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La bambina giocava
da sola, ripetendo una filastrocca che la nonna le aveva insegnato.
Sedeva vicino a dove
il ruscello incontrava il fiume, creando un piccola cascata.
La bambina immerse i piedi ridacchiando per la frescura. Le piaceva giocare da
sola, stare lontano dagli altri bambini...Erano cattivi con lei, tutto perché
lei aveva quegli strani poteri...tese una mano verso l’acqua per sfiorarne la
superficie e incresparne l’immobile superficie.
Fu allora che sentì
il rumore.
Uno squadrone di uomini a cavallo con i mantelli bordati di pelli di lupo.
La bambina balzò
indietro nascondendosi alle spalle del tronco d’albero caduto.
- Damphyr...- urlavano terrorizzati alcuni uomini, cercando
uno scampo che era impossibile trovare.
La bambina
sussultò...aveva sentito sua madre molto spesso
parlare, a bassa voce, di quelle creature e poi farsi il segno della croce, non
sapeva cosa fossero, ma evidentemente erano pericolose...Alzò piano il capo,
guardando attraverso il tronco dell’albero che le offriva riparo, ma vide solo
una nuvola di polvere sollevarsi sul villaggio, sentiva i rumori degli zoccoli
dei cavalli, le urla delle persone, i singhiozzi di spavento: tutto si svolgeva
molto velocemente...In un turbine, stanavano gli abitanti e li uccidevano...Gli
animali scappavano, gli uomini si nascondevano, le donne piangevano...vide i
cavalieri ritornare indietro dopo aver raccolto quanta più gente possibile,
molti bambini erano in mezzo a quel gruppo, lei li sentiva piangere. Vide il
Pope del villaggio venire spinto in avanti, la vecchia
tonaca infilata alla meno peggio, mentre si faceva il triplice segno della
croce ortodosso.
Urlò qualcosa come
una maledizione, sollevando la croce che portava al petto, quasi come fosse uno scudo in direzione di un uomo alto, seduto sul
cavallo che lo guardava con disprezzo...
Udì la risata di
quell’essere giungere fino a lei e rabbrividì, per la paura, mentre quel suono
le gelava il sangue nelle vene. L’uomo sul cavallo allungò una lancia che
teneva al fianco e, con una mossa repentina, tolse la pesante catenina dal
collo del Pope lanciandola lontano...poi con una velocità sconcertante, piantò
la lama al centro del petto dell’uomo davanti a lui.
Si accasciò senza un
lamento, prostrandosi a terra, cercando di estrarre la lancia, ma la vita
scivolò fuori dalle sue labbra in un rantolo
gorgogliante.
La bambina si mosse
terrorizzata, voltandosi su se stessa e correndo lontano...
Lontano dagli occhi vacui del Pope che si era accasciato sul selciato,
lontano dal sangue che si riversava sul lastricato, mescolandosi alla polvere e
alla terra...
Il suo movimento
attrasse l’attenzione dell’uomo sul cavallo che, con un sorriso sinistro,
lanciò il suo destriero all’inseguimento...
Sentiva il rumore
degli zoccoli farsi più vicino e coprire il martellante battito del suo cuore,
poi una mano fredda e ossuta la sollevò da terra, caricandola di traverso sulla
sella...l’odore del sudore del cavallo le riempì le narici...il cuore ora era
solo un macigno che le pesava nel petto, vide il villaggio allontanarsi, mentre
si addentravano nella steppa gialla di siccità, dove i Rom
danzavano accompagnandosi con tamburelli, videro contadini che da lontano si
segnavano il segno della croce, mentreun’ eco li accompagnava al loro passaggio, un mormorio di terrore,
ricordo di un tiranno sanguinario che accompagnava le notti dei vivi, che
morivano dal terrore che potesse tornare a succhiare loro il sangue:
- Damphyr
§ §§
Il grande maniero di Angel Manhor
sorgeva sull’isolotto nel centro della Baia di San Francisco, circondato da un
immenso giardino a terrazze che degradava verso l’Oceano. La statua dell’angelo
stava sul suo piedistallo imponente e silenziosa, a
guardia di quella casa e dei suoi segreti. Tutto era avvolto nell’oscurità e
nel silenzio, solo le luci provenienti dall’altra parte della Baia
testimoniavano che c’era vita nel mondo. Un mondo ignaro,
perennemente in bilico tra luce e oscurità.
La casa era un’enorme L costruita
sull’asse nord – sud. L’ala adibita agli alloggi di coloro
che abitavano stabilmente ad Angel’ s Manhor
occupava buona parte del primo piano. Il lato più corto della costruzione in
mattoni rossi era occupato invece dagli uffici e dalla grande
biblioteca della fondazione, con migliaia di volumi di demonologia,
stregoneria, vampirologia. Uno di questi uffici aveva la finestra fiocamente illuminata, una giovane donna dai
lunghi capelli scuri, raccolti in una coda di cavallo, era in piedi
davanti a quella finestra.
Anne osservava la neve cadere, lenta, fuori
dalla finestra…mentre un sorriso le increspava le labbra. Le luci della
città in lontananza oltre la Baia,
e il bianco candore che stava ricoprendo tutte le cose del giardino,
amplificavano ulteriormente l’oscurità della notte.
La consapevolezza che domani non ci sarebbe stato il sole già la rattristava. Forse era a causa del suo
passato, o forse era solo la sua freddezza proverbiale, che la rendeva
dipendente dal sole: aveva bisogno di vederlo tutti i giorni! Di sentire i suoi
raggi caldi sopra lapelle,
di sperare che -in qualche modo- potessero scaldare il suo animo intorpidito
dal freddo…Posò una mano sul vetro freddo della finestra…non rabbrividì a quel
tocco, perché anche le sue dita erano fredde.
Leyla aveva ragione a dire che
lei e Kaede in fondo erano simili, il loro passato li rendeva freddi e
scostanti ai sentimenti; la differenza era che lui lo era anche con le persone;
lei forse si tratteneva…entrambi, a modo loro, indossavano una maschera per difesa,
per proteggersi dal dolore, troppe volte erano stati colpiti…Si fermò a
riflettere che, in fondo, di Kaede non sapeva nulla, lui aveva dimenticato
tutto il suo passato...
Stancamente si mise a sedere sulla
poltrona del suo ufficio, gli altri erano andati tutti a dormire da ore.
Hanamichi e Kaede erano fuori, in missione da qualche parte nelle foreste
dell’America del Sud. Leyla stava dormendo nella grande
camera, nell’ala opposta della casa; sperò, per lei, che almeno quella notte
gli incubi la lasciassero stare, i rimorsi le stavano divorando il cuore, pezzo
per pezzo. In quanto a lei, ormai erano mesi che dormiva poco o quasi nulla,
non era una insonnia comune o normale la sua, non
c’era nulla che potesse fare per impedirlo o costringersi a dormire. Sin dalla
sua infanzia era stato così…Lei amava la notte; era cresciuta con persone che
le avevano insegnato a farlo…Si passò una mano tra i capelli, mentre guardava,
osservava e pensava,continuando a fissare il gioco di
quei piccoli batuffoli di cotone che cadevano incostanti dal cielo…tra poco
avrebbero formato, tutti insieme, un manto unico…e la loro piccolezza e
fragilità sarebbe stata dimenticata e sarebbe rimasto solo un grosso manto
bianco…e niente rumore. Persino gli uccellini avrebbero esitato a far sentire
le loro voci. Quella neve la riportava alla sua infanzia, quando era felice,
tra le persone che l’avevano allevata, non ricordava nulla della sua vita,
prima di allora, non ricordava il viso o la voce di sua madre, né il calore del
suo abbraccio o la dolcezza delle sue carezze...
Strinse con forza gli occhi, la neve la faceva ricordare e
lei non voleva per niente ricordare! Faceva troppo male, sperava solo che il
freddo, che c’era là fuori, potesse in qualche modo
ritornare dentro di lei e congelare di nuovo quel dolore che sentiva. Che si riformasse in quella spessa coltre di ghiaccio, che
un tempo le circondava il cuore…
Un rumore alle sue spalle fece fermare i suoi pensieri. Voltandosi con la sedia, incontrò lo sguardo
caldo di un ragazzo alto con gli occhi azzurri e i capelli castani chiari, fermo nel centro della stanza, con le braccia incrociate al
petto:
- Che ci fai, qui?- si ritrovò a
chiedere, la voce risuonò per la grossa stanza deserta, mentre si alzava e si
avvicinava a lui, con voce incerta proseguì - Dovresti andare, è pericoloso,
per te, stare qui! Tra un po’, me ne andrò anche io!
Lui sorrise soltanto, senza dire nulla, mentre la mano di lei, lievemente tremante, si alzava ad incontrare il
suo viso, solo per ritrovarsi a fendere l’aria…lui se n’era andato, aveva
seguito il suo consiglio.
Lei strinse gli occhi e i pugni nelle mani…
Quella stava diventando un’ossessione, e lo sapeva.
Doveva smettere, e lo sapeva.
Doveva dimenticare e lo sperava.
Con uno scatto improvviso, si voltò su se stessa e si
diresse ad afferrare il suo cappotto, l’orologio luminoso della sua scrivania
indicava chiaramente le 3:25 a.m.,
prese la sua borsa, col portatile dentro, e spense le luci. Dopo qualche
istante, il rumore del grande portone che si
rinchiudeva risuonò nell’atrio silenzioso.
Finalmente, anche l’ultima luce ad Angel Manhor era stata
spenta. Ora l’edificio, coi suoi grandi misteri e
segreti, riposava come il resto della città.
La voce squillante di Hanamichi Sakuragi risuonò per tutte
le stanze della grande casa, sede della Luna Foundation di San Francisco, stava
camminando, girato all’indietro, incurante di tutto quello che lo circondava,
dietro di lui, camminava pacatamente Kaede Rukawa, le mani sprofondate nelle
tasche e un’aria indolente dipinta sul viso, apparentemente del tutto sordo
alle sfide lanciate dal collega, ma in realtà ben desto e attento, a tutto ciò
che quella rumorosa testa rossa diceva e faceva. Ormai si era abituato al
vociare del compagno, così come Hanamichi si era rassegnato all’ impossibilità
di poter comunicare normalmente con il moro; entrambi rispettavano il reciproco
stile di vita dell’altro. Avevano raggiunto un equilibrio sottile, che si
spezzava qualche volta nelle loro solite liti, ma anche queste -tutto sommato-
facevano parte del loro equilibrio…E almeno provocavano una reazione da parte
di Kaede, che era abitualmente indolente a tutto e tutti.
Passarono di fronte agli innumerevoli uffici chiusi. Era
ancora molto presto, e la maggior parte dei ricercatori doveva ancora arrivare.
Loro stessi erano giunti da un paio d’ore, atterrando all’alba sul retro della
casa con l’elicottero della Fondazione. Il tempo di una rinfrescata e di una
colazione veloce, poi subito a rapporto da Leyla Mayfair, che li aveva accolti
al loro arrivo e aveva dato loro appuntamento nel suo ufficio, con un tono che
non ammetteva replica alcuna. Ed ora si trovavano lì, nel corridoio silenzioso,
fermi di fronte a una porta di legno scuro con un foglietto attaccato e la
scritta a penna “Capo… oggi sono di pessimo umore… brrrrr”.
Hanamichi sorrise, di sicuro questa era opera di Anne. Lei
era quella addetta ai rapporti con Leyla, era la sua assistente, la sua più
stretta collaboratrice, quella di cui Leyla si fidava ciecamente. E questo era
il suo modo di avvertire tutti che, se avevano brutte notizie, gliele avrebbero
dovute riferire con una certa accortezza. Chissà da quanto tempo, quel
foglietto era attaccato sotto alla targhetta in ottone con inciso il nome di
Leyla!!… probabilmente lo aveva attaccato mesi addietro, ma lo notavano solo
adesso, perché la porta dell’ufficio era chiusa. Leyla Mayfair era tranquilla,
pacata e gentile, ma le sue esplosioni di rabbia erano memorabili, soprattutto
quando le cose non andavano come lei si aspettava e, tutto sommato, la missione
appena conclusa non si era risolta secondo le direttive ricevute prima di
partire, si disse Hanamichi deglutendo leggermente, e come sempre, era in parte
sua responsabilità.
- Chissà cosa farà Leyla, appena se ne accorgerà?…
Domandò a voce alta, più per se stesso e non perché si
aspettasse una risposta dall’altro accanto a lui, che intanto lo aveva
raggiunto, sempre chiuso nel suo inaccessibile mutismo. Ma stranamente la volpe
artica lo degnò di una risposta.
- Non voglio saperlo…
Hanamichi si voltò a squadrarlo, quasi avesse avuto due teste
attaccate al collo. E quindi, inevitabile fu la sua risposta, un’occhiataccia
ben assestata, che lo fece voltare e ammutolire.
Bussarono alla porta. E appena ricevuta risposta,
entrarono nella zona riservata agli uffici di Leyla Mayfair e di Anne Amigon.
Due uffici separati solo da un’anticamera arredata con un attaccapanni e un
portaombrelli, per terra un morbido kilim delle sette dee molto prezioso, come
gli aveva spiegato una volta Anne, dopo che lui vi aveva accidentalmente
versato sopra la sua tazza di caffè...Anne si era occupata di far lavare il
tappeto durante l’assenza di Leyla, via per una conferenza a New York con
Kaede, il mese precedente, ma a lui pareva di scorgere sempre l’ombra di quella
macchia, sospirò pensando che non c’era verso che riuscisse a combinarne mai
una giusta...
Passando davanti al primo ufficio, Hanamichi notò con
stupore l’assenza di vita: era strano! Anne, solitamente, era impegnata alla
ricerca di file, notizie, e leggende sul computer,o sui libri enormi conservati
nella biblioteca in fondo al corridoio… Sapeva un’infinità di lingue e quindi
era in grado di leggere manufatti anche molto antichi, che –numerosi-
ingombravano ogni angolo del suo ufficio…Ma quella volta non era presente, non
c’era; con gran sollievo di Hanamichi, che le doveva ancora una cena, per una
scommessa persa…Dannazione! riusciva sempre a fregarlo, nonostante fosse un
Genio, tutte le volte ci cascava...
Entrarono nella grande stanza che ospitava l’ufficio di
Leyla, una camera spaziosa, con le pareti foderate da eleganti pannelli di
legno scuro e l’ampia vetrata sullo spettacolo della Baia di San Francisco.
Leyla era impegnata con una telefonata e, appena li vide sulla porta, fece loro
segno di entrare e sedersi.
Cosa che fecero, senza farselo ripetere due volte. Leyla
parlava a voce concitata, in una lingua che per Hanamichi era sconosciuta, e
alla fine sbatté il telefono con forza, segno –questo- che doveva essere molto
alterata. Prese diversi respiri profondi, per calmarsi e calmare i suoi poteri
e rialzò lo sguardo sui due giovani, come se non fosse successo nulla. Sorrise
loro e, con la più materna delle intonazioni, disse loro…
- Ben tornati, ragazzi…spero abbiate fatto un buon
viaggio! – li osservò piano, in silenzio, per alcuni minuti, studiando le loro
espressioni e reazioni. Rukawa nascose uno sbuffo, mentre si sedeva
accavallando le gambe, Hanamichi invece…Era troppo divertente vedere la gamma
di reazioni, che passavano sul viso mobile ed espressivo del giovane dai
capelli rossi. Lui avrebbe voluto riderle in faccia, si stava chiedendo se -per
caso- li stesse prendendo in giro. Avevano viaggiato 12 ore filate su una
bagnarola, poco ci mancava che cadesse a picco, e lui non sapeva neanche
nuotare! Per finire dove? In un paesino sperduto nel cuore dell’America
meridionale, pieno di zanzare grosse come topi. Ad analizzare delle pietre,
che, così diceva la leggenda, dovevano possedere proprietà curative, perché al
loro interno erano stati rinchiusi gli spiriti di alcuni vecchi guaritori Maya.
Tutte frottole! Erano solo quattro pietruzze messe una vicino all’altra, che
formavano un cerchio quasi perfetto…puzzavano, perché sopra ad esse venivano
appoggiati i cadaveri, nella speranza che venissero resuscitati…cosa che,
puntualmente, non avveniva; ma gli abitanti di quella landa continuavano a
portare in processione i cadaveri, e ce n’erano alcuni che viaggiavano per
settimane. Hanamichi era rabbrividito, di fronte a questa situazione.
Rukawa avrebbe voluto tirargliele in faccia quelle pietre:
tanta fatica, un viaggio durato giorni in mezzo alla foresta tropicale a
combattere con zanzare, sanguisughe e caldo, per poi ritrovarsi con nulla, tra
le mani. Di fronte alla rabbia mal celata del compagno, Hanamichi aveva
obiettato che non potevano sfatare così la leggenda di quelle povere
persone…così lo aveva implorato di catalogarle ugualmente, per finta. E
continuare a mantenere vivo in quella gente il sogno della loro leggenda. La
discussione che ne era seguita era stata il solito scambio di insulti…
“Do’aho!”
“Baka
Kitsune..”
Ma in fondo, Rukawa aveva accettato la richiesta di
Hanamichi…Catalogando le pietre e lasciando quel paesino con la propria
credenza: che quelle pietre, in fondo, possedessero un potere soprannaturale.
Lei, quando gli avevano comunicato la cosa dal telefono satellitare, non
l’aveva presa molto bene, dicendo che avrebbero dovuto limitarsi a specificare
che non possedevano nulla di miracoloso, invece di illuderli. Se quelle pietre
non avevano alcun potere, non era il caso di alimentare false speranze, che
poi, una volta crollate, avrebbero avuto conseguenze ancora peggiori. Era stata
tentata di rimandarli indietro, ma qualcosa l’aveva trattenuta e, quando aveva
riattaccato, non aveva potuto trattenere un sorriso compiaciuto, scotendo la
testa: Kaede che si lasciava intenerire, ma davvero…quella sì, che era una
novità sconcertante!!. L’integerrimo e scostante Kaede Rukawa, che cedeva ad
una supplica…e di Hanamichi, poi. Avrebbe pagato, per assistere a quella scena.
Anne le aveva fatto l’occhiolino dal suo ufficio, intuendo i suoi pensieri. Lei
continuava a sostenere la sua teoria, secondo la quale quei due avevano solo
bisogno di una spintarella, come la chiamava lei…
Quel pensiero le fece ricordare di colpo tutte le sue
preoccupazioni e tornò a dedicarsi al problema principale…Aprì il cassetto ed
estrasse una busta gialla, arrivata quella mattina con un corriere espresso da
Londra, posandola davanti a lei, sulla sua scrivania.
Diede un’occhiata sopra la spalla di Kaede, attraverso la
porta aperta: Anne non era ancora arrivata quella mattina e lei sapeva perché:
i resti di quella nevicata notturna li aveva trovati sul sentiero un paio di
mattine prima,mentre faceva jogging.
Aveva capito subito di chi si trattava: Dimitrij…e chi altri poteva essere in
grado di fare una cosa del genere: una nevicata in pieno luglio! Scosse la
testa. Sperava che non ci fossero ulteriori problemi, aveva dovuto combattere
tutta la mattina con il Consiglio degli Anziani, per farsi affidare quella
indagine. Piano piano, stava consumando gli appoggi che gli venivano dalla
posizione di prestigio che suo padre aveva avuto nel Consiglio, quando era
ancora in vita, ma non sarebbe andata avanti ancora per molto, sperava che, con
questa indagine, si sarebbero calmate un po’ le acque; e l’attenzione sulla sua
squadre si facesse più blanda. L’ultima cosa che voleva era che Anne ne
restasse coinvolta o peggio ancora ferita in qualche modo. Si passò una mano
sugli occhi, togliendosi gli occhiali. Aveva sperato che Anne fosse riuscita a dimenticare,
o quanto meno a convivere in pace con il suo passato, ma evidentemente non era
così. L’unica cosa che poteva fare lei, era impedire che si cacciasse nei
guai…Scosse la testa soffocando una risata amara, come poteva pensare che Anne
riuscisse a dimenticare il passato doloroso, se neppure lei riusciva a farlo
con il suo?...Percepì lo sguardo di Rukawa su di sé. Anche se se ne stava lì
seduto con la solita aria annoiata e l’espressione più inespressiva che gli
conosceva, Leyla sapeva che Rukawa avvertiva chiaramente il suo tormento
interiore, anche senza usare troppo i suoi poteri. La sfuriata per telefono
doveva essere stata esplicativa, anche se, probabilmente, non aveva capito una
sola parola del suo discorso con il Precepts della casa di Praga, ma c’era
qualcos’altro sotto e questo non poteva permettergli di leggerlo. Alzò lo
sguardo direttamente su di lui che, vistosi scoperto, si dedicò all’analisi
approfondita dell’orlo dei suoi pantaloni, senza perdere minimamente quella sua
aria impassibile. Reprimendo un sorriso, Leyla cominciò a parlare mostrando
loro delle foto, immagini di corpi senza vita, depositati per terra, disposti
l’uno a fianco all’altro ordinatamente. Apparentemente non avevano nulla, come
se la vita fosse stata levata a loro, senza che questi venissero toccati…
- Vorrei che andaste in questa casa… sono state registrate
attività strane..
Kaede si chiese cosa preoccupasse così tanto Leyla, non
era una missione come le altre, quella, lo percepiva chiaramente. E poi quella
telefonata, non aveva capito tutto, ma aveva intuito dal tono, che stava
subendo forti pressioni. Osservò quelle foto, cercò di concentrarsi sui volti
distesi e pacifici delle vittime, sembrava che non avessero subito una violenza
per essere privati della vita, come se si fossero sacrificati di propria
iniziativa, non riusciva a capire fino in fondo. Cosa centrava Anne in tutto
questo?...Era stato un lampo fugace nelle sensazioni di Leyla, ma la
preoccupazione per la sua fidata assistente era chiara: sarebbero bastate ad un
osservatore meno attento, le fuggevoli occhiate che Leyla lanciava all’ufficio
vuoto di Anne, dall’altra parte del corridoio...Dov’era? Da che lui lavorava
lì, Anne era sempre la prima ad arrivare e l’ultima ad andare via, come Leyla.
Era strano che non fosse davanti al suo computer...Sentiva che aveva a che fare
con quei cumuli di neve che aveva scorto nel vialetto laterale, mentre
rientravano in casa dopo essere atterrati con l’elicottero. Neve, in pieno
luglio. Ma chi (perché sicuramente era stata una qualche entità abbastanza
potente da comandare gli elementi atmosferici ) e soprattutto perché? E quale
legame -tutto questo- aveva con Anne?...Gli sarebbe bastato espandere il suo
potere giusto un minimo, ma Leyla se ne sarebbe immediatamente accorta e forse
non avrebbe gradito. E già era irritata per come si erano comportati durante la
missione in Sud America, non era il caso di aggiungere altri motivi alla sua
rabbia...Effettivamente, anche lui era lievemente irritato da quell’episodio.
Si era fatto convincere, aveva ceduto a una supplica di Hanamichi...Che diamine
gli stava succedendo? Il fatto era che non era riuscito a farne a meno, quando
lui lo aveva pregato di non infrangere le illusioni di quei selvaggi, con
quello sguardo...Già!! quello sguardo era il problema, il colore e il calore di
quegli occhi erano piantati a fuoco nel suo cervello, come un marchio che non
voleva saperne di essere cancellato:
“Guardami”
“guarda me!”
Urgenza, desiderio, bramosia...
La voce limpida di Leyla che spiegava come quell’episodio
si fosse ripetuto in altri luoghi, a distanza di tempo abbastanza regolare,
tanto da far pensare a un rituale o a qualcosa che nascondeva un disegno sotto,
lo fece tornare attento a quello che lo circondava…Diede un un’occhiata di sfuggita
ad Hanamichi che si stava sfregando contento le mani, l’una contro l’altra…E
Rukawa non poté far altro che alzare esasperato un sopracciglio, sicuramente
quell’idiota stava pensando di poter, finalmente, menare un po’ le mani. Un’
abitudine che aveva assunto da un loro caso recente, quando aveva avuto la
possibilità di parare le spalle a Rukawa, mettendo K.O. un energumeno che
cercava di attaccarlo di soppiatto…
Sospirò rumorosamente e gli tirò un calcio ben assestato
allo stinco…possibile che dovesse sempre dirgli tutto?
