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Bene bene, eccomi in contemporanea
con due storie!!! =). Anche questi capitoli non
saranno molto lunghi, perché dovevo rispettare un
limite massimo =).
Spero vi piaccia. Aspetto con ansia le vostre recensioni!
Un bacione.
Amalia
“Partecipante al contestCharacters & Quotes indetto da Only_Me”;
Nick Autore: Amalia895
Titolo: Quando una scelta
può cambiarti la vita
Personaggio scelto:
Rosalie Hale
Citazione scelta: Nessuno riuscirà più a farmi del male; vincerò il dolore
con la rabbia.(Melissa P)
Personaggi
secondari (se presenti): Carlisle Cullen, Edward Cullen, Esme Cullen, Alice
Cullen, Kim, Stive, Ariel Hale.
Pairing (se presenti):
Genere: Fantasy – Soprannaturale – Drammatico.
Rating: Verde
Avvertimenti: Flash-Fic 4 capitoli OOC Intro/NdA: Una Rosalie diversa, non ricca sfondata,
non vanitosa… Una Rosalie che conosce i problemi di una vita senza lusso né
sfarzi, una Rosalie, che scoprirà quanto una sola scelta sbagliata, possa
rovinarle la vita.
Capitolo 1
Passeggiavo tranquilla nei sobborghi di Seattle, il cielo
era plumbeo e il vento portava con sé il tipico odore di acqua piovana, di lì a
breve, sarebbe scoppiato un acquazzone in piena regola.
Accelerai il passo, stringendomi nella mia giacca.
Non mancava molto, al massimo un
paio d’isolati. Era sera tarda e le strade cominciavano ad
essere deserte.
Sentivo il vociare delle famiglie sedute a tavola, provenire
dai palazzi circostanti, lo sbattere di posate sui piatti, la televisione a
tutto volume sintonizzata su quiz o telegiornali.
Mi rabbuiai all’idea di tutte quelle persone felici, la mia
vita non era così rosea.
Avevo appena diciassette anni e lavoravo in un pub, non
molto distante da casa. Ero stata costretta ad abbandonare gli studi, a causa
delle scarse finanze famigliari.
Dopo il licenziamento di mio padre, tutto era cambiato,
certo prima non eravamo di certo ricchi, ma riuscivamo ad arrivare alla fine
del mese.
Io ero l’unica a portare i soldi in casa, l’unica idonea al
lavoro. Mia sorella Ariel, aveva solo sei anni ed ero io a preoccuparmi di
insegnarle almeno a leggere e a scrivere, quando ne avevo il tempo. Mia madre
era scappata, il giorno della sua nascita, abbandonando me e mio padre mentre
quest’ultimo, si era ammalato gravemente appena un mese dopo che aveva perso il
lavoro.
E così io, Rosalie Hale, avevo preso tutto in mano, ero
maturata nel giro di pochissimo tempo o forse, lo ero sempre stata ma mai mi
ero preoccupata di dimostrarlo.
Ero la ragazza più popolare della scuola, avevo lunghi
capelli biondi e mossi, grandi occhi nocciola e un fisico, da fare invidia ad una modella.
Avevo molti amici prima o almeno,
così credevo. Da quando me n’ero andata, nessuno si
era più fatto sentire.
Ma quella che più di tutte mi aveva
deluso, era Kim, la mia migliore amica.
Nemmeno una settimana era passata dalla mia dipartita, che
subito aveva preso il mio posto in tutto; capo cheerleader, rappresentante del comitato studentesco, perfino il posto di
capitano nella squadra di pallavolo.
Purtroppo, non si era limitata a
questo… Aveva reso pubblica la ragione del mio abbandono, facendomi deridere e
declassare dall’intera scuola e dall’interno quartiere.
Sospirai, ripensando a tutti quei
brutti ricordi. Lo squarcio nel mio cuore faceva ancora male quando ci pensavo.
Una lacrima sfuggì al mio controllo,
rigando il mio volto stanco e sciupato. L’asciugai
frettolosamente e tornai a guardare la strada davanti a me.
All’improvviso, un fruscio alle mie
spalle mi fece voltare di scatto, spaventandomi.
Scrutai nell’oscurità della stradina
ma non vidi nessuno, senza perder tempo, mi voltai per correre verso casa, ma
quando tornai sui miei passi, sbattei contro a quello
che mi sembrò un muro.
Caddi a terra, sbucciandomi le mani.
