Angel Manhor's tales - Vampire's angst

di Leyla Mayfair
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Prologo

Prologo

 

La bambina giocava da sola, ripetendo una filastrocca che la nonna le aveva insegnato.

Sedeva vicino a dove il ruscello incontrava il fiume, creando un piccola cascata. La bambina immerse i piedi ridacchiando per la frescura. Le piaceva giocare da sola, stare lontano dagli altri bambini...Erano cattivi con lei, tutto perché lei aveva quegli strani poteri...tese una mano verso l’acqua per sfiorarne la superficie e incresparne l’immobile superficie.

Fu allora che sentì il rumore.

Uno squadrone di uomini a cavallo con i mantelli bordati di pelli di lupo.

La bambina balzò indietro nascondendosi alle spalle del tronco d’albero caduto.

- Damphyr...- urlavano terrorizzati alcuni uomini, cercando uno scampo che era impossibile trovare.

La bambina sussultò...aveva sentito sua madre molto spesso parlare, a bassa voce, di quelle creature e poi farsi il segno della croce, non sapeva cosa fossero, ma evidentemente erano pericolose...Alzò piano il capo, guardando attraverso il tronco dell’albero che le offriva riparo, ma vide solo una nuvola di polvere sollevarsi sul villaggio, sentiva i rumori degli zoccoli dei cavalli, le urla delle persone, i singhiozzi di spavento: tutto si svolgeva molto velocemente...In un turbine, stanavano gli abitanti e li uccidevano...Gli animali scappavano, gli uomini si nascondevano, le donne piangevano...vide i cavalieri ritornare indietro dopo aver raccolto quanta più gente possibile, molti bambini erano in mezzo a quel gruppo, lei li sentiva piangere. Vide il Pope del villaggio venire spinto in avanti, la vecchia tonaca infilata alla meno peggio, mentre si faceva il triplice segno della croce ortodosso.

Urlò qualcosa come una maledizione, sollevando la croce che portava al petto, quasi come fosse uno scudo in direzione di un uomo alto, seduto sul cavallo che lo guardava con disprezzo...

Udì la risata di quell’essere giungere fino a lei e rabbrividì, per la paura, mentre quel suono le gelava il sangue nelle vene. L’uomo sul cavallo allungò una lancia che teneva al fianco e, con una mossa repentina, tolse la pesante catenina dal collo del Pope lanciandola lontano...poi con una velocità sconcertante, piantò la lama al centro del petto dell’uomo davanti a lui.

Si accasciò senza un lamento, prostrandosi a terra, cercando di estrarre la lancia, ma la vita scivolò fuori dalle sue labbra in un rantolo gorgogliante.

La bambina si mosse terrorizzata, voltandosi su se stessa e correndo lontano...

Lontano dagli occhi vacui del Pope che si era accasciato sul selciato, lontano dal sangue che si riversava sul lastricato, mescolandosi alla polvere e alla terra...

Il suo movimento attrasse l’attenzione dell’uomo sul cavallo che, con un sorriso sinistro, lanciò il suo destriero all’inseguimento...

Sentiva il rumore degli zoccoli farsi più vicino e coprire il martellante battito del suo cuore, poi una mano fredda e ossuta la sollevò da terra, caricandola di traverso sulla sella...l’odore del sudore del cavallo le riempì le narici...il cuore ora era solo un macigno che le pesava nel petto, vide il villaggio allontanarsi, mentre si addentravano nella steppa gialla di siccità, dove i Rom danzavano accompagnandosi con tamburelli, videro contadini che da lontano si segnavano il segno della croce, mentre  un’ eco li accompagnava al loro passaggio, un mormorio di terrore, ricordo di un tiranno sanguinario che accompagnava le notti dei vivi, che morivano dal terrore che potesse tornare a succhiare loro il sangue:

- Damphyr

 

§ § §

 

Il grande maniero di Angel Manhor sorgeva sull’isolotto nel centro della Baia di San Francisco, circondato da un immenso giardino a terrazze che degradava verso l’Oceano. La statua dell’angelo stava sul suo piedistallo imponente e silenziosa, a guardia di quella casa e dei suoi segreti. Tutto era avvolto nell’oscurità e nel silenzio, solo le luci provenienti dall’altra parte della Baia testimoniavano che c’era vita nel mondo. Un mondo ignaro, perennemente in bilico tra luce e oscurità.

La casa era un’enorme L costruita sull’asse nord – sud. L’ala adibita agli alloggi di coloro che abitavano stabilmente ad Angel’ s Manhor occupava buona parte del primo piano. Il lato più corto della costruzione in mattoni rossi era occupato invece dagli uffici e dalla grande biblioteca della fondazione, con migliaia di volumi di demonologia, stregoneria, vampirologia. Uno di questi uffici aveva la finestra fiocamente illuminata, una giovane donna dai lunghi capelli scuri, raccolti in una coda di cavallo, era in piedi davanti a quella finestra.

Anne osservava la neve cadere, lenta, fuori dalla finestra…mentre un sorriso le increspava le labbra. Le luci della città in lontananza oltre la Baia, e il bianco candore che stava ricoprendo tutte le cose del giardino, amplificavano ulteriormente l’oscurità della notte.

La consapevolezza che domani non ci sarebbe stato il sole già la rattristava. Forse era a causa del suo passato, o forse era solo la sua freddezza proverbiale, che la rendeva dipendente dal sole: aveva bisogno di vederlo tutti i giorni! Di sentire i suoi raggi caldi sopra la  pelle, di sperare che -in qualche modo- potessero scaldare il suo animo intorpidito dal freddo…Posò una mano sul vetro freddo della finestra…non rabbrividì a quel tocco, perché anche le sue dita erano fredde.

Leyla aveva ragione a dire che lei e Kaede in fondo erano simili, il loro passato li rendeva freddi e scostanti ai sentimenti; la differenza era che lui lo era anche con le persone; lei forse si tratteneva…entrambi, a modo loro, indossavano una maschera per difesa, per proteggersi dal dolore, troppe volte erano stati colpiti…Si fermò a riflettere che, in fondo, di Kaede non sapeva nulla, lui aveva dimenticato tutto il suo passato...

Stancamente si mise a sedere sulla poltrona del suo ufficio, gli altri erano andati tutti a dormire da ore. Hanamichi e Kaede erano fuori, in missione da qualche parte nelle foreste dell’America del Sud. Leyla stava dormendo nella grande camera, nell’ala opposta della casa; sperò, per lei, che almeno quella notte gli incubi la lasciassero stare, i rimorsi le stavano divorando il cuore, pezzo per pezzo. In quanto a lei, ormai erano mesi che dormiva poco o quasi nulla, non era una insonnia comune o normale la sua, non c’era nulla che potesse fare per impedirlo o costringersi a dormire. Sin dalla sua infanzia era stato così…Lei amava la notte; era cresciuta con persone che le avevano insegnato a farlo…Si passò una mano tra i capelli, mentre guardava, osservava e pensava,continuando a fissare il gioco di quei piccoli batuffoli di cotone che cadevano incostanti dal cielo…tra poco avrebbero formato, tutti insieme, un manto unico…e la loro piccolezza e fragilità sarebbe stata dimenticata e sarebbe rimasto solo un grosso manto bianco…e niente rumore. Persino gli uccellini avrebbero esitato a far sentire le loro voci. Quella neve la riportava alla sua infanzia, quando era felice, tra le persone che l’avevano allevata, non ricordava nulla della sua vita, prima di allora, non ricordava il viso o la voce di sua madre, né il calore del suo abbraccio o la dolcezza delle sue carezze...

Strinse con forza gli occhi, la neve la faceva ricordare e lei non voleva per niente ricordare! Faceva troppo male, sperava solo che il freddo, che c’era là fuori, potesse in qualche modo ritornare dentro di lei e congelare di nuovo quel dolore che sentiva. Che si riformasse in quella spessa coltre di ghiaccio, che un tempo le circondava il cuore…

Un rumore alle sue spalle fece fermare i suoi pensieri. Voltandosi con la sedia, incontrò lo sguardo caldo di un ragazzo alto con gli occhi azzurri e i capelli castani chiari, fermo nel centro della stanza, con le braccia incrociate al petto:

- Che ci fai, qui?- si ritrovò a chiedere, la voce risuonò per la grossa stanza deserta, mentre si alzava e si avvicinava a lui, con voce incerta proseguì - Dovresti andare, è pericoloso, per te, stare qui! Tra un po’, me ne andrò anche io!

Lui sorrise soltanto, senza dire nulla, mentre la mano di lei, lievemente tremante, si alzava ad incontrare il suo viso, solo per ritrovarsi a fendere l’aria…lui se n’era andato, aveva seguito il suo consiglio.

Lei strinse gli occhi e i pugni nelle mani…

Quella stava diventando un’ossessione, e lo sapeva.

Doveva smettere, e lo sapeva.

Doveva dimenticare e lo sperava.

Con uno scatto improvviso, si voltò su se stessa e si diresse ad afferrare il suo cappotto, l’orologio luminoso della sua scrivania indicava chiaramente le 3:25 a.m., prese la sua borsa, col portatile dentro, e spense le luci. Dopo qualche istante, il rumore del grande portone che si rinchiudeva risuonò nell’atrio silenzioso.

Finalmente, anche l’ultima luce ad Angel Manhor era stata spenta. Ora l’edificio, coi suoi grandi misteri e segreti, riposava come il resto della città.

 

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Capitolo 2
*** 2 ***


Angel’s Manhor, Angel islands San Francisco Bay

Angel’s Manhor,  Angel islands San Francisco Bay

 

- Ah, ah! Ti ho battuto, volpaccia!!

La voce squillante di Hanamichi Sakuragi risuonò per tutte le stanze della grande casa, sede della Luna Foundation di San Francisco, stava camminando, girato all’indietro, incurante di tutto quello che lo circondava, dietro di lui, camminava pacatamente Kaede Rukawa, le mani sprofondate nelle tasche e un’aria indolente dipinta sul viso, apparentemente del tutto sordo alle sfide lanciate dal collega, ma in realtà ben desto e attento, a tutto ciò che quella rumorosa testa rossa diceva e faceva. Ormai si era abituato al vociare del compagno, così come Hanamichi si era rassegnato all’ impossibilità di poter comunicare normalmente con il moro; entrambi rispettavano il reciproco stile di vita dell’altro. Avevano raggiunto un equilibrio sottile, che si spezzava qualche volta nelle loro solite liti, ma anche queste -tutto sommato- facevano parte del loro equilibrio…E almeno provocavano una reazione da parte di Kaede, che era abitualmente indolente a tutto e tutti.

Passarono di fronte agli innumerevoli uffici chiusi. Era ancora molto presto, e la maggior parte dei ricercatori doveva ancora arrivare. Loro stessi erano giunti da un paio d’ore, atterrando all’alba sul retro della casa con l’elicottero della Fondazione. Il tempo di una rinfrescata e di una colazione veloce, poi subito a rapporto da Leyla Mayfair, che li aveva accolti al loro arrivo e aveva dato loro appuntamento nel suo ufficio, con un tono che non ammetteva replica alcuna. Ed ora si trovavano lì, nel corridoio silenzioso, fermi di fronte a una porta di legno scuro con un foglietto attaccato e la scritta a penna “Capo… oggi sono di pessimo umore… brrrrr”.

Hanamichi sorrise, di sicuro questa era opera di Anne. Lei era quella addetta ai rapporti con Leyla, era la sua assistente, la sua più stretta collaboratrice, quella di cui Leyla si fidava ciecamente. E questo era il suo modo di avvertire tutti che, se avevano brutte notizie, gliele avrebbero dovute riferire con una certa accortezza. Chissà da quanto tempo, quel foglietto era attaccato sotto alla targhetta in ottone con inciso il nome di Leyla!!… probabilmente lo aveva attaccato mesi addietro, ma lo notavano solo adesso, perché la porta dell’ufficio era chiusa. Leyla Mayfair era tranquilla, pacata e gentile, ma le sue esplosioni di rabbia erano memorabili, soprattutto quando le cose non andavano come lei si aspettava e, tutto sommato, la missione appena conclusa non si era risolta secondo le direttive ricevute prima di partire, si disse Hanamichi deglutendo leggermente, e come sempre, era in parte sua responsabilità.

- Chissà cosa farà Leyla, appena se ne accorgerà?…

Domandò a voce alta, più per se stesso e non perché si aspettasse una risposta dall’altro accanto a lui, che intanto lo aveva raggiunto, sempre chiuso nel suo inaccessibile mutismo. Ma stranamente la volpe artica lo degnò di una risposta.

- Non voglio saperlo…

Hanamichi si voltò a squadrarlo, quasi avesse avuto due teste attaccate al collo. E quindi, inevitabile fu la sua risposta, un’occhiataccia ben assestata, che lo fece voltare e ammutolire.

Bussarono alla porta. E appena ricevuta risposta, entrarono nella zona riservata agli uffici di Leyla Mayfair e di Anne Amigon. Due uffici separati solo da un’anticamera arredata con un attaccapanni e un portaombrelli, per terra un morbido kilim delle sette dee molto prezioso, come gli aveva spiegato una volta Anne, dopo che lui vi aveva accidentalmente versato sopra la sua tazza di caffè...Anne si era occupata di far lavare il tappeto durante l’assenza di Leyla, via per una conferenza a New York con Kaede, il mese precedente, ma a lui pareva di scorgere sempre l’ombra di quella macchia, sospirò pensando che non c’era verso che riuscisse a combinarne mai una giusta...

Passando davanti al primo ufficio, Hanamichi notò con stupore l’assenza di vita: era strano! Anne, solitamente, era impegnata alla ricerca di file, notizie, e leggende sul computer,o sui libri enormi conservati nella biblioteca in fondo al corridoio… Sapeva un’infinità di lingue e quindi era in grado di leggere manufatti anche molto antichi, che –numerosi- ingombravano ogni angolo del suo ufficio…Ma quella volta non era presente, non c’era; con gran sollievo di Hanamichi, che le doveva ancora una cena, per una scommessa persa…Dannazione! riusciva sempre a fregarlo, nonostante fosse un Genio, tutte le volte ci cascava...

Entrarono nella grande stanza che ospitava l’ufficio di Leyla, una camera spaziosa, con le pareti foderate da eleganti pannelli di legno scuro e l’ampia vetrata sullo spettacolo della Baia di San Francisco. Leyla era impegnata con una telefonata e, appena li vide sulla porta, fece loro segno di entrare e sedersi.

Cosa che fecero, senza farselo ripetere due volte. Leyla parlava a voce concitata, in una lingua che per Hanamichi era sconosciuta, e alla fine sbatté il telefono con forza, segno –questo- che doveva essere molto alterata. Prese diversi respiri profondi, per calmarsi e calmare i suoi poteri e rialzò lo sguardo sui due giovani, come se non fosse successo nulla. Sorrise loro e, con la più materna delle intonazioni, disse loro…

- Ben tornati, ragazzi…spero abbiate fatto un buon viaggio! – li osservò piano, in silenzio, per alcuni minuti, studiando le loro espressioni e reazioni. Rukawa nascose uno sbuffo, mentre si sedeva accavallando le gambe, Hanamichi invece…Era troppo divertente vedere la gamma di reazioni, che passavano sul viso mobile ed espressivo del giovane dai capelli rossi. Lui avrebbe voluto riderle in faccia, si stava chiedendo se -per caso- li stesse prendendo in giro. Avevano viaggiato 12 ore filate su una bagnarola, poco ci mancava che cadesse a picco, e lui non sapeva neanche nuotare! Per finire dove? In un paesino sperduto nel cuore dell’America meridionale, pieno di zanzare grosse come topi. Ad analizzare delle pietre, che, così diceva la leggenda, dovevano possedere proprietà curative, perché al loro interno erano stati rinchiusi gli spiriti di alcuni vecchi guaritori Maya. Tutte frottole! Erano solo quattro pietruzze messe una vicino all’altra, che formavano un cerchio quasi perfetto…puzzavano, perché sopra ad esse venivano appoggiati i cadaveri, nella speranza che venissero resuscitati…cosa che, puntualmente, non avveniva; ma gli abitanti di quella landa continuavano a portare in processione i cadaveri, e ce n’erano alcuni che viaggiavano per settimane. Hanamichi era rabbrividito, di fronte a questa situazione.

Rukawa avrebbe voluto tirargliele in faccia quelle pietre: tanta fatica, un viaggio durato giorni in mezzo alla foresta tropicale a combattere con zanzare, sanguisughe e caldo, per poi ritrovarsi con nulla, tra le mani. Di fronte alla rabbia mal celata del compagno, Hanamichi aveva obiettato che non potevano sfatare così la leggenda di quelle povere persone…così lo aveva implorato di catalogarle ugualmente, per finta. E continuare a mantenere vivo in quella gente il sogno della loro leggenda. La discussione che ne era seguita era stata il solito scambio di insulti…

“Do’aho!”

“Baka Kitsune..”

Ma in fondo, Rukawa aveva accettato la richiesta di Hanamichi…Catalogando le pietre e lasciando quel paesino con la propria credenza: che quelle pietre, in fondo, possedessero un potere soprannaturale. Lei, quando gli avevano comunicato la cosa dal telefono satellitare, non l’aveva presa molto bene, dicendo che avrebbero dovuto limitarsi a specificare che non possedevano nulla di miracoloso, invece di illuderli. Se quelle pietre non avevano alcun potere, non era il caso di alimentare false speranze, che poi, una volta crollate, avrebbero avuto conseguenze ancora peggiori. Era stata tentata di rimandarli indietro, ma qualcosa l’aveva trattenuta e, quando aveva riattaccato, non aveva potuto trattenere un sorriso compiaciuto, scotendo la testa: Kaede che si lasciava intenerire, ma davvero…quella sì, che era una novità sconcertante!!. L’integerrimo e scostante Kaede Rukawa, che cedeva ad una supplica…e di Hanamichi, poi. Avrebbe pagato, per assistere a quella scena. Anne le aveva fatto l’occhiolino dal suo ufficio, intuendo i suoi pensieri. Lei continuava a sostenere la sua teoria, secondo la quale quei due avevano solo bisogno di una spintarella, come la chiamava lei…

Quel pensiero le fece ricordare di colpo tutte le sue preoccupazioni e tornò a dedicarsi al problema principale…Aprì il cassetto ed estrasse una busta gialla, arrivata quella mattina con un corriere espresso da Londra, posandola davanti a lei, sulla sua scrivania.

Diede un’occhiata sopra la spalla di Kaede, attraverso la porta aperta: Anne non era ancora arrivata quella mattina e lei sapeva perché: i resti di quella nevicata notturna li aveva trovati sul sentiero un paio di mattine prima,  mentre faceva jogging. Aveva capito subito di chi si trattava: Dimitrij…e chi altri poteva essere in grado di fare una cosa del genere: una nevicata in pieno luglio! Scosse la testa. Sperava che non ci fossero ulteriori problemi, aveva dovuto combattere tutta la mattina con il Consiglio degli Anziani, per farsi affidare quella indagine. Piano piano, stava consumando gli appoggi che gli venivano dalla posizione di prestigio che suo padre aveva avuto nel Consiglio, quando era ancora in vita, ma non sarebbe andata avanti ancora per molto, sperava che, con questa indagine, si sarebbero calmate un po’ le acque; e l’attenzione sulla sua squadre si facesse più blanda. L’ultima cosa che voleva era che Anne ne restasse coinvolta o peggio ancora ferita in qualche modo. Si passò una mano sugli occhi, togliendosi gli occhiali. Aveva sperato che Anne fosse riuscita a dimenticare, o quanto meno a convivere in pace con il suo passato, ma evidentemente non era così. L’unica cosa che poteva fare lei, era impedire che si cacciasse nei guai…Scosse la testa soffocando una risata amara, come poteva pensare che Anne riuscisse a dimenticare il passato doloroso, se neppure lei riusciva a farlo con il suo?...Percepì lo sguardo di Rukawa su di sé. Anche se se ne stava lì seduto con la solita aria annoiata e l’espressione più inespressiva che gli conosceva, Leyla sapeva che Rukawa avvertiva chiaramente il suo tormento interiore, anche senza usare troppo i suoi poteri. La sfuriata per telefono doveva essere stata esplicativa, anche se, probabilmente, non aveva capito una sola parola del suo discorso con il Precepts della casa di Praga, ma c’era qualcos’altro sotto e questo non poteva permettergli di leggerlo. Alzò lo sguardo direttamente su di lui che, vistosi scoperto, si dedicò all’analisi approfondita dell’orlo dei suoi pantaloni, senza perdere minimamente quella sua aria impassibile. Reprimendo un sorriso, Leyla cominciò a parlare mostrando loro delle foto, immagini di corpi senza vita, depositati per terra, disposti l’uno a fianco all’altro ordinatamente. Apparentemente non avevano nulla, come se la vita fosse stata levata a loro, senza che questi venissero toccati…

- Vorrei che andaste in questa casa… sono state registrate attività strane..

Kaede si chiese cosa preoccupasse così tanto Leyla, non era una missione come le altre, quella, lo percepiva chiaramente. E poi quella telefonata, non aveva capito tutto, ma aveva intuito dal tono, che stava subendo forti pressioni. Osservò quelle foto, cercò di concentrarsi sui volti distesi e pacifici delle vittime, sembrava che non avessero subito una violenza per essere privati della vita, come se si fossero sacrificati di propria iniziativa, non riusciva a capire fino in fondo. Cosa centrava Anne in tutto questo?...Era stato un lampo fugace nelle sensazioni di Leyla, ma la preoccupazione per la sua fidata assistente era chiara: sarebbero bastate ad un osservatore meno attento, le fuggevoli occhiate che Leyla lanciava all’ufficio vuoto di Anne, dall’altra parte del corridoio...Dov’era? Da che lui lavorava lì, Anne era sempre la prima ad arrivare e l’ultima ad andare via, come Leyla. Era strano che non fosse davanti al suo computer...Sentiva che aveva a che fare con quei cumuli di neve che aveva scorto nel vialetto laterale, mentre rientravano in casa dopo essere atterrati con l’elicottero. Neve, in pieno luglio. Ma chi (perché sicuramente era stata una qualche entità abbastanza potente da comandare gli elementi atmosferici ) e soprattutto perché? E quale legame -tutto questo- aveva con Anne?...Gli sarebbe bastato espandere il suo potere giusto un minimo, ma Leyla se ne sarebbe immediatamente accorta e forse non avrebbe gradito. E già era irritata per come si erano comportati durante la missione in Sud America, non era il caso di aggiungere altri motivi alla sua rabbia...Effettivamente, anche lui era lievemente irritato da quell’episodio. Si era fatto convincere, aveva ceduto a una supplica di Hanamichi...Che diamine gli stava succedendo? Il fatto era che non era riuscito a farne a meno, quando lui lo aveva pregato di non infrangere le illusioni di quei selvaggi, con quello sguardo...Già!! quello sguardo era il problema, il colore e il calore di quegli occhi erano piantati a fuoco nel suo cervello, come un marchio che non voleva saperne di essere cancellato:

Guardami”

“guarda me!”

Urgenza, desiderio, bramosia...

