UAS: Unvincible Alliance Sicilia

di Galexireb
(/viewuser.php?uid=104468)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter 0 - L'Alleanza ***
Capitolo 2: *** Chapter 1 - Vittoria o Sconfitta? ***
Capitolo 3: *** Chapter 2 – UAS vs World ***



Capitolo 1
*** Chapter 0 - L'Alleanza ***





UAS: Unvincible Alliance Sicilia





Dedicato a me stesso, sperando che risollevi la mia autostima dal fallimento del mio vecchio lavoro.
Dedicato a la Crapa, Linktroll e Arthur_Chu (quest'ultima m'ha aiutato anche in qualcosina), che hanno indirizzato la mia attenzione su una FF di Hetalia.
Dedicato, infine, a tutti coloro che proveranno gusto nel leggere le gesta di questi dimenticati.






Nota dell’autore: Bene! Nonostante l’insuccesso della FF su Kingdom Hearts (alla quale ho rinunciato poiché pieno zeppo di idee meravigliose, ma scritto quando ancora non sapevo farlo, quindi orrendo), ho deciso di partire di nuovo all’attacco, questa volta partendo da un’idea precisa: Hetalia. O, almeno, beh… gli snobbati. Spero commentiate in tanti ;)

ULTIMO AVVISO: I personaggi all’interno del seguente testo sono appartenenti ad APH: Axis Powers Hetalia, ergo da ritenersi unicamente frutto della loro immaginazione. I personaggi della UAS invece sono opera TOTALMENTE mia, sebbene sia possibile che qualcun altro abbia avuto idee simili (beh, gli stati quelli sono XD poco ci possiamo fare!). Qualsiasi riutilizzo di un character deve essere richiesto (è difficile che non lo rilasci il consenso ^^) Buona lettura!






Chapter 0 – L'Alleanza




Era notte fonda a Tokyo, città di mille luci e colori, che nonostante la tarda ora era viva e pulsante dei suoi mille negozi e dei migliaia di giovani che tentavano di divertirsi con le grandi cose che la metropoli nipponica aveva congegnato per attrarre i flussi monetari di turisti, mafia e quegli arrapati cronici che sputtanavano tutto il loro guadagno in donne di compagnia o peggio.
La torre, rossa e bianca, svettata nel cielo privo di nuvole, un alto faro di luci nel vasto cielo nero privo di stelle. Si stagliavano su quel manto oscuro alti palazzi illuminati, hotel lussuosi o grandi uffici finanziari, di quelli che ‘non dormono mai’.
La luna, assente quella notte, era la muta testimone dell’andirivieni continuo delle macchine lungo le autostrade, piste lunghe che si diramavano per la città come una ragnatela, attraversate da mostri a quattro ruote e da idioti a due gambe, che, con le loro folli corse, tentavano (a volte riuscendoci) di battere un record immaginario e non sempre fisso di vittime causate in incidente stradale.
Il leggero vento proveniente dal mare spirava verso la Baia, tormentando l’Oceano Pacifico, nero come la pece, attraversato da pochi tratti di spuma e luci d’aerei.
«Non si potrà mai paragonare a Mondello, questa vista…» disse malinconica, distogliendo lo sguardo dai flutti marini in lontananza.
Si scostò una ciocca di capelli ramati dall’occhio destro, lentamente, assaporando l’attimo. Erano gesti semplici, ma… *sono gli ultimi gesti da derelitta…*
«Lia!!» bisbigliò alle sue spalle una voce femminile. La riconobbe, ma nel voltarsi, non vide altro che una nera ombra fra le ombre, coperta dal manto d’oscurità dei magazzini mercantili di Shinagawa. «Sono arrivati gli altri, vieni!» concluse, voltando l’angolo nel buio, conoscendo a menadito quel luogo odorante di pesce e legno bruciato.
«Finalmente…» sospirò Rosalia, seguendo a ritroso, con un palmo avanti, la strada percorsa mezz’ora prima.
Seguì, tenendo la sinistra sui container, scorrendoli uno dopo l’altro, il rumore dei lenti e silenziosi passi della sorella minore, raggiungendo poco dopo il locale 17, prenotato una settimana prima per quella riunione speciale…
«Filomena, sei sicura ci siano tutti?» disse la ragazza, giocherellando un attimo con il ciuffo sulla fronte, quei cinque/sei capelli che, tutti insieme, formavano una piccola e graziosa curva verso l’alto che iniziava dall’attaccatura della chioma castana.
«Nessuno escluso: possiamo procedere.» concluse lei, con tono grave, entrando nell’oscuro antro. *Si comincia!* pensò, seguendola, e chiudendo dietro di sé la ferrea saracinesca.
«Compagni!» urlò Lia, accendendo le due lampade vicino l’entrata, e dando ai numerosi (e quantomai stretti) ospiti luce necessaria perché potessero mirare, oltre che udire, la giovane Vargas proferire il discorso. Filomena le si posizionò accanto, reggendo un lungo bastone da pastore, ritorto come poche cose al mondo. «Oggi è il dì fatidico! Fra 12 ore esatte, il nostro piano sarà portato a termine, e potremo finalmente esistere a pieno, essere dei veri stati, essere considerati!!!»
Un urlo di incitamento partì da Peter e Rooke, simile a tanti di quelli pronunciati da tifosi di calcio di ogni nazione. Abraham e Sion, all’unisono, posero fine alla cosa con un paio di scappellotti. «Siamo a Tokyo, oggi, per la missione decisiva» continuò Filomena, toccandosi il suo ciuffo corvino e curvo, opposto a quello della sorella maggiore, proprio sopra la nuca «Dobbiamo essere riconosciuti ufficialmente come Nazioni. Per fare ciò, i Membri di questa nostra alleanza dovranno seguire due strade: un gruppo, la Squadra A, avrà il compito di intercettare e fermare Himaruya e Shirohata, i creatori di APH. Loro sono la causa della nostra emarginazione, e sebbene qualcuno per loro esista, nonostante tutto…» disse, lanciando un’occhiata in direzione di Sealand, che ancora si massaggiava la nuca per il forte schiaffo di Sion «…e loro saranno in grado di darci una volta e per tutte il ruolo che ci spetta!»
Malik emise un sonoro sospiro. *Mathias se la prenderà a morte… ma lo devo fare…*
«…La Squadra B…» disse Rosalia, spezzando il silenzio in cui era calata la fredda camera «…ha invece la missione più delicata. Infatti, Ivan e Alfred verranno, domattina, a firmare un concordato con Kiku per le acque territoriali del Pacifico, riguardo i diritti di pesca internazionali di specie protette. Un problema abbastanza annoso, quello della caccia sconsiderata a specie come le balene, ma che giocherà a nost…»
«E come facciamo con Fratellino Ivan? Quello è impossibile da prendere!» si alzò spaventata Michaila, muovendo nervosamente le mani e la testa, come se l’Onnipresente Braginski potesse essere alle sue spalle. Sentiva quasi quel suo Kol così vicino al collo…
«Marunnuzza biniditta, effammifinire, miiinchia*!!» imprecò pesantemente l’interrotta, in direzione della giovane albina che, meno stato di lei, non c’era in realtà nessuno in quella stanza…
Ristabilita la calma, la giovane italiana continuò «Dicevo, giocherà a nostro vantaggio. La Squadra B infatti requisirà i tre Stati e li porterà qui, come anche Himaruya e Shirohata. La Squadra A sa già cosa fare. Alla Squadra B penserò io stessa, ergo non ci saranno problemi sui dettagli. Tutto chiaro?»
«Sì!» dissero in coro gli altri, rianimati e pronti alla battaglia.
«Vaaaaabbene, ora passiamo alla divisione generale. Ora chiamo i nominativi della Squadra A, e dovranno restare qua un'altra decina di minuti per le ultime spiegazioni. La Squadra B verrà chiamata successivamente, e avrà la libertà di andare a riposare in vista della missione.» disse Filomena, scostando un mucchio di carte scarabocchiate e diverse mappe, e tirandone fuori la lista dei nominativi.
«Squadra A: Pio Vargas…»
«Presente e a rapporto!» disse un ometto sulla destra, con Pastorale e Anello, alzandosi per un istante e mostrando tanto la sua vecchiaia quanto la sua forte presenza di Città del Vaticano, centro della massima religione del mondo.
«Ok… Peter Kirkland?»
«Pronto a combattere, bella signorina!» disse, con le guance rosee, facendo il saluto militare. Il più piccolo stato del mondo sorrideva, sfoggiando la sua divisa da marinaretto, con gli occhioni blu spalancati sulla giovane comandante. Rosalia lo guardò stizzita e gelosa, lanciandogli una glaciale occhiata. *Dannato Sealand…*
«Ehm…» disse Filomena, arrossendo «ehm… velocizziamo, vah… Mage, Rooke e Amelie?»
Si alzarono i tre citati, mostrandosi agli astanti. Il primo era asiatico, Macao, con alcuni tratti femminei nonostante la cruda divisa militare che poteva ricordare una milizia di Mao Tse-Tsung. Portava lunghi capelli scuri in una grande coda, che toccava terra. Il secondo, molto simile a Sealand, era un ragazzino che differiva da lui per la divisa verde da militare e le folte sopracciglia, incontrovertibile segnale delle parentele di Gibilterra. La terza infine era una giovane ragazza dai lunghi capelli biondi e il vestito di seta bianca, due iridi nere attorno alle pupille, assolutamente in contrasto con la diafana pelle che aveva. Corsica rispose con un leggero sorriso al richiamo, pensando al fratello maggiore dal quale voleva definitivamente separarsi, e trovare uno spazio suo, grazie a quella nuova alleanza.
«Bene, la Squadra A è terminata. Prego i restanti di uscire una volta chiamati da mia sorella…» Passò il foglio a Lia, mettendosi a sedere accanto a Pio. La ragazza trasse un respiro e continuò:
«Sereno Vargas?»
Si alzò un ragazzo dai capelli castani, alto e forte, ma dallo sguardo tenebroso, assolutamente il contrario di quello che ci si aspetterebbe da un Vargas, le iridi rosse puntate sulla ragazza che l’aveva chiamato. Freddo, San Marino si avvicinò a lei, sollevò la saracinesca e scomparve nei flutti dell’oscurità…
«A domani…» fece sorridendo imbarazzata lei, non vedendolo più. «Lola?»
«Hasta mañana, ¡cariño!» fece Andorra, alzandosi. Era una ragazza alta e snella, simile a Corsica per i capelli ed il colore degli occhi, ma provvista di una carnagione più scura, tipicamente mediterranea. Il lungo e svolazzante vestito arancione si mosse freneticamente, mentre tentava di muoversi fra la foresta di persone che occupava quel buco di stanza. Dette un bacio sulla guancia a Rosalia e scomparve anche lei.
«Malik?» chiese, mentre in risposta il biondo nordico si alzava, mostrando tutta la possente muscolatura rinforzatasi con dure prove nei ghiacci della Groenlandia. Alto e bello, era molto simile al fratello Danimarca, sebbene non volesse ammetterlo. Si alzò, guardando il terreno, e lentamente se ne andò senza proferir parola, o mirare nessuno.
*Poverello…* pensò la ragazza, vendendolo scomparire nelle tenebre. Lui era l’unico che rischiava il tutto per tutto: gli altri erano principalmente stati affermati che chiedevano un posto nel mondo, o al massimo sorelle sotto il dominio di uno stato abbastanza… debole. Essendo lui parte di Danimarca, era sostanzialmente quello che, in caso di fallimento, se la sarebbe vista brutta per davvero…
Tornò a guardare la lista, e con un sorriso disse il nome della sua preferita «Michaila?».
Arrivò, chiamata, una ragazza bellissima, una macchia bianca in quel buco oscuro di container giapponese. Fragile e indifesa, era la parte buona del grande dominio degli Zar. Con i suoi capelli bianco latte, lunghi fino al terreno, la sua carnagione pallida e, i suoi occhi privi d’iride, all’apparenza freddi come il ghiaccio, erano probabilmente il riflesso di se stessa. Antartide sorrideva flebile con le sue labbra sottilissime, appena visibili, alla graziosa comandante. «Scusa per prima, cara…» fece con un sorriso Rosalia, guardando imbarazzata verso il basso. «Nessun problema!» rispose la seconda, timida e tranquilla, dando un bacio sulla fronte all’interlocutrice. «A domani… e grazie.»
«Ehm… Ylainia?» continuò. Stava arrivando alla fine della lista, finalmente. Si mosse verso di lei allora una ragazza, di appena 15 anni, con corti capelli rossi ed un lungo vestitino a fiorellini rossi su sfondo bianco, e insieme a Malta, senza farsi neppure chiamare, sapendo che sarebbero stati interpellati da un momento all’altro e smaniosi di dormire, i gemelli Abraham e Sion, gli eterozigoti della Terra Promessa, l’Israele slanciato e dal fisico asciutto, capelli simile a polvere (anche visivamente), e due occhi blu come le acque del Giordano, l’altro, Palestina, dai capelli dorati come le sabbie della sua terra, ed iridi grigie come le pregate nuvole cariche di pioggia nei mesi di secca.
Sbigottita e colta impreparata, la comandante non potè fare altro che gettare la lista di lato e salutare di tre andarsene, Malta in testa, tranquilla e serena, i due uomini al seguito, senza neppur salutare, saltando i convenevoli e dicendo addio, figuratamene, al loro status di Nazione Derelitta.
La ragazza si alzò, guardando la Squadra A che discuteva a bassa voce del più e del meno, scaricando la tensione e lo stress che lei e sua sorella stavano loro procurando.
Era una guerra contro tutto e tutti, e la nascita di tale guerra era stata idea loro. Insieme, possiamo fare la differenza.
Gettando un occhio su Filomena, che si avvicinava ai rimasti per dar loro le nuove informazioni, uscì anche lei dal container, immergendosi nelle tenebre della baia giapponese malinconica.
*Feliciano… Romano… è arrivato il momento di salutarci davvero, stavolta…*
Sentiva il petto farsi pesante sotto il senso di colpa, pensando che ogni passo fatto dalla sua nascita fino a quel momento era stato in vista di ciò che sarebbe successo l’indomani. Aveva guardato in faccia, uno dopo l’altro, i più grandi della storia, coloro che l’avevano plasmata dalle fondamenta, solo per essere conquistata e trattata alla stregua della schiava. Una dopo l’altra, ogni nazione s’è presa un pezzo di lei, una parte del suo cuore, solo per non restituirglielo più…
«Ora, è tempo di scrivere… una nuova storia!» disse fra sé e sé sospirando, guardando il cielo privo di stelle e luna, combattuta fra la colpa di rinnegare i propri fratelli per seguire una strada che stava costruendo lei, e la gioia di essere a un passo dalla vittoria sul Destino. Una lotta contro il Fato che la perseguitava da millenni, e che finalmente, lo sentiva, l’avrebbe vista unica vittoriosa.
Una lenta lacrima scese dalle vermiglie iridi, rumorosa in quel silenzio irreale, calma prima della tempesta. Fece una smorfia con la bocca, nel tentativo di raccogliere quella lacrima per bagnarsi le labbra con quella dolce goccia salata. Abituata ormai ai lunghi tempi di secchezza e siccità della sua terra, quasi ormai priva di fiumi, era l’unico modo che aveva per bagnare le sue arse labbra. Lo faceva sempre ormai, le piaceva quel triste gusto di amarezza e dolore. Era una prova incontrovertibile che nelle situazioni più tremende, nonostante tutto, era ancora abbastanza viva da poter piangere…
D’improvviso, due mani le cinsero dolcemente le spalle. Riconobbe quel tocco, delicato, e con un risolino disse «Sono andati?»
«Tutti quanti!» rispose Filomena, poggiando la fronte contro la nuca di lei, ed annusandole il dolce aroma dei capelli, profumanti di dolci limoni. «Dici che riusciremo davvero?»
Un sorriso si allargò sul volto di Rosalia, e chiudendo gli occhi disse «O la Vittoria o l’Oblio. E siamo in troppi stavolta per essere dimenticati ancora una volta…»
Le mani della sorella scesero leggermente, fino e toccare con gli indici le punte delle clavicole «Che la Vittoria sia allora… povero Romano!»
Risero entrambe di gusto. Filomena si distaccò dall’altra leggermente, guardandola, e disse «Ci incontriamo domani, quando sarà tutto finito. Ora vado a dormire…»
Senza voltarsi, guardando il mare spumeggiante di onde, alzò la mano in cenno di saluto «’Notte, Sardegna…»
La seconda, scuotendo la testa sorridente, mentre fuggiva nelle ombre della Terra di Kiku, rispose:


