Photography

di Anthy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter 1 - Model ***
Capitolo 2: *** Chapter 2 - Physical Attraction... Chemical Reaction ***



Capitolo 1
*** Chapter 1 - Model ***


Chapter 1
Photography







Chapter 1 - Model


"Un bacio legittimo

non vale mai un bacio rubato."
Guy de Maupassant




Quando le avevano detto di prepararsi, che presto sarebbe arrivato il modello per il servizio fotografico del giorno, aveva annuito silenziosamente, internamente curiosa di poter vedere questa fantomatica star di cui sentiva parlare da settimane in maniera adorante.
Quando poi le era stata mostrata una foto del modello in questione, aveva percepito ogni traccia di eccitazione scemare lentamente, sostituita dall’imbarazzo e dal timore.
Isabella Swan si era sempre considerata una ragazza di modesta esistenza.
Anche se a modesto, preferiva utilizzare la parola“banale”: banali tratti somatici, banali caratteristiche fisiche, banale vita sociale. Anzi, forse per quest’ultima l’aggettivo “piatta” si sposava meglio.
 Anche il lavoretto che si era trovata poteva considerarsi banale: truccatrice presso uno studio fotografico abbastanza noto a New York. Tuttavia l’ambiente non era male e, soprattutto, la paga era abbastanza buona, permettendole così di pagare le tasse universitarie e continuare a coltivare il suo sogno.
Sì, forse c’era qualcosa che, nonostante la sua banalità, amava incondizionatamente di sé stessa: il talento nella fotografia.
Amava fotografare.
Lei, una persona così schiva e riservata, amava catturare quegli attimi piccoli, ma emozionanti, che ogni giorno la vita le riservava. Persone, oggetti, luoghi... con la fotografia aveva imparato che non c’era nulla di banale, al mondo; che tutto, con la giusta luce o sfumatura o posizione, diventava interessante da dietro l’obbiettivo.
Il desiderio di diventare una fotografa professionista era ben radicato in lei e quel lavoretto allo studio le permetteva, oltre di arrotondare a fine mese, di stare in un ambiente in cui esercitavano bravi professionisti. Non che amasse particolarmente quel genere di fotografia, anzi; alle volte trovava fin troppo artificiosa l’aria che prendevano certi modelli in posa – sì, quell’aspetto un po’ serio, profondo, con le palpebre socchiuse così come le labbra: c’erano volte in cui la situazione era talmente ridicola che doveva mordersi le labbra per non ridere nel set. Preferiva di gran lunga la spontaneità degli oggetti – o dei soggetti – alla posa plastica – o troppo languida.
Ma doveva ammettere che invidiava la disinvoltura con cui certi fotografi riuscivano a scattare foto in sequenza di pochi secondi, impartendo ordini pur mantenendo lo sguardo nell’obbiettivo e riuscendo nel frattempo a catturare, come se nulla fosse, immagini che potevano sembrare, una volta sviluppate, vive.
Come quella foto che si era ritrovata di fronte, ad esempio.
Certo, lei stessa ammetteva che, sicuramente, buona parte della bellezza di quella polaroid era merito del modello ritratto. Di quei profondi occhi verdi, limpidi.
Si era sentita la gola secca, dopo averla vista – soprattutto, al pensiero che avrebbe dovuto truccare il possessore di quelle due iridi intense.
Non c’era nulla di artificioso, in quella fotografia. Il volto del giovane era girato verso l’obbiettivo, al contrario del busto. Gli occhi erano aperti, né troppo spalancati, né troppo socchiusi.
Osservava.
Fissava.
Spogliava.
La linea delle sopracciglia era naturale, nessuna ruga piegava la fronte, segno del totale rilassamento del soggetto. Solo le labbra erano leggermente corrucciate, un po’ strette – ed Isabella non sapeva dire se lo fosse per la foto in sé, scattata all’improvviso, o se di suo quella bocca mantenesse quel leggero broncio tremendamente sensuale, accentuato dalla forma assolutamente perfetta delle labbra.
I capelli erano sapientemente spettinati – cosa non sapeva fare una buona hair stylist – e gli donavano, nell’insieme, quell’aria di distratta bellezza che sicuramente avrebbe fatto impazzire tante ragazze, giovani o meno che fossero.
Si sentiva in imbarazzo, a quei pensieri.
Ma quello sguardo l’aveva catturata.
Aveva sempre trovato esagerati quei discorsi sugli occhi e sulla forza che sapevano trasmettere; inoltre, pur essendo un’anima romantica, considerava un po’ “romanzati” quei momenti, nei libri, in cui sembrava nascere l’amore, o l’attrazione, al primo sguardo.
Tuttavia, si era dovuta ricredere quando aveva cominciato a stampare le foto che raffiguravano primi piani di persone, alle volte passanti o turisti, fotografati in momenti inconsapevoli. Certo, dalle iridi non si poteva capire la vita di una persona, ma aveva capito cosa intendevano quando si parlava di “forza dello sguardo”: occhi che ridevano, occhi che ammiravano con dolcezza la propria compagna, occhi segnati da piccole rughe nascoste da trucco pesante... sì, c’era tanto in uno sguardo.
E quelle iridi verdi avevano un che di determinato e profondo che l’affascinavano.
In quella foto, erano loro a risaltare.
Lo aveva capito subito, da come erano riuscite a catturare la sua attenzione; era partita dagli occhi, estendendo poi la visuale su tutto il volto. La linea del naso, gli zigomi, il piccolo avvallamento sopra le labbra e la bocca stessa.
Aveva balbettato qualcosa di incoerente all’assistente del fotografo che le aveva mostrato la foto, ma l’aveva ignorata per dire allo staff che si aspettava un lavoro ben fatto per il servizio.
Come se di mio non fossi già ansiosa, si ritrovò a pensare.
Osservò attorno a sé gli specchi, i trucchi posti sopra il tavolino, le luci...
La sedia dove lui si sarebbe seduto...
Era agitata.
Lo era sempre, prima di dover truccar qualcuno – il timore di sbagliare o di combinare qualche disastro era forte, alimentato dalla sua naturale insicurezza. Non era una truccatrice professionista, ma alla scuola d’arte aveva imparato anche quello. Oltretutto, una delle sue più care amiche era una maga del make up e le aveva fornito consigli e spiegazioni utilissimi.
Ora Isabella attendeva solo che il modello facesse il suo ingresso.
Si chiese com’era, caratterialmente.
In quel mondo dove la bellezza sembrava regnare sopra ogni altra cosa, non era difficile trovare persone concentrate solo su sé stesse o sull’apparire. Troppo spesso “fascino” non era sinonimo di “umiltà” o “simpatia” – anche se le eccezioni c’erano, come in ogni altro aspetto della vita.
Sembrava giovane, quasi coetaneo – sì, sicuramente aveva vent’anni o di poco superati.
Si sedette sul divano in pelle posto in un angolo, osservando senza in realtà vederle le riviste posate sul tavolino di fronte a sé. Tendenzialmente, non aveva una buona opinione dei maschi ventenni. O troppo frivoli, o troppo concentrati su loro stessi, o troppo studiosi.
Storse il naso, ripensando alla sua ultima “storia” – o fallimento, come amava ripetersi lei.
Mike Newton si era rivelato una vera delusione. Doveva ammetterlo, all’inizio i suoi modi cortesi e garbati l’avevano attirata – e lusingata, per essere completamenti sinceri. Si era però dimenticata che il suo corso di studi prevedeva un futuro da attore. Dopo due settimane passate a frequentarsi e diversi tentativi atti a portarsela a letto – oltre altre sottigliezze che le avevano fatto capire quanto quel ragazzo fosse troppo concentrato su sé stesso – aveva cercato di dirgli che, purtroppo, lui non era il suo tipo; Mike sembrava non averlo preso male, il suo rifiuto. Un sorriso un po’ triste, che l’aveva fatta sentire colpevole, un bacio veloce a fior di labbra ed una rapida ritirata.
Dopo una settimana, si era fatto vedere abbracciato ad un’altra ragazza, con cui pomiciava allegramente nei corridoi dell’Accademia.

