One less lonely girl and one less lonely boy di Kioto (/viewuser.php?uid=61774)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 01. Throw Away ***
Capitolo 2: *** 02. Hush ***
Capitolo 3: *** 03. Like a boy ***
Capitolo 4: *** 04. Sober ***
Capitolo 5: *** 05. 'Sorry' seems to be the hardest Word ***
Capitolo 6: *** 06. Thunder ***
Capitolo 7: *** 07. That should be me ***
Capitolo 8: *** 08. I see You ***
Capitolo 9: *** 09. Sacred ***
Capitolo 10: *** 10. Pick me up ***
Capitolo 11: *** 11. Savior ***
Capitolo 12: *** 12. One Day ***
Capitolo 13: *** 13. Lost and found ***
Capitolo 14: *** 14. Family portrait ***
Capitolo 15: *** 15. If you're not the one ***
Capitolo 16: *** 16. Gravity of Love ***
Capitolo 17: *** 17. Concrete Angel ***
Capitolo 18: *** 18. His Mistakes ***
Capitolo 19: *** 19. Love and Death ***
Capitolo 20: *** 20. How to save a Life ***
Capitolo 21: *** 21. In your Shadow I can shine ***
Capitolo 22: *** 22. Standing Ovation ***
Capitolo 23: *** 23. My Obsession ***
Capitolo 24: *** 24. Closer to the Edge ***
Capitolo 25: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** 01. Throw Away ***
Alex aveva
18 anni e viveva ad Amburgo da qualche mese. Aveva dovuto trasferirsi
per via
dell’ultimo volere della madre, che le aveva chiesto
esplicitamente di andare
via da Berlino.
Alex era tedesca.
Era una ragazza. Ed era sola.
Il padre
aveva abbandonato lei e la madre quando lei era ancora una bambina. E
poi
Frankie, la madre, si era ammalata ed era morta nel giro di qualche
mese,
obbligando la figlia a trasferirsi lontano da quella città
che non gli aveva
portato nulla di buono.
Alex era
taciturna. Non aveva amici, né a Berlino tantomeno
là ad Amburgo.
Restava
sempre sulle sue, aveva imparato a tornare a casa e a fare i compiti.
Si era
innamorata, quello sì.
Ma nessuno
l’aveva mai notata davvero.
Forse
perché spesso la si scambiava per una persona che non era.
Alex
vestiva in modo singolare. Era provvista di felpe oversize e di jeans
alquanto
larghi per la sua corporatura mingherlina.
Aveva i
capelli lunghi, ma li odiava. Erano così uguali a quelli
della madre che le
portavano dietro troppi ricordi. E facevano tutti male.
Per
esempio quando lei accarezzava i capelli alla madre. O quando, una
volta
arrivata a casa dopo una lite furibonda con qualche bullo di scuola, la
madre
era solita sfilarle la cuffietta o un qualche berretto per vederle la
fluente
chioma castana ricaderle sulle spalle.
Ad Alex
faceva decisamente male ricordare tutto questo. Sua madre era stata
l’unica
persona che avesse mai amato. L’unica di cui si fosse mai
fidata e l’unica che
non l’aveva mai abbandonata.
Era una
sfigata, continuava a ripeterselo sul treno che la portava a scuola.
La scuola
che odiava con tutto il cuore. Era quella il suo maggior problema.
Odiava le
materie, odiava stare tra quelle pareti, odiava dover frequentare per
forza.
Odiava
doverci andare ogni Lunedì mattina dopo che tornava
distrutta dal lavoro del
weekend e odiava ancora di più la gente che c’era.
Una
persecuzione continua, erano i compagni che la ragazza continuava a
trovarsi.
Tutti la scambiavano per un ragazzo. E mai nessuno si accorgeva della
ragazza
che in realtà si nascondeva sotto quegli abiti.
Anche quel
giorno portava i capelli sotto una cuffietta in lana, vista la
temperatura
tremendamente fredda di Ottobre.
Il treno
si fermò e poco dopo riprese il suo tragitto. Alex si
alzò aumentando il volume
sul suo I-pod e si avvicinò alle portine, mettendosi in
spalla lo zaino dentro
la quale cera qualche libro e due quaderni.
Il treno
si fermò, le portine si aprirono a lei scese.
Il freddo
tedesco di Amburgo la costrinse a stringere ulteriormente la sciarpa al
collo e
si coprì le mani con le maniche della felpa nera che
indossava.
L’edificio
era gelido. Il riscaldamento doveva essersi rotto di nuovo e tutti si
stavano
ghiacciando.
Ma se
c’era qualcosa che li faceva immobilizzare ulteriormente era
il passaggio di
quel teppista. Lui.
Quel Tom
Kaulitz. Era un esemplare davvero unico. Non girava mai solo, ovvio. Ma
dominava su tutti, professori compresi.
Nessuno
aveva mai capito come faceva a divertirsi in quel modo, ma tutti gli
andavano
dietro, tutti lo adoravano, tutti lo guardavano e tutti lo temevano.
Tutto in
contemporanea.
Lui
osservava in silenzio, non agiva mai d’impulso, non era nel
suo carattere. Era
taciturno, parlava solo se interpellato. E, soprattutto, solo se voleva.
Tom
Kaulitz era il sogno proibito di centinaia di piccole studentesse in
quella
scuola. Certo, era un bel ragazzo. Come biasimarle?
Era ben
piazzato, alto un metro e novantatre, aveva lunghi cornrows neri che
gli
ricadevano sulle spalle, vestiva sempre largo, comodo, indossava sempre
scarpe
di marca, orologi lussuosi, occhiali da sole anche se non servivano,
arrivava
sempre in macchina, sulla sua Audi A1 nera e, la cosa che mandava in
tilt
tutte, erano quelle labbra carnose decorate da un piercing sulla
sinistra del
labbro inferiore che brillava ogni volta che un minuscolo raggio di
sole
colpiva il viso di quel bullo.
Tom
Kaulitz era un bullo che si divertiva a picchiare chiunque gli
capitasse a
tiro. Non aveva mai una vittima fissa, se la prendeva solo ed
esclusivamente
con i maschi. Ovviamente.
Con i
secchioni, con chi gli stava sul cazzo e con chi riteneva meritasse una
lezione.
Sì,
insomma. Tom Kaulitz era davvero un figlio di puttana.
Era
cresciuto viziato, qualsiasi cosa volesse la otteneva.
Voleva una
ragazza? Era sua. Senza troppi preamboli.
Voleva
quella macchina? Era sua. Il giorno dopo stesso.
Voleva
soldi? Erano suoi Bastava prelevarli dal conto in banca di mamma e
papà.
Voleva la
fama e il rispetto? Erano entrambi suoi. Bastava fare ingresso a scuola.
Tom
Kaulitz era il classico diciannovenne che voleva sempre più.
Pretendeva.
Ogni passo
gli conferiva un briciolo di sicurezza in più, ma non che ne
avesse bisogno
visto che il suo ego era abbastanza grande da procurargliene a
sufficienza.
Gli
sguardi erano tutti puntati su di lui. E gli piaceva. Eccome se gli
piaceva!
« Ciao
Tom. » disse qualcuno che lui ignorò.
Si
avvicinò tranquillamente al suo armadietto e lo
aprì, buttandoci dentro qualche
libro e prendendone altri.
Quando si
voltò, lo vide.
Restò a
fissarlo qualche istante, lo sguardo che bruciava.
Quel
ragazzino gli dava sui nervi ogni giorno di più. Era qualche
mese che si
tratteneva dal pestarlo a sangue.
Odiava il
suo portamento, come camminava. Teneva sempre lo sguardo basso e
tentava di
nascondersi sotto quella cuffietta solitamente nera. Ma non ci
riusciva. Lui lo
vedeva sempre, cercava di incrociare il suo sguardo, di fargli capire
che
dovevano starsi alla larga altrimenti sarebbe finita tremendamente male.
Ma non ci
riusciva, perché quel ragazzetto non gli prestava attenzione
come il resto
della scuola.
Ma quel
giorno, lo aveva davvero fatto incazzare. E quando Tom si incazzava,
non andava
bene. Per nessuno.
Perché
tutto questo incazzo?
Perché
quello smidollato indossava la stessa felpa di Tom. E nessuno, nessuno, poteva permettersi di fare una
cosa del genere.
Si mise
bene la borsa in spalla e si avvicinò al malcapitato, sotto
gli sguardi
interessati di qualche ragazza che se lo spogliava con gli occhi.
E poi, gli
si parò davanti.
L’armadietto
di Alex era un perfetto casino. C’erano pacchetti di
sigarette vuoti sparsi un
po’ dovunque, libri e quaderni con qualche appunto volante
qua e là. Foto di
Jay-Z, Young Jeezy, Samy Deluxe, Eminem e altri artisti erano appese
allo
sportellino. Fece in tempo a chiuderlo, quando una figura le fece
ombra. Si
voltò lentamente e vide un grosso ragazzo davanti ai suoi
occhi. Sapeva chi
era. E sapeva anche che la sua presenza non voleva dire nulla di buono.
Poi notò
la felpa che indossava; era identica a quella che indossava lei.
Sollevò un
sopracciglio e tornò a fissare il ragazzo. Il Kaulitz.
Lui non
disse niente, si limitò a prenderla per la felpa e a
spiattellarla contro gli
armadietti, facendole cadere i libri.
« Ci
vediamo all’uscita. » sillabò quello,
avvicinando il suo viso.
Poi mollò
la presa e i piedi di Alex poterono toccare perfettamente il pavimento.
Lo vide
allontanarsi mentre gli altri studenti facevano finta di niente, e si
rimise
bene la felpa.
Quello era
pazzo. Senza alcun dubbio. Che diamine voleva da lei?! Assurdo!
Figurarsi
se si sarebbe fatta trovare davanti a lui. Per fare cosa poi? Di certo
non
parlare.
Si diresse
verso la sua classe con uno sbuffo, mentre si sentiva decine di paia
d’occhi
addosso.
Odiava
essere fissata. Somigliava ad un maschio e allora? Era il suo modo di
comportarsi, era il suo modo di vestire, era la sua vita e ci faceva
quel cazzo
che le pareva. Nessuno sembrò mai domandarsi se fosse un
maschio o una femmina;
mascherava tutto tremendamente bene.
Quando
arrivò in classe, nessuno la salutò. Nessuno le
chiese come stava. Nessuno
sapeva la sua storia, dopotutto. E iniziò a pensare che pure
i compagni
l’avessero scambiata per un maschio. D’altronde,
non c’era mai molto dialogo
fra loro. Anzi non ce n’era proprio per niente!
Perché sprecarsi a parlare con
gente di quel livello?
Berlino le
aveva portato via la madre, era vero. Ma Amburgo cosa le stava
offrendo? Un
emerito cazzo.
Si
sbatté
la porta alle spalle senza preoccuparsi di aver fatto trasalire mezza
classe e
si diresse a passo sicuro verso l’uscita per fumarsi una
delle sue
trecentocinquanta sigarette giornaliere.
Ma poi la
sua attenzione venne attirata da qualcosa di più allettante
della nicotina che
saliva fino al suo cervello, mandandolo in tilt.
Qualcuno.
Quello
che
lui definiva il mocciosetto che si vestiva come lui, in
realtà non era altro
che Alex. Aveva deciso di farsi un giro nei corridoi perché
la lezione di
matematica aveva preso una piega troppo noiosa e forse contare le
mattonelle
giallastra nel pavimento era più divertente.
Tom si
rimise in una delle enormi tasche dei suoi jeans il pacchetto di
sigarette e
l’accendino e decise di dare a quel fannullone la lezione che
da tempo aveva
desiderato affibbiargli.
Alex, dal
canto suo, ignorava completamente anche solo la probabilità
che qualcuno - alias
il figone di cui tutti avevano paura ma che lei riteneva uno sfigato di
primo
livello - la stesse seguendo.
Svoltò
l’angolo e sentì un rumore muto alle sue spalle.
Si voltò ma non vide nessuno.
Poi, però,
vide un’ombra allungarsi sopra la sua e quando si
girò di nuovo, lo vide.
« Chi si
vede. » esclamò Tom a denti stretti, privo di
espressione.
Alex fece
un passo indietro e quello non si mosse.
« Cosa
vuoi?! » lo rimbeccò.
« Solo
divertirmi. »
Si ritrovò
con la spalle attaccate al muro e un pugno le arrivò dritto
allo stomaco,
facendola piegare in due. Scivolò lungo la parete ruvida e
biancastra del
corridoio, gemendo silenziosamente.
Il ragazzo
la tirò su per le braccia facendo finta di non sentire i
suoi mugolii di dolore
e le sferrò un secondo colpo, affondandolo con decisione
sulla felpa.
« Forse la
smetterai di darmi fastidio. » mormorò quasi in un
ringhio.
Alex si
accasciò a terra stringendosi così tanto la
pancia da poter sentire la forma
dell’intestino mutarsi.
Come
ciliegina sulla torta, Tom si concesse anche uno sputo, ma Alex era
troppo
concentrata a trattenere le urla di dolore per badarci.
Lo vide
solo allontanarsi, tirando di nuovo fuori il suo pacchetto di sigarette
e
accendendosene una ancor prima di essere fuori.
Quel ragazzo
doveva assolutamente essere pazzo. L’aveva aggredita per una
felpa! Ma come
diavolo si permetteva! Poi si ricordò di una cosa:
somigliava ad un maschio.
Non aveva
mai indugiato su quello che le ragazze avrebbero
potuto pensare su di lei. E non
l’aveva mai fatto appunto perché era una lei. Ma
in quel momento si chiese che
cazzo avesse fatto di male per avere tutto quello. Era la goccia che
faceva
traboccare il vaso, ma si morsicò un labbro infierendosi
ulteriore dolore e
sollevò lo sguardo, ricacciando le lacrime che non aveva
pianto per ben 18
anni.
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Capitolo 2 *** 02. Hush ***
Non
andò
da un medico. Non andò nemmeno in infermeria quella mattina.
Non gliene fregava
niente di farsi vedere, era meglio se fosse morta.
Poi però
si ricordò di una cosa per cui valeva la pena combattere, la
pena di andare
avanti ancora un po’, finché tutto quello schifo
sarebbe finito. Perché sarebbe
finito, per forza.
Così
quella sera si armò di coraggio e, nonostante non fosse
nelle condizioni
migliori fece lo stesso il suo ingresso in sala.
Alex
ballava. Lo faceva da quando era piccola, da quando sua madre
l’aveva portata
con sé nella sua scuola di ballo. E le ricordava
tremendamente lei.
Ogni passo
le faceva credere di essere sempre più vicina alla figura
che le mancava da morire.
Sì, perché
Alex sarebbe voluta morire quando aveva saputo che la madre sarebbe
morta nel
giro di qualche giorno.
Ballava
per sfogarsi, per lasciarsi alle spalle il mondo che odiava, per
provare ad
indossare un paio d’ali e volare via, lontano. Almeno per
quell’ora.
E così
sembrava accadere ogni volta che la musica partiva.
Era solita
legarsi i capelli in una coda di cavallo per non essere disturbata e
indossava
quasi sempre una tuta nera.
Non
tagliava i capelli perché alla madre piacevano
così.
Ma li
nascondeva. Li nascondeva sempre.
La verità
era che Alex aveva una fottuta paura del mondo che la circondava. Da
quando suo
padre era andato via le cose erano sempre peggiorate. I debiti, la
perdita
della casa, il trasferimento in un appartamento angusto nella periferia
più
periferica di Berlino, la chiusura della scuola della madre, con sua
immensa
tristezza e infine la malattia con conseguente morte della sua vita,
che
l’aveva costretta a trasferirsi ad Amburgo.
La danza
era tutto quello che le era rimasto, era l’unico ricordo che
avesse ancora un
valore, visto che tutto il resto era andato perduto a causa di quello
stronzo
di suo padre.
Scaricò
tutto il nervosismo di quei pensieri sulle mosse della coreografia, ma
la sua
pancia le ricordò che non era nelle situazioni migliori per
strafare.
Quando
tornò a casa era a pezzi e nel frigo aveva solo una misera
pizza surgelata.
Si infilò
in doccia e notò dei lividi sui fianchi.
Quello
stronzo di Kaulitz!
Un
altro
colpo le arrivò dritto in faccia e sentì qualcosa
di caldo colarle lungo il
labbro, mentre quel cretino mingherlino che aveva alle spalle la teneva
su con
forza.
Tom
Kaulitz le aveva appena sferrato una manata che l’aveva fatta
entrare in coma
per qualche secondo buono.
Quel
ragazzo ce l’aveva a morte con lei e la cosa non sarebbe
finita. Alex lo
sapeva. Sapeva come si comportavano i bulli, sapeva che quella
situazione non
le piaceva ma che lui ci trovava gusto a vederla in quelle condizioni.
Pardon,
a vederlo.
« Lascialo
stare. »
Il frocio
alle sue spalle mollò la presa e cadde con la faccia
attaccata al pavimento.
Perché
diamine non urlava?! Perché non gli diceva che era un
imbecille e che era una
RAGAZZA?!
Perché le sue
corde vocali erano occupate a fare qualcosa di più
impegnativo, tipo bruciare
dannatamente. Ecco perché.
Perché
quel coglione di Tom Kaulitz accompagnato dal suo fratellino gay aveva
deciso
che doveva sputare sangue e pure qualche dente, molto probabilmente.
« Ti sei
fatto male?! » mormorò imitando una voce da
poppante.
Alex sollevò
lo sguardo e lo trafisse mentalmente prima che girasse di nuovo i
tacchi e si
allontanasse, sparendo nello stesso modo con la quale era comparso poco
prima.
Quale
forza d’animo la teneva ancora in vita? Quale assurdo e
stupido motivo non la
lasciava morire in un angolo mentre quel Kaulitz si divertiva con le
sue carni?
Solo perché si vestiva come lui.
Una volta
arrivata a casa si poggiò un enorme pezzo di ghiaccio sul
labbro dolente,
mentre ragionava sul da farsi.
Era un
mese che quel pirla le stava dietro. Non vedeva che non aveva voglia di
giocare? Non vedeva che la annoiava,
che
non voleva essere pestata a sangue ogni volta che la incrociava nel
corridoio?
Tom
Kaulitz le faceva dannatamente schifo. Era la persona più
lurida e schifosa che
avesse mai conosciuto e probabilmente se avesse avuto un po’
più di palle visto
che, anche se l’apparenza ingannava, ne era sprovvista,
l’avrebbe già
denunciato per aggressione. E probabilmente pure per tentato omicidio,
visto
come si erano messe le cose nell’ultimo scontro.
«
Siamo gracili, eh. »
Aveva
commentato sferrandole un altro pugno sullo stomaco, il quinto di
quella serie.
Si divertiva, sì.
Era pura
malattia quella che gli passava per quel fottuto cervello bacato.
Alex non
lo venerava, non lo considerava, non lo riteneva un gran figo, non gli
prestava
tutte le attenzioni che lui pensava di meritarsi, non lo degnava
minimamente
d’uno sguardo. Eppure lui se l’era presa proprio
con lei per quella sua
superficialità della minchia.
Se non
fosse stato per il fatto che ogni notte aveva una ragazza diversa a
fargli
compagnia, l’avrebbe definito gay. Così come si
diceva del fratello, Bill. Una
coppia insolita, due gemelli che si capivano solo con uno sguardo, due
figure
che incutevano terrore.
Bill aveva
il suo look trasgressivo, ben lontano dai canoni stilistici del
fratello. Ma
sembrava fatto della stessa pasta cinica.
Fumavano
le stesse sigarette, facevano gli stessi gesti, avevano lo stesso
sguardo e
l’unica differenza che avevano era il trucco pesante sulla
faccia del gemello
gay che quasi ogni mese aveva un piercing o un tatuaggio nuovo.
Alex
provava decisamente schifo per quelle due persone che le stavano
rendendo la
vita ancora più difficile.
Avevano
tutto, cosa cazzo volevano da una come lei?!
Continuò a
chiederselo anche mentre, come ogni Sabato sera, si dirigeva al Davis,
una
discoteca nei sobborghi di Amburgo tutta luci e alcool.
Era il
terzo lavoro nel giro di due mesi e se l’aveva trovato non
poteva rifiutarlo: i
soldi le servivano.
Ballava,
faceva l’intrattenitrice in quel locale da ubriaconi e
sfegatati di sesso.
L’aria non
le piaceva, non vedeva l’ora che il suo contratto scadesse ma
era l’ultima
spiaggia se non voleva finire sul lastrico.
Entrò dal
retro, nei camerini e tolse fuori la sua roba, richiudendosi dentro uno
di essi
mentre le sue colleghe iniziavano a vociferare tra di loro.
Alex non
aveva amici, era chiaro. Ma là dentro sembravano tutte un
po’ disperate, così
qualcuna ogni tanto le rivolgeva qualche parola. Ma no, non aveva una
migliore
amica e non l’aveva mai avuta. L’unica persona di
cui si era mai fidata, era
morta.
La ragazza
al suo fianco sussultò quando lui le passò una
mano sulla coscia, mentre la
musica intratteneva il resto dei presenti e loro si mettevano di
impegno per le
loro zozzerie.
Tom ci
sapeva fare, quasi affogava la ragazza con quanta foga aveva iniziato a
baciarla.
Poi si
allontanò, portandole un braccio sulle spalle e lei ne
approfittò per alzarsi
ulteriormente la minigonna, sperando disperatamente di mandarlo
definitivamente
in tilt.
Ma Tom
sapeva come era fatto l’interno coscia di una ragazza, forse
era peggio di un
ginecologo a riguardo!
Perciò non
si scompose più di tanto, anche se qualcosa
laggiù lo avvertì di una certa
impazienza.
Tom amava
fare sesso, su questo non c’era alcun dubbio. Era una delle
sue poche priorità.
Le altre comportavano il mangiare, bere, dormire, fumare, essere figo e
avere
sempre con sé un preservativo. Nel caso servisse, no?
Ed era
quello che attirava di più. Il fatto che la maggior parte
delle ragazzine
sognasse di essere sverginata o addirittura violentata da Tom Kaulitz,
perché
era un figo, era quasi normale.
Rimorchiava
facilmente, perché era un bel tipo.
Ma i suoi
genitori non avevano mai provveduto seriamente ad inculcargli
un’educazione. Un
po’ di rispetto. Mai.
Erano
sempre stati troppo presi dai loro affari di borsa per occuparsi dei
due
pargoletti che, lentamente, si trasformavano in due belve.
Ma a Bill
e Tom, la loro vita piaceva. Ovviamente Bill restava più
sulle sue, ma se il
fratello gli chiedeva un aiuto di certo non si tirava indietro. Era
egocentrico, presuntuoso ed egoista.
Al
contrario di Tom lui non aveva una ragazza diversa ogni notte, anzi.
Sembrava
più attento alle sue prede,
e di
solito aveva relazioni abbastanza lunghe. Tutte cose che a Tom davano
noia
perché lui voleva sentirsi libero. Free
come citava la maglietta extralarge che indossava in quel momento.
Le luci si
spensero qualche istante, per poi riaccendersi e passare dal viola
all’azzurro
e sul fondo della sala sbucarono 5 ragazze vestite con corpetti e
minigonne
rosse e nere che si strusciavano su 5 pali diversi.
Tom le
guardò una ad una, sfiorandosi con la lingua il piercing
senza accorgersi che
la biondina al suo fianco stava andando in catalessi a furia di
mangiarselo con
gli occhi.
Ma lui non
se la cagava.
Era
impegnato a segnare il tempo con tutto il corpo, preso forse un
po’ troppo dal
quelle 5 ballerine.
Due
avevano i capelli corti, le altre tre più o meno lunghi.
Le guardò
attentamente, una ad una, immaginando di sbatterle violentemente al
muro e di
farsele.
Sì, Tom
era solito farsi questi filmini mentali. Era normale, già.
Era già
arrivato alla terza con un filmatino porno degno del premio Oscar
quando vide
la quinta e ultima strusciarsi terribilmente sul palo.
Aveva lunghi
capelli mossi che le ricadevano sulle spalle, il suo corpo era
completamente
coperto di brillantini e muoveva i fianchi in modo sensuale, facendolo
quasi
impazzire.
Continuò a
torturarsi quello stramaledetto piercing finché
l’esibizione finì e dovette
abbandonare i suoi pensieri erotici per quella sera e ridedicarsi alla
ragazza
che aveva al suo fianco.
Pensandoci
bene, non si ricordava nemmeno il suo nome.
Alex era
più stanca del solito quella sera. Si avvolse nella sua
felpona e si mise la
solita cuffietta in testa, ma lasciando i capelli caderle
giù per la schiena.
Salutò le
sue colleghe e poi uscì, tornando a casa. Faceva freddo,
sembrava che un
temporale volesse abbattersi sulla città e lei non aveva
alcun ombrello.
Ma non
importava, si disse. Dopotutto non mancava poi molto al suo
appartamento.
Fece in
tempo a svoltare l’angolo per poi fermarsi improvvisamente
nel mezzo del
marciapiede e guardare davanti a sé.
Uno strano
senso di panico e nervosismo le afferrò lo stomaco e
iniziò a strapparglielo a
morsi.
Lui. Tom.
Kaulitz.
Era là.
Davanti a lei.
Stava
uscendo dal locale, lo stesso dove lei aveva appena ballato e dietro di
lui
vide una biondina tutta tette e culo fargli da ombra, per poi salire su
una
Audi A1 nera.
Si nascose
di nuovo nell’angolo, sperando di non essere vista.
Perché, poi? Aveva davvero
paura di lui?
La
risposta arrivò fulminea quando lui si voltò a
guardarsi alle spalle, prima di
risalire in macchina.
Sì. Quel
ragazzo la terrorizzata a tal punto da costringerla a nascondersi
dietro un
tubo di scarico.
Il finto
rapper fece spallucce e salì in macchina, per poi mettere in
moto e partire.
Solo
allora Alex si accorse di aver tenuto il respiro per tutta la durata di
quella
patetica scena.
Che
diamine stava facendo?! Probabilmente lui non l’avrebbe
nemmeno riconosciuta.
Svoltò di
nuovo e camminò a passo svelto verso casa sua.
Poi,
iniziò terribilmente a piovere.
E
maledisse di non essersi portata dietro quel cazzo di ombrello.
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Capitolo 3 *** 03. Like a boy ***
Quando Tom
si svegliò, quella mattina, vide accanto al suo corpo quello
della ragazza che
gli aveva fatto compagnia per tutta la notte.
Com’è che
si chiamava? Tiffany? O forse Pamela?
Bah, forse
non gliel’aveva nemmeno chiesto.
Non che,
effettivamente, importasse davvero, visto che quella non era nemmeno
camera
sua.
Insomma,
era stata soltanto una notte no? Che poteva pretendere quella
smorfiosa? Nulla.
Esattamente nulla. Per questo non si accorse nemmeno di Tom che
l’aveva
praticamente abbandonata al suo destino, scrivendole un biglietto con
semplicemente “Mi sono divertito, Tom”.
Poi si vestì e uscì tornandosene a casa sua.
Come se
niente fosse successo.
Alex si
stropicciò un po’ gli occhi e si accorse di non
aver abbassato la serranda
della finestra della sua camera. Il sole l’aveva colpita in
pieno,
svegliandola.
Guardò
l’ora e notò che erano solo
le 10 del
mattino.
Sì,
insomma. Infondo non aveva nulla da fare no? Doveva solo alzarsi, darsi
una
lavata e.. fare la spesa!
Il
frigorifero era tremendamente vuoto e aveva finito anche le pizze
surgelate.
Non era possibile, si disse.
Si
trascinò di mala voglia verso il bagno, si tuffò
in doccia ma quando fu in
strada era come se avesse ancora il cuscino attaccato alla faccia.
Entrò in un
supermercato, fece la spesa scegliendo con tutta l’attenzione
che poteva avere
in circolo il minimo indispensabile, poi pagò e
infilò tutto in busta, uscendo.
La pioggia
della notte prima aveva inumidito tutte le strade di Amburgo e
l’odore di terra
bagnata si diffondeva pienamente nei polmoni della ragazza.
Tirò prontamente
fuori il suo pacchetto di sigarette e se ne accese una, camminando
lenta come
un ghiro.
Tom
frequentava il suo locale? No, probabilmente c’era andato
solo quella sera per
divertirsi un po’ con la sua pulzella.
Poverina,
non sapeva che Tom non aveva un cuore?
Mentre
pensava ad altri diecimila insulti per definire quel finto rapper
sfigato del
cazzo, non si accorse della figura mingherlina che le arrivava
incontro,
spedita. Fu solo quando le loro spalle – o meglio, la sua
spalla con il braccio
dell’altro – si scontrarono, che lo notò.
E avrebbe
preferito non farlo.
Boccheggiò
qualcosa di incomprensibile, mentre sentiva che il suo viso era
impallidito e
invecchiato di almeno 20 anni.
Bill
Kaulitz. Era lì. La fissava.
“Non può
riconoscermi”, pensò lei. Ma i lineamenti erano
identici a quel ragazzino. Il
taglio al labbro era lo stesso. L’espressione da persona
dimenticata era la
stessa. E, soprattutto, la felpa era uguale a quella nera di Tom.
Per un
momento Alex pensò che il ragazzo avrebbe potuto emettere un
fischio e che Tom
sarebbe comparso al suo fianco con dei guanti da box oppure che lui
stesso
avrebbe tirato fuori una mazza da baseball per spaccargliela in testa.
Ma c’era
una cosa che non aveva messo in conto, un piccolo dettaglio che lei
aveva
dimenticato, ma che lo sguardo vacuo del diciannovenne davanti a lei le
ricordò.
I capelli.
Non li
aveva legati, non li aveva nascosti, non ci aveva fatto nulla di nulla.
Erano
semplicemente sciolti sulle sue spalle, leggermente mossi dal vento che
glieli
sferzava addosso.
Lo sguardo
di Bill risalì velocemente fino ai suoi occhi; era
ammutolito. E Bill non stava
mai zitto.
Cazzo.
Cazzo. Cazzo. Cazzo.
Sbatté
forte la porta di casa col fiatone, cercando di non dare a vedere che
era
nervosa. No, dannazione, lo era eccome!
Insomma!
Il fratello gemello della persona che l’aveva umiliata per
gli ultimi mesi
l’aveva vista in uno stato del tutto naturale e non
programmato! Come faceva a
stare calma?!
Arrivò a
pensare al peggio. Bill l’avrebbe detto a Tom, sicuro. Gli
avrebbe
amorevolmente urlato “Hey, fratellino! Lo sai che il tizio
che ti sta tanto sui
coglioni in realtà è femmina?”. Oppure
gli avrebbe detto che era un
transessuale. Un’ermafrodita volendo!
E poi? Che
avrebbe fatto Tom? Ah di certo non si sarebbe scusato, siamo pazzi?!
Uno come
lui?! Tom Kaulitz?! Neanche morto, ne era sicura.
L’avrebbe
violentata? L’avrebbe minacciata di morte se avesse
denunciato o raccontato
qualcosa a qualcuno? L’avrebbe derisa davanti a tutti dandole
della lesbica
anche se non lo era? O l’avrebbe ignorata, come faceva il
resto del mondo?
Nessuna
delle opzioni la rassicurava e la appagava completamente.
«
Tom! »
strillò Bill una volta rientrato in casa.
Nessuno
rispose e Bill salì furente le scale fino ad arrivare al
piano di sopra. Aprì
velocemente la porta della camera del fratello –
rigorosamente messa sottosopra
– che si voltò a guardarlo perplesso, abbassando
istintivamente lo schermo del
laptop poggiato sulla scrivania mentre dei mugolii eccitati
fuoriuscivano delle
casse dell’apparecchio che si spense immediatamente.
Bill lo
fissò sbigottito.
« Stavi
guardando un porno?! »
« E tu sei
piombato in camera mia senza bussare! Che cazzo
t’è preso?! » sbottò seccato.
Bill
incrociò le braccia sul petto e si ricordò il
perché di quella sua entrata in
scena così furiosa.
« Perché
non me l’hai detto? »
« Che
stavo guardando un porno?! »
« Che
stavamo pestando una ragazza, imbecille! »
« Frena,
frena, frena! Di che cosa stai parlando?! » il fratello lo
guardò sbigottito, non
capendo a che cosa si riferisse Bill. Quest’ultimo
lasciò cadere le braccia
lungo i suoi fianchi.
« Non fare
il finto tonto! » lo rimbeccò.
« Spiegami
a cosa ti riferisci e poi forse potrò dirti se sto facendo
il finto tonto o
meno! » suonava molto come una presa in giro.
« Hai
presente l’ultimo sfigatello che abbiamo conciato per le
feste? »
Tom annuì.
« Certo,
il moccioso che si veste come me. »
« Non è
maschio. »
Tom lo
fissò inarcando le sopracciglia.
« Scusa?! »
« Non
fraintendermi. » precisò. « E’
una ragazza. »
Tom lo
guardò ancora una volta con quell’espressione da
baccalà, pensando che il
fratello si fosse fumato una canna.
« L’ho
vista poco fa. »
« Dove? »
« In una
via non lontano da qua, era appena uscita dal market credo. »
rispose. « Tom
come diamine hai fatto?! »
« Hey
frena un attimo! Io neanche sapevo che quello.. fosse una quella! » sbottò.
Bill grugnì
rumorosamente, ricordando tanto un toro anche per via
dell’anellino che aveva
al setto nasale.
« Come..
come hai fatto a capire che era una lei?! » gli chiese Tom
mettendosi bene a
sedere, incredulo della notizia del fratello.
« Te l’ho
detto, l’ho vista per strada! »
« Sì ma..
che aveva di diverso dal solito?! Aveva una maglietta scollata e le hai
visto
le tette, aveva dei tacchi, una minigonna o.. cosa?! »
Bill
sbuffò.
« Era
vestita normalmente, solo.. aveva i capelli.. »
« Anche io
ho i capelli! » lo bloccò Tom, ma Bill non lo
ascoltò e finì la frase.
«
..lunghi. »
Il gemello
inarcò le sopracciglia.
« Quanto
lunghi? »
Bill si
contorse in modo quasi spaventoso per indicare la lunghezza dei capelli
della
ragazza.
Sì, erano
decisamente troppo lunghi per un ragazzo.
« Sei
sicuro? »
Bill annuì,
serio.
« E come
si chiama? »
Il mattino
seguente, a scuola, Alex camminò tutto il tempo con il volto
basso.
Si sentiva
tremendamente a disagio dopo quello che era successo il giorno
precedente con
Bill.
Tom lo
sapeva? E se lo sapeva, cosa avrebbe fatto?
Camminò a
passo svelto cercando di sfuggire agli occhi della gente e
arrivò al suo
armadietto.
Che situazione
dannatamente di merda. Perché si stava nascondendo? Aveva
davvero paura di
essere una ragazza?!
Sbatté
forte lo sportellino dell’armadietto e si diresse furente
verso la sua classe.
Cristo!
Patetica era nulla a confronto! Aveva paura! E di chi? Di quel
pivellino del
cavolo!
Si morse
la lingua per non iniziare ad urlare e sperava davvero che Tom la
prendesse di
peso nel corridoio e le desse un pugno nell’addome.
L’avrebbe preferito.
Alex
uscì
da scuola e si diresse a passo svelto verso casa sua, o avrebbe fatto
ritardo
per la lezione di ballo. Si fece una doccia veloce, legò i
capelli in una coda
di cavallo e poi uscì di nuovo, con una borsa a tracolla,
l’I-pod acceso con le
cuffie nelle orecchie e una grossissima felpa grigia e dei panta neri.
Camminava
veloce, attraversava sulle strisce pedonali e si nascondeva agli
sguardi
altrui, insicura e impaurita di fare lo stesso incontro del giorno
prima.
Non aveva
visto nessuno dei due a scuola, tantomeno in mensa e si convinse che
non erano
affatto andati.
Entrò
nell’enorme edificio e poi nella sua sala.
E ci
rimase anche dopo la lezione. Tirò fuori dalla borsa un CD
di Ciara e lo inserì
nello stereo. Scelse la canzone e poi si sistemò davanti
allo specchio,
studiandosi.
Like a
boy, era questo che cantava lo stereo.
Lei era
esattamente come un ragazzo.
Inarcò le
sopracciglia e poi si sciolse i capelli. Iniziò a tenere il
ritmo e poi a
muovere qualche passo, finché la musica si
impossessò completamente del suo
corpo.
Si stava
sfogando nell’unico modo che conosceva. E le piaceva da
morire.
Non si
fissava più, non le importava niente di come si muoveva,
voleva solo dare
libero sfogo a tutti i pensieri. Voleva svuotarsi completamente,
arrivare
stremata a terra e prendere grosse boccate d’aria.
E così
fece. Si lasciò cadere sfinita sul parquet chiaro della sala
e fissò il
soffitto con le sue enormi luci accese.
Ascoltò
ancora un po’ la canzone e poi si alzò e
nell’esatto momento in cui si era
decisa ad andare finalmente a casa, la sua insegnante venne a chiamarla.
« Alex, è
tardi. » le sorrise.
« Sì, sto
andando. » rispose lei rimettendo frettolosamente le cose
nella sua borsa.
Indossò di nuovo la felpa nonostante sentisse un caldo boia
e uscì velocemente
dall’edificio, tornando a casa sua.
Tom mise
in moto la macchina.
Alex.
Era
così
allora che si chiamava.
L’aveva
seguita, sì. Aveva saltato la scuola e si era appostato con
la sua macchina per
scoprire se quello che aveva detto Bill fosse vero. E lo era, eccome se
lo era.
La
riconobbe subito appena la vide ballare. Poggiato su un muro in modo
che lei
non lo vedesse si mise ad osservarla mentre muoveva sinuosamente il
bacino e
quando poi era rimasta sola e si era sciolta i capelli era
completamente andato
in tilt.
Aveva
pestato a sangue una ragazza che poteva avere, per quanto ne sapesse,
la sua
età. Poi aveva visto l’insegnante tornare e
chiamarla.
Alex. Questo era
il nome che era uscito
dalle labbra della ballerina e lei, quella strana ragazza che lui
così come
gran parte della scuola che l’aveva notata aveva scambiato
per un maschio – gay
per giunta -, si era voltata a quel richiamo. Si
chiamava Alex.
Nella sua
mente tornarono reali gli unici momenti che aveva passato faccia a
faccia con
quella persona.
L’aveva
umiliata, l’aveva maltrattata, solo.. solo perché
pensava fosse un ragazzino
che lo copiava.
Che razza
di persona era?!
Mise in
moto e se ne tornò a casa.
L’aveva
vista, certo. Ed era la stessa ragazza che aveva ballato al Davis.
Una
ragazza. Santo cielo, non riusciva a toglierselo dalla testa!
Come..
che.. insomma!
Non era
plausibile una cosa del genere!
Perché
diavolo quella ragazzina aveva deciso di vestirsi da maschio?! Era
forse
lesbica?! E perché non gliel’aveva detto prima?!
Beh, non
è che tu sia molto
delicato quanto ti ci metti eh.
Fantastico,
ora aveva anche qualcuno che gli parlava nel cervello!
Scosse la
testa e parcheggiò la macchina nel garage.
