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Ciao Gioie era da un po’
che non ci si vedeva ^^. Quindi eccomi con una nuova storia
ma questa volta, sui personaggi di Harry Potter. I capitoli saranno
corti perché dovevo rientrare in un certo limite. Spero vi piaccia. Aspetto
ansiosa i vostri commenti.
Un bacio.
Amalia.
Quarta classificata al concorso “I
Edizione Contest Artistico - Storie, coppie e colori” di MaBra
Nick: Amalia89
Titolo:Exposed fantasy
Coppia assegnata: Luna e Charlie Altri personaggi: Famiglia Weasley – Dracula – Vaiolet –Xenophilius
Lovegood.
Pairing: Luna – Charlie
Prompt: Dafne e Apollo
Genere: Sentimentale - Drammatico
Rating: Verde
Avvertimenti: Long Fic
Trama: Una Luna persa come sempre nella semplicità e nella purezza dei suoi
pensieri, conoscerà per la prima volta l’amore, un sentimento che le farà così
paura, da mutare la sua natura ed il suo destino per
sempre.
NdA: Apollo e Dafne, per me rappresentano l’amore nella sua chiave più suprema. Da una parte, abbiamo un Apollo innamorato
perso e dall’altra, una Dafne terrorizzata dall’amore di quel giovane eroe. Il
sacrificio e il dolore della perdita racchiuse in due semplici figure ed in una breve leggenda intrisa di tutta la disperazione
che questo sentimento può portare.
Capitolo 1
Finalmente erano arrivate le vacanze Natalizie, da quando
non c’era più mamma, io e papà non le passavamo più a casa.
Eravamo soliti fare qualche viaggio strano, particolare,
visitando posti che non avevamo mai visto.
Quest’anno, ci saremmo recati in Romania, dove si sarebbe
tenuta la mostra di quadri più popolare del mondo magico la “Exposed fantasy”, giunta
alla sua centocinquantesima esposizione.
Le iscrizioni erano aperte a tutti, bastava saper disegnare ed avere fantasia. Certo, c’erano anche regole molto severe,
controlli minuziosi affinché nessun mago imbrogliasse, creando il dipinto con
la magia.
«Luna sei pronta?». La voce di papà
mi raggiunse dal piano inferiore della mia casa.
«Sì, scendo». Risposi, chiudendo il bagaglio e
raggiungendolo.
Quando lo vidi, un sorriso spuntò
naturale sul mio volto. Aveva lunghi pantaloni neri, decorati con centinaia di
stelline gialle, la camicia era tutta stropicciata e di un rosso così acceso,
che ipnotizzava ed, ovviamente, il suo inseparabile
cappello blu a punta, cosparso di lune bianche.
Ci incamminammo fuori, sul vialetto, parlottando del più e
del meno.
Aveva sentito che alla mostra di quest’anno, avrebbe
partecipato anche uno dei fratelli Weasley, ma non sapeva quale con esattezza,
erano così tanti…
Quando arrivammo in aeroporto, come
sempre, i babbani che perquisivano al metal detector, fecero storie con papà,
era un tipo bizzarro e in loro, suscitava sospetti ed ansia.
Quando finalmente ci lasciarono passare, si lamentò di
quanto fossero seccanti tutti questi controlli.
«Incredibile! Tengono fermo me per mezz’ora e fanno salire a bordo gente molto più
pericolosa. Avrebbero bisogno di qualche mia invenzione». Inveì, sistemandosi
il cappello sulla testa.
«Sono controlli necessari papà e per la loro sicurezza».
Ribattei, con il mio solito tono pacato.
Salimmo sull’aereo ed ovviamente,
non mancarono gli sguardi straniti e divertiti dei passeggeri ma a noi, non
interessava.
Amavamo viaggiare sui mezzi babbani, soprattutto papà.
Per passare il tempo, sfogliai una copia del giornale di nostra
proprietà, “Il Cavillo”.
Nel numero di questo mese, papà aveva trattato il problema
dei morbillini, piccole creature rosse e rotonde, che si attaccavano alla pelle
dei bambini babbani e non.
I medici sostenevano che fosse una specie d’infezione
cutanea, ma lui, che ne aveva studiato uno da vicino, diceva che in realtà erano
dei dispettosi animaletti che portavano un gran fastidio e prurito, ed il modo migliore per disfarsene, era bagnarli con del
talco ai fiori di lilium, sostanza alla quale erano molto allergici.
Durante il viaggio, ci offrirono cibo e bevande, papà non
mangiò nulla, troppo eccitato all’idea di andare finalmente a vedere la mostra
di cui tanto aveva sentito parlare.
