Flavius

di Kiruri
(/viewuser.php?uid=78776)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1_Sospetti e decadenza ***
Capitolo 2: *** 2_Nuovi inizi ***
Capitolo 3: *** 3_Passeggiate. Le abitudini di Flavio ***
Capitolo 4: *** 4_L'incubo ***



Capitolo 1
*** 1_Sospetti e decadenza ***


Buonasera a tutti ^__^
Mi scuso subito per l'altra ficcy che attende di essere aggiornata,e l'autrice che e una lumaca sta-impegnata per giunta ^^'''
Scusatemi,chiedo perdono!
Riguardo questa bellissima storia c'e subito da dire che non e mia(avessi io un talento simile T.T) e del fratello di una mia amica,lo trovata su un sito e ho pensato di dover far conoscere questa meravigliosa storia e il talento di quel ragazzo a piu gente possibile visto che e un meraviglioso scrittore ma poco conosciuto;
Ok,volevo solo avvertire per non prendermi il merito di altri,detto questo ogni commento e ben accetto,lo informero il prima possibile ^_^
Buona lettura!

§ Racconto di Niro Dentico

FLAVIUS
Liberamente ispirato a "Carmilla"

Prologo

Quando scoprii queste carte notai che il precedente possessore, un certo dottor Wahyte dell’università di Oxford, aveva posto una lunga ed elaborata nota su un foglio ad esse allegate, si trattava di un piccolo appunto che metteva in parallelo la storia contenuta in questo volumetto con uno strano fenomeno “mediatico” che si è potuto osservare su internet riguardo ad un “oscuro messia”;
ancora lo collegava ad alcuni sedicenti maghi del periodo in cui è stato scritto e parlava di una fantomatica “battaglia degli incantesimi” fra i suddetti, precedenti e posteriori alla fondazione dell’ordine esoterico noto come “Golden Dawn”.
La nota comunque era priva di senso ed allarmata riguardo ad una possibile “società occulta” che guida i passi dell’umanità a sua (anzi: nostra) insaputa.
Ho tradotto questi fogli dal francese scorretto in cui erano stati scritti (nemmeno tutti, alcuni erano scritti direttamente in inglese) per far si che il pubblico potesse leggerli senza faticare come io ho faticato a tradurli.
Certamente si tratta di una pregevole opera fantasiosa, nonostante la forma terribile ed il successo che ovviamente non ha avuto alla sua era, se non altro informa eccellentemente sulla vita che si svolgeva a Parigi all’epoca.
Mette ben in evidenza le tribolazioni umane che coglievano gli artisti in quell’epoca di trasformazione e commercio, oltre che approfondire il tema del doppio all’interno delle nostre fragili esistenze.
Ma vi lascio alla lettura.
In fede: Dott. Wilder

Parigi 1899
Il racconto che sto per fare ha dell’incredibile e dubito che voi lettori che troverete fra le vostre dita il documento che stringete riuscirete a coglierne un qualche bagliore di realtà e verità, come potrei biasimarvi?
Sono dita morte quelle che reggono la penna che graffia la ruvida carta mentre la città di Parigi fuori dalla mia spenta finestra mormora e mugola, sono occhi morti quelli illuminati dalla fioca luce di questa candela.
Ma andiamo con ordine.
Ho una storia da raccontare, una storia di sangue e di amore e di morte. Ecco come tutto iniziò…