- Baka Kitsune!!…- reagì l’altro, massaggiandosi la tibia
dolorante e lanciando un’occhiata di fuoco verso Rukawa, che però non lo degnò
di uno sguardo, continuando a fissare le foto. C’ era qualcosa che gli
sfuggiva.
- Hanamichi! Fa silenzio, per favore!
Lo rimproverò Leyla, richiamandolo all’attenzione…
- Ma è lui che…- protestò, indicando Rukawa che alzò gli
occhi al cielo, chiedendosi con chi avesse mai litigato in qualche vita
passata, per meritare di dover lavorare con Hanamichi.
Sentirono la porta aprirsi alle loro spalle e un’affannata
Anne entrò nella stanza…
- Scusate il ritardo…Leyla…mi hanno detto che mi cercavi…
Leyla non rispose, annuì soltanto, indicandole le foto,.
Anne si avvicinò togliendosi la giacca, le ci volle solo un secondo per
realizzare cosa fossero. E persino Hanamichi si accorse del suo repentino
cambiamento…
Appena era entrata, si era alzato in piedi, pronto a
lasciarle il posto. Era pur sempre il suo referente…Anne lo aveva tirato fuori
più di una volta dai guai, senza che Leyla ne venisse a conoscenza, o che
Rukawa lo scoprisse. La cena che gli doveva, derivava proprio da una di queste
occasioni. A volte si svegliava nel cuore della notte, in preda al terrore che
loro scoprissero cosa era realmente successo al prezioso manufatto per la
mostra al Gugenheim, dato per disperso un paio di mesi prima e non ancora
ritrovato, solo lui e Anne sapevano che era stato polverizzato...e neppure
ricordava come e perché, probabilmente gli era caduto, mentre lo catalogava
prima di spedirlo. Già! Certo.. però un oggetto in terracotta, quando cade, va
in mille pezzi.. non si trasforma in un mucchietto di polvere. A dire la
verità, non ricordava molto di quello che era successo…solo che era
arrabbiato…Si era arrabbiato con Kaede; no, non con Kaede.. con quell’Akira
Sendo della casa di Londra. Era venuto in visita, per portare dei manufatti che
servivano per una conferenza di Leyla a Mosca, e per tutto il tempo non aveva
fatto altro che ronzare intorno a Kaede senza perdere occasione per lanciare
frecciatine nella sua direzione, e lui non lo sopportava: sempre sorridente,
niente sembrava smuoverlo da quella sorta di paresi facciale che si ritrovava.
Li aveva visti rientrare un pomeriggio e, dai loro discorsi, aveva saputo che
erano stati in città a giocare a basket (lui neppure sapeva che la Kitsune
sapesse giocare a basket e poi, Kaede con lui rifiutava sistematicamente di
andare da qualsiasi parte che non fosse per lavoro). La cosa lo aveva fatto
imbestialire e, mentre aiutava Anne a catalogare i reperti nelle casse che si
trovavano nei sotterranei, Sendoh era sceso per controllare, aveva detto lui,
ma Hanamichi era sicuro che fosse venuto per deriderlo, cosa che aveva fatto
puntualmente in un momento che Anne si era allontanata. Quando Anne era
rientrata, Hana aveva ormai talmente tanta rabbia in corpo che stava per
esplodere. Aveva desiderato di incenerire Sendoh, se solo lo avesse avuto tra
le mani. Ciò che ricordava era semplicemente che si era come riavuto da un
mancamento e il vaso, che prima aveva in mano, giaceva in terra in un
mucchietto di cenere fumante (questo qui costa un patrimonio allafondazione ¬_¬NdL). Anne si era impegnata a
far sparire i resti inceneriti del vaso, coprendo la sua sparizione anche con
Leyla…ma per questo, gli era toccata la promessa di pagarle una cena alla
prossima occasione.
Kaede gli diede una gomitata, richiamando la sua
attenzione, scotendo la testa rassegnato, non lo disse, ma il “Do’hao” di rito
era chiaro nel suo sguardo…Hanamichi abbassò gli occhi, arrossendo.
Inutile: i pensieri che si stavano affollando nella sua
testa erano troppo frenetici, perché Leyla li potesse cogliere chiaramente…poté
solo fare un piccolo cenno del capo all’indirizzo di Rukawa e aspettare a
vedere la reazione. Il moro avanzò in direzione della ragazza, apparentemente
costei non se ne accorse, subito imitato da Sakuragi…Ovviamente questi non
sapeva quello che sarebbe successo, ma eseguiva lo stesso i movimenti
impartitigli dal collega. Era diventata un’abitudine, per lui, fare
questo…Anche se non lo avrebbe mai ammesso, si fidava ciecamente di quello che
diceva, o meglio pensava, Rukawa.
Improvvisamente la ragazza si riscosse, alzando lo sguardo
su Leyla e fissando i due che si erano messi tra lei e la porta.
- Questo cosa significa, Mayfair?! - disse Anne, il tono
freddo, impassibile, non lasciava trapelare i suoi veri sentimenti… Leyla
accusò il colpo, il veleno era chiaro nella voce. Gli spiaceva quella reazione,
da parte di quella che considerava quasi una sorella. Entrambe sapevano quello
che si celava sotto la sua tacita affermazione…E tutte e due sapevano che
questo avrebbe portato a delle dolorose ripercussioni per entrambe. In
qualunque modo si fosse risolta quella vicenda, il loro rapporto avrebbe subito
dei mutamenti.
- Anne… vorrei che capissi…- tentò Leyla.
- Cosa?
- Non posso permettere che tu lasci Angel Manhor.
- Spero tu stia scherzando, Mayfair!!
Ora la voce di Anne era quasi un sibilo… gli occhi stretti
a fessura, le mani strette a pugno. Lo sguardo basso e torvo, in direzione del
suo capo. Oramai, le altre due persone in stanza erano state completamente
dimenticate…ormai, solo i loro sguardi erano legati…ormai, solo i loro occhi
erano possibili da vedere…ormai, solo un pensiero correva nelle loro menti.
“Hai chiesto tu questa indagine?”
Leyla percepì il dolore e la delusione nelle parole di
Anne, si sentiva tradita, probabilmente.
“ho subito delle pressioni…comunque sì, l’ho chiesta
io.” non aveva immaginato che sarebbe stato facile, ma non aveva
preventivato che sarebbe stato così doloroso.
“ non starai pensando che possa essere in qualche modo
coinvolto!”
“ non penso nulla…devo indagare e tu lo sai..”
Anne non rispose, ma fissava con gli occhi stretti la
donna davanti a sé. Lo sapeva, sapeva che sarebbe accaduto, prima o poi,
accadeva sempre questo: era il prezzo da pagare per non essere chiaramente in
un mondo solo. Aveva creduto che la sua anima divisa avrebbe potuto, in qualche
modo, sopportare di camminare in bilico sul filo, quel sottile confine che
separava il suo essere umana dal fatto di essere cresciuta in un Clan di
Vampiri e di sentirsi parte di quella comunità più che in una società umana.
Per un po’ ci era riuscita, ed era stata una piacevole illusione, ma ora?…Ora,
era venuto il momento di pagare il prezzo e non era sicura di quelle che
sarebbero state le conseguenze per la sua vita. Strinse gli occhi, come a
volersi isolare dal mondo attorno a lei. Lo faceva spesso da bambina, quando
gli altri ragazzini del villaggio la chiamavano ‘Strigoij’, per via del suo
potere di leggere nella mente; i primi tempi della sua permanenza ad Angel’s
Manhor, quando le mancavano le aperte distese canadesi, dove aveva vissuto
quasi tutta la sua vita, da che aveva ricordi. Ed era una vita spensierata,
insieme a persone che l’avevano fatta sentire amata...quando l’avevano
allontanata, aveva sofferto molto, si era opposta con tutte le sue forze al
fatto di dover seguire Marcus Mayfair...ma la decisione del Master del Clan era
indiscutibile e lei si era dovuta rassegnare a seguire quell’uomo.
Sakuragi osservava la scena a fianco di Rukawa. Non
riusciva a capire molto. Certo, sapeva che Leyla e Anne stavano parlandosi
tramite i loro poteri telepatici, ma non riusciva ad individuare il problema, e
poi Anne, che di solito non perdeva occasione di tirare frecciatine a Rukawa, e
a scherzare su molte cose, era ora un blocco di ghiaccio… provava persino
freddo a guardarla da così distante. Sembrava quasi la Kitsune che aveva al
fianco. Già, la Kitsune…scacciò il principio di pensiero che si stava
formulando nella sua mente, doveva smetterla. Prima lo avrebbefatto, meglio sarebbe stato e meno avrebbe
sofferto poi. Si volse comunque a guardare Rukawa fermo al suo fianco, le
braccia incrociate e lo sguardo fisso di fronte a sé. Un pensiero indisponente
si insinuò nel suo cervello, non c’era altro da dire: quella dannata Kitsune
era davvero bella…Da quanto lo pensava? Probabilmente da sempre, dalla prima
volta che lo aveva visto scendere dalle scale di Angel’s Manhor, così altero e
indifferente, chiuso nel suo silenzio…Era un pensiero irrazionale, qualcosa che
non poteva impedirsi di formulare e più il tempo passava, più si rendeva conto
che la cosa andava al di là della semplice constatazione oggettiva, ma implicava
qualcosa d’altro, qualcosa che si rifiutava di prendere anche solo in
considerazione.
Fermo a pochi metri da un confuso Hanamichi, Rukawa, dal
canto suo, coglieva i sentimenti delle due donne, sentiva le loro emozioni e
cercava di trarne maggiori informazioni, per capire cosa stesse succedendo. Non
che la cosa gli importasse, per carità, lui aveva abbastanza problemi a tenere
sotto controllo i suoi sentimenti personali, a fermarsi dal toccare quella
testa rossa, che ormai albergava in maniera fissa nei suoi pensieri, senza che
lui potesse opporsi. Anche in quel momento, sentiva il suo sguardo su di sé…ma
evitava di voltarsi come sempre, quando questo succedeva, e da quando erano
tornati dalla casa di Auteuil, capitava molto spesso. Ormai era quasi strano,
non sentire quegli occhi colmi di domande e dubbi che lo seguivano ovunque,
come un’ombra...La cosa strana era che la confusione di Hanamichi si rifletteva
anche su di lui, come il riflesso della luce di una candela davanti allo
specchio, e tutto questo non lo aiutava. Le sue percezioni, sempre chiare e
precise quando riguardavano qualcun altro, erano ora dannatamente confuse e
intricate...e non era dovuto solo al fatto che riguardavano lui stesso, per
quelle era sempre stato semplice leggerle e anche controllarle, ma erano quelle
derivanti dal sé stesso in relazione con Hanamichi che non riusciva a mettere a
fuoco o a definire. Il fatto era che, più cercava di analizzarle e di scomporle
per trovarvi un senso, più le snaturava, allontanandosi dal vero significato,
fino a perdersi in considerazioni vuote e inutili che servivano soltanto ad
aumentare la sua confusione. Per questo cercava di tenerlo a distanza…certo, la
cosa non era facile, visto che Leyla si ostinava a farli lavorare assieme.
Un lieve mutamento tra le due donne lo distolse da quei
ragionamenti, era un mutamento insignificante, che nessuno altro avrebbe
notato, ma tutto si comunicava a lui, anche senza che si fosse tolto i guanti
di pelle nera...
Leyla -lo sentiva- era amareggiata di questa situazione,
che aveva qualcosa a che fare con una conoscenza del passato di Anne…Le due
donne avevano finito di discutere e Anne uscì dalla stanza sbattendo la porta:
- Dannazione…– imprecò Leyla, lasciandosi ricadere sulla
sedia come se quella discussione l’avesse svuotata.
Hanamichi non sapeva che fare. Non aveva capito molto di
quello che stava succedendo, lanciò uno sguardo interrogativo a Rukawa, che
però non pareva affatto intenzionato a rispondergli: continuava a fissare
Leyla, con una luce di preoccupazione negli occhi. Si era più volte scoperto
geloso, in quei mesi, per quel rapporto un po’ speciale che legava Rukawa al
loro capo, ma perché mai, poi?, si era chiesto più volte. Era capitato spesso,
che lo avesse visto camminare nel giardino con lei che parlava e
straordinariamente lui rispondeva pure, mentre Hanamichi doveva ridursi a fare
sempre l’idiota, per riuscire ad attirare la sua attenzione, perché quegli
occhi si posassero su di lui, ma sempre con il rimprovero o quell’aria
scocciata, come quando si ha che fare con un bambino che combina solo guai:
quanto avrebbe dato, perché a volte lo guardasse con quella stessa dolcezza che
vi scorgeva mentre parlava con Leyla...Perché diamine, poi, aveva questo
bisogno di un riconoscimento da lui, da Kaede Rukawa, l’algida kitsune?!...Era
solo un collega! Per la precisione, quello che non lo sopportava, senza
sforzarsi troppo di nasconderlo, e a cui lui sarebbe saltato volentieri al
collo, perché lo ignorava negando la sua evidente genialità con la sua freddezza
e la sua aria di superiorità...Se era così, perché allora dava tutta questa
importanza alla sua opinione, e si sentiva così confuso solo perché era vicino
a lui? Perché? Erano mesi che non riusciva a liberarsi dal pensiero di lui,
sentiva il suo profumo che gli riempiva le narici come un qualcosa che era
parte di lui, ormai, anche quando Rukawa era lontano.
Leyla sospirò, attirando la loro attenzione:
- Ascoltate…ragazzi, andate in quella casa e cercate di
cavarne fuori la soluzione il prima possibile, qui la situazione è
critica…partirete tra meno di un un’ora…-
- destinazione? – azzardò a chiedere Hanamichi, vedendo
che Rukawa si limitava ad annuire.
- Rutenia.
- Che cosaaaaa??? – proruppe il rossino – un altro viaggio
impossibile? No, ma perché…
Kaede si volse verso di lui sollevando un sopraciglio, e
questo bastò perché il giovane azzittisse le sue proteste, chinando il capo:
- Sì, lo so…- sbuffò, anticipando ciò che gli sarebbe
stato detto. Tutte le volte che Leyla doveva dare delle direttive a Kaede, lo
mandava fuori dalla stanza con una scusa…- vado a preparare i miei bagagli.
Quando fu uscito, Leyla lo guardò sorridendo:
- Dopotutto, riesci a gestirlo bene…
- Hn… è un Do’hao…
- Se vuoi, ti affianco qualcun altro…- Leyla scoppiò in
una risata, quando lo vide spalancare gli occhi e cercare di trattenersi
dall’esprimere il disappunto che quella eventualità gli provocava- …sai, Kaede,
sono contenta che tu riesca ad avere un rapporto con qualcuno…
- Parlami della missione…- tagliò corto lui, cercando di
nascondere l’irritazione con sé stesso per aver messo a nudo il fatto che,
nonostante dicesse il contrario, era contento di lavorare accanto a Sakuragi…
- …anche se non lo ammetteresti mai, neppure sotto
tortura…- Leyla gli sorrise, completando il suo pensiero e Rukawa sbuffò per
nascondere il mezzo sorriso che gli era salito alle labbra, dannazione.. a
volte si dimenticava delle capacità di quella donna. – e poi mi dovrai spiegare
come mai, se riesci a controllarlo così bene, hai ceduto a una sua richiesta
così sciocca come quella di catalogare lo stesso quelle pietre...
Kaede deglutì, doveva aspettarselo che Leyla non gli
avrebbe fatto passare liscia quella situazione. Cercando di sfuggire al suo sguardo
indagatore, si preparò alla mezz’ora più lunga della sua vita...
La casa si trovava in un paesino desolato del nord del
paese, completamente tagliato fuori da ogni moderna via di comunicazione.
Arrivarono verso il primo pomeriggio, dopo un viaggio allucinante su un autobus
che scricchiolava ad ogni sobbalzo della strada. La strada, che si inerpicava
su per quella montagna, correva poi di fianco a un profondo burrone, in fondo
al quale scorreva un vorticoso ruscello. A confronto, il viaggio sulla
bagnarola per il Sud America era stata una passeggiata. E poi lì faceva un
freddo tremendo. Hanamichi si strinse nella giacca bordata di pelliccia e
sospirò, mandando fuori una nuvoletta di fiato, guardandosi attorno. Il
paesaggio era meraviglioso, quasi fiabesco…le cime degli alberi, in lontananza,
scomparivano nella nebbia di quell’ora tarda. E il ghiaccio della galaverna
ricopriva quasi interamente i rami spogli di quegli alberi…Ghiaccio e
freddo…guardò per un attimo la schiena del suo compagno che gli camminava
davanti, sembrava il suo ambiente ideale.
Appena l’autobus li aveva scaricati in una deserta piazza
centrale del paesino, avevano lasciato i bagagli in custodia alla stazione di
posta e si erano subito incamminati verso la casa:
- Non perdiamo tempo – erano state le parole di Rukawa,
mentre si inerpicava per il sentiero che l’addetto allo sportello gli aveva
indicato, non senza lanciare loro occhiate terrorizzate. Una donna, con un
variopinto fazzoletto con le frange a coprirle i capelli bianchi, seduta sulla
panca proprio fuori dalla casa, li aveva segnati per tre volte, mormorando un
fiume di parole incomprensibili e finché il sentiero non aveva fatto una curva,
nascondendo il paesino alla loro vista, era rimasta ferma a guardarli e ad
Hanamichi pareva ancora di sentirla mormorare quella che aveva tutta l’aria di
essere un preghiera:
- Ohi, Kitsune!! Cosa ha detto la vecchia?
- Ci ha benedetti, prima della nostra morte.
- Oh, Bhè… che...che cosa??? – chiese, balzando al fianco
di Kaede e prendendolo per un braccio, quando la seconda parte della frase fu
chiara nel suo cervello.
L’altro si divincolò sbuffando:
- E’ gente superstiziosa...crede che non torneremo
indietro, dalla casa dei Damphyr.
- Damphyr?
- E’ come la gente chiama i vampiri da queste parti. Pare
che quella casa appartenesse a un potente Clan...
- E ora, che fine ha fatto?
- E‘ stato sciolto...- Rukawa gli volse le spalle,
riprendendo a camminare – muoviti, Do’hao, vorrei tornare alla locanda entro il
tramonto.
- Perché diamine dobbiamo fare quello che vuoi tu? Potevamo
andarci domani, no?
- Se volevi aspettarmi alla locanda, eri liberissimo di
farlo...Sei tu, che fai sempre quello che dico...
- Baka kitsune...- imprecò Hanamichi, sentendosi arrossire
– lasciare sola una stupida volpe come te? Chissà cosa potresti combinare…
- Hn, io so badare a me stesso e mi pare che, quello che
combina guai, sia tu...soprattutto con i vasi precolombiani…
Hanamichi si zittì immediatamente, quelle allusioni alle
sue distrazioni lo avevano ferito, più di quanto volesse ammettere con sé
stesso. Rukawa allora sapeva che era stato lui a distruggere il vaso, e non
aveva detto nulla? Perché? Riprese a camminare a testa bassa e con le mani
affondate nelle tasche, cercando di concentrarsi su altri pensieri: Leyla aveva
accennato loro la possibilità che la fondazione mettesse a disposizione una
stanza, in un albergo della zona…Hanamichi ci sperava sul serio, dopo quello
che aveva passato in Francia, non gli andava proprio l’idea di spendere il
tempo delle indagini con Kaede, chiuso in una casa…Aveva ricordi vaghi delle
ultime ore nella casa di Auteil. Rammentava solo con chiarezza la sua
discussione con Kaede, in sala musica, poi la notte passata a crogiolarsi in
dubbi e domande prive di risposta, che ancora lo tormentavano, a dire la verità.
E poi la mattina seguente, quando…aggrottò la fronte, mentre cercava di
rammentare qualcosa di più di quello che aveva letto nei rapporti di Anne e
Leyla sulla vicenda…ricordi suoi, sensazioni…nulla. Aveva percezioni confuse,
fino a quando non si era risvegliato nella sua camera di Angel Manhor e aveva
trovato la Kitsune seduta in poltrona, che guardava silenziosamente la baia
fuori dalla finestra…Erano passati quasi sei mesi da allora, ma nulla era
cambiato nel suo rapporto con Kaede. Rapporto? Era un rapporto il loro? Ne
dubitava...Sempre in giro per il mondo, a catalogare o a studiare strani
fenomeni che venivano riferiti dagli informatori della Fondazione, non è che
lui ne sapesse poi molto, a dire la verità. Si limitava a seguire Kaede e a
fare ciò che gli veniva detto di fare, ma tutto si fermava lì. Aveva provato
-qualche volta- a portare il suo rapporto con la Kitsune su un piano diverso,
magari coinvolgendolo in qualche uscita con il suo amico Yohei, e tutte le
volte la conversazione assumeva gli stessi toni:
- Ohi, kitsune, che fai stasera?
- Hn, nulla...
- Perché non vieni con Yohei e me? Potremmo andare al
cinema e poi magari a fare un giro al porto.. ci sono dei localini niente male!
- No..
Oltre non si riusciva ad andare. Perché Kaede troncava sul
nascere qualsiasi sua protesta, lasciandolo lì a guardare –sconsolato- la sua
schiena che si allontanava. Sembrava che avesse eretto un muro tra sé e il
mondo. Però lui era sicuro che fosse più per proteggersi, che per vera
indifferenza, c’era qualcosa, in lui, che gli faceva pensare al fatto che
indossasse una maschera. Non ricordava nulla di sé, non aveva vita, ricordi,
passato a cui attingere. Doveva essere terribilmente difficile, per lui, andare
avanti...Chissà, magari da qualche parte c’era qualcuno che lo piangeva
morto...Chissà com’era Kaede, prima dell’incidente? Qual era la sua vita?. Era
allegro e spensierato, magari. Forse sapeva anche ridere…Il pensiero di Kaede
che rideva, chissà perché, gli tolse per un attimo il fiato. Non lo aveva mai
sentito ridere, né l’aveva mai visto sorridere, a dire la verità. Ripensò, per
un istante, con una fitta di qualcosa di molto simile alla gelosia, che lui era
andato a San Francisco a giocare con Akira Sendoh...Forse, la Kitsune avrebbe
preferito lavorare con il porcospino affetto da paresi, piuttosto che con
lui...
Una figura, alta e sottile,
fasciata in un pesante mantello bordato di pelli di lupo, osservava i due
giovani che attraversavano il bosco arrancando verso la casa…
Un cappuccio celava interamente il
suo volto, di cui si potevano distinguere gli stretti occhi azzurri con una
luce sinistra…
Un corvo venne ad appollaiarsi
sulla sua spalla:
- Pare che abbiamo
visite…interessante, molto interessante, il nostro piano ha dunque avuto
successo. Vediamo cosa possiamo scoprire..
Scrutò attentamente
i due nuovi venuti.
Quello che camminava davanti, con i cappelli scuri, pareva
il più interessante, con quella carnagione pallida, le dita lunghe e sottili,
sembrava il più tranquillo e controllato dei due, cercò di sondare la sua
mente, ma una potente barriera respinse il suo tentativo,. I imprecando tra sé,
si accostò maggiormente all’albero velando la sua presenza, mentre quello si
girava puntando due occhi blu, freddi e sottili, nella sua direzione, diede una
scrollata di spalle e il corvo si alzò in volo gracchiando, uscendo dall’ombra,
volando sopra le teste dei due giovani. Kaede alzò il capo di scatto, seguendo
il volo del corvo e poi, quando questo fu scomparso alla sua vista, puntò il
suo sguardo dal punto in cui era apparso...ma non c’era nulla, dietro
quell’albero coperto di neve e ghiaccio, come tutti quelli attorno a loro:
- Che c’è, Kitsune?…
- Hn, nulla.. mi era parso…
- Dannazione!! Mi ha
quasi scoperto. E’ molto potente...Vediamo l’altro,
mi pare più...-
interruppe i suoi pensieri, mentre un sorriso gli piegava le labbra sottili-
Che insperata
fortuna...avrei dovuto intuirlo. Bene…
Siamo stati
fortunati. Molto fortunati!
