Caccia al tesoro

di LaU_U
(/viewuser.php?uid=98589)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una nuova companion ***
Capitolo 2: *** Disquisizioni filosofiche ***
Capitolo 3: *** I giochi dei grandi ***
Capitolo 4: *** La merenda ***
Capitolo 5: *** Chi è Signore del Tempo non aspetti tempo ***
Capitolo 6: *** Fiori cannibali ***
Capitolo 7: *** Qualcuno ha bisogno di un Dottore? ***
Capitolo 8: *** L'universo non è fatto di atomi, è fatto di storie ***
Capitolo 9: *** Oh, quella cabina! Liz, sognerai quella cabina! ***



Capitolo 1
*** Una nuova companion ***


1. UNA NUOVA COMPANION


Pienamente soddisfatto. Erano passati mesi da quando poteva dire di aver provato qualcosa anche solo vagamente all’altezza dell’esperienza di quel momento.
Il Dottore fece un passo fuori dalla gelateria di Sal, che preparava la banana-split più buona di tutto il Regno Unito (e in secoli di peregrinazioni spazio-temporali lui poteva dirsi un esperto di tante cose, tra le quali anche i dolci). Dopo la breve sosta terrestre, dettata da un’incontrollabile voglia di gelato, il Dottore si riavviò verso il TARDIS per riprendere il viaggio; l’aveva lasciato in un quartiere degradato poco distante. L’ultima volta che ci era passato era completamente diverso: si mostrava come una zona vitale, curata e nei giorni di mercato la voce della gente rianimava tutte le strade dei dintorni. Ora dei balconi fioriti non rimanevano neppure le ringhiere e l’intonaco crepato sulle pareti si era in parte riversato a terra, fra i numerosi sacchi dell’immondizia. Quello era uno dei prezzi da pagare per il progresso. Gli uomini stavano facendo piccoli passi sempre più avanti, ma nel viaggio verso il futuro qualcosa finiva inevitabilmente schiacciato fra le ruote del carro.
Svoltato un angolo, spuntò ai suoi occhi la cabina blu. Il Dottore estrasse la chiave da una tasca della giacca e fece per inserirla nella serratura, quando si accorse che la porta era socchiusa. Rimase un paio di secondi in sospeso, chiedendosi cosa avrebbe potuto significare tale avvenimento, poi, cauto, entrò dentro al TARDIS guardandosi attorno e tendendo le orecchie per recepire il più piccolo rumore. Tutto sembrava al suo posto. Un rapido giro di controllo gli confermò che non c’era niente di insolito di cui preoccuparsi. Forse si era semplicemente dimenticato di chiudere la porta, avrebbe fatto maggiore attenzione la volta successiva.
«Bene, mia cara. Accendiamo i motori e via.» Le abili mani del Dottore premettero alcuni pulsanti sul pannello di controllo per impostare le coordinate della nuova meta e la nave rispose ai comandi mettendosi in moto e lasciando la Terra, dissolvendosi apparentemente nel vuoto.

«Dovrei rinnovare un po’ l’arredamento» pensò il Signore del Tempo dopo essere sprofondato nella sua poltrona rossa. «Tutti questi orologi antichi non fanno più per me.»
Dopo due rigenerazioni, ancora non si era deciso a sistemare i mobili e a trovarne di più adatti alla sua nuova personalità, ma in quel momento aveva in mente solo un pisolino. Si stiracchiò e stese le gambe sul tavolino che aveva di fronte, intenzionato a riposare fino al nuovo atterraggio. Non fece in tempo a chiudere gli occhi che si accorse di una macchia chiara sul suo maglione nero.
«Novecento anni e ancora non ho imparato a mangiare un gelato» si rimproverò.
Raggiunse la zona in cui teneva tutti i suoi indumenti, appesi a degli ometti, l’uno accanto all’altro. Li scorse con le mani, alla ricerca di qualcosa che lo ispirasse in quel momento. Rallentò il passo di fronte ad una giacca di pelle scura, che sembrava esattamente ciò che gli ci voleva.
All’improvviso da dietro la marea di vestiti, sbucò fuori qualcosa che gli si avvicinò di scatto con un’esclamazione.
«Booooo!»
Al Dottore scappò un urlo e finì col sedere a terra, mentre i suoi cuori battevano agitati per lo spavento. Davanti a lui c’era una bambina bionda, attorno ai sei anni, che sorrideva con una sciarpa a righe legata in testa e portando addosso una grossa giacca verde, le cui maniche restavano a penzoloni oltre le piccole braccia.
«Chi sei tu?» chiese incredulo l’uomo, alzando le sopracciglia.
«Chi sei tu?» rispose ridacchiando la bimba, con gli occhi che le brillavano divertiti.
«Non sono io l’intruso, dimmelo tu chi sei.» Da dove era spuntato fuori quell’esserino?
«Sono Liz.»
«Liz chi?» insistette il Dottore.
«Liz e basta» replicò lei senza farsi intimorire. «E tu come ti chiami?»
«Sono il Dottore»
«Il dottore chi? »
«Il Dottore e basta» disse ancora spiazzato.
L’uomo si ricompose alzandosi dal pavimento e continuando a fissare la bambina, che ora si ritrovava davanti un adulto piuttosto alto, con uno sguardo serio.
«Tu cosa ci fai qui? Come sei entrata?»
«Era aperto» rispose lei, abbassando la testa.
«Non era aperto.» Adesso ne era certo.
«La chiave era a terra.»
«La chiave non era a terra.»
«Beh, l’ho trovata.»
«Che significa “l’ho trovata”? Stavi casualmente camminando sul mio tetto?»
«No.» rispose la biondina, arrossendo violentemente, senza riuscire più ad aggiungere altro. I suoi rapidi tentativi di trovare una scusa erano falliti ed ora non sapeva più come replicare.

