Il Drago bianco

di Furiarossa
(/viewuser.php?uid=76786)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologo ***
Capitolo 2: *** Un visitatore inaspettato ***
Capitolo 3: *** Nadia, la sua famiglia, gli amici ***



Capitolo 1
*** prologo ***


NOTE SULLA STORIA DEI DRAGHI
(tratto dal primo volume dalla raccolta dei Libri d'Oro, Sacra Biblioteca)
Pianeta Gaia o Terra
Galassia Via Lattea, Sistema Solare.
Riferimenti storici a partire dall'Anno I del calendario dell'isola di Horn Blu.
I Due Eventi: nascita della vita e della dragoneria sul pianeta.
Horn Blu, è questo il nome dell'isola più grande e bella di Gaia, altro nome del nostro pianeta Terra, come pure la più misteriosa.
Nessuno degli uomini comuni, di coloro i quali vengono chiamati dai draghi uomini di continente, sa di preciso dove essa si trovi o come ci si possa arrivare, e non sarà certamente qui che i curiosi lo scopriranno. Ma tutti coloro che hanno intenzione di visitarla possono farlo con la mente, ripercorrendo le avventure dei pochi uomini prodi che hanno osato rimanere su quell'isola dannata e benedetta, quell'isola vissuta nei secoli da creature mitiche e leggendari eroi che hanno sfidato i limiti dello spazio e del possibile, assicurandosi un posto dei miti d'ogni luogo, quell'isola dove nulla è ciò che sembra.
La storia stessa di questo luogo è enormemente lunga e non ha una precisa data d'inizio come d'altronde non lo ha l'inizio della vita sul nostro pianeta … ebbe genesi dunque milioni e milioni d'anni fa, quando tutte le terre emerse erano riunite in un unico blocco, la grande Pangea, ed Horn Blu era l'unico ammasso di rocce e terreno ad essere staccato da quel tutto che un giorno avrebbe dato origine ai grandi continenti.
Bisogna innanzitutto, per capire meglio, parlare della conformazione fisica dell'isola. Al tempo, questo ammasso di terra isolato dal resto della Pangea, era come tutte le altre terre un ammasso di calde rocce e possedeva un vulcano altissimo, quello che oggi gli abitanti del luogo chiamano "il Grande Horn", o il Grande Corno, visto per l'appunto che la struttura possiede versanti terribilmente ripidi e che nell'insieme lo fanno sembrare proprio un corno. Il resto dell'isola, grande più o meno come due volte l'Italia, era disseminato di piccole colline di origine vulcanica e curiosi crateri dovuti alla caduta accidentale di un certo numero di meteoriti.
Come in tutto il resto del pianeta, la terra inizio a raffreddarsi, ma l'isola non appariva in alcun modo diversa dal resto della Pangea, perché a distinguerla da essa non era ancora sopraggiunto il carattere più importante: la vita.
Poi il miracolo accadde sulla vetta del grande Horn.
Si racconta che un certo tipo di esseri, civili e sviluppati come nessun'altro a migliaia di anni luce di distanza in tutte le direzioni della nostra galassia, scesero dal cielo con le loro Atalantridi, quelle che oggi si definirebbero navicelle spaziali. Da ciò che di loro si sa, attraverso la memoria ancestrale estratta dai luoghi e i ricordi di Coloro che Furono, questa specie era molto simile a quella dei sauri terrestri per caratteri morfologici, ma molto più grande per taglia e con dita prensili che permettevano loro di destreggiarsi meravigliosamente bene nel mondo della tecnologia.
Essi atterrarono sulla vetta più alta di Gaia, un monte enorme, ben più alto dell'Everest, a cui diedero il nome di Horn.
Infatti, il Grande Horn, fu uno dei primissimi vulcani a spegnersi, perlomeno nel suo cratere principale, mentre la lava continuava a fuoriuscire dalle aperture più basse del camino.
Quelle strane creature, si dice, si chiamassero "dragonixius", forme di vita avanzatissime che avevano approfittato del passaggio di una grande cometa per accodarvisi ed essere trascinati dalla sua gravità. Quest'ultima li aveva infine condotti su un pianeta arido e molto giovane, in continua evoluzione.
Immediatamente, da saggi seminatori dell'universo quali erano, compresero che la posizione di quel pianeta rispetto al Sole gli dava un vantaggio ben maggiore rispetto a quello degli altri corpi celesti della galassia e che lì poteva stabilirsi la vita. Il più grande dei miracoli.
Così i dragonixius compirono il loro lavoro: portarono il brodo primordiale, sorta di liquido nella quale centinaia di esseri unicellulari proliferavano, dalla quale si sarebbero più tardi sviluppati tutti i viventi, e lo posero all'interno di una fonte sul picco Horn, pronta a svilupparsi al calore dell'allora vulcanico pianeta, e fu lasciato a se stesso.
Poi un composto di simile aspetto ma ignota composizione venne collocato in un'altra fonte, sorvegliato tre giorni e tre notti, benedetto dalle parole dei visitatori alieni con parole di potere che pronunciate sull'acqua di quella fonte le avrebbero conferito il Dono ed altre proprietà straordinarie, infine anch'essa abbandonata al suo destino.
E dunque questo fu l'inizio della storia sul nostro pianeta, con le due Fonti della Vita, che tuttavia seguirono uno sviluppo totalmente diversa l'una dell'altra e vennero conosciute con i nomi che, molto più tardi, le diedero i grandi draghi terrestri: fonte Human e fonte Draco, dalle maggiori creature che in seguito vi si originarono.
In effetti la prima fonte, la Human,ebbe lo sviluppo che tutti conoscono: prima alghe unicellulari e batteri, a seguire le piante superiori acquatiche, i primi pesci, le piante terrestri, gli anfibi, i rettili, gli uccelli e i mammiferi,ed in quest'ultima classificazione l'uomo, homo sapiens sapiens, che diede il nome alla fonte che lo originò.
La fonte Draco invece ebbe uno sviluppo ben diverso e sconosciuto da i più.
Ed è sulla fonte Draco, ricordiamo, che venne pronunciato il Giuramento del Ricordo, che appunto tutte le creature nate da essa ricordano, perchè se così non fosse non potrei raccontare tale storia perchè questa sarebbe sconosciuta agli abitanti della terra, o Gaia come un tempo veniva chiamato il nostro bel pianeta.
Lo sviluppo vero e proprio della mitica fonte Draco è in realtà molto più recente di quanto si immagini, solo qualche decennio prima della comparsa dell'Homo Erectus, ed ebbe un'evoluzione velocissima che, per ironia della sorte, coincise con la nascita del puro male sul nostro pianeta, pertanto è da qui che inizierò a parlarvi delle avventure horniane, dalla genesi del malvagio.
Ci tengo però prima di tutto a precisare cosa è il male, poiché la mente umana è famosa per la confusione che vi regna, ed essendo questo libro destinato ad umani non vorrei mai che, nelle avventure che in seguito narrerò, il male venga confuso con ben diversi concetti che, spesso, nelle nostre menti delicate vengono associati al maligno.
Innanzitutto l'oscurità e il male non vanno confusi e sono concetti ben separati, seppure i malvagi, per natura, vengano favoriti dalle tenebre notturne per il compimento della loro subdola azione.
In realtà il male è il caos, si manifesta in forma di svantaggio per quasi tutte le parti agenti ed è quell'azione che distrugge una parte di "ciò che è"per trasformarla in una parte di "ciò che non è"o di "ciò che non serve",il male è la paura, lo sterminio, il dolore insensato, perfino la noia e l'altrettanto terribile inutilità, la tristezza, il gelo interiore, l'abbandono, la solitudine e tutto ciò che era la chimera nera, il demone.
L'orrenda belva nacque nelle profondità dell'Horners, una regione sotterranea vasta come metà del Portogallo che si trova esattamente alla base del mastodontico monte Horn Blu,e vi ebbe origine in un anno remoto che venne detto "Mefist's Year", l'Anno di Mefisto.
Ed in queste antiche profondità ebbe vita la morte.
Tutto a quei tempi era in armonia ed il mondo animale viveva in perfetto equilibro con quello vegetale, l'isola di Horn era un tripudio di vita, coperta di foreste vergini, di grandi fiumi, laghi, paludi e vi abitavano le bestie più grandi del mondo e le più sagge fra le creature, i druidi.
Ma a poco a poco l'equilibrio iniziò a sbilanciarsi pericolosamente, qualcosa non era andato, qualcuno si era trasformato ed in breve un gruppo di creature arrivò a violare la Prima Legge, legge che dettava uccidere per mangiare o non essere mangiati, e provarono incredibilmente gusto nel farlo, ma il Consiglio dei boschi perdonò loro l'orrendo crimine e commise un errore fatale.
Quel gruppo di creature malvagie che aveva violato la Prima Legge continuò impunita a commettere uno scempio dopo l'altro, ad ammazzare ogni creatura senza lo scopo di nutrirsi, per divertimento, perchè si sentivano superiori e perchè l'abbassamento altrui li faceva sentire innalzati. Erano drogati di sangue.
La macabra filosofia di vita di queste creature venne presto abbracciata da molti altri cultori e in qualche anno di orrendi massacri furono un esercito quasi inarrestabile.
Ma il gran Consiglio dei Boschi, l'unico che aveva ancora potere su quella massa di esseri brutali, decise dopo tanti anni di agire e li confinò all'interno della regione sotterranea di Horners, ma avendo ancora una volta commesso un tremendo errore di valutazione.
Infatti è laggiù, nella regione sotterranea, che covava l'odio più profondo di un popolo reso inoffensivo, la rabbia più tremenda, il rancore verso i boschi, i boschi del Consiglio, i sentimenti più aberranti che diedero una mente ed un corpo all'entità maligna, misero al mondo la chimera.
Questa era una bestia oscura, dalle molteplici capacità, di grande taglia, che appariva più volentieri sotto forma di un enorme felino dai lineamenti bastardi, metà di leone e metà di pantera, capace di incutere timore a chiunque mai la fronteggiasse. Era letale sia davanti, grazie agli artigli simili a pugnali neri,sia dietro,grazie ai suoi zoccoli caprini duri come il puro diamante, rendendola una creatura invincibile persino dagli enormi Tirannosaurus Rex che dalle formidabili tigri dai denti a sciabola,che erano in quell'epoca remota i signori della terra. Avrete notato forse un'imprecisione dal punto di vista storico nel collocare insieme al T-Rex una tigre dai denti a sciabola, ma in realtà non ve ne sono: nell'isola di Horn vivono tutt'oggi queste straordinarie creature ed a quei tempi erano ancora più numerose, immaginate quindi quanto forte potesse essere l'esercito disposto a combattere la chimera. Ebbene nessuno riuscì a batterla e la belva avrebbe agito indisturbata fino a molti anni dopo.
Quando tutti i maligni che giacevano nella regione sotterranea di Horners morirono, la chimera decise finalmente di uscire nella luce accecante del sole e scoprì che non gli faceva alcun effetto, ma il buio, nella quale era cresciuta, la rafforzava. Ecco perchè ancora oggi il male è associato alle tenebre.
