Amazing Grace

di EffieSamadhi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Piano & I [Prologo] [Alicia Keys] ***
Capitolo 2: *** 2. L'Incontro [Andrea Bocelli] ***
Capitolo 3: *** 3. Dimentica [Raf] ***
Capitolo 4: *** 4. Oceano [Josh Groban] ***
Capitolo 5: *** 5. Sulla Via Di Casa Mia [Claudio Baglioni] ***
Capitolo 6: *** 6. Il Presente [Max Pezzali] ***
Capitolo 7: *** 7. Com'è Bella La Vita [Marco Masini] ***
Capitolo 8: *** 8. Be My Baby [The Ronettes] ***
Capitolo 9: *** 9. Weekend Song [The Freestylers] ***
Capitolo 10: *** 10. Con Gli Occhi Di Un Bambino [Eros Ramazzotti] ***
Capitolo 11: *** 11. Antes De Irte [Laura Pausini] ***
Capitolo 12: *** 12. Too Close [Blue] ***
Capitolo 13: *** 13. All I Know Of Love [Josh Groban & Barbra Streisand] ***
Capitolo 14: *** 14. Call Me A Fool [Live] ***
Capitolo 15: *** 15. Ogni Mio Istante [Negramaro] ***
Capitolo 16: *** 16. Semplicemente [Zero Assoluto] ***
Capitolo 17: *** 17. Hallelujah [Rufus Wainwright] ***
Capitolo 18: *** 18. Ci Parliamo Da Grandi [Eros Ramazzotti] ***
Capitolo 19: *** 19. The Show Must Go On [Queen] ***
Capitolo 20: *** 20. Un Po' [Marco Masini] ***
Capitolo 21: *** 21. Acqua Nell'Acqua [Claudio Baglioni] ***
Capitolo 22: *** 22. Cosa Sarà Di Noi [Pooh] ***
Capitolo 23: *** 23. Donne [Zucchero] ***
Capitolo 24: *** 24. Tra Dire E Fare [Giorgia] ***
Capitolo 25: *** 25. Life Lessons [George McAnthony] ***
Capitolo 26: *** 26. All I Need [Radiohead] ***
Capitolo 27: *** 27. Your Love [Ennio Morricone feat. Dulce Pontes] ***
Capitolo 28: *** 28. Guarda Caso [Pierdavide Carone] ***
Capitolo 29: *** 29. Per Te [Josh Groban] ***
Capitolo 30: *** 30. Bring On The Day [Charlotte Martin] ***
Capitolo 31: *** 31. Per Fare A Meno Di Te [Giorgia] ***
Capitolo 32: *** 32. Nella Mia Stanza [Negramaro] ***
Capitolo 33: *** 33. Broken [Elisa] ***
Capitolo 34: *** 34. Danny Boy [Traditional] ***
Capitolo 35: *** 35. Misread [Kings Of Convenience] ***
Capitolo 36: *** 36. Un Amico E' Così [Laura Pausini] ***
Capitolo 37: *** 37. She [Elvis Costello] ***
Capitolo 38: *** 38. Wonderful Night [Fatboy Slim] ***
Capitolo 39: *** 39. Domo Mia [Eros Ramazzotti & Tazenda] ***
Capitolo 40: *** 40. All Star [Smash Mouth] ***
Capitolo 41: *** 41. Strange Things [Randy Newman] ***
Capitolo 42: *** 42. Una Canzone D'Amore [Max Pezzali] ***
Capitolo 43: *** 43. I Bambini Ci Guardano [Pooh] ***
Capitolo 44: *** 44. Vorrei [Lunapop] ***
Capitolo 45: *** 45. Se La Gente Usasse Il Cuore [Andrea Bocelli] ***
Capitolo 46: *** 46. Estranei A Partire Da Ieri [Alessandra Amoroso] ***
Capitolo 47: *** 47. A Te [Jovanotti] ***
Capitolo 48: *** 48. Written In The Stars [Elton John & Leann Rimes] ***
Capitolo 49: *** 49. Solo Una Volta (O Tutta La Vita) [Alex Britti] ***
Capitolo 50: *** 50. Se Telefonando [Mina] ***
Capitolo 51: *** 51. Ich Will Mich Verlieben [Rosenstolz] ***



Capitolo 1
*** 1. Piano & I [Prologo] [Alicia Keys] ***


And The Winner Is...

Luci abbassate in sala. Religioso silenzio, quasi innaturale. Tutto va esattamente come dovrebbe andare. Anche questa volta Grace Thomas ha fatto un ottimo lavoro.

Poi, quella voce. La sua voce. E il cuore va in mille pezzi.

Amazing Grace, how sweet that sound…

Grace ha improvvisamente voglia di piangere e si preme una mano sulle labbra, incurante del fatto che il trucco perfetto si rovinerà. Con l’altra mano si stringe al petto la cartelletta di plastica sulla quale ha affisso la scaletta della serata, fino ad ora rispettata al dettaglio.

Fino ad ora, appunto.

Perché, come al solito, Josh ha sconvolto tutti i suoi piani. E invece di ‘Caruso’, sta cantando ‘Amazing Grace’. E Grace, quella che sta dietro le quinte e sta per scoppiare a piangere, sa di essere la ‘sorprendente Grace’ della canzone. Sa di essere la Grace di Josh.

E sta piangendo davvero, ora. Piange perché lo ha respinto, lo ha rifiutato.

Ha rifiutato di diventare sua moglie.

Ma lui non si arrende.

Perché Josh non sa perdere.

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Capitolo 2
*** 2. L'Incontro [Andrea Bocelli] ***


2.

“Ho confermato la tua presenza nella tappa di Los Angeles del Bublé USA Tour, tanto ti troverai a passare da lì in quel periodo… mi stai ascoltando, Josh?”
“No, Brian. Ho smesso di darti ascolto un anno fa. Tanto mi farai comunque fare ciò che vuoi… e allora che senso ha protestare?”
Brian mi guarda con sospetto, quasi avesse paura di me. “Significa che non vuoi partecipare al concerto di Bublé?”
“Certo che no! Michael e io siamo amici, gli ho promesso la mia presenza a Los Angeles. E poi mi fa piacere andarci. È la mia città.”

Mi manca la mia città. Da circa tre mesi Brian mi ha confinato in un posto sperduto sulle montagne del Colorado, convinto che questo potrebbe aiutare la mia concentrazione.

La verità è che anche la vista di una montagna deserta riesce a distrarmi. Devo essere un caso patologico. Forse inizio a capire perché mia madre mi diceva sempre che ero un bambino/ragazzino/giovanotto impossibile.

La verità è che ho ventinove anni, ho tutto ciò che potrei desiderare e non so cosa voglio davvero.

Il cellulare del mio agente squilla e mi riscuote dai miei pensieri. “Avnet. Ok. Ok. Ok. Sì. Va bene. Ok. Glielo dirò. Ok.”

Riattacca e mi guarda.

“Che cosa devi dirmi, Brian?”
“Oh, niente di importante. Dunque, parlavamo del tour di Bublé…”

“Brian, mi costringerai a rubarti il cellulare.”

“Josh, non è così importante, credimi. Al momento conviene che ti concentri sugli impegni che…”

“Brian!”

“Ok, hai vinto.” Appoggia la penna sui propri appunti e mi guarda. “Sembra che i tuoi genitori stiano litigando e abbiano deciso di divorziare.”

Mi alzo di scatto. “E questo, secondo il tuo punto di vista, sarebbe ‘cose da niente’?”

“Josh, se non sbaglio hai detto che è già successo in passato. Non credo ci sia da preoccuparsi…”
Infilo le mie cose in valigia, alla rinfusa. “Brian, il fatto che abbiano divorziato e si siano risposati tre volte negli ultimi quindici anni non implica che la cosa non debba interessarmi. Ora, visto che sei tanto bravo con le parole, chiama l’aeroporto di Denver e prenotami un posto sul primo volo per Los Angeles.”

“Ok, anche se dubito che riusciremo a trovare due…”
“Ho detto un posto, Brian. Tu resti qui.”
“Ma…”
“I miei genitori sono i miei genitori. Non rientrano in nessuna strategia di mercato.”

 

***

 

Un’ora più tardi, mi imbarco sul volo che Brian è riuscito a trovare per me. Devo riconoscerlo, è uno stacanovista e a volte anche piuttosto stronzo, ma sa fare il suo lavoro. Dovrò ringraziarlo.

Non siamo ancora decollati, e già sento il bisogno di stiracchiarmi: non sono più abituato a volare nella classe economica, e credo di essere cresciuto dall’ultima volta che ho volato così. Sì, sono decisamente cresciuto: avevo tredici anni e i miei genitori stavano portando me e mia sorella a Disneyland. L’anno seguente divorziarono per la prima volta.

Guardo dal finestrino e seguo il profilo delle montagne innevate: in fondo, Denver non è male.

“Ehm… chiedo scusa.”

Mi volto, e davanti a me c’è una ragazza. Mi preparo a firmare il pezzo di carta che mi porgerà: qualcosa di lei mi dice che è una mia fan.

“Prego.”

“Quello sarebbe il mio posto.”

Osservo il mio biglietto, e scopro che ha ragione. Il mio posto è il 37 A, non il 37 W. “Oh, mi scusi. Devo essermi confuso. Sa, ho la tendenza a distrarmi…”

Mentre mi alzo per cederle il posto, inciampo. E mi ritrovo a cinque centimetri dal suo naso.

“Mi perdoni, non… non era mia intenzione.”

Arrossisce, mentre aspetta che io riprenda l’equilibrio. Si sistema lì dove fino a pochi secondi prima c’ero io, allaccia la cintura, prende un libro e lo apre in corrispondenza di un segnalibro. Non riesco a staccare gli occhi da lei.

“Che fa, non si siede?”

“Come?” Guardo il mio biglietto. Il 37 A è a sinistra del 37 W. Quindi io starò alla sua sinistra.

Decolliamo.

Io odio i decolli. Sembra sempre che l’aereo stia per disintegrarsi. Mi aggrappo saldamente al bracciolo, che soltanto un minuto più tardi scopro essere il braccio della ragazza. Non appena si spegne il segnale, mi slaccio la cintura. Lei, con calma, imita il mio movimento.

“Ha paura di volare?”
“Soltanto dei decolli.”

“La capisco. Io ho paura degli atterraggi.”

“Può aggrapparsi al mio braccio, se vuole.”

“Grazie.”

“Cosa sta leggendo?”

Persuasione.”

“Bello.”

“Lo ha letto?”
“Non esattamente. Ma ho visto il film. Non era male.”
“Beh, leggerlo è un po’ diverso” mi risponde, piccata.

“A dire il vero, lo avevo iniziato, un po’ di tempo fa. Ma poi si sono messe di mezzo altre cose, e…”
“Certo. Immagino non sia semplice essere un cantante di fama mondiale.”

Sorrido. “In effetti, no. Credo sia più semplice essere…” Lascio la frase in sospeso, e le faccio un cenno per farle capire che desidero finisca la frase.

“…arredatrice di interni. O almeno, ci provo. E sì, credo sia più semplice essere me che essere Josh Groban.”

“Ci sono momenti in cui vorrei essere una persona normale, con un lavoro normale… come lei, signorina…”
“Thomas. Grace Thomas.”

“Grace. Mi piace il suo nome. Mia nonna si chiamava così.”

Sorride, e dopo avermi stretto la mano torna al suo libro.

“Mi scusi, la sto distraendo dalla lettura. Non era mia intenzione.”
Chiude delicatamente il volume e liscia la copertina con una mano. “L’ho letto così tante volte da saperlo a memoria.” Alza lo sguardo su di me. “Invece viaggiare in classe economica con una celebrità non capita tutti i giorni.”

Ridacchio. “Di solito Brian, il mio manager, mi fa riservare dei posti in prima o in business. Ma sono dovuto partire in fretta… e poi, io mi so accontentare.”

“Spero non sia nulla di grave.”
“I miei genitori si sono messi in testa di divorziare.”
“Oh. Mi…”
“E’ la quarta volta in quindici anni. Di solito divorziano e si risposano nel giro di sei mesi. Non riescono a stare lontani.”

Abbassa lo sguardo sui propri jeans e giocherella con una cucitura. “Ai miei è andata peggio.”
“Divorziati anche loro?”

Annuisce. “Avevo dieci anni ed ero figlia unica. Non è stato un bel periodo. Adesso sono entrambi risposati. Con persone diverse” sottolinea, con un sorriso. “Ho quattro fratellastri: uno da parte di papà e tre da parte di mamma.”

Mi lascio scappare un fischio. “Dev’essere un bel casino.”
“Non saprei. Sono scappata di casa a diciassette anni e cerco di tornarci il meno possibile.”

Mi ritrovo a fissare il suo profilo, chiedendomi che cosa nascondano quei grandi occhi neri che prima ho avuto così vicini.

“Ma cambiamo discorso” sbotta, dopo qualche istante di silenzio. “Siamo arrivati al punto in cui devo dire che sono una sua grande fan, ho tutti i suoi dischi e sono stata a tutti i suoi concerti?”

“Non esageriamo” rido. “Mi accontento di sentirmi dire che non faccio schifo.”

 

***

 

Scendiamo dall’aereo ridendo e scherzando come due amici di lunga data, eppure ci siamo conosciuti poco più di due ore fa. Ritiriamo i nostri bagagli e ci avviamo all’uscita dell’aeroporto, dove arriva il momento di dividersi.

“E’ stato… è stato davvero un piacere conoscerla, signor Groban.”

“So di sembrare piuttosto stupido, visto che ci stiamo salutando, ma… ‘signor Groban’ mi fa sentire vecchio. Preferisco Josh.”
“E’ stato un piacere conoscerti, Josh.”
“Meglio. È stato un piacere conoscere anche... te, Grace.”

Sorride. “Approvo. Beh, allora… addio.”
“Arrivederci. Suona meglio.”

“Beh, in questo caso…” Si fruga le tasche del cappotto e mi porge un bigliettino. “Se conoscessi qualcuno che ha bisogno di un’arredatrice di interni…”

“Mia madre stava giusto pensando di riarredare il salotto” dico, e non è una battuta. “Di solito ogni volta che divorzia cambia l’arredamento di un’intera stanza. Le dirò di chiamarti.”

Sorride, le guance arrossate dal freddo, e si allontana trascinando il proprio trolley.

Rimango a guardarla mentre se ne va a passo spedito con le sue scarpe da ginnastica consumate, il cappotto dal taglio semplice e i capelli arruffati.

Amazing Grace, how sweet that sound… canticchio, dimenticandomi, per un attimo, dove sono e che cosa devo fare. Chissà se qualcuno le ha mai dedicato quella canzone.

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Capitolo 3
*** 3. Dimentica [Raf] ***


3.

Se ripenso all'inizio della mia carriera, mi vergogno della mia stupidità. Ok, sono ancora un cretino immaturo sotto molti punti di vista, ma prima di fare un acquisto importante ci penso su almeno tre volte. Ma nel 2004 avevo appena ventitré anni, ero appena salito alla ribalta, tutti mi acclamavano e i soldi piovevano come mai avevo osato sognare. E Brian mi convinse a comprare una casa. Ok, l’idea non era male: in fondo, comprare una casa può essere un ottimo investimento.

Dannazione, questa non è una casa. Prima di tutto, non esiste una parete che sia una parete: ovunque volga lo sguardo, incontro grandi lastre di vetro che mi sbattono davanti agli occhi il resto del mondo anche quando avrei voglia di isolarmi. Ed è tutto di un bianco accecante, una specie di via di mezzo tra la stanza della TV del signor Wonka e una corsia d’ospedale. Non mi è mai piaciuto questo maledetto appartamento, ma Brian è stato così convincente… o forse io ero maledettamente suggestionabile: un ragazzino di Los Angeles che improvvisamente si ritrova con una montagna di soldi tra le mani può diventare pericoloso.

Brian, efficiente come al solito, risponde dopo due squilli e mezzo. “Avnet.”
“Ciao, Brian. Sono io.”
“Ehi, Josh! Il viaggio è andato bene? Hai bisogno che faccia qualcosa per te?”
“Sì, sono arrivato da poco.” Evito di menzionare Grace. “E sì, avrei bisogno di un favore.”
“Dimmi tutto.”
“Vendi questo appartamento.”
“Scusa?”
“Il mio appartamento di Los Angeles. Trova qualcuno disposto a comprare questo schifo.”

 

Non vivo più a casa da una decina d’anni, ma mamma e papà hanno voluto che tenessi una copia delle chiavi. “Non si sa mai cosa può succedere nella vita. Potresti averne bisogno.”
Infatti. Suono il campanello, e nonostante all’interno si sentano due voci discutere in modo piuttosto animato, nessuno viene ad aprire.

“Ciao, sono a casa!” dico ad alta voce, avanzando nell’ingresso.

“Josh? Joshie, amore della mamma, che ci fai qui?”

Come sempre, mia madre mi investe con la forza di un Panzer, e inizia subito a dire quanto mi trova dimagrito, quanto sono sciupato, che questa vita mi sta uccidendo… a sentire lei, dovrei essere morto da almeno otto anni.

“Allie ha chiamato Brian e lo ha informato che avete di nuovo messo su uno dei vostri soliti teatrini.”

“Allie dovrebbe imparare a farsi gli affari suoi.”
“Allie si preoccupa per voi, com’è giusto che sia.”

Allison Marie Groban, detta Allie, è mia sorella. Ha cinque anni più di me, è sposata e ha tre figli fantastici. Suo marito gestisce un piccolo negozio di dischi, e lei gli dà una mano, quando non è troppo impegnata con i miei nipoti. Quando pubblicai il mio primo album, il loro fu l’unico negozio ad esporlo subito in vetrina: Allie è sempre stata piuttosto fiera di me.

“A proposito, dov’è papà? Mi sembrava di aver sentito anche la sua voce.”

“Credo sia sgattaiolato via dalla porta sul retro. Vuoi un the, caro?”

Non importa che ore siano: mia madre offre the a tutti, che siano le otto del mattino o le sette di sera. Comunque sia, anche se le tre del pomeriggio non sono l’ora più adatta per un the con mia madre, accetto. Cinque minuti più tardi mi sono tolto il cappotto e mi sono seduto a tavola, con una tazza di the bollente tra le mani e mille domande da fare alla donna che continua a sfaccendare davanti ai miei occhi. E a rimproverarmi. Neanche avessi ancora quindici anni.

“Joshua Winslow Groban, chi ti ha insegnato a stare così scomposto? Mi meraviglio che tu riesca ancora a camminare diritto!”

“Oh, mamma! Perché invece non parliamo di cose importanti?”
“Tipo?”
“Tipo del fatto che tu e papà vi state lasciando.”

“Oh, Joshie, sono cose che succedono. Insomma, anche tu e Isabel vi siete lasciati. E prima c’era stata Tish, e prima ancora Lucy…”
“Non tirare in ballo le mie storie. So che sono cose che succedono. Ma voi avete divorziato tre volte, e per tre volte vi siete risposati. Non è normale.”

“Beh, se può consolarti, questa volta è finita davvero. Tuo padre ha un’altra donna.”

Fantastico. Ci mancava soltanto questa: mio padre che, a sessant’anni suonati, inizia ad andare a donne.

 

***

 

Odio Los Angeles. Troppo traffico. Sto cercando di raggiungere mia sorella: a quest’ora dovrebbe essere al negozio. Mentre mi rassegno a percorrere i pochi chilometri che mancano a passo di lumaca, passo in rassegna le mie storie passate. Isabel è stata la mia ultima ragazza: dopo aver rotto con lei, ho giurato a me stesso che non mi sarei più innamorato di una musicista. Isabel suonava il clarinetto nell’orchestra che mi accompagna durante i miei concerti, e col tempo si era autoeletta mio consigliere personale. Come se Brian non fosse stato sufficiente. Comunque, Isabel stava iniziando a diventare soffocante, con tutte le sue critiche al mio modo di cantare e al poco spazio che davo ad alcuni reparti dell’orchestra… e così, poco prima di Natale, l’ho scaricata. Peccato però: era davvero bella, con i suoi grandi occhi grigi e i capelli biondi sempre sciolti lungo la schiena.

Prima di Isabel c’era stata Jennifer, non Tish. Jennifer era una delle assistenti di David Foster. L’avevo conosciuta appena ero approdato alla Warner, ma mi sono reso conto di quanto fosse carina soltanto due anni fa. Ma poi anche con lei finì: non sopportava le mie lunghe tournée, io non sopportava di vederla sempre di cattivo umore. Un paio di mesi fa si è sposata con Alan, un tecnico del suono. E dire che io avevo sempre pensato che gli piacessero i maschietti…

Prima di Jenny, sono stato con Tish. Tish è stata la miglior ragazza che abbia mai avuto, dopo Lucy. Tish non si lamentava se restavo fuori un mese per una serie di concerti, se restavo chiuso in studio a ripetere una registrazione fino a che non era perfetta, se Brian mi teneva sveglio tutta la notte per espormi i suoi progetti. Tish non si lamentava, non mi chiedeva mai niente, e io ne ero profondamente innamorato. Finché non ho scoperto che sopperiva alla mia assenza con chiunque le capitasse a tiro – uomo o donna, non aveva importanza. Il che, forse, non la rende la miglior ragazza che abbia mai avuto.

Lucy. Lei sì che è stata la migliore ragazza che abbia mai avuto. Bella, intelligente, simpatica e semplice: tutto quello che avrei mai potuto cercare in una ragazza. L’ho conosciuta all’asilo, e abbiamo condiviso tutte le esperienze più importanti della vita: varicella, morbillo, brutti voti, brufoli, il primo bacio e la prima volta. Ci siamo messi insieme ufficialmente a quattordici anni. È durata tre anni, per finire quando lei si trasferì con la famiglia in Europa. Lucy è stata l’unica ragazza ad avere il vero Josh, ad avere l’uomo, e non il cantante. A quell’epoca ero ancora una specie di reietto che ogni giorno rischiava di finire con la testa infilata nella tazza del gabinetto, ma Lucy... a Lucy piacevo così com’ero.

L’automobilista in coda dietro di me suona il clacson e mi lancia un paio di insulti. Ha ragione. L’auto davanti a me è già talmente lontana che non riesco nemmeno a leggere la targa. Io e i miei maledetti problemi di concentrazione. Sarebbe meglio dimenticare. Dimenticare. Dimenticare tutto.

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Capitolo 4
*** 4. Oceano [Josh Groban] ***


4.

Allie non cambierà mai. Ha trentaquattro anni e ne dimostra sempre dieci di meno. Ha lo stesso sorriso di papà – che poi è anche il mio –, ma sotto molti punti di vista inizia ad assomigliare alla mamma: lo capisco quando mi investe con la stessa forza di un Panzer e inizia a dirmi che mi trova sciupato.

“E questi capelli, poi! Quando ti deciderai a tagliarli?”

“Oh, Allie!” brontolo, cercando di sgattaiolare via dalle sue mani. “Non ho più dodici anni!”

“Mah, non saprei. Non mi sembra che tra te e Alex ci sia molta differenza” mi risponde sorridendo.

“Come stanno i ragazzi?” chiedo. Per chiare esigenze professionali non posso trascorrere molto tempo con loro, ma chiamo tutte le settimane.

“Bene. Alex è immerso fino al collo nei provini per la squadra scolastica di baseball, Christine sta entrando nella preadolescenza e ci manda tutti al diavolo due volte al giorno e Stella vuole prendere lezioni di ukulele.”

Stella è la più piccola, ha otto anni. “Lezioni di ukulele?”

“In classe è appena arrivato un ragazzino dalle Hawaii. Ne è profondamente innamorata e vuole fare colpo.”

Rido, mentre inizio a curiosare tra gli ultimi arrivi. “Non sapevo che Miley Cyrus avesse pubblicato un nuovo album.”

Sospira. “Purtroppo mi tocca vendere anche quelli. Non bastano gli album del mio fratellino a tenere su la baracca.”

“Allie, lo sai, se avete problemi economici…”
“Sto scherzando, Joshie…” ride, esibendosi in una perfetta esibizione di mia madre. “Basterebbero i tuoi dischi per comprarmi una bella villa in riva al Pacifico.”

Più tardi ci raggiunge anche Gary, mio cognato.

“Ehi, Grobie, qual buon vento?”

“Vento di divorzio, a quanto ho sentito” rispondo, facendomi serio, guardando mia sorella.

Allie fa spallucce. “Ho pensato dovessi saperlo. A proposito, il tuo manager è una persona odiosa, a volte. Mi ha liquidata con un’assurda serie di monosillabi.”
“Sì, credo gli abbiano dato poco affetto quand’era bambino” scherzo. “Comunque… mamma ha parlato di un’altra donna.”

“Era disperata quando l’ha scoperto.”

“Quindi è vero? Papà ha un’amante?”

“Pare di sì.”

“Hai parlato con lui?”
Allie scuote la testa. “Mi sta evitando. Tu lo hai visto?”

“Sono passato a casa. Erano tutti e due lì, li ho sentiti litigare. Ma appena mi ha sentito entrare se l’è svignata dalla porta sul retro. Magari andrò a cercarlo nella sua tana.”

Ogni volta che se ne va di casa, ad ogni divorzio, mio padre si rinchiude in una specie di bungalow sulla spiaggia, che si è guadagnato il simpatico appellativo di ‘tana’. È davvero una specie di tana, visto che mio padre è totalmente incapace di gestire qualsiasi cosa sia più complicata del telecomando della tv. Intendiamoci, è stato un padre meraviglioso, e ha dato a me e a mia sorella tutto ciò di cui avevamo bisogno, però… manca di praticità, esattamente come me.

“Dici che si rifugia ancora lì?” mi chiede Allie, con un’ombra di disgusto sulla faccia.

“Perché cambiare le buone abitudini?”

***

 

Mi avvicino lentamente, ma l’abbaiare di Roxy tradisce la mia presenza. “Chi va là?”

“Papà, sono Josh! Ti spiace richiamare il commissario Rex? Dobbiamo parlare!”

Fischia e il pastore tedesco la smette di annusarmi. “Diavolo, Roxy, mi conosci da dieci anni, possibile che tu debba annusarmi ogni volta che mi vedi?” le bisbiglio.

“Allora, che cosa ti porta a casa?” mi chiede mio padre, con un grande sorriso dipinto sul volto non rasato.

“Ah no, eh, non fare quella faccia.”

“Quale faccia?”
“Quella di chi finge di non sapere perché sono qui. Allie mi ha avvertito che tra te e la mamma c’è di nuovo qualcosa che non va.”

“Ti va di fare una passeggiata?”

Prima il the con mia madre, ora una camminata a piedi nudi sulla sabbia con mio padre… che diavolo sta succedendo a tutti quanti?

“Sai, Josh, a volte nella vita succedono cose che non ti saresti mai aspettato accadessero… e in un primo momento non sai come comportarti, perché non c’eri preparato… però poi capisci che non ti serve essere preparato, perché tutto quello che ti occorre per affrontarle è dentro di te.”
“Hai iniziato a fumare cose strane, papà?”
Ride, e sulla sua guancia vedo quella fossetta che compare anche sulla mia. “Josh, io non so che cosa farei se tu non ci fossi.”

“Non sono un figlio molto presente. Piuttosto dovresti chiederti come andrebbe se non ci fosse Allie. È lei che tiene su tutta la baracca.”

“Allie è una donna forte, è vero. Riesce a gestire un’attività e ben due famiglie. Ma ci sono cose che non può capire. Cose che puoi capire soltanto tu.”

Non riesco a capire. Che cosa sta cercando di dirmi?

“Vedi, Josh, la vita è… è come l’oceano. La vedi l’acqua? L’onda investe la spiaggia, l’acqua invade ogni spazio, e poi se ne va. Se ne va e sembra perduta, ma… ritorna sempre.”

“Papà, io… io non riesco a seguirti.”

“Non è necessario che tu capisca adesso. Capirai, Josh, capirai…”

Mi fermo e lo lascio camminare. Lo guardo mentre segue Roxy, con la camicia di lino bianco che si riempie di vento e si gonfia. Mi sembra più magro, quasi… fragile. Mi viene da pensare che questo vento potrebbe sollevarlo e trascinarlo via.

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Capitolo 5
*** 5. Sulla Via Di Casa Mia [Claudio Baglioni] ***


5.

“Non ci posso credere, Brian! Mi sei corso dietro! Mi sei corso dietro quando ti avevo espressamente chiesto di non farlo!”
“Ascolta, Josh. Io sono pagato per tutelare i tuoi interessi. Ma per farlo, devo averti costantemente sotto gli occhi.”

“Hai intenzione di seguirmi anche quando vado in bagno, d’ora in poi?”

Si gratta la testa, ormai quasi completamente calva. “Potrebbe essere un’idea. Ehi, lo sai che da quando ti seguo ho perso un sacco di capelli?”

“Forse il tuo corpo ti sta lanciando un segnale per dirti che sono tossico. Ti prego, Brian, ti chiedo soltanto di lasciarmi risolvere questa cosa da solo.”
“Tra una settimana ti aspettano da Oprah, lo sai, vero?”

Sbuffo, prendendomi la testa tra le mani. “Lo so da sei mesi, Brian.”

“Lo sai che si aspettano che canti, vero?”

“Lo so.”

“Lo sai che aspettano che tu decida che cosa cantare, vero?”
“Lo so.”

“Lo sai che non hai ancora scelto niente?”

“Mi prendi per scemo, forse?”

“Oprah vorrebbe che cantassi ‘Remember when it rained’, ma secondo un’indagine il pubblico vorrebbe che eseguissi ‘So she dances’. Personalmente, io credo…”
“Brian, vuoi tacere? Per favore? Farò ‘Awake’. Contento?”
“Tu felicidad es mi felicidad.”

 

***

 

Mi sono liberato di Brian. Il prossimo passo sarà… sarà… non lo so. È Allie quella brava a fare piani. Io non so fare altro che afflosciarmi in poltrona e osservare il cemento di Los Angeles arroventarsi sotto il sole.

Odio questa poltrona. È scomoda. E questa sottospecie di tavolino è troppo basso.

Mi guardo intorno. Forse questo appartamento non sarebbe poi così tremendo, se solo fosse arredato diversamente.

D’istinto, metto una mano in tasca. Il biglietto è ancora lì. Grace Thomas, arredatrice d’interni.

Per prima cosa, chiamo Brian. “Hai già trovato qualcuno disposto a comprare la casa?”
“Veramente no.”
“Blocca tutto. Resto qui.”

Il secondo passo consiste nel comporre il numero di Grace e chiederle di intervenire. Sono sincero, credevo fosse più semplice: in fondo, si tratta soltanto di pigiare una serie di tasti e aspettare che risponda. Ma persino gesti semplici come questi mi sembrano difficilissimi da compiere.

Uno squillo.

Due squilli.

“Grace Thomas. Che cosa posso fare per lei?”
“Ehm, salve… sono Josh Groban.”

“Oh, merda.”

Riaggancia.

Ricompongo il numero.

“Non è uno scherzo di cattivo gusto. Sono davvero Josh Groban.”
“Oh, io… chiedo scusa per prima. Non… non mi aspettavo questa telefonata.”
“Avevo promesso che avrei chiesto aiuto per riarredare una stanza, no?”

“E’ questo che stai chiedendo? Aiuto per riarredare una stanza?”

Mi guardo intorno. “In realtà, credo che non si salvi nemmeno un angolo di questa casa. Ho bisogno di un bravo arredatore. Sei disponibile?”

“Posso avere l’indirizzo? Dovrei farmi un’idea…”
“Certo.” Le dico dove abito, e la sento scribacchiare all’altro lato della linea.

“Quando posso venire a vedere la casa?”
“Quando sei libera?”

“Per te sempre. Cioè, i miei orari sono… sono facilmente adattabili, se per caso tu… avessi degli impegni.”

“Beh, oggi sono libero.”

“Anche adesso?”
“Anche adesso.”

 

***

 

Quindici minuti, e sento suonare il campanello. Puntuale.

“Sono in anticipo, scusa.”
“Non importa, davvero. Su, entra.”

Fa qualche passo e raggiunge il centro dell’ingresso. “Wow. Dunque tu vivi qui.”

“A volte. Sai, viaggio parecchio per lavoro. Ho comprato questo appartamento sette anni fa. Mi sembrava un affare, ma in realtà non ne sono così convinto.”

Accarezza con un dito il ficus di plastica nell’angolo. “A volte basta poco per cambiare il volto di una casa.”

Si piega per tastare la moquette, e la lunga treccia scura le ricade davanti al volto con grazia. “Posso…” mi chiede, indicando il soggiorno.

“Certo. Sì può fare qualcosa?”
“Si può sempre fare qualcosa.”

Si muove leggera tra i miei mobili, tra le mie cose, nelle stanze in cui si svolge la vita di Josh, dove il mio cognome non esiste, dove la mia professione non conta, e in mezzo a tante cose sbagliate lei sembra così giusta...

Mi appoggio allo stipite della porta e la osservo mentre sposta i cuscini del divano, gira di lato un tavolino, storce il naso di fronte ad un soprammobile. Si accorge che la sto fissando. “Ho… fatto qualcosa che non va?”
Scuoto la testa, e mi sorprendo a sorridere. “Ti stavo soltanto guardando. Prendi il tuo lavoro molto sul serio.”

“Più che un lavoro, è una passione. E voglio che i miei clienti siano soddisfatti.”

“Ti va un caffè? Un the?”
“Berrei volentieri un the, grazie.”

Dieci minuti più tardi, siamo seduti in cucina a parlare delle modifiche da fare.

“In un primo momento ho pensato che fosse il caso di ridipingere le pareti, poi ho cambiato idea. Ho pensato che sono sufficienti delle tende colorate, di tessuto leggero. Utili per schermare il sole e dare vivacità all’ambiente. I mobili sono completamente sbagliati: non so chi sia stato ad arredare qui, ma non ha fatto un buon lavoro.”