Passò qualche istante, durante il quale nessuno proferì parola. La bambina, che ora appariva visibilmente imbarazzata, giocava nervosamente con le maniche della giacca e fissava il pavimento.
«Cercavo la mia bambola» si giustificò.
Il Dottore non capiva come ciò potesse riguardarlo e la fissò interrogativo. La bimba probabilmente sentì lo sguardo e continuò a spiegarsi: «Stavo giocando in quella casa e la bambola mi è caduta sul tetto della tua cabina. Allora sono scesa sul tetto per riprenderla e ho trovato una collana.»
Il Dottore si disse di fare attenzione a parcheggiare più lontano dai palazzi, la volta seguente, il TARDIS era finito quasi a contatto con un balcone, poco prima ed ecco cosa aveva rimediato: una pulce invadente.
«Solo che non era una collana» concluse la biondina.
No, non era una collana, era la chiave di riserva del TARDIS.
«La tua mamma non ti ha mai detto che non si rubano le cose degli altri?»
«Non l’ho rubata, l’ho trovata» si discolpò rapidamente. «E la mia mamma mi ha detto che chi trova una cosa se la tiene.»
«Penso che qualcuno dovrebbe fare quattro chiacchiere con la tua mamma, allora.»
La bambina si mise a guardarlo con aria di sfida, stringendo i pugni e apparendo piuttosto irritata. Forse sentiva di dover difendere la madre e pensava che la donna sarebbe stata dalla sua parte in quella discussione.
«In ogni caso non puoi restare qui, ora ti riporto immediatamente a casa» disse deciso il Dottore, che si avviò verso le scale per andare al pannello di controllo e invertire la rotta.
«E la mia bambola?» la bimba fece qualche passetto veloce per raggiungerlo. Sembrava preoccupata.
«Non l’avevi ritrovata, la tua bambola?» rispose l’uomo continuando a scendere i gradini.
«Ma poi l’ho persa ancora.»
«E io cosa c’entro in tutto questo?»
«L’ho persa qui, mentre giravo per la tua astronave» spiegò la bambina alzando la voce, mentre si sporgeva per guardare il signore che aveva appena incontrato e che ormai aveva raggiunto la sala principale. Si mise a correre giù dalle scale, tenendosi al corrimano e poi si fiondò di fianco all’uomo che stava premendo degli interruttori.
«Io la rivoglio. Devi aiutarmi a ritrovarla.»
«Tua madre non ti ha mai detto che l’erba voglio non cresce neanche nel giardino della regina?»
«No, ma la mia mamma dice che bisogna aiutare le persone in difficoltà.»
Il Dottore si interruppe e fissò quella personcina alta meno della metà di lui, ma che sembrava volerlo eguagliare nella determinazione. Piegò il busto per raggiungere le sua altezza e fissarla dritta negli occhi, ad un palmo dal suo naso. Avrebbe voluto dirle di comportarsi in maniera più educata, di non essere troppo testarda e di rispettare gli adulti, ma l’ultima frase che lei aveva pronunciato non gli permise di controbattere. Sospirò.
«Che giro hai fatto sulla mia nave?»
La bimba si illuminò in un sorriso e iniziò a correre, afferrando il Dottore per una mano e trascinandolo dietro di sé.


 

-------------------------


Questa è la prima fan fiction che scrivo su un telefilm (o su qualsiasi altra cosa che non sia un mio personaggio originale, e anche in quel caso ne ho scritta una sola).
Spero sia di gradimento dei pochi che hanno letto questo capitolo e di quelli che continueranno eventualmente a leggerla.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Disquisizioni filosofiche ***


2. DISQUISIZIONI FILOSOFICHE


«Sei sicura di non essertela mangiata, quella bambola?»
Era almeno mezz’ora che giravano su e giù per il TARDIS alla ricerca di quel giocattolo.
«Io non mangio le cose» rispose la bambina con voce offesa, dato che sentì di essere stata paragonata ad un bebè.
«Sì, che le mangi invece» continuò il Dottore, mentre rovistava in un baule pieno di cappelli.
«Non è vero» replicò burbera la piccola.
«Tu mangi le pere?»
La bimba fu scettica a rispondere, insicura sull’obiettivo di quella domanda: «Sì. Le mangio.»
«Bene. Questo prova che, oltre ad avere cattivo gusto, tu mangi le cose» disse lui con tono saccente.
«Le pere non sono una cosa, sono frutta.» Liz non voleva farsi abbindolare.
«I frutti sono cose.»
«No, che non lo sono!»
«E allora cosa sono? Animali?»
La bambina si sentì insicura; nessuno l’aveva mai fatta riflettere su certe cose. Il Dottore fermò la ricerca e guardò la biondina, con l’intenzione di argomentare il suo pensiero.
«Ci sono gli esseri vivi e le cose non vive, vero?»
Lei non disse nulla e rimase in silenzio ad ascoltare.
«Non ci sono le cose un-po’-vive, sei d’accordo? O sei vivo o non lo sei. Gli animali sono vivi: mangiano, crescono, si muovono, fanno i cuccioli. Come le persone. Le cose, invece, non fanno nulla di tutto questo: stanno lì, ferme nel loro angolino e non combinano nulla, se tu non le usi. Un sasso ti ha mai rivolto la parola? No, perché è una cosa.»
Liz appariva contrariata e continuava a guardarlo corrucciata, mentre sembrava che una marea di pensieri le passassero per la testa. Il Dottore si sentì vincitore e sorrise, rivolgendosi poi, nuovamente, al baule in cui stava rovistando.


«E le piante?»
L’uomo guardò ancora la bambina. Non si aspettava che avrebbe continuato il discorso.
«Le piante sono vive, anche se non si muovono, me l’hanno detto a scuola.»
Flora: innegabilmente esseri viventi.
«E i frutti vengono dalle piante. E crescono, perché prima sono piccoli e poi diventano grandi. Quindi i frutti sono… un-po’-vivi.»
Ormai stava per arrivare la conclusione, lui lo sapeva.
«I frutti non sono cose. Sono frutti e basta!»
Lo disse con così tanta decisione, che anche questa volta il Dottore non poté contraddirla. Fu lei a trionfare con un grosso sorriso, mentre l’uomo riprese la ricerca a testa bassa.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** I giochi dei grandi ***


3. I GIOCHI DEI GRANDI


«Tu. Hai. Una. Piscina?»
Liz era sbalordita. Come poteva esserci una cosa del genere sopra ad un'astronave?
Il Dottore superò a testa alta la bambina, che era rimasta imbambolata sulla porta della grossa stanza dal soffitto altissimo. Questo dovevano fare i ragazzini: stupirsi della superiorità dei grandi. Non sfidarli e tentar di tener loro testa, come aveva provato a fare lei da quando era spuntata nella cabina blu. Adesso l'atteggiamento dimostrato era più adatto alla personcina che era.
«Tu hai una piscina» insistette la bimba, non ricevendo risposta dall'uomo.
«Lo so, questo posto è mio.»
«Si può fare un bagno?» chiese lei speranzosa.
«No che non si può. Dobbiamo cercare la tua bambola.»
«Solo un tuffo.»
«No.»
«Uno piccolo piccolo» implorò.
Venne in mente al Dottore che i bambini erano fatti anche per fare i capricci, molto più spesso di quanto un adulto avrebbe desiderato. La cosa lo infastidiva seriamente. Si girò verso di lei, che ancora non si era mossa dall'uscio.
«Ho detto no» esclamò severo, lasciando la piccola silenziosa ed imbronciata.
«Dove sarà questa maledetta bambola?» chiese fra sé e sé, piuttosto annoiato da quella ricerca e dall'ospite sgradito che si stava trascinando dietro da più di un'ora. Decise di estrarre dalla tasca il suo cacciavite sonico, sperando che l'aiutasse a ritrovarla. Premette un pulsante e si girò piano su se stesso mentre puntava la lucina blu davanti a sé, aspettando che segnalasse qualcosa.