Fu così che ogni notte a partire dall'uscita alla luce della chimera morirono sessantasei creature,e questo massacro durò per sei mesi,poi la chimera quietò la sua brama di uccidere e si quietò, si ritirò dunque nella sua tana nascosta. Poi, dopo sei mesi, ricomparve e stavolta uccise le sue vittime ininterrottamente, spostandosi da un luogo all'altro, continuando il suo sterminio per sei mesi, sei giorni e sei ore, poi di nuovo scomparve, andando a nascondersi in un qualche buco oscuro presso i Monti Rob, una catena montuosa impervia a Nord dell'isola.
I misteriosi Druidi, capi supremi del Consiglio dei Boschi, decisero di fare qualcosa per opporsi a questo indescrivibile massacro provocato da una o più spietate creature di cui nemmeno sapevano l'esistenza e convocarono dunque le creature da ogni luogo del mondo, si recarono poi presso la fonte Draco, un luogo sacro, per sperare di avere un'idea che potesse mettere fine all'infinito tributo di vittime che continuavano a pagare, a quella richiesta di sangue innocente.
E c'era tra loro anche un vecchio rettile gigantesco, una sorta di drago, ma mortale, dalla vita limitata, che nonostante l'età avanzatissima si recò lassù con sforzo immane, disperato, poiché quella bestia detta chimera aveva sterminato la sua intera specie e lo aveva lasciato solo al mondo, troppo vecchio e troppo triste.
La fatica compiuta per scalare quel monte troppo alto, il monte Horn, era tale che il suo consumato organismo non l'avrebbe retta, ed arrivato in cima ebbe appena la forza di trascinarsi sulla fonte Draco, poi vi cadde dentro … i suoi ultimi ansiti rochi riecheggiarono ovunque, i suoi polmoni si contrassero e dilatarono allo spasimo, cercando aria … ma il cuore era troppo stanco.
La testa pesante dell'animale cadde nell'acqua, gli occhi sbarrati, e non si mosse più. Le creature intorno si affrettarono a portare via il corpo inerte e gigantesco, e nel farlo scoprirono che c'era qualcosa sotto il corpo del rettile, immerso nell'acqua.
Un uovo.
I druidi capirono: un segno, non un uovo.
Ed in quella sferetta bianca e lucida furono concentrate le speranze di tutti gli animali e, cosa più importante, il liquido della sacra fonte Draco fluì al suo interno dandogli nuova energia e conferendogli una caratteristica straordinaria. La perfezione.
All'alba del mese seguente il guscio si ruppe,e non fu uno scaglioso rettile bruno ad uscirne,ma una creatura di straordinaria bellezza.
Non somigliava per nulla al suo sfortunato genitore, no, lui nonostante l'esigua taglia emanava rispetto e dignità: aveva le sottili squame candide come la neve e dure come l'acciaio, due robuste corna nere e lucide sovrastavano la bella testa dai lineamenti leggiadri, fini e aristocratici. Possedeva un magnifico paio di forti ali trasparenti, che in quel momento brillavano attraversate da luminosi raggi dell'astro diurno, il corpo slanciato riluceva d'argento puro sotto il sole nascente, e la sua energia vitale gli donava un alone di luce bianca che gli splendeva intorno come un mantello di ghiaccio: era nato il primo vero drago. Scelse da solo il suo leggendario quanto regale nome: Zeus,che nell'antica lingua universale significa "colui che è re di tutto".
Ed essendo nato per salvare la terra, in quel tempo Gaia, era l'anima stessa della terra, soffrendo e gioendo per ogni cosa che su essa accadeva, svelandone i più profondi segreti e traendo energia dalla sua materia.
La sua crescita era impressionante:due mesi gli bastarono per raggiungere la taglia di una chimera nera, e fu allora che gli animali decisero, speranzosi, di inviarlo verso l'Horn Blu, l'isola che un tempo era considerata una terra consacrata al bene, ora sotto il controllo delle tremende chimere. Tremende, non tremenda, perchè in quegli anni la demoniaca bestia si era moltiplicata.
Ciò che vide quando arrivò fu uno scenario sconcertante per il giovane drago: una vasta distesa arida e deserta, bruciata, intrisa di sangue e tempestata di cadaveri ammucchiati in cataste informi. Ciò accrebbe ancora di più in lui il sentimento di odio bruciante nei confronti delle malvagie chimere. Quando finalmente arrivò al roccioso covo delle creature maligne centinaia di quelle belve ottuse e malvagie gli si avventarono contro per ucciderlo ma il drago tenne testa a tutte loro e le ammazzò una ad una con i suoi potenti artigli, infine mise in fuga gli ultimi rimasti che dovettero rifugiarsi solitari sulle cime dei monti Rob, da allora ribattezzati in tutta l'isola "Monti Del Sangue Nero".
Negli anni che vennero,i territori dell'l'Horn blu riacquistarono la loro straordinaria bellezza e il primo drago bianco regnò come un sovrano giusto e buono per millenni di millenni, finché non nacque il primo vero uomo,un animale strano, incline al male ma nonostante tutto con un'intelligenza ben fuori dal comune. Gli altri draghi, i sette figli del re, videro e ammisero che quel piccolo mammifero fosse molto bravo e furbo, affezionato più di ogni altro al suo re e superiore a tanti animali per capacità di pensiero, così, quando il dragone bianco salutò tutti e si ritirò dall'incarico reale per vivere altrove e riposarsi, affidarono l'impero a un uomo di nome Zeo che però amava troppo il suo vecchio sovrano per separarsene; così comando che il primo drago bianco venisse a vivere insieme a lui. Zeus, dragone leale e rispettoso, rimase a corte, sicuro del fatto che la sua esistenza sarebbe stata allietata dalla presenza di un vero amico, un essere puro che mai gli avrebbe voltato le spalle. E ben presto l'amicizia che li legava divenne così forte che l'uomo acquistò persino la leggendaria longevità del drago: erano nati i primi dragonieri, il cavaliere uomo Zeo e il dragone bianco Zeus. Avrebbero dato vita, entrambi, al più grande e onorevole ordine esistente, quello della Dragoneria.
Lui e l'uomo combatterono insieme tante battaglie, e vissero tante avventure, poi scomparvero per andare chissà dove e chissà quanto lontano...
Così, in tanti anni, furono i figli del dragone bianco a regnare giustamente e saggiamente, continuando così per molto, molto, moltissimo tempo.
Tutto questo tempo bastò per far nascere le altre decine di centinaia di razze di draghi, una per ogni regione del mondo, tutte con qualità, forme e dimensioni diverse per riuscire ad adattarsi a seconda dell'ambiente di vita. La vita prosperò felice per tutti sulla terra e gli anni di quel regno furono gli anni più belli e fertili di tutta la storia del nostro amato pianeta
Ma la malvagità, dopo tanti e tanti anni, tornò a ruggire sottoforma di uno strano e perfido drago nero di nome Ermes che continuò l'opera della prima chimera nera, uccidendo quasi tutti i draghi buoni rimasti. Riuscì in breve tempo a convincere gli uomini che tutti i draghi, in fondo, erano malvagi come lui e non aspettavano altro che vedere le persone distratte e saltargli addosso per ucciderli, mettendo discordia fra i nobili rettili e il genere umano, segnandone per sempre la loro separazione. Ci fu dunque un tempo del nostro mondo, seppur molto, molto remoto, in cui delle meravigliose ed enormi creature alate solcavano maestose i cieli, si levavano in volo indisturbate, tracciando in cielo archi lucenti, e si posavano sulla terra leggiadre, nonostante la maestosa mole. E quando tutte insieme si muovevano, in branchi di cento o più, le loro scaglie d'acciaio scintillavano di mille perlacei e riflettenti colori, dando l'impressione che un enorme arcobaleno metallico ed iridescente si fosse staccato dal cielo per ondeggiare flessuoso sulla terra.
Draghi, o dragoni, venivano esse chiamate.
In compagnia dei loro cavalieri umani, i leggendari dragonieri, regolavano le leggi e l'equilibrio delle società, reggevano la giustizia dell'impero e amministravano i loro infiniti tesori con grande saggezza. Ci fu infatti un'era in cui la razza umana era ancora saggia e conscia delle proprie azioni, tempi lontanissimi in cui il cuore dell'uomo era puro in modo eguale a quello del drago. Poi tutto cambiò.
I draghi, all'inizio della loro antica storia, erano delle creature rare, che divennero leggendarie, che amavano mettersi in mostra, esporsi al pericolo, segnare decisivamente la storia dei popoli sul nostro pianeta e compiere imprese eccezionali. La loro forza era enorme, la loro sapienza infinita, ma una cosa li danneggiava più di ogni altra: con il passare del tempo ed a causa della loro esuberanza divennero creature battagliere, sempre più dedite alla lotta per la supremazia.
In parte la colpa fu dei cavalieri umani che li accompagnavano, che con la loro sete di sangue e vendetta fecero in modo di accrescere ancora la loro ferocia e li ridussero quasi tutti a bestie rabbiose che si combattevano fra loro per il dominio dei territori del pianeta. Ma la saggezza di un drago è grande,molto più di quella degli uomini,e così in brevissimo tempo queste straordinarie creature ammisero e corressero i loro sbagli che per la prima volta li avevano portati sull'orlo dell'estinzione. Insegnarono cos'era la vera vita alla strana razza umana, che, dopo il periodo detto "della grande ferocia", erano divenuti esseri meschini, ridotti ad uccidersi fra loro.
Oggi i draghi sono creature pacifiche, gioviali e intelligenti. Vivono tuttavia nascosti rispetto al resto del mondo, in Horn Blu Island o su picchi irraggiungibili, adorano i piccoli villaggi di amici e il loro unico volere è che la pace prosperi e le terre siano fertili. La loro mitica forza, prima dell'assalto delle forze maligne, era al servizio del pubblico benessere, dell'agricoltura e dell'edilizia, grazie a loro la vita prosperava.
La comunità dei Dragonieri Uniti viveva in modo semplice, una vita di natura e di libertà: i draghi e i loro cavalieri umani, nascosti nelle piccole cittadelle agricole di un'isola celata al mondo, conducevano un'esistenza votata semplicemente al benessere e dedicavano gran parte della loro vita allo studio delle scienze che potevano migliorare il modo di vivere nel mondo.
Ma il tempo della pace era finito: ora avevano bisogno di aiuto, di un disperato aiuto, per proteggere la corona del pianeta, l'isola della vita:Horn Blu Island. Le forze del male, dopo secoli di sonno profondo, si erano risvegliate, ora più potenti e pericolose che mai. Il regno era caduto nel caos più profondo, gli ultimi uomini dell'isola, che conservavano il sapere tramandato loro dai dragoni, stavano scomparendo uno ad uno, eliminati dalla setta malvagia Ermes Om'ta, la vendetta di Ermes.
............