La voce limpida di Leyla che spiegava come quell’episodio si fosse ripetuto in altri luoghi, a distanza di tempo abbastanza regolare, tanto da far pensare a un rituale o a qualcosa che nascondeva un disegno sotto, lo fece tornare attento a quello che lo circondava…Diede un un’occhiata di sfuggita ad Hanamichi che si stava sfregando contento le mani, l’una contro l’altra…E Rukawa non poté far altro che alzare esasperato un sopracciglio, sicuramente quell’idiota stava pensando di poter, finalmente, menare un po’ le mani. Un’ abitudine che aveva assunto da un loro caso recente, quando aveva avuto la possibilità di parare le spalle a Rukawa, mettendo K.O. un energumeno che cercava di attaccarlo di soppiatto…

Sospirò rumorosamente e gli tirò un calcio ben assestato allo stinco…possibile che dovesse sempre dirgli tutto?

- Baka Kitsune!!…- reagì l’altro, massaggiandosi la tibia dolorante e lanciando un’occhiata di fuoco verso Rukawa, che però non lo degnò di uno sguardo, continuando a fissare le foto. C’ era qualcosa che gli sfuggiva.

- Hanamichi! Fa silenzio, per favore!

Lo rimproverò Leyla, richiamandolo all’attenzione…

- Ma è lui che…- protestò, indicando Rukawa che alzò gli occhi al cielo, chiedendosi con chi avesse mai litigato in qualche vita passata, per meritare di dover lavorare con Hanamichi.

Sentirono la porta aprirsi alle loro spalle e un’affannata Anne entrò nella stanza…

- Scusate il ritardo…Leyla…mi hanno detto che mi cercavi…

Leyla non rispose, annuì soltanto, indicandole le foto,. Anne si avvicinò togliendosi la giacca, le ci volle solo un secondo per realizzare cosa fossero. E persino Hanamichi si accorse del suo repentino cambiamento…

Appena era entrata, si era alzato in piedi, pronto a lasciarle il posto. Era pur sempre il suo referente…Anne lo aveva tirato fuori più di una volta dai guai, senza che Leyla ne venisse a conoscenza, o che Rukawa lo scoprisse. La cena che gli doveva, derivava proprio da una di queste occasioni. A volte si svegliava nel cuore della notte, in preda al terrore che loro scoprissero cosa era realmente successo al prezioso manufatto per la mostra al Gugenheim, dato per disperso un paio di mesi prima e non ancora ritrovato, solo lui e Anne sapevano che era stato polverizzato...e neppure ricordava come e perché, probabilmente gli era caduto, mentre lo catalogava prima di spedirlo. Già! Certo.. però un oggetto in terracotta, quando cade, va in mille pezzi.. non si trasforma in un mucchietto di polvere. A dire la verità, non ricordava molto di quello che era successo…solo che era arrabbiato…Si era arrabbiato con Kaede; no, non con Kaede.. con quell’Akira Sendo della casa di Londra. Era venuto in visita, per portare dei manufatti che servivano per una conferenza di Leyla a Mosca, e per tutto il tempo non aveva fatto altro che ronzare intorno a Kaede senza perdere occasione per lanciare frecciatine nella sua direzione, e lui non lo sopportava: sempre sorridente, niente sembrava smuoverlo da quella sorta di paresi facciale che si ritrovava. Li aveva visti rientrare un pomeriggio e, dai loro discorsi, aveva saputo che erano stati in città a giocare a basket (lui neppure sapeva che la Kitsune sapesse giocare a basket e poi, Kaede con lui rifiutava sistematicamente di andare da qualsiasi parte che non fosse per lavoro). La cosa lo aveva fatto imbestialire e, mentre aiutava Anne a catalogare i reperti nelle casse che si trovavano nei sotterranei, Sendoh era sceso per controllare, aveva detto lui, ma Hanamichi era sicuro che fosse venuto per deriderlo, cosa che aveva fatto puntualmente in un momento che Anne si era allontanata. Quando Anne era rientrata, Hana aveva ormai talmente tanta rabbia in corpo che stava per esplodere. Aveva desiderato di incenerire Sendoh, se solo lo avesse avuto tra le mani. Ciò che ricordava era semplicemente che si era come riavuto da un mancamento e il vaso, che prima aveva in mano, giaceva in terra in un mucchietto di cenere fumante (questo qui costa un patrimonio alla  fondazione ¬_¬NdL). Anne si era impegnata a far sparire i resti inceneriti del vaso, coprendo la sua sparizione anche con Leyla…ma per questo, gli era toccata la promessa di pagarle una cena alla prossima occasione.

Kaede gli diede una gomitata, richiamando la sua attenzione, scotendo la testa rassegnato, non lo disse, ma il “Do’hao” di rito era chiaro nel suo sguardo…Hanamichi abbassò gli occhi, arrossendo.

Inutile: i pensieri che si stavano affollando nella sua testa erano troppo frenetici, perché Leyla li potesse cogliere chiaramente…poté solo fare un piccolo cenno del capo all’indirizzo di Rukawa e aspettare a vedere la reazione. Il moro avanzò in direzione della ragazza, apparentemente costei non se ne accorse, subito imitato da Sakuragi…Ovviamente questi non sapeva quello che sarebbe successo, ma eseguiva lo stesso i movimenti impartitigli dal collega. Era diventata un’abitudine, per lui, fare questo…Anche se non lo avrebbe mai ammesso, si fidava ciecamente di quello che diceva, o meglio pensava, Rukawa.

Improvvisamente la ragazza si riscosse, alzando lo sguardo su Leyla e fissando i due che si erano messi tra lei e la porta.

- Questo cosa significa, Mayfair?! - disse Anne, il tono freddo, impassibile, non lasciava trapelare i suoi veri sentimenti… Leyla accusò il colpo, il veleno era chiaro nella voce. Gli spiaceva quella reazione, da parte di quella che considerava quasi una sorella. Entrambe sapevano quello che si celava sotto la sua tacita affermazione…E tutte e due sapevano che questo avrebbe portato a delle dolorose ripercussioni per entrambe. In qualunque modo si fosse risolta quella vicenda, il loro rapporto avrebbe subito dei mutamenti.

- Anne… vorrei che capissi…- tentò Leyla.

- Cosa?

- Non posso permettere che tu lasci Angel Manhor.

- Spero tu stia scherzando, Mayfair!!

Ora la voce di Anne era quasi un sibilo… gli occhi stretti a fessura, le mani strette a pugno. Lo sguardo basso e torvo, in direzione del suo capo. Oramai, le altre due persone in stanza erano state completamente dimenticate…ormai, solo i loro sguardi erano legati…ormai, solo i loro occhi erano possibili da vedere…ormai, solo un pensiero correva nelle loro menti.

Hai chiesto tu questa indagine?”

Leyla percepì il dolore e la delusione nelle parole di Anne, si sentiva tradita, probabilmente.

ho subito delle pressioni…comunque sì, l’ho chiesta io.” non aveva immaginato che sarebbe stato facile, ma non aveva preventivato che sarebbe stato così doloroso.

“ non starai pensando che possa essere in qualche modo coinvolto!”

“ non penso nulla…devo indagare e tu lo sai..”

Anne non rispose, ma fissava con gli occhi stretti la donna davanti a sé. Lo sapeva, sapeva che sarebbe accaduto, prima o poi, accadeva sempre questo: era il prezzo da pagare per non essere chiaramente in un mondo solo. Aveva creduto che la sua anima divisa avrebbe potuto, in qualche modo, sopportare di camminare in bilico sul filo, quel sottile confine che separava il suo essere umana dal fatto di essere cresciuta in un Clan di Vampiri e di sentirsi parte di quella comunità più che in una società umana. Per un po’ ci era riuscita, ed era stata una piacevole illusione, ma ora?…Ora, era venuto il momento di pagare il prezzo e non era sicura di quelle che sarebbero state le conseguenze per la sua vita. Strinse gli occhi, come a volersi isolare dal mondo attorno a lei. Lo faceva spesso da bambina, quando gli altri ragazzini del villaggio la chiamavano ‘Strigoij’, per via del suo potere di leggere nella mente; i primi tempi della sua permanenza ad Angel’s Manhor, quando le mancavano le aperte distese canadesi, dove aveva vissuto quasi tutta la sua vita, da che aveva ricordi. Ed era una vita spensierata, insieme a persone che l’avevano fatta sentire amata...quando l’avevano allontanata, aveva sofferto molto, si era opposta con tutte le sue forze al fatto di dover seguire Marcus Mayfair...ma la decisione del Master del Clan era indiscutibile e lei si era dovuta rassegnare a seguire quell’uomo.

Sakuragi osservava la scena a fianco di Rukawa. Non riusciva a capire molto. Certo, sapeva che Leyla e Anne stavano parlandosi tramite i loro poteri telepatici, ma non riusciva ad individuare il problema, e poi Anne, che di solito non perdeva occasione di tirare frecciatine a Rukawa, e a scherzare su molte cose, era ora un blocco di ghiaccio… provava persino freddo a guardarla da così distante. Sembrava quasi la Kitsune che aveva al fianco. Già, la Kitsune…scacciò il principio di pensiero che si stava formulando nella sua mente, doveva smetterla. Prima lo avrebbe  fatto, meglio sarebbe stato e meno avrebbe sofferto poi. Si volse comunque a guardare Rukawa fermo al suo fianco, le braccia incrociate e lo sguardo fisso di fronte a sé. Un pensiero indisponente si insinuò nel suo cervello, non c’era altro da dire: quella dannata Kitsune era davvero bella…Da quanto lo pensava? Probabilmente da sempre, dalla prima volta che lo aveva visto scendere dalle scale di Angel’s Manhor, così altero e indifferente, chiuso nel suo silenzio…Era un pensiero irrazionale, qualcosa che non poteva impedirsi di formulare e più il tempo passava, più si rendeva conto che la cosa andava al di là della semplice constatazione oggettiva, ma implicava qualcosa d’altro, qualcosa che si rifiutava di prendere anche solo in considerazione.

Fermo a pochi metri da un confuso Hanamichi, Rukawa, dal canto suo, coglieva i sentimenti delle due donne, sentiva le loro emozioni e cercava di trarne maggiori informazioni, per capire cosa stesse succedendo. Non che la cosa gli importasse, per carità, lui aveva abbastanza problemi a tenere sotto controllo i suoi sentimenti personali, a fermarsi dal toccare quella testa rossa, che ormai albergava in maniera fissa nei suoi pensieri, senza che lui potesse opporsi. Anche in quel momento, sentiva il suo sguardo su di sé…ma evitava di voltarsi come sempre, quando questo succedeva, e da quando erano tornati dalla casa di Auteuil, capitava molto spesso. Ormai era quasi strano, non sentire quegli occhi colmi di domande e dubbi che lo seguivano ovunque, come un’ombra...La cosa strana era che la confusione di Hanamichi si rifletteva anche su di lui, come il riflesso della luce di una candela davanti allo specchio, e tutto questo non lo aiutava. Le sue percezioni, sempre chiare e precise quando riguardavano qualcun altro, erano ora dannatamente confuse e intricate...e non era dovuto solo al fatto che riguardavano lui stesso, per quelle era sempre stato semplice leggerle e anche controllarle, ma erano quelle derivanti dal sé stesso in relazione con Hanamichi che non riusciva a mettere a fuoco o a definire. Il fatto era che, più cercava di analizzarle e di scomporle per trovarvi un senso, più le snaturava, allontanandosi dal vero significato, fino a perdersi in considerazioni vuote e inutili che servivano soltanto ad aumentare la sua confusione. Per questo cercava di tenerlo a distanza…certo, la cosa non era facile, visto che Leyla si ostinava a farli lavorare assieme.

Un lieve mutamento tra le due donne lo distolse da quei ragionamenti, era un mutamento insignificante, che nessuno altro avrebbe notato, ma tutto si comunicava a lui, anche senza che si fosse tolto i guanti di pelle nera...

Leyla -lo sentiva- era amareggiata di questa situazione, che aveva qualcosa a che fare con una conoscenza del passato di Anne…Le due donne avevano finito di discutere e Anne uscì dalla stanza sbattendo la porta:

- Dannazione…– imprecò Leyla, lasciandosi ricadere sulla sedia come se quella discussione l’avesse svuotata.

Hanamichi non sapeva che fare. Non aveva capito molto di quello che stava succedendo, lanciò uno sguardo interrogativo a Rukawa, che però non pareva affatto intenzionato a rispondergli: continuava a fissare Leyla, con una luce di preoccupazione negli occhi. Si era più volte scoperto geloso, in quei mesi, per quel rapporto un po’ speciale che legava Rukawa al loro capo, ma perché mai, poi?, si era chiesto più volte. Era capitato spesso, che lo avesse visto camminare nel giardino con lei che parlava e straordinariamente lui rispondeva pure, mentre Hanamichi doveva ridursi a fare sempre l’idiota, per riuscire ad attirare la sua attenzione, perché quegli occhi si posassero su di lui, ma sempre con il rimprovero o quell’aria scocciata, come quando si ha che fare con un bambino che combina solo guai: quanto avrebbe dato, perché a volte lo guardasse con quella stessa dolcezza che vi scorgeva mentre parlava con Leyla...Perché diamine, poi, aveva questo bisogno di un riconoscimento da lui, da Kaede Rukawa, l’algida kitsune?!...Era solo un collega! Per la precisione, quello che non lo sopportava, senza sforzarsi troppo di nasconderlo, e a cui lui sarebbe saltato volentieri al collo, perché lo ignorava negando la sua evidente genialità con la sua freddezza e la sua aria di superiorità...Se era così, perché allora dava tutta questa importanza alla sua opinione, e si sentiva così confuso solo perché era vicino a lui? Perché? Erano mesi che non riusciva a liberarsi dal pensiero di lui, sentiva il suo profumo che gli riempiva le narici come un qualcosa che era parte di lui, ormai, anche quando Rukawa era lontano.

Leyla sospirò, attirando la loro attenzione:

- Ascoltate…ragazzi, andate in quella casa e cercate di cavarne fuori la soluzione il prima possibile, qui la situazione è critica…partirete tra meno di un un’ora…-

- destinazione? – azzardò a chiedere Hanamichi, vedendo che Rukawa si limitava ad annuire.

- Rutenia.

- Che cosaaaaa??? – proruppe il rossino – un altro viaggio impossibile? No, ma perché…

Kaede si volse verso di lui sollevando un sopraciglio, e questo bastò perché il giovane azzittisse le sue proteste, chinando il capo:

- Sì, lo so…- sbuffò, anticipando ciò che gli sarebbe stato detto. Tutte le volte che Leyla doveva dare delle direttive a Kaede, lo mandava fuori dalla stanza con una scusa…- vado a preparare i miei bagagli.

Quando fu uscito, Leyla lo guardò sorridendo:

- Dopotutto, riesci a gestirlo bene…

- Hn… è un Do’hao…

- Se vuoi, ti affianco qualcun altro…- Leyla scoppiò in una risata, quando lo vide spalancare gli occhi e cercare di trattenersi dall’esprimere il disappunto che quella eventualità gli provocava- …sai, Kaede, sono contenta che tu riesca ad avere un rapporto con qualcuno…

- Parlami della missione…- tagliò corto lui, cercando di nascondere l’irritazione con sé stesso per aver messo a nudo il fatto che, nonostante dicesse il contrario, era contento di lavorare accanto a Sakuragi…

- …anche se non lo ammetteresti mai, neppure sotto tortura…- Leyla gli sorrise, completando il suo pensiero e Rukawa sbuffò per nascondere il mezzo sorriso che gli era salito alle labbra, dannazione.. a volte si dimenticava delle capacità di quella donna. – e poi mi dovrai spiegare come mai, se riesci a controllarlo così bene, hai ceduto a una sua richiesta così sciocca come quella di catalogare lo stesso quelle pietre...

Kaede deglutì, doveva aspettarselo che Leyla non gli avrebbe fatto passare liscia quella situazione. Cercando di sfuggire al suo sguardo indagatore, si preparò alla mezz’ora più lunga della sua vita...

 

 

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Capitolo 3
*** 3 ***


Rutenia

Rutenia

 

La casa si trovava in un paesino desolato del nord del paese, completamente tagliato fuori da ogni moderna via di comunicazione. Arrivarono verso il primo pomeriggio, dopo un viaggio allucinante su un autobus che scricchiolava ad ogni sobbalzo della strada. La strada, che si inerpicava su per quella montagna, correva poi di fianco a un profondo burrone, in fondo al quale scorreva un vorticoso ruscello. A confronto, il viaggio sulla bagnarola per il Sud America era stata una passeggiata. E poi lì faceva un freddo tremendo. Hanamichi si strinse nella giacca bordata di pelliccia e sospirò, mandando fuori una nuvoletta di fiato, guardandosi attorno. Il paesaggio era meraviglioso, quasi fiabesco…le cime degli alberi, in lontananza, scomparivano nella nebbia di quell’ora tarda. E il ghiaccio della galaverna ricopriva quasi interamente i rami spogli di quegli alberi…Ghiaccio e freddo…guardò per un attimo la schiena del suo compagno che gli camminava davanti, sembrava il suo ambiente ideale.

Appena l’autobus li aveva scaricati in una deserta piazza centrale del paesino, avevano lasciato i bagagli in custodia alla stazione di posta e si erano subito incamminati verso la casa:

- Non perdiamo tempo – erano state le parole di Rukawa, mentre si inerpicava per il sentiero che l’addetto allo sportello gli aveva indicato, non senza lanciare loro occhiate terrorizzate. Una donna, con un variopinto fazzoletto con le frange a coprirle i capelli bianchi, seduta sulla panca proprio fuori dalla casa, li aveva segnati per tre volte, mormorando un fiume di parole incomprensibili e finché il sentiero non aveva fatto una curva, nascondendo il paesino alla loro vista, era rimasta ferma a guardarli e ad Hanamichi pareva ancora di sentirla mormorare quella che aveva tutta l’aria di essere un preghiera:

- Ohi, Kitsune!! Cosa ha detto la vecchia?

- Ci ha benedetti, prima della nostra morte.

- Oh, Bhè… che...che cosa??? – chiese, balzando al fianco di Kaede e prendendolo per un braccio, quando la seconda parte della frase fu chiara nel suo cervello.

L’altro si divincolò sbuffando:

- E’ gente superstiziosa...crede che non torneremo indietro, dalla casa dei Damphyr.

- Damphyr?

- E’ come la gente chiama i vampiri da queste parti. Pare che quella casa appartenesse a un potente Clan...

- E ora, che fine ha fatto?

- E‘ stato sciolto...- Rukawa gli volse le spalle, riprendendo a camminare – muoviti, Do’hao, vorrei tornare alla locanda entro il tramonto.

- Perché diamine dobbiamo fare quello che vuoi tu? Potevamo andarci domani, no?

- Se volevi aspettarmi alla locanda, eri liberissimo di farlo...Sei tu, che fai sempre quello che dico...

- Baka kitsune...- imprecò Hanamichi, sentendosi arrossire – lasciare sola una stupida volpe come te? Chissà cosa potresti combinare…

- Hn, io so badare a me stesso e mi pare che, quello che combina guai, sia tu...soprattutto con i vasi precolombiani…

Hanamichi si zittì immediatamente, quelle allusioni alle sue distrazioni lo avevano ferito, più di quanto volesse ammettere con sé stesso. Rukawa allora sapeva che era stato lui a distruggere il vaso, e non aveva detto nulla? Perché? Riprese a camminare a testa bassa e con le mani affondate nelle tasche, cercando di concentrarsi su altri pensieri: Leyla aveva accennato loro la possibilità che la fondazione mettesse a disposizione una stanza, in un albergo della zona…Hanamichi ci sperava sul serio, dopo quello che aveva passato in Francia, non gli andava proprio l’idea di spendere il tempo delle indagini con Kaede, chiuso in una casa…Aveva ricordi vaghi delle ultime ore nella casa di Auteil. Rammentava solo con chiarezza la sua discussione con Kaede, in sala musica, poi la notte passata a crogiolarsi in dubbi e domande prive di risposta, che ancora lo tormentavano, a dire la verità. E poi la mattina seguente, quando…aggrottò la fronte, mentre cercava di rammentare qualcosa di più di quello che aveva letto nei rapporti di Anne e Leyla sulla vicenda…ricordi suoi, sensazioni…nulla. Aveva percezioni confuse, fino a quando non si era risvegliato nella sua camera di Angel Manhor e aveva trovato la Kitsune seduta in poltrona, che guardava silenziosamente la baia fuori dalla finestra…Erano passati quasi sei mesi da allora, ma nulla era cambiato nel suo rapporto con Kaede. Rapporto? Era un rapporto il loro? Ne dubitava...Sempre in giro per il mondo, a catalogare o a studiare strani fenomeni che venivano riferiti dagli informatori della Fondazione, non è che lui ne sapesse poi molto, a dire la verità. Si limitava a seguire Kaede e a fare ciò che gli veniva detto di fare, ma tutto si fermava lì. Aveva provato -qualche volta- a portare il suo rapporto con la Kitsune su un piano diverso, magari coinvolgendolo in qualche uscita con il suo amico Yohei, e tutte le volte la conversazione assumeva gli stessi toni:

- Ohi, kitsune, che fai stasera?

- Hn, nulla...

- Perché non vieni con Yohei e me? Potremmo andare al cinema e poi magari a fare un giro al porto.. ci sono dei localini niente male!

- No..

Oltre non si riusciva ad andare. Perché Kaede troncava sul nascere qualsiasi sua protesta, lasciandolo lì a guardare –sconsolato- la sua schiena che si allontanava. Sembrava che avesse eretto un muro tra sé e il mondo. Però lui era sicuro che fosse più per proteggersi, che per vera indifferenza, c’era qualcosa, in lui, che gli faceva pensare al fatto che indossasse una maschera. Non ricordava nulla di sé, non aveva vita, ricordi, passato a cui attingere. Doveva essere terribilmente difficile, per lui, andare avanti...Chissà, magari da qualche parte c’era qualcuno che lo piangeva morto...Chissà com’era Kaede, prima dell’incidente? Qual era la sua vita?. Era allegro e spensierato, magari. Forse sapeva anche ridere…Il pensiero di Kaede che rideva, chissà perché, gli tolse per un attimo il fiato. Non lo aveva mai sentito ridere, né l’aveva mai visto sorridere, a dire la verità. Ripensò, per un istante, con una fitta di qualcosa di molto simile alla gelosia, che lui era andato a San Francisco a giocare con Akira Sendoh...Forse, la Kitsune avrebbe preferito lavorare con il porcospino affetto da paresi, piuttosto che con lui...

 

Una figura, alta e sottile, fasciata in un pesante mantello bordato di pelli di lupo, osservava i due giovani che attraversavano il bosco arrancando verso la casa…

Un cappuccio celava interamente il suo volto, di cui si potevano distinguere gli stretti occhi azzurri con una luce sinistra…

Un corvo venne ad appollaiarsi sulla sua spalla:

- Pare che abbiamo visite…interessante, molto interessante, il nostro piano ha dunque avuto successo. Vediamo cosa possiamo scoprire..

Scrutò attentamente i due nuovi venuti.

 

Quello che camminava davanti, con i cappelli scuri, pareva il più interessante, con quella carnagione pallida, le dita lunghe e sottili, sembrava il più tranquillo e controllato dei due, cercò di sondare la sua mente, ma una potente barriera respinse il suo tentativo,. I imprecando tra sé, si accostò maggiormente all’albero velando la sua presenza, mentre quello si girava puntando due occhi blu, freddi e sottili, nella sua direzione, diede una scrollata di spalle e il corvo si alzò in volo gracchiando, uscendo dall’ombra, volando sopra le teste dei due giovani. Kaede alzò il capo di scatto, seguendo il volo del corvo e poi, quando questo fu scomparso alla sua vista, puntò il suo sguardo dal punto in cui era apparso...ma non c’era nulla, dietro quell’albero coperto di neve e ghiaccio, come tutti quelli attorno a loro:

- Che c’è, Kitsune?…

- Hn, nulla.. mi era parso…

 

- Dannazione!! Mi ha quasi scoperto. E’ molto potente...Vediamo l’altro,

mi pare più...- interruppe i suoi pensieri, mentre un sorriso gli piegava le labbra sottili-

Che insperata fortuna...avrei dovuto intuirlo. Bene…

Siamo stati fortunati. Molto fortunati!