«Buonanotte… Sicilia.»












*Madonnina benedetta, fammi finire, “per piacere” XD in siciliano.
Nota conclusiva: la parte della lacrima è liberamente riadattata dalla novella “Ciàula scopre la Luna” di L. Pirandello.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Chapter 1 - Vittoria o Sconfitta? ***


Nota dell’autore: FINALMENTE! O_O incredibile ma vero, finalmente la titanica impresa di trovare il tempo per finire quest’annoso “Chapter 1” l’ho trovato! Non mi sembra neppure vero… Anticipo da subito che il contenuto di QUESTO capitolo descrive persone realmente esistenti, e famose, ma in modo molto poco definito, in modo da lasciare solo intendere la loro esteriorità. Avviso anche che, per riuscire a proseguire con il racconto, ho escogitato alcuni stratagemmi, che verranno elencati successivamente X°D ciò potrebbe creare qualche problema nei/nelle fan accaniti/e, che potrebbero urlare «No, no, RUSSIA NON PUÒ essere preso!!!!!1ONE!!1ELEVEN!! ò.ò». Perciò, abbiate la pazienza di prendere ogni idea per quello che è ù.ù Hetalia è una parodia, ed io li ho parodizzati solo un altro pochetto.

A coloro che hanno recensito: Un ringraziamento mio particolare va a quei pochi che hanno commentato il mio lavoro, sebbene l’inizio, non molto avvincente rispetto al resto X°D della saga…
A Black_Thunder: regioni… semi-stati… “piccoli paradisi finanziari evadenti il fisco” ù.ù XD sì, è molto più che varia… ma ancora non è finita ^^
A la Crapa: Sebbene tu odii a morte Sicilia per non essere semplicemente un braccio di Lovino (o il culo, come una volta dicesti X°D) apprezzo che ti piaccia l’iniziativa, e le varie idee che ti ho portato davanti ^^ grazie per l’attenzione!
A Linktroll: Io adoro la mia Michaila °w° e i fratelli Karmi sono alcuni dei più espressivi… Per quanto riguarda Pio, la Crapa ed un mio amico sanno già qualcosa… ma ti assicuro che seguirà gli scopi che avresti voluto X°D

ULTIMO AVVISO: È stato citato, all’inizio del capitolo, un determinato avvenimento realmente accaduto, al quale la Crapa, Linktroll e tanti altri hanno partecipato: l’Hetalia Day a Palermo, il 7 Agosto 2010. Ho chiesto al Gruppo Hetalia se potevo citarli, ed hanno accettato senza remora alcuna ^^ vi ringrazio tutti, davvero di cuore!