«Luna, mi raccomando ricordami di darti la pozione quando
saremo arrivati al castello».
«Quale castello?». Domandai incuriosita.
«La mostra si terrà in Romania, ma
noi alloggeremo assieme ad altri come noi in Transilvania, nel castello del
signor Dracula. La pozione serve per renderci meno… appetibili». Bisbigliò,
avvicinandosi al mio orecchio.
Asserii, perdendomi nei miei pensieri.
Non mi accorsi del tempo che era passato, così, quando
all’altoparlante annunciarono di allacciarci le cinture perché stavamo per
atterrare, mi stupii di quanto fosse passato velocemente.
«Sono già le quindici, tra venti
minuti dovremmo essere alla passaporta! Sbrighiamoci».
Si muoveva veloce in mezzo alla gente, afferrammo i nostri bagagli ed uscimmo dall’aeroporto.
Faceva freddo, così mi strinsi nella mia giacca foderata di
peli di colorosus, un piccolo animaletto che prendeva il nome grazie al calore
della sua pelliccia.
La cambiava ogni venti giorni, l’avevo raccolta per sei
lunghi mesi prima di riuscire a foderarmi il giubbotto.
Seguii papà lungo un sentiero tortuoso, c’eravamo
allontanati dalla strada, inoltrandoci in un piccolo boschetto.
Sentimmo delle voci provenire a poche centinaia di metri da
noi, ci affrettammo e finalmente trovammo un altro piccolo gruppetto di maghi.
Erano quattro, tutti attorno ad una pallina da tennis.
«Buon pomeriggio». Salutai.
Si voltarono verso di me ed i loro
occhi, caddero sui miei orecchini a lampadario, sorrisi, per ringraziare del
muto complimento.
Se li fissavano con così tanta intensità, forse voleva dire
che gli piacevano.
Ebbero appena il tempo di ricambiare il nostro saluto, che
la passaporta s’illuminò, questo voleva dire che di lì a qualche secondo, sarebbe
svanita.
Ci affrettammo a poggiarci sopra le dita e come sempre, fummo
risucchiati da un vortice immenso e catapultati nella
nostra realtà.
Atterrammo tutti in piedi ed io, mi guardai attorno
meravigliata.
Eravamo in cima ad una collina
rocciosa e sotto di noi, una folla di gente in scopa spingeva per entrare
all’interno della stanza che ospitava la mostra.
Era sospesa nel nulla a centinaia di metri dal suolo, aveva
una forma circolare, tranne che all’entrata, dove una lunga e quadrata
scalinata bianca, faceva bella mostra di sé.
Salimmo sulle scope messe in dotazione per l’evento e ci
mettemmo in coda.
Ero impaziente di vedere i mille colori sgargianti, di
sentire l’odore acre di tinta e magia. All’improvviso, fui sicura al cento per
cento, che quella che stavo per vivere, sarebbe stata una delle esperienze più
belle della mia vita.
Salve a tutti, prima di lasciarvi alla lettura del capitolo, vorrei fare
una piccola osservazione
Salve a tutti, prima di lasciarvi alla lettura del capitolo,
vorrei fare una piccola osservazione.
Ho visto che un po’ di persone hanno letto il primo capitolo
ma con mio rammarico, solo una ha commentato. Non vi piace la storia? E’ così orribile?
Davvero preferisco che me lo diciate che leggere il numero 0 sulle recensioni.
Spero che questo abbia più successo.
Buona lettura.
Rispondendo a Dindy80
Grazie per i complimenti! No no, come avrai capito dalla mia nota, preferisco di gran
lunga che i commenti vengano lasciati qui. E’ davvero avvilente vedere che le
storie non hanno recensioni…
Spero che anche questo possa
piacerti! Un bacione e grazie di cuore per la recensione ^_^.
Amalia.
Capitolo 2
Eravamo in coda da più di un’ora e la gente non faceva che spingere. Non capivo
il perché di tutto quel caos, tanto saremmo comunque entrati tutti.
«Che villani». Commentò papà, indispettito.
Sorrisi, per quanto mi riguardava, erano solo impazienti di entrare.
Forse era causa della mia visione del mondo, sapevo che esistevano persone e
cose cattive, ma ero anche a conoscenza del fatto, che se volevo vivere bene
dovevo essere in grado di sorridere sinceramente a chiunque, mostrando
gentilezza ed educazione.
«Ehi Luna!». Mi voltai, per vedere chi mi aveva chiamato ed alle mie spalle,
notai Ronald Weasley con tutta la sua famiglia.