La figura accanto all’albero concentrò la sua attenzione su quello con i capelli rossi, che era rimasto fermo a guardare l’altro allontanarsi, con una strana espressione negli occhi.

Piegando le labbra in un sorriso che mise in mostra i lunghi e affilati canini, il vampiro riuscì a penetrare senza sforzo nella sua mente, leggendo i sentimenti che si agitavano confusi verso chi camminava davanti a lui...

 

Hanamichi guardò di sfuggita Kaede, mentre si allontanava…era preoccupato, lo vedeva il sopraciglio sollevato, lo sguardo attento, c’era qualcosa che lo tormentava…eppure, anche in quel frangente, non poteva fare a meno di trovarlo affascinante…sospirò rassegnato. Aveva da tempo accettato che –forse- quello che sentiva per Kaede non era propriamente odio o indifferenza, e che andava al di là del piano fisico, certo, ma non aveva ancora avuto il coraggio di cercare di dare un nome, a ciò che si agitava in fondo al suo cuore…A volte, si svegliava da un sogno in cui, lui e la Kitsune, si lasciavano andare alla passione…Era un sogno strano…ricorrente e sempre uguale, che lo tormentava da quando erano tornati dalla Francia, si chiese se forse non avesse avuto ragione Kaede, nel dire che era stata tutta una suggestione…e quindi, forse, anche i sentimenti che provava per la volpaccia erano frutto di una suggestione...Da un po’ non capiva più molto, era confuso, avrebbe forse potuto parlarne con qualcuno...ma chi? Leyla? Era sempre gentile disponibile, molto dolce anche, ma non aveva la confidenza necessaria per entrare nel suo ufficio e dirle che si sentiva lievemente turbato dalla vicinanza della Kitsune...Anne, allora? Un moto di terrore lo avvolse, dire quelle cose ad Anne, pur con la confidenza che c’era tra loro, equivaleva ad essere vittima di battute per il resto della sua vita. Il diretto interessato? Sì, come no?! Ci si vedeva: andare da lui e dirgli “Ohi, Kitsune, verifichiamo se ciò che sento per te è solo suggestione o cos’altro.” Faticava anche lui a trovare un termine…Ci teneva alla vita, lui...E poi Kaede aveva già espresso la sua opinione su quella situazione. Lui era convinto che, ciò che era successo ad Auteuil, non fosse in alcun modo ricollegabile a loro. Dopo quella discussione nella sala musica, non erano più tornati sull’argomento e lui, nonostante i suoi dubbi e le notti in cui si era svegliato dopo quel sogno piuttosto movimentato con Kaede, si era guardato bene dal cercare di affrontarlo nuovamente.

Lo guardò camminare davanti a lui in silenzio, come sempre, avanzando nella neve che arrivava loro ai polpacci. A volte si chiedeva cosa passava dietro quella maschera impassibile e fredda, aveva dei dubbi, delle domande, delle paure? Era sempre così maledettamente sicuro di tutto su tutto…Mai un errore, mai un’esitazione…Una conoscenza perfetta di molte lingue, e una capacità di apprendimento davvero notevole. Assorbiva tutto come una spugna, lo aveva visto più di una volta dare una scorsa veloce a un documento, ed essere in grado di farne un rapido riassunto, con i punti salienti…E poi, il suo fascino angelico attirava le donne come le mosche…Più di una volta, mentre camminavano per le vie delle città in cui si trovavano in missione, aveva visto gli sguardi che le donne, e non solo, gli lanciavano…Era geloso? Sì, decisamente, ma non era invidia, la sua. Ammettere, con sé stesso, che la sua gelosia non era per il fatto che lui avesse successo con le donne o per tutte quelle sue straordinarie qualità, era stato un passo breve, e accettarlo, ancora più semplice…ma convivere con la consapevolezza che lui era geloso di Kaede, in quanto provava dei sentimenti, era tutta un'altra cosa. Sentimenti…che parola grossa!, non sapeva a cosa ricondurre quello che c’era tra lui e Kaede, Anne più volte gli aveva lanciato allusioni, neppure poi così velate, sulla natura del suo interessamento per Kaede, ma lui aveva negato tutto, negato fino all’evidenza davanti agli altri, arrivando a proclamare il suo odio per la Kitsune in una maniera talmente plateale che, a volte, si domandava se nessuno si accorgeva che stava recitando...ma poi, con sé stesso, era tutta un'altra faccenda. Ammettere che provava una qualche forma di sentimenti verso la volpe artica non era stato per nulla facile, e lui era certo che non fosse per via di quello che era successo ad Auteuil, forse neppure ci avrebbe mai pensato o forse no?…In fondo, un certo turbamento Kaede glielo aveva sempre provocato, ed era qualcosa di indefinito che però saliva piano piano, come la marea. Dapprima aveva pensato che fosse la sua aria di insofferenza e sufficienza, quel modo di ignorarlo e di trattarlo con poca considerazione, ma poi tutto ciò era stato dipanato, la nebbia si era dissolta rivelando un intricato ginepraio di sentimenti profondi e radicati, per colui che declamava di odiare. Sapeva benissimo che Kaede era infastidito dal dover lavorare con lui, non faceva certo mistero che si era piegato ad un ordine superiore. Aveva sempre lavorato da solo o con Leyla, qualche volta, e ora si trovava a lavorare con lui. E la cosa non lo entusiasmava di certo. Lo vedeva dalla sua freddezza, dal suo modo di rivolgergli quelle poche parole che le circostanze richiedevano, e a volte neppure quelle, limitandosi a fargli telegrafici segni per comunicargli cosa si aspettava che facesse…Figuriamoci se poteva provare dei sentimenti per lui!…

 

- Interessante, davvero interessante…Un po’ contorto magari, ma sicuramente divertente…- disse tra sé il vampiro, terminando la lettura della mente di Hanamichi.

Con un gesto della mano, richiamò il corvo e, avvoltosi maggiormente nel mantello, scomparve in un turbinio di neve.

Passando di fianco all’uomo con i capelli rossi come il fuoco.

 

Hanamichi era rimasto fermo, ad osservare la schiena di Kaede, sentì un brivido lungo la schiena quando una folata di vento gelido si insinuò nel suo collo, si volse alle sue spalle ma non c’era nulla oltre alla distesa di neve che recava le loro impronte. Eccezion fatta per un corvo che volteggiava sopra di loro.

- Do’hao, ti muovi?

La voce di Kaede lo riscosse e, dopo essersi stretto nella pesante giacca foderata di pelliccia, allungò il passo per quanto l’altezza della neve glielo consentisse.

Kaede aveva evitato di girarsi nella direzione di Hanamichi, per tutto il tempo del tragitto verso la casa sulla collina. Lo sentiva quello sguardo su di sé, pieno di domande e dubbi, sentimenti confusi e inespressi e paura, tanta paura. Aveva i guanti alle mani, era vero, ma li percepiva lo stesso, forse perché erano l’eco dei suoi stessi sentimenti, delle sue stesse paure e dubbi…Auteuil non aveva fatto altro che accentuare quella che poteva definirsi ‘la brace sotto la cenere’. C’era già qualcosa in partenza, certo, sin dall’inizio, da quella prima volta che lo aveva incontrato, una sorta di senso di predestinazione…Lo ricordava perfettamente: un gigante dinoccolato, con quella massa scompigliata di capelli rossi, ai piedi del grande scalone di Angel’s Manhor…Si era rivelato tutto il contrario di lui, pieno di vita, di entusiasmo capace di far più rumore di un branco di scimmie…anche lui avrebbe voluto essere così, vitale, coinvolto da tutto ciò che lo circondava, ma in fondo tutta la sua vita era un muro bianco prima dei tre anni precedenti, non aveva ricordi e solo incubi confusi popolavano le sue notti. Come poteva gettarsi a capofitto nella vita?...Gli incubi.. era un po’ che non gli capitavano, ma ultimamente avevano cominciato a tornare, popolando le sue notti una dopo l’altra. Eppure aveva la sensazione che non riguardassero solo lui, ma qualcun altro, un avvertimento, una sorta di ammonizione per un pericolo incombente…Avrebbe dovuto parlarne con Leyla, ma non se l’era sentita, e poi, per dirle cosa? Non ricordava mai nulla, al suo risveglio, solo angoscia e senso di un pericolo imminente, qualcosa che era in grado di paralizzarlo, visto che non riusciva a contrastarlo. C’era da dire che erano diversi dai vecchi incubi, ma anche questo non aveva cambiato la sua determinazione a non informare Leyla. Era stufo delle sedute di ipnosi regressiva che lo lasciavano stremato, come se avesse combattuto con chissà cosa. Era stufo di essere trattato come una cavia da laboratorio, per via del suo potere straordinario. C’era da dire che Leyla non l’aveva mai fatto sentire così, però lui cominciava a diventare insofferente a tutti quei test, quelle domande, sempre le stesse, poi. Si fermò un attimo, passandosi una mano sugli occhi come a scacciare tutto quello, chiedendosi ancora una volta perché lui...Perché era toccato a lui, risvegliarsi privo di memoria su una spiaggia? Che disegno c’era, in tutto questo? E poi, c’era un disegno? Lui aveva sempre pensato che quella situazione fosse frutto di qualcuno che controllava la sua vita e che possedeva un discutibile senso dell’umorismo. Leyla diceva che doveva essere grato di quel dono. Dono? Quella era una maledizione bella e buona, ecco cosa era!, e lui ne avrebbe fatto volentieri a meno. Sapeva che, anche per Leyla, non era una cosa facile convivere con quel potere, in più lei aveva dei ricordi una vita passata e un dolore grande, che aveva scavato una profonda lacerazione nel suo cuore. Sapeva tutto questo perché l’aveva percepito e sapeva che riguardava l’uomo ritratto nella foto incorniciata sulla scrivania di Leyla, ma non aveva mai fatto domande. E anche quando lei gli aveva permesso di sfiorarla, sei mesi prima, dopo le vicende di Auteuil, per fargli comprendere qualcosa sulla reincarnazione, non aveva cercato di forzare le cose…C’era una ferita che sanguinava ancora: e che pareva non volersi rimarginare mai. Cosa aveva detto in quell’occasione?

 

“Imparerai che, molte volte...basta possedere un cuore, per provare dei sentimenti e soffrire.”

Soffrire...ecco! Non voleva provare quel dolore lancinante e profondo...C’era una cosa che lo stupiva, tutte le volte che percepiva la sofferenza di qualcun altro...Aveva sempre pensato che il dolore fosse una sorta di sensazione fisica, come quando viene strappato un lembo di pelle o ci si ferisce materialmente con qualcosa. E invece nessun dolore, ma solo quella sensazione di vuoto, quel buco nero profondo e freddo che occupava il cuore e l’animo di chi lo provava.

Se qualcosa di positivo avrebbe dovuto trovare nel suo modo di essere, allora, che fosse questa assoluta incapacità di provare sentimenti. Chiudere il cuore ad ogni stimolo o sensazione, ignorare ogni cosa, lasciare che tutto fosse lasciato scivolar via, come su una corazza impermeabile, senza tentare di trattenere nulla...

Hanamichi era rimasto stupito del suo accenno all’incidente del vaso precolombiano. Credeva davvero che si fosse bevuto la panzana di Anne (ohi Ciccio...moderiamo i termini! >_< ndA) sul fatto che mancava un vaso? Le aveva controllate lui stesso le casse, quando erano arrivate e il vaso c’era…Per cui, qualcosa Hanamichi doveva avere combinato, dal momento che era a lui che era stato affidato il compito di imballare le casse per la spedizione a Mosca. Sapeva anche Hana si stava chiedendo perché non aveva detto nulla…e, a dire la verità, non lo sapeva neppure lui, perché lo aveva fatto. Un po’ forse perché gli era dispiaciuto scorgere lo sguardo di delusione nei suoi occhi, quando lo aveva visto rientrare a Angel’s Manhor con Akira Sendoh...Era andato in città perché doveva fare un paio di commissioni per Leyla, e quello si era offerto di accompagnarlo e poi aveva insistito per fermarsi in quel campetto a giocare a basket, così, tanto per passare un po’ il tempo mentre aspettavano la consegna dei documenti dalla biblioteca...Non era sua abitudine giustificarsi, né con Hanamichi né con nessun altro, ma lo aveva visto ferito in quell’occasione, e la cosa lo aveva colpito. Non aveva detto niente, è vero, nessuna sparata madornale, nessun insulto. Era solo uscito dalla biblioteca seguendo Anne, per scendere nei sotterranei, solo gli aveva lanciato quello sguardo deluso, ferito, appena da sopra la spalla, mentre usciva. Ricordava perfettamente quel senso di frustrante dolore. Sofferenza. Per avergli fatto del male...che diamine! Lui non riusciva a capire come diavolo facesse a tirargli fuori sentimenti e sensazione che mai aveva provato, solo con uno sguardo o una smorfia. Non poteva essere diventato così importante...Importante? Niente o nessuno era mai stato così importante, per lui, da quello che ricordava...Eppure la cosa era evidente ed inequivocabile, davanti ai suoi occhi.

Finalmente, si parò di fronte a loro l’imponente figura della casa. Era quasi un castello: il cancello arrugginito, spalancato per il loro ingresso. Il giardino, malcurato, si svolgeva lungo i lati di una imponente collina, alla sommità della quale sorgeva la casa. Già da quella distanza, si poteva intuire quanto fatiscenti fossero le condizioni di quelle mura… il tetto era praticamente inesistente, grossi buchi facevano la loro apparizione su quasi tutta la sua superficie, quindi c’era da supporre che i muri e i soffitti fossero marci.

Gli alberi spogli creavano una cornice irreale attorno alla casa, coi loro rami che si intrecciavano lungo le pareti e davanti alle finestre. La neve che ricopriva il tutto pareva attenuare un po’ quell’atmosfera ma, nonostante questo, tutt’intorno c’era un aria inquietante.

- Meno male, che non dovremo dormire là dentro!! – borbottò Hanamichi, raggiungendo Kaede, fermo davanti al cancello arrugginito e pendente su uno solo dei cardini.

- Hn...hai visto la locanda?

Hanamichi lo guardò scotendo la testa, trovava irresistibile la visione di Kaede con le guance arrossate e la nuvoletta di fiato a velare il suo sguardo e non era sicuro della fermezza della sua voce, in un momento come quello:

- Era la prima casa sulla sinistra...

- cheee… quella bettola fatiscente????

- Che ti aspettavi?

Borbottando contro Leyla (^^’’’ Etchium! ndL), Hanamichi si fece strada verso il portone massiccio, lasciandosi indietro Kaede, che sollevò il viso verso il cielo. Piccoli fiocchi candidi cominciarono a cadere lievi e si posarono sui suoi capelli scuri, mentre restava lì in silenzio, era strano per tutto il tragitto si era sentito osservato ed era sicuro di aver percepito un tentativo di intrusione… eppure non percepiva nessuno attorno a loro, questo non voleva dire però che  l’altro non fosse abbastanza potente da schermarsi anche a lui…Dovevano stare attenti…Quel posto era sinistro e poco, sicuro, non gli piaceva l’atmosfera che si percepiva lì attorno. Da quello che aveva letto sul dossier e che gli aveva detto Leyla, si era fatto un’idea ben precisa di quello che doveva aspettarsi, ma quella concentrazione di odio era così profonda e radicata da essere quasi palpabile. Si volse a guardarsi in giro, la neve che cadeva stava ricoprendo ogni cosa con un manto morbido e candido, che contrastava con l’aria che aleggiava in quei luoghi.

- Speriamo di non trovare altre anime inquiete. – borbottò tra sé Hanamichi, e un brivido di paura lo percorse, mentre spingeva il portone per entrare, ricordando cosa era successo l’ultima volta che era entrato in una casa simile...

Si girò per richiamare Rukawa e rimase con la voce spezzata in gola al vederlo laggiù, in fondo alla breve scalinata, con il viso rivolto alla neve che cadeva e si posava candida sui suoi capelli, creando un contrasto quasi abbagliante, dovette deglutire un paio di volte prima di ritrovare la voce:

- Ohi, Kitsune, ti vuoi ibernare sul serio?

Kaede si riscosse dalle sue considerazioni e si volse a guardarlo, fermo sul portico di quel castello, sbatté gli occhi…un’ombra passò attorno a lui, avvolgendolo…pareva un manto di oscurità pronto a ghermirlo. Come l’avverarsi di questo pensiero, vide Hanamichi voltarsi verso la porta dandogli le spalle e a lui parve che venisse letteralmente inghiottito.

Spalancò gli occhi, mentre la voce gli moriva sulle labbra nel tentativo di chiamarlo. Chiuse gli occhi e li riaprì un paio di volte e scosse la testa, ma Hanamichi era ancora lì fermo sotto il portico, che lo guardava perplesso, la testa leggermente reclinata da un lato, una ciocca di capelli rossi ad accarezzargli la fronte:

- Kitsune, allora?

- Hn.

 

L’alta figura era rimasta discosta, celata nel suo mantello con il cappuccio, il corvo continuava  a volteggiare sopra la sua testa.

Sollevò una mano facendo ricadere il cappuccio sulle spalle, rivelando un viso spigoloso e magro, in cui due freddi occhi azzurri brillavano di malvagia aspettativa.

I lunghi capelli grigi scendevano sulle spalle, formando un manto che si confondeva con la pelliccia del lupo che bordava il cappuccio.

- Occorre prepararsi.

Dobbiamo accogliere il nostro ospite di riguardo.

 

Il portone si chiuse cigolando sotto la spinta di Hanamichi, che subito si scrollò di dosso la neve, mentre seguiva Rukawa nell’ampio ingresso, guardandosi intorno con curiosità:

- questa casa doveva essere stupenda...un tempo...

- muoviamoci, prima che cali il buio.

Hanamichi seguì Kaede, cercando di reprimere il brivido di paura che gli era sceso sulla schiena, al pensiero di quello che era successo in quella casa. In effetti, sapevano molto poco di quanto accaduto lì. Durante il volo in aereo, mentre immancabilmente Rukawa era scivolato nel sonno, Hanamichi aveva dato una scorsa al dossier che Leyla aveva fornito loro. A quanto pareva, le vittime erano ormai una dozzina, sparse in quasi tutti i paesi, e quella casa era l’ultima dove si era verificato l’evento.

Secondo le indagini che la Fondazione aveva svolto negli altri casi, tutte le vittime erano morte per una abbondante perdita di sangue e tutte presentavano due forellini alla base della carotide. Vampiri. Chissà poi perché Leyla si era fatta affidare quella indagine. Per un momento accarezzò l’idea di chiederlo a Rukawa, lui aveva parlato per più di mezz’ora chiuso nell’ufficio di Leyla, dopo che lo aveva mandato fuori, ma qualcosa gli diceva che la volpaccia non avrebbe risposto alle sue domande, come sempre, del resto.

Entrarono in un salone non molto vasto e, dopo aver lanciato uno sguardo veloce attorno a sé, Hanamichi riconobbe con un brivido la stanza riprodotta dalle immagini che erano nel dossier...Kaede posò lo zaino sul tavolo di legno posto accanto alla finestra, e tirò fuori la cartellina gialla e la macchina fotografica digitale, oltre che il computer portatile.

- Ehi, Kitsune…- arrischiò ad attirare l’attenzione dell’altro.

- Hn.

-…cosa credi ci sia dietro tutto questo?

- Vampiri.

Hanamichi sbuffò spazientito, mentre l’altro sparpagliava le foto sul tavolo, cercando di dare loro la disposizione della stanza:

- Sì, certo, bhè, questo lo avevo intuito anche io, ma il perché di tutto questo…- indicò le foto sparse sul tavolo di legno davanti a loro che ritraevano la scena:

- Sembra un rituale o qualcosa del genere.

Hanamichi si passò una mano tra i capelli:

- effettivamente, in tutti gli altri casi, i cadaveri sono posti allo stesso modo…- esitò qualche istante, era da un po’ che quella domanda gli si agitava nella testa, ma temeva a formularla -… tu credi che Anne c’entri qualcosa? Insomma, voglio dire – si affrettò ad aggiungere, vedendo il sopraciglio di Kaede sollevarsi -…sembrava alterata, quando ha visto le foto...E poi, il comportamento di Leyla…

- No, non credo. – disse Kaede, continuando ad esaminare le foto.

- E allora?

- Non ne ho idea. – sollevò la testa dalle polaroid che stava osservando e, puntando il suo sguardo su un punto oltre le spalle di Hanamichi, dicendo semplicemente – Là...

- eh?

- Là, erano posizionati i cadaveri delle vittime...

Hanamichi si volse con la sensazione che li avrebbe visti tutti in fila uno accanto all’altro, anche se sapeva che i corpi erano nell’obitorio della Casa di Praga. Kaede lo superò, muovendosi leggero e silenzioso, cominciando a togliersi i guanti:

- vai a fare un giro esplorativo del piano di sopra – gli disse, senza voltarsi nella sua direzione – non ho bisogno di te, qui...

Guardò per alcuni istanti la schiena di Kaede che stava sfiorando le pietre del pavimento dove erano stati adagiati i cadaveri, poi uscì, senza dire nulla. Si infilò le mani in tasca, sospirando piano. Insomma, non riusciva a capire come doveva comportarsi con lui. Erano colleghi, no? Avrebbero dovuto collaborare, darsi una mano, e invece Rukawa lo teneva all’oscuro di tutto, preferendo fare sempre tutto da solo. Sì, bhè, non era solito essere un tipo loquace, certo, era già tanto se diceva cinque parole in una frase, senza rischiare una paresi delle corde vocali. Però, insomma.. che diamine!! Se lavoravano assieme, avrebbero dovuto comunicare! Era questo che ci si aspettava, quando si faceva parte di una squadra? E invece lui pareva ostinarsi a volere fare sempre tutto da solo.

“Devi fidarti di lui.”  aveva detto Anne, una volta, quando lui aveva provato ad esporle i suoi dubbi riguardo al modo di lavorare di Kaede “di solito, lui non interagisce con nessuno.” Perché con lui interagiva? Era anche vero che sopportava la sua vicinanza e le sue chiacchiere e qualche volta gli era parso di scorgere un lampo di attenzione in quegli occhi blu, che erano diventati la sua ossessione.

Cercò di concentrarsi su quell’esplorazione, scacciando dalla sua testa l’immagine di quella dannata volpe siberiana…Anche se avrebbe voluto correre indietro, sbatterlo al muro e dirgli tutto quello che pensava di lui…Già, cosa pensava di lui? Scosse la testa, meglio non indagare oltre, su questo punto, era un terreno decisamente pericoloso.

Il castello aveva un che di inquietante, si disse Hanamichi, mentre girava per quelle stanze, ogni cosa era coperta di ghiaccio, per via della neve che era entrata dai numerosi crolli del tetto…La cosa strana, poi, era quella sensazione che ci fossero due occhi che lo seguissero, era una sorta di carezza mentale, come un mormorio indistinto.