Dedico il capitolo ad una mia carissima amica… Elisa ^^ <3






Chapter 1 – Vittoria o Sconfitta?






Tokyo

07/08/10 – 10:57


«Sezione H in Area 3. Fase 1 completata»
«Ricevuto: Fase 1 Sezione H completata»

Sardegna posò il walkie-talkie nella borsetta, attendendo l’arrivo del Grande Creatore.
In contemporanea con alcuni pseudo-staterelli saltellanti nel Foro Italico di Palermo, in Giappone si viveva la guerra.
Una guerra silenziosa, una missione segreta da portare a termine ad ogni costo.
Per la libertà di tutti.
Peter e Rooke giocavano animatamente alla morra cinese, incuranti della situazione. Filomena si girò verso di loro, intravedendoli appena, nascosti tutti e tre dalla grande ombra di un condominio giapponese. Erano così spensierati, privi di problemi…
Sorrise placida, e disse «Ragazzi, è l’ora della fase 2!»
Gibilterra, mostrando il palmo aperto all’amico, girò il viso verso la giovane ragazza «Proprio adesso?»
«Sì, adesso!» completò Sealand, indice puntato verso la strada che si intravedeva da dietro il palazzo «Forza, Rooke! Facciamo la nostra parte!»
Filomena, un po’ in colpa, dette un bacio sulla fronte a entrambi, sussurrandogli «Appena sterza, correte via…» Erano minuti cruciali, tutto si sarebbe deciso in pochi attimi. Prego, ad occhi chiusi, che i due non si facessero male, e li osservò voltare la spalle al palazzo e raggiungere la strada…


*Ok… la sezione H e la S sono in posizione. Il furgone sta raggiungendo l’Area 1… La stanza I è pronta… manchiamo solo noi!*
Lia, nascosta in un angolo buio della Sala Conferenze, estrasse la sciabola, in attesa. «Sereno, sei sicuro che arriverà qui?»
Il ragazzo, senza voltarsi a guardare l’interlocutrice, fissando l’entrata, nascosto da una sedia, disse un freddo «Sì», per poi sprofondare di nuovo nel silenzio.
Sicilia fissò, nel buio, il compagno d’arme. *Mi mette i brividi questo…*
Sospirò. Il piano stava procedendo come stabilito. Gli altri stavano già passando all’azione. E lei, unica insieme a San Marino in grado di maneggiare una spada, attendeva nervosa l’arrivo del Giappone, che non sarebbe arrivato prima di un paio d’ore.
*Speriamo vada tutto bene…*


*And so… let’s go!*
L’aria di quella mattina fresca e soleggiata di inizio agosto ritemprava tutti coloro che sostavano sotto il magnifico astro che riempiva di calma e felicità ogni giapponese nei dintorni.
In mezzo alla strada, fiero, camminava un uomo, fermandosi ogni venti secondi per fissare un particolare oggetto che attirava la sua attenzione. Sorriso stampato indelebile sul volto, occhiali con montatura in titanio ultraleggeri, e bellissimi occhi azzurri che scrutavano curiosi la vita giapponese. Tutto gli interessava di quella cultura, poiché molto estranea alla sua.
«Aiuto! Per favore, QUALCUNO MI AIUTI!»
Le orecchie drizzarono come quelle di un cane da guardia svegliato nel cuore della notte. Il giovane si voltò di scatto, pronto a muoversi nella direzione di quella richiesta d’aiuto.
«Aiuto, ve ne prego!»
Non c’era alcun dubbio: era di un eroe che avevano bisogno.
E si da il caso che…
«IOOOOOOO SARO’ L’EROOOOOOEEEEEEEEE!!!!!» urlò, lanciandosi verso la ragazza che chiedeva aiuto.
Corse una decina di secondi, fermandosi davanti ad una giovane ragazza triste, dai capelli eterei, bianchi come il latte, in ginocchio sulla strada, accanto ad un grosso furgone che stava facendo retromarcia.
Captato il pericolo, il prode corse verso di lei e la oltrepassò, intento a vedersela con il mostro meccanico. Sembrava avere mille occhi e cento braccia, una sfida difficile per l’eroe, ma che avrebbe superato tranquill…
«Ehm… signore?»
Alfred, girandosi di scatto, con le mani sul tubo di scappamento della Bestia, osservò la ragazza che, spaesata, cercava di capire cosa stesse facendo. Stupito, si sistemò il giubbotto di pelle addosso, dicendo «Signorina, non è questo il vostro problema?»
Michaila, ingenua, rispose timidamente «Ehm… non esattamente…». Si gratto la nuca un po’ vergognata, cercando di non far capire all’americano l’inganno.
Lui, baldanzoso e pieno di energie, si avvicinò a lei e le chiese «E quale sarebbe allora? Dimmelo, e lo risolverò! Perché IO sono l’EROE!»
Antartide, carina e gentile, alzandosi da terra gli spiegò il problema: «La realtà è che il mio datore di lavoro si è arrabbiato con me… e mi ha lanciato una sfida: se avessi finito tutto il cibo all’interno di questo furgone, avrei tenuto il posto…»
«Ci peeeeenso io!» urlò, lanciandosi all’apertura del furgone. Con una mano, la ragazza frenò America, continuando «Il problema è che io sono vegetariana… e non posso mangiare quella roba! Mi aiuterà?»
Jones, senza neppure farselo chiedere, le sorrise e, carico di energie, aprì d’un colpo la saracinesca, vedendone il contenuto.
Un urlo solo si sentì, ad almeno mezzo chilometro di distanza:
«HAMBAAAAAAAAAAAAAGAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!!!!!!!!!!!!!!!!!!!»


Placido e tranquillo, il freddo stato euro-asiatico entrò nel Palazzo Nazionale della Dieta Giapponese, seguendo la strada che il suo rivale gli aveva riferito.
Camminava lento, sotto il gran peso e calore dei suoi indumenti indubbiamente invernali, disegnati per proteggere dal freddo delle zone artiche delle proprie regioni vitali. *Chissà se questa volta riuscirò a convincere Nihon-san a lasciar perdere le Curili…* si chiese, sereno, muovendosi in direzione della Sala Conferenze.
Le iridi viola, fisse solitamente davanti a sé, si spostarono rapidamente in un angolo alla sua destra, all’entrata di un grigio corridoio lontano dalla sua destinazione ultima.
Sul grigio pavimento, un giallo girasole sembrava sorridergli, steso all’entrata di quella formale via. Si fermò. Squadrò per un attimo il fiore, ma poi, giulivo, si chinò e lo prese.
«Che bello!» disse, accennando ad un sorriso e strizzando gli occhi. Fu allora che notò un altro girasole, una decina di metri più avanti all’interno del corridoio. Si avvicinò, e, prendendo anche questo, notò che ogni decina di metri all’incirca, un girasole era stato posizionato. «Sono per me?» chiese al primo girasole che aveva preso, cercando di capire dove finisse la scia.
Cominciò a prendere i vari fiori posizionati lungo lo stretto corridoio. Guardava per terra, in attesa del nuovo bellissimo fiore, il suo preferito.
Arrivati a quota dieci, arrivò di fronte ad una porta. «Altri girasoli, ne voglio altri!» disse, giulivo, aprendo la porta ed entrando nella stanza successiva.
All’interno di essa, lo scenario era così descrivibile: una stanza grigia non molto grande, a destra e a sinistra due grandissime scie di bianca neve che lasciavano libero un passaggio largo poco più di un metro, che puntava dritto verso dieci grandi scatoloni addossati alla parete di fronte la porta.
Curioso, e desideroso di altri fiori, il grande Russia si avvicinò lento e felice verso gli scatoloni, mirandone l’interno.
*Fase 2 Sezione I: completata!* pensò Abraham, mirando la scena da un buco nel muro.
«VOOOOOOOOOODKAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!!!!!!!!!!! <3»