Uomini, si ritrovò a pensare.

Sperava sinceramente di non aver a che fare con un montato pieno di sé.
Non che avrebbe potuto farci molto, se fosse stato altrimenti, né doveva scambiarci chissà quali discorsi filosofici, sapeva bene anche questo. Solo che si conosceva: più sentiva la pressione – o le aspettative – più si agitava. Più si agitava, più combinava disastri.
Se poi considerava quanto fosse goffa per natura, Bella sapeva per certo che un tale mix avrebbe portato al disastro – nonché al proprio licenziamento.
Sospirando, adocchiò l’orologio a parete.
Mancava poco, ormai.
Fu in quell’istante che sentì delle voci avvicinarsi.
Non fece a tempo ad alzarsi, che la porta venne aperta in maniera abbastanza violenta da farla sobbalzare.
La voce che aveva sentito apparteneva ad una donna sulla quarantina, i capelli raccolti in una stretta crocchia e gli abiti abbastanza austeri.
La sua manager, dedusse la giovane.
Ma il suo sguardo venne subito attratto dalla figura che la seguiva.
Un ragazzo alto, dalla muscolatura ben definita ma non eccessiva. Le mani erano affondate nei jeans, lo sguardo sembrava annoiato, mentre annuiva distrattamente alla donna.
Isabella si ritrovò a boccheggiare, mentre ne studiava il profilo,  gli occhi puntati sulle labbra del giovane, che sembravano ancora più invitanti ora che poteva vederle realmente...
Cercò di riscuotersi, facendosi timidamente più vicina.
Nel muoversi, riuscì ad attirare su di sé l’attenzione di entrambi – e non seppe dirsi se ciò fu un bene o meno.
Ma quando incrociò lo sguardo del ragazzo, capì che no, non era un bene avere il suo sguardo addosso.
Non era preparata a quella intensità.
E dovette ammettere che dal vivo era più bello che in fotografia; osservò il sopracciglio piegarsi verso l’alto, la piega della fronte al movimento... e giù, fino alla bocca, per scendere alla pelle scoperta del collo, ombreggiata dal mento.
Sapeva di aver fatto una figura ben misera, nel fissarlo così sfacciatamente e si sentì arrossire maggiormente quando le rivolse un sorriso, seguito da un piccolo cenno del capo.
Non un ghigno, non una smorfia compiaciuta  - perché era sicura che avesse notato come lo aveva guardato.
Un sorriso.
Le labbra piegate verso l’alto, una piccola fossetta sull’angolo destro...
E quando fece per aprire bocca – Bella non desiderava altro, a quel punto, che sentirlo parlare – quel piccolo momento venne rotto dalla voce spazientita della donna.
« Allora, mi stai ascoltando Edward?»
Delusa, lo vide spostare lo sguardo da lei, le parole spazzate via da un cenno di capo rivolto alla manager.
Era ben magra consolazione, rispetto all’occasione persa di sentirlo parlare – soprattutto, visto che era a lei che voleva rivolgersi.
Si impose di cacciare dalla mente quegli sciocchi pensieri; era il momento di mostrarsi professionali, si disse.
Si avvicinò a loro, mentre vedeva Edward accomodarsi sulla sedia, pronto per essere truccato.
La voce della donna era l’unico rumore che si sentiva; non aveva osato parlare, per non interrompere il suo lungo monologo, incentrato sugli impegni di lavoro del modello.
Tempo, giorni, luoghi...
Bella lasciò che le parole scorressero come suoni lontani, mentre prendeva in mano i trucchi.
Era consapevole che là dentro, in quell’ambiente, bastava un errore per essere fuori. Non era la più brava delle truccatrici, ma sapeva il fatto suo; del resto, il modello era sì bravo e conosciuto, ma la sua fama non era così “grande” da permettergli chissà quali trattamenti.
Quando si voltò, pronta a mettersi all’opera, sentì tutta la sua sicurezza – o quella che sembrava una parvenza di buona volontà – scemare di fronte alle iridi puntate su di sé.
Edward la guardava completamente rilassato, le mani giunte sul ventre e la piega della bocca tirata quasi stesse sorridendo.
Dovette deglutire forzatamente, traendo un respiro profondo, per riuscire a chinarsi verso di lui.
Gli era vicino, troppo vicino.
Ne sentiva il profumo, non troppo pesante o pacchiano; la fotografa in lei, a quella vicinanza, era persa a registrare ogni dettaglio della sua pelle, del suo profilo...
Si rendeva conto di non essere minimamente professionale, al momento.
Ma era altrettanto consapevole – fin troppo, a dire il vero – del suo respiro sul polso, quando passava con la mano su uno zigomo.
Vicino, troppo vicino.
Il suo sguardo vagò sui capelli, quei capelli che aveva giudicato perfettamente scomposti, un ossimoro che calzava a pennello; folti, indisciplinati, di uno splendido color ramato che si sposava alla perfezione alla colorazione dei suoi occhi e alla cute non troppo abbronzata.
La tentazione di passarci una mano attraverso era talmente forte che dovette allontanarsi e voltarsi verso il piano di lavoro, il cuore in tumulto.
Era stupido, era tutto maledettamente stupido.
Ma non poteva lottare contro sé stessa; era una persona abbastanza impacciata, con una vita sociale non certo movimentata. E lui... lui era un ragazzo bellissimo, là a portata di mano – e di respiro e bocca...

Non pensiamo a sciocchezze, Bella!

