Cronache dalla Terra

di Furiarossa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Orion ***
Capitolo 3: *** Galvatrike ***
Capitolo 4: *** Sherre ***
Capitolo 5: *** Il maniero ***
Capitolo 6: *** Chi non muore si rivede ***
Capitolo 7: *** I draghi ***
Capitolo 8: *** L'uomo lupo ***
Capitolo 9: *** Halloween's time ***
Capitolo 10: *** Con la forza del lupo ***
Capitolo 11: *** Anche oltre la Morte, il Male vive ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


-Ventunesimo secolo-
Ogni Era ha i suoi eroi.

"Tutt'intorno a noi accadono le cose straordinarie …
… Noi abbiamo la chiave per vederle"

Il mio nome è Tamago Otharn e ho diciassette anni solari.
Sono un Osservatore: i miei occhi scrutano aldilà delle barriere spaziali e posso vedere cose che nessun'altro può vedere.
Sono giovane, ma nonostante ciò sono il miglior Osservatore dell'Alleanza.
Io non mi limito a osservare: posso sentire i pensieri, dedurre le reazioni future, comprendere le emozioni di qualunque creatura. Beh, non proprio qualunque: ci sono alcuni essere capaci di tenere per se i propri pensieri, ma ci sono casi in cui anche loro mi sono chiari come libri aperti, ad esempio quando si arrabbiano o quando hanno paura. In loro cresce una specie di fiamma e sulla punta della fiamma sono scritti i loro pensieri.
Fino ad oggi ho osservato le vite delle creature della Tredicesima Galassia e ho trascritto le loro usanze sul Grande Libro. Questo è il lavoro di noi Osservatori: conoscere e tramandare.
Ma il mio Maestro oggi mi ha consigliato di guardare verso la Via Lattea, su quel pianeta che i suoi abitanti chiamano Terra oppure Gaia. Ha detto di aver notato che laggiù stanno accadendo cose molto interessanti ed insolite e vuole che io le documenti perché sono il più grande Osservatore degli ultimi seimila anni.
Vuole che io legga anche i loro pensieri e scriva la loro storia.
Gli ho chiesto come fosse possibile scrivere la storia di tutti i terrestri e lui ha sorriso, dicendomi che dovevo badare solo a quelli che mi sembravano più forti e più dotati, poiché da lì a poco sarebbero stati coinvolti in un grande conflitto.
Io ho accettato l'incarico.
Perdonatemi se ciò che scriverò sarà a volte diverso da quello che siete abituati a leggere, cari signori delle Dodici Galassie, ma ho tentato di attenermi il più possibile allo stile terrestre per rispettare la tradizione dei romanzi di avventura di quel pianeta. Tuttavia mi scuso in anticipo anche per eventuali digressioni indesiderate o eventuali passaggi descrittivi saltati; gli umani non gradirebbero se io descrivessi la loro anatomia nel dettaglio solo per diletto di un centinaio di specie aliene, sono irascibili e permalosi, perciò se volete saperne di più su di loro, prima di leggere questa storia consultate un testo specifico sulla loro specie.
I terrestri sono molto interessanti … mi divertirò a scrivere la loro storia …


Prologo

Nella notte s'ode un fruscio basso, una striscia, rossa come di sangue, saetta dietro le caviglie di una giovane donna.
Lei si gira, gli occhi azzurri socchiusi come se non volesse vedere davvero chi la insegue, ma non c'è nessuno.
La strada è desolata e grigia, racchiusa fra due filari scuri di edifici con le finestre squadrate, tutto è buio.
Eppure le era sembrato di vedere qualcuno, o qualcosa, che si muoveva e di sentire il fiato freddo del fato accarezzargli con dita di ghiaccio l'incavo del collo …
In silenzio continua a camminare, più rilassata, sotto il braccio destro la cartella di cartoncino azzurro con i progetti della sua azienda, il vecchio cappotto grigio, con il colletto di pelo, che svolazza sulle sue gambe lunghe.
Non ode il grido stridulo e sofferente che proviene dal lontano vicolo laterale, non vede i bagliori d'argento liquido né gli schizzi scarlatti del sangue.
La giovane donna non saprà, probabilmente mai, che qualcuno l'ha salvata. E che qualcuno l'ha salvata senza un motivo che lo riguardava direttamente, ma solo perché sapeva che ciò era giusto e perché era nato per essere un eroe. Un essere che non poteva far altro che compiere ciò per cui era nato.
Quello stesso qualcuno adesso ha una missione in più da compiere … il suo grosso corpo ammantato di nero esce dal vicolo laterale in cui si era compiuto lo scontro. Nessuno lo nota, neppure quando lui passa in mezzo a un gruppo di ragazzi. Eppure è grosso, enorme, una montagna di solida tenebra. Silente, il suo passo è leggero, come aria che sfiora l'asfalto caldo.
Sarebbe partito l'indomani mattina verso l'India.
Ciò che aveva visto quella notte era stato un messaggio chiaro: l'Equilibrio era stato compromesso e lui doveva fare quello che poteva per ripristinarlo.
D'improvviso, distratto e assorto nei suoi pensieri, incrocia la donna con il cappotto grigio.
Lei lo saluta sollevando la piccola mano. Lui non la conosce,l'ha già vista solo una volta, ma ugualmente china il capo in segno di rispetto. La donna strizza gli occhi per distinguere qualche tratto del volto dell'uomo che ha incrociato per strada, ma non ci riesce. Ne intravede solo gli occhi per un istante, come un miraggio, in un pallido bagliore verde come di aghi di pino, ma non è neppure più sicura di aver visto veramente quelle iridi. Non lo riconosce. Eppure lui ha qualcosa di familiare, come se lei lo avesse già visto da qualche parte, di recente …
Poi ognuno continua per la sua strada: da un lato passa, rapida e visibile, la Normalità, dall'altro striscia via lo Straordinario…
Una scena cha capita spesso, sotto gli occhi di tutti. E che nessuno sa interpretare per come in realtà andrebbe interpretata.
∞†††††††††††††∞
Tempo di rivoluzione

Chiamate eroi coloro che guidano il popolo verso la libertà del corpo e dello spirito ed oltre la schiavitù e la distruzione.
Chiamate eroi coloro che si battono, a costo della vita, giorno dopo giorno senza riposo, contro forze ignote e oppressive, contro le energie contrarie all'Equilibrio.
Ma gli eroi non esistono più per noi.
Il popolo non ha alcun motivo di credere ciecamente all'esistenza di quelle salde mani dei guerrieri protettori che lo circondano benevole nella loro cappa di buio fatta per scaldare e curare.
Forse. O forse no.
Rapidi, letali, silenziosi, si muovono nel buio come alla luce del giorno, remoti come dei, scaltri come demoni …
Loro sono in mezzo a noi. Non li vediamo, o se li vediamo non li riconosciamo, anche se spesso le loro fattezze sono diverse e ci suggeriscono quella che è la realtà.
Farsi vedere è una tecnica come un'altra per confondersi: se vedete un uomo che chiama licantropo un vecchio amico dall'aspetto strano è davvero difficile che pensiate che quest'ultimo sia veramente un licantropo. Questo è il modo in cui si confondono.
Più difficile vederli quando agiscono. Sono veloci. Sono astuti. E lasciano poco al caso.
Possono inseguire instancabilmente la preda per giorni, per mesi, per anni, attraversando la città sotto gli occhi di tutti, ma non si comporteranno come degli ammazzademoni laddove la gente comune si affolla. Loro possono vedere cose che noi non vediamo, possono accedere a luoghi di cui non conosciamo l'esistenza, possono sapere tutto di noi mortali.
Perché loro vivono da secoli. O da pochi giorni come da sempre.
Guardatevi intorno con attenzione, in ogni istante.
Attendete.
Li vedrete giungere, prima o poi, e li riconoscerete.
Saprete che loro sono gli Immortali …

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Capitolo 2
*** Orion ***


LIBRO PRIMO- Gli eroi lontani dal mondo civile

 “Il percorso è insidioso, la via tortuosa

La Pietra delle Fonti non attende gli uomini.

Nel cuore della Selva affronterai ogni belva

A guardia del Tesoro i tre Cani Leggendari

Nel centro delle ombre, ove la tenebra irrompe,

palpita il cuore della terra di mezzo

Terra promessa dell’acqua e dei venti

Che ad ogni costo erigerà barriere

Per preservare il suo antico segreto che mai anima umana osò sfiorare

Immenso potere di uragano, di tempesta, di cascata,

fonte di ogni dolcezza che tiene vivo il mondo”

 

 Capitolo . 1

Orion e Mark

“Fu così che Terra affrontò l’immensità fredda della Tenebra”

 

La luce dorata del sole filtrava fra i rami illuminando di un giallino brillante tutto quello che sfiorava. Figure scure, come d’ebano si elevavano dal terreno fertile, bruno, ricoperto di foglie, muschio e humus. Alberi. E nello splendore selvaggio della foresta, luogo abbandonato dagli uomini e riscoperto dalla vita, si aggiravano viandanti silenziosi.

I viaggiatori erano in quattro, tre uomini ed una donna.

Se fossero stati i cavalieri ed eroi di un altro tempo li avrebbero chiamati il Giovane, la Bella, l’Anziano e il Grande, ma poiché erano eroi e cavalieri del ventunesimo secolo non era andata propriamente cosi. Non portavano armature, né spade, né lance o asce, ma vestiti semplici, informali, fatti per muoversi agevolmente nell’intrico della foresta indiana, poche provviste, armi piccole e maneggevoli come le pistole o i coltelli da caccia.

Colui che guidava il gruppo era quello che avrebbero chiamato il Grande e non solo per la sua taglia enorme. Era un uomo di una razza quasi estinta,che non si può osservare tutti i giorni nelle strade delle città, alto, le spalle larghe, la pelle chiara ed i capelli rossi, lunghi fino alle spalle e leggermente ricci. Aveva lineamenti rari, un incrocio fra ciò che esiste di più duro e la tenerezza stessa di un volto umano, la mascella dal tratto dolce, la barba corta, ma il resto del volto era come scolpito nel marmo e generalmente cambiava di poco la sua consueta espressione perennemente a metà fra il cupo e il fiero. Subito dietro del Grande veniva l’Anziano, un uomo senza dubbio più comune, il tipico americano benestante: abbastanza alto, i capelli grigi, gli occhi castani, forse neppure tanto anziano, ma di certo meno giovane dei suoi compagni. Camminava guardandosi spesso indietro, non disinvolto come avrebbe voluto essere, e cauto, sfiorando talvolta i rami o i tronchi con le punte delle dita come per saggiarli.

E infine c’erano il Giovane, capelli corti,spettinati, neri come ali di corvo, e la Bella.

Il gruppo avanzava al  massimo da due ore nella foresta, facendosi largo fra il fitto intrico di vegetazione. In realtà era l’aprifila che con la sua grossa mole faceva strada e gli altri gli trottavano dietro senza neppure tanto sforzo, trainati dalla sua scia.

Il ragazzo, che camminava stretto accanto alla fanciulla come per trovarvi riparo, continuava a lamentarsi con una voce leggera, ancora acerba e fastidiosa

«Perche siamo qui?» pigolò «Cioè, voglio dire: mi avete buttato su un vecchio jet scassato e mi avete trascinato a...dove avete detto che siamo?»

«Parco di Khana» rispose spiccia lei, passandosi una mano fra i lunghi capelli castani.

Il ragazzo sbuffò e la guardò mentre i suoi piedi sembravano camminare per i fatti loro, come guidati dalla forza di inerzia. Dovette ammettere dentro di se che stava contemplando una donna davvero bella: occhi curiosi da cerva, grandi e color nocciola, un fisico tonico, anche se un pò più muscoloso di quello delle ragazze di città, atletico, mani delicate, la dolce curva sulle labbra...

«Siamo quasi al primo rifugio».

Una voce profonda e cupa strappò il giovane dai suoi pensieri per riportarlo alla realtà. Il ragazzo sbuffò e avanzò a brevi balzi verso colui che guidava il gruppo

«Ma tu non ti stanchi mai?» chiese, quasi stufato da tutta l’energia che quel corpo pesante era capace di emanare

«Si che mi stanco» rispose divertito il gigante, guardandolo con i suoi occhi seri dello stesso colore della foresta, un verde cangiante e mimetico che non si poteva definire in fondo neppure verde. Rimase qualche istante in silenzio, volgendosi verso la vastità immensa della foresta indiana,poi seguitò a parlare più spedito

«Solo che non siamo in viaggio da tanto tempo...» si giustificò sottovoce

«Ah no?» il ragazzo era incredulo e la mascella gli tremava lievemente «E quanto pesa il tuo zaino?»

«Non saprei di preciso, non molto credo» il gigantesco uomo diede un’occhiata dietro di sé, dove si ergeva la massa minacciosa di uno zainaccio nero di tela, pieno di bozzi, da dodici chili almeno. Se per lui non era molto...

Il terzo uomo, il più anziano e con i capelli ingrigiti, scoppiò a ridere con voce raschiante

«Pensi di poter vedere Mark stanco?» esclamò, allegro «Penso proprio che dovrai faticare tu, e parecchio direi, per riuscire spompare lui»

«Già» convenne la donna «Ancora non lo conosci  il nostro capo, caro Harry..»

«Io sono il capo!» sbottò quello più maturo, dandosi da solo una pacca sul petto

«Viiince» sbuffò lei «Ma daaai...»

«Niente daaai...»

«Chi ti ha detto da che parte andare? A chi è stata assegnata questa missione? Chi può prendere la pietra delle Fonti?» elencò lei, sollevando uno alla volta le dita della mano sinistra

«Va bene»fece rassegnato Vince, lasciando ciondolare le braccia ai lati del corpo «Il capo non sono io»

«E chi è?»

«Uhh...ci tieni tanto?» soffiò, irritato  come un gatto a cui avevano hanno buttato dell’acqua in testa

«Sii, certamente, presidente, ci tengo»

«Va bene, è Mark ».

Il grande uomo in testa al gruppo si girò lentamente a guardare, con pacatezza

«Sono io cosa?» domandò, la voce profonda che tradiva tracce di curiosità

«Il capo» rispose Vince, candidamente.

Harry si mise a sghignazzare e si beccò un ramo in faccia, meglio ancora in bocca, il che suscitò l’ilarità generale più scatenata. Solo Mark non rise, come se in fondo gli dispiacesse per quello che era successo. Il gruppo aveva invece un assoluto bisogno di ridere, vista la situazione.

Harry era come un bambino e la gaffe disastrosa lo fece chiudere in se stesso per un pò, imbronciato e sbuffante di stanchezza.

Vince controllò il proprio orologio, deglutendo

«Si sta facendo tardi … » borbottò, con le labbra leggermente tremanti «Siamo stanchi, Mark, siamo davvero stanchi» sottolineò la parola davvero marcando il tono, poi sbuffò ancora «Perché non ci fermiamo?»

«Dobbiamo raggiungere il rifugio» rispose il gigantesco uomo che apriva la fila, con durezza

«Si, certo» mugolò sottovoce Vince, rassegnato e sottomesso, frugando con la punta delle dita nella tasca destra del proprio giubbotto.

Finalmente il primo rifugio comparve fra l’erba inondata di sole che a tratti intervallava la foresta vera e propria.

Era una casetta di cemento semplice, le mura incrostate di muffa nera e bluastra e di tralci di rampicanti sottili con foglioline trilobate. Aveva una porta robusta,di legno scuro compatto.

«Vediamo se John è arrivato prima di noi» Disse speranzoso Mark, a voce bassa.

Stava ragionando fra se e se, ma per qualche ragione ignota qualcuno riuscì a captare la sua frase e rispose.

«Oh, e secondo te sono quella tartaruga che arriva dopo, vero?» urlò con vocione vivace un tizio con un grosso cappello bianco da cowboy che era appena uscito dalla casetta «Vecchio mio!» esclamò, aprendo le braccia, gioviale.

«Hey,volpone caro...» Mark stava per avvicinarsi e mimare il gesto quando si fermò d’improvviso, sospettoso, il volto di granito immobile in un’espressione diffidente che era quasi terrificante «siamo sicuri che tu sia John?».

L’uomo con il cappello bianco sospirò alzando di qualche centimetro le spalle …

“Mark e la sua mania di controllare la gente” pensò...ma era più che plausibile voler controllare, dopo tutto quello che era successo un anno prima. Un disastro, per essere precisi.

«Chiedimi qualunque cosa » Rispose, cercando di sembrare più che calmo «Qualcosa che solo il tuo vero amico può sapere».

Mark si levò lo zaino e lo lasciò dondolare a quaranta centimetri da terra,tenendolo per una sola bretella con due dita della mano sinistra, poi fissò John tacendo. Gli bastava un particolare...percorse con lo sguardo la figura che gli stava davanti partendo dai ciuffi di un chiaro castano che sbucavano da sotto il cappello, poi gli occhi scuri e furbi,il sorrisetto arrogante, la pancetta eccedente sotto la camicia panna...si era lui. Ora solo una domanda.

«Chi è il mio affetto più grande?» Chiese .

Mossa astuta: un nemico che prende le sembianze di qualcuno si documenta su ciò che piace a colui di chi ha preso l’aspetto, non ai suoi amici.

John esitò qualche secondo, in difficoltà. Che domanda idiota e che domanda difficile … non sapeva che rispondere. Non pensava che Mark potesse porre proprio quel quesito … era imbarazzante. Esitò per qualche istante

«Shadow, vero?» sparò alla fine, riluttante nel pronunciare il nome di una qualunque donna

«Vieni qui!» esclamò Mark, abbracciando l’amico dopo aver mollato lo zaino a terra «Allora» continuò, allontanando l’altro uomo da se,ma con le mani sempre posate sulle spalle «Sei pronto per ricominciare?»

«Quanto tempo … » sussurrò sognante John «…Da quando abbiamo costruito il primo rifugio…non pensavo che il destino ci avrebbe riportati qui…»

«Nemmeno io…» confessò Mark, in un rauco mormorio «Avrei mai pensato di dover cercare un tesoro proprio qui…»

«Andiamo?»

«Hai cosi tanta fretta di metterti nei guai» osservò il rosso, sincero

«Oh,non ci saranno guai…»

«Il percorso è insidioso, la via tortuosa» declamò serio Mark, con quel suo accento americano roco e il tono solenne e minaccioso che si inarcava in note sempre più basse su certi punti «La Pietra delle Fonti non attende gli uomini. Nel cuore della selva affronterai ogni belva, a guardia del tesoro i tre Cani Leggendari, nel cuore delle ombre palpita l’anima della Terra di Mezzo che ad ogni costo erigerà barriere per preservare il suo segreto»

«Bella poesia senza dubbio, un componimento davvero inquietante» fu il commento di John, per metà ammirato e per l’altra metà sarcastico «L’hai fatto tu o …»

«No, l’ho sentito» si affrettò a rispondere Mark, prendendo immediatamente le distanze da quel genere di arte, per così dire, da “lievi” poeti

«Dove?»

«Artenair e il vecchio Mago… anche i druidi però mi hanno dato una mano a capirci qualcosa. Non era scritta, come si dice, comprensibilmente»

«E cosi cerchiamo una cosa che si chiama Pietra del Fonti?» mentre chiedeva, John si guardava in giro sorridente

«Proprio cosi» completò Vince, scrutando nuovamente l’orologio da polso con fare professionale «Ma io direi di entrare in casa e…»

«Entra tu se vuoi» disse calmo Mark, i toni della voce bassi e vagamente modulati nell’imitazione inconsapevole di un ringhio «Io ho un lavoro da fare. Riposatevi finché potete, perché siamo nel territorio del primo Cane Leggendario».

Ci fu qualche istante in cui gli umani tacquero, lasciando che un piccolo gruppo di scimmie riempisse con le sue grida acute e stridenti il silenzio dell’umida selva, poi John sorrise alzando ancora di più gli angoli delle labbra e aprì bocca

«Per millenni» ansimò, trattenendo qualcosa di simile all’ilarità «Anzi, per più tempo ancora nessuno ha mai raccontato di aver visto questo ehm…Cane Leggendario. Mi capisci?»

«Cosa vuoi dire?» ringhiò l’uomo dai capelli rossi, torvo

«Vuol dire che…» completò Vince esitante «Un sacco di gente è passata di qui prima di noi, questo posto non è così nascosto e inaccessibile… per carità non metto in dubbio le tue parole» la sua voce, già graffiante, divenne anche ironica «…Come mai il Cane Leggendario non si è mai rivelato a nessuno?»

Mark parve sollevato dalla risposta datagli e a sua volta parlò, meno cupo

«Il Cane Leggendario non si è mostrato mai agli esseri umani» spiegò, buttando lo zaino al sicuro nel rifugio con un gesto disinvolto «Ma solo perché nessuno di coloro che entrato nella foresta puntava alla Pietra delle Fonti. Sapete noi ci lasciamo indietro una miriade di piccoli indizi che fanno capire dove siamo diretti esattamente. Lui lo sa» Le parole rimasero ad aleggiare per qualche secondo, velate di minaccia.

Lui lo sa.

Come per effetto di qualche formula magica l’aria divenne più fredda, non frizzante, ma statica, immota. Come quando si è calmata da appena qualche ora una terrificante tormenta, lasciando dietro di se solo un deserto di ghiaccio in cui i pochi viventi devono lottare per svegliarsi e sopravvivere.

Era un fenomeno a dir poco inspiegabile se non con l’autosuggestione, ma tutti si guardarono e tutti lessero negli occhi dei compagni che il freddo li aveva colti.

Harry si iniziò a sfregare le mani con nervosismo per produrre un pò di calore nel freddo crescente.

Quasi quasi iniziava a crederci anche lui a tutta questa storia stupida e assurda.

Per metterla come la vedeva lui, non aveva mai capito perché Vince e gli altri prendessero per oro colato qualunque cosa dicesse quell’uomo inquietante dai capelli rossi, ma ora aveva improvvisamente voglia di fuggire dal gelo provocato da ignote forze di cui poco prima non avrebbe mai ammesso l’esistenza.

“Forze ignote. Che cosa assurda” Pensò

Poi un verso lugubre riecheggiò lontano, basso, animale.

Qualcosa di estremamente simile a neve iniziò a fioccare dal cielo insieme a una brezza gelida da far accapponare la pelle e che frustava gli alberi facendo ondeggiare i grappoli di frutti e di foglie scure. Ma era tutto troppo repentino, troppo rapido per essere naturale …

Harry sgranò gli occhi di sorpresa e la sua espressione si ammorbidì ancora, come se la sua faccia stesse per sciogliersi da un momento all’altro.

«Laggiù» gridò John, eccitato e spaventato dalla potenza dell’apparizione improvvisa.

Lontano, fra l’erba alta, si ergeva un enorme animale, più simile ad una tigre gigante che ad un cane,ricoperto di un lungo e folto pelo serico marrone, lucido e magnifico nella luce che si affievoliva. La parte anteriore del suo corpo era ammorbidita da pelliccia più lunga che nella parte posteriore, ma che nascondeva una struttura muscolare e ossea straordinariamente potente e tozza. Aveva grandi zampe bianche, petto e gola candidi, una scura coperta di vello cinereo che gli sormontava la schiena fino a terminare nel grande ciuffo morbido della coda, scuro come carbone.

Alla base degli arti anteriori, racchiudenti le spesse caviglie e i tendini, luccicavano due anelli di acciaio o qualche altro metallo brillante e argenteo.

I suoi grandi occhi dalle iridi rossastre guardarono gli uomini, i suoi muscoli possenti si contrassero, ma prima ancora che potesse spiccare un balzo tutti videro il grande corpo di Mark muoversi velocemente verso il Cane, deciso, feroce, quasi bestiale.

L’uomo, per qualche strano motivo, sembrava molto più grosso dell’animale quando era arrabbiato.

«Ma che vuole fare?!» gridò Harry impressionato, terrorizzato, percorso da brividi.

Il giovane non riusciva a concepire che potesse esistere una creatura simile a quella che vedeva fra l’erba alta né tantomeno poteva capire con quale coraggio suicida Mark si stesse lanciando in bocca a quel mostro.

La creatura spalancò le fauci, ma non emise alcun rumore. I suoi occhi lampeggiarono sinistri.

L’uomo e il Cane Leggendario furono uno di fronte all’altro.

Fu subito azione: le zampe potenti proiettarono in avanti e in alto la mole del guardiano, Mark, con altrettanta forza, si slanciò contro il ventre bianco della belva ed entrambi rovinarono a terra in un turbinio di polvere, nevischio appiccicoso ed acqua,ma poco dopo erano ricomparsi, per poi riapparire subito dopo molto distanti fra loro. Sembrava una danza, ma la coreografia era eccezionalmente frammentaria, scattante, poco fluida per essere veramente gradevole, eppure solo da quello si capiva che era un combattimento.

La neve era ormai sempre più alta, il lieve fioccare si era trasformato quasi in una tormenta, ma per ora erano tutti troppo occupati a guardare quello strano scontro per ricordarsi di entrare nella casetta che li avrebbe riparati dal gelo.

Il Cane Leggendario indietreggiò, il pelo sferzato dal vento di ghiaccio, e s’irrigidì, poi le sue labbra si mossero e articolarono delle parole

«Cosa vuoi?»disse. Aveva una voce calda, rassicurante, paterna.

Tutto il contrario di ciò che fu quando l’uomo parlò

«Cerco la Pietra delle Fonti. Ma lo sapevi già» ringhiò Mark, le note vibranti del suo timbro adulto e roco che sprizzavano minaccia.

Vince sbatté le palpebre due volte e ammutolì mentre Harry gridava

«Un cane che parla… no, non un cane …un mostro parlante!».

Nessuno gli fece caso. Ma tutti pensarono la stessa cosa.

Il guardiano mostrò due chiostre di zanne perfette sollevando le labbra sottili

«Andatevene e non vi farò alcun male»

«No» rispose ostinatamente il grosso uomo dai capelli rossi «Ho bisogno di arrivare fino alla fine»

«Sciocco. Non ti lascerò passare»la belva reclinò la testa all’indietro, poi in avanti, e dalle sue enormi fauci fuoriuscì un raggio bianco di energia.

Mark intercettò il colpo, e, apparentemente senza muoversi di un millimetro, riuscì a creare in fretta una barriera che potesse reggere all’impatto, ma la potenza e la velocità dell’attacco lo lasciarono senza fiato.

La luce candida del raggio rimbalzò proprio di fronte al suo petto, a una decina di centimetri di distanza dal suo giubbotto, e risalì in aria dove sfumò come il fumo pallido di un petardo.

«Va via» ripeté il guardiano «E né tu né i tuoi amici verrete toccati» poi iniziò a venire lentamente in avanti, il muso un pò corto sempre più vicino, le fiere movenze sempre più ampie e svelte.

L’uomo rimase incantato a guardarlo. Il Cane Leggendario guardò lui e dovette infine ammettere

«Mai visto un umano come te, tanto raro quanto ostinato» ringhiò

Mark sorrise continuando imperterrito a guardarlo con educata curiosità. Il suo pugno inguantato di nero si contrasse e si rilassò due volte, ma il Guardiano non se ne accorse.

Un tuono squarciò il cielo: perfetto.

L’uomo fu tanto svelto da approfittarne per colpire.

Violentemente le nocche del pugno destro impattarono contro la mascella della creatura, ma quello era solo il primo di una lunga serie di attacchi.

La belva latrò furibonda scrollandosi, con le goccioline d’acqua che volavano dappertutto, e balzò via agilmente, scomparendo fra le fronde in un istante.

L’aria rimase tesa e vibrante.

Silenzio. Mark rimase in silenzio, cercando di percepire la presenza del Cane Leggendario per identificarne la posizione. Si voltò e vide un paio enormi zampe candide abbattersi su di lui, poi zanne lucenti lo colpirono alla spalla, squarciandogli la carne fino all’osso. Il sangue sgorgò schiumando intorno ai canini del gigantesco Cane e scese lungo il braccio inzuppando al camicia dell’uomo.

«Mark!»Urlò John, lanciandosi verso l’amico e la tremenda belva. Tremava di eccitata rabbia e sudava di nervosismo anche con il gelo che c’era. I vestiti gli si incollavano addosso.

Il Guardiano si staccò dalla sua vittima, gli occhi semichiusi brillanti come rossi, iridescenti fuochi fatui, e si allontanò in due salti agili

«Non vi farò del male» tuono, mostrando la gola chiara «Non ne ho motivo se ve ne andrete»

«Non andrò da nessuna parte« ringhiò truce l’uomo ferito, già in piedi e con la mano poggiata alla base dello squarcio dolorante. John gli si affiancò, pensando che l’altro fosse un pò pazzo a voler continuare quello scontro

«Tutto bene?» chiese, ma quando l’altro non rispose si mise a urlare e gesticolare «Cosa ti è saltato in mente? Tu sei completamente fuori, hai fatto un salto nel blu amico!Volevi ammazzarlo a mani nude?»

«Si» mormorò Mark, lo sguardo sempre fisso sulla figura massiccia della belva lontana «Lo sai che posso farlo, ti sei scordato chi sono?».

John batté le palpebre, a disagio, facendo finta di non aver capito.

Era vero, terribilmente vero: John aveva dimenticato molta delle loro capacità, in particolare stava sottovalutando quella stessa forza che aveva ucciso nemici ben peggiori di quello.

Ma la verità era che lontano dalla terra dei draghi veniva difficile pensare di possedere poteri sovraumani.

Erano nel mondo reale! Nel mondo razionale! La Giungla esisteva, il Parco di Khana esisteva ed era segnato sulle cartine geografiche e nei libri di scuola … chi poteva pensare che anche qui si potessero incontrare creature come i Cani Leggendari o affrontarsi a colpi d’onde d’energia?  Chi poteva credere che all’improvviso dal cielo assolato si metteva a scendere giù la neve in una tormenta di quelle che si possono osservare solo nei circoli polari? Come poteva esistere un posto simile ed essere anche considerato reale e razionale?

No, era surreale e per una persona adulta era sin troppo difficile da pensare.

Tranne che per Mark, cresciuto nella conoscenza di ogni potere arcano.

Il gigantesco umano trasse d’improvviso, dalla tasca interna del giubbotto di pelle, un coltello a serramanico con l’impugnatura d’osso e lo fece scattare per aprirlo.

Dalla sua posizione il Guardiano della Pietra osservò con attenzione il bagliore metallico che  percorreva la lama.

La tempesta di neve era cessata d’improvviso, cosi come iniziava. Il manto bianco che si era formato sulle foglie e sul terreno aveva già iniziato lentamente a sciogliersi e al suolo serpeggiavano rivoli di acqua sporca.

Ora piovigginava, ma le nubi non erano abbastanza fitte da oscurare la pallida falce di luna crescente.

Il gigantesco Cane si raccolse su se stesso come pronto per spiccare un balzo, il pelo lucido e scuro del dorso rizzato minacciosamente, le zanne brillanti semiscoperte. Era davvero magnifico e letale, ben poco simile a un canide quanto invece a un’apparizione demoniaca o divina, lo sguardo fiammeggiante incastonato nella grossa testa dal profilo fiero.

John aprì bocca per parlare, ma il compagno lo zittì sventolandogli il coltello davanti al volto in un modo che la gente civile avrebbe commentato come sconsiderato e pericoloso

«Non dire nulla, non muoverti…» sussurrò, abbassandosi quanto bastava per far sembrare che anche lui volesse saltare contro il nemico.

Prese la mira, valutando il terreno sotto di lui. Vide una palude fangosa … no, quelle erano sabbie mobili.

Il Cane balzò, una massa di muscoli pesante parecchio più di cento chili che solcava l’aria come un uccello. Era irreale quanto meraviglioso.

John cadde all’indietro e in quello stesso minuscolo lasso di tempo, mentre di nuovo il corpo dell’animale stava per avventarsi su di lui, Mark allungò il braccio sinistro contro il ventre del Guardiano, la lama puntata contro il pelo e la carne.

La bestia passò velocemente sulla sua testa e lui, inginocchiatosi, continuò a tendere al mano verso l’alto. Incontrò la resistenza della pelle e dei muscoli in cui la lama era penetrata, poi più nulla…

Il sangue sprizzò sul suo volto e udì il botto provocato dalla creatura stramazzata al suolo dietro di lui.

Qualcuno esultò da lontano in maniera quasi infantile. Mark si alzò di scatto, intorpidito, ma senza che neppure avesse fatto un passo di nuovo il Guardiano lo atterrò, gocciolandogli addosso sangue dal lungo taglio profondo su petto e pancia .Le enormi fauci dentate si aprirono, un punto di bianca luce cominciò a baluginare in fondo alla gola, simile a un faro nel buio.

John montò a cavallo del Cane Leggendario, gli afferrò il testone e lo tirò indietro con quanta forza aveva . Il raggio d’energia, sfavillante, partì dalla bocca del guardiano e si perse nel cielo buio .Si udì un ringhio formidabile, che scosse la terra, mentre la belva si scrollava di dosso l’uomo che aveva osato salirgli a cavalcioni, facendogli volare via il cappello bianco, poi lo lanciò con una poderosa zampata.

John fu abbagliato da una strana luminosità, batté la testa contro qualcosa di duro e ruvido ed infine perse i sensi. Mark, da sotto il corpo dell’animale, sferrò una ginocchiata al ventre già martoriato, poi serrò le mani intorno al grosso collo del Guardiano, ignorando il dolore lancinante alla spalla ferita che diveniva sempre più acuto .Sentiva il sangue scorrere nelle vene, pulsare sotto le sue dita; la vita gorgogliava sotto il pelo serico e la pelle spessa che lui stringeva. Le mani grandi e forti dell’umano si chiusero convulsamente pressando la gola della belva, le punte delle dita, le unghie, lesero la cute imbrattandosi di rosso.

Il gigantesco Cane colpì allo stomaco Mark con le zampe, ma senza riuscire a liberarsi. Lentamente si assopiva boccheggiante, il fiato troncato, un uggiolio strozzato gli usciva dalle labbra lieve come un soffio.

L’uomo ora sembrava un animale feroce, terribile, con il volto rosso e teso, la mascella serrata, vibrante di potenza nello sforzo di uccidere a mani nude la bestia.

Grida lontane si udirono mescolarsi con i rumori della Giungla Nera.

«Facci passare» mormorò Mark, sibilando cupo «O muori»

Gli occhi tristi e profondi della creatura leggendaria, sempre più spenti, si fissarono in quelli dell’umano.

La presa si allentò e l’enorme corpo magnifico del Cane si afflosciò nella terra zuppa, ansimando con la bocca spalancata.

«Passate» mormorò «Ho tentato di salvarvi dalla follia di Galvatrike, ma avete deciso di proseguire».

Mark si mise a sedere su un grosso tronco nero caduto

«Chi è Galvatrike?» chiese, rauco

«Il secondo Guardiano, il Grande Ferox … och… gruar…» emise un verso stanco e rantolante mentre si rimetteva dritto sulle zampe incerte, i muscoli che guizzavano sotto la pelliccia e si gonfiavano nello sforzo «Sei disposto a uccidermi, per morire tu nelle fauci di Galvatrike?»

«No. Per arrivare fino alla fine di questo percorso»

«Ammirevole coraggio» disse il primo Guardiano, la voce di nuovo ferma e il mento alto.

Un vero e proprio prodigio stava accadendo: le ferite si rimarginavano, il vigore riempiva il suo sguardo che di nuovo brillava di luce fiera, la forza circolava di nuovo nei suoi arti possenti.

Difficile dire come avesse fatto a riprendersi così in fretta, ma quando una creatura leggendaria incontra un Cavaliere delle Tenebre può accadere di tutto, anche di vedere cose che sembrano magia.

«Attento!» Urlò d’improvviso Vince mentre il Cane ruggiva e un raggio candido partiva sparato dalle sue fauci.

Mark si buttò su un fianco e il colpo gli passò sopra sibilando come un proiettile gigante per tranciare la base di un enorme albero dietro di lui, tanto che l’uomo dovette affrettarsi ad allontanarsi per non venire schiacciato dal tronco.

La cima frondosa stava per raggiungere Vince, Harry e la donna senza che riuscissero a spostarsi per quant’erano insonnoliti e con i piedi invischiati. Il più giovane imprecò a voce altissima.

«Dio, siamo fottuti!».

Scrac.

Il ragazzo tremava, gli occhi chiusi. Non aveva sentito alcun dolore, ma ciò non significava per forza che non avesse subito alcun danno.

«Bravo cucciolo!» esclamò la voce femminile, esultante.

Harry, tremando e con l’impressione che anche stavolta ci fosse la fregatura, aprì gli occhi e osò guardare. Il gigantesco tronco scuro dell’albero abbattuta poggiava sul dorso del Guardiano, che li osservava

«Forza, andate al sicuro» ruggì, buttandosi dietro la pianta con una scrollata vigorosa.

«Grazie» sbuffò Vince, ma l’animale era già voltato  verso Mark, che nel frattempo si era rialzato e aveva recuperato la leggera arma. Versi eccitati di piccoli animali provenivano da ogni dove .

Il Cane Leggendario reclinò all’indietro la testa e ululò, unendosi alla selvaggia sinfonia che permeava la Jungla, ai sibili, gli schiocchi, le urla, i friniti, mugghi cupi, miagolii soffocati e il formidabile ruggito della tigre che lontano si perdeva.

L’uomo, enorme sagoma al chiar di luna, rimase impassibile, sebbene nella sua testa s’affollassero mille pensieri. Sapeva che rigenerarsi costava molta energia e che quindi il guardiano doveva essere stanco al limite:quello dell’ululare era un modo per spaventarlo, per fare capire che lui era ancora fresco e pronto a combattere, anche se non era vero quasi per nulla.

Il gigantesco animale avanzò ancora una volta. Nei suoi occhi brillavano le fiamme antiche della terra, il rossore brillante della lava,  venato di quei capillari pulsanti di colori terrei.

Con un movimento pesante si portò avanti, il sangue che gli gocciolava dal petto.

Benché ogni cosa in lui ricordasse le viscere dei monti e il calore del cuore della terra, sotto le sue zampe c’era del ghiaccio che continuava a formarsi un passo dopo l’altro, come cristallo vivo cresceva in formazioni strane.

Era così grosso, possente, e soprattutto materiale, che anche un qualunque umano civile, osservandolo, avrebbe creduto ciecamente alla sua esistenza. Non poteva non esistere una cosa così grossa che ti veniva contro risplendendo del potere del fuoco e della terra.

Ma c’era qualcosa che ostacolò l’avanzata del Guardiano …

Il Cane Leggendario di bloccò. Gli occhi suoi, rossi e iridescenti come lava, incontrarono ancora una volta quelli verdi, profondi e inquietanti dell’invasore.

Il gelo gli serrò il petto, non un gelo vero, dovuto alla pelliccia zuppa e alla brezza fredda, ma ad un oscuro presentimento legato alla presenza dai capelli lunghi e rossi. La belva serrò i denti e tese i muscoli non appena vide un sorriso truce sfiorare le labbra pallide del nemico.

Il pelo gli si rizzò involontariamente sulle spalle.

Mark aveva sollevato il braccio contro i suoi amici, pronto a scagliare contro di loro un’ondata di energia, la sfera di materia nera che già si gonfiava sul suo palmo guantato …

Era pazzo, senza dubbio,pensarono tutti.

Harry gridò incredulo, gli occhi sgranati

 «Che caspio ti salta in mente!».

Gli altri non osarono ribattere, impietriti dal gesto inaspettato.

Il Cane Leggendario fece saettare lo sguardo dalla mano di Mark al gruppo di umani su cui quest’ultima era puntata, capì le intenzioni dell’uomo, e balzò. Il colpo scaturito dal palmo dell’uomo lo centrò in pieno petto, scaraventandolo con fragore a pochi passi dagli umani, ancora percorso da cupe scintille, Il sangue gli rigava il torace abraso, il dorso battuto al suolo era dolorante, tutto il fisico era stato danneggiato. L’uomo avanzò lentamente , a passo di mortorio, solenne e minaccioso

«Eroico» disse, in tono rauco e divertito «Il tuo tentativo di divenire uno scudo vivente … »

La belva contrasse ogni muscolo del muso e mugolò di frustrazione. Ora si trovava immerso fino a quasi la metà del volto nelle sabbie mobili, uno degli occhi rossi nascosto sotto la fanghiglia che lentamente lo risucchiava.

Vince, tremante e inzuppato, si avvicinò cautamente, aggirando le zone dove vi erano grandi pozze di sabbie mobili, per osservare l’animale morente.

Mark era ridivenuto serio mentre rifletteva, perso nel vuoto con la mente, per dimenticare la sofferenza del suo corpo … d’improvviso si riscosse e si inginocchiò, afferrando con la mano, attaccata al braccio della spalla sana, uno degli anelli d’acciaio che stringeva la caviglia destra della zampa anteriore del guardiano.

Il Cane lo guardò con un unico occhi denso e si commosse.

L’uomo tirò, puntellandosi con i piedi contro il tronco caduto, e lentamente liberava il corpo della belva dalla fanghiglia scura. Con un ultimo strattone più forte riuscì a riportarlo sulla zona di terreno duro, roccioso e stabile, poi lo lasciò e si diresse zoppicando vistosamente verso la casetta.

Una voce imperiosa lo chiamò, vibrante

«Umano!»

Mark guardo dietro di se, dove l’enorme creatura, dal pelo sporco di terriccio umido e sangue, si era rimessa in piedi con interesse e commozione misti.

«Qual è il tuo nome?» domandò ancora il Guardiano della Piera, il tono fiero

«Mark»

«Mark» ripeté il Cane, gustando il suono della parola come se fosse dolce e farinosa «Lo sai, vero, che il tuo è un nome potente?»

«Perché dovrebbe esserlo?»

«Lo scoprirai … intanto sappi, Oscuro Ministro, che hai la benedizione di Orion … che è la mia … » si fermò, inclinando il testone da un lato.

L’uomo sorrise amaramente

«Come sai che sono un…»

«Hai lo sguardo di un Oscuro Ministro. Ne incontrai uno circa quarant’anni fa . Ti somigliava…ma non era come te…che tu possa giungere alla Pietra delle Fonti, Grande Anima. O Mathma, come si dice da noi» e concludendo cosi, con note vagamente filosofiche, balzò e parve smaterializzarsi in una coltre di nebbia che comparve innaturalmente dal nulla.

«Arrivederci Orion»  mormorò tra se e se l’umano, caracollando in direzione del rifugio.

Il gruppo si amici lo accolse con una marea di complimenti e pacche affettuose, ma Mark ordinò solamente di recuperare John e  controllare come stava, poi si zittì entrando nel piccolo edificio senza entusiasmo, chiudendosi dietro la porta con un gesto brusco che fece ritirare i suoi compagni spaventati. La casetta aveva solo quattro stanzette ormai ingrigite, anguste, ricoperte di muschio verde e bruno che testimoniavano il disuso e l’umidità.

Il mobilio era povero, costituito da sei vecchi letti distribuiti in modo irregolare, un tavolo grande di plastica nera ricoperto di graffi e sedie, sempre di plastica, impilate l’una sull’altra in un angolo, fatta eccezione  per una che giaceva rovesciata nella stanza in fondo. Le porte erano tutte aperte, ma se anche fossero state aperte non sarebbe cambiato molto perché erano state rose da piccoli animali, topi forse, e insetti. Mark si levò la camicia e il giubbotto e li posò sulla pila di sedie.

Aprì lo zaino, buttato in un angolo, e vi estrasse un rotolo di bende bianche, poi si gettò esausto sul letto, tamponandosi la ferita alla spalla con un tovagliolo umido. Erano passati sei anni da quando era stato coricato in quel letto l’ultima volta e c’era stato solo una volta.

A quei tempi John aveva paura di qualunque cosa, si diceva, ma era comunque abbastanza coraggioso da sfidare la Giungla insieme alla compagnia e aiutarli a costruire il rifugio.

Poi c’era Jacob, che ora era in chissà quale parte dell’America, Torrie, che parlava sempre troppo, Jerry, che era ingrassato a dismisura … quanti ricordi, quanti amici perduti… quando avevano costruito al casetta avevano giurato di rivedersi lì … ma della vecchia compagnia rimanevano solo Vince, Mark e John.

Nel rifugio c’erano solo sei letti perché al tempo del vecchio gruppo Mark dormiva fuori, Vince se ne tornava a casa insieme a Leo, il bambino di dieci anni che sapeva praticamente tutto, e Torrie non dormiva affatto perché aveva  paura dei topi.

I sei posti erano per Lita, John, Jerry, Jacob e una coppia di novelli sposini di cui Mark non ricordava assolutamente il nome, visto che li aveva considerati inutili e insignificanti.

Ora, desiderando di ricordare tutto, lui stava lì, in quel letto dove gli era stato permesso stare dopo che Jerry aveva lasciato il gruppo, e guardava il soffitto da cui penzolavano un bel pò pipistrelli che evidentemente trovavano il posto comodo, perché sembrava con non avessero voglia di muoversi dal loro domicilio.

Dopo l’abbandono di Jerry il gruppo si era sciolto: sembrava che il lavoro e le urgenze fossero precipitati addosso ai membri della compagnia come comparsi dal nulla.

La porta della casetta si spalancò ed entrò John spedito

«Mark!»

«Hm?»

«L’hai sconfitto!»

« …»

«Fantastico! Quindi passiamo e… Mark stai bene?»

«Hem… cosa?Si, si sto bene» il gigantesco umano fu colto da un breve tremore, poi si distese

«Mi dispiace d essere svenuto per non vedere come hai vinto» John  si mise una mano dietro la testa «Qui ho un bernoccolo non indifferente…tu però sei ridotto anche peggio»

«Dammi una mano» disse Mark, mettendosi seduto e lanciando il rotolo di bende al compagno

«Si» John gli si sedette accanto e iniziò a fasciargli la spalla «Ma perché non ti autorigeneri? So che sai farlo»

«Per una bazzecola del genere?No, sarebbe solo uno spreco di energie…»

«A me non sembra una bazzecola» disse saggiamente l’amico «Anzi penso che non dovresti dare per scontato che tornerai subito come nuovo in un giorno, da retta a me, mettici un pò di quel…»

«No» ringhiò Mark

«Irritabile eh? Meno del solito,certo, ma è questo che mi spaventa adesso di te. Cosa c’è?So quando qualcosa in te, non va, ecco, non stai bene…»

«Hai ragione» mormorò l’enorme guerriero, cupo, annuendo in maniera quasi impercettibile «Si tratta del mio drago» ammise

«Shadow?»

«Hm…anche lui è in missione, come noi. Ma questa» e si sfiorò le bende con l’indice «Non è nulla rispetto a quello che lui sta subendo. Qui, nella mia testa» e si indicò una tempia «Sento il suo dolore, sento il suo sconforto. Tu lo sai»

«Si» Confermò John, tristemente «Lo so…è la pena e il privilegio di un Dragoniere, quello che solo un altro prescelto può capire»

«E tu lo sai perché lo sei» concluse Mark.

Chiuse gli occhi per un istante e dietro le palpebre gli scorsero scene di un mondo lontano, come un torrente impetuoso, una pellicola cinematografica che girava veloce e chiarissima. Vide uomini riversi in laghi di sangue, rosso, frecce all’impennaggio scarlatto e fuoco, fumi scuri che si levavano dai tetti delle abitazioni bruciate. Avrebbe potuto sentirne l’odore acre, che faceva lacrimare gli occhi, avrebbe potuto sentire sulla pelle il calore quasi insopportabile.

Vide un essere alato levarsi in volo, orrendo, le fauci spalancate in un urlo stridulo da far arricciare il cuoio capelluto. Per lui era come rivedere, ancora una volta, l’apocalisse.

Aprì gli occhi. L’incubo sparì come era apparso, in un letterale batter d’occhio.

La luce filtrava dalla finestrella macchiettata, bagnando di luce argentea il muro.

John guardava a bocca aperta il compagno

«Che hai?» chiese, preoccupato «Sei… sei cosi pallido e … Dio mio, hai un espressione che manco avessi viso un fantasma»

«Ho visto» mormorò Mark, lo sguardo perso nel nulla, vuoto e vitreo

«Hai visto cosa? Un fantasma?»

«No» la battuta riuscì a strappare un mezzo sorriso amaro al volto serio di Mark «Lui … attraverso gli occhi di Shadow. Era tremendo…»

«Chi?» insistette John, stavolta serio «Chi hai visto?».

Mark lo guardò. I suoi occhi erano tornati calmi e profondi, il colore, per quel poco che ne aveva, gli invadeva di nuovo il volto pallido

«Non posso parlare … mi è … difficile. E di queste cose non parliamo ora».

Il resto della compagnia entrò nella casetta, ciarlando come uno stormo di passeri.

Harry mandò un lungo fischio stonato che sapeva di aspra disapprovazione, poi fece una smorfia

«Che postaccio» commentò, acidamente «Bisognerebbe dare due mani di pittura e disinfestare …pipistrelli!»  d’improvviso, senza neppure il normale crescere graduale del tono della voce, iniziò a strillare «Pipistrelli?! O che schifo! No, no… buttateli fuori… portano malattie tropicali schifose! Ah, c’è del guano a terra … oh, che orrore!»

«Ma finiscila e va a dormire» ribatté Kate, sbadigliando «Poveri animaletti…»

«Ci mangeranno vivi» proseguì il giovane, sedendosi su un letto con fare sospettoso, come se il materasso fosse ripieno di cimici feroci pronte a saltargli addosso per sbranarlo vivo «E poi chi non ci dice che ci siano animali nei materassi?»

«Ce ne saranno di sicuro» rispose seccato Vince, tossicchiando «Ma è sempre meglio che venire squartati dalle tigri, no?».

Harry borbottò qualcosa sul  “perché lo avessero portato laggiù?”e si coricò.

John ridacchiò, ma tornò serio quando vide Mark aprire la porta e rimettersi il giubbotto nero di pelle.

«Dove vai?» Gli chiese, con la voce un po’ stridula

«A dormire fuori…» rispose Mark «Non sopporto riposare in un posto cosi piccolo»

«Claustrofobico?» indagò John

«Piuttosto amante dell’aria aperta, direi»

«Se insisti … » concluse l’uomo dal cappello bianco, sdraiandosi e accavallando le gambe all’altezza delle caviglie. Un sorrisetto furbo e arrogante gli era comparso sulle labbra, pieno di ironia.

Mark chiuse dietro di se il pannello di legno spesso e avanzò nel buio.

La selva, esotico rifugio, era meravigliosa di  notte.  Alte piante simili a bambù spinosi sorgevano strette fra loro, ma non tanto numerose quanto quegli alberi alti dal fogliame stinto e da cui pendevano gruppi folti di liane spesse e lignificate.

Nell’aria si spargeva un odore di gelsomino dolcemente inebriante.

L’uomo trovò il posto ideale per riposare fra un cespuglio dalle foglie rosso brunite e il tronco di un fico delle pagode, il quale aveva sulla corteccia una cavità perfetta e liscia. Si adagiò seduto sulle ampie radici e la schiena contro il grande fusto inclinato e lascio che il tempo passasse lento ascoltando il rumore lieve delle foglie mosse dalla brezza, infine si assopì.

Luce.

Luce azzurrina come di ghiaccio riflesso. L’ambiente era ampio, molto luminoso

Lui si mosse con circospezione verso un lastrone gigantesco, simile a un grande specchio. Un sospiro simile a un ringhio gli sfuggì dalle labbra. Era nervoso e la tensione lo consumava. Un gemito gli fece rizzare la testa e si guardò intorno con attenzione. Qualcosa passo sulla sua testa planando, fischiando in modo acuto. Non capì cosa fosse, ma gli parve di vedere due ali nerogrigiastre e membranose parecchio grandi. Forse era uno dei suoi nemici, forse no, chi lo sapeva? Ma in un posto del genere sembrava difficile che ci fossero degli amici. Faceva freddo tirava vento.

Tutto era ricoperto da una luminosa coltre bianca e soffice di neve alta quasi mezzo metro e degli altri fiocchi scendevano copiosi dal cielo, candido anch’esso a causa dei curiosi addensamenti di nuvole.

Una forte luce lo attirò. Lui si mise a correre, i suoi passi pesanti che, man mano procedeva producevano un rumore cupo e riverberante, mentre affondava nella neve fino alle caviglie.

D’improvviso qualcosa gli sferzò il doso come una folata di vento. Si girò di scatto e sentì delle cose appuntite colpirgli la gola. Con un colpo solo mandò zampe all’aria la creatura che l’aveva attaccato con i suoi artiglietti simili a punteruoli.

Una specie di pipistrello gigante giaceva in mezzo al candido manto. Aveva orecchie più piccole di qualunque altro chirottero, appuntite, una criniera biancastra e sporca gli ricopriva il collo e parte della schiena magra da cui dipartivano un paio di lunghissime ali scure, terminanti con un unghione ricurvo dalla punta sanguigna. La bestia si sollevò sulle zampe posteriori e stridette contro di lui, che non ebbe altra scelta se non quella che puntare verso quel corpo magro il palmo destro e travolgerlo con un’ondata di energia che lo ridusse all’eterno silenzio.

Sangue corse come una cascata, macchiò la neve, la sciolse in una grande chiazza di un rosso sporco.

Neppure il sangue aveva più la sua gradazione nobile e pura di scarlatto.

Proseguì per la sua strada, l’essere solitario. Mai come adesso, gli sembrava cara la vita, e il cuore  batteva forte nel suo petto,cosi veloce da sembrare la base ritmica di un ballo scatenato. Una samba.

Sentiva una grande fonte di energia vicina, sempre più vicina … ecco, c’era quasi.

Un urlo penetrante acuto giunse alle sue orecchie. Strinse i denti fino a sentirli stridere, abbassò la testa, socchiuse gli occhi. La neve turbinò intorno a lui, frustandogli il corpo. Vide, fra il tripudio di niveo candore, appressarsi due enormi ali nere.

Ruggì. La cosa lo raggiunse. Il terrore lo assalì, irrigidendogli le membra. Nero. Luce gialla e tenue...

Mark aprì gli occhi e scattò in piedi. Un sogno? Si sentiva come martellato e non fu sorpreso di sentire che anche il suo battito cardiaco era accelerato e irregolare. Si era fatto giorno ormai da un pò.

Il sole filtrava dai rami proiettando bagliori aurei sul terreno circostante.

L’uomo si alzò ansimante.

Ciò che aveva visto era ben più di una produzione della fantasia: aveva visto ancora attraverso gli occhi del suo drago. Shadow… Shadow … era in pericolo. Ne andava della sua vita, questa volta.

Ma come mai quelle visioni trapelavano solo nei sogni e in alcuni momenti di tensione? Un tempo gli era possibile sempre comunicare con il suo drago.

Roso dal dubbio, l’enorme umano si diresse verso il rifugio. Si sentiva come se dentro i polpacci avesse dei pesi da sette chili ciascuno, fatti di piombo, piccoli, che pressavano verso il basso.

John era seduto all’entrata, poco fuori dalla porta, con il cappello calato negligentemente storto calato sugli occhi

«Buongiorno eroe» disse, senza alzare lo sguardo

«‘Giorno volpone» rispose Mark «Come mai qui?»

«Sono mattiniero … » rimase vago, il sorriso arrogante sulle labbra

«Non ne hai fame, vecchio volpone?»

«Urgh… » John si alzò la tesa bianca del copricapo e scattò in piedi come un personaggio dei cartoni animati «Sto morendo di fame!Mi capisci?» gli gridò in faccia, a squarciagola

«Si, si…non urlare…»

«Allora che si mangia?»

«Eh? Eh? Eh?» aggiunse zelante Vince, sporgendo dal portoncino consumato con l’aria pimpante di chi è sveglio già da parecchio «Che si mangia? Eh, capo? Il capo è quello che ci sfama, giusto capo?»

 «Veramente …» tentò Mark

«Uh si» intervenne Harry, venendo fuori con i capelli neri scompigliati e la voce ancora impastata di sonno «Ho un fame e una sete e …»

«Basta!»  ruggì Mark. Una vena gli pulsava in modo spiacevolmente vistoso sulla tempia.

John boccheggiò e Harry mandò un piccolo grido spaventato.

«Cosi va meglio» proseguì Mark, soddisfatto «Allora… volete da mangiare, giusto?».

Silenzio.

«Non vi siete portati nemmeno un panino?».

Ancora silenzio, stavolta ancora più pesante, con gli occhi di tutti puntati al terreno.

«A quale gita pensavate di andare? Niente cibo?».

Oltre che arrabbiato, Mark, era anche deluso. 

«No» confermò il giovane, esitando, facendo finta di schiacciare un mozzicone di sigaretta con il piede, come se fosse in un cartone animato «Ma non potevo pensare di mettere un panino in borsa se voi mi avete, beh…» fece una pausa guardandosi la punta delle scarpe Nike «Trascinato qui» concluse, triste

«E io ho finito la roba da mangiare ieri sera» confessò l’uomo dal cappello bianco, senza alcun imbarazzo.

Mark si diede da solo e più volte dell’ingenuo: ma certo, avrebbe dovuto prevedere che John si sarebbe divorato in una notte tutte le provviste, che un ragazzino trascinato a forza non era equipaggiato, che Vince confidava così tanto in lui da pensare che avrebbe portato da mangiare per tutti e anche la ragazza … dov’era la ragazza?

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Capitolo 3
*** Galvatrike ***


Capitolo 2

Galvatrike

“Occhi di rabbia liquida fissavano i miei, con cupa, orribile determinazione.

Il suo corpo avanzò, fremendo, impaziente e torvo, facendo riecheggiare il suo ringhio.

Era la paura condensata e rinata sottoforma di cupo demone striato”

 

«Sentite…dov’è Kate?»

«Kate?» fece Vince, guardandolo con un occhio solo socchiuso che gli dava un’aria sonnacchiosa

«Boh!..dai, dov’è?»

«Non lo so. Ieri sera è uscita. Diceva che…non so, parlava di pescare»

«Pescare?».

Ma dunque lei non  sapeva dei caimani e delle tigri, dei serpenti che, si diceva, fanno sudar sangue? Anche se non conosceva la biologia o la geografia, era d’obbligo che avesse letto almeno una volta un’opera di Salgari.

Mark si passò una mano sulla fronte sudata e ordinò di seguirlo, poi si diresse a passo svelto verso est.

Foglie e rametti scricchiolavano sinistramente sotto i suoi stivaloni neri, ma dietro di lui gli altri producevano un frastuono doppio. John si era armato di una pistola e di un coltellaccio lungo venticinque centimetri che ora pendeva dalla cintura di cuoio e produceva un rumore metallico ogni qual volta sbatteva contro la tasca piena di monetine. Mark accellerò ancora, sparendo tra i macchioni di fitti vegetali come un’ombra nel buio, senza neppure lasciare che i cespugli alle sue spalle ondeggiassero. Sperò di non arrivare troppo tardi al fiume più vicino, sperò che Kate non si fosse persa né che fosse stata presa prima di giungere alla meta. Scavalcò un vecchio tronco ammuffito, dal quale schizzarono fuori una famiglia di uccelletti, e scostò la cortina di rami e foglie, che gli graffiarono le punte delle dita non ricoperte dai guanti, per vedere finalmente la riva del fiume: era un esile corso d’acqua, irregolare, profondo al massimo ottanta centimetri.

Mark si accostò ai flutti e si guardò intorno con circospezione.

Sentì sulla pelle la sensazione inspiegabile di essere osservato, minacciato anche. Strinse i pugni fino a farsi male, conficcandosi le unghie nella carne e mettendo sotto pressione le articolazioni: lo sentiva che c’era qualcosa di sbagliato e su queste cose indovinava sempre.

Gli altri lo raggiunsero con John alla testa del gruppo che si apriva la strada a colpi di coltello e videro il gigante dai capelli rosso scuro che fissava un punto alla sua destra con attenzione.

Harry non se ne curò nemmeno un minimo e si inginocchiò sulla sponda per bere avidamente.

Ah, com’era dolce e fresca l’acqua!Il giovane non avrebbe potuto descrivere sensazione migliore di quel contatto sulle labbra che gli irradiava la gola inaridita e lo dissetava, mai avrebbe pensato che un composto cosi semplice avrebbe potuto donare tanto sollievo.

“Due atomi di idrogeno ed uno di ossigeno, la formula è semplice e il risultato perfetto, amabile”, pensò Harry Senza preavviso qualcosa lo afferrò per le spalle e lo tirò su velocemente. Il suo stomaco si contrasse ed ebbe una strana fitta dolorosa.

Guardò in basso senza neppure volerlo, guidato da una forza misteriosa, e vide conficcato nel terreno umido, nel posto preciso dove poco prima c’era la sua testa, un dardo lungo trenta centimetri, sormontato da una piuma rossa come il sangue. Chi aveva afferrato il ragazzo lo lasciò andare.

Harry si girò supino e vide Mark per primo, che lo fissava deluso, sprezzante

«Grazie» balbettò, ancora scosso dal terrore

«Tu vuoi lasciarci le penne, vero?» chiese il guerriero, serio

«No, ehm» il giovane si alzò e si mise a pulirsi i vestiti con le mani.

Vince e John chiamavano Kate a gran voce, senza essersi accorti del pericolo incombente su di loro.

Mark sospirò, si infilò una mano all’interno del giubbotto di pelle nera e ne estrasse un piccolo pugnale dalla lama serpeggiante, con la punta annerita come se fosse bruciata e delle rune, una a forma di triangolo con un trattino dentro ed una circolare, incise alla base del metallo, vicino all’attaccatura.

L’impugnatura, nera con una striscia viola che vi si avvolgeva risalendo a spirale, terminava in un pomolo semitrasparente che sembrava brillare di una sinistra luce verde con un nucleo nero.

Cosi armato, l’uomo tuonò

«Fatti avanti Liongen, lo so che ci stai seguendo!»

Silenzio. Tutti guardarono verso di lui che, respirando affannosamente, rimaneva fermo con l’arma stretta in mano che guardava la foresta che ricopriva l’altra sponda.

Un dardo sibilò verso di lui e ricadde a qualche centimetro dal suo petto.

«Non puoi uccidermi cosi , Liongen» proseguì Mark, le labbra incurvate in un sorriso truce «Le frecce non possono penetrare il mio scudo d’energia».

John capì finalmente perché Mark non si era autorigenerato: voleva creare una barriera d’energia al livello minimo, appena una patina che lo avvolgesse integralmente e che potesse durare a lungo, forse perché sospettava già della presenza di un intruso, e se avesse sprecato energia per curarsi non gliene sarebbe rimasta per proteggersi.

Le piante si mossero aldilà del fiumiciattolo e uscì un uomo di statura media, con i capelli biondi e la pelle abbronzata, vestito con una giubba rossa stinta che faceva contrasto con camicia panna e con un paio di pantaloni verdi e grigi con i tasconi alla militare, strappati un po’ sul lato destro. Aveva in mano un coltello dal manico rosso, l’arma tipica dei settari ermeti, e teneva come ostaggio, sotto l’altro braccio, Kate.

«Come vedi ti ho giocato, Ministro» disse, la voce dal tono sprezzante «Arrenditi alle forze della Grande Alleanza ed ella vivrà»

«No Mark!» gridò la donna, sicura come se non avesse affatto un coltello puntato alla gola «Non farlo!»

«Non preoccuparti Kate» mormorò il guerriero dai capelli rossi «Non sa con chi ha a che fare…».

Liongen brandì la piccola arma con convincente impazienza

«Consegnati a me o l’ammazzo!» urlò

«E come?Come faccio a consegnarmi a te? Mi impacchetto?» chiese ironico Mark

«Ucciditi!» ringhiò il biondo, con il volto contratto e gli occhi di un folle «Altrimenti io…».

Ridacchiando come un pazzo, fece scorrere la lama sulla pelle della ragazza, a lato del collo, facendo stillare qualche goccia di sangue che colò lentamente lungo la curva morbida della gola.

Ella sorrise invece di lamentarsi e sussurrò all’orecchio del suo rapitore

«Sei morto».

Mark saltò come un lupo, in modo del tutto inaspettato, e atterrò Liongen strappandogli di mano l’arma con un guizzo fulmineo della destra. Kate cadde con loro, ma si rialzò e si allontanò quasi subito, barcollando.

L’enorme umano pose una mano sul collo dell’ermete e strinse, mentre si preparava a colpirlo con i pugnale dalla lama ritorta.

Liongen lo guardò con occhi colmi di terrore. Non poteva essere umana una creatura che era capace di attraversare un fiume con un solo balzo e atterrare  un uomo armato per poi strozzarlo usando solo una mano.

«Se non mi uccidi» gemette il biondo, tremante, con voce strozzata «Io ti rivelerò il nostro rifugio»

«Ho distrutto il vostro covo due mesi fa» rispose Mark «Non mi interessano queste informazioni. Devi aggiornarti, traditore»

«Un…at…attimo»

La presa sul collo dell’ermete fu allentata e quest’ultimo, boccheggiando alla ricerca d’aria, iniziò a parlare

«Non…non sapevo che avessi raggiunto la Sede…io…ho altre informazioni per te. So qualcosa sulla Grande Alleanza. Posso aiutarvi»

«Parla traditore!»

«Se mi fai alzare…».

Il gigantesco uomo si spostò e rimise in piedi, sempre tenendo con una mano la sua preda, che a sua volta fece lo stesso, lamentandosi

«Lasciami andare»

«Fuggiresti»

«Ma se con una mossa riesci a riacchiapparmi!» mugolò il biondo, come un bambino

«Vieni con me».

Mark fece cenno agli amici di seguirlo e portò il gruppo di nuovo al rifugio. Spinse Liongen avanti, bruscamente, lo fece sedere e gli ordinò di raccontare tutto ciò che sapeva sulla Grande Alleanza.

Il biondo inspirò profondamente e pensò di essere un vigliacco, ma che era pur sempre meglio un vigliacco vivo che un coraggioso morto.

«Partandan è il nostro tenente» Iniziò, tremando di rimorso «Non è un umano,è un Adeo… un alieno. Beh, lui chiama Ade il suo pianeta, perlomeno … Lui mi ha parlato di una pietra, no anzi, di tre pietre dal potere eccezionale. So che voi ne cercate una perché siete qui nella Giungla del Parco di Khana, ma so anche che la Pietra dei Flussi è in mano a Partandan»

«La Pietra dei Flussi?» chiese John, incredulo «La Pietra dei Flussi non è quella del Nord?»

«Si, esatto. La custodisce in un posto particolare. Da non crederci»

«Dove?» incalzò Mark, rauco come quando era interessato a qualcosa di esaltante

«In Transilvania. In un castello custodito da vampiri»

«Mi stai prendendo in giro?»

Un pugno colpì l’ermete in volto, facendogli saltare un dente.

«No…no » gridò il biondo, con il sangue che gli colava da un angolo della bocca «Non voglio imbrogliarti»

«Lo sai che non ti libererò vero?Non puoi fuggire»

«Avrei dovuto immaginalo da un essere senza cuore come te…ma tranquillo, non ti voglio tirare in qualche inganno…ci tengo alla mia testa»

«E allora continua, prima che te la tagli» lo minacciò Mark

«Va bene…Partandan mi ha mandato per seguirvi sino alla Pietra delle Fonti e far si che la recuperaste voi per poi rubarla, ma…»

«Non hai resistito al desiderio di compiere una vendetta personale uccidendo il Cavaliere Nero» concluse ragionevolmente John

«Si, è cosi. Se solo ci  fossi riuscito…»

«Ma il tuo capo vuole la Pietra,non la testa di Mark. Non ti avrebbe scuoiato vivo se non gli avessi portato quello che gli hai chiesto?»

«Nooo!» ululò, scoppiando in una risata folle «Noo…mi avrebbe sommerso d’oro, ha ha, voi non avete neppure una pallida idea di quanto vale la pelle del Cavaliere Nero. Caro Ministro» e si rivolse al grosso umano dai capelli rossi «Oltre seimila uomini non vedono l’ora di poterti ammazzare e vendere al Grande Ratbesk il tuo corpo per riceverne infiniti onori, per non dover lavorare mai più, per essere più potenti e ricchi di un re…Questo è quanto posso dirti»

«Ratbesk?»

«Il capo supremo…forse noi ermeti siamo praticamente all’oscuro di tutto quello che sta succedendo»

«Ah».

Mark si mise a passeggiare avanti e indietro, la sua ombra nera sul muro che sembrava di un tratto più grande, più scura e minacciosa. Liongen si tamponò il sangue con la manica, senza mai staccare lo sguardo dal suo immane aguzzino.

«Vampiri» Disse all’improvviso colui che chiamavano il Ministro Oscuro «Non ne hanno mai abbastanza. Shadow sta affrontando vampiri. Io ho avuto a che fare con loro non molto tempo fa» guardò Liongen e sorrise «Ma per ora, mio piccolo amico, non pensiamo a quelle creature dannate. Tu farai un lavoro utile e bello…»

«Il tuo tono non mi fa pensare che mi farai coglier fiori, vero?» disse ironico l’ermete

«No» rispose Mark, affabile, avvicinandosi al prigioniero «In effetti non coglierai fiori. Farai da esca vivente per vedere quanto è terribile il secondo Cane Leggendario...»

«Non puoi farmi questo!» urlò Liongen, il volto stravolto dalla paura e dalla sorpresa

«Ritorna in te e…certo che posso farlo. Ti avrei ucciso in ogni caso…almeno cosi hai qualche possibilità di sopravvivere e ti giuro che se sopravvivi ti risparmio» terminò portandosi la mano sul cuore per sigillare la promessa appena formulata.

Il giovane biondo sospirò arrendendosi al’evidenza di un futuro prossimo piuttosto fosco

«L’importante è che sia veloce quest’azione» chiarì

«Oh si, lo sarà…devi solo farti vedere e correre» rispose Mark, noncurante, poi aggiunse «E ora andiamo. Sanguini e il sangue fresco dovrebbe poterlo attirare, se è la belva che penso che sia»

«Rassicurante»

Il gruppo ripartì verso il fiume. Una volta giunti, Kate riuscì a prendere quattro o cinque grossi pesci neri e dalle squame sottili, ma irte e piene di asperità, che John puliva con il coltello mentre Vince accendeva un fuocherello. Come la donna facesse a tirar su quei bestioni usando solo un bastone appuntito in cima, che aveva preparato prima di venire fermata dal rapitore, rimaneva ancora un mistero.

«Wow, sei bravissima» Si complimentò Harry «Tu si che sai cosa vuole il mio povero stomaco. Sei il mio angelo custode fra tutte queste bestie…voglio dire» fece un gesto vago con la mano, come a indicare prima se stesso, superiore, e poi quei “selvaggi” «Fra questi uomini che non possono comprendermi».

Lei rise in modo cosi argentino e sincero che Mark si voltò

«Che succede?» domandò subito

«Niente, niente…tuoni del cielo, questo ragazzo è una vera forza della comicità!»    

«Bah, se lo dici tu…»

«Chi vuole da mangiare?!» esclamò all’improvviso John, alzando un enorme pezzo di pesce affumicato che spandeva un profumino da far venire l’acquolina in bocca.

Tutti si buttarono letteralmente sul pover’uomo dal cappello bianco chiedendo a gran voce la loro razione, Mark invece si allontanò in un cantuccio con il suo fido zaino da cui estrasse quasi mezzo chilo di carne e la lasciò cuocere su una griglia la quale, montata sull’adeguato supporto, si poteva definire un barbecue portatile. Il Cavaliere Nero alimentò il fuoco, acceso in precedenza con il buon vecchio accendino scolorito, attraverso l’aggiunta di un mucchio di rametti, e attese tranquillo.

Non appena l’odore di carne si diffuse nell’aria John comparve tutto eccitato

«Hai portato del vitello?» chiese, cercando di mostrarsi indifferente, ma senza riuscirci

«Si … non sbavare … » Mark si trattenne dal ridere «Gli altri?»

«Questa non basta per tutti» John indicò il cibo «Dico, ma dico: vuoi morire di fame? Loro hanno da mangiare: non dividere la roba da mangiare con quelli con la pancia piena!»

Mark si lasciò sfuggire un sorriso benevolo e aprì lo zaino di nuovo: stavolta ne tirò fuori un salame, una collana di salsicce e del pane, per poi posare tutto fra le braccia dell’amico

«Questo per voi…è cibo italiano, tutta roba buona, credimi. Io voglio fare alla Tarzan…»

«Ma dove diavolo?».

Niente. Troppo tardi:la sagoma enorme ammantata e di nero del Ministro Oscuro era già scomparsa tra la fitta vegetazione ella Giungla Indiana.

Quello del pranzo fu un piacevole intermezzo visto che da lì a poco avrebbero dovuto affrontare il Secondo Guardiano, che a quanto pareva era più temibile e feroce del primo. Beh, difficile immaginarlo.

Mark ritornò cosi come era scomparso, spuntando dal nulla per annunciare, come un uccello del malaugurio gigantesco, che la baldoria era finita.

Li condusse in un viaggio in mezzo alla foresta che a nessuno si augurerebbe di fare. Falciando gli ostacoli camminarono per ore su un terreno insidioso che nascondeva ogni sorta di animale velenoso, ragni e serpenti, superando tronchi abbattuti, aggirando massi e gruppi di piante impenetrabili, avendo da mangiare a disposizione solo frutta da raccogliere lungo il percorso, sempre stando bene attenti a controllarne la commestibilità. Si fermarono solo una volta, dopo due ore dalla partenza, e la paura non durò che una ventina di minuti, sedendosi sulle pietre accanto a uno dei rami affluenti al fiume. Solo a Liongen il riposo fu negato e venne mantenuto dalla minaccia del pugnale di Mark.

Nel tardo pomeriggio giunsero in una zona erbosa parecchio ampia. Il prato, basso e di un colore verdegiallino, ospitava al centro una sorta di monolito alto più di due metri, una pietra dai bordi arrotondati, ma simile a un enorme gomma per cancellare.

Vince ci battè contro le nocche come per bussare

«Uhm..sembra regolare…» commentò sollevato «Non è cava, a che serve?»

«Non saprei» disse Mark, spingendo innanzi Liongen, con rude colpo «Ma da quanto mi hanno raccontato il territorio del Secondo Cane si trova oltre questo masso. Potrebbe essere una specie di segnale di avvertimento»

«Vuoi mandare il nostro amico?» chiese ancora l’uomo dai capelli grigi, divertito.

Il Cavaliere Nero  non parlò, ma trascinò l’ermete fino al monolito e lo colpì con un pugno in faccia che fece roteare il giovane su se stesso e cadere al suolo gemendo.

«E ora va» ordinò «Cammina finché  non ti dico di fermarti».

Liongen si tirò su passandosi una mano sulla guancia violacea e sanguinante

«Perché mi hai picchiato?» ringhiò, senza comprendere la brutalità con cui quell’uomo enorme si accaniva su di lui «Tanto mi stai già mandando al macello!Perchè?»

«Per il sangue…verrà prima se sente il tuo odore».

Il biondo tirò dritto mormorando fra se e se che se fosse sopravvissuto avrebbe ucciso Mark.

Inspirò profondamente e nel farlo gli arrivò un forte odore di selvatico, ma non si fermò. I suoi piedi calzanti stivali grigiastri calpestavano sempre più velocemente il manto erboso, producendo un rumore ritmico e scricchiolante.

«Ma che…».

Non ebbe tempo di capire né di urlare. Qualcosa di grande come un enorme leone saettò dalla foresta e lo abbatté al suolo colpendolo di petto, poi corse via di nuovo.

Liongen emise un urlo strozzato

«Ai…aiut…to!»

Mark galoppò rapido verso il ferito, ma di nuovo la bestia spuntò dalla foresta, stavolta muovendosi un pò più lentamente. Il Secondo Cane Leggendario aveva l’aspetto di un pitbull molto, molto grande, con il manto giallastro, cortissimo e ispido, striato di linee nere e marroni che avevano la strana forma di saette irregolari che attraversavano tutto il dorso e i garretti asciutti, robusti.

Aveva mascelle corte e tozze armate di una dentatura formidabile, una testa grossa, tonda, con la fronte alta e l’avvallamento fra la canna nasale e la scatola cranica molto marcato. La fronte era alta e robusta, dava l’impressione di non potersi rompere neppure se avesse sbattuto con forza contro un palo di cemento. Era ricoperto di cicatrici in rilievo e gli mancava metà di una delle piccole orecchie nere tirate all’indietro contro il capo.

Il suo era l’aspetto di un guerriero marcato dal dolore e dalla rabbia di mille battaglie, feroce e inarrestabile veterano del mondo bellico.
Si spostava a una velocità spaventosa: in due balzi fu di nuovo sul corpo di Liongen e lo sgozzò con un morso solo, senza lasciare possibilità di reazione, spezzandogli la spina dorsale con una torsione violenta del collo ed aprendogli la gola da parte a parte.

Poi girò su se stesso facendo perno con le zampe posteriori e si ritrovò a fronteggiare il gigante dai capelli rossi.

Abbaiò, gli occhi gialli iniettati di sangue fuori dalle orbite, mostrando le zanne.

Mark gli lanciò il pugnale, ma riuscì a centrargli solo la muscolosa spalla destra, che fiottò sangue. Il Guardiano era fuori di se per l’ira e si lanciò contro l’umano per prenderlo al collo, le fauci tremende spalancate. Il Cavaliere Nero lo colpì al volo con un destro formidabile, ma anche se colpita la bestia gli azzannò un braccio non appena toccata terra con le grosse zampe. I denti affondarono per tutta la loro lunghezza nel bicipite e nel tricipite, poi il Cane tentò di scuotere la testa per dilaniarlo, ma per fortuna della sua vittima uno sparo risuonò e una pallottola si conficcò nella coscia destra dell’animale, facendolo ululare di dolore.

Mark strappò il coltello dal corpo del Guardiano e lo colpì di nuovo varie volte, alla cieca. Squarci orrendi si aprirono sul petto e sul dorso del grosso animale, che non appena potè farlo fuggì con la coda fra le gambe come un codardo.

John scaricò contro il fuggitivo l’arma, senza prenderlo neppure una volta

«Bestia vigliacca!» gli urlò allora, tentando di sembrare arrabbiato quando invece era profondamente compiaciuto di non dover affrontare un nemico tanto terribile. Ma si sbagliava di grosso.

Con un latrato formidabile il Cane tornò alla carica, perdendo sangue come il vino da un otre bucato.

«Mio Dio!» urlò Harry, indietreggiando e incespicando.

La bestia galoppava verso di loro, non verso Mark, con la schiuma alla bocca.

John estrasse il coltellaccio lungo venticinque centimetri e gridò.

Il Secondo Guardiano, come un folle, andò a cadere proprio sulla lama con il ventre, ma incurante del dolore protese il collo e azzannò alla spalla sinistra dell’uomo dal cappello bianco che urlò di nuovo, stavolta di dolore, e ricadde sotto il peso della bestia.

Il Guardiano spinse con il muso alla ricerca spasmodica della giugulare.

John fece finta di essere morto e smise di respirare.

Sentì per qualche secondo l’alito caldo e umido della bestia sfiorargli il volto,  il sangue fresco che impregnava le zanne gli gocciolò fastidiosamente su una guancia, poi il fresco ritornò come un balsamo e lui respirò profondamente. Il Secondo Guardiano era evidentemente abbastanza stupido da cascare in quel trucchetto da principianti…John si rialzò a sedere e vide Mark e l’enorme pitbull gigante di nuovo avvinghiati in lotta.

Poco lontano da loro giaceva in un pozzo di sangue rosso il corpo senza vita di Liongen, la bocca spalancata e la gola orribilmente dilaniata, quasi tranciata a mostrare l’interno. Nella mano sinistra, serrata, il cadavere stringeva qualcosa di brillante, dal colore vago come se in se racchiudesse un piccolo arcobaleno dai colori sbiaditi che girava lentamente su se stesso.  John si grattò una tempia per distogliere l’attenzione del suo cervello verso il morso, non tanto profondo da essere grave, e superando la paura e l’orrore si avvicinò al morto.                        

Gli occhi cerulei di Liongen erano spalancati nell’ultima espressione colma d’orrore, vitrei e fissi, il corpo rigido. Faceva pena ed al contempo orrore,  ma era impossibile pensare che quella fine non se la meritasse in fondo.

John gli chiuse gli occhi con due dita, solennemente

«Riposa in pace…e ora fammi vedere cos’hai in mano» mormorò, alzando il braccio sinistro della salma e strappando l’oggetto dalla sua stretta di ghiaccio. Gli venne da ridere: un cristallo, grosso come una susina. Possibile che alla sua morte Liongen avesse impugnato una gemma preziosa?

Il filo dei suoi pensieri fu interrotto da un verso ringhioso che gli fece alzare la testa di scatto.

Mark e il Cane, vicinissimi a lui, si erano separati e si guardavano torvi; l’uomo silente e la belva ringhiante con il pelo ritto e  le labbra ricoperte di schiuma densa.    