«Cos'è quello?»
Il trillo della voce di Liz risuonò nella stanza, mentre la bambina si avvicinava di corsa al Dottore.
«Sembra come il suono di un aspirabriciole.»
Il Dottore sollevò il dito dal pulsante e la fissò incredulo, lasciando le braccia puntate in avanti. Non capiva come la bambina potesse paragonare il suo cacciavite sonico ad un oggetto tanto futile e banale. Scosse la testa e riprese a concentrarsi sulla ricerca.
«Posso giocarci anche io?»
«No bambina, non è un giocattolo.»
«Il mio amico Tim ne ha una come la tua. Però la sua è più grossa.»
Lo sguardo dell'uomo si mosse lentamente sulla peste un metro più in basso e la fulminò.
«È una spada laser, vero? Tim ha quella verde di Luke Skywalker e diventa luuuunga lunga e si illumina. La tua è rotta?»
Non poteva credere a ciò che le sue orecchie avevano sentito: stava paragonando il suo cacciavite sonico ad un giocattolo per bambini. Non aveva idea di chi fosse questo tal Luke Skywalker, ma se non ne aveva mai sentito parlare un motivo doveva esserci. Probabilmente era il protagonista di una qualche serie tv fantascientifica di dubbio gusto.
«Non è un giocattolo. Non è una spada laser. Non è rotta» spiegò nervosamente, mettendole l'oggetto davanti agli occhi perché l'osservasse meglio e si rendesse conto delle sciocchezze che aveva detto fino ad allora. Non avrebbe sopportato quella scimmietta ancora a lungo.
La bambina fissò l'aggeggio interrogativa, studiandone i dettagli. Il Dottore alzò lo sguardo sbuffando scocciato e in quel momento Liz allungò la mano destra per premere uno dei pulsanti. L'uomo perse la presa e il cacciavite sonico finì dritto in piscina prima che uno dei due viaggiatori riuscisse a fare qualsiasi cosa. Uno schizzetto li raggiunse.
Rimasero in silenzio a fissare ad occhi sbarrati il piccolo marchingegno che sprofondava lentamente verso il fondo. Il Signore del Tempo sentì il nervosismo aumentare ulteriormente dentro di sé. Quella era stata letteralmente l'ultima goccia. Il Dottore si voltò verso il disastro in miniatura in piedi accanto a lui intenzionato ad afferrarla per un braccio e riportarla dritta a Londra, senza la sua inutile bambola.
Quando la guardò si accorse che la bambina stava piangendo. Silenziosamente delle gocce scendevano lungo le sue guance, diventate di botto rosso acceso. Presto partirono i singhiozzi.
«Se l'è meritato» pensò lui. «Dopo tutti i guai che ha combinato un po' di sano pentimento non le farà male. Le bambine non devono essere così impertinenti. Qualche lacrima non ha mai rovinato nessuno.»
Si rese conto che ce la stava mettendo tutta per autoconvincersi che la piccola non andava consolata, ma che in fondo non ci credeva veramente. Sospirò, sentendosi come sconfitto.
«Ehi? Dai non è successo niente. Il mio cacciavite è resistente, un po' di acqua non lo romperà di certo.»
Ad ogni frase la bimba piangeva sempre più forte, come se l'atteggiamento dell'uomo la facesse sentire ancora più colpevole. Il Dottore non riusciva più a reggere quei lamenti e cominciava a sentirsi dispiaciuto per lei. Si accucciò.
«Ehi?»
Come si chiamava questo esserino? Era sicuro che gliel'avesse detto.
«Ehi, Liz?»
Al sentire il suo nome la bambina voltò lo sguardo verso l'omone accrocchiato accanto a lei, mentre i singhiozzi continuavano.
«Non c'è motivo di piangere. Quello è il mio cacciavite sonico. Non è un giocattolo, l'acqua non lo rompe. Basta tirarlo fuori, dargli un'asciugata e funzionerà come prima.»
Non era davvero certo che il passaggio sarebbe stato tanto immediato, ma voleva che la bimba si calmasse. Lei lo fissò.
«Mi aiuti a tirarlo fuori?»
Liz annuì, mentre pian piano provava a fermare le lacrime e il singhiozzo da esse provocate.
Il Dottore si alzò, ma prima che ci riuscisse sentì la giacca tirata verso il basso. La bambina l'aveva afferrata e cercava di tenere l'uomo vicino a sé.
«Scusa» sussurrò.
Quella parola mise l'uomo in grande imbarazzo. Non sapeva cosa dire o fare. Se sorridere, ringraziarla o altro. Alla fine le diede qualche colpetto sopra la testa e si sollevò per poi lasciare la stanza.

Qualche minuto dopo Liz era seduta sul bordo della piscina; aveva tolto le scarpe e stava coi piedi a mollo. Vide la sagoma dell'uomo ricomparire controluce sulla soglia, con una sorta di stecca in mano. Quando fu entrato riconobbe l'oggetto: era una retina per farfalle, o pesciolini forse. Il Dottore si avvicinò all'acqua ed iniziò a scrutare verso il fondo per localizzare il cacciavite. Sentiva gli occhi della bambina su di sé e percepiva che aveva qualcosa da dire, anche se finalmente era rimasta in silenzio.
«Cosa c'è?»
«Perchè hai preso questa cosa?»
L'uomo fissò la rete che aveva in mano.
«Mi serve per prendere il cacciavite sonico.» Gli sembrava abbastanza ovvio.
La bimba non disse nulla, ma per la seconda volta il Signore del tempo percepì che c'era qualcos'altro che avrebbe voluto aggiungere. Dopo lo spavento di prima forse aveva delle remore a esprimere tutti i suoi pensieri, ma quel silenzio forzato non era meno fastidioso.
«Qual è il problema?» chiese, scocciato.
«Perché non ti tuffi?»
«Non mi va di bagnarmi» spiegò con estrema rapidità, intenzionato a chiudere l'argomento. Iniziò ad allungare la rete verso l'acqua e ad immergerla. Gli occhi insistenti di Liz non lo mollavano, la risposta non l'aveva convinta.
«Non so nuotare, va bene?» concluse.
La bimba abbassò lo sguardo. Finalmente aveva raggiunto il suo scopo, ma non voleva far pesare la sua vittoria su di lui, questa volta.
Il Dottore scrollò la testa e continuò l'operazione. Possibile che quella bambina riuscisse a fregarlo in tante situazioni? Toccava sempre qualcuno dei suoi punti deboli.
Liz si avvicinò a lui e afferrò la stecca della retina, aiutando l'uomo a farla affondare verso il fondo della piscina.
«Neanche io so nuotare molto bene» confessò. «Ma la mia mamma dice che questo non vuol dire che sono peggiore degli altri. Perchè io so fare delle cose diverse che loro non sanno fare. Io sono brava ad inventare le storie.»
Era parecchio tempo che qualcuno non parlava in quel modo al Dottore. Che non stava tanto vicino a lui e lo rincuorava. Era strano che fosse una personcina così piccola ad esserci riuscita.
«Tu in cosa sei bravo?» chiese lei.
«Io?»
Ci pensò. Era bravo in molte cose: era intelligente, coraggioso, giusto. Era importante anche il nome che si era scelto: il Dottore. Lui voleva far star bene le persone; era bravo in questo. Anche se non ne era più poi così certo, dopo ciò che era successo su Gallifrey. Non erano molte le persone del suo popolo che era riuscito a far star bene, alla fine.
«Non preoccuparti. La troveremo qualche cosa che sai fare bene» lo rassicurò Liz, dato che l'uomo non stava rispondendo.
«Guarda, l'abbiamo quasi preso!» esclamò entusiasta la bambina.

