io invece vedo in te ciò che la mia generazione e quelle successive non è mai nemmeno riuscita ad immaginare, a sperare.-

-Non mi sento tanto speciale, se devo essere sincero.- mormorò, sentendosi fin troppo immeritatamente adulato.

-Solo chi è grande davvero non si accorge di esserlo, dolcezza.- replicò l’altra creatura. Carlisle non ribatté, fin troppo preso a considerare come quel dolcezza sembrasse una carezza sul suo volto. Sembrava che Aro gustasse ogni parola che gli rivolgeva, quasi le avesse conservate a lungo in attesa di quel momento e ora le estrasse come gemme da un forziere.

-Comprendo le tue reticenze, Carlisle.- proseguì l’altro vampiro, visto e considerato che lui non parlava. –Nella mia imperdonabile quanto utile lettura della tua anima ho avuto la possibilità di rivivere la notte in cui tu smettesti di vivere. Da umano, intendo dire.-

I suoi occhi divennero così scuri da immaginare dovesse provare un odio immenso. Dalla sua voce trapassava una rabbia a stento contenuta. La stretta della sua mano su quella di Carlisle si fece più energica.

-Ho visto come vivono, spazzatura ai bordi della vita degli altri esseri viventi. Non sono altro che feccia, predatori fini a sé stessi, e questo mi ferisce.-

Ritornò con lo sguardo nei suoi occhi chiari. Quella visione parve calmarlo profondamente, mentre diceva:-Ferisce tutti noi, nell’orgoglio e nella dignità della nostra razza. Noi Volturi cerchiamo proprio di evitare che certe bestie, facilmente definibili come semplici sanguisughe, compiano orribili atti come quello che hai dovuto subire tu.-

-Il vostro è senza ombra di dubbio un compito impegnativo.- commentò Carlisle, distogliendo l’attenzione dall’altra creatura. Questa però gli sfiorò il mento con le dita lunghe e pallide e riportò su di sé i suoi occhi.

-Ho sofferto con te i dolori che hai dovuto patire, ho trascorso ogni singolo istante a gemere per il veleno nelle tue ferite, ma non riesco a rinnegare ciò che ti è accaduto. Ho sofferto la corsa senza fine, la tua fuga verso la vita che ormai ti era già stata tolta, e ho detestato i suoi canini che affondavano il loro maledetto morso nella tua pelle bianca. Ho pianto assieme a coloro che si sono visti privare di te, ho domandato al cielo perché un angelo fosse dovuto morire da demone, ma non sono riuscito a provare sincera ingiustizia.-

Carlisle trattenne il respiro, durante la minuziosa narrazione della sua terribile e fatale notte. Vide di nuovo il ragazzo spaventato che fuggiva da sé stesso, da qualcuno che sarebbe divenuto il suo peggiore incubo, e vide i suoi genitori osservare il suo sangue scorrere al bagliore delle torce. si sorprese a ricordare dettagli che prima aveva ignorato: la luce del lampione sulla sua carne dilaniata, il silenzio della strada, il buio tutto attorno, il ringhio della bestia che scappava.

-So che odi te stesso, che capisci che dentro di te c’è qualcosa di unico ma non riesci a liberarlo dalle fibre malefiche della tua natura. Per questo, ci tengo ad offrirti il mio aiuto.-

Sorpreso, chiese:-Il vostro aiuto? Non afferro.-

-Voglio insegnarti ad apprezzare le tua nuova vita, smettendo di torturarti con inutili punizioni. Voglio aiutarti ad esprimere il potenziale che è in te, imparando a distinguere chi usa la nostra natura per sopravvivere di sangue nel sottosuolo da chi la vive per degli ideali.-

-Sarebbe tempo sprecato, Aro, ve lo assicuro.-

-Il tempo è proprio la sola cosa che, al momento, non mi manca. Per quanto riguarda il resto, lasciami dire che ti sottovaluti fin troppo. Tu sei differente dagli altri, tu sei speciale! Unisciti a noi, ai Volturi!-

Il vampiro dai capelli biondo sole spalancò gli occhi, mentre gemeva dalla stupore.

-Unirmi a voi, i Volturi? Ma, Caius e Marcus…-

-Penserò io a convincerli, di loro in quest’istante non mi interessa poi molto.-

Le loro mani erano strette come non mai. Carlisle, perduto nei grandi occhi color vinaccia, si trovò a scordare ogni sua definizione.

-Ci vorrei pensare, non vorrei interferire né con la vostra esistenza né con i miei studi.-

-Le cose potranno adeguarsi alla nuova situazione, ma comunque va bene. Ti lascio tutto il tempo che vuoi per decidere, anche se vista la situazione comprenderai la mia impazienza.-

Carlisle abbozzò un sorriso.

-Impaziente per me?-

-Impaziente di te.- puntualizzò il vampiro moro. Carlisle rabbrividì, zittendosi per qualche istante. Tornò a fissare le pareti e gli scaffali della biblioteca, gli occhi che scorrevano i titoli dei libri che prima tanto l’avevano affascinato senza realmente vederli.

-Che cosa significa che odiate il vampiro che mi ha trasformato, ma non riuscite a rinnegarlo?-

Aro si prodigò in un sorriso sornione e gli rispose:-Perché mi ha fatto un regalo davvero importante. Per quanto desideri ucciderlo con le mie stesse mani, non potrò mai smettere di essergli intimamente grato. Senza il suo intervento, non ti avrei mai incontrato. Oppure, se l’avessi fatto, non ti avrei degnato di uno sguardo.-

Tacque, per qualche attimo, poi riprese:-Forse sarei rimasto così colpito dalla tua bellezza da provare a trasformarti io stesso. Anche solo per sentire che sapore avresti mai avuto.-

Parlò a voce bassa, quasi sussurrò, ma fu lo stesso udibile. Le sue parole crearono un certo sconcerto in Carlisle, ma non come si sarebbe aspettato.

La conversazione, ad ogni modo, cadde su quella frase e per tutto il resto della giornata non si parlò più né del passato di Carlisle, né dell'invito ad unirsi ai Volturi. Trascorsero la maggior parte del tempo a chiacchierare, Aro era un oratore vivace che sapeva rendere interessanti anche gli argomenti più noiosi. Notò che fu evitato con cura di ritornare sul discorso del sangue, o degli umani. Gli furono poste alcune domande sulla sua dieta e sul particolare modo di vivere che conduceva, ma in un atteggiamento di casualità tale che rischiò quasi di non notarle o ricordarle affatto.

Giunse la sera prima di quanto avrebbe mai potuto immaginare, e con lei l'ora di tornare a casa. Aro si offrì di accompagnarlo alla porta, seppur con qualche sofferenza. Si vedeva che avrebbe desiderato che rimanesse ancora, ma di certo non poteva giocare la carta dell'invito a cena. Arrivati sul marciapiede di fronte alla casa antica e polverosa, le prime stelle che iniziavano a brillare, Aro lo salutò con un sorriso.

-Sei sicuro di voler andare? Potresti restare, abbiamo ancora dell'altro su cui discutere.-

Era un po' come se si stesse arrampicando sugli specchi, ma il fatto che lo facesse per lui gli dava un'insolita emozione.

-No, non credo riuscirei a sostenere un'altra conversazione con voi in modo minimamente costruttivo. I signori Pace, poi, mi aspettano prima delle otto.-

Al sentire nominare i suoi inquilini umani, l'altro storse la bocca in un broncio che durò appena qualche attimo. Carlisle lo ignorò, avrebbe ignorato certi segni molte volte nel futuro fino a che la sua cecità non avrebbe preteso il suo cuore per rivelare la verità.

In ogni caso, in quel preciso momento, si voltò dall'altra parte.

-Grazie per essere venuto, allora.-

-Grazie a voi, per avermi concesso questa opportunità.-

Aro alzò una mano, per impedirgli di continuare in quelle che aveva già definito sciocche formalità, e gli riservò una delle sue lunghe e languide occhiate.

-Mi hai donato un minuto del tuo tempo, sono io a doverti essere grato. È stato un piacere.-

-Il piacere è tutto mio.-

-No, credimi non è così per me.-

Carlisle chinò la testa, in imbarazzo, e ringraziò il Cielo di non poter arrossire più. Quelle gote imporporate che in passato erano state il suo cruccio con le ragazze, ora gli sarebbero state a dir poco fatali.