1. Sospetti e decadenza.

Il mio nome è Lawrence e fui nobile durante la mia vita di giovane aristocratico inglese, prossimo erede del titolo di Lord del padre e poeta maledetto a tempo perso. Nacqui nella città di Londra e studia sotto l’egida di mio padre, fin da quando ero piccolo coltivai una passione per il fantastico e l’oscuro che sfociarono nella mia fiorente gioventù per una passione priva di raziocinio per tutto ciò che riguardasse quel nuovo movimento letterario che venne iniziato quasi erroneamente dal celebre poeta re dei poeti, Baudelaire. All’età di diciannove anni abbandonai la mia casa familiare sotto le abbondanti maledizioni di mio padre e presi un’imbarcazione, quindi un treno alla volta della celebre Parigi, madre di tutta la poesia mondiale. Durante il mio viaggio pensavo già alla mia vita da bohemien e mi figuravo la città fantastica e ricca di vita notturna nella quale mi apprestavo a vivere per il resto di quella che credevo sarebbe stata una vita felice; priva dei rigidi codici della società inglese, una vita nella città cha mi avrebbe permesso di pubblicare le mie poesie ed i miei componimenti più fantasiosi senza giudicarli come faceva mio padre “infantili”.
In questo anno molte cose sono cambiate sia nella mia anima che nel mio corpo, e tra quelle della mia anima soprattutto una fame è stata saziata, quella della ricerca occulta.
Quando giunsi a Parigi affittai una stanza presso una vecchia bisbetica nel suggestivo quartiere di Monmatre e perseverando nei miei crescenti vizi cominciai a fare diverse conoscenze, la più importante di queste fu quella che cambiò la mia vita e che mi introdusse nelle più profonde tenebre dell’esistenza. Si chiamava Yvette, era una prostituta conosciuta in un’oppieria dei più bassi sobborghi di Parigi, durante il mio soggiorno era diventata una persona quasi cara a me, quasi un’amica, ovviamente il quasi è altamente importante, poiché era pur sempre una donna, una scontata donna di mal costume per giunta…
Parlando con lei mi trovai a discorrere di vari argomenti ed infine parlando della mia vita emerse la mia passione per l’occulto, infine, lei mi disse che Parigi era una sorta di calamita nera per le persone del mio calibro, che vi erano diverse personalità importanti che più o meno segretamente gravitavano intorno all’ambiente esoterico, tra questi il noto scrittore Huysmans e il bizzarro quanto inquietante poeta-mago Aleister Crowley.
"Certo che posso metterti in contatto con qualcuno di più interno ai circoli, ovviamente ad un giusto prezzo."
Mi rispose Yvette ad una mia precisa richiesta, ed io stupidamente accettai, aggiungendo una nuova ferita al mio conto sempre più dilapidato. Infatti come poeta non valevo un gran che, ora lo posso ammettere, e comunque, anche i più importanti e geniali poeti vengono tuttora disprezzati dalla società e più che per provocare estatiche visioni artistiche bevono per impedire che i morsi della fame li rendano folli.
Fu così che conobbi Walter Cicinzky, un corpulento pittore polacco, giovane e squattrinato artista da strapazzo come me, fittamente immerso nell’occultismo. Fu mio compagno di bevute e di fumate per diverse notti, poi divenne un amico più intimo e mi introdusse all’interno del suo clan.
La sua congrega, o “branco” come lui amava chiamarla è una delle sette più potenti e pericolose di Parigi, non di meno una delle meno conosciute e recante i segreti più terribili dell’alchimia e della negromanzia e della demonologia. La sua alta sacerdotessa -che Dio la maledica e la sprofondi nel più basso recesso dell’inferno- era una donna mostruosa, come direbbe un noto poeta ora in rovina, priva del buon gusto dell’essere un mito, dalle brame oscure ed insaziabili, crudele come una lama di coltello, gelida come la luce della luna e bella come il suo riflesso argenteo nelle nere acque dell’Averno.
Probabilmente il suo vero nome era Nicole, ma, a noi del gruppo era nota con il suo nome da iniziata: Lethitia. La sua bellezza era brutale e sconvolgente, la sua pelle era serica ed eburnea, priva di quei pori e di quelle imperfezioni che caratterizzano l’imperfetta pelle umana, tanto liscia da sembrare una statua, tanto sottile ed immobile che vederla piegarsi per il movimento delle sue labbra parlanti poteva risultare fatale ad una persona che non ne fosse preparato, le sue labbra erano pallide ed esangui come il resto del corpo, ma sembravano rosse come mele poiché si diceva, le tingesse con il sangue dei suoi amanti. I suoi capelli erano lunghi, aggrovigliati e folti, talmente folti da sembrare avessero vita propria, talmente inquietanti che spesse volte capitava che essi si muovessero per un alito di vento o una corrente d’aria dando l’impressione che fossero vivi e desiderassero nutrirsi. I suoi occhi rispecchiavano appieno le tenebre profonde della sua anima maledetta.
Quando mi porse la mano per farsela baciare com’è consuetudine io percepii un brivido e un senso di stretta allo stomaco mi attraversò quando sfiorandola appena con le labbra, non percepii alcun movimento o battito al di sotto della pelle compatta e gelida.
Lethitia era una donna dai modi strani e violenti, che riflettevano il suo temperamento incline all’ira e di rara mansuetudine, spesso aveva scatti nervosi che la rendevano terribilmente rapida nel muoversi e davano l’impressione che soffrisse di nevrastenia. Walter mi aveva raccontano molte cose su di lei che potevano confermare la sua follia, prima tra le quali la forza prodigiosa che la inondava quando in certi momenti il suo temperamento iroso emergeva.
