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Lista capitoli: Capitolo 1: *** 1. Piano & I [Prologo] [Alicia Keys] *** Capitolo 2: *** 2. L'Incontro [Andrea Bocelli] *** Capitolo 3: *** 3. Dimentica [Raf] *** Capitolo 4: *** 4. Oceano [Josh Groban] *** Capitolo 5: *** 5. Sulla Via Di Casa Mia [Claudio Baglioni] *** Capitolo 6: *** 6. Il Presente [Max Pezzali] *** Capitolo 7: *** 7. Com'è Bella La Vita [Marco Masini] *** Capitolo 8: *** 8. Be My Baby [The Ronettes] *** Capitolo 9: *** 9. Weekend Song [The Freestylers] *** Capitolo 10: *** 10. Con Gli Occhi Di Un Bambino [Eros Ramazzotti] *** Capitolo 11: *** 11. Antes De Irte [Laura Pausini] *** Capitolo 12: *** 12. Too Close [Blue] *** Capitolo 13: *** 13. All I Know Of Love [Josh Groban & Barbra Streisand] *** Capitolo 14: *** 14. Call Me A Fool [Live] *** Capitolo 15: *** 15. Ogni Mio Istante [Negramaro] *** Capitolo 16: *** 16. Semplicemente [Zero Assoluto] *** Capitolo 17: *** 17. Hallelujah [Rufus Wainwright] *** Capitolo 18: *** 18. Ci Parliamo Da Grandi [Eros Ramazzotti] *** Capitolo 19: *** 19. The Show Must Go On [Queen] *** Capitolo 20: *** 20. Un Po' [Marco Masini] *** Capitolo 21: *** 21. Acqua Nell'Acqua [Claudio Baglioni] *** Capitolo 22: *** 22. Cosa Sarà Di Noi [Pooh] *** Capitolo 23: *** 23. Donne [Zucchero] *** Capitolo 24: *** 24. Tra Dire E Fare [Giorgia] *** Capitolo 25: *** 25. Life Lessons [George McAnthony] *** Capitolo 26: *** 26. All I Need [Radiohead] *** Capitolo 27: *** 27. Your Love [Ennio Morricone feat. Dulce Pontes] *** Capitolo 28: *** 28. Guarda Caso [Pierdavide Carone] *** Capitolo 29: *** 29. Per Te [Josh Groban] *** Capitolo 30: *** 30. Bring On The Day [Charlotte Martin] *** Capitolo 31: *** 31. Per Fare A Meno Di Te [Giorgia] *** Capitolo 32: *** 32. Nella Mia Stanza [Negramaro] *** Capitolo 33: *** 33. Broken [Elisa] *** Capitolo 34: *** 34. Danny Boy [Traditional] *** Capitolo 35: *** 35. Misread [Kings Of Convenience] *** Capitolo 36: *** 36. Un Amico E' Così [Laura Pausini] *** Capitolo 37: *** 37. She [Elvis Costello] *** Capitolo 38: *** 38. Wonderful Night [Fatboy Slim] *** Capitolo 39: *** 39. Domo Mia [Eros Ramazzotti & Tazenda] *** Capitolo 40: *** 40. All Star [Smash Mouth] *** Capitolo 41: *** 41. Strange Things [Randy Newman] *** Capitolo 42: *** 42. Una Canzone D'Amore [Max Pezzali] *** Capitolo 43: *** 43. I Bambini Ci Guardano [Pooh] *** Capitolo 44: *** 44. Vorrei [Lunapop] *** Capitolo 45: *** 45. Se La Gente Usasse Il Cuore [Andrea Bocelli] *** Capitolo 46: *** 46. Estranei A Partire Da Ieri [Alessandra Amoroso] *** Capitolo 47: *** 47. A Te [Jovanotti] *** Capitolo 48: *** 48. Written In The Stars [Elton John & Leann Rimes] *** Capitolo 49: *** 49. Solo Una Volta (O Tutta La Vita) [Alex Britti] *** Capitolo 50: *** 50. Se Telefonando [Mina] *** Capitolo 51: *** 51. Ich Will Mich Verlieben [Rosenstolz] ***
Capitolo 1 *** 1. Piano & I [Prologo] [Alicia Keys] ***
And The Winner Is...
Luci abbassate in sala. Religioso silenzio, quasi
innaturale. Tutto va esattamente come dovrebbe andare. Anche questa volta Grace
Thomas ha fatto un ottimo lavoro.
Poi, quella voce. La sua
voce. E il cuore va in mille pezzi.
“Amazing Grace, how sweet that sound…”
Grace ha improvvisamente voglia di piangere e si preme una
mano sulle labbra, incurante del fatto che il trucco perfetto si rovinerà. Con
l’altra mano si stringe al petto la cartelletta di plastica sulla quale ha
affisso la scaletta della serata, fino ad ora rispettata al dettaglio.
Fino ad ora, appunto.
Perché, come al solito, Josh ha sconvolto tutti i suoi
piani. E invece di ‘Caruso’, sta cantando ‘Amazing Grace’. E Grace, quella che
sta dietro le quinte e sta per scoppiare a piangere, sa di essere la ‘sorprendente
Grace’ della canzone. Sa di essere la Grace di Josh.
E sta piangendo davvero, ora. Piange perché lo ha respinto,
lo ha rifiutato.
“Ho confermato la tua presenza nella
tappa di Los Angeles del Bublé USA Tour, tanto ti troverai a passare da lì in
quel periodo… mi stai ascoltando, Josh?”
“No, Brian. Ho smesso di darti ascolto un anno fa. Tanto mi farai comunque fare
ciò che vuoi… e allora che senso ha protestare?”
Brian mi guarda con sospetto, quasi avesse paura di me. “Significa che non vuoi
partecipare al concerto di Bublé?”
“Certo che no! Michael e io siamo amici, gli ho promesso la mia presenza a Los
Angeles. E poi mi fa piacere andarci. È la mia città.”
Mi manca la mia città. Da circa tre
mesi Brian mi ha confinato in un posto sperduto sulle montagne del Colorado,
convinto che questo potrebbe aiutare la mia concentrazione.
La verità è che anche la vista di una
montagna deserta riesce a distrarmi. Devo essere un caso patologico. Forse inizio
a capire perché mia madre mi diceva sempre che ero un
bambino/ragazzino/giovanotto impossibile.
La verità è che ho ventinove anni,
ho tutto ciò che potrei desiderare e non so cosa voglio davvero.
Il cellulare del mio agente squilla
e mi riscuote dai miei pensieri. “Avnet. Ok. Ok. Ok. Sì. Va bene. Ok. Glielo
dirò. Ok.”
Riattacca e mi guarda.
“Che cosa devi dirmi, Brian?”
“Oh, niente di importante. Dunque, parlavamo del tour di Bublé…”
“Brian, mi costringerai a rubarti il
cellulare.”
“Josh, non è così importante, credimi.
Al momento conviene che ti concentri sugli impegni che…”
“Brian!”
“Ok, hai vinto.” Appoggia la penna
sui propri appunti e mi guarda. “Sembra che i tuoi genitori stiano litigando e
abbiano deciso di divorziare.”
Mi alzo di scatto. “E questo,
secondo il tuo punto di vista, sarebbe ‘cose da niente’?”
“Josh, se non sbaglio hai detto che
è già successo in passato. Non credo ci sia da preoccuparsi…”
Infilo le mie cose in valigia, alla rinfusa. “Brian, il fatto che abbiano
divorziato e si siano risposati tre volte negli ultimi quindici anni non implica che la cosa non debba
interessarmi. Ora, visto che sei tanto bravo con le parole, chiama l’aeroporto
di Denver e prenotami un posto sul primo volo per Los Angeles.”
“Ok, anche se dubito che riusciremo
a trovare due…”
“Ho detto un posto, Brian. Tu resti
qui.”
“Ma…”
“I miei genitori sono i miei genitori. Non rientrano in nessuna strategia di
mercato.”
***
Un’ora più tardi, mi imbarco sul
volo che Brian è riuscito a trovare per me. Devo riconoscerlo, è uno stacanovista
e a volte anche piuttosto stronzo, ma sa fare il suo lavoro. Dovrò
ringraziarlo.
Non siamo ancora decollati, e già
sento il bisogno di stiracchiarmi: non sono più abituato a volare nella classe
economica, e credo di essere cresciuto dall’ultima volta che ho volato così.
Sì, sono decisamente cresciuto: avevo tredici anni e i miei genitori stavano
portando me e mia sorella a Disneyland. L’anno seguente divorziarono per la
prima volta.
Guardo dal finestrino e seguo il profilo
delle montagne innevate: in fondo, Denver non è male.
“Ehm… chiedo scusa.”
Mi volto, e davanti a me c’è una
ragazza. Mi preparo a firmare il pezzo di carta che mi porgerà: qualcosa di lei
mi dice che è una mia fan.
“Prego.”
“Quello sarebbe il mio posto.”
Osservo il mio biglietto, e scopro
che ha ragione. Il mio posto è il 37 A, non il 37 W. “Oh, mi scusi. Devo essermi
confuso. Sa, ho la tendenza a distrarmi…”
Mentre mi alzo per cederle il posto,
inciampo. E mi ritrovo a cinque centimetri dal suo naso.
“Mi perdoni, non… non era mia
intenzione.”
Arrossisce, mentre aspetta che io
riprenda l’equilibrio. Si sistema lì dove fino a pochi secondi prima c’ero io, allaccia
la cintura, prende un libro e lo apre in corrispondenza di un segnalibro. Non riesco
a staccare gli occhi da lei.
“Che fa, non si siede?”
“Come?” Guardo il mio biglietto. Il
37 A è a sinistra del 37 W. Quindi io starò alla sua sinistra.
Decolliamo.
Io odio i decolli. Sembra sempre che l’aereo stia per disintegrarsi.
Mi aggrappo saldamente al bracciolo, che soltanto un minuto più tardi scopro
essere il braccio della ragazza. Non appena si spegne il segnale, mi slaccio la
cintura. Lei, con calma, imita il mio movimento.
“Ha paura di volare?”
“Soltanto dei decolli.”
“La capisco. Io ho paura degli
atterraggi.”
“Può aggrapparsi al mio braccio, se
vuole.”
“Grazie.”
“Cosa sta leggendo?”
“Persuasione.”
“Bello.”
“Lo ha letto?”
“Non esattamente. Ma ho visto il film. Non era male.”
“Beh, leggerlo è un po’ diverso” mi
risponde, piccata.
“A dire il vero, lo avevo iniziato,
un po’ di tempo fa. Ma poi si sono messe di mezzo altre cose, e…”
“Certo. Immagino non sia semplice essere un cantante di fama mondiale.”
Sorrido. “In effetti, no. Credo sia
più semplice essere…” Lascio la frase in sospeso, e le faccio un cenno per
farle capire che desidero finisca la frase.
“…arredatrice di interni. O almeno,
ci provo. E sì, credo sia più semplice essere me che essere Josh Groban.”
“Ci sono momenti in cui vorrei
essere una persona normale, con un lavoro normale… come lei, signorina…”
“Thomas. Grace Thomas.”
“Grace. Mi piace il suo nome. Mia
nonna si chiamava così.”
Sorride, e dopo avermi stretto la
mano torna al suo libro.
“Mi scusi, la sto distraendo dalla
lettura. Non era mia intenzione.”
Chiude delicatamente il volume e liscia la copertina con una mano. “L’ho letto
così tante volte da saperlo a memoria.” Alza lo sguardo su di me. “Invece
viaggiare in classe economica con una celebrità non capita tutti i giorni.”
Ridacchio. “Di solito Brian, il mio
manager, mi fa riservare dei posti in prima o in business. Ma sono dovuto
partire in fretta… e poi, io mi so accontentare.”
“Spero non sia nulla di grave.”
“I miei genitori si sono messi in testa di divorziare.”
“Oh. Mi…”
“E’ la quarta volta in quindici anni. Di solito divorziano e si risposano nel
giro di sei mesi. Non riescono a stare lontani.”
Abbassa lo sguardo sui propri jeans
e giocherella con una cucitura. “Ai miei è andata peggio.”
“Divorziati anche loro?”
Annuisce. “Avevo dieci anni ed ero
figlia unica. Non è stato un bel periodo. Adesso sono entrambi risposati. Con persone
diverse” sottolinea, con un sorriso. “Ho quattro fratellastri: uno da parte di
papà e tre da parte di mamma.”
Mi lascio scappare un fischio. “Dev’essere
un bel casino.”
“Non saprei. Sono scappata di casa a diciassette anni e cerco di tornarci il
meno possibile.”
Mi ritrovo a fissare il suo profilo,
chiedendomi che cosa nascondano quei grandi occhi neri che prima ho avuto così
vicini.
“Ma cambiamo discorso” sbotta, dopo
qualche istante di silenzio. “Siamo arrivati al punto in cui devo dire che sono
una sua grande fan, ho tutti i suoi dischi e sono stata a tutti i suoi
concerti?”
“Non esageriamo” rido. “Mi
accontento di sentirmi dire che non faccio schifo.”
***
Scendiamo dall’aereo ridendo e
scherzando come due amici di lunga data, eppure ci siamo conosciuti poco più di
due ore fa. Ritiriamo i nostri bagagli e ci avviamo all’uscita dell’aeroporto,
dove arriva il momento di dividersi.
“E’ stato… è stato davvero un
piacere conoscerla, signor Groban.”
“So di sembrare piuttosto stupido,
visto che ci stiamo salutando, ma… ‘signor Groban’ mi fa sentire vecchio.
Preferisco Josh.”
“E’ stato un piacere conoscerti, Josh.”
“Meglio. È stato un piacere conoscere anche... te, Grace.”
“Beh, in questo caso…” Si fruga le
tasche del cappotto e mi porge un bigliettino. “Se conoscessi qualcuno che ha
bisogno di un’arredatrice di interni…”
“Mia madre stava giusto pensando di
riarredare il salotto” dico, e non è una battuta. “Di solito ogni volta che
divorzia cambia l’arredamento di un’intera stanza. Le dirò di chiamarti.”
Sorride, le guance arrossate dal
freddo, e si allontana trascinando il proprio trolley.
Rimango a guardarla mentre se ne va
a passo spedito con le sue scarpe da ginnastica consumate, il cappotto dal
taglio semplice e i capelli arruffati.
“Amazing Grace, how sweet that sound…” canticchio, dimenticandomi, per un attimo, dove sono e che
cosa devo fare. Chissà se qualcuno le ha
mai dedicato quella canzone.
Se ripenso all'inizio della mia
carriera, mi vergogno della mia stupidità. Ok, sono ancora un cretino immaturo
sotto molti punti di vista, ma prima di fare un acquisto importante ci penso su
almeno tre volte. Ma nel 2004 avevo appena ventitré anni, ero appena salito
alla ribalta, tutti mi acclamavano e i soldi piovevano come mai avevo osato
sognare. E Brian mi convinse a comprare una casa. Ok, l’idea non era male: in
fondo, comprare una casa può essere un ottimo investimento.
Dannazione, questa non è una casa. Prima di tutto, non esiste una parete che
sia una parete: ovunque volga lo sguardo, incontro grandi lastre di vetro che
mi sbattono davanti agli occhi il resto del mondo anche quando avrei voglia di
isolarmi. Ed è tutto di un bianco accecante, una specie di via di mezzo tra la
stanza della TV del signor Wonka e una corsia d’ospedale. Non mi è mai piaciuto
questo maledetto appartamento, ma Brian è stato così convincente… o forse io
ero maledettamente suggestionabile: un ragazzino di Los Angeles che
improvvisamente si ritrova con una montagna di soldi tra le mani può diventare
pericoloso.
Brian, efficiente come al solito,
risponde dopo due squilli e mezzo. “Avnet.”
“Ciao, Brian. Sono io.”
“Ehi, Josh! Il viaggio è andato bene? Hai bisogno che faccia qualcosa per te?”
“Sì, sono arrivato da poco.” Evito di menzionare Grace. “E sì, avrei bisogno di
un favore.”
“Dimmi tutto.”
“Vendi questo appartamento.”
“Scusa?”
“Il mio appartamento di Los Angeles. Trova qualcuno disposto a comprare questo
schifo.”
Non vivo più a casa da una decina
d’anni, ma mamma e papà hanno voluto che tenessi una copia delle chiavi. “Non
si sa mai cosa può succedere nella vita. Potresti averne bisogno.”
Infatti. Suono il campanello, e nonostante all’interno si sentano due voci discutere
in modo piuttosto animato, nessuno viene ad aprire.
“Ciao, sono a casa!” dico ad alta
voce, avanzando nell’ingresso.
“Josh? Joshie, amore della mamma,
che ci fai qui?”
Come sempre, mia madre mi investe
con la forza di un Panzer, e inizia subito a dire quanto mi trova dimagrito,
quanto sono sciupato, che questa vita mi sta uccidendo… a sentire lei, dovrei
essere morto da almeno otto anni.
“Allie ha chiamato Brian e lo ha
informato che avete di nuovo messo su uno dei vostri soliti teatrini.”
“Allie dovrebbe imparare a farsi gli
affari suoi.”
“Allie si preoccupa per voi, com’è giusto che sia.”
Allison Marie Groban, detta Allie, è
mia sorella. Ha cinque anni più di me, è sposata e ha tre figli fantastici. Suo
marito gestisce un piccolo negozio di dischi, e lei gli dà una mano, quando non
è troppo impegnata con i miei nipoti. Quando pubblicai il mio primo album, il
loro fu l’unico negozio ad esporlo subito in vetrina: Allie è sempre stata
piuttosto fiera di me.
“A proposito, dov’è papà? Mi
sembrava di aver sentito anche la sua voce.”
“Credo sia sgattaiolato via dalla
porta sul retro. Vuoi un the, caro?”
Non importa che ore siano: mia madre
offre the a tutti, che siano le otto del mattino o le sette di sera. Comunque
sia, anche se le tre del pomeriggio non sono l’ora più adatta per un the con
mia madre, accetto. Cinque minuti più tardi mi sono tolto il cappotto e mi sono
seduto a tavola, con una tazza di the bollente tra le mani e mille domande da
fare alla donna che continua a sfaccendare davanti ai miei occhi. E a
rimproverarmi. Neanche avessi ancora quindici anni.
“Joshua Winslow Groban, chi ti ha
insegnato a stare così scomposto? Mi meraviglio che tu riesca ancora a
camminare diritto!”
“Oh, mamma! Perché invece non
parliamo di cose importanti?”
“Tipo?”
“Tipo del fatto che tu e papà vi state lasciando.”
“Oh, Joshie, sono cose che
succedono. Insomma, anche tu e Isabel vi siete lasciati. E prima c’era stata
Tish, e prima ancora Lucy…”
“Non tirare in ballo le mie storie.
So che sono cose che succedono. Ma voi avete divorziato tre volte, e per tre
volte vi siete risposati. Non è normale.”
“Beh, se può consolarti, questa
volta è finita davvero. Tuo padre ha
un’altra donna.”
Fantastico. Ci mancava soltanto
questa: mio padre che, a sessant’anni suonati, inizia ad andare a donne.
***
Odio Los Angeles. Troppo traffico.
Sto cercando di raggiungere mia sorella: a quest’ora dovrebbe essere al
negozio. Mentre mi rassegno a percorrere i pochi chilometri che mancano a passo
di lumaca, passo in rassegna le mie storie passate. Isabel è stata la mia
ultima ragazza: dopo aver rotto con lei, ho giurato a me stesso che non mi
sarei più innamorato di una musicista. Isabel suonava il clarinetto
nell’orchestra che mi accompagna durante i miei concerti, e col tempo si era
autoeletta mio consigliere personale. Come se Brian non fosse stato
sufficiente. Comunque, Isabel stava iniziando a diventare soffocante, con tutte
le sue critiche al mio modo di cantare e al poco spazio che davo ad alcuni
reparti dell’orchestra… e così, poco prima di Natale, l’ho scaricata. Peccato
però: era davvero bella, con i suoi grandi occhi grigi e i capelli biondi
sempre sciolti lungo la schiena.
Prima di Isabel c’era stata
Jennifer, non Tish. Jennifer era una delle assistenti di David Foster. L’avevo
conosciuta appena ero approdato alla Warner, ma mi sono reso conto di quanto
fosse carina soltanto due anni fa. Ma poi anche con lei finì: non sopportava le
mie lunghe tournée, io non sopportava di vederla sempre di cattivo umore. Un
paio di mesi fa si è sposata con Alan, un tecnico del suono. E dire che io
avevo sempre pensato che gli piacessero i maschietti…
Prima di Jenny, sono stato con Tish.
Tish è stata la miglior ragazza che abbia mai avuto, dopo Lucy. Tish non si
lamentava se restavo fuori un mese per una serie di concerti, se restavo chiuso
in studio a ripetere una registrazione fino a che non era perfetta, se Brian mi
teneva sveglio tutta la notte per espormi i suoi progetti. Tish non si
lamentava, non mi chiedeva mai niente, e io ne ero profondamente innamorato.
Finché non ho scoperto che sopperiva alla mia assenza con chiunque le capitasse
a tiro – uomo o donna, non aveva importanza. Il che, forse, non la rende la
miglior ragazza che abbia mai avuto.
Lucy. Lei sì che è stata la migliore
ragazza che abbia mai avuto. Bella, intelligente, simpatica e semplice: tutto
quello che avrei mai potuto cercare in una ragazza. L’ho conosciuta all’asilo,
e abbiamo condiviso tutte le esperienze più importanti della vita: varicella,
morbillo, brutti voti, brufoli, il primo bacio e la prima volta. Ci siamo messi
insieme ufficialmente a quattordici anni. È durata tre anni, per finire quando
lei si trasferì con la famiglia in Europa. Lucy è stata l’unica ragazza ad
avere il vero Josh, ad avere l’uomo,
e non il cantante. A quell’epoca ero ancora una specie di reietto che ogni
giorno rischiava di finire con la testa infilata nella tazza del gabinetto, ma
Lucy... a Lucy piacevo così com’ero.
L’automobilista in coda dietro di me
suona il clacson e mi lancia un paio di insulti. Ha ragione. L’auto davanti a
me è già talmente lontana che non riesco nemmeno a leggere la targa. Io e i
miei maledetti problemi di concentrazione. Sarebbe meglio dimenticare.
Dimenticare. Dimenticare tutto.
Allie non cambierà mai. Ha trentaquattro
anni e ne dimostra sempre dieci di meno. Ha lo stesso sorriso di papà – che poi
è anche il mio –, ma sotto molti punti di vista inizia ad assomigliare alla
mamma: lo capisco quando mi investe con la stessa forza di un Panzer e inizia a
dirmi che mi trova sciupato.
“E questi capelli, poi! Quando ti deciderai a tagliarli?”
“Oh, Allie!” brontolo, cercando di
sgattaiolare via dalle sue mani. “Non ho più dodici anni!”
“Mah, non saprei. Non mi sembra che
tra te e Alex ci sia molta differenza” mi risponde sorridendo.
“Come stanno i ragazzi?” chiedo. Per
chiare esigenze professionali non posso trascorrere molto tempo con loro, ma
chiamo tutte le settimane.
“Bene. Alex è immerso fino al collo
nei provini per la squadra scolastica di baseball, Christine sta entrando nella
preadolescenza e ci manda tutti al diavolo due volte al giorno e Stella vuole
prendere lezioni di ukulele.”
Stella è la più piccola, ha otto
anni. “Lezioni di ukulele?”
“In classe è appena arrivato un
ragazzino dalle Hawaii. Ne è profondamente innamorata e vuole fare colpo.”
Rido, mentre inizio a curiosare tra
gli ultimi arrivi. “Non sapevo che Miley Cyrus avesse pubblicato un nuovo
album.”
Sospira. “Purtroppo mi tocca vendere
anche quelli. Non bastano gli album del mio fratellino a tenere su la baracca.”
“Allie, lo sai, se avete problemi
economici…”
“Sto scherzando, Joshie…” ride,
esibendosi in una perfetta esibizione di mia madre. “Basterebbero i tuoi dischi
per comprarmi una bella villa in riva al Pacifico.”
Più tardi ci raggiunge anche Gary,
mio cognato.
“Ehi, Grobie, qual buon vento?”
“Vento di divorzio, a quanto ho
sentito” rispondo, facendomi serio, guardando mia sorella.
Allie fa spallucce. “Ho pensato
dovessi saperlo. A proposito, il tuo manager è una persona odiosa, a volte. Mi ha
liquidata con un’assurda serie di monosillabi.”
“Sì, credo gli abbiano dato poco affetto quand’era bambino” scherzo. “Comunque…
mamma ha parlato di un’altra donna.”
“Era disperata quando l’ha scoperto.”
“Quindi è vero? Papà ha un’amante?”
“Pare di sì.”
“Hai parlato con lui?”
Allie scuote la testa. “Mi sta evitando. Tu lo hai visto?”
“Sono passato a casa. Erano tutti e
due lì, li ho sentiti litigare. Ma appena mi ha sentito entrare se l’è svignata
dalla porta sul retro. Magari andrò a cercarlo nella sua tana.”
Ogni volta che se ne va di casa, ad
ogni divorzio, mio padre si rinchiude in una specie di bungalow sulla spiaggia,
che si è guadagnato il simpatico appellativo di ‘tana’. È davvero una specie di
tana, visto che mio padre è totalmente incapace di gestire qualsiasi cosa sia
più complicata del telecomando della tv. Intendiamoci, è stato un padre
meraviglioso, e ha dato a me e a mia sorella tutto ciò di cui avevamo bisogno,
però… manca di praticità, esattamente come me.
“Dici che si rifugia ancora lì?” mi
chiede Allie, con un’ombra di disgusto sulla faccia.
“Perché cambiare le buone abitudini?”
***
Mi avvicino lentamente, ma l’abbaiare
di Roxy tradisce la mia presenza. “Chi va là?”
“Papà, sono Josh! Ti spiace
richiamare il commissario Rex? Dobbiamo parlare!”
Fischia e il pastore tedesco la
smette di annusarmi. “Diavolo, Roxy, mi conosci da dieci anni, possibile che tu
debba annusarmi ogni volta che mi vedi?” le bisbiglio.
“Allora, che cosa ti porta a casa?”
mi chiede mio padre, con un grande sorriso dipinto sul volto non rasato.
“Ah no, eh, non fare quella faccia.”
“Quale faccia?”
“Quella di chi finge di non sapere perché sono qui. Allie mi ha avvertito che
tra te e la mamma c’è di nuovo qualcosa che non va.”
“Ti va di fare una passeggiata?”
Prima il the
con mia madre, ora una camminata a piedi nudi sulla sabbia con mio padre… che
diavolo sta succedendo a tutti quanti?
“Sai, Josh,
a volte nella vita succedono cose che non ti saresti mai aspettato accadessero…
e in un primo momento non sai come comportarti, perché non c’eri preparato…
però poi capisci che non ti serve essere preparato, perché tutto quello che ti
occorre per affrontarle è dentro di te.”
“Hai iniziato a fumare cose strane, papà?”
Ride, e sulla sua guancia vedo quella fossetta che compare anche sulla mia. “Josh,
io non so che cosa farei se tu non ci fossi.”
“Non sono un
figlio molto presente. Piuttosto dovresti chiederti come andrebbe se non ci
fosse Allie. È lei che tiene su tutta la baracca.”
“Allie è una
donna forte, è vero. Riesce a gestire un’attività e ben due famiglie. Ma ci sono cose che non può capire. Cose che puoi
capire soltanto tu.”
Non riesco a
capire. Che cosa sta cercando di dirmi?
“Vedi, Josh,
la vita è… è come l’oceano. La vedi l’acqua? L’onda investe la spiaggia, l’acqua
invade ogni spazio, e poi se ne va. Se ne va e sembra perduta, ma… ritorna
sempre.”
“Papà, io…
io non riesco a seguirti.”
“Non è
necessario che tu capisca adesso. Capirai, Josh, capirai…”
Mi fermo e
lo lascio camminare. Lo guardo mentre segue Roxy, con la camicia di lino bianco
che si riempie di vento e si gonfia. Mi sembra più magro, quasi… fragile. Mi
viene da pensare che questo vento potrebbe sollevarlo e trascinarlo via.
Capitolo 5 *** 5. Sulla Via Di Casa Mia [Claudio Baglioni] ***
5.
“Non ci posso credere, Brian! Mi sei
corso dietro! Mi sei corso dietro quando ti avevo espressamente chiesto di non
farlo!”
“Ascolta, Josh. Io sono pagato per tutelare i tuoi interessi. Ma per farlo,
devo averti costantemente sotto gli occhi.”
“Hai intenzione di seguirmi anche
quando vado in bagno, d’ora in poi?”
Si gratta la testa, ormai quasi
completamente calva. “Potrebbe essere un’idea. Ehi, lo sai che da quando ti
seguo ho perso un sacco di capelli?”
“Forse il tuo corpo ti sta lanciando
un segnale per dirti che sono tossico. Ti
prego, Brian, ti chiedo soltanto di lasciarmi risolvere questa cosa da
solo.”
“Tra una settimana ti aspettano da Oprah, lo sai, vero?”
Sbuffo, prendendomi la testa tra le
mani. “Lo so da sei mesi, Brian.”
“Lo sai che si aspettano che canti,
vero?”
“Lo so.”
“Lo sai che aspettano che tu decida
che cosa cantare, vero?”
“Lo so.”
“Lo sai che non hai ancora scelto
niente?”
“Mi prendi per scemo, forse?”
“Oprah vorrebbe che cantassi
‘Remember when it rained’, ma secondo un’indagine il pubblico vorrebbe che
eseguissi ‘So she dances’. Personalmente, io credo…”
“Brian, vuoi tacere? Per favore? Farò ‘Awake’. Contento?”
“Tu felicidad es mi felicidad.”
***
Mi sono liberato di Brian. Il
prossimo passo sarà… sarà… non lo so. È Allie quella brava a fare piani. Io non
so fare altro che afflosciarmi in poltrona e osservare il cemento di Los
Angeles arroventarsi sotto il sole.
Odio questa poltrona. È scomoda. E
questa sottospecie di tavolino è troppo basso.
Mi guardo intorno. Forse questo
appartamento non sarebbe poi così tremendo, se solo fosse arredato
diversamente.
D’istinto, metto una mano in tasca.
Il biglietto è ancora lì. Grace Thomas,
arredatrice d’interni.
Per prima cosa, chiamo Brian. “Hai
già trovato qualcuno disposto a comprare la casa?”
“Veramente no.”
“Blocca tutto. Resto qui.”
Il secondo passo consiste nel
comporre il numero di Grace e chiederle di intervenire. Sono sincero, credevo
fosse più semplice: in fondo, si tratta soltanto di pigiare una serie di tasti
e aspettare che risponda. Ma persino gesti semplici come questi mi sembrano
difficilissimi da compiere.
Uno squillo.
Due squilli.
“Grace Thomas. Che cosa posso fare
per lei?” “Ehm, salve… sono Josh Groban.”
“Oh, merda.”
Riaggancia.
Ricompongo il numero.
“Non è uno scherzo di cattivo gusto.
Sono davvero Josh Groban.”
“Oh, io… chiedo scusa per prima. Non… non mi aspettavo questa telefonata.”
“Avevo promesso che avrei chiesto aiuto per riarredare una stanza, no?”
“E’ questo che stai chiedendo? Aiuto
per riarredare una stanza?”
Mi guardo intorno. “In realtà, credo
che non si salvi nemmeno un angolo di questa casa. Ho bisogno di un bravo
arredatore. Sei disponibile?”
“Posso avere l’indirizzo? Dovrei
farmi un’idea…”
“Certo.” Le dico dove abito, e la sento scribacchiare all’altro lato della
linea.
“Quando posso venire a vedere la
casa?”
“Quando sei libera?”
“Per te sempre. Cioè, i miei orari
sono… sono facilmente adattabili, se per caso tu… avessi degli impegni.”
“Beh, oggi sono libero.”
“Anche adesso?”
“Anche adesso.”
***
Quindici minuti, e sento suonare il
campanello. Puntuale.
“Sono in anticipo, scusa.”
“Non importa, davvero. Su, entra.”
Fa qualche passo e raggiunge il
centro dell’ingresso. “Wow. Dunque tu vivi qui.”
“A volte. Sai, viaggio parecchio per
lavoro. Ho comprato questo appartamento sette anni fa. Mi sembrava un affare,
ma in realtà non ne sono così convinto.”
Accarezza con un dito il ficus di
plastica nell’angolo. “A volte basta poco per cambiare il volto di una casa.”
Si piega per tastare la moquette, e
la lunga treccia scura le ricade davanti al volto con grazia. “Posso…” mi chiede,
indicando il soggiorno.
“Certo. Sì può fare qualcosa?”
“Si può sempre fare qualcosa.”
Si muove leggera tra i miei mobili,
tra le mie cose, nelle stanze in cui si svolge la vita di Josh, dove il mio
cognome non esiste, dove la mia professione non conta, e in mezzo a tante cose
sbagliate lei sembra così giusta...
Mi appoggio allo stipite della porta
e la osservo mentre sposta i cuscini del divano, gira di lato un tavolino,
storce il naso di fronte ad un soprammobile. Si accorge che la sto fissando. “Ho…
fatto qualcosa che non va?”
Scuoto la testa, e mi sorprendo a sorridere. “Ti stavo soltanto guardando. Prendi
il tuo lavoro molto sul serio.”
“Più che un lavoro, è una passione. E
voglio che i miei clienti siano soddisfatti.”
“Ti va un caffè? Un the?”
“Berrei volentieri un the, grazie.”
Dieci minuti più tardi, siamo seduti
in cucina a parlare delle modifiche da fare.
“In un primo momento ho pensato che
fosse il caso di ridipingere le pareti, poi ho cambiato idea. Ho pensato che
sono sufficienti delle tende colorate, di tessuto leggero. Utili per schermare
il sole e dare vivacità all’ambiente. I mobili sono completamente sbagliati:
non so chi sia stato ad arredare qui, ma non ha fatto un buon lavoro.”
Quando parla di lavoro, diventa
logorroica: quasi non fa pause, nemmeno per respirare.