Non
avrebbe più cercato/guardato/pensato/parlato/nominato Alex.
No, mai più.
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Capitolo 4 *** 04. Sober ***
Non avrebbe
più
cercato/guardato/pensato/parlato/nominato Alex. No, mai più.
L’aveva
detto, no? O perlomeno l’aveva pensato.
E allora
perché cavolo non era riuscito a chiudere occhio quella
notte?!
No, non
era colpa del temporale, non gliene era mai importato nulla!
Perché
sei stupido.
Ok,
non
era proprio la risposta che si aspettava ma non sembrava essere poi
tanto
sbagliata.
Si
premette di nuovo il cuscino sul viso, come aveva fatto
nell’ultimo quarto
d’ora e represse uno dei grugniti simili a quelli di Bill.
Doveva
fare qualcosa, in un certo senso si
sentiva in colpa.
Un
attimo.. lui si sentiva in colpa?! Era lei che l’aveva
portato a quello!
Ok, però
lui era convinto fosse un lui.
No, quella
situazione non gli piaceva per niente.
Scese dal
letto e si diresse verso il suo bagno personale. Si sciacquò
il viso e poi si guardò
sullo specchio ovale posto sopra il lavandino.
« Sei un
idiota. » mormorò.
Alex
sembrava quasi addormentarsi durante la lezione di matematica.
Un’altra
insufficienza era stata scritta sull’ultimo suo compito.
Non era
una novità, aveva sempre avuto qualche difficoltà
con quella materia.
E non si
sorprese a vedere ancora quel 4
lampeggiare in rosso sul foglio.
Insomma,
dopo gli ultimi avvenimenti cosa poteva aspettarsi?
Lei,
ovviamente. Perché nessuno sapeva che era stata pestata nei
corridoi della scuola.
La
campanella dell’intervallo suonò e tutti si
fiondarono verso la mensa,
affamati.
Alex ci
mise un po’, impegnata a rimettersi in borsa tutto quello che
aveva sul banco e
poi, quando vide che i corridoi si stavano svuotando, uscì.
I suoi
passi riecheggiavano nel corridoio e mentre tutti andavano verso la
mensa, lei
si diresse verso la parte opposta, uscendo nel cortile a fumarsi una
sigaretta.
L’aveva
già tirata fuori e aveva già aperto la porta,
quando un ragazzo biondo le
sbarrò la strada.
« Scusa, dovrei
passare. » disse lei guardandolo in faccia.
Lui le
mostrò un sorriso ambiguo, e si scostò su un lato.
« Prego. »
Alex gli
rivolse un’occhiataccia e poi fece per superarlo, quando
sentì un pizzico
arderle sul braccio.
Quasi fece
un balzo e imprecò mentre il biondino se la rideva.
Le aveva
spento la sigaretta addosso!
« Ha pure
la voce da frocio, incredibile! » borbottò
rientrando e sbattendosi la porta
alle spalle.
Non
bastava che la gente la prendesse per maschio, le dava anche del
maschio gay!
Non arrivavano
a pensare che forse poteva essere
una
ragazza?! Ok, non aveva una quarta di seno ma aveva visto esemplari
veramente
sprovvisti di attributi femminili dentro quell’edificio!
E lei non
aveva nemmeno la barba!
Si
infervorò così tanto che diede un calcio alla
porta, e qualcosa di umido le
bagnò le ciglia, per poi posarsi sui suoi zigomi e finire
sulle sue labbra.
Tom era
solito farsi un giretto nella scuola per vedere se trovasse qualcuno
con cui
scaricare il suo nervosismo. E quel giorno di nervosismo ne aveva
abbastanza.
Avrebbe potuto fare una donazione, se fosse stato possibile.
Ma no,
doveva conviverci con quello stato d’ansia perenne. E nel
corridoio non si
vedeva manco un fantasma.
Decise di
uscire fuori per rifarsi della sua amata nicotina e aveva
già in bocca una
sigaretta.
Quando poi
la sua attenzione fu catturata da un rumore sommesso. Un gemito quasi
trattenuto.
Si fermò
un attimo e sentì dell’acqua scorrere e
capì che c’era qualcuno nei bagni. Si
avvicinò con calma e constatò che i rumori
venivano dal bagno delle ragazze.
Si
avvicinò lentamente, camminando quasi in punta di piedi.
Sporse un po’ il viso
e la vide.
Era china
sul lavandino, il rubinetto aperto e l’acqua che le scorreva
sul braccio.
Aveva una
bruciatura su di esso e sembrava pulsare in continuazione.
Sollevò lo sguardo
sul suo viso e vide che teneva sempre una delle sue solite cuffiette in
testa,
e notò dei bagliori argentei circondarle gli occhi e
percorrerle le guance.
Stava
piangendo.
Lo stomaco
gli si strinse in una morsa e fece un passo indietro, poggiando la
testa sul
muro.
Socchiuse
gli occhi e si sentì tremendamente in colpa. Non era stato
lui, ma non l’aveva
picchiata fino a qualche giorno prima?
Sporse di
nuovo un poco la testa e la vide di nuovo.
Alex si
portò una mano sulla fronte e poi si sfilò la
cuffietta, lasciando che una
cascata di fluenti capelli castani le ricadesse addosso.
Se li
portò dietro le orecchie e tirò su col naso.
Pregò che
la madre non la stesse guardando in quello stato, che non fosse
là in quel momento,
perché non sarebbe stata di certo fiera di sua figlia.
Piangeva
come una poppante per una bruciatura di sigaretta.
No, non
era solo la sigaretta. Era tutto l’insieme. Tutta la sua vita.
Tirò il
braccio fuori dall’acqua e lo fissò attentamente.
Oltre che
male faceva pure schifo.
« Devi
tenerlo sotto l’acqua oppure soffiarci sopra. »
Alex
trasalì e si voltò verso la porta, dove vide
l’ultima persona che avrebbe
voluto là.
Tom deglutì
quasi a fatica, agitato.
Poi indicò
il braccio.
« E’ una
bruciatura, no? »
Lei non
rispose e rimase a fissarlo, perplessa. Aprì la bocca ma non
disse nulla.
Lui allora
entrò nel bagno, anche se era quello delle ragazze sapeva
che non sarebbe
passato nessuno di lì in quel momento; erano tutti impegnati
a mangiare.
Prese il braccio
della ragazza e si chinò per soffiarci delicatamente sopra,
mentre l’acqua
continuava ad uscire dal rubinetto.
Poi
sollevò lo sguardo verso il viso di lei, contratto in una
smorfia di puro
terrore.
Cercò
quasi di violentarsi per sorriderle, ma non ce ne fu bisogno.
Alex gli
regalò un ceffone che si posò sulla guancia di
Tom con uno schiocco parecchio
sonoro.
Il ragazzo
si trovò con il volto girato e gli occhi chiusi.
Nessuno
gli aveva mai dato uno schiaffo. Nessuno.
Alex lo
fissava inorridita.
Come diavolo
si permetteva?! Arrivava là a fare il buon samaritano dopo
tutto quello che le
aveva combinato?!
Scostò con
forza il braccio e si allontanò dal bagno con passo svelto.
Tom rimase
qualche istante immobile, realizzando molto lentamente
l’accaduto.
Gli aveva
dato uno schiaffo. Gli aveva dato uno
schiaffo.
Sì, gli
aveva dato uno schiaffo. E nonostante stesse ribollendo di rabbia, non
poteva
biasimarla.
Insomma!
Chi diavolo credeva di essere?!
Pezzo di..
Alex
sbatté forte la porta di casa e fu sicura di aver fatto
cadere qualcosa nella
casa affianco.
Non era
umanamente possibile sopportare quel.. quel pezzente!
E come se
non bastasse, la bruciatura le faceva ancora male.
Si mise a
sedere sul divano, sprofondando tra i cuscini e se ne premette uno
contro il
viso, pregando di accecarsi in qualche modo.
Ma niente,
quando li riaprì vedeva ancora la luce e
l’arredamento del suo appartamento.
Svuotò la
borsa di scuola, prese i documenti, il cellulare, l’I-pod e
uscì di nuovo di
casa per andare dal medico.
«
Sono a
casa. » strillò Tom sulla porta
d’ingresso, ma non ricevette alcuna risposta.
“Perfetto”,
pensò, “sono di nuovo solo e senza nulla da
fare.”
No, Tom
trovava sempre qualcosa da fare. Che fosse guardarsi un porno, uscire
per
incontrare qualche vecchia fiamma o semplicemente masturbarsi in camera
sua.
Tom aveva sempre qualcosa da fare.
Solo che,
quel giorno, il suo qualcosa da fare implicava
il ragionare sull’accaduto di
qualche ora
prima.
E no, non
era decisamente una buona idea.
Insomma,
che doveva fare? Chiederle scusa?
Oh sì, ci
aveva provato. Aveva tentato di far capire a quella ragazza che gli era
dispiaciuto e che non intendeva farle alcun male. Ma lei gli aveva dato
uno
schiaffo.
Ci hai tentato
davvero?
Ma chi
cazzo c’era dentro la sua testa, il grillo parlante?!
Hai una
coscienza.
Oh,
bene.
Adesso scopriva di avere anche una coscienza che doveva aggravare i
suoi sensi
di colpa.
Tom non
aveva mai provato seriamente qualche senso di colpa. Ma quella
situazione non
l’aveva mai nemmeno presa in considerazione.
Dio, si
sentiva così.. imbecille.
Si tuffò
in doccia ma rimase un po’ poggiato alla parete gelida
cercando di farsi venire
in mente qualcosa.
C’era in
gioco la sua reputazione, no?
Non
proprio.. insomma, chi si preoccupava di quella ragazzina? Non aveva
visto
nessuno parlarle dopotutto.
Ma proprio
nessuno. Come faceva a non avere amici? Come faceva a far finta di
essere un
ragazzo? Come faceva a diventare poi così sensuale e bella quando ballava?
Tom, ti stai
rincoglionendo?!
Ok,
probabilmente stava indugiando un po’ troppo sulla figura di
quella.. Alex.
Mise la
testa sotto il getto d’acqua e si lavò.
Alex aveva
decisamente trattenuto una bestemmia quando il medico le aveva medicato
la
bruciatura. Le aveva dato una pomata da mettere e se n’era
andata mentre aveva
ripreso a piovere.
Solo che,
quella volta, aveva con sé un ombrello e arrivò a
casa sua solo un po’
infreddolita.
Aprì il
portone principale e si trovò meravigliosamente sorpresa di
trovare un cane
accucciato affianco ad esso. Era bagnato fradicio e si era accovacciato
nell’unico punto dove sembrava potesse ripararsi.
Era un
labrador di medie dimensioni, il muso poggiato sulle zampe anteriori e
gli
occhi socchiusi.
Alex si
accovacciò al suo fianco. Aveva sempre desiderato un cane,
ma non gliel’aveva
mai regalato nessuno.
Quel cane
non aveva nessuna targhetta, sembrava completamente solo.
..un po’
come lei, no?
Solo che
una targhetta ce l’aveva eccome.
Gli
accarezzò il manto umido e quello sussultò un
poco, per poi voltarsi verso il
viso della ragazza che gli sorrise.
Il cane
chiuse e riaprì gli occhi, piegandoli in una curvatura
malinconica.
Alex si
rialzò e aprì il portone mentre
l’animale si rimetteva nella posizione
precedente.
Un tuono
ruppe la quiete del quartiere e pure Alex trasalì. Stava per
chiudersi il
portone alle spalle, quando udì il mugolio sommesso
dell’animale là fuori.
Si era
voltato a guardare di nuovo nella sua direzione, con i suoi occhietti
umidi.
La pioggia
non sembrava avesse intenzione di smettere, anzi stava aumentando.
Così la
ragazza allargò l’apertura del portone e fece
segno con la testa al cane di
entrare.
Lui si
rizzò sulle sue zampine e zampettò velocemente
dentro il palazzo, prima di
scrollarsi di dosso tutta l’acqua che gli si era posata
sopra, creando una
pozzanghera sul pavimento.
Alex
sorrise e il cane la guardò con la lingua a penzoloni.
« Ok,
vediamo se ho qualcosa per te. » disse salendo le scale e
avviandosi verso il
suo appartamento, con il cane alle sue spalle.
|
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Capitolo 5 *** 05. 'Sorry' seems to be the hardest Word ***
Tom si
lasciò cadere sul letto, stremato e la ragazza si
avvicinò a lui, insinuando il
viso verso il suo collo.
Tom le
cinse le spalle e la strinse a sé, mentre affondava una mano
tra i suoi
capelli.
« Sei
bravo, Tom. » gli sussurrò Alex
all’orecchio.
Lui
sorrise e poggiò la testa sulla sua.
Erano
completamente nudi, mezzo coperti dal lenzuolo bianco di una camera
dalle
pareti spoglie.
Tom non
conosceva quella stanza, tantomeno Alex.
Ma si
stringevano l’uno all’altra.
Poi un
sonoro BIP investì le orecchie del ragazzo che si mise a
sedere di botto.
Era in
camera sua. Solo. Vestito.
Era un sogno.
Sì,
ok,
era un sogno ma aveva fatto il suo effetto a quanto pareva
perché era
completamente sudato.
Spense la
sveglia e si guardò un attimo intorno, mentre gli organi nel
suo corpo
riprendevano i propri posti, cervello compreso.
Ora si
metteva anche a sognare di portarsela a letto?! Che scherzo era quello?!
Forse
doveva fumare di meno. Sì, decise che era colpa delle
sigarette.
Si alzò e
si diresse verso il bagno, aprendo la doccia e infilandosi sotto
l’acqua.
Alex si
era svegliata di soprassalto.
No, non
era possibile.
Lei..
come.. ma che diamine..?!
« Oh Dio
mio. » biascicò con voce rauca, le corde vocali
ancora addormentate.
Aveva
sognato di farlo con Tom! No, non era possibile.
Lei.. lei
odiava Tom! Lo schifava, era una persona che voleva evitare,
assolutamente!
Ma allora
perché l’aveva sognato? Perché aveva
sognato di concedersi a lui?
Perché,
quando le braccia di quel ragazzo si erano strette attorno al suo
corpo, si era
sentita protetta?
No, era
solo un sogno. Solo un sogno.
Ma qualche
pirla non aveva detto che i sogni son desideri?
Il cane
richiamò la sua situazione e solo allora lei si
ricordò di averlo fatto entrare
in casa sua.
Era seduto
davanti alla porta, la lingua penzoloni.
« Immagino
tu abbia fame. » mormorò lei con poco entusiasmo.
Il cane
non rispose e lei lo prese come un sì. Si portò
giù dal letto e arrivò in
cucina, cercando qualcosa da dare all’animale.
« Ci sono
gli avanzi di ieri sera.. li vuoi? » gli chiese come se
potesse anche
rispondergli.
Lui la
guardò inclinando la testolina da un lato e lei prese il
piatto dal microonde e
lo poggiò a terra, aspettando una qualsiasi reazione del
cane, che fosse uno
starnuto o una qualsiasi cosa.
L’animale
si chinò, annusò il cibo e poi iniziò
a divorarlo affamato.
Alex
scrollò le spalle e si preparò la colazione.
Quel
Sabato sarebbe stato l’ultimo al Davis. Poi sarebbe rimasta
disoccupata e
avrebbe dovuto trovarsi un altro lavoro.
Decise di
saltare scuola per andare dal veterinario. Il cane aveva bisogno di
qualche
controllo, non l’aveva forse preso dalla strada?!
« Io e te
dobbiamo collaborare, ok? » mormorò sorseggiando
il suo bicchiere di succo
d’arancia.
Il cane
sembrò non ascoltarla.
« No, non
iniziamo affatto bene. »
Sì,
la
stava cercando. Con lo sguardo, ma sempre la stava cercando.
Non sapeva
perché, ma aveva un nervoso allo stomaco che lo divorava
tremendamente. Non
riusciva neanche a fumare da quanto era nervoso, quella mattina.
Tutto per
colpa di quel dannato sogno.
« Tom,
tutto ok? » la voce di Bill lo riportò con i piedi
per terra e si voltò a
guardarlo.
Annuì
velocemente e buttò la sigaretta, spegnendola col piede.
« Sicuro? »
lo seguì Bill.
Tom entrò
di nuovo nell’edificio e non gli rispose.
« Hai
visto di nuovo quella ragazza? »
« Alex? »
domandò lui.
Bill lo
guardò un po’.
« Si
chiama così? »
Tom annuì
con un mugugno e continuò a camminare, diretto
chissà dove.
« Fa la ballerina
al Davis, l’ho vista la settimana scorsa ma.. non pensavo
fosse lei. Poi l’ho
seguita fino a casa sua e.. »
« L’hai
pedinata?! » sbottò Bill.
Tom lo
guardò perplesso.
« E che
dovevo fare?! Fermarla nel corridoio, darle un pugno e chiederle
“E’ vero che
sei una ragazza?”?! » lo rimbeccò.
« No, ma
di certo pedinarla non era il modo migliore! Avresti potuto chiederle
semplicemente scusa! »
A quelle
parole Tom, che aveva ripreso a camminare furente, si fermò
e guardò il
fratello.
« E
secondo te cosa sto cercando di fare?! »
Una volta
fuori dal veterinario, Alex si sentiva più leggera.
Il cane
aveva un guinzaglio, un veterinario in regola, una casa, una padroncina
e un
sesso.
Ma non
aveva un nome.
Sì
insomma, era arrivato così su due piedi. Che diavolo di nome
poteva dare ad un
cane femmina?! Di sicuro non Bobby. Ma nemmeno
Fioccodineveunpopiùscurodellaneve.
E dove
l’avrebbe lasciato quella sera?!
Arrivò a
casa scervellandosi per trovare un nome adatto a quel labrador che
continuava a
farle le feste, ma senza risultati.
Scodinzolava,
teneva perennemente la lingua a penzoloni e continuava a fissare la sua
nuova
padroncina con interesse.
« E
adesso, piccola belva, andiamo a prenderti qualcosa da mangiare.
» disse
prendendo il borsellino e riuscendo con il cane alle spalle.
Lo
accarezzò dolcemente e poi uscì nel freddo di
Dicembre.
Al
supermercato, la scelta del mangiare per il suo nuovo coinquilino era
più ardua
di quanto sembrasse.
C’erano
decine e decine di croccantini diversi, decine e decine di pietanze per
farlo
crescere sano, forte, intelligente, educato.
Un momento:
educato?!
Poteva
benissimo pensarci lei all’educazione
del
suo cane.
Prese alla
rinfusa le prime cose che le andavano a genio e le buttò nel
cestino, per poi
tornare alla cassa e pagare tutto. Una volta fuori, trovò la
sua nuova amica
ancora legata al palo alla quale l’aveva lasciata. Quella si
alzò subito e le
abbaiò contro e Alex le rivolse un sorriso contento.
« Ho fatto
la spesa per te, adesso possiamo tornare a casa. Fuori fa troppo freddo
e
stasera devo lavorare. »
Si sentiva
un po’ stupida a parlare con un cane, ma le veniva naturale.
Non era forse
l’unica anima che le aveva prestato un po’
d’attenzione? Non le aveva forse, salvato
la vita la sera prima, tirandola
via da quel temporale?
Infondo,
quel cane era l’unica cosa che avesse. E anche se non erano
passate nemmeno 24
ore, si era già in parte affezionata.
Afferrato
un barattolo di Nutella, la ragazza si lanciò sul divano di
casa sua e accese
la tv. Fu ben felice di vedere il cane accovacciarsi ai suoi piedi, il
muso
puntato verso lo schermo.
Affondò il
primo cucchiaino e la sua mente tornò a quella notte.
Non poteva
averlo fatto davvero.
Si
ricordava tutto con precisione. Ma proprio tutto.
E come se
non bastasse, le era anche piaciuto!
La Nutella le
andò di traverso e iniziò a
tossire diventando paonazza.
Perfino il
cane si voltò a guardarla, perplesso.
Chiuse il
barattolo della Nutella e lo poggiò sul tavolo.
« No! »
sbottò.
Tom non
l’aveva trovata da nessuna parte. Era praticamente sparita
dalla circolazione.
Non era andata a scuola, non era andata a lezione di danza –
sì perché l’aveva
cercata anche là – e non l’aveva vista
neanche nei dintorni!
Visto che
era così provvista di stramberie, aveva anche le ali e
poteva volare?!
No,
dubitava fortemente di questa possibilità.
Ma allora
che fine aveva fatto?! Era rimasta chiusa in casa tutto il giorno?
Oppure
aveva avuto un altro spiacevole incontro ed era finita in ospedale?!
Ma si
può sapere perché ti
preoccupi così tanto?!
Tom
scosse
la testa e infilò di nuovo le chiavi nella toppa di casa,
aprendo la porta.
« C’è
qualcuno? »
Bill sbucò
dalla cucina con un pacchetto di caramelle fra le mani.
« Io. »
rispose con la bocca piena.
Tom
sollevò le sopracciglia e lanciò le chiavi su un
piattino là vicino, per poi
sfilarsi il giubbotto e salire di sopra, in camera sua.
« Dov’eri?
» gli urlò Bill.
« A fare
un giro. »
« Alias a
cercare quel transessuale? »
« Non è un
transessuale! » sbraitò Tom prima di chiudersi a
chiave in camera sua.
Non sapeva
minimamente perché reagiva così, ma quel sogno,
il fatto che fosse fisicamente
attratto da quella ragazza, lo stava facendo impazzire.
Non
avrebbe dovuto seguirla e osservarla mentre ballava, avrebbe evitato di
sognarla in atti decisamente poco consoni al rapporto che avevano.
Un
momento: avevano un rapporto?!
A
giudicare da come l’aveva trattato lei, proprio per niente.
E allora
perché faceva così? Perché voleva a
tutti i costi avere un dialogo con lei?
Perché
devi chiederle scusa.
Quella
vocina lo irritava ogni volta. Si diede uno schiaffo sul viso e poi si
lasciò
cadere sul letto.
Ok, forse
era arrivato il momento di escogitare qualcosa.
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Capitolo 6 *** 06. Thunder ***
«
Non si
preoccupi, grazie lo stesso. »
Alex
richiuse il telefono per la quinta volta consecutiva.
« Non è
possibile. » mormorò depennando un altro riquadro
sul giornale.
Il
part-time al Davis era scaduto e ora doveva trovarsi
qualcos’altro. Ma cosa?!
La fioraia
prendeva dai 20
in
sù, al supermercato due isolati più dietro dai 25 in
sù, al negozio di
dischi avevano bisogno di un cassiere fisso e lei andava anche a scuola.
No,
sembrava tutto incompatibile con lei.
Tutto
troppo difficile.
Il cane –
che aveva chiamato Sveva – la fissava seduta su una sedia,
manco fosse un
essere umano.
Alex
iniziò a battere il piede per terra e strinse i pugni, per
poi poggiare il viso
su di essi.
Sveva
mugolò e la ragazza la guardò, preoccupata.
« Se non
trovo un lavoro io e te vagheremo come due nomadi, lo sai? »
Il cane
non rispose, continuando a fissarla.
Poi
inclinò la testa sul giornale, quasi come se lo stesse
leggendo.
Alex si
concentrò su altri annunci con uno sbuffo ma poi Sveva
poggiò una zampa su un
pezzo del giornale, abbaiando.
« Che
c’è?! »
Il cane
continuò ad abbaiare finché Alex si
voltò a guardarla, e allora batté più
volte
la zampa sul giornale.
No, non
poteva averlo fatto davvero.
Era.. era
un cane!
Spostò la
zampa quasi nel tentativo di far leggere alla ragazza
quell’annuncio.
Alex
sollevò lo sguardo qualche istante, incrociando gli occhi
marroni del cane che
le abbaiò di nuovo.
Prese il
telefono, digitò il numero e attese.
Poi, una
voce rispose alla telefonata, e Sveva attese impaziente.
Come
faceva a non trovarla più?! Era misteriosamente diventata
invisibile?! O forse
lui era cieco?!
No no,
doveva esserci per forza.
Da qualche
parte, stuggiata in qualche angolino ma c’era. Ne era sicuro.
La
campanella del pranzo suonò interrompendo i suoi pensieri e
una massa uniforme
di gente uscì dalle aule per recarsi in mensa.
Aveva
perfettamente ragione, e la conferma stava sgambettando velocemente
verso con
gli altri studenti.
« Tom,
senti, ti va domani di venire con me e Andreas al.. »
« Non ora,
Bill. »
Tom si
dileguò velocemente, quasi scaraventando via chiunque gli si
parasse davanti.
Spalancò
le porte della mensa e il silenzio calò nella stanza. Tutti
lo guardarono.
E lui si
avvicinò velocemente al suo tavolo.
Alex
sollevò lo sguardo, già sapendo di chi si
trattasse.
Tom deglutì
con un nodo allo stomaco e restò in silenzio qualche secondo.
Lei non
abbassò lo sguardo.
Non era
cambiata, aveva sempre la sua cuffietta in testa, i suoi vestiti larghi
e.. sì,
quegli occhi che lo squadravano.
Tom si
strofinò nervosamente le mani.
« Allora? »
sbottò lei. « Devi stare in piedi davanti al mio
tavolo senza dire nulla ancora
per molto? »
« Devo parlarti.
»
Lei lo
guardò di sottecchi.
« Scusa?! »
« Devo
parlarti. » ripeté lui con più enfasi.
« Ti alzi da sola o ti devo prendere di
peso? »
« No,
riesco ancora a camminare. Nonostante
tutto. »
Alex si
alzò dalla sedia e lo seguì fuori dalla mensa,
mentre gli sguardi dei presenti
li seguivano con lo sguardo.
Il
corridoio era vuoto, così lui si fermò a
metà.
« Allora,
sentiamo un po’. »
« Non
pensavo fossi una ragazza. » cominciò lui,
torturandosi tremendamente per
cavarsi fuori le parole.
« Ma dai,
non mi dire! » sbottò Alex.
« Senti,
sto provando ad essere gentile e carino, non farmi innervosire!
»
« Sennò mi
dai un pugno? »
« Non
pensavo fossi una ragazza! » ripeté lui con
più enfasi.
« Questa
non è una giustificazione! »
« Non sto
cercando di giustificarmi infatti! » sbraitò Tom,
sovrastandola in altezza.
« Ma a
quanto vedo non smetti di prendertela con chiunque ti vada a genio!
»
« Queste
non sono cose che ti riguardano, io faccio quello che mi pare.
»
« Certo,
come no! » sghignazzò lei. « Prendiamo a
pugni chiunque passi per la tua stessa
strada, tanto chi se ne frega, giusto? »
Tom non
ribatté, mordendosi la lingua per evitare di dire cose di
cui poi si sarebbe
pentito.
Ma poi,
pentito di cosa?! La situazione non era delle migliori, dopotutto.
« Senti. »
prese fiato. « Non è una giustificazione, non
voglio inventarmi scuse o cose
del genere. E tu non sei nessuno per farmi la ramanzina. Ma mi
dispiace, ok? Se
avessi saputo che sei una ragazza, non ti avrei alzato nemmeno un dito.
»
Alex
abbozzò un sorriso e poi scosse la testa.
« Sei
patetico, Kaulitz. Molto patetico. »
La ragazza
lo guardò da capo a piedi e poi uscì nel cortile,
lasciandolo solo come un
imbecille.
Tom
strinse i pugni e si trattenne dallo sbattere la testa sul muro.
Per
qualche strana ragione, gli venne da pensare che il sogno che aveva
fatto in
precedenza, non sarebbe mai diventato realtà. E, in qualche
modo, qualcosa
dentro di lui lo fece sentire terribilmente giù.
Sveva non
era un cane. Sveva era un angelo.
Quell’animale
era la principale causa del suo nuovo impiego.
Dopo aver
chiamato al numero indicato nell’annuncio, quando Alex aveva
riattaccato aveva
appena accordato un colloquio con il proprietario di un bar nel centro
di
Amburgo.
E come se
qualcuno stesse vegliando su di lei, aveva trovato un altro lavoro.
Era già
qualche giorno che lavorava in quel bar, tornava a casa stanca ma
almeno aveva
un lavoro e uno stipendio a fine mese.
Quel
Sabato il bar era gremito di gente e Alex era vicina a smontare per
tornare a
casa sua.
Aveva sempre
la sua cuffietta in testa, ma indossava un grembiule con stampato sopra
il nome
del bar.
L’ennesimo
cliente entrò e si avvicinò al bancone.
« Chi si
vede. »
Amburgo
non era enorme, ma nemmeno piccolissima.
Ma quel
biondino sembrava perseguitarla!
« Così è
qua che lavori. »
Alex non
sapeva come si chiamasse né quanti anni avesse e nemmeno
cosa volesse da lei.
Tutto ciò
che sapeva era che aveva ancora la bruciatura della sua stupida
sigaretta sul
braccio.
Voltò lo
sguardo dall’altra parte ma non c’era molto da fare
visto che il posto alla
cassa era suo e lui non si schiodava da là.
« Cos’hai
preso? » gli domandò cercando di mantenere la
serietà dell’impiego che
ricopriva.
« Ti ho
per caso fatto male l’ultima volta che ci siamo visti?
»
Alex si
morse la lingua.
« Perché
io in realtà mi sono divertito. »
sghignazzò.
La ragazza
batté una mano sul bancone, perdendo la pazienza.
« Sei per
caso venuto qua a rompermi i coglioni? » sbottò a
voce alta, facendo girare un
suo collega e qualche cliente.
Il biondo
trasalì un poco e poi si mise a ridere.
« Siamo
agitati, eh. »
« Non ti
voglio in mezzo ai piedi, vedi di cambiare aria. Chiaro? »
« Io sono
il cliente. »
« E io mi
sto incazzando, per cui vedi di portare via quella tua faccia da
coglione
lontano da me! » sbraitò.
Il
silenzio calò nel bar e tutti si immobilizzarono.
« Stai
giocando col fuoco, amico. » bisbigliò il ragazzo.
« Vuoi bruciarti di nuovo? »
Alex
digrignò i denti e si sporse dal bancone, facendo fioccare
uno schiaffo sulla
guancia del beota.
« E adesso
fila da qua. Muoviti! »
Stava per
uscire dal bancone quando Udo, il proprietario del bar, la prese per le
braccia
bloccandola.
« Si può
sapere che diamine sta succedendo qua?! »
« Lo
chieda a chi assume per lavorare. » rispose il biondo prima
di sputare per
terra e poi uscire sbattendosi forte la porta.
Udo voltò
il corpo di Alex in modo da fissarla negli occhi.
Era un
omone calvo, con gli occhi azzurri e un pizzetto scuro. Era sempre
vestito in
modo curato ed elegante, ma la sua pazienza aveva un limite troppo
basso, lo
dicevano tutti.
E forse,
Alex l’aveva messo durante alla prova quel giorno.
« Ma si
può sapere che ti prende?! »
La
ballerina non seppe cosa dire. Aveva agito d’impulso, ma
quell’ebete di cui
ancora ignorava il nome, l’aveva praticamente istigata.
« Io..
io.. »
« Tu? »
Alex
sospirò e abbassò lo sguardo.
« Mi
dispiace. » soffiò.
« Anche a
me. » rispose Udo. « Ma non posso tenere
un’impiegata irruenta. Mi dispiace. »
Le porse
una mano e indicò con la testa il grembiule color porpora
che Alex indossava.
« Cosa?
No, ti prego Udo io.. ho bisogno di lavorare, lo sai! »
« Non mi è
permesso tenere impiegati di questo tipo Alex. E ora dammi il
grembiule, sei
licenziata. »
« Udo, per
favore.. »
« No,
Alex. Il grembiule. »
Alex
abbassò di nuovo lo sguardo sentendo un groppo allo stomaco
e si sfilò di dosso
il grembiule, per poi posarlo sulle sue mani.
« Vado a
prendere le mie cose. »
Si diresse
nel retro, prese la sua borsa e uscì da una porta secondaria.
Sveva non
sarebbe stata per niente contenta.
Ci hai provato.
Tom
continuava a ripeterselo fino alla nausea.
Il fatto
che Alex l’avesse praticamente mandato a cagare non
l’aveva aiutato a stare
meglio con sé stesso.
Sì, perché
stava facendo tutto per sé stesso, no?
Si tirò su
e si mise a sedere, fissando il vuoto.
Va beh, ci
aveva provato. Lei non aveva accettato le sue scuse, fine della
questione.
Scese dal
letto e poi al piano di sotto, dove Bill stava guardando la tv.
« Sai
quando tornano mamma e papà? » gli
domandò quest’ultimo, facendo zapping.
Tom scosse
la testa entrando in cucina e aprendo il frigorifero.
« Non ne
ho la più pallida idea. L’ultima volta sono
rimasti fuori tre settimane se non
sbaglio. »
« Ne sono
già passate due e non si sono fatti sentire. » gli
fece notare Bill.
« Avranno
avuto i loro buoni motivi. » tagliò corto il
gemello versandosi della Coca
Cola.
Tornò nel
salone e si sedette sul divano nero, accanto a Bill.
« Allora,
che cosa mi stavi dicendo stamattina? »
« Prima
che schizzassi verso il tavolo di quella ragazzina? »
Tom annuì
con la testa e poi fece un sorso.
« Stasera
andiamo con Andreas al Trivan, vieni? »
« Il pub
che distribuisce alcolici senza richiedere i documenti? »
« Sì,
quello. »
Tom fece
spallucce.
« Ok. »
« Andreas
passa qua.. » si controllò l’orologio al
polso. « Fra 10 minuti. »
« Oh,
grazie per avermi avvertito in tempo, Bill. »
bisbigliò Tom scattando in piedi
dal divano per vestirsi.
Alex non
era tornata a casa e non era nemmeno passata a scuola di danza quella
sera.
Aveva
perso anche quel lavoro. Si sentiva tremendamente inutile.
Cosa
avrebbe detto la madre se l’avesse vista in quelle
condizioni?! Non riusciva
nemmeno a controllarsi davanti ad un bullo.
Bevve
anche quel bicchiere e poi lo poggiò sul bancone, iniziando
a vederci doppio.
Non sapeva
manco che diavolo aveva ordinato ma voleva semplicemente cancellare
quella
giornata dalla sua mente visto che non poteva cancellarla dalla sua
vita.
La musica
era così alta da farle salire il nervoso e da farle pulsare
le orecchie.
Batté
insistentemente il bicchiere sul bancone e il barista glielo
riempì di nuovo.
« Sicuro
di reggerlo, amico? » lo ammonì.
Alex lo
fissò già partita.
« Sono una
ragazza. » sbottò sfilandosi la cuffietta e
lasciandosi cadere i capelli
addosso.
« Oh,
scusami. » rispose lui prima di dileguarsi verso altri
clienti.
Alex lo
ingurgitò tutto in un baleno e sentì la testa
tremendamente pesante.
Così
pesante da farla cascare dallo sgabello.
« Porco
d’un cane! » imprecò a voce alta, anche
se la musica copriva ogni altro suono.
« Tutto
ok? » si sentì urlare nell’orecchio. Si
rimise in piedi tenendosi allo sgabello
e al bancone e si voltò verso la persona che le aveva
parlato, sforzandosi di
mettere a fuoco ma senza risultati.
« Alex?! »
Tom rimase
visibilmente sorpreso di trovarla là. In quelle condizioni.
Era
ubriaca fradicia, si vedeva da come lo guardava e da come barcollava.
« Che
diamine ci fai qua?! Sei sola? »
Lei
continuò a guardarlo.
« Come fai
a.. mi conosci? »
Tom non
riuscì a rispondere perché la ragazza cadde di
nuovo a terra, perdendo l’equilibrio
e lui la sorresse per un pelo.
« La mia
testa… » gemette lei in un soffio che lui
udì solo perché il suo orecchio era
vicinissimo alle sue labbra.
« Ok, va
bene.. riesci a reggerti su? Usciamo da qua. »
Le legò un
braccio attorno alla vita e si portò un suo braccio attorno
al suo collo,
nonostante fosse molto più alto di lei. Poi
iniziò a farsi strada tra la folla
e uscì. La caricò in macchina e quando chiuse lo
sportello, lei poggiò la testa
sul finestrino chiuso.
Tom salì
alla guida e mise in moto, tirando fuori il cellulare e scrivendo un
messaggio
a Bill dove gli spiegava che era dovuto andare via prima.
Alex
crollò in un sonno molto simile al coma nel giro di qualche
istante, e quando
Tom arrivò sotto casa sua, lei nemmeno si
svegliò, rispondendogli in modo
brusco e invitandolo ad andare a quel paese.
Tom posò
le mani sul volante, incerto sul da farsi.
« So già
che me ne pentirò. » mormorò tra
sé e sé, rimettendo in moto la macchina e
dirigendosi verso casa sua.
Una volta
arrivato, parcheggiò fuori e prese Alex di peso, portandola
dentro casa.
Farla
dormire sul suo letto non gli sembrava appropriato e nemmeno nel letto
di Bill
constatando che non fosse nemmeno a conoscenza della presenza della
ragazza a
casa loro. E il divano era assolutamente fuori discussione.
Avrebbe sistemato
la stanza degli ospiti un giorno, si disse mentre saliva e si dirigeva
verso la
camera dei suoi genitori.
Poggiò la
ragazza sul letto immacolato e le sfilò le scarpe, le calze
e la felpa che
indossava, lasciandola con addosso una canottiera e i pantaloni.
Lei
sospirò beatamente e lui la coprì fino alle
spalle, visto che quella notte
faceva freddo.
Restò a
fissarla un po’, poi si avvicinò al suo orecchio.
« Se hai
bisogno di qualsiasi cosa, sono nella stanza affianco. »
sussurrò.
Sapeva che
lei non l’avrebbe sentito, ma si sentì in pace con
sé stesso dopo aver detto
quella frase.
Così uscì
dalla camera richiudendosi la porta alle spalle.
|
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Capitolo 7 *** 07. That should be me ***
La testa
di Alex pesava tremendamente e giurò di aver sbattuto contro
un treno in corsa,
quando si svegliò.
Non
riusciva a muovere il collo, manco avesse piombo al posto del cervello.
Strabuzzò
un po’ gli occhi cercando di mettere a fuoco, e si
voltò da una parte e poi
dall’altra.
Un
momento.. quella non sembrava affatto essere camera sua.
A meno che
qualcuno avesse cambiato le lenzuola del suo letto da bianche a nere e
rosse e
a meno che Sveva fosse diventata bianca a chiazze.
DI CHI
CAZZO ERA QUEL CANE CHE LA FISSAVA?!
Quello che
le corde vocali di Alex produssero fece abbaiare l’animale
che indietreggiò
fino alla porta.
Subito
dopo sopraggiunse un Tom completamente stralunato che
rischiò di inciampare
sull’animale, solo in boxer e seguito da un altro cane della
stessa razza del
primo che continuava ad abbaiare.
« Scotty,
zitto! » esclamò Tom rivolto al primo cane. Il
secondo sopraggiunse mettendosi
anche lui ad abbaiare, come se non ci fosse abbastanza casino.
« Cora,
stai zitta pure tu! »
« Che
cazzo sta succedendo?! » Bill comparve sulla soglia
più o meno con lo stesso
abbigliamento del gemello, solo che si era preoccupato di indossare una
T-shirt. Il suo sguardo si posò subito su Alex seduta sul
letto dei suoi
genitori.