«Ma che diavolo ci fa qui un muro!?». Imprecai.
Con mio grande stupore, i miei occhi
incrociarono quelli di un essere oscuramente divino. Il lui c’era racchiusa una
tale bellezza da mozzare il fiato, ma la sua presenza era così cattiva e
minacciosa da inclinare il lato più affascinante di lui.
Era alto, la pelle era di un pallore
tale da assomigliare ad una perla, gli occhi erano due
profonde pozze nere, con qualche sfumatura di cremisi, corpo statuario.
I denti erano scoperti in un ringhio
basso e continuo. Era cupo ed in lui, non c’era alcuna
traccia d’umanità.
Indietreggiai tremando, arrancando
prima sui gomiti e poi sui palmi, sentii il mio volto irrigidirsi in una
maschera di puro terrore. Chi era quell’essere? Che cosa voleva da me?
«Dove scappi
bel bocconcino?». Parlò per la prima volta e quando lo fece, il sangue mi si ghiacciò
nelle vene.
La sua voce era acuta e stridula,
quella di un pazzo.
Non so come, riuscii ad alzarmi ed iniziai a correre dalla parte opposta alla sua, non ebbi
il tempo di fare più di tre passi, che si parò davanti a me.
Sbuffò, alzando gli occhi al cielo.
«Non amo quando la mia cena tenta di
scappare, soprattutto quando sono così affamato». Ringhiò, leccandosi il labbro
superiore.
La sua cena?!
Sbarrai gli occhi ed
un urlo mi si fermò in gola.
Fu un attimo, mi prese per le spalle,
affondando i denti nella mia clavicola e trascinandomi al buio, lontana dalla
flebile luce dai lampioni.
Non ebbi né la forza né il tempo di
gridare, sulle prime provai a divincolarmi ma presto, le energie mi
abbandonarono.
Sentivo gli arti intorpiditi e non
credevo a quello che mi stava succedendo.
Il mio cuore rallentò ed i suoi battiti si fecero sempre più deboli, pompava
sangue sempre più a fatica, chiusi gli occhi stremata nel tentativo di tenerli
aperti.
La mia morte sarebbe sopraggiunta da
un momento all’altro e proprio quando sentivo le ultime forze scemare via da
me, quell’essere immondo venne strappato dalla mia
gola, provocandomi un dolore ancora più acuto, strappandomi via un pezzo di
carne.
Sentii solo più un vociare concitato
e un rumore di ferro strappato, prima di cadere definitivamente nel buio più
assoluto.
Salve a tutti, prima di lasciarvi alla lettura del capitolo, vorrei fare
una piccola osservazione
Salve a tutti,
prima di lasciarvi alla lettura del capitolo, vorrei
fare una piccola osservazione. Ho visto che un po’ di persone hanno letto il
primo capitolo ma con mio rammarico, solo una ha commentato. Non vi piace la
storia? E’ così orribile? Davvero preferisco che me lo diciate che leggere il
numero 0 sulle recensioni. Spero che questo abbia più
successo.
Buona lettura.
Rispondendo a Dindy80
Eh certo! Posso modificare parte della sua vita, ma davvero
non riesco a vederla per sempre umana, nonostante questo sia il suo desiderio
più grande ^_^. Spero vivamente che anche questo capitolo possa essere di tuo
piacimento. Bacioni e grazie ancora!
Capitolo 2
Caldo, sentivo il mio corpo invaso da un calore immenso. Il
sangue ribolliva nelle vene e la testa mi esplodeva.
Il cuore batteva all’impazzata, frenetico, smanioso di consumare
tutti i battiti a sua disposizione. Era un dolore assurdo, atroce, volevo
morire, perché non mi uccidevano!?
All’improvviso, tutto s’intensificò, raggiungendo quello che
speravo essere il suo apice, mi inarcai e dalla mia
gola uscì un urlo di tale intensità da non credere che appartenesse a me.
Boccheggiavo in cerca d’ossigeno, sbarrai gli occhi e
strinsi le mani attorno alle lenzuola nelle quali ero avvolta.
«Basta!». Gridai ancora, preda del
dolore.
«Mi dispiace cara… Era l’unico modo per salvarti». Una voce
gentile, delicata mi raggiunse.
Voltai la testa nella sua direzione, continuando ad
ansimare.
Incontrai il volto di una donna dai capelli color del
caramello. Era bella e… pallida.