Il Guardiano era letteralmente ricoperto di grandi tagli e il suo pelo giallo era divenuto di un colore sanguigno, grumoso, ma anche l’umano non era ridotto meglio ed esibiva un taglio spaventoso sul lato destro del volto, che partiva dalla mandibola e gli segnava lo zigomo con una spessa linea rossa. La bestia si sollevò sulle zampe posteriori e abbaiò, lanciandosi di nuovo con impeto contro il suo avversario e facendolo sbattere contro il terreno.

John si allontanò di qualche passo, intimorito, ma ugualmente incitando il compagno impegnato nello scontro.

Mark afferrò il pitbull gigantesco in una sorta di abbraccio immobilizzante e si rialzò, malfermo sulle gambe e con il pesante fardello in braccio, per poi lasciarlo ricadere sull’erba e assestargli un calcio al fianco con tuta la forza che riuscì a convogliare nei muscoli doloranti dell’arto. Un dolore sordo e pulsante gli invase il polpaccio e gli risalì su per la gamba, ma lui si sforzò di non farci caso.

Galvatrike guaì in modo incredibilmente acuto e, scattando sulle quattro zampe, si allontanò di corsa, seguito dall’umano che per un buon tratto continuò a galoppargli dietro alla maniera minacciosa e muta del lupo solitario, ma che infine cedete e lo lasciò allontanare.

Il Ministro Oscuro cadde in ginocchio a capo chino e con il respiro affannoso, la mani chiuse a

pugno che stringevano i ciuffi d’erba fibrosi. Un liquido rosso, intenso, sangue, gli colava a gocce dallo sfregio sul volto e dalle mani guantate che più di una volta avevano incontrato le temibili zanne del Guardiano.

Kate, con espressione contrita, gli si avvicinò e gli pose una piccola mano fresca sulla spalla

«Bravo» disse, sinceramente ammirata «Sei stato molto bravo. Come stai?»

«…»

«Non preoccuparti, dai, ti aiuto ad alzarti»

«No» sbottò d’improvviso Mark, rabbioso, rosso in viso

«Perché non…»

«Shadow» tuonò il Cavaliere Nero, alzando lo sguardo come alla ricerca spasmodica di qualcosa nel cielo «Non devi…».

Poi cadde e non si mosse più.

La visione vorticò nella sua testa dopo il nero della morte …

Non urlare.

No. No. No.

Si risvegliò poco dopo e vide le cime degli alberi sopra di lui. Fu costretto a sedersi per non rimanere abbagliato dalla luce gialla che filtrava contro i suoi occhi troppo chiari.

John era accanto a lui e lo osservava curioso.

Mark gli rivolse un sorriso stanco e inquietante.

«Cosa avevi?» Chiese l’uomo dal cappello bianco, all’improvviso

«Shadow» borbottò cupamente il Ministro, con lieve riluttanza «L’ho visto»

«Di nuovo?» chiese John, quasi esasperato da quel contatto che era causa di tanta sofferenza per il suo amico

«Si,di nuovo … » confermò Mark, annuendo nella solita maniera lenta e corta »Mi sento scoppiare il cuore se ci penso…povera creatura mia, perché deve fare ciò?»

«Cosa hai visto?» John si trattenne dal commentare il modo di esprimersi del compagno, così inusuale da preoccuparlo «Magari posso aiutarti … » si offrì, sincero.

Mark fissò lo sguardo in un punto in alto nel vuoto, con il volto contratto di chi osserva una battaglia agguerrita dall’esito incerto, e cominciò a raccontare

«Tutto era buio. Sembrava notte» sussurrò »E piccole luci bianche danzavano intorno a…insomma all’osservatore»

«Vedevi le cose dal punto di vista di Shadow?» volle sapere Kate, mentre Harry e Vince si avvicinavano per ascoltare

«Si. Attraverso i suoi occhi…ma sentivo anche il suo corpo e so che aveva una zampa ferita…dopo qualche istante mi è parso di vedere una sagoma grigia e chiara volare verso di me…di Shadow intendo … dopo ho sentito un ruggito che non era quello di un drago, ma più simile a un grido acuto, strano, distorto, quasi lo stesso rumore del gesso bagnato su una lavagna mescolato a un sottofondo di latrati. Guardando meglio ho capito di essere in un…bosco, sicuramente al nord perché faceva freddo e il cielo era limpido, non mi sembrava ci fossero fonti di luce artificiali» descrisse, con tanta perizia e modulando cosi bene il suo tono basso da far comparire quelle immagini nella mente di chi lo ascoltava. Si fermò, gli occhi gelidi che scrutavano i volti della gente intorno a lui, poi tornò a guardare il nulla, sempre più assorto

«C’erano abeti, tanti abeti. La taiga notturna. Qualcosa di lontano brillava, si, come un diamante o una piccola luna sfaccettata, insomma, anche se nel cielo la  luna non c’era, ma solo stelle. Shadow, io, l’osservatore…ci siamo avvicinati molto cautamente quando il grido è risuonato e qualcosa è sceso dal cielo. Era grosso, grigio chiaro, una sagoma semiumana ed alata. Non era da solo, ma era il più di grande di tutti. Ho avuto la netta impressione che non avrebbe attaccato se non ci fossimo avvicinati alla cosa brillante, ma Shadow no, ha fatto di testa sua…ha corso verso lo scintillio e la cosa volante gli è piombata addosso, colpendolo con le zanne…lo so che sembra impossibile che qualcuno abbia morso e addirittura penetrato la corazza di un drago, ma era vero…Shadow ha ruggito, tentando di liberarsi, ma uno stormo di mostri gli è sciamato addosso…pensavo che lo avrebbe ucciso, che ci avessero ucciso in quel momento…il dolore era insopportabile, come se fuoco liquido mi venisse iniettato nelle vene e… » smise brusco, si fissò le mani,ripulite dal sangue ma ancora piene di tagli. Dov’era il suo drago adesso?

Vince fischiò di sorpresa e gli diede una pacca sul braccio, come per sdrammatizzare

«Ma le passi tutte tu!» gli disse, facendogli l’occhiolino.

«Si e vorrei che non fosse cosi»

«Se non vi dispiace» esclamò all’improvviso John «Dovrei parlare con Mark in privato ».

Tutti si girarono verso di lui confusi, ma solo Kate parlò

«Va bene. Andiamo ragazzi».

Harry e l’uomo più anziano la seguirono.

Mark, immobile, pareva non capire per la prima volta nella vita le intenzioni del suo migliore amico. Non era un buon inizio affatto…

«Ehi, stammi a sentire» mise in chiaro John, afferrando il Cavaliere Nero per le spalle e facendo in modo che si alzasse «Devi rispondere alle mie domande con tutto ciò che ricordi»

«Certo. Non ti ho mai visto cosi determinato come ora…»

«Non è di me che dobbiamo parlare!Hai visto in faccia le creature che hanno attaccato Shadow?»

«Si, oh si … » sibilò cupo Mark

«Com’erano fatte le loro facce?Devo saperlo»

«Erano quasi umane oserei dire, ma bianche, molto chiare, con gli occhi rossi e zanne lunghe, sporgenti. Avevano la bocca…tirata…troppo larga e zannuta. Perché? Ehi, stai bene?»

«Si, anche se sono stato meglio di cosi, certo… quelli che hai visto sono i figli di Ardemonio»

«Arde chi?»

«Non te lo ricordi? Lo abbiamo incontrato nella dimensione infernale. Ardemonio, il generatore dei vampiri più temibili»

«Ah» fece Mark, vagamente scettico «Ma non era il conte Dracula il re dei vampiri per caso?»

«Dracula è leggenda, non penso sia mai esistito…»

«Lo è» assicurò il Cavaliere, sorridendo «Dracula è esistito ma è stato distrutto. Quanto ad Ardemonio sei tu l’esperto, no?»

John inclinò la testa e si aggiustò il cappello bianco, calcandoselo sulla fronte

«Beh…Ardemonio è quel tizio tutto bianco con le zanne che tu continuavi a definire “pomposo isterico” e che stava al Palazzo infiammato. Ora te lo ricordi?»

«Solo perché assomiglia alle creature alate che ci hanno attaccato non si può esser certi che è loro padre»

«Ma io ho visto i suoi figli, li ho avuti davanti ai miei occhi. Non somigliavano molto al padre, erano ribrezzevoli, con le fauci che si allargavano come quelle dei serpenti e le ali grigie. Ardemonio mi ha detto che li avrebbe inviati in tutte le dimensioni perché un pezzetto di lui fosse ovunque»

«Va bene» ammise Mark «I Vampiri sono figli del tuo compare Ardemonio, e allora?»

«Uno» sbuffò iracondo John «Io non sono affatto il compare di Ardemonio! Due: Dracula, ammesso e non concesso che esista, è un dilettante di fronte a lui. E tre:possiede il più grande esercito di creature demoniache mai visto su questo pianeta!»

«Aiutatemi anime del paradiso… Shadow può farcela?»

«Non lo so!» gridò John, facendo riverberare la propria voce come a sottolineare la vastità immensa della foresta indiana «Ma noi siamo a migliaia di miglia di distanza!»

«Per compiere una nobile missione» completò Mark, ma con la voce velata d’amarezza.  Si sentì mancare: il suo drago separato da lui e buttato nelle braccia del fato, nelle fauci ignote di una possibile morte per sgozzamento.

John, assalito dalla voglia di essere solidale, gli espose quello che secondo lui era il lato positivo del momento

«Vedila cosi:abbiamo superato il Secondo Cane Guardiano, no?»

«No. Tornerà, ci tormenterà per tutto il tragitto, non è bestia da arrendersi. Dovrò ucciderla o venire ammazzato io stesso. E se muoio dì alla mia famiglia e ad i miei amici la verità su quello che ho fatto finora. Sai, i  miei quattro fratelli maggiori non sanno chi sono…»

«Glielo direi se tu morissi» assicurò l’amico «Ma dubito seriamente che tu possa morire in questa situazione. Confido in te»

«Però, mi pare, che non abbiamo un rifugio per la notte»

«E questo che diamine c’entra?»

«Oh, se c’entra…» Mark si allontanò, ma prima di sparire nuovamente, ordinò a John di riunire il gruppo e  di rimanere uniti qualunque cosa accada. A mezzanotte sarebbe ritornato.

«E quando tornerò» concluse «Metterò fine al conflitto con il Secondo Guardiano».

E cosi John obbedì alle disposizioni del compagno radunando tutti sotto un enorme albero nodoso. Accesero un fuoco per tenere lontane le belve, ora particolarmente utile vista la mancanza di armi capaci di far fronte all’aggressione degli animali selvaggi.

Harry e Kate si strinsero come per farsi calore, Vince teneva la mano sinistra contro la fiamma e mangiava una banana tenendola con l’altra, incurante di tutto se non del brontolio del suo stomaco e della stanchezza dei suoi piedi. John, invece, si sdraiò a pania all’aria con la testa sullo zaino nero, senza dubbio non morbido come un cuscino. Rifletteva sul fatto che raramente gli era capitato di riflettere cosi tanto…Forse perché loro erano un gruppo di cinque persone mal equipaggiate che attraversavano la Giungla indiana per vie mai battute da uomini comuni, minacciati dall’incombente presenza di tre Cani Leggendari e che cercavano qualcosa che, in fondo, non sapevano neppure come fosse fatta.

Il tardo pomeriggio divenne una magnifica sera. Le stelle sorsero a gruppi nel cielo e la luna, più di una sottile falce, ma meno di mezza, risplendeva lattea donando alla foresta un colore argenteo e spettrale, etereo eppure realissimo, come se venisse vista attraverso un vetro leggermente opaco e illuminato. Solo la piccola sfera di colore illuminata dal fuoco resisteva all’uniformità del nero, del blu e dell’argento che sembrava ricoprire la selva. Ma, benché l’atmosfera lo suggerisse, non c’era silenzio. Si udiva un gracidare di rane  e di insetti che sembrava un ringhio continuo e basso, qualche scimmia ancora emetteva brevi urla fastidiose.

Gli umani cominciarono a conversare

«Chissà che cosa stanno facendo i miei colleghi…» cominciò Harry, stranamente allegro –Non possono neppure immaginare dove mi trovo, ah ah… diavolo. Ma dove mi trovo?»

«Siamo lontanissimi da casa, vero» confermò Vince «Ma può anche fruttare del denaro sonante la nostra condizione:possiamo scrivere un libro e venderlo come fantasy! Sarebbe un successo, un best seller mondiale. Come lo chiamiamo il libro?»

«Il libro della Giungla Due» propose Kate, convinta «Morto Mowgli sta a un gruppo di americani salvare la foresta indiana»

«Ma noi non vogliamo salvare la foresta indiana!»

«Io si!Sono un’ambientalista!»

«D’accordo…però è brutto scrivere il libro della Giungla Due. Non attira il lettore, se capite cosa voglio dire»

«Bhè» s’intromise John «Potremmo chiamarlo “il Parco di Khana”»

«Neppure questo attira» rispose secco Vince »Sembra un libro di geografia o una storia d’amore esotica. No…no. Che ne pensi de “la Sfida della Giungla”!» declamò, allagando le braccia come per evocare un titolone gigantesco.

Harry fece finta di tossire per non far capire che rideva, ma l’uomo più maturo lo intercetto e gli rivolse uno sguardo fulminante

«Che c’è?» si giustificò il ragazzo «Ho la tosse!»

«Tu ridevi!»

«Beh…pensavo che fosse esagerato chiamare un libro “la Sfida della Giungla”»

«Non ti sembra esagerata la nostra situazione!» gridò Vince, imbestialito al punto da tremare di rabbia «Ti sembra normale trovarsi al centro di una foresta, disarmati, senza provviste sufficienti, sulla pista di un tesoro protetto da bestie feroci e costretti ad accendersi un fuoco perché dormiamo all’aperto correndo il rischio di farsi mangiare dalle tigri e dalle…» si diede un colpo a mano aperta sul collo, schiacciano un animaletto che cadde a terra «Zanzare!»

«Tensione nervosa» commentò comprensivo John, sbadigliando vistosamente.

Tutti annuirono guardando Vince, che dopo la sfuriata era diventato rosso e teso, sbuffante.

Harry azzardò incerto

«Ehm…scusami. Non sei il solo che la pensa cosi e siamo tutti stressati quanto te»

«Eh!»

«Tutta colpa di quel…quel Mark!»

«Non scaricare la colpa a Mark adesso!» urlò all’improvviso John, stavolta arrabbiato come lo era stato poco prima Vince

«Ma certo» fece sarcastico il ragazzo «Certo, perché il tuo amico sa sempre quello che fa. Oh, è una leggenda» tossicchiò di nuovo in modo irritante «Lui è il Cavaliere Nero, il Ministro della Tenebra o quello che cavolo è, ti sembra normale che faccia delle nostre vite quello che gli pare!? Ma fatemi il piacere…»

«Si, te lo faccio il piacere» rispose sereno l’altro, calandosi il cappello sugli occhi, mettendosi le mani dietro la testa e il sorriso arrogante stampato in volto.

Kate buttò nuova legna nel fuoco che scoppiettò allegramente e si alzò per qualche secondo, poi l’unica cosa che si sentì fu il gracchiare scomposto degli animaletti.

Harry si era rannicchiato su se stesso, allontanato da tutti e appoggiato all’albero più grande. Pieno di sconforto e offeso, lui che era sempre stato trattato da principino, lottò contro il pianto che gli risaliva prepotente e infine, cullato dai suoni della Giungla e dal suo dolore, si addormentò con i pugni stretti, esausto.

Gli altri tre iniziarono a parlarsi a bassa voce, ma stranamente gli argomenti finirono presto e anche loro caddero fra le braccia di Morfeo accogliente ch prometteva sogni dorati lontani da quel magnifico inferno verde. Le nuvole scorsero lentamente nel cielo, coprendo la luna  a tratti.

Mezzanotte; l’ora delle streghe e del demonio, l’ora della morte senza la quale non può avvenire rinascita, giunse senza che nessuno se ne accorgesse.

Occhi gialli, venati di sfumature di un rosso brillante, guardavano oltre i cespugli le allettanti figure umane attorno al fuoco semispento, che minacciava di finire alla prima folata di vento.

Fauci dentate si contrassero e si bagnarono di saliva fino al collo.

Era ora di uccidere per la bestia, il momento del Guardiano. Il suo istante.

Senza che se ne accorgesse le zampe si piegarono sotto il corpo massiccio, pronte a scattare. Era guidato dal feroce, solido senso di determinazione che lo assaliva prima di ammazzare.

Un rumore, come una zaffata d’aria, sibilò insinuante.

Il Guardiano sollevò la testa e annusò curioso. Ringhiò. Percepì l’odore di un altro animale che non era una tigre né un leopardo, ma qualcosa di infinitamente più temibile.

Poi una figura nera emerse dietro di lui, alta, lenta nell’incedere carico di una sensazione simile alla rabbia che incuteva timore.

Il Guardiano fece per girarsi; percorso da un brivido curioso. Mai Galvatrike,il Secondo Cane che divenne leggenda provò paura:né di fronte alle lame, né di fronte alle bestie. E ora per la prima volta fremeva preso dall’eccitazione e dal terrore. Sentiva di essere circondato.

«Galvatrike» disse la sagoma nera ed enorme, facendo suonare quella strana parola esotica come se fosse un rintocco di campana a morto.

Aveva una voce calma e bassa, vibrante, roca.

La belva ululò e latrò come impazzita,il pelo ritto fino alla punta della corta coda a manubrio.

Gli uomini dormienti si svegliarono di soprassalto. John guardò il Rolex e con un terribile senso di minaccia e di sorpresa scoprì che la mezzanotte era scoccata da meno di un minuto. Gli si contrasse lo stomaco. Tutti videro i cespugli muoversi e udirono versi spaventosi provenire da  lì dietro, finchè il grosso animale dal manto striato balzo verso di loro, ma senza guardarli. Non voleva loro? Harry svenne, battendo la testa a terra, mentre tutti gli altri parevano profondamente confusi.

Galvatrike si voltò verso i cespugli mostrando le zanne.

Il fuoco si spense, quasi un lenzuolo trasparente di aria fredda ci si fosse posato sopra.

Con un moto di paura tutti videro chiaramente venire avanti un essere alto e silente, la mano destra stretta intorno all’impugnatura di una spada.

John tirò un sospiro di sollievo dopo un più attento esame

«Lui…è Mark, non preoccupatevi» assicurò a bassa voce.

Poi la notte parve scoppiare di rumori. Sagome scure, a quattro zampe o su due piedi, li circondarono emettendo sibili e rochi ruggiti.

Il Cane Guardiano si slanciò su una di esse, ma non appena l’ebbe fatto tutte le creature lo attaccarono, seppellendolo sotto i loro corpi. Galvatrike si divincolò convulsamente e balzò fuori dal groviglio di membra per galoppare verso il prato. Mark, al pari di un animale selvatico, scomparì furtivo, ma solo dopo aver chiesto agli altri di seguire il Cane Leggendario

«Non perdete di vista Galvatrike» disse loro, con una nota eccitata nella voce roca, comparendo solo in parte dal buio fitto prima di dissolversi come nebbia.

Gli umani partirono di corsa, persuasi dal fatto che erano stati invitati a partecipare a un grande spettacolo.

Ciò che li attendeva, più che lo show di una commedia, era un quadro degno dello scenario di un film dell’orrore.

L’enorme pitbull dal manto giallino era sul prato, furibondo e senza una zampa, che era stata amputata all’altezza della spalla lasciando scoperto l’osso bianco e una buona porzione di carne viva pulsante. Tutt’intorno si muovevano, cupi fantasmi della notte, esseri dai corpi quasi umani, ma ricoperti di pelo scuro folto, con groppe arcuate, potenti, artigli neri su zampe simili a mani e volti bestiali, lupeschi. Foschi occhi gialli lampeggiavano bramosi, fauci allungate irte di denti aguzzi ansimavano Quanti erano? Quanto erano pericolosi?

Il Ministro Oscuro comparve fra di loro, che si volsero adoranti a guardarlo.

Sul volto del grande umano si dipinse un truce sorriso che piegò quelle labbra chiare in una linea stranamente spezzata senza mostrare i denti

«Vieni Galvatrike. Vieni fra le braccia della morte».

Il Guardiano, pazzo di orrore e di dolore, si slanciò verso di lui. Con un movimento repentino il possente braccio del Cavaliere Nero strinse più forte l’elsa della spada e ne conficcò la lama in mezzo al grande petto chiaro del Cane. Un ululato sofferente si levò acuto, ma presto venne soffocato da un frastuono infernale di ringhi e abbaiati.

Mark strappò via l’arma dalla carne della belva e ordinò

«Finitelo».

I lupi mostruosi si buttarono a capofitto sul corpo mortalmente ferito e lo sbranarono ancora vivo, strappando grossi pezzi da ogni parte della loro preda. Pesi da un’euforia macabra leccavano anche il sangue che colava sull’erba e masticavano le ossa per trarne il midollo prezioso.

Mark, compiaciuto, si avvicinò ai compagni lasciandosi dietro lo spettacolo sanguinoso.

Kate ne approfitto per staccare gli occhi da quell’orgia di morte e di sangue, dispiaciuta

«Mar…»

«Non dire niente» mormorò il Cavaliere Nero, buttando a terra la spada nel gesto di chi allontana da sé qualcosa di sgradito, poi proseguì fino a perdersi nella foresta e poco dopo il fuoco risplendette  nuovamente, allegro, scoppiettante protettore di una calda sfera di luce.

Il gruppo raggiunse il giaciglio rischiarato, ma Mark era già sparito.

Harry, che poco prima era svenuto, ora dormiva placidamente disteso accanto alla fiamma.

Era già tutto finito? Cosi in fretta? Dov’era che Mark aveva preso la spada con cui aveva ucciso il Secondo Cane Leggendario? E ora lui dov’era?

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Capitolo 4
*** Sherre ***


Capitolo.3

Sherre, l’anima dei venti

“Brezza d’estate sulla pelle

Uragano scatenato nel cuore

Poi i denti della tempesta squarciarono il corpo ed il Signore dei Venti ne gioì”

 

John sospirò e si coricò, mettendosi le mani sotto la testa. Inizio a russare in meno di dieci secondi, tanto che se non avesse prodotto rumore si sarebbe potuto dire che era svenuto per lo shock.

«Vorrei tanto sapere cosa fossero quelle cose» disse all’improvviso Vince, accompagnando le parole con un breve colpo di tosse

«Io lo so» rispose dolcemente la donna «Se ti riferisci alle creature che hanno aiutato Mark»

«Ehm, proprio quelle là»

«Non dirmi che non sapevi come sono fatti i lupi mannari?» Kate scoppiò in una ristata limpida, divertita a tal punto che c’era da chiedersi come facesse ad essere cosi felice in quella situazione.

L’uomo dai capelli grigi arrossì come un bambinetto e sbuffò

«Lupi mannari? Insomma, sai… pensavo che si potessero vedere solo con la luna piena»

«No, no!Quelli che dici tu sono licantropi. Lycans, sai?Quelli erano werewolf e possono comparire anche di giorno»

«Urgh…pericolosi, eh?» commentò l’uomo, in tono pungente

«Non penso. Non per noi» lei sbadigliò e concluse «Buonanotte».

Vince si agitò: non riusciva a dormire. Aveva paura.

«John…» provò a chiamarlo, ma John era già addormentato  «Kate…»  nessuna risposta «Harry…» però il più giovane era nel mondo dei sogni già da un bel pò.

Vince si arrese e guardò in alto, verso le cime degli alberi scossi dalla brezza. Prima di addormentarsi gli parve di vedere un grande animale bianco volare alto sopra le chiome come trasportato dalla brezza, luminoso, con grandi ali dalle membrane dorate e brillanti come astri. Non aveva dei veri lineamenti, la sua testa era una specie di freccia affusolata con una linea scura che simboleggiava le labbra aggraziate e due occhi di cristallo, allungati, incastonati nel cranio.

“Che bel sogno”. Poi il buio.

Venne il giorno. Il sole non era mai stato cosi forte nel cielo limpido, sopra la coltre verde vegetale, dove ora risplendeva meraviglioso. Qualcuno durante la notte aveva mantenuto il fuoco acceso costantemente, perché solo ora la fiamma dava i primi segni di affievolimento.

Mark, in piedi a scrutare l’alba rossa, era tornato. Sembrava più giovane del solito, ma la contempo mostrava un’espressione solenne che solo in una persona molto matura può palesarsi. Accanto a lui, seduto sulle zampe posteriori, c’era una di quelle creature lupesche e possenti che il giorno precedente avevano ucciso il Secondo Cane Guardiano, Galvatrike.

Era forse il più grande e il più bello di loro, un lupo mannaro dal manto scuro striato sul mento e sulla schiena di un bel color mattone e due cerchi più chiari intorno ai piccoli occhi azzurrini che parevano non avere pupilla in quanto quest’ultima era piccola e sbiadita, poco più di un pallino tremolante nel mezzo di quella spera acquosa. La grossa testa pesante era rivolta verso l’umano, lo sguardo fisso e adorante.

Il Ministro Oscuro guardò la creatura e gli sorrise, non come da cane a padrone, ma come a un vecchio compagno di scuola

«Vecchio mio» sussurrò «Grazie per avermi dato ancora una volta una mano».

Il mannaro annuì e indietreggiò lentamente, poi con un balzo scomparve nella foresta.

John si era svegliato, stiracchiandosi per bene, e rischiava di poter notare la bestia, se questa non si fosse dileguata così fulmineamente.

«Buongiorno volpone» Disse Mark

«Oh, buongiorno eroe» John si guardò intorno «Mi è parso di vedere qualcun altro…»

«Buon per te»

«E anche questo è fuori gioco» Esclamo, in tono molto compiaciuto «Anche il Secondo ce lo siamo levato dai piedi…sai, ieri sera mi hai fatto paura. Ti sei portato i lupi mannari?Ma come li hai      

trovati?»

«Loro sono sempre con me» rispose enigmatico Mark, mettendosi le mani in tasca  «E io sono sempre con loro. Sono un pò la mia famiglia, mi trovo meglio con i mannari che con gli uomini»

«Lo sapevo già questo…ma un uomo, un essere umano, può diventare un mannaro?»

«Ah… un essere umano non  può essere un mannaro…ma qualcosa di molto simile. Un uomo lupo» parve compiacersi di quell’idea «Si, un uomo lupo» confermò «O una donna lupo».

«Buongiorno signori» annunciò una voce lievemente impastata, quella di Kate «Cosi presto svegli?»

«Sono mattiniero» rispose John, con aria falsamente saggia.

D’improvviso si sentì un urlo infinitamente lontano. Nessuno parve farci caso e tutti per motivi diversi.

«Dai svegliamo gli altri!» Propose la donna, entusiasta «Io sveglio Vince!»

«Come  fai a pensare a cose del genere ADESSO!?» mugolò John, sbalordito «Dove la trovi la forza?».

Kate non lo stava ascoltando e tirava la camicia al più anziano del gruppo, sbattendolo avanti e indietro.

«No, questa ragazza ha preso troppo sole!»

«Lascia che si diverta» intervenne Mark«Per quanto ancora avrà la possibilità di tormentare il nostro presidente prima di iniziare a lottare veramente? La vita non sarà più la stessa dopo quello che stiamo per scatenare»

«A pensarci mi viene il mal di pancia» affermò John, passandosi una delle  mano sullo stomaco «Stiamo davvero per entrare in un tunnel senza uscita?»

«Un uscita ci sarebbe, ma quel tunnel ci cambierà»

«Comunque povero il nostro presidente!».

Mark accennò un sorriso, ma non fu molto convincente: sembrava arrabbiato. John si allontanò con flemma, sciogliendosi  i muscoli intirizziti delle spalle

«Ho fame che diamine…vado a cercare qualcosa da mangiare»

«Va bene» il Cavaliere Nero estrasse il pugnale «Io procuro la carne, anche se sarà un pò pesante per colazione…hai mai mangiato carne di scimmia?»

«Hei!Ma guarda che siamo in India, abbiamo un’ampia scelta:io mangio cervi non scimmie!»

«E sia. Avremo un giovane cervo».

Mark si addentrò fra la vegetazione. Respirava piano per non far rumore e il suo passo era silenzioso come quello felpato di un gatto. Procedeva senza falciare le fronde che lo ostacolavano, spostandole semplicemente o aggirandole, se poteva farlo, mentre ogni tanto si fermava in ascolto con i muscoli pronti a scattare. Tempo dopo, non seppe esattamente per quanto tempo, udì un rumore vago di respiro. Si blocco e strinse più forte l’arma. Non poteva mancarlo al primo colpo: non aveva un fucile, aveva un pugnale. Curioso che i primi uomini cacciassero come tentava di fare ora lui, corpo a corpo, sfruttando la sorpresa per trafiggere con le armi la loro preda, ma con l’unica differenza che loro avevano lance con delle punte di pietra, mentre lui aveva una lama corta, circa trentadue centimetri di lunghezza.

Finalmente lo vide: un animale slanciato, elegante, dal  manto leggermente ispido di un bel castano chiaro tendente all’ocra, ricoperto di vistose macchie bianche e con lunghe gambe sottili, ma scattanti. Non aveva corna, ma era evidentemente un cervo.

Con una punta di divertimento riconobbe le sembianze di un cervo chital, o axis axis. Quella specie era stata introdotta anche nel luogo in cui viveva lui, il Texas, dove viene cacciato per sport, per la sua pelle e per la sua carne. Mark pensò di essere stato fortunato, aveva incontrato una preda perfetta: le carni di quel genere di cervi sono libere dal grasso per il novantanove virgola novantotto percento, il che le rende le più magre fra quelle di tutti i mammiferi viventi. Carni magre, muscolose, con il sapore di una bistecca della migliore qualità.

Mentre ragionava, la presa sull’impugnatura del coltello si allentò un pò.

L’animale raspava per terra con lo zoccolo e annusava qualcosa con curiosità. Dietro di lui comparve un esemplare più piccolo, con grandi occhi castani curiosi, occhi da cerbiatto come si dice. Era un cucciolo.

Mark iniziò a esitare. Stava per uccidere una mamma e il suo figlioletto, animali magnifici oltretutto.

Sapeva che non li uccideva per capriccio, ma per necessità, eppure si sentì frenato… se fosse tornato all’accampamento con la madre e il cerbiatto morti, Kate l’avrebbe ammazzato. E a loro non serviva tutta quella carne, non sarebbero stati in grado di consumarla tutta, ma con la morte della femmina anche il piccolo non sarebbe sopravvissuto. Il cucciolo era ancora un lattante.

Eppure quando la cerva alzò la testa verso di lui, con l’aria spaventata di chi ha scoperto un predatore, l’istinto irruppe nella mente del cacciatore. Mark non poteva farci niente, era così che funzionava la sua testa e la paura innescava la sua rabbia e la sua voglia di uccidere: si avventò su di lei, atterrandola in un batter d’occhio. Il cucciolo urlò con la sua vocetta tenera, tendendo il collo spaventato e tremando malfermo sulle spalle.

Mark si voltò di scatto e lo afferrò alla gola.

“Ma certo! Perché non ci ho pensato prima …”.

Avrebbe ucciso il piccolo e lasciata libera la madre…ma la madre no voleva lasciare libero lui. Con una ferocia indescrivibile per un erbivoro, la cerva azzannò una mano dell’uomo nel momento in cui toccava il piccolo. Lui si allontanò traendo con sé il cerbiatto urlante, ma la femmina rimase ostinatamente a guardarlo da lontano.

«Va via» Ringhio l’uomo «Prima che ti faccia del male seriamente».

L’animale emise una sorta di ululato gutturale inframmezzato da gemiti lamentosi e prolungati. Un verso simile, ma più potente e profondo, come il suono di un trombone, gli rispose. Doveva essere il cervo maschio.

Mark, irritato da questo capovolgimento delle leggi naturali, sgozzò il cerbiatto e fece per colpire anche l’adulta, quando questa fuggì mugghiando flebilmente. Evidentemente aveva compreso che non era il caso di rischiare per un cucciolo che era morto. Strano comunque che la cerva non fosse scappata immediatamente: di solito erano animali estremamente timidi e paurosi, sfuggenti, e di certo non mordevano gli esseri umani grossi ed armati, anche se da quanto si dice “l’istinto materno fa prodigi”. Ma neppure l’istinto materno aveva potuto guidare una cerva a mordere un uomo adulto, era una cosa innaturale. La preda doveva comprendere chi era il predatore e fuggire o farsi uccidere, nulla di più, se sapeva che non c’era speranza di vincere in uno scontro.

L’uomo, riflettendo su tutto ciò, imboccò la via del ritorno portando il giovane bottino dietro di sè. Un sordo miagolio improvviso lo fece trasalire.

Mark, senza lasciare la preda, camminò per un pò verso la fonte del suono, curioso di capire quale animale avesse emesso quel verso. Di nuovo si sentì un rumore raspante, fioco ruggito, accompagnato da un tonfo pesante e un urlo animalesco.

A trecento metri di distanza era presente una grande massa muscolosa dal manto giallo e aranciato striato di nero. Per un istante il Ministro Oscuro credette di essere nuovamente di fronte a Galvatrike, solo poi comprese di stare osservando in realtà una magnifica tigre che aveva catturato la giovane cerva. Allora, dopotutto, la madre del cerbiatto era pazza e  destinata a venire mangiata: aveva troppo coraggio per essere un erbivoro e ciò non poteva che portarla alla morte.

Il felino, allarmato, fissò per un attimo l’umano gigante con il suo profondo sguardo dorato, gli arti robusti raccolti sotto il corpo muscoloso e pronto a balzare, ma ritornò placidamente a mangiare quando Mark si allontanò silenzioso.

Al piccolo accampamento lo attendeva solo Vince ad aspettarlo, seduto sullo zaino nero in maniera un po’ scomposta

«Uè, cacciatore!» esclamò, strizzandogli l’occhio «Che si porta agli affamati ?...He he…un cerbiatto… Kate ti farà a pezzi cosi piccoli che dovremmo raccoglierti con l’aspirapolvere»

«Presidente caro» disse Mark, buttando la preda ai piedi dell’uomo dai capelli grigi «La mamma della nostra colazione e del nostro pranzo, è stata fatta fuori da una tigre. Cosi va la vita».

Vince si grattò una tempia coperta dai folti capelli grigi e passò un palmo sulla barba corta e ispida che non si faceva da due giorni: avrebbe tanto voluto un buon rasoio e una fresca schiuma da barba, magari aromatizzata alla menta, per radersi.

Di lato a lui, l’uomo alto e serio dagli occhi verdi sembrava di nuovo guardare un punto lontano e indefinito nel blu chiaro, tendente al bianco in alcuni punti, del cielo assolato.

Uno stormo di piccoli uccelli si levò frinendo dalle chiome folte degli alberi e per un attimo fu l’unica cosa degna di attenzione in tutto l’ambiente circostante, le piume delle ali ben formate splendenti come gemme multicolori al fiero astro del giorno, poi si udì una voce umana

«Bestiacce, orribili bestiacce…»

«Che genere di bestiacce, volpone?» chiese Mark, come risvegliandosi dai suoi pensieri e con tono lievemente ironico

«Serpenti» rispose John, incupito. La sua camicia panna era sporca di terriccio rossastro e appiccicoso come se l’uomo fosse caduto più volte a terra e il bordo del cappello bianco, solitamente impeccabilmente pulito, era diventato di un colore terreo.

«Che ti è successo?» chiese Vince, stupito «Sembra che tu abbia appena lottato con un orso»

«Una di quelle stupide creatura mi ha attaccato» spiegò John «Un cobra…ma non l’ho visto troppo bene, non ne sono sicurissimo, anche se era nero e lucido…mi sono spaventato e ho iniziato a correre, sono inciampato in una radice e poi» aprì le braccia e si guardò la camicia «Beh,lo vedete…vado al fiume a lavarmi»

«E meno male che doveva procurare il pranzo» borbottò Mark in direzione di colui che scherzosamente chiamavano il presidente, mentre il terzo si allontanava canticchiano un motivetto allegro in stile country. Vince ridacchiò rocamente.

Arrivò anche Kate. Fra le braccia teneva un mucchio di frutti rossastri vagamente simili a datteri che non avevano proprio un aspetto appetitosissimo, ma almeno sembravano commestibili. Quando la donna vide il cerbiatto morto lasciò cadere tutto a terra, guardò Mark senza il benché minimo timore e gli puntò il dito indice contro

«Tu!» ruggì, furente

«Io» ripeté l’enorme umano, calmo

«Come hai potuto?Mi fidavo di te…del tuo buon cuore…»

«Ahi ahi» commentò Vince «Te lo avevo detto io»

«Come hai potuto uccidere una creatura indifesa?» proseguì adirata la ragazza, avanzando in modo minaccioso e con gli occhi castani animati da una scintilla di fuoco vero e scoppiettante «Brutto energumeno sanguinario, brutale, irrispettoso, inetto! Era solo un cucciolo, ancora lattante! Un cerbiatto! Stupido essere senza cuore…»

«…Finito?» chiese Mark, strofinandosi lentamente le mani

«No!»

«Va bene… mi fai male pero cosi eh!Guarda che mi offendo»

«Mi dispiace di offendere proprio te» ammise lei, con le mani sui fianchi «Ma sono arrabbiata e quindi ti offendo quanto mi pare e piace»

«Se non lo avessi ucciso» spiego lui, pacato «sarebbe comunque morto e di fame. Lui ancora, mi pare di aver capito, era un lattante. Sua madre è stata uccisa da una tigre» si fermò, poi concluse «Di fronte ai miei occhi e, se vuoi e non hai paura del più grande dei felini, va pure a controllare».

Tacque deliberatamente sul fatto che aveva ucciso il cerbiatto prima della comparsa del felino: così non era stato neppure costretto a mentire e aveva placato l’ira della ragazza.

Kate si ammorbidì e gli sorrise dolcemente

«Va bene…e ora?»

«Ce lo mangiamo» fece allegro Vince «Accendiamo un grande fuoco…beelloo…e poi ci arrostiamo il bell’animaletto!»

«Dov’è quell’incapace di Harry?» domandò sottovoce Mark

«Harry non è un incapace!» ringhiò la giovane, scoccandogli un occhiata terribile «E comunque non si è allontanato…Harry! Vieni qui»

«Arrivo, arrivo!».

Il ragazzo dai capelli neri venne avanti stiracchiandosi, ma quando vide la mani sporche di sangue del gigante rosso si fermò all’improvviso

«Buongiorno» disse, rispettoso «Scusa la mia impertinenza, se ti è possibile, ma dove sei stato tutto questo tempo?»

«In luoghi che non ti riguardano per cause che non ti riguardano»

«Molto chiaro…un vero maestro nel dare spiegazioni! E poi scusa: ma perché sei macchiato di sangue?»

«Sgozzando il tuo cibo mentre tu sonnecchiavi all’ombra delle arecche e delle palme di questa magnifica foresta…logico, no?».

Harry non potè fargli capire che lo disprezzava, tanto lo temeva, e si morse la lingua per non parlare.

Kate non parve accorgersi della loro disputa e s’intromise con allegria

«Posso iniziare a cucinare?»

«Certo» rispose il ragazzo, mentre con le mani si ravviava i capelli

«Ti do una mano a scuoiare la preda» disse Mark, noncurante, traendo un coltello comune da macellaio dall’interno del famoso zaino nero e prese il cerbiatto per i piedi esili, che fra le sue mani sembravano corde. La donna gli diede un colpetto amichevole sul braccio e si misero al lavoro senza perdere altro tempo.

Harry imprecò mentalmente:  possibile che quell’energumeno lo superasse in tutto? Mark era più abile a procacciare il cibo, si rendeva utile in cucina, era più alto e più forte di Harry, era il capo, sapeva sempre cosa fare, la barba gli stava benissimo (non come a lui, che se si specchiava pensava di vedere un barbone sciatto) e come se tutto ciò non bastasse era apprezzato da tutti e sembrava il migliore amico di Kate. Quest’ultima cosa mandava il ragazzo in bestia: era geloso. Era vero, loro due, Harry e Kate, non erano stati mai veramente fidanzati, ma c’era qualcosa in lei di cui lui pensava di essere il possessore, un mondo segreto e nascosto che era solo di loro due. Cosa scopriva invece adesso? Il vero mondo segreto di Kate era quello della vita selvaggia, una dimensione che Harry non avrebbe mai capito, molto probabilmente perché non la tollerava. Lui si considerava un fiero cittadino, uno dei migliori esponenti della civiltà umana.

Mark invece…sapeva essere cosi selvaggio, cosi silvestre, come un lupo nel suo bosco. Si vedeva nei suoi movimenti, lenti, ampi, e nella sua capacità di trasformarli in scatti improvvisi.

Harry inspirò l’aria pesante che sapeva di fumo, il fumo del piccolo fuoco acceso da Kate, e che gli riempì i polmoni e gli fece lacrimare gli occhi a causa del suo odore acre. Si sentì triste e abbandonato, incapace di godersi le meraviglie di quel luogo e con i piedi stanchi. E poi, per lui, non vi era alcuna meraviglia in quel luogo, lui che le foreste le visitava su internet o facendo zapping, comodamente disteso sul suo morbido divano.

Si sedette a terra, con un pò troppa violenza che gli riverberò su per la spina dorsale, e attese.

John ritornò completamente inzuppato dalla testa ai piedi, ma sembrava molto su di morale

«Ho sentito…»

«Si, si» completò Vince, con la sua voce ruvida impregnata di divertimento «L’odore della carne sul fuoco».

Non rimase carne: mangiarono tutto e misero la pelle pulita dell’animale nello zaino, arrotolata. Sprecare quel piccolo tesoro, nel luogo in cui erano dispersi, sembrava un vero peccato.

Poi si rimisero in cammino, rinvigoriti. Solo Harry, in fondo alla fila con in testa il Ministro Oscuro che marciava convinto, era infinitamente triste e trascinava i piedi debolmente.

Altre ore di viaggio…altri ostacoli…la foresta si fece via via più fitta e sinistra, i rami sembravano chiudersi sul gruppo come denti di gigantesche fauci animali decise a inghiottirli vivi.

Grandi tralci di liane scendevano dall’alto per bloccargli la strada, cespugli di piante spinose o urticanti crescevano fitte sul terreno e man mano che avanzavano la difficoltà cresceva. Mark, ovviamente, continuava a spazzare qualunque cosa potesse intralciare il cammino del suo gruppo, ma Harry non poteva fare a meno di inciampare e sobbalzare continuamente.

Grosse zanzare gonfie e striate di argento li perseguitavano a nugoli anche se era pieno giorno, mentre di quelle famose farfalle giganti che abitano le foreste non se ne vedeva neppure una. Cinque ore dopo la partenza raggiunsero un breve tratto sgombro da alberi, radici e grovigli di spine, un prato giallino inondato di sole.

Harry crollò a terra a braccia aperte, incurante del male che sarebbe potuto farsi buttandosi all’indietro a peso morto

«Basta, basta cosi!» boccheggiò «Non ce la faccio più!».

Kate gli si avvicinò e lo osservò con curiosità, come se fosse tentata di punzecchiarlo con un bastoncino

«Davvero non ce la fai?» gli chiese, teneramente

«Davvero»

«Sei un pappamolle».

Qualcosa dentro di lui si spezzò. La donna scherzava ovviamente, ma Harry, perlomeno il cuore di Harry, non poteva comprenderlo. Fu il turno di Mark quello di parlare

«Il ragazzo ha ragione» disse «Non possiamo proseguire ancora. Ci fermiamo qui e mangiamo, poi facciamo altre due ore di cammino e ci accampiamo nel primo posto che troviamo».

Tutti assentirono convinti e si riposarono. John iniziò trafficare con il cellulare, un modello dal rivestimento nero e argento

«Allora… ottomilaseicentotto per quarantadue … ehm …»

«Non riesci a stare senza calcoli, volpone?»  chiese l’Oscuro Ministro, con una puntina di irritazione

«No…sono un passatempo»

«Pensa a trovare qualcosa da mettere sotto i denti, l’ottomilaseicentotto per quarantadue non ci sfamerà, e l’ultima volta sei solo riuscito a arti assalire da un serpente velenoso»

«Confido in te» disse John, solenne

«Ah…tu confidi troppo in me…» Mark si diresse verso la foresta «Quando imparerai che sono un essere umano e sbaglio anch’io?»

«No» urlò l’amico, guardando il gigantesco compagno sparire fra la vegetazione «Non sei umano neppure per un quarto da quanto ne so! Posso fidarmi di te» e aggiunse sottovoce «Se non mi fidassi di te, di chi potrei fidarmi?».

Passarono venti minuti in cui Harry era troppo giù di morale per parlare, Kate raccontava storielle di un’assurdità pazzesca e il vecchio Vince farneticava a ruota libera sul “business” e sui progetti per il futuro. Mark tornò con a spalla un ramo nerastro, come se fosse macchiato d’inchiostro, in cui erano infilzati due caschi di grosse banane.

«Crescono banane in India?» chiese curioso John «Io pensavo crescessero solo in Africa»

«Ah, non lo so…sembrava un giardino abbandonato» rispose lui «Comunque per ora niente selvaggina, solo frutta…»

«Un giardino abbandonato hai detto?» lo interruppe la donna, afferrando un grosso frutto giallo fra le dita sottili «Posso venire a vederlo con te?»

«Ma certo, vieni».

Il posto non era troppo distante, ma ben nascosto. Anni prima doveva essere stato un giardino: ogni tanto, in mezzo ai banani un pò abbondanti avevano nidificato uccelli e pipistrelli rossi, sorgevano pezzi di mattonelle smaltate di bianco e decorate da fini motivi in azzurro.

Quasi integra, in fondo all’ampia coltivazione, si vedeva una statua di pietra grigio ferro raffigurante quattro elefanti sopra una tartaruga e sopra di loro la superficie semipiatta del mondo con la geografia irregolare.

Kate si avvicinò con cautela all’oggetto e affermò con sicurezza

«Siamo vicini…chiama tutti…seguiamo quella strada»

«Strada?»

Mark si accorse che dalla statua di pietra dipartiva un sentiero di pietra che si perdeva nel verde ed ebbe la strana sensazione che davvero erano vicinissimi alla riuscita.

«Perché hanno creato una strada?» chiese alla donna, perplesso «Se non vogliono che qualcuno arrivi alla Pietra delle Fonti?».

Lei si schiarì la voce tossendo e indicò con il dito alcuni segni sul guscio roso della vecchia tartaruga, incomprensibili, ma che lei riusciva a leggere

«Il Sentiero Grigio si aprirà per voi che lo invocherete e per voi che, puri di cuore, i segni del tempo saprete scoprire…»

«Come fai a capirli?»

«Studio le rune da anni, Mark!E poi queste sono come se…fossero facili»

«Io non riesco neppure a vederle bene, sono consumate»

«Boh…»

«Sai, è perché sei pura di cuore» affermò l’uomo, illuminato «Ecco cosa…e prima il Sentiero Grigio non c’era»

«Vuoi dire che tu non sei puro di cuore» fece lei, sbalordita «Non ci credo!»

«Non vedo perché tu non riesca a crederci. Ah, ho desiderato così tante volte uccidere, ho  provato molto odio e sono un peccatore abbastanza incallito purtroppo» Mark lo disse con estrema naturalezza «Ma non capisco come può saperlo una vecchia roccia»

«Non so…forse…no è un’ipotesi troppo stupida»

«Quale?»

«Forse quando vuoi uccidere ci sono zone del tuo cervello che si attivano…emissioni radio e…una modifica dell’espressione e dell’aspetto fisico»

«Non è poi cosi stupida come ipotesi. Ho la faccia dell’assassino?»

«No, più che altro del guerriero, ma che hai ucciso si vede. Sei sporco di sangue addosso...» Kate rise «Vado a chiamare gli altri e proseguiamo»

«Va bene».

Mark fu estremamente soddisfatto della sua intuizione di portarsi dietro la giovane Kate: un cuore puro serve sempre quando si cercano tesori nascosti.

«Davvero c’è una strada?» Urlò Harry, ansimante mentre arrivava correndo

«Si»

«Fantastico!»

Seguirono il sentiero in modo rigoroso, svoltarono due volte a sinistra, due a destra, si inerpicarono su una collina e discesero in un burrone, ma sembrava tutto molto più semplice senza la vegetazione a bloccare il cammino. Era come se i rami non crescessero mai in direzione della strada, come per incanto, e chi camminava sul lastricato grigio non percepiva la stanchezza, ma solo deboli spinte a fermarsi ogni tanto, cosa che non fecero mai.

Kate era in testa al gruppo con Mark e John ai lati, tutti e due parecchio più alti di lei, ma era cosi allegra che la differenza di taglia non si notava:era gonfiata di felicità ed eccitazione

«Siamo vicini alla Pietra delle Fonti, vi rendete conto?!- esclamò

«Si, ci rendiamo conto» rispose sogghignando John «E dovremmo affrontare il terribile Terzo Cane Leggendario! Ma, ragazzi, no vi sembra che sia avvenuto tutto troppo in fretta?»

«Guarda che dobbiamo prendere la Pietra delle Fonti» spiegò Mark, concedendosi un momento di rilassata ironica «Mica l’Unico Anello… e non dobbiamo neanche partire per andare a distruggerla in un vulcano aldilà delle terre conosciute»

«Giusto, la nostra è…»

«…La prima missione di una guerra incombente, il primo passo per vincerla»

«Ah, come sei tragico! Mi piacevi di più dieci secondi fa, con ironia connessa. Pensi davvero che sia una guerra terribilissima che affetterà il mondo…lo pensi, eh?Beh, questo mi fa paura» guardò il compagno e gli battè una mano sulla spalla, da sopra la testa di Kate «Ho paura perché di solito ciò che pensi tu è vero…mio Dio, ma si può sapere perché non puoi dire che ci sarà la pace, per una buona volta?E magari Vince ed io diventiamo ricchissimi, Kate si sposa, Harry ha quella sua benedetta promozione e tu ritrovi Shadow sano e salvo a casa con tua moglie che ti ha comprato una moto nuova»

«Esagerato. Non posso dire cose he non succederanno, tipo la pace…» stritolò pigramente una zanzara presa a mezz’aria e proseguì «Poi pensi che promuoveranno Harry?»

«Ehm…è un bravo ragazzo»

«Un bravo ragazzo non è un genio e per diventare un vero progettista serve a poco essere bravi ragazzi. So che c’è stato un piccolo sconvolgimento della natura, un’interferenza da parte di tutte queste forze in gioco, ma non è ancora giunto il momento che i bravi ragazzi progettino cose che possono servire agli esseri umani»

«Dimmelo che vuoi ammazzarmi» borbottò il giovane dai capelli neri, sperando di non essere sentito, ma che invece compresero tutti

«Non mi servono cadaveri» ribattè Mark, cupo e minaccioso «Più che altro esche, ma con la bella testina che ti ritrovi  non riusciresti a fare nemmeno quello, eh?»

«Mi stai dicendo che sono un incapace?»

«Ma come sei sveglio… qualcuno gli dia il nobel» brontolò il gigante

«Beh, ti dirò quello che penso» urlò Harry, agitando ferocemente un pugno «Tu sei…»

«Aspetta un attimo» Mark gli si avvicinò senza mai guardarlo e si aggiustò le maniche del giubbotto tirandosele fino i gomiti come se dovesse fare un lavoro importante «Prego»

«Okay, pronto?»

«Allora sei davvero poco sveglio: cosa pensi abbia voluto dire prima?»

«Va bene: sei un grosso, stupido bestione che se la gode a far del male alla gente normale come me» parlava con una velocità e un’ira tali che sembrava sul punto di scoppiare «…Un gorilla, un sadico gorilla armato che si permette di chiamarsi umano, un brutto bastardo figlio di…hm, non farmi parlare…un figlio di cagna feroce imbastardito, frustrato da chissà quali poco gradevoli esperienze, deciso a riversare la tua rabbia su di me perché sei poco…hm…non mi piaci, non mi piace come ti vesti, il nero non l’ho indossato quasi mai, mi sembra stupido che porti i capelli lunghi come un cavolaccio di cavaliere della tavola rotonda di cinque secoli fa, non mi piace la tua voce…sembri un cinghiale con la gola raspata…hai l’educazione di un maiale, la raffinatezza di un porco non so se mi capisci, chissà se i tuoi neuroni, i tuoi due neuroni, riescono a fare contatto così perlomeno capisci quanto sei villano tu, quanto sei brutto…e…e si, sei brutto come la morte e ce l’hai con me perché IO, IO faccio un lavoro gratificante dove ci vuole cervello e piaccio alle persone, perché ho dei veri amici» a queste parole John apparve profondamente indignato

«Mark ha dei veri…» ma il resto della frase fu coperta da una valanga di insulti

«Idiota, non riesco a capire come mi sono fatto trascinare quaggiù da uno scimmione come te, uno schifoso enorme cavernicolo incapace di rimanere con la gente normale»

«Finito?» chiese tranquillo Mark

«No! Vorrei tanto sapere quale mostruoso essere potesse essere tuo padre! Perché, penso io, forse era un licantropo. Si, beh» ridacchiò istericamente, tutto preso dai suoi stessi pensieri «Molto probabilmente tua madre era così annoiata che non aveva nient’altro da fare che accoppiarsi con un lupo gigante per mettere al mondo te! Stavo per dire “dare alla luce”, ma mi sa che tu la luce non l’hai vista mai, figlio di una bestia della notte degenere e mostruosa!»

«Adesso hai finito?»

«Si» ruggì Harry, ansimante

«Perfetto. Sai cosa penso di te? Sei viziato».

Il tono con cui glielo disse lo abbattè letteralmente. Due parole, sei viziato, e aveva detto tutto.

«Cos’è quella cosa laggiù?» chiese all’improvviso Vince, ignorando il confronto verbale appena avuto fra i suoi due compagni.

Mark diede un’occhiata al punto indicato dal presidente e notò che, in fondo alla strada c’era un lago dalla superficie argentata ricoperta da fior di loto rosa e aranciati. Man mano si avvicinavano si faceva sempre più forte il rumore dello scrosciare impetuoso dell’acqua.

Arrivarono sulla sponda del lago, ricoperta da erba bassissima e verde, completamente diversa da quella giallastra e sfibrata delle precedenti fermate, e videro che una grande cascata alimentava il lago, il quale però rimaneva pressappoco sempre dello stesso livello. Quella doveva essere la nascita di una sorgente che sfociava da tutt’altra parte, camminando per miglia e miglia sotto la foresta.

«E ora che si fa?» commentò Vince, incrociando le braccia.

Sembravano giunti al capolinea del loro viaggio e non aver trovato niente. Il muro d’acqua, che s’infrangeva fragorosamente contro il lago creando spuma bianca, fu per un attimo l’unica cosa a creare rumore, poi Kate, concentrata, parlò a voce altissima per sovrastare il suono della cascata

«Là dietro…è lì dietro quello che vogliamo»

«Come lo sai?» domandò John

«Boh, me lo sento e basta»

«Un campo d’energia» spiegò Mark, all’improvviso «Lo sento, è potente»

«Dietro la cascata?»

«Esatto».

Kate si buttò in acqua senza dir nulla e si diresse alla cascata con grandi bracciate.

«La cascata ti travolgerà!» Le gridò dietro Harry, terrorizzato. Già immaginava la scena: lei che veniva buttata sott’acqua dal getto spumeggiante, tentava di urlare ma l’acqua le entrava in gola, Mark che si buttava e la salvava…ehi, questo no!Un tonfo e uno spruzzo gelido lo riportò alla realtà.

Kate era passata incolume e qualcuno disse a Harry

«Guarda che non è il Niagara, è uno schizzetto da fiumiciattolo».

Il ragazzo annuì sollevato, ma non potè trattenere un urlo quando si sentì trascinare in acqua da una forza irresistibile. Quando il suo petto ebbe un impatto con l’acqua gelida lui smise di respirare come per istinto. Si sentì muovere nell’acqua, fendere il liquido con il suo corpo, impregnarsi, sbattere contro qualcosa di duro, poi riaprì timidamente gli occhi.

Si vide scaraventato contro la cascata e poi urtò contro qualcosa di simile a sabbia bagnata.

Riusciva a toccare il fondo con la pancia. Si rimise in piedi e si guardò intorno smarrito.

Sembrava un pezzo di paradiso quello che vedeva.

Erano dentro la roccia, dentro una montagna con un enorme cratere che lasciava passare la luce. Intorno a lui crescevano piante rigogliose dalle forme strane e contorte, le foglie blu, verdi e argento, i rami chiari, l’erba fitta di un vivace violetto e fiori rossi, gialli, arancioni, dappertutto. C’era qualcosa di veramente magico.

Le forme dei vegetali s’intrecciavano sulle loro teste in modo da far filtrare la luce e creare un’atmosfera speciale, la luminosità soffusa nel blu, proiettata indietro da mille e mille rivoletti d’acqua splendente che sembravano partire da un punto solo al centro di quell’Eden, un punto lontano nascosto nel folto. Gradi lucciole dorate volteggiavano fra i rami, aggraziate lucine misteriose, guardiane apparenti di un mondo impenetrabile.

Un suono flautato giunse riverberando

Mark scattò in avanti, il pugnale stretto in mano tratto fulmineamente dalla tasca della giubba nera di pelle. I pesanti vestiti gli si erano incollati addosso e l’acqua colava a fiumi dalle pieghe della stoffa. John gridò qualcosa sul’aver visto un essere, ma era come se l’attenzione di tutti fosse concentrata su ben altro.

Harry sentì una voce nella sua testa, ma non capì una sola parola di quello che disse.

Come il canto di una fenice, soavi, argentine, parole si udirono falciare l’aria con il tono dell’acqua che scorre

«C’era una volta un uomo che osò sfidare la sorte tentando di rubare la Sacra Pietra di tutte le Fonti, ma egli non sapeva che cosa attendeva al suo impuro cuore. Solo la morte»

«Dove sei?» ruggì Mark, la cui voce profonda e bassa ora, a confronto con l’altra che sapeva i vento e di acqua, sembrava quasi banale e stonata

«Io sono nell’acqua e nell’aria» rispose la creatura invisibile «Io sono nelle stelle del cielo quando nelle notti fredde si specchiano sulla superficie dei laghi e nel buio dei tramonti che avanzano, nella neve di montagna e nella pioggia di un temporale estivo»

«Ed io voglio vedere i tuoi occhi» ribatté ostinatamente colui che sembrava umano «Prima di prendere la Sacra Pietra delle Fonti»

«Non l’avrai, nessuno può averla. Chi la vuole muore»

«Dimmi dov’è o esci fuori»

«Ti dirò dov’è: al centro della mia dimora, laggiù».

Come per prodigio si vide qualcosa brillare immensamente, poi la luce candida si spense.

Mark avanzò e si sentì d’improvviso colpito da qualcosa di molto simile a una scarica elettrica.

Non poteva passare: una barriera d’energia gli bloccava la strada.

«Come vedi non puoi passare»

«Zitto!Zitto vigliacco!»

«Vigliacco?»

Un ruggito proruppe con l’intensità di un tuono e una sagoma si delineò nitidamente dietro la barriera, avvolta di nebbiolina sottile. Un animale lungo quasi due metri, dalla forma slanciata, con lunghe zampe muscolose, era comparso, immobile nella luce che tendeva ora a rosseggiare. Aveva il pelo corto sugli arti e sul petto, di un bianco brillante e lievemente iridescente come una macchia di sapone liquido, mentre la testa era sormontata da una criniera morbida e riccia di un colore azzurro che in un mammifero era assolutamente innaturale e che si estendeva a tutto il dorso dritto e alla parte superiore della coda lunga e sottile. La testa era proporzionata, graziosa, eppure terribile era il suo sguardo: occhi come due pezzi di vetro con una pupilla al centro, occhi stretti e allungati che erano al contempo lucidi e profondi riflettevano il mondo che li circondava, iridi quasi candide con appena qualche sfumatura di un pallido azzurro.

«“E il cielo accenderanno, le fiamme azzurre della mia anima…l’ira non si placherà. Vigliacco a me?»“ disse, con una strana scintilla nello sguardo glaciale “«Perirà la tua anima nera»“ sibilò infine, arricciando all’insù le sottili labbra in un ringhio che gli scosse il petto.

Il terzo Cane Leggendario parlava senza muovere le fauci, mentalmente.

Mark rise piano

«Immagino che tu ti sia offeso»

“«Vigliacco è un termine molto dispregiativo. Non posso permettere che mi venga dato del vigliacco»“

«Ah, la vita è appena un battito d’ali» disse l’umano, come se fosse una risposta più che logica «E tu riesci a prendertelo perché ho perso la pazienza. Perdonami allora…il tuo nome?»

“«Sherre. E il tuo è Mark»“

«Esatto. Pensavo che il terzo Cane Leggendario fosse femmina se devo dirti il vero»

“«No. Il secondo, Galvatrike era una femmina. Come hai fatto a non accorgertene, sei disattento, vero?“

«Beh, scusa se mentre mi squarciava non mi sono preso la briga di guardarle fra le gambe. Comunque l’ho uccisa».

Sherre proruppe in un ululato funebre rivolto al cielo. La sua gola muscolosa si contrasse, poi parve quasi riaprirsi, rilassarsi, mentre la voce altissima sfociava vibrante, poi il Terzo Guardiano sbottò feroce

“«Assassino. Non avrai mai la Pietra, mai!»“

«Lo vedremo».

Mark si tolse i guanti e alzò le mani, percorse da una miriade di cicatrici, per posarle sulla barriera. Intorno alle sue dita, piccole saette blu saltellarono allegre. Poi un lampo nero. L’energia liberata dai palmi di Mark gonfiò la barriera verso l’interno, sul punto di spaccarla. Il Cane Leggendario parve tendersi per far resistere la barriera a tutta quella potenza, ma poco a poco si afflosciò e con un scoppio apocalittico la protezione cadde.

L’uomo lasciò ciondolare le braccia ai lati del corpo e camminò sicuro.

Sherre gli balzò davanti con abilità e leggerezza

“«Troppo hai osato»“.

Dalle fauci del Guardiano si liberò un raggio grosso come un barile di un colore azzurro perlaceo che stese Mark all’istante. Non ci fu neppure la possibilità di vederlo disarcionato da terra, mentre cadeva, perché la luce fu tale da coprire la vista di tutto e poi spegnersi quando il danno era già stato fatto.

Kate gli corse incontro urlando il suo nome. Sherre non fece nulla per fermarla, anzi guardò incuriosito la femmina umana che poggiava una mano sulla fronte dell’uomo e l’orecchio sul suo petto nella speranza di sentire il cuore battere. Ma come poteva un cuore umano battere dopo che era stato in tal modo urtato? Come avrebbe potuto vivere ancora quel buffo animale umano troppo cresciuto ora ricoperto di denso sangue appiccicoso colato da tutte le piccole ferite aperte in lui dalla forza strabiliante di un unico colpo del Terzo Guardiano?

Sherre si allontanò, gioendo controvoglia, quando qualcosa lo colpì in modo violento alla schiena. La creatura saltò via illesa e guardò indietro.

Mark, gocciolando acqua e sangue, lo guardava con il pugnale in mano.

Il Guardiano ebbe un moto di ferocia, ma si trattenne. In fondo al suo cuore sapeva che quell’umano non sarebbe morto affatto facilmente, anzi…aveva percepito in quel corpo malandato una rara vitalità e non aveva voluto neppure crederci, ma ora era costretto ad ammettere che la sua prima impressione gli aveva detto il vero.

“«Sei forte, Mark, te lo concedo»“

«Anche tu lo sei» rispose il Ministro Oscuro, con un tono cavernoso e roco da far paura.

Sherre lo fissò negli occhi e parlò solo con lui, nella sua mente

“Non puoi avere la pietra delle fonti. La tua anima è nera di odio ed essa, la Pietra, ti distruggerà, poiché solo un cuore pure ha la facoltà di controllarne il potere. Verrai annientato…“

“No“ gli rispose Mark, anch’egli senza parlare veramente, ma, con gran sorpresa del Cane Leggendario, nel pensiero “Anche se mi distruggesse, come tu dici, voglio portare la missione a compimento”

“Sei usato. So cose che gli altri non sanno, ascoltami…Artenair ti sta usando. Perché avrebbe mandato te qui?”

“Perché sono l’unico umano che …”

“No, no! Vuole che tu riporti indietro la Pietra e poi muoia. Come drago gli sarebbe stato semplice recuperarla, ma no, non lo ha fatto. Un re avido di tesori, come tutti i draghi grigi, ti ha costretto a servirlo ciecamente per un mucchio di anni e con un mucchio di menzogne. Non vuole dividere la gloria o il potere e tu gli saresti d’intralcio se scoprissi la verità. Artenair ha tentato di ucciderti e non solo ora:voleva la tua fine quando ti fece cercare il Libro dei Morti e quando ti mandò negli Inferi. Ma tu sei sopravvissuto si…sempre. Cosi ora sei qui”

“Stai mentendo”

“No, io dico solo ciò che penso sia giusto tu sappia”

“Me ne frego”

Mark smise di guardarlo e corse verso il punto dove prima aveva visto il luccichio. Sherre, leggero come un pattinatore sul ghiaccio, gli scivolò di lato

“Non farlo” gli urlò.

L’uomo accellerò. Non gli importava niente di quello che stavano facendo i suoi amici o degli avvertimenti del Guardiano, vedeva solo un capitello di granito su cui brillava lievemente un oggetto di forma imprecisa, azzurrino, ma cangiante. D’improvviso si sentì la mano in fiamme, poi una cosa molto pesante lo spinse ed egli cadde in ginocchio. D’istinto colpì con il pugnale e sentì lo schizzo caldo sul braccio e il ben noto odore ferroso di sangue.

Il Guardiano si sollevò sulle zampe posteriori e spalancò le fauci contro le spalle dell’uomo inginocchiato, ma con sua somma sorpresa lo vide alzarsi in piedi con uno scatto e sfuggirgli da sotto il naso. Riatterrò sulle quattro zampe e i suoi occhi fiammeggiarono di folgori azzurre.

Mark tese una mano verso la Pietra e sentì sotto le dita una membrana scivolosa come vetro bagnato. Gli diede un pugno ma non accadde nulla.

La risata lieve e argentina del Guardiano lo fece sobbalzare. Lo aveva raggiunto e ora avrebbero dovuto combattere.

L’uomo si voltò.

Gli altri del gruppo non erano visibili dietro il muro verdeazzurro, era come essere entrati in una cupola naturale fatta di alberi. La luminosità ambientale era molto ridotta, il tramonto volgeva al termine per lasciare spazio a una notte stellata. Il tempo parve fermarsi.

“Non puoi toccare quella Sacra Pietra finchè vivrò” Spiegò Sherre, fiero “La mia energia alimenta la barriera e non mi convincerai a smettere di mantenerla. Finchè avrò respiro non ce la farai. Anche per te…ti sto salvano la vita, Oscuro Ministro”.

Mark non si mosse. L’unica cosa che poteva dirsi davvero viva in lui era il cuore, un cavallo al galoppo. Perfino il suo respiro era tanto lento da essere impercettibile.

Venne sera.

Dietro di lui la Pietra emetteva una soffusa luce azzurra e le lucciole ronzarono intorno a loro.

Il Guardiano mostrò la gola e il mento candidi, soffici come ricoperti di batuffoli di cotone sfilacciato.

L’uomo sorrise truce

«Tu non sai… » iniziò

“Si che so. Io conosco” la voce mentale di Sherre, argentina, riverberò per tutto lo spazio della cupola “Poteri Oscuri. Ma non…” s’interruppe boccheggiante per osservare quello che seguì.

Mark colpì con la punta del pugnale il marchio sul suo polso sinistro, lasciando che il sangue macchiasse il metallo freddo. Le gocce si susseguirono, una dietro l’altra, crearono una linea scarlatta che colò lentamente sulla pelle pallida come quella di un morto.

Una sorta di scossa elettrica gli attraversò il braccio per risalire fino alla testa, mentre lui rimaneva immobile. Ogni sua ferita si rimarginò e, lentamente, i suoi occhi divennero bianchi come morti, vitrei, eppure non ciechi.

La bestia ch’era in lui, sopita, si risvegliò all’odore della morte e del terrore, rivoltandosi, impadronendosi della sua mente eppure lasciarlo abbastanza lucido da ragionare.

Il Cane Leggendario decise di farla finita prima che la trasformazione fosse  si completasse e balzò.

L’uomo, ora molto meno umano, intercettò la zampa del grande corpo azzurrino, la afferrò e lanciò il Cane lontano da sé con semplicità, quasi senza sforzo.

Sherre sbattè contro un albero e scivolò a terra con un tonfo sordo, la testa indolenzita. Gli occhi azzurrini si spalancarono nel guardare la grande sagoma nera che avanzava verso di lui, circondato da un’aura fumosa e scura come nebbia nera, poi ci fu un lampo iridescente di luce e il Cane Leggendario si illuminò di un bianco accecante.

Mark, sfigurato da un’espressione feroce e i muscoli gonfi, stese una mano in avanti e bombardò il suo nemico di globi neri d’energia che esplodevano a contatto con la materia solida.

Sherre tentò di evitarli salendo sugli alberi. Correva in  verticale sui tronchi, veloce come il vento, una gigantesca macchia indistinta e brillante che balzava fra i rami e sembrava essere ovunque e da nessuna parte.

Il Ministro Oscuro, nella furia, distrusse la cupola vivente, ma infine colpì ad un fianco il suo rapidissimo bersaglio, che cadde a terra fra le macerie della foresta abbattuta.

I rami punsero il fisico già provato del Guardiano aprendo una miriade di micro tagli nella pelle delicata, invano la povera creatura raccolse le forze per rialzarsi poiché prima di poter tendere le zampe una massa scura lo aggredì e lo spinse al suolo con una forza non solo inumana, ma anche innaturale. Sherre gemette, anche se ancora resisteva.

Morse tutto quello che gli capitava a tiro, ma non solo l’aura densa e oscura che circondava Mark lo feriva la contatto, l’uomo sembrava immune al dolore e lo stordì con un pugno sul muso che gli spezzò la canna nasale e il sangue schizzò nella sua bocca, fastidioso.

«Hai scelto tu di morire!» ruggì roco Mark, con una nota esaltata

«Nooo!»

Sherre rifiuto l’idea, strinse i denti. Gli era cosi cara la vita? A lui che era stato creato per morire purchè proteggesse la Sacra Pietra delle Fonti? Si. Se fosse morto avrebbe perso la vita e anche la Pietra. Non avrebbe risolto nulla. Sarebbe stata la fine.

Ruggì come una tigre, ma dieci, cento, mille volte più forte, finché il suo urlo vibrato non fu come il suono  di una bomba in scoppio perpetuo, finché non ci si dovette tappare le orecchie per evitare di farsi scoppiare i timpani. La luce si fece più forte. Mark venne respinto.

“Non voglio morire. No!” urlò Sherre, gli occhi sgranati nel guardare il suo nemico a terra.

L’uomo ora tremava, non di paura, ma di stanchezza:lo stadio in cui si trovava, pretendeva un enorme consumo di energia e lui non era bravo a mantenerlo a lungo.

Sempre scosso da fremiti si alzò e si preparò all’ultimo attacco, le mani contratte, la destra ancora serrata sul manico del pugnale dalla lama serpeggiante impregnato di sangue e di terra umida. Anche il Guardiano si rialzò, un pò barcollante:una delle sue zampe era stata ferita molto in profondità.

I due si studiarono per un attimo che parve un secolo.

Mark percepiva le difese del nemico che calavano con la prudenza mentre la rabbia ribolliva.

Raccolse le forze, le mani ricoperte di sudore. Altri pochissimi istanti e sarebbe stata la fine…nessuno se la sentì più di aspettare e il tacito accordo fu sigillato.

L’uno contro l’altro, come belve feroci, si scontrarono.

Le aure, l’una bianca e l’altra nera come l’inchiostro, si espansero invadendo lo spazio circostante, si urtarono, si compressero a vicenda, esplosero in una vampata d’argento e produssero il rumore di una bomba, ancora una volta quel suono estraneo alla foresta vergine. La terra sotto di loro tremò inghiottendo le vibrazioni, poi scese il buio ed il silenzio.

Due corpi giacevano vicini, quasi invisibili nell’oscurità fitta, rotta solo ed unicamente da una lieve luce azzurra e pulsante fra le macerie, su una colonna corta con il capitello di granito finemente intagliato.

Il mondo taceva in lutto.

Tenebra.

Mark lottò come un nuotatore senza ossigeno per risalire dall’incoscienza. Il dolore esplose in lui come un fuoco d’artificio e ogni suono circostante era come una coltellata al cervello.

Si aggrappò alla prima cosa che trovò, un grosso tronco caduto la sera precedente, e si tirò su lentamente, sentendosi pesante e  rigido come un pezzo d’acciaio. Era come cieco, non riusciva a mettere a fuoco niente e le tempie gli martellavano sgradevolmente.

«Oh Dio, Mark!» Esclamò una voce femminile «Stai bene?»

«Parla piano» sussurrò lui, irato. Ma lei non capiva di fargli male?

Finalmente riuscì a distinguere le forme. A qualche passo da lui, non di più, la Pietra delle Fonti, semispenta in apparenza, sembrava attendere un nuovo custode.

«Si. Ce l’abbiamo fatta»

«Straordinario Mark!» ruggì gioioso John, abbracciandolo

«Prendila» disse il Ministro Oscuro «E dammela»

«No di certo:devi essere tu a prenderla».

Mark si drizzò e l’ombra di un vero sorriso passò sul suo volto. Guardò di lato a sé, sentendo una strana sensazione che gli risaliva dallo stomaco fino alla testa: Sherre era lì, morto, e ora non sembrava più un nobile e temibile guardiano, ma un buffo giocattolo schizzato di sugo, con le zampe ad una strana angolatura e squarci rossi su petto e ventre.

La sua attenzione tornò sulla Pietra.

Si avvicinò, sentendo gli sguardi di tutti su di sé. Era sempre stato abituato ad essere osservato con curiosità, per via del suo aspetto, ma in quel momento si sentì quasi … fragile. Inspirò lentamente per calmarsi e di colpo tutto gli parve infinitamente più chiaro e semplice.

Tese la mano, contento di non trovare più alcun impedimento, e chiuse le dita intorno alla cosa che era l’essenza del viaggio compiuto. Fu sorpreso ancora una volta, nonostante la preparazione mentale che anni di addestramento gli avevano donato, tuttavia non lasciò che le emozioni trapelassero dall’espressione del suo volto.

La Pietra delle Fonti era abbastanza grande, più di una palla da tennis, niente affatto tonda, dai margini smussati. Fresca, liscia, come l’acqua o il vento, nel suo cuore palpitava la schiuma impetuosa delle casate e la potenza degli uragani. Era come se centinaia di piccoli gorghi si muovessero sotto la superficie vetrosa e semitrasparente.

Mark staccò dal supporto l’oggetto e lo osservò.

Una strana energia irradiava da quella cosa, un’energia che in parte rinvigorì e in parte lo stordì, ma che era dolce e fresca.

In quel momento seppe che Sherre gli aveva davvero mentito e che non sarebbe morto, ma che nuovi orizzonti si aprivano e finestre sul futuro.

La sua anima, per quanto fosse nera, non sarebbe stata distrutta.

La missione era riuscita.

Ma intorno a lui regnava, miserevole, la distruzione. Nella rabbia che aveva posseduto la mente di Mark, egli aveva fatto a pezzi il prezioso piccolo Eden nascosto e ora se ne rammaricava fin nel profondo del cuore

«Torneremo un giorno» disse ad alta voce, fissando dei fiori appassiti «O perlomeno io lo farò. Devo mettere a posto questo disastro. Pianterò un nuovo albero per ciascuno di quelli che ho ucciso»

«Voglio venire anch’io!» si affrettò a precisare Kate «Ti assicuro che ti posso dare una mano»

«Certo. Ma nel frattempo abbiamo altri giardini da aggiustare…» ma prima che potesse finire la frase udì un sonoro splash: Kate era già in acqua

Forse si era sbagliato, in fondo, a pensare che tutto sarebbe cambiato:certe cose non cambiano mai.     

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Capitolo 5
*** Il maniero ***


LIBRO SECONDO- Nel mondo degli umani

Capitolo.1

Il Maniero

“Avete mai sentito parlare delle case infestate dai fantasmi?

Vi porterò a vederne una…”

 

Il maniero sorgeva in mezzo a un grande giardino in mezzo alle colline, circondato da boschi di pioppo tremulo, noce e castagno dal fogliame di un colore ormai tendente al rosso ed al giallastro, visto il freddo che avanzava.

Le mura dell’edificio apparivano lievemente scrostate, le porte graffiate e consumate dal tempo e sui balconi di pietra, ornati da piccole statue di animali, si arrampicavano l’edera e la vite del Canada, dando al complesso un aspetto di inquietante gloria un pò decaduta, come quella delle case dei fantasmi.

Un giovane americano guardava dall’esterno dell’enorme cancellata tutto ciò, mentre il cuore gli martellava in petto. Si staccò dalla cintura un grosso mazzo di chiavi arrugginite e le fece tintinnare mentre sceglieva quella più adatta

«Questa no…questa no…ah, ecco qua!» esultò finalmente, in maniera infantile, infilando nel buco della serratura la chiave giusta.

Il lucchetto che chiudeva il pesante catenaccio ossidato scattò con un rumore sordo e il ragazzo aprì il cancello con una spinta. Dal rumore cigolante dei cardini si poteva dedurre che erano anni che nessuno apriva quel cancello. Il giovane avanzò con cautela, guardandosi intorno per metà intimidito e per metà affascinato.

Fra le erbe selvatiche e le rose incolte si ergevano effigi di marmo d’ogni genere, simili a ricordi che emergevano dal passato o a persone pietrificate per sempre, cavalieri sui loro fieri ed eleganti destrieri, busti di nobili e di dame dai volti tristi, vecchi con i baffoni ed i libri sottobraccio.

Ma, più bello e più terribile, era un uomo scolpito nella roccia scura in fondo all’entrata, vicino alla casa. Era un membro dell’alte società a giudicare dall’abito elegante sotto la giubba che nel modello originale doveva essere stata di velluto, con un volto severo e malinconico che, anche ora, sembrava provare un dolore nell’anima, tale era stata la perizia dello scultore. Portava i baffi corti e i capelli lunghi come si usava all’epoca, raccolti in una coda e curati, le mani aristocratiche da pianista con le dita affusolate protette da guanti lisci erano l’una portata parallela al corpo e l’altra portata sull’elsa della spada, che pendeva dalla cintura, mentre le gambe erano in perfetto appiombo, dritte, come quelle di qualcuno che si prepara a scattare perché a sentito un rumore improvviso.

Il giovane visitatore americano osservò la statua per qualche istante prima di entrare nel palazzo.

Non appena varcò la soglia, spalancando il pesante portoncino di legno massiccio, la luce lo investì. Vide qualcuno muoversi furtivamente non molto lontano da lui e sobbalzò. In quel’unico istante pensò che faceva male a fidarsi degli uomini che lo avevano inviato in quella villa maledetta, che in fondo se lo sentiva che dentro c’era già qualcuno e che quel qualcuno non era amichevole…solo qualche secondo dopo capì che il presunto nemico altri non era che il suo riflesso in uno specchio di uno ei grandi specchi polverosi che amplificavano la luce dello splendido salone in cui si ritrovava. Era stato un vero sciocco a spaventarsi cosi, lo ammise.

Rise forte di sé stesso, in modo che la sua voce si espandesse ovunque, e si avvicino curioso alla sua immagine riflessa. Potè constatare che era il bel giovanotto di sempre, con i capelli neri corvini arruffati, la frangetta spettinata sulla fronte, gli occhi scuri e brillanti e vestito alla maniera casual che lo contraddistingueva, con jeans e maglietta blu scura spiegazzati perché in macchina stava scivolato in avanti sul sedile.

Emise un sospiro sollevato

«Harry caro» disse, puntando un dito contro lo specchio «Mi sa che devi stare attento a quello che pensi o finirai per vedere cose come quel signor…» boccheggiò incredulo, impallidendo.

Aveva chiaramente visto, riflesso accanto a lui, un altro uomo, ma ora non c’era nessuno. Non era stata una visione fugace, come quelle di chi si autosuggestiona, ma la figura di qualcuno, alto e molto materiale, si era specchiata per qualche istante accanto al giovane e poi si era allontanata camminando.  

«No» Disse Harry, fuggendo letteralmente dallo specchio «No, cosi non va bene. Ho le allucinazioni, si, ho le allucinazioni» iniziò a salire l’ampia scalinata di marmo, continuando a borbottare fra sé e sé per farsi coraggio.  In realtà sapeva quanto questo comportamento fosse da bambini, ma non gliene importava più di tanto, sapendo di essere solo «Adesso basta eh, ora mi chiarisco un pò le idee, vado a lavarmi la faccia…chissà se hanno l’acqua in questo posto, sembra vecchio…bah, secondo me è stato quello stupido nobile con la statua nera a suggestionarmi, lo scultore ci ha lavorato un pò troppo su e forse ha fatto più di quanto fosse necessari fare- emise una breve risatina nervosa e si fermò davanti a una porta che un tempo doveva essere stata verniciata di bianco perché qui e lì affioravano ancora macchie candide sul legno scuro. La aprì e rimase piacevolmente sorpreso

«Woha!» non poté trattenersi dall’esclamare, mentre apriva con cautela il rubinetto d’argento del lavandino di marmo di carrara e oro.