Sorrise mostrando la dentatura perfetta e perlacea, i denti arrotondati e squisitamente dritti, le piacque molto l’espressione di disappunto che mi ero lasciato maleducatamente sfuggire e lo diede a vedere. Mentre la mia mente si arrovellava alla ricerca di scuse plausibili lei balzò in avanti e mi afferrò con un braccio passandolo dietro la mia schiena, con la mano libera afferrò la mia interdetta e mi spinse a passi di danza, solo che le nostre parti erano invertite, lei era il cavaliere e conduceva, ma io più che la sua dama parevo la sua marionetta.
"Così vuoi entrare nella mia fratellanza?" Mi chiese sempre costringendomi a danzare alla folle musica che veniva suonata da un’orchestra immaginaria nella sua testa ,"vuoi conoscere i misteri del mondo sotterraneo? Vuoi afferrare l’effimera coscienza dell’anima che trapassa ed i segreti per farla tornare? Pensi che il tuo cuore sia abbastanza forte per assimilare tante verità proibite?" In quel momento mi venne in mente uno dei racconti di Walter, durante i loro riti un adepto aveva pronunciato male una qualche formula e lei lo aveva fustigato con la frusta rituale fino a ridurlo all’incoscienza, non volevo apparire debole, non potevo permettermi di apparire debole, perciò presi il coraggio a due mani e parlai chiaramente: "Si, voglio questo sapere, anelo al mondo che si cela oltre il velo illusorio di questa realtà."
Forse vide la volontà ferrea di percorrere quel cammino nel mio volto, forse per il semplice fatto che ero molto avvenente per lei, decise di farmi entrare nel gruppo, arrestò improvvisamente la danza (cosa che mi diede la nausea) e mi lasciò disteso sul pavimento. Non mi va di raccontare nel dettaglio quello che fu il mio rito di iniziazione, ma devo: semplicemente lei mi costrinse a giacere con lei una notte, fu una notte ai limiti della mostruosità e tutt’ora non so se attribuire le temibili visioni che avevo alle sue stregonerie o al troppo assenzio che avevo in circolo. Vidi una città lontana, una città nel deserto che veniva inondata e molta gente urlava, vidi una schiera di donne e di uomini bianchi come gesso fuggire da un edificio in fiamme vidi splendide danzanti fanciulle in corti lontane e soprattutto vidi il sangue, moltissimo sangue che scorreva a fiumi in cui ninfe morte si bagnavano per ottenere ancora una parvenza di vita nelle loro putride carcasse.
Dopodichè anche io fui ammesso nel branco, la congrega nota ai suoi adepti con il nome di “Ordine del Drago Rosso.” Devo ammettere che rimasi deluso da ciò che mi venne insegnato, ciò che la congrega praticava era una sorta di culto misterico basato sullo scorrere delle stagioni e dell’armonizzazione dell’uomo alle loro energie, questo avrebbe dovuto portare all’immortalità della nostra anima, tuttavia, la delusione era il secondo lato della medaglia, dall’altro si trovava la speranza. Lethitia infatti aveva due alti sacerdoti, uno di nome Harmaan, alto, grosso e biondo come solo quelli della razza dei germani possono essere, e l’altro più minuto ma ben proporzionato, dotato di un volto quasi femmineo di nome Flavio von Karnstein, dagli occhi color nocciola e i capelli neri come una colata di alabastro sul suo capo, proveniva dalla Slovenia, o forse dalla Croazia. Nulla sembrava accomunare quelle due figure eppure entrambe possedevano quel pallore, quell’immobilità e quel carisma sovrannaturale che condividevano con la loro maestra. La mia speranza era quella che se mi fossi mostrato migliore dei miei compagni avrei potuto ricevere i veri insegnamenti segreti che quella setta avrebbe potuto darmi e speravo anche di farlo in fretta in quanto non solo la mia vita dissoluta, ma anche l’Ordine stesso mi stavano salassando, necessitavo moltissimo di una pietra filosofale con cui produrre oro a volontà…
Le mie speranze erano vane, a nulla servirono il mio zelo ed il mio impegno come scrittore, poiché l’uno si rivelò inutile, e l’altro scadente, un giorno mi ritrovai quasi senza accorgermene senza neppure i soldi per comprarmi una bottiglia di liquore a mendicare come uno straccione in mezzo ad una strada.
Trascurai l’ordine e la mia vita divenne sempre più infima, a volte per non sentire i crampi della fame mi vendetti a giovani e ricchi giovinetti così simili a me quando ero appena giunto nella città dei poeti. Una sera accumulai abbastanza soldi per potermi permettere dell’assenzio, ed ovviamente esso occupava nella mia mente uno spazio rilevante, molto più rilevante di quanto ne occupasse il cibo molto più effimero. Quella sera mi apparve Lethitia, sembrava un angelo di luce nella squallida bettola dove mi stavo abbeverando e quando le spiegai le miserabili condizioni in cui mi trovavo lei non mi offrì il conforto che mi aspettavo, pagò per me un’ulteriore bottiglia di assenzio e porgendomela mi disse: "affogatici".
Come il giorno della mia iniziazione fu una notte di allucinazioni, l’alcol in circolo nelle mie vene mi diede alla testa in maniera più violenta di quanto mi sarei mai immaginato, la disperazione aveva amplificato il suo potere e mi ritrovai a vagare per le strade di Parigi privo del lume della ragione, privo della volontà di vivere, privo di ogni motivazione, non so cosa accadde, ricordo solamente il pericolo imminente di una carrozza che mi veniva addosso e poi un salvataggio miracoloso ad opera di braccia sottili e possenti, poi più nulla.
Poi il buio, poi la luce…