Si guardò in giro, nulla pareva essere fuori posto in quella casa, era -con ogni evidenza- disabitata da tempo, e allora perché quelle persone si erano radunate proprio lì? Cosa era successo? Attaccate dai vampiri? Perché poi? E se ne erano andati? O si aggiravano ancora in quei dintorni? L’idea di lasciare Kaede da solo, al piano di sotto, non lo entusiasmava, come il fatto di dover girare da solo in quelle stanze...

non ho bisogno di te.”

Quella frase gli vorticava in testa, da quando l’aveva lasciato. Era una frase banale, che però assumeva contorni davvero poco piacevoli. Oh, certo, lo sapeva che per lui non rappresentava certo il massimo della compagnia e nemmeno il centro dei suoi pensieri, sapeva anche che non l’aveva detto con l’intenzione di ribadire una cosa assoluta, solo una semplice constatazione di fatto. Quando Kaede liberava i suoi poteri empatici, non aveva bisogno di nessuno attorno, per non rischiare di veder falsate le sue percezioni. Però sentirselo dire con quel tono freddo, noncurante...

A volte, avrebbe voluto che lui e Kaede andassero d’accordo. La cosa in sé aveva del ridicolo, se ci pensava bene. Erano completamente diversi…Kaede non sopportava il suo essere impulsivo, il fatto che fosse incapace di fermarsi a riflettere fidandosi dell’intuito, più di ogni altra cosa, ma che male c’era? Lui era fatto così, non sarebbe mai riuscito a fermarsi e ragionare sulle cose: agiva e basta, molte volte partendo in quarta, era vero, e andando quasi a sbattere, però Leyla una volta aveva detto che questa impulsività poteva essere anche considerata una qualità. Era anche vero che Kaede aveva sbuffato, di fronte a questa constatazione, che altro non era che un riconoscimento del suo Genio, no?…Lui, d’altro canto, non capiva bene neppure la freddezza di Kaede, questo mettersi continuamente al di fuori di tutto e di tutti, cercando di non farsi toccare da nulla…o forse sì, forse riusciva a comprenderlo o almeno così credeva, perché con Kaede non c’era nulla di assoluto e certo: era il fatto di non sapere nulla di sé, del proprio passato, a spingerlo a questo comportamento…Molte volte si era trovato a considerare che, in fondo, lo invidiava. Anche Hanamichi avrebbe voluto dimenticare, cancellare ogni cosa, una voglia di non provare più dolore, di non farsi travolgere dal passato, dalla morte di sua madre e da quella del patrigno. Era arrivata in ospedale troppo tardi: emorragia interna, avevano sentenziato i medici...quel bastardo le aveva spappolato la milza a suon di calci...Mentre lo aspettava seduto al tavolo della cucina, ancora ignaro delle condizioni in cui versava sua madre, aveva pensato più volte che lo avrebbe ucciso. Lo avrebbe ucciso, con le sue mani…non era più un bambino solo, spaventato e in lacrime, non gli avrebbe più concesso quel potere su di lui…Dopo, quando era tutto finito e lui si era ritrovato solo al mondo, a salvarlo era stato proprio il suo carattere aperto, solare. Non si era chiuso in un silenzio, gli piaceva stare con gli altri, i suoi amici, Yohei e gli altri, gente che lo conosceva da sempre e che lo faceva sentire al sicuro e protetto...certo, ora che lavorava per la Luna Foundation poteva vederli poco, ma quando aveva un momento libero, correva in città a cercare quella banda di smidollati…ma la Luna Foundation era ormai diventata parte di lui. Lavorare lì in mezzo a  loro era qualcosa che lo gratificava, certo, ne aveva viste di cosa strane in quei pochi mesi, però era stupefacente come Leyla e Anne riuscissero a farlo sentire a casa, a suo agio.La vita non era sta facile per lui, tutt’altro, aveva sempre dovuto lottare. Non c’era stato nulla che non avesse dovuto raggiungere sputando sangue, e a suon di lotte con le unghie e con i denti. E più cercava di avanzare, più le cadute erano rovinose e dolorose. Ricordava come anche all’università (dove era riuscito ad entrare per una borsa di studio concessa da un anonimo benefattore) le cose fossero state tutt’altro che facili. Non c’era stato mai nulla di semplice, nella vita di Hanamichi Sakuragi…La Luna Foundation era stata la sua oasi di felicità, sin dal primo giorno in cui c’era entrato…e Kaede faceva parte di tutto quello, che lui lo volesse, o no. Anche con i suoi insulti, anche con la sua indifferenza, anche se lui continuava a proclamare di odiarlo, la presenza di Kaede aveva assunto una importanza notevole nella sua esistenza, poteva dire che ne era diventato il centro, e la cosa cominciava  a spaventarlo non poco, per le implicazioni che portava con sé.

Girò nel corridoio, quella era un’ ala del castello che pareva essere stata risparmiata dai crolli. C’era un lungo corridoio con le pareti in pietra nuda e alcune porte che vi si affacciavano…Aprì quella più vicina a lui, spinto da un impulso strano.

La stanza era ampia e fredda, considerò guardandosi intorno, mentre il fiato si condensava davanti al viso. Una parte del tetto era crollata, distruggendo completamente un angolo del castello. Dal crollo, era entrata molta neve e anche adesso, che nevicava, piccoli fiocchi entravano portati dalle folate di vento. Un massiccio caminetto di pietra occupava la parete di fronte a lui, e ai due lati c’erano due alte e strette finestre. Oltre i vetri opachi e sporchi, si poteva scorgere la landa innevata che circondava quei luoghi. Il silenzio era avvolgente e pesante, nessuno rumore o voce giungeva da fuori…pareva di essere in mezzo al nulla. Si avvicinò alla finestra, guardando quella bianca distesa attorno alla casa. Il villaggio non si vedeva, restava dietro la curva della collina. Ripensò alla vecchia con lo scialle frangiato, fuori dalla stazione di posta...Li aveva benedetti, perché convinta che andassero incontro alla morte. Un brivido gli cose lungo la schiena.

 

Un vortice di neve sibilò silenzioso nell’angolo della stanza, dove il tetto era crollato. Ricomponendosi piano, in una figura avvolta in un mantello nero bordato di pelliccia, le braccia incrociate al petto e il capo coperto dal cappuccio.

 Mosse lievemente una mano, mentre un sorriso si dipingeva sul suo volto e, dal lato opposto, apparve un pianoforte lucido con il coperchio sollevato.

“Lo spettacolo comincia. Risvegliamo il fuoco.”

 

Hanamichi si voltò, e solo allora notò che in fondo alla stanza c’era un pianoforte. Strano, prima entrando non vi aveva fatto caso, chissà che ci faceva lì.. era decisamente fuori posto, in mezzo a quella desolazione, lo guardò un attimo, mordendosi il labbro inferiore, si sentiva formicolare le mani, era una strana sensazione, quasi di aspettativa.

Ad Angel’s Manhor non si era mai arrischiato a farlo, non aveva mai osato chiedere a Leyla di poter suonare il lucido Stainway che c’era nella vasta sala a pianterreno, vicino alla biblioteca.

Eppure, da Auteuil gli era rimasto un certo vago desiderio di posare nuovamente le dita su una tastiera, ma come spiegarlo a loro? E a Kaede, poi? Ricordava la sua reazione, quando ad Auteuil lo aveva trovato seduto al pianoforte. Lo aveva guardato come se fosse pazzo…Ma lui non lo era…Lui sapeva di conoscere la musica, di conoscere la disposizione delle note sui tasti bianchi e neri e di saper leggere uno spartito…era un qualcosa che gli promanava da un punto indefinito dell’animo, era come se lo avesse sempre saputo, senza bisogno di apprenderlo, secondo i canoni normali.

Kaede era al piano di sotto, non lo avrebbe sentito…e quel pianoforte era lì, silente da tanto tempo. Si avvicinò al piano, sollevando il coperchio che fortunatamente era stato risparmiato dal gelo. Sfiorò i tasti ingialliti traendone suoni leggeri, anche al suo orecchio non allenato era chiaro che il piano era scordato; alcuni tasti non suonavano neppure, probabilmente il meccanismo del martelletto era rovinato. Peccato, gli sarebbe piaciuto molto poter provare a suonare.

Hanamichi era talmente teso e concentrato sulla tastiera, che non si accorse dell’apparizione, neppure quando quella gli posò una mano sulla spalla.

Sussultò, quando sentì un dolore lancinante al collo, cercò di divincolarsi, ma qualcosa gli teneva ferma la testa, inclinandola di lato…La sensazione gli tamburellava nella testa incessante come un rumore sordo, aveva gli occhi spalancati, ma la luce si affievoliva piano, come qualcosa che velava la fiamma di una candela.

 

L’estasi, quella era l’estasi. Non c’era altro modo di descrivere la sensazione

di quel sangue che gli scendeva in gola, dopo aver accarezzato il palato.

Deglutì, ingoiando fino all’ultima goccia e mentre beveva quella coppa d’ambrosia

creò il suo legame con quell’umano dai poteri così straordinari e ancora latenti.

Ancora per poco, presto, lui -Eugenij Ravnjos- li avrebbe risvegliati

e allora il mondo sarebbe stato suo e soltanto suo.

“Che insperata fortuna...”

Ripeté, mentre lasciava accasciare il corpo di quel giovane sul pianoforte.

Che fortuna davvero, che un tale potere fosse rinchiuso in un essere umano così fragile e

vulnerabile.

Un sorriso si distese sulle sue labbra, mentre considerava che

sarebbe bastato semplicemente fare leva sul suo punto debole, che ignaro di tutto

si stava aggirando nella stanza sotto di loro...

Davvero la cosa era molto divertente.

 

Poi d’un tratto tutto ebbe termine, sbatté gli occhi, cercando di rimettere a fuoco quanto c’era attorno a lui. La luce fuori dalla finestra era più fioca, segno che era passato del tempo da quando era entrato in quella stanza…Doveva essersi addormentato…si passò una mano sugli occhi, si sentiva strano, come avvolto in un bozzolo, qualcosa che smorzava tutto ciò che lo circondava, cercò di alzarsi, ma la voce di Kaede lo bloccò:

- Do’hao!- si volse, cercando di mettere a fuoco l’immagine dietro di lui, faceva fatica a comandare i suoi sensi, erano come addormentati, probabilmente per via del sonno...Kaede era fermo sulla porta, il sopraciglio sollevato, le braccia incrociate al petto che lo guardava impassibile….- Cosa stai facendo?

Si strinse nelle spalle:

- volevo provare questo pianoforte…

- E’ così che svolgi l’incarico….

- Ohi, kitsune, mi sono solo seduto al pianoforte e poi non c’è nulla in questa casa.

- Quando hai finito di trastullarti...ti aspetto di sotto, così ce ne andiamo, per oggi abbiamo finito.

Si alzò dal pianoforte sentendo le gambe incapaci di sorreggerlo, si passò le mani sulla fronte, stava sudando freddo…Possibile che avesse la febbre? Si mosse barcollante verso il centro della stanza. Si guardò le mani, lievemente, ma tremavano. Il cuore gli correva nel petto come impazzito, aveva la gola secca e riarsa…

 

La figura con il mantello si guardò intorno, mentre i due giovani uscivano dalla stanza e una risata gli salì alle labbra...

Dannatamente facile e pure divertente.

La vita era stata davvero clemente con lui, dopo anni passati a vivere come un reietto

senza dimora, Clan, denaro per vivere, costretto a strisciare lungo i muri nella notte per potersi nutrire...

e ora, tutto a un tratto, la possibilità di vendicarsi.

Doveva stare attento e giocare bene le sue carte. Una sola mossa avventata e tutto sarebbe andato perduto. E lui -Eugenij Ravnjos- non poteva permetterselo.

 

 

Hanamichi scese le scale, percependo distintamente il rumore dei suoi passi sulla nuda pietra; tutto sembrava risuonare nella sua testa, come un’eco ripetuta e lontana. Raggiunse Kaede nella sala dove erano stati trovati i cadaveri…

- Trovato nulla?

Scosse la testa, poi resosi conto che Kaede gli dava le spalle disse:

- No.

La voce probabilmente gli era uscita mozzata, perché Kaede si volse a guardarlo, alzando un sopraciglio, ma lanciandogli uno sguardo distratto mentre si rimetteva i guanti, probabilmente era ancora infastidito dall’averlo trovato seduto al pianoforte. Reagì d’istinto irrigidendosi. Dannazione! lui non aveva fatto nulla di male...

- Cos’è…?- chiese Hanamichi, indicando un simbolo inciso nella pietra sopra il caminetto, qualcosa nella sua testa si risvegliò...un lampo un pensiero

 

“Vuoi bruciare nel fuoco?”

Tutto passò veloce come era venuto. Un’illusione.

- Il simbolo di un clan, probabilmente. – rispose Kaede.

- Clan? – Hanamichi si sentiva la testa leggera, faticava a seguire le parole dell’altro, era come se gli giungessero lontane e ovattate, c’era qualcosa nella sua testa un ronzio strano, come l’eco di un rumore di fondo…

 - Vampiri, Do’hao, - Kaede non riuscì a reprimere il tono lievemente spazientito – Fai qualche foto...

- Eh?

- Insomma…- Kaede lo superò, chinandosi sulla borsa che era posata ai suoi piedi, estraendo una macchina fotografica digitale.

Scattò alcune foto in silenzio, e Hanamichi scosse la testa un paio di volte. Continuava a sentirsi fuori fase…Aveva la testa leggera e anche i rumori e la voce di Kaede gli giungevano ovattati. Forse aveva la febbre, magari era stato contagiato durante il viaggio in sud America, dopotutto avevano combattuto con le zanzare per tutta la durata della missione.

 - ci conviene andare, sta facendo buio…- tagliò corto Kaede, cercando di ricacciare il cuore al suo posto. Da quando era entrato in quella stanza e lo aveva visto lì abbandonato sul pianoforte, gli batteva pericolosamente in gola…non era stato il fatto di trovarlo addormentato a sconvolgerlo tanto, era stato il mutare della visione...i capelli lunghi raccolti in una coda e trattenuti da un nastro di velluto nero e il nome che gli era salito quasi istintivamente alle labbra:

Philippe.”

Il tragitto di ritorno fu fatto nel più completo silenzio. La neve non aveva smesso di cadere e una spessa coltre morbida era scesa a ricoprire il loro precedente passaggio. Ci impiegarono più di un’ora a tornare al villaggio e, quando arrivarono, erano completamente fradici di neve, anche per colpa di Hanamichi che, a causa dello stato precario delle sue gambe, era inciampato un paio di volte trascinando con sé anche Kaede, in un paio di occasioni. Il freddo contatto con la neve però aveva avuto il benefico effetto di schiarirgli un po’ la mente e ora si sentiva vagamente meglio, sicuramente dopo un bagno caldo e una buona dormita sarebbe tornato in forma, chissà, magari riusciva anche a trovare un’aspirina...per evitare di prendersi un’influenza. Arrivarono alla locanda, dopo essere passati alla stazione di posta a ritirare i loro bagagli. E lì, accadde qualcosa di insolito...Hanamichi era rimasto fuori, sotto la neve, ad aspettare Kaede che era entrato nella stazione, non serviva entrare in due, si era detto, e poi dopotutto gli piaceva la gelida carezza della neve che cadeva sulla sua pelle. La vecchia era ancora lì, seduta fuori dalla porta, fasciata nel suo scialle multicolore, li squadrò da capo a piedi con espressione stupita, evidentemente non si aspettava proprio di vederli tornare indietro da quella casa. E quando il suo sguardo si posò su Hanamichi, ebbe una reazione strana: sgranò gli occhi terrorizzata, facendosi un paio di volte il segno della croce:

- Damphyr...Damphyr.. – continuava a ripetere e altre parole che lui non capiva.

- Taci, stupida vecchia! – proruppe Hanamichi sbuffando spazientito, senza saper neppure lui perché, non avrebbe voluto essere sgarbato, non lo era mai con nessuno, ma la cantilena di quella donna e il modo in cui lo indicava...Girò sui tacchi e si diresse verso la Locanda che portava appesa fuori un insegna in legno con l’immagine di San Giorgio che uccide il Drago.

Kaede uscì in quel momento dalla posta e rimase a fissarlo con un sopraciglio sollevato, mentre si allontanava verso l’ostello, stava per seguirlo quando la vecchia lo prese per un braccio trattenendolo e attirando la sua attenzione:

- Hn. – cercò di non scrollarsi bruscamente, d’altronde quella non poteva sapere la sua idiosincrasia ad essere toccato. La donna parve non accorgersi del suo fastidio e cominciò a parlare velocemente, Kaede conosceva un po’ lo slavo, ma quella parlava troppo velocemente, capì solo alcune parole come Damphyr, Fuoco e bruciare….mentre gli indicava la figura di Hanamichi che si allontanava con le mani affondate nelle tasche.

Improvvisamente la donna smise di parlare e indietreggiò lasciandolo andare e con quel movimento lo scialle le scivolò dalla testa canuta. Kaede si chinò a raccoglierlo per aiutarla a risistemarlo e solo in quel momento, incrociando gli occhi della donna, si accorse con stupore che era cieca, una patina bianca velava la sua pupilla. La donna si accorse della sua vicinanza e, prendendogli una mano, gli mormorò un flebile grazie, allontanandosi poi senza voltarsi indietro.

Si volse a guardare la figura di Hanamichi, ormai giunto nei pressi della locanda, che lo aspettava nell’arco di luce del portico…eppure la luce attorno a lui assumeva contorni strani, come se  venisse riflessa da un’oscurità latente, ancora quella visione di Sakuragi ghermito da un manto di tenebra. Si affrettò a raggiungerlo, cominciava a sentire il freddo penetrargli nelle ossa per via dei vestiti bagnati.

 

Hanamichi era strano quella sera: Kaede lo osservò attentamente a cena, mentre svogliatamente mangiava il suo gulasch: era stranamente silenzioso e apatico e poi c’era una luce febbrile nei suoi occhi. Le parole della donna però erano strane...Bruciare nel fuoco...sì, gli pareva avesse detto questo, però non aveva molto senso, certo.. se si fosse riferita al colore dei capelli di Hanamichi, poteva avere un qualche significato recondito, c’era -se non rammentava male- qualche tradizione sui vampiri slavi che aveva come segno distintivo i capelli rossi, ma la sua conoscenza si fermava lì e poi c’era il fatto che quella donna era cieca, per cui non poteva essere a conoscenza del colore dei capelli di Hanamichi. E fatto non trascurabile, Hana non era un vampiro.

- Ohi, kitsune...- alzò lo sguardo e vide Hanamichi davanti a lui che lo fissava.

- Hn.

- Io vado a farmi un bagno...

- Hn...

- Sempre loquace, eh?

Lo osservò allontanarsi verso le scale, camminava incerto, quasi barcollando, sembrava non avere un equilibrio molto stabile e poi anche nel cammino di ritorno dal castello era caduto un paio di volte, si alzò e lo raggiunse:

- Do’hao, sei sicuro di stare bene?- disse, mentre salivano le scale che portavano al piano di sopra, trattenendosi dallo stendere un braccio per sorreggerlo.

- sì, Baka kitsune, di che ti preoccupi? Il Grande Tensai sa badare a sé stesso.

Spalancò la porta della camera con il numero che c’era sulla chiave che stringeva in mano. Si bloccò sulla porta, imprecando. E Rukawa, sbirciando da sopra la sua spalla, non replicò, non lasciando trapelare lo sgomento che gli aveva attanagliato il cuore alla vista dell’unico letto nell’angolo della stanza. Ci mancava solo questa! Dividere il letto con Hanamichi! Hanamichi –stranamente- non proferì parola, prese le sue cose e uscì dalla stanza, dirigendosi verso il bagno in fondo al corridoio. Rukawa si sedette al tavolino e accese il computer, trascrivendo i dati raccolti quel giorno e scaricando le foto dalla macchina digitale...doveva spedire tutto il materiale a Leyla ed Anne il giorno seguente, dalla stazione di posta.

 

Eugenij Ravnjos osservò la scena dalla finestra...

“Quella dannata vecchia...”

poco male, comunque, pareva non avessero capito molto dello sproloquio che aveva fatto.

Meglio così, e anche se avessero compreso, si sarebbe semplicemente limitato ad eliminare gli ostacoli...

Guardò l’essere umano dai capelli rossi rientrare nella stanza...

La sete cominciò a tormentarlo, si passò la lingua sulle labbra.

Sangue...aveva bisogno del sangue di quell’essere, un disperato bisogno.

Sapeva che quello che stava facendo era pericoloso, per lui.

Diventare così dipendente dal sangue di un essere umano non

era una cosa molto saggia, c’erano molto pericoli nascosti

in quell’incantesimo, ma la posta in gioco valeva i rischi, dopotutto.

Li osservò cambiarsi e andare a dormire...quando gli parve di avere atteso il tempo sufficiente

a far crescere la sua sete,

con un gesto della mano, socchiuse la finestra e vi entrò sotto forma di turbinio di neve,

Ricomponendosi poi nella sua forma di vampiro, sopra il giovane addormentato con i capelli rossi, rossi come il fuoco che gli scorreva nelle vene.

Rossi come il sangue, che lui presto avrebbe assaggiato.

I suoi freddi occhi azzurri brillarono di aspettativa.

Doveva impiegare molta della sua energia mentale, per impedire che l’altro sdraiato dall’altro lato del letto si svegliasse.

Gli lanciò un’occhiata di traverso, soffocando una risata...

Allungò una mano, un movimento delle dita lunghe e sottili con le unghie ben curate.

E i bottoni della camicia si slacciarono piano, scoprendo la base del collo.

Hanamichi sollevò il corpo inarcandosi contro quel tocco sulla sua pelle, socchiuse leggermente le palpebre. Eugenij gli inviò l’immagine di Kaede davanti agli occhi, la sensazione dei suoi baci sulla pelle, le sue carezze scivolare su di lui mescolando il profumo di lui e i suoi capelli solleticargli la cute.

Era così semplice! Bastava attingere ai ricordi e ai desideri sepolti nella parte più recondita del cuore della sua vittima.

Si chinò sul collo leccando lieve la pelle morbida sotto l’orecchio, per poi scendere alla base. Sentiva il profumo del sangue invadergli le narici e il rumore del suo scorrere nelle vene

gli risuonava nelle orecchie.

La sua sete era giunta al culmine, non poteva più aspettare.

Affondò i denti sentendo, come la prima volta, la pelle lacerarsi e un fiotto caldo riversarsi sulla sua lingua, il corpo percorso da brividi inebrianti...

Le dita correvano leggere sulla sua pelle accendendo milioni di brividi al loro passaggio...la sensazione di dolore al collo lo colse impreparato, facendolo inarcare...

E ancora quel senso di scivolamento, come se venisse risucchiato via.

Il sangue che gli scorreva nelle vene, lo sentiva riecheggiare nelle sue orecchie, così come il tamburellante rumore del cuore...

Eugenij sollevò la testa, mentre un rivolo di sangue gli scendeva dal lato della bocca.

La lingua saettò fuori dalle labbra a raccoglierlo, neppure una goccia andava sprecata.

Si sollevò levitando sopra il letto e atterrando davanti alla finestra.

Per quella sera, poteva bastare. Schioccò le dita e scomparve nella notte.

 

Sakuragi si sollevò sul letto ansante...Dove si trovava, prima di tutto…? Cercò di fare mente locale, spazzando via la ragnatela che gli ottenebrava la mente. Erano in Rutenia, in un paesino sperduto nel cuore del paese, tagliati fuori dalle vie di comunicazione e in mezzo a una popolazione che pareva rimasta ferma al secolo precedente, da come si vestivano e si comportavano. La vecchia aveva detto qualcosa riguardo a lui e pareva molto spaventata, ma lui non aveva capito nulla di quel fiume di parole che gli aveva riversato addosso…Aveva riconosciuto solo la parola Damphyr, perché l’aveva sentita pronunciare da Kaede. Nient’altro.

