Il Settimo Cavaliere - Il Destino di Faerie

di lames76
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Preludio ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 32: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Preludio ***


Premessa: questo racconto è rimasto in cantiere per un sacco di tempo, avevo scritto l'inizio e la fine ma la parte centrale, anche se sapevo cosa doveva accadere non veniva proprio fuori.
Poi è arrivato il compleanno di Salice ed io mi sono detto: "Ecco cosa posso regalarle... su Andrea datti una svegliata e finisci sto benedetto racconto"... e così è stato!
Per questo motivo pubblico, prima del preludio, la dedica.



A Salice per il suo compleanno
Grazie!
Grazie di essere mia amica!
Grazie di sopportarmi!
Grazie di avermi presentato Elos !
Tanti auguri e mille giorni fatati!



Preludio

La folla si era accalcata nella piazza. Erano inferociti e volevano sangue. La giovane donna era tremendamente spaventata, ma non aveva urlato né chiesto pietà mentre veniva legata al palo e mentre le fascine venivano accatastate tutto attorno a lei. L’uomo la guardò fisso negli occhi chiedendole se avesse qualcosa da dire. Lei annuì.
"Tenete un crocifisso sopra i miei occhi così ch'io possa vederlo fino alla morte", non osava dire di più perché temeva che la paura le facesse uscire dalla bocca qualcosa di cui si sarebbe pentita. Quando le fiamme iniziarono ad ardere chiuse gli occhi chiedendo aiuto alla Voce che aveva sempre sentito nella mente e che l’aveva guidata sin da quando era poco più che una bambina. Grazie a quella voce, da semplice pastorella era diventata una condottiera e per lei fu naturale, negli ultimi istanti della sua vita, cercare conforto in essa. E la voce giunse, rincuorandola e dicendole di avere fiducia. Ebbe fede anche quando sentì il calore delle fiamme lambirle le membra, sempre più forte. Non vacillò neppure allora.
Improvvisamente non sentì più il bruciore, né le corde che la bloccavano e riaprì gli occhi confusa.
Si trovava, seduta sull’erba, in una splendida radura, in mezzo ad un boschetto d'alberi ad alto fusto, vicino a lei gorgogliava un torrentello che formava una piccola cascata. Tutto intorno si potevano udire i suoni della natura: i fruscii nei cespugli, i richiami degli uccelli, lo scrosciare del fiumiciattolo.
Di fronte a lei stava una donna, alta e splendida, che indossava una lunga veste azzurra. Era una visione angelica ed appena la vide, la giovane capì che si trovava di fronte ad una creatura superiore. Capì che la Voce che aveva sempre sentito proveniva da lei.
La donna le stava porgendo una mano per farla alzare.
Lei accettò quell’aiuto senza esitazione.
"Benvenuta a casa Giovanna", le disse sorridendole.


La donna riaprì gli occhi scuotendosi da quel ricordo.
Stava ansimando.
La sua schiena era schiacciata contro il muretto.
Si fermò un istante a riflettere spostando dal volto una ciocca dei suoi capelli, impastata di sudore.
Stava combattendo... da quanto oramai?
Davanti ai suoi occhi c’erano solo morti.
I suoi compagni erano caduti nel vano tentativo di difendere quell’ultimo bastione.
Diede un grande respiro riempiendo i polmoni di aria.
Cercò di non far caso all’odore, l’odore della morte che aleggiava nella zona.
"Questa è la fine", pensò con un pizzico di sorpresa.
Aveva sempre saputo che sarebbe arrivata prima o poi.
Guardò la spada che stringeva in pugno.
Quante avventure le erano capitate dalla prima volta che le era stata donata dalla sua Voce.
Un sorriso apparve sul suo volto.
"Vecchia mia", mormorò accarezzando l’elsa intarsiata di rune, "Combatteremo insieme anche quest’ultima battaglia"
I rumori le fecero capire che il nemico si preparava ad un ulteriore assalto.
L’ultimo, visto che rimaneva solo lei a difesa.
Un pensiero si insinuò prepotentemente nella sua mente: forse avrebbe potuto fuggire. I nemici avrebbero vinto comunque, sia che lei fosse caduta, che se fosse fuggita...
Tornò a posare gli occhi sui morti, i suoi compagni.
"Ve lo devo amici", pensò risoluta facendo ai loro corpi una sorta di saluto armato.
Si sollevò in piedi e si mise in piena vista a fronteggiare il nemico, con spavalderia.
Anche se era coperta di sudore e fango era una visione stupenda.
Una leonessa pronta a vedere cara la pelle... una fiera che non si sarebbe arresa senza combattere.
"Facciamo come Davy Crockett ad Alamo!", represse un sorriso, a quella sua affermazione.
Lui sarebbe stato fiero di quella citazione!
Davanti a lei, nell’imbrunire, i suoi avversari erano solo sagome indistinte, erano solo sagome indistinte.
Nere ombre di morte.
Con un urlo si lanciò addosso a loro, sorprendendoli per la sua audacia.
La sua spada brillò di magia ed iniziò ad intonare un canto di morte.
I suoi avversari cominciarono a cadere schizzandole addosso freddo sangue di demone.
I più piccoli di loro si diedero alla fuga di fronte a quell’assalto.

Mai il loro comandante non si fece intimorire.
Era un assalto disperato, non importava quanti soldati sarebbero caduti sotto i suoi colpi, morire era il loro compito, alla fine lui avrebbe vinto comunque.
Strano però che la vittoria avesse quel sapore.
Aveva sognato quel momento da sempre, quindi si era aspettato di provare gioia al momento del trionfo.
Ma, invece, non provava nulla di nulla.
Si scrollò le spalle dicendosi che, forse, era la sua stessa natura che gli impediva di provare sensazioni.
Vide uno dei suoi soldati riuscire a colpire il cavaliere nemico.

Il guerriero barcollò per il colpo subito da uno dei mostri con cui stava combattendo.
"Avanti buona a nulla!", si spronò, "Dimostra di non essere più solo una pastorella... Non cedere al dolore, combatti..."
Un altro colpo le fece appoggiare un ginocchio per terra.
Parò un affondo che aveva visto a stento dato il sangue che le colava sugli occhi.
Il suo o quello dei suoi nemici? Chi poteva dirlo...
Lo sguardo si focalizzò sul comandante nemico.
Si, quello sarebbe stato il suo ultimo obiettivo.
Sarebbe caduta portandolo con sé.
Corse verso di lui travolgendo tutti coloro che le si paravano davanti.
Era così vicina...
Un colpo alla testa la fece piombare a terra, tra il fango.
Altri colpi al corpo.
Non sentiva neppure più dolore, solo un vago senso di malessere.
Un pesante velo nero calò sul suo sguardo.
Così cadde il Primo Cavaliere di Faerie, il giorno che il reame fatato fu conquistato dal male.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Menion sbadigliò sonoramente.
Quella era, sinceramente, la missione più noiosa da quando era diventato cavaliere di Faerie.
Cinque anni prima, Menion si era laureato in archeologia ed aveva deciso di prendersi una vacanza nei pressi di Stonehenge; lì la sua vita era cambiata per sempre.
Era stato inseguito da un essere del male che voleva ucciderlo perché, aveva scoperto che lui era destinato a diventare un Cavaliere di Faerie, ovvero una persona che viveva al di fuori del tempo per proteggere il giusto corso della storia. Ma non solo della propria Terra, ma anche di tutte quelle che popolavano le infinite realtà del multiverso. Ci aveva impiegato parecchio tempo per capire pienamente cosa significava, ma oramai era un cavaliere esperto.
La cosa importante era che poteva visitare Faerie ogni volta che avesse voluto e questo lo ripagava di tutti i problemi, le ferite ed i dolori delle sue missioni.
La terra fatata era qualcosa di... indescrivibile!
In quei cinque anni aveva potuto esplorare solo un’infinitesima parte del territorio, composto da alte montagne, dolci colline, fiumi e laghi. I monti in questione per lo più formavano una cintura tra il centro dei reami e quello che la sua Voce aveva chiamato "il confine dei sogni",
Lui era sempre stato un amante del mare, ma non ne sentiva la sua mancanza, quando era a Faerie. In effetti, quando guardava le immense pianure erbose, le immaginava come un mare verde mosso dal vento. Un mare solcato da splendidi e puri unicorni e sovrastato da un cielo che variava dall’azzurro più puro al turchese, macchiettato da due lune, una color pesca e l’altra color azzurrino.
Nel cielo aveva visto volare ogni genere di fantastica creatura: dai pegasi ai grifoni, dai giganteschi roc alle piccole fatine.
Si era ripromesso, prima o poi, di fare una lunga vacanza esplorativa in quella terra anche perché era incuriosito dal fatto che Tintinnio gli aveva detto che quella terra aveva mutato dimensioni nel corso del tempo. Per sua fortuna Faerie era al di fuori del tempo, quindi poteva passarvi quanto tempo volesse perché, finché si fosse trovato là, non invecchiava.
Forse proprio per questo motivo evitava di fermarvisi più del necessario, anche perché era l’unico, tra i Sette Cavalieri di Faerie ad avere ancora una vita nella sua Terra. Tutti gli altri erano "morti", nel senso che lo erano per tutti i loro conoscenti, amici e parenti e quindi vivevano in pianta stabile a Faerie. Lui invece era stato salvato da Giovanna d’Arco proprio al termine della sua prima missione per conto del reame fatato, quando la giovane aveva ucciso il mostro che era stato mandato ad eliminarlo.
Ma evitava anche di fermarsi troppo in quella terra fatata perché sapeva di correre il rischio di perdersi nelle bellezze del mondo. Era qualcosa di indescrivibile con parole umane, la sua bellezza e la sua purezza erano qualcosa che ti entrava dentro e che ti confortavano in ogni momento della tua vita. Certo, come in ogni altro posto abitato da razze senzienti, anche a Faerie, a volte, scoppiavano delle dispute, ma tutto si risolveva in semplici discussioni. Forse il fatto che vi abitassero decine di razze intelligenti aiutava la cooperazione e la coabitazione o forse era il fatto che, quello era un reame da sogno, dove niente poteva andare davvero male.
Ora però Menion era in missione, nell’Illinois del milleottocentoequalcosa e doveva badare ad un contadino.
Da quando era arrivato, circa due settimane prima, si era finto un bracciante ed era stato accolto di buon grado dal vecchio campagnolo che necessitava di ogni aiuto possibile per tirare avanti il ranch.
Si era dedicato a lavorare la terra e non aveva neppure intravisto l’ombra di un nemico.
Ed, in effetti, la cosa era davvero strana.
Oramai aveva affrontato almeno una trentina di missioni per conto di Faerie ed i nemici, se non erano apparsi il primo giorno lo avevano sempre fatto, al più tardi, il giorno seguente.
Anche Tintinnio era stranita dalla cosa, ma forse era ancora più stranita per il fatto che fosse andata in missione con lui!
Tutto era iniziato, quando era stato richiamato a Faerie tramite la sua pietra. Aveva creduto fosse una normale missione, come le altre, ma si era ritrovato di fronte nientepopodimenoche il Primo Cavaliere in persona.
Non che fosse troppo strano, lui e Giovanna avevano legato parecchio, ma in quel frangente lei gli si era presentata nella sua veste ufficiale.
Gli aveva raccontato di questa missione, definita fondamentale per il bene comune, e lo aveva accompagnato ella stessa allo specchio.
E lì altra sorpresa, Ellhenro, la regina delle fate e Voce del Primo Cavaliere, aveva fatto lo stesso discorso a Tintinnio dicendole che, per la prima volta in secoli, avrebbe dovuto accompagnare il suo cavaliere direttamente in missione.
Erano partiti felici di poter condividere un’avventura, seppur pieni di domande senza risposta.
Giovanna ed Ellhenro li avevano salutati, ripensandoci, in modo molto, come definirlo se non triste?
Ora, il quattordicesimo giorno di missione, Menion fremeva.
"In effetti questa missione è troppo strana", disse la fatina adagiandosi sul petto del ragazzo, "Niente nemici, niente pericoli, istruzioni di proteggere una persona qualunque...", il cavaliere non disse niente continuando a masticare il gambo di uno stelo d’erba, così l’essere fatato proseguì, "Ieri sera ho provato a contattare Faerie ma non ho ottenuto niente e ripensandoci, il modo in cui ci hanno salutato è stato proprio strano"
"Sembrava che cercassero una scusa per allontanarci", mormorò Menion a terminare la frase.
Il contadino lo chiamò, rimproverandolo bonariamente del fatto che poltriva, così lui si alzò e lo raggiunse, mentre la fatina trovava rifugio nel taschino della sua camicia.
Il vecchio lo informò che avrebbe dovuto portare una sacca di provviste ad un vecchio amico, ma non ce la faceva, così voleva che il ragazzo facesse la consegna al suo posto.
Menion dapprima protestò, non poteva certo lasciare solo l’anziano contadino, ma poi cedette alle sue richieste, tanto sarebbe stato via per meno di mezza giornata.


Il ragazzo sellò un cavallo e si diresse lungo il sentiero seguendo le indicazioni che il vecchio gli aveva dato.
La sua cavalcatura era un giovane baio ancora un po’ bizzoso, ma lui lo portò con tranquillità.
Era stata Giovanna stessa ad insegnargli a cavalcare. Doveva molto a quella ragazza, così giovane eppure così tanto più esperta di lui.
Tintinnio gli volava vicino, ben conscia che, se qualcuno li avesse visti, l’avrebbe scambiata per un grosso insetto o, al peggio, per un uccellino.
Viaggiarono finché non fece sera, fino a giungere in un terrazzo roccioso posto quasi sulla sommità della montagna che sovrastava la tenuta del vecchio contadino.
Qui spiccava, in mezzo al nulla, un teepee indiano.
Menion smontò dal cavallo, mentre Tintinnio si rifugiava all’interno di una tasca del suo pastrano, e si avvicinò reggendo la sacca.
Un nativo americano di un’età indecifrabile parve quasi comparire dal nulla di fronte a lui facendolo trasalire per la sorpresa.
Era alto e possente, abbigliato con un semplice pantalone di pelle e stivali di cuoio leggero. Sul viso e sul petto aveva alcuni segni fatti con pitture di vari colori. Sul capo teneva legata quella che pareva una fascia.
"Ti ha mandato Sam", la sua era un’affermazione non una domanda.
Il ragazzo annuì ancora colpito dall’essere stato colto così di sorpresa.
Gli occhi del pellerossa parvero penetrare all’interno della sua anima, la sua espressione era calma e rilassata, parve annuire leggermente con la testa.
"Accomodatevi dentro", disse infilandosi nella tenda.
Il ragazzo si abbassò ed entrò.
L’uomo si era già seduto a gambe incrociate a terra e gli fece segno di fare altrettanto battendo il palmo di una mano sul terreno.
"Fai pure uscire la tua piccola amica dalla tasca", gli disse guardandolo sempre in modo indecifrabile. Il ragazzo tentennò ma, prima che potesse parlare o inventare una scusa, la fatina uscì dal suo rifugio improvvisato e si andò a posare sulla sua spalla in piena vista.
"Tranquillo Menion", la voce dell’essere fatato era calma, ma lui vi colse anche un po’ di curiosità, "Anche lui è un messaggero di Faerie"
Il ragazzo si chiese se fosse uno dei sette cavalieri. Durante la sua permanenza tra i loro ranghi ne aveva incontrati solo cinque, sé compreso, e sull’identità degli altri due non aveva scoperto nulla. Oramai era diventata una sfida per lui cercare di farsi dire da Giovanna la loro identità, magari inducendola con un trabocchetto. Una sfida che finora aveva clamorosamente perso. Sapeva solo che, all’appello, gli mancavano il terzo ed il sesto cavaliere.
"No cavaliere, non sono uno di voi", disse l’uomo quasi gli avesse letto nella mente, mentre sul suo viso appariva l’ombra di un sorriso che pareva scolpito nella roccia, "Io servo il Grande Spirito in altro modo"
"Questa missione...", iniziò a dire la fatina, ma l’uomo la fermò con un gesto perentorio.
"Il Grande Spirito mi ha parlato due lune orsono, attraverso lo spirito di una volpe", la sua voce era come un cantilenare lento, ma deciso, "Mi ha conferito la missione di trovarvi ed aiutarvi. Un grande pericolo incombeva sulle celesti praterie..."
"Faerie", mormorò in spiegazione Tintinnio.
Il pellerossa continuò a parlare, "...il male, sottoforma di spiriti neri e terribili, stava per compiere l’impensabile. Ciò che era stato predetto, ma mai veramente creduto, stava per avvenire..."
Il corpo della fatina si irrigidì, "No", il suo era un sussurro disperato.
"Che cosa?", chiese Menion un po’ stufo di tutto quel mistero, seppure preoccupato per la reazione della sua piccola amica.
"Fin dall’alba dei tempi, quando le fondamenta del regno di Faerie sono state erette sulla trama dei sogni, è stata formulata una profezia. Il male avrebbe abbattuto i bianchi cancelli ed avrebbe conquistato il regno, marciando sul sangue dei difensori. Quel giorno, tutte le realtà sarebbero collassate in un caos primordiale, sul quale il male avrebbe regnato sovrano", la voce della sua piccola amica tremava, mentre gli forniva quella spiegazione.
Menion sbuffò, possibile che anche un mondo idilliaco come Faerie avesse profezie dell’apocalisse?
"Piccolo spirito", intervenne lo sciamano, "Si è realizzata solo la parte di conquista. Ma dovremo agire in fretta per fermare la rovina che si sta preparando"
"Un momento!", il ragazzo si era spazientito, "Dovremo? Chi sei tu? Come possiamo sapere che ci stai dicendo la verità?"
"Menion, lui dice il vero", intervenne Tintinnio scossa da un fremito, "Lo sento... è questa sensazione che sentivo da un paio di giorni... fino ad ora non l’avevo compresa... forse perché non volevo farlo... ma...", era tremendamente provata.
"Io sono Due Lune", sentenziò con voce forte l’uomo, "Sono stato capo dei Cheyenne settentrionali durante la mia vita. Ho guidato il mio popolo al momento del suo declino. Non ho potuto fare nulla per salvarlo dal male. Ora sono stato chiamato a servire il Grande Spirito in modo da non ripetere i mie errori. Sarò al vostro fianco nel difficile viaggio che vi attende"
Solo in quel momento Menion comprese il reale significato delle parole della sua Voce, "Volete dire che a Faerie..."
"Si", rispose mestamente la fatina, "Probabilmente sono tutti morti...", calde lacrime di dolore le rigarono il volto, "Ora è chiaro che il Primo Cavaliere e la regina hanno deciso di salvarci per permetterci di sopravvivere..."
Il ragazzo spalancò gli occhi per la sorpresa. Ricordò il momento in cui Giovanna l’aveva salutato abbracciandolo e sussurrandogli all’orecchio un: "Sii forte". Lui l’aveva interpretato come uno sprone per la missione, ma ora capiva che il tono con cui l’aveva pronunciato... si riferiva alla situazione in cui si trovava ora.
Anche il modo in cui l’aveva abbracciato era stato diverso dal solito. Era stato un abbraccio caldo ed amorevole, non il solito abbraccio di saluto che gli dava.
Ed ora la ragazza poteva essere morta.
Non avrebbe più potuto scherzare con lei citandogli fatti moderni per poi prenderla in giro.
Non avrebbe più potuto ascoltare la sua voce narrargli le sue avventure.
Non avrebbe più potuto tirare di spada con lei.
"No, non può essere morta!", mormorò con un filo di voce.
"Spera che lo sia", intervenne ancora Due Lune, "Perché se è sopravvissuta starà passando le pene più terribili"

Menion era di umore cupo.
Sedeva sul costone roccioso e guardava verso l’orizzonte.
Tintinnio e Due Lune stavano parlando animatamente all’interno del teepee.
Lui aveva preferito prendersi una pausa per riordinare le idee.
Inizialmente aveva rifiutato di credere che Faerie fosse caduta e che tutti gli altri cavalieri fossero morti.
Ma ora, ora sentiva che era vero.
Dentro di sé si sentiva solo. Più solo che in ogni altra circostanza.
Certo, le missioni da Cavaliere di Faerie avvenivano sempre in modo solitario.
Non era mai successo che gruppi di cavalieri affrontassero missioni assieme.
Ma, nonostante questo, aveva sempre sentito, sin dal momento in cui aveva deciso di abbracciare quella causa, che non era solo.
Invece ora si sentiva tale.
Il sole stava lanciando i suoi ultimi raggi da dietro la pianura.
Era una di quelle scene tipiche dei film western in cui il cavaliere solitario, dopo aver compiuto la sua missione, se ne andava incontro al sole, mentre una canzone malinconia suonava la sua ballata.
Quel pensiero non riuscì a strappargli neanche l’ombra di un sorriso.
Ripensò al tempo passato con Giovanna.
Quanto aveva legato con la Pulzella d’Orleans.
Certo, lei era sempre stata una delle figure che lui più aveva ammirato, sin da bambino.
Era stato un sogno poterla conoscere ed era stata una piacevole sorpresa scoprire che era una persona fantastica: gentile, istruita, dolce e simpatica.
Per qualche strana ragione non si era innamorato di lei, ma l’aveva sempre considerata come la sorella mai avuta.
Ed ora non c’era più.
Menion non riusciva a perdonarsi di non averla salutata meglio.
Se avesse saputo...
Scrollò il capo, se avesse saputo non sarebbe partito ed ora sarebbe anche lui morto.
"Non ti deluderò", mormorò la sua promessa al vento.
Si alzò e tornò all’interno della tenda.



Un bel capitolo lungo, prima di una settimana di vacanza. Al mio ritorno il seguito!
Beatrix Bonnie buone vacanze e grazie di essere di nuovo qui!