Ed eccoci alla fine del primo capitolo fatemi sapere come vi sembra,riguardo me mi aveva completamente rapita,lo cominciato qualche tempo fa ma lo finita solo stasera quando mi sono ricordata di averla abbandonata povera storia,e veramente meravigliosa;Continuate a leggerla,non ve ne pentirete,Parola di autrice e accanita lettrice ;)
Aggiornerò prestissimo,forse ora anche,a presto!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 2_Nuovi inizi ***


Ebbene,come promesso ecco qui il 2°cappy,Buona Lettura ^_^

2. Nuovi inizi.

Mi risveglia in quella che pareva una sontuosa stanza di una ricca quanto antica magione, ero asciutto come un bambino, mi stupii di non essere più ricoperto del liquame di Parigi, indossavo una candida camicia da notte bianca ed affondavo tra le morbide coperte di piume di un letto a baldacchino dai drappi color porpora. Le pareti della stanza erano ricoperte di legno, quercia a giudicare dal colore e mi ricordarono molto i muri della mia casa in Inghilterra, dalla finestra filtrava una luce dorata che passava attraverso le candide e morbide curve di una tenda sottile, il pavimento era a parquet intonato con i pannelli di quercia delle pareti e sopra di esso si trovava un caldo scendiletto di pelliccia d’orso. In un angolo si trovava tutto il necessario per la toeletta.
Malfermo sulle gambe mi sollevai dal letto ed andai fino alla porta, mi sentivo molto debole, aprii la porta e mi ritrovai in un corridoio perfettamente in stile con la stanza nella quale avevo dormito, cominciai ad esplorare il maniero nel quale mi trovavo, lungo tutte le pareti si trovavano degli arazzi e dei quadri, si, decisamente mi ricordava casa mia, ma quegli stemmi e quegli scudi avevano uno stile austero e rigido come quello dell’Europa orientale.
Dopo un piccolo arco ed una faticosa scalinata mi ritrovai in un grande salone, la luce filtrava da ogni lucernario e da ognuna delle grandi finestre che riempivano i muri lasciandomi intravedere il paesaggio naturale al di fuori, vasti prati e boschi lontani che schermavano la vista delle colline. La cosa che più mi sconvolse di quel luogo era la solitudine, non solo della casa all’interno della natura, ma anche della pulizia stessa non giustificabile dalla presenza di domestici che effettivamente mancavano.
Il silenzio regnava al di sopra di ogni cosa e la fredda aria pareva immobile come acqua di palude fino al mio passaggio.
Colpito dal gelo della scena (utilizzo ancora termini poetici, certi vizi sono davvero duri a morire), mi avvicinai al lontano caminetto nel quale scoppiettava un fuoco allegro ed inutile. Mi posai sul divanetto in stile orientale, del color arancio acceso e mi scaldai vicino a quella ridicola fonte di calore.
"Sono lieto che ti sia ripreso."
Una voce dal nulla mi sorprese, quando mi voltai a guardare mi spaventai, infatti non proveniva dalle mie spalle (e comunque mi sarei accorto del rumore prodotto dall’arrivo di qualcuno) ma da una persona seduta al mio fianco sul divano arancio, lo riconobbi quasi subito, si trattava del mio confratello Flavio von Karnstein. Era semplicemente seduto la, come se fosse sempre stato presente, balzai in piedi spaventato. Lui mi guardò con il suo sguardo liquido, i suoi vestiti erano impeccabili, anche se forse un po’ troppo vistosi, era abbigliato secondo un’antica moda, forse ungherese, con vesti riccamente decorate e ingioiellate, tuttavia, diversamente da quell’antica moda, i suoi abiti erano scuri e smorti anziché colorati e luminosi.
"Chiedo scusa Flavio non volevo introdurmi in casa tua e tanto meno volevo mostrarmi a te in questo stato", dissi facendo riferimento alla mia camicia da notte, "sono indecoroso, e non so nemmeno come mi ci trovi in casa tua."
Con un gesto teatrale della mano fermò il mio parlare, "Sei il primo bohemien che si scusa per com’è vestito, non ti preoccupare poso svelare alcuni dei misteri che avvolgono il tuo arrivo sin qui."
Sorrisi, vederlo alla luce del giorno mi faceva uno strano effetto, i suoi movimenti erano languidi e sembrava malato, pallido e magro nella luce del sole.
"Hai ragione, dev’essere l’effetto della tua abitazione, risveglia in me i ricordi di quando vivevo a Londra, e le rigide etichette della sua società." Mi scusai.
Scosse la testa come per dirmi di non preoccuparmi e riprese a parlare nel suo modo languido.
" L’altra notte Lethitia ti ha trovato e ti ha pagato una bottiglia di troppo, credo che l’abbia fatto appositamente per ucciderti, quando ce l’ha annunciato io ho abbandonato il tempio, era da molto che volevo farlo, Lethitia non ha più nulla da dirmi e sono venuto a cercarti. Quando ti ho trovato stavi per essere investito dalla carrozza di un nobile e ti ho salvato, purtroppo eri molto ubriaco, quindi mi sono preso la libertà di portarti qui a casa mia."
La sua storia giustificava ampiamente il mio arrivo in quella casa tuttavia mi sentii immediatamente un peso. "Hai sfidato Lethitia e mi ospiti in casa tua. Non devi fare questo per me, sono un relitto umano."
Mi sorrise sornione, un sorriso che non preannunciava parole, ma che significava molte cose, la più importante che mi sovvenne come se lui avesse parlato senza muovere le labbra, "Per te questo ed altro." Il bisogno di fare altre domande o di rifiutare la sua ospitalità venne soffocato sul nascere.
Si sollevò con il suo languore dal divano arancio e mi porse una mano per aiutarmi ad alzarmi.
"Dove ci troviamo di preciso?" chiesi, forse per interrompere la strana sensazione di attesa predatoria che gravava e il sorriso sornione mi suggeriva.
" Siamo nei dintorni di Versailles", disse quasi distrattamente, poi cambiò discorso come se la vicinanza a quel paese lo disturbasse,"Sei stato svenuto per un intera notte, immagino tu abbia fame, anche se teoricamente è ora di pranzo immagino che ad un bohemien non disturbi fare colazione."
Mi limitai ad annuire e a seguirlo nella grande casa con gratitudine.
Giungemmo nella cucina, era una stanzetta al piano terra piuttosto lunga all’interno della quale si trovavano molti cibi appesi al soffitto come se fossimo ancora nel medioevo, erbe aromatiche secche riempivano l’aria di un profumo allo stesso tempo piacevole e nauseabondo.
Sul tavolo si trovava un panno di lino bianco che copriva qualcos’altro, Flavio mi fece accomodare e lo scoprì, si trattava di un piatto di terracotta, decorato finemente come tutto in quella casa, che conteneva una strana torta, un involto di pasta dolce contenente una crema a base di noci.
Ne tagliò una grossa fetta e me la porse insieme ad una tazza di latte caldo.
"Questo dolce si chiama grosnijaca è un dolce della mia terra, un dolce umile che però è molto amato anche dai nobili."
Effettivamente era molto buono, ed io ero molto affamato. Mentre mangiavo mi accorsi che mi stava fissando con lo sguardo vitreo che avevo visto simile solo in alcuni animali impagliati a cui gli imbalsamatori incastonavano degli occhi di ambra dipinti. Il suo fissarmi mi imbarazzò e per rompere quell’imbarazzo ripresi a parlare.
"Non mangi tu?"
Sembrò risvegliarsi dallo stato di catatonia nel quale era caduto.
"No, scusami, ho già mangiato, inoltre essendo di salute cagionevole non posso nutrirmi di molte cose, per esempio io non bevo mai…vino."
"Una bella sfortuna di quest’epoca."
Rise allegramente, forse troppo per la mia semplice battuta.
"Il fatto che io non beva vino non significa che io non beva assenzio! Al diavolo tutti i medici e le mogli gelose della salute dei mariti."
Risi anch’io, nonostante pensai che probabilmente era proprio il bere la causa del suo languore e del suo stato di malattia.
"Sei sposato, oppure vivi da solo in questa grande casa?" "No, non sono sposato, le donne mi danno noia, tutte oche pettegole, decisamente scontate alle volte, tuttavia, siccome la coerenza è per la gente banale, convivo con due donne, le governanti che tengono in ordine questo posto, la signora Perrodon e la Signorina DeLaFontaine, raramente le vedrai girovagare per casa, sono molto schive, tuttavia ti consiglio di dormire unicamente nella tua stanza, questa casa è vetusta e contiene molti antichi ricordi, alcuni decisamente bisbetici come le due governanti."
Ridemmo di nuovo, poi quando ebbi finito di mangiare anche lui si alzò dal tavolo.
"Immagino che rimanere rinchiuso tra quattro mura con un giovane sfaccendato e malato possa risultare intollerabile per te, vai a preparati in maniera più adatta ad una passeggiata, nella tua camera troverai tutto l’occorrente, io ti aspetterò nel pomeriggio e faremo un giro nei boschi che circondano la mia casa, potrei mostrarti un luogo che stuzzicherà i tuoi sensi di poeta. Poi potremo cenare." Prima che mi alzassi dal tavolo per seguire il suo invito gli chiesi se volesse stabilire un orario, mi rispose che potevamo anche farlo, ma che sarebbe stato inutile poiché nella sua casa erano totalmente proibiti gli orologi.


Fine 2°cappy,allora come vi sembra fin'ora? forse e presto per dirlo ma vorrei sapere come vi sembra quindi commentate please,Bene ora vado,aggiornero di nuovo prestissimo,quindi a presto!

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 3_Passeggiate. Le abitudini di Flavio ***


Ecco il 3°capitolo

3.Passeggiate. Le abitudini di Flavio.