Cercò di fare appello alla parte più razionale di sé, quella che l’aveva sempre protetta dal commettere cose sciocche o insensate – doveva ringraziare suo padre, per quell’autocontrollo.
Prese in mano il fard, pronto per stenderlo sul volto di Edward.
Non l’avrebbe guardato in volto, si decise.
Avrebbe solo pensato ai punti dove stendere il trucco, quali ombreggiare, quali far risaltare.
E così fece, seppur con fatica; la tentazione di guardarlo dritto negli occhi era tanta, ma cercò di resistere, per evitare di risultare troppo sfacciata.
Si vergognò quando la voce le uscì fin troppo roca nel chiedergli di voltarsi, ma continuò a truccarlo con attenzione.
Non che servisse molto, per rendere quella cute perfetta; le imperfezioni da coprire erano ben poche – un accenno di irritazione causato dalla barba, una piccola cicatrice di varicella vicino all’orecchio... – ed il colorito era perfetto per il servizio che si sarebbe tenuto: del resto, quelli erano scatti di prova per testare le capacità e le espressioni del modello, oltre che un modo per far entrare in sintonia il fotografo con il soggetto da immortalare. Dopodiché, alcuni scatti sarebbero stati immortalati all’esterno nei giorni a venire, mentre Edward sponsorizzava attraverso certi luoghi della città la nuova collezione autunno/inverno maschile di una nota casa di moda.
Poco importava se Aprile era da poco iniziato...
Persa nei propri pensieri, non si era accorta di aver quasi terminato il suo lavoro.
Quando si alzò per esaminare il risultato, la manager si congedò da loro, per andare a parlare con il resto dello staff.
Si sorprese nel vederlo sospirare pesantemente, quando la porta venne chiusa alle loro spalle.
Ma del resto, Isabella poteva quasi capirlo: quella donna non aveva smesso di parlare per un attimo, prendendo per risposta i suoi cenni di capo o interrompendosi giusto per parlare al telefono.
Sicuramente, doveva essere efficiente nel suo lavoro.

Cosa che tu, al momento, non sei stata.

Poco importava, ormai il lavoro era stato eseguito.
Il trucco non era pesante e con le luci dello studio di certo non si sarebbe notato.
E in ogni caso, nulla che un buon programma di fotoritocco non riuscisse a cancellare.
Sì, poteva dirsi soddisfatta – anche se, ovviamente, gran parte del merito andava alla bellezza del soggetto.
Era pronta a congedarlo, quando lui la interruppe, parlando per la prima volta.

« Volevo scusarmi per l’ingresso maleducato che io e la mia manager abbiamo fatto».
Isabella lo fissò stupita da quell’uscita, mentre si alzava lentamente; era serio in volto, come nella voce.
Una voce che finalmente sentiva... e che le piaceva.
Non c’era un motivo; semplicemente, si sposava perfettamente con l’idea che aveva di lui – e del suo tono.
Quando lo vide sollevare una mano in sua direzione, lo sguardo fu catturato dalle dita, lunghe e sottili, da pianista. Erano curate, ma al contempo mostravano solidità e mascolinità.
Erano... belle.
E quando rialzò il volto, vide un sorriso cordiale spuntare su quel bellissimo viso.
Un sorriso rivolto a lei.
Un interessamento rivolto a lei.
« Piacere di conoscerti, sono Edward».
Si ritrovò a stringere quella mano automaticamente, non riuscendo a capire a cosa fosse dovuta tutta quella gentilezza. Per il suo lavoro? Non le sembrava di aver fatto nulla di che...
Ma ogni considerazione, sensata o meno che fosse, fu persa, quando il suo braccio venne strattonato.
Non c’era violenza, nel gesto.
E da parte sua non c’era stata resistenza, in quanto il movimento era stato troppo improvviso.
La sua goffaggine fece il resto; il suo corpo poggiò contro quello del ragazzo e le sue labbra... le sue labbra entrano in contatto con quelle di lui.
Invece che spostarsi, sentì la bocca di Edward indugiare sulla propria – ed era morbida, fresca.
Un contatto lieve, ma piacevole.
Semplicemente inaspettato.

E troppo breve.

Fu lui il primo a separarsi; Bella aprì gli occhi di scatto, a quel movimento: non si era resa conto di averli chiusi quando si era sentita tirare. La prima cosa che vide, fu il suo sguardo: era posato sulle sue labbra, intenso e bruciante – come lo era la stretta che sentiva attorno al polso, come lo era il suo sapore che ancora percepiva sulla bocca...
Quando Edward alzò gli occhi, incontrando i suoi, Isabella osservò affascinata come quel verde si fosse incupito; come prati carichi di umidità, che la pioggia aveva inscurito, il suo sguardo era qualcosa di... intenso e ne rimase incantata, mentre il respiro dell’altro ancora le avvolgeva il viso, in una carezza sensuale ed attraente.
E quando le chiese il nome, con la voce leggermente arrochita, fu costretta a sua volta a schiarirsi la gola, per non suonare pateticamente fioca.
« Isabella», sussurrò, cercando di capire quali fossero le sue intenzioni.
Voleva baciarla ancora?
Voleva... non lo sapeva neppure lei.
Era ancora troppo allibita da tutto quello che era successo.
Ed il suo sapore era ancora forte sulle labbra...
Ma fu lui, di nuovo, ad agire.
Si staccò, lasciandole il polso non prima di averlo accarezzato e con un sorriso dolce aveva mormorato un « Grazie» che l’aveva lasciata confusa e senza parole.
Non riuscì a dire nulla mentre lui usciva dalla stanza.
Si sentiva fulminata.
Immobile, stava nella stessa posizione in cui l’aveva mollata.

Nella mente, la fotografia perfetto di un bacio che sapeva di mistero...


***


Note: Allora, prima cosa da notare: sto scrivendo in terza persona.
Io, che non amo questo modo, la sto usando :|
Purtroppo, questa storia nasce così e così la terrò - e non mi farà neppure male esercitarmi un po'...
Seconda cosa: la settimana prossima vado in vacanza, finendo il lavoro. Per due settimane - ergo, più tempo libero per me e per scrivere.
Terza cosa: "Life" e "Dépendance" riprenderanno a settembre, mentre per "In a Lustful Night" vedrò di completarla nella pausa ferie. Per "Ciò che nasce in vacanza" vedrò se cancellare quel prologo o meno. Le idee erano buone, ma questa storia mi prende di più: è un regalo che sto facendo a me stessa. ^^

Dovrei riuscire a postare una volta a settimana - il lunedì, precisamente. Ma per la settimana prossima non ci metto la mano sul fuoco, perché parto e non sono certa che la chiavetta prenda (anche se sono più che fiduciosa).
Come sarà la storia?
Romantica. Rispetto alle mie solite, gli eventi si svolgeranno in maniera più veloce e si soffermeranno sui sentimenti e le emozioni.
Ci saranno momenti dolci, ci saranno momenti intimi - pur nel rispetto del rating - e ci sarà pure l'angolo malinconico. Il lieto fine, comunqe, è certo.
I capitoli non saranno troppo lunghi, per mia volontà.
E' una storia che mi piace, che mi prende.
E spero possa piacere pure a voi!