« Lei che
diavolo ci fa qua?! »
Tom guardò
prima lui e poi Alex che aveva smesso di urlare e fissava tutti senza
capire.
« Prenditi
i cani e vai a farti un giro nel quartiere, ti spiego tutto dopo!
»
Tom buttò
fuori sia Bill che entrambi i cani che continuavano ad abbaiare e
chiuse la
porta.
Poi si
voltò verso la ragazza.
« Non è come
pensi. » disse per prima cosa.
Alex non
rispose e si portò una mano alla testa, ancora
più pesante di prima.
« Ieri
sera eri al Trivan e hai bevuto un po’ troppo, ubriacandoti.
Così ti ho presa e
portata qua. Ma non ti ho fatto nulla, giuro! » si
sentì in dovere di
precisare.
La ragazza
lo guardò aprendo e chiudendo gli occhi a scatti.
« Ricordi
qualcosa? » domandò lui gesticolando assurdamente.
Lei spostò
lo sguardo da un’altra parte, visto che stava indugiando un
po’ troppo sulla
figura seminuda del ragazzo che, bisognava ammetterlo, era un gran bel
vedere.
« Ho
qualche flash di luci e di qualche bicchiere di vetro. Ma no, di quello
che mi
hai raccontato tu non ricordo nulla. »
« Ti giuro
che è la verità! » si
affrettò a dire lui.
« Sì, sì,
ti credo. » disse lei massaggiandosi le tempie.
Tom tirò
un sospiro di sollievo e stava per chiederle come si sentisse, quando i
cani
ripresero ad abbaiare dalla porta e Bill li richiamò dal
piano di sotto.
« Cazzo!
Sveva! » esclamò Alex tirandosi via le coperte di
dosso e saltando giù dal
letto.
Pessima
mossa, forse sarebbe stato meglio se avesse fatto le cose con
più calma.
Barcollò
un po’ e cadde di nuovo seduta sul letto.
« Tutto
ok? Ce la fai? » le domandò Tom avvicinandosi con
un balzo.
Lei
strizzò gli occhi e annuì.
« Sì, sì.
Devo.. devo tornare velocemente a casa, Sveva è sola!
»
Tom la
guardò perplesso. Era convinto vivesse sola!
« Sveva?! »
« Il cane!
» rispose lei sollevando lo sguardo verso il suo.
Tom non
rispose e nessuno dei due parlò.
No ok, la
situazione era decisamente imbarazzante. Lui era chino su di lei, mezzo
nudo. E
lei non faceva nulla per allontanarlo, non gli tirava una testata, non
gli
sputava in un occhio, non lo prendeva a parolacce ma bensì
lo fissava quasi
ammaliata da cotanta bellezza!
« Il cane.
» ripeté lui che si era già fatto una
cinquantina di filmini mentali porno.
Si
allontanò mentre un uragano ronzava nella sua testa.
« Vuoi che
ti accompagni? »
Lei fece
spallucce.
« Non so
nemmeno dove sono. »
Tom la
accompagnò fin sotto casa sua.
Sapeva
bene la strada, ma non credeva affatto che Alex fosse stupida e
così le chiese
di fargli da guida.
E una
volta sotto, calò il silenzio.
Non che
prima avessero chiacchierato molto, ma la macchina era proprio ferma.
Alex
sollevò le spalle, imbarazzata.
« Ti
ringrazio per.. per avermi portata a casa tua e per avermi
riaccompagnata. »
Tom fece
spallucce, senza guardarla.
«
Figurati. Era il minimo. » rispose. « Ti consiglio
di bere di meno, comunque. »
Lei la
prese come una battuta e sorrise, annuendo.
« Lo terrò
a mente, grazie. »
« Di
nulla. »
Aprì lo
sportello della macchina e prima di chiuderlo si voltò.
« Ci
vediamo a scuola e.. ancora grazie. »
Tom fece
un cenno con la mano e poi la ragazza chiuse lo sportello con un tonfo,
tirando
fuori le chiavi di casa.
Il finto
rapper ripartì spedito, picchiandosi mentalmente.
Era
rimasto sveglio tutta la notte, nella speranza
di udire la sua voce chiamarlo. Per poi sdraiarsi al suo
fianco e
rassicurarla, di qualsiasi cosa ella avesse paura.
Ma non
aveva sentito affatto il suo nome, e quando si era appena addormentato,
scacciando via quei pensieri così stupidi, l’aveva
sentita urlare ed era
schizzato verso la stanza dei genitori con un laccio in gola.
Si stava
letteralmente mettendo sottosopra per quella ragazzina.
Non aveva
mai portato nessuna a casa sua se non per trombarla, giusto per capire
meglio
in che situazione si trovasse il suo cervello.
E il fatto
che, qualche istante prima, fossero così dannatamente vicini
l’uno all’altra da
desiderare ardentemente di baciarla,
non
era normale nella sua indole. Quello non era affatto il Tom Kaulitz che
era
esistito per 19 anni.
Bill gli
aveva fatto il terzo grado. Non si era accorto della ragazza nella
camera dei
genitori, perciò era rimasto alquanto terrorizzato quando
aveva sentito un urlo
femminile. Tom aveva la voce decisamente più grossa!
Così
avevano fatto una mezza litigata perché Bill sosteneva che
Tom se la stesse
prendendo troppo a cuore per quella ragazza.
E Tom
ripeteva che non era vero niente.
Stranamente,
però, fin da piccoli era sempre stato Bill quello ad avere
ragione.
E Tom
negli ultimi giorni non aveva chiuso occhio.
Non aveva
chiarito con lei, non ne aveva avuto l’opportunità
o forse il coraggio. Però
almeno non aveva ricevuto un altro schiaffo.
Prova a
chiederle di nuovo scusa.
Tentaci ancora finché non ti ascolta.
Quella
vocina iniziava terribilmente ad irritarlo. Da quando era arrivata lei
aveva
fatto cazzate su cazzate.
Ma se era
così tormentato, quella sembrava essere l’unica
cosa da fare.
3 giorni
sembrarono un’eternità, senza contare la Domenica.
E non per
chissà quale motivo, semplicemente perché non si
erano rivolti la parola.
Ok, Alex
pensava di essere altamente esagerata, ma.. era stato tremendamente
gentile a
portarla a casa sua.
E quando
l’aveva visto a qualche centimetro da lei, con il petto
scoperto, la sua mente
era tornata per qualche istante a quel sogno.
Sveva era
viva e vegeta, ma non aveva apprezzato tanto il fatto che la sua
padrona
l’avesse lasciata da sola per quasi un giorno intero.
Nonostante
tutto, riuscì a procurarle un altro lavoro e Alex decise che
quel cane, in
realtà, aveva la stoffa del manager.
Così un
altro giorno era arrivato e un’altra mattinata a scuola era
iniziata.
No, non
era cambiato nulla.
Alex
continuava a portare le sue cuffiette in testa, a camminare fissandosi
le
scarpe e a non capire le lezioni di matematica.
Al suono
della campanella prese velocemente tutto e lasciò
l’aula quasi prima dei suoi
compagni e quando fu fuori si accese una tanto bramata sigaretta.
Tom uscì
in quel momento, portandosi alle labbra la sigaretta già
accesa.
Bill
l’aveva mollato poco prima per fermarsi a parlare con
Andreas. Camminò un po’,
guardandosi attorno e inforcando gli occhiali da sole, per poi fermarsi
in
mezzo al cortile fissando il cancello.
Alex stava
uscendo in quel momento.
Velocizzò
il passo, superando chiunque gli si trovasse davanti.
« Alex! »
La ragazza
si voltò prima di accendere l’I-pod e davanti a
sé vide l’alta figura del
Kaulitz.
« Scusa,
non volevo spaventarti. Mi chiedevo se.. » si
fermò un po’ spostando lo sguardo
da una parte all’altra. « Ti andrebbe di fare un
giro con me, stasera? Sai, per
portare a spasso i cani, visto che anche tu ne hai uno…
»
Alex lo
fissò perplessa.
« Stasera?
»
« Sì. Hai
da fare? »
Alex si
grattò la fronte, pensando.
« Ho
lezione di danza. »
« Oh… »
mormorò Tom, abbassando lo sguardo verso le sue scarpe.
« Domani
fa lo stesso? » si affrettò ad aggiungere lei.
Il ragazzo
sollevò velocemente lo sguardo, abbozzando un sorriso.
« Certo,
passo a casa tua verso le 18? »
« Va bene.
» rispose lei lasciandosi sfuggire un sorriso tirato,
intimidita.
« Allora
ci vediamo domani. »
Alex annuì
ma prima che uno dei due muovesse un passo, vide i libri che aveva tra
le
braccia cascarle a terra con un tonfo e una chioma bionda la
superò.
Quel
pezzente era ogni volta più irritante.
Sia Alex
che Tom si voltarono verso il coglione in questione che si
girò con un mezzo
sorriso e dicendo: « Gay di merda. »
Alex
scosse la testa e si chinò per prendere i libri, per poi
vedere Tom spostarsi
in direzione dell’altro ragazzo.
« Hey. »
lo sentì dire.
Il biondo
si fermò e si voltò.
« Ti sei
divertito, eh? »
« Potrei
fare di meglio. » rispose quello incrociando le braccia sul
petto.
« Chiedi
scusa. »
« Cosa?! »
sbottò fissando Tom sbigottito.
« Ho
detto: chiedi scusa. Devo fartelo capirei in altri modi? »
domandò parandoglisi
davanti e schioccandosi le dita.
Il ragazzo
fece mezzo passo indietro e Tom si spostò per farlo passare.
Il biondo
fece due passi e poi si fermò.
« Scusa…
frocio di merda. »
Si
allontanò sghignazzando e Tom rise.
Alex
rimase a fissare entrambi perplessa. Poi Tom sganciò un
pugno sullo zigomo di
quel disgraziato, facendolo cascare a terra.
« E’ una
ragazza, stronzo. »
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Capitolo 8 *** 08. I see You ***
Il
citofono suonò e Sveva iniziò ad abbaiare.
« Basta,
stai calma! » la rimproverò Alex aprendo la porta
d’ingresso e scendendo le
scale.
Cercò di
ignorare il fatto che ci fosse qualcosa, probabilmente uno yeti, nella
sua
pancia, e scese
anche gli ultimi gradini,
per poi aprire il portone principale.
No,
nonostante avesse cercato di immaginarsi Tom, niente era comparabile
con la
figura che aveva davanti.
Restò
imbambolata a fissarlo cercando di imprimersi nella mente ogni minimo
dettaglio
e lasciando scivolare lo sguardo sulla figura che aveva davanti agli
occhi.
Tom
indossava una giacca rossa e bordeaux, in testa aveva un berretto della
SOX
altrettanto scuro e dei jeans blu.
Ma addosso
a lui, tutto aveva un’altra forma.
Alex
scosse mentalmente la testa e strabuzzò gli occhi,
abbassando lo sguardo verso
il cane che scodinzolava, abbaiando.
« Qualcuno
è impaziente di passeggiare. » commentò
Tom tenendo stretto il guinzaglio e
abbozzando un sorriso.
Alex si chiuse
il portone alle spalle e cercò di trattenere Sveva che non
ne voleva sapere di
stare ferma.
E poi,
iniziarono a camminare avvolti da un profondo silenzio.
Sveva e
Scotty sembrava avessero fatto amicizia e si rincorrevano
l’un l’altro mentre
Alex e Tom li fissavano seduti su una panchina.
« Così tu
e la matematica non siete molto amiche. » disse Tom
voltandosi a guardare il
viso della ragazza, che sembrava concentrata verso gli animali.
Alex fece
spallucce.
« Non mi è
mai piaciuta. »
« Forse
perché non te l’hanno mai spiegata come si deve.
»
Lei non
rispose e fece di nuovo spallucce.
« Non
credo diventerà una mia priorità imparare a
risolvere equazioni. » commentò.
Tom
sghignazzò.
«
Comunque, il sottoscritto è abbastanza bravo in matematica.
Perciò se ti
servisse un aiuto, io sarei disponibile. »
« Sul serio?
»
Tom annuì
e si voltò di nuovo a guardarla.
« Certo.
Non vorrai essere bocciata per matematica, spero. »
Alex
scosse energicamente la testa e poi entrambi si voltarono di nuovo
verso i cani
che si rincorrevano a vicenda.
Scotty
fece un balzo e finì addosso a Sveva, facendola ruzzolare
per terra e Alex
scoppiò a ridere divertita.
« Non ci
credo! » esclamò Tom, fissandola.
« Sono
assurdi! » commentò lei senza accorgersi del suo
sguardo puntato addosso.
« Hai
riso! »
La ragazza
si voltò ancora con un leggero sorriso stampato sul volto e
fissò il Kaulitz.
« Come? »
« Hai
riso! » ripeté Tom con un mezzo sorriso.
« E io.. non ti ho mai vista ridere! »
« Oh.. »
mugolò Alex abbassando lo sguardo imbarazzata.
« No
scusa, non volevo metterti in soggezione! » si
affrettò a dire. « Ma.. sappi
che hai un bel sorriso. »
Alex sentì
il proprio viso bollire.
«
Gr-grazie! »
Tom fece
spallucce, e poi tornò a tenere d’occhio i cani.
La ragazza
lo guardò con la coda dell’occhio, mentre una
domanda la torturava fin dal
principio.
« Tom, »
lo chiamò. « posso farti una domanda? »
« Certo. »
Prese
fiato e lo guardò.
« Perché
te la sei presa tanto? Per la storia dei vestiti intendo.. »
Tom
sospirò. Sapeva che prima o poi lei gliel’avrebbe
chiesto. Ed era anche lecito
da parte sua, no?
E
mò che le dici?
Cristo,
quella vocina somigliava sempre più a quel cagacazzo di Bill!
« Non lo
so. » fu l’unica cosa che disse.
E Alex
rimase visibilmente sorpresa.
« Faccio
molte cose alla quale non riesco a dare alcuna spiegazione. »
aggiunse poi,
scrollando le spalle.
« C’è
qualcosa che non va? » gli domandò lei.
Tom
sollevò lo sguardo oltre i cani, e si leccò le
labbra.
Restò in
silenzio per un po’, sfregandosi nervosamente le mani.
« Scusa,
sono stata troppo invadente, non volevo. » mormorò
Alex, dandosi della stupida.
« No, hai
ragione. Tu vuoi una risposta e io devo dartela. Non mi sono comportato
bene
con te, dopotutto. »
Arrivò
anche il terzo sospiro, stavolta molto più profondo e Alex
capì che Tom stava
raccogliendo i pensieri per poi rilasciarli fuori secondo una qualche
logica
pressoché ordinata.
E così fu.
« Bill e
io siamo cresciuti sempre insieme. Non ci siamo mai separati. Avevamo
un nostro
mondo, ci siamo creati delle personalità, delle vite, dei
sogni. Siamo
cresciuti da soli perché i nostri genitori.. beh, non erano
proprio dei
genitori. A loro importava molto del lavoro e gli importa ancora visto
che
ormai sono 3 settimane fuori casa e non sappiamo nemmeno dove siano.
Forse in
Georgia o in qualche altro posto là vicino. »
prese fiato, tirando fuori il suo
pacchetto di sigarette. « Così ho iniziato a
sfogarmi in questo modo. Correndo,
facendo ginnastica e… picchiando le persone. »
tirò fuori una sigaretta e la
accese. « Poi sei arrivata tu. Con la felpa uguale alla mia.
E non c’ho più
visto. »
Alex
ascoltava in silenzio, assorbendo tutte le parole.
Aveva
pensato che Tom fosse un cinico. Un
deficiente, stronzo, pirla, fesso del cazzo.
E invece
si sbagliava di grosso.
« Non mi
sto giustificando, quello che ho fatto è imperdonabile e me
ne rendo conto..
però questa è la mia storia. Io e i miei genitori
non abbiamo un dialogo al di
fuori del “Tutto ok?” –
“Sì, tutto ok”. E’ come se
vivessimo due vite
completamente differenti. » continuò a spiegare.
« Bill è più debole. È
sempre
rimasto più sulle sue, e poi ha iniziato a seguirmi sulla
scia del pestaggio.
Era l’unico modo che avevamo per.. avere
un po’ di attenzione. Il nervosismo lo scaricavamo
con un pugno. O
perlomeno, io. Lui stava a guardare o mi sorreggeva le vittime.
»
« Ho notato.
» sghignazzò lei, come per sdrammatizzare.
Ma Tom non
rise. Fece un altro lungo tiro e Alex lo osservò.
Osservò l’incurvatura delle
sue labbra, le sue dita che stringevano quella sigaretta, lo sguardo
perso di
Tom che fissava il nulla.
L’idea, il
prototipo di Tom Kaulitz che s’era fatta, era completamente
fuori pista
dall’originale.
E quasi le
sembrò di avere un’altra persona al suo fianco.
Tom era
bello, quello l’aveva sempre pensato. Ma adesso aveva anche
scoperto che poteva
essere gentile, carino, educato e apprensivo.
E per di
più, non era felice. Glielo si leggeva in ogni movimento, in
ogni battito di
ciglia. Quel ragazzo, stava cercando una svolta per capovolgere la sua
vita.
Tom buttò
la sigaretta per terra e la pestò con forza, ricordando
eventi del passato che
lo annientavano moralmente.
« E tu?
Come mai ti vesti così? Non puoi dirmi che è solo
una questione di stile.
Sembra quasi che ti stia nascondendo. »
Aveva
perfettamente fatto centro, con qualche parola in croce.
Alex si
inumidì le labbra diventate misteriosamente secche e
deglutì.
« Io non
sono di Amburgo. » cominciò.
« No? Da
dove vieni? »
« Berlino.
»
Tom
strabuzzò gli occhi.
« E hai
lasciato Berlino per venire qua?! »
« Berlino
mi ha uccisa. » rispose brevemente la ragazza, suscitando
ancora più interesse
su Tom. « Vivevo là con mia madre e mio padre. Lui
non la amava. Non l’ha mai
amata. Non la capiva, non la ascoltava, spesso e volentieri rientrava a
casa
ubriaco fradicio e la picchiava. La picchiava malamente, fino a
lasciarla senza
fiato sul letto. Poi riusciva e tornava l’indomani.
» raccontò torturandosi le
mani. « Una sera ha preso tutte le sue cose ed è
andato via, senza dare alcuna
spiegazione. Ci ha lasciate, completamente. Mia madre gestiva una
scuola di
danza, ma senza lo stipendio di mio padre era difficile mandare avanti
tutto.
C’erano troppe cose da pagare, troppe spese da affrontare e
io ero ancora
piccola, non potevo mettermi a lavorare. Poi mia madre fu costretta a
chiudere
la scuola, con suo immenso piacere. E da là partì
un calvario. » le mani della
ragazza avevano iniziato a tremare come due foglie che cadono da un
albero, e
se le fissava con insistenza, come se avesse paura che la pelle si
staccasse da
un momento all’altro. « Mia madre si
ammalò. Un cancro, ecco come si chiamava
il suo nuovo amico. E non le lasciò alcuna tregua. La
trascinò via con sé molto
velocemente, portandomela via. E in punto di morte, mi chiese
esplicitamente di
andare via da Berlino per farmi un’altra vita qui, ad
Amburgo. Sono 3 mesi che
cambio lavoro in continuazione, 3 mesi che seguo la scuola senza il
dovuto
interesse e 3 mesi che continuo a pensare a che razza di stupida piega
abbia
preso la mia vita. »
La voce di
Alex iniziò a tremare e Tom allungò cautamente
una mano verso le sue,
dividendogliele.
Ne prese
una e la strinse, riscaldandola.
Alex si
voltò a guardarlo, stupita ed estasiata contemporaneamente
da quel gesto.
Tom si
vide riflesso negli occhi umidi della ballerina, che stentava a
trattenersi dal
piangere.
Si sentiva
tremendamente inutile, in quel momento. Aveva solo contribuito a
rendere la
vita di quella ragazza un inferno. Ma che razza di persona era?!
«
Ricordati che hai un bellissimo sorriso. » fu
l’unica cosa che riuscì a dire.
Alex tentò
disperatamente di abbozzarne uno, ma poi le braccia del ragazzo si
avvolsero
attorno al suo corpo e le lacrime presero il sopravvento.
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Capitolo 9 *** 09. Sacred ***
Tom non aveva mai visto nessuno piangere, ad eccezione di Bill. Ma Bill
non era una ragazza.
E il fatto che Alex avesse iniziato a singhiozzare liberamente mentre
lui la stringeva a sé, l’aveva non poco sorpreso.
Cosa doveva fare? Nessuna ragazza aveva mai pianto davanti a lui.
Quando rientrò a casa, Scotty schizzò da una
parte all’altra cercando Cora, sua sorella.
« Mamma? » domandò Bill dal piano di
sopra.
« Sono Tom. »
« Oh. » Bill scese velocemente i gradini.
« Com’è andata? »
Tom fece spallucce.
« Bene. »
Lo superò e salì al piano di sopra, verso la sua
camera.
« Sicuro che sia tutto ok? » gli strillò
il fratello.
« Perché non dovrebbe esserlo? »
domandò Tom fermandosi sull’ultimo gradino e
voltandosi.
Bill era all’inizio della rampa e lo fissava.
Addosso aveva una tuta ginnica completamente arancione ed era senza trucco.
« Non so, mi sembri un po’.. spossato. E’
successo qualcosa? »
Tom ci pensò un po’. Era ovvio che Bill non si
bevesse quella balla, erano gemelli e quello che provava Tom, Bill lo
percepiva. Ma per qualche strana ragione, preferì non dire
niente al gemello di quella serata particolarmente diversa dal solito.
« No, è tutto ok. Probabilmente sono solo stanco.
Oggi Scotty è più elettrico del normale.
» borbottò dandogli di nuovo le spalle ed entrando
in camera sua.
Si tolse il berretto e lo poggiò sulla scrivania, passandosi
una mano sui cornrows e poi si sedette sulle sedia, fissando il vuoto
più totale.
Si tolse la giacca e la lanciò sul letto, sospirando.
Poi prese il cellulare e osservò l’ultimo numero
che aveva aggiunto alla sua rubrica.
Alex.
Sveva aveva occupato tutto il divano, sdraiandosi beatamente su di esso
mentre Alex preparava la cena.
La TV era accesa e al cane come alla padrona piaceva parecchio
ascoltare la musica su MTV.
Gli occhi della ragazza bruciavano ancora ed erano leggermente
arrossati.
Ma si sentiva decisamente più libera. Non le piaceva
piangere, era vero. Ma si era sfogata come mai prima
d’allora, si era lasciata andare buttandosi a capofitto tra
le braccia di Tom che non aveva detto nulla, era rimasto in silenzio ad
ascoltarla che piangeva, accarezzandole la schiena e continuando a
stringerla.
Poi si erano di nuovo divisi, scambiandosi il numero di telefono.
E Alex aveva iniziato a lanciargli occhiate veloci.
Attendeva uno squillo, un messaggio. Una qualsiasi cosa.
Si sedette sul tavolo, da sola, e iniziò a mangiare.
Quella giornata era senza ombra di dubbio la più strana di
tutte. Si era trovata a raccontare la sua vita ad un ragazzo che
l’aveva scambiata per maschio e che l’aveva pestata
più volte.
E si era anche messa a piangere davanti a lui.
Doveva essere impazzita, si disse.
Il cellulare iniziò a squillare e Sveva si sedette sul
divano, abbaiando.
Alex lo prese e sullo schermo lesse Tom.
Perse un battito e avvicinò l’apparecchio
all’orecchio, rispondendo.
« Pronto? »
Un sorriso comparve sulle sue labbra, appena sentì la voce
del ragazzo.
Nonostante la chiacchierata di quella sera e la telefono di
un’ora, non si scambiarono nemmeno un saluto quando si
incrociarono nel corridoio.
Bill ossessionava Tom parlando di moda e lei era preoccupata a non
farsi schiacciare dagli altri studenti.
Ed entrambi avevano evitato di fermarsi per scambiarsi un sorriso, un
saluto. Un abbraccio.
Ma il fatto era che Tom stava seriamente impazzendo senza dirle un
“ciao”, senza sentirla respirare al suo fianco.
Si prese mentalmente a pugni mentre usciva fuori dalla sua aula
cercando il pacchetto di sigarette in una delle sue trecento enormi
tasche.
« Hey, che hai da guardare?! »
Una forte voce attirò la sua attenzione e sollevò
lo sguardo in tempo per vedere una palla di lardo spingere con forza un
ragazzino contro gli armadietti, facendolo sbattere.
Dal gemito che quello tirò fuori, Tom rimise immediatamente
il pacchetto in tasca, dandosi del pirla mentalmente.
Quella era Alex!
Si avvicinò quasi correndo al ciccione e gli
mollò uno spintone sulla spalla.
Alex lo guardò quasi come se fosse stato un angelo.
« Hey, chi ti credi di essere?! » lo
intimidì avvolgendo la ragazza con un braccio e spostandola
dietro sé.
Alex si aggrappò con le mani alla sua camicia rossa e nera,
un po’ per ripararsi e un po’ per tenerlo fermo.
« Devi starle lontano, è chiaro?! »
Il ragazzo non rispose e si dileguò a gambe levate.
Tom si voltò, posando le mani sulle spalle della ragazza.
« Alex. » la richiamò, sospirando.
« Come fai a cacciarti in tutti questi guai?! E’
stata una fortuna che stessi passando di qua. »
« Lo so Tom, lo so e.. ti ringrazio ancora una volta ma.. io
stavo solo camminando! E’ che tutti pensano che sia un
ragazzo e.. se la prendono con me.. » evitò di
dire che era iniziato tutto a causa sua, ma l’aveva pensato.
Tom sospirò.
« Perché tieni addosso questa cuffietta? Se
portassi i capelli sulle spalle, nessuno ti darebbe più
fastidio, lo sai no? »
« Sì, certo che lo so.. »
mormorò lei abbassando lo sguardo.
« Allora perché non molli queste cuffiette? Oppure
mettile in testa ma lascia scivolare giù i capelli!
»
« Tom, non è così semplice, io.. ho dei
ricordi legati ai miei capelli che.. off! »
sospirò scuotendo la testa. « Mia madre era solita
accarezzarmeli. Ci passava ore intere e di solito le piaceva farlo
quando andavo a dormire. Io mi rilassavo, per me era la cosa
più bella che qualcuno potesse fare.. continuava a dirmi che
i miei capelli le piacevano un sacco, che non avrei mai dovuto
tagliarli. E ora che lei non c’è più,
questi capelli portano il suo odore, i suoi gesti.. e non
c’è nessuno che me li accarezzi per il puro
piacere di farlo… »
Tom la osservava mentre parlava, estasiato dal suono della sua voce e
dalle movenze delle sue labbra.
Quella ragazza gli faceva provare un formicolio intenso in ogni singola
parte del corpo e il solo sfiorarsi lo mandava in iperventilazione.
« Posso farlo io. » disse poi, raccogliendo tutto
il coraggio che gli era rimasto, come se fosse un vigliacco.
Alex sollevò di colpo il capo, guardandolo.
« Come? »
Tom notò che aveva di nuovo gli occhi umidi ma non voleva
che si rimettesse a piangere. Così si affrettò ad
indicare la cuffietta che la ragazza aveva in testa.
« Posso accarezzarti io i capelli. Anche se non sono tua
madre. »
Alex sentì un vortice, un uragano nella sua pancia. Le
scombussolò tutto, facendole girare la testa e
riuscì a contare i battiti del suo cuore senza toccarsi il
petto.
Annuì nascondendo un sorriso e Tom avvicinò una
mano verso la testa della ragazza. Afferrò la cuffietta e
gliela sfilò con cura, osservando attentamente la sua chioma
che cascava giù. L’aveva vista altre volte, ma mai
così vicino. Mai col desiderio di tuffarci le mani in mezzo.
Deglutì a fatica, sentendo la gola bruciare e poi
avvicinò una mano ai capelli della ragazza, che profumavano
di pulito.
In poco tempo, la sua mano destra stava accarezzando la chioma castana
della ballerine che aveva adagiato la testa al petto di Tom.
La mano del ragazzo era grande, compiva gesti timidi e insicuri. E ad
Alex piacevano da morire, le procuravano brividi lungo la spina dorsale.
Tom fissava le sue espressioni, cercava di tranquillizzarla, di
rimediare a tutti gli errori che aveva commesso.
Alex, dopotutto, non gli aveva fatto niente. Eccetto farlo sentire
diverso dal resto del mondo ogni volta che la guardava.
Lei sollevò lo sguardo incrociando il suo e Tom si
sentì sopraffatto da una grande voglia di imprimersi il
sapore di quella ragazza sulle sue labbra.
Chinò leggermente il capo decidendo di soddisfare quella sua
voglia, ma la campanella precedette ogni sua azione e un’orda
di studenti sbucò improvvisamente fuori dalle aule.
Quel pizzico di atmosfera che c’era nel corridoio,
svanì così com’era comparso.
« Tom! » Bill chiamava il fratello del fondo del
corridoio, e Alex si riprese velocemente la cuffietta.
« Ci vediamo. » si dileguò, entrando in
bagno.
Era ovvio: qualcosa in lui era cambiato. Forse un po’ tutto.
Com’è che non sentiva più la
necessità di picchiare qualcuno? Ma, al contrario, aveva il
costante bisogno di sentire quella ragazza?
Alex lo stava mettendo duramente alla prova. Senza nemmeno accorgersene.
Bill bussò alla porta di camera sua.
I genitori erano ancora fuori e avevano fatto sapere che sarebbero
stati fuori ancora per un po’. Ma né Bill
né Tom sapevano dove si trovassero.
« Tom. » disse Bill facendo il suo ingresso.
« Bill. » lo imitò Tom, mettendosi a
sedere sul letto.
« Io e te dobbiamo parlare. »
Tom odiava quando Bill diceva quella frase. Era come se stesse dicendo
“Tu hai qualcosa che non va e io mi preoccupo peggio della
mamma”.
Perciò fece spallucce e attese che Bill iniziasse il suo
sermone.
« Il mio istinto femminile mi dice che ti stai prendendo una
cotta. »
Tom trasalì.
« Bill, sei un maschio! Che.. che cazzo stai dicendo?!
Istinto femminile?! »
Bill annuì fermamente convinto e incrociò le
braccia sul petto, come suo solito.
« Insomma! Ogni volta che la vedi ti agiti, smetti di
parlare, di fumare, di fare qualsiasi azione che non abbia un
collegamento con lei e probabilmente se potessi la seguiresti ovunque
lei vada. Per non parlare del fatto che l’altro giorno sia tu
che Scotty siete rientrati uno più su di giri
dell’altro e.. la tua giacca odora ancora di profumo di
femmina! Poi clamorosamente passi giornate intere sdraiato a fare un
emerito cazzo ma la cosa ancora più strana è che
hai smesso di guardarti porno, di passare le nottate fuori con qualche
pivellina dalla quinta sproporzionata rispetto al corpo e di picchiare
chiunque ti vada a genio! »
Bill aveva assunto il colore di una prugna e Tom strabuzzava gli occhi.
« E non dirmi che non c’è niente fra te
e quella Alex, perché siamo gemelli omozigoti e so
perfettamente quando mi dici una minchiata! » aggiunse.
« Cosa che hai fatto nelle ultime due settimane. »
« Ok Bill, calmati e vedi di respirare o dovrò
regalarti un inalatore per il prossimo compleanno. Ok? »
Bill non rispose e prese una grande boccata d’aria. Poi si
sedette sulla sedia davanti alla scrivania.
« Sentiamo un po’. Ti devo fare le domande io o mi
rispondi con un discorso serio? »
« No, fammi il terzo grado, tanto non saprei manco quali sono
le risposte che cerchi. »
« Ok, bene. Ti piace? »
« Chi? » sbuffò Tom giusto per perdere
tempo.
« Alex, idiota! »
Il ragazzo si grattò la nuca.
« E’ carina e.. simpatica. »
« Ok, ti piace. »
« Bill, non tirare conclusioni affrettate! »
« Tu le piaci? » lo ignorò il gemello.
« Ma cosa ne so, a me nemmeno interessa saperlo! »
TIK! Una ruspa gli sfregò una parte del cervello facendogli
risuonare l’allarme “Balla megalomane”,
e Bill sollevò il sopracciglio destro. Non era stupido.
« Certo, come no. » sghignazzò.
« Avanti, parlami di lei. »
« Cosa? »
« Parlami di lei. » ripeté con
più enfasi. « Quanti anni ha,
com’è il suo carattere. Le cose basilari.
»
Tom si schioccò il collo con un movimento e si mise bene a
sedere sul letto, preparandosi psicologicamente ad essere intimidito
dalla figura esile del gemello.
« Ha 18 anni e.. beh, è una normale ragazza.
»
« Deve avere qualcosa per piacerti. »
Bill aveva ragione, e Tom lo sapeva. Solo che era così
cocciuto da non voler nemmeno sfiorare quella possibilità.
« E’ gentile. » iniziò.
« E? »
« Ha un bel sorriso… »
« E? » insistette Bill.
« E ha un buon profumo. Ha anche dei bei capelli e delle
belle mani. Ha pure un fisico abbastanza carino, quando balla si muove
abbastanza bene – nella sua mente passarono le parole
“quando balla
è una vera bomba” – e poi..
»
Penso ai suoi occhi. A quando li aveva visti pieni di lacrime, a quando
aveva capito che quella ragazza aveva dovuto sorpassare delle
difficoltà.
« E poi? »
« Ok, va bene hai vinto tu. Mi piace, contento?
»
Bill sfoggiò uno dei suoi sorrisoni smaglianti, allargando
la faccia a dimensioni paurose e poi batté le mani,
entusiasta.
Tom sbuffò e roteò gli occhi.
« Quando me la presenti? »
« Ma la conosci già! »
« Ti devo ricordare in che situazione ci siamo conosciuti?
»
Tom scosse la testa.
« No, lascia stare. »
Alex aveva più volte ripensato a quel momento con
Tom. Alla sua mano fra i suoi capelli, al suo profumo, alle sue braccia
così protettive. E aveva anche ripensato a quel sogno, fatte
un po’ di tempo prima.
Aveva rivalutato Tom in un milione di modi diversi da come se lo
sarebbe immaginato.
E mentre faceva queste riflessioni, Sveva passeggiava tranquilla per le
vie di una Amburgo quasi priva di gente.
Dicembre aveva portato neve dappertutto ma questo non significava che
la cagnetta dovesse stare chiusa in quell’appartamento tutto
il tempo.
Così sembrava quasi avesse pregato la padroncina di portarla
fuori. E Alex non ci aveva poi pensato su troppo tempo.
Aveva indossato una sciarpa, un giubbotto e si era messa un cappello in
testa. Ma lasciando i capelli sciolti.
Così camminava sul marciapiede ghiacciato tenendo il
guinzaglio del suo cane che le aveva procurato un altro lavoro, con il
suo solito metodo.
Fu un misero istante, e Sveva iniziò a correre facendo
scivolare il guinzaglio dalle mani della sua padroncina.
« Sveva! » fu il suo richiamo, ma il cane
continuò a correre e svoltò l’angolo.
Alex la seguì stando ben attenta a non scivolare come una
pera e quando svoltò l’angolo, si aspettava di
vedere il cane che pisciava su un albero, non di vederlo accoccolato
mentre amoreggiava con Scotty.
E tantomeno s’immaginava di vedere Tom affianco a Scotty.
I due si guardarono, entrambi stupiti di trovarsi ancora una volta.
Poi Tom abbozzò un sorriso e fece un gesto di saluto a cui
Alex rispose con un sorriso.
« Sveva. » la richiamò, ma il cane non
smise di annusare Scotty.
« Credo che qualcuno abbia trovato un nuovo amico.
» rispose Tom. « Tutto ok? »
Alex annuì.
« Tutto ok, sì. Tu? »
Il ragazzo fece spallucce.
« Non mi lamento. E con matematica? »
L’espressione di Alex si trasformò in puro
disgusto.
« Deduco ci siano altri problemi. »
ironizzò.
« E’ che per me è proprio un altro
mondo! » spiegò la ragazza avvicinandosi.
« Te l’ho detto, se vuoi posso aiutarti. »
Alex si morse un labbro, e Tom si sentì ancora
più attratto da lei.
« Lo faresti sul serio? »
Il ragazzo annuì aggiungendo un sorriso.
Sveva e Scotty iniziarono a rincorrersi attorno ai loro padroni e
intrecciando i guinzagli.
« Sveva, fermati! Sveva! » la chiamò
Alex girando su se stessa come una trottola.
« Scotty fai da bravo, smettila di… ! »
I cani strinsero i loro guinzagli tra le gambe dei loro padroni e
questi si trovarono uno di fronte all’altro, ad una distanza
minima. Quasi nulla.
Le mani della ragazza erano chiuse, poggiate sul petto di Tom che la
fissava assalito nuovamente da quella strana sensazione di farla sua
con un solo gesto.
E, perso nell’immensità di quelle emozioni che lo
frastornavano, cedette. Cedette a quel peccato e assaporò
lentamente quella bocca che sembrava fosse stata creata solo ed
esclusivamente per lui.
Alex sentì le sue dita sfiorarle il viso con cautela e
provocarle piccoli brividi sulla nuca. Il suo cuore prese a battere
straordinariamente veloce e quasi si sorprese di riuscire a stare
ancora in piedi, mentre il profumo di Tom la inebriava, avvolgendola.
Nulla attraversava le loro menti, niente importava più.
C’erano solo le loro labbra che si rincorrevano e i loro
corpi che si avvicinavano sempre di più, cercando di coprire
ogni distanza possibile.
Poi i cani sciolsero i loro guinzagli e si sedettero manco fossero due
spettatori.
Tom non aveva mai baciato nessuna ragazza col desiderio di farlo. Con
la paura di intimidirla. Quella era come se fosse una seconda prima
volta per lui. E solo quando aprì di nuovo gli occhi, con le
labbra che bollivano, distanti da quelle di Alex, si accorse di quello
che era accaduto.
« Scusa! » si affrettò a dire mentre lei
indietreggiava arrossendo sulle guance.
« No, tu.. io.. » balbettò. Scosse la
testa e poi afferrò il guinzaglio di Sveva, tirandola via.
« Devo andare. »
Il cane abbaiò energicamente ma la ragazza non ci
badò e si affrettò a voltare l’angolo.
Camminò a passo svelto fino a casa sua.
Aveva mal di stomaco.
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Capitolo 10 *** 10. Pick me up ***
Tom si
prese la testa fra le mani, cercando di imprimersi nella memoria quel
minuscolo
paragrafo di storia. Ma sapeva perfettamente che era tutto inutile.
Tutto gli
ricordava quel momento, quel bacio. Tutto lo agitava ancora di
più.
Alex
probabilmente l’avrebbe preso per un maniaco sessuale. Eppure
Tom aveva provato
qualcosa di diverso dalle altre volte che baciava una ragazza. In
precedenza il
suo unico scopo era far fare ginnastica alla sua lingua. Ma in quel
caso, era
tutto diverso. Aveva voluto accarezzare le labbra di quella ragazza con
le
sue, aveva voluto
sfiorarle il viso per
accertarsi che fosse vera e non un altro stupido sogno e si era sentito
tremendamente bene quando aveva sentito che lei non si era allontanata,
ma
aveva risposto a quel bacio.