Si salutarono, quando ormai la luna era sorta e splendeva assieme ad un pugno di temerarie stelle. Le nuvole si muovevano alte e lente nel cielo. Avrebbe nevicato, quella notte, pensava il vampiro dai capelli color raggio di sole mentre correva per i campi deserti. Avrebbe nevicato sui suoi pensieri sovraccarichi e le sue membra febbricitanti. Magari, tra il silenzio delle coltri bianco latte, avrebbe anche sognato, ma per il momento doveva trattenersi poiché era molto tardi: la compagnia di Aro gli aveva fatto davvero perdere la nozione del tempo.

Note dell'autrice



Ciao a tutte! Perdonate il ritardo per il nuovo capitolo! Spero vi piaccia tanto quanto i precedenti! Ringrazio coloro che mi seguono con fedeltà e mi aggiungono alle loro preferenze!

Gattino Bianco -_- Ciao a te! Ti voglio ringraziare per tutti i complimenti che rivolgi a me e alla mia storia. Sono felice che tu la segua con così tanta convinzione, perciò ti sono grata! Per l'arrivo di Eddy dovrete aspettare molti capitoli, sto cercando di farlo arrivare il prima possibile vista la grande richiesta! Per consigliarti delle fanfiction su twilight, se ti piace lo slash e conosci l'inglese (non occorre molto perfetto) vai su fanfiction.net e troverai molte fanfiction di questo genere. Se invece vuoi rimanere sull'italiano, qui troverai molte edward jacob.

CondroitinSolfato -_- Ecco l'aggiornamento che attendevate! Grazie per leggere pazientemente ogni capitolo e per commentare! Soprattutto per non aver svelato le vostre aspettative, questa volta, così posso procedere con la suspance della sorpresa! Questo capitolo è quanto accade fra Aro e Carlisle, per Caius dovrete aspettare il prossimo!


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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Scappare da molti pensieri


Carlisle trascorse tutta la notte a coccolare pensieri di luce e sentimenti di tenebra. I primi erano come sale su ferite appena inferte, i secondi erano dolce miele per le lingue della sua anima. Stava seduto al suo solito tavolo, dove si metteva sempre a studiare, alcuni libri aperti davanti e lo sguardo perso a scrutare nel cielo. In linea di massima avrebbe dovuto prepararsi per un importante esame che aveva il giorno seguente, ma non riusciva nemmeno a fissare gli appunti che ordinatamente disposto di fronte a sé.

Lasciò che la sua mente si perdesse nei dettagli dell’esterno. I suoi occhi scivolarono sui particolari più insignificanti, che quella sera sembravano acquisire un non so che valore speciale. La luce del lampione davanti alla casa, il marciapiede lastricato di sanpietrini, il suono delle carrozze che ritornavano lentamente al loro stallo ed i cavalieri che gridavano la buonanotte alle dame, le donne che passeggiavano scambiandosi i segreti più inconfessabili alla tenue luce della luna… la luna che rendeva tutto ancora più soffuso e magico. Magica, si, quella notte era magica per molti motivi. Gli ricordava un po’ quelle distese di luci ed ombre descritte dalle canzoni romantiche che aveva ascoltato, o dalla poesie che aveva letto. Quelle notti che non possono essere sprecate dormendo o studiando, ma che accettano soltanto coloro che amano con l’anima e sognano con il cuore. Era la notte che aveva atteso tanto a lungo.

Aveva disperato per molto tempo di riuscire a sperimentare qualcosa di simile. Ora che si rendeva conto di poterlo fare, si trovava rammaricato di non potere godersi l’attimo.

Pensava ad Aro. Non era certo la visione che si sarebbe atteso di incontrare in un sospirato anelito di desiderio, eppure erano il suo profumo e la sua voce che lo tormentavano sino a farlo impazzire. Non erano le bellezze campagnole di una contadina, le trecce sciolte di una donna, le gonne orlate di diamanti di una dama o il seno proibito di una regina a far gridare il suo cuore nella notte. Non era come si era immaginato. Era però molto, molto meglio.

Continuava a ripetere nella sua mente il dialogo avvenuto fra loro, le labbra che si muovevano veloci disegnando nell’aria un mormorio incomprensibile di ricordi. Segrete a qualsiasi lingua, nascoste a qualsiasi orecchio profano, le parole cadevano dalla sua bocca e scivolavano sulle sue dita, mentre sul suo volto si faceva strada un sorriso trasognato.

Stralci della ormai imparata a memoria conversazione erano interrotti, quasi dimenticati, perché avevano ceduto il posto a sensazioni indipendenti dalla mente. Le loro mani intrecciate, per esempio. Non si erano mai lasciati per tutto il giro della casa, sempre erano rimasti uniti da un legame fisico che era andato costruendone un altro ben più intenso e profondo.

Fuori si faceva sempre più scuro, la sera lasciava il passo alla notte fonda. Sulla casa in cui viveva già da molto non si sentivano rumori, a parte quello del respiro di chi dormiva e l’assenza dei passi di chi non c’era. Il buio non si portò via i suoi pensieri, come avrebbe tanto voluto, ma parve amplificarli sino a renderli più acuti e melodiosi di un canto per il suo udito sensibile. Si perdeva fra il cielo e le sue stelle spente un nuovo sentimento dal nome impronunciabile, dal gusto di gioia insanguinata.

Lo sguardo di Carlisle cadde inavvertitamente sulla croce del padre, appesa ad un metro dalla sua testa. Aveva scordato le preghiere, quella sera. Aveva scordato qualunque cosa non fosse ciò che era accaduto quel pomeriggio. Disperato, si domandò che cosa gli stesse succedendo. Si avvicinò al simbolo sacro e si chinò. In ginocchio sul pavimento, iniziò a mormorare un’implorazione di perdono. Suo padre gli aveva sempre spiegato che le anime più bisognose di misericordia sono quelle che non sanno ancora di aver peccato. Carlisle sapeva qual era il suo peccato, ma per quanto si sforzasse non riusciva a considerarlo tale. Eppure avrebbe dovuto, perché la figura che infestava i suoi ricordi era un vampiro ed un pericoloso assassino. Le sue iridi rosse glielo ricordavano ogni istante, perché comparivano dentro ad ogni momento. Con lui era stato carino e delicato, ma probabilmente proprio nel momento in cui lo ricordava ardentemente egli mordeva con altrettanta passione il collo dell’indifesa cameriera che l’aveva accolto quella mattina. Come poteva concedergli quindi tanta attenzione? Poteva, doveva, perché Aro sebbene fosse un uomo, un vampiro, un pericoloso assassino gli aveva dato l’accettazione che tanto a lungo aveva cercato. Perché le iridi rosse, così simili a quelle dei suoi incubi, stavano dentro ad ogni momento rendendo unico. Perché dentro a quegli occhi da creatura sanguinaria aveva visto dei sentimenti autentici e dolci, non impulsi istintivi di cacciatore. Perché con lui era stato carino e delicato.

Mentre lui desiderava essere una sua vittima.

Non provava pena per la cameriera, non ci riusciva. Aveva cercato di scavare dentro la sua anima, ma sul suo fondo aveva trovato solo invidia e fitte di distruttiva gelosia.

Immaginò i denti di Aro passargli sulla carne, le sue mani sulla sua pelle, e fu percorso da un brivido. La preghiera che stava recitando si bloccò sul più bello e Carlisle si lasciò sfuggire un gemito. A quel punto non riusciva a ricambiare lo sguardo che la croce di legno gli riservava. Si vergognava di sé e del modo in cui stava tradendo sé stesso. Stava lasciando che la sua nuova natura divorasse e corrodesse i buoni propositi della sua anima.

Si tirò su in piedi e si avvicinò alla sedia. Il tavolo era ancora coperto di libri che non aveva nemmeno mai letto, alcuni mai aperto. In quel momento, però, non gli andava. Avrebbe tanto voluto saper dormire, per sprofondare in un buio senza rimpianti per almeno un paio d’ore. Invece i suoi sogni di luce continuavano ad abbracciare e scacciare le nuvole. Si sentiva scisso, scisso tra due parti per lui inconciliabili. Come coniugi litigiosi, esse si separavano e si univano senza dargli la benché minima tregua.

In fondo, perché sentirsi tanto in colpa? Perché continuare a nuotare anche contro la propria corrente?

Aro era un vampiro, era un assassino, era un’inaccettabile corruzione della natura, era pericolosamente convinto della sua superiorità sugli umani. Prima di tutto, però, era un uomo. Come aveva già elencato. Un maschio, proprio come lui. E tra maschi che cosa ci sarebbe potuto essere? Amicizia, al massimo sarebbero diventati fratelli. Tutto il resto era peccato, un peccato mortale.