Kaede…Ecco un altro problema…Che razza di sogni si ritrovava a fare, su quella dannata volpe spelacchiata? Arrossì al pensiero delle immagini che fino a poco prima avevano popolato la sua mente, anche se chiudeva gli occhi, poteva ancora vederle davanti a sé scorrere nella sua  testa. Si passò una mano sugli occhi, ma non riuscì a scacciare l’immagine dello sguardo di Kaede annebbiato dalla passione... Evitava di voltarsi a guardarlo pacificamente addormentato.

Quando era tornato dal bagno, dopo essersi fatto un lungo bagno caldo, lo aveva trovato seduto al tavolo, intento a scrivere il rapporto da spedire l’indomani a Leyla dalla Stazione di posta, l’unica ad avere la linea telefonica. Si era seduto accanto a lui, senza parlare per alcuni minuti. Avrebbe voluto -a dire la verità- raccontargli della donna e di quello che era successo, ma non sapeva come cominciare il discorso e neppure era in grado di riportare tutto ciò che la donna aveva detto. Dopo un po’, stufo di quel silenzio, si era diretto verso il letto e aveva cercato di dormire, senza molto successo. Dopo qualche tempo, non avrebbe saputo dire quanto, Kaede si era mosso, cambiandosi e sdraiandosi accanto a lui. Questo non aveva certo aiutato il suo autocontrollo, né tanto meno aveva conciliato il suo sonno. Forse era per questo, che quel sogno si era infilato nella sua testa? Sinceramente ne dubitava fortemente, anche a San Francisco era già successo che si svegliasse da un sogno simile… pareva incontaminato e, tutto sommato, lo era: senza passato, senza ricordi, senza dolori. Era innocente e fragile. Gli scappò una risata involontaria: erano due termini che poco si addicevano alla kitsune ibernata e spelacchiata, eppure non poteva fare a meno di pensarlo, anche se era convinto che Rukawa lo avrebbe preso a pugni se solo glielo avesse detto. D’improvviso si accorse che la finestra era aperta, la neve entrava a folate accumulandosi ai piedi del muro. Rabbrividendo si alzò per chiuderla, rendendosi conto di avere di nuovo le gambe molli, la pelle incendiata e la gola riarsa.

Mentre tornava verso il letto, rimase di nuovo incantato a guardare Rukawa dormire:

- Perché mi respingi, Kaede? – si ritrovò a mormorare, mentre si chinava a scostargli una ciocca di capelli dalla fronte.

L’altro si girò nel sonno, avvicinandosi inconsciamente a lui.

- Do’hao...-

- Ecco, appunto...

 

§ § §

 

Sentiva il cuore che gli batteva all’impazzata nel petto, era certo di non sbagliarsi, due occhi lo osservavano, ne era sicuro, li sentiva su di sé mentre si aggirava per quelle stanze vuote...Due occhi rossi come il sangue e brucianti come il fuoco...Un fuoco e un calore che lo attiravano inesorabili, ma che sentiva di dover temere. Per tutta la notte non era riuscito a dormire, si svegliava sempre di soprassalto, come se qualcuno lo scuotesse bruscamente...E poi c’era quella sensazione di essere seguito, come se un paio di occhi...ricordava il colore: azzurro con l’iride cerchiata di rosso...lo pedinassero perennemente, anche nei sogni. Sbadigliò per l’ennesima volta, mentre quella sensazione non lo abbandonava neppure in quel momento.

Era il secondo giorno che giravano per quella casa. Non sapeva cosa Kaede aveva trovato, né se aveva trovato qualcosa. Tutte le volte che si apprestava a ispezionare una stanza, lo mandava fuori con l’incombenza di fotografare tutto ciò che poteva sembragli anomalo o fuori posto. Come se, in quel castello completamente sventrato, ci fosse qualcosa di normale!.

Comunque lui eseguiva diligentemente e fotografava ogni angolo, ogni ombra...quando era entrato nella stanza del pianoforte il giorno prima, le sue percezioni avevano subito un tracollo, era come se fossero implose tutte insieme, per poi ritornare ai livelli normali. Aveva percepito un black out totale di pensieri di alcuni secondi e alla fine si sentiva spossato e stanco, privo di energie...Non riusciva a capire cosa gli stesse succedendo. Anche la notte precedente si era risvegliato in quelle condizioni, dopo quel sogno...Scosse la testa, cercando di non richiamare alla sua mente quelle immagini...

 

“Lui non ti ritiene all’altezza…per questo, ti tiene all’oscuro.”

 

Si girò, guardandosi intorno, ma quell’ala della casa era deserta, non c’era nessuno oltre a loro e allora da dove veniva quella voce viscida, insinuante?... che pareva girargli attorno come un’eco che si ripercuoteva nella sua testa incessantemente.

 

“Non ha grande opinione di te, ti reputa un idiota…”

 

- Chi è là??…- aprì di scatto la porta guardandosi attorno nel grande salone, ma questo era vuoto e silenzioso. Solo l’eco del vento riecheggiava fuori, facendo vorticare la neve tutt’intorno. Che strano paese.. da che erano lì, non aveva mai smesso di nevicare. La neve… da bambino, restava per ore con il naso incollato alla finestra, nella speranza di veder scendere quei fiocchi candidi dal cielo azzurro terso della California. Non ne aveva mai vista così tanta. Quella mattina, mentre si dirigevano verso il castello, aveva seguito un impulso improvviso e, raccolta una manciata di neve fresca tra le mani, aveva chiamato Rukawa:

- Ohi, Kitsune...

Quando l’altro si era voltato, gli aveva tirato la palla di neve diretta sul viso, scoppiando subito a ridere, quando l’aveva colpito in pieno...mentre si teneva le mani sui fianchi, la voce gelida di Rukawa gli era scesa nel cuore congelando la sua ilarità:

- Do’hao!

Si era voltato ripulendosi il volto, riprendendo a camminare dritto davanti a sé. Hanamichi si era sentito improvvisamente solo e triste...

 

“Non ha bisogno di te….”

 

Di nuovo quella voce, questa volta era certo di averla sentita attorno a sé, volteggiare come un’ eco nella stanza, si guardò intorno ma non c’era nessuno.

Però era vero, per quanto lui si sforzasse, non c’era verso di far riconoscere a Kaede la sua presenza come persona, se non indispensabile, per lo meno utile. Anche quelle incombenze che gli aveva affidato erano più che altro modi per tenerselo lontano da i piedi. Sospirò, doveva decidersi a chiedere a Leyla di non farlo lavorare più con Kaede nelle prossime missioni. Quel pensiero gli provocò una fitta dolorosa al petto, ma era necessario, prima che tutti quei sentimenti confusi si tramutassero in qualcosa di profondo e ben più difficile da estirpare.

 

“Il Fuoco è in te...seguimi e vi brucerai.”

 

Sussultò, mentre aveva la netta sensazione che qualcosa lo avesse sfiorato...si volse da quella parte e gli parve di vedere l’ombra ritrarsi in maniera innaturale sul muro...come una mano che si scostava...una mano? Corse precipitosamente indietro, verso la stanza dove aveva lasciato Kaede poco prima, ed entrò travolgendolo e facendo cadere entrambi per terra:

- Do’hao!- il tono di Rukawa tradiva la sua irritazione.

- Kitsune, c’è qualcuno qui…l’ ho sentito parlare e poi ho visto...

- Hn, sarà il vento, questa casa è praticamente sventrata…- si alzò da terra spazzolandosi i pantaloni.

- Baka Kitsune!! Ti dico che c’è sicuramente qualcuno!! – insistette, strattonandolo per il braccio, cercando di trascinarlo via con sé nella direzione da dove era venuto.

- Hanamichi, insomma! – la sua voce aveva assunto quella nota fredda che denotava la pericolosa vicinanza a perdere la pazienza e il rossino si morse le labbra chinando il capo, di fronte allo sguardo freddo del compagno.

Rukawa era spazientito, era la terza volta che entrava nella stanza che lui stava esaminando blaterando che qualcuno lo stava seguendo nei suoi giri di ispezione per la casa.

- Ti dico che c’è qualcuno, in questa casa!! – tentò di nuovo, ma con meno foga.

- Hn…- il sopraciglio si sollevò oltre il livello di guardia e Hanamichi preferì allontanarsi senza insistere oltre, borbottando qualcosa mentre si scostava, ma lui non vi prestò attenzione: in quella stanza c’era qualcosa...una concentrazione di odio e risentimento notevolmente potente. Qualcosa che aveva a anche fare con quel simbolo inciso sul muro. Se solo fosse riuscito a mettersi in contatto con Leyla, la connessione con il server quella mattina era saltata, e lui non era stato in grado di spedire il suo rapporto...La situazione stava prendendo una piega alquanto inquietante. Sfiorò la pietra davanti a lui, cercando di concentrarsi, mentre liberava il suo potere...

 

“vediamo se possiamo dargli qualche cosa di cui preoccuparsi seriamente,

giusto per non togliermi del divertimento.”

Eugenij si concentrò, liberando delle immagini dalla sua mente,

dirigendole verso la pietra che Kaede stava toccando...

Kaede percepì il familiare mormorio farsi sempre più sommesso, mentre qualcosa emergeva dalla pietra...

Una stanza...quella stessa stanza, con il pavimento interamente ricoperto di candele,

la luce aranciata disegnava ombre sul muro.

Una figura stava al centro di un cerchio di persone...erano le vittime del sacrificio?

Non riusciva a distinguerne i volti.

La figura attrasse la sua attenzione, cominciando a parlare in una lingua a lui sconosciuta.

Una cantilena ipnotizzante.

Due figure si mossero entrando nel cerchio, portavano entrambi un mantello con il cappuccio calato a coprire il capo.

Una delle due figure alzò le braccia facendo ricadere con gesti lenti e misurati la stoffa,

rivelando un viso spigoloso incorniciato da lunghi capelli grigi e due occhi azzurri

freddi e malvagi...come il sorriso che gli piegava le labbra, mettendo in mostra i canini.

Le sue braccia si rinchiusero attorno alle spalle dell’altro e il suo viso

affondò nel collo...

La cantilena delle persone attorno a loro crebbe di intensità.

Alla fine, dopo un tempo che poteva essere parso interminabile, il volto del vampiro dagli occhi azzurri riemerse con le labbra macchiate del sangue della sua vittima. Lo attirò a sé porgendogli il collo, affinché questo lo mordesse e si nutrisse a sua volta.

Quando si sciolsero dall’abbraccio, lasciò ricadere il mantello...

I rossi capelli della figura rilucevano carezzati dalla luce aranciata delle candele.

Si volse piano, rivelando il viso che emergeva piano piano dall’ombra...

 

- Hanamichi...- boccheggiò Kaede cadendo sulle ginocchia, mentre il cuore gli scoppiava nel petto e le immagini si dissolvevano davanti a lui...

 

 

§ § §

 

Hanamichi si svegliò con una sensazione strana…gli era parso di sentire una voce, un sussurro che lo chiamava…restò in ascolto, ma fuori c’era solo il lieve fischiare del vento, gli ululati dei lupi che si aggiravano per la steppa…Si sollevò a sedere…affacciandosi alla finestra, l’oscurità avvolgeva la campagna desolata attorno al paese. Laggiù in fondo, illuminata dalla luce della luna, poteva scorgere le rovine di quella casa. Mentalmente ringraziò il fatto che mancasse buona parte del tetto, così non avevano dovuto dormire là…Non che quella sistemazione fosse migliore…e non lo diceva tanto per le condizioni generali dell’alberghetto in cui erano alloggiati. Il fatto era che avevano dovuto dividere la camera e lo stesso letto…Deglutì rumorosamente, sbirciando dal vetro la visione addormentata di Kaede…

Lanciò un’occhiata all’angolo di quella stanza e il fiato gli si mozzò in gola, quando si rese conto che dei lamenti provenivano da lì…Kaede gemeva e si agitava nel sonno, mormorando parole incomprensibili, tendeva le mani fasciate nei guanti di pelle…

Si avvicinò al letto, restando affascinato, gli sfiorò la fronte mentre si inginocchiava accanto a lui, prendendolo per le spalle e scotendolo leggermente. Nulla! L’altro sembrava avvinto dalle spire di un sogno tenace…senza pensare a quello che stava facendo, si sdraiò accanto a lui avvolgendolo con le braccia, gli accarezzò i capelli con movimenti lenti e carichi di dolcezza. Parve avere un effetto calmante su Kaede, che smise di agitarsi ma non si svegliò del tutto.

Un ricordo vago, lontano, dei di quella pelle, di quel profumo, lo invase mentre una immagine del volto di Kaede steso sopra di lui lo colpì come un flash…era come nel sogno della notte precedente...eppure, eppure c’erano altri particolari che parevano riguardare la casa di Auteuil.

Lo scosse piano, chiamandolo, pronto a schivare il pugno che partiva praticamente in automatic mode quando l’altro veniva svegliato…

Kaede emerse dalle nebbie del sonno cercando di capire dove si trovasse...Acqua gelida lo avvolgeva...Freddo...due mani forti lo afferravano per le spalle e poi una voce...un viso sopra di sé...mise a fuoco una massa di capelli rossi, due occhi castani e un profumo che lo stordiva...spalancò gli occhi e si mise a sedere sul letto, passandosi una mano sul volto sudato.

- che ci fai?- disse, rendendosi conto che Hanamichi era sdraiato accanto a lui e che praticamente lo stava abbracciando.

- hai avuto un incubo…

Hanamichi lo guardava preoccupato, continuando a tenergli le mani sulle spalle, di nuovo quell’espressione impensierita negli occhi nocciola.

- puoi lasciarmi andare, ora…

- mia madre diceva che..

- non me li ricordo mai...- lo interruppe.

- Eh?

- Al risveglio, non mi ricordo…

- Beh, ma magari..

- Lasciami, Do’hao! – gli scostò le mani dalle sue spalle - non ho bisogno di niente e di nessuno.

Le mani di Hanamichi scivolarono sulle sue spalle ricadendo inerti sul letto, si alzò senza parlare e si vestì velocemente, uscendo poi dalla stanza; rimase, però, alcuni istanti con la schiena contro la porta…perché doveva sempre respingerlo? Allontanarlo? Non c’era modo di perforare quella barriera? E poi, era così importante farlo?

Uscì nella notte andando a sedersi nel giardino, le ginocchia ripiegate al petto, incurante del freddo pungente e della neve attorno a lui. Si guardò in giro, con un vago senso di inquietudine...Erano giorni che si sentiva osservato, e anche nei suoi sogni vedeva due occhi freddi che lo scrutavano attenti...si volse a guardarsi alle spalle, ma non c’era nessuno...o forse gli era parso di scorgere il lembo di un mantello sparire velocemente laggiù, oltre quell’angolo...

Si diresse in quella direzione...svoltò l’angolo, ma non c’era nessuno nel buio profondo.

 

- Sciocco...- si volse attorno a sé, guardandosi in giro...Nessuno, non c’era nessuno, cominciava a spazientirsi.

- Il colore dei tuoi capelli..

- Chi è là..?!.

Un’ ombra prese forma dalla terra, presentandosi avvolta in un mantello scuro e pesante con il collo bordato di pelliccia di lupo,

i lunghi capelli grigi che si confondevano con il pelo.

- I tuoi capelli… il loro colore, sono singolari.. mi piacciono.

Hanamichi si ritrasse, sentendo le dita fredde di quella cosa muoversi tra i suoi capelli, non si era accorto che si era avvicinato...

Fissò impaurito quelle iridi azzurre cerchiate di rosso che lo avevano seguito per tutto

quel tempo:

- morbidi e vivi…come le fiamme...Dimmi, vorresti bruciare nel fuoco?

Hanamichi si rendeva conto di respirare con affanno…I suoi occhi erano avvinti a quelli di quell’essere che aveva davanti, non riusciva a muoversi…quelle dita si muovevano sinuose sulla sua pelle, erano gelide contro la sua guancia.

Di nuovo quella sensazione di smarrimento, vide il volto del vampiro chinarsi sul suo collo...

‘Vampiro’ la sua mente registrò quella realtà prima ancora che riuscisse a formulare un pensiero coerente, ma non riusciva a staccare da sé le mani di quell’essere, mani brucianti e calde sulla sua pelle stranamente fredda, gelida…

 

 

Kaede si alzò, vestendosi rapidamente, mentre pensieri vorticavano nella sua testa movendosi come impazziti. Tante cose che erano successe troppo in fretta…Era molto tempo che gli incubi non si presentavano alla sua mente, incubi di cui non ricordava molto, se non il grande senso di angoscia e la sensazione, al risveglio, di dover ricordare qualcosa di molto importante: il volto di qualcuno, una voce che diceva qualcosa. Vide che Hanamichi non era rientrato la notte scorsa, sarebbe uscito a cercarlo, non era un bene che andasse in giro da solo. Ripensò alla visione che aveva avuto il giorno prima nel castello...Un brivido di paura e orrore gli corse lungo la schiena...Aveva sempre avuto visioni chiare e precise...ma quella non poteva corrispondere alla realtà, né tanto meno avere un briciolo di possibilità di avverarsi...E allora? Prima di tutto, doveva trovare Hanamichi...

Camminava spedito per le viuzze del paesino...dove diavolo si era cacciato quel Do’hao? Era uscito la notte scorsa, dopo che lui aveva avuto il primo incubo...lo aveva respinto, è vero, ma che ci poteva fare se non riusciva a sopportare di essere toccato? Anche in ospedale, i primi giorni del suo ricovero dopo l’incidente...se un dottore o l’infermiera si avvicinavano lui, si irrigidiva...anche il più piccolo contatto gli portava alla mente immagini, visioni, sentimenti che si piantavano nella sua mente vuota come chiodi incandescenti...anche quando aveva imparato a controllare i suoi poteri, alzando quella barriera filtro che gli permetteva di potersi proteggere solo con i guanti, gli era rimasta la paura dei contatti umani. Li rifuggiva, anche quelli minimi: del dover stringere le mani o prendere un oggetto che qualcuno gli porgeva.

Non era quello il motivo, per cui l’aveva respinto la sera prima. Il contatto delle mani di Hana non era fastidioso...anzi, risvegliava sensazioni e ricordi che gli mozzavano il fiato. Sapeva cosa era successo quell’ultima notte ad Auteuil, lo ricordava perfettamente. Dopo i primi giorni di buio, la nebbia aveva incominciato a diradarsi sugli avvenimenti di quella notte...Lui aveva fatto l’amore con Hana...lo aveva posseduto, ma non come Julien Morrel bensì come Kaede Rukawa...cercò di scacciare quei pensieri, quelle immagini...lo sguardo offuscato di Hana, quegli occhi nocciola velati dalla passione, offuscati dal piacere e la sua voce roca, spezzata, che invocava il suo nome...Era stata una pazzia, ma non poteva incolpare le due anime disperate che popolavano la casa. Lo aveva fatto perché lo desiderava, ardentemente e con tutto sé stesso. Hanamichi probabilmente non ricordava nulla di quello che era successo e forse era meglio così...Già era uscito confuso dalla vicenda di Auteuil, se avesse saputo che loro erano diventati amanti...la cosa poteva essere preoccupante...

Strinse le mani a pugno, sentendo la pelle dei guanti tendersi e scricchiolare. Quella notte, quando si era risvegliato e lo aveva visto lì davanti a sé, i capelli scarmigliati, gli occhi spalancati e le labbra socchiuse, aveva dovuto fare leva su tutta la sua forza di volontà per non sporgersi e baciarlo, assaggiare quelle labbra e farlo stendere sotto di sé...

Si volse sussultando, quando sentì qualcosa sfiorargli il braccio. Alla sua sinistra, la vecchia cieca era lì, ferma di fianco a lui in silenzio, con il suo scialle frangiato a coprirgli i capelli.

- Damphyr...- le stesse parole di quella sera.

Spazientito le afferrò il braccio:

- spiegati!! Cosa vuol dire...?-

La vecchia si ritrasse impaurita, scuotendo la testa:

- Lui brucerà nel fuoco.

- Chi? – la voce di Kaede si alzò leggermente.

Scosse la testa e, prima di allontanarsi, gli indicò un angolo nascosto oltre una casa lì vicino. Mentre la vecchia se ne andava segnandosi con il rituale segno della croce ortodosso, un vago senso di terrore lo invase...un brivido lontano...indefinito...qualcosa come una cappa, come nella visione in cui aveva visto Hana trasformarsi in vampiro...Si mise a correre nella direzione indicata dalla vecchia. Girò l’angolo della casa, mentre il cuore gli si fermava in gola. Lo vide seduto sotto l’albero, le bracca incrociate la petto, il viso dai lineamenti rilassati dal sonno...quel dannato idiota dormiva? Lui era preoccupato e quello dormiva?

Si avvicinò e lo scosse bruscamente con un piede.

- Do’hao! – sibilò, mentre la rabbia gli montava alla testa sostituendo tutti i precedenti sentimenti.

L’altro aprì gli occhi, cercando di mettere a fuoco chi gli parlava.

- ti pare questo il momento di dormire?

- Che vuoi Kitsune?, tu dormi più di me...

- Alzati!

Si sentiva stanco...Eppure aveva dormito, ricordava di essersi steso sotto quell’albero per cercare un po’ di riposo...perché era tanto stanco, allora?

- Ero stanco. – protestò, tirandosi in piedi.

- Razza di idiota, vedi di dormire di più la notte...- la voce di Kaede era stata più dura di quello che avesse avrebbe voluto, ma vederlo lì, addormentato pacificamente, mentre lui lo credeva in chissà quale pericolo mortale...

- Lo farei molto volentieri, se....- si interruppe barcollando...si sentiva spossato, aveva caldo e stava sudando, mentre Rukawa lo guardava sollevando il sopraciglio, chinò il viso sentendosi avvampare e si dedicò a togliere la polvere dai suoi pantaloni ...”non pensassi continuamente a te.” concluse tra sé...si passò una mano sul collo...si sentiva stranamente indolenzito. E aveva la gola secca.

- Andiamo... – sbottò Kaede, cercando di trattenersi dal dargli un pugno.

Vedendo che l’altro non dava segni di rispondere, si avvicinò a lui e lo guardò da vicino, notando uno strano luccichio negli occhi castani di Hanamichi e fece per posargli una mano sulla fronte dopo essersi tolto i guanti:

- Idiota, hai la febbre!

- Lasciami, stupida Kitsune!

Si scostò bruscamente da lui. Non voleva che Rukawa lo toccasse, per qualche motivo non doveva toccarlo senza guanti. Hanamichi si sentiva strano, confuso, le sue percezioni erano ovattate, una voce secca risuonò nella sua mente:

 

Comportati normalmente!

 

Si raddrizzò subito, scostando Kaede e avanzando sul terreno gelato con passo sicuro:

- andiamo, Kitsune...abbiamo un lavoro da finire.

Rukawa rimase fermo a guardarlo allontanarsi. Sembrava lo stesso Hanamichi di sempre...Però le parole della vecchia gli riecheggiavano nella testa e poi le immagini di quella visione...La vampirologia non era la sua materia, ma quello che aveva visto era una cerimonia di affiliazione bella e buona. Chi era quell’uomo che vampirazzava Hanamichi? Lo aveva distinto chiaramente, tanto da essere in grado di descriverlo nei dettagli...Doveva parlarne con Leyla e Anne il prima possibile...e dovevano lasciare la Rutenia.