Un bacione a tutti e grazie a chi passerà da queste parti.
Anthea

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Capitolo 2
*** Chapter 2 - Physical Attraction... Chemical Reaction ***


Chapter 2
Photography








Chapter 2 - Physical Attraction... Chemical Reaction


“Non esiste salvaguardia
contro il senso naturale dell'attrazione”

A.C. Swinburne



Da quando lavorava là, Isabella era certa di non aver mai “osservato” la macchinetta delle bevande come in quel momento. Da cinque minuti buoni sostava davanti ad essa, a capo leggermente chino e le mani che giocavano distrattamente con la chiavetta apposita.
Ad un’occhiata distratta, poteva sembrare una normale dipendente concentrata nella scelta della bevanda.
Peccato che tutto pensasse, tranne che al caffè o alla cioccolata.
La lingua saettò velocemente fuori, a passare sulle labbra: un movimento tanto meccanico quanto non desiderato.
Se chiudeva gli occhi, poteva ancora risentire il momento in cui la bocca di Edward si era posata sulla sua, delicata ed invitante; non era stato un contatto lungo e neanche troppo profondo, ma quel gesto così... inaspettato l’aveva lasciata completamente spiazzata.
Destabilizzata.
Da quando era uscito dalla stanza, non aveva fatto altro che chiedersi “Perché?”.
O meglio, quella era stata la seconda domanda, preceduta da un ben poco intelligente “Ma cosa...?”.

Sospirando, introdusse la chiavetta nell’apposita fessura, ma non schiacciò nessun pulsante, limitandosi a sfiorare la cordicella a cui era attaccata con le dita.
Che avesse voluto divertirsi alle sue spalle?
Era questo che si chiedeva; del resto, era un bel ragazzo, perché quindi non giocare con le ragazze?
Sapeva bene di essere stata ben poco professionale nella stanza, poco prima: più volte l’aveva guardato con interesse ed al contempo imbarazzo e si conosceva abbastanza da sapere di essere un libro aperto, quando si trattava di emozioni. E c’erano ragazzi che non si facevano scrupoli ad approfittarne non appena scorgevano anche un blando interesse nei loro confronti.
La sensazione che quell’Edward potesse compiere un gesto simile a più donne – e chissà a quante altre truccatrici l’aveva fatto! – la faceva sentire umiliata. Ed irritata, nervosa, indignata.
Pure imbarazzata, se solo ripensava alla stupida espressione che le doveva essere apparsa in volto, non appena si era staccato – e ciò non fece altro che aumentare l’irritazione verso di lui.
Lasciandosi trascinare dalle emozioni, pigiò con eccessiva forza il pulsante della cioccolata – adorava il caffè, ma in quel momento sicuramente non l’avrebbe aiutata a distendere i nervi.
Idiota.
Uno schiaffo in volto avrebbe dovuto mollargli.
E pure un altro bacio, magari...

Idiota.

***

Era passata quasi un’ora da quando era rimasta sola ed Isabella non sapeva come passare il tempo.
O meglio, sapeva che, se non fosse successo quello che era successo, lei in quel momento sarebbe stata sul set, a godersi da un angolo tranquillo gli scatti del servizio.
Nessuno si sarebbe accordo di lei, intenti a preparare gli abiti da cambiare, a spostare luci e specchi.
E lei così avrebbe osservato il fotografo muoversi con sicurezza, avrebbe ascoltato le sue parole ed avrebbe guardato come il modello avrebbe seguito le sue richieste.
Ma, per l’appunto, era successo quel che era successo.
Si ritrovava ora seduta dove prima si era accomodato Edward, a sorseggiare la bevanda ormai quasi finita, studiandosi allo specchio.
E quel che vedeva era... normale.
Si era raccolta i capelli, marroni, in una coda disordinata ed il volto era quasi privo di trucco, se non per un velo di fard che le copriva le guance.
Strinse il bicchiere, posandolo sopra le ginocchia, concedendosi così un’occhiata al proprio corpo: di certo, non un fisico formoso o perfetto. E, a suo dire, neppure coperto da chissà quali ricercati vestiti.
Quando rialzò lo sguardo, puntandolo sulla superficie riflettente, la solita, fastidiosa domanda risuonava nella mente: perché?
Il suo lato più razionale propendeva per una pura dimostrazione di testosterone: si era visto ammirato, ci aveva provato e gli era andata bene.
Quale altro motivo poteva esserci per poter baciare una ragazza come me?
Sconosciuta, per di più!
Eppure, quel suo osservare le persone con occhio attento, quello sguardo che la portava ad amare i dettagli della vita quotidiana, non aveva scorto traccia di superbia od arroganza in quel volto cesellato.
Aveva visto bene il suo sguardo intenso, come aveva sentito quel “Grazie” mormorato con gentilezza.

Una bassa risata le sfuggì, che risuonò amara perfino alle sue orecchie: si sentiva ridicola per tutta l’importanza che stava dando a quel gesto. Gesto probabilmente dettato da chissà quale – basso – istinto. O semplicemente fatto così, tanto per. Già collaudato, magari?
Erano domande senza risposta, quelle.
E non si sentiva neanche tanto propensa a trovarne qualcuna; era ormai successo, basta.
Ora stava a lei cercare di mostrarsi più professionale e distaccata.
Ignorare, si disse.
Ignorare lui, la sua bellezza ed il suo modo di fare.
Non gli avrebbe domandato né “Ma” né “Perché”; nulla di nulla.
Non avrebbe avuto senso: la sua occasione per mostrare una reazione l’aveva sprecata, rimanendo imbambolata nella stanza, con il pensiero rivolto alle labbra che si erano posate sulle sue.
Cosa poteva dirgli dopo più di un’ora?
Nulla, appunto.

Sospirando, si alzò dalla sedia, andando a gettare il bicchiere nel cestino dei rifiuti.
Esplorò la stanza con lo sguardo, alla ricerca di un diversivo che la distraesse. Non conosceva ancora molta gente all’interno e probabilmente la maggior parte dei dipendenti si trovava sul set ad assistere o aiutare.
Ad un tratto, la sua attenzione venne catturata da un book nero poggiato su una delle mensole che abbellivano la stanza.
Era più che certa che non si trattasse di materiale dell’azienda – book come quelli sicuramente non trovavano la loro collocazione tra le riviste dei truccatori.
Si avvicinò cautamente, certa di sapere a chi appartenesse; non era difficile da notare, quindi non poteva essere lì da molto. E quando lesse il nome del modello, si ritrovò a mordersi un labbro, le dita che sfioravano la copertina esitanti.

Edward Cullen.

La tentazione di aprire il portfolio era tanta, mitigata però dall’indole solitamente riservata verso se stessa e gli altri. Pensò alla manager e all’idea di efficienza che si era fatta di lei; ora, vedendo il book là sopra, lasciato quasi con noncuranza, una parte di quella stima era diminuita: il costo che aveva crearsi un album non era certo basso, soprattutto se parte delle foto erano firmate da bravi e noti fotografi.
In ogni caso, non era quello un oggetto da lasciare incustodito.
Si chiese se era il caso di prenderlo ed andare a cercare la donna.
O Edward...
Ma scosse il capo, a quel pensiero: sarebbero sicuramente tornati dopo e ci avrebbe pensato allora a riconsegnarlo al legittimo proprietario.
Non era certa, però, di reggere la curiosità fino a quel momento, che sembrava tanto lontano.
L’occhiata che rivolse all’orologio era di pura frustrazione e lo sguardo venne calamitato di nuovo verso quel contenitore di pose ed espressioni, che rappresentava parte della vita professionale del modello.