Il Dottore scacciò il turbamento momentaneo e riportò la mente a quel che stava facendo. Con un'ultima mossa il cacciavite entrò all'interno della retina e l'uomo e la bimba lo tirarono fuori dall'acqua con una risata liberatoria.
L'uomo recuperò l'oggetto e l'asciugò sulla sua maglia.
Liz lo fissava emozionata.
Il Dottore premette il pulsante per attivarlo e non accadde nulla.
Liz si immobilizzò e divenne seria, mentre gli occhi le diventavano nuovamente lucidi.
Il Dottore non voleva che ricominciasse a piangere. Velocemente ripassò il cacciavite sulla maglia per asciugarlo completamente. Non si accese.
Liz sembrava sempre più triste.
Il Dottore scosse l'oggetto con movimenti bruschi. Non funzionò.
Liz iniziò a singhiozzare.
Il Dottore soffiò sopra il cacciavite. Spostò alcune levette, mentre dava rapide occhiate alla bambina.
«Andiamo. Andiamo. Andiamo.»
Premette nuovamente il pulsante.
Il suono dell'aspirabriciole sonico ripartì e Liz smise immediatamente di piangere.
«Hai visto? Funziona! Funziona!» esclamò nervosamente l'uomo per convincere del tutto la bambina. Il pericolo di ulteriori lacrime era scacciato e le ritornò il sorriso.

Il Signore del Tempo tirò un sospiro di sollievo. Fare il baby-sitter poteva essere più impegnativo che salvare il mondo.
«Continuiamo a cercare la tua bambola adesso.»
Tese la mano e la piccola la afferrò. Si incamminarono fuori dalla stanza.

 


-------------------

Sono una fan del Doctor Who da poco, due mesi più o meno. L'amore non è nato subito, ma questo telefilm è stato comunque così interessante da spingere a continuare a guardarne un episodio dopo l'altro fino a quando è scoccata la scintilla, col "monologo" del Decimo Dottore in the Christmas Invasion.
Tennant è decisamente il mio favorito (anche se conosco solo gli ultimi quattro per ora). Ad ogni modo non sto scrivendo alcuna fan fiction su di lui. Forse non voglio rovinare il personaggio, non so se ne sarei all'altezza. Invece su Nove ho scritto questa ff (ancora work in progress), una one shot più seria (che pubblicherò in futuro) e ho in previsione un'altra storia, di cui per ora ho solo una piccola idea (ma io non mi preparo mai gli svolgimenti, mi faccio ispirare al momento).
L'idea della futura storia viene da una conversazione con _Eleuthera_ (che mi ha dato altri aiuti anche in questa).
A lei dedico il suono dell'aspirabriciole ;)
Le stavo chiedendo un consiglio circa un aggettivo per descrivere il suono del cacciavite sonico. Mi ha detto che per lei era bippeggiante o comunque qualcosa con la b. A parer mio invece non era così, io lo percepisco diversamente. E' stata quindi sviluppata una teoria secondo cui il suono del cacciavite sonico è come una sorta di Test di Rorschach: analizzando quello che ti viene in mente si può scoprire qualcosa di sè.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** La merenda ***


4. LA MERENDA


«Bene, ora mettiti qui, mentre io cerco qualcosa per la tua merenda.»
Il Dottore sollevò la bambina e la mise a sedere sopra un alto sgabello della cucina, posto accanto al bancone che si trovava al centro della stanza. Era la camera più piccola tra quelle appena esplorate, ma la quantità di cose al suo interno era incredibile. Credenze di ogni colore e materiale erano poste lungo le pareti ed attraverso le loro vetrine era possibile scorgere una marea di utensili: da bicchieri e strofinacci ad imbuti fosforescenti, da pentole larghe più di un metro ad aggeggi di cui sembrava impossibile intuire il funzionamento. Nei pochi angoli di muro libero dal mobilio, spuntavano degli appendini coperti di ulteriori oggetti indecifrabili.
Liz si guardava intorno affascinata e stordita da tutta la roba mai vista che la circondava.
«Ma questo è un laboratorio scientifico!»
L'uomo guardò la stanza stupito dall'osservazione, per cercare di capire cosa avesse messo in testa quell'idea alla biondina. Come poteva una cucina, per di più così piccola e caotica, assomigliare al suo laboratorio?
«Certo che no.»
Questa volta la piccola non aggiunse nulla e la discussione si concluse immediatamente.
Il Dottore si mise a rovistare nella confusione degli scaffali e degli armadietti in cerca di qualcosa per Liz.
«Cosa mangiano i piccoli d'uomo al giorno d'oggi?» si chiese indeciso. Alla fine fece la sua scelta e cominciò a preparare la ciotola per la bambina, che nel frattempo si era messa a roteare assieme al seggiolino dello sgabello, sottolineando il divertimento con un allegro: «Wiiiiiiii!»

Il Dottore piazzò la vaschetta sul bancone di fronte a Liz, che poggiò le mani sul tavolo per interrompere la rotazione. Lo sguardo che rivolse a ciò che l'uomo le aveva rifilato era di puro disgusto. Scoccò una rapida occhiata al Dottore, ma abbassò lo sguardo accorgendosi che la stava scrutando. Provò a sbirciare di sottecchi un altro paio di volte, ma si accorse di essere ancora osservata. Alla terza occhiata il Signore del Tempo aveva perso la pazienza per continuare ancora quel giochetto di sguardi: «Si può sapere cosa c'è che non va?»
«È verde.»
«Sì, è polpa di pluripetrale!» Di che colore si aspettava che fosse?
«È gelatinosa» aggiunse turbata.
L'uomo poteva anche capire che l'umana non conoscesse il pluripetrale, ma qualsiasi polpa non poteva essere più croccante di così.
«Esatto. Mangiala!» rispose forzando un sorriso.
La bimba fissò la ciotola trovandola tutt'altro che invitante e produsse un flebile verso molto simile ad un miagolio, mentre afferrava il cucchiaio che il Dottore le aveva messo davanti.
«Non credo siano necessarie tutte queste storie e questi strani lamenti per un po' di frutta.»
«Questa non sembra frutta... sembra... sembra... una cosa
Eccola che ritornava sul discorso delle cose e della frutta. Non era minimamente in vena di riprendere la discussione, quindi invitò Liz ad assaggiare almeno una punta di cucchiaio di polpa.
La bimba prese tutto il suo coraggio e raccolse con la posata una quantità di gelatina che sarebbe stata difficile da localizzare utilizzando un microscopio. Rimase a fissarla per qualche secondo col naso arricciato e il timore negli occhi. Poi avvicinò lentamente il naso per testare l'odore e prepararsi alla terribile missione che stava per compiere. Il Dottore non scorse nessuna variazione di espressione dopo l'annusata, ben consapevole del fatto che il pluripetrale era un frutto inodore, benché il sapore fosse molto dolce. Liz serrò gli occhi e tirò fuori la punta della lingua per toccare quella del cucchiaio. Fu una scena che si svolse a rallentatore. Poi toccò la polpa e si ritrasse rapidamente. Aprì gli occhi e fissò stupita la gelatina. Tentò un secondo assaggio e dovette piacerle perché cominciò a leccarsi le labbra, facendo sparire dal suo volto l'espressione disgustata dei momenti precedenti.
«Allora? Com'è?» chiese il Dottore, già certo della risposta.
La bambina mugugnò mentre pensava a come rispondere per fare in modo che l'uomo non si sentisse troppo vincitore per aver avuto la meglio su di lei.
«È abbastanza buona» disse, prendendo una cucchiaiata piena di gelatina verde infilandosela tutta in bocca.