La figura accanto all’albero
concentrò la sua attenzione su quello con i capelli rossi, che era rimasto
fermo a guardare l’altro allontanarsi, con una strana espressione negli occhi.
Piegando le labbra in un sorriso
che mise in mostra i lunghi e affilati canini, il vampiro riuscì a penetrare
senza sforzo nella sua mente, leggendo i sentimenti che si agitavano confusi
verso chi camminava davanti a lui...
Hanamichi guardò di sfuggita Kaede, mentre si
allontanava…era preoccupato, lo vedeva il sopraciglio sollevato, lo sguardo
attento, c’era qualcosa che lo tormentava…eppure, anche in quel frangente, non
poteva fare a meno di trovarlo affascinante…sospirò rassegnato. Aveva da tempo
accettato che –forse- quello che sentiva per Kaede non era propriamente odio o
indifferenza, e che andava al di là del piano fisico, certo, ma non aveva
ancora avuto il coraggio di cercare di dare un nome, a ciò che si agitava in
fondo al suo cuore…A volte, si svegliava da un sogno in cui, lui e la Kitsune,
si lasciavano andare alla passione…Era un sogno strano…ricorrente e sempre
uguale, che lo tormentava da quando erano tornati dalla Francia, si chiese se
forse non avesse avuto ragione Kaede, nel dire che era stata tutta una
suggestione…e quindi, forse, anche i sentimenti che provava per la volpaccia
erano frutto di una suggestione...Da un po’ non capiva più molto, era confuso,
avrebbe forse potuto parlarne con qualcuno...ma chi? Leyla? Era sempre gentile
disponibile, molto dolce anche, ma non aveva la confidenza necessaria per
entrare nel suo ufficio e dirle che si sentiva lievemente turbato dalla
vicinanza della Kitsune...Anne, allora? Un moto di terrore lo avvolse, dire
quelle cose ad Anne, pur con la confidenza che c’era tra loro, equivaleva ad
essere vittima di battute per il resto della sua vita. Il diretto interessato?
Sì, come no?! Ci si vedeva: andare da lui e dirgli “Ohi, Kitsune, verifichiamo
se ciò che sento per te è solo suggestione o cos’altro.” Faticava anche lui a
trovare un termine…Ci teneva alla vita, lui...E poi Kaede aveva già espresso la
sua opinione su quella situazione. Lui era convinto che, ciò che era successo
ad Auteuil, non fosse in alcun modo ricollegabile a loro. Dopo quella
discussione nella sala musica, non erano più tornati sull’argomento e lui,
nonostante i suoi dubbi e le notti in cui si era svegliato dopo quel sogno
piuttosto movimentato con Kaede, si era guardato bene dal cercare di
affrontarlo nuovamente.
Lo guardò camminare davanti a lui in silenzio, come
sempre, avanzando nella neve che arrivava loro ai polpacci. A volte si chiedeva
cosa passava dietro quella maschera impassibile e fredda, aveva dei dubbi,
delle domande, delle paure? Era sempre così maledettamente sicuro di tutto su
tutto…Mai un errore, mai un’esitazione…Una conoscenza perfetta di molte lingue,
e una capacità di apprendimento davvero notevole. Assorbiva tutto come una
spugna, lo aveva visto più di una volta dare una scorsa veloce a un documento,
ed essere in grado di farne un rapido riassunto, con i punti salienti…E poi, il
suo fascino angelico attirava le donne come le mosche…Più di una volta, mentre
camminavano per le vie delle città in cui si trovavano in missione, aveva visto
gli sguardi che le donne, e non solo, gli lanciavano…Era geloso? Sì,
decisamente, ma non era invidia, la sua. Ammettere, con sé stesso, che la sua
gelosia non era per il fatto che lui avesse successo con le donne o per tutte
quelle sue straordinarie qualità, era stato un passo breve, e accettarlo,
ancora più semplice…ma convivere con la consapevolezza che lui era geloso di Kaede,
in quanto provava dei sentimenti, era tutta un'altra cosa. Sentimenti…che
parola grossa!, non sapeva a cosa ricondurre quello che c’era tra lui e Kaede,
Anne più volte gli aveva lanciato allusioni, neppure poi così velate, sulla
natura del suo interessamento per Kaede, ma lui aveva negato tutto, negato fino
all’evidenza davanti agli altri, arrivando a proclamare il suo odio per la
Kitsune in una maniera talmente plateale che, a volte, si domandava se nessuno
si accorgeva che stava recitando...ma poi, con sé stesso, era tutta un'altra
faccenda. Ammettere che provava una qualche forma di sentimenti verso la volpe
artica non era stato per nulla facile, e lui era certo che non fosse per via di
quello che era successo ad Auteuil, forse neppure ci avrebbe mai pensato o
forse no?…In fondo, un certo turbamento Kaede glielo aveva sempre provocato, ed
era qualcosa di indefinito che però saliva piano piano, come la marea. Dapprima
aveva pensato che fosse la sua aria di insofferenza e sufficienza, quel modo di
ignorarlo e di trattarlo con poca considerazione, ma poi tutto ciò era stato
dipanato, la nebbia si era dissolta rivelando un intricato ginepraio di
sentimenti profondi e radicati, per colui che declamava di odiare. Sapeva
benissimo che Kaede era infastidito dal dover lavorare con lui, non faceva
certo mistero che si era piegato ad un ordine superiore. Aveva sempre lavorato
da solo o con Leyla, qualche volta, e ora si trovava a lavorare con lui. E la
cosa non lo entusiasmava di certo. Lo vedeva dalla sua freddezza, dal suo modo
di rivolgergli quelle poche parole che le circostanze richiedevano, e a volte
neppure quelle, limitandosi a fargli telegrafici segni per comunicargli cosa si
aspettava che facesse…Figuriamoci se poteva provare dei sentimenti per lui!…
- Interessante, davvero
interessante…Un po’ contorto magari, ma sicuramente divertente…- disse tra sé
il vampiro, terminando la lettura della mente di Hanamichi.
Con un gesto della mano, richiamò
il corvo e, avvoltosi maggiormente nel mantello, scomparve in un turbinio di
neve.
Passando di fianco all’uomo con i
capelli rossi come il fuoco.
Hanamichi era rimasto fermo, ad osservare la schiena di
Kaede, sentì un brivido lungo la schiena quando una folata di vento gelido si
insinuò nel suo collo, si volse alle sue spalle ma non c’era nulla oltre alla
distesa di neve che recava le loro impronte. Eccezion fatta per un corvo che
volteggiava sopra di loro.
- Do’hao, ti muovi?
La voce di Kaede lo riscosse e, dopo essersi stretto nella
pesante giacca foderata di pelliccia, allungò il passo per quanto l’altezza
della neve glielo consentisse.
Kaede aveva evitato di girarsi nella direzione di
Hanamichi, per tutto il tempo del tragitto verso la casa sulla collina. Lo
sentiva quello sguardo su di sé, pieno di domande e dubbi, sentimenti confusi e
inespressi e paura, tanta paura. Aveva i guanti alle mani, era vero, ma li
percepiva lo stesso, forse perché erano l’eco dei suoi stessi sentimenti, delle
sue stesse paure e dubbi…Auteuil non aveva fatto altro che accentuare quella
che poteva definirsi ‘la brace sotto la cenere’. C’era già qualcosa in
partenza, certo, sin dall’inizio, da quella prima volta che lo aveva
incontrato, una sorta di senso di predestinazione…Lo ricordava perfettamente:
un gigante dinoccolato, con quella massa scompigliata di capelli rossi, ai
piedi del grande scalone di Angel’s Manhor…Si era rivelato tutto il contrario
di lui, pieno di vita, di entusiasmo capace di far più rumore di un branco di
scimmie…anche lui avrebbe voluto essere così, vitale, coinvolto da tutto ciò
che lo circondava, ma in fondo tutta la sua vita era un muro bianco prima dei
tre anni precedenti, non aveva ricordi e solo incubi confusi popolavano le sue
notti. Come poteva gettarsi a capofitto nella vita?...Gli incubi.. era un po’ che
non gli capitavano, ma ultimamente avevano cominciato a tornare, popolando le
sue notti una dopo l’altra. Eppure aveva la sensazione che non riguardassero
solo lui, ma qualcun altro, un avvertimento, una sorta di ammonizione per un
pericolo incombente…Avrebbe dovuto parlarne con Leyla, ma non se l’era sentita,
e poi, per dirle cosa? Non ricordava mai nulla, al suo risveglio, solo angoscia
e senso di un pericolo imminente, qualcosa che era in grado di paralizzarlo,
visto che non riusciva a contrastarlo. C’era da dire che erano diversi dai
vecchi incubi, ma anche questo non aveva cambiato la sua determinazione a non
informare Leyla. Era stufo delle sedute di ipnosi regressiva che lo lasciavano
stremato, come se avesse combattuto con chissà cosa. Era stufo di essere
trattato come una cavia da laboratorio, per via del suo potere straordinario.
C’era da dire che Leyla non l’aveva mai fatto sentire così, però lui cominciava
a diventare insofferente a tutti quei test, quelle domande, sempre le stesse,
poi. Si fermò un attimo, passandosi una mano sugli occhi come a scacciare tutto
quello, chiedendosi ancora una volta perché lui...Perché era toccato a lui,
risvegliarsi privo di memoria su una spiaggia? Che disegno c’era, in tutto
questo? E poi, c’era un disegno? Lui aveva sempre pensato che quella situazione
fosse frutto di qualcuno che controllava la sua vita e che possedeva un
discutibile senso dell’umorismo. Leyla diceva che doveva essere grato di quel
dono. Dono? Quella era una maledizione bella e buona, ecco cosa era!, e lui ne
avrebbe fatto volentieri a meno. Sapeva che, anche per Leyla, non era una cosa
facile convivere con quel potere, in più lei aveva dei ricordi una vita passata
e un dolore grande, che aveva scavato una profonda lacerazione nel suo cuore.
Sapeva tutto questo perché l’aveva percepito e sapeva che riguardava l’uomo
ritratto nella foto incorniciata sulla scrivania di Leyla, ma non aveva mai
fatto domande. E anche quando lei gli aveva permesso di sfiorarla, sei mesi
prima, dopo le vicende di Auteuil, per fargli comprendere qualcosa sulla
reincarnazione, non aveva cercato di forzare le cose…C’era una ferita che
sanguinava ancora: e che pareva non volersi
rimarginare mai. Cosa aveva detto in quell’occasione?
“Imparerai che,
molte volte...basta possedere un cuore, per provare dei sentimenti e soffrire.”
Soffrire...ecco! Non voleva provare quel dolore lancinante
e profondo...C’era una cosa che lo stupiva, tutte le volte che percepiva la
sofferenza di qualcun altro...Aveva sempre pensato che il dolore fosse una
sorta di sensazione fisica, come quando viene strappato un lembo di pelle o ci
si ferisce materialmente con qualcosa. E invece nessun dolore, ma solo quella
sensazione di vuoto, quel buco nero profondo e freddo che occupava il cuore e
l’animo di chi lo provava.
Se qualcosa di positivo avrebbe dovuto trovare nel suo
modo di essere, allora, che fosse questa assoluta incapacità di provare
sentimenti. Chiudere il cuore ad ogni stimolo o sensazione, ignorare ogni cosa,
lasciare che tutto fosse lasciato scivolar via, come su una corazza
impermeabile, senza tentare di trattenere nulla...
Hanamichi era rimasto stupito del suo accenno
all’incidente del vaso precolombiano. Credeva davvero che si fosse bevuto la panzana
di Anne (ohi Ciccio...moderiamo i termini! >_< ndA) sul fatto che mancava
un vaso? Le aveva controllate lui stesso le casse, quando erano arrivate e il
vaso c’era…Per cui, qualcosa Hanamichi doveva avere combinato, dal momento che
era a lui che era stato affidato il compito di imballare le casse per la
spedizione a Mosca. Sapeva anche Hana si stava chiedendo perché non aveva detto
nulla…e, a dire la verità, non lo sapeva neppure lui, perché lo aveva fatto. Un
po’ forse perché gli era dispiaciuto scorgere lo sguardo di delusione nei suoi
occhi, quando lo aveva visto rientrare a Angel’s Manhor con Akira Sendoh...Era
andato in città perché doveva fare un paio di commissioni per Leyla, e quello
si era offerto di accompagnarlo e poi aveva insistito per fermarsi in quel
campetto a giocare a basket, così, tanto per passare un po’ il tempo mentre
aspettavano la consegna dei documenti dalla biblioteca...Non era sua abitudine
giustificarsi, né con Hanamichi né con nessun altro, ma lo aveva visto ferito
in quell’occasione, e la cosa lo aveva colpito. Non aveva detto niente, è vero,
nessuna sparata madornale, nessun insulto. Era solo uscito dalla biblioteca
seguendo Anne, per scendere nei sotterranei, solo gli aveva lanciato quello
sguardo deluso, ferito, appena da sopra la spalla, mentre usciva. Ricordava
perfettamente quel senso di frustrante dolore. Sofferenza. Per avergli fatto
del male...che diamine! Lui non riusciva a capire come diavolo facesse a
tirargli fuori sentimenti e sensazione che mai aveva provato, solo con uno
sguardo o una smorfia. Non poteva essere diventato così
importante...Importante? Niente o nessuno era mai stato così importante, per
lui, da quello che ricordava...Eppure la cosa era evidente ed inequivocabile,
davanti ai suoi occhi.
Finalmente, si parò di fronte a loro l’imponente figura
della casa. Era quasi un castello: il cancello arrugginito, spalancato per il
loro ingresso. Il giardino, malcurato, si svolgeva lungo i lati di una
imponente collina, alla sommità della quale sorgeva la casa. Già da quella
distanza, si poteva intuire quanto fatiscenti fossero le condizioni di quelle
mura… il tetto era praticamente inesistente, grossi buchi facevano la loro
apparizione su quasi tutta la sua superficie, quindi c’era da supporre che i
muri e i soffitti fossero marci.
Gli alberi spogli creavano una cornice irreale attorno
alla casa, coi loro rami che si intrecciavano lungo le pareti e davanti alle
finestre. La neve che ricopriva il tutto pareva attenuare un po’
quell’atmosfera ma, nonostante questo, tutt’intorno c’era un aria inquietante.
- Meno male, che non dovremo dormire là dentro!! –
borbottò Hanamichi, raggiungendo Kaede, fermo davanti al cancello arrugginito e
pendente su uno solo dei cardini.
- Hn...hai visto la locanda?
Hanamichi lo guardò scotendo la testa, trovava
irresistibile la visione di Kaede con le guance arrossate e la nuvoletta di
fiato a velare il suo sguardo e non era sicuro della fermezza della sua voce,
in un momento come quello:
- Era la prima casa sulla sinistra...
- cheee… quella bettola fatiscente????
- Che ti aspettavi?
Borbottando contro Leyla (^^’’’ Etchium! ndL), Hanamichi
si fece strada verso il portone massiccio, lasciandosi indietro Kaede, che
sollevò il viso verso il cielo. Piccoli fiocchi candidi cominciarono a cadere
lievi e si posarono sui suoi capelli scuri, mentre restava lì in silenzio, era
strano per tutto il tragitto si era sentito osservato ed era sicuro di aver
percepito un tentativo di intrusione… eppure non percepiva nessuno attorno a
loro, questo non voleva dire però chel’altro non fosse abbastanza potente da schermarsi anche a lui…Dovevano
stare attenti…Quel posto era sinistro e poco, sicuro, non gli piaceva
l’atmosfera che si percepiva lì attorno. Da quello che aveva letto sul dossier
e che gli aveva detto Leyla, si era fatto un’idea ben precisa di quello che
doveva aspettarsi, ma quella concentrazione di odio era così profonda e
radicata da essere quasi palpabile. Si volse a guardarsi in giro, la neve che
cadeva stava ricoprendo ogni cosa con un manto morbido e candido, che
contrastava con l’aria che aleggiava in quei luoghi.
- Speriamo di non trovare altre anime inquiete. – borbottò
tra sé Hanamichi, e un brivido di paura lo percorse, mentre spingeva il portone
per entrare, ricordando cosa era successo l’ultima volta che era entrato in una
casa simile...
Si girò per richiamare Rukawa e rimase con la voce
spezzata in gola al vederlo laggiù, in fondo alla breve scalinata, con il viso
rivolto alla neve che cadeva e si posava candida sui suoi capelli, creando un
contrasto quasi abbagliante, dovette deglutire un paio di volte prima di
ritrovare la voce:
- Ohi, Kitsune, ti vuoi ibernare sul serio?
Kaede si riscosse dalle sue considerazioni e si volse a
guardarlo, fermo sul portico di quel castello, sbatté gli occhi…un’ombra passò
attorno a lui, avvolgendolo…pareva un manto di oscurità pronto a ghermirlo.
Come l’avverarsi di questo pensiero, vide Hanamichi voltarsi verso la porta
dandogli le spalle e a lui parve che venisse letteralmente inghiottito.
Spalancò gli occhi, mentre la voce gli moriva sulle labbra
nel tentativo di chiamarlo. Chiuse gli occhi e li riaprì un paio di volte e
scosse la testa, ma Hanamichi era ancora lì fermo sotto il portico, che lo
guardava perplesso, la testa leggermente reclinata da un lato, una ciocca di
capelli rossi ad accarezzargli la fronte:
- Kitsune, allora?
- Hn.
L’alta figura era
rimasta discosta, celata nel suo mantello con il cappuccio, il corvo
continuavaa volteggiare sopra la sua
testa.
Sollevò una mano
facendo ricadere il cappuccio sulle spalle, rivelando un viso spigoloso e
magro, in cui due freddi occhi azzurri brillavano di malvagia aspettativa.
I lunghi capelli
grigi scendevano sulle spalle, formando un manto che si confondeva con la
pelliccia del lupo che bordava il cappuccio.
- Occorre
prepararsi.
Dobbiamo accogliere
il nostro ospite di riguardo.
Il portone si chiuse cigolando sotto la spinta di
Hanamichi, che subito si scrollò di dosso la neve, mentre seguiva Rukawa
nell’ampio ingresso, guardandosi intorno con curiosità:
- questa casa doveva essere stupenda...un tempo...
- muoviamoci, prima che cali il buio.
Hanamichi seguì Kaede, cercando di reprimere il brivido di
paura che gli era sceso sulla schiena, al pensiero di quello che era successo
in quella casa. In effetti, sapevano molto poco di quanto accaduto lì. Durante
il volo in aereo, mentre immancabilmente Rukawa era scivolato nel sonno,
Hanamichi aveva dato una scorsa al dossier che Leyla aveva fornito loro. A
quanto pareva, le vittime erano ormai una dozzina, sparse in quasi tutti i
paesi, e quella casa era l’ultima dove si era verificato l’evento.
Secondo le indagini che la Fondazione aveva svolto negli
altri casi, tutte le vittime erano morte per una abbondante perdita di sangue e
tutte presentavano due forellini alla base della carotide. Vampiri. Chissà poi
perché Leyla si era fatta affidare quella indagine. Per un momento accarezzò
l’idea di chiederlo a Rukawa, lui aveva parlato per più di mezz’ora chiuso
nell’ufficio di Leyla, dopo che lo aveva mandato fuori, ma qualcosa gli diceva
che la volpaccia non avrebbe risposto alle sue domande, come sempre, del resto.
Entrarono in un salone non molto vasto e, dopo aver
lanciato uno sguardo veloce attorno a sé, Hanamichi riconobbe con un brivido la
stanza riprodotta dalle immagini che erano nel dossier...Kaede posò lo zaino
sul tavolo di legno posto accanto alla finestra, e tirò fuori la cartellina
gialla e la macchina fotografica digitale, oltre che il computer portatile.
- Ehi, Kitsune…- arrischiò ad attirare l’attenzione
dell’altro.
- Hn.
-…cosa credi ci sia dietro tutto questo?
- Vampiri.
Hanamichi sbuffò spazientito, mentre l’altro sparpagliava
le foto sul tavolo, cercando di dare loro la disposizione della stanza:
- Sì, certo, bhè, questo lo avevo intuito anche io, ma il
perché di tutto questo…- indicò le foto sparse sul tavolo di legno davanti a
loro che ritraevano la scena:
- Sembra un rituale o qualcosa del genere.
Hanamichi si passò una mano tra i capelli:
- effettivamente, in tutti gli altri casi, i cadaveri sono
posti allo stesso modo…- esitò qualche istante, era da un po’ che quella
domanda gli si agitava nella testa, ma temeva a formularla -… tu credi che Anne
c’entri qualcosa? Insomma, voglio dire – si affrettò ad aggiungere, vedendo il
sopraciglio di Kaede sollevarsi -…sembrava alterata, quando ha visto le
foto...E poi, il comportamento di Leyla…
- No, non credo. – disse Kaede, continuando ad esaminare
le foto.
- E allora?
- Non ne ho idea. – sollevò la testa dalle polaroid che
stava osservando e, puntando il suo sguardo su un punto oltre le spalle di
Hanamichi, dicendo semplicemente – Là...
- eh?
- Là, erano posizionati i cadaveri delle vittime...
Hanamichi si volse con la sensazione che li avrebbe visti
tutti in fila uno accanto all’altro, anche se sapeva che i corpi erano
nell’obitorio della Casa di Praga. Kaede lo superò, muovendosi leggero e
silenzioso, cominciando a togliersi i guanti:
- vai a fare un giro esplorativo del piano di sopra – gli
disse, senza voltarsi nella sua direzione – non ho bisogno di te, qui...
Guardò per alcuni istanti la schiena di Kaede che stava
sfiorando le pietre del pavimento dove erano stati adagiati i cadaveri, poi
uscì, senza dire nulla. Si infilò le mani in tasca, sospirando piano. Insomma,
non riusciva a capire come doveva comportarsi con lui. Erano colleghi, no?
Avrebbero dovuto collaborare, darsi una mano, e invece Rukawa lo teneva
all’oscuro di tutto, preferendo fare sempre tutto da solo. Sì, bhè, non era
solito essere un tipo loquace, certo, era già tanto se diceva cinque parole in
una frase, senza rischiare una paresi delle corde vocali. Però, insomma.. che
diamine!! Se lavoravano assieme, avrebbero dovuto comunicare! Era questo che ci
si aspettava, quando si faceva parte di una squadra? E invece lui pareva
ostinarsi a volere fare sempre tutto da solo.
“Devi fidarti di
lui.” aveva detto Anne, una volta, quando lui aveva
provato ad esporle i suoi dubbi riguardo al modo di lavorare di Kaede “di solito, lui non interagisce con nessuno.”
Perché con lui interagiva? Era anche vero che sopportava la sua vicinanza e
le sue chiacchiere e qualche volta gli era parso di scorgere un lampo di
attenzione in quegli occhi blu, che erano diventati la sua ossessione.
Cercò di concentrarsi su quell’esplorazione, scacciando
dalla sua testa l’immagine di quella dannata volpe siberiana…Anche se avrebbe
voluto correre indietro, sbatterlo al muro e dirgli tutto quello che pensava di
lui…Già, cosa pensava di lui? Scosse la testa, meglio non indagare oltre, su
questo punto, era un terreno decisamente pericoloso.
Il castello aveva un che di inquietante, si disse
Hanamichi, mentre girava per quelle stanze, ogni cosa era coperta di ghiaccio,
per via della neve che era entrata dai numerosi crolli del tetto…La cosa
strana, poi, era quella sensazione che ci fossero due occhi che lo seguissero,
era una sorta di carezza mentale, come un mormorio indistinto.