Ora però, quando Ermes morì, lasciò dietro di se una grande quantità di seguaci accaniti, i perfidi Ermeti, che mirano a completare l'oscuro progetto di conquista, non solo del mondo ma dell'universo, che il loro predecessore, il potente dragone oscuro, aveva lasciato incompiuto. Oltre ciò una terribile notizia aveva iniziato a girare per tutta l'isola: il male era ritornato, e stavolta il suo nome era Chaos Ermio, meglio conosciuto con il nome con cui amava essere chiamato: "maestro" Ermes Junior. La nuova belva, ancora sconosciuta alle forze del bene, aspira a ciò che Ermes oscuro e la chimera originaria aspirarono molto tempo prima e complottando nell'ombra ha già iniziato a scombussolare le sorti del regno. Allora quattro potenti draghi partirono per raggiungere i quattro angoli estremi del regno, dove il caos generato dai malvagi Ermeti si è impossessato delle terre. I quattro draghi bianchi erano i supremi guardiani: Akel, Rondonyk, Efron e Laya, i primi figli del re Zeus. Ma nonostante i loro sforzi e il loro coraggio non fecero mai ritorno al feudo imperiale, la loro casa nativa.
Fine documento. Inizio avventura.
.................................................................
Perciò i nobili dragoni e il loro re, sopravvissuti nascosti dal mondo grazie alla barriera dell'isola di Horn Blu, hanno ora bisogno della venuta di qualcuno, di un essere umano e di un drago, finalmente in grado di aiutarli ad eliminare per sempre le forze del male, risorte ora più potenti che mai.
Ma un pericolo inaspettato stava per presentarsi, un nemico ancora più temibile di Ermes, il potente drago oscuro, un pericolo il cui nome non sarebbe stato pronunciato che sole due volte. Non era un drago né un uomo, non era chimera né bestia delle foreste, la sua mente non era in grado di amare, ad ogni passo spargeva male. Per fortuna, quando la grande guerra di mannari, elfi e dragonieri iniziò, il suo sviluppo era ancora all'inizio...

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Un visitatore inaspettato ***


UN VISITATORE INASPETTATO

Era una serata come tante altre, per molti aspetti, eppure il vento del Sud-Ovest stava portando una nuova aria esotica, aria di un’attesa vibrante, di cambiamento grande e imminente entrò in un paesino che vedeva solo molto raramente dei veri cambiamenti.  Lo scirocco sferzò i tronchi, cantò le sue più belle canzoni, mentre frusciava caloroso fra le fronde verdi ed estesissime.

Strani rumori si udirono nell’ombra crepuscolare di un vecchio uliveto di piante secolari, rumori bassi e talvolta instabili, come di piccoli vortici succhianti nel terreno, tonfi e schiocchi irregolari. Sembrava che la terra e le rocce avessero vita propria.

Gli uccelletti che dormivano sugli alberi entrarono immediatamente in agitazione e iniziarono a pigolare lamentosi, i grandi corvi gracchiarono arrabbiati per l’intrusione notturna: quelle erano creature che potremmo definire autentici animali di campagna e non erano affatto abituati a essere disturbati mentre dormivano, così accolsero a malavoglia quel visitatore.

Ed il visitatore era appena uscito da una buca nel terreno, e questo era già di per se una cosa anomala.

Un barbagianni, che se ne stava appollaiato con la solita espressione per metà rapace e per metà annoiata, fischiò cupo spalancando il piccolo becco adunco e rialzò il testone bordato di bianco per vedere meglio cosa stava succedendo sotto di lui. Il suo primo pensiero fu che le creature terrestri erano davvero strane.

Poi nel suo piccolo cervello sopravvenne un ricordo antico come il mondo, un ricordo che ogni creatura libera e selvaggia ancora serbava. Era quello del barbagianni, come quello dello scuro corvo, della rana, o della biscia nerastra dal collare, un riemergere di pensieri sepolti, la loro animalesca memoria ancestrale che gli permise di quietarsi ed accogliere il nuovo arrivato senza proteste, anzi con gioia.

L’essere che era uscito dalla buca, con passo felino e sicuro, spostò il suo poderoso corpo in un punto illuminato dalla luce di luna piena e iniziò a guardarsi intorno con circospezione ed una sorta di curiosità selvatica ed eccitata. Emanava un’aura di potere ma nello stesso tempo tranquillizzante.