Quando parla di lavoro, diventa logorroica: quasi non fa pause, nemmeno per respirare.

“Allora la tua è davvero una passione” commento, sinceramente affascinato dal fervore con cui riesce a parlare di stoffe e piastrelle.

Arrossisce. “Beh, in realtà volevo fare l’organizzatrice di eventi. Sai, balli, galà di beneficenza e cose simili…”

“E come sei finita a fare l’arredatrice? Insomma, non che sia un brutto lavoro, ma…”
“Avrei dovuto seguire un corso di sei mesi per ottenere un diploma speciale che mi avrebbe permesso di lavorare, ma… ecco, non me lo potevo permettere. All’epoca ero già scappata di casa, e dovevo sopravvivere con quello che riuscivo a guadagnarmi da sola.”
“Sei scappata a diciassette anni, vero?”
“Te lo ricordi?”

“Ci siamo incontrati l’altro ieri, non tre anni fa.”

“Beh, è che pensavo… insomma, credevo avessi cose più importanti da ricordare. Sai, cose di lavoro, eccetera…”

“Oh, per le cose di lavoro c’è Brian, il mio manager. È molto efficiente. Un po’ stronzo, forse, ma sa il fatto suo. È stato lui a convincermi a comprare questa casa, sette anni fa. Cioè, no. Lui mi ha convinto a prendere un appartamento, e io ho scelto il più brutto che ci fosse in circolazione.”

Scoppia a ridere, e io la seguo. C’è qualcosa di strano in lei. Strano e bello. A metà della risata, si copre la bocca con la mano, come se volesse nascondersi. Vorrei allungare la mano verso di lei e lasciarla ridere in libertà.

Guarda l’orologio. “Oh, accidenti, devo proprio andare. Ho un altro appuntamento.”

“Ti accompagno alla porta.”

Si rimette in testa il berretto che aveva quando è arrivata. Le sta davvero molto bene. “Allora… ti occuperai della faccenda?”
“Certo. Sarà un piacere. Però… ecco, avrò bisogno di parlare con te per metterci d’accordo… sai, orari e cose simili… come ti contatto?”

Sorrido, e scribacchio il mio numero di cellulare su un post-it verde sedano. “E’ il mio numero privato. A meno che il mio manager non mi sequestri il cellulare, dovresti riuscire a trovarmi a qualunque ora.”

“Grazie.”

Ci stringiamo la mano. La sua è ferma, e stringe con decisione la mia.

La guardo andare via.

Sì, è un periodo decisamente strano.

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Capitolo 6
*** 6. Il Presente [Max Pezzali] ***


6.

“Pronto?”
“Ehm… Josh? Sono Grace.
Grace Thomas.”

“Ciao, Grace. Come stai?”

“Ehm… bene, grazie. Volevo… volevo sapere quando posso iniziare i lavori a casa tua.”

“Anche subito, se vuoi. Potremmo… potremmo vederci domani, per i dettagli. Che ne dici?”
“Ma domani non puoi!”
“Come?”
“Cioè, voglio dire, domani sarai da Oprah, se non sbaglio.”
“Già… è vero. Sono disastroso. Se non c’è Brian a ricordarmi ogni cosa, rischio di dimenticarmi persino di respirare.”

La sento ridere all’altro capo del filo, e avverto una strana sensazione in fondo allo stomaco. Era tanto che non facevo ridere una donna. Sì, lo so, tra me e Isabel è finita soltanto da tre mesi, ma era da molto prima che non andava più.

“Ehi… ma tu com’è che sai che andrò da Oprah?”

“Diciamo che ogni tanto la seguo, e nella scorsa puntata ha detto che saresti stato l’ospite speciale.”
“Ora che lo sai, scommetto che non guarderai lo show.”
“Stai scherzando, vero? Mmm… è vero che canterai?”
Mi tengo sul vago. “E’ probabile.”
“Nel caso, sai già che cosa eseguirai?”
“Beh, Oprah avrebbe voluto sentire ‘Remember when it rained’, ma Brian mi ha detto che secondo un’indagine, gli spettatori vorrebbero che facessi ‘So she dances’.”

“E tu che cosa stavi pensando di fare?”
“Forse ‘Awake’. O ‘February Song’.”

“Peccato. A me sarebbe piaciuta ‘Believe’. Accidenti, è tardissimo! Scusa, ma devo lasciarti.”

“Ci sentiamo, allora. Ciao, Grace.”
“Ciao, Josh.”

Chiamo immediatamente Brian. “Ho cambiato idea su Oprah.”
“Che significa che hai cambiato idea su Oprah?”
“Non farò ‘Awake’, ma ‘Believe’.”

“Che cosa sono questi cambiamenti dell’ultimo minuto?”
“Oh, Brian, finora mi sembra di essere stato abbastanza tranquillo. Concedimi qualche capriccio da star. E poi non sono cambiamenti dell’ultimo minuto: lo show è domani.”

 

***

 

Ventiquattro ore più tardi, sono seduto in un camerino, aspettando che mi chiamino per fare il mio trionfale ingresso in scena. Un uomo calvo con auricolare incorporato mi raggiunge. “Signor Groban, tocca a lei.”

Sono già stato una volta da Oprah, e conosco lo studio. Sento la voce profonda e calda della presentatrice scandire il mio nome. Oltrepasso l’ultima barriera, e inizio a scendere la piccola scalinata ammiccando al pubblico e salutando.

Saluto Oprah con due baci sulle guance e raggiungo il microfono piazzato per me al centro dello studio. Le luci si abbassano, parte la musica, e per me è come essere in un altro mondo. Come sempre, cantando raggiungo le stelle, e soltanto a canzone conclusa ritorno sulla terra.

Uno scroscio di applausi anche senza che intervenga l’addetto al pubblico ad incitare gli spettatori, apprezzamenti ed esclamazioni che mi fanno sorridere come un ebete. La solita proposta di matrimonio che arriva insieme ai ‘Bravo!’ e ai ‘Complimenti!’ mi induce a fare un piccolo inchino nei confronti della ragazza interessata.

Raggiungo la poltroncina che Oprah mi indica, e la osservo mentre si siede accanto a me.

“Allora, Josh, direi che ho veramente fatto la scelta giusta. Direi che il cento per cento del pubblico si è alzato in piedi per te. Non è successo nemmeno quando abbiamo avuto Megan Fox come nostra ospite.”

“Beh, Oprah, ho modo di notare che il tuo pubblico è composto da un buon ottanta per cento di donne. Mi preoccuperei, se apprezzassero allo stesso modo me e Megan Fox.”

Risate spontanee da parte del pubblico mi fanno sorridere ancora.

“Allora, Josh, vogliamo fare due chiacchiere?”

“Sono qui per questo.”

“Dunque, da un paio di mesi sei sparito dalla circolazione. Vuoi dirci dove sei stato?”

“Beh, il mio manager, Brian Avnet, mi ha sequestrato e mi ha tenuto rinchiuso da qualche parte sulle montagne del Colorado. Ho legato un paio di boxer al comignolo, sperando che qualcuno li vedesse” mi interrompo, sentendo qualche sospiro e qualche risatina in sala, “ma non è arrivata nessuna principessa a salvarmi dal brutto orco cattivo.”

Oprah scoppia a ridere. “Presto, smentisci la notizia, prima che la polizia arresti il povero Brian.”

“Scusa Brian, non intendevo prenderti in giro. No, la verità è che sono stato davvero in Colorado, su qualche picco scosceso vicino Denver. Non chiedermi il nome del posto, non ne ho veramente idea. Tutto ciò che ho fatto è stato lavorare ad un paio di canzoni che verranno inserite nel mio prossimo disco.”

“Interessante. Disco che uscirà quando?”

“Quando sarà finito. No, a parte gli scherzi, dovrebbe essere pronto per l’autunno, salvo complicazioni. Dunque, da settembre, tenetevi lontani dai negozi di musica.”

“Non dire così. Io ho intenzione di comprare il tuo cd. Sai già dirci come si intitolerà?”

“Beh, sicuramente avrà il titolo di uno dei brani incisi, ma ancora non ci abbiamo pensato. Beh, innanzitutto penso di potervi dire che ci sarà anche la cover di una grande canzone del passato, che però devo ancora scegliere. E non sto scherzando. Pensa che ho scelto soltanto ieri sera di cantare ‘Believe’. L’idea era di proporre ‘Awake’.”

“E che cosa ti ha fatto cambiare idea?”

“Direi che possiamo definirla… l’idea di un amico.”

“L’idea di un amico?”

“L’idea di un amico. Insomma, so che cantare una canzone natalizia alle soglie della primavera è da idiota integrale, ma ci tenevo ad accontentare questa persona, che sta facendo tanto per me.”

“Se fossi nei panni di questo amico misterioso, sarei felice di questa dedica. Allora, Josh, parliamo ancora del tuo lavoro. Sono ormai quasi dieci anni che sei sulla cresta dell’onda.”

“Saranno dieci anni il prossimo anno, sì.”

“Quanto è cambiata la tua vita in questi dieci anni? Insomma, quando ne avevi diciannove, come immaginavi sarebbe stata la tua vita?”

Rifletto seriamente per qualche istante. “Beh, sai, Oprah, quando avevo diciannove anni ero veramente un idiota. No, non ridete, non sto scherzando. Ero davvero un idiota. La sola cosa di cui mi preoccupavo era fare musica, ma non ero sicuro che questo potesse darmi da mangiare. Non avevo la minima idea di ciò che avrei fatto nella mia vita. E poi è arrivato David Foster, mi ha dato una pacca sulle spalle e mi ha detto ‘Ragazzo, tu puoi fare strada’, e da quel momento… paf! Cambiato tutto.”

“Sai che ci sono milioni di persone che vorrebbero avere il tuo stesso colpo di fortuna?”

Annuisco. “Lo so, lo so. So di essere stato maledettamente fortunato, perché ci sono migliaia di ragazzi e ragazze in gamba al mondo – e non parlo solo di musica –, ma solo a pochissimi capita l’occasione giusta. Comunque non bisogna pensare che la fortuna è il solo modo per sfondare. Bisogna lavorare, lavorare, lavorare, e prima o poi… il sogno realtà diverrà.” Finisco canticchiando, suscitando l’ilarità del pubblico e di Oprah. “Ad esempio” riprendo, quando le risatine si spengono, “c’è questa mia amica che ha sempre sognato fare l’organizzatrice di eventi, ma per mancanza di mezzi si è dovuta accontentare di fare l’arredatrice d’interni. Ora sta rimettendo in sesto il mio appartamento, e visto l’impegno che ci mette, sono seriamente convinto che, presto o tardi, riuscirà a realizzare il suo sogno, perché Grace…” Mi interrompo, quando mi accorgo di aver detto il suo nome, ma è troppo tardi.

“Bene, ora sappiamo che quest’amica del mistero si chiama Grace” ironizza Oprah, rivolgendosi poi al pubblico: “Che ne dite di lasciar perdere l’argomento ‘lavoro’ e proseguire con ‘vita sentimentale’? Mi pare che il nostro caro Josh abbia parecchio da raccontarci…”

Il pubblico fischia, ride e applaude, e a me non resta che sorridere.

“Allora… da quanto tempo sei single?”

“Sempre delicata, eh?” scherzo.

“’Da quanto tempo non hai a che fare con una bella pollastrella’ mi sembrava troppo rude” mi risponde, sorridendo.

“Beh, è da poco prima di Natale.”

“Sai, la tua ultima ragazza era veramente bella” mi provoca.

“Lo so.” Risate.

“E allora perché è finita?”

“Perché la bellezza non è tutto. Lei suonava nell’orchestra con la quale collaboro, e purtroppo il lavoro si è messo di mezzo. Abbiamo smesso di andare d’accordo, e abbiamo deciso di lasciarci. Non è la fine del mondo. Cose come questa succedono in continuazione. Se non sbaglio, un paio di settimane fa chiedevi a Michael Bublé perché ha lasciato Emily Blunt.”

“Hai ragione, cose come questa succedono tutti i giorni… e fanno tirare un bel sospiro di sollievo alle tue fans. A meno che questa Grace sia davvero soltanto un’amica.”

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Capitolo 7
*** 7. Com'è Bella La Vita [Marco Masini] ***


6.

Brian mi batte una pacca sulla spalla. “Ben fatto, Josh. Questa trovata della tua amica che vuole fare l’organizzatrice di eventi è stato un vero colpo di genio! Pendevano tutti dalle tue labbra… come ti è venuta in mente?”

“Brian, non ho inventato nulla. Conosco veramente una ragazza in questa situazione.”

Il sorriso scivola improvvisamente via dal suo volto. “No, aspetta. Dove l’hai conosciuta? Quando l’hai conosciuta? Chi è?”

“Una mia amica” sorrido, sapendo di mentire. Con Grace non c’è un rapporto di amicizia: siamo semplici conoscenti, e lei sta per rivoluzionarmi la casa. Questo non fa di noi una coppia di amici, però mi fa piacere pensarlo.

Il mio cellulare squilla, interrompendo Brian appena in tempo, cinque secondi prima dell’esplosione. “Pronto?”

Dopo un attimo di immobilità, il sangue nelle mie vene inizia a scorrere a velocità doppia, quando la sua voce, incredibilmente bassa, sillaba: “Grazie, Josh.”

“Grazie di che?”

“Della canzone. Insomma, so che non era nelle tue ipotesi, e…”

“Beh, non avevo le idee chiare, e ho pensato che non sarebbe stato male affidarsi ai consigli di…”

“…un’amica?”

Mi rendo conto che ha visto lo show, e che quindi ha seguito anche la mia piccola intervista. “Scusa se ti ho tirata in ballo, ma mi sembrava un esempio perfetto.”

“Non chiedermi scusa. Sono contenta che tu mi abbia etichettato come un’amica, anche se… beh, non abbiamo questo gran rapporto.”

Volto le spalle a Brian, che si sta sbracciando per chiedermi se si tratti di Grace. “Stai per distruggere la mia casa e ricostruirla ex novo. Se non è un gran rapporto questo…” scherzo.

La sento ridere all’altro capo del filo, e riesco ad immaginare il suo volto mentre lo fa. Mi passo una mano tra i capelli… Josh, che ti succede?

“Scusa se ti ho disturbato… probabilmente sei stanco. Forse non dovevo chiamare.”

“Ma no, tranquilla. Mi fa piacere che tu mi abbia cercato. Ehm… volevi dirmi solo questo?”

Pausa. “In realtà volevo sapere quando sei libero, per vedere insieme i progetti per il salotto.”

“Questa sera?” ribatto in fretta, senza fare caso alla faccia stupefatta di Brian, che mi sono appena ritrovato davanti.

“Questa sera? Io… beh, sì, io… io sono libera.”

“Dove?”
“Posso suggerire casa tua? Insomma, visto che è di casa tua che dobbiamo parlare…”

Se potessi cancellare la mia ultima frase, lo farei di corsa. Brutto coglione, è ovvio che il posto ideale è casa tua. “Giusto. Non ci stavo pensando.”

“A che ora?”

“Quando puoi. Io sono ancora agli studi, ma entro un’ora penso di poter essere pronto.”

“Ok. Allora… a dopo, Josh.”

“A dopo, Grace.”

Riaggancio, e osservo attentamente Brian, occupato a grattarsi la testa e a riflettere. “Possiamo andare, Brian? Mi vedo con un’amica, più tardi.”

“Ti vedi con Grace, che sarebbe l’arredatrice di interni? L’amica di cui parlavi con Oprah?”

“Esatto, ma non mi caverai altri dettagli utili a permetterti di indagare su di lei.”

 

***

 

Mancano dieci minuti alle nove, quando Grace suona alla mia porta. Ha un’incredibile tendenza a tenere gli occhi bassi: un vero peccato, considerati gli enormi occhi neri che si ritrova. “Ciao” sussurra.

“Ciao. Su, entra.”

Sono totalmente imbranato in materia di bon ton, e cerco di farmi tornare in mente le lezioni di mia madre.

Punto Primo: aiuta la tua ospite a togliersi il cappotto. Ha già fatto da sé.

Punto Secondo: metti via il suo cappotto. Prendo il cappotto e lo sistemo sull’appendiabiti dell’ingresso.

Punto Terzo: falla accomodare.

“Hai già cenato?”

La mia idiozia non ha limiti.

“Veramente… no” confessa. “Me ne sono dimenticata. Insomma, di solito mangio, solo che stavo lavorando al progetto e quando mi sono resa conto che stavo facendo tardi…”

“Sei fortunata. Mia madre mi ha fatto recapitare qualcosa tipo cinque tonnellate di cibo. Probabilmente pensa che stia nascondendo un piccolo esercito nella mia stanza.”

Scoppia a ridere, stavolta senza coprirsi la bocca con la mano, e rimango semplicemente affascinato dalla dolcezza del suo viso. La vedo fissare gli occhi su un punto alle mie spalle, e poi scuotere leggermente la testa. “Che c’è?” le domando.

“Niente. È solo che non riesco ancora a credere di… di essere qui a parlare con te. Insomma, tu… tu…” Si interrompe, indicando il punto sul quale ha fissato gli occhi.

Mi volto, e vedo che sta indicando una fotografia che mi ritrae con Placido Domingo, durante la lavorazione de ‘La Tua Semplicità’.

“… Tu hai lavorato, stretto la mano, parlato con gente come lui. Lo fai tutti i giorni, e ora… ora stai parlando con me. Insomma, un mese fa eri alla notte degli Oscar e stavi cantando con Beyoncé, e adesso… non riesco a crederci.”

“Non riesci a credere che io e Beyoncé abbiamo duettato? Possiamo chiamarla, se vuoi. Ho il suo numero.”

Non è una battuta: ho davvero il recapito di Beyoncé. Però Grace ride di nuovo. “Lascia stare, non avrei dovuto parlare. Però… me la toglieresti una curiosità?”

“Spara.”

“Com’è Barbra Streisand dal vero?”

“Meno brutta di quanto appaia in video. Ed estremamente simpatica. Sei una sua fan?”

“Se i suoi fan rivedono Yentl a ogni Natale, allora sì” sorride, arrossendo un po’.

“Se devo essere sincero, preferisco Funny Girl.”

“Hai visto i suoi film?”

“Solo questi due. Ma come attrice non mi dispiace. Allora” aggiungo, dopo un attimo di pausa, “vogliamo metterci al lavoro?”

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Capitolo 8
*** 8. Be My Baby [The Ronettes] ***


6.

“Io ho abbozzato qualche progetto per il soggiorno, ma prima di iniziare a fare qualsiasi cosa devo vedere tutte le stanze” mi spiega. “Deve esserci armonia tra i vari ambienti della casa, e non posso creare armonia se non ho prima visto tutto.”

“Pensavo di averti mostrato tutta la casa, l’altra volta.”

“Ehm, veramente mi hai suggerito di tenermi lontana dalla tua stanza, sostenendo che una zona terremotata sarebbe stata più in ordine.”

“Temo che da allora la situazione non sia cambiata.”

Sorride. “Non ti conviene costringermi a tornare un’altra volta.”

“Non capisco.”

“Beh, immagino che presto o tardi qualcuno noterà la frequenza con la quale vengo qui. Ti metteranno un paparazzo alle costole, e addio tranquillità.”

Devo avere un’aria decisamente sconvolta.

“Scherzavo” mi rassicura.

“No, cavolo, hai ragione” ribatto. “Il tuo ragionamento non fa una piega. Beh, se sei un tipo avventuroso, puoi aprire quella porta” scherzo, indicando la porta della mia camera da letto.

La osservo mentre spinge il battente e oltrepassa la soglia. “Wow” è il suo unico commento.

“Beh, ti avevo avvertita che…”

“No, il ‘Wow’ era perché pensavo di essere l’unica della mia generazione ad amare ancora gli animali di peluche” mi interrompe, indicando il gigantesco panda che troneggia al centro del mio letto.

“Oh, quello. Beh, è un bel ricordo della mia infanzia.”

Annuisce, mentre raggiunge una mensola. “Ehi, ma questo…” inizia, allungando una mano verso un altro pupazzo.

“Sì” ammetto. “Sono un fan de ‘La Bella e La Bestia’.”

“Il tuo personaggio preferito?” mi chiede, voltandosi verso di me senza smettere di giocare con il mio Tokins di peluche.

“Dovresti capirlo da te.”

“Tokins? Ma è odioso!”

“Ultimamente ho imparato a rivalutarlo. E poi, mi ricorda tanto Brian, il mio manager.”

Lo osserva attentamente e scoppia a ridere. “Sì, forse hai ragione.”

“E il tuo?”

“Il mio cosa?”

“Il tuo personaggio preferito.”

“Dì che sono banale e scontata, ma adoro Belle.”

“Sei banale e scontata.”

“Grazie. No, in realtà provo simpatia per Gaston. Insomma, tutti lo odiano, nessuno riesce a sopportarlo, ma è…”

“…complesso.”

“Esatto. In lui c’è molto più di quanto la gente riesca a vedere. Un po’ come…”

“…i vip.”

“Esatto” conferma ancora.

“Beh, allora cos’hai intenzione di fare per la mia cameretta?”

Riflette. “Niente.”

“Niente?”

“Niente.”

“Ma il discorso sull’armonia, eccetera?”

“Oh, era tutta una balla. In realtà volevo solo curiosare. Sai, la camera da letto di una persona rivela molto sulla sua personalità.”

Chissà che cosa c’è nella tua, mi trovo a pensare.

“Quindi Tokins può rimanere sulla sua mensola?”

Annuisce.

“Bene, perché ormai è quello il suo posto. Non lo sposterò nemmeno quando mi sarò sposato.”

“Hai… hai in programma di sposarti?”

“Se troverò una ragazza tanto pazza da dirmi di sì, perché no?”

Sorride, senza rispondermi.

“Sempre che a forza di scrivere stronzate, i giornalisti non riescano a convincermi che sono davvero diventato gay” continuo, facendo il serio.

Scoppia a ridere. “Dev’essere orribile.”

“Essere gay?”

“Essere continuamente bersagliati dalla stampa, essere criticati per ogni singolo passo falso, per ogni dettaglio subire un processo… insomma, con tutto il rispetto per il lavoro che fai, ma non baratterei la mia vita con la tua nemmeno per tutto l’oro del mondo.”

Mentre parla, non riesco a staccarle gli occhi di dosso. È così seria, così… è davvero convinta di quello che dice. E la convinzione la rende davvero carina.

“Beh, c’è un lato positivo in tutto ciò” intervengo, oltrepassandola per rimettere Tokins sulla mensola.

“Ovvero?”

“Lo chiamano il principio ‘Occhio non vede, penna non scrive’.”

“Vuoi dire che riesci comunque a fare tutto quello che vuoi senza farti scoprire?”

“Esatto. Basta fare attenzione a eludere tutti i giornalisti.”

“E dove finisce la libertà? Insomma, non c’è differenza tra il non fare nulla per timore di essere scoperti e il fare tutto di nascosto.”

“C’è il gusto del proibito.”

Sbuffa, alzando gli occhi al soffitto. “No, grazie. Preferisco vivere la mia vita tranquilla e priva di emozioni forti.”

Il campanello mi impedisce di risponderle.

 

***

 

Siamo seduti fianco a fianco, in cucina, e stiamo sfogliando le tavole che ha preparato, mentre attacchiamo la pizza che abbiamo ordinato, preferendola al cibo preparato con tanta cura da mia madre.

“Vedi, per il salotto ho pensato a questa soluzione: un divano ad angolo che copra questo lato e questo” mi spiega, aiutandosi con i disegni. “Per i muri pensavo al giallo, oppure ad un arancione sfumato… sono i colori più adatti per non sprecare la luce fantastica di cui gode questo appartamento.”

“No, fammi capire” la interrompo, con la bocca ancora piena. “Sei stata qui una sola volta e sei già riuscita ad elaborare un simile progetto?”

“Beh, è il mio lavoro” sussurra, arrossendo appena.

“Io non ci capisco niente, ma credo che tu sia bravissima. Insomma, ti sei ricordata ogni dettaglio senza nemmeno dover fare una fotografia. Sei una specie di genio!”

“Quando… quando un progetto mi appassiona, mi capita.”

“E questo progetto ti… appassiona?”

“Sei il primo vip che mi chiede di lavorare per lui” mi spiega, facendo spallucce.

Aspetto che riporti lo sguardo sul progetto, faccio un respiro profondo e prendo coraggio. “Grace…”

Si volta, e riesco finalmente a fare ciò che avrei voluto fare la prima volta che ci siamo incontrati. La mia mano si adatta perfettamente alla curva della sua guancia, mentre con le mie labbra raccolgo dalle sue il sale del cibo appena mangiato. Mi sento imbranato come la prima volta in cui Lucy e io ci baciammo: eravamo entrambi inesperti, e fu un vero disastro. Non mi sembra che stia andando diversamente, ora. Quando la lascio andare, Grace riapre gli occhi, ma senza riuscire a guardarmi.

“Devo… io devo andare.”

Prima che possa rendermene conto, ha raccolto le sue cose e se n’è andata.

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Capitolo 9
*** 9. Weekend Song [The Freestylers] ***


6.

“Porca miseria, papà! Ti spiacerebbe richiamare il segugio?”

Papà è ancora rinchiuso nella sua tana, e non sembra per nulla intenzionato a tornare a casa. Ecco perché sono di nuovo qui. E poi mi serve un consiglio, maledizione. Sono sempre stato un figlio indipendente, ma credo che per ogni uomo arrivi il momento di cercare aiuto presso il proprio padre. Se solo questo maledetto cane non attentasse ogni volta alle mie caviglie.

“Scusala. È un cane da guardia, e fa quello per cui è stata addestrata.”

“Un momento. Questo cane è femmina?”

“Non te n’eri accorto?”

“Non ci avevo mai fatto caso.” Questo dovrebbe farmi capire che mi sono davvero distaccato troppo dalla mia famiglia: diamine, in dieci anni non mi sono mai accorto che il cane di mio padre era una femmina? Forse è per questo che mi odia e cerca di azzannarmi ogni volta che mi vede. Mi inginocchio sulla sabbia e cerco di accarezzarla. “Ehi, Roxy, mi dispiace di non essermi mai accorto che sei una ragazza.” Niente da fare: con le donne sarò per sempre un disastro.

Sono tornato da una settimana, e una quantità incredibile di cose è successa: i miei stanno divorziando per l’ennesima volta, un cane ce l’ha a morte con me, mia nipote vuole imparare tutte le tradizioni hawaiane e mi sono innamorato. Troppe cose per un solo uomo. Ok, affrontiamo un problema alla volta.

Mio padre mi mette davanti una tazza di caffè.

“Papà, dobbiamo parlare.”

“Sai qual è la mia canzone preferita, Josh?”

“Certo. È ‘Danny Boy’.”

“Intendevo tra le tue.”

“Non lo so. ‘You raise me up’?”

“No. È ‘So she dances’. Non sto scherzando. Mi è sempre piaciuta. Mi fa pensare a tua madre.”

“Sì, è bella. Sono contento che ti faccia pensare alla mamma.”

“Scommetto che ti stai chiedendo perché ci siamo lasciati così tante volte.”

“Me lo chiedo da quando avevo quattordici anni e avete divorziato per la prima volta. E nessuno di voi due è mai riuscito a darmi una spiegazione.”

“Non c’è una spiegazione. Credo sia successo perché ci siamo amati troppo. Quando si ama troppo, tutto è esagerato: la felicità, i litigi…”

“Quindi invece di lanciarvi i piatti, voi divorziavate? Strano metodo.”

“Ha sempre funzionato.”

“Perché avete litigato, questa volta?”

“Non abbiamo litigato.”

“E allora perché te ne sei andato?”

“C’è un’altra donna.”

“Non ci credo.”

“Perché no? Pensi che sia troppo decrepito per avere ancora compagnia?”

Sorrido. “Non porteresti più la fede, papà.”

Si guarda l’anulare, senza rispondere. Non si aspettava di essere scoperto. Di sicuro non si aspettava che io, l’antitesi del genio, lo scoprissi.

“Papà, perché sei andato via di casa?”

“Preferirei non parlarne. Non ancora.”

“C’è qualcosa che non va?”

“Non voglio parlarne.”

Come posso aiutare qualcuno che non vuole parlarmi dei suoi problemi? Sbuffo, bevendo un altro sorso di caffè. Il silenzio cala su di noi come la neve sulle montagne del Colorado.

“Beh, visto che tu non vuoi parlarmi dei tuoi problemi, posso parlarti dei miei?”

 

***

 

“Mi stai dicendo che il tuo manager ti lascia frequentare una ragazza senza starvi appiccicati ogni secondo?”

“No, l’unica cosa che Brian sa è che Grace mi sta rimettendo in ordine l’appartamento. E comunque non ci frequentiamo. Ci siamo solo baciati. O meglio, sono stato io a baciare lei. Pensala come vuoi.”

“Non ho mai capito questa cosa del ‘sono stato io a baciare lei’, eccetera. Un bacio è un bacio, punto e basta. Non ci sono un mittente e un destinatario. Non è una lettera.”

“Beh, ma lei se n’è andata. Evidentemente non lo voleva.”

“Se non avesse voluto essere baciata, a quest’ora ti staresti massaggiando gli stinchi per ridurre il dolore.”

“Papà, è scappata. Come se avesse visto un fantasma.”

“Probabilmente baci da schifo.”

“Grazie, papà. Rigira il coltello nella piaga!” rispondo, sarcastico.

“Oh, Josh, sei troppo suscettibile.”

“Beh, sai, uno si aspetta un po’ di sostegno, dal proprio padre.”

Scoppia a ridere. “Oh mio Dio, Josh… non credo che mi sarebbe mai potuto capitare un figlio più divertente di te.”

Metto su un broncio degno di un bambino deluso. “Mi aspettavo almeno un consiglio.”

“Vuoi un consiglio? Beh, non cercarla. Lasciale un paio di giorni per realizzare quello che è successo. Di solito è una tecnica che funziona: lasciale il tempo di abboccare.”

“Abboccare? Che razza di tecnica sarebbe? L’hai imparata da un pescatore di merluzzi?”

“Molto divertente, Josh. Davvero molto divertente. Volevi un consiglio e l’hai avuto, no?” Sorride.

Sorrido anch’io. “Ci proverò, papà. Ci proverò.”

“Come hai detto che si chiama la ragazza?”

“Grace.”

“Grace. Sai quale canzone mi piacerebbe sentirti cantare?”

“Quale?”
“’Amazing Grace’. Sapresti renderla perfetta.”

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Capitolo 10
*** 10. Con Gli Occhi Di Un Bambino [Eros Ramazzotti] ***


6.

Non c’è dubbio su chi possa essere la nonna dei tre terremoti che mi si gettano addosso non appena entro in casa di mia sorella. “Zio Josh!”

Mi sembra di non vederli da un secolo, e invece è soltanto da Natale. Non riesco a credere che in un paio di mesi siano cresciuti così tanto: di questo passo, a settembre Alex sarà alto quanto me.

Allie ha voluto organizzare una piccola cena per il mio compleanno, anche se sono passate quasi due settimane da quando ho compiuto ventinove anni. I nostri genitori non ci sono: Allie non ha voluto creare attriti inutili, e allora me ne sto qui, con mia nipote Stella appollaiata sulle ginocchia, ascoltando gli aneddoti sportivi che Alex ci racconta, completamente affascinato dal fatto di essere entrato nella squadra di baseball della scuola, mentre Christine, che avrà quattordici anni a primavera, sbuffa e finge di avere il broncio.

“Signore, signori, ho un importante annuncio da fare” dico a metà della cena, battendo con il cucchiaino sul lato del bicchiere. “Sono lieto di annunciarvi che…”

“…ti sposi!” scherza mio cognato.

“…cambi manager!” gli fa eco mia sorella.

“…mi porti a vivere con te!” è la risposta di Alex.

“…vieni a vivere qui!” azzarda Stella.

“…mi farai conoscere i Backstreet Boys!” spera Christine.

“No, no, no. Qualcosa di meglio. Sono lieto di annunciarvi che voi siete la migliore famiglia che un uomo potrebbe desiderare.”

“E non hai ancora visto il regalo!” mi informa Stella, mentre gli altri cercano di zittirla.

Il regalo è… non ho parole per descriverlo. Penso al tempo che hanno impiegato e alla fatica fatta per realizzare l’album di fotografie che sto sfogliando. Grobie’s Greatest Hits è il titolo. Sorrido, mentre un me neonato piange dalla prima pagina, un me di un anno cerca di tenersi in piedi attaccandosi alla gonna della mamma, un me adolescente suona il pianoforte. Della maggior parte di queste foto non sospettavo nemmeno l’esistenza. L’autore della maggior parte degli scatti è mio padre. È sempre stato fissato con queste cose, ma non sapevo fosse così bravo. L’ultima foto dell’album risale a Natale, quando Brian mi ha permesso di venire a casa. Siamo tutti seduti sul divano di casa nostra: mamma al centro, io a sinistra e mia sorella a destra; dietro, in piedi, Alex e Gary; sedute per terra, Christine e Stella. Papà azionò l’autoscatto e si gettò ai piedi del divano, appena in tempo. Non ho mai visto né lui né la mamma sorridere così. E allora perché si stanno di nuovo lasciando?

“Vedi, Josh? Abbiamo lasciato parecchie pagine vuote, ma aprendo qui e qui puoi aggiungere delle pagine finché vuoi” mi spiega Allie, riscuotendomi dai miei pensieri.

“E’ fantastico, Allie. Chi ha progettato una simile meraviglia?”

“Christine. La sua insegnante di Arte dice che è molto dotata.”

“Accidenti, lo vedo! Chris, sei una specie di genio! Ehi, dov’è?” chiedo, rendendomi conto che non è più nella stanza.