Quella che facemmo subito dopo fu solo una delle tante passeggiate che usavamo avere spesso durante tutto il periodo che io abitai al maniero von Karnstein, i giardini ed i campi che circondavano le sue proprietà erano davvero rigogliosi e fantastici, ricordo che adoravo la sensazione del sole sulla pelle quando passeggiavamo per i prati erbosi in direzione del famoso luogo che lui mi aveva indicato durante la nostra prima passeggiata. Seguendo il sentiero di graniglia in direzione opposta a quella della reggia del re Sole, si arrivava ad un piccolo spiazzo dove si trovava una chiesetta romanica in abbandono da diverso tempo, superatala si entrava in un fitto boschetto dove la luce del sole che raramente giungeva creava effetti fatati, dopodichè ci si trovava nuovamente in una piccola radura, quindi in un cimitero piccolo e antico colonizzato dalle conifere e dall’edera.
"I poeti sono spesso ispirati dal senso di morte e di decadenza che questi posti suscitano…" Mi ripeteva spesso Flavio, che tuttavia non si pronunciava mai in proposito della sua vita prima di giungere a Parigi, ed effettivamente non si sbottonava nemmeno in quella che svolgeva lì al di fuori dal culto misterico di Lethitia.
Lui non mi parlava mai di se, ed era abituato a non scendere mai prima di mezzogiorno quando alla mattina ci alzavamo, mangiava pochissimo e spesso quando glielo facevo notare con preoccupazione perché pensavo che fosse quello la cagione del suo stare male continuo (i suoi movimenti erano terribilmente languidi, la forza vitale pareva sempre essere assente in lui); ma ogni volta lui respingeva le mie critiche –che volevano essere assolutamente costruttive- e mi sfuggiva dicendomi che stava bene e che non mi sarei dovuto preoccupare più di tanto.
All’epoca non immaginavo nemmeno quale che fosse la causa della sua malattia, se solo l’avessi immaginato forse ora non starei scrivendo questo racconto, tuttavia ogni mio tentativo più o meno diretto di scoprire qualcosa in proposito della sua vita, della sua casa, o delle sue domestiche, la cui presenza si poteva unicamente apprezzare a causa dell’ordine perfetto del castello, veniva eluso con maestria dalle sue parole che apparivano davvero molto strane.
"Non posso rivelarti nulla amor mio", mi diceva "ho dei giuramenti da mantenere, non posso credere che tu mi voglia spingere a tradire i miei stessi ideali ed il mio antico onore, credevo che tu fossi mio amico e che ti fidassi delle mie decisioni."
Non lo vidi mai piangere, ma mi sentivo davvero colpevole in quei momenti e nonostante non lo desse realmente a vedere io capivo che soffriva, forse troppo, per le mie domande legittime. In quei momenti mi accostavo a lui e come un predatore mi afferrava in un abbraccio disperato, come quello che i bambini offesi riservano ai propri genitori dopo che vengono ingiustamente sgridati.
"Non volevo ferirti, né metterti in testa strane idee con la mia eccessiva curiosità, sono solo stupito della tua riservatezza."
A quel punto, sempre con il suo materno modo di fare mi baciava in testa e attraverso i capelli io percepivo il gelo delle sue labbra esangui e riprendeva a parlare.
"No, no. Le tue domande sono più che regolari, è solo che io percepisco il tuo dolore, la tua frustrazione riguardo ai miei misteri. Io non voglio ferirti, io non voglio causarti imbarazzi. C’è solo una cosa che tu devi sapere, finché ci sarò io tu non dovrai temere alcun male, io ti proteggerò sempre, io ti capirò sempre, io comprenderò il tuo animo poetico ferito dalla brutalità di questa società corrotta. Quando il tuo cuore piange il mio piange con il tuo, e sono lacrime di sangue le nostre, lacrime sacre e miracolose, ogni amore richiede i suoi sacrifici e sugli antichi altari non vi erano sacrifici senza il sangue."
Il tempo sembrava non scorrere mai al maniero von Karnstein, gli orari dei pasti erano scanditi semplicemente dal mio bisogno di mangiare, dico del mio solamente perché sembrava sempre che Flavio non fosse mai affamato e mangiasse unicamente perché voleva tenermi compagnia, durante le mattinate quando lui non c’era io provavo sempre a scrivere qualcosa, ma gettavo sempre via i miei componimenti, di tanto in tanto lui mi chiedeva di leggerne qualcuno e quando rispondevo che nessuno mi soddisfaceva mai lui si vestiva prontamente e mi trascinava tra le lapidi del cimitero nel bosco a discorrere di antichi miti greci e di come le più grandi tragedie della storia dell’umanità fossero in realtà riconducibili agli antichi classici. Parlava sempre come se avesse potuto ammirare il teatro sacro di Atene o ridere delle parodie romane nei circhi.
Nonostante i miei fallimenti artistici, mi resi conto di come quello fosse realmente il periodo più felice che io avessi mai vissuto, andavamo a letto sempre molto tardi, d’altronde ci alzavamo anche molto tardi e raramente lui appariva prima dell’ora in cui io scendevo nella cucina e cominciavo a mangiare, la sua stanza rimaneva sempre chiusa a chiave durante i periodi in cui lui era assente.
Un tardo pomeriggio mentre eravamo di ritorno dal nostro luogo segreto, il cimitero, incontrammo una vecchia zingara piagata dai segni del tempo che ci veniva incontro. Io in qualità di bohemien amavo molto la figura dello zingaro, in questo caso della zingara, e ne fui molto rallegrato.
Flavio nonostante il suo ostentato dandismo sembrò provare ripugnanza, infatti mentre io salutai calorosamente la zingara che si fermò lui si tenne a distanza, la cosa mi sembrò molto strana, e solo ora comprendo che era per i segni che la vecchiaia aveva inciso nella carne della donna che lo faceva e non per il suo appartenere all’etnia zingara.
"Noi zingari abbiamo poteri profetici", disse la vecchia in un francese stentato, "venite signore per una sola moneta sono disposta a leggervi la mano."
"Ah!", ribattè il mio amico con acidità, "Razza di Caino gli zingari, tutti ladri e briganti, lascia perdere queste leggende da contadino Lawrence."