Marmo e oro!

Lì dentro era tutto seminuovo e questo gli fece pensare che qualcuno aveva ristrutturato e rimodernato alcuni ambienti della villa.

Gongolando di fronte allo scintillante sfarzo e infilo le mani sotto il getto, ma non fu piacevole sentire scorrere la fanghiglia verde di alghe sulla pelle al posto dell’acqua

«Bleah!».

Ci volle ancora qualche minuto prima che il flusso di melma si rischiarasse e il giovane potè sciacquarsi la faccia e le mani con dell’acqua vera, poi, sentendo che la paura iniziale gli era passata, iniziò ad andare i giro per le stanze canticchiando fra i denti con allegria.

Entrò in una sorta di salotto pieno di polvere, piacevolmente ampio e dai colori caldi. Le pareti erano dipinte di ocra e vi troneggiavano teste d’alce e di cervo impagliate, il muro di fondo conteneva una nicchia piena di trofei di caccia e più in basso campeggiava un grande camino con dentro due ciocchi di legno fin troppo stagionato.

Harry saltellò allegramente verso i premi d’oro e d’argento e lesse ad alta voce le etichette metalliche brillanti

«Al Re delle Cacce» scandì, cimentandosi nella traduzione poiché quella scritta era in francese «Le plus…Il più…Il più distinto fra i Cacciatori di Cervi» tossi, a causa della polvere sollevata con il braccio, e continuò spedito di fronte a un breve discorso di merito scritto in inglese su una targa che recitava «“A colui che della nobile arte venatoria ha fatto la sua vita, donando lustro con il suo talento e il suo ardire alla Società Inglese per la Caccia con i Cani”».

Sorrise divertito e passò a una statuetta a forma di falco d’argento sulla cui ala aperta era incisa la frase “Al primo posto per la caccia col falcone. Nobiltà, Virtù, Tradizione”.

Certo che gli abitanti di quella casa dovevano proprio essere fissati con la caccia! Harry, invece, aveva sempre odiato andare a, come lo definiva lui, “ammazzare come un incivile”: per lui rimaneva uno stupido passatempo quello di tentare di uccidere animale per ottenere carne o pelli che si potevano benissimo avere anche da bestie allevate. Si allontanò da quella stanza ridacchiando e passeggiò per i corridoi con il cellulare in mano. Decise di telefonare finalmente:compose il numero e si accostò l’apparecchio, una scatoletta nera un po’ antiquata, al lato destro della testa

«Pronto?» esalò una voce femminile aldilà del micro altoparlante

«Pronto, Kate» esclamò Harry, felice di aver sentito rispondere proprio lei «Sono Harry»

«Sei già arrivato?Com’è il posto?»

«Vecchio» rispose sincero lui »Ma molto bello. Senti Kate, quand’è che arrivate?»

«Fra questa sera e domattina, tranquillo. Tu fatti una bella dormita!»

«Ma si, certo…nella casa dei fantasmi…ma perché son dovuto venire prima io?»

«Boh, l’ha deciso Mark, non io, che vuoi che ne sappia?»

«Vuoi vedere» ringhiò il giovane, con rabbia «Che ha deciso di usarmi come esca?»

«Esca?Ah ah, guarda che stavolta non puoi fare da esca a niente, dobbiamo solo riunirci in quella vecchia casa a chiacchierare e a cercare un paio di scartoffie, sai, ordinaria amministrazione. Nessun Cane Leggendario da combattere»

«Va bene, mi fido di te allora»

«Meglio cosi. Ciao bello!»

«Ciao»

«…».

Harry si sentì d’improvviso molto solo e abbandonato in quel maniero spettrale. Scese in macchina a prendere le valigie (dopo tutto quello che aveva passato sapeva che l’equipaggiamento era fondamentale) e risalì a cercare una camera da letto. Trovò una stanza enorme con un finestrone dai vetri colorati nella rappresentazione di una rosa rossa su uno sfondo di scagli verdi e blu, le quattro mura color salmone e un armadio in arte povera molto massiccio. Poggiò le valigie a terra e si stiracchiò vigorosamente, poi aprì con un pò di difficoltà la finestra. Il panorama era fantastico: una visione globale di tutti i boschi circostanti, le campagne, le colline, immerse in una calda luce rossa. Harry non si sarebbe perso il tramonto per nessuna ragione al mondo

«Poesia della natura» commentò solenne, osservando gli ultimi raggi sanguigni irrorare il paesaggio circostante mentre uno stormo di piccoli uccelli si posava scendendo disordinatamente dall’alto. Ma fu ascoltando il cupo brontolio del suo stomaco vuoto che Harry comprese che era sera:aveva fame. Lanciò un ultimo sguardo alle sfumature ferrigne e scarlatte delle nubi e scese a cenare nel gigantesco salone da pranzo (e da cena) al cui centro troneggiava una tavola troppo lunga di marmo sui cui lati erano disposte sedie dallo schienale alto foderato di morbido velluto rosso, come quello delle tende di fronte alle vetrate immani.

Il ragazzo non aveva alcuna voglia di cucinare, anche perché non era quel che si diceva un cuoco provetto, quindi sgranocchiò un panino con il salame accompagnato da una bottiglietta di tè al limone, preparato sul posto sciogliendo una bustina di preparato in mezzo litro d’acqua.

Gli venne sonno quasi subito, non potè che pensare che non era fatto per vivere da solo in un posto cosi grande.

Accese con un vecchio accendino rosa, che si portava in tasca da quando faceva il liceo, tutte le candele di un candelabro fra i tanti che si trovavano allineati sul lungo ripiano del tavolo e si diresse verso le scale, passando di fronte allo specchio. Per un istante gli parve di vedere un movimento con la coda dell’occhio, ma ripetendosi che quanto vedeva non era reale tirò dritto verso la sua camera, immerso nel buio.

Udì uno scricchiolio sinistro e sobbalzò col cuore in gola prima di comprendere che era stato lui stesso a produrlo schiacciando un vecchissimo pezzo di legno a terra, che spuntava dalla porta aperta di un ripostiglio…un momento:he ci faceva a terra un pezzo di legno? Harry si chinò a raccoglierlo e con sorpresa sentì che la superficie dell’oggetto era quasi completamente liscia e molto fredda. La gamba di una sedia? Qualcosa di comunque molto ben tornito, tondo, levigato e lungo.

Il giovane tirò forte e qualcosa di fin troppo dissimile da qualunque sedia avesse mai visto uscì dal buio.

Due orbite vuote lo fissavano, un volto scarno, liscio, senza espressione.

Quello che aveva scambiato per un pezzo di legno era l’osso di un braccio…e ora, in piena notte e con la luce di una sola candela in un maniero abbandonato, Harry si ritrovava faccia a faccia con uno scheletro abbigliato come un signorotto d’altri tempi.

Il giovane urlò a pieni polmoni e scattando in piedi si precipitò nella sua camera da letto, si coprì fin sulla testa con le polverose coperte rosse e si addormentò profondamente scosso.

Fu una notte d’incubo, di sogni affollati di neri fantasmi senza volto e scheletri, confusi, mescolati in allucinanti scene notturne all’interno di palazzi di ossa.

Si svegliò dopo la mezzanotte, ansimante, madido di sudore. Con gli occhi dilatati dalla paura guardò fuori dalla finestra spalancata, da cui era perfettamente visibile la luna pallida.

Si mise seduto e si passò una mano umidiccia sugli occhi

«Un incubo» disse divertito a sé stesso «Mah…».

Ricadde pesantemente sul letto a braccia aperte e chiuse gli occhi, cercando con tutto sé stesso di no pensare allo scheletro nello sgabuzzino. Alla fine riuscì ad abbandonarsi completamente a un sonno ristoratore senza sogni, nero e dolce come un caffè fortemente zuccherato.

Nubi nere nel cielo s’addensarono, la luna fu coperta da quelle grandi masse oscure che ne smorzavano la luce, la notte s’avanzò con il buio e la pioggia iniziò a scendere lentamente sui boschi. Tutto tacque, tranne il cielo brontolante il quale mandava sulla terra la pioggia che ticchettava dolce sulla terra.

Qualcuno osservava il giovane uomo dalla soglia, come una sentinella, poi anche lui si allontanò e solo tenebre e silenzio riempirono la notte.

Harry venne svegliato dal rombo di un’automobile oltre che dalla luce del sole prepotente finitagli direttamente in faccia. Gli ci volle qualche secondo prima di rendersi conto del significato del suono che aveva udito, poi scattò in piedi a lavarsi velocemente e si precipitò all’entrata. Qualcuno bussava già da dietro il portone con un filo d’impazienza. Ancora grondante d’acqua il giovane aprì e una figura femminile comparve sull’uscio con le valigie

«Harry!»

«Ciao Kate! Mamma mia quanti bagagli ti sei portata…»

«Sempre meglio essere previdenti, ormai dovresti saperlo».

Kate era una ragazza davvero carina, sui venticinque anni, con lunghi, morbidi capelli castani e occhi da cerva curiosa. Harry riusciva a pensare solo questo, ogni volta che la vedeva. Quella sera lei indossava una camicia avana e i jeans semplici stretti in vita da una cintura panna, ma tutto ci non face che esaltare la sua determinata bellezza.

Entrò lasciando dietro di sé delle impronte fangose, osservando stupita la grandiosità del salone

«Wooo» disse, lasciando cadere con un tonfo le valigie sul pavimento liscio «Che posto fantastico!»

«E dovresti vederlo la sera. Spettrale direi e…c’è uno scheletro al piano di sopra»

«Sul serio?» chiese una voce grossa proveniente dall’esterno

«Si John, sul serio» confermò Harry «Qualcuno è morto anni fa al piano di sopra dello sgabuzzino» «Dopo voglio vederlo».

Sul tappeto all’entrata si fermò un uomo alto e pienotto con gli occhi scuri furbi, vestito con un completo formale chiaro e un grosso cappello da cowboy bianco calcato sulla fronte, da dotto il qual sfuggivano negligenti ciuffetti ramati. Sul volto vagava un sorrisetto sornione e arrogante insieme, costantemente presente in quasi qualunque situazione.

Harry non lo degno più di uno sguardo, necessario ad identificarlo, e si rivolse direttamente alla donna

«Come mai sei con John?»

«Oh, guarda che con me c’è anche Vince»

«Anche il vecchio presidente? » persino Harry aveva iniziato ad utilizzare quel soprannome «E Mark dov’è?»

«Mark» Kate smise di guardarsi intorno, incredula, si voltò verso il giovane «Mark era qui ieri sera. Pensavo fosse qui con te!»

«Con me?» Harry strinse i denti e divenne rosso come un pomodoro «Il fantasma» mormorò ribollendo

«Quale fantasma?» volle sapere la ragazza

«Beh, è una lunga, lunga, lunga storia» sibilò Harry, anche se in realtà avrebbe potuto raccontare l’aneddoto in meno di dieci minuti e senza difficoltà. Era solo per fare spettacolo.

Si lanciò su per le scale di corse e aprì tutte le porte di tutte le stanze come un turbine, senza cura

Curarsi dei danni che avrebbe potuto arrecare

«Dove sei, dove, dove!» esclamò all’improvviso, esasperato

«Qui».

La voce che gli aveva risposto era cupa, roca, fredda come il ghiaccio. Una di quelle voci che, se sei molto autosuggestionato, puoi sentirti rombare alle spalle. Una di quelle voci che, a mente lucida, penseresti di non poter sentire in una notte buia.

Harry fece lentamente dietrofront e sorrise debolmente mentre dentro di lui si muovevano un tumulto di emozioni. Lui era lì che lo fissava…

Un gigante vestito di nero, slanciato eppure possente. Un pò pallido e gli occhi di un verde profondo segnato da striature di un color erba lieve, quell’uomo sembrava l’incarnazione perfetta del nobile malinconico che aveva la statua che lo raffigurava in giardino. Solo era un pò più alto e muscoloso, con una corta barba rossa curata e invece dei soli baffi e mani  tutt’altro che delicate quanto invece all’apparenza robuste e tenaci, piene di piccole cicatrici bianche sulla parte visibile delle dita che spuntava dai guanti di pelle nera da motociclista.

Harry alzò una mano a mò di saluto, spiazzato

«Ciao» mormorò

«Salve» rispose Mark, gelido «Mi pare di capire che mi stavi cercando»

«Si, beh, ecco, sei stato scorretto ieri»

«Ieri?»

«Si» ripetè imperterrito il ragazzo, prendendosi d’animo «Ieri. Quando non mi hai avvertito che c’eri. Mi hai fatto venire un colpo quando ti ho visto in quella specchio»

«Si, lo specchio…beh, pensavo che a quel punto lo avessi capito che c’ero»

«Ma tu…tu…» un balbettio tremolante sostituì tutta la determinazione del ragazzo

«Io, si. Io cosa?»

«Come potevi pensare che io capissi che c’eri dopo che io ti ho visto per al massimo un secondo?».

Mark sorrise in modo molto poco amichevole, quasi sadico si potrebbe dire, e si allontanò lentamente verso le scale. In realtà non voleva male a quel giovanotto, non era colpa sua se le sue espressioni, anche quelle di divertimento, sembravano truci. Scese seguito da Harry nel salone d’ingresso e si fermò bruscamente davanti alla base dell’imponente gradinata

«John» disse, con accento caldo, trasmutato e molto meno minaccioso «Vecchio Volpone!»

«Heilà eroe, passata bene la notte insieme al ragazzo?»
«Ah, mi ha scambiato per un fantasma, niente di particolarmente allarmante…tutto bene tu invece?»

«Non mi lamento se non di Vince che mi ha quasi ucciso mentre posteggiavamo la macchina al fast food. Altri venti centimetri e mi spiaccicava al muro. Bah, bazzecole insomma…»

«Sei stato tu a metterti in mezzo» ruggì con voce graffiante un uomo sui sessant’anni in completo gessato con folti capelli grigi «Tu sei sceso e passato di fonte alla macchina mentre parcheggiavo»

«Avresti potuto avvertire» urlò più forte John, come un grosso orso arrabbiato «Mi hai quasi fatto fuori!»

«Ma che…» Vince divenne rosso di rabbia «Tu sei un…»

«Basta!» s’intromise Kate, minacciosamente «Se non la finite, e vi giuro che in un modo o nell’altro lo farete, vi prometto solennemente, dovesse crollarci la casa sulla testa, che vi sbatto fuori!».

John dondolò da un piede all’altro con aria smarrita, ma con fili di quel beato sorrisetto in faccia

«Convincente» commentò

«Davvero» confermò Mark, divertito «Non riesco a immaginare cosa ti abbiano fatto per farti arrabbiare in questo modo…»

«Signore mio!» esclamò la donna, con accento di esasperazione, alzando gli occhi al cielo «Hanno fatto cosi per tutto il viaggio, a litigare per questo e per quell’altro, di chi è la colpa del sedile macchiato, di chi è la colpa che è successo che il pipistrello si è spiaccicato sul vetro posteriore…»

«Un pipistrello si è spiaccicato sul vetro posteriore?»

«Si» Kate inspirò profondamente «E io non ce la faccio più».

John salì al piano superiore fischiettando allegramente e anche Vince svincolò velocemente andando a perdersi in giardino.

«Seguitemi» ordinò all’improvviso Mark ai due giovani, conducendoli nel salotto dei trofei.

«Quanti premi e…quante teste!» commentò Kate, buttandosi a sedere sul divano di pelle rosso e alzando una nuvoletta di polvere. Harry si sistemò accanto a lei e Mark su una poltrona di fronte a loro, enorme e curvo verso i due compagni come qualcuno che sta per confidare segreti importanti.

La donna rise, una risata dolce e argentina

«Allora» cominciò «Perché ci hai portati qui?»

«Tu sai già cosa stiamo cercando, ma il giovanotto» e Mark indicò rapidamente Harry «Non ne sa niente. Pensavo che sia meglio spiegarglielo e poi…ci sono cose che non sai nemmeno tu, cose che sono rimaste segrete per quasi duecento anni» il gigantesco umano, sempre che si potesse definire tale, fece una pausa guardando il camino, poi proseguì a spiegare «L’ultima cosa che abbiamo recuperato, undici giorni fa come ben sapete, è stata la Pietra delle Fonti»

«Esatto» completò Kate «La pietra azzurra protetta dai tre Cani Leggendari. Sfortunatamente per noi anche se la missione ha avuto un buon esito» esitò, sorridendo «Non ci serve a niente»

«Come sarebbe a dire?» sbottò Harry, rizzandosi saldamente aggrappato ai braccioli spellati del divano

«Siediti» ordinò Mark

«E ascolta» intervenne la donna, severa «Oppure rischi di fraintendere. Non è che abbiamo fatto il viaggio a vuoto, tutt’altro:se mai qualcun altro avesse messo le mani sulla Pietra delle Fonti e fosse stato intercettato la Grande Alleanza, magari proprio da un Cavaliere del Sangue, per noi sarebbe stato un rischio enorme. Vedi: per noi la Pietra delle Fonti è pressocchè inutile perché on sappiamo come usarla, ma la Grande Alleanza si sono, accidentalmente, che ne sanno un pò di più al riguardo»

«Quindi» ringhiò il ragazzo «Praticamente è come se avessimo un potentissimo ordigno nucleare e non il suo libretto d’istruzioni?»

«Precisamente. Anche se forse non paragonerei la pietra ad un ordigno nucleare»

«Oh, Signore aiutaci. E perché siamo in questo posto maledetto?»

«Per cercare un libro» spiegò cupo Mark «Che ci aiuterà a comprendere al meglio la storia del Trio delle Pietre. Si tratta della Storia del Ghiaccio e del Fuoco, ma è scritto in latino ed è un poema»

«Bene» disse il giovane, un pò sollevato «Allora non ci staremo tanto tempo in questo posto cadente»

«Frena, campione» il gigantesco umano si erse sulla sua statura di oltre due metri e iniziò a passeggiare lemme avanti e indietro per la stanza «Ho motivo di pensare che il vecchio padrone della villa, e quindi della Storia del Ghiaccio e del Fuoco, avesse avuto l’accortezza di portarsi il suo prezioso libro nella tomba. Letteralmente» aggiunse, notando l’espressione scettica del ragazzo «E che quindi il nostro prezioso “libretto d’istruzioni” giace nella bara posta all’interno della cripta sotterranea dove dobbiamo scendere stasera»

«Perché stasera?» chiese Harry, facendo finta di essere solo lievemente incuriosito da quella scelta

 «Perché non dopo mangiato, o, che so, adesso?»

«Perché sarà la luna a indicarci la via»

«Ma stasera non c’è la luna piena!» Harry aveva controllato una dozzina di volte sul calendario se quella notte fosse di plenilunio oppure no. Se lo fosse stato, lui non avrebbe osato mettere piede in quel rudere spettrale.

«Infatti» Il gigantesco uomo ridacchiò sotto i baffi «Se fosse la luna piena a rivelarci la strada avrebbero trovato il libro anni fa. Banale. No…a quanto pare il sistema che indica dove si trova la cripta si attiva i due giorni seguenti rispetto alla luna piena. Spero solo che nessuno l’abbia distrutto, dopo tutto questo tempo…»

«Mi sembra un pò inquietante»

«Può darsi di si come può darsi di no. Tutto è soggettivo, ovviamente, ma suppongo che tu abbia ragione questa volta. Si» fissò il giovane negli occhi, due lame di ghiaccio verde conficcate nell’anima, e Harry rabbrividì udendo le ultime parole di quel breve discorso »Ci sarà da preoccuparsi».

E Harry era più che sicuro che la frase “ci sarà da preoccuparsi” detta da Mark significava “Se sopravviviamo è un miracolo”, ma tanto per non fare sempre la figura del vigliacco non diede a veder che era preoccupato.

Passarono il pomeriggio a metter ordine e affaccendarsi nei più disparati lavoretti, anche s Harry non comprendeva perché dovessero ordinare quel posto se se ne sarebbero andati domattina, portandosi dietro il prezioso libro della Storia del Ghiaccio e del Fuoco.

Quella sera si raccolsero tutti in biblioteca, un grande locale austero e, se possibile, ancor più polveroso delle altre stanze, con mucchi di libri ordinatamente accatastati su grandi tavoli o disposti sugli scaffali di mogano tarlato.

Mark accese tutti i candelabri e sedette immobile su un grande seggio brunito dalla spalliera alta di pelle nera

«Attendiamo dunque che la luna ci mostri…»

«Sei sicuro che sia in biblioteca» azzardò John «L’entrata non potrebbe essere, che so io, in bagno o in cucina?»

«Cerchiamo un libro, non un forno. E quale più chiara allusione al sapere della storia del Ghiaccio e del Fuoco di una biblioteca?»

«Pensi sempre a tutto tu eh…guarda lì!».

Tutti scattarono in avanti come molle. Un tassello del mosaico che componeva il pavimento di quella stanza brillava di luce riflessa e il raggio veniva proiettato sulla copertina di un libro rilegato in pelle. Vince fece per prendere l’oggetto indicato e quando lo tirò a sé un rombo cupo scosse la terra sotto i suoi piedi, poi, senza ulteriori cigolii, la scaffalatura sprofondò nella parete lateralmente, come una porta scorrevole.

«Come mai ci vuole che la luna non sia piena?» chiese Kate «La luce non illumina ugualmente il tassello a specchio anche con il plenilunio?»

«Osserva» esclamò il gigantesco umano, estraendo dal giubbotto una piccola torcia a pile lunga come un tubetto di colla stick. Si avvicinò in un punto non troppo più distante e puntò la luce sul pavimento. Accadde un prodigio: un piccolo specchio inclinato riflettè la luce con un altro che fece rimbalzare il raggio contro un altro ancora e cosi via finchè la stanza intera non scintillò di puntini come stelle del firmamento.

«Come vedete adesso sarebbe impossibile capire in che punto si trova l’entrata della cripta» spiegò Mark in modo molto professionale. Spense la pila luminosa e la stanza tornò buia.

«Il costruttore del sistema» Disse l’omone «Aveva contato anche le più piccole variazioni luminose. Anche lassù» e indicò la finestra «C’è un perfetto gioco di specchi. Mio dio, più che perfetto … La luna piena illuminava tutta la stanza, ma solo due sere dopo era visibile la leva che apriva l’entrata. Chiunque avrebbe detto che era un semplice gioco di specchi per dilettare il padrone di casa nelle notti di plenilunio, ma pochi sapevano che in realtà che l’intero sistema serviva per nascondere l’unico tassello specchi che indicava la via. Ingegnoso»

«Wow. Hai avuto un’intuizione geniale» si complimentò Kate con lui, sorridendo radiosa e colpita come una bambina.

Harry sbuffò e guardò in tralice la imponente figura di Mark: sempre perfetto, quel bestione, di nuovo aveva trovato un  modo per rendersi interessante agli occhi di Kate. Già, perfettamente insopportabile…

Vince sbadigliò rumorosamente, la mascella quadrata parve schizzare fuori posto

«Sentite, ho un sonno cane. Perché non ci andiamo a coricare?» propose assonnato

«Oh Vince!» supplicò la ragazza, afferrando l’avambraccio dell’uomo «Muoio di curiosità!Non possiamo scendere subito?»

«Ma io ho…»

«…E ti vai a coricare, no?»

«No» intervenne Mark, accendendo una fiaccola fra le tante che erano poste fra le scaffalature e staccandola dal suo supporto «Dobbiamo rimanere uniti. Ogni istante perso è un vantaggio in più

Per i Cavalieri della Grande Alleanza. Non abbiamo tutto il tempo che vogliamo. Entriamo».

Tutti lo imitarono e accesero le torce. Si infilarono nel passaggio buio e discesero con cautela una scala a chiocciola i granito che si avvitava su un pilastro nero del diametro di un metro e mezzo circa, ricoperto di bassorilievi e incisioni.

Kate si mise a esaminare alla luce del fuoco, mentre scendevano lenti

«Osiride e Anubi» disse piano, le dita delicate sulle figure incise nel marmo e gli occhi ridotti a fessure nello sforzo di decifrarle «Che ci fanno qui?Il padrone della casa dev’essere stato in Egitto»

«Osiride e Anubi» ripetè Mark, cupo «Significano beh…simboleggiano la vita oltre la morte»

«Già…vuoi dire che?» la donna guardò verso l’abisso nero sotto di loro «Resurrezione, vita oltre la morte»

«Smettetela» piagnucolò Harry, superandoli seccato e con le mani nelle tasche «Mi fate venire i brividi».

Andarono avanti silenziosi per un tempo che non seppero contare, nel buio fitto e pesante, nell’aria stranamente profumata di affumicato, finchè non fu percepibile un rumore lieve, uno scroscio d’acqua nella parete, celata alla vista. Poco dopo le scale terminarono  il gruppo scoprì di trovarsi in un ampio corridoio umido e dall’aria viziata

«Che postaccio!» esclamò Harry, disgustato «Ci sono…ragni e…»

«Ragni?» domandò Kate stupita «Dove?»

«Eccoli là…sono enormi!».

La donna si avvicinò a un angolo e notò un’intera colonia di grossi animaletti pelosi a otto zampe, brulicanti nei loro angoli tappezzati di lanugine argentata dove si affaccendavano a curare uova e piccoli. Erano centinaia e continuavano a salire e scendere dappertutto.

«Ma cosa mangiano quaggiù?Non vedo fonti di cibo» Disse Kate,continuando a osservare con meraviglia le creaturine di fronte a un raggelato Harry che tremava d disgusto.

Mark andò avanti da solo, senza commentare, la donna e l’uomo dal cappello bianco si affrettarono a seguirlo a ruota.

Vince, con tutta la calma di uno zombie assonnato, si trascinò in avanti.

Il più giovane rimase un pò intontito, ancora paralizzato dalla zampettante e pelosa visione, ma quando si vide solo in quel corridoio buio anche lui s’incamminò, arrossendo di rabbia e di vergogna.

L’odore di marcio divenne più intenso.

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Capitolo 6
*** Chi non muore si rivede ***


Capitolo 2

Chi non muore si rivede

“-Non si può certo uccidere una cosa che è già morta una volta.

-Beh, forse no. Ma posso sempre uccidere te”

 

«Puzza di morto» Disse all’improvviso John, calmo «Uhm, eh…quanti diamine di cadaveri ci sono in giro?»

«Parecchi a quanto pare» rispose Mark, accigliato, sollevando in alto la fiaccola per illuminare meglio tutto.

Harry gemette all’affermazione del gigantesco compagno

«In che senso parecchi? Oh…» impallidì.

Ora sapevano cosa mangiavano i ragni. Ragni necrofagi?

Nelle nicchie dei muri giacevano bare di legno marcio, fatto a pezzi, attraverso cui si vedevano inquietanti scorci di cadaveri parecchio avanti con la decomposizione, pezzi di carne nerastra e fatiscente su scheletri macchiati di bruno e, tutt’intorno, ragni intenti ad affondare le loro zannette nei cadaveri. Gli occhi dei morti erano stati cavati, smangiucchiati, liquefatti, le pelli erano tirate, disidratate, le unghie sembravano più lunghe nelle mani che penzolavano mestamente, ma la cosa peggiore era il puzzo di putrefatto che aleggiava come una coltre di fumo irrespirabile.

Vince sorrise stancamente, come un ubriaco, senza capire cosa stesse succedendo tanto era cotto di sonno.

Harry, evitando accuratamente di avvicinarsi alle pareti, vomitò e assunse un colorito verdastro che lo faceva assomigliare a un cavolo con i capelli neri. Kate mise un braccio intorno alle spalle del ragazzo, in atteggiamento materno,anche lei un pò pallida

«Hei, tutto bene?Sei un  pochettino strano in faccia»

«Che schifo» mormorò Harry, guardandosi le scarpe miracolosamente intatte «Perché diamine non li hanno seppelliti, quei mostri?»

«Forse per scoraggiare l’entrata di qualcuno»

«Ci stanno riuscendo alla grande a scoraggiarmi, mi viene la nausea»

«L’ho notato» rispose lei, accennando con la testa alla grossa macchia scura e lucida sul pavimento di pietra.

Mark li richiamò con un fischio, poi spiegò che prima se ne andavano meglio era. Per la prima volta Harry fu del tutto d’accodo con quelle parole e non se lo fece dire due volte di seguire il gigante lungo quel percorso maledetto.

All’improvviso, forse per lo spostamento d’aria causato dal gruppo di persone che avanzava rapidamente, uno dei cadaveri scivolò da dentro la sua bara fino a terra e si piazzò supino proprio nel mezzo del corridoio. Harry sobbalzò e arricciò il naso arretrando spaventato, ma anche gli altri parvero piuttosto impressionati alla vista di quell’orrore.

Il corpo era giallastro e striato di rosso ciliegia, colorito a causa della rottura dei vasi sanguigni, e le carni erano tumefatte, gonfie e maleodoranti. Il viso sembrava rubicondo, tinto di rosso sulle guance, e aveva gli occhi chiusi.

Doveva essere più fresco, molto più fresco degli altri cadaveri. Come ci era arrivato lì? C’era ancora qualcuno vivo che riforniva di morti quell’allevamento di ragni?

Harry rabbrividì e non vomitò solo perchè aveva già lo stomaco completamente vuoto.

Mark lo superò tranquillo, prese per un braccio il cadavere, lo sollevò e lo appoggiò alla parete, sistemandolo in maniera che stesse seduto con la schiena dritta, poi proseguì ed invitò anche gli altri a farlo

«Se rimanete fermi non arriviamo più alla fine» disse, sogghignando in direzione di Harry, compiaciuto nel vederlo disgustato.

John tossicchiò come se volesse sottintendere qualcosa, ma senza indugiare oltre seguì il suo compagno che già si perdeva in fondo al tunnel. In seguito al suo gesto anche gli altri si scollarono dal posto e gli caracollarono dietro come un mucchio di ubriachi.

Ma il corridoio pieno di cadaveri sembrava non finire mai, dritto e maleodorante, per quasi duecento metri finchè sboccarono in un grande sotterraneo dove l’aria tornava respirabile, anche se non era certo delle più pure e leggere. Un ponte di pietra attraversava un fiume sotterraneo ampio una decina di metri e molto profondo, l’acqua limpida e il fondo nero frastagliato da escrescenze simili a grosse spine basse e scaglie.

Harry si appoggiò all’alto parapetto che delimitava i bordi del ponte di pietra e guardò in basso giù nell’acqua.

Lo sciabordio lento e ritmico del fiume che s’infrangeva contro le sponde di roccia levigata gli fece ricordare quanto sonno avesse, e John riuscì a farsi odiare da lui gridandogli. Dapprima non capì cosa sentiva urlare poi riuscì a discernere le parole “stai attento” e sbalzò all’indietro barcollante. Il fondo del fiume parve ondeggiare di fronte ai suoi occhi e innalzarsi. Mark afferrò Harry per la collottola e lo sbattè all’indietro sulla fredda pietra, allontanandolo dal lato destro del fiume Il ragazzo stava per protestare quando capì da quale pericolo il gigantesco umano lo aveva sottratto. Come una collina il fondo del fiume si sollevò, formando un arco, poi si srotolò lentamente, simile a un cobra, e infine mostrò una testa di rettile lunga un metro e mezzo.

Quello che aveva scambiato per un innocuo accumulo di pietre, incrostazioni e alghe morte era in realtà il dorso irsuto di un sorte di serpente marino mostruoso.

La creatura annusò l’aria e si voltò verso il ponte, gli occhi completamente bianchi infossati nelle orbite nere, mostrando due doppie chiostre di zanne formidabili lunghe come dita e incurvate. Mark avanzò fino a toccare il parapetto ed estrasse dall’interno del giubbotto nero il pugnalo dalla lama serpeggiante con il pomello di vetro nero alla fine della magnifica impugnatura scura, con la linea dorata che si avvolgeva alla base della lama. Il mostro cieco ruggì e individuò per primo l’uomo armato, poiché era il più vicino. Il roco verso vibrante che uscì dalla grossa gola del serpente fece tremare letteralmente la terra sotto i piedi.

Mark si volse un istante verso i suoi compagni

«Andate» ordinò, con il tono minaccioso che non ammetteva repliche «Vi raggiungo fra poco».

Kate annuì e fece un gesto agli altri con la mano

«Forza, venite!» urlò, correndo verso l’arco che delimitava la fine del ponte e l’entrata nella stanza seguente.

A malavoglia il gruppo abbandonò Mark al suo destino. Mentre si dirigevano alla tappa seguente il mostro, sentendo il rumore fragoroso di chi corre sulla pietra, fece saettare la testa contro di loro, le fauci che schioccavano feroci.

Mark balzò in direzione della bestia e prima che potesse raggiungere gli amici gli fece scorrere la fiamma della torcia sotto la gola. Il serpente immane si ritirò con uno straziante urlo di dolore, acuto, poi di nuovo attaccò.

Mark si spostò di lato e per poco non perse l’equilibrio, distratto. Finalmente tutti gli altri si erano messi in salvo.

L’uomo, rimasto solo, sorrise.

«A noi due».

Alla terza carica del mostro gli cinse il collo con un braccio e si issò a cavallo del viscido dorso nero con un violento sforzo. Il serpente si accorse quasi subito del peso di quasi centocinquanta chili su di lui e si abbassò bruscamente nel tentativo di disarcionare lo sgradito cavaliere, ottenendo per risultato solo uno squarcio di quaranta centimetri sulla pelle del fianco, sbattendo contro la roccia. Il sangue viscoso e nerastro iniziò a sgorgare intorbidendo l’acqua limpida. Mark abbassò la torcia infuocata contro la nuca del mostro, di fronte a lui, che iniziò a sfrigolare sotto la fiamma ed emanare un forte odore di bruciato.

Il serpente marino urlò di nuovo di dolore e stavolta rinunciò alla lotta, strisciando sott’acqua. La fiaccola si spense e Mark dovette trascinarsi sull’argine al buio completo e risalire sul pone arrampicandosi. Si rimise il pugnale, ancora immacolato, nella tasca interna del giubbotto nero di pelle e procedendo a tastoni entrò nella stanza seguente.

«John!» chiamò «Kate!Vince!»

«Mark!» rispose una voce lontana «Veniamo a prenderti!»

«No. Rimanete dove siete, uniti!Arrivo subito!» si voltò un attimo indietro, sentendo un brontolare sinistro, poi raggiunse i compagni.

Dopo il bagno gelido, il calore delle fiamme era un balsamo.

La donna rise e lo squadrò dalla testa ai piedi

«Ci hai messo poco per finire con il mostro, eh» disse «Però sei tutto bagnato»

«Ho fatto un bagno al fiume» Mark si strizzò la camicia e l’acqua scrosciò sul pavimento «Ma devo dire che ci sono modi molto più piacevoli per bagnarsi»

«Ci credo…cosa hai fatto di preciso?»

«Camminiamo e te lo dico…mi accendi la torcia?Grazie…Beh,è stato semplice» stette un istante in silenzio, un pò meditabondo e un pò imbarazzato «Mi è bastato ustionarlo dietro la testa abbastanza da spaventarlo per tutta la vita»

«E senti un pò» intervenne John, dandogli un piccolo pugno sul petto «Come ci sei arrivato lassù alla testa del mostro?»

«Ma come posso esserci arrivato, testina brillante?A cavallo sul dorso»

«Oh nonna mia, se sentissi le parole di quesr’uomo» scherzò l’uomo dal cappello bianco «Questo qua è capace di far strappare i capelli al demonio stesso, se il demonio non è lui»

«Piuttosto, vecchio volpone»

«Eh, che c’è?»

«Hai capito cosa…» il resto della frase fu coperta da un rumore di un crollo come di massi. Vince, che aveva dormito in piedi anche mentre si metteva in salvo dal mostro marino, sobbalzò e andò a sbattere contro John. Prima che i due potessero iniziare a ringhiarsi contro come due cani digiuni con un solo pezzo di carne, Kate schioccò le dita

«Hey Houston» mormorò «Abbiamo un problemino di morti» deglutì e precisò «Di morti viventi»

«Dannati cadaveri» ruggì Mark, marciando a testa bassa verso un punto nell’oscurità. Gli altri lo seguirono e in breve illuminarono quello che la ragazza aveva già visto: morti.

Harry fu stupito di vedere che quegli zombie non erano come quelli di hollywood, ma ancora freschi quasi fossero deceduti il giorno prima, solo che avevano gli occhi vitrei, spenti, ed alcuni di loro erano feriti mortalmente. La massa di cadaveri che camminavano emetteva rantoli, neppure una parola, e sbatteva nel corridoio a destra e a sinistra anche se questo era largo parecchi metri. I volti, scavati e pallidissimi, sembravano congelati in espressioni di rabbia e dolore.

Mark si scrollò di dosso due baroni che lo avevano assalito e proseguì come se combattesse i morti viventi tutti i giorni, leggermente irritato.

«Venite» disse «Non possono farvi niente se non vi raggiungono la testa, non sono creature intelligenti»

«E se ci raggiungono la testa?» domandò Harry, indietreggiando di fronte ad una giovinetta bionda dal volto sfigurato come se fosse stato tagliuzzato da una lametta

«Fanno quello che fanno tutti gli zombie» rispose John, dando un calcio a un altro nobile e poi scrollando la chiara scarpa elegante, disgustato

«Oh mio Dio, aiutami!».

Spingendo come se dovesse passare in mezzo a un gregge di pecore, i vivi si fecero strada in  mezzo a quei pesanti corpi morti che sembravano voler raggiungere la loro testa sul serio. Harry non capì che John stava scherzando e pensava che davvero gli zombie volessero succhiargli il cervello e li teneva lontani a spintoni dalla sua preziosissima testolina nera, dimenticandosi di proteggere il resto del corpo e si beccò un magnifico pugno sotto le costole che gli fece vedere le stelle.

Mark si voltò verso Harry e sospirò esasperato perchè conosceva quel genere di creature e sapeva che farsi fare del male da loro era come farsi picchiare da un gatto: possibile, ma ridicolo.

Erano semplici cadaveri rianimati dal potere di un negromante abbastanza potente da mantenere i loro corpi freschi come nel giorno della morte, per evitare lo sgradevole inconveniente dell’odore orribile della putrefazione, guardiani fatti solo per ammonire e spaventare, privi di qualsiasi forma d’intelletto e dunque anche di aggressività. Erano attratti dal luccicore degli occhi vivi, per qualche strana ragione che nessuno aveva saputo spiegare, forse per colpa di ciò che rimaneva della loro coscienza e che cercava di riportarli al tempo in cui erano vivi anche loro, ed era per questo che si dirigevano verso le teste dei viventi con le mani allungate ed emettendo talvolta anche dei rantoli terrificanti, gorgogli senza senso.

I vivi avevano già iniziato a vedere la luce quando tutt’ad un tratto gli zombie divennero più determinati. Era impossibile, eppure accadde.

Un gruppetto di giovinetti muscolosi caricò con movimenti misurati Kate, che fu sollevata da terra e trascinata via. Zombie? Zombie che riescono ad organizzarsi e rapire una persona?

Mark si liberò con un paio di pugni ben assestati delle mostruose dame che lo assediavano, seccato dal fatto che per qualche scherzo del destino fossero sempre femmine anche le creature sovrannaturali che gli saltavano addosso, e spinse lateralmente un vecchio calvo per balzare come un leone verso Kate e adoperarsi per stendere i rapitori. Non ci mise molto ad allontanarli, tirandoli via per i colletti impolverati. La donna, controllata e tranquilla, ringraziò con un cenno della testa e galoppò verso la luce, incurante delle mani che, come artigli pallidi, cercavano di arrestarla e ghermirla.

Harry tentò di imitarla, sentendosi un po’ più sicuro dopo aver visto quell’azione semplice che a lui sembrava eroica, ma due passi dopo si sentì afferrare il polpaccio da una presa estremamente robusta e ben poco da morto. Urlò, voltandosi, e vide un grosso uomo dai capelli bianchi e le braccia innaturalmente lunghe che lo trascinava a sé sibilando. Il ragazzo cadde sulla pietra fredda e vide il mostruoso essere tendersi su di lui ringhiare mostrando canini lunghi due centimetri su fauci smisurate, orribili su quel volto umano, che si aprirono come quelle di un serpente pronto a inghiottire la preda.

Paralizzato, Harry riuscì a balbettare solo poche parole, con la gola bloccata come se non potesse riempirsi i polmoni

«Ai…aiuto!Sono qui, aiuto!»

Il giovane sentì l’alito freddo e fetido del mostro e di nuovo urlò. All’improvvise qualcuno afferrò con grosse mani guantate la spalle dell’orribile creatura e la lanciò di lato, liberando Harry che finalmente osò respirare

«Vieni, su, sbrigati Harry!» ruggì Mark, indicando alle sue spalle con il pollice «Abbiamo già abbastanza problemi senza di te che vuoi farti uccidere dai vampiri bianchi»

«Vam…piri…bianchi?»  riuscì appena a balbettare Harry, scioccato.

In risposta il gigantesco umano schiacciò la testa di quel bruto essere sotto lo stivale nero.

Il cervello e il sangue schizzarono dappertutto raso terra.

Poi Mark acchiappò il ragazzo per l’avambraccio e lo trascinò in volata oltre le mani pallide ed essiccate che bramavano di colpirli.

«Adesso va avanti» gli urlò, con il suo vocione da basso arrochito e fremente «Va da solo!»

Harry corse verso la luce gridando come un matto, sfiorato altre due volte dagli zombie, ma finalmente si mise in salvo.

Mark sorrise ed aiutò Vince a tirarsi fuori da un groviglio di corpi, spedendo anche lui dove erano i due giovani e dove John si stava dirigendo, poi scosse la testa con gravità

«Siete degli idioti» sussurrò. Prese per il colletto uno dei morti viventi e con la fiaccola lo incendiò, poi lo spinse indietro fra i suo compagni godendosi lo spettacolo. Lentamente i due che stavano di lato al cadavere con il ventre in fiamme presero fuoco anch’essi, senza rendersene conto, e ogni volta che sbattevano con i loro vicini appiccavano fuoco anche a quelli.

Quanto a coloro che ancora tentavano di attaccare l’umano, essi venivano non solo respinti, ma fatti ardere.

In una decina di minuti l’oscurità risplendeva di torce giganti e l’odore di morto si mescolò alla puzza di carne fritta e affumicata. Uno dopo l’altro gli zombie si accasciavano, si rompevano, si urtavano rosi dalle fiamme, i volti sempre contratti nella solita espressione dolente ed insieme feroce.

Un urlo acido, acuto come lo stridere di unghie su una lavagna, squarciò l’aria.

Mark ruppe il cranio di un morto vivente sbattendolo contro la parete umida e guardò con circospezione oltre il mare si teste in fiamme. Conosceva quel verso maledetto.

Uno strano fermento, quasi eccitazione, si diffuse come un’onda fra i cadaveri, che stridettero e si misero a correre verso il grosso umano. Mark non fuggì, ma fece piroettare su se stesso il nemico più vicino con un destro in faccia. Il sangue schizzò come se fosse stato sparato e frammenti di osso e di muscolo si sparsero ovunque.

Mani fredde e crudeli di esseri che non potevano provare dolore, con i dorsi in fiamme e i volti ustionati, lo afferrarono per i vestiti e le braccia, unghie sporche di terra e di polvere si conficcarono nella sua carne.

L’uomo si scrollò di dosso quei demoniaci mostriciattoli, ma in un istante fu di nuovo letteralmente sommerso di morti. Non riusciva a capacitarsi ancora di come dei morti potessero formare una qualunque forma di intelletto.

Per l’ultima volta si liberò del peso a spintoni e pugni, poi tutto si fermò.

Gli zombie si bloccarono e mossero la testa in tutte le direzioni, come se tentassero di percepire qualche suono molto flebile o vedere qualcosa di particolarmente curioso. L’urlo risuonò più chiaro, più sgradevole che mai.

Due grandi ali bianche e leggermente luminescenti si aprirono contro l’alto soffitto bruno, enormi e membranose come quelle dei pipistrelli, pulsanti.

Mark preparò il pugnale e osservò con odio viscerale e rabbia la creatura volante, che atterrò di fronte a lui e richiuse le candide membrane lungo il corpo

«Sei solo carne maledetta» disse l’uomo, i pugni serrati «Signore di questi muchi d’ossa, questi morti, e brucerai fra le fiamme dell’inferno».

La creatura sollevò il mento con disprezzo e le sue labbra rosse si contrassero in un odioso sorriso. Aveva le sembianze di un uomo alto e pallido, i capelli candidi come neve e ispidi, gli occhi bianchi, ma con una sfumatura rossa esattamente come se fossero iniettati di sangue. Le braccia erano un pò troppo lunghe, superavano la metà della coscia, e terminavano con grosse mani, con dita magre, forti, e unghie come uncini bianchi.

Alzò le braccia e balzò verso l’umano ululando parole comprensibili.

Mark, che si vide arrivare addosso quel bestione grande quasi quanto lui, si parò d’istinto, ma l’impatto avvenne comunque e lo abbattè a terra. Con un moto rapidissimo affondò il coltello fra le costole, che ruggì, mostrando le zanne che un leone avrebbe invidiato.

Le mani del mostro alato si strinsero convulsamente sulla gola dell’uomo, senza preavviso, mozzandogli il fiato.

I morti viventi, mezzi bruciati per com’erano, si avvicinarono i due combattenti e li soffocarono sotto la loro massa infuocata e maleodorante. Mark prese i polsi del vampiro e se li allontanò dal collo con uno sforzo poderoso quanto brusco, che stupì l’avversario, poi tentò di rialzarsi.

Tutto era molto confuso per lui, metà del mondo che vedeva era immerso nell’ombra e l’altra metà era composto da facce ghignanti e cadenti illuminate dal fuoco.

Colpì alla cieca e si lasciò sfuggire un’imprecazione quando la sua mano destra finì per un istante nelle fiamme, ustionandogli le dita dolorosamente. Ancora per un pò trattenne il fiato, contraendosi sotto il peso terribile e caldo dei corpi morti, poi scattò verso l’alto in n unico movimento che lo liberò. La torcia era sparita.

Respirò a fondo l’aria fresca sopra la massa, riempiendosi i polmoni come un tuffatore prima del grande salto.

Il mostro dalle ali bianche saltò verso di lui, la bocca spalancata a mostrare denti formidabili, quei denti che nulla avevano di umano. Mark si abbassò e colpì con il pugnale verso l’alto, veloce e fulmineo come il cobra. Il sangue, denso e scuro, gli bagnò la mano. L’odore ferroso di quel liquido scarlatto gli diede alla testa.

Il vampiro bianco rimase per un istante attonito a osservare lo squarcio poco sotto il petto, il manico elaborato che usciva dal suo corpo, ricoperto de suo stesso sangue. La rabbia lo assalì e lo fece reagire, ma troppo tardi.

Mark lo afferrò alla gola, le dita strette fino ad affondare nella pallida carne

«Sei solo ossa maledette, nulla di più» gli sussurrò all’orecchio, sibilante de eccitato «E morirai».

Gli occhi del vampiro bianco si spalancarono, stavolta di fronte a lui tutto era confuso.

L’uomo gettò il mostro a terra con una testata, non muovendo se stesso verso il mostro, ma al contrario spostando la massa del proprio nemico verso la propria fronte, un unico colpo contro il naso bianco che lo ruppe con uno schiocco secco fra gli spruzzi di goccioline rosse. Il vampiro bianco strillò di dolore. Mark, giganteggiando su di lui come un monolito da cui viene annunciata la morte, gli sferrò un calcio al volto e ancora, ancora, ancora una volta. A terra la creatura, che al contrario dei morti viventi provava dolore e al contrario dei veri vampiri poteva essere ucciso a calci, si raggomitolò su se stesso e gemette. Nella sua mente si formò nitida l’immagine pallida e sfumata di se stesso morto fra gli zombie e l’uomo dai capelli rossi un pò lunghi che rideva sul suo cadavere che prendeva fuoco.

Sbattè le palpebre e contrasse la mascella rabbioso. Il suo lungo braccio saettò e la sua mano si richiuse sul polpaccio dell’uomo, le unghie lacerarono la stoffa e la pelle.

Mark non sopportò oltre quel fastidio. Il tacco del suo stivale nero si abbatté due volte sulla tempia del vampiro bianco, la carne pallida si aprì sotto i colpi violenti, portati con tutto il peso del corpo, un peso di quasi centocinquanta chili.

L’uomo abbandonò il corpo del grosso morto mostruoso fra quelli dei morti viventi, suoi compagni diversi, e proseguì verso la luce.

Dietro di lui gli zombie si consumarono negli ultimi barlumi ardenti delle fiamme. La sua mente, ancora annebbiata, non gli permise di capire immediatamente dove si trovava e dove stava andando, camminava seguendo un percorso a cui non stava pensando, ma poiché vi era un solo corridoio non poteva che esserci un’unica destinazione. La luce, seppure flebile, lo abbagliò.

Si trovava in una stanza circolare, la colta alta e affrescata a cupola e in cime un grande foro tondo attraverso cui penetravano i raggi lunari. Al centro dell’ampio e sfarzoso locale, come un controsenso, spuntava una lunga cassa nera e lucida come un cristallo. Una bara, austera, seriosa, imponente, di pietra nera.

Mark avanzò lentamente, riacquista la lucidità. Kate gli corse incontro e gli prese una grossa mano gelata nella sua, delicata e relativamente piccola, calda

«Sei ferito!» esclamò lei, un pò agitata e con gli occhi umidi

«Non è nulla, nulla…ora è tutto finito» sorrise lievemente, riuscendo a modellare i propri lineamenti duri per sembrare dolce, poi tornò serio «Comunque dobbiamo ritenerci fortunati»

«Perché?» chiese lei, sentendosi sfuggire Mark dalla presa

«Non hai avuto l’impressione che…» il grosso umano poggiò i palmi sulla superficie liscia della bara «…Che sia stato tutto troppo semplice? Dovresti saperlo, è passato molto tempo da quando questo percorso è stato costruito e molti degli ostacoli sono stati disattivati. Ora, John» disse Mark ad alta voce «Dammi una mano ad aprire il nostro sarcofago».

John si avvicinò sconcertato e squadrò l’amico

«Tu sei completamente ricoperto di sangue»

«Si…un vampiro bianco, quel figlio del demonio…il sangue è suo»

«Sei un ragazzaccio» scherzò l’uomo dal cappello bianco, facendo l’occhiolino all’amico

«Perché?». Una domanda un pò ingenua, un tono un pò troppo roco e maturo.

Non ci fu risposta. John consegnò la sua torcia a Vince e si mise a un’estremità del feretro.

«Uno…due…tre!».

Al tre i due grandi e grossi americani tesero i  muscoli e scoperchiarono la bara facendo scorrere la lastra di marmo. Con una spinta un pò troppo forte il coperchio scivolò troppo e cadde contro il pavimento. Sia il lastrone che le piastrelle si fratturarono fragorosamente nel punto in cui si toccarono. Diversamente da come tutti si erano aspettati, dal loculo non si levò cattivo odore. Sembrava che non ci fosse un cadavere.

Tutti si strinsero intorno alla bara, curiosi.

«Sentite» gemette Harry «Ma non stiamo peccando?Non si interrompe il sonno dei morti»

«Dio ci perdonerà, ragazzo, se è per una buona causa» ringhiò Vince.

Si sporsero verso l’interno del feretro. Adagiato fra morbidi cuscini rossi, fresco come una rosa, dormiva un uomo sui trent’anni, immobile. O almeno sembrava dormire, visto che non respirava, ma il suo volto era solo un pò pallido, la pelle liscia, la carne riempiva il bel corpo slanciato sotto le vesti di velluto e la blusa azzurra elegante. Aveva i capelli bianchi, come i corti baffi, lunghi, legati in una coda. Fra le sottili mani da pianista, protette da guanti bianche e incrociate sull’ampio petto, teneva un libro di pelle bruna con il dorso della copertina di cuoio dorato.

Harry riconobbe il nobile che aveva quella statua in giardino. Un brivido gli risalì lungo la schiena e udì una vocina nella sua testa, “profanatore” diceva. Comunque, dovette riconoscere che il morto somigliava davvero a Mark: aveva la stessa fronte alta, lo stesso naso che sembrava piccolo a confronto degli altri lineamenti, ma in generale proporzionato alla stazza, la stessa strana espressione.

Kate iniziò a sfilare delicatamente il libro dalle mani del morto, il frusciare della stoffa dei guanti contro il libro e i respiri lenti nella placida notte, le fiaccole ardevano lievemente crepitanti, l’immobilità invariabile della morte. Harry potè constatare con orrore che anche gli occhi del morto avevano lo stesso colore di quelli di Mark e che il morto non era poi cosi morto come avevo creduto o forse sperato…

Il presunto cadavere trattenne brusco il manoscritto dalle mani della donna e si mise seduto nella bara.

Mark non parve sorpreso, ma irritato. John fece un salto all’indietro di almeno un metro, spaventato

«Ma che…pure questo?» esclamò

«Mi dispiace di avervi turbato» disse all’improvviso l’uomo nella bara. Aveva anche una voce incredibilmente simile a quella di Mark, ma appena più alta. Si girò verso Kate e la fissò con un’intensità paralizzante, quei suoi occhi verdi attraversati da un’ombra di tristezza e di malinconia.

Lei inclinò la testa da un lato

«Chi sei?» gli domandò, invasa da una strana sensazione, quella di averla già visto

«Marc Lucas Johannes Voratten…Voratten è il cognome di mia madre…ho deciso di non essere come mio padre»

«Scusa, puoi farmi lo spelling del primo nome?»

«Mi sembrava semplice» l’uomo tentò di uscire dalla bara e ci riuscì con un pò di difficoltà per poi proseguire «Comunque è M-A-R-C, perché?»

«Perchè quello lì è Mark» rispose lei, indicando l’energumeno dai capelli rossi che li fissava con occhi vacui «Ma si scrive con la kappa finale»

«Kappa?Siete strani…tedeschi?Avete una pronuncia che mi è del tutto nuova»

«Si, certo, è americano»

«Americano? Oh signore…non siete una colonia britannica?»

«Temo di no, non siamo dipendenti dal Regno Unito da molto, molto tempo…»

«Uhm…e come fate?»

«Siamo abitanti dello stato più potente del mondo, ovvio» intervenne John, fiero «Economicamente e politicamente»

«Ne sono passati di anni…» per un istante parve sovrappensiero, poi si riscosse «Piacere» Marc Voratten stese in avanti la mano destra, mettendosi sottobraccio il libro.

Lui e John si diedero una stretta a metà fra l’ostile e il formale, fra sguardi torvi.

Poi Mark fece una cosa che non doveva fare: chiese il libro

«Hey, Marc Lucas Johannes Voratten!» lo chiamò, cupo come al solito

«Prego?»

«Dopo quello che abbiamo passato come minimo devi darmi quella cosa lì» disse, indicando il volume

«Come?» Il nobile lo guardò in tralice e parve infiammarsi «Il mio libro?La Storia del Ghiaccio e del Fuoco?»

«Esatto. Altrimenti che ci siamo venuti a fare qui sotto? Ti dirò, non per svegliare te» commentò seccato il grosso umano.

Marc Voratten si passò una mano fra i capelli candidi con nervosismo, poi si tolse i guanti. Aveva le dita piene di piccole cicatrici in rilievo, anche lui, come se avesse passato la vita a raccogliere more in un intrico di rovi. I suoi occhi incrociarono quelli del’altro americano

«No» sibilò «Non posso dartelo»

«Vuol dire, sporco cadavere, che ce lo prenderemo con la forza»

«Provateci!»

«Senti» Mark si fece più calmo «Perché non puoi darcelo e farla finita?»

«Perché se lo faccio mi arderanno vivo, capisci?»

«Ma salverai il mondo…Il tuo contributo può essere fondamentale»

«No, ascolta!Sai che cosa ho passato per ottenere questa dannata esistenza?»

«No e se parli ancora un pò senza darmi quello che mi spetta, giuro che te lo strappo dal corpo quel tuo spirito dannato!»

«Ho passato una vita terribile. Quasi ucciso due volte»

«Sai che novità…io sei volte» contò Mark: una per mano del Rahkatan, una per soffocamento,una per ferite da frecce di elfo, se di elfi si trattava, per colpi da drago due volte e una per una specie di colpo di calore sulle spiagge del Borneo mentre era stato morso da un serpente. Due sole volte erano troppo poche per definire terribile una vita.

Ma il tizio dai capelli bianchi era irremovibile dal suo proposito di raccontargli il suo proposito di raccontargli tutta la sua esistenza

«Ho vissuto centoventidue anni» disse «Ventidue dei quali a proteggere un segreto»

«Li porti bene, giovanotto» si complimentò Vince, ironico

«Grazie signore…ho visto cose che voi mortali non…»

«Oh, ma come sei originale: senti non mi interessa se per avere quel libro hai camminato una vita intera all’inferno» mormorò Mark, afferrando il nobile per il colletto della giacca «Se non lo molli subito ti apro e ti strappo gli organi a partire dal fegato…pensi di esserci stato solo tu all’inferno?». Più di una domanda, più di una minaccia: nel suo sguardo chiaro tutta una storia si delineò. E come dolore esplode l’incertezza…Marc Voratten non fu più tanto sicuro

«Io…» La mano pallida afferrò più forte che mai il libro, quel prezioso, piccolo volume «Veramente io…».

Il grosso americano era silenzioso e pronto ad attuare la parola data, si, lo avrebbe fatto a pezzi …poi i suoi pugni si strinsero fino a sbiancare. Non erano arrivati fin lì per sentire i capricci di un nobiliastro che era sopravvissuto per tutto quel tempo dentro una bara, non dopo aver affrontato il viaggio, non dopo aver studiato dei mesi per sapere dove si trovasse il maniero.

Marc Voratten fece per dargli il libro, le dita tremanti, ma qualcosa accadde,qualcosa che capovolse la situazione. Il volto del custode della Storia del Ghiaccio e del Fuoco si tese. Con uno strano gesto il libro fu ritirato indietro. Un gemito straziante risalì dalle labbra del pallido uomo.

Mark decise di agire nella maniera più diretta e lo afferrò per le spalle. Attirandolo a sé gli ringhiò

«Ultima proposta: dammelo!».

Voratten sollevò il viso verso quello del gigante e latrò come un cane lupo. Strane strisce di corto pelo bianco, rado, gli crescevano sulle guance, la bocca si allargava come quella di un vampiro, zanne terribili si facevano largo fra i piccoli denti bianchi regolari, innaturali e le orecchie divenivano più strette e appuntite.

I suoi occhietti verdi fissarono per un attimo il vuoto, persi e spaventati come quelli di un bambino di fronte a un morto, poi si scgiarirono lentamente fino a diventare quasi completamente nivei.

Harry ci mise qualche secondo a capire, pensando che fosse un gioco di luminosità, uno scherzo che la luna aveva fatto ai suoi occhi, poi capì  credette di capire. Era la genesi di un mostro.

Mark, come se nulla fosse accaduto, continuò a tentare di sottrarre il libro a Voratten. Lo sollevò in aria per un istante e lo colpì allo stomaco lasciandolo ricadere, poi gli spaccò il labbro con un pugno e si avventò sulle mani serrate sopra il volume, sempre più grosse e muscolose, quasi pulsanti.

Il nobile dai capelli bianche si piegò su se stesso a riccio e la sua schiena scricchiolò. Le vertebre si fecero più grosse e in rilievo, perfettamente visibili sotto la blusa di velluto, il suo collo si riempì di fine peluria bianca simile al pelo dei giovani conigli e si allargò, divenendo forte e nervoso. Di nuovo urlò come una bestia ferita e si strinse la testa fra le mani, lasciando cadere a terra il libro.

Mark scattò pronto in basso, le dita sfiorarono la copertina pronto a ghermire, ma un dolore bruciante gli invase il dorso della mano, improvviso. Non si ritrasse, fu il volume a sfuggirgli, trascinato via dagli unghioni neri spuntati dalle punta delle dita di Voratten.

Ora entrambi erano in piedi l’uno di fronte all’altro, un gigante possente e un mostro dal pelo candido.

Una mascella allungata, squadrata, un cranio solido e stretto, occhi bianchi infossati in orbite ombrose e un fisico tonico, alto il petto largo, braccia scolpite sotto il vello bianco, game arcuate e quadricipiti potenti sotto i pantaloni troppo corti e troppo stretti per quell’esplosione muscolare, un fisico bestiale nel vero senso della parola: questo era diventato Marc Voratten. Un uomo lupo.

Infondo non c’era da stupirsi. Un ruggito proruppe da quella profonda gola nivea.

Mark fu più veloce di un fulmine a raggiungerlo ed abbatterlo a terra con un pugno, il più forte che gli riuscì di dare, poi si sentì graffiare in basso, all’altezza del polpaccio, sulle ferite già aperte.

L‘uomo si era già ripreso e lo aveva afferrato, le labbra contratte sul ghigno zannuto che in un istante si sporcò di sangue quando quei grandi denti penetrarono nella coscia dell’uomo. Lo scricchiolio cuoioso di carni lo eccitò e un brivido fremente si impossessò di lui, cullato dal calore sulla lingue. Kate corse verso i due gridando e colpì con tutta la forza il mostro sulla testa con i pugni chiusi.

L’uomo lupo andò giù intontito, i denti che si staccavano dalla gamba di Mark lasciando profonde strisce sanguigne. La donna rubò il coltello al compagno, estraendoglielo da sotto la giacca

«Solo un secondo».

Si piegò e fece per colpire la creatura sulla fronte, ma quello fu più svelto di lei. Le prese il polso e ruggì spaventoso, ergendosi sulle zampe posteriori. Kate tremò di paura e il pugnale le cadde  di mano. Fauci potenti schioccarono e scattarono verso il collo della giovane, alla ricerca dell’arteria vitale

Poi qualcosa colpì la tempia dell’uomo lupo. Mark, gonfio d’ira, si avventò sul mostro scaraventandolo a terra.

Lo schiacciò sotto il suo peso, inginocchiato su quel ventre impellicciato, le mani serrate sulla gola

«Tu…» gli sibilò.

Per un attimo gli occhi di quell’animale acquistarono un’umana malinconia, poi tornarono feroci, spietati.

Lentamente la belva si assopì a causa del cervello che non riceveva più ossigeno. L’uomo prese il libro con una delicatezza impensabile per qualcuno che poco prima aveva strozzato quello strano mostro e lo porse a Kate, che, riconoscente, glielo sfilò via delicatamente

«Ce l’abbiamo fatta» mormorò lui

«Si, ce l’abbiamo fatta» fu la risposta della giovane, insieme a un grande sorriso splendente

«Mark!» urlò John, trottandogli incontro con  la faccia di che ha visto un fantasma, ma sotto un pò ironica anche ora «Ehi eroe, perdi sangue a fiotti…torniamo indietro, forza!».

Mark guardò in basso, le sue gambe foderate di nero contro la pelliccia bianca, e si accorse che era vero: stava perdendo molto sangue. Rivoli rossi gli percorrevano la coscia laddove i crudeli denti erano penetrati, il polpaccio sembrava bucherellato sui lati. Quanto dolore. Eppure si era risolto tutto troppo in fretta. Avevano il libro. Le sue dita della mano destra sfiorarono delicatamente il tessuto dei pantaloni, dove si era accumulata una piccola pozza di sangue, che si increspò riflettendo sulla sua consistente densità della luna. Fu l’ultima cosa che vide prima di perdere i sensi e stendersi come senza vita sul corpo dell’uomo lupo. Quando si risvegliò era ancora notte. Mani piccole e fresche gli stavano controllando le ferite della mano sinistra.

«Kate?» chiese, insicuro. Il tono della sua voce quasi lo impressionò: flebile, stentato.

«Mark, come va?» ribattè lei, dolcemente preoccupata.

Accanto a loro, in poltrona, c’era Harry. Era parecchio seccato: quell’energumeno riusciva ad attirarsi le attenzioni di Kate anche mezzo morto su un divano.

Mark mise a fuoco lentamente

«Che è successo?»

«Per poco non morivi, dissanguato. Aggiungilo alla tua lista, questo, ancora ti mancava» rispose John, in piedi

«Sette volte» mormorò Mark, poi ammutolì.

Non gli piaceva la voce  che gli usciva, era orribile.

Kate gli diede una piccola pacca sul braccio

«Ritieniti fortunato che hai un amico come John» gli rivelò «Ha avuto il coraggio di controllare quanto eri messo male, si è strappato la camicia e ti ha fasciato, poi ti ha trascinato qui»

«Esatto. Non preoccupatevi per la camicia» minimizzò quel vecchio volpone di John «Ho trovato una giacca del tredicesimo secolo o giù di lì che è un amore. Come sto?»

«Bene» mentì Mark, che non ci vedeva tanto per giudicare in quel momento, ma si capì subito che era una menzogna. La voce gli tremava e aveva un’inclinazione molto strana.

«Eh no, Ministro Oscuro, non sei fatto per dire le bugie!».

Quel timbro…Mark si tirò su e guardò verso la porta sogghignando.

Una sagoma di donna, capelli rossi clamorosamente tinti. Mettendo meglio a fuoco si poteva scorgere su un braccio un grosso, strano tatuaggio verde.

«Come va, bellezza?» Chiese la nuova arrivata

«Non male, Lita, stavo per morire di nuovo»

«Ma che bella vocina che hai» lo sfottè lei, ridendo «Rassomiglia, se proprio dovessi fare un paragone, a quella del cagnolino di Torrie»

Lui si zittì e sentì un profondo disprezzo invaderlo. Il cagnolino di Torrie? Quel topo bianco travestito da cane?

Lita continuò a parlare, acida

«Ti chiederai che ci sono venuta a fare in questo posto?Un bel posto» si guardò un attimo intorno con vera ammirazione e confermò «Si, un giorno mi comprerò questa casa. Comunque ti dicevo: mi hanno detto di dirti che i tuoi stanno venendo e anche Scott. A quanto pare un certo Artenair, che non so bene chi sia, ha deciso di scovare tutti i tuoi amici e riappipparteli. La prima sono io, in tutto il mio splendore»

«Se tu sei un’amica» intervenne John, ridacchiando «Io sono Richard Gere»

«Beh, io non sono un’amica, ma i tuoi gusti in fatto di abbigliamento hanno subito una brutta botta. In quale secolo hai preso quella stupida giacca?Cioè: prima facevi schifo con le camicie panna, ma adesso…»

«Perché non sai a cosa è servita la mia camicia panna!» sbottò lui, il volto rosso

«A tappare qualche buco, no?»

«No».

Kate intervenne con la solita tempestività e determinazione

«Abbiamo appena rischiato l’osso del collo, Lita, perciò non venire tu a criticare l’abbigliamento» tuonò e tutt’ad un tratto non parve più piccola e delicata «Se sei qui, sei venuta per aiutarci»

«Scusa, ma come ti chiami?» fece la falsa rossa, cambiando argomento

«Kate»

«Ah, già si, ora mi ricordo di te. Sei quella che Mark si è portata dietro l’ultima volta, in pizzeria»

«Si, sono io»

«Sei simpatica ragazzina e il signore» accennò a Mark «Pare avere un debole per la tua compagnia,  lo sai?»

«Siamo amici, si» rispose lei, calma.

Finalmente si discute tranquilli.

Lita pensava a quanto fosse ingenua quella povera ragazza e Mark pensava a quanto arrivasse a essere vipera lei. Vipera, vipera, vipera…macchè vipera?Sarebbe un insulto ai serpenti, poveri animaletti indifesi.

E come un rettile sinuoso Lita era strisciata accanto a Mark e già lo guardava con quel suo strano sguardo che il grosso umano, impavido di fronte a qualunque cosa, evitava accuratamente. Lei gli posò una mano sulla testa, trovandola stranamente umida

«Sei bagnato. Ti prenderai un raffreddore devastante, me lo sento»

«…» .

Niente, niente di niente, solo lui che le spostò la mano con un gesto senza intensità…

«Sei offeso per la storia della voce, lo so perché non mi parli. Va bene, scusami, è che ero nervosa, adesso va bene? Ti prego, parlami»

«E cosa devo dirti?»

«Mah…» abbassò la voce fra sé e sé  «Io vorrei tento che tu mi dicessi una cosa che non vuoi dirmi, ma l’amore è tanto, tanto cieco»

«Prego?» chiese Mark, in tono finalmente un pò più forte

«Nulla mio piccolo lupo rosso, nulla».

Lui brontolò qualcosa, poi si alzò e salì al piano di sopra, un passo dopo l’altro lontano dall’essere fastidioso che da quasi due anni tentava di conquistare i suo cuore in un modo fin troppo originale e spinto.

Venne giorno e un gallo lontano cantò. Harry si alzò intontito e si stiracchiò sbadigliando. Il suo cuore sbatteva forte contro il petto, memore di quella tremenda sera precedente, una sera sola, ma che gli era sembrata interminabile.

Si alzò ed entrò in bagno. Ci trovò John che si lavava i denti

«Buongiorno» salutò il giovane.

L’altro annuì e quando ebbe terminato rispose

«‘Giorno Harry. Splendida giornata direi»

«Si, già. Oggi ce ne andiamo, no?»

«Mi dispiace deluderti» John gli rivolse un sorriso ironico «Ma dobbiamo rimanere nei dintorni ancora un pò’»

«No!Perchè?»

«Mah…stiamo aspettando gente, questo posto piace a Lita e Mark è ferito. Ti basta?»

«Si» affermò Harry, giù di corda. Quando John si allontanò, il giovane si mise davanti allo secchio e osservò il suo riflesso un pò sfuocato. Quasi non si riconobbe. Sembrava provato, indurito, con grandi aloni scuri sotto gli occhi, ma era ancora troppo tenero e cittadino rispetto agli altri, con un’aria da impiegato ben poco utile in frangenti come quello, con quei bei capelli corti e lucidi, un pò scompigliati, con il profilo dolce e il volto bello tondeggiante, il mento regolare e il naso dritto che non aveva mai provato un pugno.

Si lavò la faccia, gocce di acqua fredda gli si incollarono alla pelle quasi tenacemente, come collanti, risvegliandolo dagli ultimi residui di torpore. Non si asciugò, grondante scese a fare colazione nella gigantesca sala da pranzo. Passando notò qualcuno al finestrone, un’altra e spessa sagoma nera contro la luce rossastra e mielata, inquietante e poetico al tempo stesso.

I colori si mescolavano in una maniera meravigliosa, la stanza in penombra sembrava immersa i parte nell’ombra, gli alti schienali dei sedili, foderati di pelle rossa, proiettavano sulla tavolata e sul pavimento le loro nere forme.

L’uomo enorme accanto alla finestra era Mark, seduto su una sorta di trono basso e massiccio, le mani incrociate sulle gambe e gli avambracci grossi e ben definititi sui braccioli della strana poltrona.

Harry, in soggezione, salutò

«Salve»

«Salve» rispose il gigante. La voce gli era tornata bassa e forte, roca.

Il giovane si azzardò a continuare la conversazione

«Come va?Tutto bene?»

«Si, grazie…»

«Ehm, e cosi stiamo ancora un pò? Bene, bene, ehm, siamo in possesso del libro e adesso…»

«Zitto Harry. Inutile, questo discorso è inutile» disse Mark, annoiato

«Per..perchè?»

«Perché, Harry, sai bene come sta la situazione, non c’è bisogno di ribadirlo»

«No, non so nulla, sono stato sempre tenuto da parte, sempre!»

Mark si voltò verso di lui e un sorriso innaturale si disegnò sul suo volto maturo e segnato.

«Tu sai più di quanto non dici e non lo pensi mai, ragazzo. Lo sai che ti leggo nella mente? Non ho bisogno che tu parli, il tuo pensiero e limpido e leggibile come acqua di sorgente»

«Io…»

Harry si sentì abbattuto, ogni suo mondo sconfitto. Anche i suoi pensieri ora non erano più i suoi? Oppure Mark mentiva spudoratamente? Eppure no, tutti sapevano che quell’energumeno non mentiva, non ne era poi cosi capace. Sembrava

Il giovane esitò, poi chiese

«Riusciresti ,se volessi, a dirmi cosa sto pensando?»

«Eh» Mark parve molto divertito da quel giochetto «Certamente: stai pensando al tuo piccolo mondo violato, al fatto che neppure i tuoi pensieri sono tuoi, alla possibilità che io stia mentendo, ma poi ci ripensi e…pensi che io non sia in grado di mentire?»

«Cosi dicono» rispose flebilmente il ragazzo, sbalordito «E come fai?»

«Mi stai proiettando contro le tue emozioni, sei un libro aperto. Devi stare attento, con una mente cosi puoi finire molto male»

«Anch’io ,se volessi, potrei leggere il pensiero?»

«Certo, di chiunque tranne il mio. Riusciresti solo a farti del male. Si, insomma è quello che succede se vuoi entrare in una psiche ben protetta»

«Puoi insegnarmi?Ti prego!»

«Anche se mi odi con tutto il cuore accetteresti me come insegnante?»

«Chi ti ha detto che ti odio con tutto il cuore?»

«Tu, con la tua bocca. Sei molto strano Harry»

«Ma mi insegnerai?» il giovane era rimasto molto colpito e già sognava le mille più applicazioni della lettura della mente «Ti giuro che non sarò più cosi cattivo con te, ti prego!»

«Si» Mark gli fece segno di avvicinarsi e indicò una sedia «Siedi e mangia, nel frattempo ti spiego un paio di cose che devi sapere»

«Che mangio?»

«Questo» il grosso americano gli passò un involto da cui si spandeva un odore di bacon e di mortadella delizioso.

Harry scartò il panino e lo addentò senza tanti complimenti, affamato.

«Allora, Harry» cominciò a spiegare Mark, stranamente affabile e gentile «Innanzitutto devi saper parlare mentalmente. Ciò non implicherà alcun impegno da parte tua, ma ti servirà per familiarizzare con la comunicazione psichica, va bene?»

«Perfetto» Harry inghiottì un grosso pezzo di pane masticato «Ma, se devo essere sincero non pensavo che potessi parlare cosi bene e cosi tanto»

«Neanch’io» confessò Mark, sincerissimo «E ora dimostrazione pratica…».

Il giovane sentì uno strano formicolio in un posto che non riuscì a distinguere, poi una voce si accese nella sua testa, bassa e sfumata, più eterea e disincarnata di quella di un umano, chiarissima

“Mi senti?”

«Si…» disse Harry, ad alta voce, guardando ammirato il grosso uomo che guardava fuori dalla finestra apparentemente muto

“No, Harry, devi pensare la risposta, devi parlarmi senza muoverti”

“Si, va bene…voglio dirti che va bene”

“Non pensare che vuoi dire, pensa la frase e basta, non confonderti”

“O.K.”

“Bravo, inizia con frasi brevi, che sono facili. Riesci a inviarmi immagini?”

“Come si fa a inviare immagini?”

“Pensi a qualcosa, non concentrarti sulla mia voce. Evoca qualcosa, immagina le forme, i colori, il suono, dai sfogo alla tua memoria visiva, fammi vedere qualcosa. Qualcosa che credi opportuno farmi vedere”

“Cercherò…”.

Harry si concentrò,ma fu molto più semplice di quanto avesse pensato. Chiari nella sua mente si delinearono i contorni di un albero in un giardino. Il cielo azzurro percorso da striscioline bianche di nubi cotonose, soffici, il Sole alto di mezzogiorno che picchiava donando una luce quasi bianca, magnifico, sulle foglie verdi del melo e sull’erbetta tenera e chiara piena di piccoli grilli. La luce che si spandeva era gialla, sembrava fare molto caldo e si udiva un frinire regolare, allegro, estivo. Ricordi, i più dolci. Un lago azzurro lontano, fra le colline vivaci su cui risalivano le pecore seguite dal pastore. Erano belle, candide, belanti, quelle zampette sottili e asciutte che sgambettavano fra i teneri germogli delle graminacee e un agnellino che tenta di farsi strada meglio che può, testardo. Il pastore era un pò biondo, spettinato come Harry e allegro. Aveva una bocca dalle labbra sottili increspate mentre fischiettava un motivetto spensierato, un naso un pò storto come se tempo prima si fosse quasi rotto, occhi bruni e intelligenti. Vestiva con un gilet di stoffa grezza a quadri rossi e verdi, pantaloni pesanti e marroni, scarponcini scuri rinforzati e a tracolla pendeva una bisaccia di pelle color camoscio, sicuramente piena di pane e ottimo formaggio. Se ne sentiva quasi l’odore. Forse era anche per quello che l’uomo era cosi felice.

 Harry smise di ricordare bruscamente

“Allora?”

“Sei bravo. Molta gente non riesce a ricordarsi le cose cosi bene, hai una mente straordinaria”

“Ti ringrazio”

“Chi era quell’uomo, il pastore?”

“Mio cugino Alex, uno che si diverte a fare l’uomo di campagna. Era lui quello straordinario”

“Ti va di vedere un mio ricordo?Cosi mi dici che te ne pare della mia memoria”

“Si” Harry si sentiva un pò inquieto a vedere le avventure di Mark in diretta dal suo cervello, ma accettò comunque, pur percependo un vago e truce sorriso sul volto del gigante.

Un flusso di visioni lo investì violentemente, quasi facendogli male, poi si arrestò.

Era tutto buio, molto buio. Una pallida luce candida illuminò un paesaggio inquietante. Era tutto chiaro, particolareggiato, perfetto al punto tale che sembrava più reale della realtà stessa. Un cimitero si stendeva davanti a una cancellata nera, che si aprì senza emettere alcun genere di rumore. Le lapidi erano chiare, di marmo venato e pesante, con scritte incise e nere come se fossero affumicate. Date e nomi di gente scomparsa, la foto di una giovinetta sorridente con i capelli rossi e le lentiggini, due occhi chiari e limpidi, bellissimi, e in basso un biglietto che recita “Non ti dimenticheremo, angelo senz’ali”.

Fiori rossi, tulipani, una falena dalla ali marroncine cosparse di polvere d’argento che brillava sotto la luna piena, un roseto un pò incolto dai fiori purpurei, petali grandi e belli, ma lo sguardo si soffermava su una pianta un pò diversa, più spinosa e dagli steli un pò meno vigorosi, con roselline piccole e amaranto. Piccole, ma perfette, profumate di vento e di gelsomino, l’odore sognante delle vere rose sul velluto di quei piccoli petali apparentemente delicati, ma spessi e un pò arricciati in punta.

La terra in cui affonda le radici la piccola pianta di rose era scura e umida, grassa.

Una voce melodiosa, triste, cantò parole di una lingua sconosciuta e dolce, molto morbida, quasi commovente.

Figure umane si mossero, figure che fino ad ora erano sembrate mimetizzate e che ora cantavano con voce bassa. Quel suon penetrante, lungo, malinconico…la luna…l’ululato di un lupo crescente sulle voci umane, lugubre…il vento che smuove le foglie delle rose e dei vigorosi cipressi, dell’erba, la terra raggranellata, la sabbia…le croci nere sulle pietre tombali, una distesa. Oh, l’urlo nero della morte immobile, un urlo che c’è eppure non esiste, poiché altro non è che silenzio.

Solo una distesa di pietre tombali.

La visione sparì nello stesso modo brusco, violento.

Harry si accorse di ansimare pesantemente. Aveva paura, aveva paura dei pensieri neri e vischiosi, cosi vividi, che si nascondevano nella mente del Ministro. Era come se Mark amasse il silenzio della notte e della morte, mentre lui, Harry, non poteva fare a meno di continuare a premersi il petto, sentendosi vuoto, come se in quel ricordo avesse perso l’anima.

Mark troncò del tutto il contatto mentale

«Per ora basta cosi, è ancora troppo presto» gli disse, apprensivo come un padre.

Harry pensò ad un complimento da fargli

«Hai una bella mente, forte, chiara» disse piano, ma ancora la voce gli tremava un pò

«A volte ci vuole tempo per abituarsi alle cose forti»

«Si, è vero. Devo essere sincero con te: all’inizio mi facevi paura»

«Ho fatto paura a tutti all’inizio. Tranne a due persone. Questo è più che normale»

«E ti odiavo…»

«Me lo hai detto una volta»

«…perché pensavo che tu amassi Kate»

«Tu…» stavolta fu il gigante a bloccarsi, sorridendo in modo eloquente «…No, questo non è normale ragazzo mio. Forse è per il Patto»

«Il Patto? Cos’è?» chiese il ragazzo, incrociandosi involontariamente le dita delle mani davanti allo stomaco. Nel suo cervello si stava formando l’idea non cosi malvagia che Mark e Kate non fossero quello che a lui sembravano …

«Un vecchio accordo, un legame antico, con la stessa età degli uomini, che per ora non ti posso rivelare… » rispose piano Mark, accarezzandosi la barbetta rossiccia fra indice e pollice e producendo in questo modo un rumore di leggero sfregamento «Non chiedermi perché» proseguì, con una punta di scherno che fece sobbalzare il ragazzo « … O forse sei tu che l’ami? Kate, intendo».