 

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Capitolo 4
*** 4 ***


Angel Manhor

Angel Manhor

 

Anne sedeva alla sua scrivania, intenta a cercare di scoprire qualcosa di più su quelle morti misteriose avvenute.

Sentì un lieve alito di vento passarle lieve tra i capelli.

- che ci fai qui? Lo sai, che non è un bene, per te, essere qui…

- Anne, ascolta…il mio Clan non centra nulla…

- Lo so, Dimitrij…lo so…ci vediamo più tardi, al solito posto.

Quando l’altro svanì nell’aria densa attorno a sé, alzò lo sguardo e incrociò quello di Leyla, che la guardava dalla porta aperta del suo ufficio:

- Anne...

- Leyla, io mi fido di lui. – lo sguardo fiammeggiante, a dare maggior peso alle sue parole.

- Cerca di capire la mia posizione...- Leyla la guardò dolcemente.

Anne si morse le labbra:

- Non ho mai sopportato che mi si mettesse con le spalle al muro, Mayfair.

- Io non ti sto mettendo con le spalle al muro, Anne! Solo ti chiedo, per favore, di non farlo venire qui...Il Consiglio mi tiene gli occhi puntati addosso: che succederebbe, se scoprisse che la mia assistente ha una relazione con un vampiro di un Clan che è sospettato delle morti violente, su cui sto indagando? E che io ho sempre saputo, ma che ho sempre taciuto?

- Lo fai per difendere la tua posizione, ho capito. – Anne sapeva di essere ingiusta, ma era della sua vita che si stava parlando ed era disposta a difendere il suo legame con Dimitrij con le unghie e con i denti, anche se questo avesse significato la fine o il cambiamento dei suoi rapporti con Leyla.

Leyla sospirò:

- Mi conosci davvero così poco? Credi davvero che lo farei solo per il mio interesse, dopo tutto quello che hai fatto per me?

- non chiedermi di scegliere, Leyla…non chiedermelo, la mia scelta potrebbe non piacerti.

- Io non ti chiedo di scegliere. Ti chiedo di darmi fiducia..

- Se non l’avessi, me ne sarei già andata…

Leyla annuì, questa poteva considerarla una conquista. Non si era aspettata molto di più. Sapeva che, per Anne, il legame con Dimitrij veniva prima di tutto e tutti. Si era chiesta spesso, in realtà, come avesse fatto a vivere tutti quegli anni lontano da lui. Chi li aveva separati aveva commesso l’errore di sottovalutare quel legame:

- Puoi venire con me, un momento?

Le mostro ciò che Rukawa aveva inviato tramite e-mail.

- Che pensi di fare?

- Avrei pensato di chiamare collaboratori esterni.

- Qualche idea?

- Chi conosciamo, esperto in vampiri slavi? – le sorrise Leyla.

- Kimi chan! – esclamò Anne – Vado subito a contattarlo...

- Bene, io intanto vedo di contattare Kaede...sono preoccupata...

Leyla si sedette sospirando alla sua scrivania, lanciando un sorriso mesto alla foto di Derek sul suo scrittoio.

 

La voce di Kaede giungeva leggermente metallica, attraverso il viva voce:

- L’unica cosa strana è questo simbolo, che è stato trovato su un muro della casa…non siamo riusciti ad identificarlo, ma poteva essere lì da tempo.

- Faremo una ricerca accurata nei database... Anne è già al lavoro -sollevò gli occhi a guardare Anne che le sorrise di rimando.

- Leyla, l’atmosfera è strana...non è come in tutte le morti violente...c’è qualcosa nell’aria, un odio profondo e radicato nel tempo. -

- Fate attenzione, mi raccomando.

- Ehi, Ciccio...Hana che fa? – Anne si intromise nella conversazione.

- Hn, quel Do’hao...

- Che ha combinato, questa volta? – chiese Leyla, cercando di soffocare la risata provocata dal tono di Kaede.

- Ci manca solo che vada in giro con collane d’aglio e croci appese al collo.

Leyla non poté trattenere la risatina sommessa. Alzò lo sguardo a incrociare quello di Anne e vide riflessa nei suoi occhi la sua stessa ilarità.

- Kaede, se vuoi ti mandiamo un aiuto..

- A chi pensavi?

- Anne proponeva Kiminobu Kogure. E’ a Praga, vi raggiungerebbe in poche ore. E’ esperto di Vampiri slavi.

- Hn…

- che c’è? Non vuoi?

- ho scelta? Il fatto è…- esitò.

- dimmi…

- no, è meglio che vi mandi il materiale via mail, e fatelo venire lì, noi torneremo dopodomani. Lavoreremo meglio a Angel’s Manhor…

- Kaede, sei sicuro che vada tutto bene?

- Mm, più o meno...- esitò; raccontare tutto quello che era successo, avrebbe significato parlare molto, sentì Leyla sbuffare, lievemente spazientita, sapeva che trovava irritante l’abitudine di farsi tirare fuori le cose con le pinze. Prese un respiro e continuò - Da quando siamo arrivati, ho come l’impressione che qualcuno tenti di intrufolarsi nella mia mente…E Hana dice di sentirsi osservato al castello.

- Hai percepito qualcosa? O qualcuno?

- no, è questo il punto, probabilmente è tutta una…

-  D’accordo, se hai problemi chiamami immediatamente, ok?

- Hn...

- c’è dell’altro? – Leyla lo conosceva fin troppo bene.

- Ecco…c’è una vecchia qui…è cieca, però…- e raccontò brevemente ciò che era successo il primo giorno e quando aveva trovato Hana, addormentato sotto l’albero e la visione della affiliazione di Hanamichi, che aveva avuto nella sala dove c’era il pianoforte.

- Beh, Kaede, prima tornate, meglio è, a questo punto…- Leyla sentì un campanello d’allarme suonarle nella testa - …vi mando l’aereo per domani…

Anne alzò lo sguardo su di lei, quando riappese:

- Beh, che hai?

- Leyla...secondo te, che è successo quella notte?. Te lo ha detto?

- Ad Auteuil? Non lo so...Se, -e quando- sarà pronto, me ne parlerà lui...

- Ma tu credi che sia...

- ...una faccenda conclusa? Chi lo sa...ho richiesto dalla casa di Parigi che ci mandino le scatole imballate degli oggetti trovati tra le macerie...ma dubito che Raoul Montecleve sarà collaborativo...

- ancora quella storia...

Leyla fece un cenno con la mano, facendole capire che non voleva parlare di quella storia.

- Cerca di trovarmi a chi appartiene questo simbolo.

- posso dirti subito che non è del Clan di Mitja...- iniziò, ma Leyla la interruppe con un gesto della mano.

- Questo lo sapevo anche io.. ma, per escludere ogni sospetto, dobbiamo scoprire a chi effettivamente appartiene...

- Il simbolo appartiene a un antico clan di Vampiri, che abitavano le Steppe russe dai tempi di Pietro il Grande...un Clan che si è macchiato dei più efferati delitti, nel corso dei secoli...per il predominio sugli altri Clan…Ora sono dei reietti…ce ne sono pochi di loro, in giro, e sono molto pericolosi…Ravnjos - rispose Anne.

- come fai a conoscerli così bene?-

- e’ il clan rivale di quello di Dimitrij.

- quello...- Leyla esitò, ma l’altra continuò per lei.

- ...che ha sterminato il mio villaggio e che mi ha rapita quando ero bambina.

 

 

§ § §

 

Anne guardava quel simbolo, la croce con tre punte chiuse...Era il risvegliarsi del suo incubo peggiore...Eugenij Ravnjos...forse la resa dei conti era finalmente giunta, ma c’era una persona che avrebbe potuto aiutarla e che lei avrebbe voluto vicino in quel momento, ma prima doveva ottenere il consenso di Leyla…Anche se credeva che Leyla non si sarebbe opposta...Il padre di Leyla era molto amico del “padre” di Mitja...

Bussò alla porta dello studio.

- Avanti!

Leyla non era alla sua sedia dietro la scrivania, ma sedeva sulla poltrona di pelle davanti al caminetto spento, era pensierosa e triste, Anne si sentì stringere il cuore intuendo quelli che dovevano essere i pensieri di Leyla in quel momento.

- Ti disturbo, Leyla...?

- No, vieni, siedi qui accanto a me...Ricordavo...

Anne si sedette.

- Ricordi la prima volta che ci siamo incontrate?

Anne annuì, riandando con il pensiero a quel lontano giorno di quasi 10 anni prima, quando lei e Leyla si erano viste.

- io avevo 14 anni e tu quasi 16...eri arrivata da poco tempo, ma si parlava molto di te; la figlia di Marcus Mayfair...quella che doveva un giorno succedere alla conduzione della casa...

Leyla represse una smorfia.

- Per anni, ho odiato mio padre e questo posto. – si guardò intorno -...e poi, come per magia, quando ci ho messo piede per la prima volta, ho capito di essere a casa.

- quel giorno ero entrata in biblioteca, per cercare un testo sui Clan di Vampiri e tu eri lì, seduta nel tavolo in fondo, che stavi leggendo quel libro...non ero mai stata brava con le altre persone, ma con te...è stato tutto subito facile. Mi hai sorriso e io ho sentito di potermi fidare...sei una delle poche persona con cui riesca a ridere.

- Anne, ascolta, io vorrei che capissi che quello che sto facendo, lo faccio per dimostrare che non è stato il clan di Dimitrij...

- Lo so...

- Ho mandato Hanamichi e Kaede apposta, così da essere certa che tu non avresti tentato di interferire.

- Stai tranquilla, Leyla…non hai bisogno di spiegarmi nulla.

Leyla sospirò, sentendosi come se uno dei pesi che le gravavano sull’animo le fosse stato tolto:

- cosa volevi dirmi?

- So chi può aiutarci. – disse piano, senza aggiungere altro.

- Chiamalo, mi fido ciecamente di te. – Leyla annuì piano.

- Dai, andiamo a dormire, domani abbiamo degli arrivi...- le disse l’altra, alzandosi in piedi.

- Vai,io aspetto ancora un po’.

Anne non ribatté, sapeva che era inutile con Leyla, ci aveva provato molte volte a distoglierla da quei ragionamenti...Non era stata colpa sua, se Derek era morto...eppure, dopo tre anni, continuava a tormentarsi. Sapeva che la cosa era ben più complessa di così. Nessuno sapeva molto di quello che era successo in quella grotta e l’indagine del Consiglio era ancora in corso. Forse, se Leyla non avesse amato Derek di quell’amore così totale e profondo, il dolore per la sua morte sarebbe stato meno doloroso. Ricordava, con un brivido di orrore, i mesi seguenti alla morte di Derek. Leyla era come impazzita, aveva davvero sfiorato il punto di rottura con la realtà e Anne -più di una volta- aveva temuto che perdesse la ragione...si era attaccata con pervicacia alla vita, solo per il pensiero di potersi vendicare -un giorno- del Demone che gli aveva portato via il suo uomo. Una mattina, si era stupita di vederla uscire, lei, che non si allontanava da mesi, da Angel’s Manhor...quando era stata di ritorno, le aveva detto di aver trovato un giovane dalle straordinarie capacità empatiche e che aveva intenzione di chiedergli di entrare nella Fondazione, insegnandogli come usare il suo straordinario potere. Sembrava che, con l’arrivo di Kaede e poi di Hanamichi, avesse trovato un nuovo slancio e dimenticato i suoi propositi di vendetta...però non era così sicura che avesse accantonato definitivamente quell’intento...Si era chiesta spesso cosa sarebbe successo, se avesse raggiunto il suo scopo, temeva che quando questa ragione fosse venuta meno, avrebbe smesso di avere un motivo per andare avanti. Sospirò, sedendosi sulla poltrona ai piedi del suo letto. Aveva paura, un vago senso di inquietudine che la attanagliava, come una morsa.

La notte scendeva a velare il mondo. Il cielo di velluto punteggiato di miriadi di stelle...Era una notte tranquilla e pacifica, in quei momenti Anne faticava veramente a credere che al mondo ci fosse anche l’altra faccia...quel lato oscuro, che loro cercavano di combattere ogni giorno con i loro poteri (doni o maledizioni? dipendeva dai punti di vista...). E con quella percezione che le era propria dall’infanzia, lei sapeva che una nuova battaglia si profilava all’orizzonte...e sarebbe stata dolorosa, per molti e non priva di conseguenze. Sperava che avrebbero saputo superare ciò che si preparava loro...

§ § §

 

Anne andò incontro ai nuovi arrivati, che stavano posando le valigie nell’atrio.

-Kimi kun!

-Nina chan…)

Si volse verso l’altro giovane di fianco a lui:

- Hisa chan!

- ciao, Nina...

- Fatto buon viaggio?

- non c’è male, grazie…

- Se volete seguirmi, Leyla ci aspetta nel suo ufficio. Ai vostri bagagli, penserà James…

Un maggiordomo apparve -come per magia- dietro di loro, inchinandosi in silenzio..

Arrivarono nell’ufficio di Leyla che era al telefono con Kaede:

- Sì…ok…guarda: Kogure è appena arrivato, vi aspettiamo, allora – e dopo aver riappeso, si alzò andando loro incontro:

- Koguresan..-

- Mayfair! – sorrise il giovane con gli occhiali – e’ parecchio tempo che non ci vediamo.

- Già…sono cambiate molte cose, dall’ultima volta… - il lampo di dolore che le attraversò lo sguardo venne velato dal sorriso e fu così fugace che Kogure credette di averlo solo immaginato – Sedetevi, faccio portare un tea. Kaede e Hanamichi stanno arrivando dall’aeroporto, pochi minuti, il tempo per l’elicottero di arrivare…

- Kaede Rukawa…- Mitsui si sedette di fianco a Kiminobu, sul divano. – Negli ambienti di The Order, si sente molto parlare di lui, pare sia straordinario, per le sue capacità.

- …sì, ma in fatto di rapporti umani…- Anne fece una smorfia, strabuzzando gli occhi.

- Anne!, andiamo, sei ingiusta…- disse Leyla.

- ingiusta? mister cubetto?

Leyla stava per rispondere, quando il lieve bussare alla porta li interruppe.

Il maggiordomo di poco prima entrò con il vassoio per il tea:

- Signori,. l’ elicottero è in vista di Angel Manhor –

- Perfetto…allora, tra poco, avremo tutti gli elementi e potremo farci un’ idea precisa della situazione. –

Qualche minuto dopo, le urla di Hanamichi risuonavano per tutto il vestibolo.

- Che diavolo sta succedendo…??- disse Leyla, sollevando il sopraciglio, uscendo dall’ufficio seguita dagli altri.

Si affacciò alla rampa delle scale, trovandosi davanti lo spettacolo di Hanamichi e Kaede che stavano litigando, o meglio: di Hanamichi che inveiva contro Kaede e questi che lo osservava a braccia conserte, con l’aria di chi sta perdendo la pazienza.

Scese le scale a due a due, seguita da Anne e dai i due nuovi arrivati, giunta in fondo alla rampa chiese:

- Ragazzi, si può sapere che vi prende?

- Dillo al Do’hao…- rispose Kaede, con un cenno della testa in direzione di Hanamichi.

- Ti ho detto di non chiamarmi Do’hao!

- Hanamichi! Insomma…- il tono di Leyla era calmo e pacato, ma qualcosa tradiva una nota di autorità che non sfuggì a Kaede, era in quella fase che precedeva lo scoppio d’ira, ma nonostante questo non poté trattenersi dal rispondere con superiorità, stuzzicando Hanamichi

- Ti ho sempre chiamato Do’hao…- sbottò, Hanamichi si voltò di scatto e, dirigendosi verso le scale, si scontrò con la spalla di Mitsui mentre passava, ignorandolo completamente.

- Ehi...- protestò quello, ma Sakuragi proseguì la sua strada, senza voltarsi indietro.

Leyla si avvicinò:

- Non è stato un viaggio piacevole, a quanto vedo...

- al solito...- disse Kaede, guardando la schiena di Hanamichi, era strano da quando lo aveva trovato sotto quell’albero.

- Sei stanco? – gli chiese Leyla.

- Pensavo volessi dare un occhiata al materiale assieme a me…- propose Kogure.

- Hn, il tempo di una doccia e vi raggiungo. –salì le scale in silenzio.

 

 

§ § §

 

Hanamichi entrò nella stanza di controllo e vide Kaede, seduto al tavolo, che parlava con il tipo con gli occhiali e, poco lontano, un giovane con una cicatrice sul mento che lavorava al portatile della kitsune…

 

“Non ti hanno aspettato…non ti ritengono indispensabile.”

 

Leyla, accorgendosi del suo arrivo, gli si fece incontro con un sorriso, pareva voler ignorare ciò che era successo poco prima:

- Vieni, Hana…tu ancora non conosci…Kiminobu Kogure e Hisashi Mitsui.

 

“Hanno trovato con chi sostituirti.”

 

- Ci aiuteranno nelle indagini. Kimi kun è esperto di vampiri slavi, sai? E Hisashi è il suo collaboratore, sono in forza alla casa di Praga...- gli spiegò Anne. – Kimi kun era mio compagno di università…

 

“Visto?! Si vogliono liberare di te.”

 

- Hana, stai bene?- la voce di Leyla gli giungeva distorta e lontana.

 

“Lui neppure si preoccupa.”

 

Kaede, che fino a quel momento aveva tenuto la testa china sul volume davanti a lui, sollevò la testa piantandogli in volto quei suoi occhi:

 

“Freddi, distanti, gelidi e….”

 

- Vuoi concentrarti, Do’hao?! Stiamo perdendo tempo…- sbuffò, palesemente seccato, senza neppure sapere perché era stato così tagliente, ma le parole gli erano uscita labbra senza che lui potesse fare a meno di fermarle. Non voleva ferirlo, ma solo scuoterlo, però...quando vide Hanamichi arrossire e i suoi occhi nocciola incrinarsi, si rese conto di averlo ferito, avrebbe voluto aggiungere qualcosa, ma l’altro non gliene dette il tempo. Scattò in piedi, come se lo avessero sferzato, gridando:

- E’ sempre colpa mia? Io sono un incapace buono a nulla, vero? Come la storia delle armature nella galleria...o del vaso precolombiano disintegratoE NON CHIAMARMI DO’HAO!!!! – la sua voce, nel pronunciare l’ultima frase era salita ancora, si volse verso Leyla. -  Non voglio più lavorare con lui!

- Hana, calmati…per favore, vieni nel mio studio. – tentò Leyla, lanciando uno sguardo ad Anne, dicendole che poi avrebbe aspettato spiegazioni, sulla faccenda del vaso...l’altra non poté trattenere un sospiro, non prometteva nulla di buono quello sguardo…

- no!!…non mi piace come mi trattate…Pensate tutti che io sia un idiota!! – stava dicendo Hanamichi, guardandoli uno ad uno.

- tu sei un idiota. – puntualizzò Kaede.

- Rukawa, ti prego...- cominciò Leyla.

- mhn.

A quel punto, Hanamichi non ci vide più e si slanciò contro l’altro, colpendolo alla mascella. Kaede non si aspettava il colpo né la forza con cui venne scagliato, per cui cadde all’indietro, battendo pesantemente la spalla sullo spigolo dello scalino dietro di lui.

- Hana! – esclamò Leyla.

Prima ancora che Kaede potesse rialzarsi, l’altro si lanciò contro di lui immobilizzandolo a terra, e continuando a colpire alla cieca. Erano più i pugni che andavano a vuoto, che non quelli che centravano il volto di Kaede che, d’altro canto, evitava di rispondere, o meglio cercava più che altro di schivare quei colpi disperati, che arrivavano da tutte le parti… Hisashi e Kogure cercarono di separare i due e, trascinando Hanamichi per le spalle, riuscirono a toglierlo da sopra Kaede, che si tirò in piedi massaggiandosi la spalla.

- Rukawa, stai bene?- gli chiese Leyla, avvicinandosi e osservando il taglio sul sopraciglio.

L’altro non rispose, guardava Hana allontanarsi seguito da Anne, che cercava di parlargli...quando lo aveva toccato, cercando di allontanarlo da sé, aveva percepito qualcosa di indefinito e potente, ma non era solo la rabbia di Hanamichi...

Lui brucerà nel fuoco.”

Le parole di quella vecchia gli si stamparono nella mente, come se stessero vorticando davanti ai suoi occhi.

Anne aveva seguito Hana fin sulla porta della sua camera, cercando di parlargli:

- Ehi! Hana.. che hai?

- Niente. –  bofonchiò quello, camminando spedito lungo il corridoio– Io quello lo odio…

- Come, lo odi? che ti ha fatto?

- mi considera un idiota e un incapace.

- d’accordo.. Ciccio non è il massimo della cortesia o gentilezza…

- Tu non lo vedi come mi tratta, come mi guarda, quando mi parla… -la interruppe, mentre si fermava di fronte alla porta di legno scuro.

- non ti sembra di esagerare?

Ma invece di rispondere, Hanamichi entrò nella sua stanza e si richiuse la porta alle spalle. Vi si appoggiò, ansimando...aveva la fronte imperlata di sudore e si sentiva andare a fuoco...forse, una buona dormita gli avrebbe fatto bene. Si lasciò cadere pesantemente sul letto.

 

- Sei solo un idiota…

E lui sprofondava nella neve.

Vedeva Julien e Philippe…

- Loro si amavano, non noi...come potevi anche solo pensare…

La casa gli stava crollando addosso…

- tu l’ hai fatta crollare, sei un incapace…

Quella voce.. quella voce lo tormentava, era una voce insinuante nella sua mente.

 

 

Si riscosse bruscamente…

 

Vorresti bruciare nel fuoco? Vieni a me.”

 

Si lasciò cadere sul letto ansimante…un braccio a coprirsi lo sguardo. La luce che entrava dalla finestra gli dava fastidio agli occhi, non riusciva a tenerli aperti. La pelle della fronte scottava e forse aveva la febbre, si sentiva al gola riarsa dalla sete. Forse non era stata una buona idea addormentarsi fuori la notte precedente, ma poi.. perché si era addormentato fuori?

C’era come un vuoto nella sua testa, ripercorse a ritroso quelle ore…Kaede aveva avuto un incubo…e aveva respinto la sua profferta di aiuto, e lui era uscito fuori dalla stanza come una furia. Dopo c’era solo un vuoto, riempito solo da quella voce. Cosa voleva e chi era?

 

“Ti considerano un peso.”

 

No, non era vero. Loro erano ciò che più si avvicinava a una famiglia…Anne, Leyla e Kaede.

 

“Loro ti reputano un incapace.”

 

Scosse la testa, cercando di zittire la voce, ma non ci riusciva e anche se si copriva le orecchie con il cuscino, quella voce continuava a risuonare nella sua mente come un un’eco in una stanza vuota.

Un viso e due occhi rossi che lo fissavano. Quegli stessi occhi che lo avevano seguito per tutto il tempo della sua permanenza in Rutenia. Occhi, da cui si sprigionava un fuoco che lo faceva bruciare. Lo sentiva, il fuoco sulla sua pelle, un calore insopportabile come una miriade di spilli incandescenti piantati per tutto il corpo.

 

“Vuoi bruciare nel fuoco?”

 

C’erano altri due occhi però, freddi e distanti, me ma che erano il centro dei suoi pensieri, come qualcosa che lo riportava in sé, che gli impediva di scivolare via dalla sua mente e di abbandonarsi all’oblio. C’era una lotta, nella sua testa.