Alex fa spallucce. “Si sarà rintanata in camera sua a piangere e a sbavare sulla foto di Aidan McKnight, come al solito.”

“Aidan McKnight? E chi è, un attore?”

Allie scuote la testa. “La sua prima cotta. In questo periodo è decisamente intrattabile.”

“Forse serve una bella chiacchierata zio-nipote. Devo darle qualche consiglio.”

Stella mi guarda spalancando i suoi enormi occhi marroni. “E a me che cosa dai, zio Josh?”

Mi frugo rapidamente le tasche. “Per te c’è un quarto di dollaro. Mettilo da parte per le lezioni di ukulele.”

 

***

 

Christine è distesa sul proprio letto, con un libro aperto appoggiato sulla faccia e le cuffiette dell’i-Pod conficcate nelle orecchie. Per un attimo, mi sembra di tornare indietro di quattordici anni, quando la ragazza si chiamava Lucy, e l’i-Pod era un gigantesco walkman. E allora rispolvero vecchie abitudini, con la differenza che è molto più semplice dividersi le cuffiette dell’i-Pod che non le enormi cuffie di un walkman. Steso accanto a mia nipote, con la voce di Robbie Williams che mi accarezza il timpano destro, mi sembra davvero di essere di nuovo Josh, il ragazzo occhialuto che suonava il pianoforte mentre suo padre scattava fotografie.

“Allora…” inizio, rigirandomi i pollici all’altezza dello stomaco. “Come va la scuola?”

Il libro si muove appena verso di me, e dalla copertina mi accorgo che mia nipote è in possesso di una copia di American Psycho. “Uno schifo” bofonchia la ragazzina nascosta sotto le pagine.

“Tua madre mi ha detto che vai forte in Arte, e che l’album è stato un’idea tua.”

“Diciamo che me la cavo. Ma il talento è un’altra cosa.”

“Hai quattordici anni, Christine.”

“E con questo?”

“Hai tutto il tempo per crescere e dirigere la tua vita nella giusta direzione.”

“Questa chi te l’ha scritta? Justin Bieber?”

“Diavolo, no! Lui avrebbe detto: ‘Hai una vita intera per diventare quello che vuoi essere e vivere la tua fantastica vita’, o qualcosa di simile.”

La sento ridere.

“Chris… Perché stai leggendo American Psycho?”

“E’ per un compito di scuola. Ma non mi piace. L’ho messo da parte. Forse lo leggerò quando sarò più grande.”

Ha lo stesso spirito di sua madre.

“In realtà a scuola va abbastanza bene. Però non ho molti amici.”

“Più di cinque?”

“Più di cinque.”

“Tranquilla, la situazione è perfettamente sotto controllo. Io ne avevo soltanto due. Pensa che vita grama ho avuto.”

“Sono preoccupata. Il prossimo anno andrò al liceo, e non ho mai baciato un ragazzo.”

“E che c’è di sbagliato?”

Si strappa via il libro dalla faccia e mi guarda come se fossi un alieno. “Oh, zio Josh, non fare il finto tonto! Al giorno d’oggi soltanto gli sfigati vanno al liceo senza aver mai baciato nessuno!”

“Io ho dato il primo bacio ad una ragazza a quattordici anni compiuti. Anzi, andavo nei quindici.”

“Ma erano secoli fa!”

“Non esageriamo. Sono passati soltanto quindici anni… allora, chi è Aidan McKnight?”

“Un ragazzo.”

“Ma dai?”

“Uno del liceo. Il ragazzo più bello della scuola. Tutte sono innamorate di lui.”

“Compresa tu?”

“Diciamo che mi piace. Ma smettiamo di parlarne. Tu? Sei fidanzato?”

Aspetto che alla voce di Celine Dion si sostituiscano le prime note di ‘For Always’, sorrido e scuoto la testa. “No. Bella canzone.”

Anche Christine sorride. “Innamorato?”

“Forse?”

“Di chi?”

“Non la conosci. Ma tanto non mi vuole.”

Apre la bocca per rispondermi, ma il mio cellulare inizia a squillare, bloccandola. Guardo il numero e mi metto a sedere, sorridendo come un cretino.

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Capitolo 11
*** 11. Antes De Irte [Laura Pausini] ***


6.

“Grace, sono contento che tu…”

“No, Josh, non parlare. Mi ci sono volute ore per preparare il discorso, e se parli manderai tutto all’aria.”

“Ok.”

“Josh, quello che è successo quella sera a casa tua è stato…”

“Meraviglioso.”

“Sì. No! E’ stato uno sbaglio, un errore madornale, e se ti chiamo è per dirti che continuerò ad occuparmi della tua casa, a patto che… che non succeda più.”

“Non posso prometterti nulla, Grace.”

“Tu dimmi che non succederà. Per favore.”

“Mi impegnerò affinché non succeda” sospiro, dopo una lunga pausa.

“Ok. Volevo dirti soltanto questo. Scusa se ti ho disturbato.”

“No, figurati. Ok. Allora… ci vediamo domani?”

“A domani.”

Riaggancio, e soltanto allora mi accorgo che la conversazione si è svolta alla presenza di Christine.

“Zio, una che non ti vuole non ti chiama al cellulare a quest’ora.”

“Io credo che dovresti farti una buona dose di affari tuoi, signorina” sorrido.

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Capitolo 12
*** 12. Too Close [Blue] ***


6.

No. No. Mi rifiuto categoricamente di pensare che d’ora in poi sarà sempre così. Grace sta impacchettando ad uno ad uno i miei soprammobili: indossa una maglietta bianca e una camicia di flanella a quadri alla quale ha rimboccato le maniche; i lunghi capelli scuri sono fissati in cima alla testa con una matita; i jeans sdruciti completano alla perfezione il quadro. È a pochi centimetri da me, e non posso nemmeno toccarla. Ho promesso di non farlo. Ho promesso di provare a non farlo.

“Sai” dico, cercando di fare conversazione, “l’altra sera ho noleggiato Yentl.”

“Ti è piaciuto?”

“Non ho ancora avuto il tempo di guardarlo, a dire il vero. È stata una settimana piuttosto piena.”

“Non ti ho più chiesto come sta andando tra i tuoi genitori.”

“Beh, mio padre dice di avere un’altra donna, ma so che non è così. Porta ancora la fede al dito” aggiungo dopo una breve pausa.

“Pensi che ci sia sotto qualcos’altro?”

“Con dei genitori come i miei, non si può mai sapere. Non so come faccia mia sorella a resistere qui tutto l’anno.”

“Tua sorella dev’essere proprio una brava persona. Insomma, da come ne parli sembra… che tu ne abbia molta stima.”

“Beh, Allie è… Allie. È una specie di seconda mamma per me: ha sempre il consiglio giusto, le parole giuste… a volte credo che le sembri di avere quattro figli, anziché tre.”

Grace ride. Parlando, ci siamo avvicinati ancora. Siamo a una ventina di centimetri l’uno dall’altra, fianco a fianco. Basterebbe voltarsi per… Joshua Winslow Groban, hai promesso a questa ragazza che avresti tenuto le mani a posto, ed è esattamente quello che farai. Non posso fare a meno di chiedermi perché la voce della mia coscienza mi ricordi quella di mia madre.

“Grace…”

“Sì?”

“Mi dispiace per quello che è successo l’altra sera. Temo di essermi lasciato trascinare dal momento, e…”

“Josh, non mi devi spiegazioni. È successo e basta. Lasciamo stare il passato.”

“Grace, a me una spiegazione non dispiacerebbe. Perché non… perché?”

Finge di non aver sentito la mia domanda, concentrandosi sul foglio di giornale che sta lisciando con le mani.

“Grace…”

“E’ che io… io ho promesso di concentrarmi soltanto sulla carriera, per il momento. Ho promesso di non farmi distrarre da niente e… da nessuno.”

“Promesso a chi?”

“A me stessa. È una promessa che intendo mantenere.”

“Che promessa del cavolo. Rinunciare a quella che potrebbe essere la tua felicità per…”

“Non mi pare che tu sia messo diversamente.”

Mi rendo conto che nessuno dei due ha completamente ragione, ma nemmeno completamente torto. Grace ha ragione: ogni maledetto istante della mia vita è programmato, controllato, regolato da Brian. Però questo non mi impedisce di provare dei sentimenti: e i sentimenti che provo per Grace sono… non sono mai stati così intensi.

“Hai ragione: io non sono messo diversamente. Però ammetto che tra noi…”

“Che tra noi cosa?”

“Che c’è un feeling particolare, tra noi.”

Apre la bocca per parlare, poi la richiude.

“Vedi? Anche tu lo pensi.”

“Beh… forse. Però, Josh…”

“Però cosa? Se c’è un feeling, non è giusto lasciarlo sfogare?”

“Io… io non lo so.”

“Di che cosa hai paura?”

“Di niente.”

“Non mentire.”

“Beh, io…” Si interrompe, distogliendo lo sguardo da me.

“Tu cosa?”

“Ammettiamo che il feeling tra noi si… sfoghi. Che cosa credi che succederebbe?”

“Non lo so. Non è questo il bello?”

“Te lo dico io che succederebbe. Ti stuferesti, oppure il tuo manager ti spingerebbe ad allontanarmi. E allora io…”

“Non mi potrei stufare…”

“E allora io soffrirei. E sono stanca di soffrire.”

“Non soffrirai, Grace. Te lo prometto.”

“Non puoi promettere qualcosa del genere.”

“Ti prometto che soffrirò il doppio di quanto soffrirai tu, anche se tu non soffrirai” ribatto, accarezzandole una guancia.

Arrossisce, abbassando lo sguardo. Un sorriso come il suo non può essere legale.

“Grace?”

“Sì?”
“Posso…”

“Puoi cosa?”

“Fare quello che ho fatto l’altra sera?”

“Sei adulto.”

Lo prendo per un sì. Avvicino le mie labbra alle sue con delicatezza, assaporando ogni attimo, ogni minimo contatto. Questo bacio non ha niente a che vedere con quello dell’altra volta: stasera, il Josh quattrocchi e imbranato sembra non essere mai esistito.

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Capitolo 13
*** 13. All I Know Of Love [Josh Groban & Barbra Streisand] ***


6.

Mi allontano di pochi centimetri da lei, ma senza aprire gli occhi: non riesco a non pensare che potrebbe essersi trattato di un sogno. Le dita di Grace salgono al mio viso, sfiorandomi appena. Quel lieve contatto mi dà la certezza che non si tratta di un sogno. Apro gli occhi, e lei è di fronte a me, i grandi occhi neri spalancati, pieni di… terrore? Piacere? Sorpresa? Non sono mai stato bravo a decifrare gli stati d’animo altrui. Non sono bravo nemmeno con i miei.

“Grace…” sussurro, così vicino a lei da riuscire a distinguerne le ciglia.

“No. Non parlare. Non parlare.”

“Ma…”

“Non dire niente” mi ammonisce ancora, spostando un dito sulle mie labbra. “Non dire niente” sussurra, prima di colmare ancora le distanze fra noi.

Nonostante i miei ventinove anni, non sono un esperto baciatore. E non ho nemmeno avuto centinaia di partner, come si potrebbe pensare. Probabilmente due mani mi basterebbero, per fare il conto delle donne con cui sono stato. Però, nonostante la mia poca esperienza in materia, riesco a rendermi perfettamente conto che questo è il miglior bacio che abbia mai ricevuto. È il miglior momento che abbia mai vissuto.

Come guidate da una forza invisibile, le mie mani stringono il corpo di Grace, impedendole di allontanarsi. I suoi capelli sono incredibilmente soffici al tatto: la matita che li trattiene scivola via e cade sul pavimento con un piccolo tonfo, al quale nessuno dei due presta attenzione. Le mie mani seguono l’andamento della sua chioma, e si ritrovano sulla sua schiena, che a quel contatto si inarca impercettibilmente verso di me. Come me, inizia a lasciarsi trasportare dalle emozioni, e fa scivolare le sue braccia attorno al mio collo.

Mi allontano ancora da lei, cercando i suoi occhi. Li vedo brillare di una luce diversa, e illuminare un volto leggermente arrossato e imbarazzato.

“Grace…”

“Josh, tu mi piaci” ammette, abbassando lo sguardo. “Mi piaci da molto prima che ci incontrassimo su quell’aereo.”

Mi sfugge un sorriso, che nascondo affondando il viso nella meravigliosa curva del suo collo. Posso avvertire ogni singolo brivido del suo corpo. Forse è questo a spingermi ad appoggiare le labbra sulla sua pelle morbida, e a percorrere lentamente l’intera linea del suo collo, dalla mascella alla spalla, senza saltare nemmeno un punto, sentendo Grace tremare tra le mie mani. Lei muove qualche passo, urta contro il divano e cade, trascinandomi con sé. Entrambi scoppiamo a ridere come bambini.

Non so per quanto tempo rimango lì, disteso sopra di lei, con gli occhi fissi nei suoi, una mano affondata tra i suoi capelli, ma sono sicuro che siano trascorsi almeno due secoli, prima che io abbia trovato il coraggio di baciarla ancora. Maledizione, so che corro il rischio di sembrare la classica popstar che agisce soltanto in base ai propri desideri, ma stanotte niente potrà impedirmi di amare questa donna.

Facendo leva su un braccio, sposto il mio peso da lei, ma senza smettere di baciarla, né di farle sentire la mia vicinanza. La mia mano scende lungo il suo fianco, fermandosi poco sotto la sua vita, e dopo una breve pausa risale, spostando lentamente verso l’alto la sua maglietta. Il contatto con la sua pelle è piacevole, così come è piacevole scoprire che le sue mani sono scese dal mio collo alla mia schiena, e stanno cercando di fare ciò che sto facendo io con lei. E’ piacevole scoprire che lei è molto più svelta di me, e ritrovarsi mezzo nudo sopra di lei un pochino mi imbarazza. Sto cercando di capire come toglierle i vestiti, quando perdo l’equilibrio e cado sul tappeto, trascinando Grace con me. Soffochiamo la risata con un bacio, mentre riesco finalmente a toglierle questa maledetta camicia.

La maglietta che porta è terribilmente attillata: lascia ben poco all’immaginazione, e sottolinea alla perfezione ogni linea del suo corpo. La mia reazione dev’essere parecchio evidente, perché Grace distoglie per un attimo lo sguardo, imbarazzata. Cerco di riprendere il controllo della situazione, facendola scivolare di nuovo sotto di me, e riportandomi in una posizione di vantaggio. Riprendo da dove avevo interrotto, e ricomincio a far scivolare via la stoffa dalla sua pelle, lasciando una scia di baci sulle sue forme finalmente libere. La scopro di nuovo intraprendente quando fa scivolare le sue mani sulla mia cintura, slacciandola con totale noncuranza. Sta per dedicare la stessa attenzione anche ai miei jeans, quando il mio cellulare incomincia a squillare. Non posso crederci. Sembrava davvero troppo perfetto, come momento. Comunque, non ho alcuna intenzione di rispondere. Lo cerco a tastoni e lo spengo, senza nemmeno guardare, e subito dopo sposto le mie mani sui suoi pantaloni, impegnandomi a slacciarli prima che uno dei due possa cambiare idea.

Ci ritroviamo praticamente nudi, l’uno sopra l’altra, e ormai sappiamo entrambi che cosa accadrà. Bacio ancora le sue labbra morbide, per poi scendere lungo il suo collo, fermandomi sul suo seno, mentre sento le sue mani tra i miei capelli, sul mio torace, sulla mia schiena… Abbasso le spalline del suo reggiseno, sfiorando la sua pelle con due dita: la sento emettere un debole gemito, mentre insinuo una mano sotto la sua schiena, nel tentativo di liberarla della biancheria.

“Josh…”

La sua voce pronuncia il mio nome in un modo del tutto nuovo. Forse è questo ad indurmi a fare in fretta per ritrovarmi disteso sopra di lei, stretto tra le sue ginocchia, aspettando un suo cenno. Dal punto di vista fisico siamo entrambi pronti, ma voglio essere sicuro che sia quello che vuole. Le sue mani che si ricongiungono sulla mia schiena mi fanno capire che vuole esattamente ciò che voglio io. Mi faccio strada nel suo corpo lentamente, quasi con timidezza, lasciandomi sfuggire un gemito che a lei strappa un sorriso. I nostri corpi si avvicinano fino a combaciare perfettamente, quasi fossero stati disegnati per stare insieme. Cerco le sue labbra per baciarle ancora, poi mi concentro sul mio corpo: inizio a muovermi su di lei, con ritmo crescente, spostando le mie mani lungo le sue forme, catturando i suoi gemiti con le mie labbra, cercando di farle capire che questo momento sarà indimenticabile. Presto, diventa difficile rimanere concentrato, e più di una volta mi manca il respiro, mozzato dalla miriade di sensazioni che il contatto tra i nostri corpi provoca.

“Grace… Grace…” è la sola cosa che riesco a dire, ormai.

Anche il suo respiro è cambiato, e le sue mani si aggrappano alle mie spalle, mentre affrontiamo l’ultima fase di questo nostro abbraccio così intenso. Il mio corpo è scosso da un fremito, la stretta sulla mia schiena si allenta, e capisco che è finito tutto. Poi i miei occhi incontrano i suoi, le mie mani raggiungono il suo viso, e capisco che è qui che inizia tutto.

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Capitolo 14
*** 14. Call Me A Fool [Live] ***


6.

Grace aveva un appuntamento di lavoro, quindi si è alzata presto, si è vestita e mi ha salutato con un bacio. Io me ne sto seduto in cucina, con lo sguardo fisso sul panorama e una tazza di caffè ormai freddo tra le mani. Sono tremendamente felice. E confuso. Ma più felice. Ripenso alla notte trascorsa con Grace, e una serie di brividi mi attraversa. Com’è possibile che una sola notte con lei mi faccia sentire diverso?

Il campanello mi distrae. Diavolo, per una volta in cui mi stavo concentrando su qualcosa… Vado ad aprire, e non riesco a nascondere la sorpresa nel trovarmi davanti Brian.

“Lo sai perché hanno inventato i telefoni cellulari?”

“Perché tu potessi rompermi le scatole in ogni momento?”

“Molto divertente. Li hanno inventati per rendere le persone reperibili, ma non funzionano se la gente li tiene spenti. Ieri sera ti ho cercato, e hai avuto l’accortezza di riattaccare.”

“Si sarà scaricata la batteria, Brian” mento, trattenendomi a stento dal ridere. Ero quasi certo che si trattasse di lui.

“Nossignore. Tu hai messo giù di proposito.”

“Mi stupisco che tu non sia corso qui per vedere che stava succedendo” ribatto, versandogli una tazza di caffè.

“Ho la macchina dal meccanico, per questo non l’ho fatto. Allora, mi vuoi dire che è successo?”

“Scusa, avevo da fare.”

“Sono disposto a scusarti solo se stavi scrivendo il tuo prossimo successo.”

“Più o meno. Piuttosto, perché mi cercavi?”

“Mi ha chiamato tua sorella, ma non mi ha voluto dire perché ti cercava.”

Metto giù di colpo la tazza. “E che aspettavi a dirmelo? Lo sai che la mia famiglia viene prima di tutto il resto.”

Prendo il cellulare e trovo sette chiamate perse, tutte da parte di Brian. Compongo il numero di mia sorella.

“Ehi, Allie. Brian mi ha detto che mi hai cercato. Che succede?”

“Josh… sono in ospedale. È per papà.”

 

***

 

Allie mi accoglie con un abbraccio, e nonostante abbia appena finito di piangere come una disperata, quando mi parla lo fa con il tono materno che la contraddistingue. “Ho cercato di telefonargli. Volevo sapere come stava. Non rispondeva, allora ho mandato Gary a cercarlo al bungalow. Lo ha trovato svenuto nel soggiorno. I medici non sanno ancora che cosa sia successo.”

“Come… come sta?”

“Non troppo bene, ma non è nemmeno in pericolo di vita. Ora sta riposando.”

“Sei qui da sola?” le chiedo, accarezzandole fraternamente una spalla.

“No, c’è Christine con me. È in bagno, adesso.”

“Quando… quando è successo?”

“Verso le undici, credo. Insomma, Gary è arrivato al bungalow a quell’ora.”

Mi vergogno di me stesso: mio padre si è sentito male, e io stavo facendo l’amore con l’arredatrice della mia casa. Beh, non potevi saperlo, cerco di scagionarmi. È vero, non lo sapevo, ma se avessi risposto al cellulare, Brian mi avrebbe detto che Allie mi stava cercando. Sì, e probabilmente Grace ti avrebbe odiato per il resto della vita.

“Allie… scusami se non mi sono fatto trovare.”

“Tranquillo, fratellino. Immagino stessi lavorando.”

Mi siedo su una delle orribili sedie di plastica azzurra. “No, veramente no.”

“Oh. Quindi… ti stavi svagando?”

Sorrido. “Immagino si possa chiamare svago.”

“Ti va di raccontarmi?” mi chiede, sorridendo maliziosamente.

“Certo che no” ribatto, sorridendo a mia volta.

“Mi dici almeno come si chiama?”

Sbuffo. “Grace.”

“Grace. Come la nonna. Bel nome.”

La voce di Christine alle mie spalle mi fa sussultare. “Grace? È la ragazza che ti ha chiamato l’altra sera?”

“Potrebbe esserlo, ma potrebbe anche non esserlo. Non ti avevo suggerito di farti gli affari tuoi, signorina?”

“Sì, hai detto qualcosa di simile. Ma si sa, noi donne siamo curiose per natura” ribatte, esibendosi in un meraviglioso sorriso a trentadue denti.

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Capitolo 15
*** 15. Ogni Mio Istante [Negramaro] ***


6.

“Grace Thomas. Chi parla?”

“Ciao. Sono io.”

“Josh…” Sono sicuro che stia sorridendo. La sua voce è diversa, quando sorride.

“Come stai?”

“Bene. Sto molto bene. Insomma, credo di essere un po’ confusa, però sono anche…”

“…felice?”

“Come lo sai?”

“Mi sento anch’io così” ammetto.

“Brian è nei paraggi?”

“Perché?”

“Perché parli sottovoce.”

“No, a dire il vero sono in ospedale. È per mio padre” preciso, per non farla preoccupare.

“Che è successo?”

“Mio cognato lo ha trovato svenuto nel suo bungalow sulla spiaggia. Non so che cosa sia successo. Aspettiamo che si svegli, e spero che possa dircelo lui.”

“Vuoi che venga da te?”

“No, non è il caso. Mia sorella mi ha chiamato per avvisarmi, ma tanto stanno per mandarci via.”

La sento ridere. “Non permettono al grande Josh Groban di restare?”

Sorrido. “No, evidentemente vendere milioni di dischi non mi permettere di restare al capezzale di mio padre anche fuori dall’orario di visita. Forse ci vuole una laurea in medicina per questo.”

“Senti, se oggi non mi vuoi tra i piedi ti capisco.”

“Scherzi? Tutto solo in quell’attico enorme impazzirei. E poi ho voglia di vederti.”

“Josh, vengo a casa tua per lavorare, sia chiaro” mi ammonisce.

Sorrido ancora. “Tranquilla, anche io devo lavorare. Brian mi ammazza, se non inizio a prendere sul serio questa cosa del nuovo cd.”

“Hai già deciso quale grande canzone del passato reinterpretare?”

“Forse.”

 

***

 

Grace sta finendo di mettere via i soprammobili del soggiorno; nel frattempo, io sono seduto in un angolo, con una penna e un blocco per appunti, e sto ascoltando una nuova melodia sulla quale scrivere una canzone. Dopo averla ascoltata per la centesima volta, mi strappo le cuffiette dalle orecchie e lascio cadere la penna.

“Non mi dirai che ti arrendi?”

“Non mi viene in mente nulla di interessante. Ho un sacco di idee, ma non so da che parte cominciare.”

“Posso sentire?”

Si siede di fronte a me e mette le cuffie. Chiude gli occhi, assapora la melodia. Inizia a muovere la testa e le spalle, ondeggiando al ritmo della musica. Quando la traccia finisce, riapre gli occhi e li punta su di me. “E’ bella.”

“A che cosa ti fa pensare?”

“Ai miei genitori. A quando si volevano ancora bene. A quando si amavano.”

Improvvisamente mi viene in mente una frase che starebbe benissimo in questa canzone: She walks slowly in my room, between my souvenirs.

“Perché è finita?” le chiedo.

“Non lo so. Credo abbiano semplicemente smesso di amarsi.”

Her past melts with mine, we share the same sorrow.

“Sull’aereo mi hai detto che non fu un bel periodo per te.”

“Ero soltanto una bambina. Non riuscivo a capire.”

We both don’t understand what happened, we both don’t know why.

“Come sei riuscita ad andare avanti?”

“Non credo di essere riuscita ad andare avanti.”

She still suffers, I wish I could raise her up.

La canzone si sta praticamente scrivendo da sola. Sono sconvolto.

“Sai, Grace, sono felice di averti incontrata.”

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Capitolo 16
*** 16. Semplicemente [Zero Assoluto] ***


6.

“Avnet.”

“Brian, sono io. Josh. Ho la canzone.”

“Mi prendi in giro? Stamattina non avevi ancora nulla!”

“Mi ci sono messo d’impegno.”

“Facciamo tra mezz’ora in studio?”

Guardo Grace, che ha appena finito di stendere un telo di plastica sulla moquette del salotto. “Facciamo tra due ore.”

Metto giù e spengo il cellulare, prima che Brian possa decidere di richiamarmi per chiedermi spiegazioni. Grace non ha sentito la conversazione, e continua a controllare i suoi progetti. Mi avvicino, cercando di non fare rumore, anche se la plastica tradisce la mia presenza. Comunque, riesco a passare un braccio attorno alla sua vita prima che si sposti.

“No. Non farti venire in mente strane idee.”

“Non mi faccio venire in mente nulla. Volevo solo abbracciarti.”

“Perché?”
“Perché mi piace sentirti vicina, sentire che ci sei.”

“Josh, quello che è successo ieri notte non… insomma, cambia tutto.”

“Hai ragione” sussurro, allontanandomi un po’ da lei. “Cambia tutto.”

“Non riesco a decidere se in meglio o in peggio.”

“Non devi decidere se cambia tutto in meglio o in peggio. Credo si capirà con il tempo.”

“Il tempo” ripete, sorridendo. “E che cosa proponi, mentre aspettiamo che il tempo ci illumini?”

Mi avvicino di nuovo, faccio scivolare le braccia sulla sua schiena e cerco un contatto con il suo corpo. “Propongo di sfruttare al massimo ogni occasione.”

 

***

 

“Dove sei stato? Ti ho concesso due ore anziché trenta minuti, ma arrivare con quaranta minuti di ritardo mi sembra eccessivo!”

“Scusa, Brian, è che ho fatto alcune modifiche dell’ultimo minuto al testo. Sai, aggiustato rime, e cose simili…”

“Sì, sì, va bene” mi interrompe, gesticolando. “Allora, ci fai sentire questa meravigliosa canzone?”

“Certo.”

Mi metto al pianoforte e apro lo spartito.

“Come l’hai intitolata?”

My Soul’s Mirror*” rispondo.

“’Lo Specchio Della Mia Anima’… romantico. Inizia pure.”

Mi scaldo le mani con qualche accordo, poi inizio a seguire la partitura, che conosco ormai a memoria. E poi le parole iniziano a fluire dal cuore alla gola, senza alcuna mediazione da parte del cervello.

“…she takes my hands so I can see myself reflected into her eyes… she’s all I ever wanted, she’s the mirror of my soul.”

Un applauso mi fa alzare immediatamente la testa. Sono certo che non si tratti di Brian. Infatti è Humberto Gatica, il miglior produttore al mondo, ad applaudire il mio lavoro: è entrato senza che me ne accorgessi, ed è semplicemente entusiasta.

“Ragazzo, hai prenotato il Grammy!” strilla, frenetico come un bambino davanti ai regali di Natale.

Sorrido. Vincere un Grammy sarebbe fantastico, ma essere riuscito a trascrivere una parte delle emozioni che provo quando sto con Grace è una conquista più grande.

“Grazie, Hub” rispondo, beccandomi una pacca sulla spalla.

“Ora resta solo da decidere la cover, e possiamo iniziare le registrazioni.”

“Ci ho pensato. Ho deciso.”

“Ok, campione. Spara.”

“’Amazing Grace’.”

Humberto annuisce. “Ottima scelta, muchacho.”

 

 

*My Soul’s Mirror – Non esiste una canzone con questo titolo, nel repertorio di Josh Groban. Le citazioni riguardanti tale canzone sono frutto della mia fantasia (leggi: follia).

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Capitolo 17
*** 17. Hallelujah [Rufus Wainwright] ***


6.

Brian inizia a sbracciarsi per richiamare la mia attenzione, mentre io sto cercando di concentrarmi sulla pronuncia de ‘La Voce Del Silenzio’. “Josh!” si trova costretto a strillare.

“Che c’è?”

“Tua nipote al telefono. Almeno non potrai dirmi che me ne frego della tua famiglia.”

Che cosa può volere Christine? Deve per forza essere Christine, perché non credo che a Stella verrebbe in mente di chiamarmi.

“Pronto?”

“Zio, sono Chris. Ascolta, devi venire subito in ospedale. Il nonno ha avuto una specie di crisi, sta male…”

“Ascolta, Chris, la mamma dov’è?”

“Sta parlando con il dottore. Non voleva che ti chiamassi, perché non vuole che ti distragga dal lavoro, ma ho pensato che dovessi saperlo…”

“Hai pensato bene, tesoro. Arrivo subito.”

Riattacco, e in men che non si dica Brian mi placca. “Arrivi subito dove?”

“Ospedale. Mio padre” rispondo, telegrafico. Immediatamente mi lascia libera la strada.

 

***

 

“Josh, che ci fai qui?”

“Per fortuna tua figlia ha più buonsenso di te, e mi ha chiamato. Come sta papà?”

“Christine, cosa… ah, lasciamo stare. Vieni, ti faccio parlare con il dottor Carver.”

Il medico che si sta prendendo cura di mio padre è alto, incredibilmente magro e piuttosto trasandato. Però, nonostante l’aspetto, sembra uno che sa il fatto suo. E soprattutto parla chiaro, senza usare inutili tecnicismi.

“Signor Groban, come ho detto poco fa a sua sorella, vostro padre ha avuto una crisi cardiaca. È probabile che sia accaduta la stessa cosa anche l’altro giorno.”

“Ma papà… papà è sempre stato sano come un pesce” protesto. Non riesco a credere a ciò che ho appena sentito.

“Signor Groban, abbiamo richiesto le cartelle cliniche di suo padre al medico che lo aveva in cura. Vostro padre è affetto da una rara forma di tumore al fegato. Ed è ad uno stadio troppo avanzato perché si possa riuscire a fare qualcosa.”

“Lei mi sta dicendo che mio padre sta morendo?”

“Vorrei che non fosse così, signor Groban, ma… purtroppo non c’è niente che possiamo fare per suo padre.”

 

***

 

Sono letteralmente corso via dall’ospedale, confuso dalla notizia che mio padre, una delle poche certezze della mia vita, sta per morire. No, sta morendo. È diverso.

Sono così sconvolto che mi sono rifugiato nella sua tana, e mi sono messo a riflettere.

La prima volta che sono venuto qui, dopo il mio rientro dal Colorado, ho pensato che fosse troppo magro. Era già malato, e io non me sono accorto. Mi sembrava lo stesso di sempre, e invece un mostro orribile lo stava divorando.

Roxy sa che papà sta male, e che probabilmente non tornerà più in questo sperduto bungalow. Ha persino accettato la mia presenza, e si è seduta accanto a me sulla sabbia. La accarezzo e non ringhia, anzi: uggiola come un cucciolo separato dalla madre. “Roxy, perché non me ne sono accorto? Perché non mi sono accorto che mio padre stava male?”

Non ho nemmeno la forza di piangere. Tanto, a che servirebbe piangere?

Roxy si distende sulla sabbia. La imito. Mi stendo, chiudo gli occhi e ascolto il rumore del mare. Sento che potrei addormentarmi. Vorrei davvero dormire, e domani mattina svegliarmi di soprassalto, per scoprire che si è trattato di un incubo.

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Capitolo 18
*** 18. Ci Parliamo Da Grandi [Eros Ramazzotti] ***


6.

Da quando ho scoperto che mio padre non ha più molto tempo, trascorro ogni momento libero in ospedale, anche se ancora non ho trovato il coraggio di entrare nella sua stanza. La mamma, invece, non ha il coraggio di uscirne, però dovrebbe farlo: dovrebbe imparare a stare lontana da lui, perché quando arriverà il momento della separazione definitiva, avrà un crollo. Lo so anche senza essere uno psicologo.

La mamma è troppo coinvolta, io sembro uno che se ne frega, e mia sorella… Allie dovrebbe ricevere la medaglia d’oro al valor civile, per l’impegno che mette in ogni cosa che fa: si occupa della famiglia, del negozio, della mamma e di me.

“Ehi fratellino… hai bisogno di qualcosa?”

Alzo lo sguardo su mia sorella, e per la prima volta mi rendo conto di quanto sia stanca.

“Sì, Allie. Ho bisogno che tu vada a casa, a riposare.”

“Riposare? Non sono stanca.”

“Le occhiaie ti arrivano alle ginocchia. Vai, riaccompagno io la mamma.”

“Josh…”

“Allie, vai. Per favore.”

 

***

 

“Tesoro, posso andare a casa in autobus. Non c’è bisogno che mi accompagni.”

“Che razza di ragionamento è, mamma? Accompagnarti a casa non è una punizione. Lo faccio volentieri.”

“Non vorrei che avessi problemi sul lavoro.”