Si guardò in giro, nulla pareva essere fuori posto in
quella casa, era -con ogni evidenza- disabitata da tempo, e allora perché
quelle persone si erano radunate proprio lì? Cosa era successo? Attaccate dai
vampiri? Perché poi? E se ne erano andati? O si aggiravano ancora in quei
dintorni? L’idea di lasciare Kaede da solo, al piano di sotto, non lo
entusiasmava, come il fatto di dover girare da solo in quelle stanze...
“non ho bisogno di
te.”
Quella frase gli vorticava in testa, da quando l’aveva
lasciato. Era una frase banale, che però assumeva contorni davvero poco
piacevoli. Oh, certo, lo sapeva che per lui non rappresentava certo il massimo
della compagnia e nemmeno il centro dei suoi pensieri, sapeva anche che non
l’aveva detto con l’intenzione di ribadire una cosa assoluta, solo una semplice
constatazione di fatto. Quando Kaede liberava i suoi poteri empatici, non aveva
bisogno di nessuno attorno, per non rischiare di veder falsate le sue
percezioni. Però sentirselo dire con quel tono freddo, noncurante...
A volte, avrebbe voluto che lui e Kaede andassero
d’accordo. La cosa in sé aveva del ridicolo, se ci pensava bene. Erano
completamente diversi…Kaede non sopportava il suo essere impulsivo, il fatto
che fosse incapace di fermarsi a riflettere fidandosi dell’intuito, più di ogni
altra cosa, ma che male c’era? Lui era fatto così, non sarebbe mai riuscito a
fermarsi e ragionare sulle cose: agiva e basta, molte volte partendo in quarta,
era vero, e andando quasi a sbattere, però Leyla una volta aveva detto che
questa impulsività poteva essere anche considerata una qualità. Era anche vero
che Kaede aveva sbuffato, di fronte a questa constatazione, che altro non era
che un riconoscimento del suo Genio, no?…Lui, d’altro canto, non capiva bene
neppure la freddezza di Kaede, questo mettersi continuamente al di fuori di
tutto e di tutti, cercando di non farsi toccare da nulla…o forse sì, forse
riusciva a comprenderlo o almeno così credeva, perché con Kaede non c’era nulla
di assoluto e certo: era il fatto di non sapere nulla di sé, del proprio
passato, a spingerlo a questo comportamento…Molte volte si era trovato a
considerare che, in fondo, lo invidiava. Anche Hanamichi avrebbe voluto
dimenticare, cancellare ogni cosa, una voglia di non provare più dolore, di non
farsi travolgere dal passato, dalla morte di sua madre e da quella del
patrigno. Era arrivata in ospedale troppo tardi: emorragia interna, avevano
sentenziato i medici...quel bastardo le aveva spappolato la milza a suon di
calci...Mentre lo aspettava seduto al tavolo della cucina, ancora ignaro delle
condizioni in cui versava sua madre, aveva pensato più volte che lo avrebbe
ucciso. Lo avrebbe ucciso, con le sue mani…non era più un bambino solo,
spaventato e in lacrime, non gli avrebbe più concesso quel potere su di
lui…Dopo, quando era tutto finito e lui si era ritrovato solo al mondo, a
salvarlo era stato proprio il suo carattere aperto, solare. Non si era chiuso
in un silenzio, gli piaceva stare con gli altri, i suoi amici, Yohei e gli
altri, gente che lo conosceva da sempre e che lo faceva sentire al sicuro e
protetto...certo, ora che lavorava per la Luna Foundation poteva vederli poco,
ma quando aveva un momento libero, correva in città a cercare quella banda di
smidollati…ma la Luna Foundation era ormai diventata parte di lui. Lavorare lì
in mezzo aloro era qualcosa che lo gratificava,
certo, ne aveva viste di cosa strane in quei pochi mesi, però era stupefacente
come Leyla e Anne riuscissero a farlo sentire a casa, a suo agio.La vita non
era sta facile per lui, tutt’altro, aveva sempre dovuto lottare. Non c’era
stato nulla che non avesse dovuto raggiungere sputando sangue, e a suon di
lotte con le unghie e con i denti. E più cercava di avanzare, più le cadute
erano rovinose e dolorose. Ricordava come anche all’università (dove era
riuscito ad entrare per una borsa di studio concessa da un anonimo benefattore)
le cose fossero state tutt’altro che facili. Non c’era stato mai nulla di
semplice, nella vita di Hanamichi Sakuragi…La Luna Foundation era stata la sua
oasi di felicità, sin dal primo giorno in cui c’era entrato…e Kaede faceva
parte di tutto quello, che lui lo volesse, o no. Anche con i suoi insulti,
anche con la sua indifferenza, anche se lui continuava a proclamare di odiarlo,
la presenza di Kaede aveva assunto una importanza notevole nella sua esistenza,
poteva dire che ne era diventato il centro, e la cosa cominciavaa spaventarlo non poco, per le implicazioni
che portava con sé.
Girò nel corridoio, quella era un’ ala del castello che
pareva essere stata risparmiata dai crolli. C’era un lungo corridoio con le
pareti in pietra nuda e alcune porte che vi si affacciavano…Aprì quella più
vicina a lui, spinto da un impulso strano.
La stanza era ampia e fredda, considerò guardandosi
intorno, mentre il fiato si condensava davanti al viso. Una parte del tetto era
crollata, distruggendo completamente un angolo del castello. Dal crollo, era
entrata molta neve e anche adesso, che nevicava, piccoli fiocchi entravano
portati dalle folate di vento. Un massiccio caminetto di pietra occupava la
parete di fronte a lui, e ai due lati c’erano due alte e strette finestre. Oltre
i vetri opachi e sporchi, si poteva scorgere la landa innevata che circondava
quei luoghi. Il silenzio era avvolgente e pesante, nessuno rumore o voce
giungeva da fuori…pareva di essere in mezzo al nulla. Si avvicinò alla
finestra, guardando quella bianca distesa attorno alla casa. Il villaggio non
si vedeva, restava dietro la curva della collina. Ripensò alla vecchia con lo
scialle frangiato, fuori dalla stazione di posta...Li aveva benedetti, perché
convinta che andassero incontro alla morte. Un brivido gli cose lungo la
schiena.
Un vortice di neve
sibilò silenzioso nell’angolo della stanza, dove il tetto era crollato.
Ricomponendosi piano, in una figura avvolta in un mantello nero bordato di
pelliccia, le braccia incrociate al petto e il capo coperto dal cappuccio.
Mosse lievemente una mano, mentre un sorriso
si dipingeva sul suo volto e, dal lato opposto, apparve un pianoforte lucido
con il coperchio sollevato.
“Lo spettacolo comincia.
Risvegliamo il fuoco.”
Hanamichi si voltò, e solo allora notò che in fondo alla
stanza c’era un pianoforte. Strano, prima entrando non vi aveva fatto caso,
chissà che ci faceva lì.. era decisamente fuori posto, in mezzo a quella
desolazione, lo guardò un attimo, mordendosi il labbro inferiore, si sentiva
formicolare le mani, era una strana sensazione, quasi di aspettativa.
Ad Angel’s Manhor non si era mai arrischiato a farlo, non
aveva mai osato chiedere a Leyla di poter suonare il lucido Stainway che c’era
nella vasta sala a pianterreno, vicino alla biblioteca.
Eppure, da Auteuil gli era rimasto un certo vago desiderio
di posare nuovamente le dita su una tastiera, ma come spiegarlo a loro? E a
Kaede, poi? Ricordava la sua reazione, quando ad Auteuil lo aveva trovato
seduto al pianoforte. Lo aveva guardato come se fosse pazzo…Ma lui non lo
era…Lui sapeva di conoscere la musica, di conoscere la disposizione delle note
sui tasti bianchi e neri e di saper leggere uno spartito…era un qualcosa che
gli promanava da un punto indefinito dell’animo, era come se lo avesse sempre
saputo, senza bisogno di apprenderlo, secondo i canoni normali.
Kaede era al piano di sotto, non lo avrebbe sentito…e quel
pianoforte era lì, silente da tanto tempo. Si avvicinò al piano, sollevando il
coperchio che fortunatamente era stato risparmiato dal gelo. Sfiorò i tasti
ingialliti traendone suoni leggeri, anche al suo orecchio non allenato era
chiaro che il piano era scordato; alcuni tasti non suonavano neppure,
probabilmente il meccanismo del martelletto era rovinato. Peccato, gli sarebbe
piaciuto molto poter provare a suonare.
Hanamichi era talmente teso e
concentrato sulla tastiera, che non si accorse dell’apparizione, neppure quando
quella gli posò una mano sulla spalla.
Sussultò, quando sentì un dolore lancinante al collo,
cercò di divincolarsi, ma qualcosa gli teneva ferma la testa, inclinandola di
lato…La sensazione gli tamburellava nella testa incessante come un rumore
sordo, aveva gli occhi spalancati, ma la luce si affievoliva piano, come
qualcosa che velava la fiamma di una candela.
L’estasi, quella era
l’estasi. Non c’era altro modo di descrivere la sensazione
di quel sangue che gli scendeva in gola, dopo aver accarezzato il
palato.
Deglutì, ingoiando
fino all’ultima goccia e mentre beveva quella coppa d’ambrosia
creò il suo legame
con quell’umano dai poteri così straordinari e ancora latenti.
Ancora per poco, presto, lui -Eugenij Ravnjos- li avrebbe risvegliati
e allora il mondo
sarebbe stato suo e soltanto suo.
“Che insperata
fortuna...”
Ripeté, mentre
lasciava accasciare il corpo di quel giovane sul pianoforte.
Che fortuna davvero,
che un tale potere fosse rinchiuso in un essere umano così fragile e
vulnerabile.
Un sorriso si
distese sulle sue labbra, mentre considerava che
sarebbe bastato
semplicemente fare leva sul suo punto debole, che ignaro di tutto
si stava aggirando
nella stanza sotto di loro...
Davvero la cosa era
molto divertente.
Poi d’un tratto tutto ebbe termine, sbatté gli occhi,
cercando di rimettere a fuoco quanto c’era attorno a lui. La luce fuori dalla
finestra era più fioca, segno che era passato del tempo da quando era entrato
in quella stanza…Doveva essersi addormentato…si passò una mano sugli occhi, si
sentiva strano, come avvolto in un bozzolo, qualcosa che smorzava tutto ciò che
lo circondava, cercò di alzarsi, ma la voce di Kaede lo bloccò:
- Do’hao!- si volse, cercando di mettere a fuoco
l’immagine dietro di lui, faceva fatica a comandare i suoi sensi, erano come addormentati,
probabilmente per via del sonno...Kaede era fermo sulla porta, il sopraciglio
sollevato, le braccia incrociate al petto che lo guardava impassibile….- Cosa
stai facendo?
Si strinse nelle spalle:
- volevo provare questo pianoforte…
- E’ così che svolgi l’incarico….
- Ohi, kitsune, mi sono solo seduto al pianoforte e poi
non c’è nulla in questa casa.
- Quando hai finito di trastullarti...ti aspetto di sotto,
così ce ne andiamo, per oggi abbiamo finito.
Si alzò dal pianoforte sentendo le gambe incapaci di
sorreggerlo, si passò le mani sulla fronte, stava sudando freddo…Possibile che
avesse la febbre? Si mosse barcollante verso il centro della stanza. Si guardò
le mani, lievemente, ma tremavano. Il cuore gli correva nel petto come
impazzito, aveva la gola secca e riarsa…
La figura con il
mantello si guardò intorno, mentre i due giovani uscivano dalla stanza e una
risata gli salì alle labbra...
Dannatamente facile
e pure divertente.
La vita era stata
davvero clemente con lui, dopo anni passati a vivere come un reietto
senza dimora, Clan,
denaro per vivere, costretto a strisciare lungo i muri nella notte per potersi
nutrire...
e ora, tutto a un
tratto, la possibilità di vendicarsi.
Doveva stare attento
e giocare bene le sue carte. Una sola mossa avventata e tutto sarebbe andato
perduto. E lui -Eugenij Ravnjos- non poteva permetterselo.
Hanamichi scese le scale, percependo distintamente il
rumore dei suoi passi sulla nuda pietra; tutto sembrava risuonare nella sua
testa, come un’eco ripetuta e lontana. Raggiunse Kaede nella sala dove erano
stati trovati i cadaveri…
- Trovato nulla?
Scosse la testa, poi resosi conto che Kaede gli dava le
spalle disse:
- No.
La voce probabilmente gli era uscita mozzata, perché Kaede
si volse a guardarlo, alzando un sopraciglio, ma lanciandogli uno sguardo
distratto mentre si rimetteva i guanti, probabilmente era ancora infastidito
dall’averlo trovato seduto al pianoforte. Reagì d’istinto irrigidendosi.
Dannazione! lui non aveva fatto nulla di male...
- Cos’è…?- chiese Hanamichi, indicando un simbolo inciso
nella pietra sopra il caminetto, qualcosa nella sua testa si risvegliò...un
lampo un pensiero
“Vuoi bruciare nel fuoco?”
Tutto passò veloce come era venuto. Un’illusione.
- Il simbolo di un clan, probabilmente. – rispose Kaede.
- Clan? – Hanamichi si sentiva la testa leggera, faticava
a seguire le parole dell’altro, era come se gli giungessero lontane e ovattate,
c’era qualcosa nella sua testa un ronzio strano, come l’eco di un rumore di
fondo…
- Vampiri, Do’hao,
- Kaede non riuscì a reprimere il tono lievemente spazientito – Fai qualche
foto...
- Eh?
- Insomma…- Kaede lo superò, chinandosi sulla borsa che
era posata ai suoi piedi, estraendo una macchina fotografica digitale.
Scattò alcune foto in silenzio, e Hanamichi scosse la
testa un paio di volte. Continuava a sentirsi fuori fase…Aveva la testa leggera
e anche i rumori e la voce di Kaede gli giungevano ovattati. Forse aveva la
febbre, magari era stato contagiato durante il viaggio in sud America,
dopotutto avevano combattuto con le zanzare per tutta la durata della missione.
- ci conviene
andare, sta facendo buio…- tagliò corto Kaede, cercando di ricacciare il cuore
al suo posto. Da quando era entrato in quella stanza e lo aveva visto lì
abbandonato sul pianoforte, gli batteva pericolosamente in gola…non era stato
il fatto di trovarlo addormentato a sconvolgerlo tanto, era stato il mutare
della visione...i capelli lunghi raccolti in una coda e trattenuti da un nastro
di velluto nero e il nome che gli era salito quasi istintivamente alle labbra:
“Philippe.”
Il tragitto di ritorno fu fatto nel più completo silenzio.
La neve non aveva smesso di cadere e una spessa coltre morbida era scesa a
ricoprire il loro precedente passaggio. Ci impiegarono più di un’ora a tornare
al villaggio e, quando arrivarono, erano completamente fradici di neve, anche
per colpa di Hanamichi che, a causa dello stato precario delle sue gambe, era
inciampato un paio di volte trascinando con sé anche Kaede, in un paio di
occasioni. Il freddo contatto con la neve però aveva avuto il benefico effetto
di schiarirgli un po’ la mente e ora si sentiva vagamente meglio, sicuramente
dopo un bagno caldo e una buona dormita sarebbe tornato in forma, chissà, magari
riusciva anche a trovare un’aspirina...per evitare di prendersi un’influenza.
Arrivarono alla locanda, dopo essere passati alla stazione di posta a ritirare
i loro bagagli. E lì, accadde qualcosa di insolito...Hanamichi era rimasto
fuori, sotto la neve, ad aspettare Kaede che era entrato nella stazione, non
serviva entrare in due, si era detto, e poi dopotutto gli piaceva la gelida
carezza della neve che cadeva sulla sua pelle. La vecchia era ancora lì, seduta
fuori dalla porta, fasciata nel suo scialle multicolore, li squadrò da capo a
piedi con espressione stupita, evidentemente non si aspettava proprio di
vederli tornare indietro da quella casa. E quando il suo sguardo si posò su
Hanamichi, ebbe una reazione strana: sgranò gli occhi terrorizzata, facendosi
un paio di volte il segno della croce:
- Damphyr...Damphyr.. – continuava a ripetere e altre
parole che lui non capiva.
- Taci, stupida vecchia! – proruppe Hanamichi sbuffando
spazientito, senza saper neppure lui perché, non avrebbe voluto essere sgarbato,
non lo era mai con nessuno, ma la cantilena di quella donna e il modo in cui lo
indicava...Girò sui tacchi e si diresse verso la Locanda che portava appesa
fuori un insegna in legno con l’immagine di San Giorgio che uccide il Drago.
Kaede uscì in quel momento dalla
posta e rimase a fissarlo con un sopraciglio sollevato, mentre si allontanava
verso l’ostello, stava per seguirlo quando la vecchia lo prese per un braccio
trattenendolo e attirando la sua attenzione:
- Hn. – cercò di non scrollarsi bruscamente, d’altronde
quella non poteva sapere la sua idiosincrasia ad essere toccato. La donna parve
non accorgersi del suo fastidio e cominciò a parlare velocemente, Kaede
conosceva un po’ lo slavo, ma quella parlava troppo velocemente, capì solo
alcune parole come Damphyr, Fuoco e bruciare….mentre gli indicava la figura di
Hanamichi che si allontanava con le mani affondate nelle tasche.
Improvvisamente la donna smise di parlare e indietreggiò
lasciandolo andare e con quel movimento lo scialle le scivolò dalla testa
canuta. Kaede si chinò a raccoglierlo per aiutarla a risistemarlo e solo in
quel momento, incrociando gli occhi della donna, si accorse con stupore che era
cieca, una patina bianca velava la sua pupilla. La donna si accorse della sua
vicinanza e, prendendogli una mano, gli mormorò un flebile grazie,
allontanandosi poi senza voltarsi indietro.
Si volse a guardare la figura di Hanamichi, ormai giunto
nei pressi della locanda, che lo aspettava nell’arco di luce del portico…eppure
la luce attorno a lui assumeva contorni strani, come sevenisse riflessa da un’oscurità latente,
ancora quella visione di Sakuragi ghermito da un manto di tenebra. Si affrettò
a raggiungerlo, cominciava a sentire il freddo penetrargli nelle ossa per via
dei vestiti bagnati.
Hanamichi era strano quella sera: Kaede lo osservò
attentamente a cena, mentre svogliatamente mangiava il suo gulasch: era
stranamente silenzioso e apatico e poi c’era una luce febbrile nei suoi occhi.
Le parole della donna però erano strane...Bruciare nel fuoco...sì, gli pareva
avesse detto questo, però non aveva molto senso, certo.. se si fosse riferita
al colore dei capelli di Hanamichi, poteva avere un qualche significato
recondito, c’era -se non rammentava male- qualche tradizione sui vampiri slavi
che aveva come segno distintivo i capelli rossi, ma la sua conoscenza si
fermava lì e poi c’era il fatto che quella donna era cieca, per cui non poteva
essere a conoscenza del colore dei capelli di Hanamichi. E fatto non
trascurabile, Hana non era un vampiro.
- Ohi, kitsune...- alzò lo sguardo e vide Hanamichi
davanti a lui che lo fissava.
- Hn.
- Io vado a farmi un bagno...
- Hn...
- Sempre loquace, eh?
Lo osservò allontanarsi verso le scale, camminava incerto,
quasi barcollando, sembrava non avere un equilibrio molto stabile e poi anche
nel cammino di ritorno dal castello era caduto un paio di volte, si alzò e lo
raggiunse:
- Do’hao, sei sicuro di stare bene?- disse, mentre
salivano le scale che portavano al piano di sopra, trattenendosi dallo stendere
un braccio per sorreggerlo.
- sì, Baka kitsune, di che ti preoccupi? Il Grande Tensai
sa badare a sé stesso.
Spalancò la porta della camera con il numero che c’era
sulla chiave che stringeva in mano. Si bloccò sulla porta, imprecando. E
Rukawa, sbirciando da sopra la sua spalla, non replicò, non lasciando trapelare
lo sgomento che gli aveva attanagliato il cuore alla vista dell’unico letto
nell’angolo della stanza. Ci mancava solo questa! Dividere il letto con
Hanamichi! Hanamichi –stranamente- non proferì parola, prese le sue cose e uscì
dalla stanza, dirigendosi verso il bagno in fondo al corridoio. Rukawa si
sedette al tavolino e accese il computer, trascrivendo i dati raccolti quel
giorno e scaricando le foto dalla macchina digitale...doveva spedire tutto il materiale
a Leyla ed Anne il giorno seguente, dalla stazione di posta.
Eugenij Ravnjos
osservò la scena dalla finestra...
“Quella dannata
vecchia...”
poco male, comunque,
pareva non avessero capito molto dello sproloquio che aveva fatto.
Meglio così, e anche
se avessero compreso, si sarebbe semplicemente limitato ad eliminare gli
ostacoli...
Guardò l’essere
umano dai capelli rossi rientrare nella stanza...
La sete cominciò a
tormentarlo, si passò la lingua sulle labbra.
Sangue...aveva
bisogno del sangue di quell’essere, un disperato bisogno.
Sapeva che quello
che stava facendo era pericoloso, per lui.
Diventare così
dipendente dal sangue di un essere umano non
era una cosa molto
saggia, c’erano molto pericoli nascosti
in
quell’incantesimo, ma la posta in gioco valeva i rischi, dopotutto.
Li osservò cambiarsi
e andare a dormire...quando gli parve di avere atteso il tempo sufficiente
a far crescere la
sua sete,
con un gesto della
mano, socchiuse la finestra e vi entrò sotto forma di turbinio di neve,
Ricomponendosi poi
nella sua forma di vampiro, sopra il giovane addormentato con i capelli rossi,
rossi come il fuoco che gli scorreva nelle vene.
Rossi come il
sangue, che lui presto avrebbe assaggiato.
I suoi freddi occhi
azzurri brillarono di aspettativa.
Doveva impiegare
molta della sua energia mentale, per impedire che l’altro sdraiato dall’altro
lato del letto si svegliasse.
Gli lanciò
un’occhiata di traverso, soffocando una risata...
Allungò una mano, un
movimento delle dita lunghe e sottili con le unghie ben curate.
E i bottoni della
camicia si slacciarono piano, scoprendo la base del collo.
Hanamichi sollevò il corpo
inarcandosi contro quel tocco sulla sua pelle, socchiuse leggermente le
palpebre. Eugenij gli inviò l’immagine di Kaede davanti agli occhi, la
sensazione dei suoi baci sulla pelle, le sue carezze scivolare su di lui
mescolando il profumo di lui e i suoi capelli solleticargli la cute.
Era così semplice! Bastava
attingere ai ricordi e ai desideri sepolti nella parte più recondita del cuore
della sua vittima.
Si chinò sul collo leccando lieve
la pelle morbida sotto l’orecchio, per poi scendere alla base. Sentiva il
profumo del sangue invadergli le narici e il rumore del suo scorrere nelle vene
gli risuonava nelle orecchie.
La sua sete era giunta al culmine,
non poteva più aspettare.
Affondò i denti sentendo, come la
prima volta, la pelle lacerarsi e un fiotto caldo riversarsi sulla sua lingua,
il corpo percorso da brividi inebrianti...
Le dita correvano leggere sulla
sua pelle accendendo milioni di brividi al loro passaggio...la sensazione di
dolore al collo lo colse impreparato, facendolo inarcare...
E ancora quel senso di
scivolamento, come se venisse risucchiato via.
Il sangue che gli scorreva nelle
vene, lo sentiva riecheggiare nelle sue orecchie, così come il tamburellante
rumore del cuore...
Eugenij sollevò la testa, mentre
un rivolo di sangue gli scendeva dal lato della bocca.
La lingua saettò fuori dalle
labbra a raccoglierlo, neppure una goccia andava sprecata.
Si sollevò levitando sopra il
letto e atterrando davanti alla finestra.
Per quella sera, poteva bastare.
Schioccò le dita e scomparve nella notte.