E nessuno all’inizio lo avrebbe creduto, ma quello era un uomo.

Un uomo che poteva avere al massimo trentacinque o quarant’anni portati al meglio, con i lineamenti esotici di un indiano e gli occhi della stessa forma di quelli di un cinese, stretti e allungati, con le iridi dello stesso colore di quelli d’un norvegese molto chiaro.

Chi lo avesse guardato non avrebbe saputo definire da quale regione potesse provenire.

Era alto ma non troppo, non superava il metro e novanta, muscoloso, ma non gonfio come un culturista, con spalle larghe e dritte, il busto poderoso e gli arti perfettamente proporzionati, agile come una pantera furtiva, elastico come pochi altri esseri umani ed evidentemente abituato a una vita frenetica, fatta d’azione.

Non era affatto uno di quegli umani che di solito si potevano vedere in quei posti, nei paesini sperduti della Calabria, ed evidentemente era partito da un luogo lontanissimo e poco conosciuto dagli umani comuni, un’isola nascosta.

E la sua strana provenienza era testimoniata da ogni particolare di lui: gli occhi azzurri e chiarissimi ma simili nella forma a quelli degli orientali, i capelli colorati di nero cupo e spettinati, le cicatrici che portava sulle braccia scoperte e su una parte del viso, i baffetti cortissimi che terminavano in una piccola punta arricciata verso l’alto, i vestiti pregiati ma comodi e lo spadone gigantesco che pendeva a tracolla. E proprio lo spadone era una delle cose di lui incuriosiva di più, forse per l’elsa in cui era incastonato un grande topazio tondo o forse per il colore del suo enorme fodero verde acido, cosparso di rossi simboli cinesi e di un alfabeto dimenticato e spigoloso.

L’uomo si girò tranquillamente, mosse una grande mano nervosa, dalle dita forti, verso la tasca e ne estrasse un foglietto giallastro e consunto, guardandolo di traverso come se qualcosa in quegli scarabocchi che vi erano tracciati sopra non andasse bene, poi lo ripose di nuovo nella sua ampia tasca decorata da fili d’oro e portò entrambe le mani verso l’impugnatura della spada, estraendola dal fodero con un rumore felpato, appena percepibile dall’orecchio umano.

L’arma aveva una lama lunga e pulita, lucidissima quanto di sicuro mortale, marchiata al centro con una forma strana, un simbolo verde che sembrava un drago stilizzato, con le ali sproporzionate.

L’uomo si portò la lama davanti al petto con un gesto che a molti sarebbe sembrato piuttosto teatrale, sollevo la testa con insolita cautela e fiutò l’aria come spesso fanno anche gli animali selvaggi,  poi si avviò verso la buca dalla quale era uscito, fermandosi davanti ad essa, in tacito e nervoso ascolto. Sembrava cercare le tracce dell’agguato di un qualche nemico. Ringuainò lo spadone, finalmente un pò rassicurato, fece un gesto rapido e indistinguibile con le mani, poi si abbassò e con nervosismo si tolse i guanti di strana pelle nera che le proteggevano. Sembrava pelle di coccodrillo ma era più spessa,molto più spessa e lucida,come legno morbido.

Un verso lugubre riecheggiò tutt’intorno, l’ululato potente e lungo di un lupo.

L’uomo si mise un attimo in ascolto, per una volta soddisfatto, poi ritornò alla sua insolita occupazione. Fece altri ampi gesti con le grandi mani segnate dal lavoro, pronunciando antiche parole di potere che parevano avere uno strano influsso sulla natura circostante: tutto era fermo, gli uccelli silenti nei loro nidi, i lupi zitti in ascolto, i topi nelle loro tane, mentre un’eccitazione febbrile ma non comunicata si impadroniva degli animi di tutto ciò che era vivo e pulsante.

Il misterioso visitatore sorrise nel sentire quella vibrante, taciturna attesa. Ed aveva uno strano e toccante sorriso, vivace e sicuro, propagato ad ogni parte del suo meraviglioso corpo, in particolare ai penetranti e esotici occhi azzurri, che parevano ridere, e ai lineamenti giovani che si distendevano ogni volta che era felice di qualcosa.

Senza smettere di sorridere, l’uomo, toccò il terreno ai suoi piedi con entrambe le mani, delicatamente ma con estrema sicurezza. Una delle sue mani, quella destra, splendeva di luce bianca e potente, che si rifletteva placida simile a neve sul topazio gigante incastonato sull’elsa della spada e sulle ricche rifiniture d’oro e argento del suo vestito principesco.

Una vibrazione potente scosse il terreno e lui si sollevò, allontanandosi lentamente dalla buca.

Mentre la luce che illuminava il palmo dell’uomo si esauriva lentamente, il terreno fu scosso da una sorta di vortice e dove prima c’era la piccola buca rettangolare ora c’era una costruzione ottagonale dall’aspetto incredibilmente vecchio e consunto, ma proprio per questo ancora più affascinante.

Il misterioso visitatore si rimise i guanti di pelle, poi si allontanò ancora un pò per contemplare la sua opera e sorrise di nuovo, mettendo in mostra due file di denti regolari e quattro canini bianchissimi che avrebbero fatto invidia a un vero vampiro. Rimase lì fermo, come un monumento, quasi tutta la notte, per godere dell’atmosfera magica che, una notte ogni trecento anni, riempie una piccola radura del mondo.

L’aria quasi immobile era piena di un profumo indescrivibile, un profumo di selvaggi fiori ed olivi mezzi addomesticati che tentavano di dominare l’uomo e che talvolta venivano dominati, un profumo portato dalla luna e dal lupo, uno strano sentore di Calabria e di un’isola ai confini della terra.

 
La malinconia del sorgere del sole in una terra antica del Mediterraneo.
La vita che sale e si desta,il profumo delle orchidee.
 

Poi, alle prime luci dell’alba, il visitatore salutò il sole sorgente con un inchino di riconoscenza, un inchino profondo e ricco di significato. Con quell’inchino si congedava dal mondo che noi conosciamo.

Diede le spalle all’astro diurno, quasi dispiaciuto di quel gesto, ed entrò nella costruzione che aveva fatto sorgere dal terreno, scomparendo come per magia da quel luogo, senza esitare un solo attimo mentre la terra vibrava un’ultima volta sotto i suoi piedi.

Il suo compito in quelle terre era concluso.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Nadia, la sua famiglia, gli amici ***