«Ciao Ron, signori Weasley». Salutai, accompagnando le mie parole con un cenno
della mano.
Erano persone adorabili, come del resto, quasi tutte quelle che conoscevo.
«Avanti, avanti! Non perdete tempo!». Un signore barbuto ci incitò ad entrare,
finalmente, nel salone.
Poggiammo le scope e percorremmo i pochi gradini che ci dividevano
dall’entrata. Ero eccitata, non vedevo l’ora di entrare.
«Buon pomeriggio e buona visita». Ci augurò una signorina molto carina e
cortese, strappandoci i biglietti.
Rimasi incantata da tanta meraviglia. Le mura cambiavano colore ad
intermittenza, prima bianche, poi gialle, verdi ed ancora rosse, viola e nere.
Era pieno di gente che chiacchierava e guardava delle mappe per orientarsi
all’interno della mostra, i quadri erano animati ed i personaggi, assumevano
una propria realtà.
«Luna cara, ci vediamo qui alla chiusura, così entrambi saremo liberi di
visitarlo come preferiamo» Mi salutò papà, dandomi un bacio sulla guancia.
Asserii, seguendo poco le sue parole.
Presi una mappa dell’espositore ed iniziai a guardarla, quando l’aprii, vidi
che le linee che rappresentavano i muri di divisione, cambiavano colore proprio
come quelli reali, e di lato, c’erano scritti tutti i nomi delle opere e dei
loro autori.
Alla fine, decisi che andare ad istinto era la cosa migliore. Sorridevo a tutti
quelli che mi passavano accanto e mi guardavo attorno meravigliata da ogni
colore e da ogni disegno.
Una donna che stendeva i panni, un papà che incartava con la bacchetta magica i
doni natalizi, gli Elfi, impegnati a preparare i banchetti.
Sembravano scene di vita quotidiana, nulla di particolare se non nelle tecniche
di pittura.
Non mi soffermai su nessun quadro in particolare ed in poche ore, fui al
penultimo corridoio, mi metteva gioia stare in mezzo a tutta quella gente
felice, sorridente e questo, mi bastava.
Ad un certo punto, posai lo sguardo su un quadro, l’unico che era riuscito a
catturarmi in quel modo.
Mi avvicinai, per osservarne i particolari da vicino. Rappresentava due draghi,
una femmina, con le squame rosate ed un maschio, color arancio molto accesso.
Il primo, aveva il corpo che si dissolveva in petali di rosa rossa, mentre il
secondo li raccoglieva disperatamente, ma questi, volavano via, scivolandogli
dalle zampe e poi, tutto iniziava da capo. Il drago femmina intero, che
sembrava fuggire dal maschio, prima di tramutare tutto il suo essere in petali
di fiori che esso cercava di raccogliere.
Sembrava così realistico che mi venne quasi voglia di toccarlo. Lessi il nome
dell’autore, ma in basso, sulla sinistra, c’erano solo due iniziali scritte in
calligrafia elegante e pesante. C.W.
«Ciao!». Una voce alle mie spalle, mi fece sussultare.
Mi portai una mano sul cuore, mi ero fatta così prendere da quel quadro, da
isolarmi completamente da ciò che mi circondava.
«Scusa non volevo farti spaventare. Sono Charlie Weasley, il fratello di Ron,
tu se non sbaglio sei Luna Lovegood, mio fratello mi ha parlato di te».
Aggiunse, porgendomi la mano.
La strinsi sorridendogli, anche se non mi avesse detto chi era, l’avrei
probabilmente riconosciuto.
Aveva capelli rossi lunghi, raccolti in una coda e gli occhi erano chiari,
incastrati in un viso dalla pelle pallida e lentigginosa.
«Piacere di conoscerti Charlie. Sei tu l’autore del quadro?». Chiesi, provando
a collegare le iniziali al suo nome.
«Sì, sono io». Rispose sorridendo.
«E’ bellissimo, il più espressivo che io abbia visto fino ad ora». Mi
complimentai, esponendogli i miei pensieri.
«Grazie». Arrossì, facendomi ritrovare nei suoi tratti, quelli di Ron.
Tornai ad osservare il disegno, chiedendomi se dietro ad esso, ci fosse qualche
significato.
«Oh, giacché tu sei l’autore, forse puoi soddisfare una mia curiosità». Mi rivolsi
a Charlie, accorgendomi solo in quel momento, che avrei potuto chiedere a lui.
«Certo». Allargò le braccia, come ad invitarmi ad esporre la mia domanda.
«Mi chiedevo a che cosa ti fossi ispirato, nel disegnare questo quadro e che
significato ha». Domandai, sfiorandone i bordi della cornice con i
polpastrelli.