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Procedeva con una lentezza quasi irritante.
Un singolo passo alla volta, soppesando il terreno sotto il piede prima di appoggiarsi.
Era un procedere a passo di lumaca, ma era necessario.
Avvertì un leggero scricchiolio sotto la suola della scarpa e si irrigidì.
Con lentezza e calma ancora maggiore spostò l’arto in un altro punto.
Infine sorrise e batté con forza il piede su una pietra.
"Ripetimi cosa stiamo facendo?", chiese Menion alla fatina.
"Due Lune sta cercando un passaggio per tornare al tuo tempo", gli sussurrò lei.
Era già notte quando l’indiano aveva detto loro che sarebbero dovuti tornare e si era messo a tastare tutto il terreno intorno al suo teepee con calma irritante.
Ora stava con un piede piantato sopra una pietra e sorrideva in quel suo modo così enigmatico.
Quel pellerossa grande e grosso, era una persona così strana.
Il cavaliere sentiva che poteva fidarsi di lui, ma sapeva che celava molti misteri e segreti. Nella memoria aveva cercato tutti i dettagli su quel capo indiano, suo padre era un appassionato della storia e della cultura dei nativi americani, ma lui ora non ricordava molto.
In effetti, ora che ci pensava, era proprio il capo indiano preferito dal padre, anche perché era nato nel suo stesso giorno dell’anno... si chiese perché proprio lui era stato scelto per aiutarli.
Intanto Tintinnio aveva raggiunto il sasso e lo aveva cosparso con un po’ della sua magica polvere di fata. Aveva storto il nasino con fare deluso, poi ne aveva lanciato un’altra manciata. La magia di Faerie iniziava a vacillare, ma la doppia dose fece il suo effetto ed il sasso iniziò a risplendere.
"Il passaggio è pronto", sentenziò Due Lune battendo le palme delle mani una volta emettendo un suono sordo, "Tu lo varcherai per primo, visto che conosci la destinazione meglio di noi", indicò il giovane.
"Ok si torna a casa", pensò avvicinandosi e toccando la pietra con la punta del piede.
Improvvisamente si sentì cadere.
Ma non era nel solito tunnel di luci e colori.
Cadeva realmente!
Sentiva il vento sferzargli il volto e la pelle.
Sentiva il suo corpo accelerare verso il basso in maniera tremenda.
Iniziò a preoccuparsi ma, prima che il terrore avesse il sopravvento, Tintinnio fu al suo fianco, lucente come al solito.
Due Lune era poco più indietro anche se, a sua differenza, lui non precipitava, semplicemente planava verso il basso lentamente.
"Allarga le braccia e porta i piedi in avanti", la voce della fatina era poco più che un sussurro nell’urlo del vento.
Ma lui eseguì e subito la caduta rallentò.
"Questo modo di passare è sicuro anche se pericoloso se non si rallenta", spiegò l’essere fatato facendosi vicino a lui.
Il cavaliere stava per rispondere che, se l’avessero avvertito, sarebbe stato meglio, quando fu abbagliato da una luce.
Quando riaprì gli occhi era in piedi sul marciapiede di una strada.
"Dove diavolo siamo?", chiese Menion con gli occhi sgranati.
Erano riapparsi sul marciapiede di una grande città solo che... tutto era sbagliato!
Tra le auto moderne marciavano anche dei carri di bestiame, uomini a piedi di ogni etnia, carrozze a vapore e bighe. Sembrava che un pazzo avesse pescato persone e cose da tutte le epoche del mondo e le avesse mischiate insieme. E nessuno, a parte i tre viaggiatori, pareva accorgersi della cosa.
"Le realtà si stanno sfaldando...", mormorò Tintinnio appoggiandosi al collo di Menion con sconforto.
"Ma c’è ancora tempo", disse l’indiano indicando le persone, "Vedete... non si accorgono della presenza di queste anomalie..."
Ed in effetti le diverse persone e cose parevano coesistere nello stesso posto. Talvolta passavano attraverso gli uni negli altri, come fantasmi. Questo dava ancora più un senso di vertigine a vedersi, soprattutto sugli edifici che si accavallavano gli uni sugli altri in un groviglio semi impossibile.
Due Lune continuò a parlare, "Per ora siamo i soli a vederli così, perché la nostra magia ci ha protetto dal collasso. Ma prima o poi le realtà diventeranno palesi a tutti. Quando inizieranno a vedersi verranno presi dal panico..."
"E quando un umano è preso dal panico cede alla violenza...", terminò la frase la fatina.
"Bene e noi cosa dobbiamo far...", iniziò a chiedere il cavaliere.
"Menion sei tu?"
Il ragazzo si voltò e gli mancò il fiato.
Di fronte a lui stava una ragazza dai capelli castano ramati ed occhi azzurri, abbigliata con vestiti d’altri tempi. Non la vedeva da moltissimo tempo e non si sarebbe mai aspettato di ritrovarsela di fronte proprio ora.
"Olimpia"
Sul suo volto si dipinse un enorme e sincero sorriso.
Poi, senza aspettare, abbracciò la giovane con trasporto.
"Credevo che non ti avrei più rivisto", gli disse la greca stringendolo a sua volta.
"Anche io", mormorò lui sentendo inumidirsi i suoi occhi.
Sentendo il profumo dei suoi capelli e della sua pelle gli tornò in mente la sua prima avventura... la sua prima missione da cavaliere. Quando aveva dovuto aiutare Aura e le sue amazzoni a liberare Antiope dalle grinfie di Teseo.
Aveva conosciuto la giovane e se ne era innamorato, come non gli era mai successo.
Nonostante tutte le altre missioni, nonostante tutto il tempo passato, non l’aveva mai dimenticata. "E’ passato così tanto tempo", gli disse staccandosi dalle sue braccia, "Quasi sette inverni"
Per Menion erano passati cinque anni da quella missione, ma visto che durante le sue avventure il tempo scorreva in modo diverso, poteva quantificare il tempo che non la vedeva in almeno dieci anni.
Gli occhi azzurri della ragazza osservarono la fatina e l’indiano poi tornarono sul giovane, "Cosa sta succedendo?", la sua voce lasciava trasparire parecchia confusione.
"Benvenuta tra noi giovane amazzone", disse senza esitazione Due Lune, "Ora il nostro gruppo è quasi completo..."
Menion strinse la mano di Olimpia, "Ti spiegherò tutto"
Per il momento, quella vacua promessa, le bastò.




Grazie a tutti i lettori, spero che questo capitoletto di intermezzo vi piaccia e spero di avervi con me fino alla fine!
Beatrix Bonnie è un piacere per me riaverti qui, grazie mille per le tue recensioni!

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Le nere truppe si erano fermate in mezzo al massacro beandosi della vista di quella carneficina.
La sistematica conquista di quello che era stato il fatato regno di Faerie era a buon punto.
Il comandante in capo delle truppe era compiaciuto, il suo piano era stato semplice ma estremamente efficace.
Una volta abbattuti i bianchi cancelli, aveva sconfitto... beh annientato era la parola più giusta... l’intero esercito elfico che gli si era opposto.
Poi aveva schiacciato i nani, facendo crollare le loro stupide gallerie.
Sistematicamente avevano distrutto ogni essere vivente che avevano incontrato sul loro cammino.
Poi era toccato ai cavalieri.
Certo, con loro era stato più problematico.
Erano pochi, ma avevano ucciso più soldati che tutti gli altri eserciti.
Soprattutto il primo cavaliere... lei era stata davvero difficile da eliminare.
Ma anch’essa, alla fine, era caduta.
Se avesse potuto sarebbe stato quasi dispiaciuto della morte della sua avversaria.
Se avesse potuto l’avrebbe stimata.
Ma oramai era al di là di ogni sentimento.
Era un essere di pura distruzione fin dalla sua creazione.
Era alto e magro, vestiva di nero dalla testa ai piedi. I guanti di pelle celavano le sue mani e gli artigli che potevano lacerare la carne come fosse burro. Non aveva muscoli possenti, ma poteva sollevare un tronco d’albero senza sforzo.
Il suo volto non aveva più lineamenti, se mai un tempo li avesse avuti, solo due fessure rosse all’altezza degli occhi ed una fessura irta di denti aguzzi all’altezza della bocca.
Viveva da innumerevoli anni.
Inizialmente era uno dei tanti esseri che si opponeva ai Cavalieri di Faerie durante le loro missioni.
Solitamente erano esseri effimeri, che vivevano solo per il loro scopo, la loro vita consisteva nell’intralciare i cavalieri e poi scomparire, che trionfassero o meno.
Ma lui non era scomparso.
Così si era presentato per un’altra missione.
E poi un’altra ancora.
In quasi tutte era riuscito ad intralciare i cavalieri.
Ne aveva incrociati quattro diversi da quando esisteva ed in quasi tutti i suoi incontri aveva trionfato.
Perché lui era più astuto dei suoi simili.
Non cercava con insistenza lo scontro con i cavalieri come facevano gli altri.
Non era guidato da una sorta di desiderio di vendetta.
Non si esponeva mai in prima persona.
Viveva per il suo obiettivo.
Trovava la sua vittima e la colpiva ignorando i Cavalieri.
E solitamente aveva sempre la meglio.
Solo il Primo Cavaliere l’aveva sempre beffato... e cosa era servito? Ora lei era morta, mentre lui stava per trionfare.
Avrebbe continuato per sempre con quell’andazzo... d'altronde era nato per quello.
Poi però, si era formato nella sua mente un’idea... e l’idea era diventata ossessione.
Così aveva creato un esercito, reclutando le creature più abbiette e mostruose che aveva conosciuto durante la sua esistenza.
Le aveva domate e le aveva plasmate come suo esercito. Un esercito disciplinato... beh, abbastanza disciplinato per svolgere il suo compito almeno.
Uno dei suoi soldati gli si fece vicino, un essere inferiore che pareva però il bizzarro incrocio tra un cinghiale ed uno struzzo, ma con una corporatura umanoide.
Lui lo osservò un istante con disgusto poi parlò con voce calma, "Riorganizzate le truppe, ci muoviamo"
L’essere grugnì qualcosa di indefinito, ma si spostò obbediente verso gli altri soldati.
Il Grosh sorrise, se si poteva definire così la sua smorfia, e si preparò alla vittoria finale.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Mentre seguivano Due Lune e Tintinnio in un labirinto di strade e viuzze, Olimpia aveva ascoltato la spiegazione di Menion ed aveva sempre annuito. Tutto era molto strano, ma aveva creduto ad ogni singola parola del ragazzo.
"Che cosa è successo dalla mia partenza?", le chiese infine il cavaliere guardandola negli occhi.
"Siamo tornate a casa", rispose lei, "Aura non ha mai sospettato che Teseo fosse sopravvissuto. Niobe sta..."
"A dire il vero mi interessava sapere di te...", le sorrise con calore tenendole le mani.
"Beh non ho fatto molto, ho continuato a narrare le storie, ma non mi sono mai decisa a frequentare l’accademia per diventare un vero Aedo...", sospirò.
"Beh io intendevo... ti sei fatta una famiglia?", Menion arrossì, non poteva farne a meno con lei.
Anche la ragazza arrossì, "La mia famiglia sono le amazzoni..."
Rimasero un attimo in silenzio.
"Non ti ho mai dimenticato", disse tutto d’un fiato la giovane.
"Neppure io Olimpia", le rispose lui tornando ad abbracciarla, "Nonostante la distanza che ci separava, non ho mai smesso di pensarti"
A rompere l’idillio ci pensò la voce della fatina, "Siamo arrivati!"
Il ragazzo fu certo che Tintinnio l’avesse fatto apposta, a volte poteva essere davvero gelosa.
Due Lune si presentò di fronte al cavaliere sondandogli l’anima con il suo sguardo profondo.
"Cavaliere, devi essere forte", la sua voce era calma, "Stiamo per ritornare alle Celesti Praterie, che tu conosci col nome di Faerie, ma non è più la terra che conoscevi", fece un’altra pausa, "Vedrai cose che scuoteranno il tuo animo fino alle fondamenta, ma dovrai restare saldo altrimenti non servirai a nulla", non gli diede il tempo di parlare, "Per questo la ragazza è stata portata qui, per fornirti un’ancora di salvezza a tutto il male che vedrai"
Lui lo guardò con durezza: chi era quell’uomo per parlargli così? Lui era un Cavaliere, non si sarebbe fatto intimorire da niente!
Tintinnio gli fu vicino appoggiandosi sulla sua spalla ed abbracciando il suo collo con le sue braccine, "Menion non sarà facile, devi credere alle sue parole"
Lui sorrise prendendo delicatamente la mano di Olimpia, "Con voi starò bene", disse con sicurezza.
Il nativo americano annuì parendo soddisfatto, "Bene non ci resta che attendere l’altro Cavaliere sopravvissuto..."
"C’è un altro cavaliere sopravvissuto?", chiese il ragazzo sgranando gli occhi.
"Me ne ha parlato lo spirito", spiegò con la sua solita voce decisa, ma pacata, il nativo americano, "Il vostro Primo ha fatto in modo di salvare tre di voi. Lui perché è il più forte dei guerrieri, tu perché..."
Menion non stava più nella pelle, "Chi è questo cavaliere?"
"Io, giovane compagno", la voce alle sue spalle era forte e sicura.
Lui si voltò e si ritrovò di fronte un uomo apparentemente poco più grande di lui. Ma l’apparenza era quella di un uomo molto maturo che dava sicurezza solo a guardarlo.
Il Settimo cavaliere gli si fece vicino e gli porse la mano che l’altro gli strinse con una presa salda e forte.
"Menion DeVille, settimo cavaliere di Faerie", si presentò.
"Alessandro III, terzo cavaliere di Faerie", rispose l’altro.
La mente storica di Menion si accese, mentre osservava i dettagli degli abiti dell’uomo e solo con un enorme sforzo di volontà riuscì a non restare a bocca aperta. Quell’uomo era Alessandro III di Persia, conosciuto come Alessandro Magno, il più grande condottiero della storia umana. Quell’uomo era stato in grado di conquistare, quasi tutto il mondo conosciuto, in soli trentatre anni.
Menion fece scorrere lo sguardo da lui a Due Lune, guardandoli si rese conto che con loro a fianco niente era impossibile.
Alessandro emanava forza e risolutezza, il sol guardarlo ti faceva pensare che avessero già vinto.
Con calma si presentò a tutti, il re conquistatore sorrise a sentire il nome di Olimpia, dicendo che era omonima di sua madre. Dal canto suo, la giovane, non aveva mai sentito parlare di lui, ma rimase comunque impressionata dalla sua presenza.
"Ed ora qual è il piano?", chiese il settimo cavaliere ora pronto a tutto.
"Semplice, andiamo a Faerie e la riconquistiamo", il re lo fece sembrare qualcosa di semplicissimo.
"Non vorrei sembrare una guastafeste, ma siamo solo in cinque contro un esercito che è stato in grado di spazzare via ogni resistenza", intervenne Tintinnio con fare realistico.
Alessandro la guardò con occhi gentili, "Nulla è impossibile per colui che osa"
Incredibilmente, nessuno trovò niente da obiettare.




Nota: mi sono divertito a far dire ad Alessandro III una delle frasi per cui è famoso, ovvero il suo: "Nulla è impossibile per colui che osa", cercando di farlo collimare con il contesto :-)

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Il passaggio a Faerie avvenne come al solito. Aperto grazie allo specchietto ed alla spada di Menion ed attraverso il "tunnel" di luci e colori.
Al suo arrivo nel reame fatato il ragazzo rimase immediatamente shockato.
Ogni volta che si materializzava a Faerie appariva sempre nello stesso punto, presso una ridente radura, in mezzo ad un boschetto d'alberi ad alto fusto. Vicino gorgogliava un torrentello che formava una piccola cascata e tutto intorno, ad accoglierlo, c’erano sempre i suoni della natura, i fruscii nei cespugli mossi dal vento leggero, i richiami degli uccelli e dei piccoli animali.
Se si appoggiava alla grande quercia poteva spiare, in una vallata sottostante, gli unicorni, spesso intenti a rincorrersi ed a brucare la verde erba del reame fatato.
Adesso si trovava al suo solito posto di arrivo, ma tutto pareva diverso.
L’albero ed il boschetto che gli dava sempre il benvenuto erano stati bruciati, la valle degli unicorni era una distesa immobile, brulla e la sorgente dalla quale un tempo sprizzava acqua cristallina era stata distrutta ed ora regnavano solo alcune pozze di fango.
Vide qualcosa di candido nelle acque sporche e quando osservò meglio capì che un unicorno era stato ucciso e sventrato proprio sopra la sorgente, il suo sangue argenteo imbrattava ogni singola pietra e si mischiava con il fango e la terra. Gli occhi di Menion si riempirono di lacrime a quella vista ed una rabbia incredibile lo colse, ma Olimpia fu subito al suo fianco e lo abbracciò.
"Era a questo che cercavo di prepararti", disse la benevola voce di Due Lune appoggiandogli una mano sulla spalla.
Lui si voltò verso di loro con una determinazione incredibile sul volto, "Facciamogliela pagare!"
Ma la più shockata era Tintinnio, si era posata come spossata, sulla spalla del suo cavaliere e stentava a reggesi seduta. Pareva che tutta la sua gioia e la sua felicità le fossero state tolte e per le fatine quei due sentimenti erano quelli che fornivano le maggiori energie. Anche il suo risplendere si era fatto fioco e lei appariva scura e pallida, l’ombra di se stessa.
Il ragazzo, con una delicatezza incredibile, la prese sul palmo della mano e se la avvicinò al viso.
"Tintinnio, vedrai, andrà tutto bene", le sussurrò con dolcezza.
Lei sollevò il capo con lentezza e con quello che parve uno sforzo infinito, "No", gemette quasi priva di forza, "Non andrà bene, non può..."
"Fidati di me", continuò lui, rendendosi conto pienamente, di quanto voleva bene alla sua piccola consigliera e giurandosi di fare qualsiasi cosa per aiutarla a riprendersi. Le sorrise con sincerità, "Vinceremo e faremo tornare tutto a posto"
Tintinnio lo guardò, negli occhietti un dolore immenso, troppo grande per una creatura così piccola, ma lesse la determinazione negli occhi del suo Cavaliere e vi lesse anche l’amore infinito che provava per lei, "Me... me lo... prometti?", riuscì a chiedere speranzosa.
Lui le sorrise ancora una volta, "Si, te lo prometto"
La fatina annuì poi, con estrema fatica, si sollevò a sedere e si sforzò di sorridere, "Ti credo", un po’ della sua luce riapparve. Le sue ali fremettero riflettendo la luce circostante e poi iniziarono a battere più velocemente. Tornò a volare e si fermò vicino alla guancia di Menion dove gli schioccò un bacio, "Grazie", gli mormorò all’orecchio.
"Bene ora andiamo a prepararci", disse Alessandro Magno voltandosi ed avviandosi con passo sicuro lungo un sentiero. Non pareva provato da quella vista, solo estremamente determinato. Menion si chiese se esistesse qualcosa che potesse scuotere quell’uomo.
Camminarono per quello scenario di morte e distruzione per diversi minuti, non si curarono di nascondersi perché sia il nativo americano che il greco li assicurarono che i nemici erano distanti.
Giunsero di fronte ad un intricato boschetto che pareva l’unico rimasto integro. La fatina si pose di fronte alle piante e mormorò qualcosa spargendo la sua polvere luminosa.
Dopo un attimo di attesa, lentamente, i rami si scostarono rivelando l’ingresso di una caverna.
Al loro passaggio, delle torce, appese alle pareti, si accesero spontaneamente rischiarando la strada lastricata.
"Questo luogo è un’armeria che è stata creata all’alba dei tempi appositamente per questa situazione", riferì Tintinnio, "Speravo di non entrarci mai..."
Giunsero infine in quella che pareva una grande stanza, con un tavolaccio di legno posto al centro e diverse porte chiuse. Menion vide sulle varie aperture diverse serie di incisioni, simili a rune.
"Indicano quali porte possiamo aprire e quali no", rispose alla sua tacita domanda la fatina.
"Perché non possiamo aprire alcune porte?", chiese incuriosito il cavaliere.
"Perché dietro alcune, sono presenti armi di un tempo futuro"
"Ed allora?"
"Sai che per regola un cavaliere deve agire solo nella sua epoca ed in quelle precedenti e mai in quelle future...", vide che il cavaliere non aveva compreso, "Anche se siamo in situazione di emergenza non possiamo modificarle!"
Nel frattempo Due Lune si era dotato di arco e frecce, due fucili winchester e diversi caricatori di munizioni. Alessandro aveva indossato una corazza di cuoio borchiato ed aveva preso qualche lancia e due spade di lunghezza diversa. Olimpia guardava gli altri un po’ confusa, ma il pellerossa le si avvicinò e le porse una specie di armatura, una cotta di maglia dorata.
"Questa ti sarà utile giovane, è più di quanto sembri", le fece uno dei suoi enigmatici sorrisi.
Menion, dal canto suo, decise che non avrebbe preso niente, d’altronde si sentiva già sicuro con la sua spada magica, ma fu avvicinato dal re che gli porse quello che pareva un largo bracciale, "Indossalo, ti fornirà una protezione contro i nemici che affronteremo"
Il ragazzo lo indossò senza protestare e questo, pur essendo di metallo, parve modellarsi per adeguarsi alla circonferenza del suo avambraccio. Senza pensarci si appoggiò al muro, vicino ad una delle porte ancora chiuse.
Tintinnio si era munita di una piccola armatura di cuoio, di uno stiletto e di una piccola bacchetta di legno.
"Qual è il piano?", chiese il cavaliere stringendo i pugni.
"Siamo in numero estremamente inferiore al nemico", spiegò Alessandro, "Ma godiamo del vantaggio della sorpresa. L’unica tattica utilizzabile è quella della guerriglia, colpiremo e scompariremo senza farci mai vedere. In questo modo, oltre a rallentarli, forse riusciremo a spaventarli", guardò l’indiano, "Il comando sarà di Due Lune, lui è più avvezzo di me a questo genere di tattiche"
Il nativo americano abbassò il capo in segno d’assenso, mentre la fatina stendeva una cartina di Faerie.
"Dovremo scoprire dov’è l’esercito nemico, poi inizieremo a colpire le retrovie", spiegò l’uomo, "In più dovremo cercare eventuali sopravvissuti che potrebbero unirsi a noi..."
"Se fossi il nemico starei dirigendomi qui", il re indicò il centro del regno, "E se hanno colpito per ultimi i cavalieri dovrebbero aver preso questo percorso...", fece scorrere il dito lungo una linea della mappa, poi fece una pausa, "Io, Due Lune e Menion inizieremo gli attacchi, Tintinnio ed Olimpia cercheranno i sopravvissuti"
Le due parvero sul punto di protestare.
"E’ la cosa più logica", intervenne il nativo americano bloccando le proteste, "Voi passerete più facilmente inosservate ed attirerete la fiducia di eventuali sopravvissuti. D’altro canto noi sapremo infliggere danni maggiori al nemico"
"Ci rincontreremo qui", la fatina atterrò sulla cartina vicino al centro del regno, indicando una specie di monumento di pietra, simile ad una torre bianco-argentea, "Fra qualche giorno"
Menion tornò vicino al tavolo, ora indossava anche un lungo e pensate mantello scuro.
"State attente", disse sorridendo alla fatina ed all’amazzone.



Grazie a tutti i lettori soprattutto a Beatrix Bonnie (che bello riaverti qui! ^_^).
Come avete potuto leggere dovrete aspettare ancora una settimana per sapere chi è l'altro cavaliere sopravvissuto... provate ad indovinare :D

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


I due cavalieri ed il capo indiano stavano camminando a passo spedito verso il primo posto in cui avrebbero dovuto iniziare la loro impari lotta.
Mentre camminava, Menion improvvisamente, ricordò le parole del nativo americano poco prima di incontrare Alessandro Magno: "Il vostro Primo ha fatto in modo di salvare tre di voi...".
"Tre di voi!", esclamò tra sé e sé.
Prima che potesse chiedere spiegazioni, vide decine di cadaveri e, per la prima volta da quando era tornato a Faerie non rabbrividì; gli esseri morti non appartenevano a quella terra fatata, ma sembravano incroci di diversi mostri, esseri ripugnanti e terribili. Erano stati uccisi da poco, visto che Due Lune aveva detto loro che, dopo la morte, i loro nemici sarebbero scomparsi nel nulla, come evaporando, se questi erano ancora qui allora dovevano essere stati uccisi da poco.
Superata un’altura, videro che, di fronte a loro, stava un uomo che pareva essere l’artefice di quella carneficina di nemici, doveva avere una quarantina d’anni, era alto e grosso, anche se non grasso, vestiva un giustacuore a sei falde grigio/blu e si era appena calzato sul capo un cappello da spadaccino con triplice pennacchio, brandiva saldamente, nella mano destra, una lunga ed affusolata spada, mentre nell’altro braccio teneva un lungo mantello granata; aveva un’espressione risoluta, ma la cosa che colpiva più di tutte era l’enorme naso che adornava il suo volto.
"E voi signori chi siete?", chiese con un pesante accento francese e con fare guardingo.
"Alessandro III, Menion e Due Lune", spiegò il re con il suo solito tono marziale.
Negli occhi dell’uomo passò un lampo, si tolse il cappello e lo sventolò in un saluto con inchino, "Io sono Cyrano Ercole Saviniano di Bergerac"
Menion pensò di essere impazzito, ma riuscì a dire: "Eri un Cavaliere di Faerie anche tu?"
Il guascone annuì avvicinandosi a loro, "Il sesto"
"Dannazione a te Giovanna!", pensò il ragazzo, "Hai sempre saputo che Cyrano era il mio più grande eroe e non mi hai mai detto che era uno di noi e che avrei potuto parlarci...", si bloccò come folgorato da un’idea. Ricordò che la giovane donna gli aveva detto che, per il suo prossimo compleanno, gli avrebbe fatto una grande sorpresa, presentandogli una persona... Un velo di tristezza lo avvolse pensando che, sicuramente, Giovanna intendeva fargli come regalo la conoscenza del suo mito. Si riscosse cercando di non pensare al dolore della perdita dell’amica.
"Signore è un enorme piacere conoscerla", strinse la mano con calore allo spadaccino, "Conosco a memoria la sua..."
Si bloccò, Cirano sapeva che sulla sua vita era stata fatta un’opera teatrale?
"Rostand è stato abbastanza accurato", bofonchiò imbarazzato il francese.
Evidentemente la conosceva.
Negli occhi del guascone apparve un lampo di divertimento, "E quale parte preferisci?"
"La tirata dei "No grazie"", rispose immediatamente il giovane.
Cyrano lo osservò sorpreso, poi il suo volto si atteggiò in un sorriso caloroso, batté una mano sulla spalla del settimo cavaliere con amicizia, "Ne sono contento!", bofonchiò, "Credo sia la parte di quell’opera che più mi rappresenta!"
In effetti aveva letto molti commenti all’opera teatrale di Rostand; i superficiali pensavano che la figura di Cyrano fosse famosa e dovesse essere ricordata, per la scena sotto il balcone di Rossana, mentre intesse gloria fingendosi Cristiano, ma lui aveva sempre amato quel personaggio per la sua fiera indipendenza, il suo fiero modo di pensare, il coraggio di non abbassarsi a compromessi nonostante tutto.
"Ora che il nostro gruppo è completo...", intervenne Due Lune risvegliando dai suoi pensieri Menion, "...direi che è ora di iniziare la nostra battaglia"





Salve a tutti! Con questo capitolo viene svelato chi è il sesto cavaliere (purtroppo non è Giulio Cesare Beatrix Bonnie, anche se ci avevo pensato :-) ).
Che ne dici/dite di sbizzarrirvi per dare un'identità anche ai tre cavalieri mai nominati? (io non ho idee a riguardo).