“Allora la tua è davvero una
passione” commento, sinceramente affascinato dal fervore con cui riesce a
parlare di stoffe e piastrelle.
Arrossisce. “Beh, in realtà volevo
fare l’organizzatrice di eventi. Sai, balli, galà di beneficenza e cose simili…”
“E come sei finita a fare l’arredatrice?
Insomma, non che sia un brutto lavoro, ma…”
“Avrei dovuto seguire un corso di sei mesi per ottenere un diploma speciale che
mi avrebbe permesso di lavorare, ma… ecco, non me lo potevo permettere. All’epoca
ero già scappata di casa, e dovevo sopravvivere con quello che riuscivo a
guadagnarmi da sola.”
“Sei scappata a diciassette anni, vero?”
“Te lo ricordi?”
“Ci siamo incontrati l’altro ieri,
non tre anni fa.”
“Beh, è che pensavo… insomma,
credevo avessi cose più importanti da ricordare. Sai, cose di lavoro, eccetera…”
“Oh, per le cose di lavoro c’è
Brian, il mio manager. È molto efficiente. Un po’ stronzo, forse, ma sa il
fatto suo. È stato lui a convincermi a comprare questa casa, sette anni fa.
Cioè, no. Lui mi ha convinto a prendere un appartamento, e io ho scelto il più
brutto che ci fosse in circolazione.”
Scoppia a ridere, e io la seguo. C’è
qualcosa di strano in lei. Strano e bello. A metà della risata, si copre la
bocca con la mano, come se volesse nascondersi. Vorrei allungare la mano verso
di lei e lasciarla ridere in libertà.
Guarda l’orologio. “Oh, accidenti,
devo proprio andare. Ho un altro appuntamento.”
“Ti accompagno alla porta.”
Si rimette in testa il berretto che
aveva quando è arrivata. Le sta davvero molto bene. “Allora… ti occuperai della
faccenda?”
“Certo. Sarà un piacere. Però… ecco, avrò bisogno di parlare con te per
metterci d’accordo… sai, orari e cose simili… come ti contatto?”
Sorrido, e scribacchio il mio numero
di cellulare su un post-it verde sedano. “E’ il mio numero privato. A meno che
il mio manager non mi sequestri il cellulare, dovresti riuscire a trovarmi a
qualunque ora.”
“Grazie.”
Ci stringiamo la mano. La sua è
ferma, e stringe con decisione la mia.
“Ehm… bene, grazie. Volevo… volevo
sapere quando posso iniziare i lavori a casa tua.”
“Anche subito, se vuoi. Potremmo…
potremmo vederci domani, per i dettagli. Che ne dici?”
“Ma domani non puoi!”
“Come?”
“Cioè, voglio dire, domani sarai da Oprah, se non sbaglio.”
“Già… è vero. Sono disastroso. Se non c’è Brian a ricordarmi ogni cosa, rischio
di dimenticarmi persino di respirare.”
La sento ridere all’altro capo del
filo, e avverto una strana sensazione in fondo allo stomaco. Era tanto che non
facevo ridere una donna. Sì, lo so, tra me e Isabel è finita soltanto da tre
mesi, ma era da molto prima che non andava più.
“Ehi… ma tu com’è che sai che andrò
da Oprah?”
“Diciamo che ogni tanto la seguo, e nella
scorsa puntata ha detto che saresti stato l’ospite speciale.”
“Ora che lo sai, scommetto che non guarderai lo show.”
“Stai scherzando, vero? Mmm… è vero che canterai?”
Mi tengo sul vago. “E’ probabile.”
“Nel caso, sai già che cosa eseguirai?”
“Beh, Oprah avrebbe voluto sentire ‘Remember when it rained’, ma Brian mi ha
detto che secondo un’indagine, gli spettatori vorrebbero che facessi ‘So she
dances’.”
“E tu che cosa stavi pensando di fare?” “Forse ‘Awake’. O ‘February Song’.”
“Peccato. A me sarebbe piaciuta
‘Believe’. Accidenti, è tardissimo! Scusa, ma devo lasciarti.”
“Ci sentiamo, allora. Ciao, Grace.”
“Ciao, Josh.”
Chiamo immediatamente Brian. “Ho
cambiato idea su Oprah.”
“Che significa che hai cambiato idea su Oprah?”
“Non farò ‘Awake’, ma ‘Believe’.”
“Che cosa sono questi cambiamenti
dell’ultimo minuto?”
“Oh, Brian, finora mi sembra di essere stato abbastanza tranquillo. Concedimi
qualche capriccio da star. E poi non sono cambiamenti dell’ultimo minuto: lo
show è domani.”
***
Ventiquattro
ore più tardi, sono seduto in un camerino, aspettando che mi chiamino per fare
il mio trionfale ingresso in scena. Un uomo calvo con auricolare incorporato mi
raggiunge. “Signor Groban, tocca a lei.”
Sono già
stato una volta da Oprah, e conosco lo studio. Sento la voce profonda e calda
della presentatrice scandire il mio nome. Oltrepasso l’ultima barriera, e
inizio a scendere la piccola scalinata ammiccando al pubblico e salutando.
Saluto Oprah
con due baci sulle guance e raggiungo il microfono piazzato per me al centro
dello studio. Le luci si abbassano, parte la musica, e per me è come essere in
un altro mondo. Come sempre, cantando raggiungo le stelle, e soltanto a canzone
conclusa ritorno sulla terra.
Uno scroscio
di applausi anche senza che intervenga l’addetto al pubblico ad incitare gli
spettatori, apprezzamenti ed esclamazioni che mi fanno sorridere come un ebete.
La solita proposta di matrimonio che arriva insieme ai ‘Bravo!’ e ai ‘Complimenti!’
mi induce a fare un piccolo inchino nei confronti della ragazza interessata.
Raggiungo la
poltroncina che Oprah mi indica, e la osservo mentre si siede accanto a me.
“Allora,
Josh, direi che ho veramente fatto la scelta giusta. Direi che il cento per
cento del pubblico si è alzato in piedi per te. Non è successo nemmeno quando
abbiamo avuto Megan Fox come nostra ospite.”
“Beh, Oprah,
ho modo di notare che il tuo pubblico è composto da un buon ottanta per cento
di donne. Mi preoccuperei, se apprezzassero allo stesso modo me e Megan Fox.”
Risate
spontanee da parte del pubblico mi fanno sorridere ancora.
“Allora,
Josh, vogliamo fare due chiacchiere?”
“Sono qui
per questo.”
“Dunque, da
un paio di mesi sei sparito dalla circolazione. Vuoi dirci dove sei stato?”
“Beh, il mio
manager, Brian Avnet, mi ha sequestrato e mi ha tenuto rinchiuso da qualche
parte sulle montagne del Colorado. Ho legato un paio di boxer al comignolo,
sperando che qualcuno li vedesse” mi interrompo, sentendo qualche sospiro e
qualche risatina in sala, “ma non è arrivata nessuna principessa a salvarmi dal
brutto orco cattivo.”
Oprah
scoppia a ridere. “Presto, smentisci la notizia, prima che la polizia arresti
il povero Brian.”
“Scusa
Brian, non intendevo prenderti in giro. No, la verità è che sono stato davvero
in Colorado, su qualche picco scosceso vicino Denver. Non chiedermi il nome del
posto, non ne ho veramente idea. Tutto ciò che ho fatto è stato lavorare ad un
paio di canzoni che verranno inserite nel mio prossimo disco.”
“Interessante.
Disco che uscirà quando?”
“Quando sarà
finito. No, a parte gli scherzi, dovrebbe essere pronto per l’autunno, salvo
complicazioni. Dunque, da settembre, tenetevi lontani dai negozi di musica.”
“Non dire
così. Io ho intenzione di comprare il tuo cd. Sai già dirci come si
intitolerà?”
“Beh,
sicuramente avrà il titolo di uno dei brani incisi, ma ancora non ci abbiamo
pensato. Beh, innanzitutto penso di potervi dire che ci sarà anche la cover di
una grande canzone del passato, che però devo ancora scegliere. E non sto
scherzando. Pensa che ho scelto soltanto ieri sera di cantare ‘Believe’. L’idea
era di proporre ‘Awake’.”
“E che cosa
ti ha fatto cambiare idea?”
“Direi che
possiamo definirla… l’idea di un amico.”
“L’idea di
un amico?”
“L’idea di
un amico. Insomma, so che cantare una canzone natalizia alle soglie della
primavera è da idiota integrale, ma ci tenevo ad accontentare questa persona,
che sta facendo tanto per me.”
“Se fossi
nei panni di questo amico misterioso, sarei felice di questa dedica. Allora,
Josh, parliamo ancora del tuo lavoro. Sono ormai quasi dieci anni che sei sulla
cresta dell’onda.”
“Saranno
dieci anni il prossimo anno, sì.”
“Quanto è
cambiata la tua vita in questi dieci anni? Insomma, quando ne avevi diciannove,
come immaginavi sarebbe stata la tua vita?”
Rifletto
seriamente per qualche istante. “Beh, sai, Oprah, quando avevo diciannove anni
ero veramente un idiota. No, non ridete, non sto scherzando. Ero davvero un
idiota. La sola cosa di cui mi preoccupavo era fare musica, ma non ero sicuro
che questo potesse darmi da mangiare. Non avevo la minima idea di ciò che avrei
fatto nella mia vita. E poi è arrivato David Foster, mi ha dato una pacca sulle
spalle e mi ha detto ‘Ragazzo, tu puoi fare strada’, e da quel momento… paf! Cambiato
tutto.”
“Sai che ci
sono milioni di persone che vorrebbero avere il tuo stesso colpo di fortuna?”
Annuisco. “Lo
so, lo so. So di essere stato maledettamente fortunato, perché ci sono migliaia
di ragazzi e ragazze in gamba al mondo – e non parlo solo di musica –, ma solo
a pochissimi capita l’occasione giusta. Comunque non bisogna pensare che la
fortuna è il solo modo per sfondare. Bisogna lavorare, lavorare, lavorare, e prima
o poi… il sogno realtà diverrà.”
Finisco canticchiando, suscitando l’ilarità del pubblico e di Oprah. “Ad
esempio” riprendo, quando le risatine si spengono, “c’è questa mia amica che ha
sempre sognato fare l’organizzatrice di eventi, ma per mancanza di mezzi si è
dovuta accontentare di fare l’arredatrice d’interni. Ora sta rimettendo in sesto
il mio appartamento, e visto l’impegno che ci mette, sono seriamente convinto
che, presto o tardi, riuscirà a realizzare il suo sogno, perché Grace…” Mi
interrompo, quando mi accorgo di aver detto il suo nome, ma è troppo tardi.
“Bene, ora
sappiamo che quest’amica del mistero si chiama Grace” ironizza Oprah,
rivolgendosi poi al pubblico: “Che ne dite di lasciar perdere l’argomento ‘lavoro’
e proseguire con ‘vita sentimentale’? Mi pare che il nostro caro Josh abbia
parecchio da raccontarci…”
Il pubblico
fischia, ride e applaude, e a me non resta che sorridere.
“Allora… da
quanto tempo sei single?”
“Sempre
delicata, eh?” scherzo.
“’Da quanto
tempo non hai a che fare con una bella pollastrella’ mi sembrava troppo rude”
mi risponde, sorridendo.
“Beh, è da
poco prima di Natale.”
“Sai, la tua
ultima ragazza era veramente bella” mi provoca.
“Lo so.” Risate.
“E allora
perché è finita?”
“Perché la
bellezza non è tutto. Lei suonava nell’orchestra con la quale collaboro, e
purtroppo il lavoro si è messo di mezzo. Abbiamo smesso di andare d’accordo, e
abbiamo deciso di lasciarci. Non è la fine del mondo. Cose come questa succedono
in continuazione. Se non sbaglio, un paio di settimane fa chiedevi a Michael
Bublé perché ha lasciato Emily Blunt.”
“Hai
ragione, cose come questa succedono tutti i giorni… e fanno tirare un bel
sospiro di sollievo alle tue fans. A meno che questa Grace sia davvero soltanto un’amica.”
Capitolo 7 *** 7. Com'è Bella La Vita [Marco Masini] ***
6.
Brian mi
batte una pacca sulla spalla. “Ben fatto, Josh. Questa trovata della tua amica
che vuole fare l’organizzatrice di eventi è stato un vero colpo di genio!
Pendevano tutti dalle tue labbra… come ti è venuta in mente?”
“Brian, non
ho inventato nulla. Conosco veramente una ragazza in questa situazione.”
Il sorriso
scivola improvvisamente via dal suo volto. “No, aspetta. Dove l’hai conosciuta?
Quando l’hai conosciuta? Chi è?”
“Una mia
amica” sorrido, sapendo di mentire. Con Grace non c’è un rapporto di amicizia:
siamo semplici conoscenti, e lei sta per rivoluzionarmi la casa. Questo non fa
di noi una coppia di amici, però mi fa piacere pensarlo.
Il mio
cellulare squilla, interrompendo Brian appena in tempo, cinque secondi prima
dell’esplosione. “Pronto?”
Dopo un
attimo di immobilità, il sangue nelle mie vene inizia a scorrere a velocità doppia,
quando la sua voce, incredibilmente bassa, sillaba: “Grazie, Josh.”
“Grazie di
che?”
“Della
canzone. Insomma, so che non era nelle tue ipotesi, e…”
“Beh, non
avevo le idee chiare, e ho pensato che non sarebbe stato male affidarsi ai
consigli di…”
“…un’amica?”
Mi rendo
conto che ha visto lo show, e che quindi ha seguito anche la mia piccola
intervista. “Scusa se ti ho tirata in ballo, ma mi sembrava un esempio
perfetto.”
“Non
chiedermi scusa. Sono contenta che tu mi abbia etichettato come un’amica, anche
se… beh, non abbiamo questo gran rapporto.”
Volto le
spalle a Brian, che si sta sbracciando per chiedermi se si tratti di Grace. “Stai
per distruggere la mia casa e ricostruirla ex novo. Se non è un gran rapporto
questo…” scherzo.
La sento
ridere all’altro capo del filo, e riesco ad immaginare il suo volto mentre lo
fa. Mi passo una mano tra i capelli… Josh,
che ti succede?
“Scusa se ti
ho disturbato… probabilmente sei stanco. Forse non dovevo chiamare.”
“Ma no,
tranquilla. Mi fa piacere che tu mi abbia cercato. Ehm… volevi dirmi solo
questo?”
Pausa. “In
realtà volevo sapere quando sei libero, per vedere insieme i progetti per il
salotto.”
“Questa
sera?” ribatto in fretta, senza fare caso alla faccia stupefatta di Brian, che
mi sono appena ritrovato davanti.
“Questa
sera? Io… beh, sì, io… io sono libera.”
“Dove?”
“Posso suggerire casa tua? Insomma, visto che è di casa tua che dobbiamo
parlare…”
Se potessi
cancellare la mia ultima frase, lo farei di corsa. Brutto coglione, è ovvio che il posto ideale è casa tua. “Giusto. Non
ci stavo pensando.”
“A che ora?”
“Quando
puoi. Io sono ancora agli studi, ma entro un’ora penso di poter essere pronto.”
“Ok. Allora…
a dopo, Josh.”
“A dopo,
Grace.”
Riaggancio,
e osservo attentamente Brian, occupato a grattarsi la testa e a riflettere. “Possiamo
andare, Brian? Mi vedo con un’amica, più tardi.”
“Ti vedi con
Grace, che sarebbe l’arredatrice di interni? L’amica di cui parlavi con Oprah?”
“Esatto, ma
non mi caverai altri dettagli utili a permetterti di indagare su di lei.”
***
Mancano dieci
minuti alle nove, quando Grace suona alla mia porta. Ha un’incredibile tendenza
a tenere gli occhi bassi: un vero peccato, considerati gli enormi occhi neri
che si ritrova. “Ciao” sussurra.
“Ciao. Su,
entra.”
Sono totalmente
imbranato in materia di bon ton, e cerco di farmi tornare in mente le lezioni
di mia madre.
Punto Primo:
aiuta la tua ospite a togliersi il
cappotto. Ha già fatto da sé.
Punto
Secondo: metti via il suo cappotto. Prendo
il cappotto e lo sistemo sull’appendiabiti dell’ingresso.
Punto Terzo:
falla accomodare.
“Hai già
cenato?”
La mia
idiozia non ha limiti.
“Veramente…
no” confessa. “Me ne sono dimenticata. Insomma, di solito mangio, solo che
stavo lavorando al progetto e quando mi sono resa conto che stavo facendo tardi…”
“Sei
fortunata. Mia madre mi ha fatto recapitare qualcosa tipo cinque tonnellate di
cibo. Probabilmente pensa che stia nascondendo un piccolo esercito nella mia
stanza.”
Scoppia a
ridere, stavolta senza coprirsi la bocca con la mano, e rimango semplicemente affascinato
dalla dolcezza del suo viso. La vedo fissare gli occhi su un punto alle mie
spalle, e poi scuotere leggermente la testa. “Che c’è?” le domando.
“Niente. È solo
che non riesco ancora a credere di… di essere qui a parlare con te. Insomma, tu…
tu…” Si interrompe, indicando il punto sul quale ha fissato gli occhi.
Mi volto, e
vedo che sta indicando una fotografia che mi ritrae con Placido Domingo,
durante la lavorazione de ‘La Tua Semplicità’.
“… Tu hai
lavorato, stretto la mano, parlato
con gente come lui. Lo fai tutti i giorni, e ora… ora stai parlando con me. Insomma,
un mese fa eri alla notte degli Oscar e stavi cantando con Beyoncé, e adesso…
non riesco a crederci.”
“Non riesci
a credere che io e Beyoncé abbiamo duettato? Possiamo chiamarla, se vuoi. Ho il
suo numero.”
Non è una
battuta: ho davvero il recapito di Beyoncé. Però Grace ride di nuovo. “Lascia
stare, non avrei dovuto parlare. Però… me la toglieresti una curiosità?”
“Spara.”
“Com’è
Barbra Streisand dal vero?”
“Meno brutta
di quanto appaia in video. Ed estremamente simpatica. Sei una sua fan?”
“Se i suoi
fan rivedono Yentl a ogni Natale,
allora sì” sorride, arrossendo un po’.
“Se devo
essere sincero, preferisco Funny Girl.”
“Hai visto i
suoi film?”
“Solo questi
due. Ma come attrice non mi dispiace. Allora” aggiungo, dopo un attimo di
pausa, “vogliamo metterci al lavoro?”
“Io ho
abbozzato qualche progetto per il soggiorno, ma prima di iniziare a fare
qualsiasi cosa devo vedere tutte le stanze” mi spiega. “Deve esserci armonia
tra i vari ambienti della casa, e non posso creare armonia se non ho prima
visto tutto.”
“Pensavo di
averti mostrato tutta la casa, l’altra volta.”
“Ehm,
veramente mi hai suggerito di tenermi lontana dalla tua stanza, sostenendo che
una zona terremotata sarebbe stata più in ordine.”
“Temo che da
allora la situazione non sia cambiata.”
Sorride. “Non
ti conviene costringermi a tornare un’altra volta.”
“Non
capisco.”
“Beh,
immagino che presto o tardi qualcuno noterà la frequenza con la quale vengo
qui. Ti metteranno un paparazzo alle costole, e addio tranquillità.”
Devo avere
un’aria decisamente sconvolta.
“Scherzavo”
mi rassicura.
“No, cavolo,
hai ragione” ribatto. “Il tuo ragionamento non fa una piega. Beh, se sei un
tipo avventuroso, puoi aprire quella porta” scherzo, indicando la porta della
mia camera da letto.
La osservo
mentre spinge il battente e oltrepassa la soglia. “Wow” è il suo unico
commento.
“Beh, ti
avevo avvertita che…”
“No, il ‘Wow’
era perché pensavo di essere l’unica della mia generazione ad amare ancora gli
animali di peluche” mi interrompe, indicando il gigantesco panda che troneggia
al centro del mio letto.
“Oh, quello. Beh, è un bel ricordo della mia
infanzia.”
Annuisce,
mentre raggiunge una mensola. “Ehi, ma questo…” inizia, allungando una mano
verso un altro pupazzo.
“Sì”
ammetto. “Sono un fan de ‘La Bella e La Bestia’.”
“Il tuo
personaggio preferito?” mi chiede, voltandosi verso di me senza smettere di
giocare con il mio Tokins di peluche.
“Dovresti
capirlo da te.”
“Tokins? Ma è
odioso!”
“Ultimamente
ho imparato a rivalutarlo. E poi, mi ricorda tanto Brian, il mio manager.”
Lo osserva
attentamente e scoppia a ridere. “Sì, forse hai ragione.”
“E il tuo?”
“Il mio
cosa?”
“Il tuo
personaggio preferito.”
“Dì che sono
banale e scontata, ma adoro Belle.”
“Sei banale
e scontata.”
“Grazie. No,
in realtà provo simpatia per Gaston. Insomma, tutti lo odiano, nessuno riesce a
sopportarlo, ma è…”
“…complesso.”
“Esatto. In
lui c’è molto più di quanto la gente riesca a vedere. Un po’ come…”
“…i vip.”
“Esatto”
conferma ancora.
“Beh, allora
cos’hai intenzione di fare per la mia cameretta?”
Riflette. “Niente.”
“Niente?”
“Niente.”
“Ma il
discorso sull’armonia, eccetera?”
“Oh, era
tutta una balla. In realtà volevo solo curiosare. Sai, la camera da letto di
una persona rivela molto sulla sua personalità.”
Chissà che cosa c’è nella tua, mi trovo a
pensare.
“Quindi
Tokins può rimanere sulla sua mensola?”
Annuisce.
“Bene,
perché ormai è quello il suo posto. Non lo sposterò nemmeno quando mi sarò
sposato.”
“Hai… hai in
programma di sposarti?”
“Se troverò
una ragazza tanto pazza da dirmi di sì, perché no?”
Sorride,
senza rispondermi.
“Sempre che
a forza di scrivere stronzate, i giornalisti non riescano a convincermi che
sono davvero diventato gay” continuo, facendo il serio.
Scoppia a
ridere. “Dev’essere orribile.”
“Essere gay?”
“Essere
continuamente bersagliati dalla stampa, essere criticati per ogni singolo passo
falso, per ogni dettaglio subire un processo… insomma, con tutto il rispetto
per il lavoro che fai, ma non baratterei la mia vita con la tua nemmeno per
tutto l’oro del mondo.”
Mentre
parla, non riesco a staccarle gli occhi di dosso. È così seria, così… è davvero
convinta di quello che dice. E la convinzione la rende davvero carina.
“Beh, c’è un
lato positivo in tutto ciò” intervengo, oltrepassandola per rimettere Tokins
sulla mensola.
“Ovvero?”
“Lo chiamano
il principio ‘Occhio non vede, penna non scrive’.”
“Vuoi dire
che riesci comunque a fare tutto quello che vuoi senza farti scoprire?”
“Esatto.
Basta fare attenzione a eludere tutti i giornalisti.”
“E dove
finisce la libertà? Insomma, non c’è differenza tra il non fare nulla per
timore di essere scoperti e il fare tutto di nascosto.”
“C’è il
gusto del proibito.”
Sbuffa,
alzando gli occhi al soffitto. “No, grazie. Preferisco vivere la mia vita
tranquilla e priva di emozioni forti.”
Il
campanello mi impedisce di risponderle.
***
Siamo seduti
fianco a fianco, in cucina, e stiamo sfogliando le tavole che ha preparato,
mentre attacchiamo la pizza che abbiamo ordinato, preferendola al cibo
preparato con tanta cura da mia madre.
“Vedi, per
il salotto ho pensato a questa soluzione: un divano ad angolo che copra questo
lato e questo” mi spiega, aiutandosi con i disegni. “Per i muri pensavo al
giallo, oppure ad un arancione sfumato… sono i colori più adatti per non sprecare
la luce fantastica di cui gode questo appartamento.”
“No, fammi
capire” la interrompo, con la bocca ancora piena. “Sei stata qui una sola volta
e sei già riuscita ad elaborare un simile progetto?”
“Beh, è il mio
lavoro” sussurra, arrossendo appena.
“Io non ci
capisco niente, ma credo che tu sia bravissima. Insomma, ti sei ricordata ogni
dettaglio senza nemmeno dover fare una fotografia. Sei una specie di genio!”
“Quando…
quando un progetto mi appassiona, mi capita.”
“E questo
progetto ti… appassiona?”
“Sei il
primo vip che mi chiede di lavorare per lui” mi spiega, facendo spallucce.
Aspetto che
riporti lo sguardo sul progetto, faccio un respiro profondo e prendo coraggio. “Grace…”
Si volta, e
riesco finalmente a fare ciò che avrei voluto fare la prima volta che ci siamo
incontrati. La mia mano si adatta perfettamente alla curva della sua guancia,
mentre con le mie labbra raccolgo dalle sue il sale del cibo appena mangiato. Mi
sento imbranato come la prima volta in cui Lucy e io ci baciammo: eravamo
entrambi inesperti, e fu un vero disastro. Non mi sembra che stia andando
diversamente, ora. Quando la lascio andare, Grace riapre gli occhi, ma senza
riuscire a guardarmi.
“Devo… io
devo andare.”
Prima che
possa rendermene conto, ha raccolto le sue cose e se n’è andata.
Capitolo 9 *** 9. Weekend Song [The Freestylers] ***
6.
“Porca
miseria, papà! Ti spiacerebbe richiamare il segugio?”
Papà è
ancora rinchiuso nella sua tana, e non sembra per nulla intenzionato a tornare
a casa. Ecco perché sono di nuovo qui. E poi mi serve un consiglio,
maledizione. Sono sempre stato un figlio indipendente, ma credo che per ogni
uomo arrivi il momento di cercare aiuto presso il proprio padre. Se solo questo
maledetto cane non attentasse ogni volta alle mie caviglie.
“Scusala. È un
cane da guardia, e fa quello per cui è stata addestrata.”
“Un momento.
Questo cane è femmina?”
“Non te n’eri
accorto?”
“Non ci
avevo mai fatto caso.” Questo dovrebbe farmi capire che mi sono davvero
distaccato troppo dalla mia famiglia: diamine, in dieci anni non mi sono mai
accorto che il cane di mio padre era una femmina? Forse è per questo che mi
odia e cerca di azzannarmi ogni volta che mi vede. Mi inginocchio sulla sabbia
e cerco di accarezzarla. “Ehi, Roxy, mi dispiace di non essermi mai accorto che
sei una ragazza.” Niente da fare: con le donne sarò per sempre un disastro.
Sono tornato
da una settimana, e una quantità incredibile di cose è successa: i miei stanno
divorziando per l’ennesima volta, un cane ce l’ha a morte con me, mia nipote
vuole imparare tutte le tradizioni hawaiane e mi sono innamorato. Troppe cose
per un solo uomo. Ok, affrontiamo un problema alla volta.
Mio padre mi
mette davanti una tazza di caffè.
“Papà,
dobbiamo parlare.”
“Sai qual è
la mia canzone preferita, Josh?”
“Certo. È ‘Danny
Boy’.”
“Intendevo
tra le tue.”
“Non lo so. ‘You
raise me up’?”
“No. È ‘So
she dances’. Non sto scherzando. Mi è sempre piaciuta. Mi fa pensare a tua
madre.”
“Sì, è
bella. Sono contento che ti faccia pensare alla mamma.”
“Scommetto
che ti stai chiedendo perché ci siamo lasciati così tante volte.”
“Me lo
chiedo da quando avevo quattordici anni e avete divorziato per la prima volta.
E nessuno di voi due è mai riuscito a darmi una spiegazione.”
“Non c’è una
spiegazione. Credo sia successo perché ci siamo amati troppo. Quando si ama
troppo, tutto è esagerato: la felicità, i litigi…”
“Quindi
invece di lanciarvi i piatti, voi divorziavate? Strano metodo.”
“Ha sempre
funzionato.”
“Perché
avete litigato, questa volta?”
“Non abbiamo
litigato.”
“E allora
perché te ne sei andato?”
“C’è un’altra
donna.”
“Non ci
credo.”
“Perché no? Pensi
che sia troppo decrepito per avere ancora compagnia?”
Sorrido. “Non
porteresti più la fede, papà.”
Si guarda l’anulare,
senza rispondere. Non si aspettava di essere scoperto. Di sicuro non si
aspettava che io, l’antitesi del
genio, lo scoprissi.
“Papà,
perché sei andato via di casa?”
“Preferirei
non parlarne. Non ancora.”
“C’è
qualcosa che non va?”
“Non voglio
parlarne.”
Come posso
aiutare qualcuno che non vuole parlarmi dei suoi problemi? Sbuffo, bevendo un
altro sorso di caffè. Il silenzio cala su di noi come la neve sulle montagne
del Colorado.
“Beh, visto
che tu non vuoi parlarmi dei tuoi problemi, posso parlarti dei miei?”
***
“Mi stai
dicendo che il tuo manager ti lascia frequentare una ragazza senza starvi
appiccicati ogni secondo?”
“No, l’unica
cosa che Brian sa è che Grace mi sta rimettendo in ordine l’appartamento. E comunque
non ci frequentiamo. Ci siamo solo baciati. O meglio, sono stato io a baciare
lei. Pensala come vuoi.”
“Non ho mai
capito questa cosa del ‘sono stato io a baciare lei’, eccetera. Un bacio è un
bacio, punto e basta. Non ci sono un mittente e un destinatario. Non è una
lettera.”
“Beh, ma lei
se n’è andata. Evidentemente non lo voleva.”
“Se non
avesse voluto essere baciata, a quest’ora ti staresti massaggiando gli stinchi
per ridurre il dolore.”
“Papà, è
scappata. Come se avesse visto un fantasma.”
“Probabilmente
baci da schifo.”
“Grazie,
papà. Rigira il coltello nella piaga!” rispondo, sarcastico.
“Oh, Josh,
sei troppo suscettibile.”
“Beh, sai,
uno si aspetta un po’ di sostegno, dal proprio padre.”
Scoppia a
ridere. “Oh mio Dio, Josh… non credo che mi sarebbe mai potuto capitare un
figlio più divertente di te.”
Metto su un
broncio degno di un bambino deluso. “Mi aspettavo almeno un consiglio.”
“Vuoi un
consiglio? Beh, non cercarla. Lasciale un paio di giorni per realizzare quello
che è successo. Di solito è una tecnica che funziona: lasciale il tempo di
abboccare.”
“Abboccare? Che
razza di tecnica sarebbe? L’hai imparata da un pescatore di merluzzi?”
“Molto
divertente, Josh. Davvero molto divertente. Volevi un consiglio e l’hai avuto,
no?” Sorride.
Sorrido anch’io.
“Ci proverò, papà. Ci proverò.”
“Come hai
detto che si chiama la ragazza?”
“Grace.”
“Grace. Sai
quale canzone mi piacerebbe sentirti cantare?”
Capitolo 10 *** 10. Con Gli Occhi Di Un Bambino [Eros Ramazzotti] ***
6.
Non c’è
dubbio su chi possa essere la nonna dei tre terremoti che mi si gettano addosso
non appena entro in casa di mia sorella. “Zio Josh!”
Mi sembra di
non vederli da un secolo, e invece è soltanto da Natale. Non riesco a credere
che in un paio di mesi siano cresciuti così tanto: di questo passo, a settembre
Alex sarà alto quanto me.
Allie ha
voluto organizzare una piccola cena per il mio compleanno, anche se sono
passate quasi due settimane da quando ho compiuto ventinove anni. I nostri
genitori non ci sono: Allie non ha voluto creare attriti inutili, e allora me
ne sto qui, con mia nipote Stella appollaiata sulle ginocchia, ascoltando gli
aneddoti sportivi che Alex ci racconta, completamente affascinato dal fatto di
essere entrato nella squadra di baseball della scuola, mentre Christine, che
avrà quattordici anni a primavera, sbuffa e finge di avere il broncio.
“Signore,
signori, ho un importante annuncio da fare” dico a metà della cena, battendo
con il cucchiaino sul lato del bicchiere. “Sono lieto di annunciarvi che…”
“…ti sposi!”
scherza mio cognato.
“…cambi
manager!” gli fa eco mia sorella.
“…mi porti a
vivere con te!” è la risposta di Alex.
“…vieni a
vivere qui!” azzarda Stella.
“…mi farai
conoscere i Backstreet Boys!” spera Christine.
“No, no, no.
Qualcosa di meglio. Sono lieto di annunciarvi che voi siete la migliore
famiglia che un uomo potrebbe desiderare.”
“E non hai
ancora visto il regalo!” mi informa Stella, mentre gli altri cercano di
zittirla.
Il regalo è…
non ho parole per descriverlo. Penso al tempo che hanno impiegato e alla fatica
fatta per realizzare l’album di fotografie che sto sfogliando. Grobie’s Greatest Hits è il titolo. Sorrido,
mentre un me neonato piange dalla prima pagina, un me di un anno cerca di
tenersi in piedi attaccandosi alla gonna della mamma, un me adolescente suona
il pianoforte. Della maggior parte di queste foto non sospettavo nemmeno l’esistenza.
L’autore della maggior parte degli scatti è mio padre. È sempre stato fissato
con queste cose, ma non sapevo fosse così bravo. L’ultima foto dell’album
risale a Natale, quando Brian mi ha permesso di venire a casa. Siamo tutti
seduti sul divano di casa nostra: mamma al centro, io a sinistra e mia sorella
a destra; dietro, in piedi, Alex e Gary; sedute per terra, Christine e Stella.
Papà azionò l’autoscatto e si gettò ai piedi del divano, appena in tempo. Non
ho mai visto né lui né la mamma sorridere così. E allora perché si stanno di nuovo lasciando?
“Vedi, Josh?
Abbiamo lasciato parecchie pagine vuote, ma aprendo qui e qui puoi aggiungere
delle pagine finché vuoi” mi spiega Allie, riscuotendomi dai miei pensieri.
“E’
fantastico, Allie. Chi ha progettato una simile meraviglia?”
“Christine. La
sua insegnante di Arte dice che è molto dotata.”
“Accidenti,
lo vedo! Chris, sei una specie di genio! Ehi, dov’è?” chiedo, rendendomi conto
che non è più nella stanza.