Harry si vide passare davanti quel meraviglioso viso di ragazza, poi risentì la sua voce decisa, bella, argentina, che sgrida qualcuno…

“Ma sei impazzito dico? Vai a rimettere quella cosa subito al suo posto!”

«Questo è uno di quei momenti in cui mi stai buttando addosso i tuoi pensieri» lo risvegliò Mark
«Oh, scusami… » Harry arrossi violentemente e seppe che lui, che quel grosso energumeno, aveva da sempre conosciuto l’attrazione che lo legava a Kate e che non era affatto fastidioso come aveva pensato.

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Capitolo 7
*** I draghi ***


Capitolo 3

I draghi

“Si leva il ruggito che scuote la terra, alto lo guardo della creatura.

Cielo contro cielo le sue ali, nuvole brillanti,

Turbine il suo fiato, fuoco nel suo ventre

E poi il nero della morte che egli reca nelle sue fauci”

Il giovane si alzò e indietreggiò lentamente

«Quanto rimarremo?» chiese

«Quanto sarà necessario»

«Spero che la tua gamba esca bene da questa avventura» gli augurò Harry, stringendosi un pò nelle spalle e abbassando il tono della voce

«Scherzi?» Mark si erse per tutti e due i suoi metri senza problemi, anche se Harry avrebbe giurato di sentire qualcosa che scricchiola «Non mi da neppure più fastidio. Anzi … » una scintilla quasi truce attraversò il suo sguardo, propagandosi come un’onda ai suoi lineamenti «Pensa che stasera vado all’Arena»

«Arena?Quale Arena?» intervenne Kate, entrando a passo svelto

«L’Arena…quella giù al bodhi, dove combattevano i draghi»

«Cos’è un bodhi?» chiese Harry

«E che ci vai a fare?» indagò lei, con un velo di preoccupazione

«Bodhi è un solo un soprannome per definire quell’albero, quel ficus religiosa, che cresce a qualche chilometro da qui.E ho ricevuto una sfida da un uomo che si sente ferito da qualche mia azione. Un uomo lupo a dire il vero»

«Davvero» chiese Kate, incredula «Vuole riaffrontarti?Ma è pazzo…»

«Viene con il suo drago» spiegò Mark, aggiustandosi i guanti «Questo è il momento di far tornare il buon Shadow. Spero ci sarete tutti a vedere questa sfida. Vi assicuro che sarà molto interessante».

L’enorme umano si congedò piegando brevemente la testa sul petto e sparì dietro una porta che Harry non aveva mai notato.

La giovane donna si rivolse al ragazzo

«Hai mai visto combattere due draghi?» chiese, entusiasta

«No e non so se voglio farlo» Harry si sentì in gola uno strano sapore di menta rancida «Sono un pacifista».

In realtà non riusciva neanche a formulare un pensiero coerente e realistico che contenesse la figura del drago. Insomma … da quando in qua esistevano i lucertoloni giganti?

«Bravo il pacifista» scherzò lei, dandogli una pacca sulla testa.

Lui sorrise beato, scordandosi dei draghi e di tutto il resto: beh, era vero, era proprio cotto a puntino di lei. Però quando la ragazza si allontanò la mente di Harry fu di nuovo investita dai ricordi e il ragazzo dovette andare a sciacquarsi la faccia. Mentre si buttava sul volto l’acqua gelata era concentrato per capire come potessero esistere i draghi. Alla fine si convinse che l’unico modo per comprendere era vedere e per vedere doveva attendere, così smise di pensare coerentemente e, lasciando galoppare a briglia sciolta la fantasia, scese di nuovo al piano inferiore e si sdraiò. Finì per addormentarsi.

Il pomeriggio trascorse molto velocemente, troppo, come la clessidra che regolava lo scorrere degli istanti fosse stata sottoposta a una gravità di sei volte superiore a quella terrestre.

Alle cinque e mezza del pomeriggio, John svegliò Harry e portò tutti alla famigerata Arena, caricandoli in macchina e scaricandoli mezz’ora dopo.

Ciò che videro fu l’orlo di una sorta di burrone, ma sporgendosi capirono che sotto di loro si estendeva una grande ellissi tonda di roccia ricoperta da un fine strato di sabbia e che era circondata da gradoni di pietra. Ricordava l’interno del Colosseo di Roma, in qualche modo. Presero posto tutti vicini: avevano la strana impressione che il posto fosse troppo grande per loro.

Era come se le anime tendessero a staccarsi dai corpi per vagare nell’enorme spazio sopra l’ellisse di roccia …

E c’era anche qualcun altro oltre a loro, uomini incappucciati, sinistri e silenziosi accanto a entrate basse, quasi sotterranee.

Erano tutti magri e bassi, i loro volti in ombra erano invisibili. Come spettri di altri tempi respiravano in silenzio, immobili.

Harry pensò che dovevano avere qualcosa a che fare con il cupo mietitore …

Poi si udì un rumore come di cuore che batte, gigantesco. Come per istinto tutti alzarono gli occhi verso il cielo.

Grandioso, potente, un corpo grigio veniva verso di loro. Squame opache con riflessi metallizzati sul petto sulla gola, artigli neri e arcuati, arti potenti con larghe spalle che recavano attaccate ali membranose come quelle dei vampiri o dei pipistrelli, ma molto più ampie e splendenti, leggermente blu.

Un drago.

La creatura atterrò di lato a loro, sui gradoni, e li fissò con occhi di ghiaccio, azzurri e profondi come l’oceano. Il petto si alzava e si abbassava nel respiro rombante, i denti aguzzi appena visibili fra le labbra del muso allungato e spesso, un pò simile a quello di un lupo, un lupo enorme. Harry non svenne per un pelo, ma ci andò molto vicino quando vide un enorme coda a frusta, terminante con una punta a freccia nera, schioccargli accanto in un crepitio di squame opache.

Il drago grigio parlò, muovendo pacatamente le labbra squamose e facendo sobbalzare il corno nero sul naso

«Siete venuti eh?» chiese.

Aveva una voce calda, solare, di sabbia bagnata al vento con una sfumatura un pò femminile che rassicurava, ma nel contempo vibrante e possente, saggia.

John alzò il volto verso la creatura senza scomporsi, ma non senza sorpresa verso quell’apparizione

«Artenair, anche tu?»

«Certo, John…no, non fare quella faccia, nessuno mi ha visto, te lo assicuro. Sono qui e basta, nessun umano del vostro mondo mi ha scorto nel cielo né da nessuna parte» girò il muso verso l’Arena e si sistemò meglio sulle zampe, grattando con gli artigli enormi e neri «Non potevo perdermelo. Ma non aspettatevi che sistemi le cose se la situazione sfugge di mano a Mark e Shadow, questo è il loro match»

«Magari fosse Wrestlemania» scherzò l’uomo dal cappello bianco, per poi divenire di colpo serio quando si udì percuotere un grande tamburo.

Lo avevano fatto i loschi tizi, vicino alle uscite ( o entrate) che sboccavano da sottoterra, quel rumore, con un grosso strumento musicale composto ad una cassa armonica del diametro di un metro e trenta e sopra una pelle tesa macchiata.

Dall’apertura rettangolare uscì un muso lungo, largo, dentato e ricoperto di squame finissime. Era innaturale, non somigliava per niente al muso di nessun’altro rettile.

Occhietti rabbiosi, dalle iridi rosso sangue e la pupilla verticale fremente, narici piccole foderate di amaranto, squame sovrapposte del color dell’argento liquido e un filo di fumo candido che risaliva dall’angolo della bocca potente, le mascelle gonfie pronte a scattare.

Anche il resto del corpo sinuoso venne fuori. Era ricoperto di una corazza d’argento e d’oro che doveva valere dei miliardi, placche che gli percorrevano tutto il dorso legate da sotto al pancia da spesse strisce di cuoio chiuse da fibbie preziose, le zampe protette da anelli di acciaio e oro lisci, spessi. Era terrificante con quel suo cipiglio rabbioso, le ali semi aperte un pò dure nella posa, gli artigli rossastri scuri che grattavano sulla sabbia e sulla pietra lasciando solchi lunghi, stretti e profondi.

La creatura era a dir poco enorme. Harry stimò che pesasse almeno una decina di tonnellate e che un jet non avrebbe avuto di certo quell’apertura alare. Come avrebbe fatto a volare, un animale così gigantesco?

Il drago sbuffò. Di lato a lui, ma molto più in basso, c’era Marc Voratten, non più lupo, ma uomo.

Senza un bianco capello fuori posto, con indosso una cotta di maglia fine d’acciaio e il mantello blu lungo fino alle caviglie, l’emblema del lupo ululante d’argento sulla stoffa e l’elmo sottobraccio, avanzava fiero, il mento alto. Una spada dall’elsa d’oro, adagiata nel suo fodero di legno e pelle, pendeva dalla cinta sbattendo sulla coscia sinistra, minacciosa. Si era tagliato i baffi e ora il labbro spaccato e violaceo risaltava un bel pò sul suo bel volto pallido.

Uno dei sue incappucciati accanto al tamburo salutò il guerriero e il drago d’argento battendosi un pugno sul petto, poi tuonò con voce cavernosa e solenne

«I primi sfidanti, signore del Bianco Lupo, Marc il giovane e la nobile dragonessa Wolfaren Terza a

delle terre a Nord, si presentano. Ecco le armi!».

Voratten sguainò la spada e la portò in alto, la lama splendente che scintillava come tempestata di piccole gemme argentee picchiettate di rosso contro il sole morente, mentre il drago Wolfaren ruggì e s’impennò facendo tremare la terra, in uno spettacolo di rara potenza, poi eruttò una fiammata azzurrastra che rese l’aria incandescente.

Harry, impressionato eppure curioso, chiese a Kate perché l’incappucciato non avesse detto il nome completo di Marc Voratten lei gli spiegò che la tradizione degli scontri fra dragonieri voleva che ci si presentasse senza cognomi perché nessuno si sentisse superiore all’altro a causa della propria discendenza da una famiglia più prestigiosa. Il giovane guardò di nuovo verso la creatura gigantesca giù nell’arena e si disse che neppure in sogno gli sarebbe accaduto di vedere scene cosi incredibili, di vivere situazioni cosi allucinanti.

Allucinanti, eppure così eccitanti da dare i brividi.

Solo ora assimilò l’informazione sul fatto che Wolfaren era una femmina. Scosse la testa perplesso. Di nuovo si udì potente il rombo del tamburo.

Wolfaren ringhiò a fauci spalancate, la lingua arricciata contro il palato, ma la sua rabbia si placò al secondo tonfo sordo e riverberante.

Bong …

Il tempo parve fermarsi, come per magia, il sole rosseggiò fino a ferire gli occhi degli spettatori e poi la sua luce si attenuò ancora.

Artenair contrasse la mascella e uno degli enormi pugni ricoperti di scaglie, John si sporse in avanti con malcelato nervosismo, aggiustandosi il colletto del vestito semi-elegante.

Bong …

E finalmente l’Ombra emerse dall’Ombra, Shadow figlio di Ermes in tutto il suo tenebroso splendore. Elegante il profilo della testa nera, come quella di un cavallo frisone, ma con le fauci lunghe, gli zigomi un pronunciati sotto le squame del color d’inchiostro. Aveva corna dorate, macchiate d’ambra e di castano, rivolte in avanti e spiralate per tutta la loro lunghezza, due folgoranti saette contro il muso del nemico.

Uno spuntone ricurvo, anch’esso color dell’oro, gli spuntava sopra la massa ossea delle narici sottili in fondo a una canna nasale ben tornita.

Aveva occhi di un verde meraviglioso e cangiante, profondo, notevolmente più intenso del suo compagno umano, più saggio e meno cupo, limpidi di una strana innocenza. Sul collo possente cresceva una criniera di peli neri, grossi e serici.

Anche lui aveva il corpo protetto da una sorta di armatura, argento e acciaio smaltato nero, un collare che terminava sul petto con una croce celtica e alle zampe legati leggeri parastinchi decorati con intrecci elaborati ed arabeschi, la parte superiore della coda rivestita di placche metalliche spesse, sovrapposte.

I muscoli tonici guizzarono sotto le squame lucide mentre avanzava con incedere lento e solenne, il collo possente arcuato, le braccia e le zampe anteriori ben definite. E la taglia enorme, molto più grande della già enorme Wolfaren, che lo guardava con tanto d’occhi e i denti scopeti in un muto ringhio.

Venne anche Mark, tutto vestito di nero, con un giubbotto di pelle lungo fin poco sotto il polpaccio. A coprire la fronte la fronte alta teneva legata una bandana, occhiali di plexiglass nascondevano il suo sguardo, guanti spessi coprivano le sue mani, ai piedi stivali alti  che gli avvolgevano le gambe fino al ginocchio, o poco sotto, anche se non si poteva capire bene dove iniziasse o dove finisse ogni parte di lui: sembrava essere stato calato nell’inchiostro. Solo le labbra, beffarde, potevano far intuire qualcosa di ciò che pensava.

L’incappucciato presentò anche loro, la voce lungamente più fiera e gioiosa, come se presentasse i suoi campioni

«Accettanti la sfida di Marc il giovane e Wolfaren terza abbiamo l’Oscuro Ministro Mark e il nobile Shadow di Horn Blu Island. Si presentino le armi!»

Il drago nero sollevò la zampa anteriore destra e fece scattare fuori gli artigli retrattili gialli, che prima sembravano semplici punte d’oro e ora sembravano spade sfolgoranti.

Gli occhi rossi del drago argentato seguirono attenti quel movimento, le sopracciglia leggere di squame inarcate.

Shadow sfoderò un sorriso bianchissimo e irto di zanne acuminate molto vicine fra loro. Era senza dubbio una creatura oscuramente affascinante, ma molto meno tenebrosa di quanto da lui ci si aspettasse e con un aspetto ben poco feroce per essere un grande drago.

Mark sembrava molto più indomabile, tenebroso e spiccatamente incline a uccidere. Lo sembrò ancora di più quando estrasse una spada e la sollevò. L’arma era rimasta invisibile perché era infoderata in una custodia nera poggiata su pantaloni neri, sotto un giubbotto nero. Anche la lama era scura, brunita, con un simbolo d’oro al centro e in basso, una croce celtica, e si restringeva un pò nel mezzo per poi riallargarsi.

Voratten continuava a tenere alzata la sua spada, quasi volesse far vedere che era più bella di quella del suo avversario, fiero dell’elsa blu e argento, della punta stretta, del pomolo intarsiato di diamante  e del filo perfetto, tagliente.

A un altro percuotere di tamburo i due abbassarono le armi e avanzarono l’uno verso l’altro, mentre i draghi rimanevano immobili dietro di loro. Gli uomini si diedero la mano libera per dimostrare la lealtà nello scontro prossimo.

John giurò agli altri di aver visto disegnarsi sulla faccia di Voratten un’espressione di dolore.

Artenair confermò ridacchiando, poi aggiunse con una voce divertita che sembrava il rumore di un piccolo tuono

«Mi raccomando, facciamo il tifo eh! Nessuno ha portato uno striscione?»

«No» rispose Kate, accigliata «Che ci dobbiamo fare con uno striscione?»

«Tifiamo la nostra squadra … per fortuna che ci sono io» il drago grigio risalì i gradoni e scomparve per un istante, poi ricomparve trascinando una coperta nera «Mettetela lì davanti, penso che si veda …».

John e Vince la sistemarono e scoppiarono a ridere tutti. A grandi lettere dorate compariva una scritta in stile gotico che recitava “Squadra nera, fategli gli occhi neri! Mark 4president of U.S.A, Shadow4  vice-president”.

Harry non ci credeva a ciò che stava vedendo. No, i draghi dovevano essere fieri, imperscrutabili, bestie formidabili da guerra …

Artenair, leggenda, re di Horn Blu Island, capo del Consiglio dei dragonieri era, per caso, quell’enorme creatura gioviale lì di lato a loro? Chissà perché il ragazzo si immaginava un mostro grigio scuro, testa piccola, zanne sporgenti, almeno due paia di corna e occhi rossi. Era rimasto sorpreso, piacevolmente sorpreso di non aver visto il mostro dei suoi incubi.

Un ruggito squarciò l’aria, folgorante, come un urlo basso che s’insinuò nella terra facendola tremare.

L’attenzione di tutti si concentrò di nuovo sui combattenti nell’Arena.

Incroci di sguardi, un nervosismo palpabile iniziò a permeare lo spazio. Solo si udiva il respiro rauco delle gigantesche creature alate, i petti che si dilatavano e si restringevano pacatamente.

Torce alte un metro e mezzo esposte lungo tutto il perimetro dell’ellisse vennero accese da uno degli incappucciati. Riflessi di fuoco illuminarono le armature pesanti e  armi degli uomini, occhi brillanti di drago e un potere antico che stava per scatenarsi.

Wolfaren iniziò a spazzare nervosa la sabbia con la coda, producendo un rumore un pò graffiante.

Marc Voratten montò agilmente sul suo drago, poco dietro il collo, e gli diede una pacca su un lato della gola scoperta

«Wolfaren » gli mormorò, facendo scorrere le dita sulle squame coriacee «Ora possiamo distruggerli».

Ali d’argento, sfumate di rosso sangue intenso, si spalancarono rivelandosi per la loro incredibile lunghezza, poi batterono potenti.

I quadricipiti dell’argentata creatura fecero forza, spingendo la mole incredibile di Wolfaren in aria. Anche Shadow decollò, leggermente impacciato, ma raggiunse subito il nemico.

«Che fa Mark a terra?» Domandò Vince, battendo il braccio di John con il palmo della mano aperta

«Quello non mi sembra Mark» rispose l’uomo dal cappello bianco, enigmatico «Quello è Shadow. Succede fra dragonieri… ho saputo un mese fa che loro lo hanno imparato»

«Imparato cosa?» si intromise Harry, che aveva intuito, ma non osava parlare

«Scambio di corpi» spiegò John, allegro «All’inizio non pensavo nemmeno che potesse accadere una cosa simile, poi l’ho visto succedere e ci ho fatto una ricerca su: raramente, molto raramente, si arriva ad uno stadio di condivisione mentale fra drago e uomo simbionte che è tale da poter permettere il controllo del corpo del compagno. Il drago è uomo e l’uomo è drago nel vero senso della parola…».

Ma nelle vesti del drago Mark si stava comportando molto meglio di quanto il vero Shadow mai avrebbe potuto. Gli occhi sbiaditi di cieca furia, gli artigli conficcati nella spalla di Wolfaren, fiammelle sbuffate quasi per gioco come se non riuscisse a contenere tutto il fuoco del suo petto, impressionante si librava a trenta metri da terra trascinando il drago d’argento a se.

Shadow, nel corpo d’umano, si era tolto gli occhiali da sole, alzati ora sulla bandana scura e sul suo palmo destro rivolto al cielo si librava una sfera nera di energia grande come un pallone, ma che cresceva ad ogni secondo che passava, pulsando pericolosamente di capillari di consistenza diversa, piccole saette viranti al rosso.

Kate, dopo aver osservato attentamente il corpo di Mark posseduto dallo spirito del dragone, si voltò verso glia altri con un sorrisetto furbo, mirato a fa capire che lei sapeva già tutto di ciò che accadeva

«Il drago li sta ferendo e distraendo per permettere a l’uomo di raccogliere l’energia per un colpo decisivo» spiegò, con un’aria a metà fra il professionale e l’euforico «E Shadow, da quello che mi ha raccontato, è il più bravo dei due a raccogliere energia e manipolarla»

«Due geniacci!» ruggì Vince, alzando i pugni alla vista di un colpo particolarmente feroce da parte della ceratura alata nera contro il fianco di Wolfaren.

Marc Voratten, furibondo, lanciò la spada come se fosse una lancia contro il petto scuro del drago Mark e lo prese in pieno, poco sopra il cuore. La lama si conficcò per qualche centimetro, poi si fermò. Il sangue sgorgò a macchiare le squame lucide in un fiotto viscoso.

Una risata fredda e terribile, quasi disincarnata, si levò dalle labbra del ferito, che si strappò la spada dal petto con un unico movimento brusco e la lasciò cadere fra la sabbia dell’Arena

«Hai perso la spada, idiota!» ruggì, con un tono raggelante, innaturalmente roco e cavernoso «E ora affrontami!».

Si batte le zampe sul petto ferito, producendo un  rumore quasi metallico, poi si lanciò con  tutto il peso contro Wolfaren, la spalla contro la gola.

Iniziarono a precipitare, le ali sempre più appesantite della dragonessa d’argento non potevano reggerli entrambi.

Voratten iniziò a tremare, terrorizzato per la sorte propria e per quella del suo drago, ma raccogliendo il coraggio si lanciò in avanti e diede un pugno sulla testa dell’enorme creatura nera. Le squame contro le nocche fecero il rumore di qualcosa che scivola su uno strato di olio che sfrigola. Voratten strinse i denti e si portò la mano al petto, sentendola dolorante in ogni sua fibra e capendo che le mani nude non potevano nulla contro la dura corazza oscura del mostro mangia anime.

Il dragone, ora più simile ad un gigantesco demone dall’espressione grottescamente feroce, proruppe in un ruggito divertito, una risata ancor più fragorosa

«Questo ti costerà l’inferno, sciocco piccolo umano!».

Le enormi braccia scure del drago Mark si strinsero  intorno al dorso irto di Wolfaren, dietro il suo cavaliere, chiudendogli le ali, poi con uno strattone lo lanciarono all’indietro.

Voratten chiuse gli occhi e s’irrigidì

«Ti prego!Ti prego!» urlò «Non cadere!».

Wolfaren aprì le ali poco prima di toccare terra e planò dolcemente, poi si voltò verso il nemico che atterrava verso di lei con gli artigli sguainati e macchiati di sangue. Fu allora che il drago d’argento spalancò le fauci e eruttò un turbine di fuoco azzurro

Dalle tribune si levarono grida accese

«Mark!»

«Dai esci di lì, forza!»

«Mark?!»

«Non puoi fermarti cosi!»

«Giusto!» ruggì Artenair «Fuori le fiamme!Fagliela vedere a quei ragazzini!».

Dalla massa azzurra venne fuori un getto rosso. Wolfaren cadde colpita da una forza straordinaria.

Mark schizzò fuori quasi illeso, solo con le ali appena ustionate

«Mi dispiace» ringhiò «Ma vedi, bellezza, non sono tipo da tenermi le offese!».

La dragonessa si girò di scatto, s’impennò e le sue zanne si richiusero sulla gola del nemico, che fu trascinato a terra con uno schianto apocalittico. Marc Voratten balzò giù dal dorso di Wolfaren e recuperò la spada, poi si girò

«Vedremo chi finisce male ora!» urlò, correndo.

Mark afferrò con  le zampe anteriori le testa della dragonessa e le conficcò le unghie nelle ossa, superando la corazza come se fosse semplice latta. Wolfaren ruggì e si staccò da lui.

Voratten si fermò sconcertato e boccheggiante

«Ma che…»

«Ora ti spiego» mormorò Mark, feroce, balzando verso di lui e fermandosi a non molta distanza dal suo naso

«No, non c’è nulla da spiegare!» rispose l’umano, gli occhi dilatati dal terrore

«E invece si. Non voglio la tua morte, sei un valente, ma capirai che la mia è una presa di posizione, tanto per assicurarmi che non ti venga l’idea di intralciarmi. Ripetilo: tu sei il capo!»

«Mai!»

«E allora la tua bella amica Wolfaren soffrirà» gli occhi del dragone nero erano ridotti a due fessure iniettate di sangue, la sua voce a un sibilo «Soffrirà molto. Le farò del male»

«No!» supplicò il nobile, in ginocchio.

Kate fremeva d’indignazione, a guardare quella scena ingiusta dal suo posto

«Quel prepotente è Mark?Il nostro Mark?» sbottò, incredula e delusa «Credevo che i buoni fossimo noi!»

«Perdonalo» disse John «Il suo è un bluff. Beh, è un bluff almeno all’inizio. E comunque quando ha il corpo di Shadow diventa feroce e credo che se la storia va avanti e noi non lo fermiamo li ucciderà».

Wolfaren saltò all’improvviso addosso al drago nero e lo morse con quanta forza aveva nella mascella dietro le orecchie, sulla nuca. Mark sentì il sangue cado gocciolargli lungo il collo, filtrato dalla criniera, l’odore ferroso e un pò dolciastro. Inspirò a fondo, chiudendo gli occhi. Quando li riaprì erano diventati completamente bianchi. Con  un pugno si liberò della dragonessa, colpendola allo stomaco, poi la guardò dall’alto con gelido disprezzo e si allontanò lentamente.

Voratten non capì e strinse più forte la spada. Poi un raggio d’ombra, viscoso come sangue e bruciante come il fuoco dell’inferno lo colpì e sui suoi occhi scese un momentaneo buio pieno di dolore. Si capiva che era sopravvissuto, respirava ancora debolmente, ma la corazza gli era stata disintegrata e sulla casacca strappata sul petto si accumulava denso liquido rosso. Anche la dragonessa era stata colpita, ma non era svenuta: era solo stanca e sanguinante.

Poco più in là Shadow, nel corpo umano del gigante dai capelli rossi, ansimava con il braccio ancora teso

«Si» richiuse le dita e abbassò la mano «Si, ce l’abbiamo fatta, Mark»

«Penso di si» rispose cupo il drago, gli occhi fissi sui rivoli rossi che bagnavano la sabbia.

Wolfaren levò lo sguardo rosso sul dragone nero. Una scintilla rabbiosa le illuminò gli occhi, le zanne candide scattarono in preda a un tremore strano, gli angoli del muso spasmodicamente contratti

«Tu!» ruggì, la gola gonfia di fuoco represso, il tono più raschioso e feroce che mai «Tu lo hai ferito!».

Il corpo argentato ed enorme della creatura fu attraversato da un brivido mentre tornava sulle quattro zampe, i muscoli gonfi e tesi. Shadow indietreggiò e guardò il drago nero

«Ridammi il mio corpo» ordinò «Ridammelo prima di combinare qualche guaio»

«Prima devo battermi» ruggì Mark, fra una vampa e l’altra sfuggitagli, le zampe immani impazienti che dondolavano

«Non puoi, farai solo guai!».

I due draghi si lanciarono l’uno contro l’altro, impennati sulle zampe posteriori come due leoni in lotta per il territorio, sotto il cielo di velluto e la luna di latte, fuoco rosso e fuoco azzurro che s’intrecciavano risalendo, squame confuse e sangue, artigli, ali, rumori, terremoto sotto le loro stazze surreali.

Wolfaren atterrò il dragone nero e, con gli artigli neri affondati nelle sue spalle, lo guardò con sguardo di brace. Un brivido risalì involontario fino alla testa di Mark, che si sentì oppresso e al contempo potente come un dio.

Era un dio, né drago, né uomo, perfezione…contrasse i pugni…su di lui s’affacciava il muso del nemico, il drago d’argento…la sua coda si avvolse intorno alla zampa posteriore di Wolfaren, stretta come una morsa d’acciaio

«Io sono la tua nemesi» sussurrò, mentre le nere punte degli artigli della dragonessa gli scavavano la carne «E non sai ancora che sei morta. Non te ne rendi conto» .

Wolfaren gridò arricciando le labbra scure fino a mostrare il punto in cui le zanne affondavano le loro radici nelle gengive.

Il dragone nero rise. Wolfaren gli troncò la voce afferrandolo per il collo

«Sei ancora cosi sicuro?»

Mark buttò la testa all’indietro, le fauci serrate, senza espressione. Poi di colpo, si lanciò contro Wolfaren e le sue zanne si chiusero sulla gola, squarciandole l’armatura e la pelle, bagnandosi di caldo sangue. La dragonessa gli conficcò le unghie sul dorso della mano e sul testa con la zampa sinistra, ma la presa non allentò, si fece anzi più forte. Era la fine, il tiranno nero dagli occhi bianchi sembrava aver vinto, avrebbe ucciso ancora.

Wolfaren ululò di straziante dolore, al terra riverberò di quell’ultimo canto disperato, triste e impregnato di speranza spenta. Mark ringhiò, il,sapore ferroso del sangue che gli riempiva la bocca e gli colava sul mento, sul collo, il rumore cuoioso di carne tranciata nelle sue orecchie, , l’urlo di dolore che lo rendeva furioso, irritato. Strinse più forte, a quattro zampe sul gigantesco corpo semisvenuto di Wolfaren.

Lacrime argentate come il suo corpo scesero lungo il muso della dragonessa, perdendosi nella criniera nera del suo crudele assalitore

«Piccolo compagno mio» mormorò, con voce dolce e stentata «Non ho saputo proteggerti, non…no…n…ho…pot…uto proteggerti. Tutta col…pa…mia».

Si sentì scivolare verso il baratro oscuro dell’incoscienza e della morte, quell’abisso in cui avrebbe trascinato anche il suo umano, il suo affetto, l’amore unico della sua esistenza. Suonava lento il finale di una vita strana, passata ad attendere il risveglio di una parte d’anima e che proprio quando il piccolo pezzo d’anima si era svegliato, ecco che già moriva, farfalla appena nata.

Vissuta da grande, mai schiava, mai in prigione, un essere che combatteva per la vita e adesso moriva lentamente fra le fauci del grosso mostro di tenebra solida. Tentò di inspirare in un ultimo disperato tentativo, pur sapendo che sarebbe stato inutile. L’aria passò. La sorpresa si tramutò in gioia. La sua gola era libera anche se bruciante, le ferite aperte esposte alla gelida aria pungente della notte.

Il dragone nero si era allontanato, i suoi occhi erano ridivenuti del colore brillante degli smeraldi, le sue membra rilassate. Shadow si era ripreso il suo corpo con la forza , il drago era drago e l’uomo un uomo.

«Mi dispiace» Disse, sinceramente rammaricato «Mark sa essere molto brutale. Spero potrai perdonarci».

Wolfaren guardò Shadow e lo perdonò perché la aveva salvata. Un incrocio di sguardi e si dissero tutto, la sfida era terminata per quella volta. Coraggiosamente la dragonessa si rialzò ancora una volta, raccolse delicatamente il corpo esanime e scomposto di Marc Voratten e  se lo pose sulle spalle martoriate e sporche di sabbia, poi decollò e sparì nel cielo buio volando a singhiozzi, sue giù barcollando malamente. Qualcuno si chiese se ce l’avrebbe fatta a non schiantarsi. Probabilmente no, era troppo debole, sarebbe caduta parecchie volte al suolo, ma ciò che provava per il suo dragoniere esanime le avrebbe dato la forza di andare avanti.

Shadow si volse verso il suo umano e lo guardò con dolcezza

«Mark» iniziò «Ti prego di non usare più in quel modo il mio corpo, o altrimenti, beh…»

«Capisco» ripose lui, gelido

«Bene» il muso del drago si allargò in un sorriso «Ti piacerebbe diventare presidente?»

«Prego?

«Presidente…»l’indice nero, grosso come il braccio di un bambino piccolo, scattò verso le tribune di pietra «…Abbiamo fatto gli occhi neri agli avversari».

Mark si girò e vide lo striscione a grandi lettere dorate, il dragone grigio in piedi sugli spalti e tutti in suoi amici. Abbassò la testa. Loro avevano visto ogni istante di quella violenza ed era stato lui ad invitarli. Avanzò lentamente

«Ragazzi…»

«Sei stato fantastico!» esclamò Harry, balzando in piedi «Sul serio!»

«Harry» lo ammonì Mark, come chi richiama un bambino che parla troppo

«No, dai!Ti giuro che la mia ammirazione per te sta schizzando alle stelle»

«Sei un ragazzino, un cittadino che non potendo vivere grandi avventure ammira chi è violento. Un ragazzino che si esalta ancora guardando Dragonball e i film d’azione» il grosso uomo raggiunse velocemente il giovane, gli pose una mano sulla spalla e lo guardò in volto «Non devi dimostrarmi niente, Harry. Ciò che hai appena visto è una cosa brutta, il lato peggiore di me, oserei dire. Quindi finiscila».

 Il ragazzo annuì confuso e Mark lo lasciò per mettersi le mani in tasca e dedicare tutta la sua attenzione ad Artenair

«Ti ringrazio…»

«…E di cosa, Cavaliere Nero?» disse piano il dragone grigio, gli occhi azzurrini fissi sull’uomo           «Finora non vi ho portato che guai, io vi ho mandati qui, io vi ho fatto rischiare la pelle nella foresta indiana, io sto per decidere ciò che dovrete fare. Mi pare normale che abbia volta di vedervi qualche volta. Siete preziosi per il nostro mondo

«Artenair»

«Si?»

«Quando abbiamo preso la Pietra delle Fonti» il tono di voce dell’uomo si fece più malinconico e lui abbassò lo sguardo «Il Terzo Guardiano mi disse che mi stavi usando, che ti ero d’intralcio…»

«A volte è normale sentirsi un pò usati e io ho proprio esagerato» spiegò il dragone, con voce calda comprensiva, abbassando la testa verso l’umano «Perciò non importa se gli hai creduto, se gli hai detto che è vero…»

«Gli ho detto che mentiva» ringhiò Mark «Non sopporto…io non…ha tentato di corrompermi!».

Il drago grigio proruppe in una risata rombante

«Oh si!» esclamò, gli occhi chiari illuminati di divertimento «Incorruttibile il mio soldato!Ho scelto proprio bene. Lo sapevo dalla prima volta che ti ho visto: caparbio. Oh, guarda che è un complimento!»

«Grazie…»

«Non è una notte meravigliosa?» disse all’improvviso Artenair, la testa volta al cielo «Quante stelle, lontano dal mondo degli uomini, quanto splendore…».

Tutti guardarono l’imponente figura grigia alata, curiosi, udendo la sua voce  mutare, divenire profonda e modulata

«…A volte penso che la colpa di molti mali sia mia, e sapete perché?Perchè per me vita è bellissima e il mondo è perfetto, non capisco come possono esistere guai, lacrime, tristezza, perché tutto è cosi meraviglioso per me…perciò quando vedo qualcuno stare male penso che la colpa è la mia, altrimenti come potrebbe lui stare cosi male in un mondo cosi bello?».

Silenzio. Una striscia argentea, la coda di una stella cometa, si disegnò brillante nel cielo. Era vero che il mondo era bello, meraviglioso, unico. Nessuna stella sembrò uguale all’altra e tutte sorridenti, l’aria tersa e fresca, le brezza leggera, di quelle che un pò scompiglia i capelli un pò si spegne, la luna un pò coperta dalle nubi simili a panni di velluto blu scuro, o panna colorata, mentre si spegnevano all’orizzonte gli ultimi barlumi di luce rossa, ferrea, infuocata. Dov’era il paradiso se non lì, in quelle notti dolci del sapore d‘autunno e dal suono di flauti di canna in cui fischia il vento?

Harry dovette ammettere che valeva la pena di essere lì anche solo per far vagare lo sguardo fra le colline, per non parlare dei draghi, giganti sovrani del mondo, e tutto ciò era dieci volte meglio di una cena fra colleghi che sai tiravano addosso velenosi commenti e battutine ironiche.

Artenair aprì le ali, teli grigiobluastri attraversati da miriadi di capillari più scuri, e si sollevò sulle potenti zampe posteriori

«Allora ci sentiamo presto eh!» ruggì gioviale «Arrivederci, caparbi esploratori dell’ignoto!».

Poi si sollevò in volo e si allontanò nel cielo notturno, le squame rilucenti di  riflessi lunari un pò argentei  sull’opaco grigio del potente dorso. Un ultima risata ruggente risuonò, poi più nulla. Per qualche secondo non si udì nemmeno il vento. Shadow emise un ringhio basso simile a un ululato innaturale, lungo e rauco, che era il suo saluto.

Mark sventolò in aria la spada, da buon incosciente qual’era, poi si avvicinò a John e gli passò una mano dietro le spalle, tenendolo sotto braccio amichevolmente

«Volpone, pensi anche tu quello che penso io?»

«Non saprei…io sto pensando al vestito di una signora a Wall Street, proprio bizzarro, tu?»

«Penso di no, poi…che diamine…» Mark s’interruppe e guardò dall’altro lato «Che fa Lita?»

La donna dai capelli tinti rossi rimase congelata con la mano tesa verso di lui, in faccia l’espressione del gatto sorpreso a rubare un pezzo di prosciutto

«Voglio congratularmi con te per la vittoria» rispose, con una vocetta candida

«Non toccarmi!».

Lei fece un salto di mezzo metro e nascose la mano dietro la schiena

«Che musone che sei!Potevi dirlo prima!» gli urlò, tentando di sembrare offesa e anche vagamente imbarazzata «Me ne vado in macchina»

«E vai, vai…» borbottò, sollevato, il Dragoniere Oscuro.

Shadow sghignazzò

«Caspio, potresti essere più gentile con la signorina!»

«Stiamo parlando di Lita strappacuori o di chi?» ribatté John, ironico

«Oh…hai ragione mister John» rispose rispettoso il drago, sfregandosi piano la spalla ferita       

«Non chiamarmi mister John» fece l’uomo, annoiato «Mi fai sentire vecchio. Chiamami solo John e…fa finta che io sia Mark, non un estraneo qualunque…non che io voglia sostituirmi a lui, questo è ovvio»

«Ok John» rispose semplicemente il drago

«Ora va bene…ci torniamo a casa?» si grattò una guancia «Ah, non a casa, pardon: nel maniero dei Voratten»

«Ma certo» rispose Mark, allontanandosi dall’amico umano e avvicinandosi al dragone «Andate, vi raggiungo fra un pò…»

«Ma non ce n’è bisogno, ti aspettiamo quanto vuoi» disse Vince, la voce rasposa, ma John lo fermò

«Ha detto di andare» gli ringhiò, marcando molto sulla parola “andare” «E noi andremo» concluse, spingendo tutti verso l’automobile.

Mark gliene fu grato.

Shadow si accucciò come un enorme cane nero sulla sabbia dell’Arena e mormorò di gola

«Rooarrr…piccolo eroe?»

«Con chi parli?» chiese l’uomo, mettendosi le mani in tasca «Io vedo un solo eroe qui, davanti a me, e piccolo non mi pare»

«Guarda che parlo di te» precisò Shadow, esalando una nuvoletta di fumo bianco

«Ah, io non sono né piccolo né tantomeno eroe» afferrò il cornetto dorato sul naso del suo drago con decisione, strattonandolo un pò «Insomma, da dove ti saltano fuori certi appellativi? Comunque abbiamo… aspettato troppo per curare quelle» e indicò la carne lacerata sul petto e sulle spalle nere di Shadow «Ci penso io»

«D’accordo Signore dei Tranelli…va bene, va bene, ho capito» sbuffò «Mark».

L’uomo si tolse il guanto dalla mano destra. Lucido sul suo palmo comparve un ovale nero tendente all’argenteo percorso da venature d’oro che si dipartivano dal centro come vasi sanguigni di una strana creatura vivente.

Shadow lo guardò con sguardo comprensivo e un pò preoccupato

«Se le ferite richiedono troppa energia lasciale perdere, va bene?»

«Certo, ma comunque non mi fermeranno queste…» Mark poggiò la mano su petto, sopra lo squarcio.

Percepì chiaro come se fosse su se stesso il dolore di quelle ferite e vi si concentrò intensamente. Un calore pulsante si irradiò dal suo braccio al palmo e sulla carne di Shadow, che chiuse gli occhi e si abbandonò al tepore formicolante.

Pelle, squame, muscoli si rigenerarono lentamente, come per miracolo all’energia penetrata nei tessuti, al passaggio di quella strana forza frizzante.

Il taglio si richiuse e si rinfrescò alla brezza notturna.

Mark ripetè l’operazione con le altre ferite, ma con crescente sforzo e difficoltà. L’energia spesa era maggiore a ogni colpo da curare, ma l’uomo con convinzione proseguì finchè le dita non iniziarono a tremargli violentemente.

Shadow sussurrò, ancora a occhi chiusi

«Va dai tuoi amici, io sopravviverò per quanto mi rimane delle ferite, non è nulla …»

«Sei sicuro?»

«Oh si, tranquillo, io…no, che fai?» ringhiò, aprendo gli occhi di botta.

Mark aveva concentrato la sua attenzione sulla più profonda delle ferite, all’attaccatura della zampa destra anteriore, dove gli artigli di Wolfaren erano riusciti a scavare nella carne fino all’osso e ora si mostrava muscolo vivo e al centro una parte più chiara, l’osso biancheggiante irrigato di sangue caldo, lo stesso ch macchiava anche le belle squame nere e lucenti.

L’uomo, le mani tremanti, poggiò entrambi  i palmi sull’enorme squarcio, grande quasi quanto il suo braccio, e sentì riverberare dentro di sé il dolore provato a quel contatto. Si trattenne dal toccarsi la spalla e con un pò di difficoltà focalizzò il flusso dell’energia dentro di sé, che ora era chiaro come il dolore, ma più sottile. Di forza ne rimaneva poca, ma poteva bastare…la usò. Un calore più intenso, quasi liquido, si espanse e colpì i tessuti danneggiati, iniziando a richiuderli dapprima vicino all’osso, poi sempre più superficialmente.

Shadow si sentì percorrere la zona da una sorta di onde a cerchi concentrici di tepore che gli fecero contrarre involontariamente il muscolo, provando una fitta di dolore.

Anche Mark provò la stessa sensazione e l’improvviso male interruppe l’erogazione del flusso di potere. Ma ce l’aveva fatta: non rimaneva che un minuscolo graffio superficiale dove prima si apriva una ferita abissale, apparentemente incurabile.

Shadow sorrise, e un paio delle sue zanne furono percorse da una bagliore sanguigno, imbrattate di cremisi

«Wow!Ottimo lavoro capo!» disse «Ti riporto a Villa Villacolle!» Scattò in piedi, più sano di prima, con le movenze giocose di un cane «Dai che ne pensi?»

«Non si chiama Villa Villacolle» mormorò Mark, con lo sguardo perso un pò nel vuoto e le mani ancora incapaci di rimanere ferme del tutto «E comunque ce la faccio con  i miei piedi…credo»

«Oh, insisto!» il drago lo afferrò per il giubbotto da dietro, infilando gli artigli dell’indice e del medio nel colletto, e se lo sollevò sulle spalle.  

Mark si sistemò meglio, poggiò le mani sulla base del collo di Shadow,  che mentre il drago correva era parallelo al terreno, e strinse le ginocchia contro il corpo enorme, i piedi sulla gonfia attaccatura delle spalle. Era comodo avere un drago dopotutto, un pezzo d’anima in più che era anche un mezzo di trasporto.

Strano che una creatura enorme come un drago non facesse il rumore di un terremoto quando correva, quanto invece sembrava che avere zampe dotate di cuscinetti che rendevano il suo passo felpato, ma comunque niente affatto silenzioso: erano o non erano parecchie tonnellate che galoppavano?

Giunsero alla grande casa e il drago si abbassò, permettendo al suo cavaliere di smontare

«Buonanotte Mark»

«Buonanotte» l’uomo, con  un atteggiamento quasi imbarazzante per qualcuno con il suo aspetto, accarezzò il lato del gigantesco muso nero e poi lo abbracciò. Shadow sembrò un drago molto piccolo, forse perché Mark era un umano molto grande. Quando si staccarono i loro sguardi si incrociarono e in un istante si raccontarono tutto, parlandosi mentalmente, poi Shadow volò via nella notte e Mark sparì come un’ombra nel maniero.

Giunse il mattino. La sala da pranzo era gremita di gente e la vecchia casa sembrava aver riacquistato l’antico splendore di quando era piena di vita e di colore.

John sedeva con il libro in mano a capotavola, sorridente

«Ora sveleremo l’arcano» annunciò, solenne.

Harry era accanto a lui, vicino a Kate e frontale al vecchio Vince, Lita si limava le unghie un pò più in là.

Il ragazzo dai capelli neri si alzò come qualcuno che ha dimenticato qualcosa di importante

«Potente aspettarmi un istante?»

«Se è proprio un istante» ringhiò Vince «In tal caso si, altrimenti…»

«Non preoccuparti presidente!»

Harry schizzò in bagno e si guardò allo specchio. Gli stava crescendo al barba, come spruzzate di pepe nero sulle guance, e lui odiava apparire cosi. Per fortuna aveva l’equipaggiamento base: rasoio e schiuma da barba.

Aveva iniziato a radersi quando udì una voce e sentì una mano poggiarsi sulla sua spalla

«Salve ragazzo»

«Argh!» Harry si era lasciato sfuggire il rasoio e si era tagliato fin sotto l’orecchio «Che ti salta in mente, Mark?»

«Volevo salutarti» si giustificò il grosso umano dai capelli rossi

«Mica parti…potevi salutarmi sotto, no?Guarda!»

«Un brutto taglio…aspetta, faccio io» Mark avvicinò la mano al lato destro della testa del ragazzo

«No!» strillò Harry, poi si guardò intorno con fare imbarazzato «Io…io non voglio che tenti una cosa cosi difficile, sei stanco e…»

«Sta fermo»

«No, no, no…» il giovane indietreggiò. Va bene essere allievi rispettosi e tutto il resto, ma era un altro conto farsi mettere le mani addosso per farsi curare un taglio…

Mark acchiappò Harry e gli schiaffò la manona sulla piccola ferita con tanta forza da fargli vedere le stelle. Quattro secondi dopo e la pelle si era completamente rimarginata. Il ragazzo sorrise

«Grazie…»

«Di nulla, la colpa era mia» Mark acquisì all’improvviso il solito tono cupo «Ci vediamo di sotto»

«Va bene».

Harry finì di farsi la barba e per un attimo si chiese se non fosse stato meglio lasciarsela crescere come Mark, corta sul mento, perché dava un aspetto più rude e al contempo affascinante…poi si accorse di avere diciannove anni, di essere un cittadino semplice e di odiare la sua stessa, ultima idea. Scese al piano di sotto

«Grazie di avermi aspettato»

«Non è stato niente di che» rispose John, sfogliando il libro «Visto che avremmo dovuto aspettare comunque alcune traduzioni. Harry caro, è latino questo!»

«Oh…io l’ho studiato, ma non ma la cavo granchè, ero concentrato sul francese»

«Invece Kate ora ci leggerà questo bel libro polveroso di cent’anni…» disse allegro John, porgendo il libro alla bella ragazza.

Mark, silenzioso, si avvicinò e rimase in piedi. Sembrava un oscuro presagio, anche se era vestito un pò meno di nero rispetto al giorno prima. Aveva qualcosa di chiaro addosso, anche se Harry non si dette pena di guardarlo abbastanza a lungo da scoprire cosa fosse.

Kate iniziò

«Ricordatevi che la mia traduzione non potrà essere perfettissima, ma ci proverò …ehm ehm » si schiarì la voce , poi si concentrò sulle lettere bordeaux che figuravano sulle pagine ingiallite «”Furono tempi di gloria e d’onore”» scandì la sua bella voce chiara, mentre tutti ascoltavano «“Furono guerre, sangue e dolore giacchè la terra in tumulto finì e gli uomini, o anime prave e irose, fra loro s’uccisero, fratelli e sorelle, i padri con i figli, i cugini e i parenti tutti…”qui c’è una macchia, come faccio?»

Mark le si sedette accanto poi passò un dito sul libro, poi disse

«Là sotto c’è una specie di breve poesia…

“Sorge l’istinto massacratore

Di uomini e di bestie padrone

Sul trono del tempo di sangue macchiato

Nascosta la morte, signora dei vivi, sta

Celato il flusso di ogni cosa buona,

la tiepida sorgente della luce”»

«Un  pò pessimisti, no?» commentò John

«Già» gli fece eco Lita, con una risatina irritante «Quasi quanto Mark. O forse un pò troppo realisti, no?»

Nessuno si prese la briga di rispondere e Kate continuò la lettura e traduzione

«“Ed a quel tempo buio in cui la mano di Dio mai si protendeva, tre uomini mortali  decisero di creare l’immortalità.

L’uno, il saggio di bianco pelo, segnato dal tempo disse

-Io creerò un oggetto prodigioso che tutte le fonti a se attirerà, tale il potere che tutte le cose fa nascere

belle e forti le plasmerà!-

L’altro, uomo dai chiari colori del pallido sguardo profondo dei fiumi, declamò:

-Io creerò una pietra perfetta, che grandi farà i viventi

che la loro vita protrarrà nel tempo, che i loro giovani corpi farà più forti

che possa far crescere talento e potere

come a cascata l renderà fragorosi, come il fiume in piena tumultuosi!-“

E il terzo, il più alto, scuro in volto, gli occhi di nero abisso profondo:

-Io vorrò fare qualcosa di strano che mai ha creato un’umana mano,

qualcosa che rende immortali i più forti, che rafforza i flutti e le fonti

qualcosa di grande, di potente, che renda la vita infinita e più forte

la pietra di mare, la forza del cuore, che abbatterà perfino la morte!”»

«La pietra delle Fonti, quella dei Flussi e degli Immensi Abissi!» intervenne John, ancora una volta chiedendosi perché uno grande e maturo come lui fosse condannato ad inseguire le stesse cose che nei film erano inseguite dai dodicenni

«Si» Kate accarezzò la pagina del libro un pò ruvida, poi, inarrestabile, seguitò «I tre grandi uomini,

fattisi maghi, chiesero aiuto ai sette grandi draghi: l’uno era Tanthas, dei boschi il signore, il secondo era Ripper, il buio fatto carne, il terzo era Dialga, il bianco guerriero, il quinto Leviatan, monarca dei mari, il sesto era Adankar, dal cuore di fiamma,  l’ultimo Dratanair, grigopelle saggio.

Sul picco di Horn si riunirono tutti, chiamarono le fate dei boschi e i druidi silvani.

Scelsero solo tre umili sassi ed in loro infusero potere, speranza e ostinazione. Ma nel’impresa disperata di tramutare la materia i tre maghi persero la vita e ridussero i draghi all’ombra della loro antica potenza.

Ma l’impresa era compiuta:le pietra fredda dei tre piccoli oggetti aveva assorbito tutto il potere perso da chi aveva tentato l’impresa, divenendo un prodigio mai tentato, qualcosa che mai la Terra vide.

Le fate ed i druidi sparsero per il mondo le tre pietre:

la prima nelle giungle selvagge e fresche, dove il vento suona con i rami

la seconda nei fuochi perenni degli inferi in terra

la terza nelle profondità dell’oceano oscure.

Ove esse giunsero la natura si fece più forte  e l’uomo fu spazzato via”»

«Ci credo, con quei tre pazzi scatenati dei Cani Leggendari!» esclamò Harry, convinto «E per forza che gli uomini non ci vanno, mica sono scemi!»

«Noi però ci siamo andati» ribatté John, dondolandosi sulla sedia «E mica siamo scemi»

«Ma che c’entra, siamo andati proprio per prender la Pietra delle Fonti. E comunque eravamo un pò pazzi a fare una cosa del genere, non so se mi spiego…continua Kate, se no non ci spicciamo e non ce ne andiamo mai di qui!»

«Va bene» sussurrò lei, soffermandosi sulla minuta calligrafia in latino, si inumidì le labbra e poi lesse ad alta voce «“Notte e giorno studiarono i dotti di ogni specie per capire come mai potessero le tre Pietre portare la pace, come potesse mai usarsi l’immenso potere. Per dodici anni sperimentarono, corrente elettrica e fuoco infernale furono posti contro le Pietre, ma come morte esse rimasero, indifferenti e brillanti, donando vigore alla natura, ma immobili. Fu un giovane druido a capire: la materia perfetta delle Sacre Pietre aveva la possibilità di cedere e immagazzinare energia come se fosse un essere vivente, ma in più ciascuna di loro aveva poteri separati che agivano sull’aria e sull’acqua. Se malvagie mani avessero rubato le Sacre Pietre, scoprendo il loro segreto, l’invincibilità gli sarebbe stata donata: grazie al potere assorbito dalle Pietre avrebbe potuto erigere infinite barriere intorno a se e devastanti attacchi utilizzare, convogliare la forza che fin’ora si era accumulata nella Pietra.

Si sarebbe potuta fare qualunque cosa riunendo le Sacre Pietre:

innalzare i mari, scendere negli abissi inesplorati, scatenare tempeste devastanti che avrebbero ucciso qualunque vivente, ma anche attirare in superficie le sorgenti nel deserto per rendere fertili le sabbie e salvare gli uomini, irrigare campi aridi, spegnere incendi indomabile e domare il calore delle estati più torride. La distruzione o la salvezza dipendevano dalla volontà di chi le aveva possedute, perciò i dotti convennero che non era utile eliminare le tre Pietre Sacre, ma furono creati dodici guardiani per proteggerle: tre Cani Leggendari, quattro Cavalieri Intoccabili e le cinque Sfingi”»

«Mi sembra possa bastare cosi» confermò Mark «Il resto lo leggerò da solo. Ora sappiamo tutti cosa abbiamo in mano e cosa fare».

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Capitolo 8
*** L'uomo lupo ***


Capitolo 4

L’uomo lupo

“Che ogni leggenda ha il suo fondamento.

Questo comprese il ragazzo quando vide la bestia”

 

 

Un rumore di crollo improvviso provenne dall’esterno, come se un mucchio di calce e mattoni si fossero staccati e si fossero infranti sul pavimento in un pioggia di detriti.

«Cosa è stato?» urlò Harry, atterrito, guardando Mark scattare quasi di corsa fuori 

«Questa casa è cadente» lo rassicurò John «Sarà cascato giù un bel pezzo d’intonaco» ma anche lui non ne fu più tanto convinto dopo che vide Mark allontanarsi con quella strana irritazione.

Kate si battè una mano sulla fronte, producendo il rumore di un piccolo schiaffo

«Ma certo!» esclamò, come chi si ricorda qualcosa che gli era sfuggito finora

«Certo cosa?» chiese Lita, smettendo di limarsi le unghie

«Questa è la casa dei Voratten!»

«E allora?»

«La maledizione…come quella della mummia…l’uomo lupo» Kate indicò il finestrone con aria preoccupata «Lì fuori c’è un uomo lupo!»

«Beh, se ti riferisci a Mark…» scherzò Lita, tornando a limarsi le unghie con la noncuranza tipica dell’adulto che fa finta di credere ai discorsi di un bambino

«Ma no!Venite a vedere!»

«Non so se voglio vedere un lupo mannaro» disse piano Harry, visibilmente nervoso

«Non un lupo mannaro, un uomo lupo…vieni» lei lo afferrò per la mano senza fare tanti complimenti e lo trascinò fuori.

Il ragazzo arrossi fino alla cima dei capelli, confuso,spaventato e innamorato. Poi la paura ebbe il sopravvento quando finalmente furono all’esterno della casa. Harry on riuscì a reprimere un piccolo grido di paura.

Orrore. Una scena simile non capita tutti i giorni.

Mark, completamente ricoperto di sangue, era a terra immobile e, dritto sulle zampe posteriori, si ergeva una specie di orso semiumano alto più di due metri, girato di spalle, che guardava l’uomo a terra con evidente soddisfazione, inspirando ed espirando lentamente.

Kate gemette, in preda al panico

«No, non può…».

L’uomo lupo si girò, le labbra contorte in un sadico ghigno insanguinato. Aveva un petto largo e chiaro, dove il pelo era cortissimo, spalle larghe e vita parecchio più stretta, braccia possenti dalle quali pendevano brandelli sporchi di quella che doveva essere stata una camicia azzurra. Portava pantaloni slargati e stracciati sul polpaccio, modello militare, infangato e pesante, con i tasconi. Il muso era lungo, irto di zanne, con  un grosso naso nero alla fine.

La donna indietreggiò spaesata, tentando malamente di non sembrare terrorizzata dalla visione da film dell’orrore che si era materializzata di fronte a lei  

«Stai indietro!» gridò «Indietro!».

La creatura gigantesca la fissò in volto e avanzò a passo caracollante, lei rimase immobile di fronte a quegli occhi cosi starni e conturbanti, verde come smeraldo uno e l’altro completamente bianco tranne la pupilla minuscola.

Questa volta Mark non poteva salvarli…          

L’uomo lupo si leccò bramoso le labbra sottili e si lanciò, schiacciando la ragazza contro il terreno con il suo grosso corpo peloso. Harry tempestò di pugni il dorso muscoloso della creatura, guidato dalla forza della disperazione, quasi piangendo

«Lasciala andare, lasciala andare, bastardo peloso!» urlò, le lacrime che gli rigavano il volto.

L’uomo lupo sollevò il muso arcigno e allungato contro il giovane, poi colpì Harry con una zampata ad artigli esposti, i tendini delle dita tesi come piccole corde d’acciaio sotto la peluria fine delle dita.

Il ragazzo fu colpito con durezza e finì a qualche metro di distanza dopo essersi sollevato letteralmente dal terreno di una sessantina di centimetri. Per la prima volta provò un dolore tanto intenso da fargli dimenticare persino cosa stava succedendo e annebbiargli la vista.

Abbassò la mano sul fianco colpito e sentì il sangue caldo sgorgare da quattro tagli irregolari e brucianti. Urlò, tentò di alzarsi, ma ricadde a quattro zampe, in preda a un tremore incontrollato.

Udì l’urlo di Kate e anche lui gridò forte, ancora, con tutta l’aria che aveva nei polmoni

«Noooo!» Harry chiuse gli occhi pieni di lacrime «NOOO!».

Il dolore lo stava uccidendo. Rotolò a pancia all’aria e spalancò la bocca, ansimando

«No… no…» strinse i denti e allargò le braccia «Aiuto … Aiuto!».

Sentì l’uomo lupo ringhiare e, ne fu più certo che mai, quello era un verso di dolore e di risentimento. Aprì gli occhi e guardò…

John era lì, con una spada arrugginita in mano, il sangue che impregnava la lama mentre l’uomo lupo aveva una mano poggiata sulla costole a sinistra, da cui colava un filo di rosso a macchiare il pelo marrone chiaro.

Harry ringraziò più volte la sconosciuta madre di John per aver generato un figlio tanto utile: Kate era salva.

John punse il bestione con la punta della spada, ledendogli la pelle spessa del torso

«Non fai più il pavone tronfio, eh bestiaccia?» lo provocò, anche troppo sbruffone, ma di certo con il coltello dalla parte del manico.

L’uomo lupo gli girava intorno guardandolo furente, le spalle frementi, il pelo lungo ritto sulla nuca, rigido seguiva con lo sguardo ogni movimento della lama che lo aveva già una volta trafitto. Non volva rischiare di farsi ancora del male inutilmente e conosceva le potenzialità degli umani che brandivano una spada.

Rizzò le orecchie triangolari e allungate color dell’ebano sul capo chiaro, i pugni serrati quasi fino a conficcarsi le unghie nei palmi.

Solo cosi, mentre l’uomo lupo era immobile, Harry riuscì a studiarlo con una raggelante precisione scientifica, come se ciò che stava succedendo non gli riguardasse, forse perché il suo cervello si rifiutava di provare un orrore più grande ed era ritornato lucido, restava il fatto che adesso il ragazzo americano potè avere davvero paura, ora che capiva cos’era quella creatura, ora che il tempo sembrava bloccato.

In primo luogo ne studiò il corpo, alto e possente, spalle larghe, attaccature delle braccia rigonfie di muscoli simili a quelli umani, ma molto più grandi e tondeggianti, una struttura fisica piuttosto massiccia, ma scattante. Le gambe erano strane, un pò simili a quelle umane, nella coscia, e per il resto lupesche nel polpaccio e nello stinco, mentre i piedi erano simili a quelli di un drago, con unghioni violacei.  

La testa era grossa, pesante, con il cranio e le mascelle allungate, piccole orecchie ritte e frementi, strette e appuntite, foderate di peluria scura. Aveva una specie di barba rosso mattone sul mento e un pò di baffi che lo facevano somigliare ad un terrier agguerrito, i peli corti rivolti all’insù sulla canna nasale, le guance ricoperte di un vello più chiaro e ispido, un pò sparato in tutte le direzioni. Gli angoli della bocca canina si contrassero, poi abbaiò con voce molto profonda.

Jhon sventolò la spada

 «Ti ammazzo!» urlava l’uomo, teso. Aveva paura, ma voleva fare finta di avere la situazione sotto controllo.

L’uomo lupo sibilò e fece scattare una zampa in avanti, verso il volto arrogante i quel tizio fastidioso, ma il suo bersaglio si spostò abbastanza in fretta da non farsi sfregiare dai chiodi violacei della sua grossa mano. Ringhiò di frustrazione e indietreggiò.

Jhon fece un rapido passetto in avanti, tendendo la mano armata

La bestia diede un’altra zampata. L’uomo saltò all’indietro con un gemito sorpreso, evitando ancora una volta di farsi molto male, ma la sua sicurezza stava già crollando di fronte alle fauci frementi dell’uomo lupo.

La creatura sogghignò, cogliendo il lampo d’incertezza negli occhi scuri dell’umano. Era il momento.

Con tutta la forza si lanciò su Jhon, il grosso corpo irsuto spinto in avanti con la potenza dei muscoli quasi ursini. La spada gli strisciò poco sotto l’ascella, lasciando una strisca sanguinante su un fianco e una, più marcata sull’interno del bicipite, ma era ben poca cosa per una creatura della sua tempra.

Atterrò il grosso umano, conficcandogli gli artigli nelle spalle.

Jhon tentò di strisciar via, ma quel peso che lo schiacciava era enorme. L’odore di pelo bagnato e sangue era nauseabondo e l’alito della bestia sapeva di carne macerata, l’uomo girò la testa di lato, ma sentì i denti aguzzi scendere verso il suo collo. Il panico lo assalì. Non era proprio la morte che aveva immaginato è tantomeno sperato per se stesso, masticato da un uomo lupo, un brutto bestione che odorava come un vecchio sanbernardo a mollo. Le dita gli si strinsero più forte su qualcosa di duro e realizzò di essere ancora armato. La speranza si riaccese in lui.

L’uomo lupo ululò quando la spada gli penetrò nel fianco e gli uscì dall’altro lato, dalla schiena, poi fu scaraventato indietro da un doppio calcio sullo stomaco.

Jhon si rialzò e si appoggiò al muro ansimando. Era scosso, ma stava bene.

Kate lo prese per un braccio e lo tirò puntando i piedi.

«Attento!».

Entrambi caddero a terra, fra le foglie secche. Jhon tirò un sospiro di sollievo: dove poco prima c’era stata la sua testa era appena passato con un balzo l’uomo lupo, che ora li guardava schiumante d’ira.

Kate si avvicinò ad Harry e lo guardò con compassione

«Alzati!» gli ordinò, tendendogli una mano «Forza! Prima che ci attacchi di nuovo!»

Il ragazzo prese la mano della donna e si tirò su. Il dolore al fianco era insopportabile e pulsante.

«Aiut … to!» balbettò, vacillando, Harry.

«Si, sono qui» lo rassicurò lei, gli occhi sempre fissi sulla creatura pelosa che li osservava con le labbra ricoperte di schiuma.

Jhon era sparito di corsa in casa.

Harry non aveva abbastanza forza per gridargli dietro che era un vigliacco, ma anche lui tentò di raggiungere la porta. Peccato che l’uomo lupo ci si fosse messo davanti, impedendo l’accesso all’edificio.

Kate guardò il giovane, nel suo sguardo una strana scintilla

«Siamo spacciati» mormorò «Finiti, distrutti … »

«No, non ci credo!»

«Ma ti giuro che venderemo cara la pelle!».

L’uomo lupo iniziò a camminare cautamente verso i due giovani, la lingua penzoloni dalla bocca semiaperta, già pregustando il pasto lauto e saporito che le carni dei due giovani avrebbero costituito per lui.

Kate si mise in posizione di combattimento, come un pugile.

Lungo la fronte chiara le colavano gocce di sudore.

Harry pensò che la paura doveva averla fatta impazzire

«Hey!» esclamò, con voce strozzata, il ragazzo «Non penso che questo sia il momento migliore per imitare Tyson … argh … scappiamo, forza!».

Bang. Il rumore secco di uno sparo riverberò nell’aria. L’uomo lupo gettò la testa all’indietro e muggì in un modo cosi straziante da fare accapponare la pelle.

Sulla soglia era comparso, con il cappello bianco da cowboy inclinato su un occhio, Jhon. Nella sua mano tesa c’era una pistola a tamburo nera ancora fumante

«Non lo fai più lo sbruffone, adesso, eh?».

L’uomo lupo si toccò una spalla e quando si riportò la mano davanti agli occhi, questa era rossa di sangue. Ringhiò. Quello sparo era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso della sua pazienza.

La bestia si piegò verso terra inarcando la schiena e si mise a quattro zampe. Qualcosa si mosse sotto la sua pelle come un serpente, increspandogli il vello in onde che si susseguivano pulsanti.

John sparò di nuovo e il sangue schizzò dal dorso della bestia. Non poté centrargli la testa perché era incassata fra le spalle e tenuta bassa contro il petto, come quella di un piccione che dorme, irraggiungibile dai proiettili.

L’uomo lupo emise un urlo per metà animale e per metà bestiale, poi le sue braccia si gonfiarono. La coda, la parte più vicina a John, divenne più folta di peli neri come il catrame, i polpacci, con uno scricchiolio cuoioso, divennero un pò più lunghi e grossi.

Il ventre, scosso violentemente in un respiro veloce e affannoso, divenne più definito.

La creatura pareva soffrire come se fosse colpita da frustate o punta da aghi infuocati: i muscoli gli balzavano sotto la pelliccia serica in preda agli spasmi e un ringhiare irregolare si levava dalla sua gola possente.

Harry urlò, per metà in preda al panico e per l’altra metà del dolore

«Che succede?! Perché fa cosi?».

John buttò ogni cautela alle ortiche e corse incontro all’uomo lupo nel tentativo di prendergli la testa con una pallottola.

Il mostro rivolse il muso chiaro al cielo mattutino e ruggì. I denti gli si erano allungati e ora i canini sporgevano dalle labbra, quelli della mascella inferiore toccavano la base dell’umido naso nero e quelli superiori arrivavano fino alla fine del mento barbato.    

John alzò la pistola, ma prima che potesse premere il grilletto l’uomo lupo gli fu addosso e gli strappò via l’arma per poi spezzarla in due con un morso solo, spargendo a terra i pezzi di metallo dell’oggetto.

«Oh, Caspio e Mar Morto!» Gridò John, tirando indietro la mano prima di farsela mozzare «Ma che … ».

La frase gli fu troncata da un ceffone in faccia da parte della bestia che lo fece girare su se stesso e cadere di nuovo.

L’uomo lupo ritornò a quattro zampe, ormai incapace di camminare sulle gambe a causa del peso della parte superiore del corpo, e mise una grossa mano artigliata sul petto dell’umano, tirandosi sopra John con aria feroce. Era diventato veloce oltre ogni aspettativa, più grosso e inspiegabilmente pesante rispetto alla rapidità con cui si spostava, forse anche grazie alla potenza accresciuta dei suoi arti muscolosi.

John ebbe solo un istante per riflettere e contemporaneamente lottare a calci.

Che stupida idea quella di sentirsi sicuri solo perché si poteva impugnare una pistola! Solo ora lo capì e capì perché Kate aveva detto che si trattava di una maledizione: il dolore non faceva altro che accrescere la furia e la forza della creatura, era impossibile vincere con un nemico cosi, non con una pistola, almeno …

Esattamente come un drago, l’uomo lupo era dotato di un potere antico che non poteva essere affrontato con armi moderne, una potenza interna e magica, arcaica.

John sentì ancora una volta il fiato caldo lambirgli la guancia sanguinante e pregò di avere una morte veloce e quasi indolore, magari una rottura della scatola cranica brusca e pulita, anche se non sopportava l’idea che invece di una degna sepoltura avrebbe avuto il ruolo di portata principale nel banchetto di quel giorno dell’uomo lupo.

Con gli occhi chiusi attese il colpo che non arrivò mai.

La carne squarciata sul lato destro del suo volto smise di percepire l’alito caldo della bestia in favore di un soffio di aria fresca.

«Mark!» gridò Kate, sorpresa.

John scattò a sedere e rise forte, fragorosamente, quasi isterico

«Si!» esclamò, ascoltando se stesso e guardando la scena «Non ci sarà nessun bastardo peloso a vincere!».

Mark aveva sbattuto a terra l’uomo lupo assestandogli un calcio sul fianco e poi lo aveva sollevato stringendolo alla gola. Tremava, ma sembrava terribilmente capace di uccidere benché fosse ferito.

La creatura lupesca gli prese i polsi nelle sue mani tenaci e tentò di liberarsi, ma più tirava, più si sentiva soffocare. Scalciò, ma l’uomo che lo teneva soffocato sembrava di granito, incapace di provare davvero dolore.

«Tu hai passato ogni limite» sibilò Mark, con lo stesso tono follemente sadico di quando aveva affrontato Wolfaren «Ma sarai vittima di ciò che mi hai fatto diventare».

L’uomo lupo divenne furioso e si liberò sgusciando via come un’anguilla, cadde cosi in piedi sulle gambe e si lanciò verso l’uomo, che gli diede una gomitata nello stomaco tale da fargli sputare sangue e lo fece piegare in due. L’umano ridacchiò sotto i baffi in modo molto discreto, ma mentre lo faceva diede alla bestia un pugno sulla nuca tale da farlo quasi svenire, poi rimase immobile a guardare la grossa creatura sofferente dall’alto

dei suoi oltre due metri.

Harry decise che in fondo voleva bene a quell’omone sinistro e dalle finestre Vince e Lita applaudirono.

L’uomo lupo si rimise ritto sulle quattro zampe con un solo sforzo rapido, poi galoppò via e si perse in lontananza senza che nessuno tentasse di inseguirlo o di fermarlo.

Kate corse ad abbracciare Mark, incurante del fatto che fosse quasi completamente ricoperto di sangue.

In quel momento a vista di Harry si appannò, provò una fitta lacerante al fianco ferito e le gambe non lo ressero più. Udì una voce chiamarlo e mani sollevarlo da terra prima di sprofondare in uno sconcertante abisso di dolore e, lentamente, perdere i sensi.

Si risvegliò sul letto della camera in cui di solito dormiva. Le lenzuola, a giudicare dal fresco profumo che emanavano, dovevano essere state lavate da poco. 

Harry ricordava solo di essere stato colpito dall’uomo lupo, poi era come se la memoria gli fosse stata rimossa. Provò ad alzarsi quando sentì un formicolante bruciore risalirgli le carni e partire dal fianco destro. Si scoprì dalle lenzuola rosse e si vide una fasciatura che gli stringeva l’addome. Premette l’indice sulle bende un pò ruvide e capì di essere ferito.

«Calma, non cercare di farti ancora male, ragazzo» lo riprese qualcuno con un tono basso e un pò rauco.

Harry si grattò la testa e si voltò verso chi aveva parlato, Mark seduto in poltrona

«Cosa è…successo?» chiese Harry, disorientato

«Ah, ti sei fatto male davvero. Hai preso una…» e mosse una mano facendo il gesto della zampata, che Harry trovò estremamente realistico, poi incrociò le mani e spiegò «Mi dispiace di non averti potuto curare come quando ti sei tagliato con la lametta, ma vedi, questa è più grave e non ho…non ho in questo preciso istante la facoltà per guarirti»

«Non importa»si affrettò a intervenire Harry, dopo che si fu accertato delle condizioni fisiche di chi gli stava davanti, anche lui segnato da quell’ultimo scontro.

Mark sembrava abbastanza in forma, ma da piccoli particolari si potevano scorgere i danni che gli erano stati inferti. Indossava la bandana nera, però da sotto spuntava un lembo, una strisciolina appena, di una fasciatura sulla fronte.

Harry gli sorrise con gratitudine e Mark distolse lo sguardo come se il giovane fosse un basilisco.

Dal piano inferiore risalì il rumore di un crollo di sedie, legno massiccio contro il marmo.

Il cuore del giovane si mise a balzargli in petto

«Cosa è stato?» chiese

«Niente» rispose l’omone, tranquillo «John e Vince preparano la colazione»

«La colazione?Uff … pensavo di avere dormito minimo quattro ore» confessò Harry, sollevato «E invece è ancora mattina»

«Sai, veramente hai dormito … insomma non hai dato segni di vita per … » si spinse in avanti e appoggio la mano sul bordo del materasso, e poi concluse «Due giorni»

«Oh cane pazzo! Ecco che era questa fame. Mi sto rodendo da solo lo stomaco»

«Mangia questo» disse Mark, lanciandogli qualcosa involtato nella carta argentata.

Harry scoprì un panino con il salame ed iniziò ad addentarlo con voracità, ma tanta era la fame che lo assaliva che s sarebbe mangiato anche la carta in cui era conservato il delizioso spuntino.

Mark lo osservò in silenzio, colpito. Ogni giorno scopriva nuovi cambiamenti in quel moccioso di città, cambiamenti che lo avvicinavano sempre di più alla figura tipo dell’avventuriero del vecchio gruppo che mano a mano si ricomponeva, mutamenti che facevano sembrare possibile trasformare il ragazzo frignone in una persona normale e anche di più.

Harry si leccò la punta dell’indice e si stiracchiò, ma il dolore lo fece rattrappire e rabbrividire quando si tese troppo. Si accorse che il gigante umano lo fissava

«Che c’è?« chiese, inclinando la testa da un lato con curiosità

«Mi chiedevo se tu fossi pronto per continuare le tue lezioni di comunicazioni mentali» mormorò Mark, astutamente, poi aggiunse, per stuzzicarlo ancora «Ma forse chiedo troppo … un giovane come te non è abituato a sforzi simili, sarai debilitato, stanco, sono stato poco lungimirante a pensare di poterti condurre per una via d’istruzione tanto difficile, un cittadino come te non è ancora pronto …»

«No signore, io sono pronto!» intervenne Harry, deluso «Ti prego, lasciami tentare!»

«Se ci tieni …»

«Cosa devo fare, dimmelo e io lo farò, prometto di non disobbedirti!».

Mark rimase silente e immobile, poi una voce raggiunse la mente di Harry, roca e chiara, bassa e possente

“Da oggi in poi, fino a che non ti dirò che potrai farlo, non dovrai mai più parlare con me attraverso la tua bocca fisica”

“Si,maestro”

“La tua voce non è chiara, Harry, convinciti di quello che vuoi dirmi”

“SI, MAESTRO!”

“Bene Harry, adesso uscirò dalla tua mente e sarai tu a dovermi contattare psichicamente: ora conosci la mia traccia mentale e ti assicuro che se ti concentri non sarà difficilissimo farcela”

“Va bene maestro”.

Mark si sfilò delicatamente dalla giovane mente del ragazzo, lasciandolo lievemente posseduto da un senso di vuoto. Harry scosse la testa e pensò intensamente ad entrare nella mente del’uomo, ma rimase solamente un pensiero astratto. Come diavolo si faceva?

Mark scese al piano di sotto, lasciando solo il ragazzo senza dargli spiegazioni. Voleva farlo impazzire?

Harry non si mosse, rimase coricato e si incrociò e mani sul petto senza pensare che sembrava un morto nella bara

«E buona notte ai suonatori!» sbuffò «Bel maestro…» poi si ricredette e ammutolì. Chi lo sa che non fosse necessario attendere e magari anche arrabbiarsi per accrescere i propri poteri mentali, come si vedeva spesso nei film.

«D’accordo, maestro Miyagi. Metti la cera, togli la cera».

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Capitolo 9
*** Halloween's time ***


Capitolo  5

Halloween Time

 

È il giorno in cui ci si ricorda che viviamo in un piccolo angolo di luce circondati dall'oscurità di ciò che non conosciamo. Un piccolo giro al di fuori della percezione abituata a vedere solo un certo percorso, una piccola occhiata verso quell'oscurità. (Stephen King)

 

Nel frattempo, al piano di sotto, Jhon rincorreva Vince come Tom rincorre Jerry, intorno alla tavola. Mentre Vince era illeso, l’uomo dal cappello bianco sfoggiava una vistosa garza bianca appiccicata alla guancia, ricordo sgradito dell’incontro con l’uomo lupo.

Sotto lo sguardo di Mark, John fece un paio di finte e poi si lanciò di nuovo all’inseguimento di Vince, con furia

«Ti farò a pezzi!» gli urlò, brandendo il mattarello

«Ma non è mia la colpa stavolta!» ululò supplicante l’uomo dai capelli grigi, con un pò di fiatone «Non sono stato mica io a bruciare la tua stupidissima sfoglia!»

«Nemmeno io se per questo!E allora chi è stato?»

«Non io, non io!» Vince si mise a saltellare su un piede solo dopo aver dato un calcio accidentale alla gamba del tavolo, ma quando si vide Jhon quasi addosso ritornò a galoppare con la velocità del lampo e schizzò dietro la schiena di Mark, affacciando da dietro al spalla destra

«Vieni qui!» ringhiò l’uomo dal cappello bianco, fermandosi e indicando un punto a terra ai suoi piedi

«Non ci penso nemmeno: mica sono scemo!»

«Guarda che ti vengo a prendere eh! Vieni qui e chiedimi scusa immediatamente!...ORA! Vince, ORA!»

«Io non voglio. E poi sono il tuo cap…»

«Chiudete il becco!» tuonò Mark, roco «Mi è venuto il mal di testa!»

«Scusa» esclamò candido Jhon, dondolandosi come un pinguino da un piede all’altro e sorridendo sornione e beato «Ma sai com’è, Vince ha avuto la brillante idea di dare gas e…»

«Non sono stato io!» abbaiò Vince con la sua voce canina

«Basta, avevo detto» ribadì il grosso uomo dai capelli rossi, marcando bene ogni parola in modo da fare sembrare la frase minacciosa come solo lui poteva renderla. I suoi occhi verdi scorsero sui volti dei compagni con gelido distacco, ma era proprio questo a rendere le sue occhiate micidiali.

Vince abbassò lo sguardo sulle sue eleganti scarpe marroni e annuì con aria rammaricata e impaurita.

Jhon ridacchiò

«Calma amico» disse, appoggiando la spalla sinistra contro quella di Mark «Ho capito che non posso punire Vince».

«Esatto» sibilò cupo Mark

«E devo rifare di nuovo al pasta sfoglia, no?Esatto…metti i guanti e vieni in cucina» lo esortò «Cosi mi aiuti con la sfoglia e già che ci sei, a te che ti piace affettare, affetti un pò di roba per il pranzo, su!»

«Mi hai incastrato, non c’è che dire … »

«No, non ti ho incastrato, lo so che vuoi fare qualcosa e penso che quel qualcosa può benissimo essere la pasta sfoglia» s’interruppe con un sorriso disarmante e prese il suo grosso compagno per la manica del giubbotto «Scommetto che sarà divertente, utile e interessante»

«Se lo dici tu» commentò sarcastico Mark, lasciandosi trascinare verso le ampie cucine del maniero.

I locali adibiti alla preparazione dei cibi erano posti in un seminterrato un pò ammuffito, ma tutto sommato sembrava un buon posto per lavorare. Erbe secche, sbriciolate da secoli, pendevano in mazzetti anneriti dal soffitto, colonizzate da piccoli coleotteri neri della grandezza di una capocchia di spillo, ma a parte questo gli utensili sembravano in buon stato e i ripiani marmorei, opportunamente ripuliti poco prima da Vince e John brillavano quasi di liscia e candida perfezione. In fondo svettava impertinente un camino decorato con figure intagliate nella pietra, su mensole di pietra un pò cadente si mostravano, allineati, barattoli di spezie di metallo o di terracotta, gli stipetti, con le ante finemente decorate e aperte, sembravano voler far vedere una collezione abbastanza ricca di piatti in porcellana di tutti i generi e le dimensioni.

Era il paradiso dei cuochi, o almeno la base per realizzarlo: con un pò di olio di gomito e qualche arricchimento quella cucina avrebbe potuto sfornare i piatti più belli e più buoni del mondo. O almeno era ciò che credeva John.

Kate entrò all’improvviso con un cerotto sulla guancia sinistra

«Hey!» richiamò «Un attimo di attenzione, ragazzoni!»

«Che c’è?» chiese Mark, con accento di sorpresa e disponibilità

«Oh, oh, ragazzi: domani è Halloween!»

«Harry non sarà proprio entusiasta di passare Halloween qui» commentò John

«Vabbè … però sarà fantastico: non esiste niente di più spaventoso di questo castello!»

«Puoi dirlo forte!»

«Già: volevo dirvi se potete preparare qualcosa di speciale da mangiare»

«Contaci!» john aveva già la faccia di uno su di giri

«Ok, grazie mille, al resto ci penso io» esclamò lei, felice, per poi dileguarsi verso le scale.

«Un aiuto però te lo darò» Mormorò truce Mark, senza farsi sentire da nessuno «E vedremo  che Halloween avremo quest’anno…».

John tirò fuori da un angolo una valigia di pelle bordeaux, la adagiò su uno dei due tavoli e fece scattare le due chiusure dorate, poi si mise le mani sui fianchi e osservò con fare soddisfatto gli utensili da cucina contenuti in essa;splendenti coltelli, forchette, un mestolo, un paio di pelapatate di dimensioni diverse, mannaia e uno spiedo e piccoli aggeggi vari.