«Ahhh!». Per quanto mi sforzassi, non riuscivo a contenere
le urla.
Perché non perdevo i sensi? Fin dove poteva arrivare la mia
sopportazione?
Un altro fruscio ed una nuova
presenza comparve nella stanza.
«Vai Esme, resto io con lei». Una
voce maschile, più marcata e seria.
«Okay, speriamo finisca presto». Fu la risposta della donna
che a quanto pareva, si chiama Esme.
«Rosalie. Sono Carlisle Cullen. So
quello che stai provando, ci sono passato prima di te, ma tieni duro, la
trasformazione è quasi finita». Si sedette di fianco a me e continuò a
sussurrare parole per me prive di significato, per tutto il tempo.
Mi disse che loro erano vampiri e che era stato proprio uno
di loro ad aggredirmi per strada. Che l’unico modo per salvarmi era stato
quello di mordermi e di conseguenza, di trasformare anche me.
La mia mente era confusa ed avvolta
dalle fiamme che in quel momento, divoravano il mio intero corpo.
Presto non fui più in grado di pensare lucidamente e quando
credetti d’essere nuovamente sul punto di morire, il fuoco cominciò a
ritirarsi.
Potei sentire il sollievo nelle mie mani e nei miei piedi,
non appena il calore mi diede tregua.
Passarono pochi minuti o forse ore e finalmente, riaprii gli
occhi, chiusi nel tentativo di riuscire a controllarmi.
Sbattei le palpebre un paio di
volte, prima di sollevarmi lentamente. Mi trovavo in uno stanzone bianco, pieno
di vetrate, dalle quali potei scorgere solo alberi e prati.
Notai anche le increspature del vetro e i sottili fili di
polvere che volteggiavano nell’aria.
Presi un respiro profondo ed al mio
olfatto, arrivarono molti odori differenti.
Erba, gelsomino, mare, lavanda, miele, lillà e sole. Voltai
il capo, seguendo la traiettoria di quei profumi.
Fu allora che li vidi.
La donna dai capelli color del caramello che mi aveva assistita durante la mia trasformazione, Esme, e due uomini,
uno biondo con gli occhi dorati e l’altro era molto alto, i capelli rossicci
scompigliati e anch’esso, aveva le iridi di quel colore così strano, che non
avevo mai visto. Era una cosa che accomunava tutti e tre.
Aggrottai le sopracciglia, non riuscivo a far ordine tra i
miei pensieri era tutto troppo confuso.
«Rosalie, sono Carlisle… Ti ho
spiegato che cosa siamo e cosa stavi diventando. Ricordi?».
L’uomo biondo mi parlò per primo.
E così, era lui ad avermi trasformata
in una… vampira? Non era possibile.
E poi, come sapeva il mio nome?
«Avevi i documenti addosso e sì, è lui che ti ha trasformata». Il ragazzo rossiccio,
rispose alla mia domanda muta.
Avevo forse parlato ad alta voce?
«No. Leggo nel pensiero. Comunque,
io sono Edward». Rispose ancora, sorridendo.
Sgranai gli occhi. Leggeva nel pensiero?
Carlisle si fece avanti cauto, inginocchiandosi davanti a
me. Ogni suo movimento era calcolato e attento, come se potessi aggredirlo da
un momento all’altro.
«Sei una vampira Rosalie. Ed ora, dovrai fare attenzione a molte cose». Disse,
scrutandomi attentamente.
«Non devi mai esporti alla luce del sole, né mostrare i tuoi
poteri in pubblico».
«I miei poteri?». Chiesi, parlando per la prima volta.
Mi portai le mani alla bocca, di chi era quella voce? Di
certo non mia!
«Sei molto forte e veloce e… Il tuo aspetto, così come la
tua voce, sono cambiati». Mi spiegò, facendo un cenno
con la mano verso lo specchio che si trovava alla sua sinistra.
Mi alzai titubante, sentendomi… diversa.
Avevo una strana percezione del mio corpo, lo sentivo più
agile e… letale.
Riflettei la mia immagine ed un
gridò scappò dalla mia bocca.
Sembravo una Dea! Ero già una delle
ragazze più belle del quartiere ma ora… Era tutto diverso.
La mia pelle era color dell’avorio, liscia e perfetta. Il
mio corpo, sembrava scolpito in una pietra, i miei
capelli erano seta e le labbra, rosee e perfette.