Alex fa
spallucce. “Si sarà rintanata in camera sua a piangere e a sbavare sulla foto
di Aidan McKnight, come al solito.”
“Aidan
McKnight? E chi è, un attore?”
Allie scuote
la testa. “La sua prima cotta. In questo periodo è decisamente intrattabile.”
“Forse serve
una bella chiacchierata zio-nipote. Devo darle qualche consiglio.”
Stella mi
guarda spalancando i suoi enormi occhi marroni. “E a me che cosa dai, zio Josh?”
Mi frugo
rapidamente le tasche. “Per te c’è un quarto di dollaro. Mettilo da parte per
le lezioni di ukulele.”
***
Christine è
distesa sul proprio letto, con un libro aperto appoggiato sulla faccia e le
cuffiette dell’i-Pod conficcate nelle orecchie. Per un attimo, mi sembra di
tornare indietro di quattordici anni, quando la ragazza si chiamava Lucy, e l’i-Pod
era un gigantesco walkman. E allora rispolvero vecchie abitudini, con la
differenza che è molto più semplice dividersi le cuffiette dell’i-Pod che non
le enormi cuffie di un walkman. Steso accanto a mia nipote, con la voce di
Robbie Williams che mi accarezza il timpano destro, mi sembra davvero di essere
di nuovo Josh, il ragazzo occhialuto che suonava il pianoforte mentre suo padre
scattava fotografie.
“Allora…”
inizio, rigirandomi i pollici all’altezza dello stomaco. “Come va la scuola?”
Il libro si
muove appena verso di me, e dalla copertina mi accorgo che mia nipote è in
possesso di una copia di American Psycho.
“Uno schifo” bofonchia la ragazzina nascosta sotto le pagine.
“Tua madre
mi ha detto che vai forte in Arte, e che l’album è stato un’idea tua.”
“Diciamo che
me la cavo. Ma il talento è un’altra cosa.”
“Hai
quattordici anni, Christine.”
“E con
questo?”
“Hai tutto
il tempo per crescere e dirigere la tua vita nella giusta direzione.”
“Questa chi
te l’ha scritta? Justin Bieber?”
“Diavolo,
no! Lui avrebbe detto: ‘Hai una vita intera per diventare quello che vuoi
essere e vivere la tua fantastica vita’, o qualcosa di simile.”
La sento
ridere.
“Chris… Perché
stai leggendo American Psycho?”
“E’ per un
compito di scuola. Ma non mi piace. L’ho messo da parte. Forse lo leggerò
quando sarò più grande.”
Ha lo stesso
spirito di sua madre.
“In realtà a
scuola va abbastanza bene. Però non ho molti amici.”
“Più di
cinque?”
“Più di
cinque.”
“Tranquilla,
la situazione è perfettamente sotto controllo. Io ne avevo soltanto due. Pensa che
vita grama ho avuto.”
“Sono
preoccupata. Il prossimo anno andrò al liceo, e non ho mai baciato un ragazzo.”
“E che c’è
di sbagliato?”
Si strappa
via il libro dalla faccia e mi guarda come se fossi un alieno. “Oh, zio Josh,
non fare il finto tonto! Al giorno d’oggi soltanto gli sfigati vanno al liceo
senza aver mai baciato nessuno!”
“Io ho dato
il primo bacio ad una ragazza a quattordici anni compiuti. Anzi, andavo nei
quindici.”
“Ma erano secoli fa!”
“Non
esageriamo. Sono passati soltanto quindici anni… allora, chi è Aidan McKnight?”
“Un ragazzo.”
“Ma dai?”
“Uno del
liceo. Il ragazzo più bello della scuola. Tutte sono innamorate di lui.”
“Compresa
tu?”
“Diciamo che
mi piace. Ma smettiamo di parlarne. Tu? Sei fidanzato?”
Aspetto che
alla voce di Celine Dion si sostituiscano le prime note di ‘For Always’,
sorrido e scuoto la testa. “No. Bella canzone.”
Anche Christine
sorride. “Innamorato?”
“Forse?”
“Di chi?”
“Non la
conosci. Ma tanto non mi vuole.”
Apre la
bocca per rispondermi, ma il mio cellulare inizia a squillare, bloccandola.
Guardo il numero e mi metto a sedere, sorridendo come un cretino.
Capitolo 11 *** 11. Antes De Irte [Laura Pausini] ***
6.
“Grace, sono
contento che tu…”
“No, Josh,
non parlare. Mi ci sono volute ore per preparare il discorso, e se parli
manderai tutto all’aria.”
“Ok.”
“Josh,
quello che è successo quella sera a casa tua è stato…”
“Meraviglioso.”
“Sì. No! E’ stato
uno sbaglio, un errore madornale, e se ti chiamo è per dirti che continuerò ad
occuparmi della tua casa, a patto che… che non succeda più.”
“Non posso
prometterti nulla, Grace.”
“Tu dimmi
che non succederà. Per favore.”
“Mi impegnerò
affinché non succeda” sospiro, dopo una lunga pausa.
“Ok. Volevo
dirti soltanto questo. Scusa se ti ho disturbato.”
“No,
figurati. Ok. Allora… ci vediamo domani?”
“A domani.”
Riaggancio,
e soltanto allora mi accorgo che la conversazione si è svolta alla presenza di
Christine.
“Zio, una
che non ti vuole non ti chiama al cellulare a quest’ora.”
“Io credo
che dovresti farti una buona dose di affari tuoi, signorina” sorrido.
No. No. Mi
rifiuto categoricamente di pensare che d’ora in poi sarà sempre così. Grace sta
impacchettando ad uno ad uno i miei soprammobili: indossa una maglietta bianca
e una camicia di flanella a quadri alla quale ha rimboccato le maniche; i
lunghi capelli scuri sono fissati in cima alla testa con una matita; i jeans
sdruciti completano alla perfezione il quadro. È a pochi centimetri da me, e
non posso nemmeno toccarla. Ho promesso di non farlo. Ho promesso di provare a non farlo.
“Sai” dico, cercando
di fare conversazione, “l’altra sera ho noleggiato Yentl.”
“Ti è
piaciuto?”
“Non ho
ancora avuto il tempo di guardarlo, a dire il vero. È stata una settimana
piuttosto piena.”
“Non ti ho
più chiesto come sta andando tra i tuoi genitori.”
“Beh, mio
padre dice di avere un’altra donna, ma so che non è così. Porta ancora la fede
al dito” aggiungo dopo una breve pausa.
“Pensi che
ci sia sotto qualcos’altro?”
“Con dei
genitori come i miei, non si può mai sapere. Non so come faccia mia sorella a
resistere qui tutto l’anno.”
“Tua sorella
dev’essere proprio una brava persona. Insomma, da come ne parli sembra… che tu
ne abbia molta stima.”
“Beh, Allie
è… Allie. È una specie di seconda mamma per me: ha sempre il consiglio giusto,
le parole giuste… a volte credo che le sembri di avere quattro figli, anziché
tre.”
Grace ride.
Parlando, ci siamo avvicinati ancora. Siamo a una ventina di centimetri l’uno
dall’altra, fianco a fianco. Basterebbe voltarsi per… Joshua Winslow Groban, hai promesso a questa ragazza che avresti tenuto
le mani a posto, ed è esattamente quello che farai. Non posso fare a meno
di chiedermi perché la voce della mia coscienza mi ricordi quella di mia madre.
“Grace…”
“Sì?”
“Mi dispiace
per quello che è successo l’altra sera. Temo di essermi lasciato trascinare dal
momento, e…”
“Josh, non
mi devi spiegazioni. È successo e basta. Lasciamo stare il passato.”
“Grace, a me
una spiegazione non dispiacerebbe. Perché non… perché?”
Finge di non
aver sentito la mia domanda, concentrandosi sul foglio di giornale che sta
lisciando con le mani.
“Grace…”
“E’ che io…
io ho promesso di concentrarmi soltanto sulla carriera, per il momento. Ho
promesso di non farmi distrarre da niente e… da nessuno.”
“Promesso a
chi?”
“A me
stessa. È una promessa che intendo mantenere.”
“Che
promessa del cavolo. Rinunciare a quella che potrebbe essere la tua felicità
per…”
“Non mi pare
che tu sia messo diversamente.”
Mi rendo
conto che nessuno dei due ha completamente ragione, ma nemmeno completamente
torto. Grace ha ragione: ogni maledetto istante della mia vita è programmato,
controllato, regolato da Brian. Però questo non mi impedisce di provare dei
sentimenti: e i sentimenti che provo per Grace sono… non sono mai stati così
intensi.
“Hai
ragione: io non sono messo diversamente. Però ammetto che tra noi…”
“Che tra noi
cosa?”
“Che c’è un
feeling particolare, tra noi.”
Apre la
bocca per parlare, poi la richiude.
“Vedi? Anche
tu lo pensi.”
“Beh… forse.
Però, Josh…”
“Però cosa?
Se c’è un feeling, non è giusto lasciarlo sfogare?”
“Io… io non
lo so.”
“Di che cosa
hai paura?”
“Di niente.”
“Non
mentire.”
“Beh, io…”
Si interrompe, distogliendo lo sguardo da me.
“Tu cosa?”
“Ammettiamo
che il feeling tra noi si… sfoghi. Che cosa credi che succederebbe?”
“Non lo so.
Non è questo il bello?”
“Te lo dico
io che succederebbe. Ti stuferesti, oppure il tuo manager ti spingerebbe ad
allontanarmi. E allora io…”
“Non mi
potrei stufare…”
“E allora io
soffrirei. E sono stanca di soffrire.”
“Non
soffrirai, Grace. Te lo prometto.”
“Non puoi
promettere qualcosa del genere.”
“Ti prometto
che soffrirò il doppio di quanto soffrirai tu, anche se tu non soffrirai”
ribatto, accarezzandole una guancia.
Arrossisce,
abbassando lo sguardo. Un sorriso come il suo non può essere legale.
“Grace?”
“Sì?”
“Posso…”
“Puoi cosa?”
“Fare quello
che ho fatto l’altra sera?”
“Sei adulto.”
Lo prendo
per un sì. Avvicino le mie labbra alle sue con delicatezza, assaporando ogni
attimo, ogni minimo contatto. Questo bacio non ha niente a che vedere con
quello dell’altra volta: stasera, il Josh quattrocchi e imbranato sembra non
essere mai esistito.
Capitolo 13 *** 13. All I Know Of Love [Josh Groban & Barbra Streisand] ***
6.
Mi allontano
di pochi centimetri da lei, ma senza aprire gli occhi: non riesco a non pensare
che potrebbe essersi trattato di un sogno. Le dita di Grace salgono al mio
viso, sfiorandomi appena. Quel lieve contatto mi dà la certezza che non si
tratta di un sogno. Apro gli occhi, e lei è di fronte a me, i grandi occhi neri
spalancati, pieni di… terrore? Piacere? Sorpresa? Non sono mai stato bravo a
decifrare gli stati d’animo altrui. Non sono bravo nemmeno con i miei.
“Grace…”
sussurro, così vicino a lei da riuscire a distinguerne le ciglia.
“No. Non
parlare. Non parlare.”
“Ma…”
“Non dire
niente” mi ammonisce ancora, spostando un dito sulle mie labbra. “Non dire
niente” sussurra, prima di colmare ancora le distanze fra noi.
Nonostante i
miei ventinove anni, non sono un esperto baciatore. E non ho nemmeno avuto
centinaia di partner, come si potrebbe pensare. Probabilmente due mani mi basterebbero,
per fare il conto delle donne con cui sono stato. Però, nonostante la mia poca
esperienza in materia, riesco a rendermi perfettamente conto che questo è il
miglior bacio che abbia mai ricevuto. È il miglior momento che abbia mai
vissuto.
Come guidate
da una forza invisibile, le mie mani stringono il corpo di Grace, impedendole
di allontanarsi. I suoi capelli sono incredibilmente soffici al tatto: la
matita che li trattiene scivola via e cade sul pavimento con un piccolo tonfo,
al quale nessuno dei due presta attenzione. Le mie mani seguono l’andamento
della sua chioma, e si ritrovano sulla sua schiena, che a quel contatto si
inarca impercettibilmente verso di me. Come me, inizia a lasciarsi trasportare
dalle emozioni, e fa scivolare le sue braccia attorno al mio collo.
Mi allontano
ancora da lei, cercando i suoi occhi. Li vedo brillare di una luce diversa, e
illuminare un volto leggermente arrossato e imbarazzato.
“Grace…”
“Josh, tu mi
piaci” ammette, abbassando lo sguardo. “Mi piaci da molto prima che ci
incontrassimo su quell’aereo.”
Mi sfugge un
sorriso, che nascondo affondando il viso nella meravigliosa curva del suo
collo. Posso avvertire ogni singolo brivido del suo corpo. Forse è questo a
spingermi ad appoggiare le labbra sulla sua pelle morbida, e a percorrere
lentamente l’intera linea del suo collo, dalla mascella alla spalla, senza
saltare nemmeno un punto, sentendo Grace tremare tra le mie mani. Lei muove qualche
passo, urta contro il divano e cade, trascinandomi con sé. Entrambi scoppiamo a
ridere come bambini.
Non so per
quanto tempo rimango lì, disteso sopra di lei, con gli occhi fissi nei suoi,
una mano affondata tra i suoi capelli, ma sono sicuro che siano trascorsi
almeno due secoli, prima che io abbia trovato il coraggio di baciarla ancora.
Maledizione, so che corro il rischio di sembrare la classica popstar che agisce
soltanto in base ai propri desideri, ma stanotte niente potrà impedirmi di
amare questa donna.
Facendo leva
su un braccio, sposto il mio peso da lei, ma senza smettere di baciarla, né di
farle sentire la mia vicinanza. La mia mano scende lungo il suo fianco, fermandosi
poco sotto la sua vita, e dopo una breve pausa risale, spostando lentamente
verso l’alto la sua maglietta. Il contatto con la sua pelle è piacevole, così
come è piacevole scoprire che le sue mani sono scese dal mio collo alla mia
schiena, e stanno cercando di fare ciò che sto facendo io con lei. E’ piacevole
scoprire che lei è molto più svelta di me, e ritrovarsi mezzo nudo sopra di lei
un pochino mi imbarazza. Sto cercando di capire come toglierle i vestiti,
quando perdo l’equilibrio e cado sul tappeto, trascinando Grace con me. Soffochiamo
la risata con un bacio, mentre riesco finalmente a toglierle questa maledetta
camicia.
La maglietta
che porta è terribilmente attillata: lascia ben poco all’immaginazione, e
sottolinea alla perfezione ogni linea del suo corpo. La mia reazione dev’essere
parecchio evidente, perché Grace distoglie per un attimo lo sguardo,
imbarazzata. Cerco di riprendere il controllo della situazione, facendola
scivolare di nuovo sotto di me, e riportandomi in una posizione di vantaggio. Riprendo
da dove avevo interrotto, e ricomincio a far scivolare via la stoffa dalla sua
pelle, lasciando una scia di baci sulle sue forme finalmente libere. La scopro
di nuovo intraprendente quando fa scivolare le sue mani sulla mia cintura,
slacciandola con totale noncuranza. Sta per dedicare la stessa attenzione anche
ai miei jeans, quando il mio cellulare incomincia a squillare. Non posso
crederci. Sembrava davvero troppo perfetto, come momento. Comunque, non ho alcuna
intenzione di rispondere. Lo cerco a tastoni e lo spengo, senza nemmeno
guardare, e subito dopo sposto le mie mani sui suoi pantaloni, impegnandomi a
slacciarli prima che uno dei due possa cambiare idea.
Ci ritroviamo
praticamente nudi, l’uno sopra l’altra, e ormai sappiamo entrambi che cosa
accadrà. Bacio ancora le sue labbra morbide, per poi scendere lungo il suo
collo, fermandomi sul suo seno, mentre sento le sue mani tra i miei capelli,
sul mio torace, sulla mia schiena… Abbasso le spalline del suo reggiseno,
sfiorando la sua pelle con due dita: la sento emettere un debole gemito, mentre
insinuo una mano sotto la sua schiena, nel tentativo di liberarla della
biancheria.
“Josh…”
La sua voce pronuncia
il mio nome in un modo del tutto nuovo. Forse è questo ad indurmi a fare in
fretta per ritrovarmi disteso sopra di lei, stretto tra le sue ginocchia,
aspettando un suo cenno. Dal punto di vista fisico siamo entrambi pronti, ma voglio
essere sicuro che sia quello che vuole. Le sue mani che si ricongiungono sulla
mia schiena mi fanno capire che vuole esattamente ciò che voglio io. Mi faccio
strada nel suo corpo lentamente, quasi con timidezza, lasciandomi sfuggire un
gemito che a lei strappa un sorriso. I nostri corpi si avvicinano fino a
combaciare perfettamente, quasi fossero stati disegnati per stare insieme. Cerco
le sue labbra per baciarle ancora, poi mi concentro sul mio corpo: inizio a
muovermi su di lei, con ritmo crescente, spostando le mie mani lungo le sue
forme, catturando i suoi gemiti con le mie labbra, cercando di farle capire che
questo momento sarà indimenticabile. Presto, diventa difficile rimanere
concentrato, e più di una volta mi manca il respiro, mozzato dalla miriade di
sensazioni che il contatto tra i nostri corpi provoca.
“Grace…
Grace…” è la sola cosa che riesco a dire, ormai.
Anche il suo
respiro è cambiato, e le sue mani si aggrappano alle mie spalle, mentre affrontiamo
l’ultima fase di questo nostro abbraccio così intenso. Il mio corpo è scosso da
un fremito, la stretta sulla mia schiena si allenta, e capisco che è finito
tutto. Poi i miei occhi incontrano i suoi, le mie mani raggiungono il suo viso,
e capisco che è qui che inizia tutto.
Grace aveva
un appuntamento di lavoro, quindi si è alzata presto, si è vestita e mi ha
salutato con un bacio. Io me ne sto seduto in cucina, con lo sguardo fisso sul
panorama e una tazza di caffè ormai freddo tra le mani. Sono tremendamente
felice. E confuso. Ma più felice. Ripenso alla notte trascorsa con Grace, e una
serie di brividi mi attraversa. Com’è possibile che una sola notte con lei mi
faccia sentire diverso?
Il campanello
mi distrae. Diavolo, per una volta in cui mi stavo concentrando su qualcosa…
Vado ad aprire, e non riesco a nascondere la sorpresa nel trovarmi davanti
Brian.
“Lo sai
perché hanno inventato i telefoni cellulari?”
“Perché tu
potessi rompermi le scatole in ogni momento?”
“Molto
divertente. Li hanno inventati per rendere le persone reperibili, ma non
funzionano se la gente li tiene spenti. Ieri sera ti ho cercato, e hai avuto l’accortezza
di riattaccare.”
“Si sarà
scaricata la batteria, Brian” mento, trattenendomi a stento dal ridere. Ero quasi
certo che si trattasse di lui.
“Nossignore.
Tu hai messo giù di proposito.”
“Mi stupisco
che tu non sia corso qui per vedere che stava succedendo” ribatto, versandogli
una tazza di caffè.
“Ho la
macchina dal meccanico, per questo non l’ho fatto. Allora, mi vuoi dire che è
successo?”
“Scusa,
avevo da fare.”
“Sono
disposto a scusarti solo se stavi scrivendo il tuo prossimo successo.”
“Più o meno.
Piuttosto, perché mi cercavi?”
“Mi ha
chiamato tua sorella, ma non mi ha voluto dire perché ti cercava.”
Metto giù di
colpo la tazza. “E che aspettavi a dirmelo? Lo sai che la mia famiglia viene
prima di tutto il resto.”
Prendo il
cellulare e trovo sette chiamate perse, tutte da parte di Brian. Compongo il
numero di mia sorella.
“Ehi, Allie.
Brian mi ha detto che mi hai cercato. Che succede?”
“Josh… sono
in ospedale. È per papà.”
***
Allie mi
accoglie con un abbraccio, e nonostante abbia appena finito di piangere come
una disperata, quando mi parla lo fa con il tono materno che la
contraddistingue. “Ho cercato di telefonargli. Volevo sapere come stava. Non rispondeva,
allora ho mandato Gary a cercarlo al bungalow. Lo ha trovato svenuto nel
soggiorno. I medici non sanno ancora che cosa sia successo.”
“Come… come
sta?”
“Non troppo
bene, ma non è nemmeno in pericolo di vita. Ora sta riposando.”
“Sei qui da
sola?” le chiedo, accarezzandole fraternamente una spalla.
“No, c’è
Christine con me. È in bagno, adesso.”
“Quando…
quando è successo?”
“Verso le
undici, credo. Insomma, Gary è arrivato al bungalow a quell’ora.”
Mi vergogno
di me stesso: mio padre si è sentito male, e io stavo facendo l’amore con l’arredatrice
della mia casa. Beh, non potevi saperlo,
cerco di scagionarmi. È vero, non lo sapevo, ma se avessi risposto al
cellulare, Brian mi avrebbe detto che Allie mi stava cercando. Sì, e probabilmente Grace ti avrebbe odiato
per il resto della vita.
Capitolo 15 *** 15. Ogni Mio Istante [Negramaro] ***
6.
“Grace
Thomas. Chi parla?”
“Ciao. Sono
io.”
“Josh…” Sono
sicuro che stia sorridendo. La sua voce è diversa, quando sorride.
“Come stai?”
“Bene. Sto molto
bene. Insomma, credo di essere un po’ confusa, però sono anche…”
“…felice?”
“Come lo
sai?”
“Mi sento
anch’io così” ammetto.
“Brian è nei
paraggi?”
“Perché?”
“Perché
parli sottovoce.”
“No, a dire
il vero sono in ospedale. È per mio padre” preciso, per non farla preoccupare.
“Che è
successo?”
“Mio cognato
lo ha trovato svenuto nel suo bungalow sulla spiaggia. Non so che cosa sia
successo. Aspettiamo che si svegli, e spero che possa dircelo lui.”
“Vuoi che
venga da te?”
“No, non è
il caso. Mia sorella mi ha chiamato per avvisarmi, ma tanto stanno per mandarci
via.”
La sento
ridere. “Non permettono al grande Josh Groban di restare?”
Sorrido. “No,
evidentemente vendere milioni di dischi non mi permettere di restare al
capezzale di mio padre anche fuori dall’orario di visita. Forse ci vuole una
laurea in medicina per questo.”
“Senti, se
oggi non mi vuoi tra i piedi ti capisco.”
“Scherzi? Tutto
solo in quell’attico enorme impazzirei. E poi ho voglia di vederti.”
“Josh, vengo
a casa tua per lavorare, sia chiaro” mi ammonisce.
Sorrido
ancora. “Tranquilla, anche io devo lavorare. Brian mi ammazza, se non inizio a
prendere sul serio questa cosa del nuovo cd.”
“Hai già
deciso quale grande canzone del passato reinterpretare?”
“Forse.”
***
Grace sta
finendo di mettere via i soprammobili del soggiorno; nel frattempo, io sono
seduto in un angolo, con una penna e un blocco per appunti, e sto ascoltando
una nuova melodia sulla quale scrivere una canzone. Dopo averla ascoltata per
la centesima volta, mi strappo le cuffiette dalle orecchie e lascio cadere la
penna.
“Non mi
dirai che ti arrendi?”
“Non mi
viene in mente nulla di interessante. Ho un sacco di idee, ma non so da che
parte cominciare.”
“Posso
sentire?”
Si siede di
fronte a me e mette le cuffie. Chiude gli occhi, assapora la melodia. Inizia a
muovere la testa e le spalle, ondeggiando al ritmo della musica. Quando la
traccia finisce, riapre gli occhi e li punta su di me. “E’ bella.”
“A che cosa
ti fa pensare?”
“Ai miei
genitori. A quando si volevano ancora bene. A quando si amavano.”
Improvvisamente
mi viene in mente una frase che starebbe benissimo in questa canzone: She walks
slowly in my room, between my souvenirs.
“Perché è
finita?” le chiedo.
“Non lo so. Credo
abbiano semplicemente smesso di amarsi.”
Her past melts
with mine, we share the same sorrow.
“Sull’aereo
mi hai detto che non fu un bel periodo per te.”
“Ero
soltanto una bambina. Non riuscivo a capire.”
We both don’t
understand what happened, we both don’t know why.
“Come sei
riuscita ad andare avanti?”
“Non credo
di essere riuscita ad andare avanti.”
She still
suffers, I wish I could raise her up.
La canzone
si sta praticamente scrivendo da sola. Sono sconvolto.
“Mi prendi
in giro? Stamattina non avevi ancora nulla!”
“Mi ci sono
messo d’impegno.”
“Facciamo
tra mezz’ora in studio?”
Guardo Grace,
che ha appena finito di stendere un telo di plastica sulla moquette del
salotto. “Facciamo tra due ore.”
Metto giù e
spengo il cellulare, prima che Brian possa decidere di richiamarmi per
chiedermi spiegazioni. Grace non ha sentito la conversazione, e continua a
controllare i suoi progetti. Mi avvicino, cercando di non fare rumore, anche se
la plastica tradisce la mia presenza. Comunque, riesco a passare un braccio
attorno alla sua vita prima che si sposti.
“No. Non
farti venire in mente strane idee.”
“Non mi
faccio venire in mente nulla. Volevo solo abbracciarti.”
“Perché?”
“Perché mi piace sentirti vicina, sentire che ci sei.”
“Josh,
quello che è successo ieri notte non… insomma, cambia tutto.”
“Hai
ragione” sussurro, allontanandomi un po’ da lei. “Cambia tutto.”
“Non riesco
a decidere se in meglio o in peggio.”
“Non devi
decidere se cambia tutto in meglio o in peggio. Credo si capirà con il tempo.”
“Il tempo”
ripete, sorridendo. “E che cosa proponi, mentre aspettiamo che il tempo ci
illumini?”
Mi avvicino
di nuovo, faccio scivolare le braccia sulla sua schiena e cerco un contatto con
il suo corpo. “Propongo di sfruttare al massimo ogni occasione.”
***
“Dove sei
stato? Ti ho concesso due ore anziché trenta minuti, ma arrivare con quaranta
minuti di ritardo mi sembra eccessivo!”
“Scusa,
Brian, è che ho fatto alcune modifiche dell’ultimo minuto al testo. Sai,
aggiustato rime, e cose simili…”
“Sì, sì, va
bene” mi interrompe, gesticolando. “Allora, ci fai sentire questa meravigliosa
canzone?”
“Certo.”
Mi metto al
pianoforte e apro lo spartito.
“Come l’hai
intitolata?”
“My Soul’s Mirror*” rispondo.
“’Lo
Specchio Della Mia Anima’… romantico. Inizia pure.”
Mi scaldo le
mani con qualche accordo, poi inizio a seguire la partitura, che conosco ormai a
memoria. E poi le parole iniziano a fluire dal cuore alla gola, senza alcuna
mediazione da parte del cervello.
“…she takes my
hands so I can see myself reflected into her eyes… she’s all I ever wanted,
she’s the mirror of my soul.”
Un applauso mi
fa alzare immediatamente la testa. Sono certo che non si tratti di Brian.
Infatti è Humberto Gatica, il miglior produttore al mondo, ad applaudire il mio
lavoro: è entrato senza che me ne accorgessi, ed è semplicemente entusiasta.
“Ragazzo,
hai prenotato il Grammy!” strilla, frenetico come un bambino davanti ai regali
di Natale.
Sorrido.
Vincere un Grammy sarebbe fantastico, ma essere riuscito a trascrivere una
parte delle emozioni che provo quando sto con Grace è una conquista più grande.
“Grazie,
Hub” rispondo, beccandomi una pacca sulla spalla.
“Ora resta
solo da decidere la cover, e possiamo iniziare le registrazioni.”
“Ci ho
pensato. Ho deciso.”
“Ok,
campione. Spara.”
“’Amazing
Grace’.”
Humberto
annuisce. “Ottima scelta, muchacho.”
*My Soul’s Mirror
– Non esiste una canzone con questo titolo, nel repertorio di Josh Groban. Le
citazioni riguardanti tale canzone sono frutto della mia fantasia (leggi:
follia).
Brian inizia
a sbracciarsi per richiamare la mia attenzione, mentre io sto cercando di
concentrarmi sulla pronuncia de ‘La Voce Del Silenzio’.
“Josh!” si trova costretto a strillare.
“Che c’è?”
“Tua nipote
al telefono. Almeno non potrai dirmi che me ne frego della tua famiglia.”
Che cosa può
volere Christine? Deve per forza essere Christine, perché non credo che a
Stella verrebbe in mente di chiamarmi.
“Pronto?”
“Zio, sono
Chris. Ascolta, devi venire subito in ospedale. Il nonno ha avuto una specie di
crisi, sta male…”
“Ascolta,
Chris, la mamma dov’è?”
“Sta
parlando con il dottore. Non voleva che ti chiamassi, perché non vuole che ti
distragga dal lavoro, ma ho pensato che dovessi saperlo…”
“Hai pensato
bene, tesoro. Arrivo subito.”
Riattacco, e
in men che non si dica Brian mi placca. “Arrivi subito dove?”
“Ospedale.
Mio padre” rispondo, telegrafico. Immediatamente mi lascia libera la strada.
***
“Josh, che
ci fai qui?”
“Per fortuna
tua figlia ha più buonsenso di te, e mi ha chiamato. Come sta papà?”
“Christine,
cosa… ah, lasciamo stare. Vieni, ti faccio parlare con il dottor Carver.”
Il medico
che si sta prendendo cura di mio padre è alto, incredibilmente magro e
piuttosto trasandato. Però, nonostante l’aspetto, sembra uno che sa il fatto
suo. E soprattutto parla chiaro, senza usare inutili tecnicismi.
“Signor
Groban, come ho detto poco fa a sua sorella, vostro padre ha avuto una crisi
cardiaca. È probabile che sia accaduta la stessa cosa anche l’altro giorno.”
“Ma papà…
papà è sempre stato sano come un pesce” protesto. Non riesco a credere a ciò
che ho appena sentito.
“Signor Groban,
abbiamo richiesto le cartelle cliniche di suo padre al medico che lo aveva in
cura. Vostro padre è affetto da una rara forma di tumore al fegato. Ed è ad uno
stadio troppo avanzato perché si possa riuscire a fare qualcosa.”
“Lei mi sta
dicendo che mio padre sta morendo?”
“Vorrei che
non fosse così, signor Groban, ma… purtroppo non c’è niente che possiamo fare
per suo padre.”
***
Sono
letteralmente corso via dall’ospedale, confuso dalla notizia che mio padre, una
delle poche certezze della mia vita, sta per morire. No, sta morendo. È diverso.
Sono così
sconvolto che mi sono rifugiato nella sua tana, e mi sono messo a riflettere.
La prima
volta che sono venuto qui, dopo il mio rientro dal Colorado, ho pensato che
fosse troppo magro. Era già malato, e io non me sono accorto. Mi sembrava lo
stesso di sempre, e invece un mostro orribile lo stava divorando.
Roxy sa che papà sta male, e che
probabilmente non tornerà più in questo sperduto bungalow. Ha persino accettato
la mia presenza, e si è seduta accanto a me sulla sabbia. La accarezzo e non
ringhia, anzi: uggiola come un cucciolo separato dalla madre. “Roxy, perché non me ne sono accorto? Perché non mi sono accorto che mio padre
stava male?”
Non ho
nemmeno la forza di piangere. Tanto, a che servirebbe piangere?
Roxy si
distende sulla sabbia. La imito. Mi stendo, chiudo gli occhi e ascolto il
rumore del mare. Sento che potrei addormentarmi. Vorrei davvero dormire, e
domani mattina svegliarmi di soprassalto, per scoprire che si è trattato di un
incubo.
Capitolo 18 *** 18. Ci Parliamo Da Grandi [Eros Ramazzotti] ***
6.
Da quando ho
scoperto che mio padre non ha più molto tempo, trascorro ogni momento libero in
ospedale, anche se ancora non ho trovato il coraggio di entrare nella sua
stanza. La mamma, invece, non ha il coraggio di uscirne, però dovrebbe farlo:
dovrebbe imparare a stare lontana da lui, perché quando arriverà il momento
della separazione definitiva, avrà un crollo. Lo so anche senza essere uno
psicologo.
La mamma è
troppo coinvolta, io sembro uno che se ne frega, e mia sorella… Allie dovrebbe ricevere
la medaglia d’oro al valor civile, per l’impegno che mette in ogni cosa che fa:
si occupa della famiglia, del negozio, della mamma e di me.
“Ehi
fratellino… hai bisogno di qualcosa?”
Alzo lo
sguardo su mia sorella, e per la prima volta mi rendo conto di quanto sia
stanca.
“Sì, Allie.
Ho bisogno che tu vada a casa, a riposare.”
“Riposare?
Non sono stanca.”
“Le occhiaie
ti arrivano alle ginocchia. Vai, riaccompagno io la mamma.”
“Josh…”
“Allie, vai. Per favore.”
***
“Tesoro, posso
andare a casa in autobus. Non c’è bisogno che mi accompagni.”
“Che razza
di ragionamento è, mamma? Accompagnarti a casa non è una punizione. Lo faccio
volentieri.”
“Non vorrei
che avessi problemi sul lavoro.”
Salgo in
auto e allaccio la cintura, aspettando che mia madre faccia lo stesso. “Mamma,
dovete smetterla di trattarmi come se la mia vita contasse più della vostra.”
“Noi non ti
trattiamo…”
“Oh, mamma, smettila! È tutto un continuo ‘Josh, non
vorrei che’, ‘Non potrei perdonarmi se’… sono stufo. Solo perché tutti
conoscono il mio nome, non significa che dobbiate trattarmi con i guanti. Allie
non può continuare a fare tutto. È ora che anche io mi prenda la mia fetta di
responsabilità.”
Gli occhi di
mia madre si velano di lacrime. “Mio Dio… mi sembra di vedere tuo padre.”