NADIA,LA SUA FAMIGLIA,I SUOI AMICI
 
Nadia, una semplice ragazza di paese, era stata scelta per salvare il mondo, ma non lo sapeva.
Tutto questo perchè i saggi draghi avevano deciso di trovare qualcuno all’altezza del compito ed avevano osservato che Nadia rientrava perfettamente nei requisiti di un dragoniere, il nobile cavaliere dei dragoni.
Il motivo per cui pensavano che avesse i requisiti necessari era perché conoscevano i veri eroi. C’erano in giro un mucchio di ragazzotti troppo intraprendenti che avrebbero tanto voluto potersi spacciare per eroi, ma per quanto potessero essere arditi, o magari fisicamente prestanti, la maggior parte di loro era manchevole in ciò che più si richiede ad un Vero Dragoniere, ovvero la conoscenza.
La conoscenza, nel mondo dei draghi, era un po’ come la ricchezza nel mondo degli uomini: apriva tutte le porte.
Ma i draghi non potevano certo contattare Nadia telefonicamente, né per via posta, né tantomeno potevano nemmeno presentarsi di persona rischiando di tradirsi, rivelandosi così al mondo intero e scatenando nuove incertezze nella già scettica e sospettosa razza umana.
Perciò Nadia Rondi non poteva sapere cosa stava accadendo in un angolo remoto e dimenticato del mondo, dentro una grotta oscura e umida, né tantomeno poteva prevedere le catastrofi che si sarebbero riversate, non solo su di lei, ma su tutti gli uomini e gli animali della terra.
La Grande Storia inizia in un paesino fra le montagne della Calabria, alle pendici dell’imponente Aspromonte: lì, nascosto da una coltre di secolari ulivi, si trovava un minuscolo comune di nome Oppido Mamertina, insignificante agglomerato urbano in provincia di Reggio Calabria che poteva vantare comunque la presenza di ben tre differenti indirizzi di scuole superiori e una cattedrale che avrebbe dovuto avere una qualche importanza. Il paese poteva sembrare, almeno all’apparenza, solo una piccola cittadina tranquilla e dimenticata dal resto del mondo, certamente non contava più di seimila abitanti, ma in realtà è un luogo magnifico, dove la vita, se osservata nei momenti opportuni, ferve e corre veloce, dove la gente ritrova i vecchi sapori non più rammentati, un luogo dalla bellezza incomparabile ma talvolta non apprezzata, in cui le antiche tradizioni riecheggiavano forti e costruivano ancora la vita quotidiana.
La natura vergine e i secolari ulivi troneggiavano su tutto, anche nei poemi, nelle tarantelle e nelle numerose canzoni popolari dei folkloristici autori della provincia di Reggio Calabria.
Ma quello era un paese, che come tutti i paesi più piccoli e sperduti, era ben capace di essere spietato con coloro che non lo conoscevano a fondo. Talvolta era persino luogo degli intrecci e degli affari della mafia calabrese, un circolo vizioso da cui, una volta entrati, era difficile uscire.
E aveva anche un altro difetto: era un paese triste, soprattutto per chi non ci era nato. Il tempo era abbastanza spesso rannuvolato, proprio come l’umore della popolazione, e non c’era da stupirsi se chiunque sapesse tutto di chiunque, perché non c’era nient’altro da fare oltre a spettegolare. O perlomeno, ed era proprio questo che rendeva il paese triste, gli Oppidesi non riuscivano a trovarsi un hobby diverso da quello.
Ma Nadia, proprio come il come il posto in cui abitava, non aveva affatto colpa delle azioni spietate o poco intelligenti degli altri ed era una bella ragazza.
Non era una modella, sia ben chiaro, o tantomeno una stangona da un metro e ottanta, o ancora una di quelle che vengono definite “visetto d’angelo”.
Il suo aspetto rispecchiava quasi perfettamente la bellezza meridionale e mediterranea del suo popolo: non troppo alta, né troppo bassa, considerando la sua giovane età, non magra né tantomeno grassa, ma la sua sottile pelle non era scura come quella dei più tipici abitanti del sud, era più chiara e delicata del solito, liscia e morbida quasi come seta, ma pur sempre coperta da una leggera abbronzatura olivastra che ne esaltava i tratti. Aveva i capelli di un magnifico nero corvino, non per modo di dire, ma davvero lucenti e nerissimi, semiricci, lunghi fin sotto spalle, che incorniciavano il bel tondo del volto, dove facevano capolino due vispi occhi anch’essi neri, più tendenti al nocciola, ed espressivi, delineati dalla montatura rossa e rettangolare degli occhiali da vista.
Ma la cosa più bella e dolce era il suo modo di sorridere che contagiava chiunque, con una fossetta sottile all’angolo sinistro della bocca. Aveva dodici, quasi tredici, anni e possedeva una curiosità fuori dalla norma, una simpatia enorme e tutte le qualità che vengono richieste a una studentessa della sua età: ingegnosa, volenterosa, studiosa ma anche determinata e molto sicura di sé. Adorava allenarsi, eccelleva in tutti gli sport, dal calcio alla ginnastica artistica, fino al nuoto, e otteneva ottimi voti in tutte le materie possibili, eccetto ovviamente la matematica. Tutto ciò la rendeva unica in quel paesino sperduto fra gli ulivi e i monti, dove era già molto se gli adulti conoscevano gli I-Pod e i ragazzi riuscivano ad usare i cellulari.
Sempre disponibile per tutti, Nadia era un punto di riferimento per i suoi compagni e, anche se strano dirlo, persino per quei severi professori impreparati che avrebbero dovuto insegnarle cose che lei aveva già appreso da tempo con la lettura.
Beh ... Bisogna dire che non era proprio il tipo che si ammazzava di studio, ma era piuttosto sveglia e riusciva a cogliere il succo della spiegazione da poche parole buone, il che, unito al suo approfondito studio da autodidatta, la rendeva capace di ricevere ottimi voti.
Amava poi un genere musicale piuttosto insolito nel suo paese di tarantelle, il rock punk,e ciò rendeva questa ragazzina ancora più unica nel suo genere,un pò come un genio incompreso seppure non fosse così geniale come molti pensavano. Era solo diversa, ma diversa in quel senso buono.
Tutto ciò faceva di lei una candidata perfetta al ruolo di dragoniere, persona capace di affrontare con razionalità ciò che nel mondo comune viene detto “incredibile”.
Era insomma tutto il contrario dei suoi improbabili genitori, due tipi a dir poco egocentrici, quasi stereotipi di due categorie opposte.
Basti dire che il comune detto “gli opposti si attraggono” calzava a pennello su di loro: erano incredibilmente diversi,  singolarmente unici, e proprio per questo Nadia non li avrebbe mai cambiati per nessun altro genitore al mondo. Forse però avrebbe tentato di migliorarli un pò...
Suo padre Giulio era un uomo che molte donne avevano considerato bello, nonostante ora l’età lo avesse un pochetto privato del fascino rigido che aveva avuto quand’era un giovincello aitante: abbastanza alto, con un fisico asciutto seppure non muscoloso, capelli scurissimi oramai striati da qualche filo bianco che nel complesso gli conferivano un aspetto severo che si addiceva molto alla sua ferrea personalità. Era un uomo d’affari, un “multifunzione”: da imprenditore a manager, una volta persino avvocato (aveva ottenuto anche la laurea in giurisprudenza, ma non la usava praticamente mai). Era facile immaginare che per i ragazzi del vicinato era un vero incubo. Quel Giulio, scansato con cura da tutti i ragazzi della zona, era un tradizionalista severo, un uomo, ma prima di tutto un padre, che lasciava ben poco spazio alla libertà e al gioco.
E in effetti il padre di Nadia era uno di quei tipi rigidi che non tollerano che mai gli si manchi di rispetto. Lo si vedeva anche dal suo modo di vestire, come un manichino nuovo di fabbrica assegnato a un negozio per damerini: cravatte grigiastre monocolore e completi gessati, preferibilmente piuttosto scuri, scarpe rigorosamente di pelle, nere e lucidissime, a volte anche un pò troppo strette in punta. Anche nel cibo era incredibilmente rigido e moderato, tanto che si era fatto una precisissima lista di tutti i giorni della settimana, con tutti gli alimenti e i liquidi da assumere nelle diverse ore del giorno, appuntando persino i minuti, le calorie da consumare e i margini di errore nell'eccesso di assunzione. E l’incredibile è che riusciva a rispettarla quasi sempre alla lettera,senza mai esagerare o assumere meno nutrimento del dovuto.
Beh, forse questa è una descrizione un pò troppo esagerata, puntata al farvi comprendere che razza di uomo fosse prendendo ad esempio proprio i suoi picchi maniacali di perfezione, ma c’erano alcuni periodi dell’anno in cui faceva proprio tutto quello che è scritto qui sopra, mentre altre volte si concedeva una pausa ed organizzava una crociera con la sua famiglia...ma anche in quelle occasioni era veramente inflessibile e l’itinerario doveva essere rispettato senza esclusioni!