«Amelie, pronta?» chiese Mage, in ginocchio dietro l’angolo della casetta.
La ragazza fece un segno con la testa, e, decisa, suonò il campanello.
Pio fece un segno, dall’altra parte del viale, segnalando di essere pronto ad agire.
La porta, poco dopo, si aprì rapidamente, mostrando alla giovane Corsica la vista di un giapponese, non molto alto e grassottello, i lunghi capelli, il baffo e il pizzetto neri, e due spessi occhiali di fronte i piccoli occhietti che si intravedevano appena fra le palpebre.
«Ehm… Shirohata-sama?» chiese lei, timida, trovandosi di fronte all’uomo, più basso di lei di almeno una ventina di centimetri, accennando ad un sorriso.
Mage non si fece pregare. Con l’agilità di un ninja, corse silenzioso sul retro della casa, raggiungendo l’entrata di servizio. Nel frattempo, Pio si muoveva, il più furtivo che la sua lunga veste papale gli consentisse, muovendosi di muro in muro lungo le case adiacenti, cercando di raggiungere senza farsi vedere una delle mura della casa di Bob.
«Cosa posso fare per lei, signorina?» chiese lui, squadrando da capo e piedi la bella Amelie, che non sapeva se essere imbarazzata o offesa dal suo sguardo. «Sono venuta qui in veste ufficiale…»
Mentre diceva queste parole, Mage ruppe bruscamente la fragile catena che teneva chiusa la porta sul retro, penetrando nella casa.
«…per presentare…» continuò la giovane, sorridendo, cercando di distrarre l’uomo, e tirando fuori un più che voluminoso pacco di fogli dalla borsa a tracolla «…la richiesta formale per l’integrazione del Character di Korea nell’anime di Axis Powers: Hetalia!»
Città del Vaticano raggiunse il muro est, e intravide, spiando dalla finestra, lo stato del Macao dirigersi imperterrito in direzione della porta d’ingresso.
Il proprietario di casa, sorpreso, porse la mano alla signorina, chiedendole di esaminare i fogli. Bob Shirohata aprì il contenuto, mirando la sfilza di firme presentate dai fans. Era il momento: il cinese gli arrivò alle spalle, colpendolo alla schiena col gomito. Il direttore, spaventato e dolorante, si volto per mirare il suo assalitore. Fu allora che la Corsica si ritrasse, lasciando spazio al Vargas che, con il Pastorale, colpì in testa il nipponico.
Pochi secondi di coscienza, per poi cadere a terra, sul pavimento di casa, totalmente privo di sensi.


«Qui Sezione S. Abbiamo completato la missione. Portiamo l’ostaggio alla Base.»
«Perfetto, ricevuto.»
Filomena posò di nuovo il walkie-talkie, e mirò di nuovo la strada.
I piccoli Kirkland avevano svolto la loro missione: facendo finta di giocare in mezzo alla strada, avevano causato un incidente a catena che aveva bloccato quella sezione di quartiere. I bambini erano nascosti poco lontano, contro il muro di un palazzo in fondo alla via, in attesa del soggetto.
«Finalmente mi considereranno tutti!» disse Peter sistemandosi il cappello da marinaretto sui biondi capelli «Alla facciaccia di tutti!»
Rooke sorrise, cingendogli una spalla contento. «Sei tu qua l’eroe!» disse, chiudendo gli occhi, e giocando appena con il colletto della divisa dell’altro «Secondo me avresti anche potuto affrontare Russia da solo!»
Peter abbassò lo sguardo, un po’ imbarazzato. «Sono ancora piccolo per affrontarlo…»
Il sole illuminò la triste lacrima del piccolo staterello, sapendo che era una delle tante che aveva versato negli anni. Gibilterra avvicinò la mano, e con un dolce movimento gliela strappò via dal viso, lasciandola ferma sul polpastrello del suo indice. «Un giorno, sarai tanto forte da battere chiunque tu vorrai, anche il mondo intero!»
Sealand spostò lo sguardo verso l’amico, gli occhi umidi e luccicanti «Grazie..!»
La ragazza, poco lontana, abbozzò un dolce sorriso alla vista dei due. Poco oltre la loro postazione, in mezzo alla strada, vide fermarsi una bicicletta nera.
*Non può che essere…*
«PETER!!! È lui, in bicicletta! Vai, è il momento!»
Il ragazzino, udendo il segnale, prese la mano di Gibilterra e si mosse verso la prima citata vettura a due ruote. Sopra di essa, un ragazzo, che non poteva avere neppure trent’anni: orientale, dai corti capelli castano scuro e spessi occhiali squadrati di fronte i piccoli occhi a mandorla. Era vestito in modo insolito: pur essendo estate, indossava una polo azzurra, sotto un pesantissimo maglione blu. Era iniziato Agosto, e lui sembrava fermo a Natale.
«Signore, signore! Ma lei è il Signor Himaruya?» fece Sealand, fingendosi il più angelico possibile, avvicinandosi ad un palmo di naso dall’uomo, fermo sulla bicicletta, bloccato dalle macchine.
Hidekazu, un po’ annoiato, girò lo sguardo lentamente verso i due, squadrandoli dall’alto al basso.
Guardò il primo a sinistra, e pensò *Fanatico di Hetalia, suppongo!*, abbozzando ad un sorriso, e rispondendo alla precedente domanda «Sì, sono proprio i……»
Non finì in tempo la frase che il suo occhio destro, seguito dal sinistro, si posarono come due grossi monoliti sopra il marinaretto. Non sospettò alcun cosplay stavolta: era semplicemente stupefatto dalla presenza del ragazzino. Era identico a come in passato se l’era immaginato, era lui in carne ed ossa, non era un ragazzino in veste da personaggio dell’anime. Sentiva che era lui.
Sardegna, notando la reazione dell’altro, si avvicinò lenta ai tre, fingendosi una normale passante.
«Ma… tu sei proprio… tu sei…!» fece balbettante il disegnatore giapponese, con gli occhi luccicanti da fangirl mentre il suo cuore urlava, facendolo rimbombare nella gabbia toracica, un potente *KYAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH*
«Sì! Sono io, Sealand!» fece l’altro, puntando il pollice destro verso se stesso, mentre la giovane Sardegna li raggiungeva.
La ragazza, porgendo priva di paura o timidezza la mano al Grande, disse decisa «Tutti noi desidereremmo che venisse alla nostra Base!» chiuse gli occhi, dolcemente, e attendendo la risposta dell’altro.
Himaruya, senza farsi pregare, lasciò la sua bicicletta lì dov’era, mentre le auto tornavano a circolare, e seguì i tre in direzione della Baia…


«Sta andando alla grande, signore! Ancora un piccolo sforzo, ed il mio lavoro sarà salvo!»
Il Prode era rapido nei suoi movimenti, movimenti incrocio fra la grazia di un ballerino e… e… quella di un camionista nordamericano. La sinistra, agile, fendeva il cartone con abilità, e privava della carta le vittime. La destra, rapida e famelica, sembrava addentare quel caldo pane, per trascinarlo a forza all’interno delle fauci affamate del Nostro America, arrivato ormai in fondo al camion.
Era concentratissimo, tanto che il colesterolo che circolava nelle sue vene sembra colare, vivido e giallo, dalla fronte e dalle rosse guance di Alfred, stanco e sul punto di arrivare alla sazietà, ma non per questo scoraggiato dal salvare la signorina Antartide dai finti guai. Avrebbe continuato ad oltranza fino alla fine!
Era concentratissimo, tanto che mangiava da una buona mezz’ora, che aveva ingurgitato una decina di centinaia di BigMac (rigorosamente del Pagliaccio*), e che non si era accorto di essere rinchiuso in un camion in movimento verso la Base dell’Alleanza insieme alla ragazza.
Il giovane eroe cominciava a rallentare. Il ritmo cominciava a deteriorarsi, e lo stomaco era sul punto di implorare pietà. Ma l’Animo del Grande America teneva duro, e muoveva, seppur più lentamente, le letali mani lungo le scatoline degli hamburger. La timida ragazza, seduta spalle al muro di ferro ad un paio di metri di distanza, guardava fra l’inorridita e l’entusiasta la pila di cartone che si accumulava sempre più. Ormai, più di cinque sesti del camion era sgombero dagli hamburger, ma circa la metà era sommerso da ciò che ne era rimasto.
Il bottone nei pantaloni di America lottava per la vita, cercando di tenere duro al colosso di lardo che sempre più si avvicinava dall’alto, spingendolo. Infine, neanche lui poté sopportare lo shock, scagliato con velocità fuori dall’umano verso una scatola di sinistra, che volò dritta nella mano sinistra di America, che, con i pantaloni praticamente a terra, e con Michaila visibilmente imbarazzata, continuò imperterrito l’abbuffata.
Mancava poco. C’erano solo una decina di hamburger alla meta. Le sue forze venivano meno, ed il sonno post-pranzo cominciava a calare rapido sulle sue palpebre. Doveva completare la sua Missione: perché un Eroe combatte l’Ingiustizia fino alla morte, o al ricovero in ospedale.
Ne mancavano nove: poteva farcela.
Otto: sempre più vicino.
Sette: il camion si fermò, senza che lui se ne accorgesse.
Sei: Michaila creò, un po’ riluttante, un varco fra le scatole di burger alle spalle di America.
Cinque: scagliò con poca forza residua il cartoncino alle sue spalle, colpendo in testa Antartide.
Quattro: sapeva già di aver vinto la battaglia.
Tre: il grande Nemico stava per essere sconfitto.
Due: la sua bocca non rispondeva ai comandi, ed aprirla era uno sforzo immane. Riuscire poi a respirare, era un optional.
Uno: fra poco sarebbe finita. Si giocava il tutto per tutto: non respirando, quella era una lotta ‘o la Vita o la Morte’.
Zero.
Quando ebbe ingoiato anche l’ultimo, difficile Hamburger, si lasciò andare, respirando a pieni polmoni l’aria satura di colesterolo, ed addormentandosi di colpo non riuscendo a finire la frase «L’Eroe ha trionf…zzzzzzzz»
Groenlandia, Malta e Antartide si avvicinarono senza problemi all’Americano, svenuto dalla Folle Battaglia.
Michaila, tenera, si avvicinò all’orecchio di America sussurrando dolce «Hai vinto, Eroe…»
Senza alcuno scrupolo, Groenlandia prese il braccio sinistro, le ragazze quello destro e sporco di formaggio, e senza tanti complimenti trascinarono fuori l’Hamburger Vivente per rinchiuderlo nella Base.