Fu come
essere entrato in un’altra dimensione nettamente migliore a
quella dove viveva.
Un po’ come accadeva tutte le volte che la aveva al suo
fianco.
Forse
quello era un primo segno di pazzia, pensò.
Bill bussò
incerto alla porta.
« Avanti. »
sbuffò Tom, mettendosi ritto sulla sedia.
Il
fratello fece capolino e abbozzò un sorriso.
« Hey. »
lo ammonì, « Tutto ok? ».
Tom annuì
con un’espressione che diceva “Sicuro,
non vedi con quanta allegria stia saltando sul letto in questo momento?!”
« E’
successo qualcosa? » azzardò Bill, entrando nella
camera.
Tom
sospirò e strinse i pugni.
« L’ho
baciata. » rispose, voltandosi verso il gemello.
Bill
spalancò gli occhi portando avanti la testa.
« Cosa?! »
« L’ho
baciata! » ripeté Tom.
« E lei? »
« E lei
niente. »
« Ti ha
dato uno schiaffo? »
Tom scosse
la testa.
« Ti ha
spinto via? »
« No. »
« Ti ha
fatto capire che le facevi tremendamente schifo? »
« Grazie
per averci provato, ma no. »
« E allora
cos’ha fatto?! »
« Nulla,
ha.. risposto al bacio, ma è normale. »
Tom prese
una penna e iniziò a battere sul libro aperto.
« E allora
qual è il problema?! » domandò ancora
Bill.
« Il
problema è che mi sento a disagio! »
sbottò il fratello. « Non mi sono mai
comportato così con una ragazza e tu lo sai bene! E
clamorosamente mi ritrovo
con la pelle d’oca e la paura di
averla terrorizzata come mio solito! Che cavolo faccio appena la vedo
per i
corridoi?! Che diamine succede se lei non mi saluta?! E per la miseria,
non è
possibile che non riesca a studiare questo cazzo di paragrafo di
storia! »
Batté una
mano sul libro e poi lo chiuse con un tonfo.
Bill lo
fissò ammutolito. Se non fosse stato per il fatto che si
aspettava una reazione
più o meno simile, l’avrebbe definito
un’altra persona.
« Tom »
esordì, andando a sedersi sul letto del gemello. «
hai mai pensato di avere un cuore?
»
Nascondersi
dagli sguardi altrui le riusciva tremendamente bene, quando voleva.
Bastava
solo saltare il pranzo e nascondersi nei bagni, no?
«
Patetica. » si disse lanciando via la sigaretta senza
spegnerla.
Stava
scappando da qualcosa che la faceva sentire bene ma che,
contemporaneamente,
temeva.
Si mise
meglio la sciarpa mentre tornava a casa dopo una stressante giornata di
lavoro
come cassiera in una vecchia pasticceria.
Una volta
aperta la porta, Sveva le corse incontro facendo le feste.
« Tu me la
paghi. » la rimproverò la ragazza ironicamente,
mentre posava il giubbotto su
una sedia ed entrava nella sua camera per cambiarsi.
La lezione
di danza sarebbe iniziata a breve ma nonostante questo, Alex fece lo
stesso le
cose senza fretta, con una calma e una lentezza surreale. La
verità era che
aveva un vortice di pensieri sconnessi a tenerla occupata. Come se
facessero
parte di un rompicapo, di un sudoku.
Sveva
mugolò quando Alex uscì di nuovo, ma non poteva
certo portarla con sé.
La lezione
come previsto era già iniziata e la ragazza si
scusò con l’insegnante, per poi
mettersi nell’ultima fila e ripetere la coreografia.
Era
distrutta, aveva i nervi a pezzi ma la cosa più sbalorditiva
era che ci metteva
tutta sé stessa. Ballava con l’anima, sfruttando
tutte le forze che le
rimanevano.
« Per oggi
va bene così. Passate un buon Natale e un felice anno nuovo
ragazzi. » esordì
l’insegnante, spegnendo la musica.
« Grazie. »
risposero tutti in coro.
Alex prese
il suo borsone, la felpa e uscì dall’aula tirando
fuori una bottiglietta
d’acqua.
Si avviò
verso le scale per andare al piano di sotto quando qualcuno le prese il
braccio, facendola voltare.
« Tom?! »
Il ragazzo
sorrise.
«
Disturbo? »
« No,
tranquillo. »
Ecco di
nuovo lo yeti in pancia che ballava la salsa con un gonnellino hawaiano.
« Come hai
fatto a trovarmi?! »
Tom tossì.
« Ti ho
seguita. » rispose. « Volevo passare a casa tua ma
poi ho visto che sei uscita
e ho pensato di fermarti per strada.. solo che poi sei entrata qua
così ho
preferito aspettare. »
« Mi hai
vista ballando?! » domandò Alex arrossendo
vistosamente.
Tom annuì
sorridendo.
« E, detto
fra di noi, balli davvero bene. »
Alex si
lasciò sfuggire un sorriso timido e Tom si sentì
tremendamente imbarazzato da
abbassare lo sguardo e battere un piede per terra.
« Come mai
mi cercavi? »
Lui fece
spallucce sollevando di nuovo lo sguardo.
« Mi
chiedevo se ti andasse di mangiare fuori con me. Niente di formale,
solo.. una
pizzetta con le bestie visto che Scotty moriva dalla voglia di vedere
Sveva. »
« Adesso? »
Lui annuì.
Alex
abbassò lo sguardo su sé stessa.
« Avrei
bisogno di una doccia. » disse più a sé
stessa.
« Posso
aspettarti. » si offrì lui, con un sorriso.
« Va bene!
»
Uscirono
insieme dalla scuola e Scotty era seduto ad attenderli dentro la
macchina di
Tom parcheggiata là davanti.
Salirono,
mise in moto e arrivarono subito a casa di Alex.
Aprì lo
sportello.
« Ti
aspetto qua. » disse Tom.
« Non sali?
Mi dà fastidio lasciarti qua da solo. »
Gli bastò
un’occhiata al viso della ragazza per capire che, dopotutto,
non era una
cattiva idea.
Scese
anche lui con Scotty, Alex aprì il portone principale e poi
salirono fino al
suo appartamento.
« Non è
grande come casa tua ma non posso permettermi molto. »
« Mi hai
preso per un tipo materialista?! »
« No, ma
non conosco i tuoi gusti. »
La ragazza
entrò chiamando il cane a gran voce, che comparve nel
salotto con la lingua a
penzoloni.
Scotty le
corse subito incontro e fu come se i due animali si stessero
abbracciando. La
scena scaturì le risate di entrambi i padroni che erano
rimasti fermi sulla
soglia.
« Vado a
farmi una doccia veloce, tu fai come se fossi a casa tua, ok?
»
« Ok, va
bene. »
Tom si
sedette nel divano. Avrebbe passato tutto il tempo seduto
là, ne era sicuro.
Così ne
approfittò per dare uno sguardo in giro.
Le pareti
color pesca davano un’atmosfera tranquilla alla casa. Il
soggiorno era arredato
con un divano – dove c’era saldamente piombato il
suo culo – color panna, una
TV davanti ad esso, un tavolino fra i due e qualche quadro sparso qua e
là.
Scotty e
Sveva avevano iniziato a rotolarsi sul pavimento e Tom si accorse
dell’acqua
che scendeva dalla doccia.
Si alzò
scacciando via pensieri non consoni a quella situazione e prese a
camminare sul
parquet della casa.
Vide la
cucina, arredata con mobili in legno scuro e con un tavolo a 4 posti al
centro.
Poi si spostò verso la camera da letto. Le lenzuola erano
bianche, le pareti
gialline e c’era una finestra che dava ad un piccolo
balconcino. Delle tende
arancioni la coprivano, ma Tom intravide lo stesso delle sedie intorno
ad un
tavolino.
Non
c’erano specchi ma un grande armadio davanti al letto e dei
comodini in vetro
con qualche foto e qualche fiore.
Si
allontanò dalla stanza mentre sentiva l’acqua
chiudersi e tornò nel soggiorno.
Si
risedette nel divano dando una carezza a Sveva e battendo con un piede
per
terra, attendendo.
Ci volle
un pochino prima che la porta si aprisse.
Ma quando
Tom si voltò, udendo il rumore di un paio di tacchi,
pensò che ne era valsa
davvero la pena contare quante macchie avesse Scotty sul suo manto.
Alex
spense la luce del bagno e si portò un ciuffo dietro
l’orecchio. Tom si alzò
dal divano e lo stesso fecero i cani, ancora accovacciati al suolo.
« Scusami
se ci ho messo tanto, è che ho fatto un casino con
l’acqua. » si scusò la
ragazza.
Il suo
corpo era avvolto da un maglioncino grigio a mezza manica. Indossava
degli
stretti jeans neri e delle scarpe grigie.
In un
polso aveva un bracciale nero e i suoi occhi erano stati disegnati da
un filo
di trucco che li risaltava ancora di più in tutta la loro
semplicità.
Tom restò
qualche istante ammutolito, assorbendo l’effetto che quella
semplice ragazza
gli stava provocando. Brillava ai
suoi occhi.
Poi si
risvegliò da quel coma temporaneo e la raggiunse inciampando
sui suoi stessi
piedi e sbattendo una gamba sul divano.
« Sei.. bellissima.
»
Sveva e
Scotty erano così impegnati a farsi le coccole che non gli
passava nemmeno per
la testa di scappare a zampe levate, visto che i loro padroni avevano
mollato i
guinzagli, e si erano abbandonati su una panchina dopo una pizza che li
aveva
saziati a dovere.
E no, non
era ancora successo nulla,
nonostante
le labbra di Alex richiamassero quelle di Tom con costanza.
« Allora, »
esordì lui rompendo un leggero silenzio. « sai
già cosa farai dopo la scuola? »
Alex
respirò profondamente e poi fece spallucce.
« Una
volta lo sapevo. »
Tom sapeva
che i ricordi di Alex erano confusi. E che la mancanza della madre si
faceva
sentire frequentemente. Ma voleva che quella ragazza si smuovesse, che
si
aprisse con lui più di quanto non avesse già
fatto. E non sapeva nemmeno
perché, ma starla ad ascoltare, vedere che lei si fidava di
lui, lo faceva
stare particolarmente bene. Lo faceva sentire diverso.
Attese che
lei continuasse a parlare, perché era certo che
l’avrebbe fatto.
« Quando
ero bambina, vedevo mia madre ballare. Vedevo quanta passione mettesse
nei suoi
insegnamenti, con quanta attenzione curasse la sua scuola. E volevo a
tutti i
costi diventare come lei. Volevo avere anche io la mia scuola di
musica, un
giorno. » raccontò.
« E non
può essere così? »
« La danza
è la mia vita. È tutto ciò che mi
è rimasto. Ma non posso. Non posso lasciarmi coinvolgere
troppo, io.. non voglio diventare una schiava della danza, non voglio
poi dover
rinunciare ad essa. »
« Nessuno
ha detto che tu sarai costretta a farlo. Avanti, perché non
ci provi? »
La ragazza
deglutì e poi sollevò lo sguardo verso il cielo.
« Il sogno
di mia madre era di far felici le persone con il ballo. Era di
insegnare a fare
del ballo una via d’uscita. Non guadagnare da esso.
»
« Tu ami
ballare? »
Alex
spostò lo sguardo sul viso di Tom.
« Sì. »
« Ti rende
felice? »
« Sì,
certo. »
Tom le prese
una mano e la strinse.
« Allora
penso che tua madre desideri vederti felice. »
Il modo in
cui lo disse, la tenerezza dei suoi occhi e la naturalezza della sua
voce,
schiusero il cuore di Alex. Lo sentì battere forte in petto,
quasi stesse
implorando di uscire per vivere.
Quello era
il vero Tom. Quella era la persona che non aveva mai incontrato nella
sua vita.
Una persona che riuscisse a provare le sue stesse emozioni? No. Una
persona che
la vedeva per quello che era davvero. E non un’orfana che si
vestiva da
maschio, con l’insufficienza in matematica. Ma una ballerina
che amava
quell’arte.
Tom la
vedeva. La capiva. La rifletteva.
Non ebbe
molto da pensarci, si tuffò addosso al ragazzo e
insinuò la testa fra il suo
collo e la sua spalla, abbracciandolo.
Ad Alex
non era mai importato nulla dell’amore. Non ci aveva mai
creduto e non era
difficile immaginare il perché.
Ma Tom…
Tom era così dannatamente diverso dal resto del mondo, da
ricordarle di
possedere un cuore. Da ricordarle quanto fosse splendidamente
traumatizzante
sentire lo stomaco in subbuglio.
« Grazie,
Tom. »
Le mani
del ragazzo affondarono di nuovo tra i capelli di Alex che si
trovò in uno
stato di quasi completa estasi.
« Andiamo,
ti porto a casa. »
Alex
sollevò lo sguardo e vide Tom sorriderle, fiducioso.
Prese il
guinzaglio di Sveva e stava per portarsi una mano dentro la tasca del
giubbotto, per riscaldarla, quando fu Tom ad abbracciarla con la sua,
nettamente più grande.
Il ritorno
sembrò più veloce dell’andata, forse
per il semplice fatto che entrambi erano
preoccupati a constatare quanto bello e naturale fosse tenersi per mano.
E poi,
arrivarono davanti al portone.
Tom le
lasciò la mano e la guardò dall’alto
verso il basso, con un mezzo sorriso.
« Ho
passato una bella serata. » commentò lei.
« Anche
io. »
Sveva e
Scotty si fissarono un momento. Poi avvicinarono i musi, sfiorandoseli
a
vicenda.
Alex rise,
intenerita da quella scena.
« Alex »
la chiamò Tom.
Lei
sollevò lo sguardo mentre il sorriso svaniva, e alla poca
luce della luna e di
qualche lampione lontano, riusciva a vedere il volto di Tom immerso in
un
profondo giochi di luci e ombre.
« Posso
baciarti? »
Nessuno
gliel’aveva mai domandato. Nessuno si era mai preoccupato di
ricevere una
risposta.
Nessuno,
tranne Tom.
Annuì
senza parlare, con un semplice movimento della testa e un sorriso.
E in
qualche misero istante, le labbra di Tom trovarono di nuovo quelle
della
ballerina.
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Capitolo 11 *** 11. Savior ***
Volava.
Qualcuno
gli aveva montato due ali e lui aveva iniziato a volare, guardando la
vita con
occhi diversi.
E non se
ne pentiva nemmeno un po’.
Si sentiva
decisamente più leggero, ad almeno cinque metri da terra, ed
era tutto a causa
di Alex.
O forse, per merito di Alex.
Bill non
aveva nemmeno chiesto il motivo di tanta allegria quella mattina, non
gli era difficile
trovarlo da sé.
Dopo una
piacevole chiacchierata fatta col fratello, su un argomento che non
avrebbe mai
pensato di affrontare, Tom era tornato a casa con un grosso sorriso
stampato
sul volto.
E sembrava
non ci fossero differenze fra la reazione di Tom e quella di Scotty.
Entrambi pareva
avessero completamente perso il senno.
Tom
camminava tranquillo per il corridoio. Di solito mangiava in mensa solo
e
quando glielo chiedeva Bill o Andreas. Ma quel giorno, anche se non
gliel’aveva
chiesto nessuno, si decise a varcare quella soglia.
Calò il
silenzio fra i presenti.
Bill, che
era già seduto, lo guardò perplesso.
Tom si
diresse a passo sicuro oltre il suo tavolo, rivolgendogli uno sguardo e
mentre
le sue scarpe e i suoi jeans strisciavano per terra con fare
disinteressato, si
avvicinò ad un tavolo occupato da una sola persona, che non
mangiava ma bensì
leggeva una rivista.
Le si
sedette affianco e poi poggiò i gomiti sul tavolo, mentre
dei mormorii si
levavano un po’ dappertutto.
« Ma che
diavolo sta facendo?! » chiese Andreas al ragazzo androgino.
Bill lo
guardò trattenendo una risata.
« Credo si
sia appena trovato una ragazza. »
Alex
sollevò leggermente lo sguardo dal giornale e lo
voltò verso Tom, che aveva un
mezzo sorriso stampato sul viso.
Il ragazzo
non le lasciò nemmeno il tempo di fargli qualche domanda che
la baciò a stampo
sulle labbra, solo per toccarle ancora una volta.
E allora
cadde davvero il silenzio.
Qualcuno
lasciò cadere qualcosa a terra che fece un baccano assurdo
in quell’atmosfera
morta.
Alex
abbassò lo sguardo arrossendo.
« Mi sento
osservato. » constatò Tom. « Ti va di
venire fuori? »
Lei annuì
e insieme si alzarono dal tavolo. Il ragazzo le strinse una mano e si
incamminarono verso l’uscita.
« Chi
l’avrebbe mai detto. Gay pure lui. »
Quella
frase, anche se sussurrata, arrivò dritta alle orecchie dei
due.
Tom si
fermò e lo stesso fece Alex.
Si voltò
verso la sua destra, fissando l’unica persona che avrebbe
potuto pronunciare
quella frase.
Lo conosceva,
non l’aveva mai sopportato e la cosa era reciproca.
Si
chiamava Erwin, era un anno più piccolo di lui e odiava quei
suoi capelli rossi
e quelle sue lentiggini. Era il classico secchio omofobo che della vita
non
aveva ancora capito un emerito cazzo e molto probabilmente si faceva
ancora la
pipì a letto, secondo Tom.
Lasciò
andare la mano di Alex e gli si avvicinò lentamente.
Gli
bolliva lo sguardo, l’avrebbe incenerito se solo ne fosse
stato capace. Quei
suoi sudici abiti avrebbero preso fuoco in men che non si dica e lui
sarebbe
stato carbonizzato solo per l’enorme cazzata che aveva detto.
Non conosceva
Tom, tantomeno Alex. Eppure
aveva
parlato. Aveva espresso un giudizio a riguardo, si era reso partecipe
di quella
scena e l’aveva rovinata, mandando Tom in bestia.
Non perché
avesse qualcosa contro i gay. Per il semplice fatto che tutti avessero
creduto
che Alex fosse un maschio. E che si stessero prendendo la briga di
esprimersi
su quello che lui faceva.
Li odiava,
dal primo all’ultimo.
Erano una
massa di fessi, tutti uguali che si basavano su stupidi stereotipi e
non
capivano nulla, esattamente nulla, di tutto quello che li circondava.
« Come,
scusa? »
Se fosse
stato un drago, sarebbero uscite fiamme al posto di quelle parole.
Il ragazzo
indietreggiò con la sedia e le mani di Tom si stavano
già serrando in due
pugni, quando alle sue spalle sentì dei sussurri e una mano
gli si posò sulla
spalla.
Si voltò
pensando che fosse Bill, ma si sbagliava.
Era Alex.
E tutti la
stavano guardando.
Si sentiva
nuda. Completamente nuda. Perché? Perché aveva
appena mostrato a tutta la sua
scuola quanto potesse essere femminile anche indossando una felpa
oversize e
dei jeans dal cavallo basso.
Tom la
osservò e gli occhi della ragazza funsero da estintore per
le fiamme che
ardevano attorno a lui.
Le passò
una mano sulla testa, tastandole ogni singolo capello come se fosse
stato oro,
e poi la tirò via, lasciando tutti a bocca aperta.
Il
corridoio era vuoto, Tom procedeva velocemente senza guardarsi alle
spalle,
tirando via l’unica persona che volesse con sé in
quel momento.
Spalancò
la porta principale e scese i gradini, per poi fermarsi in mezzo al
cortile e
lasciare andare la ragazza.
Si prese
la testa fra le mani e si maledisse più volte. Stava per
farlo di nuovo.
Aveva ceduto
alla rabbia che gli ribolliva da anni e stava per prendersela con quel
fesso.
No, non
era cambiato, si disse. Era sempre la stessa testa di cazzo, capace di
commettere sempre gli stessi errori.
Era vero,
avrebbe volentieri spaccato la faccia a quel pirlone, ma che diritto
aveva?
Aveva
terrorizzato tutti i suoi compagni dal primo giorno, scartavetrandosi
le nocche
per il puro piacere di sfogarsi su un corpo che non era capace di
difendersi a
dovere.
« Tom. »
Alex era
là, con lui.
Aveva
pronunciato il suo nome in un sussurro, timorosa.
La guardò
col volto stravolto da tremila pensieri e emozioni diversi.
Scosse la
testa con un sospiro amaro.
« Che
razza di persona sono?! » mormorò.
« Tom, se
vuoi posso… »
« No. Tu
non devi fare niente, hai… già fatto abbastanza
per me. »
Lei scosse
leggermente la testa.
« Non sono
cambiato d’una virgola. Sono sempre lo stesso mostro.
»
« Tu non
sei un mostro. »
« Ah no?! »
sbottò Tom voltandosi nuovamente a guardarla. « E
allora cosa sono? Cosa sono,
Alex? Ti ho picchiata, ti ho derisa, ti ho umiliata e pensavo di essere
cambiato, pensavo che tu mi avessi
cambiato ma.. non è così. Sono sempre lo stesso
sciocco che non sa regolarsi,
che è sempre pronto a dare un pugno al primo che passa. Ti
ho umiliata un’altra
volta, facendo il figo davanti a tutti. Volevo mostrare che ero una
persona
diversa, che si può cambiare ma.. mi sbagliavo. Mi sbagliavo
di grosso, io..
non sono assolutamente cambiato. »
«
Ascoltami bene. » lo rimbeccò la ragazza,
avvicinandosi. « Tu non sei un mostro!
Non sei nulla di quello che dici di essere! Sei nervoso, hai un passato
e un
presente difficile che ti circonda e questo non ti aiuta, fa
sì che ti
accanisca contro chi con te non ha nulla a che fare. Ma non sei una
bestia. »
« E allora
cosa sono? »
Tom si
vide riflesso negli occhi scuri della ragazza che aveva davanti.
Alex lo
guardò, trafiggendolo.
Non stava
pensando, la risposta ce l’aveva ed era pronta a prendere il
volo per portarlo
in salvo.
« La mia
salvezza. »
Un
vulcano, un temporale, un fuoco d’artificio e un lungo
brivido occuparono il
corpo di Tom che non seppe più cosa dire.
Lui non
poteva essere il suo Salvatore.
Era lei che aveva salvato lui.
La guardò
come se fosse l’ultima volta che la vedesse, e poi le si
tuffò addosso,
travolgendola in un abbraccio.
Tom non
piangeva, ma in quel momento gli sembrava di esserci molto vicino.
Alex gli
strinse la felpa e si adagiò sul suo petto.
« Scusa… »
sussurrò il ragazzo.
Alex
scosse la testa, ancora fra le sue braccia.
Poi si
allontanò e gli accarezzò il viso.
La pelle
di Tom era sempre calda, sembrava una stufa.
« Non c’è
bisogno che tu mi chieda scusa. » sussurrò.
« Io sono sempre al tuo fianco. »
Le braccia
di Tom si strinsero di nuovo al corpo di Alex.
E poco
dopo, le loro labbra si incontrarono di nuovo
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Capitolo 12 *** 12. One Day ***
Tom
suonò
di nuovo il campanello e poco dopo Bill aprì la porta,
già pronto a riempirlo
di insulti. Poi però vide la figura femminile al suo fianco,
e si limitò ad
ingoiare tutto quanto.
« Oh,
ciao! »
Tom lo
superò portandosi dietro Alex che teneva Sveva per il
guinzaglio.
« Ehr..
piacere di conoscerti, io sono Bill. » il ragazzo le porse la
mano e lei la
strinse.
« Alex. »
« Tom mi
ha parlato di te. Beh.. ho dovuto cavargli le parole dalla bocca, ma
alla fine
ce l’abbiamo fatta. »
« Oh! »
Alex sorrise. « Spero ti abbia detto cose positive.
»
Il ragazzo
annuì.
Poi
abbassò lo sguardo sul cane che scodinzolava.
« Immagino
che questo sia il tuo cane. »
Alex
sorrise.
« Lei è
Sveva. »
« Ciao
Sveva, io sono Bill. »
L’animale
si voltò e lo guardò, tenendo la lingua a
penzoloni.
Poi
abbaiò, facendolo balzare e dal piano di sopra scese
correndo un Scotty
euforico.
Alex
slacciò il guinzaglio del suo animale e lasciò
che i due si allontanassero.
« Allora
io vi lascio. Se avete bisogno di qualcosa, sono di su, ok? »
« Grazie
Bill. »
Tom si
dileguò verso destra e Bill salì i gradini a
sinistra. Alex seguì il primo, che
la portò nella cucina.
« Allora,
tira fuori i libri. »
La ragazza
aprì la borsa e tolse un quaderno, l’astuccio e il
libro di matematica e li
poggiò sul tavolo al centro della stanza.
Tom si
sedette su una sedia, e Alex lo imitò.
« Vediamo.
Cosa non ti è chiaro? »
La ragazza
lo fissò.
« Tutto. »
Erano
passate ben due ore d’orologio e Tom aveva continuato a
spiegare sempre gli
stessi argomenti per tutto il tempo, trovandosi ad usare oggetti che
aveva
sotto il naso per fare esempi. Anche i più stupidi.
Ma
sembrava fosse riuscito nella sua impresa. Alex aveva fatto tutti gli
ultimi
esercizi in modo corretto e non aveva più dubbi riguardo
cose che prima le
sembravano appartenere ad un altro mondo.
« Ok. »
concluse la ragazza, chiudendo il suo quaderno.
Tom le
passò il libro e lei rimise tutto nella sua borsa.
Poi si
voltò a fissarlo.
« Grazie. »
gli sorrise.
Lui
ricambiò estremamente ammaliato, immerso in un vortice di
pensieri perfino a
lui sconosciuto.
« Tutto
qua?! »
Alex lo
guardò aggrottando le sopracciglia.
« Nessun
“Grazie Tom, non so come avrei fatto senza di te! Sei la mia
ancora di
salvataggio, sei tremendamente importante, farò tutto quello
che vuoi per
sdebitarmi, te lo prometto! Oh grazie Tom, grazie infinite, sei il mio
Dio!”?! »
Alex
scoppiò a ridere studiando attentamente ogni singolo
particolare di Tom mentre
recitava la frase. I suoi occhi vagavano nell’aria insieme
alle mani che
schizzavano da una parte all’altra facendo mossette e gesti
strani. Il suo naso
si arricciava in un modo quasi impercettibile, e portava le labbra
avanti
imitando una voce femminile.
Alex scese
dalla sedia e gli
prese un lembo della
maglia, facendolo alzare. Poi lo attirò a sé e
gli stampò un bacio sulle
labbra.
Non era
nel suo carattere fare azioni così impulsive, ma la causa
era Tom. Non aveva
mai incontrato un Tom nella sua
vita.
Una persona che riuscisse a sorprenderla, scombussolandole la vita in
trenta
modi diversi.
Tom
l’aveva offesa, umiliata, picchiata, derisa, ferita,
maltrattata, confusa,
etichettata, insultata e poi l’aveva fatta ridere, piangere,
l’aveva
abbracciata, consolata, liberata, salvata, incantata.
Ok, non
erano proprio trenta ma Tom le aveva chiaramente fatto cambiare idea. E
non con
un movimento di lingua, non con un occhiolino e non portandosela a
letto come
aveva fatto le altre volte con qualsiasi altra ragazza. Ma
semplicemente
cullandola fra le sue braccia, proteggendola.
Era come
se Alex avesse atteso tutta una vita per trovare al suo fianco una
persona come
Tom. Un protettore.
Dal
salotto si udì uno scatto e successivamente la porta si
aprì.
« Tom?
Bill? »
Tom prese
Alex per le spalle, allontanando il suo viso.
« Mamma?! »
Sulla
soglia comparve una donna robusta, con un tailleur scuro e un grosso
sorriso
stampato sul viso. Aveva i capelli lunghi fino alle spalle, mossi e
scuri.
Le fece
ombra un uomo dal viso asciutto, in giacca e cravatta che stringeva
ancora una
ventiquattrore con la mano destra. Nel suo volto non c’era
alcuna espressione.
« Tom
caro! »
La donna
si scaraventò sul figlio e lo stritolò, mentre
Bill scese dal piano di sopra
con la stessa delicatezza di una mandria di gnu.
« Papà?! »
domandò perplesso.
L’uomo si voltò
mantenendo la stessa espressione e solo allora Bill vide la figura
femminile
che accompagnava l’uomo.
« Mamma?! »
A quelle
parole, la donna si voltò, smettendo di torturare le guance
di Tom e si diresse
verso il secondo ragazzo, riuscendo a farlo dimagrire ulteriormente,
mentre lo
stringeva fra le sue braccia.
Tom si
passò una mano sulla nuca e si voltò verso Alex.
« Lei chi
è, Tom? » la madre si voltò di nuovo
lasciando perdere il millesimo piercing di
Bill e passandogli una mano tra i capelli attese la risposta del
figlio. Lui
lanciò uno sguardo ad Alex.
«
Un’amica. » disse. « La stavo aiutando in
matematica. »
Sapeva che
ai genitori piaceva da morire sentirsi dire che il figlio era bravo in
matematica.
« Piacere
cara, io sono Simone! »
Alex
strinse la mano alla donna e si presentò con un sorriso.
L’uomo,
tuttavia, rimase sulle sue e sibilò un sottile «
Jörg. »
« Resti a
cena? »
Tom fissò
perplesso la madre che aveva pronunciato la richiesta con un tono 3
volte superiore
a quello normale.
Alex si
colorò sulle guance e si mise la borsa in spalla.
« Mi
spiace, ma credo di aver disturbato già abbastanza. Poi ho
altri impegni ed è
meglio che vi lasci. Magari un’altra volta. »
rifiutò.
« Quando
vuoi: casa nostra è sempre aperta agli amici di Tom!
»
Quest’ultimo
si affrettò a prendere le chiavi della macchina.
« La
accompagno, sto tornando. Sveva! »
Dal
giardino arrivarono correndo sia Sveva che Cora, seguite da Scotty che
abbaiava
gioioso.
Il padre
di Tom fissò gli animali e Alex si affrettò a
prendere il guinzaglio del suo
cane, temendo che l’uomo potesse esplodere da un momento
all’altro. No,
decisamente non gli trasmetteva tranquillità.
Tom aprì
velocemente la porta e Alex rivolse un ultimo saluto ai genitori e a
Bill e poi
tirò via Sveva che non ne voleva sapere di allontanarsi dal
suo amato Scotty.
Tom si
chiuse la porta alle spalle e fece salire il cane di lei in macchina.
Poi salì
anche lui, mise in moto e la accompagnò.
« Non mi
hai detto che i tuoi sarebbero arrivati oggi. »
« Non lo
sapevo nemmeno io. » sbuffò il ragazzo.
« Non avvisano mai. »
Alex restò
un po’ in silenzio, mentre Sveva si era accucciata nei sedili
posteriori.
« Comunque
tua madre mi sembra una brava persona. »
« Mia
madre si mostra sempre gentile e premurosa con tutti. Ma appena si
parla di
soldi, di affari.. è tutta un’altra storia. Credo
sia colpa di mio padre,
dopotutto l’ha fatta entrare lui a lavorare con
sé. »
« Questo
non significa che non fosse contenta di rivedervi. Mi sembrava
più emozionata
di.. tuo padre. »
Tom
abbozzò un sorriso e svoltò, per poi rallentare e
fermarsi davanti a casa della
ragazza.
« La
verità è che papà non ha mai
dimostrato un briciolo d’affetto per nessuno. Non
capisco nemmeno come abbia fatto la mamma ad innamorarsi e a volte
penso che
non lo ami per niente ma che lo segua solo perché ha avuto
due figli da lui. »
confessò. « Comunque non devi preoccuparti, molto
probabilmente dopo Natale
saranno già ripartiti. »
Alex annuì
con la testa. Ma non era affatto contenta del fatto che Bill e Tom
restassero
tutto quel tempo da soli.
« Allora..
ti ringrazio ancora. »
Tom la
guardò sorridendo.
«
Figurati. »
La ragazza
aprì lo sportello e poi fece scendere Sveva, mentre tirava
fuori le chiavi del
portone.
Tom mise
in moto ma prima di partire la chiamò.
« Alex! »
La ragazza
si voltò, inserendo le chiavi nella toppa del portone.
Le labbra
di Tom si arricciarono in un sorriso.
«
Buonanotte. »
Scotty gli
saltò addosso quando riaprì la porta di casa.
C’erano almeno tre valigie nel salotto:
una davanti al divano e due poste sopra di esso. Cora le annusava
cercando di
aprirle e dalla cucina si udì la voce di Bill che
chiacchierava con Simone.
« Mamma,
non lo so! » sbottò il ragazzo uscendo dalla
cucina. Guardò Tom e gli fece
segno di filarsela, ma Simone comparve alle sue spalle senza tailleur
ma con
addosso degli abiti casarecci.
« Tom! »
lo chiamò andandogli incontro con le braccia allargate e
perfino Scotty se la
diede a zampe.
Tom roteò
gli occhi mentre la mamma quasi se lo inglobava.
« Bill,
non devi portare le valigie in camera da letto? »
Bill
strabuzzò gli occhi e stava già per strillare un
“Cosa?!”, quando la madre lo
fulminò con lo sguardo e lui fu costretto a prendere le due
valigie sul divano
e a portarle al piano di sopra.
Allora,
Simone tirò Tom per un lembo della maglietta iniziando con
il suo classico: «
Tom caro! »
Lo fece
sedere sul divano e si sedette al suo fianco, con un mezzo sorriso sul
volto
che in realtà presagiva un interrogatorio di tre ore.
« Tutto
bene? E’ un po’ che non ci vediamo. »
Tom annuì
spostando lo sguardo altrove.
« Sì,
tutto bene. E voi? Com’è andata.. lì
dove eravate? »
Simone
fece spallucce.
« Normale,
come al solito. » disse frettolosa. «
Piuttosto… chi è quella ragazza che era
qua con te? Come ha detto che si chiama..? »
« Alex. »
rispose il figlio.
« Oh sì,
giusto! E’ carina, no? »
Tom evitò
di rispondere e lanciò uno sguardo fugace alla mamma.
Come
diavolo le era venuto in mente di mettersi a parlare di lei?! Voleva
tremendamente scappare. Forse avrebbe fatto meglio a passare la notte a
casa di
Alex. Oh no.. ecco che tornavano i pensieri sconci. Sempre nei momenti
più
inopportuni!
« Che mi
dici di lei? »
Tom si
passò una mano sulla nuca.
« Dipende
da cosa vuoi sapere. »
« Beh, per
esempio… »
« Ho
finito, contenta?! » sbuffò Bill. « Tom,
mi aiuti a… »
« Bill,
non devi andare ad aiutare tuo padre in garage? »
« Cosa?! »
stavolta Bill l’aveva davvero strillato e Tom si
sentì dentro un film. Uno di
quelli dove nella tua famiglia sono tutti matti da legare e tu sei
l’unico
sano, incompreso dai tuoi familiari.
Simone non
ribatté ma si limitò a fissare il figlio
mingherlino, che scattò verso il
garage sbattendo i piedi per terra.
« Dicevo… »
« Mamma,
senti. » la ammonì Tom. « So che ti sei
già fatta diecimila filmini mentali su
Alex, che vorresti sapere ogni singola cosa su di lei ma.. frena, ok?
Nemmeno
io conosco tutto di lei ma, se ti interessa saperlo, sì. Mi
ci sono
affezionato. E lo stesso vale per lei. Ci stiamo frequentando, stiamo
bene
insieme e questo mi basta. Non so qual è il suo colore
preferito, né se è
allergica a qualcosa ma non mi importa. Io ho bisogno di lei e lei di
me. Ti va
bene come descrizione del nostro rapporto? »
Simone
fissò il figlio e lasciò che il suo labbro
inferiore tremolasse un po’. Poi lo
avvolse nuovamente fra le sue braccia, stritolandolo.
« Quando
la inviti a cena? »
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Capitolo 13 *** 13. Lost and found ***
Natale
passò lasciando la sua scia di neve sui tetti di Amburgo e
trasformando ogni
singola cosa in puro ghiaccio.
Alex si
era appena presa un momento di pausa dal lavoro per ripassare
matematica. La
biblioteca sembrava l’unico posto dove avere un po’
di tranquillità per quella
mezz’ora, così ci andò a passo svelto
e, una volta arrivata, scelse un tavolo
vuoto e lontano dalle altre persone per fare qualche altro esercizio.
A breve ci
sarebbe stato un altro compito e doveva assolutamente rimediare le
ultime
insufficienze.
Era già a
buon punto quando qualcuno le fece ombra. A primo impatto
pensò fosse Tom,
visto che sembrava essere onnipresente. Ma poi la sua teoria venne
smontata da
una figura femminile. Sempre a meno che Tom non avesse fatto un salto
dal
chirurgo e si fosse piantato un bel paio di sode tette sul petto.
La ragazza
che Alex aveva davanti aveva due tette decisamente enormi. Indossava
uno
stretto maglioncino color senape, dei jeans a vita bassa, aveva i
capelli
lunghi, biondi e ricci e per finire era truccata con forte ombretto blu
e
rossetto rosso.
L’esatto
opposto di Alex.
A prima
vista, Alex pensò volesse sedersi nel suo stesso tavolo per
leggere qualcosa,
ma poi notò che non aveva libri. E no, decisamente non era
andata là per
leggere o studiare.
Spostò la
sedia che aveva davanti e si sedette, continuando a fissare la
ballerina.
« Tu esci
con Tom, giusto? »
Il suo
tono di voce era esageratamente alto, soprattutto per quel posto dove
regnava
il silenzio.
Alex la
guardò aggrottando le sopracciglia.
« Come? »
« Ho
detto: tu esci con Tom, non è così? »
« Siamo
amici. » farfugliò. « Perché?
Tu chi sei? »
Chi sei.Oh, Alex
avrebbe tanto voluto saperlo. Ma veramente tanto, eh.
Peccato
che non ebbe alcuna risposta.
La ragazza
si sporse verso di lei e le prese un lembo della maglietta, avvicinando
i loro
visi.
« Stagli
alla larga, ok? » sibilò. « Prendilo
come un consiglio. »
Le lasciò
andare la maglia e se ne andò.
Quella
città, era senza dubbio piena di matti.
Tom quasi
rotolò giù dalle scale, mentre Scotty
scodinzolava davanti all’ingresso.
Nel
soggiorno, la
TV
era accesa su un canale sportivo, e il padre era comodamente seduto
sopra il
divano a fissarla incantato. Appena il figlio arrivò nella
stanza, si voltò a
guardarlo.
« Oh! Ciao
Tom. »
« Ciao. »
Il ragazzo
si diresse verso la cucina, aprendo poi il frigorifero.
Alle sue
spalle sentì dei passi pesanti, e capì che anche
il padre era entrato nella
stanza.
« Come va?
»
« Tutto
bene. »
« A scuola
tutto ok? »
« Sì,
certo. »
« E.. con
quella ragazza? »
Bingo.
Ecco
qual’era il punto che il padre di Tom voleva toccare,
l’argomento che voleva
affrontare a tutti i costi: Alex.