Sakuragi si sollevò sul letto ansante...Dove si trovava,
prima di tutto…? Cercò di fare mente locale, spazzando via la ragnatela che gli
ottenebrava la mente. Erano in Rutenia, in un paesino sperduto nel cuore del
paese, tagliati fuori dalle vie di comunicazione e in mezzo a una popolazione
che pareva rimasta ferma al secolo precedente, da come si vestivano e si
comportavano. La vecchia aveva detto qualcosa riguardo a lui e pareva molto
spaventata, ma lui non aveva capito nulla di quel fiume di parole che gli aveva
riversato addosso…Aveva riconosciuto solo la parola Damphyr, perché l’aveva
sentita pronunciare da Kaede. Nient’altro.
Kaede…Ecco un altro problema…Che razza di sogni si
ritrovava a fare, su quella dannata volpe spelacchiata? Arrossì al pensiero
delle immagini che fino a poco prima avevano popolato la sua mente, anche se
chiudeva gli occhi, poteva ancora vederle davanti a sé scorrere nella suatesta. Si passò una mano sugli occhi, ma non
riuscì a scacciare l’immagine dello sguardo di Kaede annebbiato dalla
passione... Evitava di voltarsi a guardarlo pacificamente addormentato.
Quando era tornato dal bagno, dopo essersi fatto un lungo
bagno caldo, lo aveva trovato seduto al tavolo, intento a scrivere il rapporto
da spedire l’indomani a Leyla dalla Stazione di posta, l’unica ad avere la
linea telefonica. Si era seduto accanto a lui, senza parlare per alcuni minuti.
Avrebbe voluto -a dire la verità- raccontargli della donna e di quello che era
successo, ma non sapeva come cominciare il discorso e neppure era in grado di
riportare tutto ciò che la donna aveva detto. Dopo un po’, stufo di quel
silenzio, si era diretto verso il letto e aveva cercato di dormire, senza molto
successo. Dopo qualche tempo, non avrebbe saputo dire quanto, Kaede si era
mosso, cambiandosi e sdraiandosi accanto a lui. Questo non aveva certo aiutato
il suo autocontrollo, né tanto meno aveva conciliato il suo sonno. Forse era
per questo, che quel sogno si era infilato nella sua testa? Sinceramente ne
dubitava fortemente, anche a San Francisco era già successo che si svegliasse
da un sogno simile… pareva incontaminato e, tutto sommato, lo era: senza passato,
senza ricordi, senza dolori. Era innocente e fragile. Gli scappò una risata
involontaria: erano due termini che poco si addicevano alla kitsune ibernata e
spelacchiata, eppure non poteva fare a meno di pensarlo, anche se era convinto
che Rukawa lo avrebbe preso a pugni se solo glielo avesse detto. D’improvviso
si accorse che la finestra era aperta, la neve entrava a folate accumulandosi
ai piedi del muro. Rabbrividendo si alzò per chiuderla, rendendosi conto di
avere di nuovo le gambe molli, la pelle incendiata e la gola riarsa.
Mentre tornava verso il letto, rimase di nuovo incantato a
guardare Rukawa dormire:
- Perché mi respingi, Kaede? – si ritrovò a mormorare,
mentre si chinava a scostargli una ciocca di capelli dalla fronte.
L’altro si girò nel sonno, avvicinandosi inconsciamente a
lui.
- Do’hao...-
- Ecco, appunto...
§ § §
Sentiva il cuore che gli batteva all’impazzata nel petto,
era certo di non sbagliarsi, due occhi lo osservavano, ne era sicuro, li
sentiva su di sé mentre si aggirava per quelle stanze vuote...Due occhi rossi
come il sangue e brucianti come il fuoco...Un fuoco e un calore che lo
attiravano inesorabili, ma che sentiva di dover temere. Per tutta la notte non
era riuscito a dormire, si svegliava sempre di soprassalto, come se qualcuno lo
scuotesse bruscamente...E poi c’era quella sensazione di essere seguito, come
se un paio di occhi...ricordava il colore: azzurro con l’iride cerchiata di
rosso...lo pedinassero perennemente, anche nei sogni. Sbadigliò per l’ennesima
volta, mentre quella sensazione non lo abbandonava neppure in quel momento.
Era il secondo giorno che giravano per quella casa. Non
sapeva cosa Kaede aveva trovato, né se aveva trovato qualcosa. Tutte le volte
che si apprestava a ispezionare una stanza, lo mandava fuori con l’incombenza
di fotografare tutto ciò che poteva sembragli anomalo o fuori posto. Come se,
in quel castello completamente sventrato, ci fosse qualcosa di normale!.
Comunque lui eseguiva diligentemente e fotografava ogni
angolo, ogni ombra...quando era entrato nella stanza del pianoforte il giorno
prima, le sue percezioni avevano subito un tracollo, era come se fossero
implose tutte insieme, per poi ritornare ai livelli normali. Aveva percepito un
black out totale di pensieri di alcuni secondi e alla fine si sentiva spossato
e stanco, privo di energie...Non riusciva a capire cosa gli stesse succedendo.
Anche la notte precedente si era risvegliato in quelle condizioni, dopo quel
sogno...Scosse la testa, cercando di non richiamare alla sua mente quelle immagini...
“Lui non ti ritiene
all’altezza…per questo, ti tiene all’oscuro.”
Si girò, guardandosi intorno, ma quell’ala della casa era
deserta, non c’era nessuno oltre a loro e allora da dove veniva quella voce
viscida, insinuante?... che pareva girargli attorno come un’eco che si
ripercuoteva nella sua testa incessantemente.
“Non ha grande opinione di te, ti
reputa un idiota…”
- Chi è là??…- aprì di scatto la porta guardandosi attorno
nel grande salone, ma questo era vuoto e silenzioso. Solo l’eco del vento
riecheggiava fuori, facendo vorticare la neve tutt’intorno. Che strano paese..
da che erano lì, non aveva mai smesso di nevicare. La neve… da bambino, restava
per ore con il naso incollato alla finestra, nella speranza di veder scendere
quei fiocchi candidi dal cielo azzurro terso della California. Non ne aveva mai
vista così tanta. Quella mattina, mentre si dirigevano verso il castello, aveva
seguito un impulso improvviso e, raccolta una manciata di neve fresca tra le
mani, aveva chiamato Rukawa:
- Ohi, Kitsune...
Quando l’altro si era voltato, gli aveva tirato la palla
di neve diretta sul viso, scoppiando subito a ridere, quando l’aveva colpito in
pieno...mentre si teneva le mani sui fianchi, la voce gelida di Rukawa gli era
scesa nel cuore congelando la sua ilarità:
- Do’hao!
Si era voltato ripulendosi il volto, riprendendo a
camminare dritto davanti a sé. Hanamichi si era sentito improvvisamente solo e
triste...
“Non ha bisogno di te….”
Di nuovo quella voce, questa volta era certo di averla
sentita attorno a sé, volteggiare come un’ eco nella stanza, si guardò intorno
ma non c’era nessuno.
Però era vero, per quanto lui si sforzasse, non c’era
verso di far riconoscere a Kaede la sua presenza come persona, se non
indispensabile, per lo meno utile. Anche quelle incombenze che gli aveva
affidato erano più che altro modi per tenerselo lontano da i piedi. Sospirò,
doveva decidersi a chiedere a Leyla di non farlo lavorare più con Kaede nelle
prossime missioni. Quel pensiero gli provocò una fitta dolorosa al petto, ma
era necessario, prima che tutti quei sentimenti confusi si tramutassero in
qualcosa di profondo e ben più difficile da estirpare.
“Il Fuoco è in
te...seguimi e vi brucerai.”
Sussultò, mentre aveva la netta sensazione che qualcosa lo
avesse sfiorato...si volse da quella parte e gli parve di vedere l’ombra
ritrarsi in maniera innaturale sul muro...come una mano che si scostava...una
mano? Corse precipitosamente indietro, verso la stanza dove aveva lasciato
Kaede poco prima, ed entrò travolgendolo e facendo cadere entrambi per terra:
- Do’hao!- il tono di Rukawa tradiva la sua irritazione.
- Kitsune, c’è qualcuno qui…l’ ho sentito parlare e poi ho
visto...
- Hn, sarà il vento, questa casa è praticamente
sventrata…- si alzò da terra spazzolandosi i pantaloni.
- Baka Kitsune!! Ti dico che c’è sicuramente qualcuno!! –
insistette, strattonandolo per il braccio, cercando di trascinarlo via con sé
nella direzione da dove era venuto.
- Hanamichi, insomma! – la sua voce aveva assunto quella
nota fredda che denotava la pericolosa vicinanza a perdere la pazienza e il
rossino si morse le labbra chinando il capo, di fronte allo sguardo freddo del
compagno.
Rukawa era spazientito, era la terza volta che entrava
nella stanza che lui stava esaminando blaterando che qualcuno lo stava seguendo
nei suoi giri di ispezione per la casa.
- Ti dico che c’è qualcuno, in questa casa!! – tentò di
nuovo, ma con meno foga.
- Hn…- il sopraciglio si sollevò oltre il livello di
guardia e Hanamichi preferì allontanarsi senza insistere oltre, borbottando
qualcosa mentre si scostava, ma lui non vi prestò attenzione: in quella stanza
c’era qualcosa...una concentrazione di odio e risentimento notevolmente
potente. Qualcosa che aveva a anche fare con quel simbolo inciso sul muro. Se solo
fosse riuscito a mettersi in contatto con Leyla, la connessione con il server
quella mattina era saltata, e lui non era stato in grado di spedire il suo
rapporto...La situazione stava prendendo una piega alquanto inquietante. Sfiorò
la pietra davanti a lui, cercando di concentrarsi, mentre liberava il suo
potere...
“vediamo se possiamo
dargli qualche cosa di cui preoccuparsi seriamente,
giusto per non
togliermi del divertimento.”
Eugenij si
concentrò, liberando delle immagini dalla sua mente,
dirigendole verso la
pietra che Kaede stava toccando...
Kaede percepì il
familiare mormorio farsi sempre più sommesso, mentre qualcosa emergeva dalla
pietra...
Una stanza...quella
stessa stanza, con il pavimento interamente ricoperto di candele,
la luce aranciata
disegnava ombre sul muro.
Una figura stava al
centro di un cerchio di persone...erano le vittime del sacrificio?
Non riusciva a
distinguerne i volti.
La figura attrasse la sua attenzione, cominciando a
parlare in una lingua a lui sconosciuta.
Una cantilena
ipnotizzante.
Due figure si
mossero entrando nel cerchio, portavano entrambi un mantello con il cappuccio
calato a coprire il capo.
Una delle due figure
alzò le braccia facendo ricadere con gesti lenti e misurati la stoffa,
rivelando un viso spigoloso
incorniciato da lunghi capelli grigi e due occhi azzurri
freddi e
malvagi...come il sorriso che gli piegava le labbra, mettendo in mostra i
canini.
Le sue braccia si
rinchiusero attorno alle spalle dell’altro e il suo viso
affondò nel collo...
La cantilena delle
persone attorno a loro crebbe di intensità.
Alla fine, dopo un
tempo che poteva essere parso interminabile, il volto del vampiro dagli occhi
azzurri riemerse con le labbra macchiate del sangue della sua vittima. Lo
attirò a sé porgendogli il collo, affinché questo lo mordesse e si nutrisse a
sua volta.
Quando si sciolsero
dall’abbraccio, lasciò ricadere il mantello...
I rossi capelli
della figura rilucevano carezzati dalla luce aranciata delle candele.
Si volse piano,
rivelando il viso che emergeva piano piano dall’ombra...
- Hanamichi...- boccheggiò Kaede cadendo sulle ginocchia,
mentre il cuore gli scoppiava nel petto e le immagini si dissolvevano davanti a
lui...
§ § §
Hanamichi si svegliò con una sensazione strana…gli era
parso di sentire una voce, un sussurro che lo chiamava…restò in ascolto, ma
fuori c’era solo il lieve fischiare del vento, gli ululati dei lupi che si
aggiravano per la steppa…Si sollevò a sedere…affacciandosi alla finestra,
l’oscurità avvolgeva la campagna desolata attorno al paese. Laggiù in fondo,
illuminata dalla luce della luna, poteva scorgere le rovine di quella casa.
Mentalmente ringraziò il fatto che mancasse buona parte del tetto, così non
avevano dovuto dormire là…Non che quella sistemazione fosse migliore…e non lo
diceva tanto per le condizioni generali dell’alberghetto in cui erano
alloggiati. Il fatto era che avevano dovuto dividere la camera e lo stesso
letto…Deglutì rumorosamente, sbirciando dal vetro la visione addormentata di
Kaede…
Lanciò un’occhiata all’angolo di quella stanza e il fiato
gli si mozzò in gola, quando si rese conto che dei lamenti provenivano da
lì…Kaede gemeva e si agitava nel sonno, mormorando parole incomprensibili,
tendeva le mani fasciate nei guanti di pelle…
Si avvicinò al letto, restando affascinato, gli sfiorò la
fronte mentre si inginocchiava accanto a lui, prendendolo per le spalle e
scotendolo leggermente. Nulla! L’altro sembrava avvinto dalle spire di un sogno
tenace…senza pensare a quello che stava facendo, si sdraiò accanto a lui
avvolgendolo con le braccia, gli accarezzò i capelli con movimenti lenti e
carichi di dolcezza. Parve avere un effetto calmante su Kaede, che smise di
agitarsi ma non si svegliò del tutto.
Un ricordo vago, lontano, dei di quella pelle, di quel profumo,
lo invase mentre una immagine del volto di Kaede steso sopra di lui lo colpì
come un flash…era come nel sogno della notte precedente...eppure, eppure
c’erano altri particolari che parevano riguardare la casa di Auteuil.
Lo scosse piano, chiamandolo, pronto a schivare il pugno
che partiva praticamente in automatic mode quando l’altro veniva svegliato…
Kaede emerse dalle nebbie del sonno cercando di capire
dove si trovasse...Acqua gelida lo avvolgeva...Freddo...due mani forti lo
afferravano per le spalle e poi una voce...un viso sopra di sé...mise a fuoco
una massa di capelli rossi, due occhi castani e un profumo che lo
stordiva...spalancò gli occhi e si mise a sedere sul letto, passandosi una mano
sul volto sudato.
- che ci fai?- disse, rendendosi conto che Hanamichi era
sdraiato accanto a lui e che praticamente lo stava abbracciando.
- hai avuto un incubo…
Hanamichi lo guardava preoccupato, continuando a tenergli
le mani sulle spalle, di nuovo quell’espressione impensierita negli occhi
nocciola.
- puoi lasciarmi andare, ora…
- mia madre diceva che..
- non me li ricordo mai...- lo interruppe.
- Eh?
- Al risveglio, non mi ricordo…
- Beh, ma magari..
- Lasciami, Do’hao! – gli scostò le mani dalle sue spalle
- non ho bisogno di niente e di nessuno.
Le mani di Hanamichi scivolarono sulle sue spalle
ricadendo inerti sul letto, si alzò senza parlare e si vestì velocemente,
uscendo poi dalla stanza; rimase, però, alcuni istanti con la schiena contro la
porta…perché doveva sempre respingerlo? Allontanarlo? Non c’era modo di
perforare quella barriera? E poi, era così importante farlo?
Uscì nella notte andando a sedersi nel giardino, le
ginocchia ripiegate al petto, incurante del freddo pungente e della neve
attorno a lui. Si guardò in giro, con un vago senso di inquietudine...Erano
giorni che si sentiva osservato, e anche nei suoi sogni vedeva due occhi freddi
che lo scrutavano attenti...si volse a guardarsi alle spalle, ma non c’era
nessuno...o forse gli era parso di scorgere il lembo di un mantello sparire
velocemente laggiù, oltre quell’angolo...
Si diresse in quella direzione...svoltò l’angolo, ma non
c’era nessuno nel buio profondo.
- Sciocco...- si
volse attorno a sé, guardandosi in giro...Nessuno, non c’era nessuno,
cominciava a spazientirsi.
- Il colore dei tuoi
capelli..
- Chi è là..?!.
Un’ ombra prese
forma dalla terra, presentandosi avvolta in un mantello scuro e pesante con il
collo bordato di pelliccia di lupo,
i lunghi capelli
grigi che si confondevano con il pelo.
- I tuoi capelli… il
loro colore, sono singolari.. mi piacciono.
Hanamichi si
ritrasse, sentendo le dita fredde di quella cosa muoversi tra i suoi capelli,
non si era accorto che si era avvicinato...
Fissò impaurito
quelle iridi azzurre cerchiate di rosso che lo avevano seguito per tutto
quel tempo:
- morbidi e
vivi…come le fiamme...Dimmi, vorresti bruciare nel fuoco?
Hanamichi si rendeva
conto di respirare con affanno…I suoi occhi erano avvinti a quelli di
quell’essere che aveva davanti, non riusciva a muoversi…quelle dita si
muovevano sinuose sulla sua pelle, erano gelide contro la sua guancia.
Di nuovo quella
sensazione di smarrimento, vide il volto del vampiro chinarsi sul suo collo...
‘Vampiro’ la sua
mente registrò quella realtà prima ancora che riuscisse a formulare un pensiero
coerente, ma non riusciva a staccare da sé le mani di quell’essere, mani
brucianti e calde sulla sua pelle stranamente fredda, gelida…
Kaede si alzò, vestendosi rapidamente,
mentre pensieri vorticavano nella sua testa movendosi come impazziti. Tante
cose che erano successe troppo in fretta…Era molto tempo che gli incubi non si
presentavano alla sua mente, incubi di cui non ricordava molto, se non il
grande senso di angoscia e la sensazione, al risveglio, di dover ricordare
qualcosa di molto importante: il volto di qualcuno, una voce che diceva
qualcosa. Vide che Hanamichi non era rientrato la notte scorsa, sarebbe uscito
a cercarlo, non era un bene che andasse in giro da solo. Ripensò alla visione
che aveva avuto il giorno prima nel castello...Un brivido di paura e orrore gli
corse lungo la schiena...Aveva sempre avuto visioni chiare e precise...ma
quella non poteva corrispondere alla realtà, né tanto meno avere un briciolo di
possibilità di avverarsi...E allora? Prima di tutto, doveva trovare
Hanamichi...
Camminava spedito per le viuzze del paesino...dove diavolo
si era cacciato quel Do’hao? Era uscito la notte scorsa, dopo che lui aveva
avuto il primo incubo...lo aveva respinto, è vero, ma che ci poteva fare se non
riusciva a sopportare di essere toccato? Anche in ospedale, i primi giorni del
suo ricovero dopo l’incidente...se un dottore o l’infermiera si avvicinavano
lui, si irrigidiva...anche il più piccolo contatto gli portava alla mente
immagini, visioni, sentimenti che si piantavano nella sua mente vuota come
chiodi incandescenti...anche quando aveva imparato a controllare i suoi poteri,
alzando quella barriera filtro che gli permetteva di potersi proteggere solo con
i guanti, gli era rimasta la paura dei contatti umani. Li rifuggiva, anche
quelli minimi: del dover stringere le mani o prendere un oggetto che qualcuno
gli porgeva.
Non era quello il motivo, per cui l’aveva respinto la sera
prima. Il contatto delle mani di Hana non era fastidioso...anzi, risvegliava
sensazioni e ricordi che gli mozzavano il fiato. Sapeva cosa era successo
quell’ultima notte ad Auteuil, lo ricordava perfettamente. Dopo i primi giorni
di buio, la nebbia aveva incominciato a diradarsi sugli avvenimenti di quella
notte...Lui aveva fatto l’amore con Hana...lo aveva posseduto, ma non come
Julien Morrel bensì come Kaede Rukawa...cercò di scacciare quei pensieri,
quelle immagini...lo sguardo offuscato di Hana, quegli occhi nocciola velati
dalla passione, offuscati dal piacere e la sua voce roca, spezzata, che
invocava il suo nome...Era stata una pazzia, ma non poteva incolpare le due
anime disperate che popolavano la casa. Lo aveva fatto perché lo desiderava,
ardentemente e con tutto sé stesso. Hanamichi probabilmente non ricordava nulla
di quello che era successo e forse era meglio così...Già era uscito confuso
dalla vicenda di Auteuil, se avesse saputo che loro erano diventati amanti...la
cosa poteva essere preoccupante...
Strinse le mani a pugno, sentendo la pelle dei guanti
tendersi e scricchiolare. Quella notte, quando si era risvegliato e lo aveva
visto lì davanti a sé, i capelli scarmigliati, gli occhi spalancati e le labbra
socchiuse, aveva dovuto fare leva su tutta la sua forza di volontà per non
sporgersi e baciarlo, assaggiare quelle labbra e farlo stendere sotto di sé...
Si volse sussultando, quando sentì qualcosa sfiorargli il
braccio. Alla sua sinistra, la vecchia cieca era lì, ferma di fianco a lui in
silenzio, con il suo scialle frangiato a coprirgli i capelli.
- Damphyr...- le stesse parole di quella sera.
Spazientito le afferrò il braccio:
- spiegati!! Cosa vuol dire...?-
La vecchia si ritrasse impaurita, scuotendo la testa:
- Lui brucerà nel fuoco.
- Chi? – la voce di Kaede si alzò leggermente.
Scosse la testa e, prima di allontanarsi, gli indicò un
angolo nascosto oltre una casa lì vicino. Mentre la vecchia se ne andava
segnandosi con il rituale segno della croce ortodosso, un vago senso di terrore
lo invase...un brivido lontano...indefinito...qualcosa come una cappa, come
nella visione in cui aveva visto Hana trasformarsi in vampiro...Si mise a
correre nella direzione indicata dalla vecchia. Girò l’angolo della casa,
mentre il cuore gli si fermava in gola. Lo vide seduto sotto l’albero, le
bracca incrociate la petto, il viso dai lineamenti rilassati dal sonno...quel
dannato idiota dormiva? Lui era preoccupato e quello dormiva?
Si avvicinò e lo scosse bruscamente con un piede.
- Do’hao! – sibilò, mentre la rabbia gli montava alla testa
sostituendo tutti i precedenti sentimenti.
L’altro aprì gli occhi, cercando di mettere a fuoco chi
gli parlava.
- ti pare questo il momento di dormire?
- Che vuoi Kitsune?, tu dormi più di me...
- Alzati!
Si sentiva stanco...Eppure aveva dormito, ricordava di
essersi steso sotto quell’albero per cercare un po’ di riposo...perché era
tanto stanco, allora?
- Ero stanco. – protestò, tirandosi in piedi.
- Razza di idiota, vedi di dormire di più la notte...- la
voce di Kaede era stata più dura di quello che avesse avrebbe voluto, ma
vederlo lì, addormentato pacificamente, mentre lui lo credeva in chissà quale
pericolo mortale...
- Lo farei molto volentieri, se....- si interruppe
barcollando...si sentiva spossato, aveva caldo e stava sudando, mentre Rukawa
lo guardava sollevando il sopraciglio, chinò il viso sentendosi avvampare e si
dedicò a togliere la polvere dai suoi pantaloni ...”non pensassi continuamente a te.” concluse tra sé...si passò una
mano sul collo...si sentiva stranamente indolenzito. E aveva la gola secca.
- Andiamo... – sbottò Kaede, cercando di trattenersi dal
dargli un pugno.
Vedendo che l’altro non dava segni di rispondere, si
avvicinò a lui e lo guardò da vicino, notando uno strano luccichio negli occhi
castani di Hanamichi e fece per posargli una mano sulla fronte dopo essersi
tolto i guanti:
- Idiota, hai la febbre!
- Lasciami, stupida Kitsune!
Si scostò bruscamente da lui. Non voleva che Rukawa lo
toccasse, per qualche motivo non doveva toccarlo senza guanti. Hanamichi si sentiva
strano, confuso, le sue percezioni erano ovattate, una voce secca risuonò nella
sua mente:
Comportati
normalmente!
Si raddrizzò subito, scostando Kaede e avanzando sul
terreno gelato con passo sicuro:
- andiamo, Kitsune...abbiamo un
lavoro da finire.