Salgo in auto e allaccio la cintura, aspettando che mia madre faccia lo stesso. “Mamma, dovete smetterla di trattarmi come se la mia vita contasse più della vostra.”

“Noi non ti trattiamo…”

“Oh, mamma, smettila! È tutto un continuo ‘Josh, non vorrei che’, ‘Non potrei perdonarmi se’… sono stufo. Solo perché tutti conoscono il mio nome, non significa che dobbiate trattarmi con i guanti. Allie non può continuare a fare tutto. È ora che anche io mi prenda la mia fetta di responsabilità.”

Gli occhi di mia madre si velano di lacrime. “Mio Dio… mi sembra di vedere tuo padre.”

 

***

 

L’orario di visita termina tra mezz’ora. Ancora trenta minuti prima che la caposala mi sbatta fuori a calci. Ancora trenta minuti per trovare il coraggio di entrare in quella stanza e sedermi accanto al letto di mio padre. Non dovrei essere così spaventato, però… non so, lo sono. Ha ripreso conoscenza pochissime volte, e mai per più di qualche minuto. Forse ho paura che si svegli mentre sono con lui. Forse ho paura di quello di cui potremmo parlare. Forse non voglio parlare di quello che gli sta succedendo. Di quello che sta succedendo a tutti noi. Di quello che succederà alla nostra famiglia quando lui se ne sarà andato.

Non riesco a capire quali siano le cause della mia paura. So soltanto che ho appena oltrepassato la porta della sua stanza, e ora sono immerso nel silenzio e nel buio. Sono immerso nella paura, a pochi centimetri da lui.

“Ciao, papà.”

Il dottor Carver dice che parlargli può essere un buon modo per aiutarlo a riprendere conoscenza, di tanto in tanto. Ma io non sono bravo con le parole. Me la cavo meglio con la musica. Forse cantare può essere una soluzione, dopotutto.

…she turns to the window, to sway in the moonlight, even her shadow has grace…

Canto sottovoce, senza lasciare la sua mano.

…she lifts her hands to the sky… she moves with the music, song is her lover, the melody’s making a cry…

Una leggera pressione sulle mie dita mi spinge ad aprire gli occhi, e ad incontrare i suoi.

“La più bella canzone che tu abbia mai cantato.”

Sto per arrossire come un cretino. “Non hai sentito l’ultima che ho scritto.”

“Come si intitola?”

“’My Soul’s Mirror’. L’ho scritta pensando a Grace. Sai, la ragazza di cui ti ho parlato. A Brian è piaciuta.”

“A Brian è piaciuta la tua ragazza?”

“No, la canzone. E comunque, Grace non è esattamente la mia ragazza.”

“Però ci sei stato a letto.”

“Papà!”

Il suo sorriso porta i segni della malattia, però riesce a contagiarmi, come sempre.

“E va bene, l’abbiamo fatto. Due volte” aggiungo, notando i suoi cenni d’intesa. “In due giorni.”

“Bravo, figliolo.”

“Papà…” bisbiglio, facendomi serio. “Perché non ci hai detto niente?”

“Non volevo che vi preoccupaste.”

Rido. “Certo, perché scoprire all’improvviso che stai morendo non è fonte di preoccupazione.”

Sospira. “In tutta sincerità, speravo che mi prendesse in fretta, all’improvviso. Sarebbe stato più semplice.”

“E’ per questo che volevi lasciare la mamma? Perché lei pensasse che non vi amavate più, così avrebbe superato la tua morte più in fretta?”

“Forse. Non so che cosa stessi pensando. La verità è che la mia vita non ha mai avuto senso, senza di lei. Da quando l’ho incontrata, la strada è sempre stata in salita… ma quanto è stato bello il viaggio.” Sospira ancora, perdendosi nei ricordi, mentre io mi perdo nei suoi occhi, senza riuscire a convincermi che non brilleranno così per sempre.

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Capitolo 19
*** 19. The Show Must Go On [Queen] ***


6.

“Ci vorranno un paio di giorni per tinteggiare il salotto” mi avverte Grace.

“Ok, non c’è problema. Tanto Brian vuole rinchiudermi in studio per lavorare al nuovo album, e credo tornerò a casa soltanto per dormire. Hai le chiavi, fai come se fossi a casa tua.”

Sento il suo sguardo addosso, mentre rovisto tra i miei appunti. “Come sta tuo padre?”

“Male. Molto male. Però riesce a stupirmi, come al solito.”

“A… stupirti?”

“Sai, è buffo come vanno le cose, a volte. Credi di conoscere qualcuno, credi di sapere ogni cosa, e invece quella persona riesce a sorprenderti. Pensavo di sapere tutto di mio padre. Pensavo di conoscere ogni lato del suo carattere, e invece… è ancora più straordinario di quanto pensassi.”

 

***

 

Humberto e io siamo rinchiusi in studio dalle otto di questa mattina, e ancora non abbiamo concluso nulla. Fare musica può sembrare facile, ma in realtà la mole di lavoro che c’è dietro un album è immensa. Stiamo discutendo degli arrangiamenti da effettuare per ‘My Soul’s Mirror’, quando Brian mi dà una pacca fraterna sulla spalla, suggerendomi una pausa.

La mia pausa consiste nel rileggere il testo de ‘La Voce Del Silenzio’, cercando di memorizzare la pronuncia corretta di ogni parola. Ci tengo a fare bene il mio lavoro, nonostante tutto. Brian mi raggiunge e si siede di fronte a me. Lo guardo con sospetto al di sopra degli occhiali. Quando mi guarda così, di solito sta per chiedermi un favore. Oppure sta per farmi una ramanzina. Non so quale ipotesi sia la migliore.

“Josh, ascolta…”

Ti prego, Brian, non sgridarmi. Qualunque cosa io abbia fatto, anche se non so di che si tratti, prometto che non lo farò più.”

“Dio mio, sono così tremendo?”

“A volte anche peggio” borbotto, riportando gli occhi sul testo della canzone.

“Dai, ascoltami” riprende, togliendomi di mano i fogli.

“Che c’è?” chiedo, stanco. Non sono mai stato così stanco in vita mia.

“Beh, ecco… io mi rendo conto di essere un pochino eccessivo, a volte…”

“Solo a volte?”

“Dai, non scherzare. Sto facendo un discorso serio. So di esagerare, a volte, ma spero sia chiaro che lo faccio nel tuo interesse. Io lavoro per te, e tutto quello che faccio va a tuo vantaggio.”

“Lo so, Brian. E tu sai che apprezzo il tuo lavoro.”

“E io ti ringrazio. Comunque, sono umano anch’io. Sono umano e, come te, anche io ho una famiglia. Più o meno. Beh, quello che sto cercando di dire è che so cosa vuol dire trovarsi davanti a cose come la malattia e… beh, la morte.”

Lo fisso senza capire, ma lo lascio proseguire.

“Insomma, ho perso mia madre, quindici anni fa, ed è stato tremendo. Quindi… insomma, ti capisco, se in questo momento il lavoro è il tuo ultimo pensiero. Se… se non te la senti di portare avanti il progetto adesso, possiamo far slittare tutto di due, tre, sei mesi… finché le cose non andranno meglio.”

Non sono sicuro che questa conversazione stia davvero avendo luogo.

“Brian Avnet, tu mi stai dicendo che saresti disposto a ritardare di sei mesi l’uscita di un disco praticamente già venduto? Il tutto perché mio padre sta male?”

Sorride. “Te l’ho detto, sono umano anch’io. E comunque i pezzi grossi sono d’accordo. Nel caso, mi preoccuperei più delle tue fan. Potrebbero organizzare una rivolta. Ma ripeto, la tua famiglia e la tua serenità vengono prima di tutto.”

Abbasso gli occhi sul tavolo, riflettendo su ciò che Brian mi sta proponendo. Continuare a lavorare, oppure prendermi una pausa, aspettando che il destino di mio padre si compia.

Riporto gli occhi su Brian, sorridendo. In quel momento anche lui si rende conto che la scelta possibile è solamente una.

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Capitolo 20
*** 20. Un Po' [Marco Masini] ***


6.

“Sai, papà, Brian mi ha proposto di far slittare di sei mesi l’uscita del disco.”

“Cosa? Perché?”

“Perché era convinto che mi servisse una pausa.”

“Si sbagliava?”

“Non lo so. Ma se davvero non sappiamo quanto tempo ci resta, non posso permettermi di sprecare un solo istante.”

“Che cosa stai cercando di dirmi, Josh?”

Sospiro, e stringo un po’ di più la sua mano, come se la cosa potesse darmi coraggio. “Beh… l’uscita ufficiale dell’album è prevista per l’autunno, ma lavorando a questo ritmo sarà pronto a fine luglio. E vorrei… beh, vorrei che tu fossi il primo ad ascoltarlo.”

“Non so se a luglio ci sarò ancora.”

“Il dottor Carver ha detto che non si può sapere nulla. A me piace pensare che ci sarai, papà.”

Sorride, e io sorrido con lui.

“Sei un bravo ragazzo, Josh.”

“Ho imparato dal migliore.”

 

***

 

“Ehi… allora ho davvero assunto la miglior arredatrice d’interni di Los Angeles.”

“Sbaglio o volevi un lavoro ben fatto?”

“No, non sbagli” sorrido. Per quanto continui a guardarmi in giro, non riesco a ritrovare il mio vecchio salotto, sotto le due mani di vernice gialla stese con cura da Grace.

“Beh, deve ancora asciugare per bene. E poi bisognerà aspettare che ci siano le tende, e i mobili, prima di dire se è davvero un buon lavoro, però…”

Arresto il fiume di parole baciandola.

“Tu ti stai prendendo un po’ troppa libertà” sussurra, con gli occhi ancora chiusi.

“Non mi sembra di aver ricevuto reclami.”

Ride. “No, in effetti no. Però adesso devo andare.”

“Come sarebbe?”

“Non sei il mio unico cliente, sai? Ho appuntamento con una coppia che vuole riarredare la cameretta dei figli.”

“Se vogliono referenze, dai loro il mio numero. Parlerò bene di te” scherzo.

Sorride ancora, mentre prende lo zainetto. “Scusa per il disastro. Pulirò domani.”

“Non importa. Tanto stavo pensando di andare al bungalow di mio padre, sulla spiaggia. Ho scoperto che ci si lavora bene.”

“Hai ancora problemi con quella canzone?”

“Sì, un po’” mento. Non è ancora il momento di dirle che quella melodia ha già una canzone, e che quella canzone è tutta per lei. “Ma sono in fase di risoluzione, credo.”

“Bene” annuisce. “Io… io dovrei andare.”

“Ti accompagno.”

Indugia sulla porta, come se dovesse dirmi qualcosa di estremamente importante.

“Grace, va tutto bene?”

“Sì. No. Quasi. Insomma, io…”

“C’è qualcosa che vorresti dirmi?”

“Io… l’altra sera, quando… insomma, ti ho detto che mi piaci.”

Sorrido. “Sì, me lo ricordo.”

“Ecco, io…”

“Vuoi rettificare l’informazione?”

Sorride. “No. Cioè, io…”

“Grace” la interrompo. Lei mi guarda con i suoi enormi occhi neri, e anche io sono sul punto di mettermi a balbettare. “Grace, vai, o farai tardi. Di qualsiasi cosa si tratti, hai il mio numero. Lo sai, puoi chiamarmi quando vuoi.”

Annuisce, e si congeda lasciando un bacio leggero sulla mia guancia.

Non sono mai stato così confuso. Non sono mai stato così sicuro di quello che voglio.

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Capitolo 21
*** 21. Acqua Nell'Acqua [Claudio Baglioni] ***


6.

Ho il mio iPod, ho i miei spartiti, ho i miei occhiali, ho il mio cellulare. Roxy è accucciata nel suo angolo, con l’aria mesta che la contraddistingue da quando papà è in ospedale.

Ho il silenzio, la tranquillità, la solitudine. Tutto quello che di solito mi basta per scrivere è qui, eppure non riesco a iniziare.

Non riesco a concentrarmi, e il motivo è soltanto uno.

Continuo a chiedermi che cosa volesse dirmi Grace.

Forse dovrei chiamarla. Sicuramente dovrei chiamarla.

Però mi manca il coraggio di farlo.

“Roxy, ti va un giretto?”

 

***

 

Ammirare il tramonto sull’oceano: ecco uno dei motivi per cui ho sempre adorato Los Angeles. Probabilmente esistono luoghi nel mondo che possono offrire uno spettacolo anche migliore, ma per me, che non ci ho mai fatto caso, questo resta lo spettacolo più bello del mondo.

Roxy corre felice, seguendo il tracciato percorso migliaia di volte con mio padre, mentre io mi concentro sul mare.

Chiudo gli occhi, e nel rumore delle onde che si infrangono sulla spiaggia scopro un ritmo inaspettato, che col passare del tempo assomiglia sempre di più al ritmo del mio cuore.

 

“Vedi, Josh, la vita è… è come l’oceano. La vedi l’acqua? L’onda investe la spiaggia, l’acqua invade ogni spazio, e poi se ne va. Se ne va e sembra perduta, ma… ritorna sempre.”

“Papà, io… io non riesco a seguirti.”

“Non è necessario che tu capisca adesso. Capirai, Josh, capirai…”

 

Adesso capisco che cosa stava cercando di dirmi quel giorno. Mi stava dicendo che era malato, che la sua vita era quasi al termine. Mi stava dicendo di non disperare, perché la vita vince sempre. Vince su tutto. La vita e l’amore vanno di pari passo, ed entrambi trionfano sempre. Stava cercando di dirmi questo. Voleva dirmi di non perdere la speranza, e io… io non ho capito nulla.

 

***

 

Apro gli occhi nell’istante in cui sento il cellulare vibrare contro la mia coscia.

“Pronto?” rispondo, senza nemmeno controllare chi mi sta chiamando.

“Ehi. Sono io. E’ un brutto momento?”

Sorrido. “Mentirei, se dicessi che va tutto bene. Ma per te ho sempre tempo.”

“Beh, io ho finito prima del previsto. Mi hanno dato il lavoro.”

“Ne ero sicuro. Sarebbero stati degli sciocchi, a non affidarsi a te.”

“Grazie. Stavo pensando che magari… beh, potremmo…”

“Vederci?”

“Già.”

“Potresti raggiungermi qui. C’è un tramonto da favola. Abbiamo cibo, acqua e corrente elettrica. È il posto più bello del mondo, … a meno che tu non abbia paura dei cani.”

Ride, e mi chiede di darle indicazioni.

 

***

 

“Grazie per la cena. Era tutto ottimo.”

“Ringrazia mia madre. È a lei che dobbiamo la vita, stasera.”

“Mi piace, qui.”

“Questo è il rifugio di mio padre. Ogni volta che lui e la mamma litigavano, lui veniva a stare qui, fino a che non sbolliva la rabbia. Di solito è molto più disastrato, però ho pensato che fosse il caso di dare una sistemata, visto che…”

“…aspettavi ospiti.”

“Già. Ti va una passeggiata sulla spiaggia?”

L’aria è ancora piuttosto fresca, e gli schizzi d’acqua salata non rendono migliore la situazione, però c’è una bella atmosfera. Lei, io, la spiaggia di notte, e Roxy che corre avanti e indietro abbaiando come una forsennata. Per fortuna adora i cani.

Dopo qualche minuto, mi accorgo che di tanto in tanto trema. Cerco di sopperire alla bassa temperatura passandole un braccio attorno alle spalle. Così facendo, mi ritrovo incredibilmente vicino al suo corpo, al suo viso, alla sua bocca. Rallento il passo, e d’istinto mi abbasso, per baciarla.

Non mi accorgo nemmeno di essermi fermato, e di aver fatto scivolare entrambe le mani sulla sua schiena, per trattenerla qui, qui vicina a me.

“Grace…” sussurro, senza lasciarla andare.

“Sì?”

“Che cosa volevi dirmi, oggi?”

“Niente.”

“Non mentirmi.”

“Beh, io… volevo solo dirti che quello che ho detto l’altra sera… non l’ho detto tanto per dire.”

“Pensavi che l’avessi presa per una bugia?”

“Beh, no. Speravo di no.”

“Speravi bene” la rassicuro, prima di baciarla ancora. “E quello che ho detto io, sul fatto di non farti soffrire…”

“Sì?”

“E’ vero quant’è vero che ora sto qui in piedi a baciarti.”

La sua bocca si ritrova ancora premuta sulla mia, e l’unica cosa che voglio è farla ancora mia. Se solo non facesse così freddo, ora mi lascerei cadere sulla sabbia, trascinandola con me. E invece mi tocca aspettare di essere al sicuro nel bungalow di mio padre, prima di lasciar correre le mie mani lungo i contorni del suo corpo.

Distesi sul letto di mio padre, giochiamo a nascondino con le nostre emozioni, a turno ci concediamo e ci neghiamo, sapendo che prima o poi saremo costretti ad uscire allo scoperto. Siamo vita e amore, costretti ad andare di pari passo, a camminare insieme per sempre. Siamo acqua, siamo onde. Il mare non fa più rumore. Il solo rumore è quello dei nostri sospiri e dei nostri silenzi.

“Ti amo” è tutto quello che riesco a dire.

“Ti amo” è tutto quello che le sento dire.

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Capitolo 22
*** 22. Cosa Sarà Di Noi [Pooh] ***


6.

Siamo distesi uno di fianco all’altra, finalmente in pace. Finalmente sereni. Non riesco a fare a meno di accarezzarle i capelli, mentre la sua mano, appoggiata sul mio cuore, si alza e si abbassa ad ogni mio respiro.

“Chi sei tu, Grace Thomas?”

Sorride. “Che domanda è?”

“Chi sei? Insomma, tu sai tutto di me, ma io non so niente di te.”

Si solleva appena, così da riuscire a guardarmi. “Io non so tutto di te.”

Anche io sorrido. “Sai che intendo dire. Parlami un po’ di te.”

Sospira, ricadendo leggera sul materasso, accanto a me. “Ok. Sia chiaro, l’hai voluto tu. Il mio vero nome non è Grace Thomas.”

“Che cosa?” chiedo, sconvolto.

“Hai sentito benissimo. Il mio vero nome è Judith Grace Chambers.”

“Non credo di aver afferrato il concetto.”

“Thomas è il cognome di mia madre. Quando i miei genitori divorziarono, mia madre fece in modo di darmi il suo cognome. Non voleva che fossi legata a mio padre in alcun modo” mi spiega, iniziando a tracciare linee invisibili sul mio torace. “Poi, quando sono scappata di casa, ho fatto eliminare da tutti i documenti il nome ‘Judith’.”

“Perché?”

Si solleva di nuovo, e mi guarda come se fossi uno scemo. “E’ un nome orribile. Mia nonna si chiamava così.”

Rido. “Scommetto che da bambina tutti ti chiamavano ‘Judy’.”

“Per la tua incolumità, sarà meglio che tu non mi prenda in giro” mi minaccia.

“Non ti sto prendendo in giro. Sto solo cercando di immaginare che tipo di bambina sei stata.”

“Mia madre mi ha sempre trattata come una bambola da esposizione. Sai, era il tipo che ti mette nastri nei capelli e controlla che ogni boccolo sia della lunghezza giusta.”

“Oh, quindi eri una di quelle Judy con le trecce e la gonna a pieghe?”

“Ti avevo detto di non prendermi in giro!” ribatte, mettendo su un broncio da far concorrenza a mia nipote Stella.

Scoppio a ridere. “Non ti sto prendendo in giro” la rassicuro, alzandomi facendo leva su un gomito, per riuscire a guardarla meglio. “Non potrei mai prenderti in giro” ribadisco, chiedendomi se baciarla sarebbe una buona mossa. “Allora” riprendo, dopo aver deciso che è un’ottima mossa, “che altro puoi dirmi di te, oltre al fatto che vai in giro sotto falso nome?”

Ride. “Ho ventisette anni. E questa” dice, indicando una minuscola imperfezione sulla sua fronte, “è una cicatrice da varicella. E ho i denti così dritti perché ho portato l’apparecchio per cinque anni.”

“Mi sarebbe piaciuto vederti con l’apparecchio.”

“Non era un bello spettacolo.”

“Non ci credo. Scommetto che eri bellissima anche così.”

“I miei compagni di classe non la pensavano come te. A meno che certi soprannomi non nascondessero un profondo affetto nei miei confronti…”

“Quali soprannomi?”

“’Ranocchia’ era il più gentile.”

Non riesco a trattenermi, e scoppio a ridere come un cretino. Grace mi guarda sconvolta, come se fossi impazzito all’improvviso. “Beh?”

“Scusa” riesco a dire a stento, tra le lacrime, “scusa, ma è una coincidenza troppo divertente!”

“Se mi spiegassi, magari potrei ridere anche io.”

“’Ranocchia’ era anche uno dei miei soprannomi, al liceo.”

“Mi stai dicendo che al liceo ti prendevano in giro?”

“Non sono sempre stato Josh Groban, sai?” rispondo, sorridendole.

Sorride con me. “E chi altri sei stato?”

“Fino a dieci anni fa, uno sfigato quattrocchi che amava la musica più della sua stessa vita e non aveva uno straccio di amico.”

“Wow. Sono contenta di non essere stata te, al liceo.”

“Non era poi così male, in fondo. Non ero nessuno. Ero invisibile, e andava bene. Forse, se fossi rimasto per sempre ‘Ranocchia’…”

“…non avresti mai preso quell’aereo” conclude, guardandomi negli occhi. “Forse non ci saremmo incontrati mai.”

Annuisco. “Sì, forse hai ragione. Forse non ci saremmo incontrati. Invece, siamo qui.”

“Già. Siamo qui” ripete, con voce triste.

“Ehi… non sarai triste?”

“Ma no, che vai a pensare?”

“Hai una voce…”

“E’ solo che… beh, non riesco a fare a meno di chiedermi dove andremo a finire.”

“Che intendi?”

“Tu ed io. Sempre se ci sarà un noi.”

“Se vuoi che ci sia un noi, ci sarà.”

“Non credo dipenda dalla nostra volontà.”

“E da che cosa dovrebbe dipendere, allora?”

“Dal destino.”

Sorriso. “Vuoi sapere come la pensa mio padre riguardo al destino?”

Annuisce.

“Lui dice che il destino lo puoi vedere riflesso ogni mattina nello specchio.”

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Capitolo 23
*** 23. Donne [Zucchero] ***


6.

Se fossimo in un film, questo momento della mia vita verrebbe rappresentato attraverso un calendario i cui fogli si staccano rapidamente, cadendo a terra. Sono trascorse tre settimane, da quando abbiamo scoperto della malattia di mio padre, e la tensione si fa sempre più forte. C’è un clima di attesa, e il fatto che non ci si possa aspettare altro che la morte rende tutto maledettamente più difficile da affrontare.

Nel frattempo, Grace ha trasformato completamente il mio appartamento. Brian è stato il primo a metterci piede dopo il restauro, e dal suo commento ho intuito che è rimasto piacevolmente colpito dai cambiamenti.

“Porca vacca, Josh. La ragazza lavora davvero bene.”

“Già” è la mia risposta.

“Ehi, cos’è questo tono? Mi sembravi al settimo cielo, fino all’altro giorno.”

“Brian, la ragazza che ha fatto i lavori…”

“Sì, lo so, è una tua amica, e non vuoi che io ci metta il naso…”

“Ci frequentiamo. Insomma, non è ancora la mia ragazza, ma credo ci manchi poco.”

“Wow” è il suo commento. “Beh, e dire che volevo essere io a farti una sorpresa…” aggiunge, grattandosi la testa quasi completamente calva.

“Una sorpresa? Tu non fai mai sorprese. E non è nemmeno il mio compleanno, o roba simile.”

“Beh, più che una sorpresa è una proposta, che sei libero di accettare o no.”

“Che genere di proposta?”

“Ti dirò soltanto tre cose. Kathryn Bigelow” inizia, alzando un dito. “Colonna sonora.” E due. “’Your love’.” E tre.

Kathryn Bigelow intende inserire Your love nella colonna sonora del suo prossimo film?”

“Esatto.”

“E… questo che c’entra con me?”

“Vorrebbe che fossi tu a cantarla.”

Scoppio a ridere. “E’ un po’ tardi per mettersi a fare pesci d’aprile, Brian.”

Non è  un pesce d’aprile, Josh. Kathryn Bigelow vuole che tu canti il pezzo forte della colonna sonora del suo ultimo film.”

“Perché Kathryn Bigelow dovrebbe inserire una canzone d’amore in un suo film? Non è un tipo da storie romantiche…”

“Tu valli a capire, questi registi hollywoodiani. Fatto sta che la Bigelow ha vinto un Oscar, l’anno scorso.”

“Ripeto. Questo che c’entra con me?”

Brian scuote la testa e sospira, sconsolato. Penso proprio che un giorno o l’altro gli procurerò un serio esaurimento nervoso. “La Bigelow è un’ottima regista, abituata a circondarsi di ottimo personale. E ha ottime idee. Cantare per un suo film può significare molto. Sicuramente è un’ottima idea. Potresti vincere un Grammy come miglior interprete di una colonna sonora, o chissà che altro! Che ne pensi?”

“Non so, Brian. Lo sai, non è un buon momento per me.”

“Lo, Josh. Per questo ho detto a Kathryn Bigelow che ti saresti preso un po’ di tempo per pensarci.”

“Quanto tempo?”

“Una settimana. Non poteva aspettare oltre. Queste donne regista sono tremende.”

 

***

 

Papà sembra stare un po’ meglio: lo capisco dal tempo che passa sveglio, notevolmente aumentato.

“Sai, papà, mi hanno proposto di cantare un pezzo per la colonna sonora di un film.”

“Quale film?”

“Non lo so. Brian non me lo ha detto, e io non gliel’ho chiesto. So soltanto che è di Kathryn Bigelow.”

Kathryn Bigelow… non è quella che ha vinto l’Oscar l’anno scorso?”

“Esatto. Cavolo, papà… non ti facevo un esperto di film.”

“Non lo sono. Era la prima volta che guardavo la cerimonia… e l’ho fatto soltanto perché sapevo che avresti cantato. Tra l’altro, quella ragazza con cui hai duettato ha una voce straordinaria.”

“Parli di Beyoncé? Beh, devo darti ragione…”

“Ho letto i commenti di parecchi critici sul vostro duetto, ed erano tutti piuttosto…”

“Negativi, sì. Brian è convinto che avessimo sbagliato. Diceva che sarebbe stato meglio un duetto con Joss Stone, o con Faith Hill.”

“Vuoi il mio parere?”

Sorrido. “Mi farebbe piacere, sì.”

“Secondo me eravate perfetti, insieme su quel palco. Avete saputo creare una tale magia… se non ci credi, chiedi a tua madre, ma quella sera ho pianto.”

“Papà…”

“E la stessa cosa vale per ‘Canto Alla Vita’. I critici dissero che cantare con Andrea Corr non fu una grande idea, ma io dico che è stata una delle mosse più azzeccate della tua carriera.”

“Oh, papà…  lo sai che per me il tuo giudizio vale mille volte di più del parere di un critico qualunque.”

Lo vedo sorridere. “Allora, che razza di canzone vorrebbe che cantassi, questa Bigelow?”

“’Your Love’” sospiro.

Anche lui sospira. “Donne. Sempre ossessionate da questa cosa dell’amore eterno” sorride. Come se lui non ci credesse.

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Capitolo 24
*** 24. Tra Dire E Fare [Giorgia] ***


6.

“Devo essere completamente impazzito.”

“Perché dici così, muchacho?” mi domanda Humberto.

“Perché con tutto quello che ho da fare, mi sono lasciato convincere a dire di sì al progetto di Kathryn Bigelow.”

“Beh, si tratta di imparare una canzone per un film e di inciderla.”

“Sì, lo pensavo anch’io. peccato che Brian abbia omesso di dire che il film è praticamente già concluso, e che manca soltanto la canzone per poterlo finalmente mandare in post produzione.”

“Oh. E quando dovrebbe uscire?”

“Fine maggio.”

“Non è molto, in effetti.”

“Sei settimane.”

“Di che canzone si tratta?”

“’Your Love’.”

Humberto fischia. “Un pezzo tosto.”

“Già.”

“Chissà perché hanno voluto te.”

“Non lo so. Probabilmente perché sanno che non so dire mai di no. Conosci altri pazzi che accetterebbero una simile sfida?”

“Non che io sappia.”

“Appunto, Hub. Sono troppo buono. Rasento l’idiozia. Soltanto un idiota accetterebbe di incidere il cavallo di battaglia della colonna sonora di un film probabilmente destinato all’Oscar, proprio mentre sta lavorando al suo album più importante.”

Lo sento squadrarmi, come se stesse valutando le mie parole. “E’ il tuo album più importante?”

Lo guardo, e annuisco soltanto. So che Hub capirà.

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Capitolo 25
*** 25. Life Lessons [George McAnthony] ***


6.

È passata poco più di una settimana da quando ho accettato la proposta di Kathryn Bigelow, e finalmente sono pronto per incidere la canzone. Domani sarà il grande giorno. Mi sento nervoso. Mi sento come quando mi hanno chiesto di cantare alla cerimonia degli Oscar, come quando mi hanno chiesto di duettare con Celine Dion. Sono un coniglio. Sono un maledetto codardo.

Sono così teso che basta lo squillo del cellulare a farmi sobbalzare. Josh, brutto fifone, smettila di comportarti da idiota.

“Ciao, Picasso” rispondo, sorridendo.

Picasso è il soprannome che ho dato a Grace dopo aver scoperto la sua straordinaria abilità nel dipingere le pareti.

“Ciao, smemorato” mi risponde. “Ti sei dimenticato di dirmi a che ora passi a prendermi, stasera.”

Questa sera mia sorella ci ha invitato a cena. Cioè, ha invitato me, ma io ho chiesto a Grace di accompagnarmi. Non siamo ancora sicuri di fare coppia fissa, ma so per certo di volerla al mio fianco a questa specie di cena di famiglia.

“La cena è alle nove, ma prima vorrei portarti in un altro posto. Facciamo alle sette e trenta?”

“Ok. Vedrò di essere pronta per quell’ora.”

 

***

 

“Sono in ritardo, scusa.”

“Sono le sette e trentadue. Non sei in ritardo.”

“Beh, non dirlo a mia madre, o mi sgriderà, perché non si fanno aspettare le signore!” ribatto, esibendomi in un’imitazione pressoché perfetta di mia madre.

Grace scoppia a ridere e sale in macchina.

 

***

 

Dieci minuti dopo, fermo la macchina nel parcheggio dell’ospedale. Grace si volta verso di me, senza capire.

“Josh… perché siamo qui?”

“Beh… quella che ha organizzato Allie è una specie di cena di famiglia, ma… insomma, un pezzo della mia famiglia è qui.”

“Tuo padre?” mi chiede, con un filo di voce.

Annuisco. “Vorrei che lo incontrassi. Gli ho parlato di te, e… beh, anche lui vorrebbe conoscerti.”

“Josh, è…”

“Grace, se non te la senti, non importa. Rimetto in moto e vado via.”

Scuote la testa. “Stavo per dire che è un passo importante. Ed è un bel gesto, da parte tua. E anche a me farebbe piacere conoscere tuo padre.”

Si sporge verso di me e mi bacia. Sembra incredibile, ma i suoi baci hanno lo stesso effetto di un’aspirina: riescono a curare ogni dolore.

 

***

 

Papà è sveglio, e sta leggendo un articolo sulla prima pagina del Washington Post. Busso ed entro, lasciando Grace fuori ancora per qualche minuto. “Ciao, papà. Perché leggi il Washington Post?”

“Perché voglio controllare se danno la stessa versione del New York Times e del Los Angeles Sun. Sai, credo che questi giornalisti siano convinti di poterci infinocchiare come meglio credono. Ma tu che ci fai qui? Allie mi ha detto che ti ha invitato a cena con la tua ragazza.”

“Beh, ho pensato di passare a farti un saluto prima di andare.”

“Aspetta. Prima che mi passi di mente, devo dirti una cosa.”

“Dimmi, papà.”

“Hai i capelli della lunghezza giusta. Non tagliarli.”

Rido. “Lo terrò a mente.”

“Bene. Allora, che cosa vuoi dirmi? Hai l’aria di uno che sta per dire qualcosa di importante.”

“Sì, in effetti… dunque, io… ti ho parlato parecchio di Grace, no?”

“Certo. E io ti ho detto più di una volta che mi farebbe molto piacere conoscerla.”

“Ok. Beh, lei è fuori in corridoio, in questo momento.”

Alza gli occhi al cielo, e poi mi rimprovera come solo la mamma saprebbe fare. “Joshua Winslow Groban, sei completamente rincretinito? Ti sembra una cosa da fare, lasciare una ragazza fuori ad aspettare? Falla entrare, no?”

Mi alzo, cercando di non scoppiare a ridere, e vado a prendere Grace, che prima di entrare nella stanza fa un paio di lunghi e profondi respiri.

Vedo mio padre strabuzzare gli occhi. “Diamine, Josh, non mi avevi detto che uscivi con Miss America!”

Vedo Grace arrossire, mentre gli stringe la mano, nello stesso modo forte e deciso nel quale ha stretto la mia, quando ci siamo incontrati su quell’aereo.

“Beh, adesso che hai fatto le presentazioni, puoi togliere il disturbo.”

“Ma che dici, papà?”

“Hai capito benissimo. Voglio parlare da solo con questa ragazza.”

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Capitolo 26
*** 26. All I Need [Radiohead] ***


6.

“Si può sapere che diavolo ti ha detto mio padre?”

“Certo che non puoi saperlo. È stata una conversazione privata, e privata resterà. Almeno per il momento.”

“TI ha parlato di me?”

“Può darsi” risponde con indifferenza.

“Qualsiasi cosa ti abbia detto, non gli credere” la avviso.