Con fare gioioso, il Grande Russia portava vicino a sé la decima scatola di bottiglie di Vodka, tranquillo e sereno, rinchiuso in una grigia stanza fredda e inospitale.
«Questo beve l’alcool come se fosse acqua!» notava stupefatto Sion, proferendo a bassa voce la sua considerazione.
«Mi pare ovvio, è Ivan! Che ti aspettavi?» rispose Lola sottovoce agli altri. Si sistemò una ciocca di capelli che le era finita sul volto, e tornò a guardare dal proprio buco.
Il russo era lì, in ginocchio, circondato da scatoloni pieni delle vacue bottiglie che erano state precedentemente sue vittime. Accanto a loro, dieci girasoli lasciati cadere vicino alla fredda neve, testimoni di quell’incontro fra la creazione umana (la Vodka) e il Divino (la possibilità che un essere ne tracanni nove scatole senza cadere KO).
Il Dominatore, il più vasto stato del mondo, il Temibile e Terribile Ivan… non sembrava più tanto tremendo, vedendolo con gli occhi chiusi muovere alla cieca la mani in cerca della sua fida amica, sempre pronta a giungere alla sua destra. Col sorriso stampato in faccia, stappava la bottiglia e beveva, senza alcun ritegno, la водка del suo stato, il nettare alcolico della sua patria, non lasciando nella bottiglia la traccia di una goccia.
Il Braginski, ormai arrivato all’ultima bottiglia della cassa, stava cominciando a demoralizzarsi: era finita. *Oh merda, è semplicemente brillo!* pensò Israele guardando lui rigirarsi l’ultima bottiglia fra le mani.
«Credo sia il momento della Fase 3» sottolineò allora, indicando la Madre Russia. I due alleati concordarono. Si avvicinarono lentamente alla porta e, tirandola, la aprirono.
Ivan, che guardava ancora l’ultima bottiglia di Vodka, fu sorpreso dal sentire il rumore di una porta che si apriva. Si girò, cercando la fonte del rumore, ma notò che non era stata ad aprirsi la porta da cui era venuto, ma un’altra che non aveva, nella fretta di cercare altri girasoli, neppure notato, alla sua destra.
Si alzò in piedi, alto come una montagna, e si mosse in quella direzione. Sembrava essere vuota anch’essa, ma appena guardò meglio, notò ciò che sperava.
Senza perdere il minimo attimo, si scagliò verso il fondo sala, stappò la bottiglia che teneva ancora in mano e tracannò un lungo sorso. Aveva davanti a sé ancora da bere parecchie altre bottiglie, in quei freddi scatoloni in mezzo alla nuova stanza. Non notò neppure i tre che si erano nascosti dietro la porta, da quanto era eccitato all’idea della sua adorata “figlia”.


Una calda goccia di sudore cominciò a scendere dalla fronte della ormai sempre più preoccupata Rosalia.
Non riceveva notizie dai suoi compagni da ormai un’ora, per non essere scoperta nel caso fosse arrivato il bersaglio. Era in ansia, e la sciabola tremava nella sua mano.
Nascosta dietro una sedia, si trovava alla sinistra della Sala Conferenze, in silenzio, ed in attesa dell’ultimo obiettivo. Dall’altra parte, nascosto nel buio, c’era San Marino, che guardava con occhio sognante la sua rossa lama, una spada che non vedeva l’ora di cozzare contro un’altra.
Lei se la cavava, con la spada: in più di un’occasione aveva visto la sua terra colpita da qualcuno, o occupata da qualcuno, e spesso e volentieri, insieme al fratello Romano, aveva combattuto fianco a fianco i vari invasori. Kopis, gladio o scimitarra alla mano, si metteva a combattere, anche se incapace, nel tentativo di vincere il suo avversario.
L’altro era invece… *Beh, diciamo semplicemente che lui è un’arma vivente…* pensò fra sé e sé, notando il sadico luccichio in fondo alla stanza degli occhi di Sereno.
La porta, d’improvviso, si aprì la porta della Sala alla sua destra, lentamente. Strinse forte l’impugnatura della sua arma, cercando di intravedere qualcosa da dietro la sedia. Il compagno fece lo stesso, ritto in piedi, avvolto dall’oscurità.
Nella stanza entrò finalmente, da solo, il loro nemico. Il pacifico Giappone, tranquillo, si muoveva in veste formale all’inizio della Sala, cercando con lo sguardo qualcuno. Aveva già immaginato che America, conoscendolo, non sarebbe arrivato in tempo, intento a salvare un dolce gattino da un arbusto, ma era davvero curioso di sapere perché Russia non fosse già là, onnipresente com’era.
Sicilia si mise in punta di piedi, pronta a scattare al segnale. Aveva pochi istanti per poterlo cogliere di sorpresa, perciò doveva approfittare della situazione quando avrebbe abboccato all’esca.
Honda guardò bene attorno, notando, nel grande Tavolo al centro della Sala, Tavolo privo di sedie atto a mostrare piantine o progetti, e ben visibile da ogni sedia, posta in cerchio in alto attorno ad esso, un libro. Curioso, si avvicinò ad esso.
Ad ogni passo la lunga katana dormiente veniva lievemente sballottata a destra e sinistra, mentre il giovane Kiku si muoveva verso il misterioso oggetto.
Appena fu a portata visiva, il ragazzo constatò di cosa in realtà fosse…
Imbarazzato, mormorò fra sé e sé «Ehm… Chi avrà lasciato questo Hentai qui?», guardandosi spaventato attorno.
Constatato che non c’era nessuno a guardarlo, con la coda dell’occhio, cercò di guardare l’interno della prima pagina, guardandosi furtivo a destra e sinistra sperando non fosse uno scherzo. Quando vide però le mutandine della protagonista del manga in fondo alla pagina, mentre il bacino della stessa stava dieci centimetri sopra, ogni dubbio scomparve, rivelando l’animo perverso del ragazzo.
Lia attendeva da troppo, e la tensione era palpabile, tranciabile con un coltello. Fu allora, quando sentì il movimento secco della pagina che veniva voltata dall’arrapato nipponico, che scattò. Senza farsi pregare, si alzò in piedi, saltò la sedia davanti a sé e saltò dall’alto in direzione di Giappone, spada anella destra, urlando con quanto fiato aveva in gola. Avvertito il pericolo, quest’ultimo lasciò cadere il manga e, incurante dell’epistassi nasale in corso, mise la mano destra sull’elsa della sua spada e la estrasse appena in tempo per parare il colpo della ragazza.
Dall’altro lato, Sereno, maledicendo la ragazza, salì sulla sedia, e, vermiglia alla sinistra, cominciò a scavalcare i vari banconi della Sala, lento e spavaldo.
Sicilia attaccava con furia il nemico, non lasciandogli tregua. Era un combattimento immobile, fermi davanti al tavolo, una danza di spade, fra sciabola e katana, intercalato dai gemiti di sforzo del giapponese e dalle urla d’ira della giovane Vargas.
A movimentare la cosa, fu San Marino: arrivato al luogo della battaglia, alzò con la sinistra la spada e tagliò a metà, di netto, il Tavolo, calciando via le due parti a destra e sinistra. Kiku, vista la via di fuga, si mosse nel parare i vari colpi in quella direzione, incurante di come essa si fosse creata, ed inconsapevole della presenza del cavaliere.
Lia allora, vedendo lui muoversi verso una possibile fuga, tentò un affondo alla spalla, ma l’avversario fu più veloce e lo schivò in tempo. Non lottavano da nemmeno un paio di minuti, e sembravano reduci da una guerra di ore.
San Marino apparve quindi alla sinistra di Sicilia, rendendo per il giapponese le cose difficili. Rosalia con la sciabola, e Sereno con la spada nella mancina, tenuta in modo particolare, ovvero con il mignolo rivolto verso la lama, cominciarono ad attaccare senza sosta l’avversario, lasciandolo privo di una tregua. Quando non colpiva la ragazza, l’altro sferrava decisi montanti, tentando di deconcentrare l’avversario ed abbassare la sua capacità di difesa.
Consapevole del fatto che non avrebbe retto a lungo, l’asiatico strinse più forte la spada, e passò al contrattacco: muovendosi rapido e letale, utilizzava quel prolungamento del suo braccio con precisione, e costringendo i due Alleati alla difesa.
Rosalia non sentiva più la mano destra, dalle forti sollecitazioni dell’avversario, e allora azzardò a tentare una difesa con la sinistra. Nel tentativo di passare l’arma all’altro lato, Kiku caricò un colpo da destra, disarmando improvvisamente la ragazza e scagliando lontano l’arma.
Approfittando dell’attimo, il giapponese scattò di lato, schivando per caso un colpo di Sereno, cercando di raggiungere la sciabola nemica. Sicilia, tremante e spaventata, si lanciò anch’essa verso di essa…
Inutilmente. Giappone aveva preso l’arma e ora la puntava verso la ragazza. Lei, poco distante, guardava intimorita la nuova minaccia. Da predatore, ora era diventata preda…
Fissò paurosa gli occhi del giapponese, puntati su di lei come le due spade che teneva in mano, e udendo il tono poco minaccioso di lui urlare «Chi sei?! Che stai facendo?!»
Fissò ancora quegli occhi, finché essi tutt’a un tratto caddero all’indietro nelle orbite. Vide lo stato cadere in ginocchio, e poi supino per terra, colpito alla testa da un gomito di Sereno.
Ansimò per cinque minuti buoni, prima di cominciare a pensare a cosa fosse effettivamente accaduto. Sembrava che l’adrenalina avesse lavato via tutti i ricordi del combattimento: la sua mente era annebbiata e poco lucida.
Sereno le si avvicinò, lento, riponendo la spada dietro la schiena. I suoi occhi scarlatti la fissavano, calmo, dall’alto, e lei non poté fare a meno di alzare lo sguardo verso l’altro Vargas, continuando ad ansimare. «Bella battaglia, ben combattuta…» disse lui, un po’ freddo, asciugandole con due dita la fronte imperlata di sudore e fatica. Lei, timida e stanca, rispose con un balbettante «Ehm, beh… grazie, sì, cioè…». La interruppe lui, ponendole l’indice sulle labbra, e dicendole con tono severo «La prossima volta, Sorellina, tu stai ferma, ed al resto ci penso io. Sono stato chiaro?»
Lei, imbarazzata, non sapeva se scusarsi, togliere quel morbido polpastrello dalle sue labbra, oppure… non lo sapeva neppure lei. Il Caso volle, per fortuna, che il walkie-talkie cominciasse ad emettere i sibili sintomo di una missione compiuta, a pochi metri da lei, nella borsa dimenticata nel suo nascondiglio.
Scostandosi dal parente, si avvicino alla borsa, e frugandovi dentro, estrasse lo strumento e lo attivò, sentendo solo un chiarissimo «¡Somos los Campeadores!». La risposta di Lia fu una «Lola, che è successo? Aggiornamenti!»
«Abbiamo Russia, lo stanno trascinando gli altri due…». Un suono simile ad un “fanculo, aiutaci” di sottofondo alle emissioni del walkie-talkie dimostrava inequivocabilmente che Sion stava trasportando un grande peso «…e il resto delle Sezioni hanno completato la missione! Ce l’abbiamo fatta, Lia, CE L’ABBIAMO FAT…!!!»
Sicilia spense d’improvviso il walkie-talkie. Era bloccata, immobile, con la bocca spalancata e gli occhi fissi davanti a sé, verso un freddo e grigio muro della stanza. Sereno, avvicinandosi, con Giappone privo di coscienza sulla spalle, si avvicinò alla giovane e le disse «Ci siamo riusciti..!» Rosalia sorrise. E senza neppure voltarsi, gli rispose, stremata, ma tremendamente felice:

«Sì… questo è un nuovo inizio!!!»








*La citazione non è puramente casuale. Non propongo né promuovo alcun tipo di impresa, pubblicizzandola. È semplicemente un omaggio alla ragazza a cui ho dedicato questo capitolo, superfedelissima di quel determinato marchio, e dei suoi Hamburger. E soprattutto, perché la controparte X°D non ne aveva di abbastanza grossi da offrire ^^’’’

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Chapter 2 – UAS vs World ***


Note dell'autore: OH MERDA SANTISSIMA O_O è impossibile scrivere un capitolo oggi giorno èwé ci ho messo più di tre mesi per trovare il tempo per completarlo...
Anticipo qualcosa: 1) il prologo vero e proprio finisce con questo capitolo. Dal capitolo successivo, inizia la storia vera e propria, con la trama e compagnia bella. Mi sono ahimé reso conto che sarà enorme la Fan Fiction, perciò, vi chiedo di avere pazienza e continuare a seguirmi comunque X°D 2)In alcune scene ho cercato di ricreare ciò che visivamente fanno i personaggi di Hetalia. Mi spiego: apparire dal basso nella scena, andare a finire in un altro punto della sala... è una cosa che capita sovente in QUALSIASI puntata di Hetalia X°D 3) C'è la presenza, a fine capitolo, di un nuovo OC. Ho voluto mettere in chiaro la distinzione con UN ALTRO Character, che in realtà Himaruya ha creato, che rappresenta l'altro pezzo, ma che oltre questo capitolo NON apparirà più. Al convegno ci sono tutte le Nazioni, ma per ovvii motivi, non le ho elencate o fatte parlare tutte.

A coloro che hanno recensito: Vi ringrazio di cuore, davvero ^^ spero vi piacerà ancora come io scriva ù.ù perché la storia, senza un briciolo di modestia, diventerà magnifica X°D è la mia tecnica di scrittura che potrebbe lasciar a desiderare T.T


ULTIME NOTIZIE: Sto organizzando alcune chicche, per questa FF ù.ù una di esse, è la seguente, che vi vado a mostrare: ho fatto commissionare ad una mia amica, Fabiola Nocera, cui do i diritti per la sua arte grafica, il disegno di San Marino:

http://img689.imageshack.us/img689/7954/60161114247905298972100.jpg

È una mia creazione, perciò non la potete utilizzare èwé


Buona lettura ^^





Dedicato a Nina <3 ^^








Chapter 2 – UAS vs World




Nel mondo secondo Hetalia...
La Sardegna e la Sicilia sono state calciate via dall'Italia. (cit. Nonciclopedia)



Palermo


11/08/10 – 21:30




Mentre i giovani pseudo-staterelli assaltavano di coccole… qualcuno (?) poco lontano, in cima a un cornicione del magnificente Palazzo Reale, un drappo rosso e giallo, vessillo siciliano, fluttuava lieve sotto il cielo ormai scuro, luccicando d’oro alle luci della vicina strada.
Lì, in quel luogo colmo di storia e cultura, un’eredità magnifica dei Nordics, Lia aveva liberato e sistemato la sala adibita alla Riunione dell’Assemblea Regionale Siciliana, pronta ad ospitare gli stati hetaliani che attendevano nell’atrio.
Sospirò. L’ultimo capitolo della battaglia si stava per scrivere. Era il momento della verità…
Toccò leggera il legno del tavolo, annuendo piano a sé stessa. Una mano apparve, e si posò sopra la propria, delicata.
«Da quanto non dormiamo, Rosalia?» chiese la ragazza, sussurrandole all’orecchio, stanca nella voce, ma pur sempre dolce.
«Non ne sono sicura… due settimane?»
«Una VITA… non chiudiamo occhio da secoli ormai… ricordi i Punici? Loro furono i primi a privarmi del sonno…»
Sentì una lacrima di Filomena bagnarle triste il collo, desiderosa di consolazione. Voltandosi leggermente, e mettendole una mano sulla guancia bagnata, disse «Fra poco potremo dormire serene… saremo… libere! Di essere ciò che siamo, di fare quel che desideriamo!»
La ragazza la guardò, lacrime alle iridi. Lia le passò una mano fra i corti capelli neri, mentre l’altra, con un po’ di gioia nel cuore, rispondeva più felice «Sì… non vedo l’ora di distendermi su quel talamo…»
Si guardarono intensamente per qualche istante. Ad interromperle fu la voce, abbastanza allarmata, di Michaila, che entrando di corsa dalla porta disse sottovoce «Stanno arrivando, stanno arrivando!» Tutti si fermarono. L’Alleanza si bloccò, trattenendo il respiro.
Passi. Tanti passi concitati provenienti dal corridoio fecero innalzare il battito cardiaco dei più. A rimanere impassibili, i fratelli Karmi, seduti a gambe incrociate sul lungo tavolo, e San Marino, con la rossa spada nella mancina.
La porta, socchiusa, venne spalancata con un tonfo da Ludwig, dallo sguardo severo, ma tranquillo. Dietro di lui, si stagliava il Mondo, uno ammassato sull’altro, nel tentativo di entrare nella sala. Non passarono neppure dieci secondi. All’inizio, il silenzio. Poi, dal folto delle nazioni sull’uscio, uno emerse, saltando, sovrastando tutti gli altri con la sua figura.
Un urlo, di rabbia, squarciò la Sala Ercole. Ruotando violentemente la grande ascia in aria, lo sguardo puntato su uno in particolare, Danimarca si lanciò dall’alto, caricando con la destra la possente arma.
Obiettivo: Malik. I movimenti rapidi di Mathias impietrirono l’uomo, bloccandolo di fronte il bancone. L’Alleanza aveva gli occhi puntati sul feroce nordico, che, con la sua arma, in pochi istanti gli fu addosso…
Il clangore violento del metallo scosse la sala. In un urlo disumano, ira allo stato puro, cercava con tutte le forze di raggiungere la sua vittima, la parte di sé che si stava ribellando. Unico ostacolo alla sua vendetta, era Sereno, che, fulmineo, s’era posto davanti a Groenlandia, salvandolo con la sua arma.
Il Vargas contrasse la bocca. Scintille azzurre scaturivano dall’incontro delle due lame, quella della spada, nel tentativo strenuo di difendere, e l’altra, di quell’ascia utilizzata con tale violenza che il suo lungo e sottile manico metallico sembrava sul punto si spezzarsi in due.
«Fermo.» Una parola, fredda, ma carica di autorità. Una mano si posò sulla spalla rigida di Mathias. Questo si girò di scatto, guardando negli occhi Svezia, suo compagno.
Gli occhi del nordico lo fissarono. Svezia sembrava sul punto di ipnotizzare il ragazzo, che ancora premeva contro la lama di Sereno, nel tentativo di sfondare le sue difese.
Dopo poco, lo sguardo assassino scomparve dal volto di Mathias. Aveva capito ciò che Berwald tentava di dirgli senza parole. Sorrise, chiudendo gli occhi, e ritrasse l’arma. Sfinito, San Marino fece svanire la sua spada, toccandosi l’avambraccio sinistro. «Stai bene?» chiese a Malik, guardandolo. Questo abbassò lo sguardo, un po’ scosso. Con un cenno del capo, rispose all’alleato, che, muovendo lo sguardo verso Rosalia, le dette il via libera.
Passato quel momento di tensione, tutti gli invitati si sedettero nei posti che preferivano. I membri dell’Alleanza rimasero in piedi, mentre con un cenno della mano, Filomena invitava Michaila e chiamare anche Mage.
Il silenzio cadde. Uno strano gelo riempiva la stanza. La tensione era talmente alta che invadeva l’aria, i polmoni, ogni singola goccia di sangue.