Rukawa rimase fermo a guardarlo allontanarsi. Sembrava lo
stesso Hanamichi di sempre...Però le parole della vecchia gli riecheggiavano
nella testa e poi le immagini di quella visione...La vampirologia non era la
sua materia, ma quello che aveva visto era una cerimonia di affiliazione bella
e buona. Chi era quell’uomo che vampirazzava Hanamichi? Lo aveva distinto
chiaramente, tanto da essere in grado di descriverlo nei dettagli...Doveva
parlarne con Leyla e Anne il prima possibile...e dovevano lasciare la Rutenia.
Anne sedeva alla sua scrivania, intenta a cercare di
scoprire qualcosa di più su quelle morti misteriose avvenute.
Sentì un lieve alito di vento passarle lieve tra i
capelli.
- che ci fai qui? Lo sai, che non è un bene, per te,
essere qui…
- Anne, ascolta…il mio Clan non centra nulla…
- Lo so, Dimitrij…lo so…ci vediamo più tardi, al solito
posto.
Quando l’altro svanì nell’aria densa attorno a sé, alzò lo
sguardo e incrociò quello di Leyla, che la guardava dalla porta aperta del suo
ufficio:
- Anne...
- Leyla, io mi fido di lui. – lo sguardo fiammeggiante, a
dare maggior peso alle sue parole.
- Cerca di capire la mia posizione...- Leyla la guardò
dolcemente.
Anne si morse le labbra:
- Non ho mai sopportato che mi si mettesse con le spalle
al muro, Mayfair.
- Io non ti sto mettendo con le spalle al muro, Anne! Solo
ti chiedo, per favore, di non farlo venire qui...Il Consiglio mi tiene gli
occhi puntati addosso: che succederebbe, se scoprisse che la mia assistente ha
una relazione con un vampiro di un Clan che è sospettato delle morti violente,
su cui sto indagando? E che io ho sempre saputo, ma che ho sempre taciuto?
- Lo fai per difendere la tua posizione, ho capito. – Anne
sapeva di essere ingiusta, ma era della sua vita che si stava parlando ed era
disposta a difendere il suo legame con Dimitrij con le unghie e con i denti,
anche se questo avesse significato la fine o il cambiamento dei suoi rapporti
con Leyla.
Leyla sospirò:
- Mi conosci davvero così poco? Credi davvero che lo farei
solo per il mio interesse, dopo tutto quello che hai fatto per me?
- non chiedermi di scegliere, Leyla…non chiedermelo, la
mia scelta potrebbe non piacerti.
- Io non ti chiedo di scegliere. Ti chiedo di darmi
fiducia..
- Se non l’avessi, me ne sarei già andata…
Leyla annuì, questa poteva considerarla una conquista. Non
si era aspettata molto di più. Sapeva che, per Anne, il legame con Dimitrij
veniva prima di tutto e tutti. Si era chiesta spesso, in realtà, come avesse
fatto a vivere tutti quegli anni lontano da lui. Chi li aveva separati aveva
commesso l’errore di sottovalutare quel legame:
- Puoi venire con me, un momento?
Le mostro ciò che Rukawa aveva inviato tramite e-mail.
- Che pensi di fare?
- Avrei pensato di chiamare collaboratori esterni.
- Qualche idea?
- Chi conosciamo, esperto in vampiri slavi? – le sorrise
Leyla.
- Kimi chan! – esclamò Anne – Vado subito a contattarlo...
- Bene, io intanto vedo di contattare Kaede...sono
preoccupata...
Leyla si sedette sospirando alla sua scrivania, lanciando
un sorriso mesto alla foto di Derek sul suo scrittoio.
La voce di Kaede giungeva leggermente metallica,
attraverso il viva voce:
- L’unica cosa strana è questo simbolo, che è stato
trovato su un muro della casa…non siamo riusciti ad identificarlo, ma poteva
essere lì da tempo.
- Faremo una ricerca accurata nei database... Anne è già
al lavoro -sollevò gli occhi a guardare Anne che le sorrise di rimando.
- Leyla, l’atmosfera è strana...non è come in tutte le
morti violente...c’è qualcosa nell’aria, un odio profondo e radicato nel tempo.
-
- Fate attenzione, mi raccomando.
- Ehi, Ciccio...Hana che fa? – Anne si intromise nella
conversazione.
- Hn, quel Do’hao...
- Che ha combinato, questa volta? – chiese Leyla, cercando
di soffocare la risata provocata dal tono di Kaede.
- Ci manca solo che vada in giro con collane d’aglio e
croci appese al collo.
Leyla non poté trattenere la risatina sommessa. Alzò lo
sguardo a incrociare quello di Anne e vide riflessa nei suoi occhi la sua
stessa ilarità.
- Kaede, se vuoi ti mandiamo un aiuto..
- A chi pensavi?
- Anne proponeva Kiminobu Kogure. E’ a Praga, vi
raggiungerebbe in poche ore. E’ esperto di Vampiri slavi.
- Hn…
- che c’è? Non vuoi?
- ho scelta? Il fatto è…- esitò.
- dimmi…
- no, è meglio che vi mandi il materiale via mail, e
fatelo venire lì, noi torneremo dopodomani. Lavoreremo meglio a Angel’s Manhor…
- Kaede, sei sicuro che vada tutto bene?
- Mm, più o meno...- esitò; raccontare tutto quello che
era successo, avrebbe significato parlare molto, sentì Leyla sbuffare,
lievemente spazientita, sapeva che trovava irritante l’abitudine di farsi
tirare fuori le cose con le pinze. Prese un respiro e continuò - Da quando
siamo arrivati, ho come l’impressione che qualcuno tenti di intrufolarsi nella
mia mente…E Hana dice di sentirsi osservato al castello.
- Hai percepito qualcosa? O qualcuno?
- no, è questo il punto, probabilmente è tutta una…
-D’accordo, se hai
problemi chiamami immediatamente, ok?
- Hn...
- c’è dell’altro? – Leyla lo conosceva fin troppo bene.
- Ecco…c’è una vecchia qui…è cieca, però…- e raccontò
brevemente ciò che era successo il primo giorno e quando aveva trovato Hana,
addormentato sotto l’albero e la visione della affiliazione di Hanamichi, che
aveva avuto nella sala dove c’era il pianoforte.
- Beh, Kaede, prima tornate, meglio è, a questo punto…-
Leyla sentì un campanello d’allarme suonarle nella testa - …vi mando l’aereo
per domani…
Anne alzò lo sguardo su di lei, quando riappese:
- Beh, che hai?
- Leyla...secondo te, che è successo quella notte?. Te lo
ha detto?
- Ad Auteuil? Non lo so...Se, -e quando- sarà pronto, me
ne parlerà lui...
- Ma tu credi che sia...
- ...una faccenda conclusa? Chi lo sa...ho richiesto dalla
casa di Parigi che ci mandino le scatole imballate degli oggetti trovati tra le
macerie...ma dubito che Raoul Montecleve sarà collaborativo...
- ancora quella storia...
Leyla fece un cenno con la mano, facendole capire che non
voleva parlare di quella storia.
- Cerca di trovarmi a chi appartiene questo simbolo.
- posso dirti subito che non è del Clan di Mitja...-
iniziò, ma Leyla la interruppe con un gesto della mano.
- Questo lo sapevo anche io.. ma, per escludere ogni
sospetto, dobbiamo scoprire a chi effettivamente appartiene...
- Il simbolo appartiene a un antico clan di Vampiri, che
abitavano le Steppe russe dai tempi di Pietro il Grande...un Clan che si è
macchiato dei più efferati delitti, nel corso dei secoli...per il predominio
sugli altri Clan…Ora sono dei reietti…ce ne sono pochi di loro, in giro, e sono
molto pericolosi…Ravnjos - rispose Anne.
- come fai a conoscerli così bene?-
- e’ il clan rivale di quello di Dimitrij.
- quello...- Leyla esitò, ma l’altra continuò per lei.
- ...che ha sterminato il mio villaggio e che mi ha rapita
quando ero bambina.
§ § §
Anne guardava quel simbolo, la croce con tre punte
chiuse...Era il risvegliarsi del suo incubo peggiore...Eugenij Ravnjos...forse
la resa dei conti era finalmente giunta, ma c’era una persona che avrebbe
potuto aiutarla e che lei avrebbe voluto vicino in quel momento, ma prima
doveva ottenere il consenso di Leyla…Anche se credeva che Leyla non si sarebbe
opposta...Il padre di Leyla era molto amico del “padre” di Mitja...
Bussò alla porta dello studio.
- Avanti!
Leyla non era alla sua sedia dietro la scrivania, ma
sedeva sulla poltrona di pelle davanti al caminetto spento, era pensierosa e
triste, Anne si sentì stringere il cuore intuendo quelli che dovevano essere i
pensieri di Leyla in quel momento.
- Ti disturbo, Leyla...?
- No, vieni, siedi qui accanto a me...Ricordavo...
Anne si sedette.
- Ricordi la prima volta che ci siamo incontrate?
Anne annuì, riandando con il pensiero a quel lontano
giorno di quasi 10 anni prima, quando lei e Leyla si erano viste.
- io avevo 14 anni e tu quasi 16...eri arrivata da poco
tempo, ma si parlava molto di te; la figlia di Marcus Mayfair...quella che
doveva un giorno succedere alla conduzione della casa...
Leyla represse una smorfia.
- Per anni, ho odiato mio padre e questo posto. – si
guardò intorno -...e poi, come per magia, quando ci ho messo piede per la prima
volta, ho capito di essere a casa.
- quel giorno ero entrata in biblioteca, per cercare un
testo sui Clan di Vampiri e tu eri lì, seduta nel tavolo in fondo, che stavi
leggendo quel libro...non ero mai stata brava con le altre persone, ma con
te...è stato tutto subito facile. Mi hai sorriso e io ho sentito di potermi
fidare...sei una delle poche persona con cui riesca a ridere.
- Anne, ascolta, io vorrei che capissi che quello che sto
facendo, lo faccio per dimostrare che non è stato il clan di Dimitrij...
- Lo so...
- Ho mandato Hanamichi e Kaede apposta, così da essere
certa che tu non avresti tentato di interferire.
- Stai tranquilla, Leyla…non hai bisogno di spiegarmi
nulla.
Leyla sospirò, sentendosi come se uno dei pesi che le
gravavano sull’animo le fosse stato tolto:
- cosa volevi dirmi?
- So chi può aiutarci. – disse piano, senza aggiungere
altro.
- Chiamalo, mi fido ciecamente di te. – Leyla annuì piano.
- Dai, andiamo a dormire, domani abbiamo degli arrivi...-
le disse l’altra, alzandosi in piedi.
- Vai,io aspetto ancora un po’.
Anne non ribatté, sapeva che era inutile con Leyla, ci
aveva provato molte volte a distoglierla da quei ragionamenti...Non era stata
colpa sua, se Derek era morto...eppure, dopo tre anni, continuava a
tormentarsi. Sapeva che la cosa era ben più complessa di così. Nessuno sapeva
molto di quello che era successo in quella grotta e l’indagine del Consiglio
era ancora in corso. Forse, se Leyla non avesse amato Derek di quell’amore così
totale e profondo, il dolore per la sua morte sarebbe stato meno doloroso.
Ricordava, con un brivido di orrore, i mesi seguenti alla morte di Derek. Leyla
era come impazzita, aveva davvero sfiorato il punto di rottura con la realtà e
Anne -più di una volta- aveva temuto che perdesse la ragione...si era attaccata
con pervicacia alla vita, solo per il pensiero di potersi vendicare -un giorno-
del Demone che gli aveva portato via il suo uomo. Una mattina, si era stupita
di vederla uscire, lei, che non si allontanava da mesi, da Angel’s
Manhor...quando era stata di ritorno, le aveva detto di aver trovato un giovane
dalle straordinarie capacità empatiche e che aveva intenzione di chiedergli di
entrare nella Fondazione, insegnandogli come usare il suo straordinario potere.
Sembrava che, con l’arrivo di Kaede e poi di Hanamichi, avesse trovato un nuovo
slancio e dimenticato i suoi propositi di vendetta...però non era così sicura
che avesse accantonato definitivamente quell’intento...Si era chiesta spesso
cosa sarebbe successo, se avesse raggiunto il suo scopo, temeva che quando
questa ragione fosse venuta meno, avrebbe smesso di avere un motivo per andare
avanti. Sospirò, sedendosi sulla poltrona ai piedi del suo letto. Aveva paura,
un vago senso di inquietudine che la attanagliava, come una morsa.
La notte scendeva a velare il mondo. Il cielo di velluto
punteggiato di miriadi di stelle...Era una notte tranquilla e pacifica, in quei
momenti Anne faticava veramente a credere che al mondo ci fosse anche l’altra
faccia...quel lato oscuro, che loro cercavano di combattere ogni giorno con i
loro poteri (doni o maledizioni? dipendeva dai punti di vista...). E con quella
percezione che le era propria dall’infanzia, lei sapeva che una nuova battaglia
si profilava all’orizzonte...e sarebbe stata dolorosa, per molti e non priva di
conseguenze. Sperava che avrebbero saputo superare ciò che si preparava loro...
§ § §
Anne andò incontro ai nuovi arrivati, che stavano posando
le valigie nell’atrio.
-Kimi kun!
-Nina chan…)
Si volse verso l’altro giovane di fianco a lui:
- Hisa chan!
- ciao, Nina...
- Fatto buon viaggio?
- non c’è male, grazie…
- Se volete seguirmi, Leyla ci aspetta nel suo ufficio. Ai
vostri bagagli, penserà James…
Un maggiordomo apparve -come per magia- dietro di loro,
inchinandosi in silenzio..
Arrivarono nell’ufficio di Leyla che era al telefono con
Kaede:
- Sì…ok…guarda: Kogure è appena arrivato, vi aspettiamo,
allora – e dopo aver riappeso, si alzò andando loro incontro:
- Koguresan..-
- Mayfair! – sorrise il giovane con gli occhiali – e’
parecchio tempo che non ci vediamo.
- Già…sono cambiate molte cose, dall’ultima volta… - il
lampo di dolore che le attraversò lo sguardo venne velato dal sorriso e fu così
fugace che Kogure credette di averlo solo immaginato – Sedetevi, faccio portare
un tea. Kaede e Hanamichi stanno arrivando dall’aeroporto, pochi minuti, il
tempo per l’elicottero di arrivare…
- Kaede Rukawa…- Mitsui si sedette di fianco a Kiminobu,
sul divano. – Negli ambienti di The Order, si sente molto parlare di lui, pare
sia straordinario, per le sue capacità.
- …sì, ma in fatto di rapporti umani…- Anne fece una
smorfia, strabuzzando gli occhi.
- Anne!, andiamo, sei ingiusta…- disse Leyla.
- ingiusta? mister cubetto?
Leyla stava per rispondere, quando il lieve bussare alla
porta li interruppe.
Il maggiordomo di poco prima entrò con il vassoio per il
tea:
- Signori,. l’ elicottero è in vista di Angel Manhor –
- Perfetto…allora, tra poco, avremo tutti gli elementi e
potremo farci un’ idea precisa della situazione. –
Qualche minuto dopo, le urla di Hanamichi risuonavano per
tutto il vestibolo.
- Che diavolo sta succedendo…??- disse Leyla, sollevando
il sopraciglio, uscendo dall’ufficio seguita dagli altri.
Si affacciò alla rampa delle scale, trovandosi davanti lo
spettacolo di Hanamichi e Kaede che stavano litigando, o meglio: di Hanamichi
che inveiva contro Kaede e questi che lo osservava a braccia conserte, con
l’aria di chi sta perdendo la pazienza.
Scese le scale a due a due, seguita da Anne e dai i due
nuovi arrivati, giunta in fondo alla rampa chiese:
- Ragazzi, si può sapere che vi prende?
- Dillo al Do’hao…- rispose Kaede, con un cenno della
testa in direzione di Hanamichi.
- Ti ho detto di non chiamarmi Do’hao!
- Hanamichi! Insomma…- il tono di Leyla era calmo e
pacato, ma qualcosa tradiva una nota di autorità che non sfuggì a Kaede, era in
quella fase che precedeva lo scoppio d’ira, ma nonostante questo non poté
trattenersi dal rispondere con superiorità, stuzzicando Hanamichi
- Ti ho sempre chiamato Do’hao…- sbottò, Hanamichi si
voltò di scatto e, dirigendosi verso le scale, si scontrò con la spalla di
Mitsui mentre passava, ignorandolo completamente.
- Ehi...- protestò quello, ma Sakuragi proseguì la sua
strada, senza voltarsi indietro.
Leyla si avvicinò:
- Non è stato un viaggio piacevole, a quanto vedo...
- al solito...- disse Kaede, guardando la schiena di
Hanamichi, era strano da quando lo aveva trovato sotto quell’albero.
- Sei stanco? – gli chiese Leyla.
- Pensavo volessi dare un occhiata al materiale assieme a
me…- propose Kogure.
- Hn, il tempo di una doccia e vi raggiungo. –salì le
scale in silenzio.
§ § §
Hanamichi entrò nella stanza di controllo e vide Kaede,
seduto al tavolo, che parlava con il tipo con gli occhiali e, poco lontano, un
giovane con una cicatrice sul mento che lavorava al portatile della kitsune…
“Non ti hanno aspettato…non ti
ritengono indispensabile.”
Leyla, accorgendosi del suo arrivo, gli si fece incontro
con un sorriso, pareva voler ignorare ciò che era successo poco prima:
- Vieni, Hana…tu ancora non conosci…Kiminobu Kogure e
Hisashi Mitsui.
“Hanno trovato con chi
sostituirti.”
- Ci aiuteranno nelle indagini. Kimi kun è esperto di
vampiri slavi, sai? E Hisashi è il suo collaboratore, sono in forza alla casa
di Praga...- gli spiegò Anne. – Kimi kun era mio compagno di università…
“Visto?! Si vogliono liberare di
te.”
- Hana, stai bene?- la voce di Leyla gli giungeva distorta
e lontana.
“Lui neppure si preoccupa.”
Kaede, che fino a quel momento aveva tenuto la testa china
sul volume davanti a lui, sollevò la testa piantandogli in volto quei suoi
occhi:
“Freddi, distanti, gelidi e….”
- Vuoi concentrarti, Do’hao?! Stiamo perdendo tempo…-
sbuffò, palesemente seccato, senza neppure sapere perché era stato così
tagliente, ma le parole gli erano uscita labbra senza che lui potesse fare a
meno di fermarle. Non voleva ferirlo, ma solo scuoterlo, però...quando vide
Hanamichi arrossire e i suoi occhi nocciola incrinarsi, si rese conto di averlo
ferito, avrebbe voluto aggiungere qualcosa, ma l’altro non gliene dette il
tempo. Scattò in piedi, come se lo avessero sferzato, gridando:
- E’ sempre colpa mia? Io sono un incapace buono a nulla,
vero? Come la storia delle armature nella galleria...o del vaso precolombiano
disintegrato…
E NON CHIAMARMI
DO’HAO!!!! – la sua voce, nel pronunciare l’ultima frase era salita ancora, si
volse verso Leyla. -Non voglio più
lavorare con lui!
- Hana, calmati…per favore, vieni nel mio studio. – tentò
Leyla, lanciando uno sguardo ad Anne, dicendole che poi avrebbe aspettato
spiegazioni, sulla faccenda del vaso...l’altra non poté trattenere un sospiro,
non prometteva nulla di buono quello sguardo…
- no!!…non mi piace come mi trattate…Pensate tutti che io
sia un idiota!! – stava dicendo Hanamichi, guardandoli uno ad uno.
- tu sei un idiota. – puntualizzò Kaede.
- Rukawa, ti prego...- cominciò Leyla.
- mhn.
A quel punto, Hanamichi non ci vide più e si slanciò
contro l’altro, colpendolo alla mascella. Kaede non si aspettava il colpo né la
forza con cui venne scagliato, per cui cadde all’indietro, battendo
pesantemente la spalla sullo spigolo dello scalino dietro di lui.
- Hana! – esclamò Leyla.
Prima ancora che Kaede potesse rialzarsi, l’altro si
lanciò contro di lui immobilizzandolo a terra, e continuando a colpire alla
cieca. Erano più i pugni che andavano a vuoto, che non quelli che centravano il
volto di Kaede che, d’altro canto, evitava di rispondere, o meglio cercava più
che altro di schivare quei colpi disperati, che arrivavano da tutte le parti…
Hisashi e Kogure cercarono di separare i due e, trascinando Hanamichi per le
spalle, riuscirono a toglierlo da sopra Kaede, che si tirò in piedi
massaggiandosi la spalla.
- Rukawa, stai bene?- gli chiese Leyla, avvicinandosi e
osservando il taglio sul sopraciglio.
L’altro non rispose, guardava Hana allontanarsi seguito da
Anne, che cercava di parlargli...quando lo aveva toccato, cercando di
allontanarlo da sé, aveva percepito qualcosa di indefinito e potente, ma non
era solo la rabbia di Hanamichi...
“Lui brucerà
nel fuoco.”
Le parole di quella vecchia gli si stamparono nella mente,
come se stessero vorticando davanti ai suoi occhi.
Anne aveva seguito Hana fin sulla porta della sua camera,
cercando di parlargli:
- Ehi! Hana.. che hai?
- Niente. –bofonchiò quello, camminando spedito lungo il corridoio– Io quello lo odio…
- Come, lo odi?
che ti ha fatto?
- mi considera un idiota e un incapace.
- d’accordo.. Ciccio non è il massimo della cortesia o
gentilezza…
- Tu non lo vedi come mi tratta, come mi guarda, quando mi
parla… -la interruppe, mentre si fermava di fronte alla porta di legno scuro.
- non ti sembra di esagerare?
Ma invece di rispondere, Hanamichi entrò nella sua stanza
e si richiuse la porta alle spalle. Vi si appoggiò, ansimando...aveva la fronte
imperlata di sudore e si sentiva andare a fuoco...forse, una buona dormita gli
avrebbe fatto bene. Si lasciò cadere pesantemente sul letto.
- Sei solo un idiota…
E lui sprofondava nella neve.
Vedeva Julien
e Philippe…
- Loro si amavano, non noi...come
potevi anche solo pensare…
La casa gli stava crollando
addosso…
- tu l’ hai fatta crollare, sei un
incapace…
Quella voce.. quella voce lo
tormentava, era una voce insinuante nella sua mente.
Si riscosse bruscamente…
Vorresti bruciare nel fuoco? Vieni
a me.”
Si lasciò cadere sul letto ansimante…un braccio a coprirsi
lo sguardo. La luce che entrava dalla finestra gli dava fastidio agli occhi,
non riusciva a tenerli aperti. La pelle della fronte scottava e forse aveva la
febbre, si sentiva al gola riarsa dalla sete. Forse non era stata una buona
idea addormentarsi fuori la notte precedente, ma poi.. perché si era
addormentato fuori?
C’era come un vuoto nella sua testa, ripercorse a ritroso
quelle ore…Kaede aveva avuto un incubo…e aveva respinto la sua profferta di
aiuto, e lui era uscito fuori dalla stanza come una furia. Dopo c’era solo un
vuoto, riempito solo da quella voce. Cosa voleva e chi era?
“Ti considerano un peso.”
No, non era vero. Loro erano ciò che più si avvicinava a
una famiglia…Anne, Leyla e Kaede.
“Loro ti reputano un incapace.”
Scosse la testa, cercando di zittire la voce, ma non ci riusciva
e anche se si copriva le orecchie con il cuscino, quella voce continuava a
risuonare nella sua mente come un un’eco in una stanza vuota.
Un viso e due occhi rossi che lo fissavano. Quegli stessi
occhi che lo avevano seguito per tutto il tempo della sua permanenza in
Rutenia. Occhi, da cui si sprigionava un fuoco che lo faceva bruciare. Lo
sentiva, il fuoco sulla sua pelle, un calore insopportabile come una miriade di
spilli incandescenti piantati per tutto il corpo.
“Vuoi bruciare nel fuoco?”
C’erano altri due occhi però, freddi e distanti, me ma che
erano il centro dei suoi pensieri, come qualcosa che lo riportava in sé, che
gli impediva di scivolare via dalla sua mente e di abbandonarsi all’oblio.