Mi stupì molto la sua superficialità borghese, tuttavia lo guardai con insistenza, lui non seppe resistere alla mia richiesta silenziosa. Sbuffò e tirò fuori dai suoi abiti –sempre rigorosamente neri- una moneta e me la porse, sembrava non volere entrare neppure in contatto con l’aria respirata dalla donna.
Io ovviamente diedi la moneta alla zingara e lei mi ringraziò benedicendomi nel nome del signore, poi mi prese la mano sinistra e la scrutò con molta attenzione.
I suoi piccoli occhi rugosi si dilatarono e cominciò a dirmi cosa vedeva.
"Giovane signore, una vita lunga, ma gli anelli si interrompono bruscamente, può significare una disgrazia o un cambiamento molto bello nella sua esistenza."
Fece scorrere il suo dito scuro lungo i polpastrelli e sulle linee della mia mano, rosa contro la sua color della terra, o del miele vecchio e continuò a parlare: "Vediamo, si, un amore molto importante, ma esso scende moltissimo e scivola fino agli anelli della vita, è proprio l’amore che cambia il la sua vita signore, ma non c’è matrimonio…"
I miei ideali bohemien di amore e bellezza, di libertà dagli schemi tradizionali andavano profilandosi all’orizzonte dei miei pensieri e mi stavo compiacendo delle predizioni della zingara quando ad un certo punto lei allontanò da se stessa la mia mano e si segnò. Tirò fuori dalle sue vesti logore la moneta che le avevo dato e la gettò per terra.
"Signore il Diavolo, il Diavolo è sopra di voi! Che Pçuvushi ti protegga!"
Non mi resi conto di quel che accadde poco dopo, so solo che mentre la vecchia accennava a fare un gesto di benedizione nei miei confronti Flavio avanzò e la spinse con violenza all’indietro mandandola lunga distesa per terra, mai avevo visto un’ espressione del genere sul suo viso, sembrava quello di una bestia, o come pensai più tardi, quello di una cagna madre che vede il proprio cucciolo minacciato da un innocuo infante e gli si avventa contro per sbranarlo.
"Tu vecchia sudicia! Come osi dire cose terribili sul nostro conto! Tu che appartieni a quella stirpe degenere! Come osi alzare le tue umili magie e le tue false benedizioni contro di noi, noi che siamo i vostri padroni, noi che comandiamo come pastori su una mandria!"
Quando vidi che stava allungando una mano contro la vecchia che si schermava pateticamente con le braccia lo trattenni per una spalla, mai dal suo corpo esile mi sarei aspettato tanta forza, mise a dura prova il mio fisico robusto d’educazione inglese.
Non fu la mia forza imparagonabile alla sua a trattenerlo, fu il mio tocco a farlo rinsavire da quello stato bestiale, bloccandolo come in una fotografia. Notai che stava ansimando come una bestia domata. La mano sospesa a mezz’aria davanti al volto della vecchia zingara, lei notò l’anello con lo stemma a forma di drago (lo stesso del culto a cui entrambi eravamo appartenuti e che si trovava in molti degli arazzi nel maniero)e afferrando la mano lo baciò.
"Scusatemi signore, scusatemi, io non sapevo."
Lo ripetè più volte.
Vidi che Flavio si era del tutto calmato in quel momento, con il languore usuale e la dolcezza che permeava ogni suo gesto impedì alla vecchia di baciare ulteriormente il suo anello e la rimise in piedi.
"Scusatemi voi vecchia, mi sono solo spaventato. Se davvero il male incombe sul mio giovane amico anche io sono in pericolo, so che voi zingari siete esperti di talismani, permettetemi di acquistarne un paio per entrambi e accettate la moneta che avete gettato per terra, sono sicuro che il vostro dio Pçuvushi potrà purificarla dal male."
La vecchia divenne affabile e accettò con garbo le monete che Flavio le offrì, dopodichè ci consegnò delle cordicelle intrecciate dicendoci che nulla proteggeva dal male più della corda di un impiccato, trovai la cosa lugubre ma non lo diedi a vedere per educazione. Il resto della passeggiata fino a cena fu silenzioso e quella sera andammo a dormire prima del solito.
Nessuno dei due menzionò più il suo scatto d’ira anche se io cominciai a coltivare il sospetto che Flavio soffrisse di una qualche forma di pazzia, sospetto che andava intensificandosi giorno dopo giorno, notte dopo notte.
Capitava alle volte che Flavio si introducesse di nascosto nella mia stanza nelle più impensabili ore della notte, con passo felpato mi si avvicinava ed io me lo vedevo apparire come uno spettro famelico al fianco del mio letto. Allora spesso balzavo in piedi e ridevamo dei suoi strani scherzi, tuttavia, quando ero in piedi spesso mi afferrava da dietro in un abbraccio e con dolcezza mi trascinava verso il grande specchio che si trovava appeso al muro, a quel punto cominciava a salmodiare strane melodie che mi calmavano l’anima fin nel profondo come le dolci ninnananne di una madre affettuosa. Una sera, nella morbida luce della lampada ad olio mi sospinse fino allo specchio come suo solito, ma anziché cantare indicò il nostro riflesso.
I miei capelli castano chiaro e mossi contrastavano con i suoi corvini, i miei occhi verdi con i suoi tenebrosi, la mia pelle rosea con la sua bianca e la mia barba notturna con il suo volto perennemente rasato. Sembrava quasi che lui me lo volesse far notare, poi cominciò a parlare e disse cose strane che all’epoca non seppi capire: "Vedi, così diversi appariamo ora, così simili, magici e splendidi appariremo poi, tu non mi capisci, ma io non ti lascerò morire perché tu sei il mio amore e mi ami e mi amerai, oppure mi odierai; non importa, odio e amore sono le diverse facce della stessa medaglia, lo farai e lo farai fino alla tomba ed oltre."
Mi separai da lui e risi: "Lasciarmi morire? Io non sono malato."
Sembrò recuperare la lucidità , come se fino a quel momento fosse stato posseduto da uno spirito folle e burlone, vide la mia espressione divertita e sorrise tristemente.
"Oh, si che lo sei", mi disse, "Voi tutti lo siete. Scusami, non voglio spaventarti. È solo che quando il sole tramonta vengo colpito da strane forme di malinconia."
Poi si allontanò, mi augurò la buona notte e si andò a chiudere in camera, lo scatto della serratura echeggiò in tutto il maniero ed io lo imitai.