Visto che ci sono molto affezionato e visto che l'ho citata nel paragrafo appena postato vi riporto qui la tirata dei "No Grazie" tratta dall'opera teatrale Cirano de Bergerac.
Nota: Se la conoscete sapete di cosa sto parlando se non la conoscete... beh è giusto che lo facciate! Io trovo che sia qualcosa di splendido, un fantastico inno all'indipendeza, alla fierezza ed all'anticonformismo.

"Orsù che dovrei fare? Cercarmi un protettore?
Eleggermi un signore?
E come oscura edera che all’albero tutore si appoggia accarezzandogli e leccandogli la scorza,
dovrei salir da furbo e non invece a forza?
No grazie!
Dedicare come ogni scartafaccio
dei versi ai finanzieri? Gettarmi in un pagliaccio
pur di veder al fin, sul labbro di un ministro,
lo svago di un sorriso un po’ men che sinistro?
No grazie!
Banchettare tutti i giorni da un pidocchio?
Avere il ventre logoro dalle marce ed il ginocchio
più prettamente sporco nel punto in cui si flette?
Rendermi primatista di dorso piroette?
No grazie!
Riconoscere talento ai dozzinali?
Plasmarsi ad ogni critica che appare sui giornali?
Vivere dicendo: "Oh sento già il mio stile,
percorrere le bozze del Mercurio mensile"
No grazie!
Fare calcoli? Tremare? Arrovellarsi?
Preferire una visita ad un paio di versi sparsi?
Stendere delle suppliche o farsi commendare?
No grazie! No grazie! No grazie!
Ma cantare, ridere, splendere, da solo in libertà.
Avere l’occhio sicuro, la voce in chiarità.
Mettersi, se ti và, di traverso il cappello.
Per un si, per un no, fare o un’ode o un duello.
Fantasticare a caccia non di gloria o di fortuna,
su un certo viaggio a cui si pensa... sulla luna.
Se viene poi la gloria per fortuna o per arte,
non dover darne a Cesare la più piccola parte!
Avere tutta la palma della meta compita,
e disdegnando di essere l’edera parassita,
pur non la quercia essendo, o il gran tiglio fronzuto
salir anche non alto, ma salirvi, senza aiuto!"

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


La donna e la fatina stavano muovendosi in fretta e cercando di non esporsi troppo, anche se il loro cammino le stava portando ben lontano dal grosso dell’esercito nemico, non potevano essere sicure che delle frange di questo non fossero rimaste indietro o non fossero in perlustrazione.
"E’ un piacere conoscerti", sussurrò la piccola creatura fatata che proprio non ce la faceva a restare zitta, "Menion mi ha molto parlato di te"
"Tu devi essere quella che Menion ha chiamato 'Sacerdotessa', vero?", il ragazzo, quando si erano conosciuti, non potendo dire loro chi era veramente, aveva trovato la scusa che lavorava per conto di un gruppo di persone guidate da delle sacerdotesse.
La fatina sorrise annuendo, "Mi spiace che non ti abbia potuto parlare di me..."
"Non ce n’è stato bisogno", rispose la ragazza, "Quando ha parlato di te, gli occhi di Menion erano attenti e brillanti. Si vedeva che ti voleva bene e che tu eri una certezza per lui!"
La fatina si bloccò in volo librato a mezz’aria, colpita da quelle parole. Guizzò di fronte alla giovane, "Ne sei sicura?", chiese con vocina incerta.
La ragazza annuì sicura, "Si certamente"
La fatina si illuminò ancora più del solito, mentre sorrideva poi sospirò e, con grande sforzo, si parò di fronte alla giovane, "Olimpia, Menion è innamorato di te!", lo sussurrò quasi, come se per lei dire quelle semplici parole fosse stata la cosa più difficile del mondo.
Ed in effetti lo era stato...
Tra le Voci dei Cavalieri ed i loro assistiti c’era un legame molto intenso e particolare.
Le fatine erano esseri troppo piccoli per provare sentimenti complessi.
Quindi o amavano incondizionatamente o odiavano con altrettanto totale trasporto.
Tintinnio amava Menion con tutto il trasporto e la forza che il suo piccolo organismo poteva permetterle.
Ma non era un amore umano, era l’Amore, quello con la A maiuscola.
Era un amore che comprendeva quello di una madre per il proprio figlio, comprendeva il primo amore, l’amore che lega due novelli sposi e quello che lega due anziani coniugi da sempre insieme.
Per questo, spesso, era stata gelosa delle attenzioni che le altre donne e ragazze avevano riservato al suo protetto. Ma anche la gelosia non aveva avuto molto spazio, visto che l’amore che provava la riempiva completamente.
Però, in tutti gli anni in cui era stata vicina a Menion, aveva visto diversi sentimenti provati da lui e di cui lei era stata, un poco, gelosa. Tenera amicizia ed amore fraterno per Giovanna, la grande cotta per quella maga della sua epoca, Liselle, l’amore per i genitori e l’affetto infinito che provava per lei.
Ma, ogni volta che il ragazzo parlava di Olimpia aveva sentito nella sua voce il suono del vero Amore ed aveva compreso che lei sarebbe sempre stata l’unica donna nella sua vita. Ed il giovane evitava accuratamente di parlarne, come se, per lui, fosse una sofferenza.
In effetti, non potendo più rivederla, doveva essere stata una vera agonia.
"Dico sul serio Olimpia, credo che tu sia la sola che lui ami", per questo queste parole erano un dolore da dire per la fatina, ma sentiva che doveva dirle, proprio perché Amava (con la A maiuscola!) Menion.
"Anche io credo di amarlo", sospirò la giovane abbassando lo sguardo, "Quando se n’é andato sapevo, ero certa, che non l’avrei mai più rivisto, eppure non ho cercato nessun altro, ho sempre pensato che lui fosse l’unico, l’unico che io potessi veramente amare"
La fatina si andò a posare sulla sua spalla, "Tranquilla, quando tutto questo sarà finito, potrete restare insieme!"
La giovane parve scossa, "Ma come sarà possibile?"
"E’ una sensazione, ma, fidati di me, lo sarà!", sul volto della fatina era apparso un sorriso caloroso e la fiducia che l’aveva abbandonata vedendo Faerie in quelle condizioni, era tornata pienamente.


"Attendiamo il segnale del terzo cavaliere", mormorò Cyrano acquattandosi dietro un cespuglio. Erano giunti in prossimità della coda dell’esercito nemico. Il vedere quelle decine, centinaia, migliaia di esseri in marcia era stato terribile ed aveva fatto vacillare la loro convinzione di riuscire, però avrebbero tentato. Sotto direzione di Due Lune si erano divisi in due gruppi, ognuno avrebbe attaccato da un lato diverso, ma l’attesa era lunga e snervante.
"Una curiosità", chiese Menion, "Nell’opera teatrale non si parla di come sei sopravvissuto alla battaglia durante l’assedio di Arras..."
Il poeta sorrise, "E’ stata una lotta incredibile, anche se non me la sono goduta", Menion sapeva che, durante quella battaglia, Cyrano era scosso. Scosso perché era passato dalla gioia data dal fatto che Rossana pareva amare solo l’anima di Cristiano, e quindi lo stesso Cyrano, all’amarezza della morte del giovane che segnava la definitiva perdita della donna, "Comunque, non ci sono dettagli. Durante una battaglia come quella, c’è stata ben poca strategia. Era una lotta a chi cadeva per ultimo, ho lottato fianco a fianco ad amici che ora sono morti, io e Le Bret siamo sopravvissuti per miracolo"
"Altra domanda", il ragazzo si fermò scuotendo il capo, "Mi spiace, da quando ci siamo conosciuto non ho fatto altro che farti domande e ficcare il na...", si bloccò, "Ehm, ed occuparmi dei tuoi affari"
Il guascone sorrise quando vide Menion bloccarsi per non pronunciare la parola fatidica di fronte a lui.
"Tranquillo, diventare Cavaliere di Faerie mi ha un po’ addolcito e mi sono un po’ calmato rispetto alla suscettibilità che mi portava la forma di questo affare ", disse battendosi un dito sul naso.
Sentirono il verso di un gufo ripetuto tre volte ed immediatamente portarono mano alle armi preparandosi a scattare.




Ecco un capitoletto romantico. Mi è piaciuto cercare di descrivere cosa prova Tintinnio per il suo cavaliere. Spero di essere riuscito a comunicarvi questo "misto" di amori.

Nota: l'accenno alla "cotta" di Menion per la "maga dei suoi tempi Liselle" fa parte del "famoso" racconto mai concluso che doveva essere il secondo di questa serie ma che non mi convince affatto.

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Olimpia era ancora confusa dalle parole dell’essere fatato, quando questi si fermò librandosi a mezz’aria.
"Non siamo soli", mormorò la ragazza e lei annuì.
Stavano attraversando quello che, un tempo, doveva essere stato un bosco rigoglioso. Ora era poco più che un’accozzaglia di tronchi bruciati, cataste di cenere e braci ancora non del tutto spente.
"Uscite fuori, siamo qui per aiutarvi!", Tintinnio parlava con voce sicura.
Da dietro quei rifugi improvvisati sbucò uno sparuto gruppo di strani esseri che parevano appartenete a diverse razze; i più strani di tutti parevano esser dei canguri, ma dotati di una pelle scagliosa simile ai rettili che indossavano degli abiti semplici di pelli e stoffa leggera. Uno di essi, particolarmente grande, si avvicinò alla fata.
"E’ bello vedere che siete vivi", lo salutò la Voce.
L’essere pareva sospettoso, ma poi parlò e lo fece con voce tranquilla, sebbene un po’ sibilante, "Siamo i soli sopravvissuti delle Sette Famiglie"
"Sono Z’sta", spiegò Tintinnio ad Olimpia, "Sono un popolo nomade diviso in sette grandi famiglie, clan nomadi, erano più di tremila prima..."
"Ora siamo solo trecento", continuò l’essere, "E quando i demoni distruggeranno il cuore di Faerie spariremo anche noi"
"Siamo qui per impedirlo!", Tintinnio parlava con voce sicura e rassicurante, "Io e la mia compagna siamo in missione per raggruppare i sopravvissuti, i Cavalieri sono in lotta con il male, ma abbiamo bisogno di tutto l’aiuto possibile"
"E cosa possiamo fare noi?", chiese l’essere sulla difensiva, "Se gli eserciti di nani ed elfi sono stati spazzati via in un lampo? Se gli altri Cavalieri non sono riusciti a fermarli? Noi che possiamo fare?"
Olimpia fece un passo avanti, "Potete combattere!"
"Non servirebbe", rispose lo Z’sta, "Moriremmo e basta"
"Ed allora resterete qui ad attendere?", chiese la greca, "Come avete detto voi, quando i demoni raggiungeranno la loro meta tutto finirà...", fece una pausa, "...ed allora che differenza fa se morirete combattendo?"
"La morte fa sempre paura", la voce dell’essere era più bassa, oramai solo un mormorio.
"Ma se proprio si deve morire, non è meglio scegliere come?", chiese la ragazza con veemenza, "Preferite morire da codardi nascosti qui o combattendo per la vostra libertà e con una speranza, quella di salvare il vostro mondo e la vostra gente?"


Il Grosh era furioso e vederlo in questo stato era una cosa che nessuno degli abbietti esseri che lo seguiva avrebbe voluto. Un demone di rango inferiore gli si era avvicinato, mentre stava guidando, in testa al plotone, il suo esercito verso il centro dei reami, verso la vittoria suprema. Il demone l’aveva avvisato che la retroguardia era stata attaccata da truppe sconosciute ed annientata, ben cento demoni di rango inferiori che la componevano erano stati uccisi e nessuna traccia degli aggressori era stata trovata.
Sospirò a fondo, non che a lui servisse, ma aveva passato così tanto tempo nei corpi umani che aveva preso alcune loro abitudini, e riprese la calma.
Doveva saperlo che sarebbe successo! Nella radura dei Cavalieri, dove era stata combattuta la battaglia che credeva finale, aveva trovato solo quattro cadaveri; quindi tre Cavalieri si erano salvati ed ora erano loro ad attaccarlo. Coraggiosi e forti, visto che erano riusciti a distruggere ben cento esponenti delle sue truppe, ma sconsiderati, ora sapeva della loro presenza e poteva prendere provvedimenti.
Fece tornare al suo posto il messaggero e chiamò a raccolta i suoi ufficiali.
Non erano proprio ufficiali, erano demoni maggiori, che risaltavano contro le altre truppe come il sole contro la luna.
Alla sua sinistra parve apparire dal nulla un’ombra fumosa che si addensò fino a formare un essere di pura oscurità, non aveva una forma precisa e di lui si vedevano solo due occhi rossi ardenti. Era il demone chiamato Sillis, la morte silenziosa.
Alla sua destra il terreno esplose e da esso fuoriuscì un altro essere, questo aveva forma vagamente umana, nonostante le quattro braccia, era dotato di una spessa e nera armatura completa ed era armato con due giganteschi spadoni a due mani. Era il demone chiamato Tromen, il potente.
Infine, di fronte a sé, strisciò l’ultimo ufficiale, era una sorta di lungo ed enorme serpente, dotato di tre paia di piccole e ipertrofiche zampe da lucertola; la testa era dotata di zanne grondanti veleno e corna. Era il demone Syssas, lo stritolatore.
"Ci sono ancora tre cavalieri in vita", il Grosh li osservò uno ad uno, "Ho riservato a voi l’onore di ucciderli"
I tre non dissero nulla, semplicemente, scomparvero velocemente come erano apparsi.
Con loro era tranquillo, i cavalieri non avrebbero avuto nessuna speranza, se tutto fosse andato al meglio i cavalieri ed i suoi ufficiali si sarebbero uccisi a vicenda liberandolo di ogni problema. Infatti anche il Grosh temeva quei mostri che, però, gli erano indispensabili.




Ciao a tutti/e, capitoletto di passaggio.
Vi preannuncio che a breve inizierò a pubblicare, anche qui a capitoletti, il racconto che è arrivato secondo al concorso bandito da Eylis: "La stazione e... il drago".
Restate sintonizzati!

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


"Per le cento barbe di mia madre!", ruggì una voce alle spalle della ragazza greca, "Questa umana sa certamente come parlare!"
Un essere basso e tarchiato, dotato di una folta barba ed armato con una temibile ascia a due mani apparve dietro Tintinnio ed Olimpia avanzando tra gli Z’Sta.
"Sire non speravo di vederla vivo!", esclamò la fatina con aria felice.
"Io ed un centinaio di civili ci siamo salvati dal crollo di Cima di Roccia", spiegò il re nano, "Anche se avrei preferito morire schiacciato con il mio esercito!", bofonchiò.
"Anche noi siamo con l’umana", un elfo alto e slanciato apparve come per magia vicino a loro, "Anche i superstiti della razza elfica sono con voi"
"Non ho mai apprezzato così tanto la vista di uno di voi orecchie lunghe", bofonchiò il nano.
"Anche io sono felice che si sia salvato sire", rispose l’elfo sollevando un sopraciglio.
"Allora, anche gli Z’sta si uniranno a questa combriccola", lo strano essere metà canguro e metà lucertola fece un buffo inchino.
"A guidarci sarà l’umana però!", la voce proveniva d’in basso, da un esserino che pareva fatto di rami e foglie e che stava agitando un corto braccio verso di loro, "I silvani sono con voi!"
"Anche i centauri sono per il riscatto!", un essere metà cavallo e metà uomo giunse al galoppo nella radura.
"Bene umana, cosa facciamo ora?", chiese il re nano con veemenza.
"Attendono un discorso", mormorò la fatina all’orecchio della ragazza.
Olimpia trasse un profondo respiro, "Andiamo e prendiamo i demoni a calci nel sedere!"
Tutti gli esseri fatati proruppero in un boato di gioia.


I tre cavalieri ed il capo dei nativi americani si ricongiunsero dopo la fruttuosa incursione.
"Ottimo lavoro", disse semplicemente il re scrollandosi da dosso la polvere.
"Ora la cosa si fa dura", Due Lune pareva pensieroso, "Dobbiamo inventare una nuova strategia. Ora sanno che esistiamo e verranno a cercarci e saranno anche più attenti nella difesa"
"Ma li abbiamo rallentati, ora dobbiamo cercare degli alleati", aggiunse il re persiano.
"Ma non sono andate Tintinnio ed Olimpia a cercarli?", chiese Menion.
"Loro cercano i sopravvissuti", spiegò Alessandro III, "Noi dobbiamo cercare aiuti negli altri: giganti e draghi"
Il giovane cavaliere aveva sentito molto parlare di quelle due razze di esseri magici: i primi erano un gruppo di enormi umanoidi che si erano isolati dal resto delle razze magiche andando a vivere in una valle all’estrema periferia del regno, non erano più entrati in contatto con le altre razze da migliaia di anni di Faerie.
I draghi invece, erano sempre stati dei solitari ed amanti di luoghi nascosti, non odiavano la compagnia, ma preferivano la solitudine e di anche loro nessuno aveva più sentito parlare da molto tempo.
Comunque, avere al proprio fianco entrambe le razze, o anche solo una, sarebbero state un enorme vantaggio in quella guerra.
"Io e Due Lune continueremo la nostra opera di rallentamento dell’esercito nemico", sentenziò il re persiano, "Voi due andate a cercare questi alleati"
"Io i draghi e te i giganti?", disse il settimo cavaliere rivolto a Cyrano.
"Credo sia meglio non dividerci, perderemo più tempo, ma saremo sicuri di non incorrere in spiacevoli problemi", rispose il francese, poi si rivolse al terzo cavaliere, "Ci rincontreremo al punto di rendez-vous stabilito con la Voce"
Si strinsero rapidamente la mano e poi i due gruppi si diressero verso i loro obiettivi...




Grazie nuovamente per essere ancora qui a leggere :-)
L'inzio dello scontro tra i tre demoni ed i cavalieri (più l'enigmatico Due Lune, ricordate che lui non è un cavaliere... ;-) ) è rimandato al prossimo capitolo.

Permettetemi di farmi pubblicità. Come preannunciato nelle note dello scorso capitolo, ho iniziato a pubblicare il racconto che è arrivato secondo al concorso "La Stazione e... il Drago", intitolato Coldhold.
Se vi và, dategli un'occhiata (conto di postare un capitolo ogni mercoledì).
Alla prossima! :-)

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Alessandro III e Due Lune erano appostati, uno a destra e l’altro a sinistra di un lungo canalone di roccia; prendendo alcune gallerie scavate nella roccia erano riusciti a spostarsi davanti all’esercito invasore ed ora stavano preparando l’imboscata. La loro tattica era semplice, visto che ora i loro nemici sapevano che erano ancora vivi sarebbero stati attenti ed un ulteriore assalto alla coda della colonna sarebbe stato impossibile, ma un attacco alla sua testa era talmente folle che poteva anche funzionare.
Il re persiano era deciso, nonostante il parere negativo del capo indiano, a scendere in basso ed attaccare ed uccidere il condottiero nemico. Stava scegliendo con cura le sue armi, quando avvertì un brivido, ebbe solo il tempo di voltarsi e di vedere una sorta di nuvola nerastra addensarsi dietro di lui ed assumere forma vagamente umanoide.
Senza proferire parola avvolse nel suo manto oscuro il terzo cavaliere.
Intanto Due Lune aveva terminato di posizionare le rocce, il suo piano era quello di farle crollare in testa al nemico al suo passaggio, si sollevò tergendosi dalla fronte il sudore e vide un guizzo dall’altra parte del canalone.
Il suo compagno di avventura era a terra, avvolto in una specie di drappo nero ed oscuro, stava combattendo non c’erano dubbi e la forma del suo rivale indicava sicuramente un demone.
Con lentezza estrasse dalla faretra che teneva saldamente legata alla schiena una lunga freccia, iniziò ad intonare una sorta di nenia, mentre prendeva l’arco e lo tendeva, incoccando il dardo.
Il canto si alzò di tono e la freccia iniziò a brillare di una luce mistica.
Improvvisamente la nenia si bloccò e l’uomo lasciò partire lo strale.

"Quanto impiegheremo per raggiungere la valle dove risiedono i giganti?", Menion era impaziente mentre seguiva le orme del francese lungo un costone roccioso che serpeggiava ai piedi di un monte.
"Meno di due ore se proseguiamo senza intoppi...", rispose l’altro con aria assente.
Il terreno di fronte a loro esplose scagliandoli indietro, ora al centro del sentiero si stagliava, un colosso di ferro dotato di quattro braccia ed armato con due enormi spade, poco più a destra stava una specie di enorme serpente dotato di piccole e strambe zampette.
"Io il gigante, te il serpente", fu la semplice frase del guascone, mentre si sollevava, lasciò scivolare a terra il mantello e vi fece cadere vicino l’ampio cappello poi estrasse la spada.
Menion si preparò alla battaglia fronteggiando il rettile.