***
L’orario di
visita termina tra mezz’ora. Ancora trenta minuti prima che la caposala mi
sbatta fuori a calci. Ancora trenta minuti per trovare il coraggio di entrare
in quella stanza e sedermi accanto al letto di mio padre. Non dovrei essere
così spaventato, però… non so, lo sono. Ha ripreso conoscenza pochissime volte,
e mai per più di qualche minuto. Forse ho paura che si svegli mentre sono con
lui. Forse ho paura di quello di cui potremmo parlare. Forse non voglio parlare
di quello che gli sta succedendo. Di quello che sta succedendo a tutti noi. Di
quello che succederà alla nostra famiglia quando lui se ne sarà andato.
Non riesco a
capire quali siano le cause della mia paura. So soltanto che ho appena
oltrepassato la porta della sua stanza, e ora sono immerso nel silenzio e nel
buio. Sono immerso nella paura, a pochi centimetri da lui.
“Ciao,
papà.”
Il dottor
Carver dice che parlargli può essere un buon modo per aiutarlo a riprendere
conoscenza, di tanto in tanto. Ma io non sono bravo con le parole. Me la cavo
meglio con la musica. Forse
cantare può essere una soluzione, dopotutto.
“…she turns to
the window, to sway in the moonlight, even her shadow has grace…”
Canto
sottovoce, senza lasciare la sua mano.
“…she lifts her hands
to the sky… she moves with the music, song is her lover, the melody’s making a
cry…”
Una leggera
pressione sulle mie dita mi spinge ad aprire gli occhi, e ad incontrare i suoi.
“La più
bella canzone che tu abbia mai cantato.”
Sto per
arrossire come un cretino. “Non hai sentito l’ultima che ho scritto.”
“Come si
intitola?”
“’My Soul’s
Mirror’. L’ho scritta pensando a Grace. Sai, la ragazza di cui ti ho parlato. A
Brian è piaciuta.”
“A Brian è
piaciuta la tua ragazza?”
“No, la
canzone. E comunque, Grace non è esattamente la mia ragazza.”
“Però ci sei
stato a letto.”
“Papà!”
Il suo
sorriso porta i segni della malattia, però riesce a contagiarmi, come sempre.
“E va bene,
l’abbiamo fatto. Due volte” aggiungo, notando i suoi cenni d’intesa. “In due
giorni.”
“Bravo,
figliolo.”
“Papà…”
bisbiglio, facendomi serio. “Perché non ci hai detto niente?”
“Non volevo
che vi preoccupaste.”
Rido.
“Certo, perché scoprire all’improvviso che stai morendo non è fonte di
preoccupazione.”
Sospira. “In
tutta sincerità, speravo che mi prendesse in fretta, all’improvviso. Sarebbe
stato più semplice.”
“E’ per
questo che volevi lasciare la mamma? Perché lei pensasse che non vi amavate
più, così avrebbe superato la tua morte più in fretta?”
“Forse. Non
so che cosa stessi pensando. La verità è che la mia vita non ha mai avuto
senso, senza di lei. Da quando l’ho incontrata, la strada è sempre stata in
salita… ma quanto è stato bello il viaggio.” Sospira ancora, perdendosi nei
ricordi, mentre io mi perdo nei suoi occhi, senza riuscire a convincermi che
non brilleranno così per sempre.
Capitolo 19 *** 19. The Show Must Go On [Queen] ***
6.
“Ci vorranno
un paio di giorni per tinteggiare il salotto” mi avverte Grace.
“Ok, non c’è
problema. Tanto Brian vuole rinchiudermi in studio per lavorare al nuovo album,
e credo tornerò a casa soltanto per dormire. Hai le chiavi, fai come se fossi a
casa tua.”
Sento il suo
sguardo addosso, mentre rovisto tra i miei appunti. “Come sta tuo padre?”
“Male. Molto
male. Però riesce a stupirmi, come al solito.”
“A…
stupirti?”
“Sai, è
buffo come vanno le cose, a volte. Credi di conoscere qualcuno, credi di sapere
ogni cosa, e invece quella persona riesce a sorprenderti. Pensavo di sapere
tutto di mio padre. Pensavo di conoscere ogni lato del suo carattere, e invece…
è ancora più straordinario di quanto pensassi.”
***
Humberto e
io siamo rinchiusi in studio dalle otto di questa mattina, e ancora non abbiamo
concluso nulla. Fare musica può sembrare facile, ma in realtà la mole di lavoro
che c’è dietro un album è immensa. Stiamo discutendo degli arrangiamenti da
effettuare per ‘My Soul’s Mirror’, quando Brian mi dà una pacca fraterna sulla
spalla, suggerendomi una pausa.
La mia pausa
consiste nel rileggere il testo de ‘La Voce Del Silenzio’, cercando di
memorizzare la pronuncia corretta di ogni parola. Ci tengo a fare bene il mio
lavoro, nonostante tutto. Brian mi raggiunge e si siede di fronte a me. Lo guardo
con sospetto al di sopra degli occhiali. Quando mi guarda così, di solito sta
per chiedermi un favore. Oppure sta per farmi una ramanzina. Non so quale
ipotesi sia la migliore.
“Josh,
ascolta…”
“Ti prego, Brian, non sgridarmi. Qualunque
cosa io abbia fatto, anche se non so di che si tratti, prometto che non lo farò
più.”
“Dio mio,
sono così tremendo?”
“A volte
anche peggio” borbotto, riportando gli occhi sul testo della canzone.
“Dai,
ascoltami” riprende, togliendomi di mano i fogli.
“Che c’è?”
chiedo, stanco. Non sono mai stato così stanco in vita mia.
“Beh, ecco…
io mi rendo conto di essere un pochino eccessivo, a volte…”
“Solo a
volte?”
“Dai, non scherzare.
Sto facendo un discorso serio. So di esagerare, a volte, ma spero sia chiaro
che lo faccio nel tuo interesse. Io lavoro per te, e tutto quello che faccio va
a tuo vantaggio.”
“Lo so,
Brian. E tu sai che apprezzo il tuo lavoro.”
“E io ti ringrazio.
Comunque, sono umano anch’io. Sono umano e, come te, anche io ho una famiglia. Più
o meno. Beh, quello che sto cercando di dire è che so cosa vuol dire trovarsi
davanti a cose come la malattia e… beh, la morte.”
Lo fisso
senza capire, ma lo lascio proseguire.
“Insomma, ho
perso mia madre, quindici anni fa, ed è stato tremendo. Quindi… insomma, ti
capisco, se in questo momento il lavoro è il tuo ultimo pensiero. Se… se non te
la senti di portare avanti il progetto adesso, possiamo far slittare tutto di
due, tre, sei mesi… finché le cose non andranno meglio.”
Non sono
sicuro che questa conversazione stia davvero
avendo luogo.
“Brian
Avnet, tu mi stai dicendo che saresti disposto a ritardare di sei mesi l’uscita
di un disco praticamente già venduto? Il tutto perché mio padre sta male?”
Sorride. “Te
l’ho detto, sono umano anch’io. E comunque i pezzi grossi sono d’accordo. Nel caso,
mi preoccuperei più delle tue fan. Potrebbero organizzare una rivolta. Ma ripeto,
la tua famiglia e la tua serenità vengono prima di tutto.”
Abbasso gli
occhi sul tavolo, riflettendo su ciò che Brian mi sta proponendo. Continuare a
lavorare, oppure prendermi una pausa, aspettando che il destino di mio padre si
compia.
Riporto gli
occhi su Brian, sorridendo. In quel momento anche lui si rende conto che la
scelta possibile è solamente una.
“Sai, papà,
Brian mi ha proposto di far slittare di sei mesi l’uscita del disco.”
“Cosa?
Perché?”
“Perché era
convinto che mi servisse una pausa.”
“Si
sbagliava?”
“Non lo so.
Ma se davvero non sappiamo quanto tempo ci resta, non posso permettermi di sprecare
un solo istante.”
“Che cosa
stai cercando di dirmi, Josh?”
Sospiro, e
stringo un po’ di più la sua mano, come se la cosa potesse darmi coraggio.
“Beh… l’uscita ufficiale dell’album è prevista per l’autunno, ma lavorando a
questo ritmo sarà pronto a fine luglio. E vorrei… beh, vorrei che tu fossi il
primo ad ascoltarlo.”
“Non so se a
luglio ci sarò ancora.”
“Il dottor
Carver ha detto che non si può sapere nulla. A me piace pensare che ci sarai,
papà.”
Sorride, e
io sorrido con lui.
“Sei un
bravo ragazzo, Josh.”
“Ho imparato
dal migliore.”
***
“Ehi… allora
ho davvero assunto la miglior arredatrice d’interni di Los Angeles.”
“Sbaglio o
volevi un lavoro ben fatto?”
“No, non
sbagli” sorrido. Per quanto continui a guardarmi in giro, non riesco a ritrovare
il mio vecchio salotto, sotto le due mani di vernice gialla stese con cura da
Grace.
“Beh, deve
ancora asciugare per bene. E poi bisognerà aspettare che ci siano le tende, e i
mobili, prima di dire se è davvero un buon lavoro, però…”
Arresto il
fiume di parole baciandola.
“Tu ti stai
prendendo un po’ troppa libertà” sussurra, con gli occhi ancora chiusi.
“Non mi
sembra di aver ricevuto reclami.”
Ride. “No,
in effetti no. Però adesso devo andare.”
“Come
sarebbe?”
“Non sei il
mio unico cliente, sai? Ho appuntamento con una coppia che vuole riarredare la
cameretta dei figli.”
“Se vogliono
referenze, dai loro il mio numero. Parlerò bene di te” scherzo.
Sorride
ancora, mentre prende lo zainetto. “Scusa per il disastro. Pulirò domani.”
“Non
importa. Tanto stavo pensando di andare al bungalow di mio padre, sulla
spiaggia. Ho scoperto che ci si lavora bene.”
“Hai ancora
problemi con quella canzone?”
“Sì, un po’”
mento. Non è ancora il momento di dirle che quella melodia ha già una canzone, e
che quella canzone è tutta per lei. “Ma sono in fase di risoluzione, credo.”
“Bene”
annuisce. “Io… io dovrei andare.”
“Ti
accompagno.”
Indugia
sulla porta, come se dovesse dirmi qualcosa di estremamente importante.
“Grace, va
tutto bene?”
“Sì. No.
Quasi. Insomma, io…”
“C’è
qualcosa che vorresti dirmi?”
“Io… l’altra
sera, quando… insomma, ti ho detto che mi piaci.”
Sorrido.
“Sì, me lo ricordo.”
“Ecco, io…”
“Vuoi
rettificare l’informazione?”
Sorride.
“No. Cioè, io…”
“Grace” la
interrompo. Lei mi guarda con i suoi enormi occhi neri, e anche io sono sul
punto di mettermi a balbettare. “Grace, vai, o farai tardi. Di qualsiasi cosa
si tratti, hai il mio numero. Lo sai, puoi chiamarmi quando vuoi.”
Annuisce, e
si congeda lasciando un bacio leggero sulla mia guancia.
Non sono mai
stato così confuso. Non sono mai stato così sicuro di quello che voglio.
Ho il mio
iPod, ho i miei spartiti, ho i miei occhiali, ho il mio cellulare. Roxy è
accucciata nel suo angolo, con l’aria mesta che la contraddistingue da quando
papà è in ospedale.
Ho il silenzio,
la tranquillità, la solitudine. Tutto quello che di solito mi basta per
scrivere è qui, eppure non riesco a iniziare.
Non riesco a
concentrarmi, e il motivo è soltanto uno.
Continuo a
chiedermi che cosa volesse dirmi Grace.
Ammirare il
tramonto sull’oceano: ecco uno dei motivi per cui ho sempre adorato Los
Angeles. Probabilmente esistono luoghi nel mondo che possono offrire uno
spettacolo anche migliore, ma per me, che non ci ho mai fatto caso, questo
resta lo spettacolo più bello del mondo.
Roxy corre
felice, seguendo il tracciato percorso migliaia di volte con mio padre, mentre
io mi concentro sul mare.
Chiudo gli
occhi, e nel rumore delle onde che si infrangono sulla spiaggia scopro un ritmo
inaspettato, che col passare del tempo assomiglia sempre di più al ritmo del
mio cuore.
“Vedi, Josh, la vita è… è come l’oceano. La vedi l’acqua?
L’onda investe la spiaggia, l’acqua invade ogni spazio, e poi se ne va. Se ne
va e sembra perduta, ma… ritorna sempre.”
“Papà, io… io non riesco a
seguirti.”
“Non è necessario che tu capisca
adesso. Capirai, Josh, capirai…”
Adesso
capisco che cosa stava cercando di dirmi quel giorno. Mi stava dicendo che era
malato, che la sua vita era quasi al termine. Mi stava dicendo di non
disperare, perché la vita vince sempre. Vince su tutto. La vita e l’amore vanno
di pari passo, ed entrambi trionfano sempre. Stava cercando di dirmi questo.
Voleva dirmi di non perdere la speranza, e io… io non ho capito nulla.
***
Apro gli
occhi nell’istante in cui sento il cellulare vibrare contro la mia coscia.
“Pronto?”
rispondo, senza nemmeno controllare chi mi sta chiamando.
“Ehi. Sono
io. E’ un brutto momento?”
Sorrido.
“Mentirei, se dicessi che va tutto bene. Ma per te ho sempre tempo.”
“Beh, io ho
finito prima del previsto. Mi hanno dato il lavoro.”
“Ne ero sicuro.
Sarebbero stati degli sciocchi, a non affidarsi a te.”
“Grazie.
Stavo pensando che magari… beh, potremmo…”
“Vederci?”
“Già.”
“Potresti
raggiungermi qui. C’è un tramonto da favola. Abbiamo cibo, acqua e corrente
elettrica. È il posto più bello del mondo, … a meno che tu non abbia paura dei
cani.”
Ride, e mi
chiede di darle indicazioni.
***
“Grazie per
la cena. Era tutto ottimo.”
“Ringrazia
mia madre. È a lei che dobbiamo la vita, stasera.”
“Mi piace,
qui.”
“Questo è il
rifugio di mio padre. Ogni volta che lui e la mamma litigavano, lui veniva a
stare qui, fino a che non sbolliva la rabbia. Di solito è molto più disastrato,
però ho pensato che fosse il caso di dare una sistemata, visto che…”
“…aspettavi
ospiti.”
“Già. Ti va
una passeggiata sulla spiaggia?”
L’aria è
ancora piuttosto fresca, e gli schizzi d’acqua salata non rendono migliore la
situazione, però c’è una bella atmosfera. Lei, io, la spiaggia di notte, e Roxy
che corre avanti e indietro abbaiando come una forsennata. Per fortuna adora i
cani.
Dopo qualche
minuto, mi accorgo che di tanto in tanto trema. Cerco di sopperire alla bassa
temperatura passandole un braccio attorno alle spalle. Così facendo, mi ritrovo
incredibilmente vicino al suo corpo, al suo viso, alla sua bocca. Rallento il
passo, e d’istinto mi abbasso, per baciarla.
Non mi
accorgo nemmeno di essermi fermato, e di aver fatto scivolare entrambe le mani
sulla sua schiena, per trattenerla qui, qui vicina a me.
“Grace…”
sussurro, senza lasciarla andare.
“Sì?”
“Che cosa
volevi dirmi, oggi?”
“Niente.”
“Non
mentirmi.”
“Beh, io…
volevo solo dirti che quello che ho detto l’altra sera… non l’ho detto tanto
per dire.”
“Pensavi che
l’avessi presa per una bugia?”
“Beh, no.
Speravo di no.”
“Speravi bene”
la rassicuro, prima di baciarla ancora. “E quello che ho detto io, sul fatto di
non farti soffrire…”
“Sì?”
“E’ vero
quant’è vero che ora sto qui in piedi a baciarti.”
La sua bocca
si ritrova ancora premuta sulla mia, e l’unica cosa che voglio è farla ancora
mia. Se solo non facesse così freddo, ora mi lascerei cadere sulla sabbia,
trascinandola con me. E invece mi tocca aspettare di essere al sicuro nel
bungalow di mio padre, prima di lasciar correre le mie mani lungo i contorni
del suo corpo.
Distesi sul
letto di mio padre, giochiamo a nascondino con le nostre emozioni, a turno ci
concediamo e ci neghiamo, sapendo che prima o poi saremo costretti ad uscire
allo scoperto. Siamo vita e amore, costretti ad andare di pari passo, a
camminare insieme per sempre. Siamo acqua, siamo onde. Il mare non fa più
rumore. Il solo rumore è quello dei nostri sospiri e dei nostri silenzi.
Siamo distesi
uno di fianco all’altra, finalmente in pace. Finalmente sereni. Non riesco a
fare a meno di accarezzarle i capelli, mentre la sua mano, appoggiata sul mio
cuore, si alza e si abbassa ad ogni mio respiro.
“Chi sei tu,
Grace Thomas?”
Sorride. “Che
domanda è?”
“Chi sei? Insomma,
tu sai tutto di me, ma io non so niente di te.”
Si solleva
appena, così da riuscire a guardarmi. “Io non so tutto di te.”
Anche io
sorrido. “Sai che intendo dire. Parlami un po’ di te.”
Sospira,
ricadendo leggera sul materasso, accanto a me. “Ok. Sia chiaro, l’hai voluto
tu. Il mio vero nome non è Grace
Thomas.”
“Che cosa?”
chiedo, sconvolto.
“Hai sentito
benissimo. Il mio vero nome è Judith Grace Chambers.”
“Non credo
di aver afferrato il concetto.”
“Thomas è il
cognome di mia madre. Quando i miei genitori divorziarono, mia madre fece in
modo di darmi il suo cognome. Non voleva che fossi legata a mio padre in alcun
modo” mi spiega, iniziando a tracciare linee invisibili sul mio torace. “Poi,
quando sono scappata di casa, ho fatto eliminare da tutti i documenti il nome ‘Judith’.”
“Perché?”
Si solleva
di nuovo, e mi guarda come se fossi uno scemo. “E’ un nome orribile. Mia nonna si chiamava così.”
Rido. “Scommetto
che da bambina tutti ti chiamavano ‘Judy’.”
“Per la tua
incolumità, sarà meglio che tu non mi prenda in giro” mi minaccia.
“Non ti sto
prendendo in giro. Sto solo cercando di immaginare che tipo di bambina sei
stata.”
“Mia madre
mi ha sempre trattata come una bambola da esposizione. Sai, era il tipo che ti
mette nastri nei capelli e controlla che ogni boccolo sia della lunghezza
giusta.”
“Oh, quindi
eri una di quelle Judy con le trecce e la gonna a pieghe?”
“Ti avevo
detto di non prendermi in giro!” ribatte, mettendo su un broncio da far
concorrenza a mia nipote Stella.
Scoppio a
ridere. “Non ti sto prendendo in giro” la rassicuro, alzandomi facendo leva su
un gomito, per riuscire a guardarla meglio. “Non potrei mai prenderti in giro”
ribadisco, chiedendomi se baciarla sarebbe una buona mossa. “Allora” riprendo,
dopo aver deciso che è un’ottima mossa, “che altro puoi dirmi di te, oltre al
fatto che vai in giro sotto falso nome?”
Ride. “Ho
ventisette anni. E questa” dice, indicando una minuscola imperfezione sulla sua
fronte, “è una cicatrice da varicella. E ho i denti così dritti perché ho
portato l’apparecchio per cinque anni.”
“Mi sarebbe
piaciuto vederti con l’apparecchio.”
“Non era un
bello spettacolo.”
“Non ci
credo. Scommetto che eri bellissima anche così.”
“I miei
compagni di classe non la pensavano come te. A meno che certi soprannomi non
nascondessero un profondo affetto nei miei confronti…”
“Quali
soprannomi?”
“’Ranocchia’
era il più gentile.”
Non riesco a
trattenermi, e scoppio a ridere come un cretino. Grace mi guarda sconvolta,
come se fossi impazzito all’improvviso. “Beh?”
“Scusa”
riesco a dire a stento, tra le lacrime, “scusa, ma è una coincidenza troppo
divertente!”
“Se mi
spiegassi, magari potrei ridere anche io.”
“’Ranocchia’
era anche uno dei miei soprannomi, al
liceo.”
“Mi stai
dicendo che al liceo ti prendevano in giro?”
“Non sono
sempre stato Josh Groban, sai?” rispondo, sorridendole.
Sorride con
me. “E chi altri sei stato?”
“Fino a
dieci anni fa, uno sfigato quattrocchi che amava la musica più della sua stessa
vita e non aveva uno straccio di amico.”
“Wow. Sono
contenta di non essere stata te, al liceo.”
“Non era poi
così male, in fondo. Non ero nessuno. Ero invisibile, e andava bene. Forse, se
fossi rimasto per sempre ‘Ranocchia’…”
“…non
avresti mai preso quell’aereo” conclude, guardandomi negli occhi. “Forse non ci
saremmo incontrati mai.”
Annuisco. “Sì,
forse hai ragione. Forse non ci saremmo incontrati. Invece, siamo qui.”
“Già. Siamo
qui” ripete, con voce triste.
“Ehi… non
sarai triste?”
“Ma no, che
vai a pensare?”
“Hai una
voce…”
“E’ solo che…
beh, non riesco a fare a meno di chiedermi dove andremo a finire.”
“Che intendi?”
“Tu ed io.
Sempre se ci sarà un noi.”
“Se vuoi che
ci sia un noi, ci sarà.”
“Non credo
dipenda dalla nostra volontà.”
“E da che
cosa dovrebbe dipendere, allora?”
“Dal
destino.”
Sorriso. “Vuoi
sapere come la pensa mio padre riguardo al destino?”
Annuisce.
“Lui dice
che il destino lo puoi vedere riflesso ogni mattina nello specchio.”
Se fossimo
in un film, questo momento della mia vita verrebbe rappresentato attraverso un
calendario i cui fogli si staccano rapidamente, cadendo a terra. Sono trascorse
tre settimane, da quando abbiamo scoperto della malattia di mio padre, e la
tensione si fa sempre più forte. C’è un clima di attesa, e il fatto che non ci
si possa aspettare altro che la morte rende tutto maledettamente più difficile
da affrontare.
Nel
frattempo, Grace ha trasformato completamente il mio appartamento. Brian è stato
il primo a metterci piede dopo il restauro, e dal suo commento ho intuito che è
rimasto piacevolmente colpito dai cambiamenti.
“Porca
vacca, Josh. La ragazza lavora davvero bene.”
“Già” è la
mia risposta.
“Ehi, cos’è
questo tono? Mi sembravi al settimo cielo, fino all’altro giorno.”
“Brian, la
ragazza che ha fatto i lavori…”
“Sì, lo so,
è una tua amica, e non vuoi che io ci metta il naso…”
“Ci
frequentiamo. Insomma, non è ancora la mia ragazza, ma credo ci manchi poco.”
“Wow” è il
suo commento. “Beh, e dire che volevo essere io a farti una sorpresa…”
aggiunge, grattandosi la testa quasi completamente calva.
“Una
sorpresa? Tu non fai mai sorprese. E
non è nemmeno il mio compleanno, o roba simile.”
“Beh, più
che una sorpresa è una proposta, che sei libero di accettare o no.”
“Che genere
di proposta?”
“Ti dirò
soltanto tre cose. KathrynBigelow”
inizia, alzando un dito. “Colonna sonora.” E due. “’Your love’.” E tre.
“KathrynBigelow intende inserire Your love nella colonna sonora del suo
prossimo film?”
“Esatto.”
“E… questo
che c’entra con me?”
“Vorrebbe
che fossi tu a cantarla.”
Scoppio a
ridere. “E’ un po’ tardi per mettersi a fare pesci d’aprile, Brian.”
“Non è un pesce d’aprile, Josh. KathrynBigelow vuole che tu canti il pezzo forte della
colonna sonora del suo ultimo film.”
“Perché KathrynBigelow dovrebbe inserire
una canzone d’amore in un suo film? Non è un tipo da storie romantiche…”
“Tu valli a
capire, questi registi hollywoodiani. Fatto sta che la Bigelow
ha vinto un Oscar, l’anno scorso.”
“Ripeto.
Questo che c’entra con me?”
Brian scuote
la testa e sospira, sconsolato. Penso proprio che un giorno o l’altro gli
procurerò un serio esaurimento nervoso. “La Bigelow è
un’ottima regista, abituata a circondarsi di ottimo personale. E ha ottime
idee. Cantare per un suo film può significare molto. Sicuramente è un’ottima
idea. Potresti vincere un Grammy come miglior interprete di una colonna sonora,
o chissà che altro! Che ne pensi?”
“Non so,
Brian. Lo sai, non è un buon momento per me.”
“Lo, Josh.
Per questo ho detto a KathrynBigelow
che ti saresti preso un po’ di tempo per pensarci.”
“Quanto
tempo?”
“Una
settimana. Non poteva aspettare oltre. Queste donne regista sono tremende.”
***
Papà sembra
stare un po’ meglio: lo capisco dal tempo che passa sveglio, notevolmente
aumentato.
“Sai, papà,
mi hanno proposto di cantare un pezzo per la colonna sonora di un film.”
“Quale
film?”
“Non lo so.
Brian non me lo ha detto, e io non gliel’ho chiesto. So soltanto che è di KathrynBigelow.”
“KathrynBigelow… non è quella che
ha vinto l’Oscar l’anno scorso?”
“Esatto.
Cavolo, papà… non ti facevo un esperto di film.”
“Non lo
sono. Era la prima volta che guardavo la cerimonia… e l’ho fatto soltanto
perché sapevo che avresti cantato. Tra l’altro, quella ragazza con cui hai
duettato ha una voce straordinaria.”
“Parli di
Beyoncé? Beh, devo darti ragione…”
“Ho letto i
commenti di parecchi critici sul vostro duetto, ed erano tutti piuttosto…”
“Negativi,
sì. Brian è convinto che avessimo sbagliato. Diceva che sarebbe stato meglio un
duetto con Joss Stone, o con Faith Hill.”
“Vuoi il mio
parere?”
Sorrido. “Mi
farebbe piacere, sì.”
“Secondo me
eravate perfetti, insieme su quel palco. Avete saputo creare una tale magia… se
non ci credi, chiedi a tua madre, ma quella sera ho pianto.”
“Papà…”
“E la stessa
cosa vale per ‘Canto Alla Vita’. I critici dissero che cantare con Andrea Corr
non fu una grande idea, ma io dico che è stata una delle mosse più azzeccate
della tua carriera.”
“Oh,
papà…lo sai che per me il tuo giudizio
vale mille volte di più del parere di un critico qualunque.”
Lo vedo
sorridere. “Allora, che razza di canzone vorrebbe che cantassi, questa Bigelow?”
“’Your
Love’” sospiro.
Anche lui
sospira. “Donne. Sempre ossessionate
da questa cosa dell’amore eterno” sorride. Come
se lui non ci credesse.
“Perché dici
così, muchacho?” mi domanda Humberto.
“Perché con
tutto quello che ho da fare, mi sono lasciato convincere a dire di sì al
progetto di Kathryn Bigelow.”
“Beh, si tratta
di imparare una canzone per un film e di inciderla.”
“Sì, lo
pensavo anch’io. peccato che Brian abbia omesso di dire che il film è
praticamente già concluso, e che manca soltanto la canzone per poterlo
finalmente mandare in post produzione.”
“Oh. E quando
dovrebbe uscire?”
“Fine
maggio.”
“Non è
molto, in effetti.”
“Sei
settimane.”
“Di che
canzone si tratta?”
“’Your
Love’.”
Humberto
fischia. “Un pezzo tosto.”
“Già.”
“Chissà
perché hanno voluto te.”
“Non lo so.
Probabilmente perché sanno che non so dire mai di no. Conosci altri pazzi che
accetterebbero una simile sfida?”
“Non che io
sappia.”
“Appunto,
Hub. Sono troppo buono. Rasento l’idiozia. Soltanto un idiota accetterebbe di
incidere il cavallo di battaglia della colonna sonora di un film probabilmente
destinato all’Oscar, proprio mentre sta lavorando al suo album più
importante.”
Lo sento
squadrarmi, come se stesse valutando le mie parole. “E’ il tuo album più
importante?”
Lo guardo, e
annuisco soltanto. So che Hub capirà.
Capitolo 25 *** 25. Life Lessons [George McAnthony] ***
6.
È passata
poco più di una settimana da quando ho accettato la proposta di KathrynBigelow, e finalmente
sono pronto per incidere la canzone. Domani sarà il grande giorno. Mi sento
nervoso. Mi sento come quando mi hanno chiesto di cantare alla cerimonia degli
Oscar, come quando mi hanno chiesto di duettare con Celine Dion. Sono un
coniglio. Sono un maledetto codardo.
Sono così
teso che basta lo squillo del cellulare a farmi sobbalzare. Josh, brutto fifone, smettila di comportarti
da idiota.
“Ciao, Picasso”
rispondo, sorridendo.
Picasso è il soprannome che ho dato a Grace dopo aver scoperto la
sua straordinaria abilità nel dipingere le pareti.
“Ciao,
smemorato” mi risponde. “Ti sei dimenticato di dirmi a che ora passi a
prendermi, stasera.”
Questa sera
mia sorella ci ha invitato a cena. Cioè, ha invitato me, ma io ho chiesto a
Grace di accompagnarmi. Non siamo ancora sicuri di fare coppia fissa, ma so per
certo di volerla al mio fianco a questa specie di cena di famiglia.
“La cena è
alle nove, ma prima vorrei portarti in un altro posto. Facciamo alle sette e
trenta?”
“Ok. Vedrò
di essere pronta per quell’ora.”
***
“Sono in
ritardo, scusa.”
“Sono le
sette e trentadue. Non sei in ritardo.”
“Beh, non
dirlo a mia madre, o mi sgriderà, perché non
si fanno aspettare le signore!” ribatto, esibendomi in un’imitazione
pressoché perfetta di mia madre.
Grace
scoppia a ridere e sale in macchina.
***
Dieci minuti
dopo, fermo la macchina nel parcheggio dell’ospedale. Grace si volta verso di
me, senza capire.
“Josh…
perché siamo qui?”
“Beh… quella
che ha organizzato Allie è una specie di cena di famiglia, ma… insomma, un
pezzo della mia famiglia è qui.”
“Tuo padre?”
mi chiede, con un filo di voce.
Annuisco.
“Vorrei che lo incontrassi. Gli ho parlato di te, e… beh, anche lui vorrebbe
conoscerti.”
“Josh, è…”
“Grace, se
non te la senti, non importa. Rimetto in moto e vado via.”
Scuote la
testa. “Stavo per dire che è un passo importante. Ed è un bel gesto, da parte
tua. E anche a me farebbe piacere conoscere tuo padre.”
Si sporge
verso di me e mi bacia. Sembra incredibile, ma i suoi baci hanno lo stesso
effetto di un’aspirina: riescono a curare ogni dolore.
***
Papà è
sveglio, e sta leggendo un articolo sulla prima pagina del Washington Post. Busso
ed entro, lasciando Grace fuori ancora per qualche minuto. “Ciao, papà. Perché
leggi il Washington Post?”
“Perché
voglio controllare se danno la stessa versione del New York Times e del Los
Angeles Sun. Sai, credo che questi giornalisti siano convinti di poterci
infinocchiare come meglio credono. Ma tu che ci fai qui? Allie mi ha detto che
ti ha invitato a cena con la tua ragazza.”
“Beh, ho
pensato di passare a farti un saluto prima di andare.”
“Aspetta.
Prima che mi passi di mente, devo dirti una cosa.”
“Dimmi,
papà.”
“Hai i
capelli della lunghezza giusta. Non tagliarli.”
Rido. “Lo
terrò a mente.”
“Bene.
Allora, che cosa vuoi dirmi? Hai l’aria di uno che sta per dire qualcosa di
importante.”
“Sì, in
effetti… dunque, io… ti ho parlato parecchio di Grace, no?”
“Certo. E io
ti ho detto più di una volta che mi farebbe molto piacere conoscerla.”
“Ok. Beh,
lei è fuori in corridoio, in questo momento.”
Alza gli
occhi al cielo, e poi mi rimprovera come solo la mamma saprebbe fare. “Joshua
Winslow Groban, sei completamente rincretinito? Ti sembra una cosa da fare,
lasciare una ragazza fuori ad aspettare? Falla entrare, no?”
Mi alzo,
cercando di non scoppiare a ridere, e vado a prendere Grace, che prima di
entrare nella stanza fa un paio di lunghi e profondi respiri.
Vedo mio
padre strabuzzare gli occhi. “Diamine, Josh, non mi avevi detto che uscivi con
Miss America!”
Vedo Grace
arrossire, mentre gli stringe la mano, nello stesso modo forte e deciso nel
quale ha stretto la mia, quando ci siamo incontrati su quell’aereo.
“Beh, adesso
che hai fatto le presentazioni, puoi togliere il disturbo.”
“Ma che
dici, papà?”
“Hai capito
benissimo. Voglio parlare da solo con questa ragazza.”
“Si può
sapere che diavolo ti ha detto mio padre?”
“Certo che
non puoi saperlo. È stata una conversazione privata, e privata resterà. Almeno
per il momento.”
“TI ha
parlato di me?”
“Può darsi”
risponde con indifferenza.
“Qualsiasi
cosa ti abbia detto, non gli credere”
la avviso.
“E se mi
avesse detto che sei un bravo ragazzo?”
“So per
certo che non ti ha detto che sono un bravo ragazzo.”
“Potrebbe
averlo fatto.”
Sbuffo, in
bilico tra la disperazione e una risata, continuando a guidare verso casa di
mia sorella.
***
“La mia
famiglia è un po’ strana” la avverto, prima di bussare alla porta di Allie. “Mi
prometti che non scapperai a gambe levate?”
“Se prometti
di stare al mio fianco e proteggermi…”
“Se prometti
di dirmi che cosa ti ha detto mio padre…”
“Non in un
prossimo futuro.”
Le mostro la
lingua, per prenderla in giro, e in risposta lei bussa due volte.
Dopo quella
che sembra un’eternità, viene ad aprirci Alex. “Ciao, zio!” mi saluta,
entusiasta come sempre. Poi si blocca, e guarda attentamente Grace. “Lei è la
tua fidanzata?” chiede, interdetto.
“No, in
effetti sono la sua nuova guardia del corpo. Mi chiamo Grace” risponde lei, con
un sorriso. Manco a dirlo, Alex scoppia a ridere.