«Facile! Alla leggenda di Apollo e Dafne, non la conosci?». Chiese, poggiandosi
sul muro ed incrociando le braccia.
Scossi la testa. «No».
«Dafne era la figlia e sacerdotessa di Gea, la Madre Terra e del
fiume Peneo. Era una giovane ninfa che viveva serena passando il suo tempo a
deliziarsi della quiete dei boschi e del piacere della caccia la cui vita fu
stravolta a causa del capriccio di due divinità: Apollo ed Eros. Si racconta
infatti che un giorno Apollo, fiero di aver ucciso a colpi di freccia il
gigantesco serpente Pitone alla tenera età di quattro giorni, incontrò Eros che
era intendo a forgiare un nuovo arco e si burlò di lui, del fatto che non
avesse mai compiuto delle azioni degne di gloria. Il Dio dell’amore,
profondamente ferito dalle parole di Apollo, volò in cima al monte Parnaso e lì
preparò la sua vendetta: prese due frecce, una spuntata e di piombo, destinata
a respingere l'amore, che lanciò nel cuore di Dafne ed un'altra ben acuminata e
dorata, destinata a far nascere la passione, che scagliò con violenza nel cuore
di Apollo. Da quel giorno Apollo iniziò a vagare disperatamente per i boschi
alla ricerca della ninfa, perché era talmente grande la passione che ardeva nel
suo cuore che ogni minuto lontano da lei era una tremenda sofferenza. Alla fine
riuscì a trovarla ma Dafne appena lo vide, scappò impaurita e a nulla valsero
le suppliche del Dio che gridava il suo amore e le sue origini divine per
cercare di impressionare la giovane fanciulla». Parlava tranquillamente, come
se quella stessa storia, l’avesse vissuta lui. Io avevo ascoltato piena
d’interesse e fascino nei confronti di quella leggenda che non conoscevo.
Tacqui, aspettando che continuasse, che mi raccontasse la fine, ma non aggiunse
altro.
«E poi?». L’esortai allora, impaziente di sapere.
«E poi… se domani ritornerai qui da me, ti racconterò la fine della storia ed
il nesso logico che ha con il mio quadro. Non dovrai ripagare l’entrata, entri
come mia ospite». Rispose, sfoderando un sorriso a trentasei denti.
Chinai il capo di lato, non capendo quel suo strano comportamento, ma
rassegnandomi a dover aspettare altre ventiquattro ora per conoscere la fine di
quella storia e l’origine del quadro.
«Okay. Allora ci vediamo domani». Sentenziai alla fine, allontanandomi da lui.
Diedi ancora un’occhiata veloce all’ultimo corridoio, prima che annunciassero
che l’Exposed fantasy era in chiusura.
Incontrai papà all’entrata, assieme ai signori Weasley.
«Eccoti!». Esclamò, abbracciandomi.
«Scusa papà, sono rimasta colpita dal quadro di Charlie Weasley, mi ha
raccontato la storia o meglio, parte della storia. Tornerò domani, per farmi
raccontare il resto. Mi ha detto di non preoccuparmi, che entrerò come sua
ospite». Spiegai, tranquillamente.
«Oh bene! Quindi ci vedremo anche domandi?». Domandò la mamma di Ron.
«Certo». Risposi carezzevole.
«Allora a domani Luna».
«Ciao Ron».
Ci salutammo ed ognuno, si diresse verso i propri alloggi, sulla scopa data in
dotazione dal museo. Fuori era calato il buio e trovare il castello fu un po’
complicato.
Per fortuna incontrammo altri maghi diretti lì, che ci fecero strada fin sulla
cima del monte di Transilvania.
Il castello era immenso e pullulava di pipistrelli. Era molto altro ed ogni
tetto terminava a punta.
Prima di entrare, tutti, bevemmo la pozione, per evitare spiacevoli incidenti.
«Benvenuti nella mia dimora. Io sono il padrone della tenuta, il conte
Dracula». Un signore alto, dalla pelle diafana ed i capelli lunghi e neri ci
accolse all’entrata.
«Seguite le mie cameriere, vi mostreranno i vostri alloggi e vi porteranno del
cibo nelle vostre stanze». Aggiunse, prima di mutare la sua forma in
pipistrello e volare via.
Tutto di quel posto era macabro e spoglio e anch’io, che vedevo del buono in tutto,
notai che tra quelle mura, c’era poco da cercare.
La serata passò tranquilla, poco prima di dormire, impegnai la mia mente con
qualche libro d’incantesimi che mi ero portata dietro, ma prima ancora che
potessi accorgermene, il buio mi portò via con sé, facendomi scivolare nella
dolce incoscienza del sonno.