Olimpia marciava con passo sicuro in testa all’accozzaglia di creature che formava l’esercito dei sopravvissuti. Tintinnio saettava tra loro non lesinando di lasciare parole di conforto per ognuno di essi. Era un gruppo eterogeneo e riservava anche immagini buffe: i bassi e tarchiati nani, armati e coperti di armature di ferro facevano da contraltare agli alti e magri elfi, vestiti con abiti eleganti ed armati con archi e lunghe spade affusolate; i piccoli e vegetali silvani erano trasportati sulle groppe dei grandi centauri, i poco più grandi gnomi, si muovevano autonomamente molto velocemente a terra; gli Z’Sta saltellavano loro attorno intonando canti in una lingua musicale ma aspra; alcuni animali magici si erano accodati alla colonna.
La giovane greca camminava spavalda di fronte a loro, anche se, in cuor suo fremeva.
Temeva per la morte di quelle creature che, contro la loro volontà, aveva convinto a marciare contro un esercito che era stato capace di distruggere ogni tipo di nemico che gli si era parato davanti.
Temeva la morte della piccola fata che le era diventata tanto cara e che le appariva come il simbolo di tutto quello che quella terra doveva essere stata in tempi felici.
Temeva per la sorte di Menion, non avrebbe tollerato di perderlo, proprio ora che lo aveva ritrovato.
Quando il cavaliere l’aveva lasciata per tornare nel suo mondo lei si era sentita come svuotata, una parte di se stessa le era stato strappato per sempre. Aveva continuato la sua vita con le amazzoni e poi aveva viaggiato autonomamente perché non si accontentava di conoscere solo quella parte limitata di mondo; aveva conosciuto altri uomini e, per alcuni, aveva provato dell’affetto e da altri era stata attratta, ma si era resa conto che non si sarebbe mai legata a nessuno, perché, ogni volta che pensava ad un uomo, l’immagine del cavaliere le appariva nitida davanti a sé.
Chissà perché si era sentita legata a lui in quella maniera.
Si erano frequentati per poco tempo dopotutto e durante quel periodo il ragazzo era stato impegnato a salvare la vita della loro compagna Aura.
Eppure qualcosa di lui l’aveva colpita e catturata.
Forse era stata la sua sincerità: certo il ragazzo non le aveva spiegato tutto di lui, non poteva, ma era stato completamente sincero su molte cose o forse era stata la sua vulnerabilità; lei era abituata a uomini che facevano di tutto per apparire potenti ed immortali, dal più grande re al più piccolo contadino, ed invece lui le era apparso vulnerabile e spaurito, senza paura di mostrarlo.
Forse era stato il fatto che l’avesse trattata da pari fin da subito, in un mondo che vedeva le donne solo come oggetti e come belle statuine, lui le aveva fatto sentire cosa significava essere accettati, anzi essere considerati superiori!
O forse, semplicemente, perché lui era stato il primo che lei avesse davvero baciato, non baci da ragazzina, come quelli scambiati nel fienile da adolescente, ma un vero bacio, donato con amore ad una persona speciale.
Ripensando a quelle cose sentì nascere in sé una determinazione unica.
Non avrebbe deluso Menion e l’avrebbe riabbracciato presto.
Continuò a guidare la marcia con passo ancora più sicuro.




Ed ecco che i demoni si sono "divisi" i cavalieri mentre Olimpia, prende coscienza del suo ruolo di "leader" dei sopravvissuti.
Ancora millemila ringraziamenti per essere ancora qui a leggere, grazie!

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Syssas si avventò contro Menion che fu completamente sorpreso dalla velocità dell’attacco, riuscì, a stento ad arretrare e le zanne grondanti veleno scattarono a pochi centimetri dal suo corpo.
L’enorme ofide si spostava come scivolando nell’aria, non aveva la necessità di appoggiare la sua grande mole a terra, pareva galleggiare a pochi centimetri dal suolo. La sua forma era simile a quella di una vipera, corpo un po’ tozzo, testa triangolare e coda sottile, le scaglie erano color terra, inframmezzate da alcune di colore più nero della pece, lungo la parte superiore del corpo correva una fitta serie di protuberanze simili ad una bassa cresta ossea color ruggine, gli occhi erano gialli, con il tipico taglio verticale dei serpenti. La lingua saettava fuori delle mascelle ad intervalli più o meno regolari e, dal modo in cui si muoveva in alto ed in basso, pareva farsi beffe del cavaliere. Le imponenti mascelle erano leggermente aperte e mostravano una serie di piccoli denti seghettati e due coppie di abnormi canini grondanti un liquido verde sfrigolante.
Il settimo cavaliere si rese subito conto che il semplice tocco di una goccia di quel veleno gli poteva essere fatale, ma forse, per ucciderlo, sarebbe bastato un morso di quelle mascelle che parevano in grado di frantumare anche il metallo.
Bilanciò il peso sulle gambe preparandosi, anche se era il più giovane, era un cavaliere esperto ormai, aveva affrontato decine di missioni per conto di Faerie.
Improvvisamente si mosse per colpire il mostro, allungandosi per sferrare un affondo di punta, sentì immediatamente la magia della sua lama accorrere in suo aiuto, rendendolo superiore a qualsiasi mortale, anzi, per la prima volta, la magia rispose in maniera forte fin da subito senza attesa, come se anch’essa sapesse che l’avversario che stavano affrontando era il più forte di sempre. La punta della sua spada sibilò verso il bersaglio con precisione chirurgica; nessun essere umano avrebbe potuto schivare quell’affondo.
Ma il suo nemico non era umano.
Un istante prima di essere colpito si mosse, si mosse ad una velocità inconcepibile; anche se potenziato e velocizzato dalla magia, Menion non vide la schivata e non capì di aver mancato il bersaglio finché la sua lama non incontrò alcuna resistenza.
Ricompose la sua difesa sbalordito: quella specie di enorme serpente era dannatamente rapido!
Durante tutte le sue missioni Menion aveva affrontato diversi Avversari: alcuni erano uomini grandi e grossi, tremendamente forti ma lenti, altri, il contrario, agili e scattanti ma poco potenti, altri ancora erano uomini dotati di entrambe le caratteristiche. Lui aveva imparato a bilanciare il suo modo di fare a seconda del suo nemico. Ma in questa circostanza non sapeva come comportarsi.
Quel mostro non era neppure lontanamente mortale, era un essere proveniente da qualche incubo, dotato di una potenza ed una velocità incredibili.
Il demone approfittò del suo tentennamento e si spostò.
Senza che il cavaliere potesse rendersene conto gli era arrivato da un lato e stava scattando per morderlo mille volte più veloce della vipera più rapida; il giovane, colto alla sprovvista, non riuscì ad opporre resistenza anche se, istintivamente, il giovane sollevò il braccio sinistro per farsi da scudo. Una mossa stupida, visto che, probabilmente, la tenue armatura di cuoio che indossava non sarebbe servita a fermare quelle fauci.
Le mascelle dell’essere infernale scattarono e venero respinte indietro da un lampo di luce, come se avessero impattato in uno schermo invisibile. Menion si rese conto che il bracciale che gli aveva donato Alessandro III stava emettendo, da una specie di gemma incastonata al suo centro, una sorta di scudo, formato di luce.
Il demone tentò altri due affondi, ma adesso il cavaliere era conscio di quella sua difesa e bloccò gli attacchi lasciando lo scudo di luce tra le mascelle del suo avversario ed il suo corpo.
Syssas sbatté il muso contro quella specie di schermo impenetrabile e si rese conto che non poteva superarlo con la semplice forza bruta, così arretrò.
Il ragazzo aveva appena finito di riprendere fiato, quando il demone scivolò a velocità inimmaginabile alla sua destra tentando un altro affondo.
Da quel lato non c’era lo scudo di luce a bloccarlo ma il cavaliere, senza neppure sapere lui come, riuscì a voltarsi ed a colpire il mostro con la spada magica, ma la lama, nonostante fosse grondante di energia arcana e nonostante lui ci avesse impresso tutta la forza del braccio, rimbalzò contro le spesse scaglie del muso del serpente non procurandogli alcun danno.
Syssas sibilò come di trionfo e si spostò nuovamente indietro.
Adesso che aveva saggiato le difese e le armi del suo avversario poteva ucciderlo quando voleva, ma non desiderava che il divertimento terminasse troppo presto; da troppo tempo non assaporava il terrore e la paura di una vittima ed un cavaliere di Faerie era la più ambita delle prede. No, non avrebbe fatto le cose in fretta, perdendo il gusto di quel momento.
Così iniziò a fintare alcuni attacchi, beandosi dei patetici tentativi del Settimo Cavaliere di difendersi; più volte ebbe l’occasione di affondare le zanne in una zona del suo corpo non protetta, ma non lo fece. Il suo veleno era mortale anche in piccolissime dosi ed aveva effetto immediato, meglio bearsi di quei momenti ancora un po’.
Menion comprese che il suo avversario stava solo giocando come il gatto con il topo con lui.
La disperazione lo sopraffece; guardò attorno a sé e vide, più lontano, Cyrano affrontare il colosso dotato di quattro braccia, il guascone parava e schivava i suoi colpi, ma sembrava proprio al limite. Il giovane capì che, per ora, non poteva aspettarsi nessun aiuto dal compagno.




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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


Due Lune lasciò partire il dardo, che oramai risplendeva di luce.
Lo strale percorse la distanza tra lui ed il terzo cavaliere in un lampo, colpì quella sorta di drappo nero e lo strappò dal re persiano.
Il demone sibilò di odio sollevandosi in tutta la sua grandezza, non pareva essere stato ferito gravemente dal colpo, ma ora si era reso conto di non dover avere a che fare solo con un nemico ma con due.
Il nativo americano, nel frattempo, aveva incoccato un’altra freccia ed era pronto a lanciarla, avrebbe preferito fare fuoco con il winchester, ma non voleva attirare l’attenzione dell’esercito nemico che non doveva essere troppo distante.
Nel frattempo, Alessandro III, aveva spiccato un salto ed era atterrato dal lato del canalone dove si trovava anche lui.
"Da solo non posso batterlo", gli aveva detto afferrando saldamente una lancia, "In due, forse, abbiamo una possibilità"
Il demone planò verso di loro deciso a porre fine a quella battaglia il più velocemente possibile.


Menion si stava stancando, nonostante stesse applicando ogni oncia delle sue energie per tenere testa a quella specie di grosso serpente, era agghiacciato dalla certezza che, se davvero l’avesse voluto, quel mostro avrebbe già potuto ucciderlo diverse volte.
Sentì la paura attanagliarlo sempre di più.
La determinazione lo stava abbandonando lasciando il posto alla disperazione.
Forse sarebbe stato meglio non opporre più resistenza e farsi uccidere, almeno non avrebbe più dato soddisfazione a quel mostro, tanto che possibilità aveva? Nessuna. Si, forse era meglio lasciarsi uccidere e smettere di resistere.
Poi il suo pensiero andò ad Olimpia, se lui fosse morto quel demone sarebbe andato da lei, non poteva permetterlo!
Guardò la sua spada e comprese ciò che doveva fare.
Ricordò la sua prima missione, quando aveva affrontato l’Avversario aveva capito di essere partito troppo presto, aveva capito di essere del tutto impreparato; nonostante la settimana di allenamento con le Amazzoni e nonostante la magia della sua spada non poteva batterlo, così aveva usato un tranello per ingannarlo.
Forse...
"Basta!", urlò rivolto al mostro, sperando che potesse comprenderlo, "Hai dimostrato di essermi superiore, non ha senso combatterti, vieni e falla finita in fretta!"
Piantò la sua lama a terra di fronte a sé e poi si inginocchiò abbassando il capo verso il basso.
Syssas sibilò di trionfo e strisciò, lentamente verso di lui.
Il suo avversario si era arreso!
Non poteva chiedere di meglio!
Mentre gli si avvicinava, pregustando il momento in cui avrebbe affondato le zanne nella sua carne, lo vide tremare, sicuramente di paura, il braccio con lo scudo ricadeva in basso senza forza, l’altro, disarmato lo teneva sullo stomaco, solo leggermente nascosto dal mantello nero.
Ora si trovava a meno di un metro dal suo nemico.
Era estasiato da quella situazione, non avrebbe mai pensato che si sarebbe potuta materializzare una vittoria così netta, era una sensazione fantastica!
Syssas si bloccò stupito.
Il cavaliere stava tremando ma non di paura, ma perché scosso da una risata.
"Non credevo che voi demoni foste così stupidi", il cavaliere sollevò il capo fissando negli occhi il serpente; il demone notò che la mano destra non era più nascosta dal mantello ed impugnava una specie di pistola grigia.
Menion premette il grilletto ed un raggio di luce arancione colpì il demone, troppo vicino per schivare.
Per un istante non successe nulla, poi Syssas sibilò di dolore, mentre veniva letteralmente vaporizzato dal raggio.
Un istante dopo il Settimo Cavaliere era di nuovo in piedi, brandendo l’arma ad energia.
Si voltò verso Cyrano e lo vide in grande difficoltà, alle prese con l’enorme demone quadrumane; prese la mira e fece nuovamente fuoco. Ancora una volta un raggio di energia arancione sfrigolò nell’aria e colpì l’altro demone, vaporizzando anch’esso.
Cyrano lo guardò esterrefatto e con curiosità, poi gli si avvicinò con passo tranquillo e quando gli fu vicino osservò con attenzione l’arma che l’altro stava brandendo che aveva un led rosso che lampeggiava velocemente, come ad indicare che fosse scarica.
"Sembra una sorta di moschetto, ma più piccolo", mormorò rivolto al compagno, "E sicuramente non spara proiettili di piombo"
"Deve essere una specie di pistola ad energia, o qualcosa del genere", rispose Menion tranquillo.
Il guascone sollevò un sopraciglio, "Dove l’hai presa?", ora la sua voce era inquisitoria.
"Nell’armeria", fece una pausa, incerto se dire di più, poi si scrollò le spalle e proseguì, "Beh, era dietro una delle porte che non dovevamo aprire..."
Cyrano rimase in silenzio a guardarlo con le mani sui fianchi e con negli occhi un’espressione dura.
"So che ci sono delle regole, ma avevamo a disposizione delle armi più potenti e non potevamo usarle, era palesemente una regola stupida, e sarebbe stato stupido seguirla!", non sapeva come avrebbe reagito il suo compagno.
"Nelle vesti di Cavaliere di Faerie ti devo ammonire, dicendoti che hai agito male!", la sua voce era imperiosa, "Ma, da semplice uomo innamorato della vita, sono molto felice che tu l’abbia fatto!", gli batté una mano sulla spalla, "Ed adesso andiamo dai giganti, abbiamo un lavoro da fare!"



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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


Il demone definito, la morte silenziosa, piombò su di loro tenendo fede al suo nome: non un suono, non un rumore, solo una sorta di oscurità che li avvolse come un sudario di morte.
I due tentarono di difendersi, lanciando frecce e colpendo con la lancia, ma pareva di combattere contro del fumo e come il fumo, l’essere avvolti da Sillis era come soffocare. L’atmosfera si fece silenziosa, ovattata; l’aria pesante e pestilenziale, gli stessi pensieri si fecero duri e tristi.
Alessandro vide se stesso a capo del suo esercito avanzare per conquistare tutto il mondo conosciuto, quello era quel che aveva sempre voluto. Lui desiderava esplorare il mondo, averlo a sua disposizione, per poterlo percorrere e scoprire ogni volta che avesse voluto. Ma questo suo desiderio aveva portato dolore, spesso non per lui, ma per le persone che lo circondavano, per le persone che lo seguivano e che credevano in lui; aveva visto morire amici, compagni o anche semplici conoscenti ed in quel momento li stava rivivendo tutti. Tornò a vivere la morte di ogni singolo suo compagno, ogni singolo suo soldato e poi di ogni singolo avversario che lui o il suo esercito aveva schiacciato. Vide che, dopo la sua morte, niente di quello che aveva chiesto fosse fatto era stato compiuto; si, il suo nome era rimasto nella storia, ma non aveva portato a nulla di quello che lui realmente voleva.
Due Lune invece vide la sua gente, la gente che aveva giurato di proteggere, di difendere, la vide privata delle proprie abitazioni, privata della propria terra, delle proprie tradizioni e della propria dignità. La vide rinchiusa in zone secche ed inospitali, prive di qualunque possibilità di vita, impossibilitate a seguire le proprie tradizioni ad essere ancora un popolo, vide il suo fallimento e sentì il peso di tutta la sua colpa sulle sue spalle. Vide donne e bambini morire per fame, violenza o malattie, vide i suoi giovani guerrieri cadere per mano dell’uomo bianco e per colpa dell’alcool.
Così funzionava il potere di Sillis, far emergere le peggiori paure, e far provare i peggiori rimorsi alle persone che inglobava all’interno della sua cappa scura; nessun essere vivente era mai riuscito a liberarsi da quei foschi pensieri una volta finito all’interno del suo manto di morte.
Il re macedone ed il nativo americano sentirono le loro certezze vacillare e la loro vita abbandonarli.


Menion e Cyrano stavano procedendo a velocità sostenuta lungo il sentiero che portava alla vallata dei giganti, non si erano più scambiati una parola dopo lo scontro contro i demoni ed il guascone sembrava parecchio pensieroso.
"Qualcosa non và?", la curiosità del giovane ebbe il sopravvento.
Il sesto cavaliere scosse il capo, "E’ solo un pensiero che mi è venuto in mente", continuò senza rallentare il passo, "Attaccare solo noi non ha senso, probabilmente anche i nostri compagni sono stati attaccati da dei demoni simili a quelli che hai eliminato"
"Sono certo che Alessandro e Due Lune se la stanno cavando egregiamente", stava iniziando a stancarsi per la corsa, ma non avrebbe mai ammesso la cosa al compagno e quindi cercò di evitare di ansimare troppo, mentre parlava.
L’altro non continuò il discorso, ma fece una sorta di smorfia.
"Credi che incontreremo presto questi giganti?", chiese ancora Menion.
Cyrano si fermò indicando un punto di fronte a loro.
In mezzo al sentiero sostava, in piedi, un essere umano alto più di cinque metri armato fino ai denti.
Il guascone sorrise ironico al compagno, "Questo risponde alla tua domanda?"



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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


Furono condotti lungo un sentiero polveroso, senza che la loro guida, o il loro catturatore a seconda del punto di vista, parlasse. Menion faticò parecchio per non restare a bocca aperta nell’istante in cui aveva visto per la prima volta quell’essere. Certo, in tutti gli anni che aveva prestato servizio per Faerie aveva visto parecchi esseri strani, a partire dagli Avversari che affrontava ad ogni missione fino ad arrivare agli animali parlanti, dagli elfi ai nani, dagli unicorni ai centauri, ma non si era mai ritrovato di fronte ad un essere così imponente e così simile a lui.
Cercò di trovare delle differenze tra il gigante ed un normale essere umano ma non vi riuscì. Allora per quale motivo erano così grandi? Che nicchia biologica ospitavano? Scrollò il capo sorridendo di quel pensiero, cercava un motivo logico e naturale per qualcosa che palesemente non lo era. Sarebbe stato come chiedersi per quale motivo le fate erano di quella forma o perché gli unicorni avessero quel corno sulla fronte.
Il sentiero, nel frattempo, li aveva condotti all’interno di una caverna, illuminata da gigantesche torce appese alle pareti. Il terreno ora era lastricato e più volte i due cavalieri notarono altri giganti intenti a fare la guarda ai corridoi secondari.
Il corridoio proseguì nelle viscere della montagna per parecchie centinaia di metri ed alla fine sbucò in un’enorme sala adornata da gigantesche colonne intarsiate ed illuminata da innumerevoli torce e candele. La sala era gremita da almeno una ventina di giganti, la maggior parte in armatura ma alcuni anche in abiti più leggeri, tutti comunque portavano almeno un’arma alla cintura.
Al centro della sala, seduto su di un grande trono dorato, stava uno di loro, abbigliato con vestiti molto eleganti ed adornato da una coroncina sul capo. Al suo fianco il più imponente gigante che avessero mai visto, dotato di un’armatura completa ed armato con una gigantesca ascia bipenne.
Il loro accompagnatore si fermò ed indicò ai due cavalieri di farsi avanti.


Per la prima volta nella sua vita, Alessandro III, re di macedonia, capì che sarebbe stato sconfitto, non poteva fare nulla per evitarlo ed incredibilmente, la cosa non gli dispiacque. Questo perché, un’altra cosa che aveva sempre cercato era stata un avversario degno, capace di batterlo ed a quanto pare alla fine l’aveva trovato. Quindi perché continuare a battersi? Perché sprecare energie e forze?
Nello stesso momento in cui si poneva queste domande, così come era venuta, tutta la malinconia, l’accidia, la disperazione e la debolezza scomparvero, il re sentì di poter e soprattutto di voler, tornare a combattere.
Si guardò intorno e vide Due Lune, imponente come non mai, in piedi, con le mani saldamente strette attorno a quello che pareva un drappo nero che si muoveva in continuazione, come un serpente. La "cosa nera" si dibatteva, dilaniava e mordeva, senza emettere alcun suono, mentre il nativo americano, apparentemente insensibile ai tagli ed alle ferite continuava a stringere le sue mani sempre di più.
Alla fine, con un ultimo spasmo, il demone si immobilizzò e poi si afflosciò e mentre il capo indiano lo lasciava cadere a terra si dissolse nel nulla.
Il terzo cavaliere si sollevò in piedi guardando con ammirazione il suo compagno di avventura, "Come?", chiese semplicemente.
L’altro sposto lo sguardo verso il re, "La sconfitta", disse semplicemente, mentre si fasciava le mani e gli avambracci feriti con un pezzo di stoffa pulita, "A tua differenza ho gia patito tutta la disperazione di una completa disfatta. Quel mostro non poteva farmi sentire peggio di quando ho visto la mia gente morire per le mie colpe"
Alessandro III annuì ed appoggiò una mano sulla spalla del compagno, "Ti devo la vita"
Prima che l’altro potesse rispondere si accorsero di un rumore rombante proveniente dal fondo del canalone che sovrastavano. Apparentemente avevano speso molto tempo a combattere e l’esercito dei demoni stava già transitando sotto di loro.
Il terzo cavaliere strinse i pugni, "Forse faccio ancora in tempo ad affrontare il loro generale ed ucciderlo"
"E’ un’idea stupida, finiresti solo per farti uccidere", la voce di Due Lune era calma, mentre si spostava verso la fila di massi che aveva accatastato vicino al bordo del canalone, "Ed anche se uccidessi il loro generale non fermeresti quell’esercito"
"Se si schiaccia la testa ad un serpente, questi muore", aveva afferrato la sua lancia con decisione.
"Ma questo non è un serpente", indicò verso il basso la lunga massa di esseri oscuri che stava transitando, "E’ come un verme e se schiacci un’estremità questi continua a vivere"
Si guardarono negli occhi per un lungo attimo, poi il re annuì.
"Oramai è tardi per bloccare il loro esercito, ma possiamo ancora far crollare queste rocce sul loro centro. In questo modo bloccheremo per un bel po’ di tempo la loro avanzata, così daremo il tempo agli altri di terminare i loro compiti", si spostarono verso le leve che avevano posizionato e le spinsero.
Mentre i massi rombarono verso il basso a schiacciare parte dell’esercito i due si erano già allontanati.