«Magnifico» Disse, sogghignando  e sfregandosi le mani, poi la sua espressione mutò all’improvviso «Ma non abbiamo di che cucinare…ehm…»si accarezzò il mento con aria furbetta, stile personaggio dei cartoni animati in grafica tre dimensioni approssimativa, poi urlò «Vince!»

«Che c’è?»borbottò l’uomo dai capelli grigi, affacciandosi sulla soglia irritato

«Dovresti fare una commissione per me. Prendi!» Jhon gli lanciò le chiavi della macchina

«Che devo fare?» chiese l’altro, afferrando al volo  piccoli oggetti metallici

«Vai in città…non m’importa dove vai, basta che non ci metti troppo…e mi devi prendere un paio di libbre di sale, zucchero…no, ci servono almeno sei libbre…anche di latte»

«E deciditi!»

«Ti ho detto sei libbre!E poi farina, essenza di vaniglia, farina di cocco, pangrattato e pasta di mandorle»

«Va bene» Vince si allontanò, apparentemente seccato, ma contento di potersi sposare da quel posto dove si annoiava.

John sfoderò un coltello liscio lungo venti centimetri e si tolse il cappello bianco da cowboy per sostituirlo con uno da chef, poi esclamò solenne

«E ora al lavoro!»

«Sembri un cartone animato» gli disse Mark, a metà fra il curioso e l’incredulo

«Grazie!» Jhon si fece roteare in mano il coltello con la maestria di un giocoliere e attaccò a lavorare con il materiale che già aveva a portata di mano.

La colazione che fu servita in tavola fu straordinaria. Harry, che era stato aiutato a scendere da Kate, fu il primo a urlare complimenti a chiunque avesse fatto i biscotti salati e le uova. John si mise a fare inchini a destra e a sinistra, giungendo le mani e scuotendole come chi riceve una marea di applausi.

Alla fine del pasto erano tutti euforici e cosi rimasero per il resto della giornata, tutti tranne Mark, che sembrava avere l’espressione seria e consapevole di chi va al patibolo ma vorrebbe sdrammatizzare.

John, quella sera, lo prese in disparte e lo spinse in una stanza semivuota

«Cos’hai Mark?» gli disse, deciso «Va bene essere seri, ma cosi è troppo anche per te»

«Una maledizione grava su di me» rispose l’omone, assente e malinconico

«Che genere di maledizione?»

«Non potrò mai vivere in pace, mai»

«Pensavo che non desiderassi vivere in pace…e comunque perché non dovresti vivere in pace?Mi sembra che la missione va a gonfie vele, no?»

«Sono pericoloso per voi» mormorò Mark

John indietreggiò senza capire. Il suo amico era impazzito o solo stressato? A quanto si diceva o si leggeva in giro lo stress era una cosa pericolosa, a volte si avvicinava molto alla depressione.  E poi faceva male alla salute, inibisce l’azione dell’insulina, fa restringere i vasi cutanei e aumentare il battito del cuore. Mark, in effetti, era parecchio pallido, il che poteva anche significare che avesse i vasi cutanei talmente stretti da non fargli arrivare su il colore.

Il picco di stress aveva superato la soglia umanamente ragionevole?

Voci allegre venivano dal locale adiacente, inframmezzate da risate piene e pastose, ma in quei suoi occhi verdi non vi era ombra di divertimento o di piacere; era lo sguardo vacuo di un anziano in punto di morte, un uomo finito.

John non poteva accettare che il suo migliore amico si abbattesse cosi senza motivo e anche se avesse avuto un motivo validissimo non importava, lo avrebbe fatto felice comunque

«Vieni in salotto» lo invitò, sforzandosi di essere affabile e allegro in contemporanea «Non c’è motivo di essere cosi musoni e pessimisti, lo ha detto anche Artenair che la vita è bella e dobbiamo sentirci felici e grati per quanto ci sta intorno. Guarda la luna»

«La luna no disse all’improvviso Mark, come disgustato

«Perché, cos’ha la luna? Guarda là fuori» scostò le tende impolverate e la luce d’argento penetrò nella sala inondando le mura «Non è magnifica?Non è perfetta?»

«Si, forse» confermò Mark senza convinzione, tanto che lo si capì subito che stava mentendo.

John gli si avvicinò e gli mise una mano sulla spalla fraternamente

«Sorridi» ordinò.

Mark tentò, ma gli venne cosi male da farlo sembrare in procinto di ammazzare qualcuno in una maniera particolarmente violenta e sanguinosa. John dovette ricredersi

«Va bene, non sorridere» esalò, massaggiandosi le tempie con l’indice e il pollice di una mano sola «Tanto hai qualcosa che non va e non capisco cos’è. Tu non vuoi collaborare, quindi…» sospirò pesantemente «Ci rinuncio» concluse, allontanandosi con le braccia ciondoloni lungo il corpo.

Mark fu profondamente dispiaciuto di non aver dato ulteriori spiegazioni a quello che riteneva, e non a torto, il suo migliore amico, ma seppe che non avrebbe potuto fare altrimenti se non voleva che quel clima di allegria venutasi a creare tra gli abitanti di Villa Voratten si rovinasse solo ed unicamente per causa sua. Andò a dormire silenzioso come una fantasma, quasi fosse incorporeo. L’indomani sarebbe stato un giorno difficile.

Venne il ventuno Ottobre potandosi dietro un cielo fosco appesantito di nuvole grigie.

Harry si svegliò di soprassalto, udendo un rumore scricchiolante

«Chi va la?!» urlò, la mano premuta sul fianco ferito. Era come se qualcuno lo stesse prendendo in giro e questo non gli piacque. Si alzò lentamente per evitare strappi dolorosi, si infilò le pantofole di velluto blu e guardò oltre la porta

«Ehi, c’è nessuno?».

Niente: deserto. Harry caracollò  verso il bagno sbuffando come una locomotiva annoiata.

Nel frattempo Vince e Lita facevano colazione al piano di sotto. L’anziano sembrava estremamente contento

«Sai cosa c’è stasera?» domandò, sfregandosi le mani

«Oh si» rispose lei, con il tono falsamente euforico e interessato di chi si è sentito ripetere troppe volte la stessa cosa «Questa è la notte degli spiriti, è Halloween!Giusto?»

«Esatto» confermò Vince, inzuppando un biscotto nella birra e poi portandoselo alle labbra per assestargli un morso con interesse

«Ma noi siamo fermi qui»

«Esatto»

«E quindi è come se Halloween non esiste, siamo isolati…»

«Questo non è esatto» l’uomo fece scattare in alto l’indice bagnato di birra «Ogni anno ragazzi e  bambini vengono a vedere questa casa in occasione di Halloween, qualcuno più coraggioso scala anche il cancello ed entra, ma la porta è sempre chiusa e chi non sa scavalcare rimane fuori…»

«E tu come lo sai?» fece lei, curiosa   

«Ho un amico di queste parti, ricordati che sono irlandese» sghignazzò Vince con la sua voce ringhiosa «Beh, almeno in parte…comunque dicevo che o un amico da queste parti che ha un figlio di undici anni e mi sono presola briga di telefonargli. Ebbene: quest’anno i ragazzi troveranno cancello e porta aperti…» tentò di fare una risata malvagia, ma si strozzò con un biscotto e si mise a tossire.

Lita scoppiò a ridere e commentò

«Mi piace la tua idea, Vincent»

«Oh, a me piace quando mi chiami Vincent in quel modo … aspetta … Ho sentito bene? Allora mi aiuterai!?» esclamò Vince, mezzo soffocato «Mi aiuterai davvero a preparare qualche scherzo?»

«Oh si, sarà una notte da paura».

Mezz’ora dopo i due escogitavano un modo per inquietare i giovani ospiti senza dare troppo nell’occhio per poi crescere con le intensità degli scherzi e terrorizzare i ragazzi. Entrò Mark, con le mani in tasca, silenzioso.

Vince e Lita non si accorsero di lui e continuarono a progettare

«Quando entrano, ricapitolando, gli chiudiamo la porta alle spalle senza farci vedere e li chiudiamo dentro, tanto per iniziare, giusto?» chiedeva lei

«Ma si, questo è il minimo…ci facciamo trovare uno alla volta e all’improvviso, mi raccomando. Magari con una bella faccia triste tipo fantasma» precisò Vince, gli occhietti scuri brillanti «Poi scompariamo ed è allora che entra in azione il nostro spettro»

«Spettro?Che genere di spettro?»

«Oh, lo vedrai presto, vieni con me…AAAAH!»

«Che succede…oh Mark, m’hai fatto venire un colpo!» gridò la donna, divertita «Mi sembravi davvero uno spettro!Uff…da quant’è che sei qui?Da quanto ci ascolti?»

«Da quando hai ricapitolato che devi chiudere dentro qualcuno» disse cupo Mark

«Non è molto…ma comunque sei molto silenzioso» la donna guardò Vince come per dirgli “ecco il nostro fantasma” e l’altro rispose con un’occhiata complice, poi lei si preparò a fare la proposta

«Ascolta Mark…Mark!...Mark?» si guardò intorno, ma del gigante vestito di nero non scorse neppure una traccia.

Lui era scomparso cosi come era apparso, senza farsi vedere o emettere neppure il rumore di un soffio.

Vince si dondolò sulla sedia di chi ha appena concluso un ottimo affare economico

«Anche se non lo sa ci aiuterà» disse compiaciuto

«E come?»

«Basta che compaia cosi a ragazzi una sola volta, al buio, per terrorizzarli. Sarà l’Halloween più terribile e spaventoso di tutti i tempi per i giovanotti incauti che verranno…dopo tutto sono l’orrore e la paura che vengono a cercare qui dentro, no?»

«Non ti sembra di esagerare un pò?»

«Nooo…»

«Hai ragione, anzi…dobbiamo impegnarci però: i ragazzi di oggi non si spaventano tanto facilmente»    

«E tu come lo sai?»

«A differenza di te, Vincent, il mio modello non sono i Dracula in bianco e nero e gli effetti speciali di plastilina, io sono una ragazza d’oggi, va bene?»

«Non rinfacciarmelo!» il viso di Vince cominciò a diventare rosso «E comunque l’importante è sentirsi giovani e si dia il caso che io mi senta un gagliardo giovanotto!»

«Si vede» il tono di lei si fece tagliente come un rasoio «Organizzare scherzi di Halloween, con questo entusiasmo poi, è proprio una cosa da bambini!».

Vince, ferito nell’orgoglio, si allontanò borbottando cose fra i denti parole come “strega” e “irrispettosa”.

Il tema della giornata era dichiarato: preparazione della festa di Halloween, quella che qualcuno osava definire inquietantemente “la festa dei morti viventi”.

Con Kate che si aggirava per casa spargendo decorazioni innocenti e accendeva e spegneva la luce per vedere che effetto faceva, Vince che tramava in modo un pò meno innocente di terrorizzare un gruppo di ragazzini ignari, John che si affaccendava in cucina e Lita che cercava un modo per rimanere da sola al buio con Mark, il vecchio maniero sembrava essersi rianimato di presenze indaffarate un pò spettrali. Solo Harry era bloccato dal dolore  non poteva fare niente se non cercare vanamente di rintracciare la mente di Mark, ma non aveva speranze di riuscirci cosi e si stava arrabbiando sempre di più. Si accingeva a iniziare a imprecare quando sentì una voce riverberargli nella mente

“Harry”

“Sei tu Mark?” il ragazzo pensò debolmente

“Perché non riesco a trovarti?”

“Perchè stai sbagliando a concentrarti”

“E come si fa, come diamine si fa a trovare questa tua cavolo di mente!?Sono negato io o sei tu che non mi sai insegnare?A che gioco stai giocando con me?”

“Contieniti”.

 Harry fu turbato: aveva trasmesso a Mark esattamente ciò che pensava…quindi ora, per evitare di offenderlo, non avrebbe dovuto neppure più pensare male di lui.

“Va bene, va bene, ma ancora non so come faccio a entrare nella mente di qualcuno” si lamentò il ragazzo

“Per iniziare i principianti devono conoscere la traccia mentale dell’essere con cui hanno intenzione di comunicare e tu conosci la mia. Insomma: riesci a distinguere il timbro della mia voce mentale?”

“Si” il giovane si agitò tentando di descrivere quanto sentiva, confuso, poi pensò “La tua voce è forte, chiara, un pò roca tipo ringhiare di lupo e lenta…insomma, parli lentamente…”

“Perfetto”

“Una domanda: ma la nostra voce mentale è uguale alla nostra voce fisica oppure… eh?”

“Come hai potuto notare la mia non corrisponde a quella fisica, ma spesso la nostra voce mentale è simile o addirittura uguale a quella fisica. Succede alle persone pure di cuore, che non hanno niente da nascondere. E comunque la voce mentale è la vera voce di un essere vivente, il suo modo di essere e di pensare. Sai che Kate ha una voce mentale identica alla sua vera voce?Una traccia mentale semplicissima da distinguere…”

“Anche Kate sa parlare senza parlare fisicamente?Ed ha il cuore puro?”

“Si. Comunque stiamo andando fuori argomento. Eravamo rimasti al modo di trovare ed entrare in una mente. Riconoscere la traccia è fondamentale e con il tempo si impara a percepire le racce di persone con cui non abbiamo neppure mai parlato” il tono della voce di Mark che Harry sentiva nella sua mente si fece più forte, ma meno chiaro, come se fosse disturbato da un’interferenza di segnale”Devi poi rievocare il momento in cui hai parlato mentalmente con quella certa persona, tu che sei un principiante, perché in quella circostanza ci sono un mucchio di fenomeni che accadono nella tua testa e non te ne accorgi. Un pezzo di chi contatti ti si imprime dentro. Prova a pensarci e vedrai …”.

Harry fece cosi e capì cosa aveva voluto dire Mark: non si trattava solo di due voci incorporee che si scambiavano informazioni, ma di entità complesse che venivano a contatto e avevano una propria forma complessa come il loro Io. Il giovane trovò estremamente inquietante che quando parlava psichicamente con Mark sentiva una specie di musichetta di sottofondo molto simile a una marcia funebre e che gli sembrava di essere immerso in un buio illuminato da sprazzi di luce smeraldina, lampi irregolari.

Poi sentì la psiche del suo ospite allontanarsi e si ritrovò di nuovo a crogiolarsi nella solitudine. Allora provò a fare esattamente come gli aveva insegnato Mark per individuare le menti altrui.

Rievocò i momenti di comunicazioni di coscienze passati, la strana sensazione di espansione dei propri pensieri in uno spazio estraneo e alla fine ci riuscì: in uno spazio indeterminato e pulsante di colori invisibili, eppure neutro, in qualche modo asettico, comparve un enorme globo di un colore verde scuro traslucido che parve inghiottire Harry allargandosi in maniera spropositata.

Un rumore simile a un basso ronzio invase la mente del ragazzo, tramutandosi lentamente in una sorta di musica ipnotica, solenne e modulata marcia funebre. Visioni lo assalirono, vorticanti e dolorose.

“Basta, basta!” pensò Harry, scombussolato.

D’improvviso si sentì di nuovo bene.

“Ce l’hai fatta” si congratulò Mark. La sua voce mentale era infinitamente più profonda di quanto il giovane ricordasse e anche più tranquilla.

“Si, ce l’ho fatta! Fantastico!”

“Bene. Adesso potrai di nuovo parlarmi, ma sappi che non potrai né riuscirai mai più a leggere i miei pensieri. Ti chiuderò le porte della mia psiche, ma potrai allenarti con i tuoi amici o…con gli animali”

“Non credevo fosse possibile…è straordinario:posso parlare con gli animali?”

“Si”.

Harry fu buttato fuori con una sorta di calcio mentale, pieno di una strana sensazione simile a un giocoso rifiuto. Nonostante la confusione era contento di avercela fatta.

Mille ed una si spalancarono le possibilità di applicazione della legilimanzia… rimase a riflettere, Harry, su questo nuovo mondo sconosciuto, dimenticandosi del tutto che si trovasse completamente solo e che fosse Halloween .

Il Sole tramontò dietro le nubi nere ed era già scomparso da un pezzo quando un gruppo di ragazzetti raggiunse la cancellata nera irta di punte che chiudeva la cinta d’acciaio di recinzione.

Erano in dodici, vestiti di nero e di bianco, uno di loro sfoggiava un vistoso copricapo a forma di zucca arancione brillante.

«Sicuro Zack, che questo posto è sicuro?» domandò una ragazza vestita da strega che aveva un forte accento francese e lunghi capelli biondi che le uscivano dal cappello nero a punta

«Sicuro Valerie» esclamò un suo compagno dai folti capelli castani con una maschera da Frankenstein e una non sottovalutabile spavalderia «Ci divertiremo!Mio padre ha detto che dei suoi amici si sono trasferiti qui per il momento e che stasera possiamo andare  fare un pò di casino da loro»

«Certo mette i brividi questa casa» commentò entusiasta un altro bambino sugli undici anni, con la faccia tutta dipinta di bianco e la torcia in mano «Ganzo!Seguitemi!»

«Aspetta Robert!» urlò Zack, infastidito, ma dovette costringersi a seguire suo malgrado il ragazzino vestito da morte attraverso il giardino spettrale di Villa Voratten. A metà Robert si fermò e guardò in lontananza

«Guardate laggiù!»

«Che succede?» chiese un tipo alto e grosso vestito da spettro

«Abbiamo compagnia»

«Ma da dove sono entrati quelli?»

«Avranno scavalcato più in là…avanti, ci dobbiamo arrivare prima noi ai dolci, non vorrete fare le figure delle pappamolle!».

Si levò un coro di voci di approvazione e proseguirono. Valerie li fermò di  nuovo con un cenno della mano appena arrivarono di fronte alla porta spalancata

«Qualcosa non mi convinsce…» borbottò

«Hai paura» ringhiò Zack, crudele come soltanto un bambino può esserlo «E se ce l’hai te ne vai subito»

«Io non ho paura!»

«Dimostramelo!»

«Subito!» sbottò lei, entrando nel buio intenso del maniero «Sei contanto adesso?»

«Non c’è male, ma questo non è coraggio, francese…» rispose il ragazzino, seguendola con le mani sui fianchi , la luce della torcia elettrica puntata per terra «Entrate anche voi» aggiunse, rivolto ai ragazzi vociferanti dietro di lui «Forza, non ditemi che siete solo femminucce francesi?».

Con l’espressione di cani bastonati anche gli altri si trascinarono dentro, mentre Robert faceva roteare dappertutto il cerchio di luce della sua torcia con curiosa foga

«Boooo!»

«Finiscila Rob» lo ammonì un’altra ragazza, irriconoscibile dietro il mascherone rosso di demonio urlante.

Bom. Il pesante portoncino si richiuse dietro di loro e, nel’oscurità, si udì il rumore di una chiave che girava due volte in un vecchio meccanismo arrugginito di chiavistello. Tutti sobbalzarono e corsero indietro, ma la porta era stata chiusa irrimediabilmente a doppia mandata. Zack tempestò di pugni il legno consunto, poi urlò

«Ci sarà pura una soluzione!Chiederemo di aprirci a chi abita qui dentro!»

«Ma sono loro che ci hanno chiuso qui» gli fece notare la ragazza con la maschera demone «E vuoi che ci liberino?»

«Si Cristy, si» disse Zack, sforzandosi di sembrare il più calmo e ragionevole «Vedrai che ci apriranno»

«Si» fece Robert, illuminandosi il volto dal basso con la torcia e tenendo una mano contratta ad artiglio «Ci apriranno i ventri per mangiare le nostra interiora e il sangue sarà sparso dappertutto e…»

«Per l’amor di Dio!» ululò tragica Valerie «La vuoi smettere di essere disgustoso?»

«No!» il ragazzino la spinse

«Smettetela!» intervenne Cristy, dando una gomitata ragguardevole a Robert «Dobbiamo prendere i dolci, trovare gli inquilini di questa casa e andare… venite, forza…» li condusse in sala da pranzo.

«Non mi sembra che ci sia nessuno» sbuffò Zack «A voi?»

«Nessuno» rassicurò un tizio cicciottello, dalla cui mano destra chiusa a pugno pendeva già un sacchetto di vari dolciumi «Se escludi quel cane laggiù»

«Un cane?» Zack illuminò l‘angolo lontano che gli era stato indicato e rimase paralizzato.

Un grosso cane nerastro e irsuto, con qualche maculatura più chiara sui fianchi, dormiva accucciato con la testa fra le zampe sul freddo pavimento. Emetteva un rumore roco e rasposo quando respirava, come quello di un piccolo aspirapolvere, e quel ritmico salire e scendere del suo corpo, espandersi e contrarsi, era senz’altro sinistro.

Valerie iniziò a balbettare, terrorizzata com’era da qualunque genere di cane, dal piccolo terrier all’alano

«And…andiam…o via? Non…non si sv … voglia il can che do dorme»

«Si» confermò Zack, anche lui un pò intimorito dall’animale enorme, annuendo leggermente  «Andiamo…oh, buongiorno signore!».

Girandosi avevano visto Vince, che senza dubbio sembrava avere una brutta cera, ma di certo  non faceva paura come aveva sperato.

Un verso basso e minaccioso li fece trasalire e anche Vince indietreggiò. Il cane era sveglio e ora li guardava con occhi chiarissimi, un pò tendenti al giallo, grandi come lumini e intrisi di selvaggio mistero.

Un tuono scosse la terra fin nelle sue profondità e nelle vene dei ragazzi e dell’uomo anziano. Tachicardia.

Il cane si alzò con calma e grazia impropri di una creatura della sua taglia e iniziò a venire aventi n modo deliberatamente minaccioso, lo sguardo brillante di palese minaccia.

«Quello è il tuo cane, vero?» Chiese Zack a Vince, arrabbiato e speranzoso

«Temo di no figliolo» esalò l’adulto, facendosi indietro con le mani che iniziavano a cercare da sole qualche arma «E dobbiamo sloggiare»

«Stai scherzando, vero?»

«No figliolo» Vince uscì dalla cucina «No».

Il cane aprì le fauci e abbaiò. Il verso sembrò riverberare ovunque con crescente intensità.

Zanne bianche e occhi di brace, mascelle potenti, zampe alte, pelo nero e ispido avanzavano supportati da un corpo muscoloso di alano, le zampe grosse screziate di strisce tigrine portate avanti con solenne potenza.

Valerie urlò e scappò. Vince tentò di fermare la ragazzina, ma non ci riuscì

«No! I cani inseguono chi corre!» le gridò, ma era troppo tardi.

Il grosso cane irsuto partì di corsa, i muscoli delle sue poderose spalle incresparono la pelle mentre le zampe si sollevavano, i denti semiscoperti fra le nere labbra lucide e tirate, ed i ragazzini si dispersero urlanti a destra e a manca. Vince si morse il labbro: non poteva lasciare che in sua presenza venisse uccisa una bambina. Non seppe quale coraggio lo assalì, ma saltò addosso al grosso cane e iniziò a colpirlo con foga, poi se lo sentì sfuggire da sotto le mani come un fantasma e scomparire.

Valerie scoppiò a piangere. Cosa stava succedendo?

«Calma ragazzi, calma!» ringhiò Vince, senza riuscire a calmarsi lui stesso «Venite qui!Tutti qui e non vi succederà niente di male…spero…»

«Cos’era quello!?» urlò Zack «Come è che ci è scomparso sotto il naso?»

«Non lo so. Per favore puoi fare a meno di sottolineare le parti inquietanti?A proposito figliolo: come ti chiami?»

«Zack io…» il bambino non capì il perchè dell’“a proposito”… a proposito di che?

Vince annuì

«Ma certo, il figlio di Matthew?»

«Sei l’amico di mio padre quindi»

«Esatto. Venite con me: stasera, da quanto ne ho saputo, ci sarà una cena straaoordinaria!Dobbiamo solo trovare i miei amici e» si rabbuiò «Evitare sapientemente i cani fantasma. Che delizia …»

«Già, cerchiamo questi tuoi amici…».

Nel frattempo Lita si trovava al piano superiore da sola in una stanza elegantemente arredata scriveva al lume di candela su un vecchio foglio di pergamena in perfetto silenzio, un sorriso maliziosamente sognante dipinto sulle labbra. Udì un passo felpato avvicinarsi proveniente dal corridoio, lievemente cadenzato.

«Lui?» si domandò la donna, nascondendo in un cassetto il foglio piegato.

Nella sua mente si affollavano una decina di immagini particolarmente romantiche e oscure insieme, che prevedevano incontri al buio, passi lenti, pesanti eppure silenziosi come quelli dei leoni, luci sfumate, chiarori di stelle fra nubi cariche, movimenti eleganti e vestiti neri. Insomma, quelle cose che di solito succedono nei romanzi gotici con i vampiri.

Prese la candela mezza consumata, una di quelle cose che rendevano l’atmosfera essenzialmente ancora più gotica, e uscì dalla stanza

«Mark?» chiese, dolcemente «Mark sei tu?».

Un abbaiato cupo, un ringhiare roco e poi la sagoma nera dell’enorme cane nero dai fianchi tigrati, gli occhi brillanti come quelli dei gatti, la pelle del muso contratta a mostrare zanne formidabili scoperte fino alle gengive.

Lita indietreggiò

«Buono bello, buono…» mormorò calma, ma l’animale avanzò latrando;feroce, senza timore della fiamma un pò fievole della candela.

La donna guardò le scale e dovette trattenersi per non mettersi a correre, poi si mise a gridare aiuto. Ciò sembrò irritare enormemente la belva, che dondolò la testa con rabbia e abbaiò forte prima di lanciarsi contro l’umana. Una figura nera, alta, slanciata, risalì la gradinate e fu subito addosso al cane.

Una vaga aura di fumo nero l’avvolgeva, una cortina oscura e inquietante

«Indietro vecchio Lucifero» ringhiò, il tono rauco e basso, fermo, di chi ordina ed esige «Indietro!».

L’animale dal pelo irto eseguì l’ordine e si accucciò, gli occhi fissi su quello che si scoprì essere Mark.

Lita ne approfittò per stringersi al grosso umano più che potè

«Grazie» gli mormorò «Senza di te mi avrebbe uccisa … quella bestia»

«Esatto» Mark tese un enorme braccio, più simile ad un palo della luce, in quanto a circonferenza, che ad un arto umano, in avanti «Va via Lucifero, nessuno ti ha chiamato. Forza, via!»

Il cane si appiattì contro il terreno, i muscoli possenti delle zampe contratti sotto il corpo, poi saltò e pare scomparire come fumo nella densa oscurità.

«Tornerà comunque» Assicurò Mark, tranquillo «Quindi state tutti vicini…va bene Kate?»

«Si, va bene» rispose l’altra ragazza che, per il dispiacere di Lita, era appena spuntata al fianco del Dragoniere vestito di nero «Ma ho sempre desiderato conoscere Lucifero»

«Non è il cane più socievole del mondo…»

«Però è bello!Elegante, imponente, aggraziato e nel contempo fiero e feroce»

«Va bene, si» Mark sospirò «Questo glielo concedo: è un gran bel cagnaccio. Ora scendiamo cosi possiamo avvertire gli altri di quel pericolo pubblico di Lucifero»

«Li ho sentiti gridare» intervenne Lita, sempre un pò perplessa di fronte a certi fenomeni «Penso che abbiano già fatto la sua conoscenza»

«Tanto meglio visto che dobbiamo convivere per un pò con il vecchio Lucifero»

«Convivere?» chiese la falsa rossa, adirata «Ma perché?»

«Ti spiego mentre scendiamo» s’interruppe e appena furono sulle scale cominciò «Penso saprai che cosa sono»

«Oltre a essere molto carino intendi?»

«Si, intendo Ministro Oscuro… »

«Si lo so. E allora,  che c’entra il cane infernale con il tuo super ruolo da protagonista?»

«Lucifero è sotto la mia responsabilità» spiegò pazientemente il gigante, appena arrivato al piano inferiore «Per tre giorni all’anno devo tenermelo vicino su questa terra. Vedi, Halloween è un periodo molto importante per i celti e quindi per i druidi»

«Non sono i druidi, quella specie di stregoni, che ti hanno consegnato i poteri?» volle sapere Lita

«Si è esatto. La notte del trentuno Ottobre è una festa speciale per loro e può succedere qualche inconveniente alle loro creazioni…beh, ecco, Ministri Oscuri e compagnia…anche Lucifero è una loro creazione, un Whraith, cane guardiano. Però durante le tre notti di Halloween, questa e altre due, perde il controllo e per evitare di distruggere ogni cosa sono io a doverlo controllare, un antico rito lega Whraith e Ministro.E anche lui deve controllare me»

«Perché?» Lita lo guardò in tralice «Anche tu perdi il controllo?Puoi ucciderci tutti?»

«Non direttamente»

«Come sarebbe a dire “non direttamente”? Come diavolo si fa a non uccidere una persona direttamente»

«Potrei richiamare per sbaglio i Figli della Notte»

«Che sarebbero a dire…no, non dirmelo: lupi mannari, zombie» e mimò brevemente la camminata di un morto vivente con le braccia tese avanti «fantasmi» scosse le mani in alto, semichiuse «Demoni, vampiri e tutta quell’accozzaglia di mostri di Halloween?»

«Vampiri no…ma per il resto…»

«Sei catastrofico, lo sai?» Lita diede al grosso umano una pacca dietro la testa, poi scherzò «Dove ci sei tu» disse, con aria di gravità «Non si può dormire tranquilli, porti guai come una calamita e il bello è che ne sei perfettamente consapevole».

Mark non rispose: sapeva che era tutto vero c che c’era anche gente che lo frequentava per il puro brivido dell’avventura e dell’orrore. Portava guai, sempre e comunque, e laddove non lo potevano raggiungere i mostri del soprannaturale gli capitava sempre qualche rissa, qualche pazzoide armato o incontri con organizzazioni terroristiche.

All’improvviso si sentì strattonare per la manica della giacca

«Guarda laggiù!» gemette Lita «Cosa sono?».

Punti luminosi si muovevano dalla cucina verso di loro, lenti e traballanti, bianchi e giallastri.

Mark capì immediatamente che non c’era alcun pericolo, ma raccomandò comunque alle due donne di attenderlo un istante mentre lui controllava che tutto fosse a posto e si dileguò silenzioso nel buio.

Vince, poco distante, non si accorse di niente, ma continuò a condurre il gruppo di ragazzi amati di torce elettriche nel buio pesto

«Ma dove sono quei dannati?» sussurrò, alla ricerca dei compagni «Ehilà!» urlò «C’è nessuno?»

«Non c’è nessuno, mister» intervenne Zack, incupito «Perché non cerchiamo al piano di sopra?»

«Ottima idea… seguitemi, andiamo in biblioteca e accendiamo le torce, cosi abbiamo un pò di luce»

«Perfetto mister, andiamo…  ma com’è che qui dentro non c’è elettricità?».

Vince non rispose.

Il gruppetto si diresse a passo svelto verso le scale che ancora non riuscivano a vedere.

Sembrava che solo al buio ci si potesse realmente rendere conto di quanto fosse grande quella casa.

All’improvviso Valerie, attenta e sensibile come al solito, urlò. Tutti si girarono e la paura li invase.

Vince fu percorso da un brivido viscido che gli contorse le viscere.

Una sagoma nera avanzava verso di loro. Era enorme, sinistra, lenta, indistinguibile a tratti.

«Via!Via! Andiamo» Strillò Vince, ma si sentì afferrare per la spalla da una mano grande e fredda e fu immobilizzato da una presa a cravatta che per poco non lo strozzò.

L’uomo tentò di liberarsi, ma inutilmente: il braccio gelido continuava a premergli sulla gola con forza inaudita, spingendogli il pomo d’Adamo all’indietro e tenendolo premuto cosi, senza muoversi. Che tristezza sarebbe stato morire proprio nella notte degli spiriti…  

«La vuoi finire?» Ringhiò cupo il grosso essere scuro «Sono io, dannazione, sono Mark!»

«Mark?» la voce di Vince era ancora più raschiante e flebile «Tu? Oh, mi hai fatto venire…»

«Mi dispiace» Mark sogghignò allentando la presa con esasperante calma «Alla tua età… può venirti un infarto»

«Alla mia età?Io sono giovanissimo!» ribattè Vince, quando all’improvviso vide con la coda dell’occhio Zack e il ragazzo cicciottello impugnare un grosso candelabro, di quelli che oggi è difficilissimo trovare in commercio, con un sacco di ornamenti che lo rendevano pesantissimo, e caricarsi per colpire con quanta forza avevano e disse a Mark «Attento alle spalle!».

Sdang! Il candelabro di rame colpì la schiena ampia del grosso americano e lo costrinse ad abbassarsi in ginocchio. I due ragazzini si diedero il cinque, tutti presi dalla loro vittoria, poi rovesciarono il pesante tavolo rotondo di legno massello sul grosso essere a loro sconosciuto. La sagoma nera crollò sotto il tavolo.

I due ragazzi che avevano avuto il coraggio di assaltare “il mostro”, gli puntarono sopra le torce elettriche, ancora un pò diffidenti.

Vince scoppiò a ridere tenendosi la pancia con le mani, come se dovesse cadergli a terra da un momento all’altro

«Oh no!» ululò, divertito «Ah ah oh oh … eh eh eh … vi prego ragazzi, non dategliene ancora, questo è un mio amico! Oh, beh, una specie di mio amico … »

«Uops!» esclamò Zack, indietreggiando «Un tuo amico? Quant’è grosso…»il ragazzino pensò alla figura imponente dell’uomo che camminava nel buio: gli era sembrato enorme, largo, invincibile… ma poteva anche essersi sbagliato, magari era stata la paura ad ingigantirlo in quel modo. La cosa migliore da fare era controllare con razionalità e chiedere scusa tentando di sembrare convincentemente rammaricato e, se necessario, mettersi in ginocchio

«Signor…» iniziò, abbassandosi, ma con il busto piegato a quaranta gradi si accorse che non c’era nessuno sotto il tavolo «Ehi, mister, qui il tuo amico non c’è…»

«Uh, che?» Vince rispose come se non avesse capito la domanda, risollevò il mobile da terra e si guardò intorno perplesso «Mark?Aaaargh!Uh, di nuovo…».

Mark era ricomparso silenziosamente dietro i ragazzi,una torcia infuocata in mano e l’espressione truce illuminata lateralmente da una tremolante luce rossa come di sangue gli davano l’aria di un torturatore pronto a fare il suo lavoro. Ridacchiò, un verso roco, profondo, canino come un latrato

«Ragazzini» sibilò iracondo, lo sguardo fisso su quei piccoli, giovani volti curiosi e impauriti o coperti da ridicole maschere di zombie e demonietti, bambini e null’altro. Quello con la maschera di Frankenstein, Zack, si scoprì il volto,si nascose una mano dietro la schiena e con l’altro braccio diede una gomitata leggera al compagno cicciottello

«Mi dispiace immensamente, signore» disse piano, intimorito e rammaricato «E so che non mi crederai, ma siamo tutti molto sconvolti e spaventati perché prima siamo stati aggrediti da un grosso cane e…»

«Si, lui dice il vero» frignò il cicciottello, con un aspetto pietosamente imbarazzante, essendosi inginocchiato «Non volevamo, abbiamo pensato che…» abbassò il volto rigato di lacrime.

Era incredibile come la maturità dell’uno stridesse con la puerilità patetica dell’altro.

Mark sembrava perplesso, ma nel complesso era ancora truce e terribile, con le sopracciglia inarcate, ponti sottili rosso scuro, e gli occhi fissi di fredda rabbia

«Venite» disse infine, calmo e distaccato.

Iniziò ad allontanarsi, la fiamma alta della fiaccola che danzava e si contorceva ipnotica nel buio.

I ragazzini e Vince lo seguirono senza controbattere, confusi. Zack si sentiva dolcemente smarrito e inquietato, felice perché l’orrore era il mare in cui nuotava, amava i film terrificanti, soprattutto perchè riusciva sempre a non averne davvero paura. Per lui quella sera era straordinaria e il grosso tipo vestito di nero con la fiaccola era meravigliosamente misterioso, cosi tetro e retrò, con quegli occhi verdi e gelidi… Zack avrebbe dato di tutto per vivere con lui, per averlo come padre come zio o come semplice amico.

Valerie gli diede un colpetto sul braccio con le punte delle piccole dita

«Hey» gli sussurrò «Zack!»

«Uhm…» grugnì lui

«Zack, quell’uomo grosso è un pò sinistro, non trovi?»

«Trovo che sia particolare, non sinistro. E comunque cosa c’è?» sbuffò, seccato «Perché frigni sempre?».

La ragazzina non rispose, ma arrossì e i suoi occhi diventarono lucidi.

Zack vide comparire, con una candela quasi completamente consumata in mano, una donna dei capelli di uno strano rosso bordeaux e una giovane sui diciannove a vent’anni molto carina dietro di lei. Si chiese chi fossero quando vide la più grande scambiare che non capì con il grosso umano dagli occhi verdi e quest’ultimo la spinse da parte e risalì le scarpe di marmo candido venato di caramello e castano chiaro. I ragazzini e i quattro adulti si ritrovarono a l piano superiore nella biblioteca.

Mark si voltò e li guardò tutti

«Dov’è John?» tuonò

«Non lo so» rispose  con una scrollatina di spalle Vince «Io non l’ho visto»

«Rimanete uniti, mentre vado a cercarlo, se ci tenete alla pelle» ordinò il grosso umano, passando la  torcia infuocata a Kate e precipitandosi fuori dalla stanza.

Lita ridacchiò, ma Vince la fulminò con lo sguardo e scese il silenzio. Solo, nella desolazione di quella notte silente, si udiva un rumore fioco e lontano come di una fiamma infranta dal freddo ululante e le foglie secche fatte frusciare dal vento parevano gemiti rochi di morti viventi, asciutti come urli bassi di gole piene di sabbie graffiate.

Kate sollevò una piccola mano, la sinistra libera, e fece cenno di stare zitti

«Sentite?» chiese, turbata d’improvviso

«Cosa?» esclamò Robert, eccitato, mentre Zack lo spingeva indietro quasi volesse rimanere in prima fila

«Questo rumore» completò Kate «Voci…voci di non umani…»

«Tu e i tuoi maledettissimi non umani!» borbottò Vince, alzando un sopraciglio grigio con scetticismo e ficcandosi le mani in tasca

«Ma è vero…» insistette la ragazza «Ascoltate».

Silenzio ancora una volta, però carico di tensione. Un brulicare di rumori si levò disincarnato, fischiante, sibili da serpente e stani cigolii che non potevano essere prodotti da nessun umano né cane selvatico conosciuto.

Cosa li attendeva in quella notte dannata oltre al gelo che spazzava i campi con le sue mani di ghiaccio?

«Che c’è là fuori?» Chiese Vince, rabbrividendo «Che roba è?»

«Chi va a controllare?» domandò Lita

«Io no» si tirò indietro il tipo cicciotto, mostrando i palmi appiccicosi di zucchero

«Oh andiamo…solo guardare dalla finestra?» la donna dai capelli tinti di rosso sospirò «Va bene fifoni…ecco» tirò la tenda di pesante tessuto purpureo con un gesto violento e guardò fuori. Non riuscì a trattenere un’imprecazione molto colorita, anche se sapeva già cosa avrebbe visto perché Mark l’aveva informata al riguardo.

Oltre il vero polveroso del finestrone, sotto un cielo nero da cui filtrava a malapena la luce palliduccia di un quarto di luna, si muovevano curvi esser difficili da identificare, lupi mannari forse, o forse morti viventi dai grossi dorsi curvi e grigiastri. Nelle loro mani, o zampe, vi erano luci di fiamma smorzata, come in lanterne.

Vince balzò indietro

«Oh, señor!» ringhiò «Che ci fanno qui quelli?»

«Quelli cosa?» chiese Zack, mentre un formicolante presentimento lo animava, la stessa impressione che ammutoliva tutti i suoi compagni tranne il giovane Robert, che era ancora abbastanza piccolo e incosciente da voler dimostrare a tutti il proprio immenso coraggio. E il suo presentimento si realizzò di fronte a lui quando osservò fuori dalla finestra

«Figli del Demonio!» esclamò, con un brivido di eccitazione e di timore che non avrebbe mai potuto spiegare se non l’avesse provato, qualcosa di simile a file di formiche che gli camminavano dentro lo stomaco «Quante creature oscure!»

«Potresti usare una terminologia diversa?» lo supplicò Valerie, fra le risate assolutamente malvagie della sua compagna e rivale Cristy.

Zack non le badò e appoggiò le nocche sulla lastra di vetro, irresistibilmente attratto dalle caracollanti creature che si aggiravano come spettri senza pace, sibilando, nel giardino di Villa Voratten. Era fermo cosi quando sentì una nuova voce di adulto giungergli lievemente ovattata

«Siete tutti qui,ragazzi?»

«Si, ci siamo John» rispose Vince «Ma Mark?»

«Giù in giardino. Vuole farci uscire di qui, ce ne fa andare …».

Zack si girò e vide un altro uomo, alto quasi quanto quello vestito di nero, ma all’apparenza molto meno affascinante e vestito un pò troppo all’antica anche per i suoi gusti giovani. Non che non apprezzasse i vestiti antichi, ma se non erano quelli di un conte, a lui non interessavano.

Il bambino sogghignò, guardando lo strano cappello bianco da cowboy che stonava con il resto dell’abbigliamento

«Come mai il tuo amico vuole portarci via di qui?» chiese, rivolto a Jhon

«Questa casa è maledetta» spiegò lui, appena titubante

«Maledetta?»

«Beh, cosa pensi che siano tutti quei cosi la fuori? Cioè: quelli non sono naturali e, francamente, anche richiamandoli in un altro posto non sarebbero cosi numerosi, giusto?»

«Ah, si, certamente, ehm… come pensa il tuo amico di farci uscire da qui?»

«Mette tutti i mostri là fuori K.O., stile Tyson, e poi ci fa passare»

«Interessante» commentò Zack, con un sorriso compiaciuto che si allargava sul suo volto ancora troppo da bambino.

Se fosse sopravvissuto, e lui era certo che sarebbe sopravvissuto, avrebbe potuto scrivere un romanzo dell’orrore da cui poi avrebbero potuto trarre anche un piccolo film, anche solo un cortometraggio… in realtà si sarebbe accontentato di una singola puntata di telefilm, ma gli piaceva pensare in grande. Si sa come si è quando si ha l’età giusta per cambiare il mondo.

Cristy lo tirò fuori dalle sue fantasie per ributtarlo in un mondo che era diecimila volte migliore di quello della fantasia, almeno per lui… lui che era incosciente abbastanza da trovare quella situazione affascinante. Non era mai stato in pericolo davvero in tutta la sua vita, non aveva mai avuto malattie serie e aveva la peculiare caratteristica di non tremare di fronte a tutte le scene splatter sanguinose possibili e immaginabili, perché avrebbe dovuto avere paura, questa volta?

«Guardate là sotto!» gridò la ragazzina.

Tutti si accalcarono curiosi intorno al finestrone.     

Zack non credette ai suoi occhi: il grosso umano vestito di nero, con in mano uno spadone che per una persona normale era inimmaginabile da utilizzare, stava ordinando alle creature di spostarsi a giudicare da come quelle si allontanavano, e con la sinistra tratteneva per la gola l’essere più grosso che emetteva un suono rabbioso simile a un ronzio inframmezzato da stridii.

John sorrise

«Quell’uomo è fantastico» disse, poi scherzò «Se fossi una donna lo sposerei»

«Pure io» intervenne Lita, lo sguardo sempre fisso su Mark, che ora stava decapitando qualcuno

«Ma tu sei già una donna» fece John, perplesso

«Appunto».

All’improvviso Mark guardò verso la finestra da cui i suoi amici e i ragazzini lo osservavano, e fece segno di scendere. Il gruppo si precipitò giù per le scale a rotta di collo, anche se Zack si soffermò più degli altri indietro. Voleva portarsi qualcosa dietro, qualcosa che gli ricordasse il castello, e si guardava intorno alla ricerca di souvenir. John, non appena se ne accorse, fece dietrofront e risalì le scale di corsa, prese in braccio Zack e lo portò giù con altrettanta rapidità.

«Lasciami andare!» Sbraitò il ragazzino, indignato «So camminare, grazie!»

«Incosciente, sei un incosciente» borbottò di rimando John, mentre, una volta raggiunti gli altri, lo rimetteva a terra.

Kate aprì il portoncino

«Mark!»

«Come ve la cavate?» ringhiò il gigantesco umano, ironico

«Noi benissimo…e tu?»

«Si sopravvive, si taglia un po’ di teste … insomma, il solito. Non mi lamento. Forza tutti in macchina» il suo tono divenne più severo «Prima che tornino quelli».

Il gruppo s’incammino verso la grossa automobile bianca e quella più piccola, un utilitaria, di un

blu acceso e brillante. Questa seconda vettura fece ricordare qualcosa a Kate

«Dov’è Harry?» chiese lei guardandosi intorno allarmata.

Mark trasalì a quel nome. Harry? Ma si, era ancora in camera sua, da solo…o forse in compagnia di Lucifero? Senza dir nulla l’enorme americano tornò indietro, sempre dritto verso la sua nuova meta.

Occhi rossi e feroci lo scrutarono mentre passava per il salone, mani candide e magre si tesero verso di lui bramanti quando a passi svelti risalì le scale. Laggiù in fondo…la porta della camera era lì. Un latrato soddisfatto fuoruscì dalla stanza, nitido e gelido come il discorso si una condanna a morte.

«Harry!» Tuonò Mark, preoccupato, mettendosi a correre, poi gridò «Lucifero, giù!».

Zanne bianche, riflessi d’argento. Denti crudeli schioccarono e il giovane dai capelli neri chiuse gli occhi lì dov’era, buttato a terra di lato al letto, con le zampe di un enorme cane dal pelo irto premute contro il petto, quando giunse una voce alle sue orecchie, una voce che gridava il suo nome.

Il fiato dell’animale smise di lambirlo, si allontanò da lui insieme al peso sul petto.

Harry si permise di respirare liberamente e di provare uno smisurato moto d’affetto verso chiunque l’avesse salvato. Aprì gli occhi lentamente e una sagoma indistinta nel buio avanzò e colpì la bestia nera, facendola capitombolare, poi l’aiutò a rialzarsi tendendogli con gentilezza una grossa mano robusta.

Harry prese quella mano e si tirò su stringendo i denti per una fitta di dolore al fianco ferito. Per un attimo, solo un attimo le nuvole nere scivolarono via scoprendo la luna e una luce un pò più forte illuminò quell’uomo che aveva salvato Harry, pallido e con quella sua aria sempre un pò malinconicamente stanca, ma sporco di sangue fresco e preoccupato, sinceramente preoccupato.    

Harry dimenticò il dolore come se non si fosse mai fatto male

«Grazie Mark» disse, grato

«Vieni, forza» rispose brusco l’omone, trascinandolo via e mettendosi a correre per le scale.

Dietro di loro Lucifero era matto di rabbia: si era fermato, si, quando Mark glielo aveva ordinato, ma non aveva alcuna intenzione di mollare la sua preda e così il Ministro Oscuro non aveva avuto altra scelta se non quella di stenderlo con un pugno che, per un filino di forza in meno, non era riuscito a fargli saltar via i denti, ma lo aveva lasciato indolenzito a rotolarsi per terra.

Mark ed Harry erano quasi fuori quando si udì un ululato feroce provenire dalla cima delle scale e la sagoma slanciata e nera da alano del grande cane comparve di nuovo, fremente di furore, leccandosi il naso da cui colava un rivoletto sottile di sangue.

Harry si sentì svenire quando Mark gli ordinò di correre avanti senza di lui, ma suo malgrado obbedì.

Lucifero fu giù dalla gradinata in un batter d’occhio, quasi materializzandosi. Le labbra gli si arricciarono e contrassero in un ringhio spaventoso e lugubre che sembrava risalirgli dal ventre, scuotergli le costole e sfociare dalle fauci con l’intensità del tuono. Gli occhi gli divennero rossi come braci ardenti, screziati di nero, luminosi, le zampe si contrassero sotto il corpo, la coda ritta, rigida, le orecchie rivolte in avanti sul capo ruvido.

Mark buttò la spada: non gli sarebbe servita adesso, c’erano metodi più efficaci dell’agitare una lama.

Lucifero avanzò lentamente mantenendo il proprio pesante corpo basso sul pavimento, quasi strisciasse, con i muscoli delle spalle messi inquietantemente in evidenza ad ogni passo condotto con feroce eleganza incredibilmente felina e felpata.

L’uomo lo guardò con gelido distacco, come il padrone di fronte al proprio cane riottoso, poi mise lentamente in avanti un braccio

«Lucifero» mormorò, con la stessa voce inumana del ringhio del cane nero «Indietro. Osi dunque sfidarmi?Sfidare un tuo superiore?».

La bestia, intimorita, indietreggiò, poi una nuova scintilla di ira lo percorse e scosse, inducendolo ad attaccare, a lanciarsi, a serrare le temibili zanne sulla tenera carne. Con un ululato lugubre la nera belva balzò, la massa oscura del suo corpo solcò l’aria.

 Mark fece un brusco scarto, ma ugualmente le mascelle del cane nero, innaturalmente più veloci di  quelle di qualunque animale, si chiusero sul suo avambraccio. Le zanne non riuscirono a lacerare la carne perchè in quel momento un energia fredda il doppio del ghiaccio esplose scaraventando Lucifero lontano sul freddo marmo con un rumore cuoioso.

Sul volto di Mark si era dipinta un’espressione di gelida rabbia, le sue iridi verdi e lievemente iridescenti stavano schiarendosi con la velocità del lampo fino diventare bianche ed opache, perfettamente identiche al resto degli occhi su cui sembrava essere caduto una membrana sfocata. I lineamenti gli erano divenuti duri e rigidi, con un che di lupesco ed al contempo solenne, ma di certo non umano.

Lucifero si rimise faticosamente ritto sulle quattro zampe e fece per attaccare, ama già Mark non c’era più, la sua enorme sagome nera era scomparsa nel buio tanto silenziosamente quanto rapidamente. Il cane nero annusò l’aria, spiccò un salto e anche lui parve dissolversi alla velocità del vento.

Mark si avvicinò a Kate ed Harry, che ansimava piegato in due,  appoggiato alla portiera della macchina bianca. La giovane donna gli sorrise

«Andiamo?» chiese con dolcezza

«Presto!» ringhiò Mark, aprendo la portiera posteriore dell’auto, al cui interno erano già comodamente sistemati Zack, Valerie e più in fondo Lita.

John si precipitò al posto di guida dell’auto bianca, mentre quella blu era condotta da Harry.

Partirono sgommando, i piedi premuti sugli acceleratori          

«Ora si che ci siamo!» ululò John, eccitato «Uscita in grande stile, iuppi!».

Qualcosa rimbalzò sul cofano dell’auto bianca con un rumore metallico.

«Non fermarti!» gridò Kate, guardando dietro.

Mark era immobile a braccia incrociate accanto a Zack e trovava piuttosto snervante che il ragazzino lo continuasse a fissare con tanta intensità.

All’improvviso Lita emise un sospiro spaventato

«Mark, hai gli occhi bianchi!» gli fece notare «Che ti è successo, sembri uno zombie di un film di serie b!»

«Occhi bian…oh, si» il grosso americano vestito di nero  si passò un braccio sul volto e minimizzò

«Non è niente, non preoccuparti»

«Forte!» commentò rapito Zack, senza degnare di un solo sguardo Valerie che piangeva

«Tu chi sei, ragazzino?» domandò cupo Mark, tornando a guardarlo con i suoi occhi verdi da lupo

«Zack Braddon, per servirti. E tu?»

«Chiamami Mark»

«Posso chiamarti per nome?Forte!»

«Attento!».

Il grosso americano prese fra le enormi braccia il ragazzino e si abbassò. Un dardo lungo fece a pezzi il vetro posteriore destro e si conficcò nel sinistro, accanto a Lita, spargendo schegge grosse come  pollici tutt’intorno. Se non si fossero mossi in fretta a quell’ora la testa di Zack sarebbe stata trapassata da una tempia all’altra.

Lita toccò con l’indice l’incoccatura di piume nere della freccia

«Da quando in qua i  morti viventi tirano frecce?» chiese, ironica

«Infatti non le tirano» rispose Mark «Te l’ho già spiegato che…»

«Si, si, lo so» lo interruppe lei, acida «Non sono solo morti viventi, ma lupi mannari e roba simile. Ma gli uomini lupo…anzi, i lupi mannari, visto che so che mi dirai che gli uomini lupo sono rari e non c’entrano niente adesso…ecco, i lupi mannari tirano frecce? Evidente no. I fantasmi tirano frecce?Se potessero farlo non sarebbero incorporei…i vampiri tirano frecce? Può darsi, ma hai detto che non ci sono…» un pensiero le attraversò la mente e le fece domandare preoccupata «I demoni usano le frecce, vero?»

«Vero» rispose Zack «Usano qualsiasi arma di distruzione»

Lita guardò Mark, che confermò cupo

«Sai, è come dice il ragazzo…»

«Hey Houston!» gridò Kate, dal sedile davanti «Abbiamo un problemino»

«Cosa?»

«Quelli» strillò, indicando dritto verso il fitto nero del bosco, illuminato dai fanali della vettura.

Grossi esseri alati simili a mostruosi draghi in miniatura, con grigi grugni piatti, avanzarono verso di loro dalla foresta in formazione compatta. Avevano occhi grandi incassati nei crani pesanti e camminavano sulle zampe posteriori arcuate incredibilmente muscolose, mentre gli arti anteriori erano un pò più lunghi e asciutti, culminanti con mani magre ed artigliate.

John sterzò, ma quelle creature spuntavano da qualunque lato, da qualunque posto, ed erano molto, molto veloci.

«Gargoyle!» Gridò Zack «Straordinario!»

«Ci azzecchi sempre ragazzo» lo complimentò Mark «Gargoyle»

«Bastardi tutti i gargoyle! Schifosi bastardi!» imprecò John, dopo l’ennesima creatura spiaccicatasi contro il parabrezza ormai sporco di bava verdastra «Non sono fatto per queste cose!Se solo ci fosse Sara…argh!» girò violentemente lo sterzò per evitare un’altra collisione e completò «Guiderebbe lei e saremmo fuori da qui!»

«Peccato che guidi tu» disse tranquillo Mark, scagliando un globo di energia dal finestrino spaccato, con nonchalance e in punta di dita, abbattendo un paio di gargoyle in un’esplosione polverosa «Perché il senso di nausea che provochi è lo stesso, ma non riesci ad evitare un bel niente…attento all’albero…come stavo dicendo è un vero peccato» divenne più serio «Vorrei che lei fosse qui»

«Sembrerà incredibile, ma è quello che vorrei anch’io» esclamò John, con un altro scarto «Secondo te come se la cava Harry?»

«Mi sa che abbiamo perso Harry» disse Lita «Lui si che avrebbe bisogno di un buon conducente…»

Zack sporse la testa fuori, passando sulle gambe di Mark, e urlò

«Ehi, là ci sono i miei amici!»

«Allora li hai persi» disse con naturalezza Lita, azzardando un sorriso viperino

«No, non li ho persi!Eccoli!»

«Il piccolo Harry sta imparando a guidare?Buon per lui…metti la testa dentro se ci tieni, ragazzino» «Si, ma…» fece Zack, rimettendosi a posto e guardando fisso di fronte a se «Non mi sembra che guidi male, anzi…e spara dal finestrino»

«Come?»

Bang, bang, bang. Tre colpi di pistola e un rombo di motore tra le urla roche dei gargoyle. John  rise forte

«Fantastico!Harry deve aver preso lezioni da Sara!» disse, uscendo finalmente dalla massa grigia e bruna dei mostri alati per guadagnare un’ampia strada sterrata. La macchina bianca sobbalzò due o tre volte sollevando un gran polverone di color panna scuro. Poi il motore si spense di botto.

John girò la chiave sei o sette volte, ma non accadde nulla. Si abbandonò sul sedile

«Siamo fritti e impanati gente» annunciò, giù di corda «Chi spinge?».

Con un rumore metallico gli artigli neri e ricurvi di un gargoyle penetrarono nel metallo del tetto dell’automobile.

Valerie urlò terrorizzata. 

Zack la ignorò volutamente, tirò fuori l’accendino e lo fece scattare

«Semmai friggiamo loro» disse, con un sorrisetto furbo, poi avvicinò la fiammella giallina alla parte delle dita brutte e magre visibili, che per qualche secondo si bloccarono, riempiendosi di bolle da ustione,  e poi si ritrassero accompagnate da un sibilo ricolmo di bruciante dolore. Si udì, poco dopo, anche il tonfo del corpo della creatura che si staccava dal veicolo e fuggiva nella foresta urlando.

«I gargoyle non sono particolarmente intelligenti» spiegò il dodicenne, con quella che si potrebbe definire aria professionale «Né, devo dire, molto coraggiosi».

Tutti lo guardarono con stupore e Mark gli battè una grossa mano guantata sulla piccola spalla

«Zack: sei geniale»

«Grazie. Comprendo il vostro stupore…sono ancore appena un preadolescente, ma vi invito a riflettere sul fatto che a volte l’età non conta quando si tratta di possedere prontezza mentale. E io ho fatto pratica, sapete…»

«Hai già battuto altre volte dei gargoyle?» chiese Lita

«Certo che no!Questa è la mia prima volta»

«Allora permettimi di guardarti con stupore».

Con un rombo e una sgommata la macchina blu utilitaria di Harry li affiancò

«Perchè vi siete fermati?» chiese il giovane dall’interno, senza abbassare il finestrino

«Il motore non da segni di vita» spiegò John, girando ancora una volta la chiavetta e sorprendendosi quando la macchina si accese come colta da un’improvvisa fiamma. Schiacciò il piede sull’acceleratore e la vettura scattò in avanti. Erano salvi, finalmente?

Le ruote si muovevano velocemente facendo scivolare come un grande fantasma dai grandi occhi gialli e tondi la macchina bianca sulla terra compatta e un pò troppo polverosa, tanto che nuvolette scomposte e un pò irregolari si levavano come un’aura spettrale passaggio dell’automobile.

John guidava tranquillo sulla via del ritorno portando i suoi amici, tranquillamente cullato da questo pensiero

«Ce la siamo vista brutta proprio» disse, sereno

«Il tetto, lui si che se l’è vista brutta…male, male, male» commentò Lita

«Oh, già, ma tanto devo cambiare auto quindi…»

«Che cosa vuoi comprarti?» chiese Kate, curiosa «Mi avevano detto che avevi intenzione di prendere un’altra Ford»

«In effetti si, mi ci trovo bene…oh caspio, che cos’è quella cosa?»

«Un drago!» gridò Zack, per la prima volta veramente sorpreso e spaventato «Ragazzi, siamo fregati!Fregati!»

«No, non siamo fregati» intervenne Mark, con una punta di divertimento «Va pure avanti John»

«Si che siamo fregati» insistette il dodicenne «I draghi sono animali imbattibili, anzi direi che animali è un pò riduttivo…da quanto ne so io sono come degli Dei immortali. Mai sentito parlare di …  oh» arrossi e abbassò gli occhi, giocherellando con le dita sulla cerniera della felpa «Può anche darsi che mi stia sbagliando, ecco, magari nella realtà sono dinosauri ottusi, ma non so voi, quella sagoma mi fa sentire …»

«Piccolo?» azzardò Mark

«Si, è esatto… ehi, come lo sai?Anche tu?...»

«Anch’io e sappi che hai detto giusto anche questa volta»

«E allora perché acciderboli gli stiamo andando incontro?!» gridò Zack, alzandosi e sfiorando il tetto dell’auto «Qualcuno fermi questa maledetta macchina! Fermi! Ci teniamo tanto a farci masticare come chewingum?»

«No di certo» rispose John, allegro ora che aveva riconosciuto la sagoma enorme, smisurata ed alata che si avvicinava

«E allora…» stava per ribattere Zack, ma non finì la frase che Mark lo tirò giù a sedere acchiappandolo per la nuca con una presa quasi dolorosa. Il dodicenne non protestò, ma guardò il grosso americano alla ricerca di una risposta a quel comportamento, con uno sguardo serio da adulto a cui non si poteva non cedere e spiegare tutto, quegli occhi azzurrini che si mostravano per la prima volta si mostravano in tutta la loro curiosa limpidezza.

Mark si arrese

«Dimentichi i Dragonieri…forse voi ragazzi li conoscete come Cavalieri dei Draghi e, beh, ecco…»

«I draghi come creature fondamentalmente buone» insorse Zack, sorpreso «Non creature dell’orrore e dell’ignoto. Non horror, ma fantasy» inspirò lungamente, ma non diede all’adulto che gli sedeva di lato la minima possibilità di confermare o completare che già spiegava a se stesso «Fantastico! Questo significa avere conferma di teorie che chiunque direbbe impossibili… draghi! Non sono estinti né dormienti, impossibile … no, sono solo nascosti e intelligenti come noi! Ed io sto per incontrarne uno…oh che acciderboli: chi è il Dragoniere?L’uomo…o la donna … ehm ehm … simbionte?»

«Io sono un Dragoniere!» disse John, gonfiandosi di orgoglio «Ma non di questo drago qui» spense l’auto e aprì la portiera «Ehilà, Shadow ! Ma guarda che stanotte è Halloween e c’è gente anche di notte, sicuro che non ti ha visto nessuno?».

Il drago si fece lentamente in avanti, le nere squame lucide riflettenti la luce, e mosse le enormi labbra nere mostrando le zanne vicine e temibili

«John» disse, la voce serena e vibrante «Puoi stare tranquillo che non m’abbia visto nessuno e se qualcuno mi ha intravisto, beh, avrà pensato senza dubbio ad uno scherzo, un ologramma o qualcosa del genere: l’hai detto tu che è Halloween, no? Avete il Libro della Storia del Ghiaccio e del Fuoco?»

«Boh, l’addetto ai libri è Mark…»

«Spera per il vostro bene» ringhiò la creatura con un accento minaccioso raggelante «Che la Storia del Ghiaccio e del Fuoco sia qui, perfettamente integra, chiaro?»

«Chiaro» rispose Mark, scendendo dalla vettura e mostrando il volumetto finemente rilegato

«Eccolo. Mi sembra integro, no?» accarezzò la copertina di cuoio graffiato con due dita, poi porse il libro al drago, che lo prese fra un gigantesco pollice e un enorme indice squamoso, esaminandolo

«Questo qui?»

«Si, quello lì»

«Bene, siete stati molto bravi. Artenair ha detto che siete momentaneamente congedati da ogni missione a partire dal momento in cui mi avreste consegnato il libro» Shadow si fermò per seguire con lo sguardo la piccola utilitaria blu di Harry che schizzava via sperandolo a velocità piuttosto elevata, poi sorrise «Ma penso che Sara ve lo abbia già detto, giusto?»

«No» sbottò Mark, incrociando le braccia sul petto «Non è neanche arrivata»

«E allora» ridacchiò, il petto possente scosso da una sorta di piccolo terremoto «Com’è che ci ha appena superati come se niente fosse?»

«Ahh!» fece John, sollevano l’indice sinistro «Allora Harry non ha preso lezioni da Sara!Invece è Sara che ha preso la macchina di Harry…un classico»

«Prendiamoli» ruggì Mark, già seduto al posto di guida e con le mani sul volante «Sali John, guido io!Grazie Shadow, sei un tesoro di drago, non so che farei senza di te!»

«Anche tu sei un bravo umano» rispose Shadow, agitando minacciosamente la coda mentre osservava il veicolo semidistrutto allontanarsi spinto al massimo.

Sorrise pensando di essere un drago fortunato ad avere il simbionte cavaliere attualmente più forte e sconsiderato di tutto il panorama della dragoneria moderna, quel grosso americano capace di trascinare nei guai mezzo mondo e poi tirarlo fuori senza fare una piega.

Era come gli eroi dei film. Non era credibile, no, era surreale, ma la realtà spesso giocava questo genere di scherzetti.

Shadow aprì le enormi ali traslucide e con un balzò spiccò il volo. Risalì velocemente fra le nuvole nere come il suo corpo possente eppur slanciato, confondendo la sua sagoma contro il cielo, rendendosi invisibile. Virò verso ovest dopo aver dato un ultimo sguardo compiaciuto alle due automobili che correvano per il viale e tirò dritto battendo ogni tanto le ali con vigore. Ecco che allora vide comparirei fronte ai suoi verdi occhi una costa alta e rocciosa che a strapiombo cadeva su un mare freddo e lievemente agitato, spumeggiante e verdastro sotto il cielo oscuro.

il drago scese lentamente di quota inspirando la fresca aria salmastra, osservando attento la superficie crespa delle acque, da cui parve sorgere all’orizzonte un isolotto roccioso su cui si inerpicavano le sagome contorte e un pò scheletriche di alberi avvitati su se stessi, magri e scuri. Le chiome erano in qualche modo frammentarie, con gruppi più folti di foglie solo ogni tanto presenti su quelle impalcature di legno spiraleggiante, i nidi aggrovigliati degli uccelli marini facevano capolino perfettamente visibili.

Il drago atterrò con delicatezza sull’isolotto e, come si era aspettato, scorse un suo simile dal corpo grigio seduto non molto distante con le ali aderenti al corpo.

«Salve Artenair» disse Shadow, raccogliendo le membra fino a sembrare una gigantesca cappa nera e chinando il capo

«Benvenuto o figlio della notte» rispose l’altro drago «Hai portato la Storia del Ghiaccio e del Fuoco?»

«Si» sporse una zampa da sotto le ali con cui si proteggeva il corpo dal vento e poggiò a terra, fra di loro e di fronte a lui, il volume «Eccolo»

«Perfetto. Devo assolutamente complimentarmi con te per come hai forgiato il tuo umano»

«Ma no…non ho fatto nulla, Mark è sempre stato così»

«Sei troppo modesto, ma per dirla tutta sei stato straordinario. Anche Mark ovviamente lo è stato: vi siete temprati a vicenda, influenzati l’un l’altro per meglio comprendere i vostri mondi diversi. Sono cinque anni ormai che siete drago e Dragoniere uniti…»

«… Quasi cinque anni»

«Già, quasi. E nonostante  tutto siete legati come coppie che conobbi e che erano unite da decine e decine di anni. A volte da centinaia di anni. Avete imparato a condividere e il vostro sapere e lavorare sfruttando talenti complementari. Avete tutta la mia ammirazione»

«Ringrazio…»

«Di nulla…piuttosto» le sopracciglia grigie e squamose si inarcarono, l’intera espressione del suo volto divenne più seria e minacciosa, e quando parlò la sua voce era divenuta ancora più profonda

«Ti ricordi di quell’ultimo uovo rimasto?»

«Uovo?Oh, si…il terzo»

«Esatto. Dal primo nascesti tu, il drago oscuro figlio di Ermes, dal secondo nacque Aureo il drago bianco, figlio di Orotagon, ma il terzo non si schiuse. Come sai già sia tu che Aureo avete scelto Dragonieri del mondo esterno a Horn Blu Island, Mark e la giovanissima Nadia. Anche il terzo uovo, adesso, ritiene che i tempi siano maturi per schiudersi e reclama il suo simbionte»

«Un umano del mondo di fuori» indovinò Shadow, socchiudendo le pesanti palpebre sugli occhi di smeraldo

«Esattamente. Il problema stava nel capire chi fosse fra migliaia e migliaia e migliaia di validi candidati. Un tempo si pensava che i draghi scegliessero solo umani giovani, fra i sei o i dodici o tredici anni, ma poi tu scegliesti un ultraquarantenne e sfatasti un mito che era rimasto in voga per milioni di anni. Quindi il nostro campo di ricerca era enorme…ma l’abbiamo trovata»

«Una lei?»

«Si, una ragazza. Tredici anni. Perfetta»

«Come sai che è veramente lei?» chiese Shadow, anche se ricordava perfettamente che i poteri di Artenair, dettati dall’antico sapere delle passate dinastie draconiche, erano tanti e tali da poter determinare con precisione chiunque, qualunque Dragoniere, inquadrando perfettamente il carattere desiderato dal prossimo nascituro: quando Aureo era nell’uovo, già il dragone grigio aveva trovato il modo per contattare Nadia, il dragoniere, e, da quanto Shadow ne sapeva, la stessa cosa era accaduta anche con il suo uovo e Mark.

Artenair sorrise solo a metà, alzando una angolo della bocca, e i denti aguzzi scintillarono

«Mi dispiace» disse «Ma questo è un segreto che è permesso di conoscere solo ai draghi guardiani»

«Ma io voglio diventare un drago guardiano»

«E fino al giorno in cui non lo sarai divenuto non rivelerò un arte così sottile, ma posso dirti, alfine di aiutarti a comprendere, che per una cosa del genere è necessario innanzitutto saper leggere il pensiero di una mente capace solo di pensiero primitivo, di pensiero arcaico e non … formato come noi concepiamo un pensiero, ed interpretarlo, qualcosa di molto difficile»

«Capisco» Shadow sospirò e tornò allegro «Allora lei…chi è?»

«La ragazza si chiama Sarah, McConnor, Sarah con la h finale. Beh, è irlandese…curioso come il popolo irlandese sia prediletto dai draghi, no?»

«Già, curioso..come parla con noi se è irlandese?Parla gaelico, giusto…beh, il moderno gaelico … spero che non si irascibile come i testa dura irlandesi che conosco io»

«No» stavolta Artenair sorrise davvero, gli occhi azzurri illuminati da una scintilla di divertimento

«E poi vive in America, negli Stati Uniti, insieme ai suoi zii. Beh, zii. Credo abbia solo una zia, ma questi sono dettagli»

«Fantastico!Dove esattamente?»

«Un vecchio Ranch texano, lì dalle parti di Austin. Se tu fossi disponibile…»

«Ho sempre desiderato reclutare e addestrare un giovane Dragoniere in prima persona…oh» l’entusiasmo del dragone oscuro sbollì d’un tratto

«Dimenticavo che lei è una ragazza del mondo di fuori, non ci conosce, potrebbe spaventarsi vedendomi»

«Legge libri sui draghi. Ama i draghi» intervenne Artenair «E anche se sarà Mark a cercarla, avvicinarla e reclutarla, ti giuro che sarai il primo drago che lei vedrà. Beh, dopo il proprio. E ti vedrà molto presto. Potrai addestrarla, sarà la tua allieva. Che ne pensi?» 

«Io…»

«Ma se non ti va posso sempre affidare il compito a qualcun altro…»

«No, no, no» si affrettò a dire Shadow, sprizzando gioia «Sono onorato, davvero!»

«Bene» Artenair gli fece l’occhiolino furbescamente, poi si alzò in volo a mezz’aria con un paio di potenti battiti d’ala e concluse «Fra due settimane verrò a trovarti per dare il via all’operazione, fino ad allora non fare niente di sconsiderato»

«Sai che non sono uno sconsiderato, quindi contaci».

Il drago grigio si allontanò nel buio velocemente, le ali traslucide e potenti batterono ritmicamente nel buio e in breve l’enorme corpo opaco scomparve fra le nubi fattesi ancor più pesanti, dalle quali iniziò a scendere una pioggerella fine fine, una dolce cappa d’acqua ticchettante che coprì ogni cosa.

Shadow alzò la testa fiera e annusò il vento con discrezione, gli occhi puntati all’orizzonte che brillavano smeraldi imperscrutabili di una luce di speranza. La brezza gli scompigliava l’irta criniera di peli neri che gli cresceva al centro del collo pesante, bagnata, gli artigli dorati stretti sulla roccia ricoperta di fine limo molle e freddo raccolto su di essa, uno strato di sabbia zuppa.

Pensieri nella mente giovane del drago nero volarono oltre il mare, in posti lontani, fra creature lontane e tornarono indietro portando risposte e racconti, immagini.

Shadow sorrise ed aprì le ali, si piegò sulle zampe posteriori e scattò verso il cielo.

Iniziava ad albeggiare, un sole rosso giallo sia alzava timido all’orizzonte specchiando la sua immagine di luce sul mare scuro, anche se offuscato dalla pioggia e da una nebbia sottile, eterea, dorata, che si levava lenta come pigro fumo troppo chiaro.

Il drago tornò indietro verso al terra ferma, dall’alto della a posizione osservò le distese verdi, gialle, rosse di foreste selvagge scosse dal vento, boschi del nord avvolti dalla bruma mattutina; da essi si congedò con un cenno soddisfatto e poi volò oltre il mare di nuovo, scuro e veloce fra le nubi, una scheggia lucente ed alata decisa a non fermarsi. Presto sarebbe tornato a casa…presto. Ed infine, dopo un intervallo di tempo che a lui, creatura immortale, parve un nonnulla, giunse.

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Capitolo 10
*** Con la forza del lupo ***


Capitolo 6

Con la forza del lupo

 “Sorge la bestia nera dal cuore    

sorge immane senza farsi implorare

Cantando alla luna di sangue e dolore

I Grandi lupi dovranno tornare”

 

Erano passati tre giorni da quando Shadow aveva lasciato l’Irlanda del Nord, il maniero maledetto.

Ora era in Texas, intorno a lui si stendeva un paesaggio meno suggestivo, meno naturale e molto meno freddo di quello irlandese. Il drago respirava profondamente, allargando le narici e tirando fino a sollevare la polvere da terra, poi espirava creando una piccola tempesta di sabbia che impolverava gli arbusti a qualche decina di centimetri dal suo naso.

Aspettava Mark al limite di un boschetto un pò arido che confinava con un grosso e fruttuoso allevamento di vacche da carne.

Era un fatto alquanto curioso che il padrone di quei bovini non ci fosse mai e tornasse solo la sera tardi, ma era anche vantaggioso perché Shadow così poteva andare liberamente in giro senza timore di essere scoperto. L’unico garzone presente con costanza per tutto il giorno sembrava dormire in piedi e s’interessava  più delle telefonate della sua ragazza che dell’arrivo del drago e qualche volta lo ignorava, pur vedendolo da lontano.

Shadow rise fra se e se: magari il ragazzo lo scambiava per una mucca gigantesca. E poi, dopo la risata, uno strano sapore amaro gli invase non la bocca, ma il cervello: molti giovani avevano dimenticato come si fa ad immaginare. Come si può scambiare un’ombra per un mostro, come si può vedere una tigre in un gatto.

I ragazzi di oggi non avevano paura dei mostri, si preoccupavano dell’AIDS, degli assassini, dei rapitori, dei ladri, del conto in banca che sparisce con lenta costanza, di perdere la ragazza, di tutto, insomma, tranne di quello di cui avrebbero dovuto avere davvero paura.

Shadow meditava sull’ opportunità di far prendere al garzone un bello spavento balzandogli davanti e ruggendo, ma il suo timore era che il ragazzo sarebbe svenuto o peggio. Un ragazzo che non ha paura di un drago non ne ha mai visto uno, un ragazzo che non ha mai visto un drago non saprebbe come comportarsi in certe circostanze.

Proprio in quel momento il garzone uscì dalla casetta lontanissima, il cellulare attaccato all’orecchio. Era un italiano, capelli scuri, uno sguardo un pò vuoto, un corpo definito sotto la tuta da lavoro blu. Era abbastanza magro, ma aveva i polsi grossi, come se sotto i muscoli allungati e l’assenza di grasso si celassero ossa robuste come quelle di un orso.

Il dragone nero sorrise nel guardarlo, riusciva a divertirsi anche da solo. Quel giovanotto era, come si dice, una bomba di comicità.

«Mi manchi» diceva al telefono, in un languido italiano dalla pronuncia un pò romana «Davvero Alessia, ti giuro. Farei di tutto per essere con te adesso…si…si, si…ma, dai?Olà!Io sono sempre qui al solito posto. Si» rise con una risata sguaiata e quasi volgare, di certo poco intelligente «Vacche. Alla miseria, già!Sto a guardare le vacche di un certo mr.Conway, un cowboy che non ti dico…è tutto uguale a un toro, ci ha ‘na panza che er toro se spaventa anzi, c’ha la gobba ed è una bestia epica…non mi stupisco che c’ha pure le corna come i tori, sto mr.Conway…ah, te l’ho già detto?Ma che voi se me fa impressione er bestia?E te che mi racconti?» i mise a passeggiare e sparì dietro la casupola mentre la sua voce acerba, con un tono che sembrava praticamente sempre autoironico, si spegneva sulla parola “bacio”.

Shadow ridacchiò quando percepì un’aura familiare avvicinarsi e cercarlo

«Mark?» mormorò, strizzando gli occhi per vedere meglio    

«Si sono io» rispose cupo il grosso umano, comparendo da dietro agli alberelli accanto al drago sdraiato.

Il drago piegò la testa da un lato, quasi sfiorando terra con la guancia

«Come è andato il viaggio?» chiese, curioso

«Avrebbe potuto essere più piacevole … »

«Pensavo che aveste preso il miglior jet del campo e sei stato scomodo?»

«Qualunque cosa è scomoda dopo che hai viaggiato almeno una volta a dorso di drago» disse l’uomo, sincero

«Ah, vedi che in fondo sei un tenerone! Che cosa carina da dire, grazie…»

«Non è una cosa carina da dire: si chiama “reclamare la propria comodità”. Non lo hai mai sentito?»

«Non da te perché non te ne frega niente di stare comodo. Mi chiedo a volte se percepisci il dolore…non fare l’offeso dai!»

«Ma tu sei un drago o la mia fidanzata?» protestò Mark. Era quasi arrossito, più che altro il pallore comune e soffuso della sua pelle si era colorato di un tenue rosa.

«Decidi tu» Scherzò Shadow «Pertanto … »

«Se fai una battuta idiota» lo interruppe il Dragoniere «Me ne vado a casa che sono stanco morto, va bene?»

«Perfetto»

«Perché hai voluto che venissi? Cosa devi dirmi?»

«Messaggio di Artenair, ehm, ehm» si schiarì al voce con un colpetto di tosse, il che, fatto da un  drago, è un pochetto impressionate, poi declamò »Tre le uova che erano rimaste, io, Aureo e l’ignoto. Ma anche l’ignoto vuole uscir fuori, vuole vedere la luce e trovare il suo Dragoniere. I tempi sono maturi»

«Chi è il nuovo Dragoniere?» chiese Mark, senza tanti preamboli

«Una ragazza tredicenne. Irlandese, sangue dei celti come al solito, ma vive nella nostra zona»

«Curioso…»

«Già. Sai, è esattamente quello che ho detto io»

«E come si chiama la ragazza?» domandò, neutro come se s’informasse del tempo di Berlino

«Sarah McConnor…oh»  si affrettò ad aggiungere «Sarah con la h finale»

«McConnor?La nipote di Ariana?»

«Ariana?»Shadow non pensava che sarebbe stato così facile trovare e contattare la nuova, giovane Dragoniere. Ma dimenticava che Mark conosceva mezzo mondo e che mezzo mondo conosceva lui e lo ammirava.

L’uomo annuì lievemente nel suo modo inquietante

«Ariana. Una signora patita del giardinaggio. Sta due fattorie più in là della nostra ed ha una nipote che si chiama Sarah, nata in Irlanda e venuta qui alla morte di sua madre»

«Bravo il mio informato!»

«Questo almeno me lo sono ricordato…»

«Sai, a volte credo che sottovaluti le capacità del tuo cervello»

«Dico quanto so»

«Ah, ragazzaccio, quanto ti voglio bene!» Shadow gli fece il molto poco draghesco segno del pollice alzato nel segno dell’O.K., un enorme pollice nero con le lamelle più chiare e morbide sul polpastrello che culminava con un unghione dorato un pò ricurvo, macchiato d’uno sfumato color caramello «Niente segreti fra noi» concluse con uno schiocco secco delle mascelle che voleva essere minaccioso.

Mark si guardò le punte degli stivali neri,  che si stagliavano contro il terreno chiaro

«Niente segreti» rispose e all’improvviso non potè né tantomeno volle nascondere più nulla «Senti, Shad, sono stato morso da un uomo lupo a villa Voratten»

«Coome?» il drago scattò in piedi e nei suoi occhi si lesse lo sgomento e la paura «Tu?»

«No, non ancora!» ringhiò l’umano «Non so ancora se avrà effetto, se sarà una trasformazione immediata, se non saprò controllarmi…»

«Lo faccio sapere ad Artenair e poi ti dico…»

«Va bene» Mark si sfregò le grosse mani come se fossero gelate «Io vedo allora. Ci vediamo»

«Ci vediamo»

L’uomo si allontanò lentamente. L’Harley Davidson nera, la fiamma bicolore disegnata sul serbatoio, lo aspettava sotto il sole del Texas, docile e brillante sulla stradina troppo modesta per il suo motore potente e le sue cromature preziose. Il “mezzo dei duri”, l’avrebbe definita qualcuno. Ma per Mark il vero mezzo dei duri, era quello con il lanciafiamme e le lame incorporate, era uno e diverso: il suo drago.

Partì rombando e sparì lungo la strada, oltre il torrido orizzonte.    