Dora, moglie di Giulio e madre di Nadia, era il completissimo opposto.
Era incredibile.
Una folta chioma di capelli biondi lunghissimi, occhi verde chiaro un pò cerulei e ingenui sotto sopracciglia sottili e un pò più scure dei capelli, mani delicate attaccate a polsi sottili, ma a braccia forti, spalle sempre rilassate ed un fisico scattante la facevano riconoscere e incuriosivano le persone anche da lontano, seppure molti la conoscessero non per il suo aspetto, ma per le sue bizzarre abitudini. Ad esempio,era una grande fanatica della filosofia naturale e dello yoga, spendeva delle intere giornate a ricercare la sua pace dei sensi e ricaricare la sua energia interiore nelle maniere più bizzarre, mangiava solo cibi naturali ed era, fra l’altro, anche vegetariana.
Vari e numerosi passatempi riempivano la giornata della bizzarra donna,dalle discipline marziali orientali all’omeopatia fatta in casa che risultava (ahinoi!) quasi sempre disastrosa, ma sopratutto passava ore ed ore a coltivare la sua lunghissima schiera di bonsai giapponesi minuscoli, che potava con un paio di forbicine altrettanto minuscole somministrando loro concimazioni in dosi minuscole e che adorava più di ogni altra cosa.
L’eccentrica Dora era anche padrona di un negozio di piante nella zona di Reggio, che, più di un negozio floreale, sembrava un’immensa foresta pluviale con tanto di pappagalli ara che ti gracchiavano dietro quando entravi. “Mancavano solo le tigri” si diceva in giro, abbastanza meravigliati.
Ma ancora più strano era il suo modo di parlare e di vestire, che si percepiva lontano un miglio e sembrava quello di un alieno.
«Cerca la tua pace interiore» Diceva ogni volta che salutava qualcuno, e quel qualcuno, di solito, non sapeva rispondere e rimaneva bloccato a bocca aperta.
Beh, al massimo balbettava «Cercala anche tu!».
La particolarità che più spiccava agli occhi di chi guardava per la prima volta la signora Rondi era che portava lunghi vestiti di lino o di seta, più o meno ampi ma molto, molto comodi, di solito colorati con chiarissime tinte pastello, il verde e il rosa in particolare, ed il tutto le dava l’aspetto di una hippie fuori posto e fuori tempo.
La madre era in qualche modo riuscita a trasmettere la sua passione alla figlia, anche lei una grande amante della natura e,in generale,di tutti gli animali. Infatti in casa, con il consenso sia della mamma che del papà (anche se si lamentava spesso di questi ultimi), possedeva un vero e proprio zoo: un gatto chiamato Briciola, i criceti Hammy e Roddy, la cavia “Cavia”, il topolino e la topolina Gigio e Gigettina, il coniglio Bunny, il gallo Cocky che la faceva da padrone in terrazza, i parrocchetti Garibaldi e Girasole, i canarini Rossina e Romeo, i pesci rossi Nemo e Dory,il camaleonte verde Jakson, l’iguana Esotic, il neo acquisito pitone Pyton, e una grossa testuggine leopardo che chiamava Valentina in onore del conosciutissimo Valentino Rossi.
Poi, primo e non ultimo in cima a tutti gli animali che volavano, strisciavano, camminavano,c’era il suo amato Duke.
Duke gli era stato regalato, da cucciolo, un paio di anni prima dal suo zio preferito,Tommaso, e da quel giorno Nadia e il suo “cucciolone” diventarono inseparabili e impararono a comprendersi perfettamente, meglio di qualunque altra coppia. Duke regnava su tutto in famiglia, era sempre al primo posto, sempre pronto a svolgere il suo compito con dignità e ignorava cosa fosse la paura, poiché non ne aveva di nessuno, che fossero i due bulldog,Terence e Tyson, dei vicini di casa o i quattro ragazzini mascalzoni che tentavano sempre di picchiarlo; lui era senza dubbio superiore, capace di eludere le imboscate a lui tese dagli odiosi bulldog e le trappole che i giovani gli preparavano. Era un magnifico cane, dalla corporatura perfetta e dalla fedeltà ineguagliabile, nato da un incrocio tra un pastore tedesco di nome Shimmel, da cui aveva ereditato le orecchie perfettamente diritte e la postura, e una pastore belga di taglia particolarmente grande, che gli aveva lasciato in dono la sua bellissima livrea nera e riccia. Insomma,era un perfetto pastore ma senza pecore né mucche né cavalli, visto e considerato che non aveva mai fatto il can pastore in tutta la sua vita,se non quando aveva badato ad Alessandrino, il fratello minore di Nadia.
Per tutto il resto della sua giornata passeggiava con la padroncina nel corso principale,o oziava pigramente sdraiato in salotto,su un morbido cuscino di velluto rosso, riverito con i migliori bocconcini e coccolato come solo per un conte o, meglio come dice il suo nome, come per un duca  si può fare. Ma nonostante la sua vita agiata, il cane, era rimasto in forma grazie all’amore per la corsa, la caccia al cinghiale che riusciva a svolgere accompagnato dal suo ex padrone Tommaso e il nuoto, tonico salutare per i suoi già robusti muscoli.
In un afoso pomeriggio estivo, Nadia, uscì con il suo cucciolone Duke per andare a ultimare i compiti estivi dal suo amico Flavio. Questo era un ragazzo della sua stessa età, alto, magro e biondo, dal temperamento alquanto bizzarro: un tipetto lunatico che cambiava umore in pochi secondi, oltre che un grande amante del mistero e del genere horror. Aveva infatti fondato lo strano CMO di Oppido, il Club del Mistero e dell’Orrore, di cui anche Nadia faceva parte.
Ma contrariamente a quanto tutti pensavano, Flavio, non era affatto uno svitato che rincorreva i misteri: lui, giovane com’era, era già un membro onorario dell’associazione mondiale IAMS ed uno studioso ricercato da molti esperti del settore in quanto capace di formulare le teorie più disparate a proposito di ogni mistero, teorie che di solito si rivelavano provvidenziali per trovarne la soluzione.
Prima di andare a trovare l’amico, però, Nadia si fermo al vecchio bar sul corso. La grassa signora Durci, padrona del locale,era sempre lì dietro al bancone, sorridente come al solito e pronta a soddisfare le richieste del più esigente dei clienti. Ma anche lei, per quanto sembrasse buona e gioviale, con il suo viso amichevole dalle guance porporine e i castani capelli corti, possedeva un difetto piuttosto comune fra la “gente d’Aspromonte” … Margherita, perché così si chiamava la signora, aveva l’abitudine di impicciarsi spesso in fatti che non le riguardavano.
Era una specie di biblioteca storica vivente di Oppido Mamertina: vita, morte e miracoli di un paese, lei li conosceva a memoria, riuscendo a sorprendere chiunque parlasse con lei attraverso rivelazioni shock che ormai era allenata a far sembrare ancora più teatrali.
Per fortuna, però, non divulgava altrettanto spesso e facilmente i segreti altrui e, cosa più importante, aveva sempre la soluzione pronta ad ogni problema...sopratutto ai problemi di cuore.
Tante ragazze, e perfino qualche ragazzo, si erano dimostrati fiduciosi in lei abbastanza da confidarle le proprie pene d’amore, e la signora Margherita se ne usciva sempre con un sorriso e con le parole giuste. Tutto merito dei romanzi, diceva lei, ma la verità era che per tutta la sua esistenza non aveva fatto altro che non fosse leggere nel gigantesco romanzo di paese che era la storia vissuta.
Nadia entrò con disinvoltura, nonostante le sue peggiori nemiche sedessero lì vicino,e chiese una coppa gigante al fiordilatte, il suo gusto preferito, e una scatola di croccantini per Duke: la padrona del bar, sapendoli clienti abituali, portava sempre dei biscottini al bel cane pastore.
«Allora» Chiese la signora, ammiccante e come suo solito non in grado di farsi i fatti suoi «Dove vai oggi Nadia?»
«Emh, a fare i compiti estivi da Flavio»
«Da Flavio eh?» l’accento calabrese, con le lettere aspirate, della signora si fece d’un tratto più marcato «In una così bella giornata estiva? No, no, no, non è da te mia cara... dimmi almeno che state andando a pescare»
«Mi dispiace, ma Francesco oggi non è in casa, è fuori con i suoi, ed io e Flavio non sapremmo neppure da che parte si tiene una canna da pesca, senza di lui» confessò lei, stringendo la coppa di gelato e facendosi un po’ da parte a mo’ di timida scusa
«Ma fa così caldo …»
«Lo so,ma ho così tanti compiti da finire che non posso proprio permettermi di stare a far nulla!»
«Non è che per caso hai una particolare simpatia per quel ragazzo...dì la verità!»
«Bè» esitò Nadia,tentando di capire dove la signora Durci voleva arrivare «Di sicuro simpatico lo è!»
«Oh no» bisbigliò la cicciona, chinandosi verso di lei, oltre il bancone, tanto che la ragazza ne sentì il profumo pesante di gelsomino «Intendevo una simpatia speciale. Non è per caso che ti piace, che sei cotta di lui?»