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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


"Da quello che so, il re dei giganti è un tipo strambo", mormorò Cyrano, "Pare che ami il bel parlare e, visto che non ha mai trovato nessuno alla sua altezza, passami l’espressione, ha portato la sua gente all’isolazionismo", scosse le spalle, "Sarà difficile conquistare la sua fiducia"
"E’ il motivo più stupido che abbia mai sentito", pensò Menion, "Ma questi sono esseri del tutto diversi da noi, forse il loro modo di pensare è radicalmente diverso", ostentò ottimismo, "Beh tu sei il re del bel parlare quindi non avremo problemi", ipotizzò.
"Proverò, ma non sono tanto sicuro di poter...", rispose il poeta.
"Cosa state bofonchiando nanetti!", ruggì la guardia posta al fianco del re dei giganti.
A Cyrano balenò un’idea pazzesca ; sorrise, sì era abbastanza pazzesca da riuscire. "Vediamo se ho imparato bene la piece teatrale che porta il mio nome...", sussurrò al suo compagno spostandosi di fronte al gigante.
"Non sono io basso, siete voi altri,
ad essere decisamente un po’ troppo alti!", esordì con voce sicura.
Il re dei giganti stava per parlare, ma il guascone continuò anticipandolo.
"E poi... Sono molto orgoglioso di questa mia struttura,
se è vero come è vero che essa è la misura,
d’un uomo affabile, buono, cortese, liberale,
coraggioso e di spirito, come io sono e quale
voi non arrivereste a credere che esista.
Oh stupido marrano! Perché la faccia trista,
che io vedo su questo vostro busto
è così nuda, di slancio, di buon gusto,
di lirismo, grinta, genio, pittoricità!
Di altezza insomma, come la rotondità,
che portate sul fondo dei vostri calzoni!"
Si spostò al centro della sala voltandosi e guardando ad uno ad uno tutti i presenti e poggiando una mano sulla spada.
"Attenti a quei burloni che troveran ridicola la mia altezza!
E se il mattacchione è armato, avrà la certezza
che io uso piazzargli, come intralcio fatale,
davanti ed in su del ferro e non dello stivale!", si batté la mano sull’elsa della spada ed osservò le reazioni dei presenti.
Il re dei giganti pareva divertito, ma mormorò alla guardia che gli stava vicino, "Digli qualcosa sulla sua bassezza..."
La guardia del corpo parve sorpresa, ma annuì, fece due passi avanti, facendo tremare il terreno con il suo peso, mettendosi proprio di fronte a Cyrano, lo osservò e poi urlò, "Voi siete basso... tanto!"
"Tutto qui?", chiese Cyrano per nulla intimorito.
"Si", rispose il gigante soddisfatto.
"Ok o la và o la spacca", pensò il sesto cavaliere, "Mia Musa aiutami, ne ho proprio bisogno!", prese fiato ed iniziò: "Ah no! Non è molto, messere,
ve n'erano, oh Dio, ve n'erano a volere.
Variando il tono dire... Per esempio, sentite:
Aggressivo – se fossi come voi così piccolo,
me ne starei rintanato in un angolo.
Amichevole – un bicchiere per voi è un secchio cotale,
quando volete bere, munitevi di un ditale.
Descrittivo – un bonsai, un insetto, ben poco da vedere c’è,
che dico un insetto, è una pulce altroché.
Curioso – Vi riusciranno a distinguere dall’alto gli uccelli?
Ammirativo – Per voi una torre, parà un portaombrelli!
Naif – Siete un putto che adornava una fontana?
Catastrofico – Se capita una giornata di tramontana,
attento a non volare, portato via dal vento.
Sorpreso – Essere così piccoli è un vero portento!
Saggio – Solo un essere chiamato "lillipuziano"
può esser basso come questo uomo anziano!
Rispettoso – Soffrite vi si ossequi, messere:
questo si che vuol dire, ben poco al sole avere!
Arrogante – Ohi, compare, siete un puntello?
Vi potete nascondere tranquillamente sotto un cappello!
Infine dire – Siete così piccolo che mi vien da pensare,
che su di voi una formica potrebbe inciampare!
Ecco che cosa più o meno avrei sentito
se di lettere e spirito foste stato munito.
Ma di spirito voi, bel saccone di pelle,
mai non ne aveste un sol alito, e di lettere quelle
con cui si scrive la parola: "cretino""
Il gigante fece per muoversi, ma Cyrano continuò, "Se aveste per ipotesi l’ingegno così fino,
di aggredirmi in pubblico, in piena galleria,
servendomi di simile amara allegoria,
non avreste proferito l’inizio
della metà di un suono. Perchè io mi delizio
di dirmeli da me, facendone anche incetta,
ma non permetto mai, che un altro, si permetta!"
Il gigante aveva afferrato la sua pesante ascia e stava per sollevarla pronto a colpire.
"Fermo!", lo bloccò l’ordine del re, "Questi tipetti mi piacciono, hanno carattere e sanno parlare!"
Menion si era portato a fianco del compagno, "Bel lavoro, hai aggiustato i versi alla grande!", gli sussurrò.
"Bene ora che abbiamo la sua attenzione...", disse a voce alta Cyrano, "...parliamo di guerra!"



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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


L’eterogeneo gruppo guidato da Olimpia aveva deciso all’unanimità di proseguire la marcia verso la loro meta, il centro di Faerie e la Torre Bianca.
Adesso aveva assunto un aspetto più professionale, i soldati delle varie razze, facevano da scudo attorno al gruppo di civili e governanti. Al centro del gruppo si trovavano Olimpia, Flick Greenstone, il re nano, Nordingar Accese, re elfo, ed i delegati dei governi di centauri, Z’Sta, gnomi, silvani e di altre razze di cui la giovane greca stentava a ricordare i nomi. Tintinnio era in costante movimento tra i civili, soprattutto i più giovani, per cercare di tranquillizzarli, rincuorarli e consolarli.
"Bene nostra condottiera", la voce del re nano era bassa e profonda, "Come pensate di agire?"
L’amazzone si morse il labbro inferiore incerta, non si sentiva ancora sicura nel ruolo di supremo condottiero, "Beh, credo che dovremo lasciare i civili in un posto sicuro e..."
"Cosa?", sbottò il delegato dei centauri dall’alto dei suoi due metri, "Tutti coloro che possono impugnare un’arma verranno con noi!"
Flick Greenstone annuì vigorosamente facendo oscillare la barba nera e pure annuirono il delegato degli Z’Sta e quello degli gnomi.
"Ma non possiamo rischiare di...", la voce di Olimpia fu sovrastata da quella degli altri.
"Abbiamo meno di cinquecento soldati in totale, non potremo difendere la Torre Bianca in così pochi!", ruggì il re nano, "Dobbiamo armare tutti!"
La giovane greca si sentì come sottoposta ad un fuoco incrociato e la cosa che la sconcertava era il fatto che, nonostante a darle quei consigli fossero comandanti con anni di esperienza, non riusciva a fare suoi quei pensieri. Cercò con lo sguardo Tintinnio, era certa che lei l’avrebbe appoggiata, ma non la vide nelle vicinanze e si sentì tremendamente sola.
"Secondo me dovremo proteggere i civili con...", la sua voce fu nuovamente sovrastata da quella degli altri che, certi di essere nel giusto, stavano già organizzando le cose.
"E fate silenzio!", improvvisamente una voce gorgogliante riuscì a far zittire tutto il vociare.
Al centro dello schieramento avanzò un grande tritone che fece rimanere a bocca aperta per lo stupore Olimpia. Era alto più di due metri ed aveva sembianze umane, ma la sua pelle era di un color verde acqua, i capelli parevano composti da alghe scure, le mani ed i piedi erano palmati, il volto era schiacciato e dotato di un piccolo naso ma anche di due grandi branchie ai lati del collo, indossava abiti che sembrano fatti anch’essi di alghe. Avanzò in mezzo a loro tenendo in braccio, con incredibile facilità, un enorme contenitore trasparente, al cui interno si potevano notare due grandi carpe, una delle quali aveva il capo al di fuori del liquido.
"Bene ora che ho attirato la vostra attenzione...", continuò il pesce, ma fu interrotto.
"E lei chi crede di essere!", ruggì il re nano.
"Sono Flush, anzi, re Flush, signore del popolo dell’acqua!", ogni protesta si zittì.
Olimpia che era rimasta a bocca aperta a quella apparizione e stava fissando il tritone ed il pesce parlante ancora paralizzata dalla sorpresa, sentì qualcosa che le scostava i capelli, all’altezza dell’orecchio destro.
"Ho visto che eri in difficoltà", mormorò la voce della fatina, "Ed ho pensato di portarti rinforzi", la giovane sorrise calorosamente, "Il signor Flush è un amico di Menion, quando gli ho detto che tu eri la giovane di cui lui parlava sempre, si è fatto in quattro per essere portato qui"
"Allora sentite!", continuava la carpa con voce burbera e facendo oscillare i barbigli a destra e sinistra, "Avete tutti accettato di unirvi alla compagnia ed avete tutti accettato di farvi guidare dalla qui presente Olimpia ed ora non state ad ascoltare le sue parole?"
"Ma noi siamo molto più esperti di questa giovane negli scontri e...", la protesta del re elfo fu stroncata dalla carpa.
"Siete così esperti che avete affrontato i nostri nemici da soli, con il solo risultato di farvi sconfiggere!", Olimpia sgranò gli occhi, certo che quell’essere sapeva come andare dritto al punto, "Ora ascoltiamo cosa propone lei"
Tutti gli sguardi si focalizzarono sulla giovane che rimase immobile.
"Faerie ad Olimpia! Ci sei ancora?", le sussurrò nell’orecchio la fatina.
Lei parve risvegliarsi dall’imbarazzo e si schiarì la voce, "Lasceremo i civili in un posto sicuro", vide che diversi re stavano per aprire bocca e protestare, "Tutti coloro che vorranno venire saranno liberi di farlo, ma i più giovani ed i più anziani resteranno al sicuro", fece una lunga pausa cercando di apparire più sicura di quello che in realtà fosse, "I più giovani rappresentano il nostro futuro, i più anziani sono i custodi della nostra conoscenza, non possiamo rischiare che siano uccisi"
"Ma se noi falliremo Faerie cadrà ed anche loro moriranno!", sembrava che il re nano non riuscisse a non controbattere.
"Allora li manderemo sulla Terra", intervenne Flush, "Ad Atlantide saranno al sicuro. D’altronde sono millenni che noi la abitiamo e nessuno l’ha mai disturbata o neppure notata e poi la magia che la protegge è la più potente in assoluto, dovrebbe proteggerla anche dalla distruzione della realtà... in teoria..."

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


Alessandro III e Due Lune proseguirono a tappe forzate verso il luogo del loro incontro, il centro di Faerie. A causa del loro scontro con il demone, avevano perso molto tempo prezioso e, soprattutto, erano rimasti dal lato sbagliato del canalone il che li aveva costretti ad un largo giro che li aveva ulteriormente rallentati.
Scambiarono poche parole e si concessero solo brevi soste per riposare e sfamarsi.
Confidavano nel fatto che i loro compagni avessero portato a compimento i loro compiti, ma stavano anche iniziando a pensare ad un piano nel caso non ci fossero riusciti.
In entrambi i casi li aspettava una delle battaglie più dure cui avessero mai partecipato.
Nonostante i loro interventi, l’esercito nemico contava ancora di moltissime unità, alcune delle quali molto temibili, mentre loro al peggio potevano contare solo sulle loro forze.
Continuarono a muoversi senza parlare, per non perdere tempo. Lo scontro con il demone li aveva provati, ma non era questo che li rendeva così silenziosi. Il pensiero di deludere i loro compagni si era fatto strada nelle loro menti, cosa molto strana visto che nessuno dei due aveva mai avuto ripensamenti nella propria esistenza.
Quando sbucarono fuori dalla galleria che avevano percorso si resero conto che, nonostante tutti i loro sforzi, precedevano l’esercito nemico solo di poco più di una mezz’ora. Potevano sentire chiaramente il rombo dei passi provenire dallo stretto canalone che stavano attraversando. Entro non molto sarebbero anche stati in vista.
Una volta sbucati all’esterno erano praticamente giunti alla meta, visto che la Torre Bianca distava oramai pochi chilometri e si stagliava in lontananza in mezzo alla prateria.
Sentirono una voce chiamarli e videro che, da un sentiero proveniente da dietro una collina, stava giungendo uno sparuto gruppo di esseri, guidati da Olimpia e Tintinnio. In meno di cinque minuti li avevano raggiunti.
"Abbiamo rallentato l’esercito, ma sta per giungere qui", spiegò con la sua solita voce estremamente calma il capo indiano.
"Maledizione", imprecò Olimpia, "Forse riusciremo a raggiungere la Torre Bianca prima di loro, ma non avremo il tempo di preparare nessuna difesa!"
Ci fu un lungo momento di silenzio, scandito dal rumore dei passi dell’esercito nemico in marcia verso di loro.
"Vi fornirò io il tempo", Alessandro III era accucciato a terra, e stava allineando le sue lance controllando che fossero in perfetta efficienza.
"Che cosa vuoi fare?", chiese la fatina per nulla felice di quella affermazione.
"Resterò qui e fermerò l’esercito nemico per il tempo necessario", fece suonare la cosa come se fosse stato il compito più semplice del mondo.
Tutti sapevano che era un suicidio e soprattutto che poteva essere qualcosa di inutile. L’esercito nemico avrebbe potuto semplicemente ingaggiare con un drappello il Terzo Cavaliere, mentre il grosso delle truppe lo superava.
Come se avesse letto queste domande nella loro mente il re parlò, "Li affronterò all’interno del canalone", si alzò in piedi, ora le lance erano saldamente legate dietro la sua schiena, "Nel tratto finale il percorso si restringe fino a riuscire a far passare meno di tre persone allineate", indicò il punto tra le due pareti di rocce, "Io mi metterò lì ed impedirò a chiunque di passare", senza aggiungere altro avanzò verso l’imbocco del passaggio.
"E’ un onore aver conosciuto una persona così coraggiosa", mormorò il re nano che si era avvicinato.
Restarono un lungo istante a guardarsi, poi la giovane greca prese la parola, "Muoviamoci, facciamo in modo che il suo sacrificio serva a qualcosa! Presto, alla Torre Bianca!"

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***


"Si, abbiamo fatto un bel lavoro", anche il guascone si era appoggiato al parapetto mettendosi al suo fianco, "Ma per il resto del compito dovrai agire da solo"
Il ragazzo si era voltato verso il suo compagno di avventura con aria interrogativa.
"I giganti non hanno mai lasciato questa valle ed è necessario che i rinforzi arrivino al più presto...", sospirò, "Ed il re ha più volte rimarcato il fatto che se "colui che li ha convinti", non sarà al suo fianco, non muoverà un dito"
La cosa era logica, ma il doversi separare dal compagno di avventura l’aveva colto di sorpresa, alla fine si scrollò le spalle, "Va bene, basta che mi indichi dove si trovano i draghi e ci penserò io"
Cyrano l’aveva osservato a lungo, "Stai attento, i draghi sono esseri anche più incomprensibili dei giganti e non esiteranno ad ucciderti se li irriterai"
Il ragazzo rimase in silenzio a soppesare le parole dell’amico, "Saprò cavarmela", disse infine.
L’altro gli aveva battuto una mano sulla spalla e poi era tornato all’interno della costruzione.
Ora il settimo cavaliere avanzava a buona velocità verso la sua meta, non aveva idea di cosa avrebbe detto quando si sarebbe trovato di fronte i draghi. Non aveva neppure idea di che forma avessero, anche se un’idea generale ce l’aveva.
Per sua fortuna il territorio che occupavano era relativamente vicino a quello occupato dai giganti. Anzi, addirittura esisteva una caverna che permetteva di portare direttamente nel loro territorio, precisamente nel complesso di gallerie che si erano scelti per rifugio. Era stato una sorta di tacito accordo che avevano stipulato le due razze, quando avevano deciso di isolarsi dal resto di Faerie, millenni addietro.
Proseguì nel buio delle gallerie illuminate solo dalla sua torcia per un tempo non calcolabile. Il paesaggio, se di paesaggio si poteva parlare visto che era dentro una specie di grande caverna, non variava, a parte il fatto che, a poco a poco, la galleria andava allargandosi, sempre di più.

Il rumore della marcia dell’esercito nemico si fece sempre più forte.
Era come un tamburellare lento ed inesorabile.
Si stupì del fatto che un’accozzaglia di esseri così strambi e così diversi, avesse imparato a marciare in maniera quasi perfetta.
Sentiva il terreno sotto i suoi piedi tremare leggermente sotto il peso dei passi di quell’esercito.
Riuscì a sentire quello che pareva il suono di un corno, seguito un istante dopo da una sorta di ruggito che doveva provenire da un essere terribile e sicuramente molto feroce.
Il re inspirò l’aria di Faerie, sciogliendo i muscoli e stirando le articolazioni.
Era calmo e rilassato, pronto come non lo era mai stato durante il suo percorso di conquista o durante le missioni che aveva dovuto compiere da quando era diventato cavaliere.
Da dietro l’ultima curva sbucò l’avanguardia di mostri che componeva l’armata nemica.
Con lentezza, portò un braccio dietro la schiena ed impugnò una delle lance estraendola lentamente.
Ora gli esseri l’avevano scorto ed avevano aumentato il passo per raggiungerlo.
Strinse la mano attorno all’impugnatura del giavellotto, sentendo il nastro di cuoio che aveva avvolto attorno ad esso perché non gli scivolasse. Poté sentire la morbidezza del materiale ma anche la sua resistenza.
Strinse il pugno fino a trovare una presa ottimale facendo scricchiolare il legno ed il cuoio poi si concentrò.
Immediatamente sentì la magia di Faerie giungere in suo aiuto. La accumulò e quando pensò che il quantitativo fosse sufficiente la fece fluire lungo il braccio, attraverso la mano, fino a permeare la lancia.
La magia che veniva donata ai cavalieri quando giuravano fedeltà, era sempre diversa. La magia in sé era qualcosa di imprevedibile, anche per esseri magici come le fate. Quando veniva donata, attraverso il rituale, nessuno poteva sapere come avrebbe agito. L’unica certezza è che avrebbe agito per il bene di Faerie.
Per alcuni, come per Menion ad esempio, la magia aveva portato a creare un oggetto, una spada nel suo caso. Per altri era servita a permeare la persona e nel caso di Cyrano gli permetteva di deflettere alcuni attacchi. Nel caso di Alessandro III la magia era semplicemente fluita in lui, colmandolo e riempiendo ogni parte del suo corpo. E lui aveva imparato a controllarla, accumularla e poi imprimerla in oggetti o a lasciarla fluire fuori di sé con un effetto che era sempre imprevedibile.
Mentre l’esercito nemico caricava verso di lui, il re portò indietro il braccio e poi scagliò il giavellotto con quanta forza aveva.
La lancia attraversò l’aria brillando ricolma di magia, scintillando come una stella cadente.
Colpì in pieno petto il più avanzato dei mostri che stava correndo verso di lui ed esplose in una fiammata biancastra accecante. L’esplosione spazzò via una decina di altre creature che, come quella colpita, stavano correndo e fece rimbombare il canalone di un boato sordo.
Sorridendo, il re impugnò un altro giavellotto.


Gli eserciti delle popolazioni di Faerie ed il nativo americano udirono il boato, mentre stavano procedendo a passo spedito verso la Bianca Torre.
Oramai potevano vederla chiaramente innalzarsi verso il cielo di quel regno fatato come un braccio che si protende verso l’alto cercando di afferrare qualcosa. Attorno alla torre era posto un grande e possente muro.
Quando udirono il boato, capirono che il loro compagno aveva ingaggiato il nemico e, da quel momento in poi, avrebbero dovuto pregare che riuscisse a trattenerlo abbastanza a lungo da permetter loro di raggiungere la loro meta e preparare le difese.
Tintinnio aveva spiegato ad Olimpia che, nella stanza più interna di quella Torre, protetta da magie nate con i sogni stessi, si trovava una stanza che racchiudeva tutte le realtà. Per descriverla la fata le aveva detto di immaginare una stanza enorme, con al centro una sorta di miniatura fatta di cristallo del mondo di Faerie. Attorno ad essa stavano le miniature di tutti i mondi esistenti, in ogni epoca ed in ogni Terra. "E non solo", aveva aggiunto enigmaticamente la fatina.
La greca stentava a capire come tutte le realtà, se aveva compreso bene quello che Menion le aveva spiegato, potessero stare in una stanza, ma aveva liquidato il tutto con una scrollata di spalle. Si trattava di magia, quindi tutto era possibile.
Sentirono altre esplosioni provenire da dietro di loro, mentre vedevano il ponte levatoio che li avrebbe portati all’interno, farsi sempre più vicino.

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Capitolo 20
*** Capitolo 19 ***


Menion proseguì fino a sbucare in una caverna di dimensioni incredibili, illuminata da quello che pareva una sorta di muschio fotoluminescente, "Tipico dei libri e film fantasy", pensò sorridendo. La luminosità che emanava era poca, ma era amplificata da qualcosa di luccicante posto sul pavimento dell’enorme stanza.
Il cavaliere sgranò gli occhi.
Il materiale luccicante era in realtà un pavimento cosparso di oggetti d’oro e gemme preziose.
Era il tesoro più grande che avesse mai visto.
Neppure nei suoi sogni avrebbe potuto immaginare una cosa simile.
Avanzò ancora non del tutto sicuro di quello che stava vedendo, e sentì le monete tintinnare sotto i suoi stivali, mentre le calpestava.
La caverna era magnifica, c’erano stalattiti e stalagmiti di un color rossastro argilloso che spuntavano dal soffitto e dal pavimento, le pareti sembravano leggermente levigate, forse dall’erosione del vento.
Ora che ci pensava, sentiva una leggera brezza accarezzargli il volto e questo indicava che, da qualche parte, c’era un’apertura che dava sull’esterno.
C’erano delle colonne che sostenevano la volta, un grosso cumulo di materiale rossastro al centro della stanza e...
Menion si bloccò.
Forse si era sbagliato, ma gli sembrava che il cumulo di materia si fosse mosso.
Aguzzò lo sguardo e si rese conto che stava contemplando la parte posteriore di un essere gigantesco, accoccolato al suolo, proprio sopra il cumulo di monete e gemme più grande.
Con passo guardingo fece un largo giro attorno ad esso, calcolando che doveva essere almeno lungo una ventina di metri, coda non compresa.
La forma era quella che si era aspettato, quattro zampe di cui le posteriori più potenti, un paio di ali membranose che ora erano richiuse appoggiate ai fianchi, una coda lunga, collo abbastanza pronunciato ed un’enorme testa ornata di corna e di denti affilati.
Ora stava praticamente di fronte a quell’enorme cranio.
Il drago aprì un occhio guardandolo con fare scocciato, "Ladro", mormorò.
Con un movimento incredibilmente veloce per un essere della sua grandezza si sollevò ruggendo in piedi, reggendosi sulle quattro zampe.
"Non sono un ladro!", si affrettò a dire il giovane, "Sono un cavaliere di Faerie e sono qui per ricevere il vostro aiuto contro i demoni che hanno invaso..."
Non riuscì a finire la frase perché il grande rettile lo attaccò.

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Capitolo 21
*** Capitolo 20 ***


La polvere delle esplosioni aveva formato una sorta di cortina che copriva la visuale. Alessandro III aveva lanciato tutti i suoi giavellotti ed ora, con estrema calma, aveva estratto le due spade che portava alla cintura. Sospirò preparandosi alla fine dello scontro. Le sue armi e la magia di Faerie avevano portato morte e distruzione nelle file dell’esercito nemico. Aveva spazzato via tutta l’avanguardia ed ora attendeva la risposta dei suoi avversari.
Prima che l’ultima esplosione sollevasse tanta di quella polvere da impedirgli di vedere, era riuscito a scorgere il condottiero nemico. Era in sella a quello che sembrava un grosso verme alato, una viverna. Immediatamente aveva scacciato dalla mente la possibilità di sfidarlo o di attaccarlo, quell’essere si spostava contornato da decine dei suoi mostri più potenti, chiaro sintomo che non intendeva sporcarsi le mani combattendo direttamente.
La polvere iniziava a calare ed ora poteva intravedere le sagome dell’esercito nemico. Apparentemente si erano fermati come in attesa.
Quando la visuale fu di nuovo chiara si rese conto che aveva ragione. Guardò sprezzante il condottiero nemico e gli fece un saluto armato. Con stupore l’essere del male rispose al suo saluto, poi allungò un braccio di fronte a se in un ordine silenzioso.
L’esercito si aprì in due ali ed, in mezzo ad esse, avanzò un mostro alto più di tre metri, di aspetto umanoide. Due possenti gambe tozze, un corpo tutto muscoli e nervi. La testa era rettiliforme, mentre le mani erano sostituite da altre due teste simili a quelle dei serpenti. Dalle loro fauci colava una specie di icore nerastro che sfrigolava a contatto con il terreno. La pelle era scagliosa e di un verde sporco, molto scuro. Il suo sibilo era una sorta di borbottio sordo e terribile.
Mentre il mostro avanzava l’esercito iniziò ad incitarlo emettendo latrati ed urla gutturali.
Il terzo cavaliere piantò bene le gambe a terra preparandosi alla battaglia.