Bene,ed e finito un'altro capitolo,ho aggiornato il piu infretta possibile anche perchè il 10 partirò e tornero poi il 21 qndi cerco di aggiornare il piu velocemente possibile ora ^_^
Ringrazio la Hellister per aver commentato e anche chi a solamente letto,Continuate mi raccomando,a presto!

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 4_L'incubo ***


Ok,scusate,dopo un lungo periodo di pausa,in cui ero al mare e poi ho dovuto finire i compiti(^^'''),tormo con un new cap di questa meravigliosa storia,mi scuso ancora per l'attesa ma ora bando alle ciance e Buona lettura

4. L’incubo.

Un giorno Flavio non comparve che all’approssimarsi del tramonto, il che non fu poi un orario troppo tardo perché secondo i miei calcoli doveva essere inverno inoltrato, la totale atemporalità del periodo che stavo vivendo contribuiva a renderlo onirico e bizzarro come un sogno che svanisce al mattino. Quando lo vidi il suo aspetto non mi piacque, era più pallido del solito, più grigio cadavere che giallo malato e sembrava reggersi a stento sulle sue stessa gambe, la mia giornata l’avevo passata in una morsa d’angoscia, in quanto più volte avevo provato a bussare alla sua camera chiusa a chiave senza ottenere risposta e quando lo vidi scendere le scale di legno con passo malfermo aggrappato al corrimano come un merlo indiano al suo ramo mi spaventai molto. Anche se da un lato fui felice di vederlo, in quanto il mio cuore aveva pensato alle ipotesi peggiori.
"Che ti succede? Stai soffrendo io lo vedo!" Gli dissi mentre gli andavo incontro, dissi la frase che ho scritto perché già sapevo che se non l’avessi fatto lui avrebbe abilmente eluso la mia osservazione convincendomi con la sua mirabile arte oratoria che si trattava di un fatto assolutamente ordinario.
"Temo di aver chiesto al mio fisico uno sforzo eccessivo rispetto a quello che potrebbe essere in grado di sopportare." Mi rispose con aria accigliata.
Lo accompagnai in cucina dove gli preparai del tea aromatizzato alla vaniglia, il suo preferito, con abbondanti dosi di miele.
"Ieri notte, quando tu già dormivi", mi raccontò, "sono stato preso da un lavoro la cui prima sessione ho terminato solo all’approssimarsi della mattina, come raramente mi capita ho avuto fame e mi sono cibato di ciò che ho trovato in cucina. Come sai non sono una personalità incline al peccato di gola." "O al contattare un medico, dannazione!", imprecai, "potresti trasformare una malattia da nulla in un morbo mortale, perché ti ostini a rifiutare di farti visitare da un esperto dell’arte medica?" Non rispose, rimase fermo a fissarmi nella mia rabbia frustrata mentre sorseggiava con calma il suo tea. "E a cosa stai lavorando di tanto urgente che non può aspettare le luci del sole pomeridiano?" Continuò a fissarmi, con un’ebete espressione lievemente divertita sulle labbra, tentava di nasconderla, ma per un solo istante la vidi: beffarda e sprezzante contrastante ampiamente con quelle labbra grigie e cadaveriche, prive di ogni tonalità di vita, peggio del solito.
Il suo silenzio e la sua espressione sprezzante mi fecero imbestialire, non potevo sopportare il pensiero che giocasse con la sua vita a rischio di lasciarmi solo. Non volevo essere solo, non potevo essere solo e lui egoisticamente scommetteva contro il fato a prezzo della sua esistenza, o peggio, conosceva bene il suo fato e me lo teneva nascosto fino al momento in cui sarebbe morto. Non potevo sopportarlo.
Urlai, inveii contro di lui.
"Segreti! Segreti! Quanti segreti mi nascondi? Come puoi giocare stupidamente con le mie preoccupazioni? Non ti rendi conto che i tuoi silenzi mi stanno uccidendo come probabilmente stanno uccidendo te? Mi vuoi abbandonare? Vuoi aspettare che una forza più oscura e potente dell’amore ti travolga e trascini me nei più profondi meandri dell’inferno? Come puoi essere così egoista? Chi sei? Da dove vieni? Confidati dannazione, sei mio amico o no?"
Rimase immobile a fissarmi con la tazza fumante ancora in mano, non sorrideva più per lo meno, ma non rispondeva neppure.
Mi sentii distrutto nella mia impotenza. Inutile,abbandonato.
"Scusami, hai ragione, tu mi hai accolto nella tua casa salvandomi dalla strada, non ho il diritto di avanzare pretese o domande sulla tua vita."
Mi volsi in direzione della porta pronto ad abbandonare la stanza, senza che me ne accorgessi lui si era avvicinato a me.
"Hai tutti i diritti di farmi queste domande Lawrence. Non sai quanto io ti abbia a cuore oppure non penseresti che esistono segreti troppo grandi per te. Ti sembro egoista, forse, anzi probabilmente lo sono, io non voglio che tu mi abbandoni eppure soggiaccio a vincoli che la mia moralità antica mi obbliga a mantenere. Ricordati che presto, quando i miei tormenti saranno finiti non esisteranno segreti che io non ti potrò svelare, ogni cosa che faccio la faccio per te; perché tu verrai con me, nella vita e nella morte saremo uniti. Come ti ho già detto mio potrai amare o odiare, ma non potrai mai ignorarmi, non esiste la parola “indifferenza” nella mia natura sospesa a metà."
Mi scossi come per divincolarmi da un abbraccio psichico.
"Non voglio che tu mi inganni con le tue parole, stai dicendo quel che dici perché vuoi eludere il discorso, ma io ci tengo a te e non pensare che mi fermerò innanzi ai tuoi discorsi romantici di morte e amore."
"No, certamente. Anche se sono un idiota con la testa piena di idiozie romantiche sull’amore e sulla vita parlerò da sapiente solo per te. Sei mai stato in un lazzaretto?"
"Come un lazzaretto? La lebbra è una malattia debellata da molto tempo in quest’angolo di mondo, esistono zone in India dove è ancora epidemica come malattia, l’hai visitata?"
"No, sono stato in un lebbrosario molti anni fa."
Sorrisi sprezzante, stava forse ricorrendo ad un altro dei suoi discorsi fantastici per confondermi?
"Non sei così vecchio, dubito anche che tu sia più grande di me di solo un anno."
"Non ha importanza", rispose lui, "io fui in un lazzaretto tempo addietro e sai cosa videro i miei occhi?
Una donna morente e suo marito, mentre lei esalava il suo ultimo respiro lui baciò il suo volto deforme e disgustoso, pochi mesi dopo la lebbra portò via anche lui, furono seppelliti in due fosse vicine."
" E questo cosa dovrebbe significare? Sei forse stato malato anche tu di una qualche malattia? Di certo non la lebbra, sei magro, ma non deforme o macilento, sei stato vicino alla morte?"
Vidi nascere nuovi ricordi all’interno delle sue pupille siderali, il tempo passò in velocità molte volte all’interno dei suoi occhi languidi ed epoche passate sembrarono affacciarsi come floride massaie dalle finestre di un palazzo in rovina.
"Si, fui malato, per un amore crudele, univoco ed egoista…Io non possiedo ancora abbastanza elementi per…"
Non finì la frase, vacillò sulle ginocchia instabili e rischiò di cadere per terra, fortunatamente lo afferrai in tempo. Si rimise in piedi quasi subito, anche se con maggior languore del solito.