Shadow fu quasi divertito dal pensiero che un uomo lupo andasse in motocicletta. Quell’uomo lupo era suo, il cavaliere nero del drago oscuro. Il duro adorabile…o almeno Shadow pensava che lo fosse. In realtà non era affatto adorabile in senso di “tenero”, ma più che altro per il fatto che si faceva adorare come un dio in terra, un dio della guerra per alcuni, un dio salvatore per altri e per altri ancora il demonio risalito dall’inferno per ucciderli fra atroci tormenti. Ma un vero buono, ma di quelli anche un pò ingenui, Mark non lo era stato mai.

Shadow si ricordò all’improvviso di dover contattare Artenair. Si recò in un posto più sicuro volando e atterrò su una terra dure e secca, in un luogo che non aveva nulla da invidiare alla savana della lontana Africa.

Chiuse gli occhi e liberò la mente che la tenevano del tutto avvinta al corpo, liberandola.

Sulle ali di un corpo astrale attraversò un pezzo d’oceano, più veloce del più veloce degli aerei più leggero del più leggero dei gas, alla ricerca della mente di un proprio simile. Cauto chiese d’entrare nella psiche d’argento, ingarbugliata come una matassa di fili di una seta sottile, la smisurata anima di Artenair drago grigio.

“Che c’è?” Chiese Artenair, accogliendo Shadow nell’avvolgente calore dei suoi pensieri. Aveva una voce mentale serena, tranquilla e profonda, che non tremava, ma riverberava in lunghi echi lunghi e bassi, piacevole sottofondo.

“Abbiamo un grosso problema” comunicò Shadow “Un problema che mi angoscia”

“Di che si tratta?”

“Un uomo lupo ha morso Mark. Un uomo lupo!”

“Non un lupo mannaro?Non un lupo ombra?Era proprio un uomo lupo?”

“Proprio un uomo lupo” confermò, malinconico   

“Ma a tutto c’è un rimedio…”

“A tutto?”

“A tutto. Hai fatto bene ad informarmi”

“Lo sapevo che facevo bene. Mi fido, sire, mi fido con ogni fibra di me stesso. Non voglio perdere Mark, non voglio proprio adesso che siamo vicini alla fine di questo assurdo conflitto, proprio ora che lo sto imparando a conoscere…”

“Esatto, stai imparando…non sai ancora che fu già morso da un uomo lupo, tempo fa?

“Come?No io, io ho sempre pensato che solo i lupi mannari…si, insomma, che Mark avesse avuto scontri solo con i lupi mannari e che non…insomma”

“Ah, normale che tu non sappia, fu molto tempo fa, quando non eri neppure nato”

“Come mai non si trasforma?”

“Per via del suo DNA… e comunque si trasformò eccome. Quello che vedi oggi un tempo non era certo tale”

“Mi sembrava avesse qualcosa di lupesco!”

“Si, per essere precisi ha la ferocia e la forza fisica compatta dell’uomo lupo, tratti più ferini e in generale una propensione spiccata per la vita nei boschi e i disprezzo per gli umani”

“Solo questo ci mancava mò”

“Dove hai imparato il mò alla romana?”

“Ah…” Shadow rievocò l’immagine del sedicenne italiano che parlava al telefono facendo le proprie frasi di buffe esclamazioni “Questo qui mi ha insegnato!Piuttosto: quindi Mark quindi Mark non subirà alcun cambiamento, è già un uomo lupo, giusto?”
“Si e no…”
“Ma come si e no?!”
“Lascia che io ti spieghi perché è una lunga storia, lunga, assurda e, personalmente, la trovo davvero bellissima”
“Va bene. Voglio sapere”.

Una pausa piena di significato, nitida, sena echi, senza tensioni inutili, una pausa che serviva unicamente a sottolineare a sottolineare l’importanza di quello che si stava raccontare

“Molto tempo fa”  scandì pulita una voce narrante “Ti parlo di parecchi millenni, la razza umana fece un patto con i druidi, ma questa è una storia che probabilmente saprai: i sacerdoti celti della foresta ottennero di poter prendere dalla categoria più robusta, più pronta e potente degli Homo sapiens sapiens un ragazzo, o anche un adulto dirai, per donagli i loro stessi poteri, legarlo ai propri riti, usalo per proteggere i segreti della loro arte magica. Proprio per quest’ultimo compito quest’uomo venne chiamato l’Oscuro Ministro, colui che amministra ed oscura i suoi tesori. Nei secoli vi furono diversi Ministri perché nessuno di loro,neppure i Dragonieri, ebbe mai l’immortalità: il prezzo da pagare per potere ottenere quegli infiniti poteri era la giovinezza.

La magia che scorre nelle vene di un Oscuro Ministro lo consuma, lo invecchia.

Ma sai cosa accadde?Un bel giorno i druidi e draghi decisero di creare un Ministro, beh…a lunga conservazione.

Non eterno, però…almeno nel corpo. Ecco, si: creare un essere capace di reincarnarsi dopo la morte del proprio corpo. Passarono anni perché l’idea venisse ultimata praticamente e i druidi decisero: il Ministro Oscuro che avrebbero creato questa volta sarebbe stato l’ultimo. E a lunga conservazione oltre che reincarnabile.

Geniale, no?Ovviamente l’ultimo Ministro è quello in carica, è Mark.

Tutto questo per dire che, essendo un Ministro Oscuro, Mar ha un DNA piuttosto particolare: gli venne modificato da ragazzo, ma da quanto si racconta era già un diverso anche prima e proprio per questo fu scelto.

Straordinario, no?”
“Si, davvero”
commentò Shadow, meravigliato “Non avevo mai pensato a certi aspetti di questa storia…”

“E non finisce qui di certo!Fattosi adulto e ormai quasi del tutto consapevole del proprio compito, Mark fu morso da un uomo lupo. Un ermete. Gli ermeti sono proprio una rottura, per usare un termine di tuo padre Ermes, e dicevano di essere adoratori ma erano la mia nemesi. Beh, gli ermeti avevano fatto i conti malissimo proprio: il morso del loro inviato potenziò solamente il loro nemico. Però da allora la struttura pesantemente ritoccata del DNA del tuo Mark divenne instabile come il suo umore, ma gli permise di adattarsi a molte situazioni di stress estremo. Il colpo di grazia lo diedero gli elfi: magia. E con la loro stupida magia, usata sconsideratamente sudi Mark per donargli la vista acuta di un elfo, modificarono ancora la struttura biologica del suo corpo. In conclusione: ogni reazione del fisico e della mente del tuo Dragoniere è pressocchè imprevedibile. Ma io qualche idea ce l’avrei!”
“Che genere di idea?”

“Te lo dirò con la luna piena”
“Ehi aspetta, non puoi…”.

Niente. Shadow era stato repentinamente, irrimediabilmente, dolorosamente buttato fuori dalla mente di Artenair, che ora era protetta da barriere impenetrabili e scivolose. Nessun rancore: il giovane drago nero era consapevole che era per il suo stesso bene, anche se non capiva in che modo. Ma Artenair non poteva volergli male: …almeno sperava che così fosse.

Shadow si addormentò così, lì dov’era, pensando che c’era ancora una salvezza, l’ultima sponda o forse la seconda, non la prima. Ma in fondo se lo sentiva che Mark non sarebbe diventato un mostro incontrollabile. Al massimo un mostro controllato.

E puff, nel buio del sonno senza sogni.

 

Ancora una volte venne l’alba del giorno dopo, ancora una volta si riempirono gli uffici e le città di brulicanti traffici, di eleganti impiegati, signore e signorine, grandi e piccoli sotto il dominio di un nuovo presidente degli Stati Uniti. Barack Obama aveva vinto, l’uomo più potente del mondo era un uomo dalla pelle scura, sorriso affabile, sguardo … come descrivere quello sguardo? Simpatico … ma era un negro! E allora? Beh, era il primo presidente degli Stati Uniti di colore! Una grande conquista? Si parlava di abbattere le barriere e roba del genere, quindi a quanto pare, doveva esserlo.

Eppure c’era chi non si stupiva e neppure si preoccupava di vedere Obama come l’uomo più potente del mondo. Alla fine Barack era pur sempre un uomo, di grandi ideali, con ampie vedute, perché non avrebbe dovuto essere lui il presidente?
Harry lo guardava interessato comparire nella piccola televisione del suo studio al dodicesimo piano. Era l’unica cosa da fare guardare la TV in un posto e in un giorno come quello.

La stanze era semplice e luminosa; pareti bianche, una scrivania di legno chiuso e un metallo leggero, un armadietto grigio con l’anta socchiusa da cui cadevano un paio di fogli scarabocchiati in blu, calendari formale appiccicati con lo scotch ai muri e un balcone abbastanza ampio che dava all’esterno.

Harry adorava quello studio, lo sentiva solo suo, come un pezzetto della sua personalità, ma quel giorno lo trovava noioso e banale. Aveva appena ultimato di lavorare e gli sembrava stupido rimanere lì.

Obama scomparì dallo schermo della TV così com’era apparso, con troppo preavviso.

Harry sbuffò, si alzò, prese la valigia e decise: avrebbe visto cose che non vedeva di solito, sarebbe andato in giro senza badare a dove finiva o a quanto spendeva … tanto era single!

E Boston, la mitica città del rap, si stendeva radiosa e inesplorata di fronte a lui, invitante come non mai. Harry ci abitava, è vero, ma ogni volta che la sentiva nominare, immaginava un luogo straordinario, lontano, ed anche un pò spaventoso.

Scese in strada senza usare l’ascensore, facendosi di corsa tutte le scale. Il fianco, sotto la camicia azzurra, gli faceva ancora male, ma che importava? Chi lo vedeva venir giù come un ciclone color del cielo e i capelli neri come uno scarabocchio scompigliato, non poteva fare a meno di sorridere. Una signore abbronzata, vestita di bordeaux dalla testa ai piedi eccetto per un fermacapelli con una farfallina gialla, lo fermò richiamando la sua attenzione

«Harry!Dove vai di bello?Hai una faccia sognante … » gli disse, ironica, ma anche curiosa.

Non le era mai capitato di vederlo così contento, con quell’espressione strana, selvaggia, un pò persa, a quando era entrata la prima volta in quel posto.

Il ragazzo sorrise, radioso come immaginava fosse il mondo

«Vado a fare un tour» rispose, quasi canticchiando

«Un tour?»

«Eh, già…ci sono tante cose che non ho mai visto e tante che voglio vedere. Sono giovane, signora mia!E vivo già come il mio vecchio papà, fra il divano e la televisione…»

«Divertiti allora anche per me!»

 «Certo Helen, anzi ti porterò un regalo» promise, schizzando via.

Traffico, gente, un miscuglio di colori. Colori di città. Ma non era quello che Harry stava cercando.

Perdersi, reinventarsi, immaginare e  immaginarsi in nuovi contrasti. Libero di essere come gli pareva, lugubre o fantastico, ingenuo o esperto, folle se gli andava. Si, folle e unico!Lontano dalle convenzioni e dalle convinzioni, lontano dalla gente che lo conosceva come Harry il buon borghese, Harry il bravo figlio di papà.

Si allontanò tranquillo fra la folla, avanzando su un banale marciapiede cittadino e chiedendosi perché stava per fare quello che stava per fare. Ma come perché? Perchè era una cosa bella!

Di lato a lui scorrevano negozi colorati, scintillanti, profumati di maionese e bacon o risuonanti di musiche allegre come lo era lui. Altro che grigiore!
Una limousine bianca gli sfilò di lato, un autista annoiato e sonnacchioso, elegante, bruno, degnò appena di uno sguardo il giovane e poi tornò a guardare dritto. Chissà, forse anche lui avrebbe voluto essere libero.

Harry proseguì. “Un gioco di destini” pensò, colpito “Questo è alla base di ogni città”. Ed era così.

Destini.

Vite gli scivolavano di fronte, vite di bambini allegri dai capelli del color del grano che reclamavano di poter andare al pokèmon day, di signore costrette nei loro vestiti scomodi e belli, di ragazzi e ragazze innamorati, ridenti, che si tenevano per mano guardando le vetrine e ogni tanto litigavano per finta, leggeri, liberi come il conducente di limousine non era. America.

Una musica rock, dura come un pugno allo stomaco, risaliva tumultuosa da un vicoletto laterale, seguito da risate piene e pastose. Harry proseguì, trascinato, affascinato.

Sentiva che qualcosa di viscerale lo riempiva, qualcosa come un ritmo tribale e antico: allora si immaginò a correre nella savana, poi di nuovo in città, ma ancora padrone di un arpione che aveva ucciso molti pesci e altri animali. Proseguì senza fermarsi, ancora ed ancora.

Poche scarpe serie come le sue avevano calpestato i marciapiedi che conducevano alla periferia.

Quello che ora il giovane vedeva era la città nera. Quella del rap e della malavita…luoghi disordinati, grigi, ma pittoreschi. Harry avrebbe voluto vedere la savana del suo sogno ad occhi aperti, ma vide qualcos’altro che gli piacque comunque.

C’erano un gruppo di ragazzi di colore seduti  su un muretto lontano, due con i capelli rasati cortissimi, tutti vestiti in modo un pò sbracato, giacche larghe su spalle larghe, pantaloni larghi, jeans un pò stracciati, sporchi o finti sporchi con macchie di grasso che erano assolutamente vere.

Harry li guardò con quieto desiderio di essere uno di loro, poi si accorse di essere un bianco.

Scosse la testa e avanzò spedito, quando qualcuno gli si parò davanti all’improvviso e lo fermò.

Enorme e sorridente, il più grosso dei giovani della gang di afroamericani, gli tendeva la mano. Aveva due occhietti simpatici che ispiravano fiducia, denti perfetti e bianchissimi scoperti in un sorriso da gigante buono, braccia possenti, lunghe, da gorilla.

Harry strinse la mano che gli veniva porta

«Salve» disse, intimidito dalla stazza dello sconosciuto

«Salve?» chiese l’altro, dandogli una strizzata alle dita «Come sei formale amico, sciogliti!»

La voce dell’estraneo era un pò sibilante, ma in maniera divertente, con la strana inflessione da bambino degli ingenui, anche se quel tipo ingenuo non lo era di certo.

Harry sorrise, trattenendo una smorfia di dolore

«Va bene»

«Bravo ragazzo» il nero gli strizzò l’occhio e gli lasciò la mano «Mi sembri deluso, amico…mica hai votato per McCain e ora stai giù? Rilassati!»

«No, non ho votato per McCain»

«Tu sei Harry, vero?Comunque il vecchio John McCain era un signore…»

«Si, McCain…come sai che sono Harry?»

«Oh oh oh amico!Tu sei amico dei nostri amici e sei leggenda!»

«Io? Harry guardò altrove, sconcertato e piacevolmente consapevole della sua fama

«Si, tu raga!Sei forte, lo sai?Sei modesto»

«Beh, si, grazie, ma io…»

«Oh, ma dove ho la testa?Mi chiamo Mike»

«Piacere di conoscerti Mike. Hai un nome davvero ehm … classico».

Harry si morse il labbro inferiore: fra tutte le frasi che avrebbe potuto scegliere, aveva detto proprio quella del bravo studente statista, “hai un nome davvero classico”.

Ma Mike non ci fece caso e rispose come se quella fosse una normalissima constatazione

«Si, la mia mamma pensava a Tyson» rise sincero, con la voce piena «Vieni ragazzo» lo invitò «Ti va di farti un giro con noi?Non dirmi che sei pieno di impegni! Rilassati!»

«No, non sono pieno di impegni … » il giovane dai capelli neri stava per voltarsi e fuggire verso il suo ufficio, dove lo attendevano montagne di grafici, ma sogghignò, colto di sorpresa dai propri stessi pensieri «Anzi, oggi non ho proprio niente da fare»

«Perfetto!» Mike prese sottobraccio Harry e lo condusse dai suoi amici «Allora: questo è Scheggia» indicò un tipo smilzo, ma con una faccetta truce da far rabbrividire e il giubbotto bianco «Questo è Barack, ma è solo un soprannome, anche lui si chiama Mike» fu il turno di un ragazzo dall’aria furba un pò più chiaro degli altri, con le orecchie leggermente a sventola «Questo qui invece è Ray»

«Come butta fratello?» ringhiò il presunto Ray, un tipo grosso, largo, dalla voce canina, prendendo la mano di Harry e stritolandola fra le proprie dita grosse e callose come la parte terminale di un rustico manico di scopa.

Il giovane bianco rabbrividì, ma nonostante tutto rispose educatamente

«Bene, grazie»

«Fantastico!Vieni un po’ con noi, fratello» Ray si alzò e s’incamminò.

Tutta la gang lo seguì obbediente: evidentemente il capo non era Mike, anche se era il più grosso, ma Ray.

Dieci minti dopo giunsero a un vecchio garage con la serranda scorticata. Scheggia tirò fuori dalla tasca una chiave con cui aprì la porta del garage e la alzò, mostrando un interno leggermente caotico.

Casse stereo, mixer, una vecchia Harley Davidson rossa, forse rubata a qualche povero ganzo ricco che non ci teneva.

Ray guardò Harry negli occhi con atteggiamento di sfida

«Sai ballare, vero amico?»

«Temo di no»

«Temi? Hai davvero detto che “temi?” Bah:t’insegno io»

«Non sono portato» si schermì il giovane bianco, infilandosi le mani in tasca «Sono una schiappa»

«Sai rappare?»

«Sono un bianco un pò sfigato» disse Harry, come se fosse la risposta più naturale del mondo.

La gang rise, Mike diede una pacca amichevole sulla spalla di Harry, che ridacchiò anche lui.

Una musica veloce salì roccheggiando. Scheggia rispose al cellulare

«Pronto?Oh, come butta sorellina?!Ah bella…alle quattro?Si, si. Stammi bene. Rispetto» chiuse il telefonino con un gesto fluido, disinvolto, straordinariamente carismatico, poi guardò Mike «Ce l’hai ancora il camioncino?» gli chiese

«Si perché?»

«Mah…la mia sorellina stasera ha una festa e non sapeva come trasportare le cose che gli servono»

«Le posso dare una mano… anzi, un camioncino»

«Se ci puoi andare oggi alle quattro è meglio, ok?»

«Va bene fratello, oggi alle quattro…tu, Harry, ci vieni?»

«Io…»

«Hai detto di non avere niente da fare oggi!»

«E va bene, va bene ragazzi, ma adesso mi spiegate, per favore, come fate a conoscermi?» chiese, curiosissimo

«Per una tua amica» spiegò Mike, acchiappando sottobraccio il giovane bianco «Kate “furiosa”»

«Fu … furiosa?»

«Oh, fratello, non lo sapevi? Sembra un angioletto, ma in realtà…mena che è una potenza» ridacchiò «E balla da Dio. Forte lei»

«Non pensavo...»

Harry non credeva che Kate frequentasse certa gente, se la aspettava più in un allegro gruppo di ambientalisti vestiti da cacciatori di coccodrilli, tipo Steve Irwine.

Per poco non rabbrividì figurandosi Kate che ballava su un tavolo affiancata da scheggia, piccolo e smilzo come lei.

“No, no, no” Implorò mentalmente il ragazzo, stroncando la visione prima che potesse divenire troppo imbarazzante.

Scheggia saltò sulla vecchia Harley e mise in moto

«Vado ad acchiappare i panini» spiegò, con uno schiocco di dita allegro «Che volete?»

«Quello che ti pare» rispose Mike, con un sorrisone bianco da Premio Oscar «Però fai bene a voler prendere la merenda, di fame ci muoio!»

«Lo sapevo che lo dicevi» ringhiò Scheggia, scuotendo la testa teatralmente e partendo con un rombo mostruoso.

Scomparve agilmente dietro un fabbricato.

Ray sorrise

«Hai sempre un appetito da pugile, Mike!»

«Che vuoi, bro, sono grande e grosso io!» Mike si passò una mano sullo stomaco «I miei addominali reclamano proteine per rimanere così gonfi»

«Perché non fai il wrestler?» chiese Harry «Potresti fare strada. Il fisico ce l’hai»

«Oh no» il gigantesco nero sghignazzò, ma con bonario divertimento «Il wrestling no: non sono adatto. Farei annoiare il pubblico. E comunque alla WWE non mi vogliono..o WWE oppure niente»

«Il nostro Mike» intervenne Ray, fiero come se stesse parlando di suo figlio «Un ragazzo ambizioso è! WWE…che sogno! Io mi accontenterei di fare il cameraman almeno una volta a Wrestlemania»

«Tutti parlano di Wrestlemania» disse perplesso il giovane bianco, incrociando le braccia «Ma io non so nemmeno cos’è! Perchè nessuno mi dice di che si tratta?»

«Nooo!» ululò Mike, sdraiandosi a terra con aria melodrammaticamente disperata, quasi fosse appena stato colpito al cuore da un proiettile «Non ci credo!Dio, perdona questo bianco miscredente che non rispetta il tuo creato onorando il dovere a conoscere i piaceri della vita!»

«Ma come faccio a onorarlo se nessuno mi presenta niente?» urlò seccato Harry, arrossendo vagamente 

«Wrestlemania» esalò l’uomo a terra, alzandosi lentamente con finta aria sognante «L’evento di wrestling più seguito al mondo…ogni angolo del mondo…gli spalti inneggianti, le luci perfette, i fireworks, le musiche, l’esplosione perfetta di muscoli e tecnica» alzò una mano, tendendola verso un immaginario ring al centro si un immaginario stadio «Ed ecco laggiù il primo incontro. La folla esplode! Tutti uniti! I commentatori gridano nei microfoni!Woooo!Un roll up perfetto, una chokeslam magnifica…no!Delusione. Felicità!Lo stadio si alza. Lì non gliene frega mica tanto se se sei bianco o se sei nero, quello che conta lì è se sei bravo. E per bravo non si intende solo forte. Wrestlemania è il massimo» Mike abbassò la testa e ridacchiò «Bellissimo. Bellissimo Harry!E tu non conosci Wrestlemania?»

«Francamente mi sembri un pò drogato di wrestling» commentò il giovane bianco, scettico «Solo un bambino può eccitarsi così a un evento di uno sport dove tutto è assolutamente finto … »

«SCHERZI?» gridarono i neri in coro, poi quello che avevano chiamato Barack proseguì «Ma che razza di americano sei?»

«Un americano libero e tranquillo» rispose Harry «E che non gli va di guardare il wrestling»

«Noioso» Mike fece finta di sbadigliare e allontanarsi, poi ci ripensò e guardò Harry negli occhi «Quest’anno a Marzo» sibilò «Tu che sei ricco sfondato procuri i biglietti e andiamo tutti insieme a Wrestlemania»

«Si, sarò ammattito, ma si. Sono curioso di vederla questa Wrestlemania» moderò l’ironia, ma non poté fare a meno di nasconderla del tutto

«Bravo» Mike tornò indietro e scosse un pò Harry «Vedi che non sei così noioso?...dove abiti?»

«Perché?»

«Perché così non ci freghi con la storia dei biglietti. Li conosciamo i bianchi carini e profumati come te : promettono una cosa e poi non se la ricordano e non mantengono la parola data. Mai. Allora: dove abiti?».

Harry esitò. Una parte della sua mente urlava a tono follemente alto “Hei!Sono gente di strada, non ci si può fidare di loro, se gli dai l’indirizzo ti faranno la casa a pezzi! Ti sveglierai un bel mattino con tutti i muri pieni di graffiti, la porta bruciata e le finestre fatte a pezzi” , mentre un’altra parte tendeva a fidarsi di quel simpatico gigante lucido e gioviale che lo aveva accolto subito nella sua banda, quasi come un proprio pari…e se quell’accoglienza fosse stata un trucco per guadagnare fiducia e poi frodarlo? Ma allora come facevano a conoscerlo? Come potevano dei ladri essere amici di Kate, la bella e sincera Kate?

Si fidò. E iniziò a parlare

«Lo conosci quel palazzo grigio dove…»

«Lavorano i grafici?» lo interruppe Barack «Si, sappiamo che lavori là»

«Esatto: vedete il palazzo di fronte…beh, non proprio di fronte…quello un pò giallo»

«Ah ah ah»

«Terzo piano» sospirò «là ci sto io»

«Devi avere una bella casetta…»

«Già, ho una bella casetta».

Scheggia tornò veloce, impennando sulla ruota posteriore. Harry non aveva mai visto in tutta la sua vita un Harley Davidson impennata e pensò che non era una cosa normale, oltre al fatto che lo credeva impossibile. Ma era impossibile credere che qualcosa fosse impossibile dopo aver visto i draghi.

«Non vi vedo dalla fame!» ululò Mike,

«Calma fratellone, calma» rispose Scheggia, mettendo in garage la motocicletta e subito dopo avvicinandosi al grosso compagno «Tò i panini» concluse, passandogli un pacchetto oliato che perdeva goccioline di unto.

Mike ci si tuffò e sbranò la prima cosa che capitava, porgendo con la mano non occupata il reso dei panini a Harry, che li prese senza tante storie e con rassegnazione sopportò gli altri membri della gang che saccheggiavano le cibarie dalle sue mani.

Fu in quel momento che Harry capì veramente quanto Boston fosse una città unta. La dovevano chiamare la città del fritto, non del rap…nulla togliendo ovviamente a tutte le sue qualità. Ma forse, per qualcuno, la frittura era una qualità. Harry scartò la merenda.

A metà del primo morso dato al suo panino, troppo esagerato con tutta quella senape messa sul wurstel enorme, molto cotto, si udì un rombo di motociclo lontano, presto seguito da altri rumori altrettanto forti che si avvicinavano.

Lì per lì non ci fece caso. Moto: una cosa troppo comune da quelle parti.

D’improvviso Scheggia fece un salto indietro

«Cani bastardi!Ci sono i biker!»

«I biker?» chiese Harry, sollevando un sopracciglio ma non ebbe tempo di dire altro che Mike lo prese per la camicia e gli ordinò di correre, di nascondersi. Da una curva ampia spuntarono una banda di teppisti grossi come montagne, vestiti di rosso e di nero, occhiali da sole e giubbotti di pelle, su motociclette enormi.

La gang nera e il giovane bianco si andarono a nascondere in un vecchio ripostiglio muffito. Ray si sentì in dovere di dare spiegazioni ad Harry

«Mai sentito parlare di rivalità fra clan?» gli chiese, eloquente

«Si» rispose il giovane bianco mentre uno strano presentimento si faceva strada in lui

«Ecco, quelli là che hai visto sono i Kobra…nome scemo…e non è che siamo rivali, è che cercano di ammazzarci ogni volta che ci vedono. Bastardi biker»

«Ma voi non ce l’avete una casa?»

«Si che ce l’abbiamo!»

«E allora perché non vi nascondete…non ci nascondiamo tutti là?»

«Scherzi?Tempo di uscire di qua e ci beccano …»

«E voi avete paura?»

«Evitiamo risse» spiegò Scheggia, ragionevole «Per loro il nostro compagno, J.T.J, non è qui, ma all’ospedale» si fermò in ascolto, teso, i tendini del collo in rilievo sotto la pelle lucida e scura «Tu senti niente?»

«No»

«I biker sono andati?»

«Penso di si» rispose Mike, accostando l’orecchio alla porta «Non li sento e loro sono fortemente casinisti, no?» sospirò e si passò il dorso della mano sulla fronte «Se ne sono andati» commentò infine.

Aprì la porta, un pannello spesso di truciolato compatto, e uscì in strada. Gli altri lo seguirono ridendo, dandosi anche qualche pacca da “post pericolo”.

Harry si infilò le mani in tasca, ancora per metà spaventato e per metà elettrizzato. Era uscito per una passeggiata e si era trovato a nascondersi con una gang di periferia in un ripostiglio per sfuggire a un gruppo di motociclisti assatanati. Forse era proprio questo, che cercava, il brivido.

«Ehi Scheggia» Disse, curioso «Ma vi capita spesso di dovere scappare da quelli?»

«Abbastanza»

«Ma perchè ce l’hanno con voi?»

«Vorrei tanto saperlo anch’io che vogliono dai noi quei figli di…»

«Te lo faccio sapere subito!» ruggì qualcuno, con una voce bassa, roca, sprezzante.

Harry fu percorso da un brivido e si guardò intorno. I biker li avevano circondati da tutte le parti, grossi come montagne in giubbotto. I Kobra, alla fine si erano dimostrati più furbi di quanto si fosse detto e li avevano presi in trappola.

Quello che aveva parlato per primo avanzò verso Mike. Non era meno grosso dell’erculeo negro, semmai non tonico nell’esatto modo, ma camminava strano, come se fosse infortunato al ginocchio destro. Insomma, piegava male la gamba e tutto il peso poggiava su un lato del corpo. Aveva la barba, leggermente riccia, di un color catrame lucido, e i capelli lunghi un pò sparati come un personaggio dei fumetti visto molto tempo prima da Harry, che ricadevano irti sulle spalle possenti. Occhi di ghiaccio, acuti e odiosi, scorrevano placidi, sicuri, sulla gang degli afro. Si accorsero di Harry.

Un strana concavità, un linea, si disegnò su un lato del viso dell’energumeno bianco quando le sue labbra si contrassero in un piccolo sorriso ricolmo di odio

«E tu che ci fai fra questi poco di buono?» domandò il grosso biker, mentre tutti tacevano

«Io …»

«Harry, da te non me l’aspettavo!»

«Come conosci il mio nome!?» sbottò il giovane, stufo della sua stessa popolarità

«Ah ah» il grosso biker rise, odioso, ma nulla di più.

Harry si arrabbiò moltissimo e balzò su lanciando ogni cautela alle ortiche. Dopotutto era pur sempre un buon borghese e non sopportava certe insolenze da gente di strada

«Senti, brutto bestione! Se pensi di potermi parlare così ti sbagli!»

Il biker si ficcò in bocca una chewingum alla menta, con noncuranza, e si sfregò la fronte sudata. Sorrideva ancora con compatimento, scuotendo piano la grossa testa, poi parlò

«Harry, che caratterino!» si leccò le labbra e per un istante si vide che la punta della sua lingua si era tinta del verde chiaro della chewingum «Però sei poco intelligente a rimanere con quegli sfigati»

«Razzista!» urlò Harry, tendendosi come se in quel modo potesse fare del male al suo avversario

«Ingenuo ragazzino»

«Gorilla inutile! La vuoi piantare!»

«No, non la pianto affatto!» il biker fece un salto in avanti e prese Harry alla gola «Non la pianto, ti sto salvando, ragazzino» .

Per un attimo, nella voce del biker, Harry sentì sincera preoccupazione.

«Lascialo stare!» gridò Mike, lanciandosi contro l’uomo barbuto.

Harry, da sotto, ne approfittò della distrazione del suo assalitore per caricarsi e tirargli una ginocchiata fra le gambe tale da sollevarlo di una decina di centimetri da terra. Nel frattempo, con agilità, intervennero Ray e Scheggia che, insieme a Mike, iniziarono a tempestare di pugni su ogni centimetro raggiungibile del corpo del biker, che ormai rantolava rannicchiato a riccio.

I compagni dell’uomo a terra accorsero in sua difesa.

Harry si vide spuntare davanti un bestione dai capelli corti a spazzola che con un pugno, anche se non ben centrato, lo fece girare e cadere a terra. L’impatto con il cemento gli mozzò il fiato e un sapore aspro gli riempì la bocca, ferrigno, scuro, fluido. Harry si sentì prendere per la collottola e sollevare da terra bruscamente. Nel breve istante in cui fu libero vide Scheggia svenire sotto i colpi ripetuti di tre giovani muscolosi, Mike che sanguinava da uno zigomo spaccato, Barack picchiato in un angolo,Ray gemette sul cemento grigio, poi per un attimo fu tutto buio di dolore intermittente.

Harry si piegò in due a causa di un pugno preso in pieno stomaco, così forte che gli sembrò di essere imploso dentro i suoi stessi visceri. Un male così non l’aveva mai provato, non Harry, non il bravo ragazzo. Cosa avrebbe detto di lui la sua mamma e il suo papà, cosa avrebbero detto a vederlo coinvolto in quella guerra a mani nude, con le unghie e con i denti?

Sangue … denso, rosso, scese dal naso di Harry dopo una capocciata bestiale.

Poi tutto smise di vorticare, tutti si fermarono.

A ordinarlo era stato una voce femminile, ma canina, dura, ringhiosa, una voce ferocemente divertita che intimava di rispettare la sua padrona.

«Lasciatelo andare!».

Infine per Harry divenne tutto buio, stavolta non per un solo istante …

Tardo pomeriggio: una ragazza, piccola e carina, capelli lunghissimi e morbidi, neri come uno schizzo d’inchiostro colato perfettamente, occhi azzurrini, si avvicinò al grosso biker e gli sorrise

«Fratellone» disse, dolcemente «Come va?»

«Male» rispose l’uomo, contraendo la mascella squadrata «Eveline, puoi passarmi un attimo quel cerotto?»

«Certo … hey, guarda, quello si è svegliato!» strillò all’improvviso la ragazza, indicando, Harry.

Il gigantesco fratello di Eveline guardò il giovane con aria seria

«Devi stare attento a dove colpisci» ammonì, allusivo «O puoi farti parecchi nemici».

Harry rimase un pò sospeso fra il reale e il sogno, poi parlò

«Dove siamo?»

«Nel covo dei Kobra … nella tana del serpente» e con la mano mimò il movimento della testa di un animale che scatta in avanti

«Ah … che è successo?»

«Per la miseria, ne hai prese un sacco e una sporta» il biker rise rocamente, il volto grottescamente ferito contratto  la bocca aperta a mostrare i denti stranamente affilati »Ma non sai nemmeno il nome di chi ti ha preso alla gola: James, piacere» tese un’enorme mano guantata di nero, inquietantemente simile a quella di qualcuno già visto.

Harry si soffermò a guardarla

«Ragazzino, ti sei incantato?» chiese burbero il biker

«No» rispose intontito il giovane «Ho avuto un dejavù un po’ impressionante».

Harry strinse la mano di James senza entusiasmo

«Io invece mi chiamo …»

«Harry, si, sei smemorato, eh ragazzo?Lo so come ti chiami»

«Ma non mi hai ancora detto come lo hai saputo!» si lamentò Harry, che comunque una mezza idea ce l’aveva

«Vuoi proprio saperlo? Va bene … Conosci Sara?»

«Sara? Quella Sara?»

«Quella»

«Ma se non ti ho nemmeno detto a chi pensavo!»

«Ma ti si legge negli occhi il terrore, ragazzo»

«Un’informazione: dove sono i miei amici?»

«I neri?» intervenne Eveline, con un grande sorriso «Ma si, stanno bene tutto sommato, qualche contusione e tutti a casa»

«Ma perché ce l’avete con loro?» Chiese Harry, esasperato «Perché dovete portare avanti questo schifo?».

James si strinse nelle spalle e sputò un grumo di sangue, che formò un piccolo cerchio scuro sull’asfalto ancora caldo, poi si grattò una tempia e tirò su con il naso

«Beh, noi, ecco…non siamo solo noi ad attaccare, loro ci fregano le moto e se trovano qualcuno di noi isolato lo assalgono…ma come sia iniziato tutto io non lo so proprio»

«Ma perché continuate?»

«Perché si. Perché siamo cattivi. Perchè se non attacchiamo noi sono loro a farlo….quei disgraziati!»

«A me sembrano brave persone» ribattè il giovane, adirato «Con me sono stati molto gentili!»

«Con te…» James rise. Aveva abitudine di ridere spesso e questo era odioso.

Harry si accorse che altri uomini lo stavano guardando, ma decise di non degnarli di uno sguardo, piuttosto si rivolse all’unica presenza gentile, Eveline

«Posso chiederti informazioni?»

«Certo» rispose lei, tranquilla «Spara»

«Perchè mi avete…insomma, perché prima tuo fratello mi è saltato addosso, poi i suoi compagni mi hanno alzato le mani e poi mi ritrovo qui»

«Volontà dei superiori»

«Ma chi sono questi superiori? Perchè tutti mi conoscono?»

«Tu sei stato a Villa Voratten?»

«Si…conosci qualcuno di quelli che sono stati lì con me…ah, ecco…»

«Conosco qualcuno che ti ha salvato la pelle dai gargoyle»

«E…»

«Le voci girano, ragazzo» intervenne James «E anche se al primo ascolto la storia della villa maledetta sembra una balla gigantesca, sappiamo che le fonti sono attendibili. Tutto il popolo suburbano e motociclista lo sa»

«Sara…» sibilò Harry

«Esatto, sempre lei» confermò James «Una tosta, no?. Non sai quante volte ci ha tirati fuori dai guai»

«Ma che ci fa lei qui a Boston?»

«Non si scorda i vecchi amici.  E poi è giusto così».

Si udì un rombo di motore. Arrivo qualcuno con una bandana rossa, piccolo e nervoso, in sella ad una motocicletta troppo più grande di lui. Eveline gli andò incontro e gli prese qualcosa delle mani, poi tornò da Harry

«Quello lì è Ron, il piccolo» spiegò, divertita «Noi lo chiamiamo il Topo. Tutti abbiamo un soprannome da animale qui. Anche tu»

«Ah si?» il giovane si sfregò una guancia pesta «E come mi chiamate?» chiese

«Il Cucciolo»

«Cucciolo? Perchè mi chiamate Cucciolo?»

«Non lo so. Non di preciso. Immagino perché, secondo le voci che girano, guaivi come un cucciolo spaventato»

«E perché sei piccolo» intervenne James, come al solito irritante.

Harry lo guardò e gli sorse improvvisa una curiosità

«Tu come ti fai chiamare?»

«James, El Kobra» rise rombante «Il capo dei Kobra come lo possono chiamare? Kobra»

«Ed Eveline?»

«Lei è la sorellina del grande Kobra, perciò … la “Vipera Nera”»

«Come mai? Non sembra un bel soprannome la “Vipera Nera”»

«Infatti mi faccio chiamare Eveline» disse la ragazza a mo’ di giustificazione «Ma i nemici mi chiamano la “Vipera Nera” perché posso sembrare dolce, ma … » fece finta di eseguire una mossa violenta di karate colpendo di piatto con la mano e rise di gusto «Scatto come un serpente e li stendo! Zam! Morti!»

«Ma siete tutte così voi biker femmine? Mostri assetati di sangue?»  

«Altrimenti che biker saremmo mai?» ridacchiò. Anche lei rideva spesso, sibilando quasi…ecco perché era “la Vipera”.

Harry decise che era il momento di tornare a casa, se l’era già vista molto brutta e si sentiva uno straccio a mollo nel sangue

«Hey, James … posso tornarmene a casa?»

«Si, dai, ti accompagno con il quattro per quattro» propose il grosso biker, prendendo la chiave da una tasca interna del giubbotto «Dai, vieni!».

Harry si alzò dal muretto su cui era seduto (ma chi aveva avuto la straordinariamente stupida idea di sdraiare un ferito sul muretto?) e si avvicinò al macchinone nero e nuovo posteggiato una ventina di passi più in là, un chiaro simbolo che i biker erano molto più ricchi della gang afroamericana di Ray.

James aprì lo sportello con un rumore secco e fresco e si mise al posto di conducente, invitando il suo ospite a sedersi accanto a lui.

Harry si accomodò sulla comoda seduta e ci sprofondò. La stoffa e la plastica degli interni emanava un forte odore di nuovo, l’autoradio, illuminato d un verdolino chiaro, stava mandando una musica veloce, ma il volume era piacevolmente basso, tale da risultare soffusa.

Il motore partì senza strappi, dolcemente ruggente fece scattare la massa nera dell’auto in avanti, i fari, potenti allo xeno abbagliarono gli altri mentre avanzavano nel buio della periferia poi nella strada che portava al centro della città.

Era sera, niente stelle comunque nel cielo, ma solo si poteva scorgere un elicottero rumoroso che procedeva spedito, forse per andare a spegnere qualche incendio o per inseguire qualche pericoloso criminale.

«Allora Harry» disse James, affabile «Raccontami un pò di te»

«Oggi è stata la prima volta che qualcuno mi picchia» disse sincero il ragazzo «O perlomeno la prima volta che un essere umano mi alza le mani» si corresse immediatamente, resistendo l’impulso di portarsi le mani sulla vecchia cicatrice

«Sul serio?Ah, c’è una prima volta per tutto ragazzo mio» James  cambiò la marcia e svoltò con fluidità e calma «Scommetto che non hai mai neppure guidato una moto»

«In effetti no, non ho mai guidato una moto» Harry fu sorpreso da quante cose non aveva mai fatto in tutta la sua vita e quanto forse non avrebbe fatto mai. Ma di certo avrebbe fatto volentieri a meno di finire in una rissa violenta come quella a cui aveva partecipato quel mattino. Quel mattino?Ma quant’era che non mangiava?Da quando aveva addentato quello stupido panino che non era neppure riuscito a finire.

D’improvviso la macchina frenò, tirando fuori dai suoi ragionamenti il giovane, che vide il faro di una motocicletta emerso dal buio fermarsi a non molta distanza dall’auto.

James annuì a qualcuno che Harry non aveva visto e scese allegro, sbattendosi dietro lo sportello.

Parlò con qualcuno e tornò indietro

«Vieni giù, ragazzo» invitò, con un ampio gesto della mano «Ti deve salutare qualcuno»

«Qualcuno?».

Harry seguì il grosso biker e giunse di fronte a una donna alta, che lo guardava dall’ombra, come una figura spettrale di un qualche cartone animato per giovani adulti, con uno strano misto di interesse e disprezzo che ipnotizzava letteralmente.

Lei battè una mano sulla spalla di James e sogghignò trucemente

«Bravo Kobra…mi dispiace per il tuo povero faccino, ma comunque sei stato bravo…Harry, ragazzo, lo sai che sei molto meglio così pesto?» lo canzonò, sollevando un sopracciglio e assumendo l’espressione di un grosso spinone perplesso. Tutto in lei era ferocemente canino, inspiegabilmente animale, di quegli animali irti e agili, per nulla felina né rettile, dava l’impressione sgradevole di voler mordere l’interlocutore o schiacciarlo in qualche modo, ma Harry le era grato per quella recente volta in cui gli aveva salvato la vita e non la trovava antipatica. Al massimo un pò inquietante e se non altro poco femminile.

James sghignazzò

«Il primo pestaggio del ragazzo» disse, con aria complice e cospiratrice «Tu lo sapevi?»

«Si» rispose la donna, apparentemente senza staccare lo sguardo dal ragazzo «Mark me lo ha detto che è solo un piccolo borghese. Povero piccolo…senti, Cucciolo, che te ne è parso della vita di strada?»

«Indubbiamente» rispose Harry, professionale «Non è per tutti questo stile. Per me no di sicuro. Tu che ne pensi Sara?»

«Che hai ragione, Cucciolo, non è per tutti, solo per chi ha voglia di rischiare. Mondo crudele!E che roba: mi sento crudele al cento per cento!»

«Non mi vorrai pestare?»

«No, non ti voglio pestare, Mark dice che sei recuperabile, sai? Sembra fidarsi di te e così mi fido anch’io» gli tese una mano «Arrivederci, piccolo, io me ne vado da Boston…abbiamo una missione noi donne, io, Kate e Lita … ma se t’interessa venire fai uno squillo a me o a Kate» poi aggiunse con ironia «Tanto lo so che ce l’hai il suo numero, figuriamoci…il mio è questo» gli porse un foglietto piegato con i bordi tagliuzzati e stropicciati «E se invece di me ti risponde Mark, cerca per favore di non spaventarti e saltare sulla sedia, potresti sbattere la testa sul tetto e morire in una pozza di sangue senza che nessuno venga a recuperarti»

«Cercherò» Harry sorrise, nonostante l’ultima battuta non gli fosse piaciuta per niente «E se ti dicessi ora che volessi venire in missione con voi?»

«Ti direi: salta sulla moto, dietro, che partiamo. Ma dovrei anche informarti che correresti ampi rischi e che non ci sarà Mark a proteggerti, ma io a sgretolarti…allora, salta su!» scherzò, indicando la motocicletta, ma Harry si tirò indietro e scosse la testa vigorosamente mostrando le mani in avanti

«No, no,no!Era solo così per dire, non ho nessuna intenzione di rischiare la pelle di nuovo. Sono ancora convalescente: un uomo lupo mi ha dato una zampata che mi ha aperto mezzo fianco!»

«Morso?»

«No, graffiato…»

«Bene. Ah, se ti annoi a star solo chiedi una vacanza e vai a stare da Mark: ha detto che vorrebbe farti proseguire un addestramento o roba del genere»

«Me lo ricorderò»

«Arrivederci Cucciolo!» ringhiò lei, sprezzante, inforcando la motocicletta e partendo alla grande. Strana tipa, anzi, tipa tosta come aveva detto James. Forte, quando il ragazzo era in sua compagnia sentiva sempre una specie di scossa elettrica lungo la spina dorsale. Lei era pericolosa, lo si intuiva, e non avrebbe avuto rimorsi a sparare qualcuno, ma se non la si provocava si poteva stare relativamente tranquilli.

Harry salì sul quattro per quattro e risprofondò nel sedile.

Il grosso biker rimise in moto e lo guidò per le vie della città.

Boston notturna era bellissima. Luci, vetrine brillanti, insegne lampeggianti. Quella era l’America, dopotutto, anzi: gli Stati Uniti d’America, la più grande potenza mondiale!

«Harry» disse James «Mi chiedevo perché ti trovavi con quelli…con i Ragazzi di Ray…»

«Mi hanno fermato per strada!»

«Si,ma cosa ci facevi laggiù?»

«Non c’ero mai stato, sai, nella “bassa Boston”. Volevo vedere, tutto qui. Stamattina mi annoiava alla grande, sai, quattro schizzi e via. Or che ci penso non ho mai finito qualcosa così in fretta in tutta la mia carriera…» si guardò le mani incredulo, riflettendo qualche istante sulla sconcertante velocità d’azione e di pensiero dimostrate quel mattino, poi guardò James, grosso e grottesco nella penombra del’abitacolo scuro, assorto nella guida e nell’ascolto. Ci fu qualche istante di silenzio, poi Harry concluse

«Ho visto abbastanza brutalità, comunque. Io laggiù non ci torno»

«Pensi che quella che hai visto sia brutalità?» domandò ironico James, scoprendo i canini affilati

«Ma allora non sai proprio niente, tu non hai neanche mai visto un documentario su queste cose! Sei capitato nel giorno più tranquillo dell’anno, ragazzo!Tu non hai visto la criminalità…di solito ci trovi spacciatori di droga…chi si ammazza con suo fratello per la droga…ladri, giocatori d’azzardo e cosa anche peggiori. E tutti si picchiano, come diresti tu. Dire che sei stato fortunato a trovarci, siamo i biker più onesti della zona»

«Allora faccio bene a dire che non ci devo tornare più laggiù!»

«Si, hai ragione, credo…forse farei meglio anch’io, ma sai com’è: per me è uno sport»

«Sei ricco, vero James?» Harry lo chiese con l’aria di chi la sa lunga.

«Ricco quanto basta per essere definiti fortunati» rispose il biker, con un colpetto di tosse «Ma comunque si, sono sufficientemente ricco. La strada per me è una scelta e vivo così, a spasso, solo in qualche periodo dell’anno. Sono un programmatore informatico, pensa un pò tu…non sono quel barbaro che sembro, eh?»

«In effetti…» ammise Harry «…si»

«Ma è perché sono solo un estimatore molto spinto dalle meravigliosa Harley Davidson. Pensi che un poveraccio possa permetterselo»

«No, credo di no effettivamente…guidi bene, lo sai?»

«Perché?» scherzò James, lasciando per un istante il volante al solo scopo di impressionare Harry

«Tu te ne intendi molto di guida automobilistica?»

«Abbastanza...» disse fiero il giovane

«Allora ti ringrazio…ero un bravo pilota di rally, poi ho smesso…»

«Perché hai smesso?»

«Per via di una scommessa, ma non chiedermi di che si trattava, perché tanto non te lo dirò…dove devo girare ora?»

«A sinistra, fino al palazzo un pò giallo…ma perché ti sei scommesso la carriera di pilota?»

«Perché ero sicuro di vincere. Ho  imparato la lezione e non ho nessun rimpianto. Non erano le macchine la mia passione»

«Certo: a te piacciono le moto»

«Non moto qualsiasi» rettificò James «Ma leggendarie Harley Davidson» 

«Si, si, si, certo: leggendarie Harley Davison…siamo arrivati»

«Scendi, ragazzo!» ruggì il biker, fermando la macchina. Harry se ne andò davanti alla porta del palazzetto e si girò indietro

«Ehi, Kobra!» esclamò «Ci rivedremo, vero?»

«Se vuoi tirarmi una ginocchiata come quella di oggi mi sa che è meglio non vederci più»

«Ma dai, no!Sei ancora offeso?»

«No, ma mi hai fatto un male bestia ragazzino» ringhiò, sporgendosi dal finestrino e guardando il giovane con i suoi occhietti azzurri e intensi «Comunque può darsi che ci rivedremo, Cucciolo»

«Allora arrivederci Kobra!»

«Arrivederci Cucciolo!»

Il quattro per quattro ripartì sgommando ed Harry rimase solo a guardare la macchia nera e lucida scomparire veloce fra le luci della metropoli. Era stata una bella giornata dopotutto…ma che andava a pensare? Bella? Doveva essere impazzito totalmente. Cercò le chiavi e aprì il portone, ricordandosi vividamente la rima volta che era entrato a Villa Voratten. Così, per scaramanzia, la prima cosa che fece fu controllarsi allo specchio che troneggiava appeso in cima alla prima rampa di scale.

Fu impressionato dalla devastazione lasciata sul suo stesso volto dai pugni di quell’ignoto bestione che quel pomeriggio lo aveva percosso fino allo svenimento. Sotto un occhio gli si allargava un alone scuro e gonfio con un taglio al centro, la mascella era graffiata alla base, all’attaccatura del collo, mentre una delle guance era arrossata come se fosse stata presa a schiaffi violenti.

Scuotendo la testa con gravità, Harry salì fino al suo appartamento ed entrò inspirando l’aria di casa, dolce e finalmente raggiunta dopo tanta pena. Era nel suo nido, tutto come lo aveva lasciato.

Il locale era arioso, luminoso, con grandi finestre pulite chiuse con chiare tendine leggere e diafane. L’arredamento era leggero e moderno, legno compensato e acciaio, due poltrone bianche nel salottino semplice munito di televisore LCD’ da quarantadue pollici a parete con la cornice argentata e sottile, un quadro raffigurante un paesaggio marittimo appeso poco più lontano e la porta marrone chiarissima della stanza da letto socchiusa.

Harry entrò nella sua camera e guardò in giro. Tutto a posto, bene.

Si mise il pigiama, azzurro e vellutato, simile a una tuta da ginnastica, e si mise a dormire. Finalmente senza timori. Fuori dalla finestra brillarono due occhietti gelidi, arcigni.

Inerpicato sul muro del dodicesimo piano, c’era un uomo lupo, in verticale con il vuoto sotto di se per ben dodici piani, le unghie conficcate nell’intonaco e nel cemento. Aveva la pelliccia nera, irta, lunga sul collo come una criniera leonina, su cui scorreva un filo di liquido rosso proprio nel centro, fin sul petto ampio coperto da una camicia volutamente larga e da una croce d’argento, sfacciata, a testimoniare che né le croci, né l’argento potevano nulla contro di lui.

Si leccò un angolo della bocca con la lunga lingua rosa impregnata di quella letale bava capace di trasformare gli uomini, poi balzò via soddisfatto. Aveva trovato il suo bersaglio, aveva terminato il suo compito per quella sera. Balzando di tetto in tetto, facendo lavorare i suoi muscoli sovraumani, attraversò buona parte della città, diretto al suo covo, poi si fermò all’improvviso, e guardò in basso.

Una ragazza e il suo fidanzato si stavano baciando davanti a un bar chiuso.

L’uomo lupo decise che ancora due prede poteva anche permettersele…

Il Sole sorse, per tutti tranne che per quei due giovani innamorati davanti al bar. Di loro non rimanevano che qualche osso rotto e fiumi di sangue, sgradite sorprese per l padrone del bar che stava per riaprire.

Coincidenza curiosa: in quel vicolo erano già tre i negozi chiusi per lutto. Strani lutti fra l’altro, gente scomparsa nel nulla, ragazzi volatilizzati e dati per morti dopo settimane di ricerca ed il ritrovamento di lugubri resti di pasti.

Qualcuno aveva pensato a cannibalismo rituale satanico, ma non sapevano come si sbagliavano.

Nessuno, invece, aveva supposto la presenza di un uomo lupo, surreale mostro, presenza inquietante che da due settimane dominava Boston con il suo morso, incontrastato, incontrollabile e incredibile.

Proprio la sua incredibilità gli consentiva di non essere scoperto e gli conferiva un potere che nessun altro uomo lupo aveva potuto esercitare.

Harry non sapeva niente di quell’oscura presenza quando si recò alla stazione ferroviaria per andare in Texas, da Mark, seguendo il consiglio della sera precedente. Era calmo e ancora un pò assonnato, con le valige piene in mano e già pronto. Aveva indossato i vestiti da viaggio, i jeans comodi e la polo azzurra che gli piaceva tanto e ora aspettava l’arrivo del treno.

Una donna anziana gli si avvicinò, carica di bagagli dall’aria pesante

«Scusami» disse «Hai visto passare di qua uno alto, grosso, con un giubbotto bianco?»

«No, mi dispiace, con un giubbotto bianco proprio no, signora»

«Grazie lo stesso…»

Harry sentì all’altoparlante nominare Austin e si avvicinò al treno appena arrivato. Dieci minuti più tardi, sorseggiava un tè seduto accanto a una mamma con i suoi due allegri figli bruni che si spintonavano, sul mezzo che lo avrebbe portato alla sua destinazione. Aveva già scritto una lettera al suo capo avvisandolo che si prendeva un pò di giorni, ma che non avrebbe smesso di lavorare perché gli avrebbe spedito il lavoro con il computer e che la maggior parte dei suoi compiti erano ultimati e poggiati sulla scrivania del suo ufficio. Sperò di convincerlo aggiungendo che al ritorno gli avrebbe dato una mano d’aiuto in più con la situazione manageriale che lo faceva sempre impazzire.

Per un attimo immaginò il capo che buttava i fogli in aria esasperato e sorrise. Si, lo avrebbe aiutato, gli faceva pena il poveretto…proprio in quel momento udì un grido raggelante, alto e lungo, carico di morte e dolore.

Scattò in piedi e guardò indietro, torcendo il collo spasmodicamente, tanto che d’un tratto sentì i muscoli fargli male.

Il sangue gli si gelò nelle vene a quella visione.

Vide un signore dai capelli grigi accasciarsi al suolo con il volto sfregiato ridotto a una maschera di sangue, la giacca gessata ridotta ad uno straccio impregnati di caldo scarlatto, e un’enorme creatura che veniva avanti, senza neppure guardare la sua vittima uccisa con una solo colpo di zampa. Il treno esplose di urla di terrore e anche Harry gridò, terrorizzato e incredulo.

L’uomo lupo buttò la testa indietro ed emise un verso terribile,un ruggito profondamente gutturale. Contraendo le labbra nere fino a mostrare le gengive ancora sporche di sangue.

Un uomo estrasse dalla valigia una pistola e fece fuoco. BAM!BAM!BAM! Tre volte e nessuna delle tre volte colpì organi vitali della creatura, ma fero in modo solo di far colare tre rivoli di sangue fra il braccio e la spalla possenti del mostro, distruggendo il giubbotto nero pesante.

L’uomo lupo, o quello che era, fece schioccare le fauci e si buttò contro chi aveva osato colpirlo. Con un morso alla gola tranciò quasi la testa dell’uomo, eccitato dal sapore del sangue che schizzava caldo e ferroso nelle sue fauci, carne lacerata e ossa infrante come fragile vetro, senza dargli il tempo di urlare di nuovo, poi si rialzò e guardò tutti i passeggeri come per zittirli.

Come aveva sperato tutti ammutolirono tranne i due figli della signora.

Harry cadde in ginocchio di fronte alla passeggera quando vide l’uomo lupo avanzare verso di lui con sicurezza. Aveva designato la sua preda l’immortale creatura ed ora si accingeva a prenderla, la selvaggia, solida gioia della riuscita imminente si leggeva perfetta in quei suoi occhi di argento liquido e tenebra fusa, in ogni movimento del su corpo nero, slanciato, nelle sue fauci frementi. Come era entrato nel treno senza essere visto?Era enorme, era impossibile che fosse passato inosservato o avesse pagato regolarmente il biglietto ferroviario. Eppure era lì.

Harry ripetè mentalmente tutte le preghiere che conosceva, ma probabilmente non sarebbe successo niente di particolare. E invece qualcosa accadde: due forze dell’ordine entrarono nello compartimento e puntarono le armi sulla bestia. Fu un solo istante quello che ci mise l’uomo lupo per girarsi e balzare quasi raso terra in avanti, abbattendo i due pubblici ufficiali e staccando a uno di loro una mano con un morso sanguinolento che sollevò spruzzi rossi altissimi fino a metà della carrozza, insieme alle urla del mutilato, strazianti. L’altro poliziotto fece per sparare, ma la paura lo aveva bloccato quell’istante di troppo necessario perché le fauci dentate si chiudessero sul polso della sua mano armata e lo tranciassero con uno schiocco secco, tagliando l’osso di netto.

Una strana sensazione ruvida s’impadronì di Harry che balzò in piedi e corse come un idiota contro l’uomo lupo, che a sua volta si girò e abbaiò minaccioso. Ma il giovane non si fermò, furioso e incosciente come non lo era mai stato, un turbine di violenza. Sprazzi di rosso si susseguivano nella sua mente, un dolore offuscante che lo rendeva temibile di fronte agli uomini comuni, ma non di fronte a un uomo lupo.

Sentì spari dietro di se, ma non aveva occhi che per le zanne della bestia sovrannaturale, scoperte, umide di bava e di sangue. Sangue. Macchie rosse lampeggianti di fronte a lui, irritanti come il ringhio cupo e continuo, come i gemiti dei due feriti a terra colti dal dolore della mutilazione da parte di zanne dalle proprietà demoniache. Zanne. Quelle stesse zanne che d’improvviso o colpirono fra la spalla e il collo, squarciandogli la carne, la pelle, le vene.

Ogni dolore mai provato da Harry fin’ora parve una puntura di zanzara al confronto di quello che gli esplose adesso sotto quegli odiosi denti affilati, stretti saldamente su di lui.

Dolore e rabbia. Il giovane americano si piegò e sferrò una ginocchiata al ventre della bestia con tutta la forza che aveva poi gli prese il crocifisso d’argento che pendeva dal grosso collo peloso e glielo portò velocemente verso l’occhio per cavarglielo.

L’uomo lupo evitò di divenire guercio proprio all’ultimo momento, sfilando le due chiostre di denti dalla carne della sua preda e indietreggiando bruscamente. Harry ne approfittò lanciandosi su di lui, che, in precario equilibrio, cade a terra sul dorso con un botto, schiacciando i poliziotti sotto i suoi duecentoventi chili abbondanti di muscoli e pelliccia.

Il ragazzo dai capelli neri, rapito dal dolore, urlò come se non potesse fare null’altro, senza badare a tutto quello che gli accadeva intorno, che appariva confuso e sfuocato, tranne che all’uomo lupo. Una forza nuova gli risalì la schiena e si conficcò nel suo cervello come una lama. Ringhiò, trasfigurato da un’espressione di ira incommensurabilmente inumana striata di dolore, esaltato, più vivo che mai. Non era in se più di quanto potesse esserlo un drogato ubriaco a capodanno, eppure si sentì il vigore e la vita scorrere nelle vene e comandargli i muscoli.

Contrasse i pugni e colpì con furore dappertutto, urlando, incurante degli artigli della creatura che gli riaprirono la ferita sul fianco, strappandogli la camicia in un mare di sangue. Di nuovo le fauci dell’uomo lupo schioccarono verso di lui, strisciandogli sulla gola e lasciando un lungo solco rosso superficiale, come sarebbe accaduto se il ragazzo avesse sbagliato ad usare un rasoio.

Harry gridò e serrò le mani intorno al muso allungato dell’uomo lupo, le dita tremanti che si richiudevano con quanta più tenacia possedevano sul pelo rado e umido di bava, sangue e sudore. In bilico fra la morte e qualcosa di impreciso, Harry colpì a testate il naso della creatura, più volte, caricandosi e poi facendo scendere velocemente il cranio contro la morbida mucosa del tartufo nero un pò rosato. Il sangue lo spruzzò in faccia a intervalli regolari, caldo e leggero.

L’uomo lupo ruggì e cinse le spalle del ragazzo con le braccia, rotolando di lato e finendo di sopra.

Harry, di sotto, non riuscì neppure più ad urlare, compresso com’era da tutto quel peso. Il suo stomaco si rivoltava all’odore pesante di quell’alito al sangue, i suoi polmoni si rifiutavano di dilatarsi.

Il licantropo aprì le fauci, cavo rosso irto di denti lupini, aguzzi.

Una voce nella testa di Harry urlava di fuggire, un’altra di attaccare, ma la parte razionale gli rivelava la pura, sgradevole verità: non c’era tempo né per fuggire né per attaccare, non c’era spazio, non c’era alcuna possibilità.

I denti del lupo erano sempre più vicini, grossi coni bianchi.

Dicono che quando stai per morire ti vedi passare tutta la vita davanti, ma Harry vide con delusione solo ed esclusivamente zanne insanguinate penzolare su di lui, poi la lingua, grossa e umida, lo toccò allungandosi fra e chiostre di bianche lame macchiate e allora il ragazzo seppe che sarebbe morto così, da preda.

Qualcosa in lui si ribellò, ma quando fu colpito all’improvviso perse ogni volontà.

Il suo mondo divenne buio e silenzioso.

Circa sei ore dopo, nel tardo e caldo pomeriggio, l’uomo lupo giaceva in catene in una grande stanza color mattone, pazzo di rabbia, ma inoffensivo così costretto come un cane da addomesticare.

Mark era seduto non molto lontano dalla creatura, a cavallo di uno sgabello d’acciaio, e la guardava affascinato da sotto le palpebre semichiuse

«Il Mostro di Boston» mormorò, il tono basso e rauco modulato che mostrava una nota quasi d’affetto «Quanti ne ha uccisi? Eh, Mostro di Boston?».

L’uomo lupo tirò verso l’umano, tese al massimo le catene dai grossi anelli che lo costringevano su tutti e quattro gli arti e sul collo robusto, ruggendo tutto il suo disprezzo attraverso un vibrare graffiante della gola, gli occhi brillanti d’argento illuminati di una furia cieca. Tirava così tanto le catene che la pelle aveva iniziato a sanguinare, ma sarebbe guarito in fretta da quelle ferite.

Mark si alzò lentamente e gli andò incontro, le grosse mani in tasca. L’uomo lupo reclinò le orecchie all’indietro e smise di ringhiare, si adagiò lentamente sulle quattro zampe e guardò l’umano gigante con un pò di timore, una luce tremolante dietro le iridi di metallo fuso, il muso fremente a metà fra l’apertamente ostile e il ritroso.

Mark tese il palmo destro verso la testa della creatura e l’accarezzò lentamente fra le orecchie, con una sorta di affettuosa dolcezza intrisa però di potere

«Hai combinato molti guai» gli disse piano, contraendo le dita e poi rilassandole «Non sai cosa ho dovuto fare per rimediare un pò e portarti qui, eh Mostro di Boston?».

L’uomo lupo si divincolò, svincolò via dal tocco dell’uomo e fece per morderlo, ma quest’ultimo fu più svelto ad allontanarsi, per sottrarsi da quel morso che poteva fare parecchio male.

La creatura pelosa scoprì i denti affilati e fu percorsa da un brivido che gli rizzò la pelliccia dalla testa alla punta della coda. Non gli piaceva troppo quell’umano, neppure da mangiare, ma c’era qualcosa in lui che lo rendeva spaventevole, pericoloso, e non era la taglia, ma qualcos’altro nella sua fisionomia e nella sua voce roca.

Lo guardò, argento perso in quelle iridi di boschi glaciali, tremò, ma non lo odiò. Lo sopportò come si sopporta un fratello di branco molto molesto, ma come avrebbe voluto dargli un paio di morsi per fargli vedere chi comandava!

Mark si allontanò

«Stammi bene, Mostro di Boston» raccomandò, accompagnando le parole con un gesto della mano, poi si incamminò per il corridoio tranquillo e raggiunse, dopo aver salito le scale, una camera da letto.

Tutto era di legno là dentro, ma non legno scuro, bensì pannelli rossicci chiari tappezzavano le pareti e componevano la testata del letto e il piccolo armadio semplice chiuso a chiave.

Sul materasso candido, con le braccia distese lungo il corpo, dormiva un giovane americano dai capelli neri scompigliati, il respiro regolare, ma lievemente affannato, veloce. Sotto le palpebre i suoi occhi si muovevano: sognava. Non aveva la camicia e sul torso nudo si intravedevano cicatrici bianche in rilievo, una sul fianco e l’altra fra il collo e la spalla, sul muscolo trapezio.

Mark pese una sedia e se la trascinò vicino al letto, poi ci si sedette a cavallo appoggiando il petto alla spalliera.

Allungò una mano sulla fronte di Harry e notò che scottava. La temperatura doveva esserglisi alzata di almeno due gradi, ma era meno pallido e non tremava più come quando era stato raccolto.

Mark lo lasciò e scese di nuovo.

Al piano inferiore c’era Jhon, preoccupato, che guardò il gigantesco compagno con implorante affanno

«Sopravviverà?» chiese, giocherellando nervosamente con il cappello bianco

«Sicuro» rispose l’Oscuro Ministro «Gli ho chiuso tutte le ferite»

«Come sta?»

«Ha la febbre alta ed è un pò pallido, ma non delira più e non trema»

«Fiuu!» Jhon si passò una mano sulla fronte, mentre emetteva un fischio soddisfatto e ben poco aristocratico «Allora è tutto risolto!»

«Ah, no, non tutto» si fermò e sorrise trucemente «Cosa succede a chi è stato morso in quel modo da un uomo lupo?»

«Che dovrebbe succedergli?» scherzò John, dondolandosi sulle scarpe avanti e indietro «Anche tu sei stato morso da un uomo lupo. La storia del morso è tutta una leggenda» smise di parlare all’improvviso, guardò negli occhi del compagno e ciò che ci vide gli distrusse ogni forma di sollievo «O no? No, vero? Harry diventerà un animale feroce e peloso?»

«Si»

«E non c’è un antidoto?» lo disse con perplessità, aprendo le braccia

«Non da quanto io sappia, John. L’invasione comincia così … »

«Invasione?» fece John, assolutamente stupito «Ma ti sei preso una bella botta in testa? Di che invasione parli?»

«Lo sai benissimo, non fare il bambino»

«No, sono sincero, io non so niente di niente … »

«I licantropi» Mark scosse lentamente la testa come in un cenno di diniego, ma con gravità « Si stanno risvegliando. I movimenti delle legioni della notte si stanno facendo sempre più invadenti verso il genere umano ed anche i grandi lupi vogliono la loro parte. Il fatto che i vampiri dominino, sfruttando la loro capacità di confondersi con gli umani, li irrita e li sta facendo risvegliare. Il primo che si sono presi è Harry, sempre se non hanno già morso qualcun’altro. Ma c’è un fatto che trovo leggermente tranquillizzante per quanto riguarda il nostro ragazzino … »

«Quale?» John alzò le mani e poi se le mise sui fianchi larghi con un botto

«Harry non è un licantropo volontario»

«Perché, esistono anche dei licantropi volontari?»

«Si, certo … sono quelli che decidono volontariamente di trasformarsi e uccidere. I licantropi volontari sono più forti, quelli involontari notoriamente più incontrollabili. Non so dire con certezza chi sia più pericoloso, ma tu, comunque, dì ad Harry che quelli involontari sono meno terribili»

«Credi che questo lo aiuterà?»

«Certo».

John si sollevò il cappello, si passò la mano fra i capelli e poi risistemò il copricapo, calcandoselo sulla fronte con forza

«D’accordo, glielo dirò. Ma non puoi dirglielo tu?»

«Non voglio mentire. E non sarei comunque convincente» Mark parve in difficoltà

«Ho capito, ho capito» si affrettò a dire John «Non preoccuparti, ci penserò io a tranquillizzarlo. Se però prima mi illustri i vantaggi di un licantropo involontario»

«Poiché Harry non è volontario si trasformerà e si rivolterà contro di noi solo nelle notti di luna piena e comunque non sarà mai forte come uno volontario, ecco … »

«E quindi basterà chiuderlo in casa e non fargli vedere la luna?»

«No, non è mica la vista luna a farli trasformare» Mark guardò l’amico in modo strano, come si guarda qualcuno che non sa chi ha scoperto l’America «Ci sono decine di fattori che permettono la trasformazione licantropica, in primo luogo il magnetismo esercitato dalla Luna. Non dirmi che non lo sapevi?»

«Non lo sapevo­» ammise John, senza nessun imbarazzo «Ma com’è che tu sai tutte queste cose sugli uomini lupo?»

«Sono un Cacciatore di lupi mannari. Anzi, ex Cacciatore»

«Si, ma di lupi mannari, non uomini lupo…tu cacci la bestia pura, non il paranormale»

«Bah, ci sono parecchie analogie fra mannari e uomini lupo» spiegò Mark, cercando quasi di giustificare le proprie conoscenze «Mi sembra di sapere qualcosa, li ho studiati a lungo i mannari»

«Chissà perché non mi convinci» John strinse le palpebre e si sfregò le mani con aria diabolica

«Penso che quello che hai detto è solo una parte della verità. Sei anche tu un uomo lupo, vero?» lo canzonò, indicandolo con aria falsamente spaventata

«Un pò si» rispose enigmatico Mark, poi fulminò l’amico con lo sguardo come a voler dire che la discussione era chiusa lì e basta.

Che storia! John scosse la testa come per rispondere insolente “qui qualcosa non quadra” e scoppiò a ridere con la sua grossa voce morbida, con giovialità, e battè un pugno sulla spalla di Mark

«Ehi, io vado in cucina» esclamò «Voglio fare una cenetta coi fiocchi, migliore di quella che avevo preparato per Halloween!» s’intristì «Peccato che non saprò mai quanto era buona…siamo scappati prima!»

«Ma che vuoi! Che finissimo male?»

«No, no» s’incamminò verso la cucina «Tranquillo, non mi lamento di avere ancora la pelle addosso…oh, ecco!» entrò nella cucina «Vediamo che si può fare!»

«Sicuro che non vuoi una mano? Se no posso mandarti un aiuto cuoco…»

«Tu mi offendi! La cucina è arte! Un artista non si fa aiutare, che ne so, a dipingere un quadro»

«Allora va bene, fammi vedere» Mark ridacchiò cupamente, con una vibrazione bassa simile a un ringhio e si sedette come usava spesso fare da un lato della stanza, su una sedia robusta di legno rossiccio in stile country.

John prese dal frigorifero un involto di fettine di fesa di manzo tagliate sottili, le srotolò e le taglio in parti da circa dieci centimetri, poi estrasse dal refrigeratore con i formaggi una pezzotta da centocinquanta grammi di  scamorza affumicata italiana. Con compiacimento tirò fuori della rucola pulita da una vaschetta nel lavandino e la distese sulla fesa, poi sbucciò e tagliò a tocchetti piccoli il formaggio e lo adagiò sulle foglie, infine arrotolò il tutto e strinse bene

«Ora» disse «Va fatta la cottura. Ovviamente ci vogliono aromi quali l’aglio» e tirò fuori da un cassetto un bulbo biancastro dall’odore forte «E il timo» e sollevò soddisfatto un rametto dotato di piccole foglioline scure che adagiò in una padella insieme all’olio.

Mise gli involti nidi manzo a rosolare a fuoco forte e spiegò

«Sai, la cottura deve avvenire rapidamente in modo che all’interno restino al sangue, come piacciono a te…oh, adesso va bene, proprio ora ci va il pepe nero macinato sottile sottile e il sale» spolverò di granelli neri e bianchi abbondantemente la carne, poi, qualche istante dopo, spostò in un piatto e mostrò con la mano aperta la sua pietanza

«Et voilà!Ecco gli involtini superspecial!Ma ovviamente non è finita qui: vanno conditi con la salsa superspecial per essere completi»

«Ma io non sarò qui per vederti completare gli involtini» lo informò Mark, alzandosi «Vado a svegliare il piccolo Harry, così può assaggiare quello che gli hai preparato»

«Certo, vai!» autorizzò John «Tanto ora hai la prova che non vi avvelenerò»

«Non ne dubitavo».

Harry, nel frattempo, stava lentamente riprendendo conoscenza. Non sentiva il suo corpo, come se fosse un fantasma scivolato in un universo immateriale, ma ricordava chiaramente di avere avuto un fisico, un fisico ferito e segnato.

Una scintilla di realtà lo attraversò, donandogli di nuovo la consapevolezza della propria corporeità.

Dunque era vivo…

Aprì gli occhi e vide travi di legno spesso dalla sfumatura calda, linee color miele di castagno che si delineavano confuse. Il giovane trovò qualche differenza nella percezione delle forme e dei colori, ma in qualche modo anche l’olfatto e l’udito sembravano acuiti, ma distorti.

Si chiese se il corpo in cui era fosse proprio il suo. Si mise a sedere e si guardò le mani, le contrasse osservando il lavoro dei tendini e dei muscoli, la pelle che si distendeva sulle nocche quando stringeva le dita a pugno.

Sentì più forza, più tono nei suoi tessuti.

Passò i polpastrelli sui suoi addominali, trovandoli robusti e definiti sotto la pelle chiara, esattamente come i pettorali e i bicipiti, le gambe erano più potenti, tese, indurite, grandi. Quel corpo era diverso da quello che aveva lasciato prima di svenire, o almeno così lui credeva.

Harry si passò una mano sulla spalla: una cicatrice in rilievo aveva presto il posto dello squarcio lasciato dalle zanne dell’uomo lupo. Anche il fianco era stato guarito, quasi nessun segno degli artigli violacei della bestia maledetta che erano entrati nella carne. Eppure era sicuro che non fosse stato tutto un sogno.

Si alzò, le calze grigie contro il parquet, e guardò dappertutto per stabilire dove era finito, ma nessun elemento gli era anche solo minimamente familiare.

Avanzò lentamente, ascoltando lo sfregare ovattato del pavimento contro i suoi piedi calzati. Proseguì appoggiando la mano alla parete e seguendola, lievemente tremante e sconvolto non si sapeva bene per cosa.

Era come se uno strano lamento si levasse dal suo petto, malinconico, lugubre, basso come la voce potente di un lupo. Un vuoto bramante come di fame, si, una fame terribile che gli contorceva le viscere e lo faceva vibrare, una disperazione radicata nell’anima con solide radici di ferro che si insinuavano profonde facendogli contorcere anche la mente, eppure non così forte da apparire in superficie, da modificare l’espressione del suo volto.

All’improvviso vide venire verso di lui un uomo enorme, capelli di un rosso cupo e gli occhi verdi appena visibili sotto quegli strani occhiali da sole chiari, di un grigio sfumato come la camicia che indossava.

Harry rimase immobile, il cuore che gli batteva forte, contro la gola, i muscoli del basso ventre contratti.

Il gigante era sempre più vicino e gli tese una mano.

Harry fece un salto indietro e ringhiò, poi si portò una mano di fronte alla bocca, incredulo.

Aveva emesso un suono inumano, feroce, che non si sarebbe mai aspettato da se stesso.

L’altro uomo sorrise, tremendo

«Harry» disse, in tono ammonitore, roco «Sono io, Mark!»

«Mark» mormorò il giovane, riconoscendolo «Oh Dio! Ma che mi succede?» si prese la testa fra le mani, così forte da sembrare ch volesse conficcarsi le unghie nella faccia, e chiuse gli occhi «Ma che mi succede?» gemette con voce stridula

«Va tutto bene, Harry» lo rassicurò l’Oscuro Ministro «Tutto bene, Ora ti spiego tutto»

«Ho freddo!»

«Che …»

«Ho FREDDO!» urlò il giovane «FREDDO! Oh freddo Mark, ti prego dammi dei vestiti!»

«Si, si, certo… sono nell’armadio, ti staranno un pò larghi comunque».

Harry si girò e si avventò sull’armadietto di legno, girò la chiave già inserita e tirò, poi prese una camicia nera che gli stava tre volte e se la buttò addosso, chiudendosela con foga sul davanti. Guardò di nuovo dentro il mobile e vide un giaccone spesso di colore blu, imbottito, lo prese e lo indosso, poi, ansante, si rivolse a Mark

«Grazie» disse piano, sincero «Ora puoi spiegarmi che cosa sta succedendo?»

«Cosa ricordi di quello che è successo?» chiese cupo l’omone, incrociando le braccia di fronte al petto

«Ricordo…» Harry si fermò boccheggiando come un pesce fuor d’acqua.

Sconvolto scosse la testa, i pugni serrati, le labbra tremanti.

Mark si appoggiò con una spalla al muro

«Harry» sibilò «Ci puoi arrivare da solo. Cosa ti ricordi?»

«Sono stato morso» il giovane deglutì, il pomo di Adamo gli danzò su e giù, e si mise una mano fra il collo e la spalla «Qui sono stato morso. Da un uomo lupo. Un uomo lupo» ripetè, per sentire quanto folle e assurda suonasse quell’affermazione «Un uomo lupo. Dev’essere per quello che mi sento strano»

«Harry» ringhiò

«Si Mark, va bene, tutto a posto…»

«Harry» insistette, caparbio e serio «Ascoltami bene. Tutto quello che ricordi è vero. Tutto»

«No, perché come si spiegherebbe nel mondo moderno che quel coso ha ucciso, mutilato…» rise scettico e alzò le mani «Ci hai provato a spaventarmi e devo dire che ancora tremo»

«Harry, vieni con me».

Andarono da Jhon, che affettava carote. Mark diede un colpetto sul braccio di Harry come per dirgli “Sta a guardare” e porse la fatidica domanda

«Jhon: è vero che un uomo lupo di Boston ha assalito uno scompartimento di un treno?»

«Che domande!Nessun dubbio, l’ho visto con i miei occhi. Ma ti senti bene?»

«Mai stato meglio» mormorò Mark, guardando gli occhi vacui del ragazzo riempirsi di incredulità e terrore, poi aggiunse «Invece penso il contrario di questo giovanotto»

«No» si affrettò a dire Harry «Sto bene, sto benissimo, beh, è solo che: come mai non siamo assillati dai giornalisti e dai curiosi?»

«Prego?»

«Insomma si, un lupo mannaro è qualcosa che fa più notizia dell’elezione di Obama, no?»

«Non un mannaro, un uomo lupo»

«Quello che diavolo è!Ha ucciso quella bestia e un paio di poliziotti ci hanno rimesso le mani!Inconcepibile pensare che non lo sappia già tutto il mondo!»

«No. Ho cancellato la memoria a tutti i presenti e gliene ho impiantata una costruita»

«Vuoi dire che magari pensano tutti che sia stato un uomo a tagliare la testa di quell’uomo mezzo decapitato lì dentro al vagone?»

«Esatto»

«Ma non si può» urlò Harry, esasperato fino all’isterismo «Si capisce che sono state zanne di qualche animale a macellarli così la gola!»

«Abbiamo pareggiato il taglio con la lama»

«E i poliziotti?Come se lo spiegano?»

«Pareggiati anche i loro tagli. La dinamica ufficiale» spiegò freddamente il gigante «Che verrà inviata alla stampa sarà che il tipo morto era un famoso, più o meno, terrorista che ha terrorizzato tutti i passeggeri e così sono intervenuti i due pubblici ufficiali»

«E allora» proseguì John, quasi schifato da quello che raccontava «Il terrorista ha fatto finta di arrendersi e poi ha mozzato loro entrambe le mani armate e li ha assaliti a mani nude, facendoli svenire. Alla fine ha gettato nel vagone un potente gas allucinogeno e si è tolto la vita autodecapitandosi quasi del tutto con un colpo secco. L’idea dell’allucinogeno è stata mia: così quando qualche ricordo riemergerà dalle menti dei presenti non potranno far altro che pensare che sia un effetto del gas. Diabolico, eh?»

Harry non aveva parole. Tutto tornava, ma sempre così surreale che il giovane si chiese se non fosse in un coma profondo e quello che stava vivendo non fosse solo un sogno molto vivido e lungo. Ma c’era ancora una possibilità di smentire quell’assurda situazione

«E allora dov’è l’uomo lupo?» gridò

«Vieni» gli disse piano Mark, facendogli contorcere come anguille le viscere.

Giunsero di fronte a una porta blindata grigia ed entrarono dopo due giri di chiave.

Spiccando con il pelo nero sul fondo color mattone, si stagliava nitido un corpo possente che tirava mettendo le in tensione le spesse catene che lo imprigionavano. I suoi muscoli erano ben in risalto sotto la pelliccia color dell’inchiostro e si muovevano in maniera alquanto evidente.