Maledetta curiosità.

Le mani si mossero senza che potesse far nulla per fermarle: afferrò il book, soppesandolo e lanciando un’occhiata ansiosa alla porta, prima di dirigersi alla poltrona all’angolo.
Si concesse un ultimo, timoroso respiro, prima di aprire la copertina, non senza una certa esitazione; non si era mai considerata una persona curiosa, non più della norma perlomeno.
Non al punto di curiosare fra oggetti che non le appartenevano.
Ma quando il suo sguardo incontrò la prima foto, si ritrovò a trattenere il fiato, rapita dagli occhi smeraldini di Cullen.
Era seduto a terra, con la gamba destra piegata sopra l’altra, sul cui ginocchio poggiava il rispettivo braccio.
La schiena era eretta, il mento leggermente alto, che mostrava i tendini del collo.
Uno sguardo di sfida, uno sguardo di valutazione era quello che offriva all’obbiettivo, le labbra serrate in una linea sottile e seria.
I piedi erano scalzi, mentre una paio di paio di pantaloni bianchi fasciavano le lunghe gambe; una maglia grigia, di cotone, mostrava grazie allo scollo profondo parte della muscolatura definita del petto.
Seguì assorta la linea del collo, la curvatura del pomo d’Adamo, fino alla base incavata dove le clavicole risaltavano con discrezione.
E poi le spalle... spalle ampie, ma non eccessive.
Spalle da sfiorare, che indicavano sicuramente una schiena da accarezzare in tutta la sua lunghezza...

Imbarazzata dai suoi stessi pensieri, Isabella chiuse gli occhi giusto il tempo di calmare il battito accelerato del proprio cuore, fin troppo sensibile alle immagini che la mente le passava, tentatrici.
Era impossibile non trovarlo attraente; pur frequentando un’accademia artistica, che ospitava un’ampia varietà di genere maschile, trovava che l’eleganza di Edward, accompagnata dalla virilità e perfezione dei lineamenti, fosse merce rara. I tratti non erano banali, non riusciva a definirli solo “belli”; da che lavorava in quel mondo, aveva capito che le categorie di modelli potevano ben classificarsi in metrosessuali, omosessuali – più o meno dichiarati che fossero, ne bastava l’ammiccamento e l’atteggiamento –, giovani che giocavano con la loro sessualità, invitando il resto del mondo a scoprire di che genere fossero.
E a questi seguivano tante altre categorie e sottocategorie, il cui imperativo rimaneva sempre lo stesso: farsi notare.
Mentre riportava lentamente lo sguardo sulla foto e la ricollegava al ragazzo che le si era presentato, trovava che l’aggettivo migliore per descrivere il suo aspetto fosse “discrezione”: una bellezza non eccessiva, non ostentata, naturale e piacevole.
Ma nel ripensare al gesto che aveva compiuto prima di lasciarla sola, quella stessa parola risultava fin troppo inappropriata e fuori luogo.

Possibile che quel ragazzo che tanto sembra educato e serio, nasconda un comportamento invadente ed arrogante?

Con un dito, tracciò la figura di quell’Edward dal volto determinato ed intrigante. Professionale.
La mente le ripropose lo stesso volto mentre si staccava lentamente del suo, dopo averla baciata; l’ombra di un sorriso aveva piegato quelle labbra dopo che le aveva mormorato “Grazie”.
Si lasciò cadere all’indietro, il volto rivolto al soffitto, il ricordo di quel tocco caldo e fugace impresso a fuoco sulla sua bocca.

Cose devo pensare di te, Edward Cullen?

***

Al ritorno del modello, Isabella aveva già messo in chiaro con se stessa l’atteggiamento che avrebbe adottato: professionalità e distacco.
Nessuna scenata – il suo carattere non gliel’avrebbe permesso –, nessuna richiesta di spiegazioni – cosa doveva chiedergli? Soprattutto, per ottenere quale risposta?
Aveva racchiuso i vaneggiamenti di poco prima in un angolo della sua mente, quello che non poteva ignorare quanto Cullen fosse attraente.
Ma si conosceva anche abbastanza bene, da sapere che non sarebbe comunque riuscita a mantenersi impassibile.
Quando incrociò il suo sguardo, si sentì irrigidire al piccolo sorriso che le rivolse, mentre si toglieva una sciarpa dal collo per posarla su uno degli appendini presenti.
Nel convincersi a mantenere quanto più contegno possibile, che sottintendeva una mancanza di sguardi e possibili conversazioni, Isabella si rese conto che non aveva riflettuto sui possibili scenari che avrebbero potuto coinvolgerla, al suo arrivo; aveva dato per scontato che sarebbe rimasta in silenzio a struccarlo e pettinarlo, senza fare altro.
Ma ora... ora quel silenzio le creava un disagio che la portava a distogliere lo sguardo dal suo volto, mentre quel sorriso imprevisto ed impensabile le veniva rivolto.
Alla fine, Edward doveva essere un suo coetaneo, qualcuno di cui non aver timore nel rivolgergli la parola. Era chiaro, quindi, che quel suo comportamento rigido e nervoso smascherassero ogni suo piano, allontanando da sé quell’aria professionale che tanto desiderava possedere al momento.
Ed i sottintesi al suo nervosismo, ora, erano sicuramente chiari anche lui – perché era impossibile imputarlo al lavoro o a qualunque altra cosa non fosse il bacio di qualche ora fa.
Tuttavia il sorriso non era scomparso dal volto di Edward; si era seduto sulla sedia di fronte agli specchi ed aveva sollevato con lentezza il viso verso di lei, lo sguardo ombreggiato dai capelli che sfioravano la fronte.
Era un sorriso pigro, sottile... consapevole.

« Spero di non averti fatto attendere troppo».

Non perse il sorriso dalle labbra – e dagli occhi – nel parlare
Una affermazione che sapeva di quesito, la sua; sbatté gli occhi confusa, da quella – premura? Gentilezza? Provocazione? – assolutamente inaspettata.
Certamente non necessaria.
A quella conclusione, si volse, lasciando le parole in sospeso, per preparare il necessario per struccarlo; inspirò il profumo delicato di rose del detergente, quasi... reale, prima di versarne un po’ su un dischetto apposito.
E poi, di nuovo il volto di Edward – Edward con il suo sorriso ancora presente – e le mani giunte in grembo, i gomiti poggiati sui braccioli. Lo sguardo puntato su di lei.
Aspettativa.
Attesa.
Quasi avesse appena parlato...
Il « No» che le sfuggì dalle labbra fu naturale, dovuto quasi.
E si sentì una stupida, a quella considerazione: lei non gli doveva proprio un bel niente.
Ma quando vide le sue labbra tendersi maggiormente verso l’alto, si sentì spiacevolmente arrossire, il calore alle guance che la faceva sentire ancora più nervosa.
Decisa a non perdere tempo, cominciò a struccare la pelle di Edward, con movimenti delicati, per quanto la mano alle volte tremasse. I suoi occhi seguivano senza poterne fare a meno il tragitto della propria mano e con orrore si accorse del suo indugiare sul profilo della mandibola, un velo di barba appena accennato che scuriva la cute provocatoriamente.
Si alzò, cercando di non far apparire il suo movimento troppo precipitoso, adducendo la scusa di dover cambiare il dischetto.

