Alien VS Enterprise di Lady Amber (/viewuser.php?uid=90621)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** CAP. I ***
Capitolo 3: *** CAP. II ***
Capitolo 4: *** CAP. III ***
Capitolo 5: *** CAP. IV ***
Capitolo 6: *** CAP. V ***
Capitolo 7: *** CAP. VI ***
Capitolo 8: *** CAP. VII ***
Capitolo 9: *** CAP. VIII ***
Capitolo 10: *** CAP. IX ***
Capitolo 11: *** EPILOGO ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Messaggio dell'autrice:
La prima volta che ho visto "Alien" mi è sorta spontanea una
domanda: e se anche l'Enterprise si imbattesse in questo micidiale
mostro che squarta le persone e sanguina acido? * rulllo di tamburi *
Ed è così che nasce questa storia: la prima, vera
long fiction che mi decido a scrivere =) Forse questo
prologo potrà spizzarvi un po' - anzi, è sicuro
che lo farà - ma in futuro tutto troverà una
dovuta spiegazione, trenquille ^o^
Buone lettura! E fatemi sapere cosa ne pensate, è davvero
importante perchè io possa migliorarmi! ^_^
L’uomo procedeva velocemente nel buio. I suoi passi, resi
pesanti e strascicati dalla fatica, rimbombavano come spari tra le
pareti sporche del vuoto corridoio corroso dal tempo.
Era quello l’unico imperativo che si stagliava
prepotentemente nella sua mente: correre.
Correre nonostante i numerosi tagli che costellavano il suo dorso
martoriato, nonostante il sangue caldo che gli colava lungo la fronte e
gli annebbiava la vista.
Correre a perdifiato come se avesse il diavolo alle calcagna,
perché era quello l’unico modo per sfuggire al
mostro che lo braccava.
Barcollando, l’uomo inciampò in un insidioso
cumulo di ossa e cadde rovinosamente a terra con un grido strozzato.
Annaspando, chiuse gli occhi per un attimo. Cercò invano di
ignorare il tremendo dolore che lo trapassava come una lama
incandescente ad ogni respiro. Sarebbe stato così facile
restarsene lì fermo ad aspettare la morte, così
semplice smettere di lottare e di soffrire ancora. Ma lui non era certo
il tipo da arrendersi. Era pienamente consapevole che le sue chances di
uscire vivo da lì erano pericolosamente vicine allo zero.
Tutto quello che gli restava da fare ora era pregare che quella dannata
bestiaccia non lo trovasse prima che lui avesse raggiunto la sua meta.
Ma non avrebbe mai mollato, oh no, questo no.
Un teschio accanto a lui lo fissava di sbieco con le sue orbite vuote.
I denti anneriti erano scoperti in un macabro ghigno, quasi stesse
ridendo di gusto per l’assurdità della sua
testardaggine.
Con uno sbuffo, l’uomo si rialzò faticosamente in
piedi e ricominciò a correre. Doveva assolutamente
raggiungere il deposito e barricarvisi dentro.
Accelerò il passo, ignorando il bruciore che serpeggiava su
per le sue gambe irrigidite e doloranti per lo sforzo.
Svoltò rapidamente l’angolo, intenzionato a
raggiungere il secondo livello dell’astronave.
Si ritrovò di fronte a una parete rocciosa.
A quanto pareva, la parte destra del canyon era riuscita a perforare lo
scafo della nave, creando un ostacolo insormontabile.
“No…” gemette l’uomo, in preda
all’angoscia.
Si guardò freneticamente intorno alla ricerca di
una via d’uscita. Notò un buco dai contorni
irregolari sul soffitto, proprio sopra di lui. Si allungò in
punta di piedi nel tentativo di raggiungerlo, ma riuscì
appena a sfiorarlo con la punta delle dita… era troppo in
alto perché ci potesse arrivare.
Era in trappola. Come un povero animale braccato che viene messo con le
spalle al muro dal predatore affamato.
Improvvisamente, l’assoluto silenzio del corridoio fu rotto
da un gutturale gorgoglio.
Con il sangue che gli si gelava nelle vene, l’uomo si
voltò lentamente.
Nonostante avesse già visto quell’essere schifoso
più di una volta, non poté reprimere un moto di
ribrezzo. Poteva avvertire fin da lì il tremendo tanfo del
fetido alito della creatura, accucciata pochi metri davanti a lui.
Sollevando un po’ la testa informe come a fiutare
l’aria, l’enorme essere digrignò i denti
aguzzi e un rivolo di saliva dai riflessi argentei colò sul
pavimento.
“E va bene…” Con un fluido movimento del
braccio, l’uomo estrasse un coltello dal retro degli stivali
e lo mostrò minacciosamente all’essere. Mossa
inutile quanto disperata, pensò amaramente. Ma ormai
all’uomo stanco e ferito non rimaneva nient’altro
da fare che cercare di fare più male possibile al suo nemico
prima di soccombere.
Anche la creatura era ben consapevole di questo. Frustando
l’aria con la possente coda, si avvicinò ancora di
qualche passo. Si muoveva con lentezza calcolata, come se stesse
studiando l’umano da lontano e volesse giocare ancora un
po’ con lui prima di ammazzarlo.
“Avanti, figlio di puttana, fatti sotto!”
L’Alieno non se lo fece ripetere due volte. Con un agile
balzo e un grido disumano, si gettò con le zanne snudate
contro James Kirk.