E un peccato è sempre sbagliato, o no?

Si nascose la testa fra le mani, cercando di soffocare i suoi pensieri, cercando fra i sopravvissuti la risposta alle sue domande. A rimanere fu soltanto un’emozione di irrinunciabile sofferenza.

Aro...

Anche se la ragione gli suggeriva di non farlo, Carlisle cominciò a recarsi spesso a casa dei Volturi. Nella sua mente la chiamava così, anche se il motivo per cui vi si recava era uno solo. Un vampiro solo, che puntualmente era l’unico ad accoglierlo. Non rivide più Caius, quasi egli avesse la capacità di capire quando sarebbe arrivato e di adattarsi di conseguenza. Incrociò Marcus, a volte, attorniato da gruppi di artisti che ascoltavano affascinati le sue digressioni sul passato ed il futuro. Sembrava vivere in una sua utopia, in un mondo perfetto dal quale usciva soltanto per nutrirsi e conversare, dove non c’era spazio per i problemi. Carlisle era un leggero problema, una minaccia concreta ma controllabile.

Un bel faccino da salutare, per poi voltarsi dall’altra parte.

Carlisle soffriva per l’ostracismo che riceveva, non tanto dagli altri Volturi quanto dai vampiri che bazzicavano per la loro antica casa. Come Aro gli aveva annunciato, infatti, essi erano soliti assurgere al loro ruolo di regnanti autoproclamatisi con senso del dovere ed abnegazione. Visto che non uscivano mai dalla loro abitazione, erano gli altri a raggiungerli per denunciare assassinii, appropriazioni indebite di territori, furti o nuove trasformazioni. Scoprì che i tre non avevano bisogno di uscire, vista la rete di occhi ed orecchie che avevano creato e che riversavano parole preziose ed informazioni dalle centinaia di bocche. Ancora non aveva idea di quante persone avessero trasformato in vampiri, spesso si chiedeva che cosa spingesse uno come lui ad infliggere la sua maledizione a qualcun altro. Dopotutto, non aveva ancora avuto l’onore di conoscere il vero volto dei Volturi.

Ad ogni modo, Aro passava la maggior parte della giornata a giudicare, premiare, regolare, punire. Lui e gli altri due fratelli avevano messo in piedi un tribunale nei sotterranei, ai quali lui non si era mai avvicinato. Aveva visto molti vampiri più grossi di lui tremare al pensiero di recarvisi, anche se erano certi di avere ragione, e tanto gli bastava per restarsene alla larga. Almeno per i primi tempi sarebbe stato così. Almeno per i primi tempi la sua unica preoccupazione sarebbe stata quella di attirare meno voci possibili su di èsé e sul suo conto, sperando che Aro non si lasciasse influenzare. Per lui era importante e perderlo avrebbe significato soltanto solitudine.

I suoi giorni trascorrevano fra l’università, di mattina, Gaetana, il pomeriggio, e la casa dei Volturi, di notte. Non aveva mai informato i signori Pace dei suoi nuovi amici, se di amici si poteva parlare, perché qualcosa dentro gli diceva che era meglio così. La smorfia di Aro quando aveva parlato di loro, forse quello l’aveva convinto più di ogni altra cosa. Aveva imparato quindi ad attendere che calassero le tenebre, che i suoi padroni di casa andassero a letto, per poi poter uscire dalla finestra e correre per la campagna senza essere né visto né sentito. Una volta a Volterra, passava numerose ore a leggere nella biblioteca finché Aro non terminava i suoi compiti e si decideva a concedergli un po’ di attenzione.

Mai l’avrebbe ammesso, in quel periodo, ma quelli erano gli attimi più belli di tutta la giornata. Soltanto quando il cuore, o meglio la coscienza, non gli avrebbero più concesso di goderli appieno avrebbe capito che aveva inconsapevolmente cominciato a vivere per essi.

-Tutto bene, dolcezza?- lo salutava sempre Aro, facendo capolino con la testa dall’entrata della biblioteca. Carlisle sorrideva sotto i baffi, alzava lo sguardo e rispondeva:-Adesso si. Adesso che ci sei tu.-

Il vampiro dai capelli scuri e dagli occhi rosso rubino si avvicinava, sorridendo, gli dava un buffetto sulla testa e si sedeva davanti ai libri che stava studiando per commentare qualche materia oggetto di un prossimo esame o per chiacchierare. Parlavano di qualunque cosa fosse accaduta durante il giorno, anche se quello più loquace era sempre Carlisle. Gli piaceva raccontare storie sui suoi professori, sull’università o sulla difficoltà di nascondere la sua identità agli altri per riuscire a strappargli una risata. Gli piaceva vederlo ridere, quando le labbra svelavano un luminoso sorriso era come se uno scrigno di corallo si aprisse dalle profondità marine per mostrargli il mistero.

-Carlisle, sei l’unico che riesce a farmi ridere così.- gli diceva sempre, dopo che si era divertito per una sua storiella. Gli mandava il cuore in pezzi, quella voce. Era addirittura più bella del suo sorriso, ma erano il suo tocco ed i suoi occhi a farlo impazzire. Gli facevano addirittura dimenticare chi fosse, come avesse vissuto fino a quell’istante senza aver mai conosciuto la perfezione.

-Sei unico, Carlisle.-

Tutto filò liscio, per quanto possa filare liscio con un cuore senza battiti che viaggia fra le nuvole morendo di giorno e vivendo di notte, per un certo periodo. Ogni istante che Carlisle passava accanto ad Aro era come l’aria, ogni attimo che Aro passava accanto a Carlisle era oro colato. Avevano entrambi la sensazione che qualcosa sarebbe successo, fra loro e fuori da loro. Continuare a nascondersi in una casa pieni di vampiri dai poteri incredibili era impensabile, così come lo era nascondersi a loro stessi. Nell’ultimo periodo avevano iniziato ad evitarsi, addirittura, per scongiurare la tentazione, ma la lontananza li rendeva entrambi più confusi ed insoddisfatti. Carlisle aveva paura di quello che sentiva, così come lo spaventava ciò che poteva desiderare. A costo di torturare la propria anima ed il proprio istinto per tutto il resto del tempo che gli restava da vivere, mai avrebbe esternato ciò che provava. Così come nessuno sarebbe riuscito a staccarlo dall’altro vampiro.

Anche se era convinto del contrario, una simile situazione non sarebbe potuta durare a lungo. Non ebbe il tempo di rendersene conto da solo, perché il destino agì prima che le sue pedine potessero anche solo aver voglia di pensare ad una qualsiasi mossa.

Un giorno, Carlisle stava studiando nella grande biblioteca della casa di Volterra, quasi più fornita di quella dell’università, quando udì delle grida. Rimase stupito inizialmente per la loro presenza: in casa dei tre fratelli nessuno poteva gridare o alzare la voce, né tantomeno qualcuno osava farlo. Mentre usciva dallo stanzone per capire che cosa stesse succedendo, si trovò di fronte alla seconda sua fonte di stupore: le urla non erano all’indirizzo di un vampiro straniero indisciplinato, oppure di un imputato che si ribellasse ad un’ingiusta condanna, ma erano l’insana melodia di una lite fra due dei tre Volturi. Caius ed Aro, per la precisione.

Carlisle non li aveva mai visti litigare tanto furiosamente, nemmeno durante la sua prima visita alla casa il volto del vampiro bruno aveva vestito una simile maschera d’ira nei confronti delle provocazioni del biondo. Si guardò attorno, cercando di comprendere quale fosse il motivo di tanta agitazione, ma ciò che gli fu possibile scorgere fu la figura agitata di Marcus che correva verso i due contendenti e alcune guardie che si nascondevano nell’ombra. Viste le apparenze, nessuno aveva desiderio d’intervenire tanto tempestivamente a sedare la rissa.

-Sappi, Caius, che non ti permetterò mai più di contestare una mia sentenza!- gridava Aro, che fino a quell’istante non aveva mai avuto bisogno di emettere qualcosa più di un sussurro perché tutti eseguissero le sue volontà.

-Che cosa credi di fare, Aro? Comandarmi, forse? Io sono un vampiro libero, fino a prova contraria! Libero di esprimere le mie opinioni!- replicò Caius, con incredibile arroganza.