E ora?

A rompere il silenzio fu un ragazzo, dai capelli biondi, sedutosi in prima fila, composto e sistemato. Da sotto le larghe sopracciglia, due occhi verdi facevano capolino, che scrutavano ad uno a uno tutti quegli stati falliti. Infrangendo la tensione che si era creata, disse «Sarebbe cortese nei nostri confronti se anche voi vi sedeste…»
Rosalia sorrise. Sapeva cosa stesse intendendo. Facendo una leggera riverenza, disse «E perché un gentleman come lo siete voi, my lord, non aiuta questa giovane donzella a sedersi?»
Colpito nel vivo, lui arrossì violentemente, e, stizzito, si alzò per aiutare Sicilia a sedersi. Dietro, in seconda fila, qualcuno soffocava a stento le risate.
Il Regno Unito si avvicinò. Si mosse tenendo una mano puntata verso il tavolo, e, superando un paio di loro alleati, raggiunse le due sorelle Vargas.
Altezzosa, e divertita allo stesso tempo, Filomena gli mise una mano davanti, bloccandolo. «Ho letto il tuo fascicolo, Arthur. So cosa stai pensando!»
Lui indietreggiò di un passo, guardandola irritato «Cosa?! Cosa vorresti insinuare?!»
Dalla porta principale, con un lieve suono di passi, entrarono, scortati da Macao, i “prigionieri”. Mormorii si alzarono dai lunghi banchi, alla vista dei cinque personaggi che stavano camminando, tranquilli, davanti a loro, seguiti da uno staterello provvisto di un lungo bastone.
Con un sorriso in direzione del primo di loro, Filomena invitò quest’ultimo a venire lassù.
Sereno e tranquillo, Ivan, in tutta la sua possenza, si avvicinò alla ragazza che l’aveva chiamato. Indicando la postazione della sorella, chiese: «Russia-san, potresti farci l’onore di sederti su questa sedia?»
Un brivido percosse la sala, primo fra tutti Arthur, che, visibilmente spaventato, celava male le sue mani tremanti.
Al sentire quelle parole, allargando un sorriso, il russo si avvicinò alla sedia, la spostò e vi ci sedette. Fra lo sguardo attonito dei presenti, tutti meno che le due sorelle Vargas, la sedia emise lampi scarlatti in tutte le direzioni, per poi inevitabilmente sbriciolarsi al di sotto della grande potenza della Madre Russia. Inghilterra, in fase di acuta disperazione, si buttò sulle ginocchia ed emise un urlo di tremenda frustrazione.
«Contegno, Kirkland!» dissero sprezzanti Abraham e Sion, seduti sul lungo bancone, mentre guardavano scendere dagli occhi dell’inglese piccole perle d’acqua per la reliquia distrutta.
«Ragazzi, non avete un minimo di cuore!» disse la tenera Michaila, avvicinandosi ai resti ancora caldi della sedia distrutta. Russia si spostò di lato, mentre lei, spaventata dal suo occhio purpureo e vigile, raccolse i pezzi più grandi da terra.
Con somma paura, e leggermente impacciata, Antartide raggiunse l’inglese con in braccio alcuni dei pezzi più rilevanti della Busby’s Chair. Commosso, Arthur si alzò, prese i frammenti dalle sue mani e le sorrise, tornando ancora un po’ scosso in mezzo alla prima fila.
Con un balzo, America atterrò sul bancone a piedi uniti, dando le spalle all’assemblea, e con fare magnificente, si voltò di scatto urlando: «L’Eroe è qui per voi!!!»
Il silenzio cadde nella sala. Il volto di Alfred era in attesa di gloria e applausi, mentre poteva vagamente distinguere il suono vago di qualche cavalletta in lontananza. Persino Arthur era troppo affranto per la sua amata sedia per poter controbattere…
Giappone si avvicinò di soppiatto, sedendosi accanto ad America su una comoda sedia e, a bassa voce, suggerendogli «Oggi non è il tuo momento, America-san…»
Il giovane eroe, colpito da quelle parole, e notando lo stato d’animo indifferente del Popolo, si sedette affranto su una sedia accanto a Nihon.
I due rimanenti prigionieri erano a dir poco frastornati. Il primo, Shirohata, non riusciva a staccare gli occhi di dosso da una ragazza sistematasi sulle ultime file e dal suo enorme seno, sussurrando in modo quasi osceno e ossessivo «Ucraina-ucraina-ucraina…». Il secondo, Himaruya, non sapeva su quale delle decine dei suoi Character dovesse puntare gli occhi, su i tre che l’avevano accompagnato durante il sequestro, o su i tanti che sedevano su quelle lunghe file, riempiendo totalmente ogni posto disponibile, tranne uno isolato nell’angolo più estremo della prima fila. Intuì il motivo di quel vuoto, ed i suoi occhi brillarono come diamanti alla vista-non vista di quello spazio mancante accanto all’aitante uomo* che prese quindi la parola, interrompendo il silenzio in sala ancora una volta:
«Mademoiselles, permettetemi di dirvi che la vostra bellezza mi incanta come tanti secoli fa…» cominciò, alzandosi dalla sua postazione. Un po’ imbarazzata, Antartide, scostò lo sguardo da quel personaggio, arrossendo leggermente per il complimento, rivolto, come a tutte le donne del gruppo, anche a lei. «Però mi permetto di chiedere, se è possibile, il motivo di questo incontro, visto che mi ha invitato “Iggy”…» a quella parola Inghilterra s’infiammò, stringendo un pugno «…ma senza dirmi il perché…!»
Filomena sorrise gettando un occhio su Inghilterra, mentre prendeva posto in una delle sedie vicina ai frammenti della Busby’s Chair. «La tua domanda è lecita, Francis. Perciò risponderò brevemente…»
«…la nostra alleanza, l’Alleanza Invincibile, vuole avere un ruolo di maggior rilievo in ambito mondiale!»
«
PFFFFFF HAHAHAHAHAHAHAAAAAAAAA!!! POVERI ILLUSI!!! » rise sguaiatamente una persona nascosta dietro Francia, quasi cadendo dalla sua postazione. «NON POTETE CERTAMENTE AVERE UN RUOLO MAGGIORE DEL SOTTOSCRITTO!!! HAHAHAHAHA!!!!! »
Fece un balzo verso la prima fila, avvicinandosi ai membri dell’Alleanza. «
Voi non siete nulla, e così rimarrete!!! KESESESESEEEEEE!!!! »
Un brivido percorse le schiena dell’albino, sentendo una mano stretta sulla spalla fermarlo nella sua avanzata. La voce, glaciale e tagliente come una penna**, di Sereno, sussurrò poche tremende parole:
«Tu… non… esisti!»
Le iridi vermiglie di Prussia si spalancarono, a quelle parole fredde, sussurrate come la morte fa prima di calare la falce.
Con le poche forze rimastegli, si teletrasportò in un angolo della sala e cominciò, accovacciato in posizione fetale, e disegnare cerchi concentrici sul pavimento.
Si girarono tutti a guardare il germanico depresso, prima che di nuovo Inghilterra prendesse la parola, inferocito: «È inammissibile! L’Ordine Mondiale è stato stabilito già molto tempo fa, la vostra presa di posizione manderebbe in tilt l’intero sistema! Se tutta la vostra Alleanza diventasse troppo ricca e pot…»
«Oh, ma dai, Angleterre, è giusto che tutte queste belle ragazze ottengano la loro libertà di essere ciò che sono ed amare, è una cosa lecita…» disse Francia, apparendo dal basso dietro l’inglese e mettendogli le mani sui biondi capelli. Al che, irato come una biscia, Arthur, cercando di liberarsi e tirando pugni a casaccio, urlò «STAI FERMO, STUPIDA RANA CANNIBALE***!!! %@!!?*£» Con un sorriso ebete, si avvicinò Alfred, pungolando l’irato Igirisu «Vogliono solo la loro libertà, è giusto che la ottengano!» Inghilterra, urlando come un ossesso, e finalmente liberandosi dalla presa di Francia, prese quest’ultimo con tutte le sue forze e lo scagliò contro l’americano, facendoli volare entrambi fino ai tavoli dove sedeva l’UAS. (XD)
Francia, irritato dall’affronto subito, si alzò da sopra America e si lanciò con tutto il suo peso sopra Londra, cercando di fargli il più male possibile. America si gettò nella mischia, nel tentativo di fermare i due.
Fra calci e pugni, fra gli Alleati ed il Mondo si stava creando una vera e propria rissa. Guardarono tutti sconcertati la scena, vedendo una nuvola di polvere crearsi attorno ai litiganti.
«SCUSATE SCUSATE PER IL RITARDO!!! NON VOLEVAMO, ABBIAMO INCONTRATO TRAFFICO!!!»
I tre si fermarono, Francia tenendo fra i denti una gamba di Inghilterra, mentre America spingeva col palmo della sua mano la sua mascella, ed Igirisu dalla sua teneva due sue dita vicinissime agli occhi di Alfred, fermatesi poco prima del colpo.