«Oddio! I miei occhi!». Urlai quando vidi il rosso cremisi acceso.
Mi ricordavano… Gli occhi del mio assassino!
Mi voltai di scatto verso quella strana famiglia ed Edward, si acquattò emettendo un ringhio d’avvertimento.
Carlisle aveva le mani sollevate nella mia direzione ed Esme
era arretrata.
Ricordavo il volto di chi mi aveva ucciso, così come mi
ricordavo che cosa mi aveva portato via! La mia vita, la mia famiglia. Come
avrebbero fatto ad andare avanti senza di me? Chi avrebbe insegnato ad Ariel
l’italiano, la matematica e la geografia.
No! Lei non avrebbe fatto la mia stessa fine! MAI!
«Devo tornare dalla mia famiglia!». Dissi seria.
«Non puoi». Fu la risposta secca di Carlisle.
Risi, senza ilarità.
Chi era quell’uomo per impedirmi di riabbracciare mio padre
e mia sorella?
«Non sai ancora niente sulla tua
natura. Prima devi nutrirti, non correre inutili rischi». Edward provò ad
avvicinarsi.
Ed il mio petto vibrò, lasciando
uscire dalle mie labbra serrate un ringhio minaccioso.
Quasi mi stupii, era stata una cosa naturale, non l’avevo
pensato né comandato al mio corpo.
Deglutii la saliva che mi aveva inondato la bocca, sentivo
uno strano bruciore in gola, era fastidioso, ma non potevo pensarci ora, io
dovevo tornare da Ariel e da mio padre.
«E’ veleno, non saliva». Puntualizzò ancora il rosso.
«Smettila di leggermi nel pensiero!». Gridai, acquattandomi.
Mi sentivo adirata, una strana ed
incontrollata rabbia si stava prendendo gioco di me.
Tutti e tre si misero sulla difensiva, ero in svantaggio,
non potevo di certo battermi con loro.
A quanto avevano detto, ero diventata molto forte, ma non
sapevo usare il mio corpo come macchina da guerra, né sapevo fin dove potevano
arrivare le loro capacità.
«Non provarci… non costringerci a reagire». Mi avvertì
Edward, facendo un passo nella mia direzione.
Sorrisi, capendo come potevo fare per riuscire a fuggire. Il
rosso poteva prevedere tutte le mie mosse, solo se le pensavo. Avrei dovuto
abbandonarmi all’istinto, non volevo fare del male a nessuno. Ma non potevo permettere che mi tenessero lontana dai miei
affetti.
Edward sbarrò gli occhi sorpreso ed
io, approfittai di quel momento di distrazione per scattare in direzione di
Esme.
Mi mossi ad una velocità tale, che
non ebbi nemmeno il tempo d’accorgermene.
Avevo fatto appena in tempo a pensare a quella mossa che
subito, il mio corpo l’aveva compiuta.
Sorrisi, soddisfatta di quello che ero in grado di fare.
Avvolsi la donna nel mio braccio e strinsi, cercando di
controllare la mia forza.
«Non voglio fare del male a
nessuno. Lasciatemi solo andare». Sibilai,
avvicinandomi alla vetrata.
Lo sguardo di Carlisle era preoccupato e subito, abbandonò
la posizione d’attacco. Edward non cedette con altrettanta facilità, teneva i
suoi occhi puntati nei miei e non sembrava voler mollare.
«Edward…». Al richiamo di Carlisle, tornò in posizione
eretta ma non rilassò i muscoli.
Tenendo sempre stretta e me la donna, diedi un calcio alla
vetrata mandandola in frantumi.
Mi azzardai a guardare verso il basso e vidi che ci
trovavamo almeno a quattro metri da terra… Chissà se mi sarei fatta male.
In tal caso, ne avrebbero sicuramente approfittato per
uccidermi, ma dovevo rischiare.
«Non sai quello che stai facendo». Provò ancora Carlisle.
«Grazie». Mi limitai a rispondere, prima di lasciar andare
Esme e di lanciarmi in una folle corsa.
Toccai terra delicatamente, senza provocarmi alcun dolore.
Tirai un sospiro di sollievo e, muovendomi ad una velocità inaudita, mi diressi verso casa mia,
sferzando il vento come un fulmine.
Dovevo tornare dalla mia famiglia, non sapevo come ne quando, ma li avrei raggiunti, riportando tutto alla
normalità.