Di nuovo quella voce viscida, insinuante, nella sua mente. La voce non voleva andarsene...e continuava:

“Lui non ha bisogno di te.”

 

Avrebbe voluto gridarle di smetterla, di tacere, di non insinuarsi più nella sua testa, di spegnere quel fuoco che lo stava tormentando...

Si lasciò scivolare per terra mentre il cuore gli martellava nel petto, battendo dolorosamente, sempre più forte, ma non abbastanza da coprire il suono di quella voce e il senso delle sue parole:

“A lui non interessa nulla.

Tu non hai bisogno di lui.

Il tuo potere è grande! guarda...”

 

Una stanza...si guardò in giro: era la cucina di casa sua, riconosceva la tovaglia di plastica con quei disegni strani che facevano parte dei ricordi più belli della sua infanzia, quando suo padre era ancora vivo, la credenza si legno chiaro e le tendine di pizzo alle finestre. Quello non era un giorno qualsiasi, era il giorno che era tornato a casa da scuola e aveva trovato sua madre a terra in un lago di sangue, con la faccia martoriata dalle botte del suo patrigno. Per terra, su sul pavimento, c’erano ancora le macchie di sangue, dove prima c’era il corpo di sua madre, sentiva ancora l’eco delle sirene dell’ambulanza perdersi in lontananza, nella sua corsa disperata e inutile verso l’ospedale.

...Non voleva ricordare, non quel giorno...Aveva paura di ricordare...non voleva ricordare perché...

 

“Ammira il potere del fuoco.”

 

Vide sé stesso alzarsi in piedi, fronteggiare il suo patrigno protendendo la mano, nello stesso momento in cui l’altro alzava il pugno per colpirlo. Vide il suo volto distorcersi in un ghigno terrificante di odio e furore mentre, nella sua mente, si ripeteva come una nenia ‘ti odio, ti odio, ti odio, ti odio’. Vide nella sua testa formarsi l’immagine dell’arteria pulsante, vide il sangue scorrervi, e la parete lacerarsi al suo comando, come un semplice schiocco delle dita, mentre quel potere e quel calore -che già altre volte aveva sentito- si propagava da lui. E mentre il suo patrigno si accasciava a terra rantolando e il sangue si riversava come un fiume nella cavità del suo cervello, sentì la sua voce uscire secca dura e soddisfatta:

- Perfetto.

E nella sua mente riecheggiare ancora quella voce:

 

“Questo è il tuo potere.”

 

Si alzò dal letto uscendo dalla stanza, voleva correre via, lasciare quel posto, quella voce, quel ricordo...Era stato lui? Era stato davvero lui, ad uccidere il suo patrigno? Quel potere era davvero suo? ...lui.. poteva uccidere?

Urlò, mentre si slanciava contro gli specchi, colpendo alla cieca, cercando di cancellare quel dolore e quel vuoto della sua mente...chi era, lui? Chi era –davvero- lui?

 

§ § §

 

Kaede aveva la netta sensazione che ci fosse qualcuno nella stanza, ma non riusciva ad identificare la presenza…aveva gli occhi chiusi, ma non riusciva ad aprirli…sentì una presenza cercare di insinuarsi nella sua mente…sollevò istintivamente la barriera e la sentì ritrarsi…Provò ad alzarsi dal letto, voleva svegliarsi…Sentì un profumo…i capelli di Hana avevano questo profumo…allora c’era lui, nella stanza? Carezze lievi, leggere, sulla sua pelle, sotto la camicia….mentre piano le dita scendevano a slacciare i bottoni.

Si alzò di scatto dal letto, guardandosi attorno…non c’era nessuno…eppure, sul cuscino accanto al suo, c’era ancora la forma di una testa…si chinò, sfregando inconsciamente la guancia contro il cotone ruvido…il profumo di Hanamichi…i primi tre bottoni della camicia erano slacciati.

Andò alla porta e la spalancò, ma il corridoio era deserto, lo percorse in tutta la sua lunghezza, ma niente, non c’era traccia di nessuno. Hanamichi dormiva in fondo al corridoio, dopo la curva che questo faceva. C’erano qualcosa come 500 o 600 passi tra loro. Scosse la testa sbuffando, questa era come la storia dei gradini nella casa di Auteuil, dopo che Hanamichi era rotolato giù dalla scala. Perché doveva sempre calcolare la distanza che lo separava da quell’idiota dai capelli rossi? Era sempre e comunque nella sua area di azione, non era mai molto lontano da dove si trovava lui e questo –stranamente- non era poi così fastidioso come poteva pensare...

Si diresse verso lo studio di Leyla…Bussò due volte, aspettando una risposta che non venne, aprì uno spiraglio e gettò dentro la testa.

Leyla sedeva sulla poltrona davanti al caminetto, il capo posato su una mano e lo sguardo assorto nelle fiamme del focolare. Una musica soffusa aleggiava nella stanza e un bicchiere panciuto, con del liquido ambrato, era posato sul tavolino, accanato alla poltrona.

- Leyla…- la chiamò incerto, notando la sua aria quasi assente.

- Oh, Kaede, entra…- lei sussultò, facendogli segno di entrare. - Problemi?

- no…cioè, sì si…- sbuffò.

Lei gli sorrise, facendogli segno di sedersi accanto a lei, sull’altra poltrona:

- vuoi qualcosa da bere? – chiese, allungando la mano inguantata verso il campanello d’argento.

- Dimitrij...chi è? – chiese lui, scuotendo la testa e venendo subito al punto.

- Stai diventando bravo, Rukawa. – il sorriso di Leyla si allargò, mentre si scostava una ciocca di capelli dal viso.

- Non volevo…- cercò di giustificarsi. Lui sapeva che non era stato corretto, quello che aveva fatto, leggere nella mente di Leyla mentre lei aveva le difese abbassate.

- Lascia stare… - fece un gesto con la mano - Dimitrij è, come dire…

- Anne ha un amante vampiro??!! – esclamò, mentre la realtà della cosa gli si rivelava davanti e i tasselli andavano a posto da soli, ad incastro perfetto.

- Accidenti, Rukawa, se non ti fai sentire fino a Divisadero Street, magari…- Leyla sussultò del tono di voce di Kaede. Pareva sorpreso, non scandalizzato. Meglio così, non ci sarebbero stati problemi o, almeno, lo sperava. In quel momento, avevano bisogno di tutto l’aiuto possibile, la situazione era critica e a lei occorreva tutto l’appoggio dei suoi collaboratori. Restava da vedere cosa ne avrebbero pensato Kogure e Mitsui...

- Da quanto va avanti…?

- Beh, non è una storia semplice, e non spetta a me…tu, piuttosto, dimmi: che ci fai qui?

- mi sono svegliato…

- mm…da quando soffri d’insonnia?

- Hana…

- che c’è??…

- ...-

Leyla lo guardò, sollevando il sopraciglio senza dire nulla, non stava a lei porre domande, ora.

- Non guardarmi così…

- così, come?

- Hn, lo sai…

- Come ti guarderebbe Anne?

- Hn. – sbuffò, roteando gli occhi.

- Dimmi: cosa c’è? – lo incoraggiò lei, cercando di trattenere un sorriso. Sapeva che per Kaede era difficile parlare, e soprattutto quando l’argomento riguardava sé stesso, in relazione con Hanamichi.

- Gli incubi…sono ricominciati, e poi il Do’hao

- Lo so, si comporta in modo strano…Sembra quasi che sia convinto che tu -o noi tutti- lo riteniamo un incapace…anzi, soprattutto tu…

- Già…

- e’ successo qualcosa, in Rutenia?

- No…

- Avete litigato…?

- no.

- …e’ successo qualcosa di insolito, allora...Oltre alla vecchia cieca?

- L’ho solo allontanato, quando ho avuto un incubo..

- Ah, già! gli incubi…ancora non ricordi nulla, al risveglio?

Scosse la testa portandosi una mano alla fronte, senza rispondere.

- e Hana cosa ha fatto, quando lo hai allontanato?…

- E’ rimasto fuori tutta la notte, ma non è solo quello...

- che vuoi dire? – il campanello nella mente di Leyla riprese a trillare...c’era qualcosa, lo aveva sempre saputo, ma era come un pensiero sfuggente che le scivolava via, prima che potesse fermarlo.

- Oggi, quando mi ha preso a pugni...ero senza guanti e ho percepito il suo potere...

- come, percepito? Lo stava usando? – Leyla gli piantò i suoi occhi verdi in viso.

- no, ma è come se qualcosa lo stesse risvegliando.

- dannazione...

- Leyla...cosa è Hanamichi?

- non lo so, Kaede, non lo so.

Leyla rimase a guardare la porta da cui era uscito Kaede, quando Anne fece capolino da dietro l’altra porta.

- Allora, che ne dici?

- Anne! –esclamò scandalizzata – Stavi origliando?

- Moi? Quando mai…passavo per proporti una tazza di tea e non ho voluto disturbare…

Leyla le lanciò uno sguardo scettico senza replicare e l’altra proseguì:

- Ascolta, Leyla…se Kaede dovesse farti altre domande riguardo a me…beh, ecco…diglielo.

- Sei sicura?

Si strinse nelle spalle:

- io non glielo direi mai, ma tu sei la persona adatta, sempre meglio che non lo scopra in altro modo.

- Lo hai contattato?

- Sarà qui domani...

- Bene. – annuì Leyla, fissando le fiamme nel caminetto con aria assorta.

- non vai a dormire?

- Tra un po’...- disse, con un gesto vago.

Anne si avvicinò, chinandosi accanto a lei e posandole una mano sul braccio:

- Le...devi smetterla di tormentarti...– azzardò e, vedendo che l’altra non rispondeva, continuò: – devi dimenticare il passato.

Leyla si voltò verso di lei:

- Tu ci riesci?

Le due donne si guardarono negli occhi, senza aggiungere altro. Restarono così, in silenzio, una accanto all’altra a osservare i resti del fuoco morire e la penombra avvolgere la stanza…

 

Kaede camminava per il corridoio, perso nei pensieri che la sensazione di Hanamichi, sdraiato accanto a lui, aveva risvegliato…ma era poi Hanamichi o un’illusione della sua mente? Scosse la testa, mentre frammenti di un altro sogno gli tornavano alla mente…Sogno? A volte dubitava che fosse stato un sogno…la sensazione della pelle di Hanamichi era così reale, quella volta, possibile che fosse stata solo una visione? A volte, quando Hana era accanto a lui, era preso dal desiderio di allungare una mano e sfiorare la pelle del collo, solo per convincersi che non poteva essere successo davvero...

Cosa era stato –inizialmente- ad averlo attirato in lui? Sicuramente, il fatto di essergli così complementare, completamente all’opposto, tanto da sembrare la perfetta metà. In questo, Leyla aveva ragione. Tuttavia, non riusciva a comprendere fino in fondo il suo modo di fare, quella sua inutile allegria. Come poteva sprigionare tutto quel fuoco, quella sicurezza, l'impetuosità che riusciva a coinvolgere perfino lui, scalfendo quella barriera di imperturbabilità che era la sua difesa da tutto e da tutti? Prima di incontrarlo, a volte, si era fatto paura da solo: nulla riusciva a coinvolgerlo, a fargli provare delle emozioni, dei sentimenti. Solo quando li percepiva, assorbendoli come una spugna, sentiva quanto intensi essi potessero essere.  Tentava invano di interessarsi a qualcosa, ma era come andare contro sé stesso: tutto gli scivolava addosso, senza che trovasse modo di trattenerlo, era in grado solo di osservare la sua totale indifferenza, come se riguardasse un'altra persona, come ogni volta che usava il suo potere, e talvolta aveva l’impressione che, più lo usava più si annullava, cancellando ciò che c’era in lui di umano, fino a diventare un guscio vuoto. Non gli importava di ciò che potevano pensare, del suo atteggiamento, gli altri: no, non era affatto questo il problema...Si struggeva solamente poiché si accorgeva che, quei sentimenti che avrebbe voluto con tutto sé stesso comprendere e provare, gli si riflettevano addosso senza potersi mai veramente impadronire di lui. Certo, da una parte tutto questo implicava il fatto che lui non dipendesse da nessuno...Che non si legasse a nessuno...Che non soffrisse per nessuno. Forse il suo animo era ancora troppo ottenebrato dalle ferite che gli erano state inferte. Ferite nascoste dietro quel muro bianco che sigillava la sua memoria, per esporsi di nuovo ad altre possibili cicatrici...Ma finché non fosse riuscito a farsi coinvolgere da qualcosa che lo riscuotesse, se ne rendeva conto, non ce l'avrebbe mai fatta a liberarsi del passato. Era servita la vicinanza Hanamichi, per fargli comprendere questo...

Certo, lo desiderava, ed era una cosa che aveva cominciato a sentire ben prima di Auteuil, voleva che la sua impetuosità, quei sorrisi -che prodigava con tanta facilità- fossero riservati solo a lui. Era geloso del tempo che passava con il suo amico Yohei in città, lo aveva invitato -qualche volta- ad andare con lui, ma aveva sempre rifiutato, d’altronde lo sapeva benissimo come si sarebbe sentito, in quelle occasioni. Si rendeva conto che i sorrisi e le spacconate di Hanamichi erano diventate le uniche cose in grado di scuoterlo, di farlo sentire vivo. Era irrazionalmente geloso di quanto concedeva a tutti, ma negava a lui. Lo sapeva benissimo che il rossino evitava di coinvolgerlo, perché lui lo respingeva...ma era un circolo vizioso. Lo impauriva, la costanza con cui quella voce, quella risata, quello sguardo caldo e colmo di domanda inespresse comparivano nei suoi pensieri! Nei suoi sogni. Dopo così tanto tempo, finalmente, gli incubi da cui si risvegliava ansante e frustrato dalla mancanza di ricordi o elementi, per risalire a un qualcosa che lo portasse ad avvicinarsi alla verità su se stesso, erano stati sostituiti da quei sogni su Hanamichi. Un' ossessione, per liberarsi. E questa era proprio senza uscita: talvolta lo scopriva intento fissarlo e percepiva la sua stessa confusione, i suoi stessi dubbi...era un inconveniente della sua capacità…Lui soffriva, perché era sicuro che lo odiasse, che lo reputasse un idiota, ma non sapeva fare altro, non sapeva come cambiare le cose, né come comportarsi diversamente con lui...

Un rumore di vetri infranti attrasse la sua attenzione e si precipitò verso la galleria ovest. Ciò che vide, quando arrivò, lo lasciò senza fiato. Hana era seduto in mezzo ai frammenti di vetro, le mani e i piedi sanguinanti, gli occhi vacui e persi chissà dove, la loro luminosità pareva spenta. Kaede si fermò a pochi passi da lui, guardandolo boccheggiando:

- Hanamichi…

- Stai lontano, Kitsune…- gli ingiunse con voce fredda, alzandosi in piedi e avvicinandosi ad un altro specchio.

Alle sue spalle, sentì arrivare Leyla, la vide con la coda dell’occhio portarsi una mano al volto, cercando di trattenere il gemito di orrore, Anne era dietro di lei.

Leyla si avvicinò, parlandogli con dolcezza.

- Hana, che c’è?

- non se ne vuole andare dalla mia testa…-

- chi, Hana…??

- La voce…mi tormenta..

- che voce, caro…?

- non chiamarmi ‘caro’!!…- afferrò una scheggia di vetro, stringendola, mentre il sangue colava tra le dita, la sua voce era dura.

- Che voce, Hana…??- ripeté Leyla, scambiando un’occhiata con Anne.

- quella che è dentro la mia testa...dice che...io uccido.

Si avvicinò la mano alla tempia lasciandovi una traccia di sangue, che si confuse con il colore dei suoi capelli.

Leyla sussultò, mentre scambiava un altro sguardo con Anne.

- Hana…- Kaede cercò ancora di avvicinarsi, incurante dell’occhiata che le due donne si erano appena lanciate, ciò che lo preoccupava era Hanamichi, con in mano quella scheggia di vetro.

- Tu!Sta’ lontano….tu non mi sopporti, ha ragione la voce, mi consideri un idiota…

Leyla gli fece segno di non avvicinarsi troppo, ma di continuare a parlare.

“ è posseduto da qualcosa, cerca di farlo tornare in sé.”

- Hana, io non ti considero un idiota…

- dobbiamo allontanarlo da lì, con tutti quei vetri… – disse Leyla, in direzione di Anne.

Hanamichi grugnì e colpì con un pugno lo specchio che aveva davanti, alcune schegge lo ferirono in viso. Nel momento in cui alzava le braccia per ripararsi, il volto Kaede si slanciò in avanti, afferrandolo per la vita, e facendolo rotolare lontano dai vetri. Si sedette a terra, tenendo il rossino stretto a sé, osservando le sue condizioni: aveva tagli dappertutto: sulle mani, sulle braccia, un taglio profondo spaccava il sopraciglio da cui fuoriusciva abbondante del sangue. Vide con la coda dell’occhio arrivare in pigiama Kogure e Hisashi. Hanamichi si dibatteva, ma lui lo strinse a sé, cercando di comunicargli con quel gesto tutto il calore che non era in grado di dimostrargli con le parole.

- Lasciami…- si divincolò, dapprima rabbiosamente, ma qualcosa nell’abbraccio di Kaede lo faceva sentire sicuro e protetto, lì la voce che lo tormentava pareva non arrivare e quegli occhi, che lo guardavano, non erano più freddi e distanti, ma caldi e preoccupati. Conservando gelosamente quella immagine, lasciò che le tenebre lo avvolgessero...

 

§ § §

 

Seduto sulla poltrona, guardava Hanamichi dormire…Il suo sonno era agitato, popolato da incubi, lo vedeva agitarsi scompostamente e muovere le labbra riarse, da cui però non uscivano parole, ma solo suoni inarticolati.

Leyla entrò, portando una coperta:

- Ho pensato che volessi restargli accanto.

- Hn.

Sorridendo, Leyla gli mise la coperta addosso e fece per uscire, quando la voce di Kaede la fermò:

- vorrei delle risposte…

Lei tornò indietro e si accomodò sull’altra poltrona, accavallando le gambe e guardandolo fisso:

- dimmi pure.

- Chi è Dimitrij?…

- Come avrai già intuito, Dimitrij è il compagno di Anne…

- Un vampiro?

- Anne è stata cresciuta dal suo Clan…L’anziano del Clan, il padre di Mitja, l’affidò a mio padre, quando si rese conto del legame che stava nascendo tra loro.

- Anne è…

- No, lei era stata vittima di una razzia di un altro Clan di vampiri e loro l’avevano liberata…

- Cosa c’entra Dimitrij, con tutto questo?!

- E’ da un paio di mesi che si ritrovano cadaveri, in case sparse per il mondo, tutti come in Rutenia. Stesso cerimoniale. Stessi segni. Stessa dinamica.Le indagini delle altre Case hanno portato alla conclusione che il Clan di Dimitrij c’entri in qualche modo. Ho fatto domanda di poter coordinare le indagini. Se non altro, per impedire che Anne si cacciasse nei guai.

- Il Consiglio sa…

- Non ufficialmente, certo, ma credo che nessuno dimentichi la provenienza di Anne. Ho gli occhi puntati addosso.

- Tanto per cambiare…

Si strinse nelle spalle:

- Ci sono abituata…e la cosa non mi pesa più tanto, ormai.

- Perché hai mandato noi?

- Davvero, devo spiegarti? Anne si fida di voi, se avessi mandato qualcun altro, sicuramente si sarebbe intromessa nelle indagini, rischiando molto.

- ma perché adesso? Perché in quella casa…

- Perché le indagini stavano portando al Clan di Dimitrij e io temevo un gesto avventato di Anne.

Rukawa rimase qualche minuto in silenzio, riflettendo su quanto Leyla le gli aveva appena detto, la cosa era sconcertante.

- dov’è, ora, Anne?

- e’ andata a prendere Dimitrij…

- collaborerai con lui?

- mi fido di lui, come mio padre si fidava dell’anziano.

- Ma il Consiglio?

- Per loro, l’importante sono i risultati, poco importa i mezzi con cui ci si arriva. – Leyla si strinse nelle spalle. - E poi, una regola infranta in più -o in meno- che vuoi che importi…?? me le segneranno tutte sul conto.

Guardò Hanamichi che si agitava nel sonno, parole senza senso gli uscivano dalle labbra riarse, ciocche di capelli erano sparse sulla sua fronte, istintivamente si allungò verso di lui per scostarle…Quando tornò a sedersi, incrociò lo sguardo di Leyla, ma l’altra non mutò espressione:

- Hai sentito che ha detto, no? – disse, per sciogliere quel silenzio.

Leyla annuì:

- Ha ricordato ciò che successe con il suo patrigno.

- E ora?

- speriamo sia forte per affrontarlo.

Kaede si volse a guardarlo ancora una volta, pareva sereno, o almeno così sembrava, ma c’era quella ruga nel mezzo della fronte...Stava sognando e non era tanto sicuro che fosse un sogno tranquillo. Se solo avesse potuto aiutarlo, ma non aveva idea di come fare…

- Parlami della visione…

E lui, senza staccare gli occhi dal volto di Hanamichi, raccontò ciò che aveva visto in quella casa, descrivendo minuziosamente il vampiro che aveva morso Hana.

Leyla lo guardava, ascoltando in silenzio...sapeva benissimo chi era quel vampiro. Lo aveva visto nelle mente di Anne tante volte, quando ricordava il mostro che l’ aveva rapita da bambina:

- Eugenij Ravnjos...allora c’è lui, dietro queste stragi.

- chi è?

- una vecchia conoscenza di Anne e Dimitrij.

- NOOOOOOOOOO!!!

L’urlo di Hanamichi li fece sussultare: sedeva sul letto, le braccia protese, il petto ansante, lo sguardo assente. Rukawa si sedette al suo fianco chiamandolo piano, l’altro non si svegliò, ma la voce di Rukawa parve avere un effetto rassicurante, si aggrappò alle sue spalle, lasciandosi cullare.

- Secondo te, cosa è successo?

- non lo so…da quello che ha detto, sembra posseduto, ma da cosa? – guardò l’orologio da polso – se solo Anne arrivasse con Dimitrij…Tu resta con lui, a quanto pare, la tua vicinanza lo rassicura.

- Salvo poi essere la vittima del suo odio…

- già, ma quando è incosciente, no…evidentemente, sei un appiglio e forse l’unico, in grado di portarlo fuori da quell’incubo, qualunque esso sia...

 

Aprì gli occhi e soffocò un gemito, Kaede sopra di lui, la camicia leggermente aperta a lasciare la pelle candida ed eterea esposta alle carezze dei raggi del sole, che entravano dalla finestra. Osservò la linea del collo che scendeva fino alle scapole. Allungò la mano a sfiorare quella pelle, come avrebbe voluto fare quella volta che lo aveva guardato dormire ad Auteuil.

Era tiepida e liscia, un tepore piacevole che si irradiava a tutta la sua mano e si propagava piano piano a tutto il braccio.

Senza che se ne rendesse conto, chiuse gli occhi.

Guardami!

Guarda me..

La voce di Kaede pressante, urgente…un tono di desiderio, misto ad ansia e paura.

Aprì di nuovo gli occhi, non erano nella sua camera, no, erano nella camera di Auteuil, stesi davanti al caminetto, incrociò lo sguardo di Kaede che lo incatenò.

Non fermarti.