Harry indietreggiò. Non voleva vedere quella creatura, gli faceva venire una specie di dolore a tutto il corpo.

Mark si mise una mano dentro l’altra e, cupamente, guardò il giovane. Decise di dirglielo adesso

«Harry» lo chiamò, duro

«Eh?» fece il ragazzo spaesato «Cosa c’è? Che succede?»

«Bella bestia, no?» domandò il grosso umano, indicando il lupoide enorme e ringhioso

«No»

«Ehm» colto di sorpresa perché aveva sperato in tutt’altra risposta decise per un approccio più diretto «Senti Harry, ora sei uno di loro. Un uomo lupo» gli mise una mano sulla spalla con piglio paterno e risalì ad arruffargli i capelli neri come si fa con i ragazzini monelli «Ora avrai anche tu qualche impresa da catalogare»

Harry la prese meglio di quanto sperato, ma con la faccia triste e molle

«Quando prenderò l’aspetto del lupo?» chiese

«Raggiungerai lo stadio crinos alla tua prima luna piena»

«E rimarrò in quel modo per sempre?»

«No, solo il giorno di plenilunio, poi sei sempre in forma Homid» alzò un grosso indice ammonitore e gli precisò «Non è forma umana completa, però»

«E com’è?»

«Come sei adesso. Toccati i denti»

«Non vorrai dire che … » si sfiorò un canino e sentì lo strato superficiale della pelle che si tagliava.

Aveva le zanne, ridotte, ma pur sempre zanne affilate. Cosa avrebbe pensato sua madre a vederlo così cambiato?

Harry si passò la mano fra i capelli, trovandoli più folti e setolosi, da animale. Ritirò il braccio e guardò Mark: anche quello era stato morso da un uomo lupo, a Villa Voratten, ma sembrava non essere cambiato, era sempre lo stesso, grosso tipo truce che quando sorrideva ti raggelava. E se fosse stato un uomo lupo da prima di venire morso a Villa Voratten? Il pensiero era da brividi …

«Harry» lo risvegliò Mark, traendolo dai suoi ragionamenti con durezza »Ora non sei niente di male, sei solo più forte e con denti da cane, ma il tuo non è un difetto terribile, sai? Prendila come una crisi che ti viene solo una volta al mese e vedrai che ti ci abituerai»

«Parli così bene tu» intervenne Harry, contraendo i pugni con rabbia «Ma sono io, io che diventerò un mostro, non tu! Io! Che cosa ne sai?»

«Harry, ascolta … »

«Non voglio ascoltare un bel niente da te, chiaro?!»

«Come se fosse colpa mia»

«Perché, di chi è la colpa?» fece, ironico, il giovane, indietreggiando ancora

«Io non c’ero a Boston» rispose pacato il gigante «Quindi quell’uomo lupo sarebbe stato un problema tuo anche se non mi avessi mai conosciuto. Con la sottile differenza che ora saresti morto»

«Io» il giovane si sentì un idiota e i suoi occhi si riempirono di lacrime «Io … ti ringrazio. Sono uno scemo del cavolo, ma questo si capisce» chinò la testa «Dove posso ritirarmi a riflettere sulla mia stupidità?»

«Qui, i lupi stanno con i lupi» scherzò Mark, per sdrammatizzare, poi si smentì vedendo la faccia delusa di Harry «Non preoccuparti, puoi andare dove vuoi, fa come se fossi a casa tua»

«Grazie!».

Il giovane corse via, di scatto e con un’andatura strana, come se dovesse fare pipì immediatamente.

Mark si volse verso l’uomo lupo incatenato

«Alla fin fine hai fatto un buon lavoro» disse «Hai trasformato un bravo ragazzo in un vero uomo … più o meno … comunque lo hai aiutato»

«Non era mia intenzione!» urlò la creatura, sforzandosi di parlare come un umano «Non ringraziarmi, gli uomini e gli uomini lupo non simpatizzano!».

La sua voce era profonda e rauca, un abbaiato articolato.

Mark rimase lievemente sorpreso della capacità di parlare dell’uomo lupo, anche se stentata e ringhiosa, e avanzò interessato, osservando le labbra nere della creatura ancora tese sull’osso della mascella

«Hai la capacità di ragionare intatta» osservò «Perché non diventi Homid così puoi parlarmi liberamente?»

«No!» ruggì l’uomo lupo, buttando la testa all’indietro per un istante «No … gli … i … noi non no … n … ci trasformiamo in … cos … cose simili a umani»

«Comprendo il disprezzo, ma è ciò che devi pagare se vuoi la tua libertà» sogghignò, abbassando un pò la testa e scoprendo appena i denti sul lato destro «E tu vuoi tornare libero, vero?» chiese, provocante.

La creatura nera alzò il muso e gemette, poi cadde in ginocchio. Con enorme dispiacere strinse i denti affilati e innescò la trasformazione. I peli cominciarono a rientrare nella sua epidermide lentamente, come risucchiati, e la pelle abbronzata riemerse fra il vello macchiato di sangue secco a puntini. Il muso si schiacciò, il naso nerastro si schiarì e modellò in una forma tondeggiante, ma piuttosto umana, le unghie grosse e violacee caddero lasciando aree sanguinanti, presto coperte da lamine di unghie d’uomo, rosate e flessibili.

La creatura indietreggiò e si abbandonò contro il muro a braccia aperte, le zanne scoperte che venivano rimpiazzate da denti quasi comuni in uno scorrere di rivoletti rossi dell’ampiezza di fili sottilissimi lungo il mento, fino alla gola larga e ormai glabra.

Ad occhi chiusi chinò il capo sul petto ed emise un brontolio cupo.

Mark gli si avvicinò ancora un pò e lo osservò dall’alto in basso con sicurezza.

Ciò che vide fu un uomo sui quarant’anni, scuro, arruffato e ispido come un terrier dopo una zuffa, muscoloso, tonico, il collo tozzo da toro contratto in dentro fra le spalle possenti coperte dal giubbotto nero imbottito, il volto ricoperto da una barba fitta e corta, scura.

L’uomo lupo aprì gli occhi argentatati e si erse in tutta la sua statura. Era poco più basso di Mark.

Dischiuse le sottili labbra rosa, lasciando vedere i denti affilati e prese una boccata d’aria, annaspando come chi riemerge da sott’acqua dopo una lunga apnea. Era terribile, ferino, selvaggio nei suoi movimenti disinibiti e animaleschi.

«Eccomi» disse, con voce rauca, quasi stentata simile a un ruggito di tigre »Come mi volevi. E come io voglio ora ridammi la mia libertà»

«Piano…piano bello, non ancora» lo calmò Mark «Non correre. Ho visto come puntavi Harry e sono sicuro che a Boston lo hai cercato per prenderlo. Era il tuo bersaglio, ma non mi sembrava fosse un boccone molto appetitoso»

«E allora?!»

«Allora lavori per conto di qualcuno» affermò l’uomo, con aria grave «Chi?Sei stato inviato dalla Grande Alleanza?»

«No, non conosco la Grande Alleanza» fece tintinnare le catene trascinandole sul terreno «Ora mi liberi?»

«Non ancora e non chiedermi più di farlo. Per conto di chi lavori?»

«Per conto della mia Signora, l’eccelsa Raptor»

«Una donna lupo?»

«Esatto» confermò la creatura, inclinando appena la testa da un lato «La femmina alfa. L’America del Nord, sul lato Ovest, è tutta sua»

«Perché voleva Harry?»

«Non lo so di preciso. Le serviva avvicinarsi a qualcuno e il ragazzo conosceva quel qualcuno».

Mark seppe che, in qualche modo, questa fantomatica Raptor era venuta a conoscenza di ciò che era accaduto a Villa Voratten. Per lui era un guaio.

“Sa che sono stato morso” pensò con rabbia “Cerca me. Ma perché?”.

«Come ti chiami?» Chiese, imperioso e improvviso

«Nero» rispose il licantropo

«Nero» l’uomo sorrise, assaporando la potenza di quel nome «Io sono Mark»

«Mark» la creatura trasalì «Sei tu?Tu!»

«Io, si…Raptor sta riuscendo nel suo intento: ora la conosco. Mi cerca, eh?»

«Si, ti vuole, ma, in tutta sincerità, non ho mai capito perché. Non mi risparmierai, vero? Ora che sai quello che volevi mi ucciderai»

«Sei pessimista Nero, molto. Non ho alcun interesse a ucciderti. Mi piace come affronti il mondo»

«Sono un lupo e i lupi non hanno paura di morire, solo della fame che logora, che ci distrugge prima di ucciderci. E abbiamo paura di perdere la libertà» il volto ferino gli si contrasse di rabbia e di dolore, le zanne gli si scoprirono fino al colletto del dente «Una vita in catene o dietro le sbarre è inconcepibile»

«Ti capisco» mormorò Mark, comprensivo «Tuttavia sono costretto a farti ancora una domanda: a chi va ora la tua fedeltà?»

L’Homid raccolse le catene nelle mani fino a farsi male e guardò l’enorme umano con disprezzo, gli occhi d’argento illuminati a una scintilla di orgoglio inestinguibile, una fiamma eterna

«Non servirò mai nessun altro che la mia signora Raptor» ringhiò

«Ripetilo. A chi va la tua fedeltà, lupo?» Mark s’infilò una mano sotto la giacca di pelle come per prendere un’arma «Bada di fare la scelta giusta»

«Raptor e il branco. Solo uno di noi e a noi. La mia fedeltà va a i lupi»

«In questo caso…» sibilò l’umano, avvicinandosi minaccioso.

L’uomo lupo alzò il mento attendendo la morte. Mai avrebbe tradito il branco, mai avrebbe distrutto i suoi ideali. Nessun uomo o donna, nessun’altra creatura se non un lycan avrebbe potuto godere della sua lealtà.

Clanc. Rumori metallici risalirono alle sue orecchie. Il collare d’acciaio cadde rotolandogli sul petto e poi penzolando inerte a qualche centimetro da terra.

Nero fu enormemente sorpreso di vedere Mark che lo liberava. Perché? La sua fedeltà era stata giurata ai suoi simili e questo significava che non sarebbe cambiato nulla. Eppure il metallo non lo stringeva più, non gli rodeva la pelle come prima.

L’uomo dai capelli rossicci lo guardò con un sorriso amichevole e per metà canzonatorio

«Cosa pensavi, Nero?» domandò beffardo «Volevi la morte?Te l’ho detto. Mi piace come affronti il mondo e poi» divenne serio e inquietante mentre gli poggiava una mano sulla spalla «Ti stimo e ti comprendo. Noi lycan siamo così. Leali. Va, sei libero, anche se dovrai fare un bel pò di strada. Non siamo a Boston, il Texas è grande e anche un uomo lupo può perdersi in queste campagne. Anzi, direi che se resti è meglio. Ti offro asilo nelle mie terre se vuoi, chi lo sa, magari diventi famoso in seguito a un avvistamento. E c’è molto cibo da queste parti».

Nero rimase immobile con le labbra semidischiuse a riflettere. Cosa aveva detto l’umano?

Noi lycan siamo così … Noi lycan?

Solo ora nero si accorse di tutti quei piccoli segnali che gli suggerivano la realtà: la fisionomia dell’uomo, la tonicità dei muscoli, l’espressione dura di quel volto, la consistenza dei peli della barba, il verde dei suoi occhi, lievemente iridescenti benché profondi sotto la superficie luminosa e la voce, quella voce a lui così estranea eppure conosciuta, dall’inflessione roca e gutturale, ideale per ululare.

Mark doveva per forza essere almeno in parte un uomo lupo.

«Sei come me?» Sussurrò allibito Nero, ingobbendosi come per un atto di sottomissione «Un pò come me?»

«Si, siamo simili. Non sono proprio un uomo lupo, ma ancora non ho affrontato il mio primo plenilunio, quindi non so se sono in grado di trasformarmi» affermò con noncuranza, guardando altrove «Però penso che qualcosa dovrà pur succedere, no?»

«Io … » Nero inspirò a fondo. Stava per fare una follia, ma era così subissato da quella generosità e comprensione,  che non poteva fare altrimenti. E poi aveva detto che la sua fedeltà andava ai suoi simili e Mark era uno di loro. Decise «Io giuro lealtà a te» ruggì, tutto d’un fiato, senza ripensamenti «Voglio essere come tuo fratello, voglio essere del tuo branco. Mi accetti?»

«Con piacere Nero»

«Grazie» il volto ispido dell’uomo lupo si allargò in un sorriso di feroce felicità «Ora devo andare a tornare com’ero»

«Devi andare a tornare com’eri?»

«Ritrasformarmi in crinos…vi impressiono a voi umani, vero?» nella sua voce c’erano tracce di superiorità e fierezza

«No, no fa pure qui» acconsentì il Ministro, disinvolto.

Senza ulteriori indugi Nero si piegò su se stesso come se avesse il mal di pancia, poi scattò eretto e si gettò un pò indietro tendendo i muscoli del ventre, che scricchiolarono come cuoio sbattuto. Gridò, ma la voce che gli uscì dalla gola non fu umana, bensì animalesca, di una ferocia dolorosa e graffiante.

Contrasse le mani, che si gonfiarono e irrobustirono. Le nocche divennero grosse e allungate, rugose, i peli neri ricoprirono le dita come una copertura pungente che si estese fino ai polsi enormi e più su, ricoprendo gli avambracci, fino a perdersi sotto la giacca imbottita tirata fino ai gomiti.

Il volto di Nero iniziò a trasfigurarsi, l’ossatura degli zigomi si gonfiò, la mascella si allungò, i muscoli facciali guizzarono sotto la pelle, allargandosi. Crac: la spina dorsale scricchiolò quando Nero divenne di quasi sei centimetri più alto.

Il semiumano aprì le grosse braccia e divaricò le gambe,che divennero arcuate e gonfie, articolate in modo tale da poter correre anche a quattro zampe, con il polpaccio corto e il quadricipite inclinato in avanti rispetto al torso. Le orecchie divennero a punta, si allungarono e spostarono più in alto, il cranio divenne più affilato, quasi cuneiforme, ricoperto di una criniera scurissima come l’inchiostro e sparata in aria, spettinata.

Mark fu contento di poter rivedere in tutto il suo lupesco splendore la grossa bestia

«Che bel cagnolone che sei» disse, con accento affettuoso che ben poco si addiceva alla sua figura.

Nero lo guardò stringendo le palpebre e sollevò una mano enorme lentamente fino a portarla all’altezza della spalla, poi si allontanò in un balzo e scomparve.

Mark uscì in giardino e si guardò attorno. Fece appena in tempo a vedere le zampe posteriori dell’uomo lupo, alzate nella corsa a quattro zampe, e una stella cometa che sfolgorava nel cielo. Pensò che i sogni si avverano.

Proprio in quel momento vide un punto scuro discendere stagliandosi contro il cielo che era ormai di un grigio bluastro ferroso, illuminato dal basso dagli ultimi raggi del sole morente contro le colline e i monti lontani.

Il punto prese forma: due grandi ali nere e traslucide si delinearono perfette, aperte ai lati di un corpo possente ricoperti di scaglie nere e lucide come carbone immerso nell’acqua o inchiostro sotto la luna, una testa fiera e lunga, fauci socchiuse benevolmente, ma che erano in grado di squarciare la carne come carta sottile.

Il drago atterrò con un boato basso e annusò l’aria, poi voltò il muso verso l’umano e fece schioccare la coda contro il terreno

«Mark» disse, con tono basso e serio, eppure tenero, semplicemente constatando qualcosa

«Si, Shadow?»

«Come si è risolta la storia dell’uomo lupo?»

«Bene» rispose l’umano, poi gli raccontò in breve quello che era successo, pur omettendo volutamente la parte in cui Nero gli parlava della sua signora, Raptor.

Il drago si aprì in un sorriso che gli tirò gli angoli della bocca verso l’alto senza però scoprire i denti

«Sai che la luna piena sarà il tredici Novembre? Si, varrebbe a dire dopodomani» ridacchiò e parve che la terra tremasse sotto di lui, poi scosse la testa a destra e a sinistra, lasciando crepitare le scaglie nere «Ho paura, ci credi?»

«Ci credo. Tu hai paura di un sacco di cose»

«Ma dai!» Shadow si distese su un fianco e gettò per un istante la testa all’indietro, la criniera nera mossa dal vento leggero che spirava, poi chiuse gli occhi con le pesanti palpebre coriacee «Stavolta ho paura sul serio. Per quello che potrebbe succederti. Riesci solo a farmi male, Mark, è incredibile … perchè mi hai strappato l’anima. Ti voglio un bene cane. Un bene dell’anima, che diamine!Mi sento male ogni volta che tu stai male ed è incredibile quanta poca cura hai della tua felicità»

«Ti sbagli» insorse Mark «Sono sfortunato, non è che non voglio essere felice, anzi…» indietreggiò e guardò il suo drago, selvaggia bellezza che riluceva di fronte a lui.

Shadow fissò il suo umano con aria interrogativa e profonda

«Sono un cattivo drago?» domandò «Ti prego, dimmelo»

«Cosa?» sbottò Mark

«Sono un cattivo drago?»

«No, non sei un cattivo drago»

«E invece si» lo disse in modo querulo, petulante

«Ci mancavi solo tu con i complessi di inferiorità…»

«Sono stato cattivo. Ti ho detto una cosa idiota. Idiota come me»

«Mi stai dando dell’idiota?» ringhiò l’umano, alzando l’indice

«No, sto dicendo che io sono un idiota, non che tu sei un idiota…»

«Io e te siamo una squadra…no, siamo una cosa sola, Shad. Una cosa sola…che brutte parole…»

«Vero. Meglio dire un essere solo. Una cosa sola è come dire che siamo due cose, no?»

«Si. Che razza di detto» Mark si diede una breve grattata dietro la testa, come fanno a volte gli umani per concentrarsi e trovare un termine «Siamo un essere solo, non una cosa sola. Ma per chi non vuole capire possiamo anche dire che siamo la stessa cosa»

«Il manuale ufficiale dell’Antica Dragoneria dice che drago e uomo simbionte sono la stessa entità, se vogliamo essere precisi»

«Se vogliamo essere precisi stiamo divagando»

«Tu sei troppo preciso, Mark. Troppo, in certe cose ed in altre cose sei un casinista maledetto» il drago alzò una zampa e colpì di piatto il petto del grosso umano, sbilanciandolo e mettendolo a sedere «Quand’è che decidi di diventare una persona normale?»

«Se volevi uno normale» ribatté Mark, dando un pugno a terra che gli scorticò leggermente le nocche candide «Potevi scegliere Harry e non me. Lui è effettivamente una persona normale»

«Certo, hai una stramaledetta ragione, mio divagante biker»

«Divagante? Perché divagante?»

«Si capisce»

«Io non l’ho capito» l’uomo si rialzò in piedi e si mise le mani dietro la schiena «Perché sono divagante?»

«Perché si!» Shadow scoppiò a ridere con foga, le fauci spalancate, i denti candidi perfettamente visibili e il petto enorme scosso violentemente da un piccolo terremoto di allegria, poi si asciugò le lacrime dagli angoli degli occhi con l’artiglio dorato dell’indice destro «Ora lo so perché ti ho scelto. Sei forte! Davvero! Non lo voglio uno normale» lo guardò con i suoi enormi occhi color smeraldo, lucidi e perfetti, come se volesse bloccarlo con il solo sguardo «Voglio te e nessun’altro»

«Non preoccuparti, non sono geloso»

«Prego?» il sorriso del drago si mutò in un’espressione perplessa «Che c’entra?»

«Non c’è bisogno che mi fai queste dichiarazioni d’amore. Non sono geloso. Beh, non moltissimo»

«Oh Signore!» l’enorme essere nero scoppiò di nuovo a ridere «Avevo ragione, sei fortissimo!».

Mark incrociò le braccia. Era riuscito a rimettere Shadow di buonumore, questa si che era un’impresa da Dragonieri.

Uno sparo risuonò nitido e non molto lontano, dalle parti del boschetto lì vicino.

Il drago rizzò le orecchie

«Cosa è stato?» ringhiò, in un verso orribile che tradiva la sua vera natura di creatura feroce ed immortale

«Hanno sparato» rispose l’uomo, serrando il pugno destro e preparandosi a distribuire qualche cazzotto «Vattene, non voglio che ti vedano, Shadow»

«Certo».

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Capitolo 11
*** Anche oltre la Morte, il Male vive ***


Capitolo 7

Anche oltre la Morte, il Male vive 

 

“Non è morto ciò che può vivere in eterno

E in strani eoni perfino la morte può morire”

Abdul Alhazred

 

Il drago spalancò le ali con il rumore di due tele cerate sbattute contro il vento e si librò in aria in un turbine di polvere e foglioline secche per alzarsi sempre più su, fino a scomparire fra le nuvole grigie e blu, anche lui simile ad una strana nuvola appena più scura delle altre.

Non ci mise molto, appena qualche secondo, ed era straordinario vedere come un corpo così pesante, corazzato di squame impenetrabili, potesse librarsi nell’aria con quella leggerezza apparentemente anormale.

La cosa bella di un drago è proprio questa: può sparire facilmente, anche se non si può certo dire che simili bestioni non lascino traccia. Il terreno era disseminato di artigliate e compresso nella forma di orme gigantesche laddove le zampe l’avevano pressato.

Mark avanzò furtivo fino alla sorgente del suono, sotto le chiome dei pini, con tutti i sensi all’erta, poiché a volte le cose non sono ciò che sembrano, e lui lo sapeva bene.

Un ululato, improvviso, squarciò la sera. Bong! Un altro sparo secco, da fucile.

Mark, si lanciò di corsa, caricando come un toro a testa bassa

«Nero!».

Non fece in tempo a capire quanto accadeva che qualcuno lo urtò lateralmente e gli bloccò le braccia lungo il corpo, stringendolo forte con le proprie. Con uno sforzo irrilevante il grosso americano si liberò e buttò a terra chi aveva osato tentare di fargli del male, con scarsi esiti, e poi lo osservò incuriosito.

Sul terriccio chiaro, rantolante, c’era un omiciattolo banale, occhi di un bruno banale, capelli di un castano scuro banale, fisico banalmente pieno di grasso: insomma un essere non degno di nota che doveva aver passato la propria vita in un modo non degno di nota.

Tremava di fronte all’enorme Mark, evidentemente colto di sorpresa dall’aspetto terrificante del suo avversario 

«Pietà, signore!Non ho fatto nulla!» gemette, deglutendo «Non cerchiamo guai, ve lo giuro!Anzi, ce ne andremo appena potremo, subito, appena mi alzo» si mise in ginocchio con difficoltà «Ecco…mi sto alzando!Niente rancore, eh!» si alzò in piedi con la ciccia che traballava destra e a manca, un orrendo budino flaccido «Ora me ne vado»

«Che cosa ci fai nelle mie terre?Dove sono i tuoi compagni?» domandò Mark, cupo, posando lo sguardo con ferocia sul corpo insignificante del bracconiere

«Mio signore, siamo qui perché per sbaglio ci siamo inoltrati troppo e abbiamo perso l’orientamento»

«Non m’incanti» le sopracciglia del gigante divennero minacciosamente oblique «Stai mentendo. Non devi farlo con me» avanzò velocemente, con un solo passo lungo, e afferrò l’omiciattolo per il bavero della giacca da caccia verde militare, sollevandolo da terra «Che sei venuto a fare nelle mie terre?».

Il volto grasso e flaccido del bracconiere s’illuminò di un’improvvisa scintilla

«Vuoi saperlo?» squittì in modo diabolico «Io sono qui per..» guardò in alto e sorrise facendo comparire due file di regolari dentini gialli ed esalò «Ucciderti».

Mark buttò di nuovo a terra il bracconiere, con violenza, e guardò in avanti.

Qualcosa sfrecciò verso di lui, due mani fredde gli strinsero i lati della testa e lo spinsero, sdraiandolo bruscamente, poi la cosa si dileguò dietro di lui, nel bosco.

L’omiciattolo rise tenendosi la pancia con le manine. Altri due cacciatori vestiti di verde scuro spuntarono da dietro gli alberi con i fucili in braccio. Uno di loro era inverosimilmente pallido e bello, con un mento affilato e piccole mani bianche, capelli lunghi di un biondo platinato quasi niveo. Aveva lineamenti regolari, perfetti, di quelli che si possono scorgere solo guardando opere come il David di Michelangelo, ma il suo volto era segnato poco sotto gli occhi da due aloni scuri, violacei.

Mark si rialzò con uno scatto fulmineo e balzò verso il trio, fermandosi a un soffio da loro

«Dov’è Nero?» ringhiò minaccioso «Dov’è l’uomo lupo?»

«Che t’importa di dove sia quella bestia?» sibilò gelido il bracconiere chiarissimo, senza scomporsi, senza agitarsi, senza apparentemente provare alcun genere di emozione «Che t’importa se fra poco sarai morto?»

«Morto?E tu credi di potermi uccidere?»

«Non da solo» il bel volto del cacciatore s’increspò improvvisamente in un’espressione di satanica gioia, terribilmente stridente con l’indifferenza alta e distaccata che fino ad ora aveva dominato il suo viso bellissimo «Gli immortali sono qui per te».

Gli immortali sono qui per te.

Ci fu un rumore sibilante di vento che sferzò la terra e un urlo acuto risuonò nella sera che avanzava.

Mark si voltò pronto a colpire e ciò che vide non gli piacque, ma neppure lo spaventò, sebbene fosse la prima volta che affrontava in prima persona una simile entità: un vampiro.

Il demone della notte era già in quello stadio in cui il suo corpo non era umano, bensì simile a quello di un enorme pipistrello grigio e biancastro, con due grandi membrane che spuntavano dal dorso piegato in avanti e glabre, tese fra listelli d’osso come quelle dei draghi, ma più corte ed in proporzione larghe.

Le fauci, spaventose e piatte, si aprirono in un urlo inumano e stridente, facendo rilucere i canini mostruosi di un macabro riflesso rosso sanguigno.

Non era quel genere di vampiro che tutti conoscono, il non morto pallido e affascinante che seduce le sue prede prima di salassarle, un Vampiro Minore, ma tutt’altro genere di creatura: Mark li conosceva come Vampiri Maggiori, quelli che erano maledetti. Come Dracula, come Nospheratu, un essere capace di mutare forma, enorme pipistrello demoniaco dalle zanne affilate e l’odore di cadavere che gli aleggiava tutto intorno. 

Mark si tolse il guanto, strappandolo via più rapidamente che poté, e distese la mano destra. Una scintilla gli illuminò il braccio a partire dalla spalla, una scossa elettrice di un colore cupo, che esplose dal palmo in un globo nero grande poco più di un pallone.

La sfera di energia tagliò l’aria con un sibilo e colpì il vampiro in pieno petto, scaraventandolo a terra e spellandogli il petto, con un botto che avrebbe potuto essere prodotto da una mina antiuomo, fra schizzi purpurei e densi.

I tre bracconieri ammutolirono e s’irrigidirono quando Mark si voltò verso di loro

«Ed ora a voi … » mormorò il gigante, giocherellando sadicamente con un’altra sfera nera e lucida, il volto increspato da un sorriso che sembrava quello del demonio, la scintilla dei forti denti bianchi appena visibile attraverso lo spiraglio delle labbra.

L’omiciattolo fuggì urlando, ma gli altri due rimasero paralizzati a guardarlo con le bocche semiaperte e i muscoli paralizzati.

Mark ordinò loro di consegnargli i fucili, ma prima che potesse prendere le armi si sentì colpire da dietro e sbatté contro il tronco di un albero, graffiandosi la guancia destra e una mano con le schegge di legno che gli penetrarono nella carne.

Girò indietro, incurante del sangue che gli offuscava la vista gocciolandogli lentamente nell’occhio destro, e colpì il vampiro sul naso con un pugno, rompendoglielo in un’orgia di schizzi scarlatti, poi lo colpì con una ginocchiata allo stomaco e lo spinse a terra. Sollevò la mano, che s’illuminò di un grigio scuro, ma debolmente pulsante di sfumature pallide, e la portò sulla faccia del demone notturno.

Fumo biancastro si sollevò dalla pelle del vampiro insieme ad un odore di fritto ed uno sfrigolare di carne corrosa, mentre il mostro urlava di dolore contorcendosi a terra, i muscoli che si muovevano sotto la pelle come serpenti in un sacco.

Bang.

Il bracconiere pallido aveva sollevato il fucile e aveva fatto fuoco senza pietà.

Mark si tenne la spalla sanguinante con la mano destra, premendo indice e medio sul foro, e si allontanò.

Bang. Stavolta il proiettile si conficcò nella carne della coscia sinistra di Mark, nella parte più vicina al ginocchio. Il ferito cadde contro un albero e scivolò in basso appoggiato al tronco duro e rugoso del grosso pino, continuando a tenere le dita premute sulla ferita sanguinante.

Il Vampiro Maggiore si alzò fra le risate dei suoi collaboratori e si passò le orrende mani sul volto sfigurato e quando le scostò le bruciature erano sparite, il ghignò feroce era ricomparso sulle labbra nivee e fredde come ghiaccio, presto mosse a comporre gelide parole

«Cosa pensavi di fare?» disse, alzando il mento in un gesto sprezzante «Misero mortale, come potevi credere di farmi fuori? Io sono eterno come le fiamme dell’inferno, ma gelato è il mio cuore! Non avrò compassione per la tua vita, né tantomeno comprendo perché mi abbiano inviato ad eliminare un poveraccio come te … un uomo, un umano e null’altro!» scoppiò in una risata nitida e sadica «Un uomo! Misera carne e misere ossa, pelle senz’armi, strati fragili di muscoli senza artigli né zanne. Dimmi tu perché dovresti essere così potente?» il vampiro saltò e prese fra le lunghe dita bianche dalle unghie ricurve la grossa testa di Mark, graffiandogli la fronte «Perché?».

Il grosso umano non rispose, perso nel nulla.

Il vampiro sollevò la sua preda, sbattendolo contro l’albero con impazienza, e lo guardò con i suoi occhi dalle iridi cremisi e luminose venate di nero

«Perché dovresti essere pericoloso?» ripeté, irritante e deluso, inclinando la testa e mostrando il collo pallido dalle vene azzurrine, la pelle increspata di tendini asciutti e forti «Perché devo darti la caccia? Svelami il tuo segreto!».

Mark iniziò a tremare e chinò il capo sul petto.

«Tremi, eh misero mortale!» Ruggì l’orrido non-morto, spalancando le ali in un gesto di trionfo.

Solo dopo si accorse che quel tremore non era sintomo di paura, ma di qualcosa di infinitamente più terribile che stava sorgendo, come un piccolo sole pronto a bruciarlo.

«No!» spalancò la bocca, pronto a succhiare il sangue di quello che fino ad ora aveva creduto essere un umano: doveva uccidere in fretta prima che la situazione si fosse complicata. E si sarebbe complicata di sicuro.

Mark iniziò a ridere piano, in modo inquietante, a labbra serrate. Il vampiro fece saettare in avanti i canini, guidati da una lunga esperienza in fatto di ricerche di giugulari, ma una mano robusta lo bloccò alla gola e lo allontanò di poco, lentamente eppure con decisione, in un movimento pieno di potere.

Mark rialzò la testa e lo osservò. I suoi occhi erano divenuti bianchi, lievemente infossati, luminescenti di un bagliore di morte e di quella follia che fa credere ciecamente nel detto “tutto è possibile!”, che fa scavalcare ogni limite.

«Vuoi sapere perché temermi, vampiro?» Sussurrò piano, in modo che solo il nemico potesse sentirlo «Per questo».

Con uno sforzo quasi nullo scaraventò la demoniaca creatura alata a terra, poi proseguì a parlare con una voce che si trasformava gradualmente in un roco latrato

«Consumerò lentamente le tue forze, fino a che non potrai più rigenerarti, strapperò brano a brano pezzi del tuo corpo, godendo dello scorrere del tuo sangue maledetto» inspirò producendo un rumore basso e lungo simile all’ansito di una belva feroce che dorme «Vedrò te consumarti nel dolore, maggiormente tu che sei immortale, e poi ucciderò anche la tua vita eterna. No, non la tua vita … non illuderti. Distruggerò la tua eterna morte, ti porterò alla polvere, a ciò che eri … Avrò il tuo cuore, vampiro».

Il bracconiere pallido e bello si fece avanti scoprendo inquietanti canini lucenti e ali argentate spuntarono dalla sua schiena. Un altro vampiro, grosso e orrendo, si fece avanti nel buio, quasi fosforescente.

Il terzo cacciatore, percependo che i guai stavano per arrivare e la propria stessa inutilità, se la diede a gambe più in fretta che poté, chiedendosi perché mai un povero umano come lui fosse invischiato in quella faccenda sovrannaturale.

Mark si mise ben saldo sulle gambe, i proiettili che lo avevano colpito rotolarono fuori, espulsi dal corpo, e i fori sanguinanti si richiusero lasciando solo piccole cicatrici bianche. Nessuno può sparare agli arti di un licantropo senza usare proiettili d’argento e sperare che i suoi colpi sortiscano qualche effetto sulla bestia.

Il primo vampiro, sbattendo forte le ali, si appollaiò sul ramo enorme di un pino, a quattro zampe e curvo in avanti, mentre l’altro immortale notturno sibilò scoprendo le zanne fino alle gengive.

Mark rimase immobile come una statua di granito, teso, il volto duro dalla mascella contratta. Una rabbia senza età, antica come il mondo, lo invase bruscamente e lo rese più forte, più temibile di quanto già non fosse. Aveva fame, eppure, con la pazienza tipica del predatore, attendeva che fossero le sue prede a fare il primo passo.

Due immortali contro un licantropo che non aveva neppure raggiunto il suo primo plenilunio …

I due vampiri, con sincronizzazione perfetta, spalancarono le ali ed urlarono in quel loro modo acuto e stridulo sovrannaturale, che faceva rizzare i peli e contorcere le viscere dall’orrore.

Saltarono in avanti e strisciarono veloci sul terreno aiutandosi con le liste d’osso che tendevano le chiare membrane, simili ad enormi pipistrelli che si trascinavano come feriti, ma indubbiamente troppo veloci per esserlo.

Mark si chinò in avanti e si preparò a balzare. Le sue mani si contraevano e si rilassavano esercitandosi con impazienza. Ancora qualche istante e quelle mani si sarebbero immerse nel sangue.

Dal folto comparve una quarta figura, un quarto combattente dal profilo oscuro e slanciato, possente, ma che zoppicava vistosamente pendendo da un lato.

I due vampiri osservarono con diffidenza il nuovo arrivo e lo identificarono facilmente come un uomo lupo, un nemico da fronteggiare in più.

Mark sogghignò e canini un pò più affilati del solito fecero capolino da quell’espressione truce, in mezzo alle labbra leggermente tese

«Nero» disse piano, in un soffio di minaccia e cospirazione «Ti unisci a noi?».

Un ruggito canino sancì lo scontro: due contro due.

Ma era comunque uno scontro impari. Due Vampiri Maggiori sono potenti, di sicuro molto di più di un licantropo nero ancora zoppicante per le torture ed un uomo lupo che non ha ancora passato il suo primo plenilunio. E lo sapevano tutti.

Ma Mark aveva un’arma in più, da richiamare a se …  un’arma che neppure gli immortali immaginavano..

I vampiri avanzarono finché la terra non tremò e una vampa rossa illuminò il cielo oltre le chiome degli alberi di fuoco, seguita da una sagoma nera e lucente dalle grandi ali traslucide che coprì ogni luce con la sua massa vibrante.

Ogni cosa parve mescolarsi nel terrore, la notte vorticò di denti e muscoli.

Fuoco.

Sangue irrigò il terreno, che bevve avido come una bestia di dimensioni inimmaginabili.

Il cielo notturno fu presto pieno di altre innumerevoli ali grigie di creature demoniache, un esercito intero di Vampiri Maggiori giunse richiamato dall’antico istinto della guerra e del dolore che è loro sovrano.

«Venite, fratelli, venite!» Urlò uno di loro, ancora in forma umana aprendo le braccia pallide contro il cielo nero, l’espressione di esaltata ferocia dipinta sul volto ebbro di pazzo piacere «Venite! Sorgete dal vostro sonno, ridestatevi e volate! Che non rimanga alcun umano su questa terra, né il lupo a contrastarci! Si alzi la musica dei gemiti e delle grida, si veda il sangue schizzare macchiando i nostri ed i loro petti!» proruppe in una risata alta, di quelle che si potrebbero definire sataniche, mentre lo stormo dei suoi simili lo superava scendendo verso la battaglia, poi distese  la lunga mano in avanti come per raccogliere tutte le terre con un sol gesto «Figli del buio, sorgete su questa terra maledetta, spargete il sonno eterno al vostro passaggio».

Colui che aveva urlato doveva essere un Signore Grigio, perché nonostante avesse assunto la forma umana, che si stagliava all’orizzonte su una collinetta sopraelevata, la sua pelle non era diafana e vellutata come quella di tutti i vampiri, ma di un grigio polveroso che faceva pensare a una superficie rivestita di velluto.

“I Signori Grigi sono irritanti, hanno un sacco di manie di grandezza”fu quello che pensava Shadow mentre sollevava la testa e ruggiva impennandosi, mentre fiamme di un rosso brillante scaturivano dalle sue letali fauci

«Non giocate con me!Non si scherza!» urlò rauco, con ira, ritornando su quattro zampe con un tonfo che scosse la terra, poi anche lui rise e seguitò spedito a parlare «Dimenticate forse qual antica stirpe fronteggiate?» ringhiò, in un crescendo di straripante rabbia, e con la fierezza di un vero drago gonfiò il petto «Tanto meschini siete da rischiare così senza ideali il vostro misero surrogato di vita? Tornerete nella terra da cui siete venuti, come cenere, e su di voi pianterò l’albero del pane e la quercia».

“L’albero del pane” ragionò Shadow “Però, proprio una bella pianta … mi vengono bene le allusioni”

Ci fu un istante di quiete, illusoria e sottile.

Mark era immobile con le mani premute contro la gola di un grosso vampiro a terra, Nero, ferito e sanguinante, ansimava gonfiando il gozzo di aria, inginocchiato e piegato in avanti con le labbra nere intrise di spuma cremisi che colava sulla gola lentamente, a rivoli.

Tutti si guardarono, fugaci.

Poi la tempesta: un crescere metallico di corpi che si abbattevano gli uni contro gli altri, di fiamme e di tuoni, di dorsi inchinati alla luna, prostrati per colpire o per morire, e su di loro tutti un gigante nero ed alato, Shadow, troneggiava furioso sparando fuoco dalle fauci e colpendo forte con la coda, dilaniando con gli artigli dorati che ben presto divennero di un rosso fluido e macabro.

I vampiri si difesero e attaccarono meglio che poterono, ma qualunque scontro con un drago può concludersi in un solo modo…

L’indomani mattina i primi raggi dorati del Sole illuminarono un bosco intriso di sangue.

Dell’esercito dei demoni più antichi, i vampiri, rimaneva qualche mucchio d cenere grigia e pozze rosse nelle concavità del terreno chiaro.

Una gigantesca creatura nera si stagliava contro il cielo color pesca, le potenti zampe in appiombo perfetto e la testa rivolta a oriente, le ali chiuse e aderenti lungo il corpo slanciato e il torace che si alzava e si abbassava nel respiro.

Il drago ruggì al Sole in segno di saluto e come ringraziamento, la gola vibrante nell’emissione di quel suono profondo, poi si abbassò e guardò quasi con dolcezza due creature addormentate.

Una era Nero: l’uomo lupo sonnecchiava sbuffando raggomitolato con il muso allungato sotto l’avambraccio peloso, le zampe posteriori quasi completamente distese. Poco più in là c’era Mark, assopito con la schiena contro un albero, sporco di sangue e con le braccia abbandonate contro il legno e i palmi a terra.

Shadow lo toccò con il muso sul petto

«Sveglia, signore del buio!» lo esortò allegro, dimenando la gigantesca coda come un cane.

L’uomo gli afferrò fulmineamente il corno dorato sul naso e scattò in piedi

«Che battaglia!» commentò, con negli occhi verdi l’ebbrezza dello scontro «E quando ci capita più? Peccato sia durata poco»

«Ma allora sei proprio un masochista! Volevi durasse di più? A voi bipedi non vi capisco proprio … Non ti sei preso abbastanza colpi ieri sera?»

«Direi che non se ne ha mai abbastanza da correggersi»

«Tu non sei Mark!» Shadow girò intorno al Dragoniere e lo osservò per bene «Il corpo sembra il suo… molto simile direi, sembra che lo hai preso al museo delle cere di Londra… dove hai messo il mio malinconico e saggio umano? Dove lo hai relegato?»

«Da nessuna parte» Mark si spostò lentamente e ringhiò con il suo vocione da basso «Sono sempre io Shad…è solo che ogni tanto riemerge il lupo»

«Anche prima a volte riemergeva il cosiddetto lupo» rettificò il drago, facendo sporgere un po’ in fuori il labbro inferiore «Ma non eri mica tanto desideroso di farti male… »

«Hai ragione. Allora diciamo che a riemergere non è il lupo, ma l’uomo lupo»

«Così va meglio. Wooo!Ti sei quasi trasformato stanotte. Non sembravi tu».

Rimasero per un istante in silenzio, poi videro qualcuno venire verso di loro. Era Harry, che si guardava intorno inorridito scavalcando con cautela le pozze di sangue

«Mark! Che è successo qui? Oh, mio Dio!» il giovane impallidì indicando l’uomo lupo a terra che dormiva «Che ci fa qui quello?»

«Non preoccuparti Harry» rispose Shadow, gioviale, aumentando l’ampiezza dei semicerchi che descriveva lentamente con l’enorme coda «Ci ha aiutati nella guerra»

«Guerra? Che storia è questa? E il fatto che vi abbia fiancheggiati in un incontro non significa affatto che per noi non è pericoloso, ma solo che abbiamo dei nemici in comune»

«Ti sbagli» intervenne Mark, con la solita mesta calma di quando spiegava qualcosa «Abbiamo parlato prima di stanotte, ieri sera, e abbiamo stretto un accordo da fratelli»

«Accordo da fratelli» sbuffò Harry, per nulla convinto «E tu vai anche a crederci? Degli uomini lupo non ci si può fidare»

«Vorrei farti notare che anche tu sei un uomo lupo come lui …»

«Si, ma non volontario…John stamattina mi ha detto che c’è una bella differenza fra chi è uomo lupo sin dalla nascita o si trasforma volontariamente rispetto a chi è licantropo involontario»

«Non c’è che dire, hai la risposta pronta» nonostante sembrasse un complimento, Mark aveva il tono leggermente amaro

«E i sensi all’erta che mi dicono: scappa quando il mostro si risveglia!»

«Scappa quanto vuoi, ma non azzardarti a fare del male a Nero!»

«Nero?» chiese Harry, stupito da quell’insolito nome da videogame

«Il nome del tuo padrino» spiegò il Ministro Oscuro

«Il mio padrino si chiamava Shawn, non dire cose stupide»

«No… io non dico cose stupide» Mark non sembrava particolarmente arrabbiato, ma tanto per mettersi al sicuro, Harry si fece piccolo piccolo mentre il suo maestro gli spiegava «Il padrino di un licantropo è colui che lo ha fatto diventare tale»

«Quindi l’uomo lupo che mi ha morso si chiama Nero»

«Si, si chiama Nero»

«Però non mi avete spiegato cosa è successo qui» disse il giovane, mostrando con la mano una porzione di terreno incenerita fino alla base di un albero su cui erano ben visibili una serie di graffi lunghi e profondi «Contro chi avete combattuto?»

«Vampiri» rispose Shadow, cupamente

«Ah, vampiri» fece Harry, che ancora non aveva imparato a fidarsi del tutto di una creatura temibile come lo era il drago «Non pensavo che ci fossero vampiri in giro, qui in Texas»

«Infatti di vampiro texano ce ne potrà essere stato al massimo uno o due, ma sono stati richiamati da ogni parte del mondo»

«Chi li ha richiamati?!» Harry ebbe la sgradevole sensazione di essere entrato in qualcosa troppo più grande di lui … di nuovo

«La Grande Alleanza, un gruppo di terroristi alieni che vogliono cancellare per sempre la razza umana allo scopo di impadronirsi del nostro pianeta» spiegò il drago, noncurante, come se stesse raccontando come aveva fatto colazione «Ma a queste cose ci abbiamo fato l’abitudine. Non c’è niente di particolare da svelare, c’è solo da combattere: con tutte le armi in nostro possesso»

«Terroristi alieni?» urlò Harry, mettendosi le mani fra i capelli scompigliati «Solo questi ci mancavano» esalò in un sospiro di esasperazione, pensando all’assurdità della situazione e nel fatto che doveva essere caduto in un libro a metà fra un horror e un fantasy confuso … Un fantasy molto, molto confuso, caotico: un incrocio fra le avventure di Anita Blake, Eragon, Guerre Stellari e qualcosa di parecchio più cattivo e doloroso, qualcosa che poteva anche a che fare con le Bramstokeriane avventure in stile Dracula …

Mark superò il ragazzo a grandi passi cadenzati, diretto verso casa. Aveva una fame che non ci vedeva, una pericolosa fame da lupi che lo spingeva verso la tana ed il cibo. E anche un altro genere di istinto, più caldo, che lo avvicinava ai piccoli, motivo in più per recarsi nella propria dimora.

Harry lo guardò allontanarsi con lecita curiosità, poi si voltò verso l’enorme dragone dalle squame nere e sorrise con il solo scopo di apparire più simpatico. Shadow fece schioccare la lingua contro il palato e si sciolse le spalle con un movimento rotatorio infossando un pò la testa nel corpo, poi rabbrividì e si stiracchiò come un gatto gigante spalancando le fauci spaventose ed inspirando con un rumore roco e graffiante.

Il giovane fu quasi spaventato da movimenti tanto ampi e dalle zanne lunghe quasi quattro centimetri esposte a non molta distanza, ma il drago lo rassicurò guardandolo negli occhi

«Faccio un pò paura, vero?» chiese Shadow

«Un pò»

«Lo so. Faccio paura anche agli altri draghi perchè somiglio a mio padre»

«Ho tanto sentito parlare di tuo padre, ma non so bene la sua storia»

«Se vuoi te la racconto, ma non qui. Questo luogo è stato macchiato dal sangue di esseri maledetti e non voglio rimanere ancora qui»

«Ascolterei volentieri la tua storia, tanto più che ho già mangiato e non so come trascorrere il resto della mattina»

«Allora monta» disse Shadow, abbassandosi fino a toccare con la gola a terra. Le squame crepitarono alla base del collo, un rumore oscuramente antico, come di una porta di legno marcio spolverata con un panno di camoscio.

Harry non era tanto sicuro di aver capito bene, ma lo sguardo del drago gli tolse ogni dubbio

«Devo salire?»

«Se non hai troppa paura …» Shadow si strinse nelle spalle e il ragazzo ebbe l’impressione che una montagna si muovesse «Puoi salire. Ma se non hai paura!»

«Ma no, anzi …» Harry deglutì e sentì un pizzicore doloroso in fondo alla gola.

Si avvicinò e mise una mano sulla spalla del drago, sentendo le squame fredde e dure, poi si arrampicò e si sedette poco davanti all’attaccatura delle ali, poggiando i piedi sulla attaccature delle zampe anteriori.

Il ragazzo guardò verso terra da quell’altezza che gli faceva venire le vertigini. Deglutì e poi spostò lo sguardo dritto davanti a se, concentrandosi sulle scaglie spesse e nere che brillavano di riflessi luminosi riflettendo la luce solare.

Aveva paura: non dell’altezza, non del gigantesco drago, ma di qualcos’altro di assurdo. Avrebbe riso di se stesso per quella fobia inspiegabile, se solo avesse avuto la mente appena un pò più lucida: aveva paura di stare occupando un posto che non gli spettava, di stare facendo un torto terribile a qualcuno … e credeva che probabilmente l’avrebbe pagata cara per questo.

Un uomo normale non deve sedersi mai sul dorso di un drago. Un drago che non gli appartiene.

Era come … desiderare la donna di un altro. Un peccato.

Il ragazzo non poteva ignorare la sensazione di stare sbagliando.

Shadow scattò in aria senza alcun preavviso, con una spinta terribile delle zampe posteriore.

Harry gridò senza capire cosa stava facendo, poi, quando l’impatto contro l’aria gli mozzò il fiato, guardò in basso e rise. La paura era una cosa da lasciare a terra in questa situazione.

Volare così era meraviglioso almeno quanto era descritto nei libri, la sensazione di essere un uccello libero contro il vento nel cielo azzurro assalì Harry in maniera violenta e bellissima, la brezza che gli scompigliava i capelli e scivolava sulle braccia, sbatteva contro la maglietta facendola aderire al suo torso. Immaginò di essere lui stesso ad avere le ali e dovette resistere alla tentazione di spalancare le braccia.

La terra sotto di lui diveniva sempre più lontana e confusa mentre risalivano nella volta colorata di un azzurro ciano spiazzante.

Harry infilò le dita negli interstizi dovuto alla sovrapposizione delle squame del drago e piegò il busto in avanti, socchiudendo gli occhi per non essere accecato dalla miriade di minuscole particelle di polvere e polline che gli sbattevano in faccia. In silenzio ascoltò il battito regolare e possente delle ali di Shadow, simile a quello che potrebbe essere prodotto da due tele cerate sbattute in aria, ma in qualche modo più cartaceo, umido.

Un mormorio basso e allegro giunse alle orecchie del giovane, una canzone bassa e sussurrata di cui comprendeva ogni parola eppure la dimenticava immediatamente dopo.

“Sognando la melodia del cuore …” Pensò, cercando vanamente di rammentare “Melodia …”

Niente, si sforzava di ricordare come continuasse, ma stralci di strofe gli risalivano in mente come pezzi di sughero in mare per poi autodistruggersi …

“Palpitare inspiegabile e così forte …

Volare …

Volare …

E tale lo splendore del nuovo giorno …”.

Harry si accorse di essere ancora in volo sul dorso scuro del dragone solo quando quest’ultimo iniziò a discendere planando dolcemente.

Ebbe un sobbalzo quando le zampe del drago toccarono terra trasmettendo la violenza dell’impatto al dorso ed a lui che vi sedeva sopra. Erano giunti in un’ampia zona rocciosa, con qualcosa di inquietantemente simile al paesaggio caldo e morto della Valle della Morte o ad un deserto dell’Arizona, anche se evidentemente più fresco. Cresceva  pochissima vegetazione che aveva comunque un colorito giallastro poco allegro e solo qualche minuscolo alberello svettava timido dal terreno sabbioso e rossastro come le dune.

Harry discese con cautela, aggrappandosi all’articolazione dell’ala che si dipartiva dall’enorme corpo muscoloso del drago, e appena fu a terra tirò un sospiro di sollievo, poi guardò Shadow ansimando

«Perché siamo venuti fin qui?»

«per allontanarci dal bosco impregnato di sangue maledetto»

«Questa cosa mi sta tanto di citazione cinematografica … E c’era bisogno di allontanarci così tanto?» si lamentò debolmente il giovane, senza il coraggio di protestare più forte di fronte a quella nera e immane massa di muscoli, artigli e denti affilati.

Shadow urlò come un orso arrabbiato alzando il muso verso il cielo, solo dopo rispose con un sorriso largo e amichevole, ignorando che Harry fosse terrorizzato

«Ci aspettava un amico. L’ho chiamato e così te lo presento»

«Che genere di amico?» si azzardò a chiedere il ragazzo, contenendo il tremito delle proprie membra «Precisamente?»

«Un amico drago»

«Oh».

Un rumore di battuti pulsante iniziò a farsi udire. Harry seppe di cosa si trattava e guardò in alto. Rimase colpito da una bellezza mozzafiato, l’essere più bello che aveva mai visto in tutta la sua ancora breve vita.

Dal Sole si staccò una figura che pareva un raggio tanto splendente era il suo corpo.

Un drago dorato.

Era poco più piccolo di Shadow, ma con grandi ali dalle membrane color panna all’apparenza più lunghe e potenti, con il corpo più massiccio nella parte posteriore e la testa corta ornata da due corna nere e corte sulla parte superiore. Atterrò pesantemente sollevando la polvere intorno alle sue zampe dorate, in spirali asciutte e turbinanti, poi guardò Harry con un paio di occhi castani, striati d’oro, che erano stranamente familiari. Sul suo muso aleggiava un sorriso largo e sornione che gli contraeva le guance grosse e ruvide di scaglie pesanti color sabbia chiara.

Shadow mise una zampa aperta con il palmo rivolto all’insù di fronte al petto del drago d’oro e la spostò verso l’umano come quando si presentano due parsone

«Dollaro» disse allegro «Questo è Harry. Harry» e cinse con un braccio le spalle del suo simile dorato in un gesto che apparve infinitamente umano «Questo qui è Dollaro»

«Molto piacere» brontolò il giovane umano, ancora rapito dagli aurei riflessi che sembrano volteggiare come cose vive

«Piacere mio» rispose con voce grossa Dollaro, muovendo la coda con compiacimento e spazzando il terreno con ampi movimenti di quest’ultima. Era gioviale e scherzoso, ben nutrito. Ricordava qualcuno … ma chi?

Shadow sogghignò ampiamente, mostrando tutta l’arcata dentale per il sommo dispiacere del ragazzo, che sobbalzò

«Sai, Harry, questo che vedi è il drago di John»rivelò

«Di John?» sussurrò fra se e se il ragazzo, incredulo. Non pensava che John, quel volpone che passava le mattinate fra i fornelli e il sito internet della banca tedesca, fosse un tipo da condividere la propria anima con una creatura potente e gloriosa come un drago … un drago tanto bello fra l’altro!

Shadow parve intuire al volo il pensiero del giovane umano e gli scoccò uno sguardo ironico

«Strano che Dollaro abbia scelto uno come John, vero?» chiese, con un angolo della bocca sollevato a mostrare le zanne bianche «E la stranezza si vede dal nome»

«Il mio non è un nome strano» replicò Dollaro, in un ringhio leonino che gli gonfiò le squame del gozzo

«Già» ridacchiò il dragone nero «Quanto draghi conosci con un nome di moneta?»

«Lira e Rublo» rispose pronto e fiero Dollaro, scalpitando come un cavallo inquieto e sollevando altra sabbia «Ai tempo di tuo padre erano celebri» annusò l’aria e si zittì ad uno sguardo feroce del suo compagno.

Harry si mise a fischiettare, ma quando comprese di essere come minimo ridicolo, decise di azzardare una domanda

«Shadow … ma non avevi detto che mi avevi portato qui per raccontarmi qualcosa su tuo padre?»

«Ma certo, su mio padre!» Shadow si battè una zampa sulla fronte, teatralmente «Si, ti racconterò …e Dollaro può aiutarmi perché ha ereditato la memoria ancestrale di suo padre»

«Ma mica è così facile rievocare la memoria ancestrale!» esclamò il drago dorato, con voce impastata

«Dai» lo esortò Shadow «Sarà divertente!»

«Questo si, ma anche un pò faticoso» la voce del drago dorato s’inclinò in una discesa gutturale «I draghi antichi ragionavano molto diversamente da noi, come sai, ed erano loro i veri padroni della cultura del sapere tramandato …»

«Senti Harry» Shadow ignorò il commento di Dollaro «Sei capace di comunicare mentalmente?»

«Me lo ha insegnato … me lo ha insegnato Mark» rispose Harry »Però non sono ancora molto pratico»

«Non importa, basta che tu abbia un pò di familiarità con la comunicazione mentale, così ci rendi le cose più facili»

«D’accordo»

«Allora siediti, così ti copro con l’ala ed eviti di beccarti un’insolazione».

Il giovane si sedette sul terreno secco e polveroso e vide la membrana nera e un pò traslucida dell’ala enorme di Shadow aprirsi a due metri dalla sua testa per proteggerlo dai raggi del Sole che quel giorno picchiava alla grande, come si diceva “da spaccare le pietre”.

Aprì la mente come aveva imparato e venne investito da una forza di pensiero portentosa che lo trapassò con la potenza dell’uragano.

Harry urlò, ma la voce che gli uscì fu smorzata e ridotta, strozzata, mentre le sensazioni che lo assalivano si calmavano.

Finalmente iniziò a sentirsi bene, galleggiando senza peso nella mente sconfinata di Shadow. Potè constatare che la mente di un drago era strutturata diversamente da quella di un umano, ma c’era qualcosa di lievemente uomo lì dentro, in particolare qualcosa fatto di Mark.

La voce psichica di Shadow gli venne in aiuto, fresca e riverberante, possente, che ricordava vagamente l’essenza profumata di menta piperita

“Io e Mark siamo sempre in contatto” spiegò “Drago e Dragoniere vivono in simbiosi mentale”

“Forte!”  non riuscì a trattenersi dal pensare Harry

“Per tutti i draghi è sempre stato così tranne che per mio padre Ermes” continuò Shadow, quasi sospirando
“Perché, cos’aveva di diverso tuo padre?”

Un’immagine apparve, realistica, palpabile e terrificante. Un drago nero emerse dal buio, simile a Shadow eppure orribilmente diverso. Gli occhi, piccoli e infossati In orbite profonde e ombrose, erano completamente bianchi, senza pupille, circonfusi di una cupa luce di diabolica rabbia perpetua. La criniera nera che percorreva il centro del collo muscoloso era più lunga e ispida di quella di Shadow, con un ciuffo più pesante sulla fronte, e nel complesso gli dava un aspetto selvatico e spaventoso da lupo mannaro, accentuato dalle innumerevoli cicatrici spesse in rilievo.

Era come un’ombra inquietante che risucchiava ogni positività, ogni gioia, come un macchia d’inchiostro tossico sul cuore.

Un drago come quelli che s’immaginano solcare il cielo alla venuta dell’apocalisse …

“Questo è mio padre Ermes”
“Tuo padre?Hai ragione, ti somiglia, ma mi fa molta più paura”
“La sua è una storia lunghissima e atroce”

Ricordi vorticarono nitidissimi, scorsero formando una narrazione. Ermes, in quelle visioni, era un assassino crudele e impietoso, sempre, temuto da uomini e draghi nel medesimo modo. Le zanne macchiate di sangue, gli artigli d’oro screziato di nero e caramello sempre affondati nella carne di qualcuno fino alle dita squamose.

Il dragone oscuro era divenuto per gli abitanti della grande Horn Blu Island un marchio di

distruzione. 

Si era rivoltato contro gli uomini.

Si era rivoltato contro i draghi, i suoi stessi fratelli.

Voleva la gloria, voleva la vendetta per antichi torti da tutti dimenticati. E voleva il Mondo.

Attorno a se aveva riunito schiere di temibili alleati, schiere di mannari, mannari veri grossi come orsi bruni, ma più slanciati e sovrannaturali nel loro aspetto di lupi troppo cresciuti, diversi in tutto dagli uomini lupo, molto più grandi e, se ciò è possibile, più tremendi, feroci.

Essi sorgevano dalle buche dei cimiteri, infidi e sospettosi, muovendosi come ombre al crepuscolo e nella notte, traendo energia dalla luna.

Questi erano gli alleati di Ermes, i figli delle tenebre respinti dalla civiltà a cui era stato promesso un grande regno. Ovunque il grande drago passava, portava con se le maledette ombre dai denti sfavillanti e gli occhi vitrei di morte e di antica follia.

Così il Signore di Tutte le Tenebre, Ermes, si preparava a prendere per se il mondo. Marciò su Horn Blu, l’isola dei dragoni, abbattendo una città dopo l’altra.

Non voleva governare, non dopo essere già stato più volte respinto come sovrano,. Ma voleva distruggere ogni cosa si frapponesse fra lui e la sua strada verso la folle gloria.

Il suo nome divenne il nome stesso della morte, sebbene fosse in origine il nome del messaggero degli dei.

Ma giunto presso Vorluniast, la capitale, ad Ermes venne tesa una rudimentale trappola: tre draghi lo attendevano uniti per affrontarlo. Il Signore di Tutte le Tenebre rise di loro, convinto della propria superiorità, e li affrontò tutti  e tre insieme senza esitazioni. Non peccava certo di superbia credendo di essere il più forte, perché a quei tempi era la creatura più potente della terra, ma aveva sottovalutato lo spirito di sacrificio dei tre draghi che lo fronteggiavano.

Uno dei tre difensori, il più forte, lo bloccò da dietro e prima che Ermes potesse  liberarsi da quella stretta per lui tanto debole, venne colpito da uno dei due dragoni rimasti con un’onda di energia devastante al punto tale che non solo lo trapassò da parte a parte, ma uccise anche colui che lo aveva bloccato.

Il sangue, dal grande ventre nero, fu sparso ovunque e si narrava che fosse tale il potere della linfa delle vene di Ermes, che dove l’ondata rossa toccò la terra, crebbero i rovi in una così intricata foresta che nessuno poté mai più rivedere il corpo del Signore di Tutte le Tenebre.

Degli altri draghi nessuno sopravvisse al caos scatenato per le vie della capitale dai servi del dragone nero, ma una volta che giunsero i rinforzi che ricacciarono nelle loro tane i mannari, infine giunse un periodo di pace e di prosperità.

Fu così con quell’eroico sacrifico che Ermes era stato fermato. Ma non per sempre.

Solo l’anno precedente Shadow aveva rivisto il tanto odiato padre, in un sotterraneo.

La notizia del ritorno di suo padre fu scioccante per tutta la comunità dei Dragonieri.

Ermes aveva assorbito l’energia dei draghi e degli uomini che aveva attirato nel posto in cui riposava al solo scopo di rigenerarsi. Non era mai morto davvero, ma, divenuto abilissimo nella padronanza delle Arti Oscure, poco dopo essere stato mortalmente ferito, nell’episodio dei Tre Draghi avvenuto secoli prima, aveva avuto appena la forza per auto sigillare il proprio corpo sotto terra ed imporsi il sonno dell’Oscuro Resurrezione, una tecnica che permette di raggiungere uno stadio di morte apparente del corpo per poi risanarlo e riattivarlo quando un grande campo di energia si fosse avvicinato.

Questo dimostrava che il male non si può sconfiggere neppure con un eroico sacrificio. Serve di più, molto di più: l’equilibrio e il potere.

I ricordi smisero di scorrere e raccontare, ed Harry, ansimando, guardò Shadow

«Quello era tuo padre?» chiese, quasi turbato

«Si» rispose seccamente la gigantesca creatura, senza vergogna

«E tua madre …»

«Non ho una madre» ancora una volta, il drago riuscì a stupire il ragazzo.

Harry si appoggiò la fronte alla punta delle dita di una mano

«Va bene, ragioniamo. Se Ermes è un maschio …»

«Ermes non è un maschio»

«E allora perché lo chiami padre?»

«Perché è ermafrodita e non mi va di chiamarlo padre-madre. E poi somiglia più a un maschio»

«Come sarebbe a dire … erma … ermafrodita?».

Shadow socchiuse gli occhi e sospirò

«La nostra … la nostra specie è molto diversa da quella dei draghi che tu conosci»

«Cioè?» Harry sperò solo di non essere invadente «Siete sia maschi che femmine? Ma anche gli erma … froditi, non hanno bisogno di accoppiarsi?»  

«Beh … si … ma non tutti. Ora, se aspetti un attimo» Shadow fece schioccare la lingua per zittire Harry, il quale stava per interromperlo di nuovo «Ti spiego meglio, ok?»

«Ok»

«Bene. Allora, normalmente i draghi hanno sessi separati, ma il cammino evolutivo che ha portato alla nascita di mio padre ha fatto si che la mia razza possa essere definita come dotata di quella caratteristica chiamata euermafroditismo. Sai cosa significa?»

«Quando l’abbiamo fatto, in biologia, ero distratto» confessò il ragazzo, dondolando sul posto

«Peccato. Beh, di solito i ragazzi sono attenti quando si studiano queste cose. Comunque, l’euermafroditismo o ermafroditismo sincrono, è quando, come dire, ci sono in uno stesso corpo ed in uno stesso momento sia i gameti maschili che quelli femminili. Si ha dunque una capacità di autofecondazione o di fecondazione incrociata, cioè, volendo potrei accoppiarmi sia con un maschio che con una femmina, ma potrei anche deporre le uova tutto da solo … o da sola, se preferisci»

«Quindi tuo padre era anche tua madre»

«Esattamente …»

«Ma … Ed ora che è di nuovo in circolazione, quel … mostro?»

«Non farà niente» si affrettò ad assicurare il giovane drago oscuro.

Drago oscuro, non nero; Harry aveva imparato dai ricordi di Shadow che il drago nero e il drago oscuro erano due razze completamente diverse fra loro.

Un drago nero è come quelli che spesso si vedono nei film, massiccio essere dalle squame spesse e cinerine con corna grigie scurissime e un carattere solitario, ma non massacratore per natura.

Un drago oscuro è un pò diverso, ma era difficile capire quale davvero fosse il temperamento tipico della specie visto che ne esistevano solo pochissimi esemplari ed erano tutti profondamente diversi fra loro.

Dollaro ridacchiò, allegro in maniera sconcertante per una creatura del suo aspetto e con una voce possente che riverberò fin dentro il terreno

«Già è molto che il vecchio Ermes non mi abbia già eliminato … però ci ha tentato e ci è andato vicino»

«In effetti riconosco che è un essere spregevole, ma è sotto controllo»

«Su questo hai ragione. Beh» fece l’occhiolino all’altro drago e all’uomo «Ora devo andare a mangiare ragazzi, io vado eh!»

«Si, ci vediamo per la luna piena!».

Dollaro aprì le ali e decollò con un pò di difficoltà: aveva di sicuro qualche chiletto di troppo.

«Quando è che c’è la luna piena?» Chiese all’improvviso, preoccupato, Harry

«Domani» rispose Shadow «E chissà che gli succederà a Mark…»

«Mark? Io sono stato morso da un uomo lupo»

«Anche tu?»

«Come … oh Signore: ci dovrai chiudere tutti e due a chiave in una stanza, Shadow!»

«Vi ammazzereste!»

«E allora mettici in stanze separate!»

«E pensi che un uomo lupo pesante centocinquanta chili non riesca a distruggere una porta?»

«Che ne so…fallo incatenare. Ho paura! Farà male secondo te?»

«Spero di no» rispose con un brivido il drago, evidentemente scosso e forse per questo ancora più terrificante, come solo le bestie impaurite sanno esserlo «Non voglio che faccia male! Dai, torniamo a casa …»

«Va bene».

Tornarono in volo così com’erano venuti. Incredibile pensare come corre il tempo: era già ora di pranzo.

Il pomeriggio trascorse sufficientemente tranquillo per esser quello di due licantropi in attesa della luna piena e John li trattò in maniera del tutto normale.

I problemi cominciarono il giorno seguente.

Harry si svegliò stordito e appesantito. Si sentiva la testa come stretta da un cerchio che partiva dalle tempie, passandogli dietro le orecchie, e gli premeva fino a metà della calotta cranica.

Scese a fare colazione con passo lento. Le ossa sembravano quasi muoversi come sonagli dentro il suo corpo, contro i muscoli duri e cuoiosi che gli gonfiavano la pelle chiara.

Attorno al tavolo non c’era nessuno, ma gli avevano lasciato le uova e il bacon pronti.

Harry si sedette e prese la forchetta. Gli venne una fame terribile, come se non mangiasse da mesi.

L’odore del cibo giunse penetrante alle sue narici, riempiendo del desiderio di mangiare la sua mente. Fece colazione con gusto e voracità, godendo del sapore pastoso e incollato dell’uovo e di quello forte e proteico del bacon,affumicato e dolce.

Gli capitò di vedere dalla finestra un grosso cane dal pelo corto e giallastro simile a quello dei boxer, con qualche lieve striatura color terra e le estremità, come muso e zampe, più scure, e quella visione gli suscitò l’assurdo istinto di mangiare più rapidamente per non farsi rubare il cibo.

Quando concluse di nutrirsi avidamente decise di uscire, ma scoprì suo malgrado di mal sopportare il caldo e la luminosità esagerata del Sole. Si rifugiò all’ombra di un pino e rimase immobile con la testa appoggiata contro il legno. Sentiva con chiarezza ogni barlume di vita ed era una sensazione meravigliosa ed inebriante.

Udì il battito veloce del cuore degli uccelli e i pigolii dei pulcini nei nidi farsi più forti e gioiosi all’apparizione del genitore con la cena stretta nel becco, una giovane cavalletta. Percepì le contorsioni dell’insetto nei becchi feroci, gli ultimi suoi deboli friniti e le sue gambe che venivano strappate, lacerate dagli artigli dei mostriciattoli dalle rade piume grigie che si contendevano le sue carni coriacee e prelibate. Non era una cosa strana, né una cosa dolorosa: era naturale e dava uno strano brivido.

Harry percepiva la morte.

La sofferenza, la contorsione … la cavalletta si spense.

La stessa cosa accadeva ad un lontano coniglio nelle fauci di cani selvatici e, più lontano ancora, un uomo sparò e uccise, godendo della sua impresa.

Ma non la sola morte dominava in quei campi, bensì frullare d’ali, corse di zampe e brulicare

 d’insetti. Il profumo intenso delle conifere sotto il sole era inebriante quasi quanto quello del sangue.

Ma dov’erano gli uomini, le prede più ambite?

Harry iniziò a camminare in silenzio, quasi saltellando da un piede all’altro.

Vide qualcosa muoversi verso di lui con movenze ampie e sinuose. Era un cavallo: un animale alto ed elegante dal manto di un color bronzo scuro tendente al nero, lucente sotto il sole e bardato con ricchi finimenti dorati. Il nero e l’oro.

Sulla groppa poderosa sedeva fiero un cavaliere con baffi e barbetta cortissimi, rasi, dai contorni indefiniti, le basette quasi rasate, ma visibili come due rettangoli color paprica. Aveva i capelli di un rosso chiarissimo, quasi un arancione carota bollita, che facevano uno strano contrasto con la polo blu. Quando vide il giovane, fece fermare il cavallo e scese senza difficoltà, quasi facendo un salto a piedi uniti

«Hai visto per caso dov’è Mark? Sono passato stamattina che era ancora presto, ma non l’ho visto» disse con un sorriso a cui era impossibile non rispondere e con un tono caldo, ma basso.

Harry si avvicinò sospettoso e scoprì di essere molto più basso e probabilmente un tempo sarebbe stato fisicamente meno ben piazzato del misterioso cavaliere, mentre ora non sapeva dirlo con certezza.

«Mi dispiace» Rispose, diffidando ancora un pò «Non l’ho visto neanch’io»

«E mannaggia … ti va di venire con me a prendere un caffè?»

«Volentieri»

«Come ti chiami?»

«Harry, per gli amici Harry» il giovane sorrise, tornando socievole com’era nella sua natura «E tu?»

«Timothy, per gli amici Tim o Timon» esclamò l’uomo dai capelli rossi, stringendo vigorosamente la mano di Harry con la sua, grossa, ma non forte come ci si sarebbe potuto immaginare «Allora, come ti ha accalappiato, Mark?»

«Accalappiato?» fece Harry, perplesso

«Si, insomma: come ti sei trovato costretto a seguirlo nelle sue disavventure?»

«L’anno scorso sono andato con loro in un posto …» scosse la testa come per smentire le proprie parole «Andato? Ma che dico? Mi hanno buttato su un jet scassato e mi hanno portato nella foresta indiana»

«La foresta » Timothy si strofinò un occhio con noncuranza e tirò a se il destriero con le redini «Un classico … »

«Che verrebbe a dire che è un classico?»

«Vieni» l’uomo si mise in cammino verso la casa «Prendiamo la macchina»

«Non mi hai detto che cosa significa che è un classico!»

«Uhm, vediamo un pò» Timothy fece finta di riflettere sfregandosi il mento ispido e socchiudendo un pò un occhio «Significa che è un vecchio trucco»

«Cosa è un vecchio trucco?» insistette Harry

«Oh, dimenticavo!» il rosso si battè una mano sulla fronte con aria leggermente melodrammatica, dando ad Harry l’impressione che quell’uomo fosse abituato a recitare «Sono uno sbadato, mi dimenticavo che per chi è nuovo di questo ambiente sembra tutto strano. Forse perché è davvero tutto strano, ma aldilà di questo … beh, vedi, Mark e quell’altro svitato di John, sono sicuro che lo conosci, ogni tanto vanno a perdersi in posti estremi tipo, che so io, in Alaska, e riescono invariabilmente a procurarsi nuovi membri per la comitiva. Tu sei uno di questi, tanto per fare un esempio concreto. Ti sei unito al gruppo quasi per sbaglio se non erro».

Timothy non attese la risposta, aprì la serranda del garage facendola scorrere verso l’alto con forza e lasciò andare il cavallo nero dopo averlo liberato della sella con un paio di rapidi movimenti

«Vai, Raffaella, divertiti … »

«Si chiama Raffaella?» Chiese curioso Harry, indicando il fiero animale dal manto d’inchiostro

«Si, mi piacciono i nomi italiani» rispose Timothy, trafficando con lo sportello della macchina finché non riuscì ad aprirlo e entrare nello spazioso abitacolo scuro.

Solo adesso Harry si accorse di che tipo di macchina si trattasse … era impossibile. Ma quanto era ricco quel tizio? La forma dell’auto era chiaramente sportiva, allungata, con i fari che sembravano vagamente ali di vespe schiacciati contro il muso affusolato. La vernice era macchiata in più punti, ma all’inizio doveva essere stata grigia lucida.

E poi era una Ferrari, una mostruosamente costosa Ferrari cabrio Silverstone, di quella con gli interni in pelle e un mare di optional da sommergerti con un prezzo da far girare la testa.

Timothy mise in moto e spostò la vettura, poi scese e richiuse il garage, muovendo goffamente le grosse mani.

Sembrava molto più impacciato con cose comuni come le automobili piuttosto che con i cavalli.

«Salta su» Esclamò allegro

«D’accordo» rispose Harry, facendo come gli era stato ordinato.

Il giovane sprofondò sulla seduta profumata color cuoio del sedile, scivolato in avanti come amava stare, senza neppure pensare di chiedere come mai Timothy tenesse la sua costosissima automobile a casa di Mark. Il mal di testa gli impediva di pensare a cose complicate come questa.

Chiacchierando di cose di cui gli uomini normali parlano di solito, come l’elezione del nuovo presidente, il tempo atmosferica e l’economia tristemente in picchiata, arrivarono in città.    

Timothy era una compagnia davvero piacevole e dava l’impressione di essere un uomo intelligente e buono, con lo spirito d’ospitalità texano, tanto rinomato, che in lui era estremamente visibile ed accentuato.

Portò Harry in uno di quei bar rustici e luminosi che di solito si vedono nei telefilm come Walker Texas Ranger, dove si presero un caffè molto zuccherato per ciascuno. Il proprietario era un uomo tarchiato, sui sessant’anni, con i folti capelli bianchi come zucchero filato tirati all’indietro, lisci sulle tempie in una maniera che lo faceva sembrare un nobile o un politico, il quale servì personalmente i suoi clienti, dispensando a Timothy cenni d’intesa come se si conoscessero da un sacco di tempo.

Harry, però, non se ne accorse perché era intento a sistemarsi sullo sgabello che, tutto d’un  tratto, gli appariva immensamente scomodo e piccolo.

«Allora, ragazzo» Disse Timothy, trangugiando in un solo sorso silenzioso il contenuto della sua tazzina bianca, come se avesse lo stomaco foderato di amianto «Che mi racconti di te?»

«Sono un grafico» rispose Harry

«Oh, un grafico … Potresti anche disegnarci le magliette ufficiali, sei il primo grafico che entra nella compagnia»

«Sul serio?»

«Detieni un primato. Che ne pensi di Mark? Francamente»

«Perché t’interessa saperlo?» sbottò il ragazzo.

Timothy si strinse nelle spalle e mosse in circolo il cucchiaino a mezz’aria

«Così, per sapere … e perché poi, francamente, a me sembra strano. E’ da quando aveva cinque anni che è strano»

«Lo è! Inquietante. Ma è inutile che te lo dica, se lo conosci da quando aveva cinque anni» Harry fece per sorseggiare il caffè, ma l’odore stranamente penetrante lo fece desistere «Questo caffè ha uno strano odore … »

«Ma no, fai controllare» Timothy prese la tazzina da sotto il naso del giovane e ne annusò il contenuto tutto assorto, poi sollevò un sopracciglio color carota e dichiarò «No, è a posto!»

«Sicuro?»

«Sicuro, se non ti va lo bevo io»

«Fa pure».

Timothy tracannò in un sorso solo anche il caffè di Harry, senza tanti complimenti, e poi poggiò di nuovo la tazzina sul bancone con una delicatezza che sorprese il ragazzo.

All’improvviso qualcuno dietro di loro urlò con voce strozzata e a questo seguì una serie di borbottii rochi. Harry si voltò di scatto e vide due uomini avvinghiati esattamente di fronte alla porta, uno tozzo e dal collo taurino, l’altro un pò più alto e meno ben piantato, dall’aria feroce, che però perdeva sangue da un labbro spaccato.

Si chiese come avessero potuto ignorare l’inizio del litigio, ma si accorse immediatamente che fino ad ora nel locale c’era stato un intenso chiacchiericcio che copriva le voci dei due litiganti.

Timothy ruotò insieme allo sgabello su cui era seduto e ridacchiò, poi si fece serio

«Smettetela di picchiarvi!» urlò adirato, con le vene del collo gonfie e in rilievo sotto la pelle chiara «Altrimenti vengo lì e vi spacco il muso a tutti e due, mi sono spiegato, idioti?».

I due litiganti si separarono all’istante con l’aria innocente di due cocker appena bastonati, che sulle loro facce abbronzate di delinquenti sembrava del tutto fuori posto.

«Scusa Tim» Disse quello tozzo, avvicinandosi all’uomo dai capelli rossi che come un re lo scrutava dal suo “trono sgabello” «Ma è stato Roger a iniziare a fare il cretino …»

«Che ti ha fatto?» chiese Timothy, pragmatico

«Ha fatto … » parve ringhiare come un animale «Una battuta di pessimo gusto sulla mia ragazza!»

«E vabbè, non farne un caso mondiale. La tua ragazza è presente?»

«No, lei è a casa»

«E allora, visto che non ha sentito, non può essersi offesa. Quanto a te, Roger Samsons: il pugno in faccia te lo sei meritato. Quindi fate pace e non pensateci più, d’accordo? Oh … così mi piacete, ragazzi!».

I due uomini stavano ancora annuendo ubbidienti quando Timothy girò di nuovo lo sgabello per dedicare la propria attenzione ad un perplesso Harry

«Non preoccuparti, fanno spesso così, ma solo quei due e qualche altro scemo che ha voglia di farsi male» lo rassicurò

«Perché hanno paura di te?» chiese il giovane, impressionato

«Perché per primo cosa non ho paura di denunciarli per le loro risse idiote e per secondo: una volta sono entrato qui con Mark e Sara e abbiamo fatto a pezzi tutti quelli che si azzardavano a rompere o che hanno rotto tempo prima» alzò un braccio e mostrò fiero il bicipite gonfio ricoperto da uno strato sottile di grasso «Temono questo, quei poveri disgraziati!»

«Poveretti»

«Non avrai mica compassione per i rissaioli da pub di discendenza celtica come questi quattro ubriaconi?»

«Ma no, la mia era solo ironia!».

Timothy rise e diede un pugno al bancone di legno

«Sei forte, Harry» gli disse, indicandolo ammiccante «Sei fidanzato?»

«Ancora single»

«Ma come, uno come te è ancora un’anima solitaria?» lo canzonò, deluso «Pensavo che le ragazze ti corressero dietro a fiumi dopo aver saputo quello che hai fatto a Villa Voratten»

«Anche tu sai quella storia?»

«Lo sanno tutti quelli dell’ambiente, caro il mio Cucciolo. Che nome stupido. I biker sembrano tanti idioti, vero Harry?» sorrise e scosse la testa «Nulla togliendo a Mark, che è pure un motociclista di quelli fortemente casinisti»

«Chi è un biker casinista?» chiese una voce femminile che si avvicinava.

Timothy alzò una mano per salutare con disinvoltura

«Ciao Michelle!»

«Ciao, Trappola» rispose la donna, allegra «Allora, chi è un biker casinista?»

«Casinista è comunque una parola brutta» constatò Harry, tranquillo, poi si concentrò per memorizzare la faccia della nuova arrivata.

Gli era difficile visto che lei somigliava ad un pò tutte le cameriere texane tipo, pur non essendo affatto una cameriera, ma con la medesima lunga capigliatura bionda che gli scendeva fino alle scapole e gli occhi maliziosi e allegri, furbi, di un marrone intenso e pungente che, se ti fissava a lungo, alla fine ti stancava. Era vestita con una camicetta azzurra leggera molto scollata e portava pantaloncini color panna scuro abbinati agli stivali di pelle con un tacco medio

Timothy parve irritato all’improvviso, come se avesse percepito una trappola

«Ma che t’interessa?» ringhiò

«Mi piacciono i biker casinisti, sono simpatici» rispose Michelle, con un sorriso largo

«Allora dovresti conoscere James» disse fra se e se Harry, ripensando alla propria disavventura bostoniana, ma la bionda lo intercettò, era il caso di dirlo, con la rapidità di un serpente cobra

«Chi è James?» gli chiese

«Un biker di Boston» rispose il giovane, con un gesto affettato della mano «Un uomo particolare, però è difficile che tu lo conosca, visto che non è texano»

«Ha i capelli neri?»