Non passarono tre minuti che la ciotola era stata svuotata di ogni rimasuglio verde. Liz stava studiando il cucchiaio per evitare che le fosse sfuggita qualche goccia di pluripetrale. Quando ne fu finalmente certa guardò il Dottore con un grosso sorriso: «Posso averne ancora?»
Un brivido percorse la schiena dell'uomo. Sapeva esattamente cosa stava per succedere. Sapeva che la risposta che avrebbe dato sarebbe stata quella sbagliata e che la bimba non l'avrebbe mai accettata, ma la verità a volte fa male e non ci si può porre rimedio.
«Non ce n'è più» disse, cercando di apparire sereno e preparandosi a portare via Liz dalla cucina.
Accadde l'inevitabile.
«Ma io ne voglio altra» esclamò la piccola lamentosa, mostrando degli occhi tristi.
«Ma io altra non ne ho.» Sperò che la biondina capisse che era sincero e che non c'era niente da fare. Probabilmente non fu così perché Liz mise il broncio. Dovevano uscire da lì al più presto per non correre il rischio che scorressero altre lacrime.
«Vieni. Continuiamo a cercare la tua...» Il Dottore fece per prendere la bimba e aiutarla a scendere dall'alto sgabello, ma lei incrociò le braccia e si discostò per non essere toccata. Troppo tardi: la protesta era già cominciata.
«Non voglio. Io voglio altra gelatina.»
L'uomo prese un profondo respiro. «Non ce n'è altra. L'hai appena finita tu. Quindi adesso and...»
«Non è vero. Tu non vuoi darmela perché ti sto antipatica» esclamò decisa, con lo sguardo più corrucciato e minaccioso che può avere un esserino di un metro con grossi occhioni blu.
In quel momento il Dottore faticò a rispondere che non era vero, dato che la bambina si stava dimostrando bravissima ad essere odiosa, ma si fece forza, rammentando a se stesso che era l'adulto della situazione.
«Ti assicuro che se ne avessi te ne darei una vasca intera, ma non ce n'è più e quindi non possiamo farci niente.»
Liz lo squadrò. Forse stava valutando la possibilità che fosse stato sincero. Infine sbuffò. Saltò giù dallo sgabello da sola precipitando quindi a terra. Si rialzò senza dire nulla e senza permettere all'uomo di aiutarla e se ne andò via a mento alto, passando dalla porta da cui erano entrati.
«Un Dalek. Vi prego, mandatemi un Dalek la prossima volta!»
Il Dottore sgusciò fuori dalla stanza per tener d'occhio la peste in miniatura.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Chi è Signore del Tempo non aspetti tempo ***


5. CHI È SIGNORE DEL TEMPO NON ASPETTI TEMPO


La piccola Liz mise il naso dentro una stanza in penombra. Rimase a bocca aperta quando vide le poltrone di velluto rosso e un grosso schermo bianco in fondo alla camera. Un cinema. In quell’astronave c’era un cinema!
«Wow! Possiamo ferma-»
«No» rispose secco il Dottore.
«Solo un carto-»

«No.»
«Uno cort-»
«No.»

 


 

 

-------------------------


Ciao a tutti!!!
Ok, questo capitolo è così piccolo che non so se accetterete di definirlo tale.
Questa fanfiction è rimasta da parte per molto tempo, ma ora ho deciso di portarla avanti e concluderla. È stata la prima fic che ho iniziato a scrivere, nata per sbaglio e poi continuata. Immagino che con l'arrivo del Dottore sui Rai 4 il numero di fan sia aumentato, quindi penso ci siano nuovi lettori a cui spero possa piacere questa storia. Se vorrete leggere i capitoli precedenti e lasciare un commento io ne sarò contenta.

Il prossimo capitolo è già scritto, va revisionato, ma credo che potrei pubblicarlo domani. Quello successivo è già work in progress. Immagino che arriverò ad un totale di 8/9 capitoli, ma non è ancora definito. Il mio progetto è quello di finire il tutto prima di partire, sabato 11 agosto. Ci riuscirò? Vedremo ;)
A presto!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Fiori cannibali ***


6. FIORI CANNIBALI


«Ma quanto tempo sei stata a girovagare per il mio TARDIS?»
Stavano passando in rassegna tutte le stanze della scatola blu, ma della bambola perduta neanche l'ombra. Come aveva fatto quella bimbetta a girarsi l'intera astronave nel tempo di una banana split? In risposta a quella domanda la biondina alzò le spalle mentre annusava un fiore dai petali rossi e viola con un gambo peloso alto quanto lei. Il Dottore stava iniziando a sospettare di essere stato preso in giro e che quella della bambola fosse solo l'invenzione di una piccola terrestre annoiata.
«Sei sicura di essere passata di qua?»

«Sicurissimissimissima!»
Come si poteva controbattere davanti a tanta convinzione?
«Come sono fatti i cavoli?» domandò la bimba che faticava ad orientarsi in quella serra piena di vegetali di tutti i tipi e i colori. Sembrava quasi una giungla, ai suoi occhi.
«Sono fatti così» rispose il Dottore puntando il dito verso un gruppo di verdure. Decise di non dire a Liz che quelli erano cavoli del pianeta Folflower, solo esteticamente simili a quelli terrestri, ma dal sapore completamente diverso. La bimba si precipitò verso la direzione indicata e si mise a scrutare fra un ortaggio e l’altro. Sembrava determinata a osservare ogni centimetro di quella terriera.
«Ti sei ricordata di averla persa sotto i cavoli?»
«Quasi.»
Si era quasi ricordata o l’aveva quasi persa lì?
«Non c’è» disse infine, sconfortata. «Forse perché pensano che non sia vera.»
Quell’esserino era particolarmente enigmatico. Il Dottore preferiva essere al centro dell’attenzione piuttosto che ruotare intorno a qualcun altro, ma sembrava che quel giorno non avesse scampo.
«Chi pensa che non sia vera?»
«Babbo Natale e la cicogna.»
«Chi, scusa?»