La scena si dissolse piano, come era arrivata e anche Kaede sparì…

Cercava di non ascoltare quei ricordi, quelle immagini, quelle sensazioni, il piacere che lo invadeva ad ondate, mentre la coscienza di ciò che era successo ad Auteuil, quell’ultima notte, gli si rivelava davanti, come un velo che si squarcia...

“A lui non importa nulla di te.

Lo ha fatto, perché eravate posseduti.”

Sentenziò quella voce gelida.

“Dimmi, vuoi bruciare nel fuoco?”

“Sì.”

 

Kaede doveva essersi addormentato, perché si scosse bruscamente quando percepì un brusco cambiamento nell’aria della stanza. Nel momento stesso in cui apriva gli occhi, sentì il rumore del vetro della finestra andare in frantumi...e una figura -avvolta in un pesante mantello scuro- entrò, atterrando senza un rumore sul pesante tappeto che ricopriva il pavimento.

L’oscurità era palpabile attorno a lui e una leggera nebbiolina avvolgeva tutto, penetrandogli, gelida, nelle ossa.

Cercò di reagire, ma quello lo bloccò sulla poltrona, rivolgendogli un sorriso leggero:

- non puoi fare nulla, per fermarmi...- la sua voce era roca e pastosa, indicò Hanamichi – lui mi ha chiamato...Lui vuole bruciare nel fuoco...

Kaede vide con orrore Hanamichi svegliarsi e alzarsi dal letto, mentre il vampiro lo aspettava, fermo, nello stesso punto dove era entrato:

- Vieni...ti mostrerò il potere del fuoco...

Il corpo di Hanamichi si abbandonò languidamente tra le braccia di quell’uomo, che si chinò sul suo collo…Liberò le proprie emozioni, indirizzandole verso Leyla, sperando in cuor suo che fosse in ascolto. Non riusciva a muoversi, né a parlare. Il vampiro si volse a guardarlo, mentre scavalcava la finestra portando con sé il corpo di Hana:

- Credo ci rivedremo presto...

Appena il vampiro saltò giù dalla finestra, lui si sentì libero dalla costrizione che fino a poco prima lo aveva incatenato alla sedia...

Si slanciò fuori dalla camera, precipitandosi a rotta di collo verso le scale, chiamando disperatamente Leyla...perché i sensori non avevano funzionato? Perché Eugenij Ravnjos era riuscito ad entrare?

Lui mi ha chiamato...”

- Dannazione!! – imprecò tra i denti.

Il giardino era avvolto da una leggere nebbiolina gelida,non era lontano, percepiva ancora la presenza di Hana, erano lì, da qualche parte...Una folata di vento scostò la nebbia davanti ai suoi occhi e lo vide...

Era addossato al piedistallo della statua dell’Angelo, mentre il vampiro era chino su di lui e si stava nutrendo...

Era -per la prima volta- incerto sul da farsi. Slanciarsi verso il vampiro o aspettare che gli altri lo raggiungessero??…si rendeva conto di essere indifeso, di non avere le armi, né le capacità necessarie per affrontare un essere del genere.

L’uomo in quel momento sollevò la testa, anche da quella distanza, vide le labbra di Hanamichi muoversi in un ansito di disappunto...

Fu quello, che lo fece slanciare in avanti, mentre il suo cuore urlava disperato…non vedeva nulla, udì solo la risata del vampiro che bloccò la sua corsa con un annoiato gesto della mano.

- Lo rivorresti, vero? – gli porgeva il corpo di Hanamichi, pallido, esangue, tenendolo senza sforzo per il colletto della camicia.

Percepì la presenza di Leyla alle sue spalle.

Ru, mantieni la calma.”“

Ignorò l’ingiunzione mentale di Leyla, nella sua mente c’era solo la visione di Hanamichi tra le braccia di quel vampiro e la possibilità che…Lo sentiva, sentiva il suo cuore battere sempre più lieve…un’eco lontana…

Cercò di muoversi ancora..il vampiro sollevò il capo, percependo la presenza degli altri.

- ….lascialo e dicci cosa vuoi…

Un sinistro sorriso piegò le labbra del vampiro, su cui restava un’ombra del sangue di Sakuragi.

- Avrei potuto farlo…ma ora…- si chinò sul collo si Hana, leccando le piccole ferite sulla vena pulsante, Rukawa strinse convulsamente le mani vedendolo gemere - Lui è molto vulnerabile, la mia preda ideale, così innocente, insicuro, pieno di voglia di considerazione…- il vampiro li guardò tutti e i suoi occhi, freddi come l’acciaio, si fermarono su Rukawa – ma soprattutto da te…un tuo sguardo, una parola, sarebbero tutto per lui, come un assettato nel deserto che anela alla fresca acqua, in grado di lenire l’arsura della sua gola. L’ho chiamato a me proprio per questo, era il più debole tra voi due…Tu mi hai facilitato le cose, ferendolo con la tua freddezza…Allontanandolo da te quella notte, lo hai gettato tra le mie braccia.

- Lascialo…

- Sai, sei monotona Mayfair, proprio come tuo padre…

Rukawa, disperato, approfittando di quell’attimo di distrazione si lanciò verso i due, ma l’altro lo respinse con un gesto della mano, mandandolo ad atterrare pesantemente vicino a Leyla.

- Kaede…

- Hn. – scosse le spalle, rialzandosi…

Leyla si accorse che stringeva i pugni convulsamente, e questo, oltre a una impercettibile contrattura della mascella, tradiva tutto il nervosismo di Rukawa.

Anne arrivò in quel momento e si mise accanto a Leyla, cercando di celare la sua presenza a Ravnjos.

questo, irriterà il Consiglio.

già! Un’Intrusione e una Contaminazione…dobbiamo risolvere la situazione in fretta e senza danni ulteriori ad Hana.

La situazione è così critica, dunque?

Non sappiamo quanto sia stato condizionato dal vampiro.

Leyla, tu..”

“Dobbiamo prepararci al peggio.

Il mostro li osservava uno ad uno:

- Adesso mi dovete scusare, ma devo abbandonare questa piacevole compagnia. Dite a Mitja che lo saluto, sono sicuro che ci rivedremo presto. – il suo sguardo si fermò di nuovo su Rukawa…il giovane percepì chiaramente il tentativo di un’intrusione nella sua mente. – Non ti preoccupare, avrò buona cura di lui!!

Si sollevo piano, stringendo a sé Hanamichi sempre incosciente, cominciando a ridere.

Rukawa, vedendolo scomparire, fece per slanciarsi, ma qualcuno lo bloccò per le spalle. Cercò di divincolarsi, ma quelle mani -che lo artigliavano- parevano avere una morsa d’acciaio…

- Kaede! – la voce di Leyla era ferma e decisa, come la sua presa. – cosa vorresti fare?

Scrollò le spalle rimanendo lì, fermo, a fissare il punto dove quel vampiro era sparito, portando Hana con sé, mentre un vuoto lacerante si apriva piano nel suo cuore…

Si girò, passando accanto a Leyla e agli altri senza minimamente mostrare alcuna reazione, rientrò in casa, nell’atrio -ai piedi delle scale- trovò Dimitrij, lo superò senza degnarlo di uno sguardo.

 

§ § §

 

Kiminobu entrò nello studio di Leyla, senza aspettare l’invito ad entrare. La situazione era talmente critica, da permettere di sorvolare su certi formalismi:

- Leyla, ho scoperto….– le parole gli morirono in gola, trovandosi davanti un uomo alto, longilineo, con i capelli chiari che parevano assorbire la luce del sole dietro le sue spalle.

- Lui... – balbettò, lasciando cadere i fogli che aveva in mano.

Anne entrò in quel momento dietro di lui, seguito da Hisashi e soffocò uno sbuffo tra lo scocciato e il divertito, scambiando un’ occhiata con Leyla.

- succede sempre così…

Mitsui si avvicinò:

- Ehi!! Kimichan, che succede?

- Lui è….il Master….

- Chi?

Anne si fece avanti:

- Dimitrij, Master del Clan Tzimiscje, discendente diretto di Vlad Tepes.

- un vampiro?  -esclamò Hisashi, reagendo d’istinto e preparandosi ad attaccarlo.

- ehm, Hisachan…lui è il mio compagno, per cui vedi di andarci piano, OK? – sbottò Anne, mettendosi davanti a Mitsui e guardandolo con gli occhi stretti.

Leyla si fece avanti. Era venuto il momento di mettere le carte in tavola:

- Capisco che, per voi, possa essere un po’ sconcertante…Ora, io non vi obbligo a restare…Mio padre si era sempre considerato amico del padre di Mitja…e io ritengo di potermi fidare…non solo per il legame con Anne…Resta il fatto che, voi, non siete obbligati a condividere la mia posizione e siete liberi di andarvene quando volete. Sappiamo chi è l’ essere che ha rapito Hana...Eugenij Ravnjos.

Kogure sussultò:

- ma in quel Clan sono reietti...non…

- Vero. Però è stato lui, ieri sera, a rapire Hanamichi...

- su questo, non ci sono dubbi...- osservò Anne.

Leyla le posò una mano sul braccio:

- Ascoltate: io non ho ancora avvisato il Consiglio di quanto successo. Vorrei provare a risolvere la cosa, prima...- guardò l’orologio sulla sua scrivania – ci vedremo qui tra un un’ora...voi avrete il tempo di pensare alla faccenda e prendere la vostra decisione...

Si avvicinò alla porta e, fermandosi un istante, disse:

- Anne, io vado da Kaede...se c’è qualche problema chiamami, ok?

 

 

Galleggiava in un buio ovattato, cercando di emergere dalle tenebre che lo avvolgevano stretto.

Volti voci rumori vorticavano attorno a lui…

Dov’era? Aveva freddo, era come se una morsa di ghiaccio lo imprigionasse.

Aprì gli occhi piano, una luce azzurrognola filtrava dalla finestra…Non ricordava dove fosse…si guardò in giro, quella non era la sua camera, anche se non rammentava dove fosse. Si alzò dalla brandina di legno che fungeva da letto…era in una stanza circolare…

Si affacciò alla piccola finestrella con le grate.

Sotto di lui, una distesa di neve sconfinata…che si perdeva all’orizzonte…Il suo luminoso candore gli feriva gli occhi…Non ricordava nulla di quello che era successo…né aveva idea di dove si trovasse.

Urlò, quando sentì i denti di Eugenij affondare nella sua carne.

Sentiva il battito del cuore rimbombargli nelle orecchie.

La neve -sotto di lui- era gelata.

La vista gli si annebbiò lentamente, mentre le immagini nella sua mente cominciarono a svanire…Vide le nuvole correre attraverso il cielo, coprire il sole, la luna e le stelle.

Vide due occhi blu, che lo fissavano da un punto lontano...sapeva

che doveva aggrapparsi ad essi,

doveva farlo a tutti i costi, ma si sentiva trascinato via,

come il suo sangue che usciva dalle sue vene, per riversarsi nella bocca avida del vampiro.

gGli occhi, piano, si affievolirono, andando via via scomparendo, mentre anche la sua volontà si faceva sempre più debole.

Non sapeva dire quanto tempo fosse passato.

- mio demonio dai capelli rossi…- una voce roca, accanto al suo orecchio…- vieni! – gli porse la mano fredda come il suo fiato.

Gli occhi blu erano ormai un ricordo lontano, ora c’erano gli occhi del suo signore:

Azzurri e cerchiati di rosso.

 

Leyla uscì dalla stanza di Kaede, richiudendosi la porta alle spalle. Lasciandovisi andare contro con la schiena, con un sospiro profondo. Vedere il dolore muto di Kaede le faceva male al cuore. Aveva passato l’ora precedente seduta nella sua stanza, mentre lui stava fermo davanti alla finestra, appoggiato alla cornice di pietra, un ginocchio piegato e le braccia incrociate al petto. Muto, immobile e silenzioso.

- Lo ritroveremo.

- Hn.

Questo era stato l’unico scambio di parole tra loro, null’altro. Nel resto del tempo, aveva aspettato che lui parlasse, dicesse qualcosa, ma nulla tradiva ciò che si agitava dietro quella maschera che aveva indossato. Pareva tornato il Kaede di tre anni prima…Lo rivedeva ancora: i primi tempi, aggirarsi per i corridoi di quella casa, quando era arrivato Hanamichi, Kaede aveva cominciato a reagire,. Se non altro, l’altro -per quanto si lamentasse del fatto che Rukawa lo ignorava sistematicamente- era l’unico che riusciva a scuoterlo…Ora, invece…E questo riapriva ferite mai rimarginate, anche nel suo cuore…

Avrebbe dovuto raggiungere Anne, ma invece si incamminò nell’ala ovest della casa…. Si sentiva stanca, aveva bisogno di recuperare un momento, prima di raggiungere Anne e Dimitrij, che la stavano aspettando nel suo ufficio.

Si fermo davanti a una porta di legno massiccio…Sospirò, prima di girare la maniglia e entrare..

La camera era avvolta nella penombra e un vago sentore di tabacco vi aleggiava ancora. Nulla era cambiato, da allora. Lei aveva voluto che restasse così…sembrava solo in attesa che il suo occupante dovesse tornate da un momento all’altro.

Quando Derek era morto, aveva pianto, disperandosi fino a consumarsi...Aveva pregato il consiglio di utilizzare le tecniche di magia per riportarlo in vita, di permetterle di rievocare i vecchi incantesimi sui libri polverosi che giacevano nei sotterranei della Casa Madre di Londra...aveva imprecato, pianto, urlato, contro Colui che aveva ucciso l’uomo della sua vita...La persona che più di tutti aveva saputo comprenderla e amarla, e senza la quale la sua vita non aveva più senso.

Derek era morto e lei era morta con lui. La sua vita, da allora in poi, era stata come il cammino di un’ombra sulla terra. Aspettava il momento della vendetta...solo quello importava, null’altro contava...Le sue notti erano popolate da incubi spaventosi: vedeva Derek preda del demone che lo aveva ucciso risucchiandogli l’anima, vittima di tormenti indicibili e dolorosi...e questi incubi le stavano divorando il cuore...

Sfiorò la poltrona di velluto, dove Derek amava sedersi a sorseggiare il suo bourbon prima di andare a dormire. Chiuse gli occhi aspirando il profumo muschiato della sua colonia, sapeva che era un’illusione dei suoi sensi, però così sembrava che lui fosse ancora lì, con lei:

 

“Mia Leyla, tormento del mio cuore..

spina piantata nel mio animo,

così in profondità che toglierla

equivarrebbe a morirne...

 

Le parole echeggiavano nel suo animo, come se le stesse ascoltando dalla voce di chi, per molto tempo, le aveva pronunciate al suo orecchio...mentre la stringeva a sé, baciandole i capelli:

- Derek...

Anne si affacciò:

- Sapevo di trovarti qui.

- In questi momenti, mi manca…

- Kaede come sta?

- E’ chiuso in un mutismo impenetrabile, non dà il minimo segno di emozione…

- Lo ritroveremo…Andiamo, Mitja ci aspetta con gli altri.

Leyla si volse un istante a guardare la stanza di Derek:

- Come lo spiegherò al Consiglio, che mi sono fatta aiutare da un vampiro?

- Ci penseremo a tempo debito…

 

Dimitrij era fermo in piedi, davanti alla scrivania di Leyla, le braccia posate sulla superficie di legno.

- Secondo me…

La porta si aprì, lasciando entrare Rukawa.

- Kaede..- Leyla si alzò dalla poltrona su cui era seduta, non si sarebbe aspettata di vederlo scendere e partecipare alla riunione.

- Hn…- si sedette accavallando le gambe e puntando i suoi occhi su Dimitrij, in un muto invito a continuare.

- Dicevo.. che secondo me, lo ha portato in Rutenia. Il clan ha una serie di castelli sparsi da quelle parti.

- Io non riesco a localizzarlo, è come se fosse schermato. – disse Anne.

- E’ per via del suo legame con Eugenij  - Kaede sussultò, a quelle parole – ma se noi andiamo in Rutenia …

- …si farà trovare – concluse -per lui- Anne.

- Perché Hana?

Sussultarono, nessuno si aspettava quella domanda da parte di Rukawa.

Dimitrij restò un attimo in silenzio, scambiando un paio di occhiate con Anne.

- Lui era il più esposto. – intervenne Kiminobu.

Kaede strinse gli occhi, poi sbuffò:

- intendevo: cosa vuole da noi?…

- La nostra è una faida, una faida di sangue, le cui origini sono ormai dimenticate, mentre la violenza resta, aumenta...

- vuoi dire che ha preso Hana, per vendicarsi di te?

- In un certo senso…Eugenij Ravnjos è pazzo…lui odia voi e la vostra gente, oltre che noi….Secondo un accordo che il mio Clan ha stipulato con Marcus Mayfair, il suo clan è stato condannato all’ostracismo, per cui gli sono state confiscate le terre, le dimore, le ricchezze. Mio padre è morto, così come il padre di Leyla, ma non è propriamente la vendetta, che cerca. E’ come una partita, al la nostra...questa è la sua mossa...ora tocca a noi, agire di conseguenza.

- Cosa ne farà di lui? – chiese Mitsui.

- Il problema è che bisogna vedere quanto sia diventato stretto il loro rapporto simbiotico..

- simbiotico? – ripeté Kogure, sistemandosi gli occhiali.

- Quando un vampiro morde ripetutamente un essere umano, lo rende dipendente da sé…ma ne diventa a sua volta schiavo…Schiavo del suo bisogno di sangue…di quel sangue.

- E l’umano?

- l’umano piano piano si assuefa al morso del vampiro, fino a che non c’è più nulla da fare.

- Vuoi dire che si trasformerà…- Hisashi esitò un istante, era assurdo anche solo pensarlo - in vampiro?

- Non credo…- cominciò Dimitrij, ma Kogure lo interruppe.

- non può, anche se forse vorrebbe..

- lo ha morso e, da quello che ne sappiamo, anche ripetutamente…- obiettò Hisashi.

- si sì, ma se ne nutre…Un reietto non può creare altri vampiri, né ricostituire un altro clan.

- cosa ti fa pensare che rispettino queste imposizioni…?

- Abbiamo un alto rispetto per il nostro ordine sociale.

Rukawa sbuffò, guardando Dimitrij:

- Parlare di rispetto, mi sembra assurdo. E’ un vampiro.

- Ohi,  Ciccio…- intervenne Anne.

Lui si alzò, ignorando il tono leggermente irritato di lei.

- E Hanamichi? Come faremo per liberarlo?

- Dipende dal grado di assuefazione, Hana comunque mi pare molto forte, e il suo comportamento strano di questi giorni mi dà da pensare che non fosse disposto a cedere…C’è qualcosa di forte, che lo lega a voi? Una ragione per cui dovrebbe opporsi al morso del vampiro? Trovato quello stimolo, sarà facile fare leva su di esso…Ma dobbiamo sbrigarci, più resta sotto il suo controllo…- disse Kogure.

- più sarà difficile annullarlo…- concluse Dimitrij, annuendo.

 

Kaede era fermo sulla terrazza che dava sull’oceano, cercava di assimilare tutto quello che era stato detto...Guardava -senza vederlo- lo spettacolo del Golden Gate che attraversava l’oceano, le immagini di quella ultima visione non lo abbandonavano…E poi le parole del vampiro e della vecchia:

Lui mi ha chiamato.”

“Lui brucerà nel fuoco.”

Guardò verso la casa, alla fine della riunione Leyla aveva detto di andare a dormire e di prepararsi alla partenza. Lui era uscito di casa, percorrendo i sentieri che attraversavano il giardino e facendo la strada più lunga, per evitare di passare sotto la statua dell’angelo, si era diretto verso il mare.

Era inutile che cercasse di dormire, tutte le volte che lo faceva, il volto di Hanamichi gli si parava davanti, anche se cercava di non pensarci, di scacciarlo dalla sua mente. Eppure ogni volta era lì, in mille piccole espressioni, lo sguardo spalancato, l’eco della sua voce che lo chiamava Kitsune, lo sguardo che aveva quando in Rutenia gli aveva tirato la manciata di neve in pieno volto…E poi, come la superficie dell’acqua che si increspa, l’immagine cambiava. si deformava, trasformandosi nella scena del parco di Angel’ s Manhor…Hana abbandonato tra le braccia del vampiro…La cosa lo faceva soffocare, un dolore sordo gli stringeva il petto soffocandolo e la consapevolezza che era colpa sua…

Le parole del vampiro:

tu lo hai gettato tra le mie braccia.”

“voleva solo considerazione, da te.”

Rabbrividì al ricordo di quella lingua che sfiorava il collo di Hanamichi e il gemito uscito dalle sue labbra…

si assuefa fino a che…”

Era un pensiero insopportabile…

- non ti piaccio, vero? – chiese Dimitrij, arrivandogli alle spalle in silenzio.

- Hn.

- Ti capisco, in fondo sono responsabile di tutto questo…

- non hai rapito tu, Hana.

- E allora, perché tu ti senti in colpa?

- Hn.

- Per quello che ha detto Eugenij?

- Hanamichi si sentiva rifiutato da me…Chi è?

- Eugenij Ravnjos. Il suo clan sterminò il villaggio di Anne e la rapì, assieme ad altri bambini del villaggio…Leyla ti cercava, siamo quasi pronti.

Senza dire nulla, Kaede lo seguì.

 

Leyla sedeva alla sua scrivania con gli occhi chiusi e la fronte corrugata, sapeva che non dormiva. La fissò per qualche secondo, e infatti lei aprì gli occhi sorridendogli:

- che c’è?

Scrollò le spalle, Leyla si alzò avvicinandosi a lui, posandogli una mano inguantata sul braccio, lui non si ritrasse, non si ritraeva mai, con lei. La sentiva vicina, un po’ perché era stata la prima persona che l’aveva aiutato con quel suo Dono, che lui detestava più di ogni altra cosa al mondo, e poi anche perché poteva capirlo…Sapeva anche lei, cosa voleva dire percepire quelle ondate di sensazioni, fino a restarne svuotati e travolti…e sapeva cosa voleva dire quel vuoto profondo, che sentiva nel cuore, adesso che Hanamichi era chissà dove…

- Come fai a sopportarlo?- le aveva chiesto una volta.

- non è un peso, Kaede.

- Oh, sì! è un fardello insopportabile…- aveva detto lui.

- non farti travolgere da questo, ti distruggerà. – aveva risposto lei, facendosi improvvisamente seria – Devi trovare qualcosa che ti distragga…che ti permetta di staccare.

Era andata bene, c’era riuscito per un po’, fin quando quel tornado -dalla testa di quel colore assurdo- non era entrato nella sua vita... Nonostante la corazza che si era -con fatica- costruito attorno, in quei tre anni e che credeva impenetrabile, Sakuragi era l'unico che poteva alleviare la sua solitudine. Che pensiero assurdo, però. Aveva sempre creduto fosse un elemento qualsiasi della sua vita. Un qualcosa di nuovo, che si era venuto ad inserire e di cui poteva anche fare a meno… E invece ora, mentre stava lì, a fissare il paesaggio fuori dalla finestra, chiedendosi dove fosse….Cosa gli stava succedendo? Sentì il sapore amaro della paura salirgli alla gola. Di nuovo quella fottutissima paura! Paura di perderlo. Paura di non riuscire a convivere con il senso di colpa…Paura di non riuscire a vivere, senza di lui…

- non è colpa tua.

- Hn – guardava ostinatamente fuori dalla finestra.

Lei gli fece abbassare il viso, a incontrare i suoi occhi:

- Vedrai, lo ritroveremo e sarà lo stesso Hana di sempre.

 

 

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