«No, no!» Urlò adirata «Non mi piace per niente, cioè, voglio dire, mi piace sì, ma...non sono per nulla innamorata di lui!»
«Neanche un pizzichino?»
«No, neanche un pizzichino» rispose decisissima, senza però osare alzare gli occhi verso Margherita, che continuava a trafiggerla con lo sguardo «E non mi capiti mai e poi mai un matto come quello per fidanzato!»
«Ti capisco, sai. Quand’ero ragazzina mi piaceva un ragazzo, che per la cronaca si chiamava Ciccio, sapessi ora che bel ragazzo è diventato...» sospirò in ricordo dei tempi lontani, poi continuò estasiata «Una vera gioia per gli occhi, nu bocconcinu, e a me, te lo confesso, piaceva tantissimo! Ma ogni volta che le mie amiche mi chiedevano se era proprio vero che quello mi piaceva io dicevo sempre che non era vero e che era matto, come fai tu. E sprecai quella bella occasione...  sapessi che magnifico ragazzo che è diventato, con gli occhi azzurri come il mare e …»
«Ma io non sono innamorata di quello squilibrato!»
«Ne sei proprio sicura? Io ti darei il tempo di cambiare idea, non si sa mai...»
«No» ripetè decisa, ingurgitando una cucchiaiata di freddo gelato al fiordilatte «Sono proprio sicura. E il mio valentino è completamente un’altro»
«Contenta tu, contenti tutti mia cara! Ma il tuo valentino? Chi è il ragazzo, eh?»
«Non pensare che te lo dica, fossi matta!»
«Contenta tu!» ripeté la signora, tubando con un’evidente nota di delusione.
Nadia uscì dal bar con Duke e salutò con più cordialità del dovuto un paio di compagne, Anastasia e Caterina, che stavano lì a spettegolare gran parte della giornata. Le dispiaceva alquanto di aver parlato di fronte a loro di Flavio. Non si fidava nemmeno per raccontargli della sua iguana, figuriamoci che imbarazzo sentire la signora Durci che sospettava un fidanzamento con quel matto del suo compagno di classe! Beh, non doveva essere arrabbiata con la povera Margherita, che, in fondo, era assolutamente affidabile e non avrebbe mai divulgato i suoi segreti, ma le sue due compagne erano capaci di far sapere un pettegolezzo falso a tutto il paese e di farlo circolare in molto meno di un giorno.
La sua rivalità nei confronti delle due compagne, “le viperette”, era iniziata tre anni prima:se lo ricordava ancora come se fosse stato ieri.
Era il primo giorno di quarta elementare,una mattinata freddina, ed i bambini in grembiule blu giocavano felici di fronte ai giganteschi abeti delle elementari di Oppido. Lei era lì in mezzo a loro e aspettava il suo compagno Gaetano,che era in evidente ritardo.
Poi arrivarono loro...due bambine che solo a vederle ti mettevano i brividi. Sembravano uscite dritte stampate da un libro per ragazzini, dove fino ad ora avevano fatto la parte delle due antipatiche.
Anastasia si avvicinò impettita con uno sguardo serpentino che sembrava voler mangiare chiunque la sfiorasse, Caterina borbottava qualcosa con cipiglio falsamente severo e si aggiustava i fiocchetti.
Quando Nadia le vide, e constatò che non era un’illusione indotta dal sonno perso, rimase a bocca aperta, sbigottita dal loro look che poteva essere definito...insolito.
La prima non aveva la divisa scolastica azzurra ma una prematura minigonna rosa shocking dai decori violetti frastagliati ed un gilet giallo limone tutto pieno di fiocchetti di seta su un maglioncino a collo alto ricolmo di brillantini azzurrini e strass sfaccettati, mentre Caterina indossava il solito grembiule ma con davanti cucito un teschio grande come un gatto ed in testa quelli che dovevano essere una ventina di fiocchetti viola di raso sfavillante.
Era impossibile che i genitori permettessero alle loro figlie di vestirsi così, eppure...
«Ehi,tu!» la apostrofò la bambina con il teschio sul grembiule «Io non ti ho vista mai a te,chi sei?»
«N..Nadia Rondi» balbettò Nadia,combattuta fra il ridere e il piangere: le strane ragazzine erano più alte di lei di quasi dieci centimetri, ma sembravano due clown.
«Bene piccola Rondi» Continuò l’altra,con la gonna,con tono mellifluo «Che classe frequenti?»
«La quarta C» si trattenne dall’aggiungere riverentemente la parola “signora”
«Quella è la nostra classe, piccola!» ringhiò la tizia con la gonna
«Mi sembra difficile che quella sia la vostra classe...io non vi ho mai viste lì, e sono nella sezione C da un sacco di anni!» Nadia decise di tentare con un approccio amichevole «Come vi chiamate voi?»
«Non ce ne frega niente a noi che tu non ci hai viste» ruggì quella con il teschio davanti, ignorando la domanda della bambina «Dobbiamo spiegarti qualcosa?Dobbiamo darti conto?Dobbiamo...»
«Ma io volevo solamente...»
«Va bene, non metterti a piagnucolare. Ti basta sapere che noi siamo di fuori ci siamo appena trasferite qui da una città più bella, e sicuramente meno sperduta, di questo...umh...Oppito. Che nome idiota … è pulcioso»
«Si dice Oppido,Oppido Mamertina!» gridò stavolta lei,dimenticando ogni maniera riconciliante,perchè non sopportava assolutamente di sentire offeso il paese in cui era nata,il paese in cui viveva e in cui vivevano i suoi amici. Si, era una piccola patriota accanita.
Ma non poteva sapere che quelle due straniere avrebbero preso tanto a male la sua sgridata.
Intanto era arrivato per l’appunto il suo amicone Gaetano, cicciotto e sorridente nel suo cappottone slargato blu elettrico, e la salutava da lontano con vigore.
Caterina lo guardò disgustata, arricciando il naso.
«Tano!» esclamò Nadia,correndo verso il compagno «Ce ne hai messo di tempo per venire! Ciao!».
Una voce si udì allora alle sue spalle,chiara fra mille e mille vocine come quella. Una voce acida.
«Inutile che corri incontro al tuo fidanzato! Quello è troppo grasso per scappare con un’altra! O forse sei tu che sei troppo brutta per piacergli. Non hai charme amica, dove ti vesti in un immondezzaio? Oh no, sei una mia compagna...non voglio offenderti ma solo aiutarti. Ti aiuterò a trovare dei vestiti che non siano fatti di plastica riciclata e farò di te una modella. Come me del resto».
Era la bambina con la gonna rosa. Nadia si girò verso di lei per digliene quattro,ma già mezza scuola rideva di Gaetano e della sua presunta fidanzata. Anastasia approfittò della confusione per dileguarsi dopo averle rivelato il suo nome e quello della sua amica.
Caterina ed Anastasia. Da quel giorno ogni volta che sentiva pronunciare i due nomi si sentiva l’acido in gola.
Così assorta nei suoi pensieri arrivò di fronte alla casa del suo compagno, una bella villetta bianca attorniata da un giardino enorme e bizzarro proprio come i suoi padroni, una famiglia di mezzi geni cervellotici, come li definivano. Ma lei li adorava: erano dei simpaticoni!
Quando Nadia suonò il campanello il ragazzo non rispose. Lei suonò altre due volte e attese in silenzio un paio di minuti. Nulla.
Poi un fruscio sinistro ed un odore selvaggio.
La ragazza si voltò inarcando un sopracciglio
“Mio dio che odore” pensò sconcertata”Come fa ad essere così forte”
Duke, agitato, uggiolò,si girò verso i cespugli ed emise un ringhio simile al ruggito.
Nadia fece finta di nulla come se non volesse autosuggestionarsi
«Flavio non sarà in casa...» disse distrattamente, dando un’occhiata ad una farfallina che svolazzava pigramente sopra la sua testa «Tu che ne dici Duke? Ehi! Ma cos’hai?»
«Worf Worf.Grff … rrrrrrr» ma in risposta, il cane ringhiò e abbaiò ancora come un matto.
«Duke, cosa ti prende bello? Buono, calmo!»
Il cane drizzò il pelo con un fremito rabbioso, ringhiò e scoprì i denti, osservando qualcosa di grosso che si muoveva furtivo fra i cespugli poco più in là. Era una situazione inquietante.
«Allora che vedi?» Lei non poté fare a meno di preoccuparsi «Laggiù c’è qualcosa!?»
Nadia si sforzò di guardare oltre le siepi, nello stesso punto che fissava Duke, e riuscì a distinguere la sagoma dell’animale. Il cuore, ne fu sicura, smise di batterle per un attimo. Poco dopo, con uno sfarfallio, tornò a pompare regolarmente.
La creatura era un’ombra nera e lunga, con spalle larghe e robuste, leonine. I suoi due piccoli occhi verdi brillavano e le fauci aperte erano munite di enormi zanne giallastre.
La ragazza dapprima esitò, temette per l’incolumità sua e quella di Duke, ma poi aizzò il cane contro quella bestia tremenda, sperando di poterlo scacciare
«Vai Duke piglialo, vai piglialo!».
Il cane si lanciò veloce e senza paura, forse anche troppo incoscientemente, contro il grosso animale, il suo petto bianco spinto poderosamente in avanti, le grosse zampe si muovevano veloci, ma, un attimo prima che riuscisse a balzargli addosso, la misteriosa creatura era già incredibilmente sparita. Duke annusò l’aria con perplessità e girò su se stesso tre o quattro volte prima di capire che non c’era nessuno. Ma anche se non c’era in quel momento, qualcuno c’era stato prima.