« Che c’è?
» sospirò il ragazzo, voltandosi con una bottiglia
di Coca Cola in mano.
Il padre
sollevò lo sguardo dal suo giornale.
« Che c’è
cosa?! »
« Perché
vuoi parlare di Alex? »
« E’ la
tua ragazza, no? »
« Non ti è
mai importato nulla delle mie ragazze, papà! »
sbottò Tom, agitando la bottiglia.
Il padre
si mise bene a sedere.
« Che
lavoro fa? »
« Come? »
« Che
lavoro fa? » ripeté l’uomo con
più enfasi.
Tom lo
fissò perplesso.
« Adesso
fa la cassiera in una pasticceria. »
« Non
guadagna molto. » constatò l’uomo.
« Papà,
non vorrai che scelga le persone in base alla loro ricchezza!
»
« Ho solo
paura che ti stia sfruttando, tutto qua. »
Tom
strabuzzò gli occhi.
« Alex non
mi hai mai chiesto nulla! L’unico favore che mi ha chiesto
è stato di aiutarla
in matematica! » esclamò. « Come diavolo
fai a dire queste cose?! »
Jörg voltò
lo sguardo verso il figlio, che era diventato rosso in viso.
« Non
conosci Alex, non sai com’è fatta, non sai
cos’ha passato e non sai nemmeno che
rapporto c’è fra noi! Probabilmente non sai
nemmeno com’è il mio carattere, visto
che passi la maggior parte del tempo impegnato con i tuoi affari. E poi
hai
anche il coraggio di venirmi a fare la ramanzina se mi faccio trovare a
casa
con una ragazza che non è vestita come vuoi tu! »
Tom stava
per esplodere. Non poteva credere che il padre avesse seriamente
azzardato a
fargli la predica per i soldi che Alex non aveva. Non lo credeva
così
materialista.
« Tom, io
sto solo cercando di metterti in guardia! »
« In
guardia da cosa?! Dall’essere felice? Beh, ti ringrazio tanto
per l’interessamento,
ma ne faccio anche a meno! » sbatté la bottiglia
sul ripiano in legno della
cucina e uscì furioso.
Jörg si
passò una mano sulla nuca. Forse non aveva fatto la mossa
più giusta.
Alex
aprì
il portone principale e salì fino al suo pianerottolo.
Tirò fuori le chiavi di
casa, ma non ce ne fu bisogno: la porta era già aperta.
Scattò in
avanti trattenendo il respiro e spalancò l’uscio,
temendo il peggio.
La casa
era in perfetto ordine, così come l’aveva lasciata.
« Sveva? »
chiamò.
Entrò
lentamente, un passo dopo l’altro, ma non udiva alcun rumore.
Nessun gemito,
nessun abbaio, nessun sospiro. Nulla di nulla.
Arrivò al
soggiorno, ma del cane neanche l’ombra. Poi
controllò in bagno, in camera da
letto, in cucina e perfino nel balcone.
Sveva non
c’era.
Il cuore
della ragazza perse un battito e corse velocemente di nuovo fuori,
sbattendosi
la porta alle spalle e cercando freneticamente il cellulare
all’interno della
borsa. Lo tirò fuori e chiamò la prima e unica
persona che le venne in mente.
« Pronto? »
« Tom,
sono Alex, devi aiutarmi! »
« E’ successo qualcosa? »
Alex aprì
il portone e si immobilizzò. Non sapeva nemmeno dove
cominciare a cercarla.
« Alex?! Che è
successo?! »
« Sveva è
scappata! »
« Cosa?! »
« Sveva è
scappata di casa! Sono arrivata e c’era la porta aperta, non
so come sia potuto
succedere ma.. Dio, Tom ti prego! Ho bisogno che tu i aiuti a cercarla!
»
« Certo, non muoverti da casa tua,
sto
arrivando! »
Sveva non
si trovava.
Tom era
arrivato qualche minuto dopo, sulla sua macchina, e avevano
già percorso mezza
Amburgo alla disperata ricerca dell’animale che, tuttavia,
sembrava essere
scomparso nel nulla.
La porta..
come diavolo aveva potuto lasciare la porta aperta?! Non
l’avevano scassata e
le chiavi del suo appartamento non le aveva nessun altro esclusa lei,
perciò
l’aveva dimenticata aperta! E Sveva non si era posta molti
problemi ad uscire,
ovviamente.
E chissà
dove si era cacciata! Avevano setacciato ogni posto dove un cane
potesse
andare: supermercati, negozi di animali, parchi.
Ma nulla,
di quel labrador nemmeno l’ombra. E la gente non era
d’aiuto perché nessuno
l’aveva visto, nessuno si era accorto che un cane potesse
passeggiare affianco
a loro, nessuno aveva messo in considerazione l’opzione che
un cane di nome
Sveva potesse essere scappato.
« E se
l’hanno rapita? » era la terza volta che Alex
pronunciava quella frase e per la
terza volta, Tom la guardò, cercando di farla stare calma.
« Non può
essere andata lontano, in quanti altri posti l’hai portata?
»
Alex si
prese la testa fra le mani, pressandosi le tempie.
« Oh sì! »
esclamò poi. « La scuola di danza! L’ho
portata un paio di volte, magari è
venuta a cercarmi là! »
Tom
accelerò e si diresse verso la scuola di danza della
ragazza. Parcheggiò e Alex
scese velocemente dal mezzo, controllando a destra e a sinistra nella
speranza
di vedere l’animale sbucare da un angolo e correrle incontro.
Ma nulla.
« Proviamo
dentro. » Tom la spinse dentro la scuola.
Gli
animali non potevano entrare e qualcuno si sarebbe di sicuro accorto
della
presenza del cane.
Si
avvicinarono al bancone principale e un uomo in giacca e cravatta, di
carnagione scura e calvo, li osservò.
« Posso
esservi utile? »
«
Cerchiamo un cane. » rispose Alex.
L’uomo li
guardò, perplesso.
« Questo
non è uno zoo. »
« No, vede
» si intromise Tom. « Abbiamo perso un cane e
siccome lei – indicò Alex –
frequenta la scuola, abbiamo pensato che potesse essere venuto qua. Lei
non ha
visto nessun labrador? »
L’uomo
scosse la testa fissando il ragazzo.
Tom
sospirò e Alex si voltò, facendosi nuovamente
prendere dal panico.
« Grazie
lo stesso. »
Uscirono
dall’edificio e risalirono in macchina.
« Altri
posti? » domandò lui.
Alex
rimase in silenzio.
« La
pasticceria dove lavoro? »
Tom annuì
e mise di nuovo in moto, ma il suo cellulare squillò.
Era Bill.
« Pronto? »
« Abbiamo visite. »
« Bill,
non è il momento più adatto. »
sbuffò Tom.
« Oh secondo me invece è
il caso che la tua
ragazza venga a riprendersi il cane. »
Tom restò
in silenzio e aggrottò le sopracciglia.
« Cosa?! »
Alex lo
guardò.
« Sveva è qua. »
« Ok,
tienila là; stiamo arrivando. »
« Oh tranquillo, non credo che
abbia molte
intenzioni di fuggire da qua. »
Tom chiuse
il telefono e se lo rimise in tasca, prima di uscire dal parcheggio.
« E’
successo qualcosa? » domandò la ragazza.
« Il tuo
cane è venuto a farci una visitina. O forse voleva solo
rivedere Scotty. »
rispose Tom.
« Sveva è
da te?! »
Il ragazzo
annuì.
Quando
arrivarono, fu Bill ad aprirgli la porta.
« Io non
so che diamine fate voi ogni volta che dite di portare a spasso i cani,
ma qua
c’è qualcosa che non va e di sicuro non voglio
badare a decine di cuccioletti! »
Alle sue
spalle, Sveva e Scotty erano beatamente sdraiati sul pavimento.
Alex
superò Bill e si piazzò davanti ai cani.
« Sveva! »
la richiamò.
Dal
giardino sbucò Simone con in mano un vaso.
« Oh! Ciao
cara! » la salutò.
Alex
sollevò lo sguardo e arrossì, imbarazzata.
« Mi
dispiace, non so come abbia fatto ad arrivare fin qua! »
« Oh, non
preoccuparti! »
La donna
poggiò il vaso su un ripiano là vicino e si
pulì le mani sporche di terra sul
grembiule.
« Togliamo
subito il disturbo. » si affrettò la ragazza,
estraendo il guinzaglio e
agganciandolo al collare di Sveva, che la fissò con i suoi
grandi occhioni
scuri, quasi implorandola di lasciarla là.
«
Disturbo? Ma quando mai! » rise Simone. «
Piuttosto, visto che ora siete tutti
qua, perché non restate a cena? »
Era la
seconda volta che quella donna le proponeva di restare a cena a casa
loro.
Non poteva
esserci un secondo rifiuto da parte di Alex, che figura
c’avrebbe fatto?!
Ma il
guinzaglio era già attaccato al collare, anche se Sveva si
era ulteriormente
accoccolata accanto a Scotty.
Nessuno
parlò e la ragazza si voltò verso Tom, sperando
che lui dicesse qualcosa per
tirarla fuori da quella situazione.
Quest’ultimo
fece spallucce e batté le mani.
« Ehr.. sì,
perché non resti? »
L’avrebbe
volentieri ucciso.
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Capitolo 14 *** 14. Family portrait ***
Disagio,
timidezza, vergogna, terrore alimentavano l’animo di Alex.
Tom era
seduto accanto a lei e non si sprecava a divorare tutto quello che
aveva sul
piatto. Anche Bill, dal canto suo, sembrava aver intrapreso un dialogo
molto
vivace con il suo pasto.
Ma i loro
genitori, risultavano più composti.
Simone non
aveva smesso un secondo di sorridere, mentre Jörg se ne stava
sulle sue, non
aveva ancora detto nulla e quando aveva saputo che Alex sarebbe rimasta
a cena
da loro, aveva solamente annuito con la testa, senza nemmeno sprecarsi
di dire
un: « Ok ».
Era la
seconda volta che Sveva la cacciava in una situazione imbarazzante.
E la
seconda volta che gliela faceva passare liscia.
« Allora,
Alex. » disse Simone, rompendo un leggero silenzio che era
interrotto solo dal
tintinnio delle forchette sui piatti. « Cosa fai oltre a
studiare? »
La ragazza
ingoiò il boccone e poi fissò la donna che le
sorrideva.
« Lavoro
come cassiera in una pasticceria. »
« Alex
balla. » intervenne Tom e la ragazza gli lanciò
uno sguardo infuocato.
« Sul
serio? » domandò la donna.
La ragazza
annuì abbozzando un sorriso.
« Ballo da
quando sono piccola, è una passione che mi ha sempre
seguito. »
« E cosa
balli? Danza classica, moderna? »
« Anche.
Ma soprattutto hip hop. »
« Oh. » la
donna emise una risatina divertita. « Qualcosa in comune con
Tom! Anche se lui
non balla, ovviamente. »
« Certo, è
una sega. » intervenne Bill.
«
Spiritoso! »
« Come vi
siete conosciuti? »
Tom si
immobilizzò e Alex si voltò a guardarlo.
Oh sì.
Bella storia da inventare.
Che cazzo
potevano dire?!
“La picchiavo perché
pensavo fosse un
ragazzino che mi copiava, ma poi l’ho pedinata e ho scoperto
che era una
ragazza, così ho cercato di farmi perdonare ma ho scoperto
che era piena di
problemi e così tra una chiacchierata e l’altra ho
capito che forse c’era
qualcosa in lei che mi attirava.”
Ma certo,
perché non ci aveva pensato prima?! Era così
carina come storia!
« A
scuola. » si affrettò a dire lui. « Una
chiacchierata qua e là. »
Il viso di
Bill si colorò di un rosso vistoso; non stava trattenendo
una risata. Peggio.
Cristo
santo, come le era venuto in mente di accettare di restare a cena?!
Non si
sentiva per niente a suo agio, non poteva iniziare a raccontare alla
madre e al
padre di Tom come si erano davvero conosciuti, cosa era successo fra di
loro e
storielle varie!
Oddio, non
che Jörg fosse molto interessato al discorso, visto che non
aveva ancora aperto
bocca.
Alex era
sempre più convinta che quell’uomo la ignorasse.
Non che le desse fastidio,
probabilmente se non l’avesse ignorata avrebbe iniziato a
riempirla di domande,
facendola sentire ancora più in imbarazzo.
E poi, il
tono di voce di quell’uomo era così… grottesco.
No no,
decisamente non gli trasmetteva simpatia, tantomeno allegria.
« Spero
che Tom con te si comporti bene. » continuò
Simone. « Sei la prima ragazza che
porta a casa. Mi ha detto che stavate studiando matematica. »
« Oh sì. »
annuì lei. « Ho qualche problema e così
gli ho chiesto se potesse darmi una
mano. »
« Ed è
servito a qualcosa? »
Alex annuì
di nuovo, sorridendo.
« Sarebbe
bravo come insegnante. »
A quelle
parole, il padre di Tom sollevò lo sguardo dal suo piatto e
fissò la ragazza.
Poggiò la
forchetta e unì le mani sul bordo del tavolo.
« Che
lavoro fanno i tuoi genitori? »
Tom lo
guardò di sottecchi e Alex si immobilizzò.
Era
decisamente meglio se quell’uomo si fosse stato zitto. Muto,
immobile, privo di
espressione. Proprio come il barattolo del sale che la ragazza stava
fissando.
No, non
era una bella storia la sua. Proprio per niente.
Che figura
c’avrebbe fatto Tom? Aveva descritto i genitori come cinici
superficiali, ma
mentre la madre sembrava mostrarsi più affettuosa, il padre
non aveva fatto
altro che incuterle terrore tutto il tempo.
E
nell’unica volta che aveva aperto la bocca, aveva fatto la
domanda più stupida
che potesse venirgli in mente.
« Mia
mamma gestisce una scuola di danza. » mentì.
« E mio padre è un avvocato. »
Tom la
guardò, ammutolito.
Jörg annuì,
interessato.
Gli occhi
della ballerina incontrarono quelli di Tom. Non poteva dire la
verità. Non
ancora.
Un giorno,
forse, avrebbe detto ad entrambi i signori Kaulitz, che aveva mentito
per fare
una bella figura. Ma in quel momento no, non poteva assolutamente
rischiare di
essere definita una poveraccia.
«
Ritornando al ballo. » Simone richiamò la sua
attenzione. « Fai anche gare? »
Tom mise
in moto.
Alex
poggiò la testa sul sedile, mentre quel silenzio la
uccideva, e Sveva mugolava
dai sedili posteriori, come al solito.
Iniziò a
fissare gli interni della macchina.
Oh sì, bei
sedili. Comodi. E anche bel cruscotto.
Per non
parlare del freno a mano, proprio figo!
Cogliona.
« I tuoi
genitori sono carini. » si sentì in dovere di dire.
« Perché
hai mentito? »
La ragazza
non rispose, ma sospirò.
Un sospiro
che valeva mille parole e non.
Un sospiro
che voleva dire tutto e niente.
« Che
figura c’avresti fatto se avessi detto che sono orfana di
madre e che mio padre
mi ha abbandonata quando ero ancora una bambina? E’
già abbastanza degradante
sapere che cambio lavoro quasi ogni mese, Tom. »
Lui scosse
la testa, continuando a guidare.
« Non devi
parlare pensando a cosa potrebbero dire i miei genitori, Alex.
»
« Perché
no? Tu due genitori li hai ancora, io no. E non è giusto che
a causa mia ti
debba beccare ramanzine o cose simili. Io non vorrei che mio figlio
stesse con
una fallita. »
Tom
accostò, frenando di botto.
«
Ascoltami, una volta per tutte. » il suo tono era agitato.
« Tu non sei una
fallita, è chiaro? Continui ad andare avanti con le tue
forze, a studiare, a
ballare e a cercarti lavoro. Non sei una fallita. Dopo tutto quello che
hai
passato, non puoi assolutamente dirlo. »
Alex abbassò
di nuovo lo sguardo, e Tom la avvolse fra le sue braccia.
Il suo
profumo, il suo calore. Tutto di quel ragazzo le trasmetteva
protezione. Tutto
la faceva sentire veramente a casa.
Sveva
emise un verso simile ad un grugnito, e Tom si voltò a
guardarla, sciogliendo
il suo abbraccio.
« Va bene,
te la lascio. Ma trattamela bene, ok? »
Alex aprì
lo sportello e poi fece scendere Sveva.
«
Comunque, mi sono divertita. Tua madre mi sta davvero simpatica.
»
Lui fece
spallucce.
« Ti
prego, non allearti con lei o rischio l’esaurimento nervoso!
»
La ragazza
rise, tenendo ancora la portina aperta.
«
Tranquillo, non lo farò. »
« Meno
male. »
« Solo se
mi permetti di insegnarti a ballare. »
Tom trasalì.
« Cosa?!
Sei… sei pazza?! »
« Non puoi
essere così tanto negato. »
« No no no
Alex, tu sei fuori! Io non ballo. »
« Neanche
se ci sono io come insegnante? »
Il ragazzo
la guardò e notò che aveva messo il broncio.
No.
Cos’era quella cosa che si muoveva nella sua pancia?! Una
biscia?!
Santo
cielo, non era possibile! Doveva avere uno zoo dentro lo stomaco e
nemmeno lo
sapeva!
Si voltò
dall’altra parte, sbuffando.
« Niente
capriole, spaccate o cose in punta di piedi, chiaro? »
Lei
sorrise raggiante, e annuì con la testa e alle sue spalle
Sveva abbaiò,
impaziente.
« Il cane
mi reclama. »
Tom annuì
con la testa e mise di nuovo in moto.
« Ci
vediamo domani. Buonanotte. »
Alex
chiuse lo sportello e lo salutò con una mano, mentre lui si
allontanava. Tirò
fuori le chiavi e aprì il portone.
Tom
strinse le mani sul volante.
Ballare.
Lui.
Ma se si
metteva ad abbaiare come faceva Sveva, riusciva a farle fare quello che
voleva
lui?!
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Capitolo 15 *** 15. If you're not the one ***
Di nuovo
su quella sedia. Di nuovo su quel tavolo. Di nuovo quel giornale
aperto. Di
nuovo Sveva al suo fianco.
Anche quel
lavoro era andato, e per la millesima volta Alex doveva trovarsene un
altro. Come
faceva a continuare così?! Possibile che non ci fosse
nessuno in grado di darle
un impiego fisso?
Si passo
distrattamente una mano sul viso e si alzò per prendere la
borsa dove aveva
lasciato il cellulare.
La
rovesciò sul tavolo e insieme all’astuccio, i
libri e l’apparecchio telefonico,
sbucò fuori anche il suo ultimo compito di matematica.
Quella
sufficienza splendeva sul foglio bianco. Ed era stato tutto merito di
Tom se
era riuscita a fare il compito in modo decente.
Tom.
Stava
arrivando. Quando aveva saputo della sufficienza non si era trattenuto
ed era
salito in macchina.
Ma Alex..
Il
pensiero di doversi trovare un altro lavoro era snervante.
Per non
parlare del fatto che non avesse manco minimamente accennato a Tom
dell’incontro poco piacevole che aveva fatto in biblioteca.
Era
successo tutto troppo in fretta, tutto troppo incasinato.
Poggiò la
schiena sulla sedia e si strofinò gli occhi.
Sveva
mugolò e Alex la guardò.
« Stavolta
è più dura del solito. Devo ancora pagare le
bollette… » sospirò.
Si prese
la testa fra le mani e poi il citofono suonò.
La ragazza
si alzò e andò ad aprire, sapendo che poteva
essere solo Tom.
Passò
qualche istante e anche il campanello della porta suonò.
Alex aprì
trattenendo l’ennesimo sospiro della giornata e un Tom
sorridente si presentò
alla porta.
Era
completamente vestito di bianco e il suo viso splendeva.
Alex cercò
almeno di abbozzare un sorriso, visto che sembrava fosse stata
prosciugata di
qualsiasi energia, ma Tom si accorse delle sue occhiaie e degli angoli
delle
sue labbra rivolti verso il basso.
Brutto segno.
Oh
ciao
vocina, era da tanto che non ti facevi sentire!
« Qualcosa
non va? »
Alex si
affrettò a scuotere energicamente la testa e lo fece entrare.
« Sicura? »
Tom entrò
con qualche passo e poi notò il casino sul tavolo: la borsa
rovesciata, il
cellulare, il compito di matematica, i libri, i quaderni e il giornale
aperto.
« E’
scaduto anche l’ultimo contratto? »
Alex non
rispose e chiuse la porta, evitando perfino di guardarlo in faccia.
« Alex… »
la chiamò Tom in un sospiro.
« Sto
cercando di trovarne un altro ma.. non ci riesco. » rispose.
« E ho quasi
finito i soldi per le bollette e l’affitto
dell’appartamento. »
Si
allontanò verso il tavolo e iniziò a mettere
tutto a posto.
Tom si
passò una mano sulla nuca.
« Hai
bisogno di soldi? »
Alex si
immobilizzò.
« Perché
se vuoi… posso aiutarti… »
Lascio
andare la borsa e si voltò, furente.
« Mi hai
forse presa per una morta di fame?! » sbottò.
« No, ma
magari… »
« Magari
cosa, Tom? Magari vuoi farmi l’elemosina?! »
Tom
aggrottò le sopracciglia.
« Non
stiamo parlando di elemosina, Alex. Sto cercando di darti una mano!
»
« Beh non
ho bisogno dell’aiuto di nessuno, grazie mille! »
Tom rimase
in silenzio, stringendo i pugni.
« Perché
sei così cocciuta?! Non stai facendo un patto col diavolo,
porca miseria! »
« Pensi
che non sia capace di badare a me?! Pensi che siccome mi hai aiutato in
matematica non riesca ad andare avanti senza te?! »
Tom la
fissò, perplesso.
Doveva
essere impazzita.
« Che… che
cazzo stai dicendo?! Alex, ti rendi conto delle puttanate che stai
sparando?! »
« Sono io
che sto sparando puttanate, Tom?! Sono io che ti ho chiesto soldi? No,
non mi
pare! »
« Non è
colpa mia se entro a casa tua e ti trovo in uno stato di
semi-depressione! »
« Oh
grazie, adesso sì che sei d’aiuto, complimenti!
Non so, vuoi un applauso?! »
sbottò lei. « Se sei venuto qua a rompermi i
coglioni, la porta è da quella
parte! »
« Mi stai
cacciando?! » sbraitò lui, avvicinandosi.
Lei si
voltò con la stessa forza di un terremoto.
« Sì, ti
sto cacciando! Non ti voglio fra le palle se devi accumulare il mio
nervosismo,
perciò è meglio che te ne vada! »
Tom
diventò viola, e strinse ulteriormente i pugni.
« Va bene!
»
Si voltò e
aprì la porta, pestando i piedi per terra.
Se la
chiuse con un tonfo alle spalle e Alex si trovò a lanciare
l’astuccio contro la
superficie di legno.
L’oggetto
cadde a terra e la ballerina si passo le mani fra i capelli.
No, quella
non era una valanga di lacrime e no, lei non poteva mettersi a piangere.
Ma cazzo,
stava nuovamente andando tutto a puttane!
Aveva
appena sbattuto Tom fuori casa, aveva i nervi a fior di pelle ed era
disoccupata,
con una situazione finanziaria seriamente catastrofica.
Sveva era
rimasta tutto il tempo ferma, muta.
Alex si
lanciò sul divano prendendo a pugni un cuscino mentre lame
d’acqua le bagnavano
le gote.
Dei colpi
arrivarono alla porta e Sveva si alzò e corse ad aprirla.
Alex si
alzò. Quel cane sembrava ogni giorno più angelico.
Tom era
sulla soglia che respirava col fiatone.
La ragazza
voltò lo sguardo dall’altra parte.
« Cosa
vuoi? »
Tom non
rispose ed entrò, chiudendosi la porta alle spalle.
« Non ti
ho detto di entrare. » sbottò lei, asciugandosi
velocemente la guance. « Perché
sei qua? »
Tom
continuò a guardarla.
« Perché ti amo.
»
Non ci
aveva nemmeno messo tanto a dirlo, dopotutto.
Il fatto
era che mentre stava scendendo le scale, mentre era salito in macchina
si dava
del coglione mentalmente e pensava a lei, ad Alex. Pensava a quanto il
suo
cuore battesse forte ogni volta che la vedeva sorridere e anche al
nervoso che
si era appena preso. E sul sedile della sua auto che aveva
più volte visto e accompagnato
anche la ragazza, la sua ragazza,
se
l’era di nuovo immaginata al suo fianco e aveva sentito come
un pugno nello
stomaco perché lei non
era là con lui.
E no, non
poteva lasciare le cose così. Doveva rimediare in qualche
modo, ma non
chiedendo scusa. Non di nuovo.
Quella
volta serviva scavare dentro sé, per farle capire che non
pensava fosse una
persona squallida.
E l’aveva
capito sentendo una fitta al petto. Qualcuno
bussava.
Così era
sceso dalla macchina, si era precipitato velocemente contro il portone,
facendosi aprire dalla signora che abitava al piano terra e aveva fatto
i
gradini a gruppi di 5, fino a raggiungere la porta d’ingresso
di casa di Alex.
E in quel
momento, ce l’aveva davanti.
Lei lo guardava, non aveva minimamente spostato lo sguardo.
Era
passata forse un’eternità.
« Cosa? »
« Ti amo. »
Sembrava
che le sue labbra adorassero pronunciare quelle due parole. Sembrava
che, oltre
a toccare quelle della ballerina, amassero pure dedicarle quel
sentimento,
quella parte di cuore che Tom aveva sempre nascosto. Che non pensava di
possedere.
E non
aveva nemmeno pensato alla possibilità che potesse aver
sprecato quelle parole,
per la prima volta che le
pronunciava. No. Perché si sentiva tremendamente pieno ad
averlo ammesso.
Sì, lui la
amava. Al di sopra di qualsiasi altra cosa.
« Io ti
amo. » lo ripeté facendo qualche altro passo
avanti e arrivandole davanti,
superandola in altezza.
Lo
pronunciò un’altra volta, prima di baciarla.
In un
sospiro, in un soffio, avvolgendola con le sue braccia.
Sentendo
il suo corpo poggiarsi al suo petto, sentendola tremare mentre le sue
labbra
cullavano le sue.
Non voleva
farla piangere, ma sapeva che Alex era abbastanza emotiva e
considerando che
stesse già piangendo, il fatto che avesse continuato a
farlo, senza
singhiozzare ma semplicemente lasciando che le lacrime scendessero fino
alle
loro labbra, era fantasticamente naturale.
Tom la
voleva. Voleva farla sua, voleva sentire la sua pelle sotto le sue
mani, sotto
le sue labbra, voleva dimostrarle che quello che diceva, che provava,
era
estremamente vero.
Così
lasciò scendere le labbra sul suo collo.
Era la
prima volta che lo assaggiava. Non
ci
aveva mai provato perché aveva paura che lei si tirasse
indietro. Ma in quel
momento, era tutto diverso.
Nemmeno la
presenza di Sveva – che si era coperta gli occhi con una
zampa – contava più.
Alex
strinse le mani sulla felpa oversize di Tom.
Nessuno le
aveva mai detto di amarla. Nessuno, oltre Tom.
Voleva
credergli. Voleva fidarsi di lui.
Si trovò
poggiata al tavolo mentre le labbra di Tom si accendevano sul suo collo.
Quel
ragazzo la mandava in estasi con un semplice gesto. Sembrava capire
perfettamente di cosa avesse bisogno.
Se lei
voleva essere abbracciata, lui lo faceva. Se voleva essere baciata, lui
lo
faceva. Se voleva andare verso la camera da letto, lui ce la portava.
Tom la
condusse lentamente verso il letto, facendola sdraiare sopra e si
sedette a
cavalcioni sul suo corpo, sentendo la felpa che indossava,
tremendamente
ingombrante.
Così se la
sfilò ma vide le mani di Alex sollevargli anche la maglietta
e si denudò anche
di quella.
Il suo
petto si rifletteva negli occhi di Alex che lo studiava incantata.
Giurò di
non aver mai visto nessuno bello quanto o più di Tom.
Il ragazzo
si chinò, baciandole gli occhi ancora umidi, poi scese alle
guance, agli angoli
delle labbra e poi di nuovo al collo, infilando le mani sotto la sua
maglietta
e sollevandola.
Le labbra
di Tom si posarono sul ventre della ragazza, poi salirono alla pancia,
inumidendo l’ombelico e continuarono a salire, mentre le sue
mani spingevano
via quell’indumento.
Alex se ne
spogliò, mentre Tom le reggeva la schiena con una mano e si
tuffava a baciarle
anche il petto.
Invertirono
le posizioni e Tom cadde disteso sul letto, mentre la ragazza gli
torturava le labbra
e il piercing, i loro bacini estremamente attaccati.
I capelli
di Alex ricadevano addosso ad entrambi i corpi e Tom li accarezzava.
Ora le sue
mani si immergevano nella sua chioma, ora percorrevano il laccio del
suo
reggiseno.
La fece
sedere sulle sue gambe e le baciò nuovamente lo sterno, per
poi salire al seno
e segnarle il contorno del reggiseno con la lingua, mentre con
l’altra mano
cercava di slacciare il laccio.
Le mani
della ragazza, invece, erano poggiate sulla nuca di Tom e lentamente
scendevano
sulle sue spalle.
Spalle
grandi, calde e che iniziavano a sudare.
Tom aveva
più volte portato a letto una ragazza. Ma quella volta era
diverso, perché la
ragazza in questione era Alex.
Riuscì a
sganciarle il reggiseno e lo gettò via, iniziando a leccarle
i capezzoli.
La sentì
sospirare; sospiri che parlavano.
Mentre le
sue labbra lavoravano sulla pelle chiara della ballerina, le mani di
Tom
scesero sulla cerniera dei jeans della ragazza. Slacciò il
bottone, la cerniera
e iniziò ad abbassarglieli, sentendosi tremendamente
impaziente di tenerla
stretta fra le sue braccia.
Li fece
scendere fino alle ginocchia, poi Alex si sdraiò di nuovo e
Tom poté godersi
quella figura femminile beatamente adagiata davanti a lui, con addosso
solo un
paio di slip.
Lei lo guardò
e poi si mise sui gomiti.
« Qualcosa
non va? »
Tom
abbozzò un sorriso e le si avvicinò, baciandola.
Ogni volta riusciva a sorprendersi
di come le loro labbra si incastrassero perfettamente.
La fece
coricare di nuovo, accarezzandole il viso con delicatezza e
sentì le sue mani
toccargli il petto.
Alex fece
scendere le mani sui pantaloni di Tom e iniziò a
slacciarglieli, mentre lui
riprendeva a baciarle il collo.
Tom
sembrava indossare una tenda da campeggio al posto dei jeans; quei
pantaloni
erano tremendamente grandi che ci volle un po’ prima di
riuscire a spogliarlo.
E no, ogni
minimo particolare era decisamente migliore di quanto Alex si fosse
immaginata.
La sue
gambe, i suoi muscoli, il suo fondoschiena.
Tom era la
cosa più bella che potesse essergli capitata fino ad allora.
Lo baciò,
sentendosi finalmente amata. Sentendosi di nuovo a casa.
« Dillo di
nuovo. » gli sussurrò, mentre le sue dita
percorrevano il bordo dei suoi slip.
« Che
cosa? » lui sollevò lo sguardo, abbassandole
leggermente le mutande.
« Che mi
ami. »
Tom esitò.
« Ti amo. »
Il viso di
Alex si addolcì ulteriormente e avvolse il corpo del ragazzo
fra le sue
braccia.
« Ti amo
anche io, Tom. »
Sentirlo
uscire dalle sue labbra, sapendo che lo diceva col cuore,
riempì il corpo di
Tom di un calore immenso.
Lui la
amava. Lei lo amava. Entrambi si amavano.
E quella,
per lui, era la prima volta che faceva l’amore.
Ed era
assolutamente convinto del fatto che Alex fosse la persona
più giusta per
dedicargli quel sentimento e tutte quelle attenzioni.
La spogliò
anche dell’ultimo indumento che indossava e sorrise vedendola
arrossire.
E.. per
l’amor del cielo. Qualcosa si stava muovendo nella sua
pancia. Ma non era uno
yeti. E nemmeno una biscia. Sembrava fossero… farfalle.
Lasciò
scivolare le dita lungo i fianchi della ragazza, vedendo qualche
brivido
comparirle sulla pelle, e poi scese sempre più
giù, sulle cosce e oltre.
Le
accarezzò il sesso e la vide chiudere gli occhi e mordersi
le labbra.
Vi infilò
cautamente un dito, quasi avesse paura di farle male anche con il
minimo
movimento, e iniziò a muoverlo.
Poi ne
aggiunse un altro quasi subito dopo e la ragazza iniziò a
sospirare, stringendo
il cuscino con le mani.
« Tom… »
lo chiamò in un soffio, e lui sollevò lo sguardo.
Sudava, i
capelli le aderivano sul viso e sul collo e teneva sempre gli occhi
chiusi. Ma
le sue espressioni cambiavano a seconda dei movimenti delle dita di Tom.
Inarcò la
schiena lanciando un piccolo gemito di piacere e Tom capì di
aver toccato un
punto particolare.
Continuò
ancora un po’, amando osservarla in ogni suo piccolo
movimento.
Ma non
riusciva quasi più a trattenersi, si sentiva già
abbastanza pronto per andare
oltre.
Così si
fece strada sul suo corpo, lasciandola respirare e poggiò il
viso sulla sua
spalla, respirando il suo profumo.
Lei lo
abbracciò e gli accarezzò i cornrows.
«
Spogliati. » mormorò in un soffio che Tom
udì perfettamente.
La baciò
prima sul collo, poi sulla mascella e infine sulle labbra, sedendosi
sul suo
bacino e sfilandosi lentamente i boxer.
Sentì le
sue mani toccarlo, accarezzarlo in ogni parte possibile e poi un dito
di quelle
mani che amava tanto stringere, gli accarezzò il pene,
sfiorandolo.
Un minimo
tocco riusciva a mandarlo in tilt e si trattenne dall’urlare
una bestemmia.
Tirò la
testa indietro mentre lei continuava il suo giochetto. Poi
allontanò le mani e
tirò su le braccia, restando ad osservarlo.
Si passò
la lingua sulle labbra, stuzzicandolo e Tom, come un leone affamato, si
tuffò
sul corpo della ragazza e iniziò a baciarla con foga, quasi
come se volesse
strapparle via l’anima.
Poi
avvicinò lentamente il suo membro al sesso della ballerina
che aveva passato le
braccia attorno al suo collo.
Lo sentì
entrare e diventare sua in un battibaleno, lasciandosi sfuggire un
sospiro di
eccitazione, mentre Tom iniziava a muoversi con lentezza.
Ogni
istante che passava era un’emozione diversa. Ora
c’era piacere, ora
eccitazione.
Tom
strinse i denti, mentre la sua pelle andava a fuoco sotto le mani di
Alex che
sembrava stessero tracciando un percorso immaginario sulle sue spalle,
ma in
realtà amavano solo toccarlo in ogni sua
minuziosità.
Sentiva il
suo membro muoversi e fremere nel suo sesso, sapeva che Tom si stava
trattenendo per far durare quella goduria il più possibile.
Una
spinta, poi due, tre. Non voleva fermarsi, continuava a sospirare e i
suoi
sospiri diventavano sempre più forti mentre infilava la
testa fra il collo e la
spalla sinistra della ragazza che imprecò a voce alta,
stringendo le gambe
attorno al bacino di Tom. Quest’ultimo affondò
leggermente i denti sulla pelle
della sua spalla, mordendola.
E con un
ultimo sforzo, Tom cedette, svuotandosi insieme alla ragazza che
stringeva fra
le braccia e dipingendole sulla pelle un bacio che sapeva di amore.
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Capitolo 16 *** 16. Gravity of Love ***
Tom stava
beatamente sognando quando sveva iniziò a leccargli la
faccia, riempiendolo di
bava.
« Ma che
cazzo… ?! »
Era ancora
del tutto addormentato, ma abbastanza cosciente da capire che non
riusciva a
muoversi, bloccato da qualcosa. O meglio, da qualcuno.
Fece
scendere Sveva dal letto, mentre metteva a fuoco la figura femminile
che
dormiva beatamente poggiata sul suo petto.
E sì,
qualcosa nel suo sterno fece un enorme balzo, provocandogli un sorriso.
Forse per
quello che era successo, forse perché adorava sentirla
così vicina a sé o
semplicemente perché aveva capito di amarla.
Così restò
immobile a fissarla, continuando a ripetersi che era sua.
Grazie al cielo.
Quella
vocina iniziava a stargli simpatica.
Il
silenzio venne interrotto dal suono della sveglia e Tom fece un balzo
dallo
spavento.
Alex si
mosse e, aprendo gli occhi, vide il corpo di Tom disteso esattamente
sotto il
suo e lanciò un urlo che andò ad unirsi
all’irritante trillo della sveglia e
Tom la seguì a ruota, scappando dal letto.
E solo
quando fu in piedi si accorse di essere completamente nudo. Ma proprio
tutto
tutto.
Alex lo
fissò e arrossì stringendosi il lenzuolo attorno
al petto e spegnendo con un
pugno la sveglia.
Tom si
coprì velocemente le parti basse con entrambe le mani e si
colorò in viso più
di quanto non fosse già.
No,
decisamente non si aspettava un risveglio del genere.
La ragazza
scoppiò a ridere e si passò distrattamente una
mano sul viso, mentre Tom veniva
contagiato dalla sua risata.
Probabilmente,
Sveva stava pensando di essere l’unica con un minimo di
cervello là dentro,
perciò uscì dalla stanza. Tom si risedette sul
letto.
« Scusa,
non so che m’è preso! » rise lei.
Tom fece
spallucce coprendosi il bassoventre e si sdraiò di nuovo sul
letto.
« Immagino
che quella fosse la sveglia per andare a scuola. »
Lei annuì,
sdraiandosi al suo fianco.
« Non ho
ripassato matematica. » constatò.
« Hai
ripassato anatomia. » sogghignò Tom.
Alex gli
mollò un colpo sulla spalla e rise.
« Comunque
il tuo cane mi ha limonato poco fa. »
« Cos’ha
fatto?! »
« So di essere
tremendamente irresistibile, specialmente nudo, ma non pensavo di far
cadere ai
miei piedi pure i cani! Ha iniziato a leccarmi la faccia,
l’ho scambiata per
te. »
« Io non
ti lecco la faccia! » sbottò la ballerina
fissandolo.
« Oh
giusto, giusto. Allora forse è la ragazza della scorsa notte
che mi ha leccato
la faccia! » ironizzò, allungando un braccio verso
la schiena della ragazza,
che però si ritrasse sibilando un flebile: «
Spiritoso! »
Tom fece
uno scatto e la fece cascare sul letto e le scoppiò a ridere
in faccia.
« Facciamo
le preziosette eh! »
Le bloccò
i polsi con le mani e poi si chinò per baciarle il collo.
« Comunque
buongiorno. » mormorò lei.
«
Buongiorno amore mio. »
Salì sulle
sue guance, stampandole poi piccoli e soffici baci sulle labbra.