“E se mi avesse detto che sei un bravo ragazzo?”

“So per certo che non ti ha detto che sono un bravo ragazzo.”

“Potrebbe averlo fatto.”

Sbuffo, in bilico tra la disperazione e una risata, continuando a guidare verso casa di mia sorella.

 

***

 

“La mia famiglia è un po’ strana” la avverto, prima di bussare alla porta di Allie. “Mi prometti che non scapperai a gambe levate?”

“Se prometti di stare al mio fianco e proteggermi…”

“Se prometti di dirmi che cosa ti ha detto mio padre…”

“Non in un prossimo futuro.”

Le mostro la lingua, per prenderla in giro, e in risposta lei bussa due volte.

Dopo quella che sembra un’eternità, viene ad aprirci Alex. “Ciao, zio!” mi saluta, entusiasta come sempre. Poi si blocca, e guarda attentamente Grace. “Lei è la tua fidanzata?” chiede, interdetto.

“No, in effetti sono la sua nuova guardia del corpo. Mi chiamo Grace” risponde lei, con un sorriso. Manco a dirlo, Alex scoppia a ridere.

“Buona, questa! Piacere, io sono Alex. Entrate, su!”

Guardo Grace e sorrido. Non c’è che dire, ci sa fare con i ragazzini. Appendiamo i cappotti nell’ingresso, poi, d’istinto, la prendo per mano e la guido in salotto, dove sono riuniti tutti gli altri: la mamma, con in braccio Stella; Christine, poco più in là; Gary, seduto in poltrona; Allie, che fa avanti e indietro dalla cucina al soggiorno.

“Ehi, gente, sono arrivati!” ci presenta mio nipote, come nemmeno Oprah o Rosie O’Donnell saprebbero fare.

All’improvviso, mi sento sotto esame, e l’istinto mi dice di fare dietrofront e trascinare via Grace di qui. E invece i miei piedi rimangono fissi a terra, mentre sei paia d’occhi si incollano su noi due, e sulla mia mano che stringe la sua.

“Ciao a tutti” dico, cercando di smorzare la tensione. “Ehm… questa è Grace. Grace, ti presento la mia famiglia.”

“Ciao, Grace” rispondono tutti in coro. Mi sembra di stare ad una riunione degli Alcolisti Anonimi.

“Ok. Lei è mia madre.”

“Piacere di conoscerla, signora Groban” dice Grace, stringendole la mano.

Incredibilmente, mia madre sorride. È la prima volta che la vedo sorridere ad una ragazza che presento a casa. “Il piacere è tutto mio. Puoi chiamarmi Dafne.” Ancora più incredibile. Le ha concesso di darle del tu.

“Lei è mia sorella, Allison. Puoi chiamarla Allie. Lui è mio cognato, Gary.”

Allie la abbraccia e le stampa due rumorosi baci sulle guance, mentre Gary si limita a stringerle la mano e a darle il benvenuto.

“Ok. Hai già conosciuto mio nipote Alex. Loro sono le sue sorelle: Christine e Stella.”

Christine le stringe educatamente la mano, mentre Stella le si lancia contro e le abbraccia le gambe.

“Wow” è il commento di Grace, piuttosto stordita da quello strano benvenuto. “Il piacere è tutto mio.”

Stella alza lo sguardo su di lei e la guarda con i suoi enormi occhi da cucciolo. “E’ vero che sposi zio Josh?”

Grace si lascia andare ad una risatina nervosa, come tutti. “Oh, non saprei…”

“Ti prego, sposalo! Voglio una zia bella come te!” la prega Stella, allentando un po’ la presa sulle ginocchia di Grace.

Grace si abbassa, in modo da trovarsi alla stessa altezza della bambina, poi le sussurra qualcosa all’orecchio. A giudicare da come scappa via, correndo e strillando di gioia, deduco che le ha detto qualcosa di divertente.

“Che le hai detto?” le domando, sottovoce, mentre gli altri si avviano verso la tavola.

“Che se mi chiederai di sposarti, lei sarà la prima a saperlo.”

Sorrido, e lei con me. Controllo di non essere a portata di sguardo, e la bacio.

 

***

 

Tutto sommato, la cena è andata bene. A parte la supplica iniziale di Stella, tutto si è svolto per il meglio, e riusciamo ad andare via presto, il che è un bene. Anche perché io, domani mattina, dovrò registrare la canzone per il film di Katherine Bigalow. È anche per questo che non ho chiesto a Grace di venire a casa mia, anche se vorrei tenerla con me, stanotte. Anche solo per dormirle accanto.

Fermo l’auto sotto casa sua e la guardo. “Grace, vuoi dormire a casa mia?”

“Domani non hai la registrazione?”

“Sì, è domani. Però vorrei che dormissi da me. Non so, sento che andrà meglio, se ti tengo accanto a me.”

Finalmente, dopo qualche attimo di silenzio, cede. “Va bene.”

Proseguo fino al mio quartiere, parcheggio, scendo e le apro lo sportello, da vero gentiluomo, baciandola non appena mi capita a tiro. Poi le porgo il braccio e ci avviamo verso casa.

 

“Buonanotte, Grace” le sussurro, cingendola con le braccia e tenendola stretta accanto a me, in questo letto che improvvisamente sembra troppo grande.

“Buonanotte, Josh” è la sua risposta.

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Capitolo 27
*** 27. Your Love [Ennio Morricone feat. Dulce Pontes] ***


6.

Batto una pacca sulla spalla di Brian, in segno di saluto.

“Ehilà, campione. Sei pronto? Riposato? Stanotte hai dormito?”

“Ieri sera sono andato a cena da mia sorella. Niente vino, niente caffè. Siamo tornati a casa prima di mezzanotte.”

“Siamo?”

“Grace e io. Ha dormito da me. Permettimi di sottolineare la parola dormito.”

“Mi fido, mi fido. Su, scaldati la voce. Quella là arriverà tra poco.”

“Quella là?” chiedo, senza capire.

“Kathryn Bigelow. Vuole assistere. Non te lo avevo detto?”

“Ehm… no.”

“Beh, ora lo sai.”

Perfetto, Josh, penso, entrando in cabina di registrazione e isolandomi dal resto dello staff. Chiudo gli occhi e inizio a passeggiare avanti e indietro, raccogliendo la concentrazione necessaria. I walked and you were there, beside me in the night… inizio a canticchiare, nella mia testa. Su, Josh, non è così grave. La Bigelow viene per vedere come lavori. È una maledetta professionista maniaca del controllo, che vuole gestire tutto in prima persona, una specie di Brian con i capelli lunghi e senza palle… almeno in senso fisico, ma andrà tutto bene. Andrà tutto bene.

Alzo la testa, e improvvisamente mi ritrovo a sorridere. Dall’altra parte del vetro, insieme a Brian, Humberto e gli altri meravigliosi ragazzi che lavorano per noi, c’è Grace. Stamattina le ho chiesto di venire in studio per vedermi lavorare, consegnandole un badge. Mi ha detto che non sapeva se ce l’avrebbe fatta, ma ora è qui. Sono così felice di vederla lì seduta che vorrei piangere. No, Josh, trattieniti. Sei un uomo, dannazione. Che direbbe Kathryn Bigelow se ti vedesse piangere?

Inizio a convincermi di avere capacità extrasensoriali, quando Brian apre la porta per far entrare la regista. Accidenti, dal vivo sembra maledettamente più giovane. Alla cerimonia degli Oscar non ho avuto il piacere di conoscerla, e in video sembra più vecchia. Mentre Brian mi avverte, tramite microfono, del suo arrivo – come se non l’avessi vista –, lei sorride all’indirizzo di Grace, senza scandalizzarsi per la sua treccia sbilenca, o per la camicia a quadrettoni che indossa. Kathryn Bigelow sta sorridendo alla mia ragazza: forse non è quel freddo mostro senza scrupoli che tutti dicono.

Si avvicina al microfono, senza smettere di sorridere. “Piacere di rivederla, signor Groban. La ringrazio di aver accettato la nostra proposta, anche se con così poco preavviso. In realtà, eravamo sicuri già da tempo di volere lei, ma non sapevamo quale pezzo richiederle.”

“E’ un piacere anche per me, signora Bigelow. Ma la prego, mi chiami Josh. ‘Signor Groban’ è mio padre.”

Scoppia a ridere. “Va bene, Josh.”

Humberto si sostituisce a lei. “Josh, noi siamo quasi pronti. Tieni d’occhio il semaforo” mi avverte.

Dicendo ‘il semaforo’ si riferisce alla luce piazzata sopra la porta. Quando da rossa diventerà verde, vorrà dire che sono pronti. Mentre aspetto che Hub e gli altri finiscano, vedo aprirsi di nuovo la porta, e dall’altra parte del vetro David Foster mi sorride. Sorride e apre la comunicazione.

“Ragazzo” mi apostrofa, “spero ti piacciano gli ultimi arrangiamenti.”

“Più che altro, speriamo vadano bene a Morricone” lo prendo in giro.

Sorride ancora. “Sei sempre il migliore.” Chiude la comunicazione.

Hub aziona il semaforo. Bene. Loro sono pronti. Io cerco di raccogliere le ultime forze per concentrarmi. Forse non avrei dovuto chiedere a Grace di venire qui. Oh, ma che dico? È esattamente lì che deve stare. Faccio un cenno col capo, e Hub fa partire la base musicale. Il primo ascolto è soltanto una prova, per prendere ancora bene i tempi. Ascolto ad occhi chiusi. Conosco a memoria lo spartito.

Quattro minuti più tardi, Hub fa ripartire la canzone. Controllo di avere fiato, e inizio a cantare. È quasi impossibile non pensare all’interpretazione di Dulce Pontes, ma faccio del mio meglio per non pensarci. Cerco di pensare soltanto alla canzone, alle note, alle parole. Ma è un testo troppo bello, per non applicarlo alla mia storia con Grace. E così, mentre le note scorrono via come l’acqua di un torrente, ripenso a stanotte, a quando ho stretto Grace tra le braccia e le ho sussurrato la buonanotte. Ripenso a quando abbiamo fatto l’amore nel bungalow di mio padre, a quando si muove nel sonno e i suoi capelli mi fanno il solletico, a quando mi bacia…

Your love shines in my heart” concludo, fiero di me. “Your love shines in my heart.”

La folla al di là del vetro sembra essere aumentata, in questi ultimi tre minuti, però i miei occhi rimangono fissi su una sola persona. Il mio sguardo, i miei occhi pieni di lacrime… sono irrimediabilmente attratti da Grace.

Humberto riapre la comunicazione, sorridendo. “Ben fatto, campione. Al primo colpo!”

Sorrido anch’io. E’ la prima volta in tutta la mia carriera che non mi costringono a ripetere un pezzo.

Kathryn Bigelow è soddisfatta. Brian è soddisfatto. David Foster è soddisfatto. Grace è soddisfatta. Io sono soddisfatto. E ho finalmente capito di amare Grace. Amo Grace come non ho mai amato nessuna.

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Capitolo 28
*** 28. Guarda Caso [Pierdavide Carone] ***


6.

“Kathryn Bigelow è semplicemente entusiasta. Ha detto che non vede l’ora di collaborare di nuovo con te” mi informa Brian.

Sono stordito, come se mi avessero appena dato una botta in testa. Conosco questa sensazione: è la tensione che all’improvviso si allenta: il cuore torna a battere in modo normale, i muscoli si rilassano, e a me sembra di essere stato frullato.

Ignoro Brian e abbraccio Grace, ancora in bilico sullo sgabello.

“Ti amo” le sussurro, senza una ragione. O meglio, una ragione c’è, ed è che non riesco più a immaginarmi senza di lei.

Humberto trascina fuori di peso Brian con una scusa, lasciandoci soli. Dovrò ringraziarlo.

“Non credo di aver afferrato il concetto” sussurra in risposta.

“Ti amo” ripeto. “E niente di ciò che potrai dire o fare mi farà cambiare idea, quindi non pensarci nemmeno.”

La sento sorridere. Lo so è che impossibile sentire un sorriso, ma io ci riesco. Anche senza guardarla, so quando sta sorridendo, e quando invece no. E ora sta sorridendo.

“Per colpa tua ho perso cinque dollari.”

“Come sarebbe a dire?” chiedo, quasi scioccato, allontanandola un po’.

“Ho fatto una scommessa con tuo padre. Secondo lui, me lo avresti detto entro una settimana.”

“E tu, invece?”

“Io pensavo che non me lo avresti mai detto” confessa, abbassando la testa.

“Quindi è questo che avete fatto tu e mio padre? Avete parlato di me?” la interrogo, piuttosto scherzosamente.

Sorride ancora. “Forse. Te l’ho detto, quando sarà il momento ti dirò tutto.”

“E nel frattempo?”

“Nel frattempo, io vado al lavoro” ribatte, sporgendosi per baciarmi. “Ci sentiamo più tardi?”

“Certo” rispondo, sporgendomi verso di lei a mia volta.

 

***

 

“Soddisfatto, muchacho?”

“Mi sento come se avessi messo i piedi in paradiso, Hub. Al primo colpo, ti rendi conto? Kathryn Bigelow ha apprezzato la mia interpretazione al primo colpo!”

“Beh, spero che il tuo cuore regga la prossima notizia.”

“Cioè? Quale notizia?”

“”Più che una notizia, è una proposta. Ma tu lo sai, David Foster non fa proposte: impartisce ordini.”

“Che c’entra David?”

“Ha proposto di inserire ‘Your Love’ come bonus track.”

“In questo album, intendi?”

“Esatto.”

“Beh, cavolo, è un’ottima idea! Cavolo, sarà l’album migliore che abbia mai inciso…”

“E un’altra cosa.”

“Cosa?”

“Ha detto che sei un vero talento.”

Mi sento arrossire come una ragazzina timida. “Beh, ora mettiamoci al lavoro, Hub. Non possiamo permetterci di cincischiare. Abbiamo un album da incidere, diamine” aggiungo poi, riprendendo coraggio.

 

***

 

Esco dallo studio alle sei del pomeriggio, giusto in tempo per attraversare la città e stare con mio padre per un po’, prima che finisca l’orario di visita.

“Ciao, papà.”

“Ehi, campione. Com’è andata, oggi? Non dovevi registrare quella canzone per il film?”

Annuisco. “Beh, preferirei giudicassi tu.”

Gli infilo le cuffie dell’iPod e faccio partire la traccia, che Hub mi ha permesso di scaricare. Le rughe sulla sua fronte si distendono, il respiro si fa rilassato. proprio come speravo: la canzone gli piace.

“Figliolo, ti ricordi quando ti ho detto che la mia canzone preferita tra le tue era ‘So She Dances’?”

“Certo. Hai detto che ti faceva pensare alla mamma.”

“Beh, ho cambiato idea. La mia preferita è questa.”

“Oh, papà…”

“Sul serio, Josh. Hai avuto pochissimo tempo per prepararti, ma è semplicemente meravigliosa.”

“Ti ringrazio.”

“Certo che devi ringraziarmi! Se non fosse stato per me e tua madre, credi che avresti quelle corde vocali?” mi prende in giro.

Scoppio a ridere. “Forse no. Comunque, ci sarà anche questa nel cd. Lo abbiamo deciso questa mattina, dopo averla registrata.”

“Sono davvero felice per te, figliolo.”

“Anch’io sono felice, papà. Sono… non mi sono mai sentito così.”

“E’ quella ragazza. È merito suo. Non credo avresti potuto trovare una ragazza migliore di lei.”

“Lo so” ribatto, annuendo. “Oggi le ho detto che la amo.”

Scoppia a ridere. “Lo sapevo! Ora mi deve cinque dollari.”

“Si può sapere di che diavolo avete parlato, ieri? Non le avrai raccontato qualche aneddoto della mia infanzia, vero?”

“Tranquillo, Josh. Non le ho detto niente che avrebbe potuto minare la fiducia che ha in te. Abbiamo fatto una tranquilla chiacchierata. E tranquillo, non ho nominato nessuna delle tue ex.”

Meno male, dico tra me e me. Le quattro storie importanti della mia vita sono state con una musicista nevrotica, un’assistente gelosa, un’impiegata dai gusti sessuali piuttosto ‘liberi’ e la mia migliore amica. Direi che è meglio tenere ogni particolare nascosto, finché mi è possibile.

“Ti piace proprio, eh?”

“Chi?”

“La tua ragazza.”

“Beh…”

“Ti capisco. Insomma, è bella, intelligente, simpatica…”

“E’ quella giusta, papà. Qualcosa mi dice che è lei.”

 

***

 

Apro la porta e lei è davanti a me, con indosso un semplice paio di jeans, una maglietta e il giubbotto, e non riesco a fare a meno di sorridere. Mi mostra una bottiglia di champagne. “Hai detto che volevi festeggiare la buona riuscita della registrazione, e allora ho pensato di…”

“Hai pensato benissimo” la interrompo, abbracciandola e dandole subito un bacio.

In realtà la bottiglia rimane appoggiata sul tavolino nell’ingresso, sola e intatta, perché le mie mani sono impegnate a togliere il giubbotto di Grace, sono impegnate a stringerla mentre la porto in camera; voglio amarla davvero, ora che sono conscio dei miei sentimenti.

“Dovrei uscire più spesso con cantanti di fama mondiale” sussurra, mentre faccio scivolare le mani sotto la sua maglietta, facendole risalire verso il suo seno.

Sorrido, e poso un bacio sulle sue labbra. “Avrei voluto incontrarti anni fa, Grace. Nessuno mi ha mai fatto stare così bene.”

Si solleva per permettermi di sfilarle la maglia, e con questo pretesto fa in modo di ritrovarsi sopra di me. Mi metto a sedere e la circondo con le mie braccia. Le sue mani si intrufolano tra di noi, e tra un bacio e l’altro sbottona la mia camicia. Le sue dita si spostano dalla stoffa al mio petto, tracciando linee invisibili sulla mia pelle; si muovono poi verso il basso, arrivando a contatto con la mia cintura. La lascio fare, ma non appena riesce ad allentare la fibbia la riporto sotto di me, liberandomi poi della camicia. Inizio a dedicarmi al suo seno, mentre le mie mani scendono verso la sua cintura, mimando i gesti da lei compiuti pochi secondi fa.

Passa un’eternità, prima di riuscire a trovarci entrambi pronti per amarci, ma ogni singolo gesto racchiude una sua magia, ogni gesto è intriso di passione pura, di desiderio. Io voglio lei e lei vuole me: lo capisco dai suoi sussurri, dal modo in cui continua a domandarmi un bacio, dalla forza con cui le sue mani si posano sulla mia schiena, chiedendomi di amarla di più.

Non sono sicuro che sia ancora primavera, quando finisce tutto. Ho completamente perso la cognizione del tempo, aggrappato com’ero al mio desiderio. Ho perso la cognizione del tempo e non mi sono mai sentito così appagato. È come se improvvisamente avessi tutto ciò che mi è sempre servito per essere felice. Guardo Grace, che nel sonno si è voltata fino a darmi la schiena, e mi ritrovo per l’ennesima volta a sorridere. Le scosto i capelli dalla spalla e vi poso un bacio, poi sistemo meglio le coperte e mi appoggio a lei, passandole un braccio attorno alla vita.

“Sono la ragazza giusta per te” sussurra, all’improvviso.

“Come, scusa?”

“E’ una delle cose che ha detto tuo padre. Ha detto che sono la ragazza giusta per te.”

“Ha ragione. Che altro ti ha detto?”

“Lo saprai quando te lo vorrò dire.”

Amo il modo in cui fa la misteriosa. Amo respirare il profumo dei suoi capelli. Amo intrecciare le dita della mia mano con le sue. Amo addormentarmi sapendola tra le mie braccia. Amo il fatto di essermi innamorato di una come lei.

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Capitolo 29
*** 29. Per Te [Josh Groban] ***


6.

Ci siamo. Mancano soltanto due giorni alla première del film di Kathryn Bigelow. Non ho idea di quale sia la trama, non so chi componga il cast… non è che non me ne sia interessato, ma sembra proprio che nessuno sappia niente.

Nelle ultime quattro settimane non ho fatto altro che dedicarmi all’album: siamo molto avanti sulla tabella di marcia, e Brian è fiero di me. Una volta tanto. Il fatto che trascorra le mie giornate in studio non significa che abbia trascurato Grace, anzi: il nostro rapporto è decisamente migliorato, e ora siamo ufficialmente una coppia, e le ho chiesto di accompagnarmi alla première del film. In fondo, ho inciso il pezzo forte della colonna sonora pensando a lei: mi sembra il minimo.

Mio padre è ancora in ospedale: nelle ultime due settimane le sue condizioni sono decisamente migliorate, ma il dottore esclude che possa essere dimesso. Non riesco ad andarlo a trovare tutti i giorni, ma cerco di andarci almeno tre volte la settimana. Mi sento già tanto in colpa per averlo lasciato solo prima…

“Allora, Josh. Ho sentito che il film della Bigelow uscirà tra poco.”

“Tra due sere ci sarà la première, qui a Los Angeles.”

“Wow. Il mio piccolo Josh che partecipa agli eventi mondani…” mi prende in giro.

“Già. Sempre che mi facciano entrare.”

“Con una ragazza come Grace appesa al braccio? Se anche non volessi entrare, ti butterebbero dentro di peso. Ah, non mi stancherò mai di dire che hai vinto alla lotteria, incontrandola.”

“E io non mi stancherò mai di dirti che hai ragione.”

 

***

 

Andiamo alla première con la mia auto. Stiamo per arrivare all’ingresso, quando Grace si volta verso di me, sinceramente sconvolta. “E se cadessi dai tacchi? E se facessi qualcosa di molto stupido? E se dicessi…”

“Grace, non iniziare con le paranoie. Ok, è la nostra prima uscita ufficiale e capisco il tuo nervosismo, ma…”

“Josh, tu affronti tutto questo da dieci anni, io da dieci minuti! Non so…”

“Andrà tutto benissimo. Tu sorridi.”

“E se mi fanno delle domande? Da quanto tempo usciamo insieme, come ci siamo conosciuti…”

“Rispondi quello che ti pare. Tanto nessuno di loro scriverà la verità.”

Fermo l’auto in corrispondenza del tappeto rosso. “Non ti muovere, ti apro io.”

Scendo con un sorriso, e con un sorriso consegno le chiavi al valletto, che mi restituisce lo scontrino e mi augura una buona serata. Faccio il giro dell’auto e apro lo sportello, porgendo poi una mano a Grace per aiutarla a scendere. Il tutto sorridendo.

Sorride anche lei, mentre chiudo lo sportello e inizio a percorrere con lei lo spazio che ci separa dall’ingresso, la mia mano nella sua. “Una foto, Josh!” grida uno dei reporter. Passo una mano dietro la sua schiena, cingendole la vita e trattenendola contro di me. Dopo i primi flash, la sento rilassarsi. Ha finalmente smesso di tremare, e il suo sorriso si fa sincero, non più di circostanza. “Complimenti, Josh!” sento dire da un altro reporter. “Grazie!” rispondo, sinceramente. Se c’è una cosa buona che ho imparato da Brian, è che con i giornalisti bisogna sempre dimostrarsi simpatici, aperti a ogni battuta e disponibili.

Non appena mettiamo piede all’interno, scopriamo che è anche peggio. Fuori, almeno, si limitano a fotografare. Veniamo subito avvicinati da una cronista del New York Times. “Salve, Josh. Possiamo farti qualche domanda?”

“Temo che dovrò rispondere ‘No comment’ alla maggior parte, ma va bene.”

“Ok. Come sai, il nuovo film di Kathryn Bigelow è avvolto nel mistero. Pare che nessuno sappia niente della trama. Che ne dici?”

“So quello che sanno tutti gli altri, e cioè che sarà sicuramente un ottimo film.”

“Si parla di un cast completamente femminile: Robin Wright Penn, Juliette Binoche, Evan Rachel Wood…”

“Beh, ti ringrazio per la notizia. Non ne sapevo nulla.”

Sorride. “Si vocifera che dall’Academy stiano già inserendo la pellicola tra i cinque nominati per le categorie più importanti. E circola qualche indiscrezione riguardo la colonna sonora.”

“Ho sentito che è di Danny Elfman, ma è tutto quello che so” mento. Grace non riesce a trattenere un sorriso. “Ora scusate, ma ci aspettano.”

Brian è all’interno già da un paio d’ore, completamente assorbito dal suo lavoro. Non c’è che dire, lui è nato per gestire queste situazioni. “Oh, finalmente siete qui. Ehi, cos’è, un Armani?” chiede, facendo correre lo sguardo sull’abito di Grace.

“Ehm… no.”

“Cavalli? Dior? Valentino?”

Grace scuote la testa. “Meglio che non ti dica né dove l’ho preso né quanto l’ho pagato, perché non mi crederesti.”

Questa volta sono io a non trattenermi: io conosco la storia di quell’abito. Era un vecchio vestito di sua cugina, che lei ha riadattato per l’occasione. Non le è costato nulla e le sta d’incanto. Il blu notte è decisamente il suo colore.

“Qualcosa mi dice che è meglio che io non sappia niente. Basta che tu non l’abbia comprato con il ricavato di un traffico illegale, poi va bene. Allora, voi siete al palco F. Kathryn Bigelow ha insistito per avervi con lei, insieme al cast principale.”

“E da chi…” inizio.

“Non te lo dico, da chi è formato il cast” mi interrompe lui, guardandomi in cagnesco. “Su, andate.”

Raggiungiamo il palco F, e troviamo la regista, calma come non mai, che ci accoglie con un abbraccio e un sorriso materno, e ci presenta agli altri ospiti. Sorrido, nel constatare che nemmeno uno dei nomi citati dalla cronista è presente.

“Josh, Grace, vi presento il cast principale del mio film: Diane Lane, Rachel Weisz, Amber Tamblyn e Danielle Panabaker. Diane, Rachel, Amber, Danielle, sono fiera di presentarvi Josh Groban e Grace Thomas. Josh ha accettato di interpretare l’ultimo brano della colonna sonora, e Grace… beh, lei è la fortunata che lo ha fatto innamorare.”

Con la coda dell’occhio, vedo Grace arrossire vistosamente, per poi riprendersi e stringere con decisione la mano delle quattro attrici e dei loro rispettivi accompagnatori. Ci accomodiamo, e pochi minuti prima dell’inizio la regista ci lascia, per raggiungere il palco e fare un piccolo discorso prima del film.

“Josh” sussurra Grace al mio orecchio, “grazie di avermi chiesto di accompagnarti.”

“Sei la mia fidanzata. Chi avrei dovuto portarci, mia madre?” la prendo in giro, con un sorriso, mentre Kathryn sale sul palco, tra gli applausi.

“Buonasera, signore e signori. Vi ringrazio di essere intervenuti, questa sera, alla prima del mio nuovo film. Film che non sarei mai riuscita a realizzare, senza la collaborazione di persone meravigliose che hanno saputo dedicare al progetto molto più di quanto avrei mai osato sperare. Molti si sono interrogati sul contenuto di questo film, incuriositi dall’aura di mistero che lo circondava. Ebbene, sono stata io a volere questa riservatezza. Si tratta di un film diverso dai precedenti, e non volevo rischiare che i commenti distogliessero i miei collaboratori dal lavoro. Comunque, se questa sera siamo qui significa che è andato tutto bene. Quindi, oltre alla troupe, che come al solito ha fatto un ottimo lavoro, intendo ringraziare le quattro splendide attrici che hanno voluto prestarmi il loro talento: Diane Lane, Rachel Weisz, Amber Tamblyn e Danielle Panabaker.” Si interrompe, lasciando che la platea sfoghi un applauso. “Un grazie va anche all’autore della colonna sonora, che ha davvero superato se stesso. Grazie, Danny Elfman.” Un altro applauso, ma la regista non ha concluso. “L’ultimo grande ringraziamento va a Josh Groban, che ci ha prestato la sua splendida voce per una splendida canzone. Grazie, Josh.”

“Sai, se non fossi sicura del contrario, direi che ha una cotta per te” mi prende in giro Grace.

“Beh, casca male. Io ho una cotta per te” ribatto, avvicinandomi per baciarla.

Due minuti più tardi, le luci si abbassano, e il film ha inizio.

 

***

 

Non sono esattamente un fan dei film che ruotano attorno all’universo femminile, ma questo mi ha davvero colpito. E così, mentre iniziano i titoli di coda e aspetto con trepidazione di sentire la mia voce, rifletto sui personaggi che ho appena visto muoversi sullo schermo. Diane Lane nei panni di una madre single che si scopre affetta da una malattia che non le lascerà scampo; Amber Tamblyn e Danielle Panabaker nei panni delle sue figlie: la prima, matura e forte, si elegge paladina, assumendosi ogni responsabilità, mentre la seconda, fragile e inesperta, rifiuta l’evidenza, trovando poi un punto di sostegno in Rachel Weisz, la sua insegnante di arte. Non credevo che un film avrebbe potuto emozionarmi tanto. Ma forse è perché sto vivendo una situazione simile.

Grace stringe più forte la mia mano, distogliendomi dalle mie riflessioni. Le prime note di ‘Your Love’ risuonano all’interno della sala, modificando il ritmo del mio cuore. Mi sento esattamente come il giorno in cui l’ho incisa, e la sola cosa che vorrei fare è salire in piedi sul palco e iniziare a cantarla. Fa effetto sentire la mia voce riempire ogni spazio; fa effetto saperla portavoce del messaggio di questo film, che è ‘Ama chiunque ti sta accanto, amalo come se ogni istante fosse l’ultimo, perché non sai mai che cosa ti riservi il futuro’. Fa effetto, così come mi fece effetto sentirmi cantare ’Remember’ per Troy e ‘Believe’ per Polar Express. Sono alla mia terza collaborazione con il cinema, e ancora mi sento spaesato.

Dopo quattro interminabili minuti, la mia voce si spegne, e pochi secondi più tardi anche la musica termina. Ma non per questo c’è silenzio: un applauso incessante riempie la sala. Stanno applaudendo per il film, per Kathryn Bigelow, per Diane Lane, Rachel Weisz, Amber Tamblyn, Danielle Panabaker; stanno applaudendo per Danny Elfman, ma stanno applaudendo anche per me. Non mi importa quanti obbiettivi abbiamo addosso in questo momento: la sola cosa che voglio fare è baciare Grace.

“Complimenti, Josh” mi sussurra, allontanandosi un po’.

“Grazie, tesoro. È tutto merito tuo.”

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Capitolo 30
*** 30. Bring On The Day [Charlotte Martin] ***


6.

Maledette vetrate. Se non fosse per loro, la luce del mattino non entrerebbe così presto in camera mia, non mi sveglierebbe e potrei rimanere abbracciato a Grace più a lungo. E invece… Alzo appena la testa, e controllo la situazione. Ritiro tutte le mie precedenti affermazioni: adoro il modo in cui la luce del mattino colpisce la sua pelle, creando un meraviglioso gioco di luci e ombre tra il braccio e il cuscino a cui dorme abbracciata.

“Che ore sono?” mi chiede, con la voce ancora impastata e soffocata dal cuscino.

Controllo la sveglia sul comodino, e sbadiglio. “Le otto.”

“Sono in ritardo” sbuffa. Ma non si muove.

“Il bello del lavoro in proprio è che non hai un capo che ti dice che sei in ritardo, no?”

“Questo non toglie che io abbia una coscienza, e dei doveri verso i miei clienti.”

“Leale e virtuosa.”

“Se fossi virtuosa, non sarei qui” sorride, voltandosi finalmente verso di me.

“Ci sarebbe un modo per ovviare a questa situazione.”

“E cioè?”

“Beh, ho notato che ultimamente dormi spesso qui.”

“E quindi?”

“Beh, da semplice casualità potremmo farla diventare un’abitudine.”

“Intendi… vivere qui?”

Faccio spallucce. Chissà perché, nei suoi occhi mi sembra di leggere smarrimento. “Facciamo così: vado a mettere su del caffè. Non siamo ancora abbastanza svegli per parlare di certe cose.”

Un fugace bacio sulle labbra, e mi alzo.

Dieci minuti dopo mi raggiunge in cucina. “Ho approfittato del tuo bagno.”

“Hai fatto bene” le sorrido, porgendole una tazza fumante.

“Grazie.”

“Grace, perché ho l’impressione che ci sia qualcosa che non va? È per quello che ho detto prima?”

“No, tranquillo. Beh, in realtà sì, anche se… uffa.”

“Grace…”

“Volevo parlartene appena l’ho saputo, ma poi ho pensato che fosse meglio aspettare dopo la première. Avrei voluto dirtelo ieri sera, ma poi la serata ha preso un’altra piega, e…”

Sono incinta.

Sono sposata.

Sono un mutante.

Credo di essere pronto a tutto.

“Mi hanno accettata al corso per organizzatrici di eventi.”

“Cosa? Ma è fantastico! Insomma, finalmente coroni il tuo sogno!”

“Josh, c’è una cosa che non ti ho detto. Devo partire tra una settimana. Il corso si tiene a Parigi.”

Non riesco a capire la sua preoccupazione. “Grace, non intendo impedirti di frequentare quel corso. Hai sempre voluto andarci, e finalmente hai un’occasione. Non sarò io a metterti i bastoni tra le ruote.”

“Ne sei sicuro? Voglio dire… sono sei mesi, Josh. Non credo riuscirò a tornare, nel frattempo.”

Non riesco a non sorridere. “Grace, ho un manager in grado di procurarmi un biglietto aereo per qualsiasi destinazione in meno di mezz’ora. Ti ricordo che è grazie a lui se ci siamo incontrati.”

Osservo le sue labbra sciogliersi in una risata sincera. Si alza e corre verso di me a braccia spalancate. “Josh, Parigi! Parigi, ci pensi? Sono così felice!”