Il mattino arrivò presto, ma se non fosse stato per papà, avrei pensato che
fosse ancora notte.
Le spesse tende rosse erano tirate, per impedire ad ogni singolo raggio di luce
di entrare nella stanza e presto scoprii, in tutto il castello.
Certo, dovevo immaginarmelo, d'altronde ci trovavamo nella casa di Dracula.
Dopo colazione, uscii per andare ad incontrarmi con Charlie Weasley e sentire
finalmente la fine della storia.
«Io vado a fare qualche escursione. So che da queste parti crescono le
Drillicus Asformer. Si dice che siano piante in grado di trasformare un babbano
in vampiro». Disse papà, prima di salutarmi.
Durante tutto il tragitto in scopa, non potei fare a meno di pensare a quale
potesse essere la continuazione della leggenda.
Non avevo mai amato in vita mia, eppure la vicenda di Dafne ed Apollo
m’incuriosiva.
Arrivai di buon ora, entrando nel museo e dirigendomi direttamente nel
penultimo corridoio.
Non c’era la stessa quantità di gente che avevo visto il giorno prima, ma forse
era troppo presto perché le altre famiglie arrivassero.
«Ciao Luna!». Mi salutò un Charlie raggiante e sorridente.
«Ciao!». Risposi, con altrettanta allegria.
«Sei venuta davvero». Osservò, arrossendo nuovamente.
«Certo, non potevo perdermi la fine della storia tra Apollo e Dafne». Sorrisi,
impaziente che iniziasse a raccontarmi.
Si mise davanti al suo quadro e, proprio come il giorno prima, riprese a
raccontare.
«Allora, siamo rimasti a Dafne che vede Apollo ma anzi che corrergli incontro
come lui si aspettava, fugge terrorizzata. Scappò tra i boschi ed accortasi che
la sua corsa era vana, in quanto Apollo la incalzava sempre più da vicino,
invocò la Madre Terra
di aiutarla e questa, impietosita dalle richieste della figlia, iniziò a
rallentare la sua corsa fino a fermarla e contemporaneamente a trasformare il
suo corpo: i suoi capelli si mutarono in rami ricchi di foglie; le sue braccia
si sollevarono verso il cielo diventando flessibili rami; il suo corpo sinuoso si
ricoprì di tenera corteccia; i suoi delicati piedi si tramutarono in robuste
radici ed il suo delicato volto svaniva tra le fronde dell'albero. La
trasformazione era avvenuta sotto gli occhi di Apollo che disperato,
abbracciava il tronco nella speranza di riuscire a ritrovare la dolce Dafne.
Abbracciò l’albero, baciandolo ed accarezzandone ogni singolo ramo, ma esso
sembrava ribellarsi a quelle attenzioni. Allora il Dio deluso disse
:"Poiché tu non puoi essere mia sposa, sarai almeno l'albero mio: di te sempre,
o lauro, saranno ornati i miei capelli, la mia cetra, la mia faretra"».
L’ultima frase la recitò con una mano sul cuore e l’altra verso l’alto,
fissando il vuoto.
Era una storia piuttosto triste, Eros non era stato propriamente gentile con
questi due innamorati ma Apollo, se l’era anche cercata.
«Che storia triste», commentai, lisciandomi i capelli setosi.
Riflettei un attimo, prima di rivolgergli nuovamente la parola.
«Quindi il tuo quadro rappresenta loro, ma i soggetti sono draghi e la femmina,
si trasforma in petali di rosa anzi che in albero?». Chiesi, arrivando a questa
conclusione.
«Esattamente». Rispose fiero.
Annuii sorridendo. Aveva avuto senz’altro una buona idea.
In quel momento, accidentalmente, mi cadde di mano il tesserino che mi avevano
dato all’esterno ed entrambi ci piegammo per raccoglierlo.
In quel semplice gesto, le nostre mani si sfiorarono e provai una strana
sensazione, ritrassi la mia immediatamente, come scottata.
Lui mi fissò in modo strano, porgendomi il pezzo di plastica.
«Che- Che c’è?». Chiesi balbettando.
Lui abbassò il capo scotendo la testa, sembrava afflitto, indeciso, quando lo
rialzò, puntando i suoi occhi chiari nei miei, un fremito mi percorse la
schiena.
«Luna ti sembrerò affrettato forse ma… Mi piaci e credimi, anche se ha
dell’incredibile, mi sono innamorato di te. Lo so che ci siamo visti appena
mezz’ora in tutto ma… Quando sto con te mi sento strano, diverso». Quando
rispose alla mia domanda, mi maledii per averla fatta.