Eccomi con il terzo capitolo di questa breve ff, con rammarico ho visto
che in molti continuano a leggerla ma che praticamente nessuno mi dice che cosa
ne pensa L
Eccomi
con il terzo capitolo di questa breve ff, con rammarico ho visto che in molti
continuano a leggerla ma che praticamente nessuno mi
dice che cosa ne pensa L. Va beh, sono già contenta che gli
dedicato un po’ del vostro tempo.
Grazie a
tutti.
Amalia.
Rispondendo a nefertiry85: Ciao! Grazie perché come sempre hai parole bellissime da
donarmi! Davvero spero di non deluderti mai. Per la puntualizzazione ha
ragione, non ci avevo nemmeno fatto caso XD. Grazie
per avermelo fatto notare!!J. Buona lettura, bacioni
Amalia.
Capitolo 3
Ero uscita da casa Cullen che le tenebre avvolgevano la
foresta tetra.
Ora potevo vedere in lontananza, il
leggero pallore del sole che timido, sorgeva tra le scure nubi di Seattle.
Dopo diverse ore, ero riuscita finalmente a giungere nella
mia città. Non che fosse lontana da Forks, luogo in cui avevo scoperto
d’essere, ma mi ero persa numerose volte prima di trovare la strada giusta.
Alla fine, avevo deciso di affacciarmi sull’autostrada e di
seguire i cartelli stradali.
Avevo rallentato il mio passo, camminavo frettolosamente, ma
senza correre, ricordavo quello che mi aveva detto Carlisle, non dovevo
mostrare in pubblico i miei poteri.
I miei piedi battevano sul suolo senza produrre alcun
rumore, avevo acquisito delle capacità straordinarie. Oltre alla super velocità
e all’immensa forza, ero dotata di una vista acuta e perfetta e di un udito
tanto fine, da poter sentire il rumore di una piuma che cadeva su un pavimento
di cristallo.
Se non fosse stato per l’aumento del bruciore della mia
gola, avrei dimostrato sicuramente più entusiasmo per il mio nuovo essere.
Finalmente, riconobbi l’isolato che precedeva il mia palazzo, sorrisi, smaniosa di riabbracciare le
persone più importanti della mia vita, ma quando voltai l’angolo, tutto cambiò.
Vidi Ariel seduta sul gradino del nostro portone, la sua
copertina preferita, unico pezzo di stoffa che la riscaldava.
Aveva i capelli arruffati e gli occhi lucidi, nella mano
destra reggeva un bicchierino di plastica con il quale, si avvicinava
ai pochi passanti che popolavano la mia via, appena due uomini ed una donna.
Stava facendo l’elemosina.
Sentii il mio cuore incrinarsi a quell’immagine ed una domanda sorse spontanea nella mia testa. Da quanti giorni
mancavo?
Dopo aver incassato i rifiuti di quelle persone, tornò al
portone, sedendosi sul gradino ed iniziando a
singhiozzare.
Senza controllare la mia velocità, mi fiondai su di lei,
stringendola cautamente al mio petto.
Sentii il suo corpo irrigidirsi per la sorpresa ed il calore invitante della sua pelle sulla mia.
Potevo contare ogni pulsazione del suo cuore, sentire il
sangue scorrerle nelle vene e la mia gola bruciare a tal punto, da divenire
insopportabile.
Mi staccai bruscamente da lei, allontanandomi di qualche
metro.
Che cosa mi stava succedendo?
«Rose! Oh Rose!».
Urlò, correndomi incontro.
Arretrai ancora, andando contro alla
forza di gravità che mi spingeva verso di lei.
«Ariel no…». Non ebbi il tempo di finire la frase che
inciampò nella coperta, battendo le ginocchia a terra.
Iniziò a piangere ma non feci caso alle sue lacrime né alla
sua voce che mi chiamava.
L’odore dolciastro del sangue che usciva dai tagli sulle sue
ginocchia mi raggiunse prepotentemente.
Prometteva di calmare la mia sete, di alleviare il mio
dolore ed i fastidiosi crampi che avevo alla bocca
dello stomaco.
Senza accorgermene, mi ero riavvicinata a lei, la quale,
teneva le manie sulle ginocchia sporche.
Appena vide che le ero di fronte, mi lanciò le braccia al collo, macchiandomi una guancia con il suo
sangue.
Non potei evitare quello che accadde dopo. Con assoluta
precisione e naturalezza, affondai i denti nel suo collo.