« Sei nervosa... è colpa mia?»
Una scusa, appunto.
Fissò il suo sguardo sullo specchio, incontrando il suo.
« No», mormorò, evitando di tergiversare su una risposta che sapeva non poter evitare.
Una risposta che sapeva bene essere una bugia.
« Sicura?»
« N- Sì».
Ma le bugie hanno sempre avuto vita breve...
La bassa risata che le arrivò alle orecchie ebbe il potere di farla arrossire ulteriormente, per la misera figura appena fatta. E dentro di sé, l’indignazione urlava a gran voce. Non capiva cosa volesse da lei, quel ragazzo, perché continuasse a prestarle un’attenzione che non desiderava – o meglio, non apprezzava perché aveva il solo potere di renderla agitata. Ed il solo scopo di provocarla.
Con il nuovo dischetto imbevuto di detergente, si preparò all’ultima passata, pregando in cuor suo che la lascasse fare il suo lavoro senza rivolgerle più parola.
Non ci sperava neppure lei.

« Pensavo di vederti sul set, invece mi hanno affidato alle cure di una tua collega».
Hai baciato pure lei?
Domanda sbagliata.
Facendo finta di nulla, lo ripulì dalle ultime tracce di trucco sulla parte sinistra del volto; l’incarnato risultava ora leggermente lucido a causa del detergente, ma la mancanza di make-up non si faceva sentire.
« Stai tentando di ignorarmi?»
Con un sospiro, Isabella gettò il dischetto usato nel cestino, per poi prendere una crema idratante da applicare sulla pelle del viso. Se ne versò un po’ sulle mani, lentamente, prima di posarle sulle guance di Edward. Lui la fissava, attento, una nota di irritazione riconoscibile dal leggero broncio che gli increspava la bocca. Sentiva i suoi occhi su di sé, intensi – invadenti, quasi – e tanto le bastava per sentire il nervosismo accendersi nuovamente, un formicolio spiacevole che si propagava in tutto il corpo, fastidioso.
E quando lui parlò di nuovo, era certa che stavolta non sarebbe riuscita a trattenersi...

« Se ti baciassi di nuovo, reagiresti? O mi ignoreresti ancora?»