«Babbo Natale e la cicogna. Forse loro non pensano che la mia bambola sia una bambina vera e allora non l’hanno portata sotto il cavolo. Sai, sotto il cavolo è dove portano tutti i bambini quando si perdono in cielo e devono andare dalla mamma e dal papà.»
Il Dottore era abituato all’ignoranza degli esseri umani, ma quella situazione era particolarmente singolare. Qualcuno doveva parlare con quella bambina per far chiarezza sul folclore terrestre.
Qualcun altro. Magari sua madre.
«Andiamo avanti a cercare» propose l’uomo avviandosi verso l’uscita della stanza. Era quasi arrivato alla porta quando, voltandosi, notò di non essere seguito. Tornò indietro e vide la bimba che fissava un grosso fiore alto poco meno di due metri che sembrava una margherita pelosa. Dei ciuffi giallognoli circondavano un capolino della stessa tonalità, in mezzo al quale sembrava ci fossero delle escrescenze bianche e aguzze.
«Non ti conviene star così vicina al Carolesey, potrebbe-»
La bimba allungò la mano per toccare l’affascinante pianta e questa fece scattare in avanti la corolla. Si aprì una bocca che azzannò la bimba e poi si mise a ringhiare.
«…morderti.»
Liz lanciò un urlo e arretrò spaventata stringendosi le dita della mano ferita. Pochi secondi dopo si mise a piangere.
«Oh, non ancora!» Il Dottore andò verso la bambina, provando a rassicurarla. «Non è niente. Davvero, non è niente.»
Dei grossi goccioloni scendevano dagli occhi disperati di Liz. I bambini piangenti erano qualcosa di tremendo. Cosa poteva fare per fermarla? Il morso di un Carolesey era incredibilmente fiacco, anche i denti erano fatti di petali, non era possibile che la piccoletta soffrisse così tanto.
«Non è pericoloso. Non c’è veleno, fidati.»
«Curami!» esclamò fra le lacrime la bimba allungando la mano dolorante verso l’adulto al suo fianco. Non aveva ascoltato quello che le aveva detto?
«Ma non c’è niente da cura-»
«Curami!» insistette lei, con uno sguardo supplicante. «Dottore, curami!»
L’uomo la fissò chiedendosi come avrebbe potuto curare una sciocchezza del genere. Poi sospirò e mise una mano sulle spalle della biondina, guidandola fuori dalla serra.
«Va bene, andiamo in infermeria.»

 

 

 

-------------------------


Come promesso, ho già pubblicato il nuovo capitolo.
Non ho idea di come sia il pianeta Folflower, né so se siano grandi esportatori di cavoli ;) Il pianetà c'è sul TARDIS wiki, ma non ho trovato informazioni a riguardo.
Il nome Carolesey l'ho inventato io, invece, mescolando il nome di un fiore e quello di uno scrittore. Chi indovina?
Ringrazio i lettori e i commentatori, se mai ce ne saranno.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Qualcuno ha bisogno di un Dottore? ***


7. QUALCUNO HA BISOGNO DI UN DOTTORE?

 

Il Dottore avvicinò una scaletta all’alto letto dell’infermeria per far sì che la bimba riuscisse a salirci sopra da sé. Liz andò sui gradini senza che la mano sinistra lasciasse andare la destra, ferita dal morso del Carolesey; infine si sedette, ancora in preda ai singhiozzi. La stanza era piccola e ovale, con le pareti in tonalità azzurra che sfumavano dallo scuro alla base al quasi bianco all'altezza del soffitto. C’erano dei mobiletti bianchi qua e là, incurvati anch’essi perché si potessero adattare alla linea dei muri. Ogni stanza era diversa dall’altra sul TARDIS.
«Dove ti ha morso?»
«Qui» rispose lei allungando la manina verso la faccia dell’uomo. C’erano due piccoli taglietti sull’indice, niente di più.
«È a posto. Guarirai!» disse lui esagerando entusiasmo e mostrando un grosso sorriso. Come fosse un cagnolino, diede un paio di colpetti sulla testa della piccola scompigliandole qualche capello. La bimba si guardò la ferita e le sue labbra si incurvarono nuovamente verso il basso.
«Non c’è motivo per piagnucolare. Quel fiore ha solo innescato un meccanismo di difesa. La sua specie era così inerme da essere sterminata su molti pianeti e allora ha man mano sviluppato un sistema per intimidire tutti quelli che ritiene una minaccia. È tutta scena. Lo fa perché ha paura. Non fa male.»
«Sì che fa male.»
«No, non è vero.» Ne era più che sicuro.
«Ma io soffro.»
L’uomo non riusciva a credere che fosse così doloroso. Era insensato. Aveva controllato i denti del Carolesey pochi giorni prima ed erano morbidi, come sempre. La faccenda non aveva senso, per niente. Magari il fiore si era infettato, ma non c’era motivo di credere una cosa del genere. Non era entrato in contatto con niente di nuovo, non aveva avuto febbri o raffreddori, non si era tagliato, né aveva bevuto acqua troppo fredda. Tutto nella serra era stato nella norma. A meno che…
Forse il problema non stava nel fiore, forse il problema stava nel fatto che Liz era una bambina e che i bambini piangono. Forse non serviva una cura medica, ma qualcos’altro.
Il Dottore prese la piccola manina fra le sue e l’accarezzò, tenendola al caldo. Andò a prendere da una credenza una bottiglia con del liquido trasparente e lo versò su una striscia di stoffa bianca riposta in un armadietto accanto al letto. Passò il panno imbevuto sui minuscoli tagli sull’indice di Liz e tamponò. La bimba era in religioso silenzio, osservava rapita i gesti di quell’uomo come fossero un rito.
L’uomo pensò che mancasse ancora qualcosa. Si guardò intorno, buttando l’occhio su tutti i ripiani, finché non vide l’oggetto che faceva al caso suo. Recuperò un piccolo rettangolino blu e plastificato e staccò uno strato dal retro, buttandolo senza interesse sul pavimento. Infine appoggiò l’oggetto sul dito ferito e premette per farlo aderire. Liz sollevò l’indice incerottato e lo osservò, come se stesse valutando se quella medicazione fosse adeguata. Alla fine lasciò andare un sospiro di sollievo.
«Fantastico!» esclamò il Dottore con un enorme sorriso.
La bimba si asciugò il naso col dorso della mano sana e respirò profondamente per calmare gli ultimi singhiozzi.
«Hai sete?» le chiese l’uomo.
Liz annuì. Lui le allungò una bottiglia, la stessa che aveva usato come ipotetico disinfettante.
«Bevi un po’ d’acqua.»
Lei prese un paio di sorsi poi gli rese il contenitore, che lui ripose dove l’aveva preso.
«Vediamo di trovare questa bambola» disse il Dottore dando la mano alla bimba che si resse a lui mentre camminava sui gradini per scendere dal letto. Il braccio con la manina incerottata stava piegato davanti al petto con l’indice teso.
«Ci sei passata in biblioteca?» chiese con voce calma il Signore del Tempo.
«Sì» rispose con voce flebile la bimba.
«Andiamo a controllare lì, allora.»
Mano nella mano, i due compagni di viaggio si diressero verso un’altra stanza della cabina blu.

 


 

 

-------------------------


Buon pomeriggio d'agosto, o fanwriter/fanreader! Come procede la vostra estate?
Ringrazio Eleu per la recensione. Spero di poterne leggere altre in futuro :)
Al prossimo capitolo!