La vista mi si annebbiò e sentii il suo sangue schizzarmi in
gola. Scendeva lento, caldo, placando la mia sete, la mia fame.
Non ero più in grado di pensare, bramavo così
tanto quel nettare che nemmeno la sua manina che provava a tirarmi i
capelli con forza, servì a nulla.
Succhiai fino all’ultima goccia, prosciugando il suo corpo.
Quando mi staccai, realizzai quello
che avevo appena fatto.
Reggevo tra le braccia il corpicino freddo e morto di mia
sorella Ariel, l’avevo uccisa.
«Noooo!». Un urlo di puro dolore irruppe nella mia gola,
gridai così forte da svegliare l’intero vicinato.
Arretrai, schifata da quello che ero, e da quello che avevo
appena fatto.
Come avevo potuto macchiarmi di un crimine tanto orribile?
Lei era corsa nella mia direzione, fiduciosa nel buttarsi tra le braccia di sua
sorella ed io… Avevo messo fine alla sua tenera e piccola vita.
Un dolore, più forte ancora di quello che avevo provato
durante la trasformazione, mi spezzò in due.
Singhiozzai forte, gli occhi mi pungevano ma da essi, non
uscì nemmeno una lacrima.
Scappai via, spaventata di poter uccidere qualche altro
essere umano, qualche altra persona innocente, qualche altro bambino.
Ma che cosa ero diventata? Non
potevano semplicemente lasciarmi morire? Perché i Cullen mi avevano salvata!?
Mi nascosi in un vicolo cieco, buio e logoro. Meritavo di
stare in mezzo alla feccia, meritavo di bruciare tra le più orribili pene
dell’inferno per quello che avevo fatto.
Diedi un pugno al muro di fronte a me, frantumandolo e
riducendo i mattoni rossi in polvere.
«Perché!?». Gridai, prendendomi la
testa tra le mani.
Io ero tornata da loro per aiutarli, per riprendere le
vecchie abitudini, per andare avanti… Non per… distruggerli.
Mio padre, vittima della sua malattia, si era visto
strappare via entrambe le figlie. Come avrebbe continuato anche lui?
«Oddio Ariel perdonami!». Ero disperata, avrei dato questa
mia dannata e penosa vita pur di riaverla, pur di farla tornare indietro
Mi lasciai scivolare a terra, abbracciai le ginocchia con le
braccia, poggiandoci la testa sopra. Promisi a me stessa, che non avrei
cacciato mai più.
Non sapevo se quelli come me, potevano morire di fame, ma
speravo di sì. Speravo di poter morire tra i dolori più atroci.
Sperai, di poter semplicemente sparire dalla faccia della
terra.
In tanti mi hanno già
aiutato ed ora ho bisogno di voi per realizzare il mio
sogno! Lo userò come “prova” che sono già conosciuta sul web. Siete sparse nei
diversi siti in cui pubblico e mi piacerebbe che vi ritrovaste tutte lì dentro.
Spero davvero che possiate darmi una mano.
Grazie mille in
anticipo!
Per rispondere
brevemente a dindy80: Credo sia troppo
facile raccontare di storie che hanno sempre un lieto fine…
Volevo stupirvi, prendervi in contropiede e con i tuoi commenti mi hai
dimostrato che ci sono riuscita. Non sono drammatica in questo periodo, solo mi
va di uscire dai miei schemi… Di dimostrare a me stessa ed
a chi non crede in me, che posso essere versatile. J. Un bacione. Amalia.
Ci vediamo al fondo
per i saluti!
Capitolo 4
Quanto tempo era passato? Ore? Giorni? Settimane? Mesi?
In qualunque caso, troppo.
La gola bruciava come mai aveva fatto, sentivo il mio corpo
debole e i miei sensi attutiti.
Il dolore che mi logorava, mangiandosi tutto ciò che avevo
dentro, pezzettino dopo pezzettino, non si era
attenuto nemmeno per un secondo.
Ed ero felice, stavo soffrendo come meritavo, almeno questa
mia preghiera era stata esaudita.
Pioveva a dirotto, l’acqua picchiettava sulla mia pelle,
producendo un tonfo sordo. Era come se sbattesse sulla roccia.
Non mi ero mossa da quella posizione, avevo scoperto
d’essere in grado di restare immobile come una statua per giorni, non dormivo e
respirare per me, non era fondamentale.