Dalla
soglia Sveva abbaiò, catturando l’attenzione di
entrambi.
« Il tuo
cane ha qualche problema con me. »
Il fatto
che Bill l’avesse tartassato di chiamate e messaggi che aveva
sempre lo stesso
testo – ovvero “Sei con Alex?”
– non gli aveva creato troppi problemi.
Il gemello
si preoccupava sempre troppo. Ma già s’immaginava
l’interrogatorio che avrebbe
dovuto subire.
Parcheggiò
fuori dalla scuola e scese per primo, aspettando che anche Alex,
uscisse prima
di chiudere tutto.
Si presero
per mano e varcarono il cancello principale, entrando nel cortile.
Ed era
inutile meravigliarsi di avere un centinaio di sguardi addosso.
Tom
camminava preso per mano con una persona.
Tom era
appena sceso dalla sua macchina con una persona.
Tom era
fidanzato.
Tom era
sempre più il sogno proibito di più di mezza
scuola.
Alex la
ragazza più odiata, ovviamente.
O ragazzo,
ancora a seconda dei punti di vista.
Attraversarono
il cortile e poi entrarono nell’edificio.
« Non
trovi che la gente ci stia fissando? » commentò
lei.
Tom le
strinse ulteriormente la mano.
« Non
trovi che sia estremamente sexy con questi occhiali da sole? »
Bill diede
una pacca sulla testa del fratello, che si voltò e lo
guardò perplesso.
« Ciao
anche a te Bill! »
« Grazie
per avermi cagato ai messaggi e alle chiamate. »
« Oh,
figurati. »
Tom chiuse
l’armadietto e si mise la borsa in spalla.
« Molto
divertente. » Bill lo seguì quasi respirandogli
sul collo. « Almeno mi degni di
una risposta?! »
Tom annuì.
« Sì, ero
da Alex. »
« E… ? »
Tom lo
fissò da oltre gli occhiali scuri.
« Tom! »
sbuffò il gemello.
« Hey,
sono grande! » sbottò. « E sai bene che
non è la prima volta. »
« Oh
certo. Vuoi un applauso?! »
« Bill. »
Tom si fermò nel corridoio. « Perché
non ti trovi anche tu una ragazza? Dai,
facciamo che domani ti porto fuori, ok? »
Bill lo
fissò perplesso.
« Mi hai
preso per un morto di figa? »
« No, ma
magari una ragazza ti farebbe bene. »
Bill fissò
il gemello con uno sguardo tutt’altro che rassicurante.
« Che ne è
stato di mio fratello? »
Tom
girò le
chiavi nella toppa ma Bill lo precedette, aprendogli.
« Fila in
camera prima che la mamma ti veda! » sibilò a
denti stretti.
Tom mise
velocemente un piede sul primo gradino e…
« Tom? »
Cazzo!
Si
fermò
fra un gradino e l’altro e sperò di aver sentito
male. Ma la faccia di Bill non
prometteva nulla di buono.
Lo vide
fargli cenno con la mano di filarsela il prima possibile e
così iniziò a salire
i gradini a gruppi di tre, per poi ruzzolare sull’ultimo ed
entrare in camera
sua col culo.
Giusto per
non farsi sentire.
Chiuse lo
stesso la porta e lanciò la borsa da una parte, per poi
sdraiarsi sul letto e
fissare il soffitto, come se fosse serenamente tranquillo.
In realtà
stava solo contando il tempo che impiegava la madre a salire fino alla
sua
stanza. E ci mise meno tempo di quanto avesse stimato.
Toc toc.
« Avanti. »
La porta
si aprì e Simone fece capolino.
« Tutto
ok? »
Lui annuì
e si mise a sedere.
Terzo grado.
Terzo grado. Terzo
grado.
Oh
sì, ne
era perfettamente a conoscenza.
Sua madre
stava per fargli un terzo grado coi fiocchi.
« Bill mi
ha detto che sei andato da Alex, ieri sera. Sta bene? »
Tom annuì
di nuovo.
« Sì,
abbiamo parlato. »
Come se
sua madre si bevesse quella balla!
Da oltre
la porta si sentì un grugnito trattenuto e Simone si
voltò.
Afferrò la
maniglia e aprì l’uscio, per mostrare sulla soglia
un Bill che tratteneva una
risata.
Tom lo
fulminò con lo sguardo.
« Stavo
per bussare. » si giustificò il gemello prima di
fare qualche passo nella
stanza.
Bene. Non
solo stava per essere interrogato come se fosse un criminale, ma
c’era perfino
il pubblico!
Era meglio
se fosse rimasto a vedere Alex ballare.
Simone si
sedette sulla sedia.
« E hai
passato la notte da lei, immagino. »
Tom annuì
di nuovo con la testa, senza guardarla.
« Tom. »
lo chiamò Simone. « Avete usato il preservativo?
»
Tom la
guardò. No, non si aspettava minimamente una domanda di quel
tipo!
Si grattò
le tempie e poi rispose.
« Alex usa
la pillola. »
Simone
annuì con la testa, rilassando il viso.
« Ed è la
prima volta che tue lei lo fate? »
« Sì. »
« E… com’è
andata? »
Tom spostò
lo sguardo dalla madre al fratello che aveva la sua stessa espressione
perplessa.
« Oh, beh…
normale. Voglio dire, non abbiamo avuto problemi, è andato
tutto bene. »
« Ma tu..
voglio dire.. sei venuto dentro di lei?
»
« Mamma! »
sbottarono entrambi i gemelli e Simone fece uno scatto sulla sedia.
« Scusate,
avete ragione! Non devo impicciarmi! »
Il suo
viso si colorò di rosso e si alzò dalla sedia.
« Vado a
finire le mie cose. » si dileguò, chiudendosi la
porta alle spalle.
Rimasero
solo Bill e Tom, il primo fissava il secondo con interesse.
Era tutto
tremendamente imbarazzante!
Tom
sollevò lo sguardo su Bill.
« Che c’è?
»
« E’ stato
solo normale? »
Tom amava
il rapporto gemellare che aveva con Bill. Si capivano in un battibaleno.
Così
sospiro, sapendo che Bill capiva cosa intendeva.
« E’ stato
tremendamente bello. Diverso da ogni singola volta in passato. E
Alex… lei è
così perfetta, è diversa dalle altre ragazze, dal
resto del mondo, lei… è fatta
per me. »
Bill si
sedette sulla sedia dove prima era seduta Simone e guardò
Tom con uno sguardo
indagatore. Poi portò un dito al sopracciglio destro e
iniziò a grattarselo
distrattamente.
« Allora
ti sei proprio trovato una ragazza. Intendo… una vera. »
Tom annuì
lasciandosi sfuggire un sorriso.
« Oh beh…
allora… sai che forse hai ragione? »
« Riguardo
cosa? »
« Dovrei
trovarmela anche io una ragazza. Se tu non sei più acido
come prima, magari le
donne servono a qualcosa. »
«
Spiritoso! Tu pensa a restare sempre il solito cagacazzo eh! »
Bill rise
e si alzò.
« Sai,
penso che la mamma non voglia nipotini a
quest’età. »
« L’avevo
capito anche io. »
« Non ha
tutti i torti eh. »
Si
avvicinò alla porta e la aprì, ma non
uscì. Si voltò di nuovo, le sopracciglia
aggrottate.
« Però le
sei davvero venuto dentro? »
« Bill! »
« Ok ok
scusa! »
Tom si
preparò a lanciagli un cuscino ma il gemello se la
svignò chiudendosi la porta
alle spalle.
Era
proprio figlio di sua madre.
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Capitolo 17 *** 17. Concrete Angel ***
Trovare un
lavoro era più difficile di quanto sembrasse. Non poteva
trovarsi un impiego
dall’altra parte della città se non aveva nemmeno
una macchina. E di sicuro non
avrebbe usufruito della disponibilità di Tom.
Qualcosa
doveva esserci per forza.
Tom si
avvicinò alla porta in legno scuro e dopo aver preso un bel
respiro, bussò tre
volte.
« Avanti. »
Entrò
nello studio e vide il padre seduto alla scrivania, con dei documenti
sottomano.
« Ciao
papà. »
Jörg
sollevò lo sguardo e lo puntò sul figlio.
« Oh, ciao
Tom. »
Il ragazzo
gli si avvicinò sfregandosi le mani.
« Senti,
ho bisogno di chiederti un favore. Credo che tu possa aiutarmi.
»
L’uomo lo
guardò e annuì interessato.
« Dimmi
pure, vedrò cosa posso fare. »
Tom prese
fiato, sapendo di toccare un terreno poco stabile.
« Alex ha
bisogno di un lavoro. »
« Non
stava facendo la cassiera? »
Tom annuì.
« Sì ma le
è scaduto il contratto, era solo per qualche
mese… lei va avanti così da un po’
di tempo. » rispose.
« E i
genitori non possono aiutarla? La madre per esempio. Visto che balla
perché non
la prende con sé? E poi perché deve lavorare se
il padre è un avvocato?
Dovrebbero avere delle entrate più che soddisfacenti.
»
« Alex non
ha i genitori. »
« Come?! »
Tom voltò
lo sguardo dall’altra parte e poi prese una sedia
lì vicina. La mise davanti al
padre e si sedette, cercando di riordinare le parole per fare un
discorso
decente.
« Quando
vi ha detto che il padre era un avvocato e che la madre aveva una
scuola di
danza, vi ha mentito. Aveva paura di farvi una cattiva impressione, non
voleva
sfigurare e così si è inventata questa storia. Ma
lei vive ad Amburgo da sola.
Ed è costantemente alla ricerca di un lavoro fisso che
però non riesce a
trovare. Studia, balla, lavora e si dà da fare da sola. E
pensa di essere una
fallita. Ho cercato di farle capire che non lo è,
ma… è così fragile. »
Sollevò lo
sguardo che aveva abbassato sulle sue mani e fissò il padre.
« Pensi di
poter fare qualcosa per lei? Non so, un impiego nei paraggi visto che
non ha
nemmeno la macchina. »
Jörg si
mosse sulla sedia e si grattò il pizzetto scuro.
Suo figlio
gli chiedeva aiuto per la sua ragazza.
Tom era
solito risolversi i problemi da solo, ma evidentemente in quel caso non
aveva
potuto fare molto.
E stava
facendo tutto quello solo per quella ragazza. Per Alex.
Che aveva
mentito ad una semplice domanda, solo per fare una bella impressione
sia a lui
che a Simone.
E Simone
sembrava adorarla, l’avrebbe anche adottata come figlia se
avesse potuto, visto
che ne parlava ogni volta che Tom non era presente. Beh, effettivamente
anche
quando lui era presente.
« Tom. »
esordì. « Mi stai chiedendo di aiutare una ragazza
che non conosco, che ho
visto due volte e che mi ha detto delle bugie per fare bella figura,
giusto? »
Tom scosse
la testa.
« Ti sto
chiedendo di aiutare la mia ragazza.
Se non vuoi farlo per lei, fallo per me. »
Lo stava
implorando. E non si sarebbe mai aspettato di fare una cosa del genere.
« Non è
stata lei a chiedermi questo favore, sono stato io a prendere questa
decisione
e lei ne è completamente all’oscuro. Mi puoi
aiutare o no? »
Jörg non
era un uomo cattivo.
Amava la
sua famiglia, sua moglie Simone e i suoi figli. Semplicemente non
riusciva a
trasmettergli l’affetto di cui avevano bisogno. Non era bravo
a dialogare, gli
sembrava sempre di sbagliare con ogni minima parola.
E in quel
momento, Tom gli chiedeva aiuto.
Non aveva
mai avuto molte opportunità di poter parlare con suo figlio,
tantomeno riguardo
Alex. Così decise di andare oltre, di capire perché
Tom si stesse preoccupando tanto.
« Perché?
Dammi solo una motivazione e io proverò ad aiutarti.
»
Tom poggiò
la schiena sulla sedia e si sentì tremendamente scoperto,
come se fosse un
albero a cui è stata sradicata la corteccia.
Così
sospirò, e si preparò ad arrossire.
« Perché
la amo. »
Jörg
strabuzzò un po’ gli occhi ma restò
comunque a fissare il ragazzo.
« Ti basta
come risposta? »
L’uomo
sollevò le sopracciglia e abbozzò un sorriso.
« Tom,
parlare di amore alla tua età è… un
po’ prematuro, non credi? Probabilmente
vuoi molto bene a questa ragazza e per lei è lo stesso
ma… »
« Papà,
non è così. Alex è una persona diversa
e mi ha reso una persona diversa. Lei è…
come un mondo da scoprire, io non le voglio solo
bene. Io la amo. La amo in ogni suo gesto; quando sorride,
quando piange,
quando studia, quando dorme, quando si arrabbia, quando si emoziona,
quando
balla, quando parla, quando accarezza Sveva o Scotty, quando mi chiama
al
telefono, quando continua ad andare avanti con le sue forze e quando
cerca di
nascondermi i suoi problemi per non farmi preoccupare. »
Oh sì,
dire che era diventato rosso in viso era poco. Le sue guance si erano
colorate
di un rosso pomodoro.
Jörg non
sapeva che suo figlio potesse intimidirsi, parlando dei propri
sentimenti.
E fino a
qualche minuto prima, non credeva nemmeno che si sarebbe mai seriamente
innamorato.
Ma c’era
qualcosa nei suoi occhi, nel tono della sua voce e nel colore del suo
viso, che
gli facevano oscillare quelle convinzioni.
Così
sospirò, pensando.
« Allora,
pensi di potermi aiutare? »
Effettivamente,
c’era quel vecchio amico che gli doveva diversi
favori…
Sollevò lo
sguardo, abbozzando un sorriso.
« Vedrò
cosa posso fare. » rispose dandogli una pacca sulla spalla.
Tom
riprese il suo colore naturale e sorrise, rassicurato.
Poi si
alzò e si diresse verso la porta, ma prima di aprirla si
bloccò e si girò di
nuovo.
Il padre
era nuovamente immerso nel suo lavoro.
« Papà? »
Jörg
sollevò lo sguardo e vide un sorriso sincero sul volto del
figlio.
« Grazie. »
Andreas
suonò ancora una volta il clacson e fu Tom il primo ad
aprire la porta e ad
uscire, facendo segno all’amico di calmarsi.
Bill lo
seguì a ruota, con addosso una giacca che ricordava
parecchio Dracula, e forte
trucco nero sugli occhi.
Gli
piaceva uscire così.
Tom aprì
lo sportello della Mercedes dell’amico.
« Abbiamo fretta?
»
Si sedette
sul sedile del passeggero e Bill si mise dietro, sistemandosi il
colletto.
« Devi
andare ad un party di travestiti? » gli domandò il
biondino, cambiando marcia e
partendo.
Bill lo
fulminò con lo sguardo, ma ormai era abituato alle
frecciatine di Andreas.
« Allora,
tutto a posto con la tua lady?
»
domandò rivolto a Tom.
Quest’ultimo
annuì con la testa.
« Avremo
un Kaulitz Junior fra di noi? »
Tom lo
guardò.
«
Divertente! »
« Oh dai,
pensa se somiglia a te quante belle ragazze ti porterà in
casa! »
Tom sbuffò
e scosse la testa, divertito.
« Allora
dove andiamo stasera? » domandò Bill.
« In un
posto carino con alcool e poche luci. Oh tranquillo Tom,
c’è anche l’angolo
fidanzati. » rispose Andreas senza evitare di lanciare una
frecciatina all’amico
bruno.
« Hai
finito di tartassarmi i maroni?! »
Andreas si
lasciò sfuggire una risata divertita ma continuò
comunque a stuzzicarlo fino
all’arrivo nel locale.
Un locale
per niente sobrio, constatò Tom una volta dentro.
Fumo e
alcool erano la prima cosa che si sentiva nell’aria. Le luci
creavano
un’atmosfera intima per chi voleva stare in un angolo a
pomiciare, e c’era chi
non si era fatto scampare quell’opportunità.
In fondo
c’era un piccolo palchetto con delle ragazze seminude che
ballavano incitando
gli spettatori là sotto, i quali sborsavano banconote da
cinquanta euro e le
infilavano nei pochi indumenti rimasti alle cosiddette ballerine.
Alex aveva
fatto la ballerina al Davis, ma quello era un altro locale. Nessuno si
spogliava, solo nelle tarde ore notturne e Alex non l’aveva
mai fatto. O
almeno, Tom non l’aveva mai vista.
Andreas li
portò nel privè e gli fece segno di accomodarsi
nei divanetti chiari.
« Bel
posto. » commentò Tom sarcasticamente. «
Proprio sobrio. »
« E dai,
adesso non vorrai farmi credere che sei diventato un santarellino!
Guardare non
è un peccato. » gli rispose l’amico.
« E neanche bere qualche bicchiere di
Vodka. »
« Le
puttane tutte tue? »
« Mie e di
Bill. Tu guarda o se vuoi, riprendi. »
La risposta
di Tom si evinse dal dito medio che aveva prontamente sollevato in aria.
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Capitolo 18 *** 18. His Mistakes ***
E’
solo un bicchiere.
Andreas
l’aveva ripetuto almeno 30 volte quella sera. O, per lo meno,
ogni volta che
ordinava da bere.
E a furia
di trincare, l’aveva finita a ridere da solo mentre aveva
intrapreso un
discorso a livelli di stupidità inimmaginabili, con il suo
bicchiere.
Tom lo
fissava vedendogli due teste attaccate al collo.
Quella
serata si era rivelata una vera merda, aveva iniziato a bere come una
spugna e
ora a malapena riusciva ad alzarsi dal divanetto.
Ma doveva:
Bill era scomparso da più di mezz’ora e sperava
che fosse abbastanza lucido da
portarli tutti e tre a casa sani e salvi.
Così
allungò le gambe e si mise in piedi, lasciando Andreas
ridere delle sue stesse
coglionate e iniziò a girare fra i tavoli pieni di gente.
Vedeva la
maggior parte delle cose doppie, gente con addirittura tre teste, ma di
Bill
nemmeno l’ombra.
Non che,
effettivamente, l’ombra si riuscisse a vedere in quel posto.
Continuò a
vagare per qualche minuto buono mentre la musica gli impallava
ulteriormente il
cervello e giurò di aver rovesciato più di un
vassoio dalle mani dei baristi.
Poi vide
una figura molto simile a Dracula seduta non molto lontano da lui e
così
raggruppò tutte le forze che gli erano rimaste e si
avvicinò.
Bene.
La
vocina
vacillava, ma Tom la udì bene.
Tuo fratello
sta pomiciando.
Nulla di
male, no? La cosa che traumatizzò Tom però, era
il fatto che Bill stesse
limonando con un ragazzo.
Chiuse e
aprì gli occhi un paio di volte, ma la scena non mutava.
« Bill?! »
La sua
voce venne coperta dalla musica alta, così cerco di farsi
ulteriormente strada
tra la gente che separava lui e il suo fratello gemello – che
era amorevolmente
impegnato a farsi i cazzi suoi – spingendo chiunque gli si
trovasse davanti.
Una mano
gli afferrò un polso e lo bloccò.
Voltò lo
sguardo sentendo la testa più pesante che mai ma non
riuscì a mettere bene a
fuoco la persona che aveva davanti. Vedeva solo una folta chioma riccia
che
cambiava colore a seconda delle luci e… un momento. Quelle
erano quattro tette!
Il
cervello di Tom fece una capriola. Non aveva mai visto 4 tette insieme!
« Tom! »
Sollevò lo
sguardo e ridusse gli occhi a due piccole fessure per capire chi gli
stava
parlando.
« Diana?! »
La
biondina gli sorrise e solo allora Tom la riconobbe.
Era
l’ultima sua fiamma, l’ultima pollastrella che si
era portato a letto prima di
conoscere Alex.
Ma se la
ricordava con solo due tette. E che tette.
« E’ da un
po’ che non ci vediamo! Come va? »
« Oh io… »
Tom si premette la fronte. « Bene, sto bene. »
« Vedo che
te la stai spassando. »
Fila via il
più in fretta
possibile. Ricordati che non esistono quattro tette.
«
Oh… già.
»
« Sei
solo? »
Diana si
portò il bicchiere di alcool che stringeva con una mano alle
labbra e fece
scivolare la lingua sul bordo.
Tom iniziò
a sentire caldo.
Dì
di no. Dì di no.
«
No, sono
con Andreas e Bill. »
Bravo!
«
Ma sono
per i fatti loro. »
Sei un
coglione.
Diana
spostò il bicchiere e si avvicinò al corpo di
Tom, posandogli la mano libera
sul petto.
« Che ne
dici di fare quattro chiacchiere? E’ da molto che non
parliamo. »
Quattro
tette premevano sul suo petto.
« Certo,
perché non ci sediamo? »
Nelle sue
vene non c’era più un briciolo di sangue, era
completamente andato.
Non aveva
fatto come Andreas, da solo a ridere in un angolo di sé
stesso, o come Bill che
aveva iniziato a limonare con un suo simile.
Aveva
fatto molto peggio.
I capelli
di Diana gli facevano un leggero solletico sul collo mentre la ragazza
gli
passava la lingua sul petto, soffermandosi particolarmente sui
capezzoli del
ragazzo il quale aveva una capacità di comprensione
veramente limitata.
Diana si
fermò e lo baciò sulle labbra, mentre gli occhi
di Tom restavano chiusi e
vedeva vortici di ogni tipo e colore.
Li aprì
solo quando non sentì più le labbra della bionda
attaccate alle sue e la vide
scendere fin sul suo basso ventre.
Si caricò
sui gomiti mentre lei si spostava i capelli dal viso e dal collo e poi
prese il
suo pene fra le mani.
Tom non
gemette né mugugnò qualcosa di eccitato mentre la
mano della ragazza gli
accarezzava il membro.
Non era il
tocco che lo mandava in tilt, non era la mano che conosceva bene, non
era la
ragazza giusta.
Non era
Alex.
La vide
aprire la bocca e provò con quel poco di senno che gli era
rimasto a bloccarla.
Ma quando
la lingua di Diana toccò la punta del suo pene, Tom non
capì più nulla e si
lasciò cadere sul letto, diventando un perfetto burattino
per i giochi erotici
della ragazza.
Era tutto
automatico, non provava le emozioni che avrebbe dovuto e tantomeno
riusciva
perfettamente a rendersi conto di ogni singola cosa stesse accadendo in
quella
stanza da letto.
Si accorse
di quando Diana si fece penetrare, ma sembrava stesse facendo tutto da
sola.
Lui non
era là con lei, anche se quello era il suo corpo.
Non voleva
esserci.
Ma
nonostante tutto, non riusciva a dirle di fermarsi, era come bloccato
da quella
sbronza che era peggiorata da quando aveva incontrato Diana nel locale.
La sentiva
urlare di piacere e le sue orecchie fischiavano, udendo quegli strilli
che gli
sembravano tremendamente orribili.
No, quella
non era la voce di Alex. Non c’era il suo profumo e lui non
era toccato dalle
sue mani né dalle sue labbra.
Alex prese
il cellulare, ma non vide nulla sullo schermo.
Aveva
provato a chiamare Tom già una prima volta, ma non le aveva
risposto.
Fece un
lungo respiro e poi compose di nuovo il numero. Si portò
l’apparecchio
all’orecchio e attese.
Invano, ma
attese.
Sveva era
in un angolo a fissarla, preoccupata.
La ragazza
chiuse la chiamata e si voltò verso il cane.
«
Evidentemente non ce l’ha addosso. »
Ma no, non
pensava minimamente che Tom non avesse proprio nulla addosso, esclusa
la stessa
ragazza che l’aveva messa in guardia.
Tom
aprì
gli occhi e si passò una mano sulla fronte. La testa gli
pulsava come mai prima
d’allora.
Voltò lo
sguardo e vide la schiena nuda di Diana.
Chiuse gli
occhi sentendosi terribilmente schifoso. L’aveva fatto
davvero. Non era tutto
un sogno, quella volta era tutto reale.
Buttò di
nuovo la testa sui cuscini insultandosi mentalmente e poi, con uno
sforzo
immane visto il peso sproporzionato che aveva preso la sua testa, si
mise a
sedere, cercando i suoi abiti fra quella marmaglia di roba sparsa per
terra.
Si sentiva
un verme, una perfetta merda.
Si era
ubriacato e come un idiota si era fatto portare a letto
dall’ultima persona che
avrebbe voluto vedere in quei momenti.
Forse
Diana non sapeva che lui stava con Alex, non sapeva che lui aveva
legato il suo
cuore a quello della ballerina e così aveva semplicemente
voluto portarselo a
letto. Proprio come lui faceva fino a qualche mese prima.
Si rivestì
assorto fra i suoi tredicimila pensieri contorti e poi si decise ad
uscire da
quella casa.
La
macchina di Diana era parcheggiata fuori. Bene, come prima punizione
dove
arrivare a casa sua a piedi e da solo. E il sole non era nemmeno sorto.
Tirò fuori
il cellulare dalla tasca per controllare l’ora, sperando in
un Bill più sobrio
di lui.
Ma quello
che vide furono solo 2 chiamate perse. Entrambe di Alex.
E, sbronza
o meno, la nausea lo costrinse a nascondersi in un angolo per vomitare
tutto il
veleno che l’aveva infettato per quella dannata notte.
Il
telefono di Alex squillò facendola balzare sul letto.
Guardò
l’ora: erano le 10 del mattino e lei dormiva ancora.
Prese
velocemente l’apparecchio sperando di sentire la voce di Tom,
ma quando rispose
udì una voce decisamente più rauca.
«
Buongiorno, parlo con la signorina Alex Meyer? »
La ragazza
si mise a sedere mentre Sveva entrava nella stanza.
« Sì, sono
io. »
« Piacere
di conoscerla, sono Franz Müller. Mi è stato detto
che è alla ricerca di un
impiego. »
Il cuore
di Alex fece un balzo.
« Sì. »
« Le
interesserebbe fare la commessa in un negozio hip hop? »
Bill non
si era risparmiato la sua ramanzina. Per non parlare del fatto che
fosse andato
totalmente in bestia quando Tom gli aveva raccontato cos’era
successo.
« L’hai
tradita! Te ne rendi conto?! » aveva urlato.
E Tom si
era semplicemente limitato ad annuire, divorato dal suo nuovo amico mal
di
testa.
« Ha fatto
tutto lei, io non capivo niente. »
« Oh
certo. Come se io adesso ti sbraghettassi e ti facessi un pompino!
»
Tom
fulminò Bill con lo sguardo.
« Non sono
l’unico qui che ieri sera si è divertito. Se non
sbaglio ti ho lasciato in simpatica
compagnia di un ragazzo. »
Bill
arrossì e abbassò lo sguardo.
« Io non
ci sono andato a letto. E anche se fosse, non ho una ragazza che si
preoccupa
per me. »
Tom scosse
la testa, sbuffando.
« Bill ti
prego, so di aver fatto una cazzata. Basta. Finiamola qui. »
« Glielo
dirai? »
« Con le
parole giuste. »
Bill stava
per rispondere quando il cellulare del fratello squillò,
distogliendolo dal
discorso.
Nello
schermo brillava il nome Alex.
Tom lo
fissò e poi sollevò lo sguardo sul gemello.
« Non
dirmi che è Diana. »
« E’ Alex.
»
«
Rispondi, muoviti! »
Tom
rispose con un: « Pronto? » alquanto mogio.
« Buongiorno. »
«
Buongiorno. Tutto bene? »
« Alla grande! »
« Come mai
quest’allegria? »
Bill gli
lanciò uno sguardo indagatore.
« Mi hanno offerto un lavoro! »
« Wow,
sono contento per te. » disse senza troppo entusiasmo.
« Tutto ok?
»
Tom deglutì.
« Sì, è
tutto ok. Sono solo un po’ stanco, ieri sera sono rientrato
tardi a casa. A
proposito scusa se non ti ho richiamata, ma era tardi…
»
« Non preoccuparti. Allora ti
lascio riposare.
»
« Ci
vediamo domani a scuola? »
« Ok. Tom? »
« Sì? »
« Ti amo. »
Quella
volta però, il suo cuore non balzò. Lo
sentì comprimersi e sanguinare.
Chiuse gli
occhi sentendosi mancare il fiato.
« Ti amo
anche io. »
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Capitolo 19 *** 19. Love and Death ***
Cazzo, se
solo si fosse dato una regolata anziché seguire Andreas che
beveva e beveva!
Tom batté
lo sportello dell’armadietto e si diresse verso
l’uscita con il suo pacchetto
di sigarette.
Ne prese
una e la accese varcando la soglia d’ingresso e si
guardò attorno, cercando con
gli occhi la sua ragazza.
Alex si
dondolava su un piede e poi sull’altro guardandosi attorno.
Tom fece
un tiro e poi la raggiunse. Doveva dirglielo il prima possibile.
A pranzo
non ce l’aveva fatta. Tantomeno nei corridoi. Lei era
così euforica di avere un
nuovo impiego che non voleva rovinarle tutto con quella sua confessione.
Le si
avvicinò tenendo lo sguardo basso e ringraziandosi da solo
per aver indossato
gli occhiali da sole, nonostante la giornata fosse nuvolosa.
Alex lo
salutò con un sorriso a cui lui rispose prendendole la mano.
« Tutto
ok? »
La voce di
Alex gli risuonava più soave di quanto in realtà
fosse.
Forse
perché si sentiva una bestia nei suoi confronti.
« Sì,
tutto ok. »
« Ti vedo
giù. E’ successo qualcosa? »
Era
successo il finimondo!
Tom si
immobilizzò fissando la figura femminile che gli camminava
incontro.
Deglutì e
abbassò lo sguardo verso Alex, che guardava nella sua stessa
direzione.
Quella era
la stessa identica ragazza che aveva incontrato
in biblioteca.
La vide
avvicinarsi a loro e poi fermarsi davanti a Tom.
Solo dopo
spostò lo sguardo verso di lei.
«
Complimenti. » sibilò.
« Tom, che
succede? »
« Diana
vai via. »
Alex
lasciò la mano del ragazzo.
Lui la
conosceva?!
« Credevo
fosse il caso di restituirti questo.
»
Frugò
nella borsetta e tolse fuori un preservativo.
Alex
inorridì. Era usato.
Tom
impallidì e lo sguardo della sua ragazza schizzò
prima sulla sua figura, poi su
quella della ragazza.
Sul viso
di Diana comparve un ghigno di soddisfazione e Tom si voltò
verso Alex.
« Non è
come pensi. »
« Siete
andati a letto insieme! »
« Posso
spiegarti! » Tom allungò una mano ma Alex la
colpì, allontanandosi.
«
Spiegarmi cosa?! Come il tuo cazzo è entrato nella sua
vagina? Quanto grandi e
belle fossero le sue tette?! Quanto hai goduto andando a letto con
questa
troia?! »
« Hey! »
squittì quest’ultima.
Alex sentì
l’impulso di darle un pugno in modo da cambiarle connotati ma
lei non stava con
Diana. Lei stava con Tom.
Così
sposto lo sguardo sul ragazzo e un fiume di lacrime arrivò
veloce ai suoi
occhi.
Ecco
perché non aveva risposto. Ecco perché era
così stanco.
« Alex ti
prego, lascia che ti spieghi! »
« Come fai
a dire così, Tom? Io mi fidavo di te! Mi
fidavo! »
Tom si
sentì morire.
Lacrime
argentate comparvero sugli zigomi della diciottenne che si
allontanò
ulteriormente.
« Non
voglio più vederti. »
« Alex,
per favore… » Tom provò di nuovo ad
allungare una mano, ma Alex quasi ringhiò,
mollandogli un ceffone.
« Non ti
avvicinare! Mi fai schifo! Sei uno schifoso e come una cogliona mi sono
fidata
di te! Pensavo che fossi sincero, che fossi cambiato o almeno questo
era quello
che continuavi a ripetermi e invece no! Sei sempre la solita testa di
cazzo e
con te non c’è vita! » non gliene
fregava niente se attorno a loro tutti
stavano guardando e ascoltando.
Quella era
una pugnalata più che mortale.
Lei aveva
riposto in Tom tutte le sue ultime speranze, tutta la sua fiducia e lui
aveva
gettato tutto alla prima occasione.
Come
poteva continuare a fidarsi di lui? A lasciarsi toccare da quelle mani
che
avevano toccato un altro corpo?
« Non
voglio più vederti. »
Tom vide
fiamme nell’ultimo sguardo che Alex gli rivolse. Fiamme di
odio e di disprezzo.
Rimase
immobile, osservandola mentre correva via, nascondendosi nuovamente da
tutti
gli sguardi.
Diana si
era messa da una parte, guardando la scena.
Tom non la
degnò nemmeno di uno sguardo e decise che era ora di tornare
a casa, quando una
mano si posò sulla sua spalla.
Il viso di
Bill era cupo.
« Beh, che
avete tutti da guardare?! Vi sembra forse un circo questo? »
ruggì Andreas alle
loro spalle.
La gente
iniziò ad allontanarsi, Diana compresa.
Tom si
levò la mano di Bill di dosso.
Era troppo
schifoso per essere toccato perfino dal suo gemello.
Andreas
l’aveva invitato ad uscire ma no, lui non aveva voluto.
Preferiva
evitare di fare altre stronzate.
Non era
colpa di Andreas che l’aveva incitato a bere, nemmeno di Bill
che se n’era
andato per i fatti suoi. Era tutta colpa sua. Doveva dire a Diana di
smetterla,
di fermarsi, di stare calma perché lui era fidanzato,
perché lui amava Alex e
non voleva perderla.
E invece
no. Aveva mandato a puttane tutto quello che lo aveva fatto stare bene
fino ad
allora. Aveva mandato a puttane Alex.
Jörg entrò
in cucina e vide il figlio con una sigaretta in mano.
« Ho
chiamato un amico, credo abbia contattato la tua ragazza. »
Tom
sollevò lo sguardo senza essersi accorto della presenza del
padre e spense
velocemente la sigaretta nel posacenere.
« Oh sì.
So che l’hanno chiamata per lavorare in un negozio hip hop.
»
Il padre
sorrise versandosi del caffè.
« Grazie. »
sospirò Tom.
Jörg fece
spallucce.
«
Figurati. Ma ora mi spieghi perché hai quella faccia?
»
Tom
sollevò leggermente lo sguardo per vedere che il padre lo
stava fissando.
Poggiò la
schiena sulla sedia, prendendo fiato.
« Sono
andato a letto con un’altra. »
Jörg tossì
mentre beveva.
« Cosa?! »
« Ero
ubriaco! »
Il padre
lo fulminò con lo sguardo.
« Tom, ti
rendi conto di cosa stai dicendo?! »
« Non ne
vado fiero, se è questo che intendi. Lei l’ha
scoperto e ovviamente non l’ha
presa bene. »
Rivide il
viso di Diana e fu avvolto da un senso di nausea.
« Non
potevi di certo pretendere che si mettesse a saltare
d’allegria. »
Tom scosse
la testa e poi se la prese fra le mani.
« Hey! »
Jörg gli si avvicinò mollando la tazzina di
caffè da una parte e gli poggiò una
mano sulla schiena. « Son sicuro che si metterà
tutto a posto. Lasciale del
tempo per pensare, per ragionarci sopra. Se vi amate davvero,
supererete anche
questo. »
Tom annuì
sentendosi male psicologicamente. Quanto avrebbe dovuto aspettare?
Non
voleva. Il tempo lo spaventata e lui voleva averla con sé.
Voleva
riabbracciarla, ribaciarla, riguardarla negli occhi e risentirsi dire
che lo
amava.
Il
cellulare prese a squillare e lo tirò fuori con un sospiro,
leggendo il nome
dell’amico biondo sullo schermo.
« Che c’è?
»
La voce di
Andreas era coperta da fischi e dalla musica alta.
« Non ti
sento! Cos’hai detto?! »
L’amico si
premette l’apparecchio sulle labbra.
« Ho detto
che ti conviene fare un salto all’Angie’s e anche
in fretta! »
« Ti ho
detto che non ho voglia di uscire. »
« Tom se
non sali su quella cazzo di macchina la tua ragazza finirà
lo spogliarello
davanti a decine di uomini già eccitati! »
« Cosa?! »
Tom scattò
in piedi.
« C’è
Alex! » strillò Andreas. « E non so se
ti faccia piacere sapere che si sta
esibendo in una lap dance! Qua è pieno di gente, non so se
senti il casino…
Tom?! »
Tom era
corso nel garage e aveva preso la macchina con la stessa furia di un
cavallo
imbizzarrito.
Mise in moto
e si riportò il cellulare all’orecchio.
« Dove hai
detto che sei? »
«
All’Angie’s, sbrigati! »
Il moro
chiuse la chiamata e accelerò verso il locale.
Se qualche
poliziotto l’avesse visto in quei momenti gli avrebbe
sequestrato la patente
senza pensarci su troppo.
I semafori
non esistevano, tantomeno gli incroci e parcheggiò nel
peggior modo esistente.
Fece il
suo ingresso nel locale e quasi pregò che l’amico
stesse scherzando. Ma no.
Alex era
davvero mezza nuda e si stava strusciando su un palo mentre ai suoi
piedi
stavano una quarantina di uomini sbavanti.
Tom grugnì
e non vide nemmeno Andreas che gli andava incontro. Iniziò a
correre e a
spingere via chiunque gli ostacolasse il cammino.
Una
spinta, un pugno e poi si ritrovò a salire sul palco.
Alex lo guardò
e Tom capì che non era completamente lucida. Così
la prese di peso,
raccogliendo gli abiti che aveva buttato a terra e mentre gli altri lo
fischiavano e lei si dimenava, lui uscì dal locale.
« Che
cazzo fai?! »
La posò
per terra e lei gli si lanciò addosso, spingendolo.
« Che
cazzo fai tu?! Ti sembra normale spogliarti davanti a tutti?!
»
« Non sono
affari tuoi! » Alex prese la maglietta e se la rimise addosso.
« Come
sarebbe a dire?! Fino a prova contraria sei ancora la mia ragazza!
»
Alex lo
guardò quasi prendendo fuoco.
« Sono la
tua ragazza solo in questi casi?! Perché ti sei dimenticato
di me quando sei
andato a letto con quella?! »
« Non mi
sono dimenticato di te, ma ero ubriaco! »
« Ti
sembra una motivazione?! » strillò lei.
« Sto
cercando di dirti cosa cazzo è successo! »
Alex si
voltò e camminò, poi si fermò e si
voltò di nuovo, puntando un dito contro Tom.
« Tu sei
solo un’opportunista! Mi hai usata fin dal primo momento,
volevi farmi credere
di essere diverso ma invece il tuo unico scopo era solo fottermi! E
dopo che
l’hai fatto, chi s’è visto
s’è visto! »
« Io ti
amo, Alex! »
« No, qua
sono io che ti amo perché mi sono davvero affezionata a te,
ho davvero creduto
ad ogni singola cazzata che mi hai rifilato, ho davvero voluto fare
l’amore con
te perché provo qualcosa che non ho mai provato prima e mi
sono davvero fidata
di te, di ogni cosa tu abbia detto o fatto per me! Eri la mia unica
speranza,
lo sapevi benissimo e guarda cosa hai fatto! »
Tom si
guardò attorno, agitato.