C’era una lotta, nella sua testa.
Di nuovo quella voce viscida, insinuante, nella suamente.
La voce non voleva andarsene...e continuava:
“Lui non ha bisogno
di te.”
Avrebbe voluto gridarle di smetterla, di tacere, di non
insinuarsi più nella sua testa, di spegnere quel fuoco che lo stava tormentando...
Si lasciò scivolare per terra mentre il cuore gli
martellava nel petto, battendo dolorosamente, sempre più forte, ma non
abbastanza da coprire il suono di quella voce e il senso delle sue parole:
“A lui non interessa
nulla.
Tu non hai bisogno
di lui.
Il tuo potere è
grande! guarda...”
Una stanza...si guardò in giro: era la cucina di casa sua,
riconosceva la tovaglia di plastica con quei disegni strani che facevano parte
dei ricordi più belli della sua infanzia, quando suo padre era ancora vivo, la
credenza si legno chiaro e le tendine di pizzo alle finestre. Quello non era un
giorno qualsiasi, era il giorno che era tornato a casa da scuola e aveva
trovato sua madre a terra in un lago di sangue, con la faccia martoriata dalle
botte del suo patrigno. Per terra, su sul pavimento, c’erano ancora le macchie
di sangue, dove prima c’era il corpo di sua madre, sentiva ancora l’eco delle
sirene dell’ambulanza perdersi in lontananza, nella sua corsa disperata e
inutile verso l’ospedale.
...Non voleva ricordare, non quel giorno...Aveva paura di
ricordare...non voleva ricordare perché...
“Ammira il potere
del fuoco.”
Vide sé stesso alzarsi in piedi, fronteggiare il suo
patrigno protendendo la mano, nello stesso momento in cui l’altro alzava il
pugno per colpirlo. Vide il suo volto distorcersi in un ghigno terrificante di
odio e furore mentre, nella sua mente, si ripeteva come una nenia ‘ti odio,
ti odio, ti odio, ti odio’. Vide
nella sua testa formarsi l’immagine dell’arteria pulsante, vide il sangue
scorrervi, e la parete lacerarsi al suo comando, come un semplice schiocco
delle dita, mentre quel potere e quel calore -che già altre volte aveva
sentito- si propagava da lui. E mentre il suo patrigno si accasciava a terra
rantolando e il sangue si riversava come un fiume nella cavità del suo
cervello, sentì la sua voce uscire secca dura e soddisfatta:
- Perfetto.
E nella sua mente riecheggiare
ancora quella voce:
“Questo è il tuo potere.”
Si alzò dal letto uscendo dalla stanza, voleva correre
via, lasciare quel posto, quella voce, quel ricordo...Era stato lui? Era stato
davvero lui, ad uccidere il suo patrigno? Quel potere era davvero suo? ...lui..
poteva uccidere?
Urlò, mentre si slanciava contro gli specchi, colpendo
alla cieca, cercando di cancellare quel dolore e quel vuoto della sua
mente...chi era, lui? Chi era –davvero- lui?
§ § §
Kaede aveva la netta sensazione che ci fosse qualcuno
nella stanza, ma non riusciva ad identificare la presenza…aveva gli occhi
chiusi, ma non riusciva ad aprirli…sentì una presenza cercare di insinuarsi
nella sua mente…sollevò istintivamente la barriera e la sentì ritrarsi…Provò ad
alzarsi dal letto, voleva svegliarsi…Sentì un profumo…i capelli di Hana avevano
questo profumo…allora c’era lui, nella stanza? Carezze lievi, leggere, sulla
sua pelle, sotto la camicia….mentre piano le dita scendevano a slacciare i
bottoni.
Si alzò di scatto dal letto, guardandosi attorno…non c’era
nessuno…eppure, sul cuscino accanto al suo, c’era ancora la forma di una
testa…si chinò, sfregando inconsciamente la guancia contro il cotone ruvido…il
profumo di Hanamichi…i primi tre bottoni della camicia erano slacciati.
Andò alla porta e la spalancò, ma il corridoio era
deserto, lo percorse in tutta la sua lunghezza, ma niente, non c’era traccia di
nessuno. Hanamichi dormiva in fondo al corridoio, dopo la curva che questo
faceva. C’erano qualcosa come 500 o 600 passi tra loro. Scosse la testa
sbuffando, questa era come la storia dei gradini nella casa di Auteuil, dopo
che Hanamichi era rotolato giù dalla scala. Perché doveva sempre calcolare la
distanza che lo separava da quell’idiota dai capelli rossi? Era sempre e
comunque nella sua area di azione, non era mai molto lontano da dove si trovava
lui e questo –stranamente- non era poi così fastidioso come poteva pensare...
Si diresse verso lo studio di Leyla…Bussò due volte,
aspettando una risposta che non venne, aprì uno spiraglio e gettò dentro la
testa.
Leyla sedeva sulla poltrona davanti al caminetto, il capo
posato su una mano e lo sguardo assorto nelle fiamme del focolare. Una musica
soffusa aleggiava nella stanza e un bicchiere panciuto, con del liquido
ambrato, era posato sul tavolino, accanato alla poltrona.
- Leyla…- la chiamò incerto, notando la sua aria quasi
assente.
- Oh, Kaede, entra…- lei sussultò, facendogli segno di
entrare. - Problemi?
- no…cioè, sì si…- sbuffò.
Lei gli sorrise, facendogli segno
di sedersi accanto a lei, sull’altra poltrona:
- vuoi qualcosa da bere? – chiese, allungando la mano
inguantata verso il campanello d’argento.
- Dimitrij...chi è? – chiese lui, scuotendo la testa e
venendo subito al punto.
- Stai diventando bravo, Rukawa. – il sorriso di Leyla si
allargò, mentre si scostava una ciocca di capelli dal viso.
- Non volevo…- cercò di giustificarsi. Lui sapeva che non
era stato corretto, quello che aveva fatto, leggere nella mente di Leyla mentre
lei aveva le difese abbassate.
- Lascia stare… - fece un gesto con la mano - Dimitrij è,
come dire…
- Anne ha un amante vampiro??!! – esclamò, mentre la
realtà della cosa gli si rivelava davanti e i tasselli andavano a posto da
soli, ad incastro perfetto.
- Accidenti, Rukawa, se non ti fai sentire fino a
Divisadero Street, magari…- Leyla sussultò del tono di voce di Kaede. Pareva
sorpreso, non scandalizzato. Meglio così, non ci sarebbero stati problemi o,
almeno, lo sperava. In quel momento, avevano bisogno di tutto l’aiuto
possibile, la situazione era critica e a lei occorreva tutto l’appoggio dei
suoi collaboratori. Restava da vedere cosa ne avrebbero pensato Kogure e
Mitsui...
- Da quanto va avanti…?
- Beh, non è una storia semplice, e non spetta a me…tu,
piuttosto, dimmi: che ci fai qui?
- mi sono svegliato…
- mm…da quando soffri d’insonnia?
- Hana…
- che c’è??…
- ...-
Leyla lo guardò, sollevando il sopraciglio senza dire
nulla, non stava a lei porre domande, ora.
- Non guardarmi così…
- così, come?
- Hn, lo sai…
- Come ti guarderebbe Anne?
- Hn. – sbuffò, roteando gli occhi.
- Dimmi: cosa c’è? – lo incoraggiò lei, cercando di
trattenere un sorriso. Sapeva che per Kaede era difficile parlare, e
soprattutto quando l’argomento riguardava sé stesso, in relazione con
Hanamichi.
- Gli incubi…sono ricominciati, e poi il Do’hao
- Lo so, si comporta in modo strano…Sembra quasi che sia
convinto che tu -o noi tutti- lo riteniamo un incapace…anzi, soprattutto tu…
- Già…
- e’ successo qualcosa, in Rutenia?
- No…
- Avete litigato…?
- no.
- …e’ successo qualcosa di insolito, allora...Oltre alla
vecchia cieca?
- L’ho solo allontanato, quando ho avuto un incubo..
- Ah, già! gli incubi…ancora non ricordi nulla, al
risveglio?
Scosse la testa portandosi una mano alla fronte, senza
rispondere.
- e Hana cosa ha fatto, quando lo hai allontanato?…
- E’ rimasto fuori tutta la notte, ma non è solo quello...
- che vuoi dire? – il campanello nella mente di Leyla
riprese a trillare...c’era qualcosa, lo aveva sempre saputo, ma era come un
pensiero sfuggente che le scivolava via, prima che potesse fermarlo.
- Oggi, quando mi ha preso a pugni...ero senza guanti e ho
percepito il suo potere...
- come, percepito? Lo stava usando? – Leyla gli piantò i
suoi occhi verdi in viso.
- no, ma è come se qualcosa lo stesse risvegliando.
- dannazione...
- Leyla...cosa è Hanamichi?
- non lo so, Kaede, non lo so.
Leyla rimase a guardare la porta da cui era uscito Kaede,
quando Anne fece capolino da dietro l’altra porta.
- Moi? Quando mai…passavo per proporti una tazza di tea e
non ho voluto disturbare…
Leyla le lanciò uno sguardo scettico senza replicare e
l’altra proseguì:
- Ascolta, Leyla…se Kaede dovesse farti altre domande
riguardo a me…beh, ecco…diglielo.
- Sei sicura?
Si strinse nelle spalle:
- io non glielo direi mai, ma tu sei la persona adatta,
sempre meglio che non lo scopra in altro modo.
- Lo hai contattato?
- Sarà qui domani...
- Bene. – annuì Leyla, fissando le fiamme nel caminetto
con aria assorta.
- non vai a dormire?
- Tra un po’...- disse, con un gesto vago.
Anne si avvicinò, chinandosi accanto a lei e posandole una
mano sul braccio:
- Le...devi smetterla di tormentarti...– azzardò e,
vedendo che l’altra non rispondeva, continuò: – devi dimenticare il passato.
Leyla si voltò verso di lei:
- Tu ci riesci?
Le due donne si guardarono negli occhi, senza aggiungere
altro. Restarono così, in silenzio, una accanto all’altra a osservare i resti
del fuoco morire e la penombra avvolgere la stanza…
Kaede camminava per il corridoio, perso nei pensieri che
la sensazione di Hanamichi, sdraiato accanto a lui, aveva risvegliato…ma era
poi Hanamichi o un’illusione della sua mente? Scosse la testa, mentre frammenti
di un altro sogno gli tornavano alla mente…Sogno? A volte dubitava che fosse
stato un sogno…la sensazione della pelle di Hanamichi era così reale, quella
volta, possibile che fosse stata solo una visione? A volte, quando Hana era
accanto a lui, era preso dal desiderio di allungare una mano e sfiorare la
pelle del collo, solo per convincersi che non poteva essere successo davvero...
Cosa era stato –inizialmente- ad averlo attirato in lui?
Sicuramente, il fatto di essergli così complementare, completamente
all’opposto, tanto da sembrare la perfetta metà. In questo, Leyla aveva
ragione. Tuttavia, non riusciva a comprendere fino in fondo il suo modo di
fare, quella sua inutile allegria. Come poteva sprigionare tutto quel fuoco,
quella sicurezza, l'impetuosità che riusciva a coinvolgere perfino lui,
scalfendo quella barriera di imperturbabilità che era la sua difesa da tutto e
da tutti? Prima di incontrarlo, a volte, si era fatto paura da solo: nulla
riusciva a coinvolgerlo, a fargli provare delle emozioni, dei sentimenti. Solo
quando li percepiva, assorbendoli come una spugna, sentiva quanto intensi essi
potessero essere.Tentava invano di
interessarsi a qualcosa, ma era come andare contro sé stesso: tutto gli
scivolava addosso, senza che trovasse modo di trattenerlo, era in grado solo di
osservare la sua totale indifferenza, come se riguardasse un'altra persona,
come ogni volta che usava il suo potere, e talvolta aveva l’impressione che,
più lo usava più si annullava, cancellando ciò che c’era in lui di umano, fino
a diventare un guscio vuoto. Non gli importava di ciò che potevano pensare, del
suo atteggiamento, gli altri: no, non era affatto questo il problema...Si
struggeva solamente poiché si accorgeva che, quei sentimenti che avrebbe voluto
con tutto sé stesso comprendere e provare, gli si riflettevano addosso senza
potersi mai veramente impadronire di lui. Certo, da una parte tutto questo
implicava il fatto che lui non dipendesse da nessuno...Che non si legasse a
nessuno...Che non soffrisse per nessuno. Forse il suo animo era ancora troppo
ottenebrato dalle ferite che gli erano state inferte. Ferite nascoste dietro
quel muro bianco che sigillava la sua memoria, per esporsi di nuovo ad altre
possibili cicatrici...Ma finché non fosse riuscito a farsi coinvolgere da
qualcosa che lo riscuotesse, se ne rendeva conto, non ce l'avrebbe mai fatta a
liberarsi del passato. Era servita la vicinanza Hanamichi, per fargli
comprendere questo...
Certo, lo desiderava, ed era una cosa che aveva cominciato
a sentire ben prima di Auteuil, voleva che la sua impetuosità, quei sorrisi
-che prodigava con tanta facilità- fossero riservati solo a lui. Era geloso del
tempo che passava con il suo amico Yohei in città, lo aveva invitato -qualche
volta- ad andare con lui, ma aveva sempre rifiutato, d’altronde lo sapeva
benissimo come si sarebbe sentito, in quelle occasioni. Si rendeva conto che i
sorrisi e le spacconate di Hanamichi erano diventate le uniche cose in grado di
scuoterlo, di farlo sentire vivo. Era irrazionalmente geloso di quanto
concedeva a tutti, ma negava a lui. Lo sapeva benissimo che il rossino evitava
di coinvolgerlo, perché lui lo respingeva...ma era un circolo vizioso. Lo
impauriva, la costanza con cui quella voce, quella risata, quello sguardo caldo
e colmo di domanda inespresse comparivano nei suoi pensieri! Nei suoi sogni.
Dopo così tanto tempo, finalmente, gli incubi da cui si risvegliava ansante e
frustrato dalla mancanza di ricordi o elementi, per risalire a un qualcosa che
lo portasse ad avvicinarsi alla verità su se stesso, erano stati sostituiti da
quei sogni su Hanamichi. Un' ossessione, per liberarsi. E questa era proprio
senza uscita: talvolta lo scopriva intento fissarlo e percepiva la sua stessa
confusione, i suoi stessi dubbi...era un inconveniente della sua capacità…Lui
soffriva, perché era sicuro che lo odiasse, che lo reputasse un idiota, ma non
sapeva fare altro, non sapeva come cambiare le cose, né come comportarsi
diversamente con lui...
Un rumore di vetri infranti attrasse la sua attenzione e
si precipitò verso la galleria ovest. Ciò che vide, quando arrivò, lo lasciò
senza fiato. Hana era seduto in mezzo ai frammenti di vetro, le mani e i piedi
sanguinanti, gli occhi vacui e persi chissà dove, la loro luminosità pareva
spenta. Kaede si fermò a pochi passi da lui, guardandolo boccheggiando:
- Hanamichi…
- Stai lontano, Kitsune…- gli ingiunse con voce fredda,
alzandosi in piedi e avvicinandosi ad un altro specchio.
Alle sue spalle, sentì arrivare Leyla, la vide con la coda
dell’occhio portarsi una mano al volto, cercando di trattenere il gemito di
orrore, Anne era dietro di lei.
Leyla si avvicinò, parlandogli con dolcezza.
- Hana, che c’è?
- non se ne vuole andare dalla mia testa…-
- chi, Hana…??
- La voce…mi tormenta..
- che voce, caro…?
- non chiamarmi ‘caro’!!…- afferrò una scheggia di vetro,
stringendola, mentre il sangue colava tra le dita, la sua voce era dura.
- Che voce, Hana…??- ripeté Leyla, scambiando un’occhiata
con Anne.
- quella che è dentro la mia testa...dice che...io uccido.
Si avvicinò la mano alla tempia lasciandovi una traccia di
sangue, che si confuse con il colore dei suoi capelli.
Leyla sussultò, mentre scambiava un altro sguardo con
Anne.
- Hana…- Kaede cercò ancora di avvicinarsi, incurante
dell’occhiata che le due donne si erano appena lanciate, ciò che lo preoccupava
era Hanamichi, con in mano quella scheggia di vetro.
- Tu!Sta’ lontano….tu non mi sopporti, ha ragione la voce,
mi consideri un idiota…
Leyla gli fece segno di non avvicinarsi troppo, ma di
continuare a parlare.
“ è posseduto da
qualcosa, cerca di farlo tornare in sé.”
- Hana, io non ti considero un idiota…
- dobbiamo allontanarlo da lì, con tutti quei vetri… –
disse Leyla, in direzione di Anne.
Hanamichi grugnì e colpì con un pugno lo specchio che
aveva davanti, alcune schegge lo ferirono in viso. Nel momento in cui alzava le
braccia per ripararsi, il volto Kaede si slanciò in avanti, afferrandolo per la
vita, e facendolo rotolare lontano dai vetri. Si sedette a terra, tenendo il
rossino stretto a sé, osservando le sue condizioni: aveva tagli dappertutto:
sulle mani, sulle braccia, un taglio profondo spaccava il sopraciglio da cui
fuoriusciva abbondante del sangue. Vide con la coda dell’occhio arrivare in
pigiama Kogure e Hisashi. Hanamichi si dibatteva, ma lui lo strinse a sé,
cercando di comunicargli con quel gesto tutto il calore che non era in grado di
dimostrargli con le parole.
- Lasciami…- si divincolò, dapprima rabbiosamente, ma
qualcosa nell’abbraccio di Kaede lo faceva sentire sicuro e protetto, lì la
voce che lo tormentava pareva non arrivare e quegli occhi, che lo guardavano,
non erano più freddi e distanti, ma caldi e preoccupati. Conservando
gelosamente quella immagine, lasciò che le tenebre lo avvolgessero...
§ § §
Seduto sulla poltrona, guardava Hanamichi dormire…Il suo
sonno era agitato, popolato da incubi, lo vedeva agitarsi scompostamente e muovere
le labbra riarse, da cui però non uscivano parole, ma solo suoni inarticolati.
Leyla entrò, portando una coperta:
- Ho pensato che volessi restargli accanto.
- Hn.
Sorridendo, Leyla gli mise la coperta addosso e fece per
uscire, quando la voce di Kaede la fermò:
- vorrei delle risposte…
Lei tornò indietro e si accomodò sull’altra poltrona,
accavallando le gambe e guardandolo fisso:
- dimmi pure.
- Chi è Dimitrij?…
- Come avrai già intuito, Dimitrij è il compagno di Anne…
- Un vampiro?
- Anne è stata cresciuta dal suo Clan…L’anziano del Clan,
il padre di Mitja, l’affidò a mio padre, quando si rese conto del legame che
stava nascendo tra loro.
- Anne è…
- No, lei era stata vittima di una razzia di un altro Clan
di vampiri e loro l’avevano liberata…
- Cosa c’entra Dimitrij, con tutto questo?!
- E’ da un paio di mesi che si ritrovano cadaveri, in case
sparse per il mondo, tutti come in Rutenia. Stesso cerimoniale. Stessi segni.
Stessa dinamica.Le indagini delle altre Case hanno portato alla conclusione che
il Clan di Dimitrij c’entri in qualche modo. Ho fatto domanda di poter
coordinare le indagini. Se non altro, per impedire che Anne si cacciasse nei
guai.
- Il Consiglio sa…
- Non ufficialmente, certo, ma credo che nessuno
dimentichi la provenienza di Anne. Ho gli occhi puntati addosso.
- Tanto per cambiare…
Si strinse nelle spalle:
- Ci sono abituata…e la cosa non mi pesa più tanto, ormai.
- Perché hai mandato noi?
- Davvero, devo spiegarti? Anne si fida di voi, se avessi
mandato qualcun altro, sicuramente si sarebbe intromessa nelle indagini,
rischiando molto.
- ma perché adesso? Perché in quella casa…
- Perché le indagini stavano portando al Clan di Dimitrij
e io temevo un gesto avventato di Anne.
Rukawa rimase qualche minuto in silenzio, riflettendo su
quanto Leyla le gli aveva appena detto, la cosa era sconcertante.
- dov’è, ora, Anne?
- e’ andata a prendere Dimitrij…
- collaborerai con lui?
- mi fido di lui, come mio padre si fidava dell’anziano.
- Ma il Consiglio?
- Per loro, l’importante sono i risultati, poco importa i
mezzi con cui ci si arriva. – Leyla si strinse nelle spalle. - E poi, una
regola infranta in più -o in meno- che vuoi che importi…?? me le segneranno
tutte sul conto.
Guardò Hanamichi che si agitava nel sonno, parole senza senso
gli uscivano dalle labbra riarse, ciocche di capelli erano sparse sulla sua
fronte, istintivamente si allungò verso di lui per scostarle…Quando tornò a
sedersi, incrociò lo sguardo di Leyla, ma l’altra non mutò espressione:
- Hai sentito che ha detto, no? – disse, per sciogliere
quel silenzio.
Leyla annuì:
- Ha ricordato ciò che successe con il suo patrigno.
- E ora?
- speriamo sia forte per affrontarlo.
Kaede si volse a guardarlo ancora una volta, pareva
sereno, o almeno così sembrava, ma c’era quella ruga nel mezzo della
fronte...Stava sognando e non era tanto sicuro che fosse un sogno tranquillo.
Se solo avesse potuto aiutarlo, ma non aveva idea di come fare…
- Parlami della visione…
E lui, senza staccare gli occhi dal volto di Hanamichi,
raccontò ciò che aveva visto in quella casa, descrivendo minuziosamente il
vampiro che aveva morso Hana.
Leyla lo guardava, ascoltando in silenzio...sapeva
benissimo chi era quel vampiro. Lo aveva visto nelle mente di Anne tante volte,
quando ricordava il mostro che l’ aveva rapita da bambina:
- Eugenij Ravnjos...allora c’è lui, dietro queste stragi.
- chi è?
- una vecchia conoscenza di Anne e Dimitrij.
- NOOOOOOOOOO!!!
L’urlo di Hanamichi li fece sussultare: sedeva sul letto,
le braccia protese, il petto ansante, lo sguardo assente. Rukawa si sedette al
suo fianco chiamandolo piano, l’altro non si svegliò, ma la voce di Rukawa
parve avere un effetto rassicurante, si aggrappò alle sue spalle, lasciandosi
cullare.
- Secondo te, cosa è successo?
- non lo so…da quello che ha detto, sembra posseduto, ma
da cosa? – guardò l’orologio da polso – se solo Anne arrivasse con Dimitrij…Tu
resta con lui, a quanto pare, la tua vicinanza lo rassicura.
- Salvo poi essere la vittima del suo odio…
- già, ma quando è incosciente, no…evidentemente, sei un
appiglio e forse l’unico, in grado di portarlo fuori da quell’incubo, qualunque
esso sia...
Aprì gli occhi e
soffocò un gemito, Kaede sopra di lui, la camicia leggermente aperta a lasciare
la pelle candida ed eterea esposta alle carezze dei raggi del sole, che
entravano dalla finestra. Osservò la linea del collo che scendeva fino alle
scapole. Allungò la mano a sfiorare quella pelle, come avrebbe voluto fare
quella volta che lo aveva guardato dormire ad Auteuil.
Era tiepida e
liscia, un tepore piacevole che si irradiava a tutta la sua mano e si propagava
piano piano a tutto il braccio.
Senza che se ne
rendesse conto, chiuse gli occhi.
Guardami!
Guarda me..
La voce di Kaede
pressante, urgente…un tono di desiderio, misto ad ansia e paura.
Aprì di nuovo gli
occhi, non erano nella sua camera, no, erano nella camera di Auteuil, stesi
davanti al caminetto, incrociò lo sguardo di Kaede che lo incatenò.
Non fermarti.