“Buona,
questa! Piacere, io sono Alex. Entrate, su!”
Guardo Grace
e sorrido. Non c’è che dire, ci sa fare con i ragazzini. Appendiamo i cappotti
nell’ingresso, poi, d’istinto, la prendo per mano e la guido in salotto, dove
sono riuniti tutti gli altri: la mamma, con in braccio Stella; Christine, poco
più in là; Gary, seduto in poltrona; Allie, che fa avanti e indietro dalla
cucina al soggiorno.
“Ehi, gente,
sono arrivati!” ci presenta mio nipote, come nemmeno Oprah o Rosie O’Donnell
saprebbero fare.
All’improvviso,
mi sento sotto esame, e l’istinto mi dice di fare dietrofront e trascinare via
Grace di qui. E invece i miei piedi rimangono fissi a terra, mentre sei paia
d’occhi si incollano su noi due, e sulla mia mano che stringe la sua.
“Ciao a
tutti” dico, cercando di smorzare la tensione. “Ehm… questa è Grace. Grace, ti
presento la mia famiglia.”
“Ciao,
Grace” rispondono tutti in coro. Mi sembra di stare ad una riunione degli
Alcolisti Anonimi.
“Ok. Lei è
mia madre.”
“Piacere di
conoscerla, signora Groban” dice Grace, stringendole la mano.
Incredibilmente,
mia madre sorride. È la prima volta che la vedo sorridere ad una ragazza che
presento a casa. “Il piacere è tutto mio. Puoi chiamarmi Dafne.” Ancora più
incredibile. Le ha concesso di darle del tu.
“Lei è mia
sorella, Allison. Puoi chiamarla Allie. Lui è mio cognato, Gary.”
Allie la
abbraccia e le stampa due rumorosi baci sulle guance, mentre Gary si limita a
stringerle la mano e a darle il benvenuto.
“Ok. Hai già
conosciuto mio nipote Alex. Loro sono le sue sorelle: Christine e Stella.”
Christine le
stringe educatamente la mano, mentre Stella le si lancia contro e le abbraccia
le gambe.
“Wow” è il
commento di Grace, piuttosto stordita da quello strano benvenuto. “Il piacere è
tutto mio.”
Stella alza
lo sguardo su di lei e la guarda con i suoi enormi occhi da cucciolo. “E’ vero
che sposi zio Josh?”
Grace si
lascia andare ad una risatina nervosa, come tutti. “Oh, non saprei…”
“Ti prego,
sposalo! Voglio una zia bella come te!” la prega Stella, allentando un po’ la
presa sulle ginocchia di Grace.
Grace si
abbassa, in modo da trovarsi alla stessa altezza della bambina, poi le sussurra
qualcosa all’orecchio. A giudicare da come scappa via, correndo e strillando di
gioia, deduco che le ha detto qualcosa di divertente.
“Che le hai
detto?” le domando, sottovoce, mentre gli altri si avviano verso la tavola.
“Che se mi
chiederai di sposarti, lei sarà la prima a saperlo.”
Sorrido, e
lei con me. Controllo di non essere a portata di sguardo, e la bacio.
***
Tutto
sommato, la cena è andata bene. A parte la supplica iniziale di Stella, tutto si
è svolto per il meglio, e riusciamo ad andare via presto, il che è un bene.
Anche perché io, domani mattina, dovrò registrare la canzone per il film di
Katherine Bigalow. È anche per questo che non ho chiesto a Grace di venire a
casa mia, anche se vorrei tenerla con me, stanotte. Anche solo per dormirle
accanto.
Fermo l’auto
sotto casa sua e la guardo. “Grace, vuoi dormire a casa mia?”
“Domani non
hai la registrazione?”
“Sì, è
domani. Però vorrei che dormissi da me. Non so, sento che andrà meglio, se ti tengo
accanto a me.”
Finalmente,
dopo qualche attimo di silenzio, cede. “Va bene.”
Proseguo
fino al mio quartiere, parcheggio, scendo e le apro lo sportello, da vero
gentiluomo, baciandola non appena mi capita a tiro. Poi le porgo il braccio e
ci avviamo verso casa.
“Buonanotte,
Grace” le sussurro, cingendola con le braccia e tenendola stretta accanto a me,
in questo letto che improvvisamente sembra troppo grande.
Capitolo 27 *** 27. Your Love [Ennio Morricone feat. Dulce Pontes] ***
6.
Batto una
pacca sulla spalla di Brian, in segno di saluto.
“Ehilà,
campione. Sei pronto? Riposato? Stanotte hai dormito?”
“Ieri sera
sono andato a cena da mia sorella. Niente vino, niente caffè. Siamo tornati a
casa prima di mezzanotte.”
“Siamo?”
“Grace e io.
Ha dormito da me. Permettimi di sottolineare la parola dormito.”
“Mi fido, mi
fido. Su, scaldati la voce. Quella là arriverà tra poco.”
“Quella là?”
chiedo, senza capire.
“Kathryn Bigelow.
Vuole assistere. Non te lo avevo detto?”
“Ehm… no.”
“Beh, ora lo
sai.”
Perfetto, Josh, penso, entrando in cabina di
registrazione e isolandomi dal resto dello staff. Chiudo gli occhi e inizio a
passeggiare avanti e indietro, raccogliendo la concentrazione necessaria. I walked and
you were there, beside me in the night… inizio a canticchiare, nella mia testa. Su,
Josh, non è così grave. La Bigelow viene per vedere come lavori. È una
maledetta professionista maniaca del controllo, che vuole gestire tutto in
prima persona, una specie di Brian con i capelli lunghi e senza palle… almeno
in senso fisico, ma andrà tutto bene. Andrà tutto bene.
Alzo la
testa, e improvvisamente mi ritrovo a sorridere. Dall’altra parte del vetro,
insieme a Brian, Humberto e gli altri meravigliosi ragazzi che lavorano per
noi, c’è Grace. Stamattina le ho chiesto di venire in studio per vedermi
lavorare, consegnandole un badge. Mi ha detto che non sapeva se ce l’avrebbe
fatta, ma ora è qui. Sono così felice di vederla lì seduta che vorrei piangere.
No, Josh, trattieniti. Sei un uomo, dannazione.
Che direbbe Kathryn Bigelow se ti vedesse piangere?
Inizio a
convincermi di avere capacità extrasensoriali, quando Brian apre la porta per
far entrare la regista. Accidenti, dal vivo sembra maledettamente più giovane.
Alla cerimonia degli Oscar non ho avuto il piacere di conoscerla, e in video
sembra più vecchia. Mentre Brian mi avverte, tramite microfono, del suo arrivo
– come se non l’avessi vista –, lei sorride all’indirizzo di Grace, senza
scandalizzarsi per la sua treccia sbilenca, o per la camicia a quadrettoni che
indossa. Kathryn Bigelow sta sorridendo alla mia ragazza: forse non è quel
freddo mostro senza scrupoli che tutti dicono.
Si avvicina
al microfono, senza smettere di sorridere. “Piacere di rivederla, signor
Groban. La ringrazio di aver accettato la nostra proposta, anche se con così
poco preavviso. In realtà, eravamo sicuri già da tempo di volere lei, ma non
sapevamo quale pezzo richiederle.”
“E’ un
piacere anche per me, signora Bigelow. Ma la prego, mi chiami Josh. ‘Signor
Groban’ è mio padre.”
Scoppia a
ridere. “Va bene, Josh.”
Humberto si
sostituisce a lei. “Josh, noi siamo quasi pronti. Tieni d’occhio il semaforo”
mi avverte.
Dicendo ‘il
semaforo’ si riferisce alla luce piazzata sopra la porta. Quando da rossa
diventerà verde, vorrà dire che sono pronti. Mentre aspetto che Hub e gli altri
finiscano, vedo aprirsi di nuovo la porta, e dall’altra parte del vetro David
Foster mi sorride. Sorride e apre la comunicazione.
“Ragazzo” mi
apostrofa, “spero ti piacciano gli ultimi arrangiamenti.”
“Più che
altro, speriamo vadano bene a Morricone” lo prendo in giro.
Sorride
ancora. “Sei sempre il migliore.” Chiude la comunicazione.
Hub aziona
il semaforo. Bene. Loro sono pronti. Io cerco di raccogliere le ultime forze
per concentrarmi. Forse non avrei dovuto chiedere a Grace di venire qui. Oh, ma
che dico? È esattamente lì che deve stare. Faccio un cenno col capo, e Hub fa
partire la base musicale. Il primo ascolto è soltanto una prova, per prendere
ancora bene i tempi. Ascolto ad occhi chiusi. Conosco a memoria lo spartito.
Quattro
minuti più tardi, Hub fa ripartire la canzone. Controllo di avere fiato, e
inizio a cantare. È quasi impossibile non pensare all’interpretazione di Dulce
Pontes, ma faccio del mio meglio per non pensarci. Cerco di pensare soltanto
alla canzone, alle note, alle parole. Ma è un testo troppo bello, per non
applicarlo alla mia storia con Grace. E così, mentre le note scorrono via come
l’acqua di un torrente, ripenso a stanotte, a quando ho stretto Grace tra le
braccia e le ho sussurrato la buonanotte. Ripenso a quando abbiamo fatto
l’amore nel bungalow di mio padre, a quando si muove nel sonno e i suoi capelli
mi fanno il solletico, a quando mi bacia…
“Your love
shines in my heart” concludo, fiero di me. “Your love shines in my heart.”
La folla al
di là del vetro sembra essere aumentata, in questi ultimi tre minuti, però i
miei occhi rimangono fissi su una sola persona. Il mio sguardo, i miei occhi
pieni di lacrime… sono irrimediabilmente attratti da Grace.
Humberto
riapre la comunicazione, sorridendo. “Ben fatto, campione. Al primo colpo!”
Sorrido
anch’io. E’ la prima volta in tutta la mia carriera che non mi costringono a
ripetere un pezzo.
Kathryn Bigelow
è soddisfatta. Brian è soddisfatto. David Foster è soddisfatto. Grace è
soddisfatta. Io sono soddisfatto. E
ho finalmente capito di amare Grace. Amo Grace come non ho mai amato nessuna.
Capitolo 28 *** 28. Guarda Caso [Pierdavide Carone] ***
6.
“Kathryn
Bigelow è semplicemente entusiasta.
Ha detto che non vede l’ora di collaborare di nuovo con te” mi informa Brian.
Sono
stordito, come se mi avessero appena dato una botta in testa. Conosco questa sensazione:
è la tensione che all’improvviso si allenta: il cuore torna a battere in modo
normale, i muscoli si rilassano, e a me sembra di essere stato frullato.
Ignoro Brian
e abbraccio Grace, ancora in bilico sullo sgabello.
“Ti amo” le
sussurro, senza una ragione. O meglio, una ragione c’è, ed è che non riesco più
a immaginarmi senza di lei.
Humberto
trascina fuori di peso Brian con una scusa, lasciandoci soli. Dovrò
ringraziarlo.
“Non credo
di aver afferrato il concetto” sussurra in risposta.
“Ti amo”
ripeto. “E niente di ciò che potrai dire o fare mi farà cambiare idea, quindi
non pensarci nemmeno.”
La sento
sorridere. Lo so è che impossibile sentire
un sorriso, ma io ci riesco. Anche senza guardarla, so quando sta sorridendo, e
quando invece no. E ora sta
sorridendo.
“Per colpa
tua ho perso cinque dollari.”
“Come
sarebbe a dire?” chiedo, quasi scioccato, allontanandola un po’.
“Ho fatto
una scommessa con tuo padre. Secondo lui, me lo avresti detto entro una
settimana.”
“E tu,
invece?”
“Io pensavo che
non me lo avresti mai detto” confessa, abbassando la testa.
“Quindi è
questo che avete fatto tu e mio padre? Avete parlato di me?” la interrogo,
piuttosto scherzosamente.
Sorride
ancora. “Forse. Te l’ho detto, quando sarà il momento ti dirò tutto.”
“E nel
frattempo?”
“Nel
frattempo, io vado al lavoro” ribatte, sporgendosi per baciarmi. “Ci sentiamo
più tardi?”
“Certo”
rispondo, sporgendomi verso di lei a mia volta.
***
“Soddisfatto,
muchacho?”
“Mi sento
come se avessi messo i piedi in paradiso, Hub. Al primo colpo, ti rendi conto?
Kathryn Bigelow ha apprezzato la mia interpretazione al primo colpo!”
“Beh, spero
che il tuo cuore regga la prossima notizia.”
“Cioè? Quale
notizia?”
“”Più che
una notizia, è una proposta. Ma tu lo sai, David Foster non fa proposte:
impartisce ordini.”
“Che c’entra
David?”
“Ha proposto
di inserire ‘Your Love’ come bonus track.”
“In questo album, intendi?”
“Esatto.”
“Beh,
cavolo, è un’ottima idea! Cavolo, sarà l’album migliore che abbia mai inciso…”
“E un’altra
cosa.”
“Cosa?”
“Ha detto
che sei un vero talento.”
Mi sento
arrossire come una ragazzina timida. “Beh, ora mettiamoci al lavoro, Hub. Non
possiamo permetterci di cincischiare. Abbiamo un album da incidere, diamine”
aggiungo poi, riprendendo coraggio.
***
Esco dallo
studio alle sei del pomeriggio, giusto in tempo per attraversare la città e
stare con mio padre per un po’, prima che finisca l’orario di visita.
“Ciao, papà.”
“Ehi,
campione. Com’è andata, oggi? Non dovevi registrare quella canzone per il film?”
Annuisco. “Beh,
preferirei giudicassi tu.”
Gli infilo
le cuffie dell’iPod e faccio partire la traccia, che Hub mi ha permesso di
scaricare. Le rughe sulla sua fronte si distendono, il respiro si fa rilassato.
proprio come speravo: la canzone gli piace.
“Figliolo,
ti ricordi quando ti ho detto che la mia canzone preferita tra le tue era ‘So
She Dances’?”
“Certo. Hai detto
che ti faceva pensare alla mamma.”
“Beh, ho
cambiato idea. La mia preferita è questa.”
“Oh, papà…”
“Sul serio,
Josh. Hai avuto pochissimo tempo per prepararti, ma è semplicemente
meravigliosa.”
“Ti
ringrazio.”
“Certo che
devi ringraziarmi! Se non fosse stato per me e tua madre, credi che avresti
quelle corde vocali?” mi prende in giro.
Scoppio a
ridere. “Forse no. Comunque, ci sarà anche questa nel cd. Lo abbiamo deciso
questa mattina, dopo averla registrata.”
“Sono davvero
felice per te, figliolo.”
“Anch’io
sono felice, papà. Sono… non mi sono mai sentito così.”
“E’ quella
ragazza. È merito suo. Non credo avresti potuto trovare una ragazza migliore di
lei.”
“Lo so”
ribatto, annuendo. “Oggi le ho detto che la amo.”
Scoppia a
ridere. “Lo sapevo! Ora mi deve cinque dollari.”
“Si può
sapere di che diavolo avete parlato, ieri? Non le avrai raccontato qualche
aneddoto della mia infanzia, vero?”
“Tranquillo,
Josh. Non le ho detto niente che avrebbe potuto minare la fiducia che ha in te.
Abbiamo fatto una tranquilla chiacchierata. E tranquillo, non ho nominato
nessuna delle tue ex.”
Meno male, dico tra me e me. Le quattro
storie importanti della mia vita sono state con una musicista nevrotica, un’assistente
gelosa, un’impiegata dai gusti sessuali piuttosto ‘liberi’ e la mia migliore
amica. Direi che è meglio tenere ogni particolare nascosto, finché mi è possibile.
“Ti piace
proprio, eh?”
“Chi?”
“La tua
ragazza.”
“Beh…”
“Ti capisco.
Insomma, è bella, intelligente, simpatica…”
“E’ quella
giusta, papà. Qualcosa mi dice che è lei.”
***
Apro la
porta e lei è davanti a me, con indosso un semplice paio di jeans, una maglietta
e il giubbotto, e non riesco a fare a meno di sorridere. Mi mostra una
bottiglia di champagne. “Hai detto che volevi festeggiare la buona riuscita
della registrazione, e allora ho pensato di…”
“Hai pensato
benissimo” la interrompo, abbracciandola e dandole subito un bacio.
In realtà la
bottiglia rimane appoggiata sul tavolino nell’ingresso, sola e intatta, perché
le mie mani sono impegnate a togliere il giubbotto di Grace, sono impegnate a
stringerla mentre la porto in camera; voglio amarla davvero, ora che sono conscio dei miei sentimenti.
“Dovrei
uscire più spesso con cantanti di fama mondiale” sussurra, mentre faccio
scivolare le mani sotto la sua maglietta, facendole risalire verso il suo seno.
Sorrido, e
poso un bacio sulle sue labbra. “Avrei voluto incontrarti anni fa, Grace. Nessuno
mi ha mai fatto stare così bene.”
Si solleva per
permettermi di sfilarle la maglia, e con questo pretesto fa in modo di
ritrovarsi sopra di me. Mi metto a sedere e la circondo con le mie braccia. Le sue
mani si intrufolano tra di noi, e tra un bacio e l’altro sbottona la mia
camicia. Le sue dita si spostano dalla stoffa al mio petto, tracciando linee
invisibili sulla mia pelle; si muovono poi verso il basso, arrivando a contatto
con la mia cintura. La lascio fare, ma non appena riesce ad allentare la fibbia
la riporto sotto di me, liberandomi poi della camicia. Inizio a dedicarmi al
suo seno, mentre le mie mani scendono verso la sua cintura, mimando i gesti da
lei compiuti pochi secondi fa.
Passa un’eternità,
prima di riuscire a trovarci entrambi pronti per amarci, ma ogni singolo gesto
racchiude una sua magia, ogni gesto è intriso di passione pura, di desiderio.
Io voglio lei e lei vuole me: lo capisco dai suoi sussurri, dal modo in cui
continua a domandarmi un bacio, dalla forza con cui le sue mani si posano sulla
mia schiena, chiedendomi di amarla di più.
Non sono
sicuro che sia ancora primavera, quando finisce tutto. Ho completamente perso
la cognizione del tempo, aggrappato com’ero al mio desiderio. Ho perso la
cognizione del tempo e non mi sono mai sentito così appagato. È come se
improvvisamente avessi tutto ciò che mi è sempre servito per essere felice. Guardo
Grace, che nel sonno si è voltata fino a darmi la schiena, e mi ritrovo per l’ennesima
volta a sorridere. Le scosto i capelli dalla spalla e vi poso un bacio, poi
sistemo meglio le coperte e mi appoggio a lei, passandole un braccio attorno
alla vita.
“Sono la
ragazza giusta per te” sussurra, all’improvviso.
“Come,
scusa?”
“E’ una
delle cose che ha detto tuo padre. Ha detto che sono la ragazza giusta per te.”
“Ha ragione.
Che altro ti ha detto?”
“Lo saprai
quando te lo vorrò dire.”
Amo il modo
in cui fa la misteriosa. Amo respirare il profumo dei suoi capelli. Amo intrecciare
le dita della mia mano con le sue. Amo addormentarmi sapendola tra le mie
braccia. Amo il fatto di essermi innamorato di una come lei.
Ci siamo. Mancano
soltanto due giorni alla première del film di Kathryn Bigelow. Non ho idea di
quale sia la trama, non so chi componga il cast… non è che non me ne sia
interessato, ma sembra proprio che nessuno sappia niente.
Nelle ultime
quattro settimane non ho fatto altro che dedicarmi all’album: siamo molto
avanti sulla tabella di marcia, e Brian è fiero di me. Una volta tanto. Il
fatto che trascorra le mie giornate in studio non significa che abbia
trascurato Grace, anzi: il nostro rapporto è decisamente migliorato, e ora siamo
ufficialmente una coppia, e le ho chiesto di accompagnarmi alla première del
film. In fondo, ho inciso il pezzo forte della colonna sonora pensando a lei:
mi sembra il minimo.
Mio padre è
ancora in ospedale: nelle ultime due settimane le sue condizioni sono
decisamente migliorate, ma il dottore esclude che possa essere dimesso. Non riesco
ad andarlo a trovare tutti i giorni, ma cerco di andarci almeno tre volte la settimana.
Mi sento già tanto in colpa per averlo lasciato solo prima…
“Allora,
Josh. Ho sentito che il film della Bigelow uscirà tra poco.”
“Tra due
sere ci sarà la première, qui a Los Angeles.”
“Wow. Il mio
piccolo Josh che partecipa agli eventi mondani…” mi prende in giro.
“Già. Sempre
che mi facciano entrare.”
“Con una
ragazza come Grace appesa al braccio? Se anche non volessi entrare, ti
butterebbero dentro di peso. Ah, non mi stancherò mai di dire che hai vinto
alla lotteria, incontrandola.”
“E io non mi
stancherò mai di dirti che hai ragione.”
***
Andiamo alla
première con la mia auto. Stiamo per arrivare all’ingresso, quando Grace si
volta verso di me, sinceramente sconvolta. “E se cadessi dai tacchi? E se
facessi qualcosa di molto stupido? E se dicessi…”
“Grace, non
iniziare con le paranoie. Ok, è la nostra prima uscita ufficiale e capisco il
tuo nervosismo, ma…”
“Josh, tu
affronti tutto questo da dieci anni, io da dieci minuti! Non so…”
“Andrà tutto
benissimo. Tu sorridi.”
“E se mi
fanno delle domande? Da quanto tempo usciamo insieme, come ci siamo conosciuti…”
“Rispondi
quello che ti pare. Tanto nessuno di loro scriverà la verità.”
Fermo l’auto
in corrispondenza del tappeto rosso. “Non ti muovere, ti apro io.”
Scendo con
un sorriso, e con un sorriso consegno le chiavi al valletto, che mi restituisce
lo scontrino e mi augura una buona serata. Faccio il giro dell’auto e apro lo
sportello, porgendo poi una mano a Grace per aiutarla a scendere. Il tutto
sorridendo.
Sorride
anche lei, mentre chiudo lo sportello e inizio a percorrere con lei lo spazio
che ci separa dall’ingresso, la mia mano nella sua. “Una foto, Josh!” grida uno
dei reporter. Passo una mano dietro la sua schiena, cingendole la vita e
trattenendola contro di me. Dopo i primi flash, la sento rilassarsi. Ha finalmente
smesso di tremare, e il suo sorriso si fa sincero, non più di circostanza. “Complimenti,
Josh!” sento dire da un altro reporter. “Grazie!” rispondo, sinceramente. Se c’è
una cosa buona che ho imparato da Brian, è che con i giornalisti bisogna sempre
dimostrarsi simpatici, aperti a ogni battuta e disponibili.
Non appena
mettiamo piede all’interno, scopriamo che è anche peggio. Fuori, almeno, si
limitano a fotografare. Veniamo subito avvicinati da una cronista del New York
Times. “Salve, Josh. Possiamo farti qualche domanda?”
“Temo che
dovrò rispondere ‘No comment’ alla maggior parte, ma va bene.”
“Ok. Come
sai, il nuovo film di Kathryn Bigelow è avvolto nel mistero. Pare che nessuno
sappia niente della trama. Che ne dici?”
“So quello
che sanno tutti gli altri, e cioè che sarà sicuramente un ottimo film.”
“Si parla di
un cast completamente femminile: Robin Wright Penn, Juliette Binoche, Evan
Rachel Wood…”
“Beh, ti
ringrazio per la notizia. Non ne sapevo nulla.”
Sorride. “Si
vocifera che dall’Academy stiano già inserendo la pellicola tra i cinque
nominati per le categorie più importanti. E circola qualche indiscrezione
riguardo la colonna sonora.”
“Ho sentito
che è di Danny Elfman, ma è tutto quello che so” mento. Grace non riesce a
trattenere un sorriso. “Ora scusate, ma ci aspettano.”
Brian è all’interno
già da un paio d’ore, completamente assorbito dal suo lavoro. Non c’è che dire,
lui è nato per gestire queste
situazioni. “Oh, finalmente siete qui. Ehi, cos’è, un Armani?” chiede, facendo
correre lo sguardo sull’abito di Grace.
“Ehm… no.”
“Cavalli?
Dior? Valentino?”
Grace scuote
la testa. “Meglio che non ti dica né dove l’ho preso né quanto l’ho pagato,
perché non mi crederesti.”
Questa volta
sono io a non trattenermi: io conosco
la storia di quell’abito. Era un vecchio vestito di sua cugina, che lei ha
riadattato per l’occasione. Non le è costato nulla e le sta d’incanto. Il blu notte
è decisamente il suo colore.
“Qualcosa mi
dice che è meglio che io non sappia niente. Basta che tu non l’abbia comprato
con il ricavato di un traffico illegale, poi va bene. Allora, voi siete al
palco F. Kathryn Bigelow ha insistito per avervi con lei, insieme al cast
principale.”
“E da chi…”
inizio.
“Non te lo
dico, da chi è formato il cast” mi interrompe lui, guardandomi in cagnesco. “Su,
andate.”
Raggiungiamo
il palco F, e troviamo la regista, calma come non mai, che ci accoglie con un
abbraccio e un sorriso materno, e ci presenta agli altri ospiti. Sorrido, nel
constatare che nemmeno uno dei nomi citati dalla cronista è presente.
“Josh,
Grace, vi presento il cast principale del mio film: Diane Lane, Rachel Weisz,
Amber Tamblyn e Danielle Panabaker. Diane, Rachel, Amber, Danielle, sono fiera
di presentarvi Josh Groban e Grace Thomas. Josh ha accettato di interpretare l’ultimo
brano della colonna sonora, e Grace… beh, lei è la fortunata che lo ha fatto
innamorare.”
Con la coda
dell’occhio, vedo Grace arrossire vistosamente, per poi riprendersi e stringere
con decisione la mano delle quattro attrici e dei loro rispettivi
accompagnatori. Ci accomodiamo, e pochi minuti prima dell’inizio la regista ci
lascia, per raggiungere il palco e fare un piccolo discorso prima del film.
“Josh”
sussurra Grace al mio orecchio, “grazie di avermi chiesto di accompagnarti.”
“Sei la mia
fidanzata. Chi avrei dovuto portarci, mia madre?” la prendo in giro, con un sorriso,
mentre Kathryn sale sul palco, tra gli applausi.
“Buonasera,
signore e signori. Vi ringrazio di essere intervenuti, questa sera, alla prima
del mio nuovo film. Film che non sarei mai riuscita a realizzare, senza la
collaborazione di persone meravigliose che hanno saputo dedicare al progetto
molto più di quanto avrei mai osato sperare. Molti si sono interrogati sul
contenuto di questo film, incuriositi dall’aura di mistero che lo circondava.
Ebbene, sono stata io a volere questa riservatezza. Si tratta di un film
diverso dai precedenti, e non volevo rischiare che i commenti distogliessero i
miei collaboratori dal lavoro. Comunque, se questa sera siamo qui significa che
è andato tutto bene. Quindi, oltre alla troupe, che come al solito ha fatto un
ottimo lavoro, intendo ringraziare le quattro splendide attrici che hanno
voluto prestarmi il loro talento: Diane Lane, Rachel Weisz, Amber Tamblyn e Danielle
Panabaker.” Si interrompe, lasciando che la platea sfoghi un applauso. “Un
grazie va anche all’autore della colonna sonora, che ha davvero superato se
stesso. Grazie, Danny Elfman.” Un altro applauso, ma la regista non ha concluso.
“L’ultimo grande ringraziamento va a Josh Groban, che ci ha prestato la sua
splendida voce per una splendida canzone. Grazie, Josh.”
“Sai, se non
fossi sicura del contrario, direi che ha una cotta per te” mi prende in giro
Grace.
“Beh, casca
male. Io ho una cotta per te” ribatto, avvicinandomi per baciarla.
Due minuti
più tardi, le luci si abbassano, e il film ha inizio.
***
Non sono
esattamente un fan dei film che ruotano attorno all’universo femminile, ma
questo mi ha davvero colpito. E così, mentre iniziano i titoli di coda e
aspetto con trepidazione di sentire la mia voce, rifletto sui personaggi che ho
appena visto muoversi sullo schermo. Diane Lane nei panni di una madre single che
si scopre affetta da una malattia che non le lascerà scampo; Amber Tamblyn e
Danielle Panabaker nei panni delle sue figlie: la prima, matura e forte, si
elegge paladina, assumendosi ogni responsabilità, mentre la seconda, fragile e
inesperta, rifiuta l’evidenza, trovando poi un punto di sostegno in Rachel
Weisz, la sua insegnante di arte. Non credevo che un film avrebbe potuto
emozionarmi tanto. Ma forse è perché sto vivendo una situazione simile.
Grace
stringe più forte la mia mano, distogliendomi dalle mie riflessioni. Le prime
note di ‘Your Love’ risuonano all’interno della sala, modificando il ritmo del
mio cuore. Mi sento esattamente come il giorno in cui l’ho incisa, e la sola
cosa che vorrei fare è salire in piedi sul palco e iniziare a cantarla. Fa effetto
sentire la mia voce riempire ogni spazio; fa effetto saperla portavoce del
messaggio di questo film, che è ‘Ama chiunque ti sta accanto, amalo come se
ogni istante fosse l’ultimo, perché non sai mai che cosa ti riservi il futuro’.
Fa effetto, così come mi fece effetto sentirmi cantare ’Remember’ per Troy e ‘Believe’ per Polar Express. Sono alla mia terza
collaborazione con il cinema, e ancora mi sento spaesato.
Dopo quattro
interminabili minuti, la mia voce si spegne, e pochi secondi più tardi anche la
musica termina. Ma non per questo c’è silenzio: un applauso incessante riempie
la sala. Stanno applaudendo per il film, per Kathryn Bigelow, per Diane Lane,
Rachel Weisz, Amber Tamblyn, Danielle Panabaker; stanno applaudendo per Danny
Elfman, ma stanno applaudendo anche per me. Non mi importa quanti obbiettivi
abbiamo addosso in questo momento: la sola cosa che voglio fare è baciare
Grace.
“Complimenti,
Josh” mi sussurra, allontanandosi un po’.
Capitolo 30 *** 30. Bring On The Day [Charlotte Martin] ***
6.
Maledette vetrate.
Se non fosse per loro, la luce del mattino non entrerebbe così presto in camera
mia, non mi sveglierebbe e potrei rimanere abbracciato a Grace più a lungo. E
invece… Alzo appena la testa, e controllo la situazione. Ritiro tutte le mie
precedenti affermazioni: adoro il modo in cui la luce del mattino colpisce la
sua pelle, creando un meraviglioso gioco di luci e ombre tra il braccio e il
cuscino a cui dorme abbracciata.
“Che ore sono?”
mi chiede, con la voce ancora impastata e soffocata dal cuscino.
Controllo la
sveglia sul comodino, e sbadiglio. “Le otto.”
“Sono in
ritardo” sbuffa. Ma non si muove.
“Il bello
del lavoro in proprio è che non hai un capo che ti dice che sei in ritardo, no?”
“Questo non
toglie che io abbia una coscienza, e dei doveri verso i miei clienti.”
“Leale e virtuosa.”
“Se fossi
virtuosa, non sarei qui” sorride, voltandosi finalmente verso di me.
“Ci sarebbe
un modo per ovviare a questa situazione.”
“E cioè?”
“Beh, ho
notato che ultimamente dormi spesso qui.”
“E quindi?”
“Beh, da
semplice casualità potremmo farla diventare un’abitudine.”
“Intendi…
vivere qui?”
Faccio
spallucce. Chissà perché, nei suoi occhi mi sembra di leggere smarrimento. “Facciamo
così: vado a mettere su del caffè. Non siamo ancora abbastanza svegli per
parlare di certe cose.”
Un fugace
bacio sulle labbra, e mi alzo.
Dieci minuti
dopo mi raggiunge in cucina. “Ho approfittato del tuo bagno.”
“Hai fatto
bene” le sorrido, porgendole una tazza fumante.
“Grazie.”
“Grace,
perché ho l’impressione che ci sia qualcosa che non va? È per quello che ho
detto prima?”
“No,
tranquillo. Beh, in realtà sì, anche se… uffa.”
“Grace…”
“Volevo
parlartene appena l’ho saputo, ma poi ho pensato che fosse meglio aspettare
dopo la première. Avrei voluto dirtelo ieri sera, ma poi la serata ha preso un’altra
piega, e…”
Sono incinta.
Sono sposata.
Sono un mutante.
Credo di
essere pronto a tutto.
“Mi hanno
accettata al corso per organizzatrici di eventi.”
“Cosa? Ma è
fantastico! Insomma, finalmente coroni il tuo sogno!”
“Josh, c’è
una cosa che non ti ho detto. Devo partire tra una settimana. Il corso si tiene
a Parigi.”
Non riesco a
capire la sua preoccupazione. “Grace, non intendo impedirti di frequentare quel
corso. Hai sempre voluto andarci, e finalmente hai un’occasione. Non sarò io a
metterti i bastoni tra le ruote.”
“Ne sei
sicuro? Voglio dire… sono sei mesi, Josh. Non credo riuscirò a tornare, nel
frattempo.”
Non riesco a
non sorridere. “Grace, ho un manager in grado di procurarmi un biglietto aereo
per qualsiasi destinazione in meno di mezz’ora. Ti ricordo che è grazie a lui
se ci siamo incontrati.”
Osservo le
sue labbra sciogliersi in una risata sincera. Si alza e corre verso di me a
braccia spalancate. “Josh, Parigi! Parigi,
ci pensi? Sono così felice!”
La stringo
tra le braccia e la sollevo, respirando il profumo dei suoi capelli. La sua
voce arriva alle mie orecchie come una brezza leggera.
“Josh…”
sussurra, la voce improvvisamente rotta dall’emozione.
“Va tutto
bene, Grace. Sarai all’altezza della situazione. Tu sei sempre all’altezza della situazione” la rassicuro, guardandola
dritta negli occhi. “E comunque, oggi niente lavoro.”
“Ma…”
“Niente ma. Tu
oggi resti qui con me.”
Sorride. “Maniaco.”