-Libero di esprimere le tue opinioni? Qui si tratta di mettere in dubbio le stesse basi del nostro governo, del regime di giustizia che noi abbiamo creato e che tu hai tutta l’aria di voler smantellare!-

-Smettetela, vi scongiuro! Non davanti a tutti, vi prego!- squittiva la voce di Marcus.

-No, tutti devono sapere quanto lui- e qui Caius indicava Aro. –sia un pazzo! Ma quale governo, quale regime di giustizia? Tu decidi, dall’alto della tua ostentata saggezza e sapienza, e gli altri obbediscono ai tuoi ordini!-

-Dai del pazzo a me, ma come osi?- gli faceva eco l’altro, senza nemmeno dargli tempo di finire la frase. –Non negare la verità, è solo merito mio se tutto questo è ancora possibile.-

Aro fece un giro su sé stesso, circondando in un abbraccio la polverosa entrata.

-Tutto merito tuo? E io, e Marcus, e tutti gli altri?-

-Caius, non tirare in mezzo gli altri per una rimostranza che riguarda soltanto te.- sbottò Marcus.

-Tu sei un suo schiavo, così come lo sono tutti gli altri!-

-Uno schiavo?- ripeterono insieme le due creature dai capelli d’ala di corvo.

-Un pazzo! Hai perso del tutto la tua capacità di raziocinio, adesso parli di passione e di desiderio come se capissi davvero che cosa sono!- continuava il loro compagno dalle chiare chiome.

-Credi forse di saperlo meglio di me? Che tutto il tempo che spendi fra quei corpi malati e venduti che chiami molto coraggiosamente “donne” ti dia il diritto di conoscere il sentimento?- replicò Aro, ringhiando d’ira. Sembrava che la sua tensione fosse dovuta ad un forte quanto inedito imbarazzo, pensò Carlisle, probabilmente dovuto al tema che stavano trattando. Doveva essere qualcosa di delicato, lo intuì dalle occhiate nel volto tirato di Marcus. Si chiese se dovesse intervenire per tentare di riappacificare i due fratelli, se si sarebbe rivelata la cosa giusta da fare. Aro non gli aveva mai permesso di venire a conoscenza dei problemi interni alla “famiglia”. Fosse dipeso da lui, probabilmente non avrebbe neppure assistito a quella conversazione esagitata. Forse nemmeno si accorgeva della sua presenza, considerato il suo coinvolgimento.

-Io ho avuto il buon senso di non reprimermi con la cocciutaggine di un prete, se non altro! Le occasioni per scuotere il corpo morto dai tuoi polverosi libri non ti sono mancate, mi sembra.-

Aro tardò a replicare, a quella provocazione, così come Marcus smise di ordinare loro di zittirsi. Rimasero tutti sospesi, mentre sulle tre figure e sulla sala calava una nuvola di scuri pensieri, misti ad attesa.

Carlisle si domandò se fosse quello il momento più adatto per intervenire, ma qualcosa lo fermò. Forse fu la situazione a consigliarlo, il suo buon senso o l’istinto. Gli pareva quasi che l’intonaco stesso sul quale si appoggiava gli mormorasse di rimanere immobile.

Smise quasi di pensare, come se una sua minima movenza cerebrale potesse attirare su di lui l’attenzione di tutti. In seguito, ringraziò di essere rimasto dov’era. Non tanto per quello che udì, ma per il modo in cui le frasi uscirono dalle bocche disegnate di corallo.

-Le occasioni di cui tu parli non erano quelle giuste.- decretò Aro, con voce così fredda da             contrastare con l’arrabbiatura infuocata di cui aveva fatto mostra fino ad un battito di ciglia  prima. –Mi dispiace, Caius.-

Caius parve colpito, ferito a morte. Con la stessa espressione che di certo assumerebbe un soldato ucciso a tradimento in una battaglia che ormai sentiva di aver vinto, si portò le braccia al petto ed aprì e chiuse la bocca un paio di volte senza emettere suono. Aro e Marcus frattanto rimasero immobili, con la stessa compostezza di due becchini al funerale di un estraneo.

Infine, la creatura lacerata parlò. Carlisle lo sentì appena mentre diceva, anzi ripeteva:-Non erano quelle giuste… ti dispiace.- e altre parole che non riuscì a comprendere. Sembrava stesse ripercorrendo un discorso che non aveva mai fatto e che nessuno, a quel punto, sarebbe più stato capace di ascoltare e comprendere. Aveva perso il suo senso.

-Caius, ti prego, non soffrire in questo modo. Dimentichiamoci tutto, va bene?- propose Marcus. Il tono della sua voce, così ottimista, risuonò vuoto ed inadatto in quel momento.

Una fragile, acuta risata si alzò dalla gola della vittima del proprio destino. Una frase, una frase soltanto, scivolò dalla sua bocca, prima che il braccio si librasse nell’aria ferma e scura.

-Troverò il coraggio di dimenticare quando avrò cancellato il dolore.-

Una speranza, una minaccia, una promessa, una dichiarazione d’intenti. Il pugno pallido di Caius si stava per abbattere sul volto di Aro, sorpreso e quindi una volta di più indifeso. Colse di sorpresa tutti, quel gesto. Tranne Carlisle.

-Fermo!- gridò, attraversando la sala con tutta la velocità che le sue gambe e la sua natura disgraziata gli concedevano. Quasi senza volerlo, allungò la mano. Le sue dita si chiusero attorno all’arto di Caius, bloccando il pugno. Un altro millimetro, poi Aro sarebbe stato in pericolo.

Carlisle si guardò attorno, sorpreso di quanto aveva fatto. Vide riflesso il suo sconvolgimento in tutti gli sguardi che lo studiavano, fissavano, osservavano o disprezzavano. In tutti, meno quello di Aro. Caius ringhiò, stupefatto, e ritrasse il braccio con fare scorbutico.

-Lascialo stare, fratello. Caius, è soltanto un ragazzo.- stava cercando di tranquillizzarlo Marcus, appoggiandogli le mani sulle spalle ed incoraggiandolo ad allontanarsi. Gli occhi del vampiro biondo erano talmente aperti, immobili, che le iridi spalancate parevano avere il talento dell’ipnosi.

-Caius, non so che cosa stia succedendo ma capisco che il motivo sono io. Se tu ed Aro litigate, la colpa è solo mia.- spiegò Carlisle, il tono altamente instabile. –Perché prendersela con lui, allora? Sfogati con me, fai di me quello che ti pare.-

-Che cosa stai dicendo, damerino?- parlò l’altro vampiro, tremante di rabbia.

-Non mi opporrò, se è questo che ti frena. Non alzerò un dito per difendere me.-

Sottolineò quel me, per far capire a chiunque in quella sala che avrebbe dato la vita, per quanto avesse potuto valere, per proteggere Aro. Da dove venisse tanta forza e tanta decisione, non lo sapeva. In realtà lo intuiva, ma era manchevole di una conferma.

Era sorpreso, piacevolmente ed insieme tremendamente sorpreso.

Caius parve soppesare la sua proposta. Per un attimo tutti crederono che avrebbe accettato l’offerta, considerata la sua rarità e la rabbia che sembrava scorrere nell’animo del vampiro.

Invece, scosse la testa.

-Che cosa significa?- balbettò Carlisle, dando voce alle altre anime basite.

-Non posso prendermela con te, ragazzino. Nonostante ora desideri farti a pezzi, non posso attribuirti la colpa di aver affascinato chi voleva affascinarti.-

Prima di uscire dal salone, il suo ultimo sguardo lo dedicò ad Aro. Così come le sue ultime parole.

-Mi dispiace, Aro. Ho capito soltanto ora il suo valore.-

A chi, o che cosa, si riferisse, nessuno fu in grado di stabilirlo. Quando il portone si chiuse, tutti parvero riprendere a respirare con regolarità. Almeno chi, come Carlisle, lo faceva ancora per abitudine. Marcus, arrabbiato, cacciò tutti gli esseri che iniziarono a scivolare dalle tenebre che li avevano protetti e li spinse fra le braccia delle ombre, seguendoli.

Carlisle non ebbe il tempo fisico di elaborare un solo pensiero, un giudizio, una sentenza. Non si era nemmeno mosso dalla sua posizione di passiva difesa quando si sentì afferrare per una mano, ritrovandosi a seguire una figura più nera della notte fra le strade lastricate di Volterra.

Tutto ciò che si lasciarono dietro fu un pugno di ragnatele, non i loro pensieri.

Dai pensieri non si fugge, mai.