Mi sentivo spaesata, una sgradevole sensazione mi attanagliava lo stomaco, la
testa mi girava fastidiosamente, le mani cominciarono a sudare e un’imminente
voglia di fuggire da quel posto avvolse ogni parte del mio corpo.
«Forse è meglio che io vada». Sussurrai arretrando.
«No Luna aspetta, non volevo spaventarti…». Allungò una mano per afferrarmi ma
fulminea mi ritrassi scappando a gambe levate.
Raccolsi la scopa e volai via, con tutta la velocità che mi permetteva di
raggiungere quel mezzo.
Arrivai al castello e senza guardare in faccia nessuno, corsi su nella mia
stanza, in preda ad una confusione tale da annebbiarmi i sensi.
Salendo le scale di corsa, urtai contro una ragazza dai capelli rossi che mi
guardò in modo strano, sorridendomi, quasi soddisfatta.
«Ti stavo aspettando Luna… Sono Vaiolet e sono la soluzione di tutti i tuoi
problemi».
Allora, siamo arrivate già alla fine di questa storia, era una breve ff,
come vi avevo già avvisate
Allora,
siamo arrivate già alla fine di questa storia, era una breve ff, come vi avevo già avvisate.
Mi
spiace solo che non abbia avuto commenti come le altre, ma ringrazio comunque
chi l’ha letta o chi semplicemente le ha donato un po’ delle sue attenzioni.
Rispondendo
a Dindy80: Grazie cara per aver nuovamente recensito, Vaiolet beh… Non posso
dire nulla, leggerai tutto in questo capitolo XD. Spero che alla fine,
apprezzerai comunque la storia XD. Anche a me Luna è sempre piaciuta, sai al sua aria un po’ sbarazzina mi ha sempre incuriosita… Ora
ti lascio, augurandoti buona lettura. Un bacio Amalia.
Capitolo 3
Vaiolet, era una ragazza strana, mi portò con lei
all’interno della sua stanza, che era molto simile alla mia.
Ci sedemmo e mi offrì un bicchiere di burrobirra caldo.
«Grazie». Farfugliai, ancora un po’
sotto shock.
Non riuscivo a capire che cosa mi stesse succedendo, le
parole di Charlie mi avevano scossa, terrorizzata, in
qualche modo, avevo collegato questo fatto con la leggenda che mi aveva
raccontato.
«Ti aspettavo. Ti ho vista arrivare nella sfera…». Cominciò a parlare, con voce
melliflua, incrociando le mani a preghiera e distogliendomi dai miei pensieri.
«Sai leggerle?». Domandai in un sussurro.
Lei annui, alzandosi ed andando ad
aprire una piccola borsa di pelle nera, con i ganci in oro.
Ne estrasse una piccola ampolla di vetro, che conteneva un
liquido nero, con qualche sfumatura rossa.
Prese una mia mano, e me la posò sul palmo, facendomi
chiudere poi le dita intorno.
«Questa risolverà tutti i tuoi problemi». Mi sorrise,
fissandomi in modo strano.
«Che cos’è?». Chiesi, osservandola da vicino e poggiando il
bicchiere che tenevo ancora stretto.
«Una pozione… Bevila».
Sollevai il mio sguardo su di lei, davvero mi credeva così
sprovveduta?
«A che cosa serve?». Chiesi ancora, senza abbandonare il
grigio topo dei suoi occhi.
«Ogni qualvolta che incontrerai
l’amore sulla tua strada, il tuo corpo si tramuterà in farfalla. Riprenderai le
sembianze umane non appena ti allontanerai da quel sentimento». Spiegò
stizzita, quasi infastidita dalle mie domande.
Non mi fidavo, chi mi diceva che quello in realtà non era
veleno? Alla fine non la conoscevo e per quanto fossi spaventata, non ero certo
intenzionata a trangugiare una pozione della quale non sapevo nemmeno
l’esistenza.
«Ti ringrazio, ma è meglio che li risolvo in un altro modo i
miei problemi». Posai la boccetta sul letto e mi alzai, per tornare nella mia
stanza.
Lei mi bloccò per un braccio, penetrandomi con il suo
sguardo.
«Tienila sempre con te». Insistette, ponendola di nuovo sul
mio palmo.
Strinsi la mano e senza aggiungere una parola, uscii dalla
stanza.
Che strana ragazza… Perché voleva aiutarmi se nemmeno mi
conosceva?
Scossi la testa, non era certo il caso di aggiungere un
altro pensiero ad offuscarmi la mente.