“Non sono io
quello che va a Parigi per sei mesi e molla il fidanzato da solo” sorrido a mia
volta. “Devo fare il pieno di attenzioni per quando non ci vedremo, non credi?”
Capitolo 31 *** 31. Per Fare A Meno Di Te [Giorgia] ***
6.
Grace mi
guarda dritto negli occhi, e riesco a capire all’istante ciò che sta provando.
Non mi era mai successo di riuscire a capire gli stati d’animo di una persona…
non ho mai capito nemmeno i miei, e ora sono all’improvviso una specie di
psicologo. E la cosa mi piace.
“Josh…”
Le prendo le
mani, fissandole a lungo. “Lo so, Grace. Lo so.”
“Mi dispiace…”
“Sono solo
sei mesi, Grace. E Parigi non è Marte. E se anche lo fosse, Brian mi troverebbe
un biglietto per venirci.”
“Ma hai un
sacco di impegni, e tuo padre…”
“Mio padre
la penserebbe allo stesso modo, lo sai. E poi sta meglio. I medici dicono che
potrebbe migliorare ancora. Più avanti potrò sicuramente prendermi qualche
giorno libero per raggiungerti.”
Grace sa di
non avere più argomenti per ribattere, perciò si limita a sorridere, mentre
guarda le mie mani che stringono ancora le sue. Un altoparlante gracchia l’inizio
delle operazioni di imbarco del volo per Parigi. “Allora” dice, tornando a
guardarmi negli occhi, “hai intenzione di darmi un bacio d’addio o me ne devo
andare così?”
“Non è un
addio, Grace. È un arrivederci” le sussurro, mentre mi avvicino per baciarla. Le
sue mani stringono di più le mie, mentre ci salutiamo.
La lascio
andare e la osservo raccogliere lo zaino da terra. Se lo sistema meglio su una
spalla, poi mi guarda ancora. Non ci sono lacrime nel suo sguardo. Sono contento.
È così che deve essere. Sono soltanto sei mesi, e posso essere da lei in meno
di sei ore. E poi ci amiamo. Basta questo a tenerci legati.
***
“Allora, è
partita?”
“Sì, papà. È
partita due ore fa.”
“Come stai?”
“Un po’ mi
manca. Ma non è andata su Marte. È solo Parigi.”
“Così mi
piaci, figliolo. Ottimista.”
Sorrido, e
gli stringo la mano. “Ti trovo bene, sai?”
“Ti
ringrazio. Tua madre continua a dire che sembro uno straccio.”
“Lei lo dice
a tutti.”
“Hai ragione”
ribatte, con una risatina. “Josh, posso parlarti?”
“Credevo lo
stessimo già facendo.”
“No, Josh,
sul serio. È una questione che mi sta piuttosto a cuore.”
“Ma certo,
papà. Dimmi tutto.”
“Josh, io…
quando ho scoperto di essere malato, ho fatto testamento.”
“Papà…”
“No,
ascolta. So che non è un argomento molto piacevole, ma dobbiamo parlarne. È tutto
specificato nell’atto, ma vorrei anticiparti che il bungalow sulla spiaggia
sarà tuo. Né tua madre né tua sorella potrebbero apprezzarlo come merita.”
“Se è
scritto nell’atto, perché me lo stai dicendo adesso?”
“Perché c’è
una cosa che non è scritta nel testamento, e tu non sei esattamente un campione
di arguzia. Ci metteresti un anno a scoprirla.”
“Ehi, piano
con le offese” lo redarguisco, scherzando. “Di che si tratta?”
“In camera
da letto, sotto… sotto le assicelle… c’è…” si interrompe, iniziando improvvisamente
a tossire.
“Papà? Papà,
che succede?”
Improvvisamente
tutto diventa confuso: un allarme inizia a suonare, come impazzito, il dottor Carver
irrompe seguito da due infermiere; io finisco con l’essere cacciato fuori dalla
stanza, a guardare tre estranei che, dall’altra parte del vetro, cercano di
impedire a mio padre di morire.
***
“Signor
Groban, le posso parlare?”
Annuisco.
“Vogliamo
andare nel mio ufficio?”
Scuoto la
testa.
“Va bene.
Dunque, suo padre ha avuto una crisi respiratoria. Non abbiamo ancora i
risultati di tutti gli esami, ma… noi crediamo che la massa tumorale si sia
estesa, e che stia coinvolgendo anche altri organi.”
“E non si
può fare niente.” Non è una domanda, e nemmeno un’affermazione. È una semplice
presa di coscienza: nemmeno un patrimonio di milioni di dollari può salvarti
dalla morte.
“Mi
dispiace, signor Groban. Forse, se lo avessimo preso in cura prima…”
“Non è colpa
sua, dottor Carver. Non è colpa mia, non è colpa di mio padre. Non è colpa di
nessuno.”
Un angolo
della sua bocca si piega in un mezzo sorriso. “Lei è un uomo forte. Non sarà
così semplice dirlo a sua madre e sua sorella.”
“Non si
preoccupi, glielo dirò io.”
La sua mano
si poggia paterna sulla mia spalla, la stringe e poi la lascia. Accanto a me
rimangono vuoto e silenzio, mentre continuo a guardare mio padre, incosciente
in un bianco letto d’ospedale, mentre cerco di convincermi che presto o tardi
dovrò fare a meno di lui.
Capitolo 32 *** 32. Nella Mia Stanza [Negramaro] ***
6.
Mia madre è
distrutta. Mia sorella è distrutta. Io sono distrutto, eppure sono l’unico a
riuscire a vedere ancora le cose con chiarezza. È come se i ruoli si fossero
invertiti, e se devo essere sincero, la cosa un po’ mi spaventa. Non sono
abituato ad essere quello forte, quello che prende in mano la situazione e
guida tutti sulla strada giusta. No, non sono io. Io sono quello che sguazza
nell’indecisione, quello che ha paura della propria ombra. Eppure impiego due
secondi a decidere di fingere allegria mentre sto al telefono con Grace,
entusiasta di Parigi. Non ho paura, quando le mento spudoratamente, dicendo che
mio padre sta bene e migliora di giorno in giorno. Mi faccio quasi schifo,
eppure so che è la cosa giusta da fare.
Approfitto
di un momento di libertà per rifugiarmi nel bungalow, in compagnia di Roxy,
sempre più cupa e triste. Non mi meraviglierei se anche lei morisse. Me ne sto
disteso sul letto, con un pezzo di James Blunt a farmi compagnia alla radio,
quando mi tornano in mente le ultime parole di mio padre: “In camera da letto,
sotto le assicelle.”
Ma quali assicelle? Il pavimento è tutto composto di assicelle. Come faccio
a sapere qual è il punto giusto? Balzo in piedi e spengo la radio. Nel silenzio,
inizio a passeggiare lentamente su e giù per la stanza, in cerca di uno
scricchiolio, o di chissà che altro. Appunto. Alzo il piede destro e mi
inginocchio. Tasto le assicelle e trovo una fessura. Faccio leva con le dita e
sollevo il legno. “Papà, sei geniale” sussurro. Ha ricavato un piccolo
nascondiglio sotto il pavimento, e ci ha nascosto… un album di fotografie.
Spolvero la copertina con la mano, rimetto a posto le assicelle scalzate e mi
siedo sul letto con il volume.
Un album di
fotografie rilegato in pelle, lettere dorate sul frontespizio. Leggo il nome di
mio padre ad alta voce e accarezzo ogni lettera. Poi inizio a sfogliare le
pagine.
Sono fotografie.
Sono tutte
fotografie scattate da mio padre.
Sono tutte
bellissime.
Ho sempre
saputo che papà aveva un debole per le fotografie, ma non avrei mai immaginato
che le amasse fino a questo punto. E non avrei mai sospettato che fosse così
bravo.
I primi
scatti sono istantanee realizzate con una Polaroid: ricordi di quando mia madre
era incinta di Allie. La vedo sorridere, indicandosi il pancione, e mi chiedo
se rivedrò mai quel sorriso sul suo volto. Più avanti, Allie è impegnata a
gattonare, mentre la mamma vigila attenta. Scorrendo ancora le pagine,
finalmente mi trovo. Quando avevo un anno ero un bambino paffuto con i capelli
ricci e l’espressione di chi non è sicuro di essere nel posto giusto. Sono ancora
quel bambino, sotto molti aspetti.
Tra due
settimane Michael terrà il suo grande concerto a Los Angeles. Brian sta
dimostrando il suo lato umano, e non mi assilla con questioni di lavoro, ma
credo che lo preferirei. Essere assorbito nel lavoro mi distrarrebbe. Forse mi
farebbe persino bene.
Due squilli
e mezzo. “Avnet.”
“Josh.”
“Josh!”
“Brian.”
“Simpatico.
Come… come va?”
“Bene.”
“Sul serio?”
“Non lo so.
Non so come mi devo sentire. Mio padre sta morendo, mia madre è sull’orlo della
depressione e la mia fidanzata è appena partita per Parigi. Sono confuso.”
“Ti serve
qualcosa?”
“Mmm… no,
non mi pare. Volevo solo confermarti che ci sarò, alla data di Bublé.”
“Ci sarai?”
“Ci sarò.”
“Josh…”
“Tranquillo,
Brian. Sta bene così.”
“Josh, hai
già fatto abbastanza finendo di registrare il…”
“Tranquillo,
Josh. Se mio padre potesse parlare, mi darebbe ragione.”
“Tu felicidad es mi felicidad, gringo.”
Metto giù
con un sorriso.
Forse dovrei
trovare il coraggio di parlare anche con Grace.
Forse.
Per adesso,
la sola cosa che riesco a fare è starmene seduto a guardare queste fotografie.
È trascorsa
una settimana da quando papà ha avuto quell’attacco. Il dottor Carver è stato
chiaro: le probabilità che il cancro regredisca, anche con le terapie, sono
minime, e quelle che papà riapra gli occhi… ancora meno. Mamma ora ha un’ottima
ragione per non staccarsi dall’ospedale, e Allie, per quanto possibile, la
imita.
“Ehi,
sorellina” la apostrofo, mettendole una mano sulla spalla. “Come stai?”
“Sono stata
meglio” sussurra. “E tu?”
“Anche io”
ammetto. La stretta della mia mano sulla sua spalla si fa un po’ più forte.
“Di… di che
cosa stavate parlando tu e papà quando si è sentito male? Non l’hai mai detto.”
Tergiverso,
ma non me la sento di mentire a mia sorella. Non posso mentire a mia sorella. “Papà mi stava parlando del suo
testamento.”
“Perché ti
stava parlando del suo testamento?”
“Non lo so. In
realtà, io non volevo parlarne. Ma lui ha insistito…”
“Tipico di
papà. Che ti ha detto?”
“Che è tutto
specificato nell’atto.”
“E allora
perché ha voluto parlartene?”
Sorrido. “Ha
voluto anticiparmi che il bungalow sulla spiaggia sarà mio.”
“La sua
tana?”
“La sua
tana. Sai, non è un brutto posto, per viverci.”
“Che altro
ti ha detto?”
“Mi ha detto
che aveva nascosto qualcosa sotto le assicelle del pavimento, in camera da
letto. E che me lo stava dicendo perché, da vero tonto quale sono, non l’avrei
mai trovato.”
“Che cos’è?”
“Un album di
fotografie. Le ha scattate tutte lui.”
“Fotografie?”
“Papà ama la
fotografia quanto io amo la musica” spiego. “Ripercorrono la sua vita con
mamma, seguono la nostra crescita. Racchiudono lo spirito della nostra
famiglia.”
“Sapevo che
gli piaceva scattare fotografie” ammette Allie, “ma non credevo ne avesse fatto
addirittura un album personale. Potrei… potrei vederle?”
“Quando
vuoi, Allie. Quando vuoi. Sono tutte bellissime.”
La sento
appoggiare la testa sulla mia spalla, per poi scoppiare in un pianto
liberatorio. Per la prima volta in vita mia, so esattamente che cosa devo fare:
la stringo più forte, le faccio sentire la mia presenza, le faccio capire che
le sono vicino, e che lo sarò sempre. È vero, sono un personaggio pubblico, ma
prima di tutto sono un figlio. E un fratello.
***
“Pronto?”
“Ciao,
Grace. Sono Josh.”
“Ciao… sono
le sette del mattino, lo sai?”
“Oh, scusa. Lo
sai che faccio sempre casini con i fusi orari.”
“Non
importa. Ero già sveglia. Volevi…”
“Grace, io
devo parlarti.”
“Ok. Suppongo
sia per questo motivo che mi hai chiamata. Di che si tratta?”
Respiro
profondamente per un paio di volte, tentando di prendere tempo.
“Josh? Ci sei
ancora?”
“E’ per mio
padre.”
“E’
peggiorato? Sta male?”
Sospiro. “E’
morto, Grace. Mezz’ora fa.”
Non parla
subito. “Ma i medici dicevano che si stava riprendendo…”
“No, Grace…
è quello che ti ho raccontato io.”
“Stai
dicendo che… mi hai mentito?”
“Sono stato
una persona orribile, lo riconosco, ma non volevo farti preoccupare.”
“Non volevi
farmi preoccupare? Ti sei tenuto dentro tutto questo?”
“Scusa,
Grace.”
“Non è con
me che devi scusarti, ma con te stesso.”
“Sei
arrabbiata con me?”
Un’altra
pausa. “No, non sono arrabbiata con te. È impossibile essere arrabbiati con te.”
“Ti amo.”
“Lo so. Come
sta tua madre?”
“Puoi
immaginare. È distrutta dal dolore. Adesso c’è Allie con lei.”
“Come sta
Allie?”
“Anche lei
sta male, ma lo accetterà, come sto facendo io.”
“E i
bambini?”
“Glielo
diremo domani.”
“Quando sarà
il funerale?”
“Giovedì, ma…”
“Ti chiamo
per dirti a che ora atterro.”
“Grace…”
“Josh, non
ti lascio solo al funerale di tuo padre.”
Non posso
fare a meno di sorridere. “Vuoi che dica a Brian di prenotarti un posto sul
primo volo in partenza per Los Angeles?”
“Sarebbe una
buona idea, sì.”
Rimaniamo ancora
in silenzio. “Grace?”
“Sì?”
“Non voglio obbligarti
a tornare.”
“Torno
perché voglio tornare. Sai, mi manca già Los Angeles.”
È una bella giornata di sole. Mi
viene da sorridere, pensando che forse papà avrebbe voluto proprio così. Un
grande sole caldo che rischiari il giorno in cui si saluta un’anima che vola in
paradiso. Dietro gli occhiali scuri, mia sorella sta piangendo, piuttosto
discretamente. Mia madre non si cura di nascondere il proprio dolore. Stella
trascorre accanto a me la maggior parte della cerimonia.
“Zio Josh?”
Mi inginocchio vicino a lei, sul
ciglio della tomba. “Dimmi, tesoro.”
“So dove sta andando il nonno.”
“Davvero?”
“Sì. Mamma e papà mi hanno detto che
è andato in cielo, ma io so che non è vero.”
“Ah no?”
“No” conferma lei. “Una volta il
nonno mi ha detto che quando la gente muore non va da nessuna parte.”
“E allora dove va?”
“Resta qui con noi, sulla Terra.
Solo che noi non li vediamo.”
“Diventano fantasmi, quindi?”
“Immagino di sì. Però sono buoni, e
aiutano la gente.”
Grace si inginocchia vicino a me, e
le sorride. “Stella ha ragione, sai? Chi muore resta sulla Terra e veglia su
chi è ancora vivo. Come gli angeli custodi.”
Stella annuisce con vigore, e io non
posso far altro che sorridere, tendendo le braccia verso Stella e accogliendola
in un abbraccio. I bambini sanno essere così semplici, a volte… ma questa volta
ha detto la verità. Sento che mio padre è qui, in mezzo a noi. Sento la sua
presenza, vibra in mezzo a noi. Mi chiedo se sono l’unico ad avvertirlo.
La cerimonia si conclude, e uno dopo
l’altro i presenti sfilano davanti a noi, porgendoci le loro condoglianze: la
mamma è troppo stremata per riuscire a dire qualunque cosa, mentre Allie,
sostenuta da Gary, riesce a ringraziare. Credo di essere l’unico a non avere
ancora pianto: la situazione si è davvero ribaltata, e ora sono io il pilastro
di questa famiglia. Se prima mi sembrava strano, ora mi sto calando nella
parte. Ed è una bella sensazione.
Mi accorgo che fra i presenti c’è
anche Michael: non speravo sarebbe venuto anche lui.
“Ehi, Grob” mi saluta.
“Ehi, Mike” è la mia risposta.
Ci stringiamo in un abbraccio, e
senza dire niente riusciamo a comprenderci.
“Se hai un attimo, dopo vorrei
parlarti” mi dice, quando ci lasciamo.
“Okay. A dopo, Mike.”
Una volta terminata la processione
di conoscenti e amici, Grace mi prende per mano, facendomi capire che gli altri
stanno andando via.
“Vai avanti, Grace. Ti raggiungo
dopo.”
Voglio dare un ultimo saluto a mio
padre. E voglio essere solo.
Lei annuisce e sorride. Un lieve
bacio sulla guancia, e si allontana.
Rimango solo accanto alla lapide che
reca il nome di mio padre.
“Leale, onesto, marito e padre devoto”
leggo, a bassa voce. Suonano strane, quelle parole. Dovrebbero riassumere la
vita di mio padre, ma nessuno meglio di me sa che la sua vita è impossibile da
riassumere in poche parole. Nessuna vita si può riassumere in poche parole.
Mi inginocchio accanto alla pietra,
accarezzo la fotografia e sospiro. Ho ancora la mia rosa rossa tra le mani: non
l’ho gettata sopra la bara insieme alle altre. La appoggio davanti alla pietra,
coprendola con un po’ di terra, poi rimango fermo, come in attesa. Quasi spero
che Ashton Kutcher salti fuori con un cartello giallo a dirmi: “Ehi, era una
candid camera! Tuo padre è vivo e vegeto!”. Ma non lo farà. Non lo farà perché
mio padre non è morto. Mio padre è vivo, lo sento. Avverto la sua presenza.
Immagino che ora se ne stia in piedi dietro di me, con una mano sulla mia
spalla. Lo immagino, mentre mi dice di essere forte. Sarò forte, papà. Sarò forte come lo sei stato tu.
Si alza una leggera brezza, che
lascia comunque immutato il calore del sole.
Intorno è deserto, non c’è anima
viva.
“Oh
Danny boy, the pipes, the pipes are calling, from glen to glen, and down the
mountain side… the summer's gone, and all the roses falling… ‘tis you, 'tis you
must go and I must bide”
intono, la voce appenaincrinatadall’emozione.
Nonostante tutto, sarà sempre questa
la canzone di mio padre.
Capitolo 35 *** 35. Misread [Kings Of Convenience] ***
6.
“Allora,
Mike, di che cosa volevi parlarmi?”
Si infila le
mani nelle tasche e iniziamo a camminare lungo un viale alberato. “Mi ha
chiamato il tuo manager.”
“Brian ti ha
chiamato? E perché?”
“Perché non
è convinto che lavorare sia la cosa migliore per te, in questo momento.”
“Brian si
sbaglia.”
“Ne sono
convinto anche io.”
“E allora
perché ne stiamo parlando?”
“Perché gli
ho promesso che lo avrei fatto” sorride. “Ma sapevo che non avresti cambiato
idea. Non lo fai mai.”
“Sono
abituato ad onorare gli impegni che prendo.”
“Mi ha detto
che hai concluso la lavorazione del tuo nuovo disco con due mesi di anticipo.”
“Volevo che
mio padre lo ascoltasse prima di morire. Poteva accadere da un momento all’altro.”
“Ti ammiro,
sai?”
“Tu ammiri
me?”
“Sì, Josh,
ti ammiro.”
“Perché
Michael Bublé dovrebbe ammirare Josh Groban?”
“Perché Josh
Groban ha un grande cuore.”
Sorrido. “Ti
sbagli, quello è Sting” lo prendo in giro.
Mi dà una
spintarella amichevole. “Che scemo! Non riesci a non fare il cretino nemmeno il
giorno del funerale di tuo padre.”
“Non
iniziare a comportarti come Brian, per favore.”
“Parlavo sul
serio, Josh. Hai un grande cuore e una grande forza di volontà. Sei una bella
persona.”
“Grazie,
Mike.”
“Prego.”
Continuiamo
a camminare in silenzio per un minuto, poi ricomincia.
“E hai un
gran gusto in fatto di donne, non c’è che dire.”
“Ha parlato
Casanova. Quella ragazza con cui ti hanno paparazzato non era male.”
“Sì, era
carina” ammette. “Ma io non parlo solo di bellezza. Insomma, tutte le donne con
cui esci hanno qualcosa… un non so che di speciale.”
“Anche Tish?”
gli chiedo, ammiccando.
“Beh, non si
può giudicare una donna basandosi sui suoi gusti sessuali. Insomma, anche lei
era… era… ok, forse Tish è stata uno sbaglio. Ma le altre, cavolo! Jennifer,
Isabel, e ora Grace…”
“Sì, Grace è
fantastica.”
“Hai avuto
una fortuna sfacciata, lo sai? Su quell’aereo avresti potuto incontrare chiunque,
e invece hai incontrato lei.”
“Sì, sono
stato miracolato, quel giorno.”
“Da quanto
uscite insieme?”
“Dall’inizio
di marzo, più o meno.”
“Tre mesi. E
come sta andando?”
“Bene. Da
una settimana si è trasferita a Parigi. Segue un corso per organizzatrici di
eventi.”
Michael
emette un debole fischio. “Bella e intraprendente. Complimenti.”
“Quando avrà
finito, voglio chiederle di vivere con me.”
“Credi che
accetterà?”
“Non lo so. Non
so nemmeno se allora staremo ancora insieme.”
“Quanto dura
il corso?”
“Sei mesi,
più o meno.”
“Non fare
cazzate, e vedrai che durerà.”
Sorrido. “Rassicurante
come al solito. Bell’amico che sei.”
“Grazie.”
“Non era un
complimento.”
“Per me lo
era. Allora, ancora deciso ad essere mio ospite alla tappa del Bublé USA tour?”
Capitolo 36 *** 36. Un Amico E' Così [Laura Pausini] ***
6.
“Di nuovo
buonasera, Los Angeles! Allora, prima vi avevo promesso la presenza di un
grande ospite, e… beh, non è potuto venire.”
Il modo in
cui Michael riesce a scherzare con i propri fans è assolutamente fenomenale.
“Ma”
riprende, cercando di arginare la risposta del pubblico, “per fortuna sono
riuscito a rintracciare un mio amico, che si è mostrato davvero lieto di
potervi intrattenere per qualche minuto. Dovete sapere che conosco questo
ragazzo da quasi otto anni, e lo reputo ben più di un amico… ehi? Chi ha detto
fidanzato? Ssh, non vorrete rovinarmi la piazza con Katherine Heigl, proprio
adesso che ha deciso di uscire con me?”
Scoppio a
ridere come un cretino, come la maggior parte delle persone che lavorano qui
dietro le quinte. Michael è un comico nato.
“No, seriamente.
Considero questo ragazzo quasi come un fratello minore. Un fratello minore che
ha molto più talento del sottoscritto… anche se il più carino sono sempre io.”
Il pubblico
ride ancora. Adorano Michael Bublé. Adorano la sua comicità innata, il suo modo
di fare, la sua personalità… soltanto Dio sa quanto sono felice di avere un
amico come lui.
“Signore e
signori, sono lieto di presentarvi il mio fratellino adottivo… il signor Josh
Groban.”
Faccio il
mio ingresso sul palco, e una valanga di applausi mi investe. Come sempre,
quando Mike mi chiede di partecipare ad una sua tappa. Suonerà dannatamente
poco modesto, ma io e lui messi insieme abbiamo i sostenitori migliori del
mondo.
“Grazie!
Grazie, Los Angeles! Grazie di avermi invitato qui, Michael. Sono veramente
contento di essere qui.”
“Beh, Josh,
questa è la tua città. Io sono soltanto un ospite” mi dice, mettendomi un
braccio sulle spalle.
“Sei sempre
il benvenuto, Mickey, lo sai. Ehm… e ora che facciamo?”
Sorride al
pubblico. “Ve lo avevo detto. Abbiamo deciso tutto all’ultimo momento, e ora
non sappiamo che fare. Potremmo” continua, rivolgendosi verso di me, “fare
quella cosa di scambiarci le canzoni…”
“Che palle! Lo
abbiamo già fatto cinque anni fa, ed eri già qui a Los Angeles. Credo siano
stufi di…”
Un sonoro “No!”
interrompe la mia esternazione.
“Direi che
non sono stufi, Grobie.”
“Direi che
allora si può fare, Mickey Mouse.”
Adoro il
modo in cui riusciamo a prenderci in giro, anche se su un palcoscenico, di
fronte a migliaia di persone che hanno pagato per stare qui. Ed è semplicemente
straordinario il modo in cui il pubblico riesca a ridere del nostro renderci
ridicoli.
Faccio un
cenno concordato ad Alan Chang, il magnifico pianista
che accompagna Michael in tutto il suo lavoro, e quello attacca con i primi
accordi di ‘Haven’t Met You
Yet’, immediatamente seguito dal resto dell’orchestra.
Lascio che il pubblico si immedesimi nella melodia, e appena sono pronto mi
lancio in una strepitosa parodia dell’ultimo successo del mio migliore amico. Suonerà
dannatamente poco modesto, ma sono bravissimo a scimmiottare gli altri. È una
qualità che mio padre non mi ha mai negato.
Più tardi,
tocca a Michael prendere in giro me. Per lui è stato molto più difficile
scegliere una canzone da eseguire: avrebbe voluto parodiare una canzone del
nuovo album, ma non voleva rovinarmi la promozione del cd. Quindi si ritrova a
parodiarmi – piuttosto bene, devo ammetterlo – sulle note di ‘You Raise Me Up’,
e il pubblico sembra gradire. Persino io ho le lacrime agli occhi, pensando che
sta semplicemente mostrando parte di quello che io mostro al pubblico ogni
volta che canto.
***
“Ehi, sei
ancora qui? Pensavo fossi già andato a casa” mi apostrofa Michael, quando
finalmente termina il suo show, stanco morto e grondante sudore.
“Sì, in
effetti Brian si sta innervosendo” rispondo, indicando con il pollice il mio
agente che, poco più in là, stava per dare in escandescenze. “Però volevo
ringraziarti ancora una volta per avermi chiesto di essere qui stasera.”
“Sono io che
devo ringraziarti, Josh” sorride. “Mi ha fatto piacere averti ospite qui,
nonostante tutto quello che è successo.”
“Grazie,
Michael.”
“Grazie,
Josh. Alla prossima.”
Ci
abbracciamo per salutarci, poi finalmente raggiungo Brian. È incredibile il
modo in cui la nostra amicizia riesca a resistere, in un mondo dove diventa
davvero impossibile mantenere delle vere amicizie.
Oggi esce in
tutti i negozi il mio nuovo disco, ‘Amazing Grace’.
Credo che da
questo disco potrebbe dipendere tutto il resto della mia carriera. In base alle
reazioni del pubblico, deciderò quale strada intraprendere.
Non sono mai
stato più in ansia.
Sono a casa,
chino sul pianoforte, quando il mio cellulare squilla.
È Allie.
“Fratellino,
ho due notizie per te, una buona e l’altra cattiva.”
“Prima la cattiva.”
“Non ho
niente da mettere in vetrina.”
“E la buona?”
“Abbiamo
appena venduto mille copie del tuo disco.”
“Non
prendermi in giro.”
“Non ti
prendo in giro. Se vuoi te lo faccio dire da Gary.”
Subito mio
cognato si sostituisce a lei. “E’ vero, Grobie, avevamo mille copie del tuo
album, e non ce n’è rimasta nemmeno una. E ti dirò di più: due signore si sono
quasi picchiate. Si sono quasi
picchiate per te, Grobie.”
“Dici
davvero?”
“Certo che
dico davvero! Certo, sarebbe stato meglio se fossi venuto qui ad autografare
qualche copia e a sorridere a qualche vecchietta, ma… ahia! Ma che ho detto,
Allie?”
Mia sorella
riprende il controllo della telefonata. “Vai alla grande, Josh. Sono fiera di
te.”
“Anch’io
sono fiero di te.”
“Ma io di
più. E lo è anche la mamma.”
“Sta bene?”
“Oggi sì. Era
preoccupata che ‘Amazing Grace’ non vendesse, ma l’ho appena chiamata per darle
la notizia.”
“Sono
contento.”
“Lo siamo
tutti. Vieni a cena da noi, stasera?”
“Verrei
volentieri, ma Brian ha organizzato qualcosa con quelli del lavoro. Immagino per
festeggiare l’uscita del disco.”
“Pazienza. Facciamo
domani sera?”
“Volentieri.
Salutami i ragazzi.”
Metto giù,
poi mi avvicino alla finestra. È un’incredibile e meravigliosa giornata di
sole. Fa un po’ freddo, ma è normale. Insomma, siamo ad inizio ottobre…
Faccio scorrere
la rubrica fino al numero di Grace, poi mi trattengo. Ho appena avuto un’idea
meravigliosa.
Mi siedo
davanti al computer e inizio a digitare come un pazzo, senza esitazione. Sì,
sono davvero impazzito.
***
Atterro a
Parigi alle tre del mattino, e la mia prima preoccupazione è quella di cercare
un albergo. Ok, se avessi pensato prima a tutti i casini procurati dal fuso
orario, ora… no, bando ai pessimismi. Voglio essere una persona diversa.
Mi dirigo
subito al Marshall, hotel che mi aveva ospitato durante un tour di un paio d’anni
fa. Mi riconoscono e mi trovano subito una stanza.
La mia
seconda preoccupazione è quella di dormire un paio d’ore. Sono maledettamente
stanco, e poi non avrebbe senso andare a trovare Grace in questo momento. O forse
sì. Mentre me ne sto seduto sul letto a decidere che cosa fare, il cellulare
squilla di nuovo. Stavolta è Brian.
“Dove
diavolo sei?” ringhia. “Hai una vaga idea di che ore siano?”
“Sì”
ribatto, guardando il mio orologio da polso. “Sono le… quattro e quindici, no,
sedici, del mattino.”
“Che diavolo
stai dicendo? Dove sei?”
“Controlla
la tabella dei fusi orari e lo saprai” rispondo, allegro, attaccandogli il
telefono in faccia.
Scoppio a
ridere. Una risata allegra, serena, incontrollata. Non sono mai stato così
felice. E improvvisamente mi torna in mente una cosa che mi ha detto una volta
mio padre: “Fai sempre quello che ti dice
di fare la pancia. La testa è troppo razionale, e il cuore sa essere un vero
bastardo. Ma la pancia, lo stomaco… quelli non mentono mai.”
Il mio
stomaco dice che ha una gran fame. Mi alzo e chiamo il servizio in camera,
chiedendo croissant e il necessario per una buona colazione alla francese.
***
Le cinque e
otto minuti, e sono davanti all’albergo in cui alloggia Grace. Mi presento alla
reception con un gran sorriso, e chiedo di poter vedere Grace Thomas. La receptionist
arrossisce appena, nel rendersi conto che sono davvero chi sono.
“Prego,
signore. Stanza 304, quinto piano” sussurra.
Prima di
andarmene, le lascio un autografo su un post-it recuperato dalla sua
postazione. Mi ringrazia, e sorride ancora.
Quinto piano.
Stanza 304.
Tra le mani,
un sacchetto pieno di croissant ancora caldi.
Nella testa,
nel cuore e nello stomaco un solo pensiero: vedere Grace.
Busso e
aspetto che venga ad aprire. Non mi sono fatto annunciare, e probabilmente
questo bussare sconosciuto la farà spaventare a morte, ma non mi importa.
Viene ad
aprire a piedi scalzi, con una vestaglia leggera indossata alla svelta sopra il
pigiama leggero. Senza trucco, i capelli scompigliati. Semplicemente bellissima.
Sfodero il
migliore dei miei sorrisi. “Non resisto più di due mesi senza vederti.”
Segue il mio
esempio, e sorride. “Sono già due mesi che non ci vediamo?” mi domanda,
appoggiandosi allo stipite.
“Due mesi e
dodici giorni, in verità” specifico.
“Due mesi e
dodici giorni” ripete. “E che mi avresti portato, lì?” chiede, indicando il
sacchetto.
“Qualcosa
per dopo” sorrido malizioso.
“Per dopo cosa?”
“Per dopo
che ti avrò salutata. E baciata” sussurro, prendendola tra le braccia e
tirandomela vicina.
La lontananza
attutisce i ricordi, questo ormai è appurato. Non ricordavo che le sue labbra
fossero così morbide, così calde. Non ricordavo che le mie mani potessero
adattarsi così bene alla curva dei suoi fianchi.
Mi chiudo la
porta alle spalle e appoggio i croissant su un tavolino.
“Ehi, letto
matrimoniale” osservo.
“Già”
risponde, scoppiando a ridere. “Non dirmi che sei convinto che ti sia rimasta
fedele tutto questo tempo.”
“Basta che
tu sia mia stanotte” ribatto. “Non mi importa degli altri.”
“Ma sentiti…
sei tremendo!”
“Senti da
che pulpito viene la predica…”
Mi sorride,
e la luce del suo sorriso riesce ad illuminare l’intera stanza. “A proposito di
te, signor Groban… non indovinerai mai che cosa ho comprato oggi!”
“Sentiamo…
che avresti comprato?”
Si divincola
dal mio abbraccio e preme il tasto Play dello stereo, che noto soltanto in
quell’istante. Le prime note di ‘Amazing Grace’ si spargono per la stanza,
mentre lei ritorna tra le mie braccia. “E’ bellissimo, Josh” sussurra,
appoggiando la testa nell’incavo del mio collo. “Le canzoni sono tutte
meravigliose.”
“Questa è
per te, Grace” le rispondo, con un filo di voce.
“Come?”
“Parlo di
questa canzone. Sei tu la mia sorprendente Grace.”
Alza lo
sguardo su di me, e riesco a vedere una lacrima nei suoi grandi occhi neri.