Note dell'autrice

CondroitinSolfato -_- Visto che non hai da ridire, sono happy! :) Ecco l'attesa reazione di Caius. Durante il litigio è uscito molto di più di quello che si avrebbe voluto... e se solo Carlisle ascoltasse un pò meglio... Ma lui ormai è cieco! E che cosa è cieco, a parte la fortuna? Forse il moretto avrà la compagnia che tanto preghi abbia!

Gattino Bianco -_- Ciao! Grazie per leggere e per recensire con tanta accuratezza, si vede che segui con attenzione. Si, passerò attraverso i tre libri ma non seguirò la storia. Alcuni accadimenti e fatti saranno riportati così come nel romanzo, altri invece si riveleranno inediti. Spero che vi piacerà!

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Capitolo 8
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Capitolo 8

Baciami ancora

 

Correvano ormai da un tempo incalcolabile, mantenendo il più perfetto silenzio. Le gambe non gli inviavano dolore, il cervello non gli comunicava stanchezza, ma Carlisle si sentiva lo stesso stremato. Forse per tutte le emozioni di quella notte, che al solo ricordarle gli acceleravano il respiro, o magari per la sua ignoranza riguardo alla meta verso la quale si dirigevano. La notte era silenziosa, la sua mente era popolata solamente dai pensieri più astratti ed assurdi. L’unico rumore attorno a loro era quello prodotto dai passi felpati della loro felina corsa, udibili solamente ai loro orecchi. Carlisle aveva provato a chiedere della loro destinazione, aveva aperto la bocca un paio di volte per rompere quell’assenza di suoni, ma Aro gli teneva stretta la mano fra la sua ed esercitava attraverso quel tocco una forza straordinaria che lo costringeva a rinunciare ai suoi propositi.

Così continuava la loro corsa, la loro fuga, nella notte nera e nel silenzio. Il vampiro dai capelli di sole seguiva solamente i suoi sensi, confusi dalle mille pazze fantasie, e quel mantello che si alzava nell’aria e gli accarezzava il volto.

Attraversarono la cittadina di roccia e sangue, raggiunsero i confini dell’urbanizzazione e si buttarono dentro i campi. Fredda e sterile come la loro meretrice natura da vampiri, la terra accolse i loro piedi e sembrò cullare le loro follie con la pigra pazienza di una madre accondiscendente e traditrice. Scivolarono, colpevoli come due ladri, fra le baracche dei contadini e raggiunsero la foresta assopita nel letargo invernale. Gli alberi spogli recavano ancora qualche traccia di vita trascorsa, qualche foglia marrone appesa ad un sospiro sui rami nudi e scheletrici.

Quegli alberi erano la loro immagine allo specchio.

Proprio lì Aro smise di correre.

Gli lasciò la mano e fece qualche passo, così, da solo, il corpo e l’espressione nascoste sotto il manto oscuro. Carlisle rimase a studiare, senza parlare, le sue mosse.

-Avete smesso di fuggire?- non riuscì ad esimersi dal chiedergli. Il vampiro più anziano inizialmente non ebbe altra reazione che un tremito attraverso la stoffa. Lo sentiva trattenere il respiro.

Quindi si voltò, una risata senza allegria si liberava dalla sua bocca, e gli rispose:-Ah, se solo sapessi.-

I fini occhi rossi, da cacciatore ed assassino, lo esaminavano. Nelle iridi vinaccia sembrava regnasse un disperato bisogno di comprensione.

Sentì come se tutti i desideri, segregati per settimane nei corridoi delle loro menti, e le emozioni, forzate e represse nei bassifondi delle loro anime, si stessero dibattendo per librarsi nell’aria ferma della foresta. Carlisle sentì il proprio cuore che urlava agli alberi rinsecchiti, che gridava un canto stonato eppure perfettamente pieno di voglia di libertà. Ebbe paura di quella sensazione che gli riempiva il petto, che gli afferrava le viscere, poiché non conosceva la dimensione della sua frustrazione quali vette avesse raggiunto.

Fra le piante, dentro il primitivo silenzio, ogni respiro pareva amplificato. Si sorprese. Si spaventò. Tacque.

-O forse tu già sai?- ipotizzò il vampiro più anziano. Stese il braccio, gli chiese la mano. Carlisle rimase immobile, ad osservare quell’arto pallido che spuntava dalla stoffa. Alla luce dell’astro d’argento la pelle brillava di un biancore adamantino, pareva quasi ordinargli di toccarla. Ipnotizzato, obbedì al comando neppure sussurrato.

-Ah!- esclamò Aro, e quella fu l’ultima cosa che disse prima di molto tempo. Da quel sospiro monosillabico non gli riuscì di trarre altro che la conferma che l’altro lo stesse leggendo.

Sapeva che Aro lo stava leggendo. Ne era certo, era stato lui a dargli il permesso di farlo senza che neppure glielo avesse domandato.

Sapeva che questo gli dava gioia, lo percepiva dal tremito delle sue lunghe dita sulle proprie, e forse anche un pizzico di soddisfazione. La stessa che si deve provare quando una preda lungamente voluta cade fra gli artigli di sua volontà.

Carlisle si sentiva eccitato, spaesato, imbecille, dominato. La sua sottomissione era totale, eppure faticava a farsela dispiacere. Forse era nella sua natura. Aro gli stava mettendo sotto esame il cuore e l’anima, non c’era nessuno schermo neppure fra il suo sguardo di assassino e la sua faccia imbarazzata, mentre lui mostrava soltanto il luccichio delle sue iridi.

Era come se avesse aspettato tutta la vita di essere afferrato da quelle zanne.

 

Tenne lo sguardo basso, permettendo solamente a qualche brivido di sfuggirgli, tentando invano di regolarizzare il suo respiro o il flusso di emozioni che quell’apparentemente piccolo ed insignificante tocco provocava in lui.

Dopo qualche indescrivibile attimo, l’altro vampiro parve risvegliarsi da un’intensa meditazione.  Reclinò il capo all’indietro, il mantello gli scivolò sulle spalle scoprendogli il viso. Su di esso erano dipinte la voglia appagata, l’estasi. Un piacere assoluto e senza eguali si diffondeva sul volto pallido reso iridescente dai raggi di luna, un piacere molto simile all’orgasmo.

Carlisle provò una parte dello stesso piacere per il solo incredibile, assurdo fatto di averlo provocato.

-Neppure sai perché fai certe cose. È la tua natura, la segui con una fiducia  assoluta. È come se obbedissi ad un qualcosa di superiore, e lo facessi ciecamente.- sussurrò, senza guardarlo in volto. Pareva parlasse alle stelle. Esse non ricambiavano il suo sguardo incantato, restavano fredde ed impassibili esplosioni di fuoco nello spazio.

Solo Carlisle ricambiava, forse con troppa evidenza, con troppo slancio.

-È la tua natura.- ripeté il vampiro dai capelli neri, neri come la notte senza luna. –Il tuo talento.-

-Io? Com’è possibile?-

Aro sorrise. Sembrava che lo stupore, la sua innocente sorpresa, lo colpissero in modo particolare.

-Sei così... Non so nemmeno spiegarti. La tua ingenuità, il tuo infantile modo di vederti... Hai un talento, Carlisle, ed è stato chi meno mi aspettavo ad aprirmi gli occhi su di esso. Anche su di te, ma questa è un’altra storia.-

Si interruppe, un veloce respiro e poi spiegò:-Caius.- fu la sua rivelazione. –Caius mi ha illuminato sulla tua originalissima forma di misericordia.-

-Misericordia? Aro, non prendetemi in giro…- fu la debole protesta della bionda creatura delle tenebre. Ritirò la mano e guardò il più anziano rimanere a braccio alzato per un istante, poi lasciarlo cadere lungo il fianco.

-Non ti so spiegare. Io non posso fare a meno di leggerti perché… i tuoi pensieri, le tue emozioni, i tuoi sentimenti, i tuoi desideri hanno un sapore così speciale. Più del sangue, pensa. Stare lontano da loro mi da un tormento così insopportabile e così sublime…-

-Carlisle…- mormorò Aro, guardandolo finalmente negli occhi. Lo sguardo che gli posò addosso fu delicato come una carezza, violento come una sberla. Lo sentì bruciare sulla sua pelle come una fiamma, incandescente come un desiderio proibito. Lo stesso che pulsava nel suo corpo, vivendo attraverso il suo respiro.

Da quegli occhi color sangue traspariva un’adorazione incondizionata e totale. Un dolore, una necessità che sembrava provenire dai più profondi recessi di un cuore dilaniato dalla frustrazione e consumato dal tempo. Tutto ciò non poteva, non poteva, lasciarlo indifferente.