Si staccò bruscamente da lui, quasi si fosse scottata nel toccarlo – sensazione acuita dal calore che percepiva alle mani, ancora così sensibili, orfane di quella pelle morbida, ruvida solo su parte delle guance.
Lo fissò con gli occhi sbarrati, mentre Edward scuoteva il capo, ridacchiando sfacciatamente.
Le dita davanti alle labbra, quasi a mascherare quello sfogo di ilarità.
Le palpebre abbassate, a nascondere l’intensità del suo sguardo.
Imbarazzata oltremodo, irritata dalla sua sfacciataggine, nervosa per quel notare i dettagli della sua bellezza pure in quel momento in cui, oltraggiata, avrebbe dovuto soltanto alzare i tacchi ed andarsene, Isabella lasciò che i suoi pensieri divenissero parola, o sarebbe scoppiata nel trattenerli.
« Si può sapere cosa vuoi da me?»
Nonostante il timore che il rossore che le imporporava le guance potesse rendere meno efficace le proprie parole, osservò compiaciuta il morire della risata sul volto di Cullen, sostituita dall’ennesimo sorriso; abbassò le mani, poggiando i gomiti sulle ginocchia, il busto staccato dallo schienale della sedia.
Pur trovandosi in una posizione di dominanza rispetto a lui, lo sguardo così falsamente contrito che le rivolse la fece sentire a disagio: quel ragazzo sembrava emanare sensualità da ogni suo gesto e la padronanza che aveva di sé, quel riuscire a trovare sempre l’espressione o la parola giusta per metterla in soggezione, la facevano sentire fin troppo vulnerabile.
Fu solo per puro sforzo che non si portò una mano sulle labbra, quando vide gli occhi smeraldini abbassarsi velocemente su di esse, per poi, una volta accortosi di essere stato scoperto, abbassarsi sulle dita incrociate di fronte a sé.
« Oltre ad un altro bacio?», scherzò lui, continuando a fissare il pavimento, incurante dello sbigottimento che le aveva provocato.
Non fece in tempo a rispondergli; con un gesto quasi nervoso, Edward si era passato una mano fra i capelli, scompigliandoli con veemenza, per poi alzarsi in piedi, di fronte a lei.
Se già poco prima si era sentita in soggezione pur sovrastandolo, ora che i diversi centimetri di altezza che li separavano erano aumentati a suo sfavore, Isabella sentì forte l’impulso di arretrare. E lo avrebbe fatto, se non si fosse sentita stupida per il gesto – e se il bordo del ripiano non l’avesse bloccata.
Edward aveva affondato le mani nelle tasche dei jeans e la guardava con sguardo ora serio e teso.
« Mi dispiace per il comportamento di prima, mi rendo conto di essere stato un po’ sfacciato». Le lanciò un’occhiata di sottecchi, un misto di pentimento ed imbarazzo che le fece capire a quale momento, fra i tanti che potevano definirsi “sfacciati” si riferisse. « Mi riferisco a quando ti ho... baciata a tradimento», concluse, senza distogliere gli occhi dai suoi.
E allora perché l’hai fatto?
Si accorse di aver pensato ad alta voce solo quando lo vide abbassare il capo, sospirando e stringendosi nelle spalle.
Si pentì di aver parlato, vedendo quella reazione: la possibilità che non rispondesse affatto o peggio, che rispondesse con qualche frase che avrebbe sicuramente ferito il suo orgoglio di donna, era alta.
Era già pronta a battere in ritirata, dicendogli di lasciar perdere, che non era importante, quando la sua voce la precedette, bloccandola.
« Sinceramente non lo so neppure io», ammise ed ora era ricomparso il sorriso sul suo volto, a mezza bocca. « Penso che sia dipeso da tanti fattori: un po’ di nervosismo per il lavoro che mi ha sciolto più del necessario, la tua bella presenza e...», si fermò, umettandosi le labbra in quello che sembrava un moto di sincero imbarazzo – e non poté non stupirsi quando vide sulle sue guance comparire delle chiazze rosate. « La scollatura della tua maglietta», concluse cautamente, osservandola quasi si aspettasse di sentirla inveirgli contro.
Ma cosa...?
Lo sguardo di Bella si spostò velocemente verso il basso, sul suo petto, le mani che corsero a sfiorare i bottoni della maglietta nera che indossava; alcuni erano fuori dall’asola, ma non le sembrava di avere una scollatura profonda o poco consona.
Nel rialzare gli occhi, l’espressione che aveva in volto doveva essere particolarmente sconcertata, perché il sorriso di Edward si ampliò, così come si attenuò lo sguardo preoccupato che le rivolgeva.
« Quando ti chini, la maglietta si apre davanti, lasciando... ehm, intravedere, ecco. Non che volessi guardare, ma è difficile spostare lo sguardo se sei davanti a me», concluse, avanzando di un passo in sua direzione. Quell’aria tra il malizioso e il sorridente, insieme alle parole, la fecero avvampare più di quanto già non fosse.
E se ripensava a tutte le volte che si era chinata verso di lui...
« A-avresti potuto dirmelo», sbottò, evitando di portarsi una mano a coprirsi il petto solo per non essere accusata di eccessiva pudicizia.
« Hai ragione», le concesse. « Solo che...», vide il suo sguardo abbassarsi lentamente, in una carezza invisibile eppure così calda che le sembrò di avere le sue dita su di sé. Rabbrividì, quando quegli occhi troppo intensi tornarono ad incrociare i suoi. « Non ho saputo privarmi di quella visione».
Un altro passo verso di lei.
Sentiva il ripiano di marmo penetrare contro il suo retro coscia, tanto ne era addossata; mancava poco che ci si sedesse sopra, e forse lo avrebbe fatto se lui fosse avanzato ancora.
Non riusciva a capire.
Cosa voleva da lei? Che fosse un maniaco? Che la stesse prendendo in giro?
Chiuse gli occhi, per sottrarsi dalla morsa dei suoi, cercando di mantenere calmo il respiro e la propria mente..
« Edward», sussurrò, aprendo gli occhi lentamente, cercando di non indugiare su come suonava strano pronunciare a voce alta quel nome che fino ad ora aveva solo pensato. « Te lo chiedo di nuovo: cosa vuoi da me?»
Si complimentò con se stessa per non aver balbettato – seppur l’aveva sentito pure lei il tremito iniziale.
Lui l’aveva fissata in silenzio, lasciando che le parole pronunciate aleggiassero fra di loro, infinite risposte che attendevano di essere scelte, mentre il suo cuore batteva ad un ritmo troppo veloce ed agitato.
Sussultò, quando lui si mosse verso di lei.
Bastò quell’ultimo passo per trovarselo di fronte, il respiro che le solleticava il volto.
Fu una frazione di secondo, ma non riuscì a trattenersi e lo sguardo si abbassò sulle labbra di Cullen, prima, e poi scesero, fino a trovare la pelle nuda del collo.
Era troppo vicino.
Il disagio la irrigidì, facendole stringere con forza le mani sul marmo dietro di lei.
Quando le sfiorò i capelli, scostando alcune ciocche sfuggite alla coda, sobbalzò alzando di scatto il volto.
Le dita sottili le sfiorarono la tempia, mentre le labbra stette in una linea corrucciata si distesero lievemente.
Era tutto... assurdo.
Come lo era quel tocco, che la portava a rilassarsi, a desiderare di inclinare il capo per ricevere una carezza da quelle mani grandi e delicate.
« Voglio conoscerti», le rispose finalmente, lasciando che le falangi scivolassero lungo il profilo della mandibola, leggere.
Osservò come quegli occhi seguirono il movimento, in una doppia carezza sensuale e piacevole.
Era quasi sconvolgente come riuscisse ad irretire con un solo gesto.
Con uno solo sguardo.
« Voglio conoscerti», ribadì, stavolta guardandola in viso. Piano il sorriso si ampliò, quasi a voler mitigare l’elettricità e tensione del momento. Come se non bastasse quello per aumentarla. « Passeremo diverso tempo insieme e... sì, vorrei sapere chi è la mia truccatrice tanto affascinante».
Voltò il capo di scatto, lontano dai suoi occhi, a quelle parole.
La semplicità con cui le aveva pronunciate e la sincerità che aveva percepito la confondevano più di quanto desiderasse. Sembrava che si conoscessero da una vita, che lui la corteggiasse da sempre, quando in realtà non lo aveva conosciuto che qualche ora prima.
E sembrava quasi lontana l’ansia con cui aveva aspettato il suo arrivo – e ora si rese conto di quanto fosse giustificata, anche se non per le ragioni che aveva pensato.
« Perché?», mormorò a voce roca, rifiutandosi di credere che ci fosse una vero interesse fisico nei suoi confronti – lei, così banale e normale...
Chiuse gli occhi, quando sentì il naso sfiorarle la guancia – e labbra ad un soffio dalla pelle, il respiro che era basso e controllato...
« Perché la vita è così noiosa, piatta, che quando vedo un qualcosa di interessante ho bisogno di allungare una mano e trattenerlo». Un bacio sullo zigomo. « Conoscerlo». Uno sulla mandibola. « Scoprirlo». Un bacio sull’angolo della bocca, la morbidezza delle sue labbra, la lingua che fece capolino in un tocco fugace e destabilizzante.
« Sai di cioccolato, Isabella. E mi piace il cioccolato. Come mi piacciono i tuoi occhi...».

Era troppo.
Con le mani spinse sul suo petto, per allontanarlo – per cercare aria, per schiarire la mente.
Riuscì nel suo intento soltanto perché Edward l’assecondò, spostandosi quanto bastasse che le dita sfiorassero con i polpastrelli la pelle lasciata libera dallo scollo, mentre le braccia erano tese in tutta la loro lunghezza.
Aveva il respiro ansante, quando incrociò i suoi occhi, e si sentiva le guance maledettamente rosse.
Soprattutto, sentiva ancora la traccia infuocata delle sue labbra – ed il suo profumo che la stordiva.
Di fronte al suo sguardo, Edward abbassò gli occhi, pur mantenendo un vago sorriso.
« Chiedo scusa, mi sono lasciato trascinare ancora».
Se il suo fosse vero pentimento o meno, Isabella non riuscì a scoprirlo; la manager di Edward, dopo aver bussato brevemente, fece il suo ingresso nella stanza. Se trovò strana la scena o la loro vicinanza, fu brava a non darlo a vedere.
Invitò invece Cullen a muoversi, che erano attesi da un’altra parte e che erano già in ritardo.
Un’apparizione breve ed abbastanza rapida, visto che uscì subito, non prima – si accorse Isabella – di aver lanciato una lunga occhiata ad Edward.
In ogni caso, le fu più che grata per aver spezzato quel momento che era certa di non essere in grado a gestire.
Vide Edward affondare di nuovo le mani in tasca, sospirando.
Accortosi della sua occhiata, le rivolse un breve cenno del capo, gli occhi caldi e profondi, l’espressione di chi aveva tante altre cose da dire e che sapeva di averle solo rimandate ad un altro momento.
« A presto, allora», mormorò sorridendole, avviandosi poi verso la porta.
Isabella ne seguì la figura, osservando le spalle e non riuscendo a non scorrere lo sguardo lungo la schiena ampia, i fianchi che si muovevano ad ogni passo, il sedere fasciato dai jeans sodo e muscoloso...
Era impossibile non guardarlo.
Era... stupendo.
E lei...
« Potrebbe non piacerti andare più a fondo. Potrebbe non piacerti scoprire e conoscere...», si fermò, lasciando la frase in sospeso, senza avere il coraggio di indicare quale  fosse il “soggetto” da esaminare.
Edward si fermò alle sue parole, al limitare della porta.
Voltandosi, la trovò intenta a fissarlo, seria; aveva il respiro veloce, il petto che si abbassava ed alzava aritmicamente, il seno che tendeva la maglia in maniera invitante. E le guance erano chiazzate di rosso – lo sguardo era determinato ed al contempo fragile e timoroso. Sorrise.
Adorabile.
« Correrò volentieri il rischio».