“Non sto
scherzando, Grace. Sei arrivata nella mia vita in un momento in cui non sapevo
più che pesci prendere. E hai cambiato tutto. Lo so che sembra una tipica
dichiarazione d’amore da cioccolatino, ma è la verità” continuo, guardandola
fisso negli occhi. “E’ successo. Sei la cosa più bella che mi sia mai capitata,
e con te sto vivendo i momenti più belli della mia vita, e insieme i più difficili,
e non so…”
Mi
interrompo quando le sue labbra si ritrovano premute sulle mie, con urgenza,
come disperate. Passata la sorpresa, chiudo gli occhi e la cingo con le mie
braccia, incollando il suo corpo al mio. La sua vestaglia cade con un fruscio
sul pavimento, seguita dalla mia giacca. Sorprendentemente, nei nostri gesti
non c’è fretta, come se improvvisamente sapessimo di avere tutto il tempo che
ci occorre. Il tempo è la sola cosa che non ci manca.
Quando si
lascia andare sul letto, tra le lenzuola dell’hotel che, incredibilmente, hanno
il suo profumo, la seguo senza esitazione. Scivolo su di lei come se fosse la
cosa più naturale del mondo, accarezzandola come il tesoro più prezioso. Prendo
possesso del suo corpo per l’ennesima volta, conscio di avere anche il suo
cuore. I nostri movimenti sono fluidi, completamente sincronizzati, e tra
sospiri e gemiti troviamo anche lo spazio di dirci che ci amiamo.
Forse è
Parigi, forse è l’avventatezza del mio gesto, forse è la musica che ci fa da
sottofondo, non lo so… l’unica cosa che so è che lei è la sola cosa che voglio
nel mio futuro. Grace è la sola cosa che sono sicuro di volere.
La mia sorprendente Grace, penso, facendo correre il dorso
dell’indice sui suoi lineamenti addormentati. Ti amo, Grace.
Capitolo 38 *** 38. Wonderful Night [Fatboy Slim] ***
6.
Primo
novembre.
Mi chiedo
perché Brian abbia scelto proprio questa data per l’inizio di questo mini-tour
di promozione del disco. Disco che ha già venduto centinaia di migliaia di
coppie in tutto il mondo. Ancora non riesco a credere a tutto questo successo. È
dannatamente diverso da tutto ciò che ho vissuto finora: forse dipende dal
fatto che sono innamorato, forse dipende dai cambiamenti che sono avvenuti
nella mia vita, forse dipende dal fatto che sto per compiere trent’anni… non lo
so. Non so da che cosa dipenda, fatto sta che la mia vita è cambiata. La mia
vita è cambiata, e fatico a credere che si tratti ancora della mia.
Prima tappa:
Los Angeles.
Poi, a
seguire, Seattle, Chicago, Filadelfia, Denver, Miami e New York.
Sette città
per promuovere il mio disco.
Brian ha
progettato tutto nei minimi dettagli: a New York avrò per me tutto il Rockefeller
Center. Non riesco a crederci: ci ho cantato solo una volta, e si trattava di
una sola, dannatissima canzone. Non era un concerto vero e proprio. A volte penso
che il mio agente me la stia facendo pagare per quando gli ho dato buca per
andare da Grace a Parigi. Ma dannazione, qualsiasi uomo avrebbe scelto la
propria ragazza, invece di una cena di lavoro!
Brian mi ha
chiesto di pensare ad un superospite per il concerto a New York. Che domande…
come se potessi volere qualcuno di diverso da Michael Bublé.
Mancano pochi
minuti alla mia entrata in scena su questo palco.
Fa freddo,
dannatamente freddo, ma so che lo dimenticherò non appena sentirò gli applausi.
Questa mini
tournée è durata più di un mese, e mi ha veramente distrutto. In compenso, ora
Brian è convinto di essersi vendicato a sufficienza, ed è deciso a lasciarmi il
resto delle feste libero. Niente canti natalizi in giro per l’America,
quest’anno. Anche perché è il primo Natale che passiamo senza papà, e c’è
bisogno di me a casa. Mi dispiace soltanto che Grace non potrà essere con me il
giorno di Natale.
Mi ha fatto
un’incredibile sorpresa, tornando da Parigi con un mese di anticipo, con in mano
il diploma firmato e controfirmato dai titolari del corso. Ora è
un’organizzatrice di eventi professionista, e aspetta soltanto un colloquio di
lavoro. Sta andando tutto per il meglio, e credo che finalmente potrei trovare
il coraggio di chiederle di sposarmi. Se solo non avessi paura di sentirmi
rispondere di no…
Quest’anno
tocca a me azionare l’autoscatto per la tradizionale foto di famiglia. Al
momento di gettarmi ai piedi del divano, faccio un pasticcio, e nella
fotografia si vede soltanto la mia faccia, con dipinta su un’espressione
piuttosto buffa. Ma il resto della famiglia decide all’unanimità che va bene
così. Anche perché, senza papà a darci le direttive, anche la fotografia di
Natale ha perso valore.
Ripenso
all’album trovato nel bungalow, sotto le assicelle. L’ho prestato ad Allie. Ha
voluto guardarlo da sola. È uscita dalla propria camera da letto con gli occhi
gonfi e rossi di chi ha pianto molto. Non sono riuscito a dire niente, e ho
riportato l’album al bungalow. Bungalow terribilmente deserto, da quando anche
i latrati di Roxy si sono spenti. L’abbiamo seppellita nel cimitero degli
animali, con il suo osso di gomma completamente mordicchiato e il suo
guinzaglio preferito. Stella è convinta che anche lo spirito di Roxy vaghi
ancora sulla terra, come quello di papà. Non so se darle retta: insomma, non so
molto sull’aldilà dei cani.
Mettiamo
Stella a letto alle undici, convincendola che solo così Santa Claus si farà
vivo. Allie e la mamma sono in cucina a rigovernare, mentre Alex e Gary completano
una partita di monopoli in salotto. In un angolo, accanto a una finestra,
Christine e io guardiamo fuori, sperando di vedere un fiocco di neve
volteggiare sulla città.
“Sai, non
sembra nemmeno Natale, senza la neve” sospira.
“Mi ricordi
l’incipit di ‘Piccole Donne’, sai?”
“Hai letto
‘Piccole Donne’?”
“Per scuola”
rispondo in fretta.
Sorride.
“Non dirmi bugie, zio Josh. Lo sai che sono l’unica che le sa smascherare.”
“Beh, è un
bel libro” ammetto. “Un classico della letteratura americana. E comunque anche
tu non sai tenere segreti con me. Che è successo?”
“Che cosa
dovrebbe essere successo?”
“Non lo so,
ma qualcosa deve essere successo. È
tanto tempo che non ti vedo sorridere così.”
Arrossisce appena,
tornando a guardare fuori. Il modo in cui cerca di evitare i miei occhi mi
ricorda tanto Lucy. Mi chiedo chi sia il fortunato che recita la parte di Josh,
in questo strano remake.
“Si chiama
Jake” mi confessa, a bassa voce. “Ma non dire niente a nessuno.”
“Hai la mia
parola” prometto solennemente.
“Dei ragazzi
avevano appeso del vischio, a scuola. Ma gli insegnanti lo hanno fatto
togliere. Lui ne ha conservato un rametto, e durante la ricreazione si è
avvicinato, mi ha chiesto se poteva parlarmi, e…”
“…ha fatto
dondolare il vischio sulle vostre teste e ti ha…”
Annuisce,
impedendomi di terminare la frase. Vedo ancora i suoi occhi brillare. Mia
nipote ha ricevuto il suo primo bacio, e io sono felicissimo per lei. Forse,
dopotutto, i miei nipoti avranno un’adolescenza migliore della mia. E non posso
che gioirne.
***
Natale con i
tuoi, Capodanno… con chi ami.
Potremmo
sintetizzare così le nostre feste, io e Grace. Lei ha trascorso il Natale a
Denver con sua madre, il suo patrigno e i tre fratellastri con tanto di
famiglia, ma il Capodanno è una questione privata. Il Capodanno riguarda me e
lei, e lo trascorreremo… a casa. Tre giorni soltanto per noi. Tre giorni che
trascorriamo trascinandoci stancamente dal letto alla cucina. Può sembrare
banale e scontato, ma è la vacanza più bella che mi sia mai concesso.
A casa mia,
con la donna che amo, aspettando il momento giusto per chiederle di diventare
mia.
I’ll be your
dream, I’ll be your wish, I’ll be your fantasy…
Le prime
note di ‘Truly Madly Deeply’ – che ho appena eletto
suoneria della settimana – mi distraggono dalla lettura del nuovo numero di Rolling Stone: uffa, proprio adesso che
avevo trovato un articolo a proposito del mio album. Mentre mi chiedo chi possa
essere il seccatore, riconosco il numero che mi sta chiamando. E sorrido.
“Ciao, Brian.”
“Ti è
arrivata la rivista?”
“Sapevo che
eri stato tu. Non mi sembrava di essermi abbonato a…”
“Pagina 41,
svelto” mi interrompe.
Lancio
un’occhiata fugace alla rivista. “Ci ero appena arrivato, ma…”
“Hai letto?”
“Stavo per farlo” ribadisco, “ma poi mi
hai chiamato. Brian, vorresti spiegarmi…”
Sospira.
Piuttosto rumorosamente. Scommetto che si sta anche strofinando gli occhi. “E
allora leggi. Veloce. Ti aspetto in linea.”
Obbedisco,
trovando un po’ inquietante il fatto che mi controlli anche mentre sto
leggendo.
“Wow” è il
mio commento, pochi minuti più tardi. “Brian, qui dicono che è il mio album
migliore. Migliore anche di ‘Awake’. Dicono che è un album maturo, pieno di
ottimi riferimenti artistici e privo di sbavature.”
“Esatto”
conferma.
“E che vuol
dire?”
“Vuol dire
che è piaciuto, Josh. È piaciuto al pubblico ed è piaciuto alla critica, e sai
che non succede spesso. Sono tutti soddisfatti.”
Non posso
fare a meno di sorridere. “Sono contento.”
“Sono
contento anch’io, Josh. E c’è di più. Mi hanno chiamato dalla redazione della
rivista. Vogliono un’intervista con te.”
“Stai
scherzando, vero?”
“Niente
affatto.”
“Perché
vogliono un’intervista con me?”
“Perché vai
forte. Perché sei in gamba, hai appena pubblicato il disco migliore della tua
carriera. Perché sono dieci anni che ti ignorano, e finalmente hanno capito di
aver sbagliato.”
“Dici che
dovrei accettare?”
“Non spetta
a me decidere, Josh.”
“Brian, sei
il mio agente. Di solito sbavi per pianificarmi la vita.”
“Beh, forse
ogni tanto dovrei lasciarti un po’ più di libertà.”
Mi piace
questo nuovo Brian. Insomma, non è che l’altro non mi piacesse, ma… sembra
diventato più umano.
“Ok, ci sto.
Ma ad una condizione: non voglio che sia fatta qui a casa. E nemmeno in studio.
Voglio che sia fatta in un luogo… neutro.”
“Va bene,
vedrò di accontentarti. Ti va bene domani pomeriggio?”
“Perfetto”
rispondo, sicuro di me stesso.
Wow. La mia
prima intervista con la più importante rivista di musica del mondo.
Capitolo 41 *** 41. Strange Things [Randy Newman] ***
6.
Brian è
stato davvero geniale nell’organizzare questo incontro: è riuscito a convincere
quelli della rivista a optare per un caffè su Sunset Boulevard. Così ora me ne
sto in un separé ad aspettare il giornalista, sorseggiando il mio caffè,
cercando di apparire serio e professionale, ma nello stesso tempo gentile e
accomodante.
Ma non
riesco ad apparire né serio né professionale, quando davanti a me si presenta
Lucy. Lucy, la mia prima ragazza. La prima ragazza che abbia baciato. La prima ragazza
con cui abbia fatto l’amore. È più bella di quanto la ricordassi: i suoi occhi
sono più verdi che mai, e porta ancora lo stesso taglio di capelli di tredici
anni fa.
“L-lucy
Hatcher? Sei tu?”
Sorride.
“Sono così cambiata?”
“Lucy, tu…
oh, lascia che ti abbracci!”
Risponde al
mio abbraccio con la stessa intensità con la quale la stringo io, poi ci
sediamo l’uno di fronte all’altra.
“Da quanto
fai la giornalista?”
“Praticamente
dai tempi dell’università, ma mi hanno assunta a Rolling Stone soltanto un anno fa. E tu rappresenti la mia prima
intervista.”
“Wow. Beh,
questa è la prima volta che Rolling Stone
mi intervista, quindi è un primato per entrambi.”
“Già. Ehi,
da quanto non ci vediamo? Tredici anni?”
“Confermo.
Ti sei trasferita alla fine del liceo, quindi… sì, sono tredici anni.”
“Ne hai
fatta di strada… ranocchia.”
“Ehi, ti
proibisco di usare quel soprannome con me!” la ammonisco.
“Scusi,
Vostra Altezza. Non pensavo che ricordare i tempi del liceo fosse proibito”
scherza. “Allora, che hai combinato in questi anni, oltre a diventare una
star?”
“Beh, i miei
genitori hanno divorziato altre due volte. E altrettante volte si sono
risposati. Mia sorella è felicemente sposata, ha tre figli fantastici e
gestisce un negozio di dischi con suo marito.”
“Wow. Avete
fatto della musica una ragione di vita, eh?”
“Già. Ehi,
vogliamo iniziare questa intervista?”propongo.
***
“Perché hai
scelto ‘Amazing Grace’ come titolo? E, più in generale, perché hai scelto di dare
al tuo nuovo disco il titolo di una grande canzone del passato?”
“In tutta
sincerità, non lo so. Mi piaceva l’idea di dare spazio ad un grande brano del
passato, qualcosa che nessuno canta mai… e poi mi sono detto che intitolare l’album
a quella canzone sarebbe stato il modo migliore per pubblicizzare il pezzo.”
Sorride. “Non
hai risposto alla prima domanda.”
“Ci sarei
arrivato subito, se miss Ho-Fretta-Di-Scrivere-Un-Meraviglioso-Articolo non
corresse tanto” la prendo in giro. “Comunque, ho scelto ‘Amazing Grace’ perché…
beh, è una dedica speciale.”
“Questo lo
so. Ho letto i ringraziamenti e le dediche. E sono un essere pensante. E leggo
ancora le riviste di gossip e cinema.”
“Se sai a
chi è dedicata, perché me lo stai chiedendo?”
“Perché mi
pagano per farlo.”
Sbuffo,
divertito. “Si chiama Grace, e…”
“…e ha
cambiato la tua vita.”
Annuisco.
“Come vi
siete conosciuti?”
“Ehi, è un’intervista
sul mio nuovo album, non sulla mia vita personale.”
“Non finirà
nell’intervista.”
“Su un
aereo. È stato un incontro casuale.”
“Non ci
credo. Vi siete conosciuti in aereo?”
“Mi sono
seduto al suo posto, per sbaglio. E poi ci siamo accorti di avere posti vicini.”
“Non riesco
a credere che tu sia riuscito ad attaccare bottone con una sconosciuta. Insomma,
il Josh che conoscevo non ci sarebbe mai riuscito…”
“Beh, forse
sono un pochino cambiato.”
“Tredici
anni…” sospira. “Ne abbiamo passate così tante, tu ed io…”
“Già”
sussurro. Dopo tantissimo tempo, mi ritrovo a pensare ad ogni istante che ho
condiviso con lei. Lucy Hatcher e Josh Groban: quando ci mettemmo insieme, al
liceo, nessuno ci prese sul serio. Eravamo troppo strani persino per stare
insieme. Infatti, all’inizio fu una specie di gioco, per dimostrare a tutti
quanti che eravamo esattamente come gli altri, che… ah, non so che cosa
volessimo dimostrare. Comunque, con il passare del tempo, il gioco si fece
serio, e scoprimmo di essere davvero attratti l’uno dall’altra. Stavamo bene,
insieme. Lucy Hatcher e Josh Groban… a tratti mi viene quasi da sorridere. Quasi,
perché poi mi rendo conto che quella con Lucy è stata la storia più importante
che abbia mai avuto. Escludendo la mia attuale storia con Grace.
“Josh…”
riprende Lucy, a bassa voce, giocherellando con il cucchiaino. “Ho saputo di
tuo padre.”
Annuisco. “E’
lui il motivo per cui ho finito l’album con due mesi di anticipo. I medici non
sapevano quanto tempo gli rimanesse, ma io volevo che sentisse le nuove canzoni
il più presto possibile.”
“Scommetto
che era fiero di te.”
Annuisco. “Le
canzoni gli sono piaciute tutte, nessuna esclusa. Sono io ad essere fiero di
lui.”
Rilassa la
schiena. “Le canzoni sono tutte meravigliose, Josh. Dunque, abbiamo detto che ‘Amazing
Grace’ è dedicata alla tua attuale fidanzata. Lo è anche ‘My Soul’s Mirror’?”
“No. ‘My
Soul’s Mirror’ l’ho scritta apposta per lei” rettifico.
“Wow. Potrei
essere gelosa. A me non hai mai scritto una canzone.”
“Ci siamo
lasciati prima che potesse accadere. Comunque sono amico di Michael Bublé,
adesso. E lui è tornato single da poco.”
“Non ci
stava provando con Katherine Heigl?”
“Finzione
scenica” confesso. “Se vuoi ti organizzo un appuntamento.”
Scoppia a
ridere. “No, grazie. Sono perfettamente in grado di rimediarmi un uomo da sola.
Anzi…”
“Anzi?”
Abbassa la
testa, e noto che le sue guance si colorano appena. “Ok, forse non è il momento
esatto per dirlo. Insomma, ci siamo appena ritrovati dopo tredici anni di
niente, ma… Josh, mi sposo!”
“Lucy, è fantastico!
Quando… da quanto… chi è lui?”
“Oh, non lo
conosci. L’ho conosciuto poco dopo essermi trasferita in Europa. Ci siamo
incontrati a scuola. Eravamo tutti e due nella stessa classe.”
“Non dirmi
che è uno di quei francesini tutti…”
Scuote la
testa e ride. “No, è tedesco. Si chiama Joachim, e fa il violinista.”
“Ehi, sei
fissata con i musicisti, allora!”
“Parrebbe di
sì. Usciamo insieme soltanto da un paio d’anni, dopo essere stati amici per un
sacco di tempo.”
Improvvisamente,
provo qualcosa che un occhio male allenato potrebbe scambiare per gelosia. In realtà
è solo una presa di coscienza: mi sono improvvisamente reso conto che siamo
stati presenti l’uno nella vita dell’altra per qualcosa che corrisponde a meno
della metà dell’intera durata della nostra esistenza, e… e ho appena scoperto
che esiste un uomo che ha fatto parte della vita di Lucy per più tempo di me.
“Lucy
Hatcher si sposa con un violinista tedesco. Wow. Questo sì che farebbe crepare
d’invidia le cheerleader della nostra scuola!”
“Dai, non
fare il cretino. Che mi dici di… Grace Thomas?” mi chiede, sorseggiando il suo
caffè dopo aver sbirciato i propri appunti.
Non riesco a
trattenere un sorriso. “Beh, la conosco da quasi un anno. Stiamo insieme da
dieci mesi.”
“E?”
“E… sto
seriamente pensando di chiederle di sposarmi.”
“Wow. Glielo
chiederai prima o dopo la notte degli Oscar?”
“Che c’entra
ora la notte degli Oscar?”
“Beh, tu… un
momento, il tuo manager non ti ha ancora detto nulla?”
Credo di
avere un’aria sconvolta. “Che cosa avrebbe dovuto dirmi Brian?”
“Beh, che
sei… che sei tra i cinque candidati per la Miglior Canzone, con ‘Your Love’” mi
informa Lucy, con la stessa calma di un bradipo. “Non dirmi che non lo sapevi,
perché non ci credo.”
“No, in
effetti non lo sapevo” ammetto, ancora sotto shock. “Candidato all’Oscar?”
“Beh,
tecnicamente è la canzone ad essere candidata” mi corregge Lucy. “Però lo è la
tua versione, quindi… sì, sei tu ad essere candidato.”
Finisco il
mio caffè, senza parlare. Poi la guardo e sorrido. “Ma io mi accontentavo di un
Grammy.”
Capitolo 42 *** 42. Una Canzone D'Amore [Max Pezzali] ***
6.
Brian
continua a lavorare imperterrito, quasi senza calcolarmi. Finalmente, dopo aver
capito che non può continuare ad ignorarmi, lascia cadere la penna, si rilassa
sulla sedia e si stropiccia gli occhi con una mano. “Josh, credimi, stavo per
dirtelo, ma poi ho pensato che l’intervista con Rolling Stone dovesse essere la tua priorità.”
“Ma non ti è
venuto in mente che mi avrebbero potuto chiedere qualcosa in proposito? Come poi
in effetti è successo?”
“Hai
ragione, Josh. Ammetto che è stata una cazzata non informarti subito.”
“Da quanto
lo sapevi?”
“Una
settimana. Ehi, però di solito la gente si incazza quando non viene nominata, non quando lo è.” Fa una pausa, durante la
quale mi studia attentamente. “In ogni caso, se non sei troppo arrabbiato con
me, c’è un’altra cosa che voglio dirti.”
“Da quanto
la sai?”
“Da
stamattina” risponde, un po’ piccato. “Comunque, l’Academy ha richiesto la tua
presenza anche come ospite.”
“Come
ospite? Nel senso che canterò?”
“Esatto. Quindi
si tratta soltanto di scegliere una canzone da eseguire. Anche se mi hanno
fatto capire che vorrebbero sentire ‘Caruso’. Dicono che la tua versione sia la
migliore, subito dopo quella di Pavarotti.”
Mi sento
arrossire. “Beh, se è quello che vogliono, va bene. Tanto non saprei cosa
scegliere.”
“Ok, allora
confermo. E poi ci sarebbe un’altra cosa.”
“Parla.”
“Vorrebbero
che presentassi un premio.”
“Io?
Presentare un premio? Quale?”
“Sono
indecisi. ‘Miglior Montaggio’ o ‘Miglior Sceneggiatura Originale’. In ogni
caso, presenteresti insieme a Zach Braff.”
“Zach Braff?
Non scherzare… quel ragazzo è fortissimo!”
Brian
sorride. “Ne deduco che posso confermare la tua disponibilità.”
“Certo! C’è
qualche altra notizia di cui devo essere informato?”
“No, per
oggi siamo a posto così.”
Prendo le
mie cose e lo saluto. Sto per andarmene, ma proprio sulla porta mi fermo e mi
volto verso di lui. “Ehi, Brian. Mi dispiace per come ti ho trattato prima. E scusa
se sono entrato come una furia, ma…”
“No, Josh. Hai
perfettamente ragione. Il mio lavoro è quello di curare i tuoi interessi, ma il
modo migliore per farlo è tenerti informato di tutto.”
***
Casa di Josh Groban.
Camera da letto.
Interno, notte.
Uno sceneggiatore
descriverebbe così questo momento. Io e Grace, abbracciati sotto le coperte,
così stretti che basterebbe un letto singolo. Faccio scorrere due dita tra i
suoi capelli, che adoro. Si muove appena, spostando impercettibilmente la sua
mano, appoggiata al mio petto.
“Sei felice?”
“Chi non lo
sarebbe? Insomma, una nomination all’Oscar non capita tutti i giorni.”
Sorride. Anche
se non la sto guardando, so che sta sorridendo. Sembra incredibile, ma io
riesco a sentire i suoi sorrisi. Come
se fossero musica, come se fossero composti da note, come se si potessero
suonare. “Ma anche tu hai fatto il colpaccio, non c’è che dire.”
“Sì, ho
davvero avuto un colpo di fortuna. Non credevo che i miei insegnanti di Parigi
avrebbero messo una buona parola per me. Cavolo, responsabile degli effetti
visivi per la cerimonia di consegna dell’Academy Award.”
“Potrebbero
chiamarti per un film” osservo. “Potresti vincerlo tu un Oscar, un giorno. E
magari sarei io a consegnartelo.”
Rido anch’io.
“E’ una possibilità, cara la mia Grace.”
La sento
stringersi di più a me. “Ti amo, Josh.”
“Lo so.”
Mi guarda di
traverso. “Che…”
“Volevo dire
che anch’io ti amo” mi affretto ad aggiungere, prima che possa iniziare ad
insultarmi. “Senti, Grace” riprendo, serio, dopo un minuto di silenzio, “stavo
pensando…”
“Perché,
pensi?”
“Dai, non
prendermi in giro. È una cosa seria.”
“Ti ascolto.”
“Ricordi
quello che ti ho detto prima che tu partissi per Parigi?”
“Intendi
dire quando mi hai praticamente chiesto di vivere insieme?”
“Esattamente.
Ecco, io ho pensato molto in proposito, e…”
“…e hai
deciso di ritirare l’offerta?”
“Hai
intenzione di lasciarmi finire almeno una frase?”
“Scusa.”
“Beh, ecco,
io stavo pensando… che si potrebbe rendere la cosa ufficiale.”
“Ufficiale? In
che senso?” domanda, tirandosi su e guardandomi come se avessi appena detto che
Obama è cinese.
“Beh, nel
senso che… mi piacerebbe presentarti come mia moglie.”
Continua a
guardarmi come se stessi parlando una lingua sconosciuta.
“Ok, lo so
che avrei dovuto mettermi in ginocchio e porgerti un anello, ma… accidenti, mi
sarebbe sembrata una cosa troppo finta. Però ce l’ho, un anello da darti.”
“Josh…”
“E se vuoi
dirmi di no, va bene, non mi arrabbierò. Ok, ci resterò…”
“Josh, taci
e ascoltami.”
“Ok.”
“Josh, da
quanto tempo stavi pensando di chiedermelo?”
“Non saprei.
Un paio di settimane.”
“E perché me
lo stai chiedendo adesso?”
“Non lo so. Sento
che è giusto così.”
“Josh…”
sospira.
“Non
importa, Grace. So che non hai mai creduto molto nel matrimonio, quindi
capisco.”
“Non è
questo, Josh. È che… non lo so, stanno succedendo tante cose. E stanno
succedendo tutte adesso. Non so se
posso affrontare tutto insieme. Forse potremmo riparlarne tra… tra qualche mese,
oppure…”
“Tranquilla,
Grace.” Interrompo il flusso di parole prendendole la mano. “Succederà quando
sarà il momento.”
Sorride, e
riappoggia la testa sul mio petto. A lei ho detto di stare tranquilla, ma io
non riesco a darle il buon esempio.
Capitolo 43 *** 43. I Bambini Ci Guardano [Pooh] ***
6.
Sono passati
due giorni da quando Grace mi ha respinto. Ok, lo so che tecnicamente non è
stato un vero e proprio rifiuto, ma ai miei occhi lo è. Insomma, lei ha solo
detto che dovremmo stare attenti a non correre troppo, e nonostante anch’io la
pensi così, non riesco a convincermi che rallentare il passo sia la cosa più
giusta da fare per noi.
Brian ha
deciso di concedermi un’ultima settimana libera, prima di ritornare attivamente
al lavoro. E, non lo nascondo, ci sarà parecchio da fare: un tour da
organizzare, provare il brano per la notte degli Oscar, apparizioni in tv,
interviste… a volte vorrei davvero essere rimasto un pinco pallino qualunque.
Tuttavia, la
mia settimana di vacanza non è affatto priva di musica: è in momenti come
questo che cerco di ampliare le mie conoscenze in materia, per tentare di
essere un artista migliore. Sono alle prese con ‘Secret Samadhi’, un vecchio
album dei Live, quando ‘Juliet’ dei LMNT – nuova suoneria della settimana – mi informa
di una chiamata in arrivo.
“Ciao,
fratellino. Disturbo?”
“Allie,
ciao. No, non mi disturbi affatto. Va tutto bene?”
“Sì, tutto
ok. Beh, in realtà no. avrei bisogno di un favore.”
“Dimmi
tutto.”
“Devo andare
a una riunione alla scuola di Christine, Alex ha una partita e Gary deve andare
al negozio. Non è che potresti andare a prendere Stella a scuola e stare con
lei per un paio d’ore?”
“Certo,
nessun problema. A che ora esce da scuola?”
“Alle tre.”
“Ok, non ti
preoccupare. Penso io a lei.”
“Grazie,
fratellino. Sei un vero tesoro. Ti devo un favore.”
Sorrido e
riaggancio. La prospettiva di un pomeriggio con la mia nipotina di otto anni mi
va a genio.
***
“Zio Josh!”
esclama Stella, riconoscendomi e arrampicandosi letteralmente sulle mie
braccia.
“Ehi, si può
sapere come hai fatto a riconoscermi?” le domando, indicando il berretto, la
sciarpa e gli occhiali dietro i quali mi sono trincerato.
“Oh, zio
Josh, non crederai davvero di poter
fregare qualcuno?” afferma, scuotendo la testa come ad indicare che sono uno
scemo.
Mi rendo
conto soltanto in questo istante di quanto siano ricci i suoi capelli e di
quanto siano scuri i suoi occhi. La somiglianza tra noi è davvero
impressionante. “Ho capito, sarei un pessimo investigatore privato” ammetto,
mettendola giù e camminando con lei fino all’auto.
“Sì, temo
proprio che sia così” conferma, issandosi sul sedile posteriore e allacciando
la cintura di sicurezza. “Allora, dove mi porti di bello?”
“Beh, per
oggi avevo in programma di lavorare, ma visto che ci sei tu, ho deciso di fare
un po’ di pulizia nella casetta sulla spiaggia. Ci stai?”
***
Il bungalow
di mio padre è diventato una sorta di pensatoio, per me, il che significa che
ci vado abbastanza spesso. Però voglio comunque mettere via le cose di mio
padre… almeno finché non avrò le idee più chiare sul mio futuro. O meglio,
finché non avrò uno straccio di idea sul mio futuro. Dopo un’ora e mezza di
intenso lavoro, suggerisco a Stella di fare una pausa e uscire a sgranchirci le
gambe.
La brezza di
metà gennaio non ci ferma, anzi: in riva al mare sembra fare addirittura più
caldo. Sollevo Stella e me la sistemo sulle spalle, e inizio ad arrancare lungo
la spiaggia: siamo fermamente decisi a raggiungere il chiosco per una
cioccolata calda, e nulla potrà distoglierci dai nostri propositi.
“Sai, zio,
qui non è male.”
“Ti piace?”
Annuisce. “Capisco
perché il nonno passava tanto tempo qui.”
“Beh, ognuno
di noi ha bisogno di un posto tranquillo dove poter pensare. Questo era il
posto tranquillo del nonno.”
“E adesso è
il tuo posto tranquillo.” Non è una domanda, è una semplice constatazione.
“Sì, adesso
è il mio posto tranquillo.”
“Zio Josh”
mi interroga, dopo qualche attimo di silenzio, “a che cosa pensi, quando vieni
qui?”
Aspetto
almeno trenta secondi, prima di risponderle. “A tante cose.”
“Non è una
risposta.”
“A volte ci
vengo quando ho bisogno di concentrarmi su una canzone, o quando il mio manager
mi fa arrabbiare.”
“Mi piace il
tuo manager. Sembra simpatico.”
Sì, certo. Ti lascio dieci minuti da sola con lui, poi
vedremo se ti piacerà ancora tanto.
“Zio Josh?”
“Sì?”
“Mamma dice
che il nonno e la nonna si volevano bene.”
“Tua madre
ha ragione.”
“Ma se si
volevano tanto bene, perché stavano lontani?”
In questi
momenti detesto mia nipote. Sa essere molto più tagliente di Christine, quando
vuole. “Beh, ecco… a volte due persone, anche se si vogliono bene, non possono
sempre stare vicine, perché… beh, è complicato.”
“E’
complicato. Ma perché voi grandi dite sempre così?”
“Perché è
vero” rispondo, sorridendo.
Segue un
altro lunghissimo minuto di silenzio, poi… “Zio?”
“Sì?”
“Tu vuoi
bene a Grace?”
“Che razza
di curiosa…”
“Ehi,
chiedevo soltanto! Allora, le vuoi bene?”
“Sì, Stella.
Voglio molto bene a Grace.”
“E allora
perché non vi sposate?”
“Beh, per
certe cose ci vuole tempo.”
“Ci vuole
tempo…” ripete, soppesando le parole. “Ma perché voi grandi dite sempre così?”
Mentre
raggiungiamo il chiosco, un pensiero mi attraversa la mente. Che razza di
esempio stiamo dando a questa bambina? Mentre Stella attacca la sua cioccolata
calda con la voracità di un orso bruno, io appunto un paio di frasi su un
tovagliolino.
“Look back with
anger, look back those days when you were a child, look back those days when
you were happy” legge Stella, dimostrandosi molto brava nella lettura al
contrario. “Che significa?”
“Significa
che io e te dovremmo passare più tempo insieme.”
***
Uscendo dal
chiosco, ci stringiamo nel cappotto. L’aria si è fatta più fresca di quando
siamo entrati.
“Ehi, zio,
avevi mai visto che qui vicino c’è un canile?”
“No, non ci
avevo mai fatto caso.”
“Possiamo
farci una visitina? Per favore…” mi implora, guardandomi con i suoi enormi
occhioni scuri.
“E va bene…”
cedo, dopo qualche minuto. “Ma sai benissimo che tua madre non vuole animali in
casa. Ha già tre bestioline, è più che sufficiente.”
Stella si
aggira tra i piccoli recinti con aria estasiata. L’impiegata del canile, una
ragazza piuttosto carina, sui venticinque anni, non la smette di togliermi gli
occhi di dosso. La trovo piuttosto inquietante, in effetti. Finalmente, dopo
qualche minuto, mi rivolge la parola.
“Ama molto
gli animali.”
“Come,
scusi?”
Sorride. “Sua
figlia. Ama molto gli animali.”
“Oh, non è
mia figlia” mi affretto a precisare. “E’ mia nipote.”
“Ah… beh, le
assomiglia molto, e allora ho pensato… ho pensato che una bambina così bella
potesse essere figlia di un uomo bello come lei.”
Sono indeciso
se arrossire o darmela a gambe. Impossibilitato a fare entrambe le cose,
abbozzo un sorrisetto e mi avvicino a Stella. “Stella, tesoro, dobbiamo tornare
a casa. Tra poco tua madre verrà a prenderti.”