Non era
vero. Lui non aveva mentito neanche una volta con lei.
Le aveva
detto la verità fin dal principio, non aveva approfittato di
lei.
« Come
cazzo devo fartelo capire, Alex?! Devo scrivertelo sui muri, farmelo
tatuare,
cantartelo, recitartelo?! Devo salire su un palco e urlare
“Alex Meyer, io ti
amo”?! Cosa cazzo devo fare?! Dimmelo e lo farò!
»
« Devi
andartene a fanculo! » sbraitò lei. « Io
ti odio! »
Tom la
fissò con la stessa espressione e intensità della
prima volta che l’aveva vista
ballare.
Scosse la
testa ripetendosi che non era vero, che lei era ubriaca.
La figura
di Alex venne illuminata da una forte luce e entrambi si voltarono.
Tom scattò
in avanti urlando il suo nome ma venne spinto di nuovo via e
udì un rumore
sordo.
Il mezzo,
un macchinone scuro, si fermò e il conducente
uscì a controllare i danni
borbottando una bestemmia.
Tom si
rialzò velocemente da terra e corse davanti al mezzo.
I fari la
illuminavano perfettamente. I suoi occhi erano fottutamente chiusi.
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Capitolo 20 *** 20. How to save a Life ***
Tom si
stropicciò gli occhi.
Dovevano
essere sì e no le 8 del mattino. Non aveva chiuso occhio
neanche un momento, ma
alla fine si era concesso uno stato di dormiveglia.
I suoi
muscoli erano costantemente tesi e nonostante gli avessero
più volte ripetuto
di andarsene a casa, lui aveva ribadito che non si sarebbe mosso di
là.
Bill si
era offerto di andare a fargli compagnia, così era salito in
macchina ed era
arrivato all’ospedale in un battibaleno.
Non aveva
mai visto Tom in quelle condizioni.
Continuava
a camminare avanti e indietro e, inizialmente, l’aveva
trovato col volto
sconvolto dalla paura e le mani piene di sangue.
« Che è
successo?! »
Tom aveva
semplicemente sollevato lo sguardo e Bill vide i suoi occhi colmi di
lacrime.
« Hanno
investito Alex. »
Le ore
sembravano passare più lente che mai e come se non bastasse,
nessun dottore
usciva dalla sala operatoria.
Bill gli
batté una mano su una spalla e Tom sobbalzò. Mise
a fuoco la figura del
fratello e lo vide porgergli un caffè.
Tom lo
prese ringraziandolo con voce rauca e poi ingurgitò quello
schifo.
« Hai
saputo qualcosa? »
Tom scosse
la testa.
« Non è
uscito nessuno ancora. »
« Mi vuoi
raccontare cos’è successo precisamente? »
Tom spostò
il bicchiere dalle sue labbra e sospirò.
« Era
all’Angie’s, stava facendo uno spogliarello.
»
« Cosa?! »
« Era
mezza ubriaca. Mi ha chiamato Andreas e sono corso a prenderla.
L’ho tirata
via, l’ho portata fuori e abbiamo iniziato a discutere. Lei
urlava, sbraitava
ogni cosa le passasse per la mente e intanto indietreggiava. Le facevo
così
tanto schifo da allontanarla. Poi la macchina è sbucata dal
nulla, abbiamo
visto i fari avvicinarsi e sono corso verso di lei, ma… mi
ha spinto via. »
« Ti ha
spinto via? »
« Mi ha
salvato. Io volevo allontanarla, spostarla da un’altra parte
e fanculo alla
macchina se mi avesse preso. Ma no.. lei non ha voluto.. e ora
è dentro quella
sala operatoria a causa mia. »
« Tom non
l’hai investita tu. » mormorò Bill.
« Ma sono
stato io a tradirla. Io sono la causa dei suoi dispiaceri e io sono la
causa
principale dell’incidente. Se avessi avuto un po’
di autocontrollo e non mi
fossi ubriacato, non sarei andato a letto con Diana, non sarebbe
successo nulla
e io e Alex staremmo ancora insieme e magari a quest’ora
saremmo nello stesso
letto a riscaldarci a vicenda aspettando che la sua sveglia suoni per
ricordarci di andare a scuola! »
Tom
rovesciò il caffè a terra da quanto aveva
iniziato a gesticolare.
Ma la sua
attenzione venne attirata dalle porte che si richiudevano alle spalle
di due
medici.
Il ragazzo
si alzò e, seguito dal gemello, si avvicinò ai
medici. Il suo cuore bussava in
gola.
« Lei è il
ragazzo che era con la signorina? » gli domandò un
dottore, levandosi la
mascherina dal viso.
Tom annuì
con la testa e quello sospirò, togliendosi anche i guanti.
Il medico
affianco a lui si dileguò molto velocemente e Tom
giurò di essere entrato
dentro un film.
Odiava gli
ospedali da quando era bambino e in quel momento odiava anche il
silenzio del
dottore.
« E’ stato
necessario rianimarla. »
Tom
strabuzzò gli occhi.
« Non si
preoccupi è ancora viva e per ora le sue condizioni sono
stabili. »
Il ragazzo
si passò una mano sul viso mentre Bill gli poggiava una mano
sulla spalla,
rassicurandolo.
«
L’impatto è stato molto forte e la ricaduta della
ragazza lo stesso. In sostanza,
abbiamo dovuto sistemare una frattura al ginocchio destro e abbiamo
dovuto
operare anche la colonna vertebrale. Voglio essere sincero con lei,
senza nasconderle che la sua situazione era.. non
molto buona. »
Il dottore
tirò su col naso e Tom si sentì la testa
più pesante del solito, come l’ultima
sbronza.
« Abbiamo
fatto il possibile ma temiamo che la ragazza possa rimanere
paralizzata. »
Quel poco
di impulsività che scorreva nel corpo di Tom, lo
portò a nascondersi il viso
fra le mani e ad allontanarsi, mentre Bill lo guardava, immobile.
Tom si
voltò di nuovo e per la prima volta in vita sua, Bill lo
vide con gli occhi
lucidi.
« Voglio
vederla. »
Non doveva
chiedere nessun permesso. Non ne aveva alcun bisogno perché
era tutta colpa sua
se Alex rischiava di restare paralizzata.
« Adesso
la stanno sistemando in una stanza, incaricherò
un’infermiera di informarvi
appena sarà pronta. »
Tom annuì
e il medico si allontanò, lasciandolo solo con Bill, che
pronunciò un incerto: «
Tom… »
« Non dire
nulla. » lo zittì il gemello.
Si stava
lentamente maledicendo per tutto quello che aveva combinato.
Ogni
passo
che faceva sembrava un passo verso l’inferno.
L’infermiera
si fermò davanti ad una porta e lo guardò con un
mezzo sorriso.
«
L’effetto dell’anestesia dovrebbe passare fra
qualche minuto. Cerchi di non
farla sforzare. »
Tom annuì
e poi vide l’infermiera allontanarsi.
Sospirò e
poi abbassò la maniglia della porta, aprendola lentamente.
Nelle sue
orecchie rimbombava un tic regolare
e
i suoi occhi videro una figura sdraiata su un lettino, immobile, con
fili
sparsi un po’ dappertutto e i capelli adagiati sul cuscino.
Tom si
mosse cautamente, temendo di fare qualcosa che potesse causargli la
perdita
totale di quella persona. Chiuse la porta con un nodo in gola e si
avvicinò
lentamente al lettino.
Prese una
sedia e la mise silenziosamente affianco al lato sinistro della
ballerina.
La Alex che era
abituato a vedere, non era
la stessa Alex che dormiva davanti a lui.
Allungò
cautamente una mano e sfiorò la sua, che non si mosse.
Poi la
toccò con il palmo e sollevò lo sguardo verso il
suo viso.
Moriva a
vederla così, circondata da fili e ferita.
E, preso
da un’improvvisa sensazione di paura, chinò il
capo e iniziò a piangere.
In
silenzio, stringendosi nelle spalle e badando di non fare il minimo
rumore per
paura di disturbarla.
Ma sotto
la sua mano, le dita di Alex si mossero in una maniera quasi
impercettibile.
Tom
sollevò di scatto lo sguardo, senza accorgersi di avere le
guance solcate da
qualche lacrima, e lo posò sul viso della ragazza.
Vide
chiaramente le sue palpebre tremare e poi sbattere leggermente, fino ad
aprirsi.
Si era
svegliata.
« Alex? »
La sua
voce era roca e la gola gli bruciava.
La ragazza
chiuse e aprì di nuovo gli occhi, mettendo a fuoco e
cercando di capire dove si
trovasse.
Poi voltò
lo sguardo e lo vide. Nei suoi occhi rivide tutto quello che era
successo fino
ad allora e mosse le labbra cercando di pronunciare il suo nome, ma non
riusciva a parlare.
Tom
allungò una mano per accarezzarle la fronte e fu allora che
Alex notò le sue
lacrime.
« Si può
sapere che ti è preso?! » la rimproverò
Tom a bassa voce, continuando ad
accarezzarle la fronte e i capelli.
Alex non
rispose e Tom vide le sue labbra prendere quella solita piega che
presagivano
un pianto liberatorio.
Ma nei
suoi occhi leggeva una paura smisurata.
« Mi
dispiace. » mormorò.
Lui scosse
la testa e si avvicinò, baciandole una palpebra chiusa.
« Sono io
che devo scusarmi. Mi sono lasciato trascinare perché non
ero in me, non ero
lucido. Ma ti assicuro che non mi sono dimenticato di te. Ero
così avvolto dai
sensi di colpa che non riuscivo nemmeno a guardarti negli occhi, mi
facevo e mi
faccio tuttora schifo per quello che ho fatto. Che ti
ho fatto. » prese fiato passandosi una mano sulle
guance bagnate.
« E’ tutta colpa mia se abbiamo litigato, tutta
colpa mia se ora ti faccio
schifo ed è soprattutto tutta colpa mia se ora sei su questo
letto. Ma ti giuro
sulla mia stessa vita, su Bill e su tutto ciò che ho di
più caro, che non ti ho
mai mentita. Non ti ho mai usata e tutto quello che ti ho detto
fin’ora è vero,
dalla prima all’ultima parola. Ogni singolo respiro che ti ho
rivolto era il
più sincero di tutta la mia vita. »
Una
lacrima rigò il volto di Alex e Tom la asciugò
velocemente.
« Sei un
coglione. » rispose la ragazza. « Sei sempre il
solito coglione. »
Ci aveva
messo uno sforzo immane ad insultarlo in quel modo, quasi non aveva
più fiato,
poteva solo aggiungere qualcosa.
Tom
abbassò lo sguardo annuendo flebilmente con la testa e
aggiungendo mentalmente
altri insulti alla lista.
« E ti
amo. »
Se non
fosse stato per il fatto che erano vicinissimi tra di loro, Tom
pensò di aver
udito male.
Guardò il
viso di Alex incorniciato da quei tubicini di plastica che
l’avevano tenuta in
vita e si lasciò sfuggire un sorriso che illuminò
il suo viso stravolto.
Accarezzò
nuovamente il viso della ragazza che gli toccò la mano con
la sua, chiudendo
gli occhi.
Ma quando
Tom le passò la mano sui capelli, vide nel suo viso
un’espressione
terrorizzata.
Alex
spostò lo sguardo in un paio di punti, facendolo saettare
dalle pareti della
stanza al soffitto fino a soffermarsi su Tom, che la guardava
chiedendosi cosa
le stesse succedendo.
Non
l’aveva mai vista così terrorizzata.
« Che c’è?
»
La fronte
di Alex si corrugò e le sue labbra iniziarono a tremare,
mentre cercava
disperatamente di trattenere le lacrime. Si toccò il petto,
poi la pancia e
sembrò lisciarsi le lenzuola. Ma stava facendo
tutt’altro.
« Non mi
sento le gambe. »
Un fucile
a pressione avrebbe fatto meno male.
Le gambe
di Alex non si muovevano. Non le sentiva connesse al suo corpo, non
riusciva a
controllarle. Non riusciva a muovere un singolo muscolo dei suoi arti
inferiori.
Tom le
prese una mano, attirando la sua attenzione.
« Ho
parlato con uno dei dottori che ti hanno operata. Hai un ginocchio
fratturato
e.. hanno dovuto operare anche la colonna vertebrale. Secondo loro non
ci sono
state complicazioni ma non escludono niente. »
Alex voltò
lo sguardo dall’altra parte sentendosi annientata.
Che vita
sarebbe stata senza la danza?
Non poteva
capacitarsi del fatto che non avrebbe più toccato un palco,
fatto una piroetta,
una spaccata, un arabesque e che avrebbe passato il resto della sua
vita su una
sedia a rotelle.
No, quello
doveva essere uno scherzo, non era assolutamente possibile che lei
restasse
paralizzata.
Lei
ballava, diamine! Quelle gambe le servivano per vivere!
Tom le
strinse la mano.
« Non
agitarti, ok? L’anestesia non è del tutto svanita
e i dottori sono fiduciosi. »
Alex si
voltò, i suoi occhi tremendamente arrossati dalle lacrime.
« Cosa
farò senza la danza? »
« Tu
continuerai a ballare! Questo non ti fermerà ma ti
renderà ancora più forte! Mi
hai capito? »
Alex non
rispose e Tom ripeté la domanda: « Mi hai capito,
Alex? »
La
ballerina annuì, prima di allargare le braccia e tuffarsi
fra quelle di Tom.
Allontanarsi?
Non se ne parlava neanche!
Tom era
rimasto tutto il tempo insieme ad Alex, che si era addormentata un paio
di
volte.
Bill aveva
avvertito Simone e Jörg e subito dopo scuola si era
precipitato per salutare il
fratello e per sapere qualcosa in più sulle condizioni della
sua ragazza.
Tom aveva
iniziato a raccontare ad Alex qualche aneddoto della sua infanzia
quando
qualcuno bussò alla porta.
« Avanti. »
risposero entrambi.
La porta
si aprì e fece capolino il sorriso di Simone.
« Mamma?! »
« Alex
cara! » la donna saettò verso il lato destro della
ragazza e le schioccò un
bacio sulla fronte.
Più lento,
invece, fu l’ingresso di Jörg.
Fece un
passo dopo l’altro e si avvicinò prima dal figlio,
posandogli una mano sulla
spalla. Poi vide Alex voltarsi con un mezzo sorriso, e le rivolse un
cenno con
la mano, sperando che bastasse.
« Appena
abbiamo saputo cosa ti era successo volevamo precipitarci ma Bill ci ha
detto
che Tom era già con te e allora abbiamo preferito lasciarvi
un po’ da soli. »
« Immagino
voi due abbiate avuto diverse cose su cui parlare. »
commentò l’uomo.
Tom annuì
senza guardarlo.
« Tom,
perché non ti prendi un caffè? Non hai una
splendida cera. »
Tom stava
per scuotere la testa quando vide lo sguardo che la madre gli stava
lanciando,
e capì che volevano stare da soli con Alex.
« Sì, hai
ragione. »
Si alzò
dalla sedia e, sentendosi il culo indolenzito, uscì dalla
stanza richiudendosi
la porta alle spalle.
Alex provò
la stessa sensazione di disagio della sera a cena da loro.
Solo che,
in quel momento, era su un letto d’ospedale e non riusciva a
muoversi.
« Alex. »
la voce di Jörg era sempre più scura. «
Tom e io abbiamo parlato parecchio in
quest’ultimo periodo. E tutti i nostri discorsi erano
concentrati su di te. »
Alex
arrossì.
« Sul tuo
lavoro, sul tuo studio, sulla tua danza, sulla vostra relazione,
sull’ultima
cafonaggine di Tom. E anche sulla tua famiglia. »
La
ballerina socchiuse gli occhi e Simone le posò una mano sul
grembo.
« Perché
non ci hai detto la verità? »
« Avevo
paura. »
« Di noi? »
«
Dell’impressione che vi avrei potuto fare. »
« Pensi
che definendoti figlia di gente ricca avremmo potuto definirti
perfettamente
adatta a Tom? » domandò Jörg.
Alex non
rispose e l’uomo si sedette al posto del figlio.
« Io e te
non abbiamo mai parlato, ma Tom ti ha descritta in una maniera diversa.
Quasi
come se fossi un angelo. »
La ragazza
sentì le guance bollire.
« Per lui
sei davvero importante. E a noi non importa se non hai una famiglia che
ti
aiuta. » aggiunse Simone.
« Se Tom è
sicuro di quello che fa, allora lo siamo anche noi. E tu sei sempre la
benvenuta. »
Jörg si
era dimostrato una persona differente, rispetto agli inizi.
Tom fece
nuovamente il suo rientro nella stanza ed era seriamente andato alla
macchinetta del caffè.
« Bill mi
ha chiamato e ha detto che sta arrivando. Hey perché quelle
facce?! »
« Nulla. »
si affrettò a dire Simone. « Stavamo solo
parlando. »
« Il che
equivale ad un terzo grado. »
Tom si
avvicinò al letto e Jörg si alzò.
« Bene,
noi vi lasciamo. »
« Per
qualsiasi cosa, siamo a vostra disposizione. »
Si
allontanarono verso la porta e prima di chiudersela alle spalle,
Jörg si voltò
un’ultima volta.
« Ah,
Alex? »
La ragazza
sollevò lo sguardo.
« Per il
lavoro non preoccuparti, avverto io che hai avuto un incidente.
»
E solo
allora capì che era stato tutto merito di Tom.
|
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Capitolo 21 *** 21. In your Shadow I can shine ***
Tom scese
dalla macchina e si avvicinò alla porta
d’ingresso. Suonò il campanello e attese
che venisse aperta.
Diana
comparve sulla soglia e rimase alquanto stupida di vedere il ragazzo
davanti a
sé.
« Posso
entrare? »
La ragazza
si spostò e gli fece spazio, allora Tom entrò e
si sedette sul divano.
Conosceva
casa di Diana abbastanza bene da comportarsi come se fosse casa sua, ma
in quel
momento si sentiva lo stesso un tantino imbarazzato.
« Immagino
ti stia chiedendo perché sono qui. »
Diana si
strinse nelle spalle e Tom le fece segno di sedersi accanto a lui.
« Tom, mi
dispiace per quello che… »
Tom la
bloccò sollevando una mano in aria.
« Non mi
interessa sapere che ti dispiace. Quello che è fatto,
è fatto. E tu non ti sei
comportata bene. Ma non sono venuto qua per insultarti o farti
imbarazzare.
Sono venuto qua solo per chiudere questa storia una volta per tutte.
»
Diana
sollevò lo sguardo, fissando il viso di Tom.
« Alex e
io abbiamo litigato, come tu avrai potuto vedere. Lei è
andata fuori di testa
ed è stata investita. Adesso è in ospedale e
rischia di non riuscire più a
camminare. »
Diana
sgranò gli occhi e impallidì.
« Tom, io…
»
« Sapevi
che Alex ballava? No, forse no. E forse non sapevi nemmeno che lei,
ora, è
tutta la mia vita. Così come non sai che io la amo e che ho
rischiato di
perderla. »
Gli occhi
di Diana si abbassarono sulle sue mani e Tom si alzò dal
divano.
« Mi
dispiace se ho fatto qualcosa che può averti illusa. Ma ora
c’è Alex e non
voglio più che ci siano altri casini. »
« Mi stai
tagliando fuori dalla tua vita? »
« Credimi,
lo sto facendo nel modo più carino che mi riesce. »
Se Tom
voleva fare lo stronzo, ci riusciva ancora bene.
Diana annuì
con la testa e il ragazzo si voltò e aprì la
porta per uscire.
« Sai, »
Diana catturò di nuovo la sua attenzione. «
invidio parecchio quella ragazza,
anche se non la conosco. »
Tom si
fermò sulla soglia e si voltò.
« E
perché? » domandò allargando le braccia.
Diana era
ancora seduta e gli dava le spalle. Poi si alzò e gli
andò incontro.
« Perché è
fortunata ad averti sempre al suo fianco. Diglielo. »
Tom
aggrottò le sopracciglia da sotto la fascetta ma
annuì comunque.
Poi si
voltò e tornò verso la sua macchina.
Destinazione,
ospedale.
Alex si
lisciò nuovamente le lenzuola quando la porta si
aprì e Tom entrò nella stanza.
Si fermò
sulla soglia vedendo quasi tutta la stanza ricoperta da mazzi di fiori
di ogni
tipo.
« Visto? »
Tom si
chiuse la porta alle spalle e si avvicinò.
« Ma chi
ti ha mandato tutta questa roba? »
« Alcuni
sono dalla scuola di danza, un mazzo è di Andreas e gli
altri da gente che non
credo di conoscere. »
Tom si avvicinò
ad un mazzo di margherite e lesse il bigliettino.
« Oh
questa ragazza la conosco, è di scuola. »
« Davvero?
»
Alex si
mise a sedere aiutandosi con le braccia e Tom le si avvicinò
schioccandole un
bacio sulle labbra, prima di sedersi sulla sua solita sedia che era
sempre
libera.
« Com’è
andata a scuola? »
« Oh.. non
sono andato a scuola, dovevo parlare con una persona. »
Tom
abbassò lo sguardo e si grattò la nuca.
« E con
chi hai parlato? »
« Con
Diana. »
A sentire
quel nome, il viso di Alex assunse un’espressione attonita.
Tom le
prese una mano e sorrise.
« Mi ha
detto di dirti che sei molto fortunata. »
Alex lo
guardò e poi rise.
« Sì, me
ne sono resa conto. » commentò. « Oh,
guarda! »
Si sfilò
le coperte di dosso e Tom fissò le sue esili gambe. Quella
destra era ingessata
e la ragazza se le fissò con insistenza.
Tom vide
le dita dei piedi muoversi e Alex sorrise con la stessa
intensità di un bambino
che guarda il suo cartone preferito con dello zucchero filato come
merenda.
« Visto?
Riesco a muoverle! E guarda! »
Aggrottò
la fronte e piegò la gamba sinistra.
« Allora è
questo che fai quando ti annoi. »
« Beh, se
voglio riprendere a ballare il prima possibile, direi che è
il minimo. »
« Hai
ragione. Perciò fra un po’ dovrò
abituarmi a vederti zompettare da una parte
all’altra con una gamba monca? » domandò
Tom e Alex annuì con un’espressione
vispa sul viso.
« Però non
voglio che lasci perdere la scuola per me. »
« Ho i
voti abbastanza alti da permettermi qualche giorno in completa
compagnia della
mia ragazza che penso abbia più bisogno di me che di questi
fiori. »
La ragazza
sorrise, intenerita.
« Mi
aiuterai a guarire? »
« Sarò il
tuo bastone. »
Tom stava
aspettando fuori, poggiato sulla sua macchina, gli occhiali da sole
poggiati
sul naso e la sua solita aria da figo.
« Tom? »
La voce di
Alex lo fece sobbalzare e si voltò di scatto, vedendo la
ragazza saltellargli
incontro. Si reggeva su due stampelle e aveva un enorme gesso sulla
gamba
sinistra.
Tom le si
avvicinò velocemente e la aiutò a salire in
macchina. Poi salì al volante e
mise in moto.
« Come va
con queste stampelle? »
« Non c’è
male, ma devo ancora abituarmi. »
« Fra un
mese ti tolgono il gesso e dopo un po’ di riabilitazione
sarà tutto come prima.
»
« Spero
solo di riuscire a ballare come una volta. »
Tom la
guardò con la coda dell’occhio e vide che guardava
oltre il finestrino. Allora
le prese una mano e sorrise.
« Ballerai
meglio di prima. »
Consolarla,
farle tornare il sorriso, migliorarle la giornata era diventato quasi
un
passatempo. Non si stancava, non gli dava fastidio, anzi. Lo rendeva
particolarmente felice vederle spuntare il sorriso sulle labbra.
Poco dopo
accostò davanti al palazzo della ragazza. La
aiutò a scendere e poi le aprì il
portone principale, ma c’era un piccolo problema, che i
comuni mortali chiamano
scale.
Alex
iniziò a salire i gradini uno ad uno, ma Tom la
bloccò.
« Che stai
facendo?! »
« Salgo le
scale. »
« Non se
ne parla nemmeno! »
Il ragazzo
si abbassò e si caricò il peso della ragazza
addosso, prendendola in braccio.
« Tu sei
fuori di testa! »
« Ti ho
promesso che ti avrei aiutata a guarire. » disse salendo i
gradini. « E che
sarei stato il tuo bastone. »
« Non
sapevo potessi diventare anche un ascensore. »
Il ragazzo
sorrise e arrivò all’ultima rampa di scale.
« C’è
sempre una prima volta. »
Arrivò al
pianerottolo e la poggiò per terra, badando che avesse preso
il giusto
equilibrio. Poi si tolse le chiavi della porta dalla tasca e la
aprì.
La casa
era illuminata e sul tavolo in fondo c’era un cartellone
bianco con scritto “Bentornata a casa”
e affianco ad esso un
mazzo di fiori con un pacchetto rosso.
Alex
voleva voltarsi per rimproverare Tom solo con lo sguardo, ma Sveva
sbucò dal
nulla e iniziò ad abbaiare, correndo incontro alla sua
padrona e facendole le
feste.
Tom chiuse
la porta mentre Alex parlottava col suo cane, chiedendole come stava e
ricevendo solo abbai come risposte.
Poi la
ragazza si raddrizzò nuovamente e scrutò il
cartellone e quello che c’era al
suo fianco.
Si
avvicinò e annusò i fiori, per poi prendere la
scatoletta fra le mani.
Sapeva che
Tom era alle sue spalle.
Sfilò il
fiocco e aprì la scatoletta, scoprendo una collana in
argento con scritto il
suo nome.
Tom le si
avvicinò e le posò le mani sulle spalle.
« Ti
piace? »
« Se mi
piace? E’ estremamente riduttivo, Tom. Come diavolo ti
è venuto in mente di
fare una cosa simile?! » gli domandò voltandosi.
« Oh e
questo è solo l’inizio, credimi. »
Le si
avvicinò, stampandole un bacio sulle labbra e poi prese la
collana fra le mani,
legandogliela al collo.
« Sei
bellissima. »
Alex
arrossì.
« Tanto lo
so che lo dici solo perché vuoi che anche io lo dica a te.
»
« Sì, può
darsi. Ma questo non cambia il fatto che io lo pensi davvero.
»
« Questo
significa che dovrei dirti anche io che sei bellissimo? »
Tom fece
spallucce.
« Solo se
vuoi. »
« E se ti
dicessi che sei la persona più importante della mia vita?
Quella da cui dipende
da mia esistenza? E se magari aggiungessi anche che ti amo? »
Tom
sorrise e avvicinò di nuovo il viso a quello della ragazza.
« Direi che
il “sei bellissimo”
passa
assolutamente in secondo piano. »
Catturò
ancora una volta le labbra della ballerina ma, come al solito, Sveva
iniziò ad
abbaiare.
« Vado a
preparare il pranzo. » le strillò, allontanandosi
verso la cucina.
Uno, due,
tre giorni.
Tom passò
settimane e settimane al fianco di Alex, accompagnandola a scuola, dal
medico e
portando a spasso Sveva e Scotty.
Dormiva a
casa sua – sì, stranamente ci dormiva e basta
– le faceva trovare tutto pronto
e cercava di non farle mancare nulla.
Come se
fosse stato un angelo custode.
Vedeva i
suoi miglioramenti, assistette alla rimozione del gesso e alla
riabilitazione
della gamba.
E, con sua
immensa gioia, mentre fuori il temporale era in festa, la rivide
ballare.
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Capitolo 22 *** 22. Standing Ovation ***
Tom si
sedette sulla poltroncina blu e attese che anche la madre e Bill
facessero lo
stesso.
Davanti a
loro, una tenda rossa copriva il palco.
« Quanto
manca? » domandò Bill.
Tom si
controllò l’orologio al polso.
« Credo
poco. »
« E loro
quando sono? » chiese Simone.
« Sono i
terzi. »
Simone
poggiò la schiena sulla poltroncina e attesero
l’inizio dello spettacolo.
Alex era
in ansia e Tom lo sapeva. Lo sapeva perfettamente perché
aveva provato
duramente da quando aveva ripreso a ballare.
Le luci si
spensero e ne restò solo una circolare che illuminava il
tendone sul palco.
Poco dopo,
il primo gruppo comparve con la sua coreografia e uno scroscio di
applausi li
accolse.
La sfida
era iniziata.
Simone
aveva insistito per andare con Tom a vedere la gara di Alex e alla fine
si era
aggiunto anche Bill, lasciando Jörg da solo a casa a badare ai
cani.
Avevano
preso i biglietti ed eccoli tutti e tre seduti ad aspettare.
I primi
due gruppi si esibirono e quando il secondo uscì, Tom
strinse i braccioli, già
sapendo che da quel momento in poi, il suo unico pensiero era Alex.
Le luci
gialle si trasformarono in azzurre e bianche, ma nessuno comparve sul
palco.
Finché
poi, le note di Remember the Name dei Fort Minor invasero la sala e dei
ballerini iniziarono a spuntare dalle entrate laterali.
Tom la
cercò, ma non la vide.
Almeno per
i primi 30 secondi.
Alex entrò
da sinistra, piroettando su sé stessa, seguita da un ragazzo
che le reggeva la
vita e la sollevava in aria.
Indossava
un abito nero e aveva i capelli sciolti e lisci che le ricadevano
addosso.
Tom
sorrise.
La
ballerina si muoveva con la sua solita naturalezza, lasciandosi
trasportare dal
ritmo della canzone e dalla coreografia che ormai conosceva come le sue
tasche.
Saltava,
girava su sé stessa sempre con il sorriso stampato sul viso.
Alex non
danzava: volava.
Tom la
osservò tutto il tempo, sperando che la canzone non finisse
mai, per poterla
vedere sempre così. Ma poi le luci si spensero e le tende si
richiusero, per
poi lasciare spazio al quarto dei cinque gruppi partecipanti alla gara.
« E’ molto
brava. » commentò Simone, all’orecchio
del figlio.
Tom
sorrise.
« Si è
impegnata tanto per riuscire ad arrivare qui. »
« Lo
immagino. Spero che il suo gruppo vinca. »
Tom non
sperava. Sapeva per certo che avrebbero vinto loro.
Gli altri
balli sembravano tutti uguali, monotoni.
E no, non
lo diceva solo perché c’era Alex a ballare.
L’ultimo
gruppo lasciò il palco e un uomo robusto, con una folta
barba bianca, salì al
posto dei ragazzi.
«
Buonasera, buonasera miei cari spettatori, sono molto lieto che siate
qui
stasera per assistere alla finale della Best Hip Hop Hamburg School.
Come
avrete già visto, i 5 gruppi finalisti si sono esibiti con
le loro coreografie
preparate dalle loro rispettive insegnanti e la nostra giuria ha
assegnato ad
ogni gruppo dei voti. Il voto di ogni giudice verrà sommato
agli altri voti e
si eleggeranno i tre vincitori. Intanto, facciamo entrare le scuole
partecipanti! »
Il
pubblico applaudì e i gruppi rientrarono in scena.
Alex rideva.
« Hamlyn Schule, Daily Hip Hop, HHH, Tanzen Schule e la Halo
Schule! »
I gruppi
si sistemarono e rivolsero un sorriso al pubblico, visibilmente
emozionati.
«
Chiamerei qui sul palco il giudice Schmidt, fondatore della
competizione. »
Un altro
uomo salì sul palco, accolto dagli applausi; indossava un
abito formale con
cravatta e fiore all’occhiello. Consegnò una busta
al tizio simile a Babbo
Natale e poi tornò giù.
L’uomo aprì
la busta mentre tutti mormoravano fra di loro e poi si
avvicinò il microfono
alle labbra.
« Bene,
eccoci qua. Iniziamo col quinto posto. Troviamo la HHH.
»
I
ballerini vestiti d’arancione applaudirono e il pubblico li
incoraggiò. Ma un
quinto posto non era nulla, in quella sfida. Era una vera e propria
sconfitta.
« Al
quarto posto, la Tanzen Schule.
»
I piccoli puffi, come li aveva
nominati
mentalmente Tom, che si era terribilmente annoiato durante la loro
esibizione e
si stava ancora chiedendo come avessero fatto ad arrivare quarti,
lasciarono il
palco con delle espressioni per nulla felici. Rimasero in tre: la Halo
Schule, la Daily Hip
Hop e la
scuola di Alex, la Hamlyn Schule.
Tom si
mise bene sul sedile, sapendo che Alex attendeva quel momento
da… sempre.
« Al terzo
posto, con una medaglia di bronzo, troviamo la Daily
Hip Hop. »
Una
squadra formata soltanto da ragazze fece un inchino e la loro
insegnante
ricevette una medaglia di bronzo che si portò al collo.
« E ora, »
il gruppo abbandonò il palco e il cerchio si restrinse.
« Il momento tanto
atteso. Al primo posto, con la medaglia d’oro e il massimo
dei punti… »
Alex sentì
il suo cuore bussare e chiederle di lasciarlo fuggire per qualche
istante.
Osservava
il pubblico, cercava Tom con lo sguardo perché sapeva che
lui era là, ne era
sicura. Gliel’aveva promesso.
Poi
eccolo, lo vide, e guardava proprio lei. Le sorrise e…
« La Hamlyn Schule!
»
Alex venne
sommersa dai compagni di danza e per un po’ non
capì cosa diavolo fosse
successo.
Poi vide
tutti applaudire, Tom era scattato in piedi e la sua insegnante reggeva
al
collo una medaglia d’oro.
Avevano
vinto proprio loro.
Saltò
addosso alla prima persona che le passò accanto e la
stritolò, chiunque essa
fosse. Poteva pure essere della squadra avversaria che non le importava
assolutamente nulla: loro avevano vinto.
Lei aveva
raggiunto un traguardo, una meta che per qualche istante aveva temuto
di non
raggiungere mai.
Ma no, ce
l’aveva fatta. Ce
l’avevano fatta.
Sentiva
che quella vittoria apparteneva anche a Tom, perché lui
l’aveva aiutata e se
non ci fosse stato al suo fianco, non sarebbe mai arrivata
lì, quel giorno.
Osservò
con piacere e commozione l’insegnante ricevere la medaglia e
la coppa e non si
sentì mai così felice di averci creduto.
« E quindi
la medaglia d’argento va alla Halo Schule. »
L’insegnante
dell’altro gruppo si avvicinò per prendere la
medaglia e loro lasciarono il
palco.
« Alex! »
La ragazza
si voltò e l’insegnante
l’abbracciò calorosamente, stringendo ancora fra
le
mani la coppa che risplendeva.
«
Congratulazioni! »
« Non è
merito mio, è merito tuo Hanna. »
La ragazza
notò che l’insegnante aveva gli occhi lucidi.
« Prima
che tu vada via volevo dirti una cosa molto importante. »
sorrise debolmente,
prendendole una mano. « Una compagnia di Broadway mi ha presa
per lavorare con
loro. »
« Cosa?!
Non ci credo! Sul serio?! »
La donna
annuì mordendosi un labbro.
« Oh buon
Dio, sono felicissima per te! »
Alex
strinse l’insegnante fra le proprie braccia, sentendola
tirare su col naso.
« Questo
significa, però, che dovrò partire per
l’America e abbandonare la scuola. »
« Oh… già.
»
Hanna
sarebbe partita per l’America. Alex avrebbe dovuto cambiare
insegnante.
Seguire le
lezioni di Hanna senza Hanna era.. inconcepibile.
Lei era
arrivata ad Amburgo e aveva iniziato con lei, continuare con una
persona
diversa era terribile.
Perciò
abbracciò l’insegnante.
«
L’importante è che tu continui per questa strada,
perché so che ti renderà
felice. E non importa se ci lascerai con un’altra insegnante.
Noi stasera
abbiamo vinto con e grazie a te. »
Hanna si
lasciò scivolare una lacrima e si specchiò nella
coppa.
« Hey
Hanna! » Felix la chiamò dal fondo del corridoio e
le fece segno di
raggiungerlo.
« Ti
spiace se…? »
« No, vai
pure! E in bocca al lupo. »
« Crepi! »
La donna
si allontanò e Alex entrò nei camerini. Raccolse
la borsa e indossò il giubbotto,
per poi riuscire subito dopo.
Tom la
aspettava.
Tom
passò
davanti allo studio del padre e lo sentì confabulare.
« Oh
quindi volete demolirlo? »
Si fermò
oltre la porta, incuriosito.
« Mh,
capisco. Va bene, vedrò cosa posso fare. A presto.
»
L’uomo attaccò
il telefono e si alzò dalla sedia.
Tom si
allontanò dalla porta e il padre uscì subito dopo.
« Oh! Ciao
Tom. »
« Ciao.
Senti… non stavo origliando, ma ho sentito che parlavi
di… demolizione.
»
« Oh, sì.
C’è un palazzo che non usa più nessuno
e mi hanno chiesto di contattare
qualcuno per demolirlo. »
Tom inarcò
le sopracciglia.
Jörg si
allontanò e Tom si affrettò per farsi venire in
mente un’altra domanda.
« Quanto è
grande? »
L’uomo si
fermò e si voltò.
« E’ alto
4 piani ed è 5 volte casa nostra. Non capisco
perché vogliano demolirlo, ad
essere sincero. Ma a quanto pare non serve più a nessuno e
penso vogliano
vendere il terreno. »
Jörg si
voltò di nuovo.
« E’ in
vendita? »
Tom aveva
praticamente urlato la domanda e Jörg non era nemmeno riuscito
a fare un passo.
« Tom. »
iniziò, voltandosi lentamente. « Mi spieghi che te
ne faresti di un palazzo che
non usa più nessuno? »
Tom mise
le mani nelle tasche dei suoi jeans extralarge e si torturò
il piercing con
fare distratto.
« Ci
starebbe una scuola di danza? »
|
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Capitolo 23 *** 23. My Obsession ***
Tom
baciò
gli occhi chiusi della ragazza, che li strabuzzò e se li
stropicciò, fino ad
aprirli.
«
Buongiorno. »
Alex
sorrise e circondò il corpo nudo di Tom con le sue braccia,
riscaldandosi.
« Buongiorno.
»
Tom
affondò una mano fra i suoi capelli e con l’altra
iniziò ad accarezzarle un
fianco, sentendo i brividi risaltarle la pelle.
Il solo
pensiero che aveva rischiato di perderla gli fece desiderare di
rivivere la
notte appena trascorsa, dall’inizio fino alla fine.
Sentì le
gambe di Alex accarezzare le sue e sorrise.
« Mi stai
provocando? »
Lei
sollevò lo sguardo, con un mezzo sorriso.
« No,
volevo solo ricordarti che ti amo. »
Oh Cristo
santo.
Gli
piaceva da morire sentirselo dire con quella spontaneità e
naturalezza che solo
Alex riusciva ad avere.
E
contemporaneamente, Alex adorava dirglielo. Perché ogni
volta sul viso di Tom
si dipingeva un sorriso grande quanto tutta la sua faccia e arrossiva
sulle
gote, spostando lo sguardo altrove.
L’aveva
notato fin dal primo momento in cui lei gliel’aveva detto e
non le era più
sfuggito.
Tom era vita.