La stringo tra le braccia e la sollevo, respirando il profumo dei suoi capelli. La sua voce arriva alle mie orecchie come una brezza leggera.

“Josh…” sussurra, la voce improvvisamente rotta dall’emozione.

“Va tutto bene, Grace. Sarai all’altezza della situazione. Tu sei sempre all’altezza della situazione” la rassicuro, guardandola dritta negli occhi. “E comunque, oggi niente lavoro.”

“Ma…”

“Niente ma. Tu oggi resti qui con me.”

Sorride. “Maniaco.”

“Non sono io quello che va a Parigi per sei mesi e molla il fidanzato da solo” sorrido a mia volta. “Devo fare il pieno di attenzioni per quando non ci vedremo, non credi?”

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Capitolo 31
*** 31. Per Fare A Meno Di Te [Giorgia] ***


6.

Grace mi guarda dritto negli occhi, e riesco a capire all’istante ciò che sta provando. Non mi era mai successo di riuscire a capire gli stati d’animo di una persona… non ho mai capito nemmeno i miei, e ora sono all’improvviso una specie di psicologo. E la cosa mi piace.

“Josh…”

Le prendo le mani, fissandole a lungo. “Lo so, Grace. Lo so.”

“Mi dispiace…”

“Sono solo sei mesi, Grace. E Parigi non è Marte. E se anche lo fosse, Brian mi troverebbe un biglietto per venirci.”

“Ma hai un sacco di impegni, e tuo padre…”

“Mio padre la penserebbe allo stesso modo, lo sai. E poi sta meglio. I medici dicono che potrebbe migliorare ancora. Più avanti potrò sicuramente prendermi qualche giorno libero per raggiungerti.”

Grace sa di non avere più argomenti per ribattere, perciò si limita a sorridere, mentre guarda le mie mani che stringono ancora le sue. Un altoparlante gracchia l’inizio delle operazioni di imbarco del volo per Parigi. “Allora” dice, tornando a guardarmi negli occhi, “hai intenzione di darmi un bacio d’addio o me ne devo andare così?”

“Non è un addio, Grace. È un arrivederci” le sussurro, mentre mi avvicino per baciarla. Le sue mani stringono di più le mie, mentre ci salutiamo.

La lascio andare e la osservo raccogliere lo zaino da terra. Se lo sistema meglio su una spalla, poi mi guarda ancora. Non ci sono lacrime nel suo sguardo. Sono contento. È così che deve essere. Sono soltanto sei mesi, e posso essere da lei in meno di sei ore. E poi ci amiamo. Basta questo a tenerci legati.

 

***

 

“Allora, è partita?”

“Sì, papà. È partita due ore fa.”

“Come stai?”

“Un po’ mi manca. Ma non è andata su Marte. È solo Parigi.”

“Così mi piaci, figliolo. Ottimista.”

Sorrido, e gli stringo la mano. “Ti trovo bene, sai?”

“Ti ringrazio. Tua madre continua a dire che sembro uno straccio.”

“Lei lo dice a tutti.”

“Hai ragione” ribatte, con una risatina. “Josh, posso parlarti?”

“Credevo lo stessimo già facendo.”

“No, Josh, sul serio. È una questione che mi sta piuttosto a cuore.”

“Ma certo, papà. Dimmi tutto.”

“Josh, io… quando ho scoperto di essere malato, ho fatto testamento.”

“Papà…”

“No, ascolta. So che non è un argomento molto piacevole, ma dobbiamo parlarne. È tutto specificato nell’atto, ma vorrei anticiparti che il bungalow sulla spiaggia sarà tuo. Né tua madre né tua sorella potrebbero apprezzarlo come merita.”

“Se è scritto nell’atto, perché me lo stai dicendo adesso?”

“Perché c’è una cosa che non è scritta nel testamento, e tu non sei esattamente un campione di arguzia. Ci metteresti un anno a scoprirla.”

“Ehi, piano con le offese” lo redarguisco, scherzando. “Di che si tratta?”

“In camera da letto, sotto… sotto le assicelle… c’è…” si interrompe, iniziando improvvisamente a tossire.

“Papà? Papà, che succede?”

Improvvisamente tutto diventa confuso: un allarme inizia a suonare, come impazzito, il dottor Carver irrompe seguito da due infermiere; io finisco con l’essere cacciato fuori dalla stanza, a guardare tre estranei che, dall’altra parte del vetro, cercano di impedire a mio padre di morire.

 

***

 

“Signor Groban, le posso parlare?”

Annuisco.

“Vogliamo andare nel mio ufficio?”

Scuoto la testa.

“Va bene. Dunque, suo padre ha avuto una crisi respiratoria. Non abbiamo ancora i risultati di tutti gli esami, ma… noi crediamo che la massa tumorale si sia estesa, e che stia coinvolgendo anche altri organi.”

“E non si può fare niente.” Non è una domanda, e nemmeno un’affermazione. È una semplice presa di coscienza: nemmeno un patrimonio di milioni di dollari può salvarti dalla morte.

“Mi dispiace, signor Groban. Forse, se lo avessimo preso in cura prima…”

“Non è colpa sua, dottor Carver. Non è colpa mia, non è colpa di mio padre. Non è colpa di nessuno.”

Un angolo della sua bocca si piega in un mezzo sorriso. “Lei è un uomo forte. Non sarà così semplice dirlo a sua madre e sua sorella.”

“Non si preoccupi, glielo dirò io.”

La sua mano si poggia paterna sulla mia spalla, la stringe e poi la lascia. Accanto a me rimangono vuoto e silenzio, mentre continuo a guardare mio padre, incosciente in un bianco letto d’ospedale, mentre cerco di convincermi che presto o tardi dovrò fare a meno di lui.

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Capitolo 32
*** 32. Nella Mia Stanza [Negramaro] ***


6.

Mia madre è distrutta. Mia sorella è distrutta. Io sono distrutto, eppure sono l’unico a riuscire a vedere ancora le cose con chiarezza. È come se i ruoli si fossero invertiti, e se devo essere sincero, la cosa un po’ mi spaventa. Non sono abituato ad essere quello forte, quello che prende in mano la situazione e guida tutti sulla strada giusta. No, non sono io. Io sono quello che sguazza nell’indecisione, quello che ha paura della propria ombra. Eppure impiego due secondi a decidere di fingere allegria mentre sto al telefono con Grace, entusiasta di Parigi. Non ho paura, quando le mento spudoratamente, dicendo che mio padre sta bene e migliora di giorno in giorno. Mi faccio quasi schifo, eppure so che è la cosa giusta da fare.

Approfitto di un momento di libertà per rifugiarmi nel bungalow, in compagnia di Roxy, sempre più cupa e triste. Non mi meraviglierei se anche lei morisse. Me ne sto disteso sul letto, con un pezzo di James Blunt a farmi compagnia alla radio, quando mi tornano in mente le ultime parole di mio padre: “In camera da letto, sotto le assicelle.”

Ma quali assicelle? Il pavimento è tutto composto di assicelle. Come faccio a sapere qual è il punto giusto? Balzo in piedi e spengo la radio. Nel silenzio, inizio a passeggiare lentamente su e giù per la stanza, in cerca di uno scricchiolio, o di chissà che altro. Appunto. Alzo il piede destro e mi inginocchio. Tasto le assicelle e trovo una fessura. Faccio leva con le dita e sollevo il legno. “Papà, sei geniale” sussurro. Ha ricavato un piccolo nascondiglio sotto il pavimento, e ci ha nascosto… un album di fotografie. Spolvero la copertina con la mano, rimetto a posto le assicelle scalzate e mi siedo sul letto con il volume.

Un album di fotografie rilegato in pelle, lettere dorate sul frontespizio. Leggo il nome di mio padre ad alta voce e accarezzo ogni lettera. Poi inizio a sfogliare le pagine.

Sono fotografie.

Sono tutte fotografie scattate da mio padre.

Sono tutte bellissime.

Ho sempre saputo che papà aveva un debole per le fotografie, ma non avrei mai immaginato che le amasse fino a questo punto. E non avrei mai sospettato che fosse così bravo.

I primi scatti sono istantanee realizzate con una Polaroid: ricordi di quando mia madre era incinta di Allie. La vedo sorridere, indicandosi il pancione, e mi chiedo se rivedrò mai quel sorriso sul suo volto. Più avanti, Allie è impegnata a gattonare, mentre la mamma vigila attenta. Scorrendo ancora le pagine, finalmente mi trovo. Quando avevo un anno ero un bambino paffuto con i capelli ricci e l’espressione di chi non è sicuro di essere nel posto giusto. Sono ancora quel bambino, sotto molti aspetti.

Tra due settimane Michael terrà il suo grande concerto a Los Angeles. Brian sta dimostrando il suo lato umano, e non mi assilla con questioni di lavoro, ma credo che lo preferirei. Essere assorbito nel lavoro mi distrarrebbe. Forse mi farebbe persino bene.

Due squilli e mezzo. “Avnet.”

“Josh.”

“Josh!”

“Brian.”

“Simpatico. Come… come va?”

“Bene.”

“Sul serio?”

“Non lo so. Non so come mi devo sentire. Mio padre sta morendo, mia madre è sull’orlo della depressione e la mia fidanzata è appena partita per Parigi. Sono confuso.”

“Ti serve qualcosa?”

“Mmm… no, non mi pare. Volevo solo confermarti che ci sarò, alla data di Bublé.”

“Ci sarai?”

“Ci sarò.”

“Josh…”

“Tranquillo, Brian. Sta bene così.”

“Josh, hai già fatto abbastanza finendo di registrare il…”

“Tranquillo, Josh. Se mio padre potesse parlare, mi darebbe ragione.”

“Tu felicidad es mi felicidad, gringo.”

Metto giù con un sorriso.

Forse dovrei trovare il coraggio di parlare anche con Grace.

Forse.

Per adesso, la sola cosa che riesco a fare è starmene seduto a guardare queste fotografie.

E a piangere.

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Capitolo 33
*** 33. Broken [Elisa] ***


6.

È trascorsa una settimana da quando papà ha avuto quell’attacco. Il dottor Carver è stato chiaro: le probabilità che il cancro regredisca, anche con le terapie, sono minime, e quelle che papà riapra gli occhi… ancora meno. Mamma ora ha un’ottima ragione per non staccarsi dall’ospedale, e Allie, per quanto possibile, la imita.

“Ehi, sorellina” la apostrofo, mettendole una mano sulla spalla. “Come stai?”

“Sono stata meglio” sussurra. “E tu?”

“Anche io” ammetto. La stretta della mia mano sulla sua spalla si fa un po’ più forte.

“Di… di che cosa stavate parlando tu e papà quando si è sentito male? Non l’hai mai detto.”

Tergiverso, ma non me la sento di mentire a mia sorella. Non posso mentire a mia sorella. “Papà mi stava parlando del suo testamento.”

“Perché ti stava parlando del suo testamento?”

“Non lo so. In realtà, io non volevo parlarne. Ma lui ha insistito…”

“Tipico di papà. Che ti ha detto?”

“Che è tutto specificato nell’atto.”

“E allora perché ha voluto parlartene?”

Sorrido. “Ha voluto anticiparmi che il bungalow sulla spiaggia sarà mio.”

“La sua tana?”

“La sua tana. Sai, non è un brutto posto, per viverci.”

“Che altro ti ha detto?”

“Mi ha detto che aveva nascosto qualcosa sotto le assicelle del pavimento, in camera da letto. E che me lo stava dicendo perché, da vero tonto quale sono, non l’avrei mai trovato.”

“Che cos’è?”

“Un album di fotografie. Le ha scattate tutte lui.”

“Fotografie?”

“Papà ama la fotografia quanto io amo la musica” spiego. “Ripercorrono la sua vita con mamma, seguono la nostra crescita. Racchiudono lo spirito della nostra famiglia.”

“Sapevo che gli piaceva scattare fotografie” ammette Allie, “ma non credevo ne avesse fatto addirittura un album personale. Potrei… potrei vederle?”

“Quando vuoi, Allie. Quando vuoi. Sono tutte bellissime.”

La sento appoggiare la testa sulla mia spalla, per poi scoppiare in un pianto liberatorio. Per la prima volta in vita mia, so esattamente che cosa devo fare: la stringo più forte, le faccio sentire la mia presenza, le faccio capire che le sono vicino, e che lo sarò sempre. È vero, sono un personaggio pubblico, ma prima di tutto sono un figlio. E un fratello.

 

***

 

“Pronto?”

“Ciao, Grace. Sono Josh.”

“Ciao… sono le sette del mattino, lo sai?”

“Oh, scusa. Lo sai che faccio sempre casini con i fusi orari.”

“Non importa. Ero già sveglia. Volevi…”

“Grace, io devo parlarti.”

“Ok. Suppongo sia per questo motivo che mi hai chiamata. Di che si tratta?”

Respiro profondamente per un paio di volte, tentando di prendere tempo.

“Josh? Ci sei ancora?”

“E’ per mio padre.”

“E’ peggiorato? Sta male?”

Sospiro. “E’ morto, Grace. Mezz’ora fa.”

Non parla subito. “Ma i medici dicevano che si stava riprendendo…”

“No, Grace… è quello che ti ho raccontato io.”

“Stai dicendo che… mi hai mentito?”

“Sono stato una persona orribile, lo riconosco, ma non volevo farti preoccupare.”

“Non volevi farmi preoccupare? Ti sei tenuto dentro tutto questo?”

“Scusa, Grace.”

“Non è con me che devi scusarti, ma con te stesso.”

“Sei arrabbiata con me?”

Un’altra pausa. “No, non sono arrabbiata con te. È impossibile essere arrabbiati con te.”

“Ti amo.”

“Lo so. Come sta tua madre?”

“Puoi immaginare. È distrutta dal dolore. Adesso c’è Allie con lei.”

“Come sta Allie?”

“Anche lei sta male, ma lo accetterà, come sto facendo io.”

“E i bambini?”

“Glielo diremo domani.”

“Quando sarà il funerale?”

“Giovedì, ma…”

“Ti chiamo per dirti a che ora atterro.”

“Grace…”

“Josh, non ti lascio solo al funerale di tuo padre.”

Non posso fare a meno di sorridere. “Vuoi che dica a Brian di prenotarti un posto sul primo volo in partenza per Los Angeles?”

“Sarebbe una buona idea, sì.”

Rimaniamo ancora in silenzio. “Grace?”

“Sì?”

“Non voglio obbligarti a tornare.”

“Torno perché voglio tornare. Sai, mi manca già Los Angeles.”

“Sei a Parigi e ti manca Los Angeles?”

“Già. Beh, poi mi manchi anche tu.”

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Capitolo 34
*** 34. Danny Boy [Traditional] ***


6.

È una bella giornata di sole. Mi viene da sorridere, pensando che forse papà avrebbe voluto proprio così. Un grande sole caldo che rischiari il giorno in cui si saluta un’anima che vola in paradiso. Dietro gli occhiali scuri, mia sorella sta piangendo, piuttosto discretamente. Mia madre non si cura di nascondere il proprio dolore. Stella trascorre accanto a me la maggior parte della cerimonia.

“Zio Josh?”

Mi inginocchio vicino a lei, sul ciglio della tomba. “Dimmi, tesoro.”

“So dove sta andando il nonno.”

“Davvero?”

“Sì. Mamma e papà mi hanno detto che è andato in cielo, ma io so che non è vero.”

“Ah no?”

“No” conferma lei. “Una volta il nonno mi ha detto che quando la gente muore non va da nessuna parte.”

“E allora dove va?”

“Resta qui con noi, sulla Terra. Solo che noi non li vediamo.”

“Diventano fantasmi, quindi?”

“Immagino di sì. Però sono buoni, e aiutano la gente.”

Grace si inginocchia vicino a me, e le sorride. “Stella ha ragione, sai? Chi muore resta sulla Terra e veglia su chi è ancora vivo. Come gli angeli custodi.”

Stella annuisce con vigore, e io non posso far altro che sorridere, tendendo le braccia verso Stella e accogliendola in un abbraccio. I bambini sanno essere così semplici, a volte… ma questa volta ha detto la verità. Sento che mio padre è qui, in mezzo a noi. Sento la sua presenza, vibra in mezzo a noi. Mi chiedo se sono l’unico ad avvertirlo.

La cerimonia si conclude, e uno dopo l’altro i presenti sfilano davanti a noi, porgendoci le loro condoglianze: la mamma è troppo stremata per riuscire a dire qualunque cosa, mentre Allie, sostenuta da Gary, riesce a ringraziare. Credo di essere l’unico a non avere ancora pianto: la situazione si è davvero ribaltata, e ora sono io il pilastro di questa famiglia. Se prima mi sembrava strano, ora mi sto calando nella parte. Ed è una bella sensazione.

Mi accorgo che fra i presenti c’è anche Michael: non speravo sarebbe venuto anche lui.

“Ehi, Grob” mi saluta.

“Ehi, Mike” è la mia risposta.

Ci stringiamo in un abbraccio, e senza dire niente riusciamo a comprenderci.

“Se hai un attimo, dopo vorrei parlarti” mi dice, quando ci lasciamo.

“Okay. A dopo, Mike.”

Una volta terminata la processione di conoscenti e amici, Grace mi prende per mano, facendomi capire che gli altri stanno andando via.

“Vai avanti, Grace. Ti raggiungo dopo.”

Voglio dare un ultimo saluto a mio padre. E voglio essere solo.

Lei annuisce e sorride. Un lieve bacio sulla guancia, e si allontana.

Rimango solo accanto alla lapide che reca il nome di mio padre.

“Leale, onesto, marito e padre devoto” leggo, a bassa voce. Suonano strane, quelle parole. Dovrebbero riassumere la vita di mio padre, ma nessuno meglio di me sa che la sua vita è impossibile da riassumere in poche parole. Nessuna vita si può riassumere in poche parole.

Mi inginocchio accanto alla pietra, accarezzo la fotografia e sospiro. Ho ancora la mia rosa rossa tra le mani: non l’ho gettata sopra la bara insieme alle altre. La appoggio davanti alla pietra, coprendola con un po’ di terra, poi rimango fermo, come in attesa. Quasi spero che Ashton Kutcher salti fuori con un cartello giallo a dirmi: “Ehi, era una candid camera! Tuo padre è vivo e vegeto!”. Ma non lo farà. Non lo farà perché mio padre non è morto. Mio padre è vivo, lo sento. Avverto la sua presenza. Immagino che ora se ne stia in piedi dietro di me, con una mano sulla mia spalla. Lo immagino, mentre mi dice di essere forte. Sarò forte, papà. Sarò forte come lo sei stato tu.

Si alza una leggera brezza, che lascia comunque immutato il calore del sole.

Intorno è deserto, non c’è anima viva.

Oh Danny boy, the pipes, the pipes are calling, from glen to glen, and down the mountain side… the summer's gone, and all the roses falling… ‘tis you, 'tis you must go and I must bideintono, la voce appena incrinata dall’emozione.

Nonostante tutto, sarà sempre questa la canzone di mio padre.

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Capitolo 35
*** 35. Misread [Kings Of Convenience] ***


6.

“Allora, Mike, di che cosa volevi parlarmi?”

Si infila le mani nelle tasche e iniziamo a camminare lungo un viale alberato. “Mi ha chiamato il tuo manager.”

“Brian ti ha chiamato? E perché?”

“Perché non è convinto che lavorare sia la cosa migliore per te, in questo momento.”

“Brian si sbaglia.”

“Ne sono convinto anche io.”

“E allora perché ne stiamo parlando?”

“Perché gli ho promesso che lo avrei fatto” sorride. “Ma sapevo che non avresti cambiato idea. Non lo fai mai.”

“Sono abituato ad onorare gli impegni che prendo.”

“Mi ha detto che hai concluso la lavorazione del tuo nuovo disco con due mesi di anticipo.”

“Volevo che mio padre lo ascoltasse prima di morire. Poteva accadere da un momento all’altro.”

“Ti ammiro, sai?”

“Tu ammiri me?”

“Sì, Josh, ti ammiro.”

“Perché Michael Bublé dovrebbe ammirare Josh Groban?”

“Perché Josh Groban ha un grande cuore.”

Sorrido. “Ti sbagli, quello è Sting” lo prendo in giro.

Mi dà una spintarella amichevole. “Che scemo! Non riesci a non fare il cretino nemmeno il giorno del funerale di tuo padre.”

“Non iniziare a comportarti come Brian, per favore.”

“Parlavo sul serio, Josh. Hai un grande cuore e una grande forza di volontà. Sei una bella persona.”

“Grazie, Mike.”

“Prego.”

Continuiamo a camminare in silenzio per un minuto, poi ricomincia.

“E hai un gran gusto in fatto di donne, non c’è che dire.”

“Ha parlato Casanova. Quella ragazza con cui ti hanno paparazzato non era male.”

“Sì, era carina” ammette. “Ma io non parlo solo di bellezza. Insomma, tutte le donne con cui esci hanno qualcosa… un non so che di speciale.”

“Anche Tish?” gli chiedo, ammiccando.

“Beh, non si può giudicare una donna basandosi sui suoi gusti sessuali. Insomma, anche lei era… era… ok, forse Tish è stata uno sbaglio. Ma le altre, cavolo! Jennifer, Isabel, e ora Grace…”

“Sì, Grace è fantastica.”

“Hai avuto una fortuna sfacciata, lo sai? Su quell’aereo avresti potuto incontrare chiunque, e invece hai incontrato lei.”

“Sì, sono stato miracolato, quel giorno.”

“Da quanto uscite insieme?”

“Dall’inizio di marzo, più o meno.”

“Tre mesi. E come sta andando?”

“Bene. Da una settimana si è trasferita a Parigi. Segue un corso per organizzatrici di eventi.”

Michael emette un debole fischio. “Bella e intraprendente. Complimenti.”

“Quando avrà finito, voglio chiederle di vivere con me.”

“Credi che accetterà?”

“Non lo so. Non so nemmeno se allora staremo ancora insieme.”

“Quanto dura il corso?”

“Sei mesi, più o meno.”

“Non fare cazzate, e vedrai che durerà.”

Sorrido. “Rassicurante come al solito. Bell’amico che sei.”

“Grazie.”

“Non era un complimento.”

“Per me lo era. Allora, ancora deciso ad essere mio ospite alla tappa del Bublé USA tour?”

“Deciso come dieci minuti fa.”

“Fanculo Brian?”

“Fanculo Brian” rispondo.

Raggiungiamo gli altri, e lasciamo il cimitero.

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Capitolo 36
*** 36. Un Amico E' Così [Laura Pausini] ***


6.

“Di nuovo buonasera, Los Angeles! Allora, prima vi avevo promesso la presenza di un grande ospite, e… beh, non è potuto venire.”

Il modo in cui Michael riesce a scherzare con i propri fans è assolutamente fenomenale.

“Ma” riprende, cercando di arginare la risposta del pubblico, “per fortuna sono riuscito a rintracciare un mio amico, che si è mostrato davvero lieto di potervi intrattenere per qualche minuto. Dovete sapere che conosco questo ragazzo da quasi otto anni, e lo reputo ben più di un amico… ehi? Chi ha detto fidanzato? Ssh, non vorrete rovinarmi la piazza con Katherine Heigl, proprio adesso che ha deciso di uscire con me?”

Scoppio a ridere come un cretino, come la maggior parte delle persone che lavorano qui dietro le quinte. Michael è un comico nato.

“No, seriamente. Considero questo ragazzo quasi come un fratello minore. Un fratello minore che ha molto più talento del sottoscritto… anche se il più carino sono sempre io.”

Il pubblico ride ancora. Adorano Michael Bublé. Adorano la sua comicità innata, il suo modo di fare, la sua personalità… soltanto Dio sa quanto sono felice di avere un amico come lui.

“Signore e signori, sono lieto di presentarvi il mio fratellino adottivo… il signor Josh Groban.”

Faccio il mio ingresso sul palco, e una valanga di applausi mi investe. Come sempre, quando Mike mi chiede di partecipare ad una sua tappa. Suonerà dannatamente poco modesto, ma io e lui messi insieme abbiamo i sostenitori migliori del mondo.

“Grazie! Grazie, Los Angeles! Grazie di avermi invitato qui, Michael. Sono veramente contento di essere qui.”

“Beh, Josh, questa è la tua città. Io sono soltanto un ospite” mi dice, mettendomi un braccio sulle spalle.

“Sei sempre il benvenuto, Mickey, lo sai. Ehm… e ora che facciamo?”

Sorride al pubblico. “Ve lo avevo detto. Abbiamo deciso tutto all’ultimo momento, e ora non sappiamo che fare. Potremmo” continua, rivolgendosi verso di me, “fare quella cosa di scambiarci le canzoni…”

“Che palle! Lo abbiamo già fatto cinque anni fa, ed eri già qui a Los Angeles. Credo siano stufi di…”

Un sonoro “No!” interrompe la mia esternazione.

“Direi che non sono stufi, Grobie.”

“Direi che allora si può fare, Mickey Mouse.”

Adoro il modo in cui riusciamo a prenderci in giro, anche se su un palcoscenico, di fronte a migliaia di persone che hanno pagato per stare qui. Ed è semplicemente straordinario il modo in cui il pubblico riesca a ridere del nostro renderci ridicoli.

“Cominci tu, Grobie?” ammicca Michael, lasciandomi andare.

Faccio un cenno concordato ad Alan Chang, il magnifico pianista che accompagna Michael in tutto il suo lavoro, e quello attacca con i primi accordi di ‘Haven’t Met You Yet’, immediatamente seguito dal resto dell’orchestra. Lascio che il pubblico si immedesimi nella melodia, e appena sono pronto mi lancio in una strepitosa parodia dell’ultimo successo del mio migliore amico. Suonerà dannatamente poco modesto, ma sono bravissimo a scimmiottare gli altri. È una qualità che mio padre non mi ha mai negato.

Più tardi, tocca a Michael prendere in giro me. Per lui è stato molto più difficile scegliere una canzone da eseguire: avrebbe voluto parodiare una canzone del nuovo album, ma non voleva rovinarmi la promozione del cd. Quindi si ritrova a parodiarmi – piuttosto bene, devo ammetterlo – sulle note di ‘You Raise Me Up’, e il pubblico sembra gradire. Persino io ho le lacrime agli occhi, pensando che sta semplicemente mostrando parte di quello che io mostro al pubblico ogni volta che canto.

 

***

 

“Ehi, sei ancora qui? Pensavo fossi già andato a casa” mi apostrofa Michael, quando finalmente termina il suo show, stanco morto e grondante sudore.

“Sì, in effetti Brian si sta innervosendo” rispondo, indicando con il pollice il mio agente che, poco più in là, stava per dare in escandescenze. “Però volevo ringraziarti ancora una volta per avermi chiesto di essere qui stasera.”

“Sono io che devo ringraziarti, Josh” sorride. “Mi ha fatto piacere averti ospite qui, nonostante tutto quello che è successo.”

“Grazie, Michael.”

“Grazie, Josh. Alla prossima.”

Ci abbracciamo per salutarci, poi finalmente raggiungo Brian. È incredibile il modo in cui la nostra amicizia riesca a resistere, in un mondo dove diventa davvero impossibile mantenere delle vere amicizie.

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Capitolo 37
*** 37. She [Elvis Costello] ***


6.

Primo ottobre.

Ho aspettato questo giorno con ansia.

Oggi esce in tutti i negozi il mio nuovo disco, ‘Amazing Grace’.

Credo che da questo disco potrebbe dipendere tutto il resto della mia carriera. In base alle reazioni del pubblico, deciderò quale strada intraprendere.

Non sono mai stato più in ansia.

Sono a casa, chino sul pianoforte, quando il mio cellulare squilla.

È Allie.

“Fratellino, ho due notizie per te, una buona e l’altra cattiva.”

“Prima la cattiva.”

“Non ho niente da mettere in vetrina.”

“E la buona?”

“Abbiamo appena venduto mille copie del tuo disco.”

“Non prendermi in giro.”

“Non ti prendo in giro. Se vuoi te lo faccio dire da Gary.”

Subito mio cognato si sostituisce a lei. “E’ vero, Grobie, avevamo mille copie del tuo album, e non ce n’è rimasta nemmeno una. E ti dirò di più: due signore si sono quasi picchiate. Si sono quasi picchiate per te, Grobie.”

“Dici davvero?”

“Certo che dico davvero! Certo, sarebbe stato meglio se fossi venuto qui ad autografare qualche copia e a sorridere a qualche vecchietta, ma… ahia! Ma che ho detto, Allie?”

Mia sorella riprende il controllo della telefonata. “Vai alla grande, Josh. Sono fiera di te.”

“Anch’io sono fiero di te.”

“Ma io di più. E lo è anche la mamma.”

“Sta bene?”

“Oggi sì. Era preoccupata che ‘Amazing Grace’ non vendesse, ma l’ho appena chiamata per darle la notizia.”

“Sono contento.”

“Lo siamo tutti. Vieni a cena da noi, stasera?”

“Verrei volentieri, ma Brian ha organizzato qualcosa con quelli del lavoro. Immagino per festeggiare l’uscita del disco.”

“Pazienza. Facciamo domani sera?”

“Volentieri. Salutami i ragazzi.”

Metto giù, poi mi avvicino alla finestra. È un’incredibile e meravigliosa giornata di sole. Fa un po’ freddo, ma è normale. Insomma, siamo ad inizio ottobre…

Faccio scorrere la rubrica fino al numero di Grace, poi mi trattengo. Ho appena avuto un’idea meravigliosa.

Mi siedo davanti al computer e inizio a digitare come un pazzo, senza esitazione. Sì, sono davvero impazzito.

 

***

 

Atterro a Parigi alle tre del mattino, e la mia prima preoccupazione è quella di cercare un albergo. Ok, se avessi pensato prima a tutti i casini procurati dal fuso orario, ora… no, bando ai pessimismi. Voglio essere una persona diversa.

Mi dirigo subito al Marshall, hotel che mi aveva ospitato durante un tour di un paio d’anni fa. Mi riconoscono e mi trovano subito una stanza.

La mia seconda preoccupazione è quella di dormire un paio d’ore. Sono maledettamente stanco, e poi non avrebbe senso andare a trovare Grace in questo momento. O forse sì. Mentre me ne sto seduto sul letto a decidere che cosa fare, il cellulare squilla di nuovo. Stavolta è Brian.

“Dove diavolo sei?” ringhia. “Hai una vaga idea di che ore siano?”

“Sì” ribatto, guardando il mio orologio da polso. “Sono le… quattro e quindici, no, sedici, del mattino.”

“Che diavolo stai dicendo? Dove sei?”

“Controlla la tabella dei fusi orari e lo saprai” rispondo, allegro, attaccandogli il telefono in faccia.

Scoppio a ridere. Una risata allegra, serena, incontrollata. Non sono mai stato così felice. E improvvisamente mi torna in mente una cosa che mi ha detto una volta mio padre: “Fai sempre quello che ti dice di fare la pancia. La testa è troppo razionale, e il cuore sa essere un vero bastardo. Ma la pancia, lo stomaco… quelli non mentono mai.”

Il mio stomaco dice che ha una gran fame. Mi alzo e chiamo il servizio in camera, chiedendo croissant e il necessario per una buona colazione alla francese.

 

***

 

Le cinque e otto minuti, e sono davanti all’albergo in cui alloggia Grace. Mi presento alla reception con un gran sorriso, e chiedo di poter vedere Grace Thomas. La receptionist arrossisce appena, nel rendersi conto che sono davvero chi sono.

“Prego, signore. Stanza 304, quinto piano” sussurra.

Prima di andarmene, le lascio un autografo su un post-it recuperato dalla sua postazione. Mi ringrazia, e sorride ancora.

Quinto piano.

Stanza 304.

Tra le mani, un sacchetto pieno di croissant ancora caldi.

Nella testa, nel cuore e nello stomaco un solo pensiero: vedere Grace.

Busso e aspetto che venga ad aprire. Non mi sono fatto annunciare, e probabilmente questo bussare sconosciuto la farà spaventare a morte, ma non mi importa.

Viene ad aprire a piedi scalzi, con una vestaglia leggera indossata alla svelta sopra il pigiama leggero. Senza trucco, i capelli scompigliati. Semplicemente bellissima.

Sfodero il migliore dei miei sorrisi. “Non resisto più di due mesi senza vederti.”

Segue il mio esempio, e sorride. “Sono già due mesi che non ci vediamo?” mi domanda, appoggiandosi allo stipite.

“Due mesi e dodici giorni, in verità” specifico.

“Due mesi e dodici giorni” ripete. “E che mi avresti portato, lì?” chiede, indicando il sacchetto.

“Qualcosa per dopo” sorrido malizioso.

“Per dopo cosa?”

“Per dopo che ti avrò salutata. E baciata” sussurro, prendendola tra le braccia e tirandomela vicina.

La lontananza attutisce i ricordi, questo ormai è appurato. Non ricordavo che le sue labbra fossero così morbide, così calde. Non ricordavo che le mie mani potessero adattarsi così bene alla curva dei suoi fianchi.

Mi chiudo la porta alle spalle e appoggio i croissant su un tavolino.

“Ehi, letto matrimoniale” osservo.

“Già” risponde, scoppiando a ridere. “Non dirmi che sei convinto che ti sia rimasta fedele tutto questo tempo.”

“Basta che tu sia mia stanotte” ribatto. “Non mi importa degli altri.”

“Ma sentiti… sei tremendo!”

“Senti da che pulpito viene la predica…”

Mi sorride, e la luce del suo sorriso riesce ad illuminare l’intera stanza. “A proposito di te, signor Groban… non indovinerai mai che cosa ho comprato oggi!”

“Sentiamo… che avresti comprato?”