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** L'universo non è fatto di atomi, è fatto di storie ***


8. L'UNIVERSO NON È FATTO DI ATOMI, È FATTO DI STORIE

 

«Questa è la biblioteca più grandissima che io abbia mai visto!» esclamò a bocca aperta Liz, rendendo orgoglioso il Dottore. L’uomo aveva arricchito la sua collezione nel corso dei secoli, recuperando libri da ogni angolo delle tante galassie. Non li aveva letti tutti, ma avrebbe saputo riferire la storia che stava dietro all’arrivo di ognuno di essi da un qualche pianeta più o meno sperduto fino a quella stanza del TARDIS. La bimba si mise a correre tra i vecchi scaffali di legno impolverati. Fissava col naso all’insù le librerie altissime piene zeppe di volumi di ogni dimensione e colore.
«Prima al buio non avevo visto che era così grossa.»
Il Signore del Tempo chiuse gli occhi, annusando l’odore di quella camera. Sui tomi c’erano polveri provenienti da tutti gli angoli dell’universo, gli sembrava l’odore stesso del Sapere. Quando riaprì le palpebre scorse qualcosa dietro ad un mobiletto. Rimase a fissarlo.
«Mi puoi leggere una storia?»
«Cosa?»
Il Dottore si riscosse dall’attimo di distrazione.
«Mi leggi una storia?»
«Veramente… la bambola…»
«Ti prego! Una sola! Una piccola piccola!» implorò a mani giunte.
«Va bene. Prendi un libro da quei ripiani laggiù» disse indicando verso la sezione di libri per bambini. La biondina tornò con un libricino illustrato tra le mani e si sedette attendendo che l’uomo facesse lo stesso.
«Cosa hai trovato? Oh… “Un TARDIS tutto mio”. Questo è un classico!» disse sorridendo. Iniziò a leggere:
«Il piccolo Zoier amava guardare le stelle. “Quando sarò grande” diceva sempre “voglio andare così vicino da toccarle.” “Che sciocchezze” rispondeva il suo papà, “non puoi toccare le stelle. Ti bruceresti.” Ma il piccolo Zoier non si perdeva d’animo…»
Il Dottore voltava le pagine e osservava le belle immagini che le accompagnavano. Continuava a narrare mentre la bimba non toglieva gli occhi dalle illustrazioni e non si distraeva per neppure un istante dal racconto delle avventure del giovane Signore del Tempo sognatore.
«…“Ciao Artista!” salutò Zoier agitando la mano, mentre sentiva il rumore della nave volante che decollava e poi si dissolveva nel cielo. “Ci vediamo fra qualche anno, quando anche io avrò un TARDIS tutto mio.”»
L’uomo chiuse il libro e ne accarezzo la copertina, soddisfatto della lettura che gli aveva riportato alla mente i momenti in cui aveva sfogliato e risfogliato quelle pagine durante l’infanzia.
«Anche io voglio un TARDIS tutto mio quando sarò grande!» esclamò Liz balzando in piedi.
«Magari avrai un automobile» propose lui, consapevole che solo chi proveniva dal suo pianeta aveva la possibilità di usare un mezzo di trasporto del genere.
«Ma io voglio un TARDIS!»
«Beh…» Le aveva appena letto una storia sull’inseguire i propri sogni, come poteva dirle che quello che aveva espresso immediatamente dopo era irraggiungibile? «Potrai avere un CAR-DIS!»
Cambiare nome alle cose le rendeva più accattivanti, a volte.
«Un CAR-DIS?»
«Già, un CAR-DIS tutto tuo!»
La bimba ci pensò su e poi sorrise.
«Un CAR-DIS tutto mio!» disse, alzando le braccia in aria.
Si risedette a terra, accanto all’uomo e rimase in silenzio, mentre ammirava l’enorme stanza in cui stavano, affascinata dalle sue dimensioni e dall’infinita quantità di volumi che poteva scorgere.
«Senti» cominciò ad un tratto Liz, tenendo lo sguardo basso mentre lasciava la frase in sospeso per qualche secondo. «Ma tu ce l’hai la fidanzata?»
Il Dottore si sforzò per trattenere una risatina. La bimba sembrava molto seria.
«No, non ho nessuna fidanzata.»
«Ah.» La biondina fece un sorrisino. Poi parve diventare pensierosa. Qualcosa non quadrava nella sua testa. «Ma tu sei vecchio!»
Probabilmente immaginava che a una certa età fosse necessario avere una compagna.
«Io non sono vecchio!»
«Ma sei pelato!»
«Io non sono pelato!»
Quella conversazione stava prendendo una brutta piega. Liz si mise a fissare intensamente la testa del Dottore, alla ricerca di una chioma fluente che contraddicesse la propria teoria. L’uomo si coprì la fronte con le mani. Vero, l’ultima rigenerazione gli aveva fruttato una stempiatura abbondante, ma questo non voleva dire che fosse pelato, per Gallifrey! Il Dottore rimase imbronciato e si voltò dall’altra parte. La bimba dovette intuire di averlo ferito, perché dopo pochi istanti gli mise una mano sull’avambraccio come per rassicurarlo e gli diede un bacio sulla guancia.
«Non preoccuparti. Mio zio è tutto pelato, ma ha lo stesso una fidanzata. E lui non è bello come te.»
Il Signore del Tempo sospirò. Era inutile, la testolina di quella bimba era troppo attiva per star dietro ai suoi ragionamenti.
«E se non trovi una fidanzata puoi sempre avere degli amici. Gli amici sono importanti. Puoi portarli in viaggio con te. È pericoloso andare in giro da soli, sai?» lo ammonì agitando l’indice incerottato.
«Hai ragione. Magari cercherò qualche amico con cui viaggiare.»
Avrebbe solo dovuto trovare la persona giusta.
Le piccola parve soddisfatta. Subito si lasciò sfuggire uno sbadiglio. Era parecchio tempo che girovagavano su e giù, era giunto il momento di portare a termine quella ricerca.
«Liz, prova ad andare dietro a quel mobiletto là in fondo.»
La piccola, incuriosita, obbedì immediatamente.
«Trippy!»
L’esclamazione di gioia della bimba riecheggiò per tutta la stanza. Abbracciò la sua bambola stretta al petto e poi la lanciò per aria più volte, riprendendola al volo.
«Dove sei stata? Monella, non si scappa dalla mamma. Ero molto preoccupata. Adesso ti metterò in castigo.»
Si voltò nuovamente verso il Signore del Tempo e sorridendo gli corse incontro.
«Guarda, l’ho trovata! Trippy, questo è il Dottore. Dottore, questa è Trippy. Di’ ciao al Dottore. “Ciao!”»
«Molto piacere, Trippy» rispose l’uomo leggermente a disagio per il fatto che stava parlando con un giocattolo.
«Quando arriviamo a casa ti preparo la cena. Però niente gelato perché ti sei comportata male.»
Dopo diverse ore di peregrinazioni spazio-temporali senza meta, era il momento di riportare quella piccoletta nella Londra del ventunesimo secolo.
«Andiamo, ora ti riporto a casa» le disse il viaggiatore delle stelle offrendole la mano.