Passai il resto della giornata all’interno del castello, ne
approfittai per fare qualche giro nei corridoi di pietra fredda, ma non vidi
nulla d’interessante.
Per questo, la maggior parte delle ore, le impegnai in
letture ed esercizi d’incantesimo, feci anche qualche compito, nell’attesa che
mio padre rientrasse.
«Luna! Sei già qui?». Domandò, entrando in stanza all’improvviso.
Non mi spaventai, ero abituata ai suoi interventi
inaspettati.
«Sì, non mi andava di stare fuori». Risposi sorridendo.
La cena arrivò poco dopo e la passai ad ascoltare tutti i racconti
incredibili di papà.
Non aveva trovato la pianta che tanto cercava, ma aveva
visto animali nuovi, insoliti, ai quali non sapeva attribuire un nome, fiori
dai mille colori e babbani ancora più stravaganti di quelli dove vivevamo noi.
Aveva anche provato a comprare un souvenir, ma la commessa
del negozio nel quale era entrato, parlava una lingua a lui incomprensibile e
così, si era ritrovato a mani vuote.
«Domani vieni a visitare il paese
con me?». Domandò, infilandosi sotto le coperte.
«Sì, mi sembra una buona idea». Risposi, spegnendo il
lumino.
Quando poggiai la testa sul cuscino, la calma si era
impadronita di tutto il mio corpo.
Più nessun pensiero su Charlie o sulla sua strana
confessione.
La boccetta misteriosa, era chiusa
al sicuro dentro la mia borsa e con essa, tutte le mie paure.
Mi svegliai di buon ora, pronta per
ricominciare tutto da capo. Volevo vivermi la giornata in assoluta
tranquillità, girare, ridere e scherzare con papà. Nient’altro.
«Già sveglia Luna». Chiese, uscendo dal bagno vestito.
«Sì, pochi minuti e sarò pronta».
«Ti aspetto sotto».
M’infilai nella doccia calda e ne approfittai per rilassarmi
un altro po’.
Esattamente venti minuti dopo, fui nell’atrio assieme a mio
padre.
«Buona giornata». Ci salutarono le cameriere, chiudendoci il
portone alle spalle.
Non prendemmo le scope, ma percorremmo a piedi il sentiero
di pietra che conduceva alla città.
Si poteva sentire il rumore del vento scuotere gli alberi e
i gufi bubulare, mi strinsi nel cappotto, rabbrividendo appena.
Ci impiegammo una buona mezz’ora, tempo nel quale, rimanemmo
nel più assoluto silenzio, ci guardavamo entrambi attorno, cercando di
memorizzare più dettagli possibili.
Tuttavia, appena arrivammo al fondo, mi sentii ghiacciare il
sangue nelle vene. L’intera famiglia Weasley, era lì, ferma ad
osservare una strana pianta, compreso Charlie.
«Oh signor Xenophilius, buongiorno!». Salutò il padre di
Ron.
«Ciao Luna, tutto bene?». Chiese il mio compagno di scuola,
avvicinandosi.
«Ciao Ron, sì tutto Okay. Tu?». Risposi, fingendo disinvoltura.
«Non c’è male».
Papà e Arthur, iniziarono a parlare e la signora Weasley, andò avanti con Ginny, la figlia più piccola.
Gli altri fratelli non c’erano e dopo uno sguardo
imbarazzato di Ron, Charlie ed io, restammo da soli.
Passeggiavamo dietro agli altri, cercavo d’essere spontanea,
ma era difficile con lui accanto.
Sapevo che cosa provava per me, era stato chiaro il giorno
prima, ma speravo che con il mio comportamento potesse capire che io, non ero
interessata a lui, né a nessun altro per il momento.
«Allora… Bello qui, vero?». Iniziò a parlare, per mettere in
piedi una conversazione.
«Sì, molto». Mi limitai a dire, per non incoraggiare una
continuazione.
«Girerete con noi oggi?». Continuò imperterrito.
«Non lo so, dipende da papà». Il mio tono era incolore,
sicuramente il più freddo e distaccato che avevo usato in tutta la mia vita.
«Senti, per ieri...».
Sospirai tanto rumorosamente da zittirlo.
«Charlie… Io non… Non mi va. Non
voglio avere nessuna storia, non ora». L’interruppi, provando ad essere chiara.
Ma mi riusciva difficile, non ero
abituata a certi discorsi.
Nonostante tutto, la mia breve frase sembrò funzionare, non
mi rivolse più la parola ed io, potei godermi il mio giro in assoluta allegria
e spensieratezza.