Si divincola dal mio abbraccio e preme il tasto Play dello stereo, che noto soltanto in quell’istante. Le prime note di ‘Amazing Grace’ si spargono per la stanza, mentre lei ritorna tra le mie braccia. “E’ bellissimo, Josh” sussurra, appoggiando la testa nell’incavo del mio collo. “Le canzoni sono tutte meravigliose.”

“Questa è per te, Grace” le rispondo, con un filo di voce.

“Come?”

“Parlo di questa canzone. Sei tu la mia sorprendente Grace.”

Alza lo sguardo su di me, e riesco a vedere una lacrima nei suoi grandi occhi neri.

“Non sto scherzando, Grace. Sei arrivata nella mia vita in un momento in cui non sapevo più che pesci prendere. E hai cambiato tutto. Lo so che sembra una tipica dichiarazione d’amore da cioccolatino, ma è la verità” continuo, guardandola fisso negli occhi. “E’ successo. Sei la cosa più bella che mi sia mai capitata, e con te sto vivendo i momenti più belli della mia vita, e insieme i più difficili, e non so…”

Mi interrompo quando le sue labbra si ritrovano premute sulle mie, con urgenza, come disperate. Passata la sorpresa, chiudo gli occhi e la cingo con le mie braccia, incollando il suo corpo al mio. La sua vestaglia cade con un fruscio sul pavimento, seguita dalla mia giacca. Sorprendentemente, nei nostri gesti non c’è fretta, come se improvvisamente sapessimo di avere tutto il tempo che ci occorre. Il tempo è la sola cosa che non ci manca.

Quando si lascia andare sul letto, tra le lenzuola dell’hotel che, incredibilmente, hanno il suo profumo, la seguo senza esitazione. Scivolo su di lei come se fosse la cosa più naturale del mondo, accarezzandola come il tesoro più prezioso. Prendo possesso del suo corpo per l’ennesima volta, conscio di avere anche il suo cuore. I nostri movimenti sono fluidi, completamente sincronizzati, e tra sospiri e gemiti troviamo anche lo spazio di dirci che ci amiamo.

Forse è Parigi, forse è l’avventatezza del mio gesto, forse è la musica che ci fa da sottofondo, non lo so… l’unica cosa che so è che lei è la sola cosa che voglio nel mio futuro. Grace è la sola cosa che sono sicuro di volere.

La mia sorprendente Grace, penso, facendo correre il dorso dell’indice sui suoi lineamenti addormentati. Ti amo, Grace.

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Capitolo 38
*** 38. Wonderful Night [Fatboy Slim] ***


6.

Primo novembre.

Mi chiedo perché Brian abbia scelto proprio questa data per l’inizio di questo mini-tour di promozione del disco. Disco che ha già venduto centinaia di migliaia di coppie in tutto il mondo. Ancora non riesco a credere a tutto questo successo. È dannatamente diverso da tutto ciò che ho vissuto finora: forse dipende dal fatto che sono innamorato, forse dipende dai cambiamenti che sono avvenuti nella mia vita, forse dipende dal fatto che sto per compiere trent’anni… non lo so. Non so da che cosa dipenda, fatto sta che la mia vita è cambiata. La mia vita è cambiata, e fatico a credere che si tratti ancora della mia.

Prima tappa: Los Angeles.

Poi, a seguire, Seattle, Chicago, Filadelfia, Denver, Miami e New York.

Sette città per promuovere il mio disco.

Brian ha progettato tutto nei minimi dettagli: a New York avrò per me tutto il Rockefeller Center. Non riesco a crederci: ci ho cantato solo una volta, e si trattava di una sola, dannatissima canzone. Non era un concerto vero e proprio. A volte penso che il mio agente me la stia facendo pagare per quando gli ho dato buca per andare da Grace a Parigi. Ma dannazione, qualsiasi uomo avrebbe scelto la propria ragazza, invece di una cena di lavoro!

Brian mi ha chiesto di pensare ad un superospite per il concerto a New York. Che domande… come se potessi volere qualcuno di diverso da Michael Bublé.

Mancano pochi minuti alla mia entrata in scena su questo palco.

Fa freddo, dannatamente freddo, ma so che lo dimenticherò non appena sentirò gli applausi.

I fan sanno emanare un calore incredibile.

E poi, so che Grace mi vedrà in tv.

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Capitolo 39
*** 39. Domo Mia [Eros Ramazzotti & Tazenda] ***


6.

Questa mini tournée è durata più di un mese, e mi ha veramente distrutto. In compenso, ora Brian è convinto di essersi vendicato a sufficienza, ed è deciso a lasciarmi il resto delle feste libero. Niente canti natalizi in giro per l’America, quest’anno. Anche perché è il primo Natale che passiamo senza papà, e c’è bisogno di me a casa. Mi dispiace soltanto che Grace non potrà essere con me il giorno di Natale.

Mi ha fatto un’incredibile sorpresa, tornando da Parigi con un mese di anticipo, con in mano il diploma firmato e controfirmato dai titolari del corso. Ora è un’organizzatrice di eventi professionista, e aspetta soltanto un colloquio di lavoro. Sta andando tutto per il meglio, e credo che finalmente potrei trovare il coraggio di chiederle di sposarmi. Se solo non avessi paura di sentirmi rispondere di no…

Quest’anno tocca a me azionare l’autoscatto per la tradizionale foto di famiglia. Al momento di gettarmi ai piedi del divano, faccio un pasticcio, e nella fotografia si vede soltanto la mia faccia, con dipinta su un’espressione piuttosto buffa. Ma il resto della famiglia decide all’unanimità che va bene così. Anche perché, senza papà a darci le direttive, anche la fotografia di Natale ha perso valore.

Ripenso all’album trovato nel bungalow, sotto le assicelle. L’ho prestato ad Allie. Ha voluto guardarlo da sola. È uscita dalla propria camera da letto con gli occhi gonfi e rossi di chi ha pianto molto. Non sono riuscito a dire niente, e ho riportato l’album al bungalow. Bungalow terribilmente deserto, da quando anche i latrati di Roxy si sono spenti. L’abbiamo seppellita nel cimitero degli animali, con il suo osso di gomma completamente mordicchiato e il suo guinzaglio preferito. Stella è convinta che anche lo spirito di Roxy vaghi ancora sulla terra, come quello di papà. Non so se darle retta: insomma, non so molto sull’aldilà dei cani.

Mettiamo Stella a letto alle undici, convincendola che solo così Santa Claus si farà vivo. Allie e la mamma sono in cucina a rigovernare, mentre Alex e Gary completano una partita di monopoli in salotto. In un angolo, accanto a una finestra, Christine e io guardiamo fuori, sperando di vedere un fiocco di neve volteggiare sulla città.

“Sai, non sembra nemmeno Natale, senza la neve” sospira.

“Mi ricordi l’incipit di ‘Piccole Donne’, sai?”

“Hai letto ‘Piccole Donne’?”

“Per scuola” rispondo in fretta.

Sorride. “Non dirmi bugie, zio Josh. Lo sai che sono l’unica che le sa smascherare.”

“Beh, è un bel libro” ammetto. “Un classico della letteratura americana. E comunque anche tu non sai tenere segreti con me. Che è successo?”

“Che cosa dovrebbe essere successo?”

“Non lo so, ma qualcosa deve essere successo. È tanto tempo che non ti vedo sorridere così.”

Arrossisce appena, tornando a guardare fuori. Il modo in cui cerca di evitare i miei occhi mi ricorda tanto Lucy. Mi chiedo chi sia il fortunato che recita la parte di Josh, in questo strano remake.

“Si chiama Jake” mi confessa, a bassa voce. “Ma non dire niente a nessuno.”

“Hai la mia parola” prometto solennemente.

“Dei ragazzi avevano appeso del vischio, a scuola. Ma gli insegnanti lo hanno fatto togliere. Lui ne ha conservato un rametto, e durante la ricreazione si è avvicinato, mi ha chiesto se poteva parlarmi, e…”

“…ha fatto dondolare il vischio sulle vostre teste e ti ha…”

Annuisce, impedendomi di terminare la frase. Vedo ancora i suoi occhi brillare. Mia nipote ha ricevuto il suo primo bacio, e io sono felicissimo per lei. Forse, dopotutto, i miei nipoti avranno un’adolescenza migliore della mia. E non posso che gioirne.

 

***

 

Natale con i tuoi, Capodanno… con chi ami.

Potremmo sintetizzare così le nostre feste, io e Grace. Lei ha trascorso il Natale a Denver con sua madre, il suo patrigno e i tre fratellastri con tanto di famiglia, ma il Capodanno è una questione privata. Il Capodanno riguarda me e lei, e lo trascorreremo… a casa. Tre giorni soltanto per noi. Tre giorni che trascorriamo trascinandoci stancamente dal letto alla cucina. Può sembrare banale e scontato, ma è la vacanza più bella che mi sia mai concesso.

A casa mia, con la donna che amo, aspettando il momento giusto per chiederle di diventare mia.

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Capitolo 40
*** 40. All Star [Smash Mouth] ***


6.

I’ll be your dream, I’ll be your wish, I’ll be your fantasy…

Le prime note di ‘Truly Madly Deeply’ – che ho appena eletto suoneria della settimana – mi distraggono dalla lettura del nuovo numero di Rolling Stone: uffa, proprio adesso che avevo trovato un articolo a proposito del mio album. Mentre mi chiedo chi possa essere il seccatore, riconosco il numero che mi sta chiamando. E sorrido. “Ciao, Brian.”

“Ti è arrivata la rivista?”

“Sapevo che eri stato tu. Non mi sembrava di essermi abbonato a…”

“Pagina 41, svelto” mi interrompe.

Lancio un’occhiata fugace alla rivista. “Ci ero appena arrivato, ma…”

“Hai letto?”

Stavo per farlo” ribadisco, “ma poi mi hai chiamato. Brian, vorresti spiegarmi…”

Sospira. Piuttosto rumorosamente. Scommetto che si sta anche strofinando gli occhi. “E allora leggi. Veloce. Ti aspetto in linea.”

Obbedisco, trovando un po’ inquietante il fatto che mi controlli anche mentre sto leggendo.

“Wow” è il mio commento, pochi minuti più tardi. “Brian, qui dicono che è il mio album migliore. Migliore anche di ‘Awake’. Dicono che è un album maturo, pieno di ottimi riferimenti artistici e privo di sbavature.”

“Esatto” conferma.

“E che vuol dire?”

“Vuol dire che è piaciuto, Josh. È piaciuto al pubblico ed è piaciuto alla critica, e sai che non succede spesso. Sono tutti soddisfatti.”

Non posso fare a meno di sorridere. “Sono contento.”

“Sono contento anch’io, Josh. E c’è di più. Mi hanno chiamato dalla redazione della rivista. Vogliono un’intervista con te.”

“Stai scherzando, vero?”

“Niente affatto.”

“Perché vogliono un’intervista con me?”

“Perché vai forte. Perché sei in gamba, hai appena pubblicato il disco migliore della tua carriera. Perché sono dieci anni che ti ignorano, e finalmente hanno capito di aver sbagliato.”

“Dici che dovrei accettare?”

“Non spetta a me decidere, Josh.”

“Brian, sei il mio agente. Di solito sbavi per pianificarmi la vita.”

“Beh, forse ogni tanto dovrei lasciarti un po’ più di libertà.”

Mi piace questo nuovo Brian. Insomma, non è che l’altro non mi piacesse, ma… sembra diventato più umano.

“Ok, ci sto. Ma ad una condizione: non voglio che sia fatta qui a casa. E nemmeno in studio. Voglio che sia fatta in un luogo… neutro.”

“Va bene, vedrò di accontentarti. Ti va bene domani pomeriggio?”

“Perfetto” rispondo, sicuro di me stesso.

Wow. La mia prima intervista con la più importante rivista di musica del mondo.

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Capitolo 41
*** 41. Strange Things [Randy Newman] ***


6.

Brian è stato davvero geniale nell’organizzare questo incontro: è riuscito a convincere quelli della rivista a optare per un caffè su Sunset Boulevard. Così ora me ne sto in un separé ad aspettare il giornalista, sorseggiando il mio caffè, cercando di apparire serio e professionale, ma nello stesso tempo gentile e accomodante.

Ma non riesco ad apparire né serio né professionale, quando davanti a me si presenta Lucy. Lucy, la mia prima ragazza. La prima ragazza che abbia baciato. La prima ragazza con cui abbia fatto l’amore. È più bella di quanto la ricordassi: i suoi occhi sono più verdi che mai, e porta ancora lo stesso taglio di capelli di tredici anni fa.

“L-lucy Hatcher? Sei tu?”

Sorride. “Sono così cambiata?”

“Lucy, tu… oh, lascia che ti abbracci!”

Risponde al mio abbraccio con la stessa intensità con la quale la stringo io, poi ci sediamo l’uno di fronte all’altra.

“Da quanto fai la giornalista?”

“Praticamente dai tempi dell’università, ma mi hanno assunta a Rolling Stone soltanto un anno fa. E tu rappresenti la mia prima intervista.”

“Wow. Beh, questa è la prima volta che Rolling Stone mi intervista, quindi è un primato per entrambi.”

“Già. Ehi, da quanto non ci vediamo? Tredici anni?”

“Confermo. Ti sei trasferita alla fine del liceo, quindi… sì, sono tredici anni.”

“Ne hai fatta di strada… ranocchia.”

“Ehi, ti proibisco di usare quel soprannome con me!” la ammonisco.

“Scusi, Vostra Altezza. Non pensavo che ricordare i tempi del liceo fosse proibito” scherza. “Allora, che hai combinato in questi anni, oltre a diventare una star?”

“Beh, i miei genitori hanno divorziato altre due volte. E altrettante volte si sono risposati. Mia sorella è felicemente sposata, ha tre figli fantastici e gestisce un negozio di dischi con suo marito.”

“Wow. Avete fatto della musica una ragione di vita, eh?”

“Già. Ehi, vogliamo iniziare questa intervista?”propongo.

 

***

 

“Perché hai scelto ‘Amazing Grace’ come titolo? E, più in generale, perché hai scelto di dare al tuo nuovo disco il titolo di una grande canzone del passato?”

“In tutta sincerità, non lo so. Mi piaceva l’idea di dare spazio ad un grande brano del passato, qualcosa che nessuno canta mai… e poi mi sono detto che intitolare l’album a quella canzone sarebbe stato il modo migliore per pubblicizzare il pezzo.”

Sorride. “Non hai risposto alla prima domanda.”

“Ci sarei arrivato subito, se miss Ho-Fretta-Di-Scrivere-Un-Meraviglioso-Articolo non corresse tanto” la prendo in giro. “Comunque, ho scelto ‘Amazing Grace’ perché… beh, è una dedica speciale.”

“Questo lo so. Ho letto i ringraziamenti e le dediche. E sono un essere pensante. E leggo ancora le riviste di gossip e cinema.”

“Se sai a chi è dedicata, perché me lo stai chiedendo?”

“Perché mi pagano per farlo.”

Sbuffo, divertito. “Si chiama Grace, e…”

“…e ha cambiato la tua vita.”

Annuisco.

“Come vi siete conosciuti?”

“Ehi, è un’intervista sul mio nuovo album, non sulla mia vita personale.”

“Non finirà nell’intervista.”

“Su un aereo. È stato un incontro casuale.”

“Non ci credo. Vi siete conosciuti in aereo?”

“Mi sono seduto al suo posto, per sbaglio. E poi ci siamo accorti di avere posti vicini.”

“Non riesco a credere che tu sia riuscito ad attaccare bottone con una sconosciuta. Insomma, il Josh che conoscevo non ci sarebbe mai riuscito…”

“Beh, forse sono un pochino cambiato.”

“Tredici anni…” sospira. “Ne abbiamo passate così tante, tu ed io…”

“Già” sussurro. Dopo tantissimo tempo, mi ritrovo a pensare ad ogni istante che ho condiviso con lei. Lucy Hatcher e Josh Groban: quando ci mettemmo insieme, al liceo, nessuno ci prese sul serio. Eravamo troppo strani persino per stare insieme. Infatti, all’inizio fu una specie di gioco, per dimostrare a tutti quanti che eravamo esattamente come gli altri, che… ah, non so che cosa volessimo dimostrare. Comunque, con il passare del tempo, il gioco si fece serio, e scoprimmo di essere davvero attratti l’uno dall’altra. Stavamo bene, insieme. Lucy Hatcher e Josh Groban… a tratti mi viene quasi da sorridere. Quasi, perché poi mi rendo conto che quella con Lucy è stata la storia più importante che abbia mai avuto. Escludendo la mia attuale storia con Grace.

“Josh…” riprende Lucy, a bassa voce, giocherellando con il cucchiaino. “Ho saputo di tuo padre.”

Annuisco. “E’ lui il motivo per cui ho finito l’album con due mesi di anticipo. I medici non sapevano quanto tempo gli rimanesse, ma io volevo che sentisse le nuove canzoni il più presto possibile.”

“Scommetto che era fiero di te.”

Annuisco. “Le canzoni gli sono piaciute tutte, nessuna esclusa. Sono io ad essere fiero di lui.”

Rilassa la schiena. “Le canzoni sono tutte meravigliose, Josh. Dunque, abbiamo detto che ‘Amazing Grace’ è dedicata alla tua attuale fidanzata. Lo è anche ‘My Soul’s Mirror’?”

“No. ‘My Soul’s Mirror’ l’ho scritta apposta per lei” rettifico.

“Wow. Potrei essere gelosa. A me non hai mai scritto una canzone.”

“Ci siamo lasciati prima che potesse accadere. Comunque sono amico di Michael Bublé, adesso. E lui è tornato single da poco.”

“Non ci stava provando con Katherine Heigl?”

“Finzione scenica” confesso. “Se vuoi ti organizzo un appuntamento.”

Scoppia a ridere. “No, grazie. Sono perfettamente in grado di rimediarmi un uomo da sola. Anzi…”

“Anzi?”

Abbassa la testa, e noto che le sue guance si colorano appena. “Ok, forse non è il momento esatto per dirlo. Insomma, ci siamo appena ritrovati dopo tredici anni di niente, ma… Josh, mi sposo!”

“Lucy, è fantastico! Quando… da quanto… chi è lui?”

“Oh, non lo conosci. L’ho conosciuto poco dopo essermi trasferita in Europa. Ci siamo incontrati a scuola. Eravamo tutti e due nella stessa classe.”

“Non dirmi che è uno di quei francesini tutti…”

Scuote la testa e ride. “No, è tedesco. Si chiama Joachim, e fa il violinista.”

“Ehi, sei fissata con i musicisti, allora!”

“Parrebbe di sì. Usciamo insieme soltanto da un paio d’anni, dopo essere stati amici per un sacco di tempo.”

Improvvisamente, provo qualcosa che un occhio male allenato potrebbe scambiare per gelosia. In realtà è solo una presa di coscienza: mi sono improvvisamente reso conto che siamo stati presenti l’uno nella vita dell’altra per qualcosa che corrisponde a meno della metà dell’intera durata della nostra esistenza, e… e ho appena scoperto che esiste un uomo che ha fatto parte della vita di Lucy per più tempo di me.

“Lucy Hatcher si sposa con un violinista tedesco. Wow. Questo sì che farebbe crepare d’invidia le cheerleader della nostra scuola!”

“Dai, non fare il cretino. Che mi dici di… Grace Thomas?” mi chiede, sorseggiando il suo caffè dopo aver sbirciato i propri appunti.

Non riesco a trattenere un sorriso. “Beh, la conosco da quasi un anno. Stiamo insieme da dieci mesi.”

“E?”

“E… sto seriamente pensando di chiederle di sposarmi.”

“Wow. Glielo chiederai prima o dopo la notte degli Oscar?”

“Che c’entra ora la notte degli Oscar?”

“Beh, tu… un momento, il tuo manager non ti ha ancora detto nulla?”

Credo di avere un’aria sconvolta. “Che cosa avrebbe dovuto dirmi Brian?”

“Beh, che sei… che sei tra i cinque candidati per la Miglior Canzone, con ‘Your Love’” mi informa Lucy, con la stessa calma di un bradipo. “Non dirmi che non lo sapevi, perché non ci credo.”

“No, in effetti non lo sapevo” ammetto, ancora sotto shock. “Candidato all’Oscar?”

“Beh, tecnicamente è la canzone ad essere candidata” mi corregge Lucy. “Però lo è la tua versione, quindi… sì, sei tu ad essere candidato.”

Finisco il mio caffè, senza parlare. Poi la guardo e sorrido. “Ma io mi accontentavo di un Grammy.”

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Capitolo 42
*** 42. Una Canzone D'Amore [Max Pezzali] ***


6.

Brian continua a lavorare imperterrito, quasi senza calcolarmi. Finalmente, dopo aver capito che non può continuare ad ignorarmi, lascia cadere la penna, si rilassa sulla sedia e si stropiccia gli occhi con una mano. “Josh, credimi, stavo per dirtelo, ma poi ho pensato che l’intervista con Rolling Stone dovesse essere la tua priorità.”

“Ma non ti è venuto in mente che mi avrebbero potuto chiedere qualcosa in proposito? Come poi in effetti è successo?”

“Hai ragione, Josh. Ammetto che è stata una cazzata non informarti subito.”

“Da quanto lo sapevi?”

“Una settimana. Ehi, però di solito la gente si incazza quando non viene nominata, non quando lo è.” Fa una pausa, durante la quale mi studia attentamente. “In ogni caso, se non sei troppo arrabbiato con me, c’è un’altra cosa che voglio dirti.”

“Da quanto la sai?”

“Da stamattina” risponde, un po’ piccato. “Comunque, l’Academy ha richiesto la tua presenza anche come ospite.”

“Come ospite? Nel senso che canterò?”

“Esatto. Quindi si tratta soltanto di scegliere una canzone da eseguire. Anche se mi hanno fatto capire che vorrebbero sentire ‘Caruso’. Dicono che la tua versione sia la migliore, subito dopo quella di Pavarotti.”

Mi sento arrossire. “Beh, se è quello che vogliono, va bene. Tanto non saprei cosa scegliere.”

“Ok, allora confermo. E poi ci sarebbe un’altra cosa.”

“Parla.”

“Vorrebbero che presentassi un premio.”

“Io? Presentare un premio? Quale?”

“Sono indecisi. ‘Miglior Montaggio’ o ‘Miglior Sceneggiatura Originale’. In ogni caso, presenteresti insieme a Zach Braff.”

“Zach Braff? Non scherzare… quel ragazzo è fortissimo!”

Brian sorride. “Ne deduco che posso confermare la tua disponibilità.”

“Certo! C’è qualche altra notizia di cui devo essere informato?”

“No, per oggi siamo a posto così.”

Prendo le mie cose e lo saluto. Sto per andarmene, ma proprio sulla porta mi fermo e mi volto verso di lui. “Ehi, Brian. Mi dispiace per come ti ho trattato prima. E scusa se sono entrato come una furia, ma…”

“No, Josh. Hai perfettamente ragione. Il mio lavoro è quello di curare i tuoi interessi, ma il modo migliore per farlo è tenerti informato di tutto.”

 

***

 

Casa di Josh Groban.

Camera da letto.

Interno, notte.

Uno sceneggiatore descriverebbe così questo momento. Io e Grace, abbracciati sotto le coperte, così stretti che basterebbe un letto singolo. Faccio scorrere due dita tra i suoi capelli, che adoro. Si muove appena, spostando impercettibilmente la sua mano, appoggiata al mio petto.

“Sei felice?”

“Chi non lo sarebbe? Insomma, una nomination all’Oscar non capita tutti i giorni.”

Sorride. Anche se non la sto guardando, so che sta sorridendo. Sembra incredibile, ma io riesco a sentire i suoi sorrisi. Come se fossero musica, come se fossero composti da note, come se si potessero suonare. “Ma anche tu hai fatto il colpaccio, non c’è che dire.”

“Sì, ho davvero avuto un colpo di fortuna. Non credevo che i miei insegnanti di Parigi avrebbero messo una buona parola per me. Cavolo, responsabile degli effetti visivi per la cerimonia di consegna dell’Academy Award.”

“Potrebbero chiamarti per un film” osservo. “Potresti vincerlo tu un Oscar, un giorno. E magari sarei io a consegnartelo.”

Ride. “Non corriamo troppo, mister Candidato-All-Oscar-Perché-Ho-Cantato-Una-Canzone-Meravigliosa-In-Un-Film-A-Dir-Poco-Stupendo.”

Rido anch’io. “E’ una possibilità, cara la mia Grace.”

La sento stringersi di più a me. “Ti amo, Josh.”

“Lo so.”

Mi guarda di traverso. “Che…”

“Volevo dire che anch’io ti amo” mi affretto ad aggiungere, prima che possa iniziare ad insultarmi. “Senti, Grace” riprendo, serio, dopo un minuto di silenzio, “stavo pensando…”

“Perché, pensi?”

“Dai, non prendermi in giro. È una cosa seria.”

“Ti ascolto.”

“Ricordi quello che ti ho detto prima che tu partissi per Parigi?”

“Intendi dire quando mi hai praticamente chiesto di vivere insieme?”

“Esattamente. Ecco, io ho pensato molto in proposito, e…”

“…e hai deciso di ritirare l’offerta?”

“Hai intenzione di lasciarmi finire almeno una frase?”

“Scusa.”

“Beh, ecco, io stavo pensando… che si potrebbe rendere la cosa ufficiale.”

“Ufficiale? In che senso?” domanda, tirandosi su e guardandomi come se avessi appena detto che Obama è cinese.

“Beh, nel senso che… mi piacerebbe presentarti come mia moglie.”

Continua a guardarmi come se stessi parlando una lingua sconosciuta.

“Ok, lo so che avrei dovuto mettermi in ginocchio e porgerti un anello, ma… accidenti, mi sarebbe sembrata una cosa troppo finta. Però ce l’ho, un anello da darti.”

“Josh…”

“E se vuoi dirmi di no, va bene, non mi arrabbierò. Ok, ci resterò…”

“Josh, taci e ascoltami.”

“Ok.”

“Josh, da quanto tempo stavi pensando di chiedermelo?”

“Non saprei. Un paio di settimane.”

“E perché me lo stai chiedendo adesso?”

“Non lo so. Sento che è giusto così.”

“Josh…” sospira.

“Non importa, Grace. So che non hai mai creduto molto nel matrimonio, quindi capisco.”

“Non è questo, Josh. È che… non lo so, stanno succedendo tante cose. E stanno succedendo tutte adesso. Non so se posso affrontare tutto insieme. Forse potremmo riparlarne tra… tra qualche mese, oppure…”

“Tranquilla, Grace.” Interrompo il flusso di parole prendendole la mano. “Succederà quando sarà il momento.”

Sorride, e riappoggia la testa sul mio petto. A lei ho detto di stare tranquilla, ma io non riesco a darle il buon esempio.

Ho la sensazione di aver sbagliato tutto.

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Capitolo 43
*** 43. I Bambini Ci Guardano [Pooh] ***


6.

Sono passati due giorni da quando Grace mi ha respinto. Ok, lo so che tecnicamente non è stato un vero e proprio rifiuto, ma ai miei occhi lo è. Insomma, lei ha solo detto che dovremmo stare attenti a non correre troppo, e nonostante anch’io la pensi così, non riesco a convincermi che rallentare il passo sia la cosa più giusta da fare per noi.

Brian ha deciso di concedermi un’ultima settimana libera, prima di ritornare attivamente al lavoro. E, non lo nascondo, ci sarà parecchio da fare: un tour da organizzare, provare il brano per la notte degli Oscar, apparizioni in tv, interviste… a volte vorrei davvero essere rimasto un pinco pallino qualunque.

Tuttavia, la mia settimana di vacanza non è affatto priva di musica: è in momenti come questo che cerco di ampliare le mie conoscenze in materia, per tentare di essere un artista migliore. Sono alle prese con ‘Secret Samadhi’, un vecchio album dei Live, quando ‘Juliet’ dei LMNT – nuova suoneria della settimana – mi informa di una chiamata in arrivo.

“Ciao, fratellino. Disturbo?”

“Allie, ciao. No, non mi disturbi affatto. Va tutto bene?”

“Sì, tutto ok. Beh, in realtà no. avrei bisogno di un favore.”

“Dimmi tutto.”

“Devo andare a una riunione alla scuola di Christine, Alex ha una partita e Gary deve andare al negozio. Non è che potresti andare a prendere Stella a scuola e stare con lei per un paio d’ore?”

“Certo, nessun problema. A che ora esce da scuola?”

“Alle tre.”

“Ok, non ti preoccupare. Penso io a lei.”

“Grazie, fratellino. Sei un vero tesoro. Ti devo un favore.”

Sorrido e riaggancio. La prospettiva di un pomeriggio con la mia nipotina di otto anni mi va a genio.

 

***

 

“Zio Josh!” esclama Stella, riconoscendomi e arrampicandosi letteralmente sulle mie braccia.

“Ehi, si può sapere come hai fatto a riconoscermi?” le domando, indicando il berretto, la sciarpa e gli occhiali dietro i quali mi sono trincerato.

“Oh, zio Josh, non crederai davvero di poter fregare qualcuno?” afferma, scuotendo la testa come ad indicare che sono uno scemo.

Mi rendo conto soltanto in questo istante di quanto siano ricci i suoi capelli e di quanto siano scuri i suoi occhi. La somiglianza tra noi è davvero impressionante. “Ho capito, sarei un pessimo investigatore privato” ammetto, mettendola giù e camminando con lei fino all’auto.

“Sì, temo proprio che sia così” conferma, issandosi sul sedile posteriore e allacciando la cintura di sicurezza. “Allora, dove mi porti di bello?”

“Beh, per oggi avevo in programma di lavorare, ma visto che ci sei tu, ho deciso di fare un po’ di pulizia nella casetta sulla spiaggia. Ci stai?”

 

***

 

Il bungalow di mio padre è diventato una sorta di pensatoio, per me, il che significa che ci vado abbastanza spesso. Però voglio comunque mettere via le cose di mio padre… almeno finché non avrò le idee più chiare sul mio futuro. O meglio, finché non avrò uno straccio di idea sul mio futuro. Dopo un’ora e mezza di intenso lavoro, suggerisco a Stella di fare una pausa e uscire a sgranchirci le gambe.

La brezza di metà gennaio non ci ferma, anzi: in riva al mare sembra fare addirittura più caldo. Sollevo Stella e me la sistemo sulle spalle, e inizio ad arrancare lungo la spiaggia: siamo fermamente decisi a raggiungere il chiosco per una cioccolata calda, e nulla potrà distoglierci dai nostri propositi.

“Sai, zio, qui non è male.”

“Ti piace?”

Annuisce. “Capisco perché il nonno passava tanto tempo qui.”

“Beh, ognuno di noi ha bisogno di un posto tranquillo dove poter pensare. Questo era il posto tranquillo del nonno.”

“E adesso è il tuo posto tranquillo.” Non è una domanda, è una semplice constatazione.

“Sì, adesso è il mio posto tranquillo.”

“Zio Josh” mi interroga, dopo qualche attimo di silenzio, “a che cosa pensi, quando vieni qui?”

Aspetto almeno trenta secondi, prima di risponderle. “A tante cose.”

“Non è una risposta.”

“A volte ci vengo quando ho bisogno di concentrarmi su una canzone, o quando il mio manager mi fa arrabbiare.”

“Mi piace il tuo manager. Sembra simpatico.”

Sì, certo. Ti lascio dieci minuti da sola con lui, poi vedremo se ti piacerà ancora tanto.

“Zio Josh?”

“Sì?”

“Mamma dice che il nonno e la nonna si volevano bene.”

“Tua madre ha ragione.”

“Ma se si volevano tanto bene, perché stavano lontani?”

In questi momenti detesto mia nipote. Sa essere molto più tagliente di Christine, quando vuole. “Beh, ecco… a volte due persone, anche se si vogliono bene, non possono sempre stare vicine, perché… beh, è complicato.”

“E’ complicato. Ma perché voi grandi dite sempre così?”

“Perché è vero” rispondo, sorridendo.

Segue un altro lunghissimo minuto di silenzio, poi… “Zio?”

“Sì?”

“Tu vuoi bene a Grace?”

“Che razza di curiosa…”

“Ehi, chiedevo soltanto! Allora, le vuoi bene?”

“Sì, Stella. Voglio molto bene a Grace.”

“E allora perché non vi sposate?”

“Beh, per certe cose ci vuole tempo.”

“Ci vuole tempo…” ripete, soppesando le parole. “Ma perché voi grandi dite sempre così?”

Mentre raggiungiamo il chiosco, un pensiero mi attraversa la mente. Che razza di esempio stiamo dando a questa bambina? Mentre Stella attacca la sua cioccolata calda con la voracità di un orso bruno, io appunto un paio di frasi su un tovagliolino.

Look back with anger, look back those days when you were a child, look back those days when you were happylegge Stella, dimostrandosi molto brava nella lettura al contrario. “Che significa?”

“Significa che io e te dovremmo passare più tempo insieme.”

 

***

 

Uscendo dal chiosco, ci stringiamo nel cappotto. L’aria si è fatta più fresca di quando siamo entrati.

“Ehi, zio, avevi mai visto che qui vicino c’è un canile?”

“No, non ci avevo mai fatto caso.”

“Possiamo farci una visitina? Per favore…” mi implora, guardandomi con i suoi enormi occhioni scuri.

“E va bene…” cedo, dopo qualche minuto. “Ma sai benissimo che tua madre non vuole animali in casa. Ha già tre bestioline, è più che sufficiente.”

Stella si aggira tra i piccoli recinti con aria estasiata. L’impiegata del canile, una ragazza piuttosto carina, sui venticinque anni, non la smette di togliermi gli occhi di dosso. La trovo piuttosto inquietante, in effetti. Finalmente, dopo qualche minuto, mi rivolge la parola.

“Ama molto gli animali.”

“Come, scusi?”

Sorride. “Sua figlia. Ama molto gli animali.”