Appena varcato il ponte levatoio, l’esercito di difesa di Faerie si sparpagliò con ordine andando ad occupare ognuno i propri posti, quelli che erano stati assegnati durante l’ultima pausa che aveva fatto, prima di quella corsa che pareva fosse durata in eterno.
Le esplosioni alle loro spalle erano cessate, lasciando il posto ad un silenzio spettrale.
"Tutti i nostri uomini hanno occupato le loro postazioni e stanno preparandosi alla difesa", riferì la fatina agli altri. Olimpia, Due Lune ed i re di nani ed elfi si erano posizionati in cima agli spalti, in uno slargo che ospitava una grossa balista. Annuirono soddisfatti, quella torre era stata costruita per essere l’ultimo baluardo di difesa nel momento dell’invasione. Non era stata visitata, né mantenuta da nessuno in tutto quel tempo ma tutto, al suo interno, era in perfetto stato, come se fosse stato appena costruito.
Un soldato gnomo giunse trafelato, "Abbiamo trovato tre catapulte ed una balista nei magazzini"
Olimpia sorrise, "Bene spostatele sugli spalti!"
Lo gnomo annuì e corse via.
"Ci servirà un po’ di tempo... speriamo di averlo", mormorò il re dei nani.
"Perché senza quelle armi non potremo neppure difenderci per qualche minuto", gli fece eco il re elfo.
La giovane amazzone guardò i suoi compagni, "Andate dai vostri uomini, rincuorateli e spronateli", la sua voce lasciava trasparire una sicurezza ed una calma invidiabile, "Presto arriveranno i rinforzi"
I due re annuirono e si allontanarono verso i loro drappelli.
"Sei ottimista giovane ragazza ma dobbiamo prepararci all’eventualità in cui non arrivi nessun rinforzo", le disse il capo cheyenne.
"Arriveranno", mormorò Olimpia, "Arriveranno"

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Capitolo 22
*** Capitolo 21 ***


Alessandro III osservò il gigantesco mostro porsi di fronte a lui mantenendo una calma invidiabile.
Era conscio che quella sarebbe stata la sua ultima battaglia. Non perché si credesse inferiore al suo attuale avversario, ma perché sapeva che, anche se avesse vinto, i demoni gli avrebbero semplicemente mandato contro un altro mostro, e poi un altro, finché non fosse caduto.
Il suo compito comunque, non era quello di vincere, ma semplicemente guadagnare più tempo possibile ed era quello il suo obiettivo.
Iniziò a spostarsi lateralmente cercando di capire le debolezze ed i punti di forza del suo avversario.
Quel mostro era alto, ed il suo collo serpentiforme gli permetteva quasi sicuramente di girare la testa a 360 gradi, quindi gli attacchi alle spalle non erano un’opzione. Se le braccia possedevano la velocità degli ofidi di cui erano costituite erano la minaccia più seria.
Il tronco era grosso e coperto da una serie di scaglie dall’aspetto resistente, ma lui era quasi certo che avrebbe potuto penetrarle.
Le gambe erano tozze, con due grandi zampe larghe. Non era fatto per muoversi agilmente, né per correre ma era fatto per mantenere l’equilibrio, mentre le sue braccia scattavano all’attacco.
Quindi la tattica migliore da usare sarebbe stata quella di continuare a muoversi, colpire e muoversi senza dare tregua a quel mostro, ma forse c’era un metodo migliore per affrontarlo.
L’ofide che costituiva il braccio sinistro scattò in avanti allungandosi, ma lui si era già spostato da un lato e con un colpo della sua spada più lunga ne tranciò la testa. Poi si lanciò in basso effettuando una capriola e rialzandosi proprio di fronte al nemico. Con un gesto preciso piantò entrambe le lame nel ventre della creatura.
Il mostro sibilò di dolore sprizzando un icore nerastro dappertutto.
Le due ali dell’esercito mormorarono impressionate dalla rapidità dell’attacco.
Il re, terzo Cavaliere di Faerie, si era ora spostato più lontano, mentre il suo avversario si stava accasciando a terra ferito a morte.
"Dovrai fare di meglio", disse tranquillamente l’uomo rivolto al condottiero nemico.
L’altro annuì semplicemente, spostando un braccio da un lato, adesso, avanzarono verso di lui, tre grossi esseri simili a lupi, ma dotati di una cresta ossea sulla schiena e grandi come cavalli.
Questa era un’altra storia.
Iniziarono a girargli intorno ringhiando, come dei normali lupi ed Alessandro III capì che doveva agire subito, senza dare il tempo ai tre mostri di organizzarsi.
Non ne ebbe il tempo, il demone lupo più grande ringhiò e gli altri due attaccarono dai due lati opposti. Alessandro III si buttò a terra, schivando agilmente l’attacco ma esponendosi a quello del demone più grande che tentò di azzannarlo.
Il re rotolò nella polvere e riuscì ad evitare di essere dilaniato dalle zanne del mostro.
Si sollevò e tentò di colpire uno dei lupi, ma questi si erano di nuovo spostati più lontani ed avevano ripreso a girargli intorno.



Un drago.
Nella sua vita aveva sempre sperato di vederne uno, ma ora, mentre le fauci del mostro calavano verso di lui per ucciderlo, quasi si pentì di quel pensiero.
All’ultimo istante fece una capriola allontanandosi e le gigantesche mascelle schioccarono a vuoto.
Il lucertolone si scosse voltandosi con una velocità incredibile, la sua coda spazzò la grande caverna. Il cavaliere di Faerie riuscì a tuffarsi a terra un istante prima di essere travolto, poi si sollevò e si spostò alla ricerca di un riparo.
"Vuoi stare un po’ fermo?", ruggì il mostro dimostrando di avere una dizione perfetta ed un leggero accento inglese. Questo avrebbe divertito il cavaliere, ma era troppo intento a restare in vita schivando un’artigliata che fece risuonare di un boato sordo la caverna, "Sono troppo vecchio per tutto questo movimento, stai fermo e fatti schiacciare!"
Il cavaliere continuava a muoversi, spostandosi da un riparo all’altro, ma sapeva che non avrebbe retto ancora per molto. Certo, la caverna offriva parecchi nascondigli, ma quel drago sembrava potesse essere in grado di raderla al suolo a piacimento se davvero avesse voluto. Quindi, l’unica alternativa era passare al contrattacco. Dopo l’ennesima capriola si fermò e la sua fida spada gli apparve in pugno.
Ma il giovane non attaccò, "Maledizione perché fai così!", urlò all’essere ricominciando a spostarsi, "Non voglio combattere... non costringermi a farti del male!"
La testa del lucertolone si sollevò e Menion fu certo che stesse per scattare nuovamente verso il basso per addentarlo, oppure stesse per mettere una fiammata, ma, invece, si fermò. Le fauci si aprirono e dalla gola del drago proruppe una risata.
Il drago continuò a ridere in modo sempre più sguaiato interrompendo l’attacco.
Nonostante potesse approfittare di quel momento per fuggire o per colpire, Menion si sentì punto nel vivo e così si fermò a sua volta, "Ehi! Cosa c’è di così divertente?"
Il drago impiegò ancora un lunghissimo momento a cercare di calmare le risa, poi si fermò riprendendo fiato, "Tu...", faticava proprio a trattenere l’ilarità, "...hai detto...", sembrava davvero difficile per l’essere riuscire a non sogghignare, "...che non vuoi farmi del male?"
Menion sentì la rabbia montare, uscì allo scoperto mettendosi di fronte al mostro e gli puntò un indice contro, "E cosa c’è di così divertente?"
Il drago lo guardò stupito battendo le palpebre, "Tu non puoi farmi del male", rispose abbassando il muso verso l’umano fino a trovarsi a poca distanza da lui, "Neanche se passassi tutta la tua vita a cercare di punzecchiarmi con quel tuo stuzzicadenti potresti farmene"
Il ragazzo, dimentico di ogni cautela, si spostò in avanti fino a portarsi a poco più di un metro dal muso del lucertolone e piantandosi le braccia sui fianchi, "Ah si? Vogliamo provare?"
"Che vuoi fare? Prendermi a cazzotti sul muso?", chiese il mostro.
Rimasero in silenzio a fissarsi con rabbia per un lungo momento.
Poi, all’unisono, scoppiarono a ridere.
"Ah senti cavaliere", quando riuscì a smettere di ghignare il drago sollevò di nuovo la testa in alto, "Era da tempo che non ridevo così, sei stato molto divertente, quindi ti concedo di andartene vivo"
"Io non intendo andarmene", anche Menion continuava a sorridere.
Il drago inclinò la testa da un lato, "Vuoi ricominciare il balletto di prima?", lo fece suonare come una cosa divertente ma anche, lievemente minacciosa.
"Io pensavo che potessimo parlare"
Il lucertolone si portò un artiglio alle fauci assumendo una buffissima espressione pensierosa, poi annuì, "Va bene, in effetti è molto tempo che non parlo con qualcuno... anche se un umano non è il massimo, va bene", sospirò emettendo uno sbuffo di fumo dal naso, "Hai detto che i demoni hanno invaso Faerie... bene era l’ora!"
"Come era l’ora?", il sospetto che quel mostro fosse in combutta con i suoi nemici sfiorò la mente del giovane cavaliere.
"Non amo dilungarmi in spiegazioni ed amo ancor meno rivelare i miei segreti, ma visto che credo non possa sbarazzarmi di te senza mangiarti o dirtelo, parlerò", spostò l’enorme corpo da un lato accomodandosi ed indicò con un artiglio una roccia all’umano che vi si appoggiò, "Sappi che io sono l’ultimo della mia specie", sospirò ed uno sbuffo di fumo nero uscì dalle sue narici, "Noi draghi siamo nati all’alba dei tempi, siamo un tutt’uno con Faerie e con ogni mondo vivente. Quando il tuo mondo e tutti gli altri mondi con esso, furono plasmati, noi fummo plasmati dalla stessa materia, anche se in forma diversa. Per questo, come la tua terra sputiamo fuoco a volte. Comunque, molto tempo fa fummo davvero tanti, ed abitammo anche il tuo mondo in pace ed armonia. Ma i tuoi simili ci cacciarono... Non fare quella faccia, non nel senso che pensi tu! Voi non potete farci del male. Ci cacciarono perché smisero di credere nella magia e nei sogni e così noi ce ne andammo. Noi draghi siamo esseri per bene, non ci piace stare dove non ci vogliono e dove non credono in noi! E poi i vostri cavalieri avevano una predilezione nel venire a farsi uccidere tentando di eliminarci... mica potevamo sterminarveli tutti!", fece un gesto con la zampa agitandola, "Comunque questo non è importante, l’importante è che, una volta giunti qui, iniziammo a scomparire, uno dopo l’altro; anche io stavo preparandomi a sparire, ma fui scelto per un compito molto importante. Mio sarebbe stato il compito di vegliare sulla nuova generazione di draghi"
"Vuoi dire che stai vegliando sui vostri cuccioli?"
"Si, veglio sulle nostre uova da oramai così tanto che ho perso il conto del tempo"
"E quando si schiuderanno?"
"E’ stato predetto che si schiuderanno quando Faerie cadrà", ci fu un momento di silenzio, "Capisci ora perché non posso aiutarti? Se Faerie non cade la profezia non si avvererà e le uova non si schiuderanno!"
"Profezia?"
Il drago si schiarì la voce, " "Quando la Torre Bianca sarà attaccata dalla marea nera, quando la speranza avrà lasciato il posto alla disperazione, Faerie cadrà e quando il male piomberà e terra allora le uova si schiuderanno nel loro covo ed una nuova generazione verrà alla luce" "
Rimasero in silenzio.
Il settimo cavaliere rifletté, "E tu pensi che questa profezia ti dica di non fare nulla?", Menion era perplesso, mentre il drago parve pensieroso ed incuriosito dalle parole del giovane, "Quando la Torre Bianca sarà attaccata dalla marea nera va bene, indica l’attacco dei demoni al centro di Faerie. Che la speranza abbia lasciato il posto alla disperazione è già successo così come il fatto che Faerie è caduta..."
"Un momento!", interruppe il drago, "E’ già accaduto?"
"Certo! La sola presenza dell’esercito dei demoni qui indica che Faerie è caduta, la profezia non parla di distruzione di Faerie", il lucertolone pareva perplesso così il cavaliere insistette, "E poi, se la Torre Bianca cadesse e Faerie fosse distrutta, la tua bella caverna con le uova sparirebbe, non ci hai pensato?"
"Senti umano, forse non mi stavi ad ascoltare", sbuffò, "Noi draghi siamo fatti della materia del cosmo, capisci? Se tutte le realtà collassano, non cambiano mica materia. Le nostre uova si schiuderanno!"
"Ah si ed i vostri cuccioli vivranno in una splendida realtà!", aggiunse con tono sarcastico il giovane, "Sarebbe proprio bello farli vivere in un posto governato dal caos e dai demoni", prima che l’altro potesse parlare continuò, "Secondo me sarebbe molto meglio che Faerie restasse intatta!"
"Si e le nostre uova non si schiuderanno!", ruggì il drago, "E prima che tu aggiunga altro, che cosa ti fa credere che la tua interpretazione sia migliore della nostra? Voi siete sempre stati limitati dal punto di vista intellettuale rispetto a noi!"
"Forse, se foste stati così intelligenti, non avreste affidato il vostro futuro ad una nebulosa profezia..."
Rimasero in silenzio a guardarsi in cagnesco.

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Capitolo 23
*** Capitolo 22 ***


Alessandro III aveva evitato l’ennesimo assalto dei demoni lupo. Ne aveva ricavato parecchie escoriazioni ma, per fortuna, nessuna ferita seria.
Però si era molto stancato e così decise di agire.
Aveva individuato, nel demone più grande il capo branco.
Questa volta non attese l’attacco, si spostò lateralmente e poi scattò veloce come un fulmine, la spada corta che impugnava con il braccio sinistro volò in avanti come un pugnale e si andò a piantare nel cranio del mostro.
Per un lungo istante il lupo rimase ancora in piedi, forse incredulo di essere stato sorpreso in quella maniera, poi crollò a terra morto.
Gli altri due, non più coordinati rimasero per un momento incerti sul da farsi.
Il terzo cavaliere ne approfittò, rotolò a terra fino a quello a lui più vicino e nel passarvi accanto lo trafisse con la spada più lunga. Lo squarcio aprì la pancia del mostro che si ritrovò ad osservare le propria interiora prima di rendersi conto di essere morto.
L’ultimo lupo lo caricò, tentando di dilaniare il cavaliere con le sue fauci aperte.
Il re rimase immobile fino all’ultimo, poi si lanciò in avanti andando a piantare la sua spada direttamente nella gola del mostro. Questi cercò di chiudere le fauci, ma l’elsa dell’arma lo impediva. Dopo un ultimo tentativo disperato, si accasciò a terra privo di forza.
Alessandro III recuperò la spada corta e si spolverò, poi tornò a guardare il condottiero nemico.
Il Gorsh parve impressionato, ma anche un po’ scocciato da quel contrattempo.
Si scrollò le spalle e fece cenno al prossimo mostro di farsi avanti.
Alessandro III continuava a guardare il condottiero nemico, ma la sua attenzione era rivolta altrove.
Aveva guadagnato abbastanza tempo da permettere alle truppe di Olimpia di asserragliarsi nella Bianca Torre, ma l’esercito invasore era ancora troppo grande per poter resistere ad un suo assalto.
Si rese conto anche che non poteva continuare quella manfrina troppo a lungo, presto i demoni si sarebbero stancati e lo avrebbero attaccato tutti insieme e per lui non ci sarebbe stata alcuna speranza, anche perché oramai era stanco e spossato.
La sua mente tattica iniziò a vagliare tutte le soluzioni possibili.
Scartò immediatamente l’opzione di fuggire, a parte che non ce l’avrebbe fatta, non sarebbe servito a niente.
Scartò anche la possibilità di uccidere il condottiero nemico, era troppo indietro ed anche con un attacco di sorpresa non sarebbe riuscito ad avvicinarsi abbastanza da eliminarlo.
Così comprese quello che doveva fare.
Sorrise stirando i muscoli ed iniziando a concentrarsi.
Tornò a fissare negli occhi il suo nemico.
"Abbiamo tirato troppo per le lunghe questo balletto", la sua voce era estremamente calma e determinata, "Oramai avete capito che, se continuate così, vi eliminerò tutti, uno ad uno, siete troppo inferiori a me", fece in modo di aggiungere una punta di arroganza questa affermazione, "Perché non mi attaccate tutti insieme?"
L’esercito di demoni mormorò la sua rabbia in una specie di borbottio che aumentava come un temporale lontano in avvicinamento. Tutti i mostri che componevano quell’armata afferrarono le loro armi o ruggirono o fecero scattare le loro chele, a seconda degli armamenti che il male avevo fornito loro.
Tutti si prepararono a scattare contro il cavaliere che, tanto impunemente li aveva insultati, osando affermare che, un semplice umano, fosse più forte di tutti loro, campioni del male.
Il Gorsh tentennò.
C’era qualcosa che non andava.
Lui era sempre stato fiero della sua intelligenza, e della sua capacità di conoscere i propri nemici. Sapeva che Alessandro III era un guerriero formidabile, sicuramente superiore anche al Primo Cavaliere, ma sapeva anche che l’arroganza non era parte del suo bagaglio.
Allora perché si mostrava così strafottente?
Vide il suo esercito, la sua perfetta macchina da guerra, prepararsi a sommergere il cavaliere come un’onda di marea.
Alessandro III era estremamente tranquillo, era immobile, con le braccia abbassate, e respirava in modo regolare. Non dava segno di alcuna tensione, anche se quella marea di mostri era prossima a sommergerlo e, sicuramente ucciderlo.
Il Gorsh sentì i peli del suo capo rizzarsi, come percorsi da dell’elettricità statica e capì.
Ma era troppo tardi, la sua armata aveva esaurita la poca pazienza e stava caricando contro il nemico. Il demone sapeva che non aveva alcuna possibilità di fermarli.
I mostri sciamarono sopra il terzo cavaliere sommergendolo con il peso dei loro corpi e trafiggendolo con le loro armi.
Il Gorsh, freneticamente fece arretrare la sua viverna ed il mostro riuscì a spostarsi appena in tempo.
Il Terzo Cavaliere aveva il potere magico di far fluire la magia dentro di sé e l’aveva sempre usata per potenziare le sue armi, come aveva fatto con le lance che avevano colpito la sua avanguardia, mentre si avvicinavano.
Ma ora l’aveva usata per un altro scopo, come mai aveva fatto.
Aveva accumulato ogni singola oncia della sua magia all’interno del suo stesso corpo. Doveva essere stato uno sforzo di proporzioni titaniche, riuscire a contenere, dentro le proprie membra, tutta quell’energia.
Ci fu un bagliore bianco, puro ed immacolato che si espanse come un tuono, nel punto in cui il cavaliere era stato sommerso dai suoi nemici. A dire il vero non fu un tuono, perché nessun suono seguì il lampo, ma l’effetto fu devastante.
Ogni cosa che fu toccata dalla luce fu disintegrata.
Quando il lampo si spense, almeno la metà dell’esercito del Gorsh era stato spazzato via.
Un enorme cerchio di cenere, di raggio qualche centinaio di metri era tutto ciò che restava della metà della sua potente macchina da guerra.
Al centro del cerchio, piantate a terra, restavano solo le due spade del cavaliere.


Nella Torre Bianca i preparativi alla difesa procedevano rapidi.
Dall’alto del parapetto più elevato Olimpia coordinava i movimenti. In basso, i re ed i comandanti delle varie razze facevano spostare i loro soldati con ordine. Tintinnio fungeva da staffetta, quando il rumore sovrastava la voce dell’Amazzone.
Due Lune si era posto all’interno del torrione centrale, cercando di capire quali fossero le risorse disponibili.
Già due catapulte e tre baliste erano state trasportate sui bastioni, ma ancora altrettante dovevano essere mosse.
Il tempo urgeva, entro breve le truppe nemiche sarebbero giunte a cingere d’assedio l’ultima resistenza della terra fatata.
"Stiamo procedendo bene", la voce cristallina di Tintinnio risuonò nelle sue orecchie come acqua sorgiva nella gola di un assetato, "Abbiamo spostato le macchine da assedio nei punti prestabiliti ai piedi delle mura, ora stanno usando le carrucole per sollevarle in posizione", si spostò una minuscola ciocca bagnata di sudore, dalla fronte.
In basso le forze di difesa stavano tirando con tutte le loro forze delle enormi gomene che erano collegate alle macchine da difesa.
Lo sforzo era titanico, ma loro lo stavano facendo per salvare non solo le loro vite e neppure le loro terre, ma per salvare i loro cari e le loro famiglie. Questa determinazione diede loro la forza di farcela ed alla fine, le tre catapulte e la balista occupavano gli ultimi posti sopra i torrioni più alti.
Tutti esplosero in un urlo di gioia per la riuscita.
In quel momento un lampo accecante, con origine nel canalone dal quale stava per giungere l'esercito nemico fece chiudere gli occhi alla greca.
"Alessandro III ha compiuto il suo destino", Due Lune era apparso alle spalle di Olimpia come un fantasma ed aveva pronunciato le parole con la solita invidiabile calma.
L'amazzone strinse i pugni con forza, poi si voltò verso il suo esercito ed urlò con quanto fiato aveva in corpo, "Ai vostri posti!"

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Capitolo 24
*** Capitolo 23 ***


Il cavaliere ed il drago stavano fronteggiandosi guardandosi male.
"Olimpia", la voce dell’umano ruppe il silenzio.
Il drago spostò il capo da un lato con fare interrogativo.
"Visto che io non intendo andarmene senza di te e tu non mi sembri propenso a venire, credo che alla fin fine mi ucciderai", aggiunge il ragazzo, "Quindi, dopo averlo fatto, dovresti andare a riferirle che sono morto"
L’enorme lucertolone era perplesso, "E chi sarebbe?"
"La persona per cui preferisco farmi uccidere piuttosto che darti retta ed andarmene", rispose lui tranquillo. Vide che il drago non aveva capito così aggiunse, "L’esercito dei demoni è troppo numeroso, anche con l’aiuto di tutti i giganti non potremmo mai farcela a vincere, solo il tuo aiuto sarebbe determinante. Se veniamo sconfitti lei morirà, non ne dubito e questo non posso permetterlo. Quindi, per lei, non me ne andrò da qui senza di te..."
Il mostro sbuffò del fumo dalla bocca, "Lo stai facendo per una donna?"
"No, non per una donna", rispose lui sorridendogli, "Per l’unica donna che io abbia mai veramente amato"
"Ah ho capito", il drago si rizzò seduto ed incrociò le zampe anteriori, "Visto che la tua scarsa intelligenza non poteva rivaleggiare con la mia hai deciso di puntare sui sentimenti..."
"Guarda che io sto dicendo la verità", continuò lui scocciato, "Per lei morirei mille volte e nel modo più doloroso!"
"Se continui così potrei accontentarti", mormorò in modo intimorente.
"Bene, se lo farai, cosa di cui non dubito visto che tu stesso hai detto più volte che non posso farti nulla, esaudisci il mio desiderio ed avvisala... e magari, visto che sei lì potresti anche salvarla aiutandola a distruggere l’esercito dei demoni...", lo stava guardando diritto negli occhi.
Il lucertolone sbuffò sonoramente, "Va bene lo farò! Ma tu mi prometti che non scapperai tutto in giro come prima e che ti farai schiacciare subito?"
Il cavaliere annuì.
Il bestione sollevò un artiglio per colpirlo e poi lo abbassò con potenza.
Si fermò a pochi centimetri dal capo del giovane che sentì uno spostamento d’aria che per poco non lo sbatté in terra.
"Lo sapevo!", pensò trionfante il settimo cavaliere, "Si è impietosito!"
"Ah già dimenticavo", bofonchiò il drago sollevando nuovamente la zampa, "Come faccio a riferirle la notizia della tua dipartita se non so come ti chiami?"
"Menion...", inghiottì amaro il giovane sentendo le sue speranze sgretolarsi.
"A bene!", ruggì il mostro, "Addio Menion!"
Tornò ad abbassare la zampa contro di lui.