Avevo provato a trattenere il fiato, ad andare in apnea per
perdere i sensi ma niente…
Nonostante mi trovassi a molta distanza dal centro abitato,
potevo sentire le ruote degli pneumatici scorrere sull’asfalto, i gabbiani
stridere sul mare, i piedi delle persone cozzare nelle pozzanghere.
Quello era senz’altro il mio peggior incubo.
Il tempo passava e la mia mente era attraversata da continue
immagini, frammenti della mia vita umana.
La prima volta che Ariel mi strinse la mano, la prima volta
che non sapendo che ero sua sorella, mi aveva chiamata
mamma. I suoi sorrisi e quegli immensi occhi blu, ereditati da mio padre che mi
fissavano sempre con orgoglio e fiducia, una fiducia che io non avevo onorato.
Un’immagine disgustata apparve sul mio volto e strinsi più
forte i pugni già serrati.
Ero talmente immersa nel mio dolore che non mi ero accorta
dell’avvicinarsi dei due umani.
«Dai Stive! Non fare lo scemo». Cinguettò una voce femminile, scoppiando poi in una
sciocca risata.
«E dai, perché devi farmi aspettare
ancora? Qui non ci vede nessuno». Rispose la voce roca
e profonda di un uomo.
Perché quelle due tonalità non mi
erano nuove?
«Andiamo ancora un po’ più avanti e poi…».
Oddio! Alzai il capo all’improvviso ricordando a chi appartenessero.
La ragazza era Kim e lui, Stive era il mio ragazzo!
Quindi, oltre a tutta la mia
popolarità, si era presa anche il mio uomo e lui, non ci aveva messo poi molto
a rimpiazzarmi.
Una nuova ondata d’ira, s’impadronì del mio corpo, il veleno
m’inondò la bocca ed i muscoli si tesero, pronti per
balzare addosso a quei due essere immondi.
Nonostante tutto, non mi mossi, volevo che fossero loro a
notarmi per primi, volevo vedere il terrore invadere ogni cellula dei loro
schifosi corpi.
Tenni il viso sollevato e trattenni il respiro, non volevo
ucciderli prima del tempo.
Kim, tirò a sé Stive, sbattendolo
conto il muro. Le loro labbra si scontrarono, in un bacio pieno di lussuria e
prepotenza.
Risi, anche se più che una risata, dalla mia gola uscì un
suono gutturale.
Entrambi sussultarono, voltandosi nella mia direzione.
«Contento di vedermi Stive?». Domandai con voce mielosa.
Arretrò di qualche passo, probabilmente il suo istinto di
sopravvivenza gli stava suggerendo la cosa più giusta, scappare il più lontano
possibile da me.
Al contrario, Kim rimase dov’era, scrutandomi
altezzosamente, perfino il suo istinto era stupido ed
ottuso.
«Credevano tutti che ti avessero rapita».
Osservò placidamente.
«Non mi sembri dispiaciuta all’idea». Puntualizzai, calcando
su ogni parola.
Lei alzò le spalle, in segno d’indifferenza.
Se solo pensavo a quelle che, fino a poco tempo prima, avevo
reputato parole così brutte da distruggermi, mi veniva da ridere.
Tutto era banale ed insignificante
paragonato al dolore della perdita di mia sorella.
«Immaginavo che fossi finita a fare la stracciona sotto
qualche ponte ma…». Si fermò, facendo scorrere il suo sguardo su di me. «Non
credevo di certo che saresti arrivata ad un livello
tale di degrado». Aggiunse acidamente.
Risi di nuovo, non potevo fare a meno di farlo.
Quella sciocca ragazzina non sapeva con chi aveva a
che fare, non più.
Mi sollevai lentamente e, prima ancora che se ne potesse
accorgere, andai alle spalle di Stive, posizionando
una mano sul suo mento e l’altra sulla sua tempia.
«Questo, è per avermi tradita senza pudore e per esserti
comportato da vero bastardo». Gli spezzai il collo, sussurrandogli all’orecchio
i miei ultimi pensieri.
Subito dopo, mi voltai verso Kim, la quale arretrava
tremante.
«Ora non fai più la gradassa, vero?».
Domandai, avvicinandomi a passo umano.
«Che- co-cosa sei?». Domandò tremante.
«Il tuo destino… Sono la tua punizione divina, sono ciò che
ti meriti». Risposi ringhiando.