“Oh, non è mia figlia” mi affretto a precisare. “E’ mia nipote.”

“Ah… beh, le assomiglia molto, e allora ho pensato… ho pensato che una bambina così bella potesse essere figlia di un uomo bello come lei.”

Sono indeciso se arrossire o darmela a gambe. Impossibilitato a fare entrambe le cose, abbozzo un sorrisetto e mi avvicino a Stella. “Stella, tesoro, dobbiamo tornare a casa. Tra poco tua madre verrà a prenderti.”

“Oh, zio, guarda quel cucciolo!” esclama, fingendo di ignorarmi. “Non è bellissimo? Sembra così piccolo e indifeso… non possiamo lasciarlo qui.”

Osservo il cucciolo che mi sta indicando. Sembra un incrocio tra un Terranova e un Labrador, e… Stella ha ragione. È assolutamente meraviglioso.

“Stella, hai ragione, è bellissimo, ma ti ricordi? Tu non puoi tenerlo.”

“Oh, io no. Ma tu sì. A Grace piacerebbe?”

L’impiegata, che nel frattempo si è accostata a noi, sorride. “Chi è Grace, tesoro? La tua sorellina?”

“No, è la sua fidanzata” ribatte prontamente Stella, indicando me.

“Oh” è la risposta, un po’ delusa, della ragazza.

“Stella, io non credo…”

“E dai, zio. E se anche a Grace non piacesse, potresti tenerlo a casa del nonno.”

Non fa una piega. E io non riesco più a staccare gli occhi da questo cagnolino. Stella mi ha contagiato.

“Possiamo averlo?” chiedo alla ragazza, indicando il cane.

“Certo. Per l’adozione è sufficiente un documento d’identità, e versare due dollari.”

Quando esco dal canile, in una mano stringo quella di Stella, e nell’altra tengo al guinzaglio Maverick. Chi avrebbe potuto pensare che mia nipote fosse una fan di Tom Cruise e “Top Gun”?

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Capitolo 44
*** 44. Vorrei [Lunapop] ***


6.

Lunedì, le otto del mattino.

Sono lieto di constatare che, nonostante l’addolcimento – dovuto ad un motivo a me ancora sconosciuto –, in fondo Brian resta sempre lo stesso. “E quello che sarebbe?”

“Oh, beh, un incrocio tra un Terranova e un meticcio. Il Terranova era il padre. La madre, invece, era un incrocio tra un Labrador e…”

“Non mi interessa la sua genealogia. Voglio sapere perché c’è un cane qui.”

“Non potevo lasciarlo solo. L’ho preso da pochi giorni.”

Brian sospira e si stropiccia gli occhi. Come sempre, quando non sa se prendermi a schiaffi oppure ignorarmi. Per fortuna, interviene Hub. “Sai, Brian, è davvero beneducato, per essere un cucciolo.”

“Ho capito, ho capito. Va bene, il botolo resta.”

D’istinto, sorrido, poi cerco di limitarmi. Brian potrebbe non approvare.

“Mi auguro che se ne stia buono, mentre lavoriamo.”

“Beh, la musica gli piace. Ho passato tutto il weekend a lavorare e la cosa non gli ha dato nessun fastidio. A proposito, avrei un’idea per un pezzo nuovo. È solo una bozza, ma…”

“Ok, ok, sentiamola. No, cazzo, non posso. Devo fare una telefonata urgente.”

“Chi devi chiamare?” gli chiede Humberto.

“Uno dello staff dell’Academy, per il pezzo di Josh. Hugh… Maverick, o qualcosa del genere.”

Nel sentire quel nome, il cucciolo scatta in piedi e abbaia un paio di volte.

“Cazzo, Josh, non avevi detto che se ne stava buono e zitto?”

“Beh, pensava che lo stessi chiamando. Hai detto il suo nome.”

“Si chiama Hugh?”

“No, Maverick.”

“Hai chiamato il tuo cane Maverick?”

Faccio spallucce. “Tecnicamente è stata mia nipote di otto anni.”

Humberto sorride. “Come il personaggio di Tom Cruise in ‘Top Gun’?”

“Esatto.”

Brian se ne va borbottando. Le uniche cose che riesco a capire sono “…tutti pazzi…” e “…matto anch’io…”.

 

***

 

Due ore più tardi, mentre stiamo provando dei nuovi arrangiamenti per ‘Caruso’, vediamo tornare Brian. Aspetta pazientemente che finisca, poi si avvicina.

“Allora, Wagner, che dicevi di quella nuova idea?”

“Beh, è solo una cosa che ho abbozzato. Ci ho lavorato un po’ su questo weekend, ma...”

“Beh, fammi sentire, no? O aspetti che assorba lo spartito per osmosi?”

“O-ok, certo.”

Mi metto al pianoforte e mi scaldo con un paio di accordi. Maverick balza sullo sgabello e si mette seduto accanto a me. Sento Brian sillabare: “Impossibile… è impossibile…”

Sorrido e accarezzo Maverick, poi torno allo spartito.

“Com’è il titolo?” mi chiede Brian.

Hub risponde per me. “Look Back With Anger.”

“Come il dramma di Osborne?”

Con la coda dell’occhio, vedo Hub annuire, poi inizio a suonare.

Come sempre, le mie dita iniziano a scorrere senza impedimenti sulla tastiera bianca e nera, come se fossi nato su questo sgabello, come se non avessi fatto altro per tutta la mia vita. E quando inizio a cantare, anche se ciò che eseguo è soltanto una bozza, una sensazione familiare mi avvolge, prendendomi allo stomaco e risalendo fino al cuore.

Look back with anger, look back those days when we were children, look back those days when we were happy… look back and see how much your life’s changed, look back and forgive yourself, ‘cause all you were has been canceled and can’t come back…

Concludo con qualche accordo deciso all’ultimo, poi mi preparo ad accettare le critiche di Brian.

“Da quand’è che sei diventato così profondo, tu?”

Sorrido e alzo le spalle. “Ho solo passato un pomeriggio con mia nipote.”

“Beh, ti consiglio di replicare, ogni tanto. Ti fa bene.”

“Tra l’altro, è una tua fan.”

“Ottimo. Ottimo davvero.”

Ottimo. Già. Mi volto verso Maverick e per un attimo mi perdo nei suoi occhioni tristi. Gli gratto la testa, e mi ritrovo a pensare che è davvero tutto ottimo… ma che ancora non è come vorrei.

 

 

 

*Look Back With Anger = non esiste una canzone con un titolo simile, nel repertorio di Josh. Il titolo e le citazioni sono frutto della mia fantasia (leggi: follia). Il titolo è ispirato all’opera teatrale omonima del drammaturgo John Osborne, più conosciuta nel nostro Paese con il titolo ‘Ricorda Con Rabbia’.

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Capitolo 45
*** 45. Se La Gente Usasse Il Cuore [Andrea Bocelli] ***


6.

Non vedo Grace da quasi una settimana. Il suo nuovo lavoro la assorbe completamente, e persino raggiungerla al cellulare è un’impresa. Perciò, un po’ mi stupisce che sia lei a cercarmi, in questo freddo martedì di fine gennaio.

“Tesoro, come stai?”

“Ciao, Josh. Tutto bene. Beh, più o meno… insomma, il lavoro è piuttosto pesante, e… senti, ho bisogno di parlarti.”

“Ok. Possiamo vederci stasera, se…”

“Non possiamo vederci subito? Per favore?”

“Ok. Dimmi dove sei, ti raggiungo.”

“Ehm, forse sarebbe meglio che venissi io da te.”

“Come preferisci. Sono sulla spiaggia.”

La voce di Grace suonava maledettamente strana, come se… come se stesse cercando di non scoppiare in lacrime. Come se stesse cercando di reprimere i suoi sentimenti.

Mentre l’aspetto, porto fuori Maverick, e lo lascio libero di correre sulla sabbia, giocando con le onde.

 

***

 

Grace si avvicina a passo lento, il bavero del cappotto alzato per proteggersi dal vento. La saluto con un bacio sulla guancia. “Ehi, vuoi che entriamo? Fa freddo, qui fuori.”

“No, restiamo qui. Possiamo… possiamo camminare?”

“Ok, va bene. Camminiamo.”

Indugiamo nel silenzio per qualche minuto, poi cerco di capire perché ha voluto che ci vedessimo.

“Grace… se non sbaglio volevi parlare.”

Annuisce impercettibilmente. “Sì, è vero.”

“Beh, ti ascolto.”

“Josh, io ho pensato parecchio a… alla tua proposta.”

Non riesco a trovare una risposta.

“Ne sono lusingata, Josh.”

La mia ragazza è lusingata dal fatto che le abbia chiesto di sposarmi. Ok, questo mi suggerisce che qualcosa davvero non va.

“Ma non credo sia il momento ideale per parlarne. Insomma, io ho appena avuto questo lavoro, e sono molto presa, e tu non sei messo certo meglio, e…”

“Grace, credevo di essere stato chiaro, l’altra sera. Sono disposto ad aspettare. Aspetterò finché non arriverà il momento giusto.”

Scuote la testa. “Non dire così, per favore. Rendi tutto più difficile.”

Non riesco a seguirla. “Grace, che cosa…”

“Josh, credo che non dovremmo vederci per un po’.”

“Che cosa? Andiamo, Grace, non puoi dire sul serio…”

“Non sono mai stata più seria. In questo momento non… non me la sento di gestire una relazione.”

“Grace, stiamo insieme da quasi un anno. Non è una relazione appena iniziata, o…”

“Lo so! Credi che sia facile per me dirti questo?”

Ancora una volta, non riesco a risponderle.

“Josh, io ti amo. Non devi pensare che sia cambiato qualcosa tra di noi, perché niente è cambiato. È solo che… ho bisogno di tempo.”

Tempo. Le serve solo un po’ di tempo. Il vecchio Josh gliene avrebbe concesso, anche troppo, e forse a un certo punto si sarebbe dimenticato di lei. Ma questo Josh, che ha visto morire suo padre e che osserva sua madre cercare di sopravvivere un giorno alla volta, vorrebbe mandare al diavolo quella sua assurda richiesta. Tempo. Di tempo non ce n’è mai abbastanza.

Accenna ad annuire, senza parlare, le mani sprofondate nelle tasche del cappotto. “Chiamami, quando sarai pronta.”

E poi si volta, prosegue solo lungo la spiaggia.

Maverick lancia uno sguardo carico di malinconia alla sconosciuta in lacrime, lascia stare le onde e corre dietro al suo padrone.

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Capitolo 46
*** 46. Estranei A Partire Da Ieri [Alessandra Amoroso] ***


6.

È passato un mese, da quando io e Grace ci siamo detti arrivederci, su quella spiaggia spazzata dal vento e lambita dalle onde. È passato un mese, da quando mi sono allontanato con Maverick, lasciandola sola. È passato un mese, e lei non mi ha richiamato. Ok, è impegnata nella realizzazione di un evento televisivo che verrà trasmesso in mondovisione, ma avrebbe trovato cinque minuti per chiamarmi, se avesse voluto. Se solo avesse pensato a noi. Forse mi ha dimenticato. Forse la nostra storia non è stata così importante. Scaccio subito quest’ultimo pensiero.

 

***

 

È finalmente giunta la grande serata.

Sono nervoso.

Mi sono rosicchiato le unghie fino a farmi sanguinare le dita. Non mi accadeva da dieci anni.

Faccio scorrere un dito all’interno del colletto della camicia.

“Nervoso?” mi domanda Brian.

Faccio spallucce.

“Allora, ripassiamo. Prima di tutto, sfili sul tappeto rosso con Kathryn Bigelow e il cast di “The Need Of You”, fotografie, sorrisi e robe simili. Qualche giornalista ti farà qualche domanda. Hai tre minuti, quindi speriamo che le domande siano intelligenti. Dopodiché…”

“Dopodiché entro e raggiungo il mio posto. È a lato della sala, in modo che possa alzarmi senza fatica e senza dare fastidio. Raggiungo Zach Braff dietro le quinte e presentiamo insieme il premio per la Miglior Sceneggiatura Originale.”

“Bravissimo. Una volta conclusa la premiazione, tornate ai vostri posti. Poi…”

“Poi raggiungo di nuovo il backstage per prepararmi alla mia esibizione.”

“Che sarà presentata da…”

“Michael Bublè , che avrà appena consegnato il premio per il Miglior Suono.”

“Esatto. Dopo la performance e la pioggia di applausi…”

“Raggiungo il posto che mi è stato riservato accanto a Kathryn Bigelow, e spero che associno il mio nome alla Miglior Canzone.”

“E chi annuncerà il tuo nome?”

Spero che Ethan Hawke e Renée Zellweger annuncino il mio nome.”

“Perfetto. Ragazzo, sei pronto.”

Cerco di sorridere.

“Brian?”

“Sì?”

“Per quella questione… è tutto a posto?”

“Tutto sistemato. È bastato distribuire qualche biglietto gratis per il backstage del tuo prossimo concerto.”

Sorrido davvero. La corruzione a volte è necessaria.

 

***

 

“Da questa parte, signor Groban! Signora Bigelow, la prego!”

Mi concedo ai voraci obiettivi dei fotoreporter, e come me anche la regista del film, e le quattro attrici principali. Sorridiamo, rasentando l’imbecillità, facendo quello che ci si aspetta da noi: mostrarci belli e invincibili, nonostante il cuore ridotto in coriandoli.

La stampa reclama a gran voce una foto di me e Danny Elfman insieme, e non possiamo fare altro che accontentarli. Poi, all’improvviso, una giornalista mi rapisce.

“Josh Groban, indubbiamente la stella maschile di questo film. Che cosa ti ha convinto a partecipare?”

“Beh, la colonna sonora di un film è indubbiamente l’aspetto che mi attira di più, per quanto riguarda il cinema. Ma credo sia una caratteristica comune a tutti i musicisti. Kathryn Bigelow mi ha fatto un’ottima proposta, e non ho potuto tirarmi indietro.”

“Avevi già avuto un’esperienza simile nel 2004, con ‘Troy’. Era un’ottima colonna sonora, composta da James Horner. Perché non fosti candidato?”

“Credo che questo non lo possa sapere nessuno. Non era destino.”

“Sai di non essere il favorito?”

Scoppio a ridere. “No, non lo sapevo. Grazie per l’ottima notizia.”

“Ottima notizia?”

“Essere nominato per me è già un gran traguardo. Non so se reggerei il colpo, in caso di vittoria.”

 

***

 

È ufficiale: Zach Braff è la persona più simpatica che abbia mai incontrato. Subito dopo Michael, ovviamente. Nessuno è in grado di smorzare la tensione prima della presentazione quanto lui. Per un attimo, riesco persino a dimenticare che sarò sotto i riflettori diretti da Grace. Chissà come sta.

Il pubblico fa un applauso piuttosto sonoro, al nostro ingresso in scena.

“Allora, Josh…” inizia Zach. “Bella serata, eh?”

“Già. Ehi, lo sai che mi fa strano sentirmi chiamare per nome da te?”

“Cavolo, hai ragione. Insomma, da quanto ci conosciamo?”

“Un’ora, credo. Massimo due.”

“Ehi, è incredibile come riescano ad ammaestrarti in fretta su quello che devi fare su questo palco.”

“Davvero. Sono tutti incredibili, i ragazzi che stanno lì dietro.”

Ci hanno praticamente obbligati a mettere in piedi qualche scenetta divertente, e a giudicare dalle risate della platea, direi che ci stiamo riuscendo.

Venti minuti più tardi, riusciamo finalmente ad annunciare che il premio è stato vinto da un giovane ai limiti dell’anonimato che ha saputo delineare con fermezza i contorni del burrascoso rapporto tra due fratelli. Non posso fare a meno di chiedermi se questo sia l’anno dei conflitti familiari.

 

***

 

Rieccomi per la seconda volta dietro le quinte, mentre un tecnico si assicura che microfono e cuffie funzionino. Su un monitor di servizio osservo Michael Bublé e Celine Dion presentare il premio per il Miglior Suono, e non posso fare a meno di sorridere. Non pensavo che la Dion potesse essere così simpatica, ma forse la vicinanza di Michael renderebbe simpatico persino un blocco di marmo. Adoro il mio migliore amico.

Mentre i due presentatori rileggono le candidature, qualcosa mi colpisce alle spalle.

“Ehi, fai attenzione…” sbotto, voltandomi di scatto.

E rimango senza parole.

Grace è di fronte a me.

“Grace…”

“Josh… ciao.”

“Come… come stai?”

Mentre aspetto una sua risposta, la osservo. È bellissima. Indossa un tubino nero, scarpe basse dello stesso colore. I capelli sono stretti in uno chignon, il trucco è… ma siamo sicuri che si sia truccata? È fatto talmente bene che non si vede. È diversa dalla mia Grace, ma è lei. E’ la Grace che amo.

“Bene” sussurra, distogliendo gli occhi dai miei.

“Non mi hai mai richiamato.”

“Io… io non…” balbetta, prima che un direttore di scena mi prenda di peso e mi porti al limite della scena. Non mi ero nemmeno reso conto che Michael e la Dion stessero per fare il mio nome.

Respiro profondamente.

Quella Grace, quella con l’aria da estranea, è la Grace che ho amato.

È la mia Grace.

L’unica donna che sia mai riuscita a sorprendermi.

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Capitolo 47
*** 47. A Te [Jovanotti] ***


6.

“Signore e signori, ho adesso il piacere di presentarvi un artista eccezionale, un uomo che ho l’onore di avere come amico.”

“Abbiamo già avuto il piacere di godere della sua vena comica, questa sera, ma ora ci delizierà facendo ciò che sa fare meglio: musica.”

Michael sorride. “Signore e signori, il mio migliore amico. Josh Groban.”

Un applauso accompagna il mio ingresso, mentre saluto Celine Dion con una stretta di mano e un bacio su entrambe le guance, e Michael con un abbraccio. “E’ tutto vostro, gente!” esclama Michael, lasciando il palco con la sua partner.

Sistemo il microfono sull’asta, apparsa come per magia al centro della scena.

Le luci sono abbassate.

L’ultima eco degli applausi si spegne, e io mi ritrovo immerso nel buio e nel silenzio.

Chiudo gli occhi, e davanti ai miei compaiono quelli di Grace.

Prendo fiato, e faccio un cenno precedentemente concordato con il direttore di scena.

Grace dev’essere da queste parti. Sono sicuro che non si sia allontanata. Ma anche se lo fosse, sentirebbe comunque la mia voce.

Amazing Grace, how sweet that sound…

La musica inizia a riempire ogni spazio.

I once was lost, but now I’m found… I once was blind, but now I see.

Ti amo, Grace. Ti amo, ti amo, ti amo.

Un anno fa ero perso, completamente fuori rotta.

Ma poi ti ho incontrato, e tutto ha iniziato a girare per il verso giusto.

Sono cresciuto, sono cambiato.

E lo devo a te.

Dimmi che mi ami, Grace.

Dimostra al mondo che l’amore è la cosa più importante.

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Capitolo 48
*** 48. Written In The Stars [Elton John & Leann Rimes] ***


6.

Non ho incontrato Grace dopo la canzone. Forse è meglio. Non so nemmeno che cosa le avrei detto. Che cosa avrei detto per giustificare il fatto di aver cambiato canzone all’ultimo? Le parole della canzone dicono tutto. Io amo Grace, e desidero soltanto sapere se anche lei mi ama.

Finalmente, raggiungo il mio posto. Mi trovo esattamente tra Diane Lane e Danielle Panabaker. Entrambe sono state candidate, anche se in due categorie diverse: la madre in punto di morte e la figlia problematica. Cliché noto, ma dannatamente ben descritto.

“Complimenti”, mi sussurra la Panabaker, piegandosi appena verso di me.

“Grazie.”

“Spero che lei lo abbia apprezzato. È una ragazza fortunata.”

“E’ quello che spero anch’io.”

Sorride. “Ah, ho comprato una copia del tuo cd. Credo sia il tuo lavoro migliore.”

“Grazie.”

“Mi piacerebbe se un giorno di questi me lo autografassi.”

“Consideralo fatto” prometto.

Diane Lane ci riprende amichevolmente. “Ehi, volete tacere? Stanno per annunciare il premio per il Miglior Attore Non Protagonista.”

“Non so nemmeno chi fosse stato nominato” ammetto, vergognandomi un po’.

“Ah, tanto vincerà Casey Affleck, per il ruolo del fratello minore in ‘Brothers Unaware’” sussurra Danielle.

Aspettiamo che Robert Downey Jr e Penelope Cruz aprano la busta, poi sentiamo la sala esplodere in un applauso per Gaspard Ulliel, trionfatore della categoria per il ruolo di un soldato disertore durante la Seconda Guerra Mondiale.

 

***

 

Finalmente, quasi un’ora più tardi, ecco comparire sul palcoscenico Renée Zellweger e Ethan Hawke, incaricati di presentare il vincitore nella categoria Miglior Canzone. D’istinto, serro le dita attorno ai braccioli della poltroncina sulla quale sono seduto. Non mi ero accorto di essere nervoso, fino a questo momento. La realtà è che ho paura.

“Tranquillo, poi passa” mi sussurra Diane Lane, con un sorriso.

Lo spero.

I due attori ripetono i titoli delle cinque canzoni in gara, sottolineando anche il nome dell’artista che le ha interpretate. Sono in lizza con Faith Hill, Elton John, i Green Day e James Blunt. In realtà sono le nostre canzoni ad essere in gara, ma sarà l’artista a ritirare il premio. Ripasso velocemente il mio breve discorso, sapendo che non lo reciterò mai.

Finalmente, dopo quello che sembra un tempo infinito, i due si decidono a rivelare il contenuto della busta.

“Non è stata una decisione semplice, per i giurati dell’Academy” esordisce Hawke.

“Fino all’ultimo c’è stata una seria lotta tra due canzoni” gli va dietro la Zellweger.

“Una lotta all’ultimo ascolto, si potrebbe dire. E ci dispiace molto per i Green Day…”

“…ma l’Academy Award per la Miglior Canzone va a ‘Your Love’, di Morricone e Pontes, interpretata da Josh Groban.”

Applausi.

Devo alzarmi.

Non ci riesco.

Le due attrici sedute al mio fianco si complimentano con me, ed è questo a convincermi ad alzarmi.

Scendo la scalinata sorridendo, ancora incredulo. Non sto sognando, vero?

Salgo sul palcoscenico, saluto i due artisti e ricevo nelle mie mani – ovviamente tremanti – la statuetta.

Non credevo fosse così pesante.

“Devo ringraziare i giurati dell’Academy. Quando mi hanno riferito della candidatura, non riuscivo a crederci. E nemmeno ora sono convinto che tutto questo stia davvero accadendo. Avevo…” abbasso gli occhi sul premio, “avevo preparato un piccolo discorso, ma non me lo ricordo. In fondo, questo premio non appartiene a me, ma soltanto alla canzone. Non ringrazierò mai abbastanza Ennio Morricone e Dulce Pontes per aver realizzato un brano tanto bello, e non ringrazierò mai abbastanza Kathryn Bigelow, che mi ha chiesto di reinterpretarlo per il suo film. L’unica cosa che posso dire è che lo dedico, anche se non è mio, alle persone che amo. E a mio padre, che è morto sapendo che un giorno ce l’avrei fatta.”

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Capitolo 49
*** 49. Solo Una Volta (O Tutta La Vita) [Alex Britti] ***


6.

“No, Brian. Non andrò a festeggiare con il resto del cast.”

“Ma Josh…”

“Non sono dell’umore adatto. E poi, potranno festeggiare anche senza di me. Insomma, hanno altri quattro motivi per festeggiare.”

“C’è niente che possa fare per farti cambiare idea?”

Scuoto la testa, inginocchiandomi per permettere a Maverick di restituirmi la pallina. Me la rigiro tra le dita per un paio di secondi, prima di lanciarla di nuovo lontano.

“Capisco. Beh, se cambiassi idea…”

“…so dove si terrà la festa, sì.”

“Già. Ehi, comunque… è un bel posto, qui.”

Sorrido. “Grazie, Brian.”

“Tuo padre aveva buon gusto.”

“Sì, è vero.”

Maverick mi restituisce la pallina e si accuccia ai miei piedi. Non ha più voglia di giocare.

Lo imito e mi siedo sulla sabbia.

Poi, con mia grande sorpresa, Brian imita me.

“Ti rovinerai l’Armani.”

“Non è un Armani” mi corregge. “Oh, era una battuta?”

Non rispondo.

“Josh, c’è qualcosa di cui vuoi parlare?”

Scuoto la testa. “Non credo capiresti.”

“Perché? Perché ha a che vedere con i tuoi sentimenti? Guarda che sono un uomo, esattamente come te.”

Rido.

“Dico sul serio. Solo perché sono un tipo pragmatico, non significa che io sia un freddo robot.”

“Pragmatico? Di’ pure tirannico.”

“Sì, molto divertente. Parlo sul serio, Josh. Anch’io ho avuto le mie traversie amorose.”

Gli lancio un’occhiata sorpresa.

“Miscredente” borbotta. “E’ successo… vent’anni fa, più o meno. Vivevo a New York, allora.”

“Non sapevo avessi vissuto a New York.”

“Solo per un anno. Comunque, avevo preso l’abitudine di pranzare in una tavola calda vicino al World Trade Center. Era un posto piuttosto piccolo e poco frequentato, ma era proprio per questo che mi piaceva. Riuscivo a lavorare senza essere disturbato. A forza di frequentare sempre lo stesso locale, feci amicizia con la cameriera di quel turno. Si chiamava Louise, aveva ventitre anni. Era… era semplicemente bellissima. E intelligente. Lavorava lì per pagarsi gli studi all’Accademia di Belle Arti.”

“E cos’è successo?”

“Le ho chiesto di uscire. E me ne sono innamorato.”

“Questo l’avevo capito. Intendevo dopo.”

“David Foster mi ha offerto di entrare nella sua squadra. Ma mi sarei dovuto trasferire qui a Los Angeles.”

“Ti sei trovato a scegliere?”

“No, peggio.”

“Che ci può essere di peggio?”

“Ho costretto lei a scegliere. Ho accettato la proposta di David e poi sono andato da lei. Le ho detto: ‘Scegli, Louise. Puoi venire con me a Los Angeles, oppure puoi rimanere a New York senza di me.’”

Non so cosa rispondere.

“Ho commesso l’errore più grande della mia vita, lasciando quella ragazza.”

“Brian…”

“Josh” mi interrompe, voltandosi a guardarmi. “Di ragazze così non te ne possono capitare molte. Se sei fortunato, te ne capita una nell’arco di una vita intera. E se sei ancora più fortunato, quella ragazza sceglie proprio te. E quando succede, non puoi permetterti di perdere tempo.”

Ancora nessuna risposta.

“La sola cosa che mi rimane di Louise è una fotografia di noi due sulla Statua della Libertà. Si è sposata, ha avuto dei figli, si è diplomata in Belle Arti. Fa la restauratrice. L’ho fatta cercare. Volevo sapere che ne fosse stato di lei. Ma non voglio che tu, tra dieci anni, paghi un investigatore privato per sentirti dire che Grace ha avuto dei figli con uno sfigato che non l’amerà mai come avresti saputo fare tu.”

“Brian, lo so che dovrei combattere. Credimi, l’ho fatto. Ma è lei a non volere che…”

“Balle” mi interrompe, alzandosi. “Non esiste ‘Io voglio ma’, quando ami qualcuno.”

“Brian…”

“Josh, alza il culo e vai da lei. E porta il cane. Nessuna donna resiste, davanti a un cucciolo.”

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Capitolo 50
*** 50. Se Telefonando [Mina] ***


6.

Quello che ha detto Brian è vero. Tutto, dalla prima all’ultima parola, è vero.

Se non lo fosse, non starei girando per tutti i negozi di giocattoli della città alla ricerca di un pupazzo introvabile.

Ma proprio quando sto per darmi per vinto e rinunciare, poso gli occhi su una vetrina a caso. E lui è lì.

 

***

 

La mia idea era di presentarmi a casa di Grace con il pupazzo, e implorarla di tornare con me.

Già. Solo che suonerebbe un po’ patetico, da parte mia. E ne ho piene le tasche di risultare patetico.

Il risultato?

Mi ritrovo davanti al suo appartamento, e sono terrorizzato. L’idea di premere il campanello o di bussare mi getta letteralmente nel panico. Non so analizzare le cause del mio disagio: forse ho paura di essere cacciato via. Forse ho paura che non mi apra nemmeno.

Però devo provare. Brian ha ragione.

Devo tentare.

Afferro il cellulare e compongo il suo numero di casa.

Lascio squillare a lungo.

Perfetto, lei non è nemmeno in casa.

Salve, sono Grace. Non sono in casa. Lasciate un messaggio dopo il segnale acustico e sarete richiamati.”

Beep.

“Ehm… Grace? Ciao, sono io. Josh. Ehm… forse… forse non avrei dovuto chiamarti. Forse dovrei mettere giù e andarmene, ma… Sono davanti a casa tua. Davanti al tuo appartamento, e credo che tu non sia in casa. Insomma, se fossi in casa avresti risposto, no? Volevo… volevo bussare, ma avevo paura che non volessi vedermi, e più passa il tempo più mi convinco che è proprio quello che vuoi. Insomma, che vuoi che non mi faccia più vedere. Ma, ecco, l’altra sera, quando ci siamo visti, io ho… ho come avuto la sensazione che tu volessi dirmi qualcosa, e…”

Beep.

Merda. Odio le segreterie telefoniche.

Compongo di nuovo il numero e aspetto che si attivi il nastro.

“Ciao. Di nuovo io. Ecco, l’altra sera ho avuto la sensazione che tu mi stessi per dire qualcosa, e… e davvero non riesco a capire che cosa potesse essere. Eri bellissima, Grace. E hai fatto un ottimo lavoro. Non ho ancora avuto occasione di dirtelo, ma… sei stata grande. E ora credo che dovrei andarmene. Il fatto è… il fatto è che ti ho portato una cosa, e ci tenevo a dartela di persona, ma… la lascio qui davanti alla porta, ok? Ti amo, Grace.”

Metto giù un attimo prima che il ‘Beep’ mi fermi.

Lascio il mio regalo per terra, davanti alla porta di casa sua, e mi preparo ad andarmene.

Mentre sto per scendere le scale, il mio cellulare squilla. Mi fermo a rispondere.

“Sì?”

“Josh?”

“Grace?”

“Sei ancora lì?”

“Sei in casa?”

Il rumore di una serratura che gira mi costringe a voltarmi.

Grace si affaccia, con il cordless in mano. Sorride e solleva dallo zerbino il mio regalo. “Gaston…” sussurra.

“E’ il tuo personaggio preferito.”

Solleva lo sguardo su di me, poi si riporta il telefono all’orecchio. “Ti amo, Josh.”

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Capitolo 51
*** 51. Ich Will Mich Verlieben [Rosenstolz] ***


6.

Dieci mesi dopo

 

“Senti, Josh, ho in linea una di Vogue, che vorrebbe…”

“Brian, ho due parole per te. Cerimonia. Privata.”

“Josh, la stampa ha il diritto di sapere…”

“La stampa non ha il diritto di sapere un bel niente su quello che combino nella mia vita privata, lo sai. E poi, ho promesso l’esclusiva a Rolling Stone.”

“A Rolling Stone? Come sarebbe? Non mi ricordo di aver fatto nulla del genere.”

Sorrido. “Beh, siccome la giornalista è anche stata la mia migliore amica per diciassette anni, ho pensato di gestirla io.”

Lucy mi sorride, e porge la mano al mio manager. “Signor Avnet. Sono Lucy Hatcher, si ricorda di me? Sono io quella che ha intervistato Josh, l’anno scorso.”

“Lucy Hatcher… sì, ora mi ricordo di lei. Beh, comunque dovrò filtrare il suo pezzo, prima di mandarlo alla rivista.”

“Tutto quello che vuole, signor Avnet. Dopotutto, è il matrimonio di Josh.”

“Già. E’ il mio matrimonio, capito, tiranno che non sei altro?” lo prendo in giro.

Joachim, il marito di Lucy, la raggiunge con Elsie, la loro figlia di tre mesi. Inutile dire che Stella ha già perso la testa per lei, e che non perde tempo per ammirarla, tra una corsa e l’altra con Maverick.

Grace e io ci siamo sposati sulla spiaggia, proprio davanti al bungalow di mio padre. Abiteremo nel mio appartamento, e questo rimarrà il mio pensatoio. Ho rimesso le cose di mio padre al loro posto: libri, dischi, soprammobili, fotografie… l’album con i suoi scatti ha il posto d’onore nello scaffale che adesso è mio. E sull’ultima pagina, lasciata vuota per l’occasione, ci finirà quella foto scattata due ore fa: quella che abbiamo fatto davanti alla casa, con i nostri amici e le nostre famiglie.

 

***

 

“Ti amo, Josh” mi sussurra Grace durante la notte, appena finito di fare l’amore.

Abbiamo deciso di passare qui la nostra prima notte di nozze.

Rimango ad ascoltare il rumore del mare, ad occhi chiusi. “Idem.”

Sento il suo sorriso. “Non sapevo che questo fosse il remake di ‘Ghost’.”

“Ci sono tante cose che non sai, tesoro mio.”

“Tipo?”

“Tipo che scriverò una canzone a proposito di stanotte.”

“Non oseresti.”

“Lo farò, invece. E sarà un successo.”

“No, non lo sarà.”

“E invece sì. Tutte le canzoni che dedico a te si rivelano dei veri successi.”

“E con questo?”

“E con questo? È una fortuna che mi sia innamorato di te. Mi renderai ricco.”

“Che scemo…”

“Sarò anche uno scemo, ma sono sincero. E ora che so come va a finire la storia, vorrei innamorarmi di te altre cento volte.

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