La ragazza si avvicinò cautamente ai cespugli, tentando di non far rumore, e si abbassò fino ad arrivare alla spalla di Duke, guardandosi costantemente intorno, scrutando fra le foglie delle erbacce e delle basse piante. Ma della strana bestia non c’era alcuna traccia, era come se si fosse tutto un tratto volatilizzata. Nadia si grattò una tempia
“Ma non avrò avuto mica delle allucinazioni?”.
Afferrò il cane pastore per i lunghi peli del collo e lo fece lentamente indietreggiare, continuando a fissare fra i vegetali, poi, però, decise che era ora di ritornare a casa: Flavio non c’era e un fantasma non le avrebbe certamente aperto. In quanto a ciò che aveva visto stabilì con sicurezza che era solo un subdolo incubo della sua immaginazione
“Da stasera basta con il fantasy. No, forse no. Da stasera basta con l’horror”.
Stavano per andarsene,ma subito dopo una voce un pò aspra risuonò dietro di loro, proveniente dal citofono
«Ahm, Nadia sei tu? Vieni per i compiti? Scusa facevo la doccia, sto scendendo. Arrivo!» e chiudendo bruscamente scese giù in fretta e furia,continuando ad abbottonarsi la camicia slacciata. Il portoncino dell’edificio si spalancò di colpo e Flavio saltò tre gradini a piedi uniti in una sola volta. La ragazza gli urlò in faccia
«Ma che ti è preso oggi?!Come mai tanto entusiasmo?»
«Niente compiti oggi, niente noia! Yahoo! Ho trovato qualcosa che ci può interessare» rispose, con gli occhi illuminati da una scintilla d’emozione «Ho anche chiamato Gaetano, Chiara, Rocco, Misa e Valeria.Saranno qui a momenti!»
«Hai convocato tutto il Club dell’Orrore e del Mistero al completo?» esclamò Nadia,quasi sorpresa dal comportamento del ragazzo,poi tirò su un vistoso sospiro di sollievo «Per fortuna almeno non c’è Valeriè “Fleur”...però manca anche Rosario. Strano. Lui non mancava mai»
«Si» commentò il ragazzo,grattandosi la testa «Piuttosto insolito. Non lo vedo da quindici giorni»
Nadia aggirò la questione ed andò subito al sodo
«Tu cos’altro hai trovato stavolta, forse un’antica statua egiziana realizzata di nuovo dalla professoressa di storia?» lo derise la ragazza, riferendosi a una vecchia storia dell’Estate scorsa, quando la loro professoressa di storia aveva realizzato una statuetta del dio Ra in cartapesta e Flavio lo aveva scambiato per un reperto originale, convocando l’intero Club.
«Ma no!» Flavio arrossì tanto da sembrare un peperone bollente, con il naso e le punte delle orecchie praticamente color porpora «Insieme a Gaetano, un paio di settimane fa ho trovato un antico rudere nella parte più lontana del suo uliveto»
«Nel suo uliveto?» Nadia sorrise indulgente «Dici sul serio?»
«Si, sembra strano che nessun’altro, tranne il papà di Tano, se ne sia accorto. Sembra comparso dal nulla, circa una settimana fa. Dal nulla, ci pensi! Non abbiamo nessuna testimonianza della sua presenza prima di oggi. Pensiamo, cioè io penso, sia un edificio risalente al basso medioevo, la costruzione è piccola, forse era un vecchio santuario ma vale la pena di vedere di cosa si tratta. Dall’esterno somiglia un pò a Oppido Vecchia, sai, è diroccata uguale, ma ovviamente è molto più piccola. Che ne pensi di fare anche una ricerca extra? Sempre meglio un buon voto rispetto a uno cattivo, no?»
«Ah, per me è perfetto, ci voleva proprio un pò di movimento in questa noiosa estate!».
Pochi minuti dopo arrivò l’intero club del mistero, alloggiato nell’utilitaria blu di Giancarlo, il padre di Flavio. E nessuno sapeva ancora come Giancarlo faceva a fare entrare tutti quei ragazzi nella sua auto, ma qualcuno aveva azzardato che era un mago e che come in Harry Potter sapesse fare allargare gli oggetti solo nella loro parte interna, insomma, cose che i babbani non possono capire ...
La macchina sterzò bruscamente e inchiodò di fronte a Nadia, che però non ci fece tanto caso: ogni volta era la stessa identica storia, alla fine aveva capito che non era pericoloso.
Ed ora era il momento di dare inizio al rituale coreografico che mettevano in scena tutte le volte.
Il finestrino anteriore si abbassò veloce, mostrando Giancarlo che faceva okay con il pollice ed i suoi occhiali Puma scuri che gli coprivano anche un pezzo di naso.
Poi le portiere si spalancarono tutte e quattro contemporaneamente con un clang metallico e i membri della piccola associazione schizzarono fuori facendo fracasso. La prima a scendere era, come sempre, Valeria, una bella ragazzina, bassetta ma davvero intelligentissima, oltre che modesta nonostante l’incredibile bravura. La sua abilità nei calcoli geo-aritmetici e la sua profonda conoscenza della chimica che la rendevano il fulcro del club, un po’ come la Velma della squadra Misteri&Affini in Scooby Doo. Poi veniva Chiara, la bella vanitosa del gruppo, e in un certo modo anche la più antipatica, sempre pronta a sputar sentenze e commentare in modo odioso anche i momenti più belli. Misa, la più giovane (dieci anni appena) e meno considerata del gruppo, scese per terza. Lei amava profondamente la natura, caratteristica che le era costato l’essere soprannominata dai suoi compagni “Misa dei lupi”, come la protagonista dell’omonimo film. La sua passione era studiare gli animali e le piante, ne conosceva le tracce e i segni meglio di chiunque altro. Subito dopo venne Rocco,“El Fifon”, che era il fratello maggiore di Misa ed il più pauroso e meno avventuroso del gruppo, l’unico che si era unito al loro club solo per fare piacere ai suoi amici.
E poi una sagoma tondeggiante tentò faticosamente di trascinarsi fuori dall’utilitaria blu.
Tutti risero di gusto, ma la sagoma, che era un ragazzo, scese mezzo intontito e non ci fece caso.
Era lui per ultimo, quel briccone di Gaetano,un ragazzo molto, molto robusto,(secondo il commento di Chiara era semplicemente utilizzabile come poltrona),con capelli e occhi castani in contrasto con la pelle rosea e morbida da suino, un ragazzone forte e vigoroso, talvolta un pò rozzo. Era il più simpatico e ridicolo di tutto il gruppo, e a ragione, per innumerevoli motivi:il suo modo di parlare continuamente in dialetto stretto perchè non riusciva pronunciare una sola parola in lingua italiana, ma soprattutto per le sue involontarie scenette comiche. Insomma,la vera mascotte del club del mistero e dell’orrore, ma che con il mistero o l’orrore non c’entrava proprio niente.
«Bon Jour,ma petit amì» fece Chiara,con il suo orrendo accento francese, mentre scendeva dall’auto
«Se,se...bongiornu a tutti» rispose invece Gaetano, strascicando parole che sembravano solo pezzi di parole «Ca esti megghiu dillu ‘n calabrisi ca dillu‘n francisi»
«Che ha detto?» gracchiò Chiara, fingendosi disgustata per la frase dialettale
«Ha detto che è meglio dirlo in calabrese che dirlo in francese» spiegò Nadia, con tono pacato «E hai ragione mio carissimo...meglio il tuo dialetto» sussurrò «maldestro, irrimediabilmente …» poi prosegui ad alta voce «Che il suo stupido francese!» utilizzò un tono che era quasi interpretabile come sfida: non aveva mai sopportato quella smorfiosa di Chiara. La vanitosa, in risposta, scosse vigorosamente al vento i lucentissimi e lunghi capelli castani e fingendosi offesa si girò dall’altro lato sbuffando, sbeffeggiata dagli altri ragazzi. Misa, invece, si allontanò dal gruppo: non li sopportava quando i compagni facevano così, li trovava noiosi e alquanto stupidi.
Flavio non fece caso a Chiara né a Misa, ma, entusiasta,iniziò a spiegare facendo duetto con Gaetano
«Vi abbiamo convocato per un motivo ben preciso:abbiamo trovato...»
«Dintra a me campagna!»
«Si Tano,ma non mi interrompere! E’un antico rudere medioevale. O almeno sembra medioevale,non so molto bene. A quanto pare ha una struttura ottagonale,molto interessante. Noi, cioè solo io, pensiamo che sia un piccolo tempio»
«Si.Cu ottu lati.Sa che bella!N’ci potimu fari a ricerca i storia,ca a prof ndi menti nu bellu votu!»
«Allora mia squadra!?» domandò Flavio,com’era di rito nel loro club
«TUTTI ALL’AVVENTURA!» urlarono in risposta e all’unisono gli altri ragazzi.
Si fecero accompagnare tutti fino al terreno di Gaetano dal padre di Flavio.
----------------------------------
Note dell'autrice: pietà, lo so che non sembra per niente come le altre mie storie, ma sapete quanti anni avevo quando l'ho scritta? Undici. Ho deciso di correggere le caterve di errori grammaticali e pubblicarla con la stessa trama perchè, in fondo, non è proprio orribile. E poi ... beh, più avanti migliorerà, lo prometto. Nel frattempo, recensite!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=551693