-Perché siamo venuti qui?- gli domandò, volgendo il viso altrove, cercando di scappare a quell’occhiata.

-Perché volevo passare del tempo con te. Ho visto nei tuoi pensieri che ti piace questo posto, perché ti slega da qualsiasi obbligo.-

-In realtà lo detesto, per come mi fa sentire privo di qualsiasi autocontrollo.-

Aro liberò una risata sommessa.

-Non è semplice comprenderti davvero, sei troppo complesso.-

Carlisle teneva la testa ostinatamente rivolta verso la vegetazione, ma sapeva bene che l’altro lo ammirava.

-Sembri avere due facce, tu.- continuò il bruno, avanzando di un passo verso di lui. -Una che odi per ciò che desideri, un’altra che ami per quello che senti.-

-Che cosa state dicendo?- balbettò il vampiro dai capelli color spighe di grano. I suoi occhi ambra erano sempre più faticosamente puntati lontano dai loro gemelli, da questi chiamati, invocati.

Si avvicinarono ancora di un passo.

-Tu odi essere libero ed ami la libertà. Odi la tua nuova natura ed ami il tempo indefinito che ti concede per i tuoi progetti missionari.-

Le foglie secche scricchiolarono, quasi gemendo, mentre venivano calpestate. Un passo, e le scarpe nere entrarono nella sua visuale. Carlisle rimase a fissarne la punta di lucida vernice, cercando di concentrare su di essa ogni pensiero e movimento.

-Odi ed ami anche me?-

La voce del vampiro era vicina, troppo prossima per riuscire a mentire efficacemente. Alzò lo sguardo, come a rispondere ad un altro ordine mai concepito, ben sapendo di dover affrontare quelli dell’altro. Non aveva nessuna voglia di combattere, gli andava di arrendersi. Arrendersi e basta, anche se gli fosse costato una sofferenza grande.

Una sofferenza inimmaginabile.

-Perché siamo venuti qui?- domandò, senza neppure cercare di fuggire quegli occhi affamati.

-Tu capisci la mia necessità, e la soddisfi.- disse Aro, con un sorriso divertito sulle labbra. –Sembra quasi che… tu non possa farne a meno, vero?-

Altri due passi. Ormai le foglie non facevano più rumore. Niente produceva più nessuno suono, neppure i suoi pensieri. Si erano zittiti. Tutto era muto, tranne quegli occhi che gridavano nella sua mente, penetravano nella sua anima.

-E io… io non posso fare a meno di scorgere i tuoi due volti, almeno per un attimo. Forse a ciò serve questo mio talento, quello che tutti stimano ed io consideravo inutile: a vivere, rubando come un ladro, alcuni momenti di te. Con te.-

La distanza fra loro era esigua, nulla più che un’opinione. Carlisle poteva quasi sentire l’alito freddo dell’altro vampiro sulla pelle. I pensieri fra di loro erano quasi udibili, come un sussurro, senza il bisogno di usare uniche tecniche di lettura. Non serviva, in effetti, un potere superiore per capire il complesso e sconcertante sistema di sentimenti ed emozioni che Aro esprimeva con lo sguardo.

Gli faceva tremare le gambe, aveva il latte alle ginocchia.

Forse era quello il suo talento. Come l’aveva definito? Misericordia…

Il bruno cacciatore allungò una mano e la immerse nei suoi capelli biondi. Carlisle non si mosse, non si negò a quelle dita che scivolavano fresche ed indiscrete fra le sue chiome. Avrebbe dovuto farlo, però, avrebbe dovuto schermirsi da quelle carezze. Non ci riusciva, dopo tutto quello che era stato detto e fatto non ci riusciva.   

Sbarrò solamente gli occhi, quasi a voler assorbire ogni istante, e trattenne a stento un sospiro gemente.

-Mi ferisci con la tua freddezza, Carlisle, ma al tempo stesso mi guarisci con la tua dolcezza.- sussurrò Aro. La sua voce rimbalzò nel bosco silenzioso, tra i rami spogli e le foglie appese ad un filo di vita. Rimbalzò dentro di lui.

Il giovane vampiro si abbandonò, anima e corpo, a quella mano a coppa sul suo volto. Il suo viso, la sua pelle, il suo corpo, il suo sentimento li concesse a quella strana ed oscura creatura che aveva risvegliato in lui sensazione che non aveva mai provato.

Che non aveva mai sperato di provare, nel corso della sua esistenza.

Soltanto gli occhi rimasero aperti, spalancati, vigili su quello che accadeva. Non poteva chiuderli, aveva troppo timore di quello che altrimenti sarebbe successo.

-Tu sei dolce, Carlisle, ed io…-

I rossi occhi dell’altro erano così vicini da sembrare giganteschi. Attiravano tutta la sua volontà, come se non potesse fare a meno di fissarli… E la sua voce aveva la forza incantatrice di un canto ipnotico.

Un pollice leggero delineò i contorni della sua bocca. Prima il labbro superiore poi, più delicatamente e lentamente, quello superiore.

Era la mano che lo sfiorava con tanta attenzione e lascivia a tremare? Oppure era la sua anima ad essere scossa da un lungo ed intenso brivido?

Sapeva che cosa stava per succedere. Si chiese se fosse il suo destino. Si domandò chi l’avesse deciso che sarebbe successo, quella sera in quel bosco. Gli ultimi pensieri, gli ultimi dubbi, si cancellarono mentre Aro si chinava su di lui.

-Io voglio sapere di che cosa sai, Carlisle.-

La sua gamba fra le proprie, le sue mani sul viso e sulla schiena… Il suo profumo… Carlisle capitolò.

Chiuse gli occhi.

Era come gettarsi in uno scuro baratro, un salto nel vuoto con le ali di Icaro.

Le labbra di Aro accarezzarono le sue. Un bacio, soltanto un bacio. Delicato, lieve all’inizio e poi… poi più forte, più impetuoso.

Soltanto un momento. Uno scontro di due entità opposte e complementari, un sogno che diventava realtà dopo congetture, ipotesi, parole, paure…

Un sogno o, piuttosto, un incubo?

Un istante, il giovane essere biondo aveva la testa che gli girava colma di bramosia… un desiderio che urlava dal fondo della sua natura peccatrice.

Spinse via il vampiro moro, si separò bruscamente e rudemente da quel contatto così amato ed odiato, si voltò e sparì.

 

Carlisle correva, questa volta da solo. Lo circondava la natura dal volto incorruttibile ed invernale, lo seguiva con sguardo indifferente il cupo ed imbronciato cielo notturno.  

La sua mente, prima così vuota, iniziò a produrre decine di centinaia di pensieri diversi. La sua ragione, prima così immersa in un gradevole oblio, si risvegliò e riprese ad analizzare ogni piccolo dettaglio, ogni minima parte di quanto era accaduto.

Stentava ancora a crederci.

Aro… Aro l’aveva baciato! Lui aveva baciato Aro! Aveva baciato un vampiro… un altro maschio! Stava succedendo davvero, stava succedendo a lui. Tutto quello che aveva sognato, quello che aveva ignorato, evitato e soffocato sul fondo di un riflesso di luna giacente sul pavimento della sua stanza o dentro un raggio di sole così tiepido e così grigio da apparire malato era divenuto realtà. Già, realtà: parola che voleva dire tutto e niente.

Quello che era successo quella sera voleva dire tutto e niente, tutto e niente. Perché tutto per lui era Aro, tutto per lui erano gli sguardi di frustrazione ed i sussurri tormentati, però per il suo bene avrebbero dovuto essere importanti tanto quanto i sassi della strada di Volterra o l’erba che stava calpestando. Avrebbe dovuto fuggire, scappare, smettere di vederlo finché ne aveva avuta l’occasione. Dopo quello che era stato detto e fatto fra di loro non avrebbe più potuto scordarlo.

Non avrebbe più potuto dimenticare quel bacio…

Mentre faceva il punto della situazione, e si rendeva conto di non avere scampo, continuava a correre. Vana era la sua fuga, ancora più vana la speranza di riuscire a gettarsi alle spalle un pensiero che lo perseguitava senza dargli pace. Inutili i suoi passi veloci, inutili le sue falcate leggere ed agili… Non sarebbe andato lontano da sé stesso. Il Carlisle che voleva tornare sui suoi passi non l’avrebbe slegato dalla sua presenza tanto in fretta.