Ed alla fine era iniziato.
L’esercito dei demoni, a dirla tutta notevolmente ridotto rispetto all'inizio, ma ancora sterminato in quanto a numero di unità, era giunto nei pressi della Bianca Torre e si era posizionato circondandola.
Ordinato e disciplinato, seguendo alla lettera gli ordini del Gorsh, aveva predisposto l’assedio, facendo in modo, per ora, di non avvicinarsi più di tanto alle mura e tenendosi ben al di fuori del raggio degli archi e delle balestre.
"La nostra torre sorge in mezzo ad una pianura, non ci sono alberi nelle vicinanze, quindi faticheranno nel trovare materiale per le armi d’assedio", sorrise il re dei nani fregando le mani tra loro.
"Mi scusi sire", lo interruppe Due Lune con gentilezza, "Ma visto che tra le loro fila ci sono anche mostri alti più di sei metri... credo non abbiano bisogno di armi d’assedio"
Effettivamente alcuni mostri giganteschi stavano, ordinatamente, raccogliendo i macigni più grandi e li stavano accatastando in un’unica pila. Altri stavano facendo quello che sembrava un allenamento per sciogliere i muscoli delle braccia, mimando i gesti che avrebbero eseguito per lanciare i macigni verso di loro.
"Mirate ai mostri grandi!", urlò Olimpia rivolta agli artiglieri gnomi.
I piccoli gnomi accusarono il ricevuto e si voltarono verso i bersagli. Saettarono alla loro folle velocità a destra ed a sinistra, compiendo quella che aveva tutta l'aria di essere una triangolazione, poi si voltarono verso i centauri, incaricati di spostare le catapulte, le uniche armi che, all'attuale distanza, potevano raggiungere i mostri e diedero loro le istruzioni su come posizionarle e quanto caricarle.
Nonostante la velocità di esecuzione degli esseri fatati, quando questi lasciarono partire i loro colpi, anche i mostri nemici avevano oramai iniziato a lanciare.
Enormi pietre e macigni iniziarono a fischiare nell'aria, per poi ricadere contro i rispettivi bersagli con boati assordanti.
I colpi dei difensori erano di una precisione chirurgica, ma provocavano pochi danni alle armate nemiche. Per fortuna erano rapidi e continui.
Per contro, i colpi dei demoni erano tremendamente imprecisi, ma provocavano immani danni alle mura colpite.
Dopo una decina di minuti di quello scambio, tre dei demoni giganti lanciatori erano a terra, stesi dal continuo essere colpiti dalle armi dei difensori, ma delle sei catapulte poste sugli spalti solo due erano ancora in grado di funzionare ed una porzione delle mura era in pessimo stato.
Olimpia aveva partecipato ad un assedio, dalla parte dei difensori, anche se di proporzioni notevolmente minori, quando era entrata, con le tre sue amiche, nella città di Apis per fare rifornimenti, durante un viaggio in Ellesponto.
La cittadina era una delle più rinomate per il commercio delle pellicce ed il periodo propizio aveva portato una banda di briganti ad attaccarla. Le quattro amazzoni erano state tra le artefici della preparazione alla difesa ed erano state accolte con felicità visto che erano presenti solo pochi soldati all'interno delle mura.
L'assedio si era protratto per due settimane e, nonostante l'ottimo aiuto dato dalle quattro donne guerriere, sarebbe finito male per i difensori se Aura non fosse tornata alla testa di un piccolo drappello di soldati, dopo essere sgattaiolata fuori dalle mura una notte, quando le scorte di cibo ed acqua stavano per terminare.
Olimpia aveva compreso come fare per difendersi, aveva compreso come disporre le difese ed aveva imparato che, se non erano presenti fonti di acqua fresca ed ingenti quantità di cibo i difensori erano destinati ad essere sconfitti... soprattutto se non era previsto l'arrivo di eserciti in aiuto.
Ma Olimpia sapeva anche che, prima di tentare un assalto alle mura della città, o in quel caso torre, assediata, potevano passare anche parecchi giorni di bombardamenti con le armi da assedio e poi di preparazione delle torri o delle scale.
Per questo rimase non poco stupita quando vide che, con un ruggito di rabbia e di gioia, i mostri si lanciarono contro gli spalti.
Nonostante la sorpresa riuscì a riscuotersi ed ad ordinare perentoriamente, "Archi!"
Una miriade di frecce venne scoccata dalle armi elfiche abbattendosi sugli aggressori. Metà dei demoni dell'avanguardia furono falciati, ma gli altri proseguirono, calpestando i loro simili caduti e continuando la corsa fino ad arrivare ai piedi delle mura.
"Balestre!", ordinò stavolta Tintinnio ed i nani sollevarono le loro pesanti balestre e, dopo essersi sporti dagli spalti, fecero fuoco verso basso.
Ancora altri demoni caddero, ma gli altri continuarono ad avanzare come posseduti da una forza superiore ed iniziarono a risalire lungo i muri, arrampicandosi come degli insetti.
"Magia!", gorgogliò re Flush ed i suoi tritoni allungarono le mani verso il basso facendo colare del liquido sopra i nemici.
Il liquido, a contatto con l'epidermide dei mostri sfrigolò e quelli che erano giunti più in alto urlarono di dolore e lasciarono la presa cadendo sui successivi.
"Trasmutazione da acqua ad acido", spiegò Tintinnio all'amazzone che la stava guardando confusa.
"Ma li abbiamo solo rallentati", disse l'altra con fare truce.
In effetti i demoni caduti si erano rialzati, avevano guardato i loro compagni che si contorcevano dal dolore di essere stati mezzi sciolti dall'acido e, dopo averli afferrati e posti sopra di loro come degli scudi, avevano ricominciato la risalita.
"Magia!", urlò ancora re Flush ed i suoi tritoni ripeterono il gesti di prima, ma stavolta, i demoni si stavano proteggendo con i corpi dei loro simili e non persero la presa.
"Preparatevi al corpo a corpo!", ordinò Olimpia ed il suo esercito abbandonò le armi a distanza ed impugnò le armi da corpo a corpo pronto alla difesa.
I primi demoni avevano tentato di scavalcare i bastioni ed erano stati abbattuti dai difensori, ma parevano non finire mai, per ogni mostro abbattuto almeno altri due prendevano il suo posto.
Ben presto i difensori dovettero arretrare ed i primi demoni poterono posizionarsi sulle mura e proteggere i loro simili che continuavano a risalire.
"E' troppo presto", pensò l'amazzone rabbuiandosi, "Sono riusciti a salire troppo presto... sono inutile come comandante, se ci fosse Aura..."
Il lamento di un corno risuonò nel vento, seguito da un boato sordo.
Sentì la mano di Due Lune appoggiarsi alla sua spalla e vide che il nativo americano le stava indicando un punto oltre le mura.
L'esercito dei demoni si fermò come congelato e la legione che si apprestava a scalare le mura fu travolta dalla carica di un altro esercito formato da esseri di apparenza umana, alti più di cinque metri e protetti da delle spesse armature complete.
La loro carica colse completamente di sorpresa i nemici e li spazzò via.
Rincuorati da quella vista i difensori sulle mura caricarono a loro volta respingendo i mostri che si stavano asserragliando e scaraventandoli giù dagli spalti.
L'esercito nemico ripiegò, seguendo gli ordini del suo condottiero, e l'esercito dei giganti, comandato dal loro re e da Cyrano, riuscì ad entrare all'interno della Bianca Torre, accolto da un boato di trionfo.

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Capitolo 25
*** Capitolo 24 ***


L’enorme zampa si abbatté su di lui.
Sentì, nuovamente, lo spostamento d’aria, ma stavolta sentì anche un tremendo colpo che lo sollevò da terra. Quando ripiombò giù, contro il pavimento sentì che tutta l’aria era stata espulsa dai suoi polmoni.
La caverna attorno a lui fu avvolta dall’oscurità.
Forse qualcuno aveva spento il muschio luminescente.
No, probabilmente erano i suoi occhi che non funzionavano più.
Sicuramente era il primo passo verso la morte.
Sapeva che, prima o poi sarebbe arrivata, ma non si aspettava in quel modo.
Certo che era una disdetta, proprio ora che aveva ritrovato Olimpia!
Ma per lo meno l’aveva salvata garantendole l’aiuto del drago.
Adesso non doveva fare altro che attendere il tunnel di luce.
Chissà chi avrebbe trovato ad attenderlo dall’altra parte.
I suoi nonni? Oppure Giovanna?
"Allora ti vuoi alzare? Non ti ho colpito così forte!", una voce forte e potente lo riscosse da questi suoi pensieri.
Effettivamente sentiva male un po’ in tutto il corpo, cosa strana se era morto.
A poco a poco la sensazione di possedere ancora due gambe, due braccia ed una testa (seppur pulsante di dolore) tornò. Aprì gli occhi e vide che era disteso a faccia in giù nella caverna.
Con uno sforzo immane si sollevò barcollando e si ritrovò a guardare il muso del drago.
"Sono vivo?", chiese stupefatto.
"Non dirmi che il mio colpo ha eliminato le parvenza di intelligenza che albergava nel tuo cranio", mormorò, "Certo che sei vivo!"
Menion si spolverò, poi sollevò un braccio verso il muso del lucertolone e lo agitò con rabbia, "Ma se non volevi uccidermi perché diavolo mi hai dovuto colpire!"
Il drago sorrise, o almeno così venne interpretato dal cavaliere l’espressione assunta dal muso del mostro, "Dovevo essere certo che tu non stessi facendo finta", spiegò, "Dovevo essere certo che tu fossi veramente disposto a sacrificarti... e poi così era più divertente"
"Quindi mi aiuterai?", la rabbia ed il dolore avevano lasciato il posto alla speranza.
"Si che ti aiuterò!", si era sollevato e stava scrollando l’enorme corpo, "Ora andiamo!"
Si spostarono, fianco a fianco lungo una caverna che terminò all’aperto, in alto sulla cima di una montagna.
"Sai, ho sempre sognato di cavalcare un drago", confessò il settimo cavaliere.
"Ed allora continuerai a farlo!", ruggì il lucertolone, "Nessun insulso essere umano cavalcherà mai Kreshikotal", ruggì orgoglioso il mostro. Un colpo possente d’ali e si sollevò in aria, con una delicatezza incredibile afferrò tra gli artigli il cavaliere e poi volò verso la Torre Bianca.


Il Gorsh analizzò la situazione, il suo esercito era ancora di proporzioni enormi, ma si era ridotto almeno della metà da quando era giunto a Faerie.
Era rimasto molto più irritato dall'arrivo inaspettato dell'esercito dei giganti.
Perchè non aveva preso in considerazione il loro arrivo?
Scrollò il capo in un atteggiamento molto umano e questo lo irritò ancora di più.
"Chiamatemi le megere", ordinò ad uno dei suoi sottoposti.
Pochi istanti dopo gli si avvicinarono una serie di esseri dall'apparenza vagamente femminile ma ricoperte di peli, scaglie e delle ali membranose adornavano le loro schiene magre ed emaciate.
"Ci avete fatto chiamare condottiero?", parlarono all'unisono con voce melliflua, ma la parola "condottiero" risuonò carica di ironia.
Lui ignorò la cosa, "Trasmutate", ordinò con disprezzo.
Le megere sorrisero in modo spaventoso poi batterono le loro nere ali e si alzarono in volo sopra le schiere del demone. Passarono sopra i soldati, ripetutamente su di quelli di rango inferiore, ed intessero delle trame di magia che lasciarono cadere su di loro. Appena furono colpiti gli esseri iniziarono ad urlare di dolore e caddero a terra contorcendosi.
Gli occhi del Gorsh erano fissi su quello spettacolo.
La trasmutazione era qualcosa a cui non voleva arrivare.
Il suo esercito era composto da creature abbiette e meschine ma era riuscito a renderle disciplinate ed erano sotto il suo controllo perché, in un certo senso, si fidavano di lui.
Ma la trasmutazione era una sorta di tradimento da parte sua, un sintomo che era in difficoltà. Se avesse fallito anche con quello, sarebbe stato costretto ad intervenire direttamente, per riguadagnare il controllo.
I demoni intanto, avevano smesso di dimenarsi e stavano rialzandosi: i muscoli dei loro corpi si erano come gonfiati, gli artigli e gli spuntoni erano cresciuti, ed i loro occhi erano ora vacui e vuoti. Ringhiavano sommessamente in attesa.
"Andate ed uccidete!", ordinò il Gorsh e gli esseri, come se non aspettassero altro, si lanciarono di corsa verso gli spalti nemici.

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Capitolo 26
*** Capitolo 25 ***


Dall’alto degli spalti Olimpia, Due Lune e Tintinnio osservarono la scena inorriditi ma poi, subito, si prepararono alla difesa.
La battaglia che infuriò nei minuti seguenti fu una delle più cruente e terribili a cui avessero mai assistito. Nonostante la resistenza strenua i mostri attaccavano senza fermarsi e senza pensare alle proprie vite.
Ben presto i difensori si ritrovarono a perdere terreno.
“Ripiegate nel cortile interno!”, urlò Olimpia con frustrazione ed il suo esercito, i pochi rimasti, scesero velocemente dalle scale portandosi nel polveroso cortile.
Gli spalti erano perduti e questo significava che era la fine.
Sopra di essi erano posizionati i demoni e stavano ruggendo di gioia e tripudio per la conquista. Da quella posizione sarebbe stato estremamente facile per loro scendere e massacrarli un po’ alla volta.
L’amazzone spostò lo sguardo ed incrociò quello della fatina. Anche se continuava a risplendere, pareva anche lei stremata e la sua minuscola armatura di cuoio era gualcita e sporca. Ma quando vide che la stava osservando sorrise e quel sorriso le sciolse il cuore, anche se sapeva che era stato tutto inutile e che aveva fallito.
Poi notò che la piccola creatura aveva spostato lo sguardo oltre di lei, verso il cielo. Si voltò a sua volta e vide un puntino nero.
Il puntino crebbe, divenne grande come un passerotto, poi come un piccione, poi come un’aquila, ma non accennò a smettere di crescere.
Ora anche i demoni l’avevano notato e lo stavano osservando come inebetiti.
Il puntino, che ora puntino non era più, essendo diventato enorme, passò in volo radente sui bastioni e ruggì.
Il ruggito fu così forte da far male alle orecchie, ma era anche così bello.
Bello in modo strano visto che era una specie di inno alla forza bruta, alla rabbia primordiale, alla potenza pura.
Ma i demoni non furono travolti solo da quel ruggito, ma anche da un fiume di fuoco che li sommerse completamente. Un’unica sfolgorante fiammata che ricoprì completamente gli spalti di fuoco liquido e li fece splendere come un nuovo sole.
La fiamma si spense quasi subito e quando lo fece non c’era più traccia di demoni.
I difensori esplosero in un urlo di gioia mentre il drago, perché di questi si trattava, compiva un ampio ed aggraziato arco sopra la torre, ruggendo verso l’esercito nemico la sua sfida.
“Che cos’è che gli pende dalla zampa?”, chiese il re dei nani.
Olimpia impallidì quando capì di cosa si trattava, ma non ebbe il tempo di fare altro perché il grande mostro alato compì una rapida cabrata ed atterrò nel cortile a poca distanza da loro, facendo tremare il suolo come un terremoto.
Menion rotolò a terra diverse volte ed alla fine andò a fermarmi proprio ai piedi dell’amazzone.
Fece per sollevarsi, ma la testa gli girava e finì con il ritrovarsi sdraiato di schiena sul selciato.
Batté le palpebre confuso, come se non credesse a ciò che vedeva, “Sono morto?”, chiese con voce impastata, “E tu sei un angelo, vero?”
Olimpia scoppiò in un pianto di gioia liberatorio e lo abbracciò forte, poi si voltò a guardarlo, avvicinando il suo viso a quello dell’altro.
“Non farlo…”, biascicò lui e l’amazzone lo guardò confusa, “Non che non voglia baciarti, ma visto come mi ha trasportato… ho vomitato anche l’anima… non sarebbe affatto piacevole te lo assicuro…”
Lei sorrise, si asciugò le lacrime con una manica e lo aiutò a sollevarsi.
In quel momento un’ombra nera oscurò il sole. I difensori si voltarono verso l’alto e videro un enorme essere alato, una viverna in volo librato sopra di loro, sul suo dorso il Gorsh.
“Vi propongo un duello”, urlò l’essere demoniaco, “Io sulla mia viverna ed un vostro campione sul drago!”, mosse il braccio puntando il nodoso bastone contro di loro, “Se vincete sarete salvi!”
Menion strinse i pugni e guardò Cyrano, poi si voltò verso Olimpia che gli strinse un braccio.
Ma anche il drago aveva notato lo scambio di occhiate, “Mi spiace tarpare le ali ai vostri piani ma, come ho già detto, nessun insulso uomo cavalcherà mai Kreshicotal!”
“Ma è la nostra sola speranza di salvarci!”, esclamò il ragazzo barcollando verso di lui, visto che ancora stentava a stare dritto da solo.
“No, non torno sulle mie decisioni e poi non stai neppure in piedi!”
Ci fu un attimo di silenzio.
“E se fosse una donna a cavalcarti?”, Olimpia si fece avanti superando il cavaliere che la guardò incredulo.
Il drago osservò l’amazzone come per controllare se facesse sul serio, poi annuì ed abbasso il capo per permetterle di salire.
“No non posso permetterlo!”, esclamò Menion afferrandole un braccio.
La ragazza si voltò verso di lui determinata, “Lascia che, per una volta, sia io a salvare te. Ne sono in grado e lo farò”
“Io ti amo Olimpia, non chiedermi di lasciarti andare…”, era la prima volta che gli confessava veramente i suoi sentimenti.
“Anche io ti amo Menion… ma non chiedermi di restare…”, gli mise un dito sulle labbra impedendogli di parlare ancora.
Il ragazzo fece ancora per aprire bocca, ma si fermò, prendendole la mano della ragazza tra le sue. Olimpia gli sorrise e si avvicinò con il suo viso, “Non mi importa se hai vomitato, voglio darti un bacio…”
Stavolta fu il ragazzo a porle un dito sulle labbra fermandola, “Me lo darai al tuo ritorno”, le disse spostando la mano ed accarezzandole dolcemente il viso, “E bada che se non tornerai mi arrabbierò molto e non ti parlerò mai più…”
Lei gli sorrise e si accontentò di baciargli il palmo, “Tornerò te lo prometto”
Si voltò e salì in groppa al drago.

La giovane amazzone aveva trovato posto sul dorso del drago, il quale aveva spostato i muscoli sopra l’attaccatura delle spalle come per bloccarla e fare in modo che non cadesse.
“Si tenga forte!”, ruggì mentre si acquattava al suolo, poi spiccò un salto verso l’alto spiegando le enormi ali rosse ed iniziando a prendere quota.
Olimpia si sentì schiacciare contro le scaglie dell’enorme creatura, mentre il movimento le strappava l’aria dai polmoni.
Ma pochi momenti di panico dopo il drago si assestò e lei poté vedere, dall’alto, il panorama. Non riuscì a trattenere lo stupore, “Sto volando…”, mormorò incredula.
“Tecnicamente io sto volando e lei è semplicemente trasportata”, bofonchiò il drago voltando il capo verso di lei. Poi vide l’espressione estasiata scolpita sul volto della giovane e tornò a voltarsi mormorando, “Come vuole lei…”

Il Grosh, sulla sua viverna, effettuava dei larghi e pigri cerchi concentrici nell’aria, attendendo pazientemente. Nonostante trovarsi di fronte un drago fosse qualcosa di sconvolgente, visto la potenza e la maestosità di tali creature, non aveva paura.
Non poteva provarne.
Ma soprattutto era convinto che avrebbe vinto.
Certo, già dopo aver trasmutato il suo esercito era stato certo di vincere, solo per vedere le sue speranze frustrate dall’arrivo di quel mostro. Aveva visto gli altri demoni più potenti sotto il suo comando rivolgergli delle occhiate terribili ed aveva capito che, per riuscire a mantenere la leadership su di loro, avrebbe dovuto esporsi di persona.
Vide finalmente il suo avversario prendere il volo e spostò la sua cavalcatura ad effettuare qualche passaggio ravvicinato per capire con chi aveva a che fare.
Si ritrovò un po’ sconcertato, visto che i difensori avevano scelto una ragazza, non un Cavaliere di Faerie come loro campione. Certo, quella giovane era colei che aveva coordinato le difese, ma se non era un cavaliere come poteva pensare di poterlo fronteggiare?
Si scrollò le spalle in un atteggiamento molto umano, poi voltò la viverna verso il suo obiettivo ed iniziò l’attacco.

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Capitolo 27
*** Capitolo 26 ***


Olimpia fu sballottata a destra e sinistra con forza mentre il drago evitava la pioggia di colpi lanciati dal demone.
La giovane amazzone non poteva fare altro che tenersi con tutte le sue forze alle scaglie della sua cavalcatura e sperare di non essere sbalzata via.
"Non si preoccupi milady...", ruggì il drago sovrastando il tremendo rumore del vento che soffiava, mentre chiudeva per un attimo le ali e piombava verso il basso a velocità folle, "Non permetterò che sia colpita o che si faccia male...", spiegò nuovamente le membrane e tornò a sollevarsi verso l’alto, evitando una scarica di magia che formò un enorme cratere quando impattò con il terreno.
Effettivamente si sentiva tremendamente stupida ed inutile in quel momento.
Quando aveva deciso di salire in groppa al drago per combattere contro il condottiero nemico, aveva pensato di aver avuto una grande idea. Soprattutto perché non ne poteva più di stare sulla difensiva, affrontandolo avrebbe potuto passare all’attacco.
Ma non aveva minimamente pensato, forse perché non aveva alcuna esperienza di combattimenti aerei, che non possedendo armi da lancio, la sua presenza sul dorso del drago era prettamente inutile.

Il Gorsh continuava a sferrare i suoi attacchi con calma e costanza. Cavalcare la viverna non era semplice, il demone alato era brusco e difficile da tenere e questo andava tutto a discapito della precisione dei suoi colpi.
Nonostante questo non era preoccupato.
La viverna era più veloce ed agile del drago e questo gli permetteva di restare sempre in coda all’essere, tenendosi ben distante da un possibile contrattacco e quindi lui aveva tutto il tempo di di colpirlo. Non credeva di poter abbattere con un sol colpo un mostro così potente, ma se avesse colpito il cavaliere... tutto sarebbe finito.
E prima o poi l’avrebbe fatto, anche perché la quantità di colpi che stava lanciando contro di esso era talmente grande che la statistica era dalla sua.

Il drago si produsse in una capriola serrando le ali con le quali bloccò un colpo di magia diretto alla persona che lo stava cavalcando. Il rettile ruggì di dolore mentre una profonda ferita bruciava le sue carni, poi tentò di voltarsi per passare all’attacco, ma la viverna era più agile e lui non poteva sfruttare completamente le sue doti aree perché non voleva rischiare di fare del male alla ragazza.
Un altro colpo lo raggiunse ad una zampa macchiando le sue scaglie di sangue scarlatto.
L’amazzone aveva oramai dimenticato cosa significasse avere ancora uno stomaco... o degli organi interni al loro posto. Era costantemente sballottata a destra e sinistra, in alto ed in basso e questo la stava portando al limite di sopportazione.
Un’altra raffica di magia colpì in pieno il dorso dell’essere ed ancora il rettile ruggì di dolore mentre altro sangue andava a sporcare la sua pelle.
Olimpia oramai si rendeva pienamente conto che il drago si stava trattenendo e questo rendeva inutile il suo combattimento.
"Non pensare a me!", urlò, ma il suo grido fu sovrastato dal frastuono del vento. L’amazzone allora batté con un pugno sulla scaglia cui si stava tenendo per non cadere. Un momento dopo il rettile voltò il capo verso di lei, "Non pensare a me!", urlò ancora la giovane, "Pensa a combattere!"
Il drago parve pensarci un lunghissimo istante, "Non posso..."
"Stupido lucertolone!", esplose lei, "Smettila di trattarmi come una bambina! So badare a me stessa!", batté con un pugno sulla scaglia, "Combatti!"
"Come vuole... ma l’ho avvertita ...", bofonchiò l’enorme essere tornando a voltarsi in avanti.
Un istante dopo effettuò, in una frazione di secondo, un giro della morte a tale velocità che Olimpia perse la presa sulle scaglie e precipitò nel vuoto...