***



Il titolo del capitolo è preso dall’episodio 6 della quarta stagione di “Grey’s Anatomy”.

Note: come avevo promesso, eccomi qui a postare ^^
Ovviamente non prometto di essere pronta per lunedì prossimo – sono in montagna e questo era a buon punto perché l’avevo già cominciato a casa – ma spero di farcela!
Prima di tutto, grazie per l’accoglienza: sono felice che il primo capitolo vi sia piaciuto e spero che questo possa essere all’altezza delle aspettative. Non girerà sempre attorno allo studio fotografico, ma per ora mi serviva concentrarmi su di loro e la loro “conoscenza”.

Per ora, continuo a postare in terza persona, sperando di non combinare troppi danni xD

Mi scuso se ci fossero inesattezze per quanto riguarda il book o la fase di make-up: ho cercato informazioni in Internet, ma in ogni caso ho cercato di essere il più vaga possibile. Non dovendo tornare – credo – di nuovo nell’argomento, spero che questi piccoli accenni nel capitolo non vi siano sembrati troppo fuori luogo e/o sbagliati.

E ci tengo a precisare una cosa - che mi ha fatto gongolare come una scema, ma che a voi può non fregare xD - la foto l'ho trovata dopo aver scritto la scena *___* Non ci contavo di trovarne una simile alla posa della foto del book, ma quando l'ho vista... ho detto "è lei!" xD

Sperando vi sia piaciuto, ringrazio tutti i lettori della storia, che commentano o meno! Grazie anche a chi segue, preferisce o ricorda! Gentilissimi =***

Ps: ho diverse mail in arretrato a cui rispondere. Mi scuso se non l’ho ancora fatto, ma ne approfitto ora che sono finalmente in vacanza. Scusate veramente l’attesa (_ _)

Risposte alle recensioni:

micol_1997: come promesso, eccomi qua a postare di lunedì ;)
Spero che anche questo capitolo sia stato piacevole da leggere. ^^
Un bacione ed a presto!

JessikinaCullen: carissima, che piacere sentirti!
Ti ringrazio per le parole, me arrossisce ^/////^ Non merito tanta fiducia!
Sì, ho detto che si svolgeranno più velocemente, ma la mia tendenza ad allungare tutto ciò che penso possa essere corto sta per fare un’altra vittima: questa storia :|
Spero di riuscire a far risaltare bene le loro emozioni, pur usando la terza persona – per ora, l’idea di passare tutto in prima è stata accantonata.
Sperando che anche questo capitolo ti sia piaciuto, ti mando un bacione!!!
E grazie mille, di nuovo, per la fiducia e per i complimenti ^____^

CherryBomb_: ti ringrazio per i complimenti e per le rassicurazioni. ^^
Non amo molto scrivere in terza persona – al mio attivo, posso dire di aver scritto una storia a due capitoli e qualche shot con questo metodo – preferendo di gran lunga la prima persona singolare e la seconda.
Ma ho voluto tentare – mi piace sperimentare!
E per quanto riguarda il suo essere modello... c’è ancora molto da dire xD
Purtroppo no, non faccio la fotografa né lavoro nel mondo della moda :| Quando mi soffermo sui dettagli, penso alle foto che ogni tanto vedo su “Deviant Art”, su certi particolari catturati, che potrebbero sembrare banali, ma che invece si trasformano in una foto veramente ben fatta.
Adoro le fotografie *____*
Spero che anche questo ti sia piaciuto!
Un bacione e grazie!!!

Semolina81: carissima co-Regionale xD
Che piacere ritrovarti anche qua! Oddio, hai bisogno di un po’ d’olio Carapelli per quegli ingranaggi? =P
Sia mai che mandi a me poi il conto per riparare il tutto u.u
Ahahahah xD Okay, torniamo “serie”.
Oddio, Pattinson, che nota dolente *sospira*. Purtroppo io non sono molto amante di codesta persona – o almeno, non è il mio Edward immaginario. Tuttavia ammetto di aver pensato, anche per ili book, alle tante foto che gli hanno fatto per la campagna Twilight – quella dove suona il piano, o dove ha un maglione che mi piaceva tanto o tante altre che non ricordo.
Eh, hai visto lui: se può, afferra u.u
Ma non sarà troppo sfrontato o pieno di sé, arrogante fino al midollo.
Solo un gioco di lenta seduzione *___*
Grazie mille per i complimenti, sei sempre gentilissima =***
Un bacione!!!

emy cullen: ciao! Mi fa piacere saperlo *___*
Non ti preoccupare, come vedi il bacio non è stato dimenticato, anzi, ne attende pure un altro :|
Questi uomini impazienti... u.u
Spero ti sia piaciuto anche questo capitolo!
Un bacione e grazie!!!

SognoDiUnaNotteDiMezzaEstate: ma che piacevole sorpresa!!!
Ciao carissima!!! Sono felice che ti sia piaciuto e grazie per avermelo fatto sapere – abbiamo qualcosa in comune, quando si tratta di recensire xD (io poi divento logorroica, quando lo faccio -.-‘)
È stata una bacata idea, quella di scrivere in terza persona, ma per ora resistiamo.
La prima mi richiederebbe più tempo ed approfondimento e preferisco così!
Grazie mille ancora!!!
Un bacione =***

luisina: eccola qua la pazza che mi va a commentare le shot alle undici di sera e fa ridere pure me, con i suoi commenti xD
Come vedi, terza persona mantenuta! Da persona pigra quale sono, modificare il tutto un po’ mi infastidiva – anche se so che, se mai decidessi di farlo più avanti, sarebbe peggio :|
Edward non si fa mancare nulla, no no.
Ma mi da un che di mascalzone che mi piace – pur mantenendosi, spero, al di sotto dell’arroganza. ^^
Probabilmente, lo assaliremmo noi per prima, senza aspettare che ci prenda per il polso ;)
Un bacione tesoro e grazie =***


A presto bella gente,
Anthea


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