Intanto però correva, questa volta da solo. Lo circondava la natura invernale ed impassibile, lo osservava il cielo notturno cupo ed imbronciato. Le stelle, fredde ed indifferenti, non erano altro che esplosioni chimiche di fuoco nello spazio.

Carlisle arrivò a casa dei signori Pace qualche folle istante più tardi. Appoggiò la schiena al muro sul retro, circa una decina di metri sotto la finestra della sua stanza. Prese la testa fra le mani, gemette di una stanchezza che non aveva niente a che fare con lo sforzo fisico appena compiuto, ma tutto con la fatica che stava facendo a negare l’evidenza di quel nome. Del solo nome che sapesse dare a quella situazione, a quella confusione.

Un brivido gli attraversò le mani, come una piccola scossa elettrica. Incredulo, il vampiro fissò quelle dita rivelatesi tanto fragili. Si scostò, appoggiò la fronte sulla superficie grezza del muro e chiuse i pugni. Con il destro colpì il cemento grigio a pochi centimetri dal suo viso, la polvere dei calcinacci piovve sul suo capo. Ne sentì il sapore sulle labbra.

Sospirò.

Da quando era arrivato a Siena non aveva fatto altro che concentrarsi sullo studio. Da quando era diventato un… mostro… aveva avuto come unica preoccupazione il nascondersi agli occhi del mondo e riuscire a redimere quel peccato che gli era stato inflitto, che era diventato suo.

Solo i primi due obiettivi erano stati portati a compimento. Proprio quando credeva di aver trovato un equilibrio fra il suo senso di colpa e la pressoché infinita esistenza che gli si propinava, un imprevisto aveva vanificato ogni suo progetto.

I sentimenti sono pericolosi. Più pericolosi di quello che crediamo. Tendiamo a sottovalutarli, li tralasciamo da una parte o addirittura li ignoriamo. Loro però sono lì, sul fondo del nostro essere, ed aspettano che li vediamo in volto guardando qualcuno negli occhi.

E Carlisle, in questo modo, aveva capito di non essere felice. Di essere un infelice.

Quella sera, però, era differente. Doveva ammetterlo a sé stesso: era contento. Contento perché fra quegli alberi spogli che si aggrappavano ad una speranza minacciata dall’autunno della vita, si era sentito libero. Non come vampiro, come uomo. Come uomo dotato di un’anima e di un cuore, nonostante col tempo gli fosse sembrato di essere stato privato di entrambi. Lontano dal mondo, lontano dagli esseri umani che lo facevano sentire colpevole di una colpa che non aveva desiderato e mortalmente e volontariamente peccatore di un peccato che gli era stato imposto, egli si era sentito libero di essere ciò che era stato un tempo. Tanto tempo fa. Solo, semplicemente, Carlisle.

Il vampiro non faticò troppo per trovare la fonte di tanta felicità. Il merito di quella sera di dirompenti emozioni, la colpa di quella sua situazione estaticamente instabile era di una persona soltanto. Una persona, un uomo, un demone, un vampiro… Solo, semplicemente, Aro.

I suoi pensieri correvano tutti attorno a lui, tornavano sempre e costantemente dai suoi occhi rossi di passione e dalla sua pelle candida. E quindi il bacio… il bacio di quelle labbra rubino.

Strinse i denti, cercando di non gridare. Le mascelle si contrassero, mentre l’urlo si spegneva in un lamento soffocato. La sua bocca ancora ardeva, colma di segreta bramosia per quell’incantesimo che l’aveva resa preda di un predatore sensuale. Aveva una voglia incontenibile di venire catturato ancora, di essere lentamente divorato da denti affilati come rasoi.

Era stato un errore, solo un errore. Eppure, c’era una parte di lui che non la vedeva affatto così, che pensava fosse stato magnifico. Probabilmente la cosa più magnifica che gli fosse mai successa. Così, mentre la sua mente cercava di fuggire dai ricordi, il cuore correva loro incontro, suggerendogli che era dannoso se non inutile cercare di fuggire. Inutile come la fatica che stava facendo a negare l’evidenza di quel solo nome che riuscisse a dare a quell’agitazione, a quella sopravvalutazione.

Aveva paura.

Veloce ed invisibile nel buio che lo circondava, scalò la parete di cemento grezzo ed entrò dalla sua finestra lasciata aperta apposta. La sua camera accolse la sua presenza con un silenzio di incomprensione. Abbracciò con un’occhiata tutti gli oggetti che possedeva, gelosamente custoditi dentro quel luogo che aveva imparato a chiamare “casa”. Gli aveva dato l’impressione di aver raggiunto quella pace e di aver trovato l’affetto di cui aveva avuto a lungo necessità, lì dentro aveva trascorso il periodo più sereno e malinconico della sua vita vissuto fino a quel giorno.

Fino a quella sera.

Sentiva che qualcosa era cambiato. Non esteriormente, no: la stanza era sempre la stessa, con le sue pareti intonacate di bianco; la scrivania sepolta sotto dieci centimetri di libri, appunti e polvere; il pavimento di marmo graffiato da decenni di passi e il giaciglio dove non aveva mai dormito ma solo vegliato. Quelle cose non erano cambiate, erano sempre lì ad attenderlo con muta fedeltà. Che cosa era diverso, allora?

Lui.

Carlisle non si sentiva più in grado di sostenere quella vita così solitaria, così isolata. Si sentiva invece incapace di affrontare quel cammino che si era progettato senza qualcuno che lo sorreggesse, lo incoraggiasse.

Vide la croce del padre appesa al suo solito posto. L’unico punto fermo, l’unica certezza in mezzo a tante cose conosciute però estranee era lei, la croce. Si gettò ai suoi piedi, giunse le mani e prese a pregare con fervore che gli fosse mandato un segno. Chiese consiglio, supporto; domandò grazia, consolazione. Supplicava colui che di misericordia era dotato, l’aveva dotato, ma non per sé stesso. Implorò che gli fosse regalato qualche istante di incoscienza per poter riuscire poi a riflettere meglio… solo qualche istante, sarebbe stato sufficiente anche solo un secondo di assenza da sé stesso.

Voleva un segno. Lo pretendeva, anche se sapeva che di fronte a Lui non poteva nulla.

Tremava.

Voleva la luce, lui. La creatura partorita dalle tenebre rischiarate solo da un profano lampione.

Era come se il peso della stanza fosse tutto in bilico sul suo capo, sulle sue spalle. La schiena curva sotto quell’incombente fardello, disse tutta la verità. Fu sincero con sé stesso e con gli spiriti, tutti gli angeli ai quali affidava ciò che restava della sua esistenza. Confidò loro, benché lo sapessero già, la natura di quell’indesiderata situazione.

Non fu troppo complicato, era solo una parola. Non durò neppure molto, solo un lieve gemito.

Un sospiro.

“Amore,” pensò.

-Carlisle.- chiamò una voce alle sue spalle. Non si voltò, rimase dov'era, anche se desiderava con tutto il suo essere di voltarsi a guardare.

Sapeva fin troppo bene su chi i suoi occhi si sarebbero posati. In essi c’erano eccitazione e timore.

-Carlisle.- lo richiamò la voce. C'era pentimento, nel suo tono , ma c'era anche un misto di eccitazione e di timore.

Gli stessi suoi sentimenti. Il cuore di un uomo, non un demone e un vampiro, che batteva di emozione poco lontano dal proprio.

-Carlisle? Non sono venuto per chiederti di parlare, solo di ascoltare. Se però non ti va nemmeno di restare a sentire quello che ho da dirti, dimmelo subito e me ne andrò.-

Carlisle si alzò dal pavimento, le membra scosse da una violenta commozione. Si voltò ed incrociò le braccia al petto: Aro, dall’altra parte della camera, sorrise appena di gratitudine. Seguì un momento di silenzio. I due si fissavano, sapendo che ciò che stava per accadere avrebbe scritto la parola fine sulle loro trascorse attese.

-Ho delle difficoltà a spiegare quello che vorrei. Non sono troppo bravo ad esprimere ciò che sento, ma pare che da quando tu sei entrato nella mia vita io non possa fare a meno di scontrarmi contro questa mia incapacità quotidianamente. Parlare di sentimenti non è il mio forte, perciò perdonami se non sono stato in grado di gestire la situazione e a frenare i miei istinti. È stato perché non mi sono mai trovato ad affrontare niente di simile in tutta la mia vita.-

Il tono di voce stanco e malinconico, Aro si prese una pausa, forse per mettere insieme qualcosa da dire dopo, ma in quei pochi secondi il vampiro biondo poté sentire sulla sua pelle il trascorrere del tempo. Se fosse stato umano, avrebbe perso per sempre diversi anni di esistenza piena e soddisfacente: essendo un vampiro, incise soltanto un altro segno sulla sua anima frustrata, tribolata.