«Si»

«Gli occhi azzurri?»

«Si»

«Allora è il mio ex» Michelle fece l’occhiolino a Harry «Ma non siamo stati insieme a lungo, è convinto che non avrebbe mai più avuto libertà se mi avesse sposata. Il fatto è che io non avevo nessunissima voglia di sposarmi, dio le soluzioni definitive. Però mi ha mollata lo stesso. Era un bastardo del cavolo, ma in fondo gli volevo bene»

«Sentire le storie singole dei tuoi mille e uno fidanzati è divertente» la interruppe Timothy, dando un colpetto con il gomito ad Harry come a fargli capire qualcosa, poi si alzò «Però, per quanto sia piacevole il tempo vola e dobbiamo proprio andare»

«Di già?» la sorpresa sul volto di lei era palese

«In effetti si» l’uomo dai capelli rossi prese per la spalla Harry e lo trascinò fuori dal bar velocemente con una disinvoltura sorprendente, poi lo fece salire in macchina e ripartì. Superarono un gruppo di case a tutta birra e dietro l’angolo si fermarono.

Harry era sconvolto

«Perché siamo scappati?» domandò «E’ davvero così atroce stare a sentire le storie di quella ragazza?»

«Chi ti dice che siamo scappati?» ribatté Timothy, sovrastandolo con al sua mole di colore chiaro

«Lo penso. Insomma, siamo proprio corsi via»

«Ma cosa ho detto?»

«E che ne so io, di quello che dici tu?»

«Ho detto che il tempo vola, amico mio… e si da il caso che io ho davvero da fare!»

«E che facciamo qui?» Harry si guardò intorno: erano vicino a un grande giardino un pò giallastro, ma allegro così bagnato dal Sole, con le piante erbacee alte e un paio di alberelli verdi e giovani. Che c’era da fare in un posto come quello?

Timothy sorrise amichevolmente allontanandosi a piedi fino a un vecchio caseggiato scrostato con le finestre bordeaux disposte ogni tanto lungo i due piani larghi e bassi. Si prese una chiave lunga dieci centimetri da una tasca e aprì la porta massiccia di vecchio metallo verniciato. Sembrava avesse una chiave per ogni cosa, come un guardiano della città.

Lui ed Harry entrarono nell’edificio simile a un magazzino.

Timothy sorrise

«Portiamo a passeggiare il cane, mi sembra più sensato che rimanere ad ascoltare storie da squallido romanzo rosa» spiegò, poi si abbassò sulle ginocchia e aprì le braccia, dando l’impressione strana che la sua polo stesse per scucirsi sul petto «Vieni qui» esortò «Forza Spark!, Dai, lil’ Spark!»

Dal fondo della costruzione si levò un abbaiare festoso e comparve un cane da caccia con il pelo corto e scuro a spazzola, le orecchie grosse e pendule ai lati della testa dall’espressione seria, gli occhi color ambra brillanti nella penombra. Il magnificò cane, probabilmente da caccia, attraversò di corsa la sala e balzò in braccio a Timothy scodinzolando, i denti scoperti in un ringhio festoso, poi lo leccò su una guancia e ritornò a quattro zampe sul pavimento grigio di cemento.

Harry guardò ammirato l’animale slanciato che emetteva un uggiolio sommesso

«Che bello» commentò «Spark è il tuo cane, vero?»

«Si, certo che è il mio» rispose fiero Timothy, uscendo e invitando il giovane a fare lo stesso «Lo tengo qui dentro perché è un posto che protegge dalla calura e anche dalle intemperie. E poi può uscire quando vuole: ho installato sulla porta una gattaiola formato maxi» chiuse la lastra d’acciaio e indicò in basso un’apertura coperta da un pannello basculante di plastica rossa «Così lui può entrare, ma cani più grossi no, perché non ci passano. E nemmeno i ladri, giusto amico mio?» diede un spazzolata vigorosa alla testa nera di Spark con il palmo calloso della mano «Giusto prode cacciatore?»

Spark abbaiò e corse via dimenando la coda

«Dove va?» domandò Harry

«Non preoccuparti, va a farsi un giro e torna, così passeggiamo tutti insieme, vuoi?»

«Si, con piacere»

«Eh, già» fischiò e il cane ricomparve latrando vivace.

I due uomini e Spark si misero a passeggiare. Harry inspirò a fondo e pensò felice che quella era la vita che voleva: non nella città caotica né nel duro silenzio della natura più pura e bella, ma pur sempre troppo tranquilla. L’ideale era stare lì, nell’animata comunità rurale ai bordi di una delle più belle e famose città texane, Houston.

Era un pensiero quasi infantile, ma quella città era famosa anche per i lanci nello spazio dei razzi con a bordo gli umani. Certo, anche lì c’era la malavita, le gang, i pestaggi, ma erano nella vera e propria città, all’interno, non fra le campagne dorate.

Poi ebbe un sussulto. Chissà come aveva pensato che c’era tanta buona gente … buona da mangiare. Era turbato da se stesso, dai propri pensieri innaturali.

Timothy se ne accorse, ed anche Spark, a giudicare da come ringhiava

«Hey, Harry, ti senti bene?» domandò l’uomo dai capelli rossi

«Si, s » si affrettò a rispondere il giovane, con la voce un pò rotta come se avesse pianto «Sto bene, tranquillo … »

«Sicuro?»

«Si, sto bene, tranquillo»

«Io non sono agitato» ribatté Timothy, indicandolo con aria poco convinta «Ma tu, però, sembri stare male. Vuoi che ti porti all’ospedale? Ho un cugino dottore, potrebbe darti un’occhiata …»

«No, non voglio, stavo solo pensando a delle cose brutte»

«Va bene, allora non insisto oltre … oh, guarda: c’è Ryan! Ehi Ryan!»

«Tim!» ruggì un tipo bassetto come Harry, con capelli cortissimi stile marines e una faccia bella come quella di un attore.

Aveva al guinzaglio un setter femmina dal pelo un pò fulvo e un pò mielato e di lato a lui c’era una ragazza sui vent’anni di età,capelli scuri e occhi marroni incorniciati da occhiali da vista con la montatura sottile color argento che esaltava la sua bellezza di giovane donna.

Harry strizzò gli occhi per togliersi dalla mente la strana sensazione che gli comandava di saltare addosso alla coetanea e mordere come un dannato matto, si costrinse invece a sorridere

«Salve» disse.

Ryan si avvicinò

«Buongiorno … » salutò, con garbo e stile da stella hollywoodiana «Hey, Tim, chi è il tuo giovani amico?»

«Non siamo ancora amici» rispose Timothy, passando un braccio intorno alle spalle di Harry come se volesse fare capire esattamente il contrario di quello che aveva detto «Siamo solo conoscenti. E comunque, se ti interessa, il mio conoscente si chiama Harry e ho saputo che è di Boston»

«Boston? Anche Miky è di Boston» constatò Ryan, alludendo chiaramente alla sua giovane fidanzata «Di che zona?»

«Centro» rispose Harry

«Che lavoro fai, ragazzo?»

«Lavoro in un’agenzia di grafica pubblicitaria»

«Digitalizzata?»

«Anche»

«Devi essere bravo con i computer»

«Me la cavo abbastanza, ed è necessario, con i tempi che corrono …»

«Sei troppo modesto» lo adulò Ryan, dandogli sulla spalla, in corrispondenza della cicatrice del morso, un colpetto con l’indice ed il medio uniti «Qualche volta dobbiamo uscire a cena tutti insieme. Tu che ne pensi, Miky?»

«Sarebbe fantastico» rispose la ragazza, entusiasta «Voi ci state?».

Harry era sospettoso: due perfetti sconosciuti che chiedono di cenare con lui?

Timothy fu comunque velocissimo a rispondere per entrambi

«Certo. Facciamo stasera alle otto? Al solito posto?»

«Meraviglioso!» commentò la ragazza «Noi ci saremo»

«Allora arrivederci a stasera»

«Arrivederci» risposero i due fidanzati, allontanandosi felici e sorridenti.

Harry, senza capire la propria stessa scortesia, prese per il colletto Timothy, affondandogli le unghie nella polo blu fin quasi a lacerargliela

«Io non posso venire stasera!» ringhiò cupo, adirato

«Non ti arrabbiare» disse calmo l’uomo dai capelli rossi, spingendo via il giovane «E poi perché non puoi venire, scusa?»

«Ho impegni che non posso rimandare»

«Si che li puoi rimandare, goditi la vita! Ci sono due splendide persone che vogliono conoscerti meglio solo perché ti hanno trovato simpatico e tu che fai? Rifiuti?»

«Tu non capisci … »

«Fammi capire tu, allora»

«Non posso»

«Ma dai, sarà magnifico. Luna piena e tanta compagnia!»

«Proprio questo mi preoccupa» borbottò Harry, giù di corda «La luna piena e la tanta compagnia»

«Che lupaccio solitario che sei! Dai sarà divertente!».

Harry pensò che Timothy stava continuando a trovare i termini più adatti per descrivere la situazione e ciò ebbe su di lui il potere di gettarlo ancor più nel baratro nero della depressione.

Non fece in tempo a strisciare via con la “coda fra le gambe” come avrebbe voluto perché accadde qualcosa che sembrava essere stata inserita a posta in quella storia, come in un film.

All’improvviso qualcuno comparve di corsa da dietro l’angolo, un energumeno con la testona pelata ed una borsa in mano. Era alto e massiccio, con un torace ampio che premeva dall’interno del gilet imbottito nero.

Harry osservò la borsa: era di pelle bordeaux, piccola, con degli strass colorati, chiaramente una borsetta da donna.

Poi vide qualcun altro correre dietro il grosso uomo pelato, una femmina umana di bassa statura che tendeva le mani come negli inseguimenti dei vecchi film polizieschi, in maniera leggermente ridicola. La situazione non sembrava seria come la facevano vedere in televisione.

«Fermatelo!» urlava lei, la voce stridula per la rabbia ed il terrore «Fermatelo, ha la mia borsa!».

Il ladro guardò verso Tim ed Harry e per un istante si bloccò, come terrorizzato. Era come una statua, i suoi occhi erano scuri, due buchi come bruciature nella pelle abbronzata, sotto l’ombra di due sopracciglia pesanti. Poi ricominciò a fuggire. Timothy scattò in avanti a velocità per raggiungerlo

«Fermo! Fermati immediatamente!».

Harry indietreggiò di un passo, indeciso sul da farsi, poi partì anche lui a correre. Il cuore gli martellava in petto come non aveva mai fatto, se non per paura di qualcosa di terrificante. Ma ciò che Harry provava era tutto fuorché paura, più che altro era eccitazione, adrenalina pura iniettata nelle vene.

Tum … Tum …. Tum, tum, tum.

E di fronte a lui correva il ladro. Una preda che fugge. L’istinto di un cane, di un lupo, o di qualunque altro animale da preda, comandava di inseguire e divorare tutto ciò che scappa perché se la preda fugge, senza neppure tentare di resistere, senza segnalare il proprio vigore, è chiaro che è pronta a soccombere. Questo è il linguaggio della morte.

E il ladro stava scappando.

Ma Harry era veloce, molto più veloce, ed in lui stava risorgendo un istinto animale che è alla base della sopravvivenza, la comprensione del dialogo fra il predatore e la preda che deve morire.

Si piegò verso terra, sentendo i propri muscoli dorsali che si allungavano e quelli delle gambe che si contraevano sotto il peso del torso, poi balzò come un cane gigantesco. Colpì una sola volta, ma con violenta precisione, il dorso dell’energumeno, spedendolo a terra.

Timothy si bloccò, sgommando con le nike contro il cemento, e guardò Harry con stupore.

Il giovane colpì con un ceffone la nuca del ladro e gli strappò di mano la borsa ansimando

«A voi, signora» disse piano, riconsegnando l’oggetto rubato alla legittima padrona.

La donna gli sorrise con gratitudine

«Grazie molte» mormorò, mentre le sue guance arrossivano lievemente

«Di nulla» rispose Harry, fissando l’omone dolorante steso a terra che si stava rialzando come se stesse facendo una faticosa flessione sulle braccia.

Timothy si avvicinò senza timore

«Bravo l’eroe» esclamò «Bel recupero, dovresti fare il poliziotto»

«Ma se è la prima volta che faccio una cosa simile» si schermì il giovane, con leggero imbarazzo «Io di solito non so fare questo genere di azioni»

«Spiritoso…sei un atleta, vero?»

«No, non sono un atleta…»

«Infatti sei morto!» ruggì il grosso tipo pelato, scattando verso di lui con  ferocia.

Timothy si mise in mezzo per difendere il suo giovane amico, ma senza alcun preavviso Harry lo superò ringhiando e sia avventò contro il ladro prendendolo per le spalle rotolando a terra con lui. L’energumeno stava per are un pugno a Harry, aveva già serrato le dita e spinto il braccio indietro per darsi la carica, ma prima che potesse farlo il polso gli venne bloccato da una mano troppo più forte della sua che, tirandolo, sollevò il suo corpo a mezz’aria, come in un’assurda mossa di Kung Fu e ricadde a terra, sull’asfalto caldo, percorso da un dolore terribile.

Harry si avvicinò a Timothy procedendo a marcia indietro con gli occhi fissi sul ladro che sveniva in seguito al colpo violento, gli occhi rovesciati all’indietro a mostrare solo il bianco

«Gli ho fatto male» sussurrò tremante, quasi accartocciandosi su se stesso «Io non, io non volevo…»

«Era legittima difesa, Harry» lo rassicurò Timothy, incrociando le braccia sullo stomaco «Qual’ è il problema?»

«Non sono padrone delle mie azioni. Avrei potuto ucciderlo…» si guardò intorno, lo sguardo di un animale braccato «Sono un mostro, sono un orribile mostro»

«Ma sei svitato?».

Harry corse via, preso dal rimorso. Dunque dov’era finita la sua politica della non violenza e del rispetto? Dov’era finito quello che aveva sempre creduto di essere? Stava davvero per essere rimpiazzato da un animale di inaudita ferocia? Era la sua fine, la fine della sua dignità?

Il giovane superò di corsa, senza mai rallentare, una famiglia con due ragazzi e un paio di amiche per poi fermarsi in un campo abbandonato fin troppo lontano da dov’era prima.

Si inginocchiò fra l’erba, fino a che questa gli arrivò al petto, e chiuse gli occhi.

Pianse, dapprima, in silenzio, poi con singhiozzi simili a brevi ruggiti.

Quando smise aveva i palmi delle mani sanguinanti: non si accorse di essersi conficcato le unghie nella carne per quanto forte aveva stretto i pugni. Si asciugò le lacrime con il dorso della mano destra e si rialzò, scoprendosi ancora una volta forte e sicuro fisicamente e devastato mentalmente.

Aveva percepito qualcuno che arrivava e non voleva farsi trovare così distrutto a terra.

Si allontanò a passo svelto, trotterellando. Poco tempo dopo, senza sapere come, si ritrovò a galoppare come un cavallo lungo le colline ed i campi sotto il Sole, verso quella casa che aveva imparato a conoscere anche come propria e dove sapeva che avrebbe potuto trovare rifugio per nascondersi quando sarebbe divenuto violento.

Si sentiva sempre più vicino alla crisi licantropica benché fossero ancora le undici e mezza del mattino.

S’improvviso vide sagome scure avvicinarsi tagliando per un pascolo.

Ringhiò minaccioso come un cane fermandosi piegato sulle gambe. Comprese spaventato perché non c’erano vampiri in Texas: era pieno di uomini lupo.

Ma perché la gente comune non se ne accorgeva? Perchè lui stesso, prima di incontrare Mark, non avrebbe mai creduto possibili certi fenomeni? Forse perché gli uomini lupo, perfettamente consci di ciò che sono, non uscivano facilmente allo scoperto, ma se si è dei licantropi appare notevolmente più facile trovarli.

Ma certo … per il lupo è facile avvistare il lupo come per l’uomo è facile avvistare l’uomo.

Harry si sdraiò nell’erba, benché sapesse che lo avrebbero trovato comunque. Sentiva il proprio cuore che rimbombava contro le costole in maniera sgradevole e una sensazione scura e vischiosa in fondo allo stomaco, quasi un verme pronto a sgusciare verso la spina dorsale.

Due creature enormi strisciarono verso di lui.

Una aveva ancora il pelo rado e corto, era quasi un essere umano, l’altra, una femmina a giudicare dall’odore che Harry ebbe modo di annusare, era completamente trasformata e alta circa un metro e ottanta, con il pelo nero lungo e umido. Il maschio guardò in direzione di Harry con occhi attenti, come spilli ardenti, e frugò con lo sguardo fra l’erba alta, le labbra ancora rosa arricciate in un espressione di assorta ferocia. Aveva le iridi scure, grigiastre, che brillavano come se sul loro fondo fosse stato versato uno strato di argento liquido.

La femmina, a quattro zampe, emise un ringhio basso che le vibrò in gola e trottò in avanti verso una macchia di capelli neri fra il verde chiaro.

Harry chiuse i pugni su i fili più sottili di gramigna pregando dentro di se che non lo trovassero, o almeno, visto che lo avevano già individuato che non lo attaccassero. Il cuore che batteva terribilmente forte nel suo petto, impazzì definitivamente quando il ragazzo sentì il fiato della lupa lambirgli caldo il collo e il rumore rasposo del respiro riempirgli le orecchie. L’odore dell’alito della belva sapeva di carne cruda, un effluvio quasi gradevole tutto sommato, ma terribilmente spaventoso a sentirsi mentre quelle zanne affilate penzolavano a una decina di centimetri dal collo del giovane.

Poi l’uomo lupo maschio ululò, la sua compagna lasciò andare Harry e i due licantropi, evidentemente due licantropi volontari, se ne andarono con la stessa andatura con cui erano giunti.

Harry osò respirare più liberamente e si alzò in piedi lentamente, raccogliendosi dapprima le ginocchia fra le braccia come se avesse freddo e poi distendendo i muscoli della schiena.

Se l’era vista davvero brutta.

Poi udì un abbaiare furioso dietro di se. Lo avevano preso in trappola, esattamente come quando era stato con la gang di Ray.

“Scemo, scemo, scemo!” Si disse.

Sospirò e se la diede a gambe: con la violenza aveva chiuso. E poi cosa avrebbe potuto fare contro due lycan volontari?Lo avrebbero fato a pezzi.

Le due bestie gli corsero dietro, a quattro zampe, tanto che il maschio, ancora non del tutto trasformato, incespicava data la sproporzione dei suoi arti.

Ma la femmina aveva quasi raggiunto il polpaccio di Harry.

Le zanne lambirono il jeans strappandone il tessuto.

Il giovane si piegò in avanti e cadde a quattro zampe. La donna lupo gli balzò addosso e lo avrebbe sicuramente ucciso se non si fosse udito uno sparo e passi pesanti, rapidi e cadenzati avanzare verso di loro.

L’uomo lupo maschio gridò per attirare l’attenzione della compagna.

Tutti, anche Harry, si girarono.

Comparve, enorme, un uomo vestito di nero, ch veniva rapido verso il ragazzo e i due lycan con un’espressione di ferocia che una tigre avrebbe tranquillamente invidiato, preferendo ritirarsi.

Buttò la pistola che aveva in mano dietro di lui, dove spuntò un secondo umano che la raccolse, poi dedicò tutta la sua attenzione ai suoi due bersagli.

La donna lupo gli andò incontro rizzando il pelo su tutta la schiena, pur essendo visibile solo la pelliccia del collo, come la famosa coda di volpe che mettono intorno ai cappucci dei cappotti. 

Il gigantesco umano, o presunto tale, fece un salto in avanti e colpì con un pugno la testa della licantropa che rotolò all’indietro con un uggiolio spaventato e confuso. Il maschio attaccò, spaventoso e nerastro, protendendo le mani munite di tremendi artigli di un chiaro violetto lunghi circa un centimetro e mezzo, affilati.

L’uomo vestito di nero schivò lateralmente lo slancio della mezza bestia e rise piano, con una voce che sembrava un latrato roco, poi prese il suo nemico con una presa a cravatta da dietro e lo sollevò da terra di venti centimetri

«Vuoi andartene?» gli chiese, sussurrandogli vicino all’orecchio appuntito, con un chiara minaccia. L’uomo lupo inarcò la schiena in avanti alzando sul proprio dorso l’uomo più grande di lui che non lasciava la presa, e si buttò a terra indietro, schiacciando al suolo l’enorme peso del suo avversario in forma umana, che però rimase stretto saldamente alla sua gola, soffocandolo lentamente.

La donna lupo si rialzò e si slanciò contro l’uomo, incurante del dolore che avrebbe potuto infliggere al suo stesso compagno, aprì le fauci mostrando la dentatura terrificante.

Harry, sebbene confuso, seppe in un istante che avrebbe dovuto proteggere l’umano e prese la licantropa alla gola, rischiando un morso che avrebbe potuto staccargli una mano.

Il grosso umano a terra diede un ultima stretta al collo taurino dell’uomo lupo ormai privo di sensi   e accorse in aiuto del giovane con prontezza e ferocia eccezionali.

Harry capì solo in quell’istante che l’uomo vestito di nero era Mark.

La femmina di licantropo sgusciò via dalla misera presa di Harry e caricò a testa alta, in modo da poter devastare e dilaniare con le zanne il più possibile.

Mark spinse di alto il giovane e si abbatté contro la donna lupo ringhiando.

John accorse e puntò la pistola

«Tieni duro» gridò, con voce grossa del tipico eroe cinematografico «La ammazzo io quella bestia! Ma che… » lasciò cadere l’arma e tirò su con il naso, incredulo: il suo amico aveva azzannato la lupa gigante e poi le aveva cavato gli occhi con la mano destra, con il riflesso felino e senza rimorsi della tigre che ferisce la sue preda.

Non è bello vedere un essere umano che morde una bestia, sembra uno stravolgimento delle leggi naturali: anche se Mark non era del tutto umano, ne aveva ancora l’aspetto.

Harry si girò istintivamente dall’altra parte

«Dimmi quando ha finito!» esclamò, rivolto a John e disgustato

«Non posso» ripose l’altro, con la voce colorata di isterismo «Non sto guardando neanch’io».

Da dietro di loro proveniva un inframmezzarsi di versi feroci e strazianti che non si capiva bene di chi fossero, poi il silenzio.

«Potete voltarvi» Disse dopo un pò Mark, con un’inflessione roca e gutturale assolutamente inumana.

Harry lo guardò e fu assalito da un misto di sensazioni indescrivibili … sapeva solo che era stato sollevato a vederlo con la faccia pulita dal sangue dopo quel morso affondato.

John invece balbettava con un sorrisetto ebete

«T Tu hai mo … morso quell’animale? Ma, Ma Mark sei completamente, assolutamente … n non posso dirti ammattito, ma qualche problema ce l’hai no?»

«Si, ce l’ho un problema» rispose l’omone, sogghignando trucemente «Sono un uomo lupo»

«Dicevi che non ne eri sicuro! Non ti sei ancora trasformato!»

«Questione di qualche ora, amico … »

«Sono senza parole»

«Anch’io» intervenne Harry, titubante «Le immagini parlano» deglutì e il suo pomo d’Adamo rimbalzò su e giù come una pallina da ping pong «Al posto mio»

«Ecco!» John indicò il giovane, poi lo prese per un braccio «Vedi Mark, anche lui è un uomo lupo, ma non ha ancora ucciso nessuno con un morso. Farlo finché si è in forma umana è … impressionante. Vedi di non farlo più, intesi?»

«Intesi» borbottò Mark, guardando altrove con aria persa, poi si voltò lentamente e scrutò John con sguardo da cospiratore «E se anche tu diventassi un … »

«Non pensarci neppure!» urlò John, mettendo le mani in avanti«Non mordermi eh! Non ci tengo a riempirmi di peli … senza offesa»

«Va bene».

Harry guardò il corpo morto della donna lupo e si accorse di avere fame, una fame che sovrastava la cautela stessa. Decise di proporre il pranzo prima di diventare realmente pericoloso

«Hey ragazzi, io ho fame … voi?»

«Io ho già mangiato prima» mormorò Mark, alludendo a chissà quale inumano pasto, ma John annuì nei confronti di Harry

«Va bene ragazzo, andiamo a mangiare».

Tornarono a casa in automobile, tranquillamente. La mattinata era stata fin troppo movimentata e stressante. Chissà come l’aveva presa Timothy … incredibilmente l’argomento saltò fuori a metà pomeriggio.

Mark si avvicinò con l’aria pesantemente oppressiva, che da poco aveva assunto, a Harry, e lo guardò in quel modo strano in cui i suoi occhi verdi erano in ombra, invisibili sotto la sagoma oscura della visiera di un cappellino da baseball nero, ma dava l’impressione di fissare senza sosta e con un perverso interesse.

Il giovane dai capelli neri non resse a lungo quella muta sfida ed alla fine sbottò

«Che c’è?»

«Timothy ti cercava» disse con voce bassa Mark «Stasera devi andare ad una cena»

«Non posso, sai benissimo il perché … »

«Stasera io sarò lì, tu puoi fare quello che vuoi».

Harry aprì la bocca e si immobilizzò come se avesse guardato negli occhi la leggendaria Medusa

«Ma, ma tu … »

«Io sono un uomo lupo, si, ma non sono certo di potermi trasformare. Stasera andrò a cenare da loro e quel che accadrà accadrà … »

«E io? Io sono un uomo lupo completo!» urlò Harry, battendosi le mani sul petto con un movimento da automa «Che cosa farò?»

«Verrai, così potrò controllarti. Vai a prepararti come devi e, ti raccomando, mettiti qualcosa di largo perché la massa muscolare del tuo corpo potrebbe aumentare»

«Certo, posso prendere solo vestiti larghi visto che ci sono solo i tuoi» si lamentò il giovane «Mi stanno larghissimi»

«Ti sbagli. Ci sono anche quelli di Sara»

«Sara? Saranno mica tutti dei vestiti da femmina? Ti avverto che non metterò niente che sia solo vagamente rosa e vaporoso … »

«Scherzi? No» Mark sembrò quasi offendersi

«Allora sono tutti vestiti da biker» Harry avrebbe voluto domandare, ma gli venne più naturale affermare

«Più o meno»

«Ma non posso andare a comprarmene, che so, qualcuno da cerimonia giù in città? O mettermi quelli che ho in valigia?»

«Se ti presenti con un abito da cerimonia rischi di venire picchiato e i tuoi vestiti sono stretti anche per te in forma homid. Devi, se proprio vuoi comprare, prendere qualcosa di largo ed informale»

«Va bene, allora vado in città a prenderne un paio … di abiti … mi presti la macchina?»

«Ho anche un carro funebre se vuoi … »

«No, no, voglio solo la macchina … »

«Scherzavo» rivelò Mark, calmo, poi parve ringhiare «Prendi» alzò gli occhi e gli sganciò in mano le chiavi.

Harry corse al centro commerciale e fu di ritorno due ore dopo, alle sette di sera.

Chiuso in camera sua indossò i nuovi pantaloni, un paio di jeans larghi che dovette stringere un pò troppo in vita con la cintura, la camici azzurra chiara che era un classico e, tanto per sicurezza, un paio di scarpe da ginnastica Nike di due misure più grandi dei suoi piedi.

Era sicuro, anzi più che sicuro, di sembrare un ragazzo trascurato in quel modo.

Gli venne da ridere figurandosi il bellissimo Ryan che gli chiedeva come mai si mettesse abiti così larghi e se stesso che, noncurante, rispondeva “E’ perché sono un licantropo e la massa muscolare del mio corpo potrebbe subire un aumento durante le notti di luna piena”.

Scese al piano di sotto e vide Mark seduto nel suo modo stranamente elegante in poltrona, con un grosso cane scuro sdraiato ai suoi piedi, un rottweiler dalla testa pesante e l’espressione assorta, per nulla inetta come di solito si raffigura per alimentare la loro fama di assassini.

L’uomo e il suo animale si somigliavano in maniera talmente impressionante che sembrava un reato non affermare che cane e padrone si assomigliano.

Harry si avvicinò e aprì le braccia per mostrare il vestiario

«Così va bene?» domandò, speranzoso ed in parte preoccupato.  

Mark lo guardò come se lo pesasse con lo sguardo, poi il suo volto duro da vecchio lupo rosso si rilassò in un sorriso soddisfatto, divenendo oscuramente gradevole

«Stai bene» disse «E sembri vestito in modo funzionale. Hey, scusa se ti ho turbato in qualche modo, prima. Non era mia intenzione, la luna mi fa uno strano effetto»

«Si» il giovane, preso alla sprovvista, pensò che sarebbe stato utile mostrarsi umili e disinvolti nel perdonare «Non preoccuparti, è quasi come se non mi avessi fatto niente. E, anzi, in realtà non hai fatto niente a me. Certo, oggi ti ho visto un pò diverso dal solito» si mise a grattarsi una mano guardandosela, incapace di sostenere più a lungo il limpido ed inquietante sguardo verde di Mark «Ma è normale per qualcuno della tua condizione … »

«Grazie Harry».

Mark si alzò e superò lentamente il giovane, seguito dal cane con un’andatura tranquilla, poi si voltò un istante

«Fra un’ ora in macchina» mormorò solamente, poi scomparve.

Harry rabbrividì anche se non ne capì il motivo. Si sentiva compreso. E sentiva che a qualcuno importava davvero di lui … sembrava strano a dirlo, ma tutti quelli che lo avevano circondato fin da quando era stato un bambino  non gli avevano regalato la gioia dell’amicizia, quella dei compagni complici, ma solo un banale e normalissimo amore dettato da un legame forzato, di sangue o di classe. Sua madre e suo padre lo avevano accudito da genitori esemplari e lo avevano guidato fino al lavoro, ma con freddezza, per il semplice motivo che dovevano fare quello che avevano fatto. I suoi fratelli facevano finta di volergli bene, in un modo così realistico che c’era cascato, ma non gli volevano bene davvero: lo trattavano così perché lui era un loro parente, un nuovo rampollo atto a rendere illustre la famiglia.

Harry non riuscì a sentirsi stimato dai suoi cari, sapeva di essere stato per loro tale e quale ad un quadro di Picasso: magari orribile, senza nessun valore sentimentale, astratto, ma trattato con ammirazione e riguardo perché qualcuno ha imposto che quei quattro schizzi scomposti sono un’opera d’arte e la gente, anche se magari odia quelle figure, fa finta di stimarla per pregi che in realtà non ha.

Ora era diverso.

Harry percepiva chiaramente che Mark era soddisfatto del suo cambiamento.

Sapeva di essere stato giudicato per quello che era e aver superato la prima prova.

Harry uscì in giardino, invaso da una nuova sensazione, e alzò gli occhi al cielo. Rimase pietrifico, colto da un brivido di terrore: già compariva, nell’azzurro ormai scuro, un pallido fantasma di luna piena.

Una scossa gli attraversò tutto il corpo,gettandolo in ginocchio.

«Il momento di trasformarsi è giunto» gemette teatralmente il giovane.

Aveva deciso che se proprio doveva trasformarsi, almeno sarebbe stato spettacolare e dignitoso.

Sentì il petto gonfiarsi e premersi dentro la camicia, chiuse gli occhi, ma non accadde nient’altro di preoccupante. Il momento della metamorfosi non era ancora arrivato.

Harry rimase ansimante sulla soglia per qualche minuto, a quattro zampe, poi si rimise in piedi con deliberata lentezza ed evitò di guardare ancora la luna. Ormai sentiva la bestia respirare dentro di se, pronta ad uscire dal suo Io con artigli di ferocia.

Decise di passare un pò di tempo a distrarsi parlando mentalmente con un animale. La prospettiva lo allettava, lo rapiva, ma fino ad ora non aveva mai tentato di comunicare con creature diverse dai suoi simili.

Aprì la mente, con un pò di difficoltà, e percepì non troppo lontane due enormi fonti di energia che dovevano essere i draghi, quindi deviò alla ricerca di qualcosa che non sapeva parlare.

Il fatto era che c’erano centinaia di piccole coscienze pulsanti  e confuse intorno a lui, nei campi e nel cielo, fra l’erba o nei tronchi dei pini, e nessuna di queste sembrava abbastanza complessa da accorgersi di lui … tranne una che era comparsa solo adesso e si avvicinava come se lo annusasse.

Perché le menti, come rappresentazione di ogni aspetto di un vivente, ha anche un odore …

Harry toccò con cautela la coscienza che gli si avvicinò e gli parlò tentando di utilizzare un tono vellutato ed amichevole

“Ciao. Io sono Harry e sono un essere umano. Tu chi sei?”.

Un abbaiato furente risuonò nello spazio psichico e fuori da esso.

Il giovane uomo si chiese come fosse possibile comunicare con un animale pensando nella propria lingua, se i cani pensassero in abbaiati o se una cosa come il pensiero fosse universalmente comprensibile.

Ogni dubbio gli fu dissipato quando udì una voce canina, ringhiosa, riempirgli la testa urlando. Era come se quella voce, già dotata di un accento strano, fosse disturbata da un segnale proveniente da lontano, una sorta di tamburo profondo e ritmico: era comprensibile, ma con grande sforzo.

“Un umano?!”

“Sipensò Harry, eccitato “Tu cosa sei?”

“Io sono quello che quelli della tua specie chiamano un canis familiaris”

“Un cane! Sto comunicando con un cane!”

“Pensavo che fossi un lupo, hai l’odore di un lupo. Invece sei un umano …” abbaiò incomprensibilmente  e poi proseguì nel medesimo tono rabbioso “ Non tutti quelli come voi, gli umani, sanno parlare con noi”

“Sono la prima persona umana con cui parli?”

“Perdinci,no! Ce ne sta un altro, tale Mark, non so se lo conosci”

“Si, certo che lo conosco”

“Un bravo umano, come pochi ce ne stanno in giro, quel tale. M’ha tirato fuori da un postaccio, m’ha salvato la pellaccia. Brav’uomo, anche se ogni tanto qualche calcio me lo busco, ma me lo merito un pò … ma solo un pò perché gli ho assestato qualche morso. Ma lo sai che te non mi piaci?”

“Perché?”

“Perché puzzi di bestia selvatica”affermò cupo il cane, con il tono che si affievoliva man mano che la sua mente retrocedeva intimidita “Puzzi di lupo e hai qualcosa che non mi va …”.

Il collegamento si chiuse lasciando Harry più demoralizzato di prima.

Ora non c’era neppure più la possibilità di provare l’ebbrezza di un contatto per il giovane, perché la bestia che era in lui stava lentamente impadronendosi di ogni sua caratteristica, divorandolo.

Harry rientrò giù di corda e vide il grosso John trottare verso di lui con il sorrisetto arrogante sempre lì, ad aleggiargli sul volto cicciottello.

Il giovane si costrinse a sorridere di rimando, ma l’uomo dal cappello bianco era abbastanza allenato da intercettare istantaneamente un sorriso posticcio

«Che ti succede?» chiese John, fermandosi con una frenata rumorosa delle scarpe eleganti contro il pavimento «Sembri un morto che cammina»

«Luna piena» rispose flebilmente Harry, demoralizzato «Come potrei stare bene?»

«Ah, boh, non lo so … vieni con me, mi accompagni»

«Va bene, ti accompagno dove?»

«A prendere la macchina che dobbiamo andare, no?»

«Si, certo, si … non pensavo che fosse arrivata già l’ora di cena»

«E invece, mio caro, il tempo vola e va … » il tentativo da parte di John di fare poesia fu quasi patetico, così l’uomo dal cappello bianco decise di cambiare immediatamente approccio e andare per la via breve « … Io non verrò alla cena»

«No … perché non vieni? Non devi controllare Mark?»

«Ah no, sennò chi rimane a casa?»

«Ma perché qualcuno deve rimanere a casa?» ribatté Harry «Mica crolla tutto se per una notte lasciamo incustodita la casa»

«Qui ti sbagli!» esclamò John mentre si avviava verso l’auto bianca nuova che svettava lontanissima e brillante in un parcheggio naturale «Se lascio solo la casa è probabile che crolli» ridacchiò «Stasera ci sono dei bambini che sono dei demonietti in piena regola»

«Bambini?»

«Oh si… le figlie di Mark hanno invitato dei compagnetti. Sembrano indemoniati quei ragazzini» scosse la testa con gravità «Non posso lasciarli soli per molto, vi faccio l’autista e torno a controllare che non facciano ardere il mondo»

«Non sapevo che Mark avesse figli» disse Harry, incredulo «Però sarebbe stato strano anche se non ne avesse avuti. Sembra uno che piace alle donne, nonostante non sia quello che si potrebbe definire una gran bellezza … »

«Eh! Se piace e a voglia che piace!» John, ridacchiando, aprì lo sportello della macchina ed entrò «Allora, Harry, ho tre consigli per te»

«Dici pure» acconsentì Harry, sedendosi e chiudendo lo sportello

«Bene» John mise in moto e proseguì «Allora: quando vedi Ryan digli subito che ha delle

magnifiche scarpe. Lui è fissato con le scarpe, ha una vera e propria ossessione» spiegò «Non preoccuparti se non guardano mai troppo a lungo Mark, anzi non fissarlo troppo nemmeno tu perché quando c’è molta gente diventa irritabile, eh!E poi ricorda bene: se una cosa non ti piace, soprattutto un cibo, dillo senza timori, ma con educazione. Adorano chi è schietto. E poi ho anche una quarta raccomandazione: racconta barzellette, storie, tutto quello che ti passa per la mente»

«Va bene» disse Harry, percorso da un brivido involontario «Me lo ricorderò».

Giunsero di fronte alla porta della casa e John suonò due volte il clacson.

Sulla soglia comparve Mark,  che sembrava ancora più largo del solito e vestito con più classe.

Sotto il giubbotto di pelle nero indossava una camicia scura che gli dava un tocco d’eleganza, portata bene, con una scritta rossa ricamata sul taschino che spuntava solo a metà dal giubbotto.

Aveva la fronte coperta, come sempre, da una bandana nera leggera, e i guanti da motociclista di pelle che lasciavo scoperte le dita.

Harry si accorse di una piccola presenza  che quasi scompariva al fianco dell’omone gigantesco: una bambina dai capelli di un castano tendente al rossiccio dalla pelle chiara come quella di Mark.

Doveva essere sua figlia, l’espressione del suo volto era inconfondibile, consapevole ed un pò persa in ragionamenti estranei a quello spazio e quel tempo, e gli occhi erano gli stessi di quelli del padre.

John suonò di nuovo il clacson e la bambina lo guardò torvamente

«Ma vuoi stare fermo?» sbottò «Fermo!»

«Che ci vuoi fare? Mancano quindici minuti alle otto» ribatté John «Non ho voglia di arrivare in ritardo»

«Pignolo che non sei altro»

«Senti chi parla! Pignolo io?»

«Buoni pitbull» intervenne Mark, divertito «Di solito andate d’amore e d’accordo, come mai conflitti di questo genere?»

«Conflitti … che esagerazione … è una faccenda fra me e John. Giusto Volpone?»

«Giusto» rispose John, dando un altro nervoso colpetto al clacson con la punta delle dita.

Mark sorrise, completamente rilassato, e salì dietro in auto.

Harry evitò di fissarlo troppo a lungo, come gli avevo raccomandato John, ma la curiosità lo divorava … doveva guardare Mark se non voleva collassare.

Partirono velocemente, dietro di loro la bambina, appoggiata alla cornice del portone, agitava la mano annoiata.

Entrarono in città e, dopo un pò, si fermarono di fronte ad un locale sufficientemente raffinato, ma niente affatto da divi o da snob, con un ampio parcheggio occupato solo in minima parte. Sembrava un posticino tranquillo, quel genere di ristoranti dove gli amici si ritrovano per festeggiare i compleanni.

Mark ed Harry scesero in silenzio  e si avviarono verso l’entrata luminosa del locale, John li salutò con un allegro «Divertitevi!», ma stava accadendo qualcosa che non includeva il divertimento.

Proprio mentre la macchina bianca ripartiva, Ryan venne incontro all’omone e al giovane, insieme a Miky, bellissimo come una stella di Hollywood.

La giovane donna indossava un abito fresco e leggero color panna con un foulard arancione e sbarazzino intorno al collo, i capelli erano raccolti in una coda che le lambiva la schiena ondeggiando lievemente ad ogni passo.

Harry si sentì un pò imbarazzato a trovarsi vestito com’era, ma ebbe comunque il coraggio di non scappare preso dalla vergogna e di fare quello che John gli aveva raccomandato. Abbassò gli occhi sulle calzature lucide e perfette di Ryan e sorrise

«Che belle scarpe» disse, con convinzione.

Ryan sembrò gonfiarsi di felicità

«Belle vero? Io colleziono scarpe»

«Si vede che hai la cura del collezionista»

«Grazie … » Ryan mosse un braccio con un ampio gesto verso l’interno del ristorante «Ma venite, ordiniamo qualcosa!»

«Dov’è Timothy?» chiese rauco Mark, facendo indietreggiare involontariamente Miky

«Dentro» rispose Ryan «Si sta occupando delle bevande»

«Birra, immagino»

«Si, in effetti».

Si accomodarono all’interno del locale, fra le tavole di legno molto distanti fra loro e coperte da tovaglie candide semplici che conferivano al ristorante un aspetto deliziosamente retrò, accentuato da un paio di ampie corna di cervo appese sopra ad un caminetto nella quale sfrigolavano spiedini di carne.

L’odore del grasso bruciacchiato e colante fece aumentare la salivazione di Harry in maniera esponenziale.

Scelsero un locale sul retro del locale, all’aperto, dove Timothy li stava aspettando sorridendo con le birre Nastro Azzurro italiane esposte come candele.

«Ciao Tim» Borbottò Mark, sedendosi pesantemente accanto all’uomo con i capelli color carota pallida.

Harry prese posto di fronte all’omone e anche gli altri due presenti rimasti, chiacchierando come due giovani innamorati quali erano, si sedettero tenendosi per mano.

Venne un cameriere dal naso aquilino, come quello dei maggiordomi nelle produzioni horror, ed i capelli folti e grigi che ricordavano la consistenza della pelliccia di un grosso ratto

«Buonasera signori» disse, guardando tutti con occhietti che brillavano «Che prendete stasera?»

«Allora Louis» iniziò Ryan, facendo chiaramente capire che conosceva il cameriere «Per me il solito, per Miky sempre il solito … tu Mark?»

«Carne» disse solo il gigantesco uomo, con uno sguardo da predatore che avrebbe fatto rabbrividire, ma Louis parve non farci caso come se ci fosse abituato e rivolse ad Harry un sorriso incoraggiante che voleva chiaramente dire “Ehi tu, nuovo, che prendi?”.

Timothy intervenne

«Senti, Harry, io ti consiglio di prendere un bell’arrostino di maiale, qui li fanno che è una favola… ».

Ma Harry non lo sentiva, sentiva solo il battito accelerato del proprio cuore e la luce che, come acqua, lo toccava con le sue propaggini liquide. Luce di luna.

Ryan guardò il ragazzo dai capelli neri tremare e gli appoggiò amichevolmente una mano sulla spalla

«Tutto a posto?» gli chiese, calmo, come un fratello maggiore che vede in difficoltà il suo fratellino su un compito particolarmente difficile.

Harry alzò la testa e ringhiò sommessamente. I suoi occhi stavano diventando lattiginosi e cupi, come attraversati da un’ombra di dolore, una patina di momentanea cecità.

Ryan fece un salto all’indietro, impressionato

«Har … harry … » balbettò, senza riuscire a staccare lo sguardo dal volto del giovane che si deformava in un’espressione animale e indicibilmente grottesca.

Mark scattò in piedi sbattendo all’indietro la sedia, prese Harry per le spalle e iniziò a spingerlo via

«Scusateci un attimo» disse, rivolto ai tre increduli presenti pietrificati, poi portò Harry in un prato non molto distante, a dire il vero facente parte del territorio stesso del ristorante, e lo buttò a terra con uno spintone.

Come da lui previsto, il giovane ricadde proteggendosi con le mani e in solo istante ritornò in posizione eretta come se non avesse mai toccato il suolo

«Mi sto trasformando» mormorò, con le lacrime che gli rigavano il volto ormai ornato di una lieve barba nera   

«Si» confermò Mark, guardandolo con una strana impazienza «E siccome accadrà, almeno fa che sia una cosa rapida. Trasformati in fretta»

«Ma come … come …»

«Stai ostacolando meglio che puoi l’avanzare della natura. Rilassati. Devi desiderare di divenire un uomo lupo»

«Non posso desiderarlo!»

«E allora non ostacolarlo. Lasciati andare … ».

Ma di nuovo Harry non ascoltava quello che Mark diceva. Un brivido convulso lo attraversò e lo fece urlare, ma la voce che gli uscì fu tutt’altro che la sua vocetta acuta da ragazzino. Un ruggito roco e potenti scaturì tremando dalla sua gola.

Si lasciò andare e scoprì che il processo diveniva più naturale e sopportabile.

Quindi era vero che era lui stesso che, con la sua cocciutaggine a rimanere in forma umana, faceva soffrire il proprio corpo e la propria mente.

Il lupo dentro di lui risalì veloce e letale, si fece strada, lo possedette.

Mark non si allontanò, per nulla intimorito. Fra poco anche lui avrebbe liberato il proprio lupo.

Lui era il lupo.

Nel frattempo si accontentava di osservare la metamorfosi del giovane cittadino, la consacrazione di quel corpo, fino a poco tempo fa fragile, alla potenza bellissima e terrificante delle creature della notte.

Zanne candide, riflessi d’argento, si fecero largo nella bocca di Harry, che ricadde a quattro zampe sul terreno osservandosi le mani che si gonfiavano gradualmente e si ricoprivano di peli neri e cortissimi, le unghie che diventavano artigli chiari lunghi un centimetro e mezzo, simili a piccoli chiodi lievemente ricurvi e fatti divenire piatti a colpi di martello.

La voce di Mark giunse fortissima alle sensibili orecchie del giovane uomo lupo

«Sbrigati … stanno arrivando».

Chi stava arrivando? Un odore di stantio, di vecchio, raggiunse le nuove narici del licantropo nero, pizzicandole dolorosamente, come peperoncino e aceto.

Harry si sgranchì il nuovo collo possente ad occhi chiusi mentre la criniera che gli ricopriva il capo e si allungava fino alle spalle si infoltiva ulteriormente.

Sentì le proprie gambe gonfiarsi ed arcuarsi, la spina dorsale scricchiolare come se gemesse sotto tutti quei muscoli, il muso allungarsi di più.

Tutto ciò era doloroso, ma non come se l’era immaginato.

Mark lo avvertì di nuovo

«Harry, lui è qui, muoviti!».

Il nuovo uomo lupo aprì gli occhi, due magnifici occhi feroci, e si voltò lentamente. Aveva ancora il controllo di se, ma si sentiva in qualche modo più pericoloso.

All’improvviso percepì che l’odore forte e sgradevole aumentava e ne distinse chiaramente tutte le note: un effluvio di morte, antico, dolciastro al punto tale che se solo Harry avesse avuto lo stomaco pieno, avrebbe rigurgitato. Probabilmente un essere umano avrebbe potuto trovare quel profumo perfino gradevole, ma per un essere tenacemente attaccato alla vita come poteva esserlo un licantropo, quello non era altro che il puzzo schifoso dei cadaveri che possono ancora nuocere.

Il pelo si rizzò lungo la schiena dell’uomo lupo.

Harry seppe che da lì a poco avrebbe affrontato il suo nemico naturale. Il più temibile, vero, il più famoso.

Un rombo di moto.

Timothy e gli altri, da lontano, fissavano increduli l’uomo lupo nero.

Mark si avvicinò a quei confusi umani e tentò di rassicurarli meglio che poté, pur sapendo che c’è ben poco da rassicurare quando un umano vede per la prima volta un licantropo

«Tutto sotto controllo, non preoccupatevi»

«Harry è un lupo mannaro!» gridò Ryan, quasi in preda a una crisi isterica, mentre Timothy scoppiava a ridere come un pazzo

«Bhè si…ma vi avevo detto di…vi avevo detto di aspettarci. E non è un lupo mannaro, ma un uomo lupo»

«Scusa tanto se abbiamo sentito ruggire e ci siamo preoccupati» sbottò Miky, offesa abbastanza da non cadere nel panico.

Mark si mise le mani dietro la schiena e fu tentato di girare sui tacchi e lasciare lì quel gruppo di umani isterici, ma, controllando il proprio istinto, rimase immobile

«Non dovete temere …» iniziò, ma prima che potesse finire la frase vide che Miky si era lasciata cogliere da una crisi di panico e stringeva il braccio di Ryan così forte che avrebbe potuto spezzarglielo se solo fosse stata abbastanza forte.

La ragazza se ne stava con gli occhi sbarrati a fissare la sagoma dell’uomo lupo che, per sua fortuna, era ancora troppo impegnato a riprendere il controllo del proprio corpo per attaccarli. Percorreva con lo sguardo l’umido dorso nero e irto, le braccia spropositate, il lungo muso mostruoso, e ad ogni istante che ella osservava, scopriva nuovi particolari spaventosi.

Timothy stava cercando di esorcizzare la paura alla meno peggio, facendoci su qualche risata: aveva imparato da esperienze precedenti che se sgrani gli occhi e ti paralizzi è molto più facile che un animale grosso e cattivo ti faccia a pezzettini. Certo, anche scappare non era una soluzione … la cosa migliore da fare era rimanere nel raggio d’azione di Mark, che è sempre una buona protezione, e tenersi pronti a lottare con le unghie e con i denti, oppure, se proprio non rimaneva niente da fare, attirare l’attenzione della bestia su un bersaglio più appetibile e preferibilmente meno importante.

Mark parve, chissà come, aver letto nella mente di Timothy …

«Tim, vieni qui, mettiti un pò davanti» gli ordinò, indicando una porzione di terra di fronte ai propri piedi «Dovresti coprire la visuale a Miky, sta per avere un attacco isterico».

Ryan sorrise imbarazzato e abbracciò la sua fidanzata con il braccio libero e tremante

«Va tutto bene, va tutto bene … » le sussurrò, accostandole le labbra all’orecchio

«Tutto bene» ripeté la donna, come se fosse sotto ipnosi, con la voce strascicata e nasale

«Si, va tutto bene e non ci succederà niente … » continuò Ryan, tentando maldestramente di sembrare convincente, poi alzò la testa verso Mark con l’espressione a metà fra l’imbarazzata e l’afflitta «Ma si può soffrire di terrore a scoppio ritardato?» chiese

«Si» rispose il Ministro Oscuro, quasi compiaciuto dalla paura che la figura del licantropo suscitava negli umani «Anzi è quasi normale in certi casi … »

«Normale?»

«Già. Non bisognerebbe rompere il Velo che separa gli uomini da cose come …» cercò una parola giusta, ma non ne trovò, così si limito a concludere « ... Come Harry»

«Perché non ci hai detto che Harry è un … » Ryan si sforzò di parlare, come se quello che stesse per dire fosse un’orribile parolaccia «Licantropo?»

«Avreste cenato con un licantropo?» ribatté Mark, sorridendo trucemente.

Nei suoi occhi brillavano due fioche fiammelle lontane del colore dell’erba che lo facevano sembrare più animale di quanto non fosse Harry.

Ryan deglutì lentamente. Sentiva che la saliva iniziava a farsi più rara dentro la bocca e non riuscì ad umettarsi le labbra quando percepì che si stavano seccando. Di lato a lui, stretta ancora al suo avambraccio, Miky aveva smesso di tremare e si stava controllando un pò di più.

Timothy si passò un dito sotto il naso mentre si piazzava di fronte a Miky ostentando una falsa tranquillità

«Non ti preoccupare, io non sono razzista» rispose, divertito «Neppure nei confronti dei licantropi».

Non molto lontano da loro un uomo parcheggiò la sua moto chopper rossa, modificata in modo esagerato, e smontò con grazia, poggiando sul terreno le punte dei piedi con leggerezza. Poi annusò l’aria e sorrise, scoprendo canini affilati. Non era affatto un essere umano.

Harry iniziò ad abbaiare come se fosse matto e anche Mark ringhiò di gola, a bocca chiusa, serrando i pugni.

Timothy guardò la figura lontana che era appena scesa dalla motocicletta e si avvicinava, poi il suo sguardo si posò su Mark

«Dì la verità» disse cupo, troppo esperiente per non capire ciò che stava accadendo «Quello non è umano…».

Fu interrotto da uno sparo. Il tipo che era sceso  dalla motocicletta aveva sparato in aria con la pistola ed ora osservava tutti con occhi che parevano due pezzi di ghiaccio lucidi e riflettenti.

Capire da dove venisse era impossibile solo guardandolo così.           

Aveva lunghi capelli neri come l’inchiostro, una cascata di notte raccolta in un’elegante coda liscia dietro la testa, vestiva in modo ricercato, come i divi: camicia rossa scurissima, quasi marrone, di seta, e pantaloni di velluto nero aderenti alle gambe eleganti, sfilate e muscoloso.

Arrivava si e no al petto di Mark contando anche la testa, ma aveva qualcosa che lo faceva sembrare imponente, altissimo e terribilmente bello.

Sul suo volto lievemente affilato e regolare si poteva vedere la giovinezza, una giovinezza eterna e, agli occhi dei mortali, perfetta.

Harry inarcò la schiena, ingobbendosi, e ruggì forte.

Mark, invece, rimase immobile a osservare taciturno il vampiro. Seppe con certezza che quel maledetto demone eternamente giovane non era un vampiro qualunque, ma un Principe della Notte.

Un Principe della Notte è un privilegiato, una creatura da definirsi quasi al pari del mitico Vlad Tepes terzo, colui che passò alla storia come il Conte Dracula. Quasi, con una certa approssimazione, comunque …

Quale miglior battesimo del fuoco per Harry nelle vesti di nuovo uomo lupo?

Il vampiro si leccò le labbra e sorrise in un modo ancora più odioso, deciso, poi, con la teatralità tenebrosa che è tipica della sua specie, parlò

«Uno nuovo di voi» fisse, alzando il mento con fiero disprezzo »Lupi. Siete diventati più dei conigli» alzò una mano all’altezza del petto, con il palmo rivolto verso l’alto »Siete troppi e non fate comodo a nessuno, come i cani randagi. Ma guarda un pò» fece qualche passo in direzione di Harry «Non ci sono più gli uomini lupo di una volta … una volta quando si trasformavano, attaccavano. Ora abbaiano, ma non mordono … cani. Cani di basso rango» il vampiro rise con una voce gelida e profonda «Ma è meglio così: sarà semplice, molto più semplice portare la mia razza al trionfo».

Puntò la pistola contro Harry, lentamente, tranquillamente

«Dicono che per uccidere un uomo lupo serve una pallottola d’argento … ma vediamo quanto resiste se con una magnum gli conficchi un proiettile nel cervello … ».

Il vampiro spalancò gli occhi, due lanterne di un azzurro tanto intenso da abbagliare, e fece fuoco mentre l’enorme massa oscura dell’uomo lupo nero balzava verso di lui e lo atterrava. La pallottola strisciò sulla spalla possente di Harry, lasciando una sottile striscia cremisi fra la pelliccia di tenebra.

Il principe della Notte colpì con un pugno la mascella del licantropo, capovolgendolo all’indietro sul dorso, e balzò in piedi emettendo un urlo stridulo e inumano.

Dunque non era vero che i moderni uomini lupo abbaiavano e basta, qualcuno balzava anche … e mordeva all’occorrenza …

La luna piena brillò più forte contro la volta nera, libera dalle nubi.

E quella luce di argento colato, insieme alla vicinanza con un vampiro, tolsero ad Harry ogni traccia di umano timore.

La bestia eruppe con un ululato lugubre e raggelante, spalancò le fauci, rosse come il sangue, contrasse ciascuno dei suoi muscoli sovrannaturali e si slanciò contro il vampiro. I suoi denti incontrarono la fredda carne e affondarono, si serrarono, senza sapere dove colpivano, ma badando solo di farlo con intensità, con forza, per fare male e per uccidere.

Harry sentì un pugno che gli percuoteva forte il cranio e lasciò la presa, ma solo in favore di un’azione più distruttiva: fulmineamente le sue zanne agganciarono la mano che aveva osato colpirlo, lacerando la carne, tranciando l’osso, lasciando un moncherino sanguinante alla fine del braccio.

Il vampiro gridò di dolore e sferrò un calcio al mento dell’uomo lupo, mostrando che il proprio corpo agile e tonico conteneva una potenza strabiliante, enorme, inconcepibile in una scorza così piccola.

Harry fu sollevato da terra con quel colpo e ricadde due metri più in la con un doloroso schianto, ma non si diede per vinto così facilmente. Scattò in piedi, la schiena curva, e di nuovo abbaiò con ira.

Nel frattempo la mano del vampiro stava ricrescendo dal polso come una giovane piantina al filmato accelerato, bella e affusolata quanto di sicuro forte, pulsando di nuovo vigore, ma con un controsenso: era completamente ricoperta da un velo di sangue lucido.

Harry, cieco di furia, si slanciò ancora una volta contro il suo esile avversario, le lunghe braccia protese, gli artigli che fendettero l’aria per conficcarsi nel petto del vampiro, che di nuovo urlò e si scrollò di dosso l’uomo lupo con una spinta sull’addome che lo lanciò in aria e lo fece ricadere sulle zampe posteriori.

Il Principe stese in avanti un braccio con teatralità e sogghignò. Sul palmo aperto della sua mano tesa comparve fluttuante una sfera traslucida e cremisi d’energia,  che si sganciò e volo verso il licantropo nero, colpendolo e facendolo strisciare a terra per dei metri, di fronte agli sguardi preoccupati degli umani.

Harry, a terra, strinse i denti. Il dolore lo risvegliò, come una tempesta di coltellate sotto la pelle.

Contrasse le mani. Si rialzò, malfermo e fremente, e ruggì scoprendo le zanne, mostrando fili di sangue e di bava attaccati dalla lingua al palato, le orecchie appuntite reclinate e aderenti su capo, gli occhi iniettati di rosso.

Il vampiro si mise in posizione di combattimento, come un pugile

«Nessun rognoso animale può osare farmi del male» disse piano, in un sibilo «Tantomeno tu».

Poi tutti videro Harry piegarsi in avanti e ringhiare rocamente, come di dolore le sue spalle ispessirsi tenendo al massimo possibile la camicia azzurra, i canini allungarsi ulteriormente spingendosi fuori dalle nere labbra tese e le braccia divenire più grandi e pesanti, più folte di pelliccia lucida nerobluastra come di seta sfilacciata, come inchiostro solido.

La bestia si risollevò rinnovata, possente, temibile.

Il Principe della Notte si costrinse a non mostrare alcuna emozione, a rimanere freddo come ghiaccio, ma ebbe un involontario riflesso di fuga quando l’uomo lupo nero galoppò verso di lui, ingobbito ed enorme come un rinoceronte, infuriato.

Il vampiro e il lycan si scontrarono, zanne contro la carne e contro la pelle, sotto la luna piena.

Harry prese il collo dell’avversario e lo lanciò in avanti, poi, mentre il corpo elegante del vampiro era ancora a mezz’aria, balzò e lo atterrò conficcandogli gli unghioni nelle spalle fra schizzi scarlatti di sangue.

Il vampiro urlò in quel suo modo stridente, aprendo inverosimilmente le bocca ornata di zanne candide e aguzze, e allontanò da se l’uomo lupo con una ginocchiata sullo sterno. Su rialzò con un salto e fu il suo turno di attaccare, afferrando con una mossa fulminea il collo grosso e nervoso dell’uomo lupo e conficcando i canini nella carne, poco sotto la mascella. Succhiò con piacere il sangue che lo rinvigoriva e indeboliva il suo avversario, sangue che scorreva caldo e ferroso nella sua bocca, dolce, delizioso, nettare sublime della vita.

Harry non urlò, ne ululò, né ringhiò, sebbene il dolore provocato dal morso del vampiro fosse lancinante e si estendesse come un bruciore di spade infuocate gonfiandogli d un male indescrivibile i polmoni che cercavano aria. Era come pietrificato, ma dopo qualche istante riuscì  a liberarsi in parte del torpore che gli bloccava i muscoli e colpì con gli artigli il vampiro allo stomaco, sollevandolo di quasi un metro da terra e staccandoselo dal collo.

Il Principe della Notte indietreggiò tenendosi la nuova ferita con le mani arrossate di sangue e guardò torvo l’uomo lupo

«Sei un osso duro» sibilò, con un respiro stranamente calmo e regolare «Ma pur sempre un novellino, un cucciolo. Non sei alla mia altezza … ».

Scattò. Harry non ebbe neppure il tempo di spostarsi che sentì la lama seghettata di un coltello squarciargli il basso ventre, la mano del vampiro afferrargli i peli dietro la nuca e denti affilati penetrargli dove già erano stati praticati due fori profondi e simmetrici.

Rimase immobilizzato dall’abbagliante dolore, poiché i morsi di vampiro hanno il potere di paralizzare momentaneamente la vittima. E così sfruttando questa proprietà, il Principe affondò più forte il coltello e si nutrì con foga del sangue del licantropo.

Il vampiro lo stava lentamente uccidendo e ricavava da esso il suo nutrimento , chiudeva le proprie ferite a spese della sua giovane vittima.

Harry si mise a piangere in silenzio, non pensando minimamente a ciò che era in quel momento. Sentiva la forza sfuggire velocemente dal suo corpo, la vita affievolirsi.

Proprio ora…ora che era diventato forte e accettato, ora che era stato incluso in quello che lui definiva “il Circolo degli Straordinari”.

Morire fra le zanne di un vampiro? Una fine eroica, certo…combattendo, certo…ma chi voleva finire? Chi voleva perdere tutto?

Harry strinse debolmente i pugni e alzò le braccia con difficoltà, i muscoli gonfi nello sforzo di lottare contro il proprio sistema nervoso che si opponeva alla sua stessa libertà.

Pensò a Kate: non era una donna lupo, ma era straordinaria e forse lo avrebbe amato un pò di più se avesse visto la nuova forza di lui come uomo lupo. Ma se fosse morto, invece…

Harry muggì la sua sbuffante ed esplosiva rabbia, forte come dinamite. Si scrollò di dosso il torpore, reagì.

Il vampiro non si accorse neanche del morso che gli stava per essere assestato, ma quando il suo braccio destro cadde a terra in un’orgia di sangue gridò a squarciagola e saltò indietro per sottrarsi dalla portata del lupo, , ma sorrise comunque: era la fine, il licantropo era allo stremo delle forze, barcollava sulle zampe posteriori come un ubriaco bastonato e comunque la ferita al basso ventre lo avrebbe lentamente ucciso entro la fin della notte.

Harry inspirò profondamente, pronto a ricominciare la lotta, ma si sentiva stanco, affamato, senza più energie a cui fare appello. Osservò il braccio del vampiro che ricresceva grazie al sangue che gli era stato sottratto e provò una fitta di dolorosa fame che gli contorse le viscere.

Uggiolò, si abbassò a quattro zampe, pervaso da un tremore crudele di spossatezza, , si abbandonò del tutto al dolore fisico e mentale che pulsava in lui, più feroce del lupo che respirava nel suo petto.

Vide il vampiro avanzare verso di lui per sferrargli il colpo di grazia.

Il Principe della Notte aveva un gelido ghigno stampato sul volto, ebbro, perso nell’immensità della sua forza, nel suo delirio di potere che lo portava ad escludere ogni fattore esterno.

Erano solo lui e il nuovo uomo lupo, solo loro contavano.

Anche la luna sembrava sorridere crudelmente, più giallognola del solito, con bagliori scarlatti che sembravano ogni tanto increspare la sua superficie solitamente argentea e irradiante pace.

Il vampiro alzò il coltello lungo venti centimetri all’altezza del proprio volto, specchiandosi nella lama macchiata di un denso cremisi

«Hai una rara energia» disse, i canini scoperti in un sorriso folle «Questo te lo concedo. Ma non puoi sperare di battere me. Nessuno di voi, miseri lupacchiotti, può farlo. E solo i più forti sopravvivono» abbassò il coltello lasciando penzolare il braccio a lato del corpo, con un nonsochè di elegante e malvagio «Tu non puoi sopravvivere».

Una scintilla rossa attraverso la mano del vampiro, propagandosi fino al coltello, la cui lama si illuminò come se ardesse in una sottile fiamma da cui si dipartivano filamenti di fumo tremolante.

Un ululato lontano di coyote rese l’atmosfera più spettrale di quanto già non fosse.

Harry caracollò in avanti   a quattro zampe, lasciando dietro di se una scia di denso sangue rosso. La vista gli si stava annebbiando. Raccolse le ultime forze prima che strisciassero fuori da lui insieme al fluido che le sue arterie e le sue vene martoriate spandevano e si preparò a compiere un ultimo attacco.

Il Principe della Notte avanzò veloce, come sospinto dal vento, e il coltello stretto in pugno brillò più forte

«Addio!».

Un urlo inumano squarciò la notte, poi ci fu qualche istante di silenzio.

Miky gridò e si nascose ancora di più dietro Ryan e Timothy, rannicchiandosi, turbata ed incurante del fatto che anche i due uomini erano profondamente scossi da ciò che vedevano, tanto da non riuscire a staccare lo sguardo da quello spettacolo di sangue.

Quanto fu l’orrore e l’impressione degli umani nell’osservare quella scena? Questo è impossibile spiegarlo.

Come esistono due tipi fondamentali di vampiri, i Principi ed i Mostri, così esistono due tipi di licantropi: i lycan acquisiti, contagiato da un morso, ma capaci di trasformarsi anche volontariamente, e quelli veri, che possono essere nati lycan così come contagiati, ma che sono licantropi per vocazione, feroci ed implacabili, possessori di corpi impressionanti e di metamorfosi violente, perché essi sono sempre stati lupi in una scorza che non gli apparteneva del tutto.

Harry era un lycan del primo tipo, non sarebbe mai stato abbastanza sanguinario, mai impavido e terrificante. Non avrebbe potuto affrontare un Principe della Notte.

Ma qualcuno lo avrebbe fatto al posto suo.

L’urlo che aveva squarciato la notte ed agghiacciato gli umani era quello del vampiro, ferito quasi mortalmente e che si era allontanato di una ventina di metri dall’uomo lupo nero il quale tremava a quattro zampe e che era il giovane Harry.

Nel buio della notte, come un monumento al potere, ansimava pesantemente un essere alto oltre due metri, largo, possente, con un giubbotto nero gonfio sul dorso muscoloso di belva, mani forti racchiuse in guanti di pelle, neri anch’essi.

Era Mark.

Il vampiro, mentre la tremenda ferita infertagli sul torace dalla mano di Mark che lo aveva quasi trapassato si rimarginava, si mise in posizione di combattimento come un karateka

«E tu» ringhiò «Tu cosa vuoi?».

Mark fece un passo avanti e lo guardò con due occhi di un verde sempre più chiaro pieni del selvaggio mistero dei lupi

«I vampiri non uccideranno più» rispose, con una voce che non aveva più nulla di umano, né di canino e solo in parte del lupo, la voce profonda, piena, rara, la voce del drago.

Harry uggiolò, preso dalla gratitudine.

Mark guardò il giovane uomo lupo come si guarda un nipotino che è caduto dalla bicicletta e si è sbucciato un ginocchio, poi il suo sguardo saettò verso il vampiro.

Le sue iridi, le pupille e il bianco si fusero in un unico bagliore d’argento, i suoi occhi divennero nivei e fiocamente brillanti di una rabbia ancestrale e invincibile.

Il vampiro lanciò il coltello con precisione e con forza, ma Mark si spostò abbastanza in fretta da non farsi uccidere sebbene la lama gli lacerò la camicia e la pelle in una striscia insanguinata sul petto e si conficcò nella parete esterna del ristorante con un clangore metallico, a meno di un metro di distanza dagli increduli spettatori umani.

Mark si mosse lentamente, come un orso, e sorrise trucemente. Qualcosa parve muoversi sotto la pelle del suo volto duro, come se i muscoli stessero gonfiandosi gradualmente.

Già da prima era innescato il processo di trasformazione, quando gli umani avevano visto scattare in avanti Mark con la rapidità predatrice del lupo, ma ora, in un solo istante, la mutazione raggiunse il suo culmine.

Fu come se il tempo d’improvviso si fosse fermato e tutta la natura si tendesse in ascolto, terrorizzata.

Il Principe della Notte spalancò gli occhi per osservare l’Oscuro Ministro e fu scosso dalla vischiosa sensazione di consapevolezza che precede uno scontro fra due titani che vivono nello stesso elemento: le tenebre.

Nel contempo si unirono agli spettatori il padrone e cameriere Louis e sua moglie, una  signora robusta, rotondetta e rubiconda, con i capelli tinti tagliati a caschetto e un’espressione per nulla spaventata

«Che succede?» chiese all’improvviso quest’ultima, ma non gli fu data risposta verbale, bensì in termini visivi.

Vide un uomo, o qualcosa di simile, girato di spalle, che si teneva la testa fra due mani che divenivano sempre più grosse e ricoperte di pelo fitto come quello di un orso, di un colore non perfettamente visibile nel buio, ma tendente al mogano.

L’uomo si stava un pò incurvando e, dalla cima della testa ornata da una criniera rossiccia scura, spuntarono le punte di due orecchie da alano, ma più piccole.

Il vampiro si slanciò contro Mark, ma subì una zampata che lo allontanò facendolo strisciare sul terreno con la schiena, fra piccoli schizzi cremisi.

Mark non si mosse più, ma rimase a fissare con occhi bianchi il corpo del Principe della Notte.

Ora era un uomo lupo quasi completamente, ma così alto e largo da sembrare un orso bruno, sebbene la sua pelliccia fosse di una gradazione di colore molto più apprezzabile, un bel rosso mielato con sfumature scure da setter irlandese, morbida e lievemente riccia sul retro del collo possente.

Le sue braccia, già normalmente abbastanza lunghe e grandi, ora erano ancora più grosse, definite sotto il pelo serico e corto. Le mani, divenute enormi, avevano strappato i guanti neri dei pelle lasciando scoperte ampie porzioni di palmo.

Il vampiro si rialzò con deliberata lentezza e osò sfidare il nuovo avversario guardandolo in volto. Rabbrividì: conosceva solo un’altra creatura con una testa di quel genere, una creatura della notte che aveva incontrato molto tempo prima e il cui morso gli aveva lasciato cicatrici indelebili.

Mark avanzò a passo cadenzato, l’ombra nera del suo profilo, che si stagliava inquietante contro l’erba, creata dalla luce mortifera della luna così grande e triste, eppure misteriosa ed esaltante.

Emise un mormorio di gola tanto basso da sembrare un piccolo terremoto che si propagava nella terra sotto i suoi stivali neri e pesanti, poi scattò in avanti.

Era così veloce, silenzioso, fuso con la notte, da risultare praticamente impercettibile da occhi e orecchie umani.

Ma il vampiro lo vide ed evitò di un soffio l’assalto che avrebbe potuto essergli fatale.

Mark si fermò dietro di lui e, piombando a quattro zampe, emise un abbaiato non dissimile da quello di un san bernardo, profondo e pieno, mostrando zanne candide che costellavano le sue fauci stranamente larghe per essere quelle di un uomo lupo, più simili a quelle di un alaskan malamute ingigantito, dalle labbra scure, sottili, tese e frementi.

Caricò a testa bassa, con il chiaro intento di colpire come un toro.

Il vampiro saltò leggermente di lato, tale e quale ad un abile e velocissimo torero, evitando di venire colpito, e di nuovo Mark passò oltre al galoppo, ma all’improvviso sparì inghiottito da una nube di fumo sottile e cinereo, nebbia oscura che sembrava non riflettere la luce.

Il Principe della Notte si guardò intorno e tese le orecchie nell’ascolto. Udì un silenzio fitto e nero rotto solo a tratti dai gemiti di dolore di Harry e da un bisbigliare impressionato di umani mortali.

Sibilò con rabbia e strinse gli occhi, sebbene ci vedesse tanto bene di notte quanto un umano alla luce del giorno. Dove poteva essere finito quel mostro rosso di oltre centocinquanta chili? Dove poteva essersi nascosto?

Il vampiro annusò il vento. L’odore di quell’uomo lupo, muschiato e forte, aleggiava dappertutto come se il suo proprietario fosse ovunque, eppure il vampiro non scorse il riflesso sanguigno della pelliccia da nessuna parte.

All’improvviso vi fu un bagliore pallido in lontananza, oltre la collina.

Il Principe della Notte si preparò ancora a combattere ed avrebbe sudato se solo fosse stato ancora vivo

«Pensi di potermi spaventare?» gridò al vento, chiudendo le mani a pugno.

La risposta che gli giunse fu un ululato lugubre da far gelare il sangue e tremare le ossa, poi, con un latrato roco, l’enorme sagoma rossastra vestita di nero balzò.

Il Principe della Notte vide il corpo gigantesco e massiccio dell’uomo lupo abbattersi su di lui le zampe posteriori colpirlo alle gambe, le mani artigliate del licantropo cingerlo e graffiarlo, un bagliore di zanne che saettavano, una gola buia e profonda in fondo a fauci rosse, poi sentì un dolore pungente invadere il proprio corpo eternamente giovane succhiandogli il vigore come lui succhiava il sangue delle sue vittime per mantenersi bellissimo e invincibile.

Così, d’improvviso, scoprì di non essere affatto invincibile.

Tutto questo accadde in meno di un secondo.

Mark affondò i denti nella gola del vampiro, preciso come un bisturi, rapido come un serpente cobra.

Il Principe della Notte urlò di dolore con una voce che sembrava un grattare acuto e rapido su una lavagna umida, così forte da assordare qualunque umano comune, figuriamoci come avrebbe potuto disturbare le sensibili orecchie di un uomo lupo.

Mark lasciò il vampiro e indietreggiò stordito, barcollando con i palmi premuti sulle orecchie e ansimando. Lentamente deglutì e fece scendere le braccia lungo il corpo.

Era incredibile come, nonostante la trasformazione evidente e straordinaria, fosse ancora tanto simile a quando si trovava in forma umana … o forse sarebbe stato meglio dire che quando si trovava in forma umana … o forse sarebbe stato meglio dire che quando si trovava in forma umana fosse incredibilmente simile a quando si trovasse in forma ferale.

Aveva lo stesso spigolo morbido della mascella, lo stesso corpo che dava la stessa impressione di eleganza e potenza, dalla forma leggera, con braccia per nulla esagerate eppure forti come acciaio, rimaneva immutata per buona parte la fisionomia del petto e il collo era troppo corto per essere quello di un uomo lupo, anche se sembrava dotato di una struttura il doppio più forte di quella di qualunque simile licantropo.

Ma terribile era lo sguardo: appena un pò più feroce di quello umano, aveva la stessa infossatura e proporzione, attorniato dagli stessi lievissimi solchi nella pelle chiara, e ti raggelava ed affascinava al tempo stesso … sempre che tu non fossi un vampiro: in quel caso poteva solo raggelarti.

Il Principe della Notte barcollò da un piede all’altro come una scimmia ubriaca

«L’hai voluto tu questo scontro!» ringhiò flebilmente il vampiro, il collo che perdeva sangue denso ad un ritmo vertiginoso.

Evidentemente stava perdendo la sua capacità rigenerativa, le forze gli venivano a mancare, non vi era più materiale per ricostruire i tessuti lacerati. E il vampiro voleva utilizzare le energie reside per trasformarsi.

Avanzò velocemente al trotto su gambe malferme, urlando. Due grandi ali pallide, da pipistrello, gli spuntarono dalla schiena senza strappargli gli abiti. E questa è una delle caratteristiche che fanno comprendere quanto i vampiri, demoni della notte, fossero dotati di straordinari poteri: non usano i vestiti come qualunque essere umano li concepisce, né tantomeno li cuciono o li comprano. Gli abiti di un grande vampiro sono praticamente parte del suo corpo e mutano con esso, cambiando forma e colore a piacimento del possessore, ma non divengono mai una corazza impenetrabile, anche perché i vampiri non accetterebbero mai di portarla indosso.

Mark attese pazientemente che il nemico terminasse di trasformarsi e giungesse fino a lui.

Il Principe della Notte alzò la testa, divenuta come per magia ed in un solo istante quella di un mostro orribile, e ruggì.

Era ormai enorme, con un’apertura alare che superava ampiamente i sei metri, un grosso corpo color latte che pareva riflettere la luce come uno specchio, le braccia spropositatamente lunghe striate di grigio e di rosso chiaro, dalla consistenza cuoiosa, con muscoli nodosi e allungati, invece che pieni e guizzanti, duri comunque come metallo.

Strisciò rapidamente sul terreno aiutandosi con le giunture delle ali che, dotate di rampini d’osso, si agganciavano alla terra e, con feroci strattoni, portando in avanti il corpo viscido del vampiro.

Mark si avventò contro il mostro alato affondando gli artigli nelle membrane spesse delle ali, squarciando lo strato di pelle tesa e i sottilissimi vasi sanguigni in cui il sangue non scorreva, ma stagnava, sotto di essa.

Stavolta non si lasciò allontanare dalle urla stridule del vampiro, ma gli chiuse contro il corpo le ali, come una coperta insanguinata, e strinse.

Il Principe tentò di divincolarsi, ma scoprì con enorme disappunto e quasi con terrore che la forza del suo avversario era di troppo superiore alla propria. Contrasse violentemente ogni muscolo e spalancò le fauci mostrando due file irregolari di zanne enormi e di un color panna brillante nella fioca luce lunare. Si sentì pervadere da un torpore tremendo, un annebbiamento dei sensi  che il suo corpo non aveva mai provato se non quando era ancora vivo e stava per passare nella sua esistenza da morto vivente.

Mark strinse più forte il nemico in quel mortale abbraccio, infilando le unghie nel dorso grigiastro del vampiro e bagnandosi le dita. Non era una di quelle persone che non sopportano di uccidere eppure in quella notte di plenilunio sembrava avere una voglia matta di ammazzare nel modo più brutale possibile, godendo del tepore del sangue che gli rinvigoriva le dita gelate inzuppandogliele … poco importava che il sangue stagnante dei vampiri non fosse caldo come quello umano.

Mark fece scattare la testa in avanti e la massa pelosa della sua groppa nascose il capo del vampiro dalla vista degli spettatori umani. Affondò le zanne con un movimento  morbido, uno slancio passionale, degustando la carne che lacerava con l’attenzione curata di un sommelier che si accinge ad assaggiare un vino pregiato dalla storia antica.

Il sangue sprizzò mentre i denti penetravano uno strato di carne dopo l’altro, bagnando le labbra del licantropo e la sua guancia destra, che poggiava sulla giugulare del vampiro come se volesse rubarne il calore e la vita … o almeno ciò che la sostituiva, quella presunta vita.

Poi l’uomo lupo dal pelo rosso si staccò dal Principe della Notte e si allontanò a qualche metro di distanza leccandosi l’angolo della bocca intriso di liquido sanguigno, le spalle morbide, le braccia abbandonate ai fianchi.

Qualcosa simile ad un curioso sorriso gli modellò il volto animale.

Il vampiro si afflosciò a terra senza emettere alcun rumore, poi iniziò ad invecchiare.

La sua pelle si seccò, s’incartapecorì, lasciò vedere in rilievo le vene bluastre come un reticolo di  macabri cordoncini che gli solcavano tutto il corpo, poi iniziò ad annerirsi rapidamente.

Le ali si afflosciarono, persero tono, si sciolsero in due nauseabonde macchie color petrolio vischiose che furono assorbite dal terreno quasi come acqua.

I canini e gli altri temibili denti si staccarono lasciando gengive sanguinanti e orribili a vedersi in quel volto ammuffito e nerastro macchiato di vecchio, quasi incancrenito e solcato da corde blu che guizzavano come serpenti vivi sotto lo strato ossidato di pelle.

Il suo corpo si sgretolò come se fosse stato bruciato e le sue ultime polveri vennero sollevate dalla brezza leggera che spirava quella notte per essere disperse in luoghi dove nessuno avrebbe ricordato quel flagello che tutti chiamavano “il vampiro”.

Mark si volse verso Harry e gli si avvicinò.

Le ferite che il ragazzo lupo aveva subito erano abbastanza gravi da essere letali, ma vi era ancora un barlume di speranza che brillava fioco nel buio, come una fiammella sul punto di spegnersi.

Harry sollevò la pesante testa nera e incontrò lo sguardo di Mark. In quell’unico istnate sentì una cosa che era molto di più che semplice gratitudine, qualcosa come un patto d’amicizia.

Poi uno strappo in fondo alle viscere ed infine il buio.

 

Tic tac. Un orologio. Tic tac … buio.

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