« Ti amo
anche io. »
Tutto di
lui era vita. Le sue parole, i suoi gesti, la sua voce, le sue mani, i
suoi
capelli, le sue labbra, il suo collo, le sue braccia, il suo petto, il
suo
fondoschiena, le sue guance, i suoi occhi, il suo mento, il suo
sorriso, la sua
risata, il suo profumo, la sua camminata, i suoi abbracci, i suoi baci,
le sue
carezze, perfino i suoi nei.
Amava ogni
singola imperfezione di Tom.
« Hai già
deciso cosa farai una volta finita la scuola? » gli
domandò, disegnandoli dei
cerchi sul petto.
Tom
inspirò, pensandoci su.
« Credo
lavorerò con i miei. O in alternativa potrei sempre tentare
la carriera da
modello, no? »
« O da
attore porno. »
« Esatto! »
Alex rise,
iniziando a dipingergli dei triangoli.
« E tu?
Vuoi tornare a Berlino o.. fare qualcosa qui? »
Alex
scosse la testa, rompendo i triangoli e tracciando un percorso
immaginario con
l’unghia dell’indice.
« Non
credo tornerò a Berlino. Non finché Amburgo non
mi dà un motivo per essere
odiata. Non so, mi piacerebbe aprire la mia scuola di danza, come mi
hai
suggerito tu… ma non saprei nemmeno da dove partire, forse
dovrei iniziare a
cercare qualche immobile e poi informarmi su prestiti e cose del
genere. Tu che
ne pensi? »
Tom fece
spallucce, facendo balzare la sua testa.
« E’ una
buona idea. »
« Hanna mi
ha detto che parte per l’America per lavorare a Broadway e io
ho davvero paura
di non trovarmi bene con il prossimo insegnante. Perciò
magari aprire una mia
scuola… sì insomma, non mi sembra poi una
così pessima idea. »
Tom
strinse le sue braccia attorno al corpo della ragazza.
« E poi,
mi sembra di stare più vicina a mia madre. »
Il ragazzo
abbozzò un sorriso.
« Secondo
me saresti perfetta. Hai già pensato a come la vorresti?
»
Alex
riprese a disegnare forme senza senso sugli addominali del ragazzo.
« Normale,
non mi interessa che sia superlussuosa o altro. »
« Dovresti
anche pensare ad un nome. »
« Troppe
cose da fare, non ho nemmeno un posto dove costruirla! »
« Sì ma
più idee hai, meglio è. E poi ci sono io che ti
aiuto. »
« Oh sì,
questo lo so. »
La ragazza
sollevò il viso e inumidì il collo di Tom di
piccoli e soffici baci.
« Ho
sentito che a fine anno organizzano uno di quei balli in stile
americano. »
sussurrò lui.
« Oh,
quelli con i vestiti pomposi, la palla al centro del soffitto e la
musica soft
a fine serata? »
« Sì
esatto, quelli. »
«
Grandioso! »
« Però non
ho una compagna. Voglio dire, so già a chi potrei chiederlo,
ma non ho la
minima idea di come farlo. » Tom fece una pausa mentre lei lo
fissava. « Forse
tu potresti aiutarmi. Hai presente quella del secondo anno, che ha
sempre le
treccine? »
Alex lo
guardò rassegnata.
« Non ce
l’hai presente? Beh, io volevo chiederlo a lei. »
« Potrebbe
anche dirti di no. »
« Appunto.
Oppure c’è un’altra persona a cui potrei
chiederlo. Sai la ballerina che sta al
quarto, che si veste più o meno come me e che ha un sorriso
bellissimo? Ecco,
anche lei non sarebbe male. »
« Oh sì!
Quella che ti deve insegnare a ballare, giusto? »
Tom si
irrigidì.
«
Veramente quel punto l’avrei volentieri omesso, ma comunque
sì. Vedo che hai
capito. »
« Oh dai,
non dirmi che ti sei dimenticato delle nostre lezioni private di danza!
»
Alex si
mise a sedere, tenendosi il lenzuolo legato attorno al petto.
« No, ma
speravo che almeno tu te ne fossi scordata. Ma a quanto vedo mi
sbagliavo. »
sbuffò lui.
La
ballerina prese il lenzuolo e se lo legò addosso, scendendo
dal letto.
« Hey no,
ma che fai?! »
Tom
gattonò sul materasso cercando di riprendersi il lenzuolo
per coprirsi, ma Alex
era al centro della stanza con un ammasso di tessuto bianco legato
addosso.
« Andiamo,
vieni qua. »
« Alex, lo
sai che… »
La ragazza
prese da terra i boxer di Tom e glieli lanciò dritti in
faccia, zittendolo.
« Ok va
bene: mi sto alzando. »
Tom si
coprì le parti basse con i boxer scuri e poi si
avvicinò alla ballerina,
sbuffando.
« Allora? »
Alex gli
prese una mano e la posò sulla sua vita, poi prese
l’altra e la strinse con la
sua.
« Un passo
dopo l’altro, senza prendere i miei piedi, ok? »
« Oh sì,
certo. Stai parlando con una sega del ballo, eh! »
Iniziarono
a muoversi e Tom seguiva i suoi passi, guardando per terra e
chiedendosi cosa
avesse fatto di male in quei giorni per meritarsi quella tortura.
« Ecco,
così. Vedi che non sei poi tanto sega? »
« Questo
perché non ti ho ancora tranciato un piede! »
Detto
fatto, la zattera di Tom andò a pestare il piede di Alex che
balzò sul posto.
« Visto?! »
Lei lo
pizzicò.
« Zitto e
mettici impegno. Schiena dritta, braccia sicure e petto in fuori!
»
« Se non
faccio progressi io, di sicuro tu hai già
l’autorità da insegnante di danza. »
Mezz’ora,
poi un’altra e un’altra ancora.
Alex non
smetteva di provarci, lo sgridava, lo punzecchiava e lo faceva
continuare.
« Ecco,
così sai come ballare con quella strafiga della treccinomane
del secondo anno! »
Alex si
spogliò del lenzuolo, mentre Tom si lanciava sul letto,
esausto.
« Oh,
certamente… hey! Sei nuda! »
La
ballerina lo guardò aggrottando le sopracciglia.
« E
allora?! Avevo caldo! »
Tom si
mise a sedere e si avvicinò alla sua schiena, baciandole poi
le spalle.
« Oh sì,
anche io inizio ad avere caldo, signorina Meyer. »
« Molto
divertente, signor Kaulitz. »
Alex gli
legò le braccia attorno al collo e gli saltò
addosso, lasciandolo cadere
all’indietro.
« Sai che
la mamma mi chiede sempre di te? »
Alex annuì.
« L’avevo
immaginato. Mi chiama quasi ogni giorno. »
«
Davvero?! »
La ragazza
annuì.
« Molto
probabilmente sta già pensando ai preparativi per il
matrimonio! »
« Deduco
che ci vedrebbe bene come marito e moglie. »
« Più che
bene, secondo i suoi gusti. »
Alex si
sdraiò al suo fianco, poggiandosi sulla sua spalla.
« Secondo
te come sarebbe? Vivere sposati intendo. »
Tom
inspirò.
« Dovremmo
pensare alle bollette, alla casa, al lavoro, ai cani. »
« E magari
anche a dei futuri bambini. »
« Già. »
Restarono
in silenzio a fissare il soffitto.
Vivere con
Alex. Dormire sempre al suo fianco, vederla svegliarsi ogni mattina,
passare
ogni giorno con le sue abitudini e prendersi cura di lei in ogni
istante.
Sapere di essere in attesa di un bambino, passare 9 mesi con la pancia
che
cresceva, sentire il battito cardiaco della creatura, toccare la pancia
di sua moglie e sentire il loro bambino muoversi, assistere al
parto e diventare padre.
Tutto
questo faceva tremare lo stomaco di Tom in una maniera indescrivibile.
« Tu
vorresti… sposarmi? » domandò.
Alex lo
guardò.
« Mi stai
chiedendo di sposarti? »
« No! » si
affrettò a dire lui. « Stavo solo pensando ad una
possibile vita da.. marito e moglie.
Con bambini e altro. »
« Oh. »
squittì lei. « Beh… perché
no? Voglio dire, non puoi essere così rompipalle. »
Tom la
guardò.
« A volte
penso che lo spirito di mio fratello si stia impossessando di te.
»
La
ballerina rise e circondò di nuovo il corpo del ragazzo con
le braccia.
« Ti
sposerei ad una sola condizione. »
Tom
abbozzò un sorriso.
« Quale? »
« Vieni al
ballo con me? »
|
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Capitolo 24 *** 24. Closer to the Edge ***
Tom si
strofinò le mani l’una contro l’altra,
agitato. Alex non ne voleva proprio
sapere di scendere!
Aveva
suonato il clacson già tre volte e iniziava a preoccuparsi.
Scese
dall’auto e andò a citofonare, quando il portone
si aprì e si trovò davanti una
Alex nuova, mai vista prima.
Indossava
un abito rosso scuro, aveva i capelli mossi e lo sguardo ansioso.
« Scusa,
Sveva non ne voleva sapere di stare in casa! »
Tom lasciò
andare il pulsante del citofono – che aveva tenuto premuto
finché aveva smesso
di farle una radiografia completa – e si mise apposto la
giacca nera che indossava.
« Oh non
preoccuparti. »
Si
affrettò ad allontanarsi prima di rovinare quella
meraviglia, alias la sua
ragazza, che nella sua mente superava di gran lunga lo splendore di una
dea, e
le aprì lo sportello.
« Molto
gentile! » sorrise lei, sedendosi.
Tom corse
al volante e poi partì.
E l’occhio
scappava. Oh sì che scappava.
Beh
insomma. Alex era davvero uno schianto conciata in quel modo.
Lui la
amava, sì. Ma in quel momento gli sembrava di uscirci per la
prima volta, di
non averla mai conosciuta. Era come innamorarsi di nuovo di lei.
« Allora,
pronto per ballare? »
« Tu stai
scherzando! »
« Non ti
ho insegnato a ballare per nulla! »
Tom non
replicò e accostò in un parcheggio.
La
palestra era illuminata e controllata da qualche professore e decine di
ragazzi
entravano al ballo di fine anno.
Tom scese
dalla macchina per primo e corse ad aprirle lo sportello, per poi
porgerle la
mano.
Alex lo
guardò perplessa e lui rispose con un sorriso.
Diavolo
quanto avrebbe voluto baciarla!
La
ballerina gli prese la mano, stringendola, e lui la aiutò a
scendere dal mezzo,
chiudendo poi tutto e dirigendosi verso l’ingresso. Le loro
mani intrecciate.
« Mi sento
un tantino a disagio. » commentò lei abbassando lo
sguardo.
« Per una
volta sono contento di dirti che stavolta la gente guarderà
te e non me. »
Alex
sollevò lo sguardo.
« Oh
adesso sì che mi sento meglio. »
Tom
abbassò il suo, con un mezzo sorriso.
« Non è
colpa mia se sei bellissima. »
E se non
fosse stato per il fatto che fosse sera, il colore del viso di Alex
sarebbe
stato uguale a quello del tramonto.
E
l’ingresso non fu certamente uno dei migliori. Ovviamente non
per Tom, che
gongolava a girare preso per mano con la ragazza più bella
di tutta la serata.
« Ancora
non capisco perché cazzo abbia deciso di vestirmi
così! »
« Sai, sei
sexy anche quando riprendi il tuo lato da camionista, Alex. »
Lei lo
guardò rassegnata, trattenendo una risata e lui
annuì con la testa, sollevando
le sopracciglia e facendo una delle sue solite facce da cartone animato.
« Hey Tom!
»
Andreas
gli si parò davanti, accompagnato da una rossa, vestita di
verde e che si
guardava attorno quasi spaesata.
« Hey! »
Tom diede una spallata all’amico.
« Lei è
Alice. Loro sono Tom e Alex. »
« Piacere
di conoscervi. » Alice porse la mano ad entrambi, con un
sorriso. « Bel
vestito. » commentò poi, rivolta ad Alex.
« Oh, ti
ringrazio! »
« Tuo
fratello? »
« Non ho
idea di dove sia, ma penso arriverà più tardi.
»
« Aveva
una compagna? »
« Anche
questo è un grosso punto di domanda. »
« Chi vi
capisce è bravo: vivete sotto lo stesso tetto e ci sono
giorni in cui è come se
aveste due vite separate! » Andreas scosse la testa.
« Comunque stai bene in
smoking! »
« Tu
invece fai sempre schifo! » gli strillò dietro
Tom, mentre l’amico si
allontanava portandosi dietro la sua compagna.
« Io sono
d’accordo con lui. » balbettò Alex,
tirandolo per un braccio verso un tavolo
per due persone.
« Tu sei
sempre d’accordo con chiunque dica una cosa su di me.
»
« Perché
la maggior parte delle volte dicono cose vere. » Alex si
sedette, sistemandosi
l’abito.
« Oh sì,
immagino che fosse vero anche quando Bill ha detto che sembro una
scimmia
appena sveglio. »
La ragazza
scoppiò a ridere.
« No,
quello no. »
« Vado a
prendere da bere. »
Si
allontanò verso il bancone dondolando la testa da una parte
all’altra, seguendo
il ritmo della canzone e cercò qualcosa che potesse andare
bene ad entrambi.
Sentì una
mano toccargli una spalla e si voltò, trasalendo.
« Diana?! »
esclamò.
La ragazza
abbozzò un sorriso.
« Ciao
Tom. »
« Non ti
avevo detto che volevo chiudere una volta per tutte? »
sbuffò lui.
« Lo so
ma… volevo vederti. Lei è qua? »
« Certo
che è qua, è seduta dall’altra parte.
»
« Capisco.
»
« Diana, è
meglio se te ne vai. Non voglio altri casini. »
« Non sono
venuta qua per commettere casini, Tom. Sono venuta qua solo per
parlarti. »
« Parlarmi
di cosa?! »
« Di noi. »
« Diana,
non c’è più un noi da quando
c’è Alex! » strillò Tom,
perdendo la pazienza.
« Intendi
davvero buttare all’aria tutto quello che
c’è stato fra di noi?! »
« Era solo
sesso! » esclamò, perplesso. « Hai idea
di cosa voglia dire affezionarsi
davvero ad una persona? Amarla, fare davvero l’amore con lei
in modo sincero,
senza ricorrere a sbronze o a scollature vertiginose? Ti prego, non
farmi
perdere la pazienza! »
« Tom, tu
sei… »
« Che
succede? »
Tom si
voltò di scatto e vide Alex alle sue spalle. Il suo sguardo
saettava da lui a
Diana.
Lui si
passò una mano sul viso, temendo già il peggio.
« Tu cosa
vuoi? »
Alex si
era rivolta direttamente a Diana, che era rimasta più
lontana.
Lei aprì
la bocca ma non disse niente, soffiando e basta.
« Hai
altri preservativi con te? »
Tom guardò
la ballerina, trovandola più che arrabbiata.
« No?
Allora puoi anche girare i tacchi. Che, fra parentesi, sono davvero
osceni. »
Diana si
guardò le scarpe e poi spostò lo sguardo altrove.
« Io
volevo solo parlare con Tom. »
« Parlare
non significa seguirlo dappertutto o farlo ubriacare per portartelo a
letto.
Son due cose estremamente diverse, se non opposte. »
« Cosa ne
sai di quello che provo io per lui? »
« E tu
invece sai cosa posso provare io? O cosa può provare lui?
Dimmi, Diana: tu sai
qualcosa di noi? »
Tom la
prese per le braccia, piazzandosi fra lei e Diana.
« Basta,
smettila. Andiamo via. »
Alex
guardò Diana da oltre le braccia di Tom.
La odiava
dal profondo del suo cuore.
Se era
capace di amare Tom con un’immensità inaudita,
riusciva anche ad odiare Diana
con la stessa passione.
Girò i
tacchi e si allontanò, sentendo il suo corpo invaso da un
calore che doveva
essere molto simile al fuoco sputato da un drago.
Tom la
seguì maledicendosi mentalmente per averla portata a quel
ballo.
« Alex! »
Le prese
un braccio e la fece voltare.
No, non di
nuovo. Alex non poteva crollare ogni volta che vedeva la faccia di
Diana, non
poteva sentirsi così fragile davanti a lei.
La
ballerina abbassò lo sguardo, nascondendo le ciglia bagnate
e gli occhi lucidi.
« Hey! No
no, non devi, lo sai. »
Tom la
avvolse fra le sue braccia, mentre la vocina nella sua testa gli
sussurrava
ancora una volta di essere un coglione catalogato.
« Scusa, è
che sono incazzata e pur di non spaccarle la faccia faccio
così. »
Tom la
strinse ulteriormente a sé.
« Non
preoccuparti. »
Le
schioccò un bacio sulla testa sperando che bastasse.
Le luci si
abbassarono e il Dj mise nelle casse If
you’re not the one di Daniel Bedingfield. Tom
l’aveva sentita solo una
volta e non si ricordava nemmeno dove, ma trovò una
soluzione per farsi
perdonare, nonostante Alex non fosse arrabbiata con lui.
Così si
allontanò e le prese una mano, abbozzando un sorriso.
Indicò la
pista con la testa e Alex lo guardò interrogativa.
« Balli? »
« Cosa?! »
« Andiamo!
Potrei anche ripensarci. »
Alex gli
strinse la mano e Tom la accompagnò al centro della sala.
« Ok,
vediamo se mi ricordo come si fa. Una mano qua e una qua, giusto?
»
Alex annuì
con la testa e poggiò una mano sulla sua spalla.
« Ok,
pronti? Via! »
Tom era
decisamente poco portato per il ballo, ma ce la metteva tutta per
cercare di
non pestarle i piedi. E, soprattutto, per farla sorridere di nuovo.
« Come ti
è venuto in mente di metterti in ridicolo davanti a tutta la
scuola?! » gli
domandò lei.
« Oh sai
com’è. Quando perdi la testa per una persona sei
capace di fare qualsiasi cosa.
Anche volare. »
Le fece
fare un giro su sé stessa e poi la riprese per la vita,
meravigliandosi di sé
stesso.
« Wow!
Vedo che perdere la testa ti fa anche improvvisare. »
« A volte
succede, sì. »
Alex
poggiò la testa sulla sua spalla, socchiudendo gli occhi.
E
continuarono a dondolarsi da una parte all’altra, immersi fra
altre coppie,
pensando solamente a quanto fosse perfetto il brivido che gli provocava
stare
l’uno al fianco dell’altra.
Una
canzone dopo l’altra, Tom si sciolse e si distrussero di
risate e battute fino
allo svenimento, lasciando perdere tutto quello che di brutto era
accaduto fino
ad allora e vivendosi fino all’ultimo momento.
Le labbra
di Tom si fecero strada sul il corpo nudo della ragazza che bruciava
sotto la
sua lingua.
Un bacio,
poi un altro, fino ad arrivare alle sue labbra bollenti e avere per la
millesima volta la conferma di sentire sempre il costante bisogno di
assaggiarle come se fossero un frutto, una mela appena caduta da un
albero.
Fare
l’amore con lei era come scoprire un mondo nuovo. Ogni volta.
C’era
sempre qualche punto del suo corpo che non aveva notato, qualche
espressione
del suo viso che si era lasciato sfuggire, qualche sensazione nel suo
stomaco
che giurava di non aver mai provato.
E
diventare una cosa sola, non era uguale alle altre volte. Non era
godere il suo
unico scopo, ma sentirla vicina a sé, proteggerla con le sue
braccia, essere il
suo eroe anche in quei momenti di
completa intimità, portandola via dal resto del mondo e
cullandola col suo
corpo.
La baciava
non solo per il gusto di farlo, ma con la speranza di farle sempre
capire che lui
era e sarebbe stato là fino alla fine. Fine che non
comprendeva la loro
rottura. Fine che significava finché fosse morto.
Con o
senza di lei, lui le sarebbe sempre rimasto fedele, come un cane
aspetta che il
suo padrone ritorni dal lavoro.
E da
quando era arrivata Alex, era cambiato tutto. Lui, Bill, i suoi
genitori, la
sua vita, il suo carattere, il suo cuore. Era come un uragano.
E mentre
si faceva queste seghe mentali, Alex ansimava fra le sue braccia,
rendendosi
conto che Tom era tutto ciò che aveva sempre aspettato. Che
Tom aveva
sostituito tutto ciò che non aveva mai avuto
perché con lui era davvero felice,
con lui poteva avere un futuro e con lui aveva un presente.
Un
presente che non avrebbe scambiato con niente al mondo, nemmeno con la
danza
che era stato il suo primo amore. Tom era tutto ciò di cui
necessitava, era la
sua aria personale e non poteva chiedere di meglio.
I suoi
baci, le sue carezze, le sue attenzioni, le sue parole di conforto, i
suoi “ti amo”
erano di vitale importanza.
E sì, era
sempre più convinta di non riuscire più a
separarsi da quella persona. O forse,
da quell’angelo.
Alex
aprì
gli occhi e cercò il corpo di Tom, senza risultati. Si
voltò e constatò di
essere sola sul letto.
Tom non
c’era, ma in cucina si sentiva un baccano assordante.
Sveva
entrò velocemente nella stanza e si sedette in un angolo,
mentre la padrona si
caricava sulle braccia.
Tom entrò
con la colazione su un vassoio e si fermò sulla soglia.
« Pensavo
stessi dormendo. »
« Mi sono
appena svegliata. » sbadigliò lei. « Che
cos’hai fatto?! »
Tom
protese il vassoio in avanti e si avvicinò al letto,
sorridente.
« Ti ho
preparato la colazione! »
Alex fissò
prima il vassoio e poi Tom, che si abbassò e le
schioccò un bacio sulla fronte.
« Una
colazione con i fiocchi per la mia ballerina preferita. Oh e ho
già dato da
mangiare a Sveva, perciò non ti devi preoccupare! »
Alex
spostò lo sguardo verso il cane.
« Gli hai
strizzato le palle per farlo diventare così scemo?
»
Sveva
mugolò e chinò la testa da un lato.
« Ok,
senti. » Tom si sedette sul bordo del letto. « Ho
una sorpresa per te. »
« Per me? »
« Sì, per
te. »
« E’ che
sorpresa è? »
« Ma sei
scema?! Se te lo dico non è più una
sorpresa! » gesticolò Tom, «
Perciò mangia, preparati e poi usciamo. ».
« Ah non è
qui? »
Tom si
alzò e uscì dalla stanza.
« E’
troppo grande! »
Alex prese
in mano una fetta biscottata.
« Oddio,
mi hai regalato un cazzo gigante?! »
Tom teneva
la mano di Alex con la sua, e l’eccitazione stringendo
l’altra in un pugno.
Cazzo,
fare sorprese lo agitava così tanto!
Sperava
che Alex gradisse. Anzi no, era fermamente convinto che Alex avrebbe
gradito.
Però
immaginarsi la sua reazione era praticamente impossibile, ed era quello
ad
agitarlo maggiormente.
Svoltarono
l’angolo, mentre Alex continuava a blaterare le sue idiozie
– tutte concentrate
sulla bandana che Tom gli aveva messo sugli occhi.
Faceva
tutto parte del suo “piano”, se così si
può chiamare.
Tom
rallentò e Alex tirò il guinzaglio di Sveva.
« Ok,
aspetta due secondi. »
Si frugò
nelle enormi tascone e poi estrasse un mazzo di chiavi. Aprì
il portone e poi
tornò a prendere Alex. La guidò sui gradini
dell’ingresso principale e poi la
condusse all’interno dell’edificio.
« Ok,
piccola premessa. Se piangi, ti sgancio un pugno, è chiaro?
»
« Ooook,
va bene. »
« E dato
che sai che faccio male, non ti conviene farlo. »
« Se pensi
che possa piangere, allora vuol dire che lo farò. »
« Se lo
farai, sappi comunque che ti darò un pugno. »
Sveva
abbaiò e il suo verso echeggiò in tutta la sala.
« Ma che
cos’è?! » domandò allora Alex.
« Ok, ci
siamo. Sto per toglierti la benda, ok? Tre, due, uno e…
»
Tom slegò
la benda dagli occhi della ragazza, e si spostò.
« Via. »
Alex mise
a fuoco quello che aveva davanti.
Un’enorme
scala si apriva davanti ai suoi occhi. Le finestre erano rotte e
sbarrate con
delle travi in legno, ma il pavimento era stato sistemato e
c’era un chiaro
parquet sotto i suoi piedi.
Delle
stanze occupavano il piano terra e al piano superiore c’erano
dei corridoi che
portavano ad altre stanze.
Si voltò
verso Tom, guardandolo con un grosso punto interrogativo stampato in
faccia.
Lui fece
spallucce.
«
Benvenuta nella tua scuola di danza. »
Gli occhi
di Alex assunsero mille sfumature.
Tom giurò
di vederli colorarsi di rosso.
« Cos’hai
fatto? »
La voce di
Alex tremava. No, non poteva crederci. Non era assolutamente possibile
che Tom
avesse fatto una cosa del genere.
Tom indicò
l’edificio.
« L’ho
comprato e lo sto facendo mettere apposto. »
« Tu… tu… »
gli occhi di Alex iniziarono ad inumidirsi, diventando molto simili ad
un
oceano.
«
Ah-ah-ah! Io il pugno te lo dò davvero! »
La
ballerina si voltò di nuovo, continuando a fissare
l’enorme edificio che si
presentava ai suoi occhi.
Non si era
mai immaginata una cosa così splendida.
Ed era
stato tutto merito di Tom.
Così si
voltò di nuovo a guardarlo.
« Tom, io…
non so davvero cosa dire è… è
fantastico e… grazie mi sembra riduttivo. »
Tom
sorrise e infilò le mani in tasca.
« Suvvia,
cosa vuoi che sia? Ho solo regalato una scuola di danza alla mia
ragazza! »
« Tu sai
che questo è un sogno che diventa realtà, no?
»
« E tu sai
che sei il mio sogno divenuto realtà, sì?
»
« Tom,
sono seria. »
« Anche
io, Alex. E se ho fatto questo un motivo c’è. Ed
è perché voglio vederti
felice. »
La prese
per mano e la fece voltare.
« Quante
classi vuoi? Hip hop, moderno e classico? Bene, farai hip hop, moderno
e
classico. Vuoi farla interamente di hip hop? Sarà
completamente concentrata
sull’hip hop. E’ una tua scelta. » si
tolse le chiavi dalla tasca e le
racchiuse nella sua mano. « La scuola è tua.
»
« Io… mi
sento in debito… »
Tom rise.
« In
debito di cosa?! Mi dai tutto quello di cui ho bisogno. »
« Tom
cazzo, mi stai regalando una scuola di danza! Questo
è… è un edificio enorme! »
Lui roteò
gli occhi.
« E
allora? Vorrà dire che darai
l’opportunità a più persone di imparare
a ballare.
Io ce l’ho fatta, guarda. »
Le prese
una mano e la fece voltare su sé stessa, racchiudendola poi
fra le sue braccia.
« Non
importa quanto ci metterai per realizzare questo sogno,
perché io sarò sempre
al tuo fianco e ti aiuterò anche quando non vorrai.
L’importante è che continui
a crederci, perché nessun sogno è così
sbagliato o irraggiungibile da esser
mollato. »
Mettercela
tutta. Era questo che le stava dicendo Tom.
Con i suoi
gesti e le sue parole, le stava facendo capire di non arrendersi, di
non avere
paura ma di andare avanti. E lui ci sarebbe sempre stato.
Al suo
fianco, per tirare su il morale, per aiutarla, per consolarla, per
smuoverla,
per difenderla.
Tom era la
parte mancante della sua esistenza, il suo punto di forza.
E se non
fosse stato per lui, di sicuro Alex non avrebbe mai rincominciato a
sognare e a
lottare per qualcosa, come aveva fatto da quel giorno in cui
l’unico ragazzo
che le aveva rubato il cuore, le aveva dato le chiavi per
l’eterna felicità.
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Capitolo 25 *** Epilogo ***
8 anni
dopo.
Alex si
districò fra le lapidi, sotto il sole di Giugno.
Gli
occhiali da sole sul viso, un mazzo di fiori colorati in una mano e un
TomTom
ficcato in testa.
Si fermò
solo quando riconobbe il viso della madre. Sorrideva.
La foto
doveva essere di Natale. O forse no, era di Capodanno.
Ma che
importava? Era comunque bellissima.
Si
avvicinò ancora e si fermò solo quando vi fu
davanti.
« Ciao
mamma. »
Abbozzò un
sorriso e poi cambiò l’acqua, buttando i fiori
secchi e mettendo i nuovi nel
vaso.
« Come
stai? Scusa se non sono più venuta, ma non ho avuto molto
tempo ultimamente.
Sai com’è: il lavoro, la casa. Troppe cose a cui
pensare e non avevo mai tempo.
Ma alla fine sono tornata. »
Sistemò un
altro fiore.
« Ti
piacciono questi fiori? Mi sei venuta in mente appena li ho visti. Sono
così
colorati e allegri, proprio come te. »
Accarezzò
la foto della madre, giusto per far finta che fosse ancora
là con lei, e poi si
alzò.
« Ora devo
andare. Ma ti prometto che tornerò presto. »
Voltò le
spalle alla tomba. Ogni volta andare via da quel cimitero era come
abbandonarla. Ma cercava di convincersi che lì
c’era solo il suo corpo e che la
sua anima era sempre al suo fianco, per vegliarla.
Aprì lo
sportello della macchina e si sedette.
« Tutto
ok? »
Voltò lo
sguardo verso Tom e sorrise.
Lui mise
in moto la macchina e partì verso la A24.
Tom
suonò
il campanello e dopo qualche istante Bill aprì la porta.
« Tom! Che
sorpresa! »
I due
gemelli si abbracciarono e Bill fece entrare il fratello nella sua
dimora.
« Eric! »
Dalla
cucina uscì un alto ragazzo biondo, dagli occhi color
ghiaccio e si avvicinò
con un sorriso.
« Ciao
Tom! Che sorpresa! »
« Ciao
Eric. Come va? »
« Tutto
ok, ce la passiamo bene. »
Eric passò
un braccio muscoloso sulle spalle di Bill, sorridendo.
« Sì,
vedo. Oh già, son venuto per portarvi questa. »
tirò fuori una cartolina e la
porse a Bill. « E’ di mamma e papà ma
hanno sbagliato indirizzo e l’hanno
mandata a me. »
Bill la
prese e iniziò a leggerla.
« Deduco
che si stiano divertendo. »
« Oh sì,
alla grande. La mamma ha già chiamato Alex una trentina di
volte da quando sono
partiti. »
«
Incredibile! » commentò Eric.
« Non
avrei mai dovuto parlargli dell’Italia. » rise
Bill, rigirandosi la cartolina
fra le mani.
« Se si
trasferiscono là sono cazzi poi! »
commentò il gemello.
« Resti?
Ti preparo qualcosa da bere. »
Eric si
era già allontanato verso la cucina ma Tom scosse la testa,
con un sorriso
idiota stampato sul volto.
« Devo
andare a prendere Alex. Oggi è il nostro anniversario.
»
Bill vide
gli occhi ambrati del gemello trasformarsi in due diamanti e
guardò Eric con
l’espressione di chi la sa lunga.
« Allora
perché sei ancora qua?! »
« Giusto!
Vado! Statemi bene ragazzi! »
Tom si
dileguò velocemente e si diresse verso la sua auto.
« Salutami
Alex! » strillò Bill prima di chiudere la porta.
Tom
rispose con un gesto e si tuffò alla guida, mettendo in moto
e uscendo dal
parcheggio.
Portò un
braccio fuori dal finestrino e si fissò la mano al volante.
La fede
splendeva ancora come sei anni prima.
«
Per oggi
basta ragazzi, siete stati bravissimi. »
La classe
salutò e piano piano uscirono tutti dalla sala di hip hop.
Alex si
voltò verso lo stereo e si riprese il CD di Eminem,
rimettendolo dentro la
borsa e poi uscendo.
«
Signorina Meyer, il signor Schmidt ha chiamato per chiedere conferma
per la
gara del mese prossimo. »
Helen, una
donna paffuta con tre figli alle spalle che lavorava da tempo con Alex,
le si
avvicinò con una cartella fra le mani. Erano uno di quei
tipi che ripete la
stessa cosa per almeno dieci volte ed era solita chiamare Alex con
“Signorina
Meyer” ogni volta che ci parlava.
« Che
gara? » domandò la ragazza.
« La Best Hip Hop Hamburg School. L’ha
dimenticato? »
Alex
abbassò lo sguardo abbozzando un sorriso e scosse la testa.
No, non
l’aveva assolutamente dimenticato. Non aveva dimenticato un
solo istante di
quando aveva vinto lei quella sfida.
« No, ora
mi ricordo. Certo, conferma pure. »
« Perfetto
signorina Meyer, vado a chiamare subito il signor Schmidt! »
Helen si
allontanò velocemente verso l’ufficio al piano di
sotto ma poi si bloccò con
una scivolata degna da cartone animato.
«
Dimenticavo, signorina Meyer! Suo marito la sta aspettando di sotto.
»
Alex
guardò al piano inferiore e vide la figura di Tom guardarsi
attorno,
impaziente.
Scese la
scalinata centrale e arrivò al piano di sotto. Tom la vide e
le sorrise.
« Che
sorpresa! » commentò lei.
« Pensavi
ti avrei lasciata tornare a casa a piedi?! »
Le labbra
di Tom si posarono dolcemente su quelle della ballerina.
« Non
sarei stata di sicuro sola. »
Alex
indicò con la testa un punto oltre le spalle di Tom.
Il ragazzo
si voltò e sorrise posando lo sguardo su una graziosa
creaturina dai lunghi e
boccolosi capelli castano chiaro che si torturava le mani, nel suo
piccolo
vestitino con tutù bianco.
Si
inginocchiò poggiando le braccia sulle gambe, da sopra i
suoi jeans oversize.
« Ciao
Nicole. »
La bambina
scoppiò in una fragorosa risata e si tuffò fra le
braccia di Tom, squittendo un
adorabile: « Papà! » e circondandogli il
collo con le sue piccole braccine.
« Com’è
andata le lezione? »
« Bene, ma
la maetra mi ha fatto toiere le cappe. »
Tom
abbassò lo sguardo verso i piedi della sua bambina e vide un
paio di scarpe da
tennis che non avevano assolutamente nulla a che fare con il suo
tutù.
« Quando
qualcuno ha brutte influenze in fatto di vestiario! »
commentò Alex, ancora in
piedi al loro fianco.
Tom
sollevò lo sguardo, ormai abituato a quelle prese in giro, e
la bambina si
lanciò addosso alla madre, chiamandola a gran voce e
tirandola verso l’uscita.
«
Vestiario che ti piace parecchio addosso a me. »
replicò Tom stizzito, mentre
uscivano.
« Oh
credimi, mi piaci anche senza vestiti addosso. »
Tom prese
il suo pacchetto di sigarette e raggiunse Alex nel giardino, sotto il
gazebo
che avevano costruito insieme.
Alex
andava quasi ogni sera là, perché le piaceva
guardare l’immensità del cielo e
il suo manto stellato.
Vide Tom
arrivare con la sua solita camminata e gli fece spazio sulla panchina.
Alex aveva
smesso di fumare quando aveva scoperto di essere incinta di Nicole e da
allora
non aveva più ripreso.
Tom le si
sedette accanto, facendo un lungo tiro, e poi la avvolse con un braccio.
« Com’è
andata oggi? »
«
Abbastanza bene. Il mese prossimo i ragazzi hanno la loro prima gara.
»
« Wow, ma
è fantastico! Immagino che tu sia abbastanza in ansia.
»
« Lo ero
di più quando toccava a me salire sul palco. Ma sono molto
contenta del loro
lavoro e anche se non dovessero vincere, sono degli ottimi ballerini.
»
« Tu resti
comunque la mia ballerina preferita. »
Fece un
altro tiro mentre Alex sorrise, arrossendo.
Erano
passati anni, ma continuava ad arrossire ogni volta che lui le faceva
un
complimento.
E Tom
amava il suo colorito. Le sue guance si coloravano naturalmente, non
era un
rossore esagerato ma era tremendamente delicato da renderla sempre
più bella.
E anche a
Nicole succedeva la stessa cosa.
« Ti
ricordi quando mi hai detto di essere incinta? »
Alex annuì.
« Eravamo
seduti qui e tu fumavi, come ora. »
Tom sorrise.
La loro quotidianità lo sorprendeva costantemente.
« E ti
ricordi cosa ti dissi? »
Alex rise,
poggiando la testa sulla sua spalla.
« Che
quello era il secondo giorno più bello della tua vita.
»
« Esatto.
E sai qual è stato il più bello in assoluto?
»
Alex
scosse la testa e lo guardò, attendendo risposta.
Tom fece
l’ultimo tiro e gettò via la sigaretta.
«
Esattamente sei anni fa. »
Alex
strabuzzò gli occhi.
« Te ne
sei ricordato! »
« Certo
che sì. » rise lui. « Però
non ti ho preso nessun anello come l’anno scorso.
Non mi piace fare sempre lo stesso regalo. Ho pensato a
qualcos’altro. »
« E
sarebbe? »
Tom si
alzò, tossendo.
« Vediamo
se mi ricordo ancora come si fa, allora… »
Si voltò
verso Alex e le porse la mano.
« Mi
concede un ballo, signorina Meyer? »
Alex si
lasciò sfuggire una risata e scosse la testa, ricordandosi
della prima volta
che lei e Tom avevano ballato insieme.
« O forse
dovrei dire signorina Kaulitz? »
La
ballerina fissò la mano di Tom e vide la fede risplendere.
Poggiò la sua mano e
si alzò, lasciando che Tom la prendesse fra le sue braccia.
Iniziarono a
dondolarsi da una parte all’altra, fissandosi negli occhi e
reprimendo
diecimila dichiarazioni d’amore.
« Ieri
mattina Nicole mi ha chiesto quando avrà un fratellino.
» esordì Alex.
Tom
sghignazzò.
« E’ un
modo carino per chiedermi di portarti a letto? »
« No,
stupido. E’ un modo intelligente per chiederti se vorresti
avere un altro
figlio. »
Tom le
strinse la mano.
« Che sia
uno, che siano tre o cinque o undici, l’importante
è che siano miei e tuoi. Li
amerei tutti dal primo all’ultimo. »
Quello era
il Tom che amava. Il Tom legato ad ogni cosa appartenesse ad entrambi,
anche la
più insignificante.
La porta
per il giardino si chiuse con un tonfo e Scotty e Sveva uscirono
accompagnati
da un esercito di piccoli cuccioli dalle mille sfumature.
« Beh,
vedo che non siamo gli unici a voler allargare la famiglia. »
commentò lui.
Alex
poggiò la testa sulla sua spalla e inspirò il suo
profumo.
Erano
passati sei anni. Sei meravigliosi anni da quando lei e Tom si erano
sposati.
E quattro
indimenticabili anni dalla nascita di Nicole.
La loro
vita diventava ogni giorno più bella, ricca di sorprese e
soprattutto d’amore.
Tom e Alex
non si sarebbero mai lasciati, avrebbero continuato a sostenersi,
curarsi e
amarsi fino alla fine dei loro giorni, con una splendida famiglia
attorno a
loro. Come avevano promesso.
C’erano
una ragazza ed un ragazzo soli, in meno.
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