" Sono troppo affaticato, torno a riposarmi, domattina ci rivedremo e ti giuro che starò meglio." Lo accompagnai fino alla sua stanza, attesi che come sua consuetudine la serratura scattasse dall’interno e poi mi allontanai.
La sua fobia più grande era che ladri ed assassini si nascondessero in ogni angolo della casa, o peggio, spie che lavorassero per ladri ed assassini…
All’inizio avevo ritenuto ridicola quella sua fobia, ma col passare del tempo l’avevo acquisita a mia volta e da allora prima di coricarmi chiudo sempre a chiave ogni porta che mi separa dal mondo esterno. Quella dannata notte non riuscii ad addormentarmi, l’angoscia mi attanagliava, perciò decisi di sincerarmi della salute di Flavio.
Il maniero quella notte tenebrosa mi apparve più oscuro e pericoloso del solito, ma la mia convinzione mi fece superare ogni paura ed ogni inutile fobia fino a quando tremante giunsi innanzi alla porta della sua camera. Non chiudeva ma la porta dell’anticamera della sua stanza, un delizioso salottino in stile impero, perché temeva che se qualche assassino si fosse appostato all’interno della sua stanza e lo avesse aggredito, nessuno avrebbe potuto raggiungerlo per aiutarlo. Sarebbe stato un ragionamento più che logico se nel maniero ci avesse abitato qualcuno. Della nebbia o del fumo sembravano essere addensati nell’ambiente ed una strana vibrazione baritonale proveniva dall’interno della stanza stessa. Una vibrazione che mi ricordava in maniera inquietante gli inni misterici che venivano celebrati durante i riti dell’Ordine del Drago Rosso.
Giunsi fino alla porta di Flavio, ma una pudica voce nella mia testa mi impedì di bussare contro di essa, mi resi conto che la sua salute gia precaria non doveva essere disturbata da una mia visita, perciò decisi di tornare indietro.
La strada di ritorno verso la mia stanza mi sembrò terribilmente oscura, il coraggio di tornare indietro mi mancò, ed anche se non seppi giustificare il mio terrore insensato, giustificai la mia permanenza nell’anticamera con me stesso convincendomi di essere lì per accorrere ad un’ eventuale richiesta d’aiuto da parte di Flavio.
Non appena mi poggiai sul divanetto di velluto il sonno si impadronì della mia testa stanca e penso che mi addormentai,pronto a ricevere il peggiore incubo della mia vita.
Mi trovavo nella stessa anticamera della stanza di Flavio ma il lume all’olio che mi ero portato per combattere le tenebre si era spento, lasciando che il buio e il freddo mi strisciassero addosso. L’unica debole luce proveniva dal corridoio, dove una delle grosse finestre lasciava penetrare la radiazione lunare.
"È in notti del genere che gli spiriti compaiono, quando il magnetismo della Luna è particolarmente potente…"
Una voce suadente mi sussurrò queste parole dietro il mio orecchio, ma quando mi voltai solamente il buio rispose al mio sguardo.
Un fascio di luce particolarmente luminoso rendeva visibili le forme bizzarre e il fumo o la nebbia odorosa d’incenso che avevo visto filtrare dalla porta di Flavio, lentamente e ipnoticamente, seguendo forme serpentine assunse le forme morbide di due splendide fanciulle.
Stupidamente il mio cervello pensò alle due governanti descrittemi da Flavio, tali Perrodon e DeLaFontaine. Apparvero abbracciate a loro stesse come due serpi prima di colpire, con movimenti suadenti si srotolarono dalle loro stesse spire, erano davvero le donne più belle che avessi mai visto, una aveva lunghi capelli rossi che scendevano a coprire i seni nudi, l’altra aveva i capelli tagliati corti come una principessa africana dalla pelle pallida come in un perverso ossimoro, vestita semplicemente con i gioielli esotici della sua terra. I loro occhi erano magnetici e verdi come smeraldi nella notte, come due glaciali pantere si mossero verso di me. Solo una donna che avevo incontrato nella mia vita aveva avuto la stessa grazia nel movimento: Lethitia.
Si avvicinarono e si avvicinarono al punto che potei sentire i loro corpi gelidi contro il mio, la principessa africana mi baciò voluttuosamente ed io sentii il calore del mio corpo abbandonarmi, l’altra frattanto moveva le sue gelide mani contro di me accarezzandomi i fianchi con dolcezza e pazienza.
Il loro atteggiamento si fece più audace e più violento con lentezza esasperante. Mentre mi abbandonavo ai piaceri che lentamente mi stavano offrendo mi sentii colpevole, un adultero nonostante non ci fossero rapporti ufficiali intessuti tra me ed una qualsiasi altra donna.
Sentii le carezze farsi sempre più rudi fino a che non divennero tagli contro il mio ventre, i baci farsi più malvagi fino a divenire morsi. Con violenza la donna dai capelli rossi mi aprì il colletto del pigiama e ringhiò come una bestia quando vide la corda della zingara legata al mio collo, le bastò un semplice gesto e con mio grande dolore io percepii la corda incenerirsi contro la tenera carne della mia gola, poco prima che con uno scatto serpentino la donna si avventasse contro di essa e mi mordesse facendone sgorgare il sangue.
Il senso di colpa ed il terrore che mi provocò vedere il mio sangue sgorgare dalla ferita così copiosamente mi fecero urlare e cominciai a piangere come un bambino nel sonno invocando aiuto. Vidi la porta di Flavio aprirsi e la sua figura ammantata in uno strano abito dorato (cosa non possono fare i sogni se non accostare fantasie senza senso e mescolarle tra loro?) lo vidi urlare alle due succubi e poi scagliarsi contro di loro per allontanarle da me.
Così terminò il mio incubo.
"Cosa credete di fare sgualdrine da poco conto?" urlò loro mentre svanivano nel fumo dov’erano apparse.
Il giorno dopo mi risvegliai nel mio caldo letto, tra le coperte immerse nella luce solare, mi alzai e nonostante mi sentissi un po’ debole ed intontito andai allo specchio appeso al muro. Nulla lasciava presumere che avessi realmente vissuto l’incubo della notte precedente, in esso scorreva molto del mio sangue, ma dal piccolo graffio che si trovava proprio sotto il mento non poteva esserne scaturito così tanto. Probabilmente nel mio tormento notturno mi ero graffiato con un’unghia e quell’atto si era trasformato all’interno del mio incubo nella terribile emorragia che mi aveva permesso di svegliarmi.
Purtroppo però nelle mie agitazioni notturne avevo perso il talismano che Flavio aveva comprato dalla zingara.


Fine Cap

Allora che ne pensate? e bella non credete? Ribadisco comunque(casomai qualcuno nn lo sapesse)che Non lo scritta io,lo trovata su un sito ed e del fratello di una mia compagna di teatro,io la trovo meravigliosa e ho deciso di postarla qui per poterla condividere con tutti U.U
Riguardo i commenti:Glieli riferiro tramite FB o qndo lo sento comunque,quindi tranquilli ke li sapra ^__^
Ok,detto questo non mi resta ke kiedervi di commentare e recensire,recensire e commentare perfavore *^*
Grazie a tutti e A presto!!! ^w^/

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=544008