-Tu non puoi sapere quanto io voglia poterti spiegare perché ho agito in una certa maniera, perché ho fatto determinate cose. Vorrei poterti elencare la lunga lista di motivi per cui non avrei assolutamente dovuto portarti nel bosco e baciarti, questa notte, oppure i motivi per cui fin dall’inizio sarei dovuto rimanere alla larga da te. Non appena provo a pensarne uno, non so se sia per mio egoismo o per i tuoi occhi, che sono troppo belli…- abbassò lo sguardo con timidezza, sorridendo malizioso e contemporaneamente mordendosi le labbra. -…ma si rivela inconsistente, inutile, una scusa. E quello dopo peggio ancora. Non puoi neppure sapere quante notti io abbia passato, quanti giorni io abbia trascorso, nella ricerca di una scusa adeguata, inattaccabile da ogni punto di vista, per utilizzarla quando… quando…-

S’interruppe. Pareva incapace di proseguire. Carlisle aspettò per qualche istante, ma non riuscì a resistere molto. Quasi in piedi sulle punte per l’ansia di conoscere la frase seguente, sussurrò tradendo la propria emotività:-Quando, Aro?-

La creatura più anziana sospirò, quindi alzò le spalle.

-Quando volevo conoscerti, per non avvicinarmi a te; quando ho deciso di presentarmi, invece di restare nascosto nel buio.- Ridacchiò. –Quando stasera ti ho visto difendermi, per non approvare o lodare il tuo gesto; per non prenderti per mano e portarti fra gli alberi e baciarti.-

Un’altra piccola pausa, ma finalmente:-Sembra superfluo da dire, però non l’ho trovata. Nessuna scusa regge contro di te, nessun pretesto riesce ad accamparsi all’ombra dei tuoi occhi così diversi e così luminosi sui miei. Sei troppo attraente per me, Carlisle, troppo per fingere indifferenza. Per lasciare che voli via. Sarei dovuto restare nella mia ombra, quella sarebbe stata la cosa più giusta da fare. Tuttavia non riesco a sentirmi in colpa per quello che è accaduto questa notte, in questi giorni. Dovevo provarci. Non posso scusarmi per questo, cerca di capire. Mi scuso comunque dei modi rudi, bruschi, indelicati e scarsamente cavallereschi.-

Carlisle si fissava le mani e teneva le braccia strette al petto. Quasi volesse trattenere, contenere qualcosa che non sapeva, non voleva che uscisse.

-Ti ho offeso?- gli chiese il bruno, studiandolo con preoccupazione. Lo vide fare un passo verso di lui, quindi alzò gli occhi e lo costrinse a rimanere immobile.

-Non è questo. È che siete molto diretto nelle parole, mi avete… spiazzato.-

Aro sorrise, quasi a scusarsi.

-È la prima volta che mi trovo ad esprimere un determinato tipo di cose, cerca di essere indulgente.-

-Lo è anche per me.-  

Si sorrisero, ma poi il vampiro dai capelli biondi tornò serio.

-Mi spiegate una cosa, Aro?-

-Qualsiasi cosa tu desideri.-

-Che cosa volete voi da me? Che cosa vi aspettate che faccia io, adesso?-

La domanda parve cogliere il suo interlocutore di sorpresa, si prese qualche istante. Tardò quindi a rispondere.

-Che cosa vuoi tu, Carlisle?- fu la sua replica. Carlisle sbarrò lo sguardo.

–Io voglio che tu mi dica che sei disposto ad accettare ciò che ho appena detto. Voglio che tu mi prometta di non lasciarmi mai. Voglio che il tuo sorriso non se ne vada, sei il sole della mia vita. Voglio che mi giuri che non mi giudicherai mai, che sarai sempre misericordioso con me.-

Il tono di voce di Aro era andato incrinandosi, come se ad ogni parola dentro gli si fosse aperta una lacerazione. Una speranza. Carlisle era senza fiato, si portò una mano alla gola e qualcosa sfuggì dal suo controllo. Qualcosa scappò dalla sua stretta.

-Non sembrate felice, Aro.-

Aro fece una piccolissima smorfia di disappunto, come contrariato che gli fosse sfuggito tanto.

-Nemmeno tu.-

Un’altra mano cadde lungo il fianco. E ancora qualcosa gli volò via.

Un sorriso di sarcasmo.

-Dimenticavo che non rappresento più un mistero, per voi. Non ho più niente da nascondere.-

Aro lo corresse:-Ti sbagli, sono io che non posso nascondere nulla a te.-

Di nuovo, Carlisle spalancò gli occhi.

-Non sono felice perché mi sento perso, perché quando ci sei tu io perdo il controllo. Mi sono sempre illuso di essere immune da questo, invece era appunto solo un’illusione. Sono sempre stato io il più forte, il più grande. Ora ci sei tu ed è tutto cambiato.-

Il giovane dagli occhi chiari si mordicchiò le labbra, assente e pensieroso.

-Il fatto è che mi state sconvolgendo la vita.-

Aro sbuffò, insofferente a quel nuovo debole muro.

-È già stata sconvolta la tua vita, Carlisle, tempo fa. Solo che tu non lo vuoi ammettere. Ed io sono sconvolto da te, come mai mi era successo prima con altri. Tu sai capirmi, quando sto insieme a te le ore del giorno e della vita diventano speciali come… non so come decrivere… e mi sembra che il cuore debba ricominciare a battere.-

Carlisle non rispose affatto. Continuò a mordersi la bocca.

-Tu sei diverso dagli altri.- concluse il moro essere. –Sei migliore. Tu sei come nessuno è mai stato prima e come nessun vampiro sarà mai. Tu sei il nuovo centro della mia vita, non più soltanto me stesso. Accetta la mia richiesta, perché non posso più esistere senza di te.-

Unirsi agli imperatori Volturi. Unirsi a… lui.

-Non hai parlato con gli altri? Insomma, che cosa ne pensano Marcus e Caius?-

-Non ne ho parlato agli altri. Sapranno tutto solo quando potrò entrare dall’entrata principale con te.-

Aro non stava affatto scherzando. Aro faceva sul serio.

Il giovane continuava a non dare una risposta.

-Se mi rifuti, posso…-

-Aro?-

Non poteva. Non poteva gettarsi fra le sue braccia. Avrebbe significato annullare sé stesso ed i suoi ideali. Che ne sarebbe stato dei suoi piani e progetti, con i suoi studi per diventare medico?

-Sta zitto.-

Carlisle aveva deciso.

-Baciami e basta.-

Aro rise, si avvicinò. Le loro labbra si scontrarono ancora.

Ancora così vicini, ancora mani nelle mani. Ancora un bacio, un altro.

L’ultimo pensiero di Carlisle fu che Aro era un’anima sofferente che aveva bisogno di venire consolata. E lui era pronto a dargli tutta la misericordia che aveva.

 E quindi non pensò ad altro. Futuro, presente, realtà, sogno, anima, natura, peccato, santità, università, medico, gaetana, tancredi, caius, marcus… si fusero dentro la sua bocca. Era la scelta sbagliata, lo sapeva, avrebbe dovuto fuggire, scappare, smettere di vederlo finché aveva potuto. Ormai non c’era più tempo. Prima era il momento giusto.

Adesso non era più tempo.

Esistevano Aro e le sue labbra.

Gli occhi rossi di assassino sanguinario brillavano socchiusi nell’oscurità calma della stanza. 

Solo la croce se ne accorse. Solo la Croce sapeva.

Note

Ecco l'ottavo capitolo! Noterete che ho messo più tempo a scriverlo, perchè ho degli altri impegni e progetti in corso di lavorazione. Siccome mi serve libertà, se deciderò di continuare questa fanfiction dovrete aspettare dei periodi molto lunghi tra un capitolo e l'altro. Grazie per tutto quanto!

Gattino bianco -_- Eh, tra i due c'è... immagino avrai letto con attenzione! :) Spero che non ti dispiaccia, che il capitolo ti sia piaciuto!

CondroitinSolfato -_- Mi fa piacere che il mio capitolo ti abbia sollevato il morale! Mi dispiace per il tuo braccialetto! :( Grazie per adorare tutti i miei personaggi! hihi

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