“Oh, zio,
guarda quel cucciolo!” esclama, fingendo di ignorarmi. “Non è bellissimo? Sembra
così piccolo e indifeso… non possiamo lasciarlo qui.”
Osservo il
cucciolo che mi sta indicando. Sembra un incrocio tra un Terranova e un
Labrador, e… Stella ha ragione. È assolutamente meraviglioso.
“Stella, hai
ragione, è bellissimo, ma ti ricordi? Tu non puoi tenerlo.”
“Oh, io no.
Ma tu sì. A Grace piacerebbe?”
L’impiegata,
che nel frattempo si è accostata a noi, sorride. “Chi è Grace, tesoro? La tua
sorellina?”
“No, è la
sua fidanzata” ribatte prontamente Stella, indicando me.
“Oh” è la
risposta, un po’ delusa, della ragazza.
“Stella, io
non credo…”
“E dai, zio.
E se anche a Grace non piacesse, potresti tenerlo a casa del nonno.”
Non fa una
piega. E io non riesco più a staccare gli occhi da questo cagnolino. Stella mi
ha contagiato.
“Possiamo
averlo?” chiedo alla ragazza, indicando il cane.
“Certo. Per l’adozione
è sufficiente un documento d’identità, e versare due dollari.”
Quando esco
dal canile, in una mano stringo quella di Stella, e nell’altra tengo al
guinzaglio Maverick. Chi avrebbe potuto pensare che mia nipote fosse una fan di
Tom Cruise e “Top Gun”?
Sono lieto
di constatare che, nonostante l’addolcimento – dovuto ad un motivo a me ancora
sconosciuto –, in fondo Brian resta sempre lo stesso. “E quello che sarebbe?”
“Oh, beh, un
incrocio tra un Terranova e un meticcio. Il Terranova era il padre. La madre,
invece, era un incrocio tra un Labrador e…”
“Non mi
interessa la sua genealogia. Voglio sapere perché c’è un cane qui.”
“Non potevo
lasciarlo solo. L’ho preso da pochi giorni.”
Brian
sospira e si stropiccia gli occhi. Come sempre, quando non sa se prendermi a
schiaffi oppure ignorarmi. Per fortuna, interviene Hub. “Sai, Brian, è davvero
beneducato, per essere un cucciolo.”
“Ho capito,
ho capito. Va bene, il botolo resta.”
D’istinto,
sorrido, poi cerco di limitarmi. Brian potrebbe non approvare.
“Mi auguro
che se ne stia buono, mentre lavoriamo.”
“Beh, la
musica gli piace. Ho passato tutto il weekend a lavorare e la cosa non gli ha
dato nessun fastidio. A proposito, avrei un’idea per un pezzo nuovo. È solo una
bozza, ma…”
“Ok, ok,
sentiamola. No, cazzo, non posso. Devo fare una telefonata urgente.”
“Chi devi chiamare?”
gli chiede Humberto.
“Uno dello
staff dell’Academy, per il pezzo di Josh. Hugh… Maverick, o qualcosa del
genere.”
Nel sentire
quel nome, il cucciolo scatta in piedi e abbaia un paio di volte.
“Cazzo,
Josh, non avevi detto che se ne stava buono e zitto?”
“Beh,
pensava che lo stessi chiamando. Hai detto il suo nome.”
“Si chiama
Hugh?”
“No,
Maverick.”
“Hai
chiamato il tuo cane Maverick?”
Faccio
spallucce. “Tecnicamente è stata mia nipote di otto anni.”
Humberto
sorride. “Come il personaggio di Tom Cruise in ‘Top Gun’?”
“Esatto.”
Brian se ne
va borbottando. Le uniche cose che riesco a capire sono “…tutti pazzi…” e “…matto
anch’io…”.
***
Due ore più
tardi, mentre stiamo provando dei nuovi arrangiamenti per ‘Caruso’, vediamo
tornare Brian. Aspetta pazientemente che finisca, poi si avvicina.
“Allora,
Wagner, che dicevi di quella nuova idea?”
“Beh, è solo
una cosa che ho abbozzato. Ci ho lavorato un po’ su questo weekend, ma...”
“Beh, fammi
sentire, no? O aspetti che assorba lo spartito per osmosi?”
“O-ok,
certo.”
Mi metto al
pianoforte e mi scaldo con un paio di accordi. Maverick balza sullo sgabello e
si mette seduto accanto a me. Sento Brian sillabare: “Impossibile… è
impossibile…”
Sorrido e
accarezzo Maverick, poi torno allo spartito.
“Com’è il
titolo?” mi chiede Brian.
Hub risponde per me. “Look Back With Anger.”
“Come il dramma
di Osborne?”
Con la coda
dell’occhio, vedo Hub annuire, poi inizio a suonare.
Come sempre,
le mie dita iniziano a scorrere senza impedimenti sulla tastiera bianca e nera,
come se fossi nato su questo sgabello, come se non avessi fatto altro per tutta
la mia vita. E quando inizio a cantare, anche se ciò che eseguo è soltanto una
bozza, una sensazione familiare mi avvolge, prendendomi allo stomaco e
risalendo fino al cuore.
“Look back with
anger, look back those days when we were children, look back those days when we
were happy… look back and see how much your life’s changed, look back and
forgive yourself, ‘cause all you were has been canceled and can’t come back…”
Concludo con
qualche accordo deciso all’ultimo, poi mi preparo ad accettare le critiche di
Brian.
“Da quand’è
che sei diventato così profondo, tu?”
Sorrido e
alzo le spalle. “Ho solo passato un pomeriggio con mia nipote.”
“Beh, ti
consiglio di replicare, ogni tanto. Ti fa bene.”
“Tra l’altro,
è una tua fan.”
“Ottimo.
Ottimo davvero.”
Ottimo. Già.
Mi volto verso Maverick e per un attimo mi perdo nei suoi occhioni tristi. Gli gratto
la testa, e mi ritrovo a pensare che è davvero tutto ottimo… ma che ancora non
è come vorrei.
*Look Back With Anger = non esiste una
canzone con un titolo simile, nel repertorio di Josh. Il titolo e le citazioni
sono frutto della mia fantasia (leggi: follia). Il titolo è ispirato all’opera
teatrale omonima del drammaturgo John Osborne, più conosciuta nel nostro Paese
con il titolo ‘Ricorda Con Rabbia’.
Capitolo 45 *** 45. Se La Gente Usasse Il Cuore [Andrea Bocelli] ***
6.
Non vedo
Grace da quasi una settimana. Il suo nuovo lavoro la assorbe completamente, e
persino raggiungerla al cellulare è un’impresa. Perciò, un po’ mi stupisce che
sia lei a cercarmi, in questo freddo martedì di fine gennaio.
“Tesoro,
come stai?”
“Ciao, Josh.
Tutto bene. Beh, più o meno… insomma, il lavoro è piuttosto pesante, e… senti,
ho bisogno di parlarti.”
“Ok.
Possiamo vederci stasera, se…”
“Non
possiamo vederci subito? Per favore?”
“Ok. Dimmi
dove sei, ti raggiungo.”
“Ehm, forse
sarebbe meglio che venissi io da te.”
“Come
preferisci. Sono sulla spiaggia.”
La voce di
Grace suonava maledettamente strana, come se… come se stesse cercando di non
scoppiare in lacrime. Come se stesse cercando di reprimere i suoi sentimenti.
Mentre
l’aspetto, porto fuori Maverick, e lo lascio libero di correre sulla sabbia,
giocando con le onde.
***
Grace si
avvicina a passo lento, il bavero del cappotto alzato per proteggersi dal
vento. La saluto con un bacio sulla guancia. “Ehi, vuoi che entriamo? Fa
freddo, qui fuori.”
“No,
restiamo qui. Possiamo… possiamo camminare?”
“Ok, va
bene. Camminiamo.”
Indugiamo
nel silenzio per qualche minuto, poi cerco di capire perché ha voluto che ci
vedessimo.
“Grace… se
non sbaglio volevi parlare.”
Annuisce
impercettibilmente. “Sì, è vero.”
“Beh, ti
ascolto.”
“Josh, io ho
pensato parecchio a… alla tua proposta.”
Non riesco a
trovare una risposta.
“Ne sono
lusingata, Josh.”
La mia
ragazza è lusingata dal fatto che le
abbia chiesto di sposarmi. Ok, questo mi suggerisce che qualcosa davvero non va.
“Ma non
credo sia il momento ideale per parlarne. Insomma, io ho appena avuto questo
lavoro, e sono molto presa, e tu non sei messo certo meglio, e…”
“Grace,
credevo di essere stato chiaro, l’altra sera. Sono disposto ad aspettare. Aspetterò
finché non arriverà il momento giusto.”
Scuote la
testa. “Non dire così, per favore. Rendi tutto più difficile.”
Non riesco a
seguirla. “Grace, che cosa…”
“Josh, credo
che non dovremmo vederci per un po’.”
“Che cosa? Andiamo,
Grace, non puoi dire sul serio…”
“Non sono
mai stata più seria. In questo momento non… non me la sento di gestire una
relazione.”
“Grace,
stiamo insieme da quasi un anno. Non è una relazione appena iniziata, o…”
“Lo so! Credi
che sia facile per me dirti questo?”
Ancora una
volta, non riesco a risponderle.
“Josh, io ti
amo. Non devi pensare che sia cambiato qualcosa tra di noi, perché niente è
cambiato. È solo che… ho bisogno di tempo.”
Tempo. Le serve
solo un po’ di tempo. Il vecchio Josh gliene avrebbe concesso, anche troppo, e
forse a un certo punto si sarebbe dimenticato di lei. Ma questo Josh, che ha visto morire suo padre e che osserva sua madre
cercare di sopravvivere un giorno alla volta, vorrebbe mandare al diavolo
quella sua assurda richiesta. Tempo. Di tempo non ce n’è mai abbastanza.
Accenna ad
annuire, senza parlare, le mani sprofondate nelle tasche del cappotto. “Chiamami,
quando sarai pronta.”
E poi si
volta, prosegue solo lungo la spiaggia.
Maverick lancia
uno sguardo carico di malinconia alla sconosciuta in lacrime, lascia stare le
onde e corre dietro al suo padrone.
Capitolo 46 *** 46. Estranei A Partire Da Ieri [Alessandra Amoroso] ***
6.
È passato un
mese, da quando io e Grace ci siamo detti arrivederci, su quella spiaggia
spazzata dal vento e lambita dalle onde. È passato un mese, da quando mi sono
allontanato con Maverick, lasciandola sola. È passato un mese, e lei non mi ha
richiamato. Ok, è impegnata nella realizzazione di un evento televisivo che
verrà trasmesso in mondovisione, ma avrebbe trovato cinque minuti per
chiamarmi, se avesse voluto. Se solo
avesse pensato a noi. Forse mi ha dimenticato. Forse la nostra storia non è
stata così importante. Scaccio subito quest’ultimo pensiero.
***
È finalmente
giunta la grande serata.
Sono nervoso.
Mi sono
rosicchiato le unghie fino a farmi sanguinare le dita. Non mi accadeva da dieci
anni.
Faccio scorrere
un dito all’interno del colletto della camicia.
“Nervoso?”
mi domanda Brian.
Faccio
spallucce.
“Allora,
ripassiamo. Prima di tutto, sfili sul tappeto rosso con Kathryn Bigelow e il cast
di “The Need Of You”, fotografie, sorrisi e robe simili. Qualche giornalista ti
farà qualche domanda. Hai tre minuti, quindi speriamo che le domande siano
intelligenti. Dopodiché…”
“Dopodiché
entro e raggiungo il mio posto. È a lato della sala, in modo che possa alzarmi
senza fatica e senza dare fastidio. Raggiungo Zach Braff dietro le quinte e
presentiamo insieme il premio per la Miglior Sceneggiatura Originale.”
“Bravissimo.
Una volta conclusa la premiazione, tornate ai vostri posti. Poi…”
“Poi
raggiungo di nuovo il backstage per prepararmi alla mia esibizione.”
“Che sarà
presentata da…”
“Michael Bublè , che avrà appena consegnato il premio per il Miglior
Suono.”
“Esatto. Dopo
la performance e la pioggia di applausi…”
“Raggiungo
il posto che mi è stato riservato accanto a Kathryn Bigelow, e spero che
associno il mio nome alla Miglior Canzone.”
“E chi
annuncerà il tuo nome?”
“Spero che Ethan Hawke e Renée Zellweger
annuncino il mio nome.”
“Perfetto. Ragazzo,
sei pronto.”
Cerco di
sorridere.
“Brian?”
“Sì?”
“Per quella
questione… è tutto a posto?”
“Tutto
sistemato. È bastato distribuire qualche biglietto gratis per il backstage del
tuo prossimo concerto.”
Sorrido
davvero. La corruzione a volte è necessaria.
***
“Da questa
parte, signor Groban! Signora Bigelow, la prego!”
Mi concedo
ai voraci obiettivi dei fotoreporter, e come me anche la regista del film, e le
quattro attrici principali. Sorridiamo, rasentando l’imbecillità, facendo
quello che ci si aspetta da noi: mostrarci belli e invincibili, nonostante il
cuore ridotto in coriandoli.
La stampa
reclama a gran voce una foto di me e Danny Elfman insieme, e non possiamo fare
altro che accontentarli. Poi, all’improvviso, una giornalista mi rapisce.
“Josh
Groban, indubbiamente la stella maschile di questo film. Che cosa ti ha
convinto a partecipare?”
“Beh, la
colonna sonora di un film è indubbiamente l’aspetto che mi attira di più, per
quanto riguarda il cinema. Ma credo sia una caratteristica comune a tutti i
musicisti. Kathryn Bigelow mi ha fatto un’ottima proposta, e non ho potuto
tirarmi indietro.”
“Avevi già
avuto un’esperienza simile nel 2004, con ‘Troy’. Era un’ottima colonna sonora,
composta da James Horner. Perché non fosti candidato?”
“Credo che
questo non lo possa sapere nessuno. Non era destino.”
“Sai di non
essere il favorito?”
Scoppio a
ridere. “No, non lo sapevo. Grazie per l’ottima notizia.”
“Ottima
notizia?”
“Essere
nominato per me è già un gran traguardo. Non so se reggerei il colpo, in caso
di vittoria.”
***
È ufficiale:
Zach Braff è la persona più simpatica che abbia mai incontrato. Subito dopo
Michael, ovviamente. Nessuno è in grado di smorzare la tensione prima della presentazione
quanto lui. Per un attimo, riesco persino a dimenticare che sarò sotto i
riflettori diretti da Grace. Chissà come sta.
Il pubblico
fa un applauso piuttosto sonoro, al nostro ingresso in scena.
“Allora,
Josh…” inizia Zach. “Bella serata, eh?”
“Già. Ehi,
lo sai che mi fa strano sentirmi chiamare per nome da te?”
“Cavolo, hai
ragione. Insomma, da quanto ci conosciamo?”
“Un’ora,
credo. Massimo due.”
“Ehi, è
incredibile come riescano ad ammaestrarti in fretta su quello che devi fare su
questo palco.”
“Davvero. Sono
tutti incredibili, i ragazzi che stanno lì dietro.”
Ci hanno
praticamente obbligati a mettere in piedi qualche scenetta divertente, e a
giudicare dalle risate della platea, direi che ci stiamo riuscendo.
Venti minuti
più tardi, riusciamo finalmente ad annunciare che il premio è stato vinto da un
giovane ai limiti dell’anonimato che ha saputo delineare con fermezza i
contorni del burrascoso rapporto tra due fratelli. Non posso fare a meno di
chiedermi se questo sia l’anno dei conflitti familiari.
***
Rieccomi per
la seconda volta dietro le quinte, mentre un tecnico si assicura che microfono
e cuffie funzionino. Su un monitor di servizio osservo Michael Bublé e Celine
Dion presentare il premio per il Miglior Suono, e non posso fare a meno di
sorridere. Non pensavo che la Dion potesse essere così simpatica, ma forse la
vicinanza di Michael renderebbe simpatico persino un blocco di marmo. Adoro il mio migliore amico.
Mentre i due
presentatori rileggono le candidature, qualcosa mi colpisce alle spalle.
“Ehi, fai
attenzione…” sbotto, voltandomi di scatto.
E rimango
senza parole.
Grace è di
fronte a me.
“Grace…”
“Josh… ciao.”
“Come… come
stai?”
Mentre aspetto
una sua risposta, la osservo. È bellissima. Indossa un tubino nero, scarpe
basse dello stesso colore. I capelli sono stretti in uno chignon, il trucco è…
ma siamo sicuri che si sia truccata? È fatto talmente bene che non si vede. È diversa
dalla mia Grace, ma è lei. E’ la
Grace che amo.
“Bene”
sussurra, distogliendo gli occhi dai miei.
“Non mi hai
mai richiamato.”
“Io… io non…”
balbetta, prima che un direttore di scena mi prenda di peso e mi porti al
limite della scena. Non mi ero nemmeno reso conto che Michael e la Dion
stessero per fare il mio nome.
Respiro
profondamente.
Quella Grace,
quella con l’aria da estranea, è la Grace che ho amato.
È la mia
Grace.
L’unica
donna che sia mai riuscita a sorprendermi.
“Signore e
signori, ho adesso il piacere di presentarvi un artista eccezionale, un uomo
che ho l’onore di avere come amico.”
“Abbiamo già
avuto il piacere di godere della sua vena comica, questa sera, ma ora ci
delizierà facendo ciò che sa fare meglio: musica.”
Michael
sorride. “Signore e signori, il mio migliore amico. Josh Groban.”
Un applauso
accompagna il mio ingresso, mentre saluto Celine Dion con una stretta di mano e
un bacio su entrambe le guance, e Michael con un abbraccio. “E’ tutto vostro,
gente!” esclama Michael, lasciando il palco con la sua partner.
Sistemo il
microfono sull’asta, apparsa come per magia al centro della scena.
Le luci sono
abbassate.
L’ultima eco
degli applausi si spegne, e io mi ritrovo immerso nel buio e nel silenzio.
Chiudo gli
occhi, e davanti ai miei compaiono quelli di Grace.
Prendo fiato,
e faccio un cenno precedentemente concordato con il direttore di scena.
Grace dev’essere
da queste parti. Sono sicuro che non si sia allontanata. Ma anche se lo fosse,
sentirebbe comunque la mia voce.
“Amazing Grace,
how sweet that sound…”
La musica
inizia a riempire ogni spazio.
“I once was
lost, but now I’m found… I once was blind, but now I see.”
Ti amo, Grace.
Ti amo, ti amo, ti amo.
Un anno fa
ero perso, completamente fuori rotta.
Ma poi ti ho
incontrato, e tutto ha iniziato a girare per il verso giusto.
Sono cresciuto,
sono cambiato.
E lo devo a
te.
Dimmi che mi
ami, Grace.
Dimostra al
mondo che l’amore è la cosa più importante.
Capitolo 48 *** 48. Written In The Stars [Elton John & Leann Rimes] ***
6.
Non ho
incontrato Grace dopo la canzone. Forse è meglio. Non so nemmeno che cosa le
avrei detto. Che cosa avrei detto per giustificare il fatto di aver cambiato
canzone all’ultimo? Le parole della canzone dicono tutto. Io amo Grace, e
desidero soltanto sapere se anche lei mi ama.
Finalmente,
raggiungo il mio posto. Mi trovo esattamente tra Diane Lane e Danielle
Panabaker. Entrambe sono state candidate, anche se in due categorie diverse: la
madre in punto di morte e la figlia problematica. Cliché noto, ma dannatamente
ben descritto.
“Complimenti”,
mi sussurra la Panabaker, piegandosi appena verso di me.
“Grazie.”
“Spero che
lei lo abbia apprezzato. È una ragazza fortunata.”
“E’ quello
che spero anch’io.”
Sorride. “Ah,
ho comprato una copia del tuo cd. Credo sia il tuo lavoro migliore.”
“Grazie.”
“Mi
piacerebbe se un giorno di questi me lo autografassi.”
“Consideralo
fatto” prometto.
Diane Lane
ci riprende amichevolmente. “Ehi, volete tacere? Stanno per annunciare il
premio per il Miglior Attore Non Protagonista.”
“Non so
nemmeno chi fosse stato nominato” ammetto, vergognandomi un po’.
“Ah, tanto
vincerà Casey Affleck, per il ruolo del fratello minore in ‘Brothers Unaware’”
sussurra Danielle.
Aspettiamo che
Robert Downey Jr e Penelope Cruz aprano la busta, poi sentiamo la sala
esplodere in un applauso per Gaspard Ulliel, trionfatore della categoria per il
ruolo di un soldato disertore durante la Seconda Guerra Mondiale.
***
Finalmente,
quasi un’ora più tardi, ecco comparire sul palcoscenico Renée Zellweger e Ethan
Hawke, incaricati di presentare il vincitore nella categoria Miglior Canzone. D’istinto,
serro le dita attorno ai braccioli della poltroncina sulla quale sono seduto. Non
mi ero accorto di essere nervoso, fino a questo momento. La realtà è che ho
paura.
“Tranquillo,
poi passa” mi sussurra Diane Lane, con un sorriso.
Lo spero.
I due attori
ripetono i titoli delle cinque canzoni in gara, sottolineando anche il nome
dell’artista che le ha interpretate. Sono in
lizza con Faith Hill, Elton John, i Green Day e James Blunt. In realtà
sono le nostre canzoni ad essere in gara, ma sarà l’artista a ritirare il
premio. Ripasso velocemente il mio breve discorso, sapendo che non lo reciterò
mai.
Finalmente,
dopo quello che sembra un tempo infinito, i due si decidono a rivelare il
contenuto della busta.
“Non è stata
una decisione semplice, per i giurati dell’Academy” esordisce Hawke.
“Fino all’ultimo
c’è stata una seria lotta tra due canzoni” gli va dietro la Zellweger.
“Una lotta
all’ultimo ascolto, si potrebbe dire. E ci dispiace molto per i Green Day…”
“…ma l’Academy
Award per la Miglior Canzone va a ‘Your Love’, di Morricone e Pontes,
interpretata da Josh Groban.”
Applausi.
Devo alzarmi.
Non ci
riesco.
Le due
attrici sedute al mio fianco si complimentano con me, ed è questo a convincermi
ad alzarmi.
Scendo la
scalinata sorridendo, ancora incredulo. Non sto sognando, vero?
Salgo sul
palcoscenico, saluto i due artisti e ricevo nelle mie mani – ovviamente tremanti
– la statuetta.
Non credevo
fosse così pesante.
“Devo
ringraziare i giurati dell’Academy. Quando mi hanno riferito della candidatura,
non riuscivo a crederci. E nemmeno ora sono convinto che tutto questo stia
davvero accadendo. Avevo…” abbasso gli occhi sul premio, “avevo preparato un
piccolo discorso, ma non me lo ricordo. In fondo, questo premio non appartiene
a me, ma soltanto alla canzone. Non ringrazierò mai abbastanza Ennio Morricone
e Dulce Pontes per aver realizzato un brano tanto bello, e non ringrazierò mai
abbastanza Kathryn Bigelow, che mi ha chiesto di reinterpretarlo per il suo
film. L’unica cosa che posso dire è che lo dedico, anche se non è mio, alle
persone che amo. E a mio padre, che è morto sapendo che un giorno ce l’avrei
fatta.”
Capitolo 49 *** 49. Solo Una Volta (O Tutta La Vita) [Alex Britti] ***
6.
“No, Brian. Non
andrò a festeggiare con il resto del cast.”
“Ma Josh…”
“Non sono
dell’umore adatto. E poi, potranno festeggiare anche senza di me. Insomma, hanno
altri quattro motivi per festeggiare.”
“C’è niente
che possa fare per farti cambiare idea?”
Scuoto la
testa, inginocchiandomi per permettere a Maverick di restituirmi la pallina. Me
la rigiro tra le dita per un paio di secondi, prima di lanciarla di nuovo
lontano.
“Capisco. Beh,
se cambiassi idea…”
“…so dove si
terrà la festa, sì.”
“Già. Ehi,
comunque… è un bel posto, qui.”
Sorrido. “Grazie,
Brian.”
“Tuo padre
aveva buon gusto.”
“Sì, è vero.”
Maverick mi
restituisce la pallina e si accuccia ai miei piedi. Non ha più voglia di
giocare.
Lo imito e
mi siedo sulla sabbia.
Poi, con mia
grande sorpresa, Brian imita me.
“Ti rovinerai
l’Armani.”
“Non è un
Armani” mi corregge. “Oh, era una battuta?”
Non
rispondo.
“Josh, c’è
qualcosa di cui vuoi parlare?”
Scuoto la
testa. “Non credo capiresti.”
“Perché? Perché
ha a che vedere con i tuoi sentimenti? Guarda che sono un uomo, esattamente
come te.”
Rido.
“Dico sul
serio. Solo perché sono un tipo pragmatico, non significa che io sia un freddo
robot.”
“Pragmatico?
Di’ pure tirannico.”
“Sì, molto
divertente. Parlo sul serio, Josh. Anch’io ho avuto le mie traversie amorose.”
Gli lancio
un’occhiata sorpresa.
“Miscredente”
borbotta. “E’ successo… vent’anni fa, più o meno. Vivevo a New York,
allora.”
“Non sapevo
avessi vissuto a New York.”
“Solo per un
anno. Comunque, avevo preso l’abitudine di pranzare in una tavola calda vicino
al World Trade Center. Era un posto piuttosto piccolo
e poco frequentato, ma era proprio per questo che mi piaceva. Riuscivo a
lavorare senza essere disturbato. A forza di frequentare sempre lo stesso
locale, feci amicizia con la cameriera di quel turno. Si chiamava Louise, aveva
ventitre anni. Era… era semplicemente bellissima. E intelligente. Lavorava lì
per pagarsi gli studi all’Accademia di Belle Arti.”
“E cos’è
successo?”
“Le ho
chiesto di uscire. E me ne sono innamorato.”
“Questo l’avevo
capito. Intendevo dopo.”
“David
Foster mi ha offerto di entrare nella sua squadra. Ma mi sarei dovuto
trasferire qui a Los Angeles.”
“Ti sei
trovato a scegliere?”
“No, peggio.”
“Che ci può
essere di peggio?”
“Ho
costretto lei a scegliere. Ho accettato
la proposta di David e poi sono andato da lei. Le ho detto: ‘Scegli, Louise. Puoi
venire con me a Los Angeles, oppure puoi rimanere a New York senza di me.’”
Non so cosa
rispondere.
“Ho commesso
l’errore più grande della mia vita, lasciando quella ragazza.”
“Brian…”
“Josh” mi
interrompe, voltandosi a guardarmi. “Di ragazze così non te ne possono capitare
molte. Se sei fortunato, te ne capita una nell’arco di una vita intera. E se
sei ancora più fortunato, quella ragazza sceglie proprio te. E quando succede, non puoi permetterti di perdere tempo.”
Ancora
nessuna risposta.
“La sola
cosa che mi rimane di Louise è una fotografia di noi due sulla Statua della
Libertà. Si è sposata, ha avuto dei figli, si è diplomata in Belle Arti. Fa la
restauratrice. L’ho fatta cercare. Volevo sapere che ne fosse stato di lei. Ma
non voglio che tu, tra dieci anni, paghi un investigatore privato per sentirti
dire che Grace ha avuto dei figli con uno sfigato che non l’amerà mai come
avresti saputo fare tu.”
“Brian, lo
so che dovrei combattere. Credimi, l’ho fatto. Ma è lei a non volere che…”
“Balle” mi
interrompe, alzandosi. “Non esiste ‘Io voglio ma’, quando ami qualcuno.”
“Brian…”
“Josh, alza
il culo e vai da lei. E porta il cane. Nessuna donna resiste, davanti a un
cucciolo.”
Quello che
ha detto Brian è vero. Tutto, dalla prima all’ultima parola, è vero.
Se non lo
fosse, non starei girando per tutti i negozi di giocattoli della città alla ricerca
di un pupazzo introvabile.
Ma proprio
quando sto per darmi per vinto e rinunciare, poso gli occhi su una vetrina a
caso. E lui è lì.
***
La mia idea
era di presentarmi a casa di Grace con il pupazzo, e implorarla di tornare con
me.
Già. Solo
che suonerebbe un po’ patetico, da parte mia. E ne ho piene le tasche di
risultare patetico.
Il risultato?
Mi ritrovo
davanti al suo appartamento, e sono terrorizzato. L’idea di premere il
campanello o di bussare mi getta letteralmente nel panico. Non so analizzare le
cause del mio disagio: forse ho paura di essere cacciato via. Forse ho paura
che non mi apra nemmeno.
Però devo
provare. Brian ha ragione.
Devo tentare.
Afferro il
cellulare e compongo il suo numero di casa.
Lascio squillare
a lungo.
Perfetto, lei
non è nemmeno in casa.
“Salve, sono Grace. Non sono in casa. Lasciate
un messaggio dopo il segnale acustico e sarete richiamati.”
Beep.
“Ehm… Grace?
Ciao, sono io. Josh. Ehm… forse… forse non avrei dovuto chiamarti. Forse dovrei
mettere giù e andarmene, ma… Sono davanti a casa tua. Davanti al tuo
appartamento, e credo che tu non sia in casa. Insomma, se fossi in casa avresti
risposto, no? Volevo… volevo bussare, ma avevo paura che non volessi vedermi, e
più passa il tempo più mi convinco che è proprio quello che vuoi. Insomma, che
vuoi che non mi faccia più vedere. Ma, ecco, l’altra sera, quando ci siamo
visti, io ho… ho come avuto la sensazione che tu volessi dirmi qualcosa, e…”
Beep.
Merda. Odio le
segreterie telefoniche.
Compongo di
nuovo il numero e aspetto che si attivi il nastro.
“Ciao. Di nuovo
io. Ecco, l’altra sera ho avuto la sensazione che tu mi stessi per dire
qualcosa, e… e davvero non riesco a capire che cosa potesse essere. Eri bellissima,
Grace. E hai fatto un ottimo lavoro. Non ho ancora avuto occasione di dirtelo,
ma… sei stata grande. E ora credo che dovrei andarmene. Il fatto è… il fatto è
che ti ho portato una cosa, e ci tenevo a dartela di persona, ma… la lascio qui
davanti alla porta, ok? Ti amo, Grace.”
Metto giù un
attimo prima che il ‘Beep’ mi fermi.
Lascio il
mio regalo per terra, davanti alla porta di casa sua, e mi preparo ad
andarmene.
Mentre sto
per scendere le scale, il mio cellulare squilla. Mi fermo a rispondere.
“Sì?”
“Josh?”
“Grace?”
“Sei ancora
lì?”
“Sei in
casa?”
Il rumore di
una serratura che gira mi costringe a voltarmi.
Grace si
affaccia, con il cordless in mano. Sorride e solleva dallo zerbino il mio
regalo. “Gaston…” sussurra.
“E’ il tuo
personaggio preferito.”
Solleva lo
sguardo su di me, poi si riporta il telefono all’orecchio. “Ti amo, Josh.”
Capitolo 51 *** 51. Ich Will Mich Verlieben [Rosenstolz] ***
6.
Dieci mesi dopo
“Senti,
Josh, ho in linea una di Vogue, che
vorrebbe…”
“Brian, ho
due parole per te. Cerimonia. Privata.”
“Josh, la
stampa ha il diritto di sapere…”
“La stampa
non ha il diritto di sapere un bel niente su quello che combino nella mia vita
privata, lo sai. E poi, ho promesso l’esclusiva a Rolling Stone.”
“A Rolling Stone? Come sarebbe? Non mi
ricordo di aver fatto nulla del genere.”
Sorrido. “Beh,
siccome la giornalista è anche stata la mia migliore amica per diciassette
anni, ho pensato di gestirla io.”
Lucy mi
sorride, e porge la mano al mio manager. “Signor Avnet. Sono Lucy Hatcher, si
ricorda di me? Sono io quella che ha intervistato Josh, l’anno scorso.”
“Lucy
Hatcher… sì, ora mi ricordo di lei. Beh, comunque dovrò filtrare il suo pezzo, prima
di mandarlo alla rivista.”
“Tutto
quello che vuole, signor Avnet. Dopotutto, è il matrimonio di Josh.”
“Già. E’ il mio
matrimonio, capito, tiranno che non sei altro?” lo prendo in giro.
Joachim, il
marito di Lucy, la raggiunge con Elsie, la loro figlia di tre mesi. Inutile dire
che Stella ha già perso la testa per lei, e che non perde tempo per ammirarla,
tra una corsa e l’altra con Maverick.
Grace e io
ci siamo sposati sulla spiaggia, proprio davanti al bungalow di mio padre. Abiteremo
nel mio appartamento, e questo rimarrà il mio pensatoio. Ho rimesso le cose di
mio padre al loro posto: libri, dischi, soprammobili, fotografie… l’album con i
suoi scatti ha il posto d’onore nello scaffale che adesso è mio. E sull’ultima
pagina, lasciata vuota per l’occasione, ci finirà quella foto scattata due ore
fa: quella che abbiamo fatto davanti alla casa, con i nostri amici e le nostre
famiglie.
***
“Ti amo, Josh”
mi sussurra Grace durante la notte, appena finito di fare l’amore.
Abbiamo deciso
di passare qui la nostra prima notte di nozze.
Rimango ad
ascoltare il rumore del mare, ad occhi chiusi. “Idem.”
Sento il suo
sorriso. “Non sapevo che questo fosse il remake di ‘Ghost’.”
“Ci sono
tante cose che non sai, tesoro mio.”
“Tipo?”
“Tipo che
scriverò una canzone a proposito di stanotte.”
“Non
oseresti.”
“Lo farò,
invece. E sarà un successo.”
“No, non lo
sarà.”
“E invece
sì. Tutte le canzoni che dedico a te si rivelano dei veri successi.”
“E con
questo?”
“E con
questo? È una fortuna che mi sia innamorato di te. Mi renderai ricco.”
“Che scemo…”
“Sarò anche
uno scemo, ma sono sincero. E ora che so come va a finire la storia, vorrei
innamorarmi di te altre cento volte.