La scena si dissolse
piano, come era arrivata e anche Kaede sparì…
Cercava di non
ascoltare quei ricordi, quelle immagini, quelle sensazioni, il piacere che lo
invadeva ad ondate, mentre la coscienza di ciò che era successo ad Auteuil,
quell’ultima notte, gli si rivelava davanti, come un velo che si squarcia...
“A lui non importa
nulla di te.
Lo ha fatto, perché eravate
posseduti.”
Sentenziò quella voce gelida.
“Dimmi, vuoi bruciare nel fuoco?”
“Sì.”
Kaede doveva essersi addormentato, perché si scosse
bruscamente quando percepì un brusco cambiamento nell’aria della stanza. Nel
momento stesso in cui apriva gli occhi, sentì il rumore del vetro della
finestra andare in frantumi...e una figura -avvolta in un pesante mantello
scuro- entrò, atterrando senza un rumore sul pesante tappeto che ricopriva il pavimento.
L’oscurità era palpabile attorno a lui e una leggera
nebbiolina avvolgeva tutto, penetrandogli, gelida, nelle ossa.
Cercò di reagire, ma quello lo bloccò sulla poltrona,
rivolgendogli un sorriso leggero:
- non puoi fare nulla, per fermarmi...- la sua voce era
roca e pastosa, indicò Hanamichi – lui mi ha chiamato...Lui vuole bruciare nel
fuoco...
Kaede vide con orrore Hanamichi svegliarsi e alzarsi dal
letto, mentre il vampiro lo aspettava, fermo, nello stesso punto dove era
entrato:
- Vieni...ti mostrerò il potere del fuoco...
Il corpo di Hanamichi si abbandonò languidamente tra le
braccia di quell’uomo, che si chinò sul suo collo…Liberò le proprie emozioni,
indirizzandole verso Leyla, sperando in cuor suo che fosse in ascolto. Non
riusciva a muoversi, né a parlare. Il vampiro si volse a guardarlo, mentre
scavalcava la finestra portando con sé il corpo di Hana:
- Credo ci rivedremo presto...
Appena il vampiro saltò giù dalla finestra, lui si sentì
libero dalla costrizione che fino a poco prima lo aveva incatenato alla
sedia...
Si slanciò fuori dalla camera, precipitandosi a rotta di
collo verso le scale, chiamando disperatamente Leyla...perché i sensori non
avevano funzionato? Perché Eugenij Ravnjos era riuscito ad entrare?
“Lui mi ha
chiamato...”
- Dannazione!! – imprecò tra i denti.
Il giardino era avvolto da una leggere nebbiolina
gelida,non era lontano, percepiva ancora la presenza di Hana, erano lì, da
qualche parte...Una folata di vento scostò la nebbia davanti ai suoi occhi e lo
vide...
Era addossato al piedistallo della statua dell’Angelo,
mentre il vampiro era chino su di lui e si stava nutrendo...
Era -per la prima volta- incerto sul da farsi. Slanciarsi
verso il vampiro o aspettare che gli altri lo raggiungessero??…si rendeva conto
di essere indifeso, di non avere le armi, né le capacità necessarie per
affrontare un essere del genere.
L’uomo in quel momento sollevò la testa, anche da quella
distanza, vide le labbra di Hanamichi muoversi in un ansito di disappunto...
Fu quello, che lo fece slanciare in avanti, mentre il suo
cuore urlava disperato…non vedeva nulla, udì solo la risata del vampiro che
bloccò la sua corsa con un annoiato gesto della mano.
- Lo rivorresti, vero? – gli porgeva il corpo di
Hanamichi, pallido, esangue, tenendolo senza sforzo per il colletto della
camicia.
Percepì la presenza di Leyla alle sue spalle.
“Ru, mantieni la calma.”“
Ignorò l’ingiunzione mentale di Leyla, nella sua mente
c’era solo la visione di Hanamichi tra le braccia di quel vampiro e la
possibilità che…Lo sentiva, sentiva il suo cuore battere sempre più
lieve…un’eco lontana…
Cercò di muoversi ancora..il vampiro sollevò il capo,
percependo la presenza degli altri.
- ….lascialo e dicci cosa vuoi…
Un sinistro sorriso piegò le labbra del vampiro, su cui
restava un’ombra del sangue di Sakuragi.
- Avrei potuto farlo…ma ora…- si chinò sul collo si Hana,
leccando le piccole ferite sulla vena pulsante, Rukawa strinse convulsamente le
mani vedendolo gemere - Lui è molto vulnerabile, la mia preda ideale, così
innocente, insicuro, pieno di voglia di considerazione…- il vampiro li guardò
tutti e i suoi occhi, freddi come l’acciaio, si fermarono su Rukawa – ma
soprattutto da te…un tuo sguardo, una parola, sarebbero tutto per lui, come un
assettato nel deserto che anela alla fresca acqua, in grado di lenire l’arsura
della sua gola. L’ho chiamato a me proprio per questo, era il più debole tra
voi due…Tu mi hai facilitato le cose, ferendolo con la tua
freddezza…Allontanandolo da te quella notte, lo hai gettato tra le mie braccia.
- Lascialo…
- Sai, sei monotona Mayfair, proprio come tuo padre…
Rukawa, disperato, approfittando di quell’attimo di
distrazione si lanciò verso i due, ma l’altro lo respinse con un gesto della
mano, mandandolo ad atterrare pesantemente vicino a Leyla.
- Kaede…
- Hn. – scosse le spalle, rialzandosi…
Leyla si accorse che stringeva i pugni convulsamente, e
questo, oltre a una impercettibile contrattura della mascella, tradiva tutto il
nervosismo di Rukawa.
Anne arrivò in quel momento e si mise accanto a Leyla,
cercando di celare la sua presenza a Ravnjos.
“questo, irriterà il Consiglio.”
“già! Un’Intrusione e una Contaminazione…dobbiamo
risolvere la situazione in fretta e senza danni ulteriori ad Hana.”
“La situazione è così critica, dunque?”
“Non sappiamo quanto sia stato condizionato dal
vampiro.”
“Leyla, tu..”
“Dobbiamo prepararci al peggio.”
Il mostro li osservava uno ad uno:
- Adesso mi dovete scusare, ma devo abbandonare questa
piacevole compagnia. Dite a Mitja che lo saluto, sono sicuro che ci rivedremo
presto. – il suo sguardo si fermò di nuovo su Rukawa…il giovane percepì
chiaramente il tentativo di un’intrusione nella sua mente. – Non ti
preoccupare, avrò buona cura di lui!!
Si sollevo piano, stringendo a sé Hanamichi sempre
incosciente, cominciando a ridere.
Rukawa, vedendolo scomparire, fece per slanciarsi, ma
qualcuno lo bloccò per le spalle. Cercò di divincolarsi, ma quelle mani -che lo
artigliavano- parevano avere una morsa d’acciaio…
- Kaede! – la voce di Leyla era ferma e decisa, come la
sua presa. – cosa vorresti fare?
Scrollò le spalle rimanendo lì, fermo, a fissare il punto
dove quel vampiro era sparito, portando Hana con sé, mentre un vuoto lacerante
si apriva piano nel suo cuore…
Si girò, passando accanto a Leyla e agli altri senza
minimamente mostrare alcuna reazione, rientrò in casa, nell’atrio -ai piedi
delle scale- trovò Dimitrij, lo superò senza degnarlo di uno sguardo.
§ § §
Kiminobu entrò nello studio di Leyla, senza aspettare
l’invito ad entrare. La situazione era talmente critica, da permettere di
sorvolare su certi formalismi:
- Leyla, ho scoperto….– le parole gli morirono in gola,
trovandosi davanti un uomo alto, longilineo, con i capelli chiari che parevano
assorbire la luce del sole dietro le sue spalle.
- Lui... – balbettò, lasciando cadere i fogli che aveva in
mano.
Anne entrò in quel momento dietro di lui, seguito da
Hisashi e soffocò uno sbuffo tra lo scocciato e il divertito, scambiando un’
occhiata con Leyla.
- succede sempre così…
Mitsui si avvicinò:
- Ehi!! Kimichan, che succede?
- Lui è….il Master….
- Chi?
Anne si fece avanti:
- Dimitrij, Master del Clan Tzimiscje, discendente diretto
di Vlad Tepes.
- un vampiro?-esclamò Hisashi, reagendo d’istinto e preparandosi ad attaccarlo.
- ehm, Hisachan…lui è il mio compagno, per cui vedi di
andarci piano, OK? – sbottò Anne, mettendosi davanti a Mitsui e guardandolo con
gli occhi stretti.
Leyla si fece avanti. Era venuto il momento di mettere le
carte in tavola:
- Capisco che, per voi, possa essere un po’
sconcertante…Ora, io non vi obbligo a restare…Mio padre si era sempre
considerato amico del padre di Mitja…e io ritengo di potermi fidare…non solo
per il legame con Anne…Resta il fatto che, voi, non siete obbligati a
condividere la mia posizione e siete liberi di andarvene quando volete.
Sappiamo chi è l’ essere che ha rapito Hana...Eugenij Ravnjos.
Kogure sussultò:
- ma in quel Clan sono reietti...non…
- Vero. Però è stato lui, ieri sera, a rapire Hanamichi...
- su questo, non ci sono dubbi...- osservò Anne.
Leyla le posò una mano sul braccio:
- Ascoltate: io non ho ancora avvisato il Consiglio di
quanto successo. Vorrei provare a risolvere la cosa, prima...- guardò
l’orologio sulla sua scrivania – ci vedremo qui tra un un’ora...voi avrete il
tempo di pensare alla faccenda e prendere la vostra decisione...
Si avvicinò alla porta e, fermandosi un istante, disse:
- Anne, io vado da Kaede...se c’è qualche problema
chiamami, ok?
Galleggiava in un
buio ovattato, cercando di emergere dalle tenebre che lo avvolgevano stretto.
Volti voci rumori
vorticavano attorno a lui…
Dov’era? Aveva
freddo, era come se una morsa di ghiaccio lo imprigionasse.
Aprì gli occhi
piano, una luce azzurrognola filtrava dalla finestra…Non ricordava dove
fosse…si guardò in giro, quella non era la sua camera, anche se non rammentava
dove fosse. Si alzò dalla brandina di legno che fungeva da letto…era in una
stanza circolare…
Si affacciò alla
piccola finestrella con le grate.
Sotto di lui, una
distesa di neve sconfinata…che si perdeva all’orizzonte…Il suo luminoso candore
gli feriva gli occhi…Non ricordava nulla di quello che era successo…né aveva
idea di dove si trovasse.
Urlò, quando sentì i
denti di Eugenij affondare nella sua carne.
Sentiva il battito
del cuore rimbombargli nelle orecchie.
La neve -sotto di
lui- era gelata.
La vista gli si
annebbiò lentamente, mentre le immagini nella sua mente cominciarono a
svanire…Vide le nuvole correre attraverso il cielo, coprire il sole, la luna e
le stelle.
Vide due occhi blu,
che lo fissavano da un punto lontano...sapeva
che doveva
aggrapparsi ad essi,
doveva farlo a tutti
i costi, ma si sentiva trascinato via,
come il suo sangue
che usciva dalle sue vene, per riversarsi nella bocca avida del vampiro.
gGli occhi, piano,
si affievolirono, andando via via scomparendo, mentre anche la sua volontà si
faceva sempre più debole.
Non sapeva dire
quanto tempo fosse passato.
- mio demonio dai
capelli rossi…- una voce roca, accanto al suo orecchio…- vieni! – gli porse la
mano fredda come il suo fiato.
Gli occhi blu erano
ormai un ricordo lontano, ora c’erano gli occhi del suo signore:
Azzurri e cerchiati
di rosso.
Leyla uscì dalla stanza di Kaede, richiudendosi la porta
alle spalle. Lasciandovisi andare contro con la schiena, con un sospiro
profondo. Vedere il dolore muto di Kaede le faceva male al cuore. Aveva passato
l’ora precedente seduta nella sua stanza, mentre lui stava fermo davanti alla
finestra, appoggiato alla cornice di pietra, un ginocchio piegato e le braccia
incrociate al petto. Muto, immobile e silenzioso.
- Lo ritroveremo.
- Hn.
Questo era stato l’unico scambio di parole tra loro,
null’altro. Nel resto del tempo, aveva aspettato che lui parlasse, dicesse qualcosa,
ma nulla tradiva ciò che si agitava dietro quella maschera che aveva indossato.
Pareva tornato il Kaede di tre anni prima…Lo rivedeva ancora: i primi tempi,
aggirarsi per i corridoi di quella casa, quando era arrivato Hanamichi, Kaede
aveva cominciato a reagire,. Se non altro, l’altro -per quanto si lamentasse
del fatto che Rukawa lo ignorava sistematicamente- era l’unico che riusciva a
scuoterlo…Ora, invece…E questo riapriva ferite mai rimarginate, anche nel suo
cuore…
Avrebbe dovuto raggiungere Anne, ma invece si incamminò
nell’ala ovest della casa…. Si sentiva stanca, aveva bisogno di recuperare un
momento, prima di raggiungere Anne e Dimitrij, che la stavano aspettando nel
suo ufficio.
Si fermo davanti a una porta di legno massiccio…Sospirò,
prima di girare la maniglia e entrare..
La camera era avvolta nella penombra e un vago sentore di
tabacco vi aleggiava ancora. Nulla era cambiato, da allora. Lei aveva voluto
che restasse così…sembrava solo in attesa che il suo occupante dovesse tornate
da un momento all’altro.
Quando Derek era morto, aveva pianto, disperandosi fino a
consumarsi...Aveva pregato il consiglio di utilizzare le tecniche di magia per
riportarlo in vita, di permetterle di rievocare i vecchi incantesimi sui libri
polverosi che giacevano nei sotterranei della Casa Madre di Londra...aveva
imprecato, pianto, urlato, contro Colui che aveva ucciso l’uomo della sua
vita...La persona che più di tutti aveva saputo comprenderla e amarla, e senza
la quale la sua vita non aveva più senso.
Derek era morto e lei era morta con lui. La sua vita, da
allora in poi, era stata come il cammino di un’ombra sulla terra. Aspettava il
momento della vendetta...solo quello importava, null’altro contava...Le sue
notti erano popolate da incubi spaventosi: vedeva Derek preda del demone che lo
aveva ucciso risucchiandogli l’anima, vittima di tormenti indicibili e
dolorosi...e questi incubi le stavano divorando il cuore...
Sfiorò la poltrona di velluto, dove Derek amava sedersi a
sorseggiare il suo bourbon prima di andare a dormire. Chiuse gli occhi
aspirando il profumo muschiato della sua colonia, sapeva che era un’illusione
dei suoi sensi, però così sembrava che lui fosse ancora lì, con lei:
“Mia Leyla, tormento
del mio cuore..
spina piantata nel
mio animo,
così in profondità
che toglierla
equivarrebbe a
morirne...
Le parole echeggiavano nel suo animo, come se le stesse
ascoltando dalla voce di chi, per molto tempo, le aveva pronunciate al suo
orecchio...mentre la stringeva a sé, baciandole i capelli:
- Derek...
Anne si affacciò:
- Sapevo di trovarti qui.
- In questi momenti, mi manca…
- Kaede come sta?
- E’ chiuso in un mutismo impenetrabile, non dà il minimo
segno di emozione…
- Lo ritroveremo…Andiamo, Mitja ci aspetta con gli altri.
Leyla si volse un istante a guardare la stanza di Derek:
- Come lo spiegherò al Consiglio, che mi sono fatta
aiutare da un vampiro?
- Ci penseremo a tempo debito…
Dimitrij era fermo in piedi, davanti alla scrivania di
Leyla, le braccia posate sulla superficie di legno.
- Secondo me…
La porta si aprì, lasciando entrare Rukawa.
- Kaede..- Leyla si alzò dalla poltrona su cui era seduta,
non si sarebbe aspettata di vederlo scendere e partecipare alla riunione.
- Hn…- si sedette accavallando le gambe e puntando i suoi
occhi su Dimitrij, in un muto invito a continuare.
- Dicevo.. che secondo me, lo ha portato in Rutenia. Il
clan ha una serie di castelli sparsi da quelle parti.
- Io non riesco a localizzarlo, è come se fosse schermato.
– disse Anne.
- E’ per via del suo legame con Eugenij- Kaede sussultò, a quelle parole – ma se noi
andiamo in Rutenia …
- …si farà trovare – concluse -per lui- Anne.
- Perché Hana?
Sussultarono, nessuno si aspettava quella domanda da parte
di Rukawa.
Dimitrij restò un attimo in silenzio, scambiando un paio
di occhiate con Anne.
- Lui era il più esposto. – intervenne Kiminobu.
Kaede strinse gli occhi, poi sbuffò:
- intendevo: cosa vuole da noi?…
- La nostra è una faida, una faida di sangue, le cui
origini sono ormai dimenticate, mentre la violenza resta, aumenta...
- vuoi dire che ha preso Hana, per vendicarsi di te?
- In un certo senso…Eugenij Ravnjos è pazzo…lui odia voi e
la vostra gente, oltre che noi….Secondo un accordo che il mio Clan ha stipulato
con Marcus Mayfair, il suo clan è stato condannato all’ostracismo, per cui gli
sono state confiscate le terre, le dimore, le ricchezze. Mio padre è morto,
così come il padre di Leyla, ma non è propriamente la vendetta, che cerca. E’
come una partita, al la nostra...questa è la sua mossa...ora tocca a noi, agire
di conseguenza.
- Cosa ne farà di lui? – chiese Mitsui.
- Il problema è che bisogna vedere quanto sia diventato
stretto il loro rapporto simbiotico..
- simbiotico? – ripeté Kogure, sistemandosi gli occhiali.
- Quando un vampiro morde ripetutamente un essere umano,
lo rende dipendente da sé…ma ne diventa a sua volta schiavo…Schiavo del suo
bisogno di sangue…di quel sangue.
- E l’umano?
- l’umano piano piano si assuefa al morso del vampiro,
fino a che non c’è più nulla da fare.
- Vuoi dire che si trasformerà…- Hisashi esitò un istante,
era assurdo anche solo pensarlo - in vampiro?
- Non credo…- cominciò Dimitrij, ma Kogure lo interruppe.
- non può, anche se forse vorrebbe..
- lo ha morso e, da quello che ne sappiamo, anche
ripetutamente…- obiettò Hisashi.
- si sì, ma se ne nutre…Un reietto non può creare altri
vampiri, né ricostituire un altro clan.
- cosa ti fa pensare che rispettino queste imposizioni…?
- Abbiamo un alto rispetto per il nostro ordine sociale.
Rukawa sbuffò, guardando Dimitrij:
- Parlare di rispetto, mi sembra assurdo. E’ un vampiro.
- Ohi,Ciccio…-
intervenne Anne.
Lui si alzò, ignorando il tono leggermente irritato di
lei.
- E Hanamichi? Come faremo per liberarlo?
- Dipende dal grado di assuefazione, Hana comunque mi pare
molto forte, e il suo comportamento strano di questi giorni mi dà da pensare
che non fosse disposto a cedere…C’è qualcosa di forte, che lo lega a voi? Una
ragione per cui dovrebbe opporsi al morso del vampiro? Trovato quello stimolo,
sarà facile fare leva su di esso…Ma dobbiamo sbrigarci, più resta sotto il suo
controllo…- disse Kogure.
- più sarà difficile annullarlo…- concluse Dimitrij,
annuendo.
Kaede era fermo sulla terrazza che dava sull’oceano,
cercava di assimilare tutto quello che era stato detto...Guardava -senza
vederlo- lo spettacolo del Golden Gate che attraversava l’oceano, le immagini
di quella ultima visione non lo abbandonavano…E poi le parole del vampiro e
della vecchia:
“Lui mi ha
chiamato.”
“Lui brucerà nel
fuoco.”
Guardò verso la casa, alla fine della riunione Leyla aveva
detto di andare a dormire e di prepararsi alla partenza. Lui era uscito di
casa, percorrendo i sentieri che attraversavano il giardino e facendo la strada
più lunga, per evitare di passare sotto la statua dell’angelo, si era diretto
verso il mare.
Era inutile che cercasse di dormire, tutte le volte che lo
faceva, il volto di Hanamichi gli si parava davanti, anche se cercava di non
pensarci, di scacciarlo dalla sua mente. Eppure ogni volta era lì, in mille
piccole espressioni, lo sguardo spalancato, l’eco della sua voce che lo
chiamava Kitsune, lo sguardo che aveva quando in Rutenia gli aveva tirato la
manciata di neve in pieno volto…E poi, come la superficie dell’acqua che si
increspa, l’immagine cambiava. si deformava, trasformandosi nella scena del
parco di Angel’ s Manhor…Hana abbandonato tra le braccia del vampiro…La cosa lo
faceva soffocare, un dolore sordo gli stringeva il petto soffocandolo e la
consapevolezza che era colpa sua…
Le parole del vampiro:
“tu lo hai gettato tra le mie braccia.”
“voleva solo considerazione, da te.”
Rabbrividì al ricordo di quella lingua che sfiorava il
collo di Hanamichi e il gemito uscito dalle sue labbra…
“si assuefa fino a che…”
Era un pensiero insopportabile…
- non ti piaccio, vero? – chiese Dimitrij, arrivandogli
alle spalle in silenzio.
- Hn.
- Ti capisco, in fondo sono responsabile di tutto questo…
- non hai rapito tu, Hana.
- E allora, perché tu ti senti in colpa?
- Hn.
- Per quello che ha detto Eugenij?
- Hanamichi si sentiva rifiutato da me…Chi è?
- Eugenij Ravnjos. Il suo clan sterminò il villaggio di
Anne e la rapì, assieme ad altri bambini del villaggio…Leyla ti cercava, siamo
quasi pronti.
Senza dire nulla, Kaede lo seguì.
Leyla sedeva alla sua scrivania con gli occhi chiusi e la
fronte corrugata, sapeva che non dormiva. La fissò per qualche secondo, e
infatti lei aprì gli occhi sorridendogli:
- che c’è?
Scrollò le spalle, Leyla si alzò avvicinandosi a lui,
posandogli una mano inguantata sul braccio, lui non si ritrasse, non si
ritraeva mai, con lei. La sentiva vicina, un po’ perché era stata la prima
persona che l’aveva aiutato con quel suo Dono, che lui detestava più di ogni
altra cosa al mondo, e poi anche perché poteva capirlo…Sapeva anche lei, cosa
voleva dire percepire quelle ondate di sensazioni, fino a restarne svuotati e
travolti…e sapeva cosa voleva dire quel vuoto profondo, che sentiva nel cuore,
adesso che Hanamichi era chissà dove…
- Come fai a sopportarlo?- le aveva chiesto una volta.
- non è un peso, Kaede.
- Oh, sì! è un fardello insopportabile…- aveva detto lui.
- non farti travolgere da questo, ti distruggerà. – aveva
risposto lei, facendosi improvvisamente seria – Devi trovare qualcosa che ti
distragga…che ti permetta di staccare.
Era andata bene, c’era riuscito per un po’, fin quando
quel tornado -dalla testa di quel colore assurdo- non era entrato nella sua
vita... Nonostante la corazza che si era -con fatica- costruito attorno, in
quei tre anni e che credeva impenetrabile, Sakuragi era l'unico che poteva
alleviare la sua solitudine. Che pensiero assurdo, però. Aveva sempre creduto
fosse un elemento qualsiasi della sua vita. Un qualcosa di nuovo, che si era
venuto ad inserire e di cui poteva anche fare a meno… E invece ora, mentre
stava lì, a fissare il paesaggio fuori dalla finestra, chiedendosi dove
fosse….Cosa gli stava succedendo? Sentì il sapore amaro della paura salirgli
alla gola. Di nuovo quella fottutissima paura! Paura di perderlo. Paura di non
riuscire a convivere con il senso di colpa…Paura di non riuscire a vivere,
senza di lui…
- non è colpa tua.
- Hn – guardava ostinatamente fuori dalla finestra.
Lei gli fece abbassare il viso, a incontrare i suoi occhi:
- Vedrai, lo ritroveremo e sarà lo stesso Hana di sempre.