Quando fu ora di pranzo, ci fermammo tutti in una piccola
locandina, nel cuore della cittadina.
Era calda e molto accogliente, Charlie si sedette vicino a
me, ma finsi di non accorgermene.
«Tu hai già iniziato i compiti Ron?». Chiesi, per evitare
che il fratello maggiore, ricominciasse ad opprimermi.
«Ehm… no… Non ancora». Rispose in imbarazzo.
Non eravamo mai stati grandi amici,
ma c’era un buon rapporto, di cordiale simpatia.
Subito dopo, si rivolse alla sorella cominciando a
raccontarle qualcosa che non capii, aprì il menù facendo scorrere gli occhi su
pietanze che nemmeno conoscevo.
«E’ inutile che tenti la strada
dell’indifferenza. Hai detto che per ora non te la senti, ma ti starò vicino,
fino a quando non lo sarai». La sua voce fu un sussurro e per quanta dolcezza
c’era nel suo tono, a me sembrò più una minaccia.
Lo guardai, senza dire niente, lasciando che dal mio sguardo
trasparissero tutte le mie emozioni; tristezza, frustrazione ed
in parte, rabbia e fastidio.
Mi sorrise teneramente ed io mi voltai, sistemandomi il
tovagliolo sulle gambe, ma non appena misi le mani sotto al
tavolo, lui allungò la sua, intrecciando le nostre dita.
Indispettita da quel gesto, sciolsi subito la stretta,
afferrando la mia borsa ed andando in bagno, lì non
avrebbe potuto di certo seguirmi.
Entrai nella toilette e mi sedetti sul water, aprendo la
borsa in cerca di un fazzolettino per asciugarmi le lacrime che copiose,
bagnavano il mio volto.
Le mie dita, toccarono un materiale duro e freddo, capii subito che era la boccetta che la sera prima mi aveva
dato Vaiolet.
La stappai con mano tremante, se mi fossi davvero
trasformata in farfalla, sarei potuta tornare al castello, avvisando poi mio
padre per non preoccuparlo, tanto valeva provare.
Mi sentii tanto Dafne e il mio
Apollo, era nella stanza accanto alla mia, pronto ad importunarmi con le sue
attenzioni.
Presi un respiro profondo e senza pensarci oltre, buttai giù
la pozione.
Avvertii chiaramente il liquido denso scendere lungo la mia
gola, aveva un gusto terribilmente amaro ma non m’importava, se sarebbe servito
a qualcosa, l’avrei sopportato altre mille volte.
Osservai le mie braccia, notando che il colore della mia
pelle stava cambiando, così come la mia vista ed il
mio udito.
Fu tutto terribilmente veloce ed in
meno di un minuto, presi le sembianze di una bellissima farfalla.
Pov Charlie.
Luna non ritornava al tavolo ed io, come gli altri, iniziavo
a preoccuparmi.
Mamma stava valutando l’idea di andare a vedere in bagno, quando
la mia attenzione fu catturata da una bellissima farfalla.
Aveva dei colori particolarissimi, era azzurra con qualche
sfumatura d’orata, in qualche modo, mi ricordava lei, la ragazza che mi aveva
rapito il cuore, i suoi occhi blu ed i suoi capelli biondi,
lisci e setosi.
Mi chinai sotto il tavolo ed estrassi dalla mia borsa un
contenitore con il tappo forellato. L’animale volava in modo strano, quasi
insicuro, fu facile prenderlo.
Chiusi la farfalla dentro al barattolo
vetro e la riposi nel mio zaino, l’avrei sicuramente aggiunta alla mia
collezione.
«In bagno non c’è. Ho trovato solo
i suoi vestiti». La voce allarmata di mia sorella, mi
fece tornare bruscamente alla realtà, che fine aveva fatto?
Tutti ci mobilitammo per cercarla. Ispezionammo tutto il
locale, ma di lei, nessuna traccia.
Il dolore m’avvolse con la stessa
velocità con la quale il mio cuore si era riempito dell’amore per lei, in un
attimo.
Qualcosa mi diceva… Che l’avevo appena persa, per sempre.
10 anni dopo.
Seduto alla mia scriva, stringevo tra le mani una delle
teche più belle che avessi. Era di vetro fine con i bordi in oro.
Sfiorai con i polpastrelli il coperchio che mi separava da
quella piccola creatura.
Era la farfalla più bella che io avessi mai visto, la più
bella di tutta la mia collezione.
Unica, non solo nell’aspetto ma anche nel ricordo di dieci
anni prima, giorno in cui l’avevo catturata, giorno in
cui, avevo perso per sempre l’amore della mia vita.