Si girarono tutti a guardare la porta d’ingresso, mentre passi affrettati si avvicinavano in corsa. La porta si spalancò, e si intravidero due ragazzi, con un ciuffo di capelli intrecciato, tentare di varcare contemporaneamente la soglia, e trovarsi inevitabilmente incastrati.
«Spostati, cretino!» urlò quello a destra, cercando di entrare. «Scusa scusa scusa!» Urlò il secondo di rimando, schiacciato dal fratello.
Con un ultimo sforzo, i due vennero catapultati all’interno della stanza, cadendo a faccia in terra di fronte a tutti gli altri.
Alzandosi, e tirando con sé la testa di Romano, il Nord Italia disse, quasi supplicando «Scusate, scusate!! Non volevamo interrompere così!!!»
«Stupido! SMETTILA DI TIRARE!!!» urlò Italia del Sud a Feliciano, mollandogli un ceffone. Cercò, con entrambe le mani, di separare i due ciuffi, strettamente legati, ma inutilmente.
Filomena strabuzzò gli occhi. Pur avendo passato la vita con loro, si sorprendeva ogni singola volta di quanto potessero essere profondamente diversi i due. Michaila dietro di lei, non riuscì a trattenere un piccolo risolino, mentre Lovino sbraitava come un ossesso nel tentativo, quanto mai vano, di staccarsi dal fratello.
Ad interrompere la situazione, fu Germania, che, alzatosi dalla sua postazione, cercò di porre ordine nella stanza:
«Zitti tutti quanti!!! Voi tre, di bandiere diverse ma dei medesimi colori…» disse, indicando le tre grandi potenze sul pavimento, ancora paralizzate, «…smettetela di litigare. È una questione quanto mai importante, e voi create solo quel fastidio necessario per non far andare avanti il dialogo. Voi!» si gira di tre quarti, indicando i due Vargas, «Sedetevi accanto, dove trovate posto. Ai ciuffi penserete alla fine della riunione!»
«ZITTO, MACHO-PATATA!» replicò il Meridione al tedesco, mentre Francis ed Arthur, spossati, cercavano di riprendere posto fra gli altri, a testa china, ed Alfred, massaggiandosi il collo, si avvicinava a Russia e Giappone al banco dell’UAS. Frustrato dal dover attendere agli ordini di Doitsu, abbassò lo sguardo, e, rassegnato, tirò per il colletto il fratello fino a sedersi in un angolo della prima fila…
Amelie, rimasta in disparte fino a quel momento, prese la parola «Il dialogo è irrilevante. Convocati non vi abbiamo per discutere, ma semplicemente per farvi prendere atto della nostra…»
«Corsica, mi sembra superfluo dire che sarebbe conveniente per l’intera alleanza far parlare qualcun altro, magari provvisto…» sottolineò, alzandosi, Austria, con fare annoiato «…delle basi minime di dialettica…»
Punta nel vivo, gli occhi della ragazza si accesero d’ira, guardando il pomposo austriaco in cagnesco.
Groenlandia le si avvicinò, e, prendendole le spalle da dietro, le sussurrò qualcosa ad un orecchio. La ragazza distolse lo sguardo dal “nemico”, e tentò di riprendere il controllo.
Detto ciò, sì alzò dal banco Pio, reggendosi al pastorale. Era, ovviamente, il più conosciuto fra i tanti volti dell’Invincibile Alleanza, e per un ovvio motivo. Sapeva che a lui non avrebbero fermato.
«Concittadini di questo Mondo, perfetto disegno di Dio…» cominciò, quasi fosse un’omelia. Tutti gli altri Vargas presenti, sia fra l’UAS che fra gli altri, misero contemporaneamente il palmo della mano sul viso, in profondo disappunto *facepalm* «…dopo una lunga serie di avvenimenti, l’ultimo dei quali conclusosi pochi giorni addietro con l’appoggio dei cinque che abbiamo qui scortato precedentemente…»
«Ci hanno legato ad una sedia e hanno cominciato a torturarci con le piume di pappagallo fino a che non abbiamo concesso loro il nostro pieno consenso!! ^^ » disse entusiasta il Creatore, inserendo una breve parentesi nel discorso.
Città del Vaticano, bloccatosi, tentò di riprendere il discorso: «…siamo giunti all’affermazione dell’Alleanza Invincibile come effettiva realtà. Siamo stati riconosciuti come Verità dal vostro disegnatore e dal vostro regista…» indicò i due nipponici alle sue spalle, leggermente soprelevati «…e dalle tre maggiori potenze mondiali…» ed indicò un giulivo Russia, che pensava a quanti piccoli staterelli avrebbe poi potuto assimilare una volta diventati più prosperi, un America più che mai contento di essere al centro dell’attenzione, e uno schivo Giappone, che semplicemente evitava di guardare negli occhi nessuno «Perciò, effettivamente, abbiamo già ottenuto l’Indipendenza. L’incontro di questa sera era per rendervene partecipi…»
Si alzò bruscamente l’Austria, colpito da quelle parole «Ma non potete aver deciso l’estraniazione dal proprio stato di appartenenza senza i rispettivi tutori del vostro territorio!!»
«Possono tenersi la Malik, per quanto mi riguarda…» disse, un po’ annoiato, Danimarca, sdraiato sulla sua panca, vicino a Svezia e Norvegia «…gli passo ogni anno centinaia di miliardi di corone d’alimenti… mentre l’altro genitore sembra quasi essere sparito…», al che Canada, non essendo visto se non da pochi, sussurrò un «…Quella notte è stata davvero indimenticabile…»
Mentre Inghilterra, guardando in sua direzione, si accigliava, di nascosto il danese, appena diventato ufficialmente libero, cominciava quasi a piangere di felicità.
«Amelie può fare quel che più desidera…» continuò invece Bonnefoy, chiudendo gli occhi e gesticolando «…basta che per ogni Capodanno venga a casa mia e beva con me lo champagne come ha sempre fatto…»
Corsica avvampò, e cercò di nascondersi, profondamente imbarazzata, dietro una sedia. Abraham ridacchiò divertito, guardando dal bancone la ragazza.
«SIAMO IMPAZZITI?!» sbraitò il Sud Italia, alzandosi, e trascinando a forza con sé il fratello. «Voi siete parte di noi, e non avete alcun diritto di andarvene!!!»
«Ahi! Mi fai male!!» fa Feliciano, piagnucolando.
«NON abbiamo il diritto? Il diritto ce l’hanno concesso coloro che ti hanno creato, e coloro che possono distruggerti!!» risponde Filomena, indicando prima Himaruya, e poi puntando il dito su Russia. «La decisione è già stata presa, e siamo libere!!» completa Sicilia, impuntandosi, e guardando dall’alto i due fratelli.
«Noi siamo un’Alleanza. Ora non siamo più voi…» dice Rooke, rimasto in silenzio fino a quel momento, avvicinandosi ad Arthur. Gibilterra squadrò il padre, fermamente deciso, e fiero della sua decisione.
«ED IO SARÒ IL PIÙ GRANDE DEL MONDOOO!!!»
L’urlo di Sealand, fermo in posa per delle assenti telecamere, bloccò tutto. Rimasero tutti immobili, guardandosi l’un l’altro, negli occhi, irati con l’affronto dell’Alleanza nei confronti dei propri stati. A rompere quell’aria incandescente, fu una risatina di Malta. Sorridendo, batté lenta le mani al piccolo Peter, quasi incoraggiandolo. Di rimando, lui le sorrise, alzando felice un pollice in sua direzione.
Una lunga lacrima scese lungo il volto di Feliciano, guardando negli occhi le due sorelle. Le mani di Romano tremavano, prese dall’ira. Sembrava sul punto di saltar loro addosso. Secoli di mutua vita insieme, e così si congedavano?
«Ehm… scusate…!» fece una timida voce in fondo alla sala. Tutti, tranne i quattro Vargas in disputa, si girarono in sua direzione. In fondo alla sala, assolutamente estranei alla situazione fino a quel momento, c’erano Grecia e Turchia, anch’essi girati a guardare due ragazzini accanto a loro. A parlare, quello più a destra, teneva lo sguardo basso, alzando colpevole la mano. Quello a sinistra, guardandolo storto, bisbigliava qualcosa al padre.
Il ragazzino, che poteva dimostrare appena 14 anni, si alzò timido in piedi. Magro e slanciato, le sue iridi smeraldine guardavano in basso, grattandosi con una mano la nuca, coperta da lunghi capelli castani.
Alzò lo sguardo, e, mirando un punto imprecisato davanti a sé, mentre i volti di tutti i presenti erano rivolti a lui, disse:

«Mi chiamo Ioannes… sono la Repubblica di Cipro… chiedo gentilmente se… fosse possibile far parte della vostra alleanza…»









*Questa è dedicata a quel simpaticone di Linktroll X°D
** Le penne sono più taglienti delle spade ù.ù X°D
*** Stupida Rana MangiaRane ù.ù X°D

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=542912