 

 

-------------------------


Ebbene sì, siamo praticamente arrivati alla fine del viaggio. La bambola è stata recuperata, nessun colpo di scena a questo giro.
Il titolo (ok, forse è un filino pomposo) è la citazione di un'autrice di nome Muriel Rukeyser. Anche se personalmente questa frase l'ho scoperta grazie al tumblr di Joseph Gordon Levitt.
Qualche commento sulle cose che mi sono inventata per questo capitolo:
- Trippy, l'osceno nome della bambola, viene da... lo indovinate?... pensateci un pochino... ve lo dico?... dai video della Cortellesi che canticchia il jingle pubblicitario di una specie di Barbie, Magica Trippy. Mi facevano morire...
- Il CARDIS... beh, ho effettivamente ribattezzato la mia auto in questo modo: C3 And Relative Dimension In Space. Non penso abbia davvero senso, ma è divertente XD
- "Un TARDIS tutto mio" è un best seller per l'infanzia su Gallifrey, lo sapevate? Beh, sapevatelo! Ce l'hanno in tutti gli asili, sono secoli che sta in classifica... come da noi è per "Il giornalino di Gianburrasca", o "Le avventure di Pinocchio"... solo che è diretto alla seconda infanzia. Magari un giorno lo scriverò davvero... mi incuriosisce l'idea di inventare storie per bambini...

Un saluto e al prossimo capitolo, con l'addio di Nine a Liz.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Oh, quella cabina! Liz, sognerai quella cabina! ***


9. OH, QUELLA CABINA! LIZ, SOGNERAI QUELLA CABINA!

 

Liz fece un balzo a piedi uniti fuori dalla porta del TARDIS, stringendo la bambola sottobraccio. Riconobbe subito il viottolo di Londra in cui stava, lo stesso dove quello stesso pomeriggio aveva adocchiato una curiosa cabina blu e aveva deciso di sbirciarci dentro. La cabina era ancora lì, davanti ai suoi occhi. Il fatto che fosse tanto più grande dentro rispetto al fuori parve non turbarla minimamente. Il Dottore si mise sull’uscio, come incorniciato da esso, e guardò la bambina che chiacchierava con la sua figlia di stoffa.
«È tardi ora, meglio se vai a casa o la mamma si preoccuperà» disse lui.
La bimba lo guardò. Poi si mise a sussurrare qualcosa all’orecchio di Trippy, coprendo la bocca con la mano, come fosse un segreto.
«Trippy vuole che tu venga a cena da noi. Ha detto che ti prepara il pesce con le patatine fritte. È molto brava a cucinare, sai?»
«Grazie, Trippy, ma io non… ho delle cose… devo andare.»
Il sorriso sulla bocca della bambina si fece meno palese.
«Se non ti piace il pesce possiamo mangiare qualcos’altro. La mamma sa preparare tante cose.»
Il Dottore non amava fermarsi a casa dei terrestri, anche se non si era mai soffermato molto a pensare quale fosse il vero motivo di ciò. In fondo, si diceva, lui ci teneva a farsi conoscere come il personaggio straordinario che appare dal nulla e scompare in un istante. Una pizza attorno al tavolo di un salotto qualsiasi gli avrebbero fatto perdere l’alone di mistero che tanto gli piaceva portarsi dietro nei suoi viaggi fra mondi e persone. Forse c’era dell’altro che avrebbe potuto spiegare questa sua riluttanza a pranzare in famiglia, ma lui non aveva intenzione di meditarci sopra.
Scosse la testa verso Liz e gli occhi della piccola si fecero lucidi.
«Non piangere!» l’apostrofò l’uomo agitando un indice. C’erano state abbastanza lacrime nelle ultime ore, non ne servivano di certo delle altre.
La bimba tirò su col naso e strinse i pugni sforzandosi di essere forte. D’un tratto corse incontro al Dottore a braccia aperte. Il Signore del Tempo si ritrovò le gambe circondate da un abbraccio e sollevò le mani indeciso sul da farsi. Diede qualche buffetto sulle spalle della piccola che non accennò a lasciarlo andare. Infine poggiò le mani dietro al collo di lei e la strinse piano a sé.
Poco dopo Liz si staccò e fece qualche passo indietro.
«Non scordarti questa» le disse il Dottore dandole la bambola che le era caduta fra i piedi durante l’abbraccio. Se la sarebbe persa altre decine di volte, lui ne era convinto.
«Ora vai.» Non poteva star lì a lungo, ma voleva vederla almeno incamminarsi. «Su, vai a casa» insistette con decisione.
Liz si girò e iniziò a camminare con Trippy stretta al petto.
«Ah, Liz!» esclamò lui, d’un tratto. La bimba si voltò nuovamente verso di lui, curiosa di sapere cosa avesse d’importante da riferirle. «Fatti spiegare un po’ meglio dalla mamma la storia dei cavoli e di Babbo Natale.»
La piccola parve un po’ confusa, ma annuì. Lui le sorrise e la bimba fece lo stesso.
«Ciao Dottore!» disse, agitando la mano col cerotto nell’aria, per poi riprendere a camminare.
Dopo pochi secondi sentì un forte rumore alle sue spalle e si voltò di scatto, appena in tempo per vedere la cabina blu lampeggiare e poi sparire nel nulla. Fissò a bocca aperta il vuoto lasciato dalla strana astronave. Era sparita, come per magia.
Ma forse un giorno lui sarebbe tornato a prenderla e avrebbero ancora fatto un viaggio nella sua stramba nave spaziale. E magari sarebbero andati sul pianeta di Luke Skywalker e avrebbe fatto una corsa con gli sgusci, o combattuto con le spade laser. Oppure, chissà, avrebbe camminato sopra la luna e se la sarebbe mangiata, dato che è fatta di formaggio. Altrimenti avrebbe potuto andare a cavallo di una stella cadente, o avrebbe fatto tante altre cose ancora più fantastiche. Tuttavia Liz era consapevole di essere ancora piccola, sapeva di dover attendere di diventare grande per poter partire e lasciare casa sua. Nel frattempo avrebbe sperato e atteso finché quel giorno non fosse arrivato. “Ci vediamo fra qualche anno” pensò “quando magari anche io avrò un CAR-DIS tutto mio.”



 

 

-------------------------


E poi siamo arrivati alla fine.
Ebbene sì, pare che io sia riuscita a concludere almeno una delle storie che avevo in sospeso. Aprirò una bottiglia di spumante per festeggiare. Chi si unisce alla celebrazione? Mi sono impegnata per riuscire a finire prima di partire  per le vacanze (ovvero domani), mi sembrava brutto lasciare tutti i miei numerosi lettori in sospeso fino a settembre! :P
Liz si trasformata in un'altra piccola girl who waited. Col Dottore va così: passa e lascia il segno. Le povere companion vengono abbandonate con la consapevolezza che ci sarebbe una vita incredibile da vivere fra le stelle. Vabbé, non è il momento di essere tristi, anche se... sigh... sono un po' dispiaciuta che Liz e il Dottore non siano più impegnati nella loro caccia al tesoro sul TARDIS :(
Ringrazio i lettori, Eleu per prima, che ha partecipato fin dall'inizio alla stesura di questa storiella. 
Un saluto anche da Liz e Trippy, stanno mangiando pesce e patatine nella mia cucina in questo momento.
Alla prossima!

PS: il titolo è una citazione (modificata). Ve la ricordate? Ho adorato quel discorso sul TARDIS 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=542558