La desideravo, volevo il suo sangue ma non avrei ceduto,
dentro di me non ci sarebbe stata nemmeno una goccia di lei,
della sua pietosa essenza.
«Scusami Rose, mi dispiace io…». Cominciò ad
implorarmi ed era musica per le mie orecchie.
«Io, non volevo ferirti… scu-scusa.
So quanto male ti ho fatto è…». Stava parlando decisamente troppo.
In meno di un secondo, fui anche alle sue spalle, scostai i
suoi capelli da un lato e tirai la sua testa sulla mia spalla.
«Nessuno riuscirà più a farmi del male;
vincerò il dolore con la rabbia. Ed inizierò proprio da te, adesso ». Sussurrai, prima di
afferrare il suo collo con una mano e di stringere.
Non mi fermai, fino a quando non
udii il Tac, sotto le mie dita.
La lanciai a diversi metri da me,
per non farmi tentare. La mia mente non fece nemmeno in tempo a realizzare quello che era accaduto che l’ennesimo rumore,
attirò la mia attenzione.
Apparteneva ad
uno della mia stessa specie, ad un vampiro, lo potei capire dalla delicatezza
con la quale piombò davanti a me.
Istintivamente, feci un balzò all’indietro e scoprii minacciosamente i denti.
Fissavo una vampira minuta, con i
capelli neri, sparati ovunque e gli occhi dorati, come quelli dei Cullen.
«Non attaccarmi. Mi chiamo Alice Cullen…».
Disse, sollevando le mani in segno di resa.
Guardò i corpi delle mie vittime e
subito dopo, riportò lo sguardo su di me, era severo e carico di risentimento.
«Non è così che si vive!».
Aggiunse ringhiando.
«Ma che cosa vuoi? Piombi qui e mi dici che cosa devo o non devo fare? Io ho fatto la mia scelta e non m’interessa se
quel che ho deciso non ti piace!». Urlai rabbiosa.
«Hai fatto quella sbagliata. Non ti è bastata la morte di
tua sorella a dimostrartelo?». Quelle parole mi ghiacciarono. Come faceva a
sapere di Ariel?
Abbassai appena la guardia,
scrutandola sospettosa.
«Non è necessario che tu ti nutra di umani. Vieni con me,
torna da Carlisle, ti insegneremo tutto quello che
avresti dovuto imparare un mese fa». Continuò sul mio silenzio.
Come potevo tornare indietro? Come
potevo ricominciare a vivere dopo quello che avevo
fatto?
«Ti sto dando la possibilità di rimediare. Ariel non c’è
più, ma tuo padre sì».
A quelle parole, sbarrai gli
occhi.
C’era davvero un modo per
salvargli la vita?
Forse avrei potuto vivere per
quello. Certo, non avrei mai rimediato a quel che avevo fatto ma almeno, non
avrei abbandonato anche lui.
Tuttavia, restava un problema.
«Come faccio a sapere che posso
fidarmi di te?». Domandai sulla difensiva.
Mi guardò per qualche secondo,
prima di avvicinarsi a me lentamente, non mi mossi e lei arrivò ad un palmo dal mio volto.
«Guardami negli occhi Rosalie. Non ti mentirei mai. Io posso
vedere nel futuro e ti ho vista… Datti una seconda
possibilità, dai a me, la possibilità di dimostrarti ciò che dico».
Parlò con un tono di voce fermo,
serio.
Sì, potevo fidarmi di quella
ragazza, potevo dare a mio padre una seconda
possibilità, dovevo farlo.
Senza aspettare una mia risposta,
saltò sul muretto, si voltò a guardarmi ancora per un istante, prima di
cominciare a correre verso nord.
Guardai un’ultima volta quello che
era stato il mio nascondiglio, i corpi di Kim e Stive ed
onestamente, non mi pentii d’averli uccisi.
Subito dopo, cominciai a correre,
seguendo la scia di Alice.
Incredibile quanto una sola
scelta, fosse stata in grado di cambiarmi la vita, ma se la prima che avevo
preso, mi aveva portata in un baratro di morte e
disperazione, ero sicura che quella che avevo appena fatto, alla fine, sarebbe
risultata la migliore della mia intera esistenza.
The End…
Anche questa piccola storiella è terminata. Grazie a chi l’ha
seguita, letta ed alle due persone che l’hanno
commentata. Certo, mi sarebbe piaciuto sapere il parere di tutti… ma non si può
avere tutto.