Ecco che tutto finisce, pensò il Gorsh quando vide la giovane cadere dal dorso del drago.
Ma non ebbe il tempo né di gioire, sempre che ne fosse capace, né di pensare a finirla perché il rettile si stava dirigendo verso di lui a velocità folle. Riuscì a far cambiare direzione alla viverna appena in tempo e riuscì così ad evitare una cascata di fuoco che l’avrebbe certamente abbattuta.
"Dannata bestia!", ruggì il demone, "Hai perso! Il tuo cavaliere è morto!"
Ma il drago, seppure tremendamente ferito e sanguinante sembrava non curarsi di lui e continuava ad attaccarlo. Fece un altro cambio di direzione in una frazione di secondo e sputò ancora fuoco, ma la viverne lo schivò di nuovo per un pelo.
Il Gorsh allungò il bastone verso la creatura, pronto a colpirla nuovamente con una scarica di magia, forse quella definitiva.
Improvvisamente sentì mancare sotto di lui la rassicurante massa della sua cavalcatura e si rese conto di essere stato sollevato in aria da qualcuno che lo stava trattenendo sotto le ascelle.

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Capitolo 28
*** Capitolo 27 ***


Olimpia si era resa conto di essere morta.
Non c'era speranza. Nessuna speranza.
Il drago non poteva andarla a salvare, era troppo intento a combattere ed il suolo si stava avvicinando a velocità pazzesca.
Incredibilmente accettò la cosa senza particolare preoccupazione.
Aveva avuto una bella vita piena, si disse, non aveva rimpianti. Forse l’unico neo era stato ritrovare l’amore della sua vita solo per pochi momenti.
Chiuse gli occhi sentendo l’aria sferzarle il viso mentre cadeva.
"Spero solo di non sentire troppo male", pensò.
Improvvisamente si rese conto che l’aria ora le lambiva solo le guance, non la colpiva più come prima. Anche il senso di accelerare era del tutto scemato.
Aprì gli occhi e rimase a bocca aperta.
La caduta si era arrestata e lei stava procedendo parallelamente al terreno ad una decina di metri dal suolo.
Era come se stesse volando, ma non c’era più il drago a trasportarla.
La sua attenzione fu attratta dall’ombra che stagliava sul terreno. La sua sagoma era femminile ma sormontata da due enormi ali, come d’aquila.
Si guardò dietro la schiena e vide che la sua cotta di maglia dorata stava risplendendo e dietro di essa erano spuntate due enormi ali di luce.
"Ma cosa...", mormorò incredula.
Ricordò il momento in cui Due Lune le aveva dato quell’armatura, nell’armeria di Faerie: "Questa ti sarà utile giovane, è più di quanto sembri", le aveva detto.
Olimpia sorrise calorosamente e capì di poter controllare il volo semplicemente pensandolo.
Un istante dopo si stava dirigendo, con un’espressione determinata sul volto, verso il suo nemico.
Vide Kreshicotal sferrare un altro attacco ma mancare perché la viverna era più piccola e quindi più agile di lui così decise di passare all'azione.
Scese in picchiata verso il basso ed afferrò per le ascelle il demone cercando di disarcionarlo. Se ci fosse riuscito la battaglia si sarebbe conclusa. Riuscì a sollevare il Gorsh di qualche metro pregustando la vittoria ma poi qualcosa la bloccò.
Abbassando lo sguardo vide che uno dei piedi del demone era rimasto impigliato in una staffa della sella.
Cosa peggiore aveva perso il vantaggio della sorpresa, il demone si era accorto di lei!

Il Gorsh fu colto per un attimo dal panico ma sentì uno strattone e capì che uno dei piedi era ancora saldamente bloccato dalla sella.
Era stato astuto a farsela costruire.
Sollevò il capo e vide che era la ragazza a tentare di strapparlo dalla sua cavalcatura.
Dove diavolo aveva preso quelle ali? Accantonò la domanda spostandosi per attaccarla.
Con un guizzo lasciò andare il bastone, che tanto era solo un canale per esercitare la sua magia, non gli era necessario ed afferrò con gli artigli le braccia della giovane.
"Hai perso stupida umana!", ruggì di trionfo.
Ma vide che l'amazzone non era impaurita, sotto la polvere ed il sudore che le adombrava il volto si celava uno stanco sorriso.
Lui la scrollò infuriato, "Perché ridi!"
"Tu hai perso", mormorò Olimpia sollevando lo sguardo.
Il Gorsh si voltò e vide il drago piombare su di loro.

Kreshicotal era allo stremo delle forze.
Sentiva la vita fuggire via insieme al suo sangue.
Così sarebbe morto, anche lui l'ultimo dei draghi.
E così nessuno avrebbe più potuto gioire della vista della loro maestosità.
Tentò un altro assalto ma ora il sangue gli colava sugli occhi e la viverna schivò.
Se non si fosse sforzato così tanto per difendere quella ragazza... senza risultati per giunta visto che lei, probabilmente ora era sfracellata al suolo.
Ma cosa ci poteva fare, tutti gli esponenti delle sua razza avevano sempre avuto un debole per le fanciulle. Niente di sconveniente intendiamoci, semplicemente il suono della voce delle umane era considerato molto rilassante, a differenza del suono della voce dei maschi umani che era irritante.
Si chiese se fosse normale pensare a quelle cose prima di morire.
Fece una cabrata per voltarsi verso il suo nemico.
Sarebbe morto attaccandolo, non scappando.
Batté le palpebre incredulo.
L'amazzone ora dotata di ali stava cercando di disarcionare il demone.
Rallentò un momento certo di essere stato colto da un'allucinazione dovuta alla perdita di sangue ma questa persisteva.
Ora il demone aveva abbandonato il suo bastone per afferrare la giovane.
"Non farai del male alla mia cavaliera!", pensò l'ultimo dei draghi lanciandosi contro di loro.

Tutto avvenne in un lampo.
Kreshicotal si avvento sulla viverna che, non più direzionata dal demone fu bloccata dagli artigli del drago.
Per lo scossone dovuto all'impatto Olimpia fu scagliata lontano, ma le sue ali di luce la sostennero in aria.
Il condottiero dei demoni, ancora bloccato dalla staffa della sella rimase invece al suo posto, sulla schiena della sua cavalcatura.
Il drago riempì i polmoni e poi riversò un fiume di fuoco sul suo bersaglio incendiandolo, infine mollò la presa e si diresse a recuperare l'amazzone.
Mentre veniva avvolto dalle fiamme, l'ultimo pensiero del Gorsh fu che forse, non era stata un'idea così astuta farsi fare la sella...

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Capitolo 29
*** Capitolo 28 ***


Quando la viverne ed il Gorsh piombarono a terra in una palla di fuoco i difensori, assiepati all’interno della Torre Bianca ed arrampicati sulle mura per vedere meglio rimasero in un silenzio irreale.
Pochi istanti dopo il drago, seppur ferito gravemente, atterrò con orgoglio al centro del cortile ed Olimpia saltò a terra sollevando un braccio al cielo.
Solo allora tutti proruppero in un boato di gioia.
Menion era già pronto a correre a rompicollo verso il basso per andare ad abbracciare e baciare l’amazzone, quando un ruggito ancora più forte li fece voltare verso l’esterno.
L’esercito dei demoni stava avanzando.
"Ma l’accordo era che se avessimo battuto il loro condottiero...", mormorò Tintinnio.
"Evidentemente non tutti erano concordi con il loro capo", riferì serafico Due Lune alle sue spalle.
Nel frattempo l’amazzone era salita sugli spalti fino a trovarsi in mezzo a loro.
Il settimo cavaliere si voltò, l'abbracciò e la baciò e lei rispose al bacio appassionatamente.
Quando le loro labbra si staccarono l'amazzone sorrise amaramente, "Kreshicotal è troppo ferito per combattere", lo strinse forte poi si staccò da lui ed urlò, "Tutti ai loro posti!"
Come un perfetto esercito, i difensori rimasti afferrarono le loro armi e si prepararono alla resistenza.

L’assalto fu terribile.
Tutti i demoni, senza esclusione di nessuno, si lanciarono verso le mura e poi sopra di esse.
Sembrava che non pensassero alla loro vita, semplicemente attaccavano selvaggiamente cercando di uccidere più esseri possibile.
Già molti di loro erano caduti abbattuti dalle armi dei difensori, ma erano ancora un’infinità.
I campioni di Faerie si ritrovarono ad arretrare sempre di più, prima perdendo i bastioni, poi dovendo scivolare sempre più in basso nel cortile principale.
Ora i demoni, che erano ancora tantissimi, si preparavano all’assalto finale, assaporando il gusto della vittoria finale.
Dopo un ulteriore ruggito i mostri sciamarono su di loro da tutte le direzioni.


Fu in quel momento, nel momento in cui tutto era perduto, che Menion comprese cosa fosse e dove si trovasse Faerie.
Certo, a stare attenti, Tintinnio gli aveva dato parecchi indizi, senza mai dirlo chiaramente.
Come quando aveva detto che, "Fin dall’alba dei tempi, quando le fondamenta del regno di Faerie erano state erette sulla trama dei sogni..." oppure quando aveva chiamato gli indefiniti confini di Faerie come "il confine dei sogni" oppure quando aveva accennato al fatto che il regno "aveva mutato dimensioni nel corso del tempo".
Anche lui si era spesso chiesto perché, se quella terra fatata era in grado di farlo spostare in ogni tempo, poteva andare solo sulla Terra. Era certo che, nell’universo, esistessero anche altre forme di vita, probabilmente progredite come quella umana o forse anche di più, ma i Cavalieri vegliavano solo sul passato della Terra.
Ora tutto gli era chiaro.
Che stupido che era stato a non arrivarci subito!
Maledizione alla sua mente razionale e logica!
Faerie non esisteva nello stesso modo e senso delle altre terre che conosceva.
Non era un luogo fisico che si potesse raggiungere con un viaggio terrestre o spaziale.
Faerie era magia pura... anzi Faerie era fantasia pura!
Quel regno era stato creato nei sogni umani... sui sogni umani... anzi dai sogni umani!
Fantasia, creatività, amore, sogno, tutto quello era Faerie; tutto quello era la materia prima con cui era costruito.
Ed erano i sogni degli esseri umani a crearla e plasmarla, per questo "aveva mutato dimensioni nel corso del tempo", perché i sogni cambiano e si modellano a seconda del periodo storico in cui ci si trova e per quello si poteva viaggiare solo verso Terra... perché anche se nei sogni non c’è limite, il regno fatato era figlio dei sogni della Terra ed indissolubilmente legato ad essi.
Quella convinzione gli fece capire che, se i demoni avessero davvero vinto, avrebbero spazzato via la fantasia umana, il suo poter immaginare cose nuove, la sua creatività.
Ma quella scoperte gli diede anche una nuova arma.
"Se siamo in un regno creato dai sogni tutto è possibile qui", pensò sollevandosi da terra con fatica, respingendo indietro il dolore e la sofferenza delle ferite subite, "Non posso morire, non ora che ho ritrovato Olimpia!"

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Capitolo 30
*** Capitolo 29 ***


Improvvisamente vide che tutto si era bloccato.
Vide i demoni immobili nell’atto di attaccare e finire i difensori.
Vide i suoi compagni pronti a vendere cara la pelle, ma con negli occhi la convinzione che tutto fosse inutile e che quella fosse la fine.
Vide Olimpia brandire a due mani il suo bastone per difendere Tintinnio che era stata scagliata a terra dietro di lei.
Vide Cyrano combattere fianco a fianco con il re dei giganti.
E vide che i demoni, nonostante tutti i loro sforzi erano ancora troppi.
Ma tutto era fermo, come congelato.
"Ne hai impiegato di tempo per capire, giovane cavaliere"
Si voltò e vide Due Lune troneggiare a braccia conserte dietro di lui.
Il nativo americano aveva scolpita sul viso la solita espressione indecifrabile.
"Che cosa sta succedendo?", la voce di Menion pareva rimbombare in quell’immobilità.
"Cosa credi stia succedendo?", rispose enigmaticamente il condottiero Cheyenne.
Il giovane avvampò, "Basta sono stufo!", esclamò non riuscendo più a trattenersi, "Sono stufo di giochi, enigmi e quant’altro! Sono stufo di essere usato da tutti per i loro comodi! Parla chiaramente per una volta!"
L’altro, per la prima volta, sorrise apertamente allargando le braccia, "E sia"
Tutto attorno a loro scomparve e si ritrovarono in un'istante all’interno di una caverna oscura, illuminata da uno strano chiarore verdastro proveniente da del muschio.
Tutto attorno a loro si potevano scorgere decine, centinaia, migliaia di enormi uova.
"Queste sono le uova dei draghi?", chiese il giovane ancora confuso da quella sorta di spostamento magico.
L’altro annui e poi indicò l’uovo più vicino.
La sua superficie, un tempo perfettamente liscia, era stata incrinata da una profonda crepa.
Poi un’altra.
Poi un’altra.
Il settimo cavaliere si accorse che anche le altre uova si stavano schiudendo.
"Questo significa che Faerie è perduta?", lo sguardo di Menion era ricolmo di tristezza.
"No, significa che Faerie è salva!", esclamò il nativo americano, "Quello che stai vedendo è avvenuto dieci minuti fa quando il demone condottiero è caduto... quando il male è piombato a terra..."
In un lampo erano di nuovo sul campo di battaglia e prima che lui potesse fare altre domande il tempo tornò a scorrere normalmente.
Parò l’affondo di un mostro più per istinto che per abilità e poi corse fino in prossimità di Olimpia.
"Ti amo", gli disse lei mettendosi spalla contro spalla con lui, "Mi dispiace solo di dover morire dopo averti ritrovato"
"Non moriremo!", la sua voce era determinata.
Il terreno tutto attorno a loro esplose verso l'alto, scaraventandoli a terra, e gettando pietre, polvere e sabbia ovunque.
Tutti finirono per perdere l'equilibrio mentre una massa informe fatta di decine, anzi migliaia di creature alate sciamavano dal sottosuolo tutto attorno a loro a folle velocità.
Kreshicotal sollevò il capo dal suolo e sgranò gli occhi per la felicità.
Lo sciame di piccoli draghi formò una specie di vortice che travolse tutto e tutti.
Quando passò e si alzò in alto, all’interno del cortile, ora disastrato, erano presenti solo i difensori.
In alto nel cielo i piccoli draghi avevano abbandonato la formazione compatta e si erano diretti ognuno in una direzione diversa.

I sopravvissuti si guardarono l’un l’altro sconcertati.
"Ah stavolta pensavo proprio che sarebbe stata la fine!", esclamò Cyrano sollevando le braccia al cielo e lanciandovi il suo cappello.
Olimpia si era stretta a Menion in un abbraccio, "Come sapevi del loro arrivo?"
"Ho visto il momento in cui si sono schiuse le uova", rispose lui sorridendo, "Mi ci ha portato Due Lune"
La ragazza sembrava incuriosita, "E chi sarebbe questo Due Lune?"
Il cavaliere la guardò sconcertato, "Come sarebbe a dire chi era? E’ stato con noi fin dall’inizio..."
"Non c’era nessun altro con noi a parte Alessandro", rispose l’amazzone confusa, "Poi voi avete incontrato Cyrano e noi i sopravvissuti", anche Tintinnio si era avvicinata.
"Diglielo tu!", insistette il giovane rivolta alla sua Voce, "Dille chi era Due Lune"
La fatina parve sorpresa, "Non conosco nessuno con questo nome Menion... sei sicuro di stare bene?"
Il settimo cavaliere si guardò intorno come in cerca di aiuto, "Perché nessuno si ricorda di lui?"
Gli altri che gli erano vicino lo guardarono confusi, ma poi furono travolti dai festeggiamenti.
Olimpia strinse forte Menion che si lasciò riempire anche lui della gioia di essere vivi.
Quando sollevò lo sguardo vide che sopra di loro, le due lune di Faerie splendevano come a festeggiare anch’esse la vittoria.

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Capitolo 31
*** Capitolo 30 ***



"Ed ora?", chiese incerto Menion.
"Ora dovremo ricostituire i Cavalieri di Faerie e ricominciare tutto da capo", rispose Tintinnio.
"Ma niente sarà più come prima...", mormorò l’ex settimo.
"Il mondo non è mai uguale a sé stesso ed è proprio questo il bello!", Cyrano gli rifilò un’amichevole pacca sulla spalla.
"Il nostro nuovo Primo Cavaliere ha ragione", esclamò la fatina.
"Primo?", il poeta era sinceramente sorpreso.
"Naturalmente, per anzianità, sarai il nuovo Primo Cavaliere", rispose Tintinnio risoluta, "Ed appena l’allegria tornerà nel mondo, vedrete che avremo di nuovo delle altre Voci..."
Il ragazzo ricordò che la fatina gli aveva detto che le fate nascevano dalle risate dei bambini, a dirla tutta non le aveva creduto, ma ora non era più così scettico.
"Allora tu, amica mia, per anzianità, sarai la nuova regina delle fate?", chiese con dolcezza il ragazzo.
"Sarebbe un onore immenso per me, ma Menion, io voglio restare per sempre la tua Voce!", rispose lei arrossendo, il ragazzo allungò una mano e la sfiorò con una carezza, teneramente.
"Beh, ora siamo rimasti in due cavalieri", mormorò il ragazzo, "Ma io voglio restare il settimo, ci sono affezionato a questo numero!"
"Siamo in tre mio caro compagno!", riferì il guascone, "Il mio primo atto da Primo Cavaliere è dare l’investitura alla qui presente Olimpia di Poteidea", baciò la mano alla giovane che era esterrefatta, "Benvenuta tra noi, Secondo Cavaliere di Faerie!"
La greca era ancora confusa non sapendo bene cosa comportava la nomina, ma Menion si affrettò a stringerle la mano rincuorandola e sussurrandole, "Così avremo una buona scusa per continuare a vederci", la giovane lo guardò e sorrise stringendogli a sua volta la mano.
"E poi dovremo rimboccarci le maniche per cercare gli altri candidati!", continuò il poeta.
Nel frattempo, attorno a loro, si erano radunati i sopravvissuti di Faerie: elfi, nani, gnomi, silvani, centauri, Z’sta, animali magici e mille altre specie si stavano accalcando per vedere quello sparuto gruppetto che era stato artefice della loro salvezza.
"Cyrano, cosa ne dici di una presentazione ufficiale?", sussurrò sotto voce il ragazzo avvicinandosi al nasuto spadaccino.
"A te l’onore", gli rispose lui con un lampo beffardo negli occhi.
Menion rimase interdetto, sperava che il poeta componesse, su due piedi, una presentazione come quella per i Cadetti di Guascogna, ma lui l’aveva incastrato rimandando al mittente la proposta.
"Bene, accetto la sfida!", pensò schiarendosi la voce ed attirando l’attenzione di tutti i presenti.

"Son questi di Faerie i Cavalieri,
Protettori dei nessi passati!
Forse sono un tantino troppo seri,
ma di certo sono molto affiatati.
Parla il blasone, chiari i pensieri
Son questi di Faerie i Cavalieri,
Protettori dei nessi passati.
Begli elmi, lucenti schinieri,
dure corazze, forti spade.
Son guidati da splendidi consiglieri
e il mondo difendon dagli stranieri,
senza bisogno di lunghe sciarade.
Come il divino Dante Alighieri,
il loro motto mai decade.
Difendono il bene più che volentieri,
e mai deviano dai loro sentieri,
Nonostante sian stati decimati.
Son questi di Faerie i Cavalieri,
E da tutti e sempre saranno amati!"

La folla proruppe in un applauso, mentre Cyrano fece un inchino ammirato di fronte a Menion.
"Ora dobbiamo cercare altri candidati ad entrare nei nostri ranghi...", Cyrano si fermò osservando il volto di Menion, "Qualcosa non và?"
"E’ che ho pensato ad una cosa...", guardò gli altri con aria furbetta e con gli occhi che gli brillavano per l'emozione, "Faerie è fuori dal tempo ed è connessa ad innumerevoli realtà diverse, quindi non abbiamo limitazioni nel cercare i sostituti, possiamo pescare dal presente e dal passato e non è detto che dobbiamo pescare dal passato della nostra linea temporale, ne esistono infiniti!"





Nota: Siamo arrivati al penultimo capitolo, il prossimo sarà l'epilogo.

Anche qui, l'ho citato e non posso esimermi dal pubblicarlo. Intendo la presentazione che fa Cirano dei Cadetti di Guascogna e che io qui mi sono divertito a storpiare ed adattare alla presentazione dei Cavalieri di Farie.

Son questi i cadetti di Guascogna
di Carbon di Castel-Jaloux,
mentono e brigano senza vergogna
tutti più nobili tra che vi fu,
Parlano blasone, cuore Borgogna
son questi i cadetti di Guascogna
di Carbon de Castel-Jaloux.
Occhio d'aquila, gamba di cicogna
baffi da gatto, zanne di lupo
caccian la feccia fin nella fogna
vanno adorni del vecchio vigogna
di cui la piuma copre lo sciupo.
Petto in gloria, anima che sogna,
bucabudella scassacarogna
è il vezzeggiativo meno cupo.
Ovunque ci sia da grattar rogna
è lì che si danno rendez-vous.
Son questi i cadetti di Guascogna!
Corna e gelosi, fiamme e Belzebù!

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Capitolo 32
*** Epilogo ***


La folla si era accalcata nella piazza. Erano inferociti e volevano sangue. La giovane donna era tremendamente spaventata, ma non aveva urlato né chiesto pietà mentre veniva legata al palo e mentre le fascine venivano accatastate tutto attorno a lei. L’uomo la guardò fisso negli occhi chiedendole se avesse qualcosa da dire, lei annuì.
"Tenete un crocifisso sopra i miei occhi così ch'io possa vederlo fino alla morte", non osava dire di più perché temeva che la paura le facesse uscire dalla bocca qualcosa di cui si sarebbe pentita. Quando le fiamme iniziarono ad ardere chiuse gli occhi chiedendo aiuto alla Voce che aveva sempre sentito nella mente e che l’aveva guidata sin da quando era poco più che una bambina. Grazie a quella voce, da semplice pastorella era diventata una condottiera e per lei fu naturale, negli ultimi istanti della sua vita, cercare conforto in essa. E la Voce giunse, rincuorandola e dicendole di avere fiducia. Ebbe fiducia anche quando sentì il calore delle fiamme lambirle le membra, sempre più forte. Non vacillò neppure allora.
Improvvisamente non sentì più il bruciore, né le corde che la bloccavano e riaprì gli occhi confusa.
Si trovava, seduta sull’erba, in una splendida radura, in mezzo ad un boschetto d'alberi ad alto fusto, vicino a lei gorgogliava un torrentello che formava una piccola cascata. Tutto intorno si potevano udire i suoni della natura: i fruscii nei cespugli, i richiami degli uccelli, lo scrosciare di un fiumiciattolo.
Di fronte a lei stava un ragazzo, abbigliato con un’armatura leggera ed un tabarro azzurro raffigurante una rosa dei venti bianca e blu che le stava porgendo una mano per farla alzare.
Lei accettò quell’aiuto, titubante.
"So che hai tante domande in testa", disse lui sorridendole con molta premura nella voce.
Avrebbe dovuto avere paura di quello strano ragazzo e di quella situazione, ma il modo in cui la guardava ed il calore nella sua voce la rendevano tranquilla, era come stare di fronte ad un fratello: maggiore a giudicare dalle rughe che lui aveva sulla fronte e vicino agli occhi.
"Il tuo compito non è ancora terminato, anzi è appena all’inizio", disse lui facendole segno di seguirlo e guidandola lungo un sentiero, "Ho tante cose da spiegarti e da dirti, ma forse è meglio iniziare dal principio: ben tornata a casa Giovanna, mi sei mancata tanto!"




Ed eccoci giunti alla conclusione. Spero che il racconto vi sia piaciuto... arrivederci a presto :D

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