Spero di
riuscire a postare il prossimo capitolo in tempi brevi... sempre che
Rei Hino non mi uccida prima, è ovvio XDDD
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Capitolo 2 *** CAP. I ***
48 ore prima
Il tenente
Raffael Schneider era di pessimo umore.
Quella notte
non aveva praticamente chiuso occhio per aiutare il Signor Scott a
riparare un brutto scompenso ai motori causato dalla violenta tempesta
di ioni aveva recentemente colpito la nave. Alla fine erano riusciti a
sistemare il tutto alla perfezione – cosa inevitabile, quando
Scott entrava in azione - ma lui era uscito dalla sala macchine con
tutto il corpo indolenzito e un gran mal di testa, fastidio che non
l’aveva abbandonato per tutta la mattinata.
Era questo il
più grande problema del lavorare con Scott: quando
c’era qualcosa da fare o un guasto da riparare, andava
sistemato tutto, subito e alla perfezione. Senza vie di mezzo o inutili
perdite di tempo, insomma. Ovviamente, questa caratteristica rendeva
Scott un lavoratore modello e una figura di spicco
all’interno della nave – se non addirittura
all’interno della stessa Flotta - ma a lungo andare finiva
per diventare logorante per le persone che lavoravano con lui e
dovevano sottostare ai suoi ordini.
Schneider
sospirò. Non che lui si fosse mai lamentato, certo. Per lui
Scott era sempre stato un esempio da seguire. Gli aveva insegnato lui
tutto quello che c’era da sapere sull’ingegneria e
sui motori e gli aveva anche rivelato qualche astuto trucchetto
maturato dopo anni di esperienza che lo avrebbe potuto aiutare in
situazioni strane o di difficile risoluzione. Lo considerava un
po’ come un secondo padre, un maestro di vita sempre pronto a
correggerlo e indirizzarlo lungo la strada più
giusta.
Schneider
lasciò la sala controllo e si avviò a passo
risoluto lungo il corridoio principale. Uhura gli aveva chiesto di
trovare il capitano e riferirgli che c’era una chiamata
urgente dal Comando – una priorità assoluta, aveva
detto. Un compito che in realtà sarebbe potuto sembrare
semplice, a prima vista…
Ma il vero
problema ora stava proprio nel trovare il capitano.
Vista la
calma piatta della situazione, infatti, Kirk aveva deciso di prendersi
qualche ora di pausa senza dire nulla a nessuno sulla sua effettiva
destinazione.
Morale della
storia: il capitano avrebbe potuto essere dovunque.
Schneider
decise di provare a cercarlo nei suoi alloggi, il luogo dove era
più probabile che il suo superiore si trovasse.
Un paio di
minuti dopo, il giovane ingegnere si fermò davanti alla
porta bianca degli alloggi del capitano e suonò il cicalino.
Non ottenne alcuna risposta. Riprovò ancora, più
per pignoleria che per vera speranza.
“Stai
cercando il capitano?”
Schneider si
voltò. “Janice! Sì, ho una
comunicazione importante da riferirgli.”
La ragazza
gli sorrise. “L’ho visto salire poco fa sul
turboascensore con Spock e McCoy. Credo fossero diretti alla sala
mensa… se ti sbrighi forse riesci a raggiungerli.”
Con un lieve
cenno di ringraziamento, il ragazzo si incamminò verso la
sua nuova destinazione.
§---°°°°°---§
“Davvero,
Spock, non riesco a capire come tu faccia a mangiare solo di quella
roba” disse McCoy, storcendo il naso alla vista del brodino
giallognolo che riempiva il piatto del Primo Ufficiale.
“Questa
roba - come la chiama
impropriamente lei, dottore ” ribatté il
vulcaniano sedendosi, “è assolutamente sana e
naturalmente ricca di tutte quelle sostanze nutritive funzionali alla
mia sopravvivenza. Al contrario, non vedo invece quale
utilità possa esserci nella vostra illogica
volontà di cibarvi di carne animale, privando
così della vita altri esseri viventi per il puro ed
egoistico piacere del vostro palato.”
“Ah,
ma non sai che cosa ti perdi!” McCoy si infilò in
bocca una grosso pezzo di arrosto fumante e masticò con
espressione estasiata. “Sicuro che non vuoi sentirne nemmeno
un pezzetto?” chiese sarcasticamente porgendo al vulcaniano
una forchettata carica di carne.
“Ne
faccio volentieri a meno, grazie.”
Alla vista
dell’espressione quasi nauseata dipinta sul volto di Spock,
Kirk si lasciò sfuggire un sorriso.
“Non
riusciresti mai a convincerlo, Bones” ridacchiò.
“Sarebbe come provare a convincere te a mangiare una
cavalletta fritta.”
McCoy gli
lanciò u’occhiata provocatoria.
“Chissà, magari il gusto non sarebbe poi
così male.”
“Davvero?
Beh, se questa è una sfida possiamo in qualsiasi momento
riprogrammare il sintetizzatore e fargli cucinare apposta per te
qualche bella locusta impanata… non credo che sarebbe troppo
difficile, vero Spock?”
“Per
niente, Jim.”
Ridendo McCoy
sollevò le mani in segno di resa. “Okay
okay” si affrettò a replicare. “Ho detto
una bella esagerazione, lo ammetto…”
Le risate di
Kirk e del dottore si persero nel vociare allegro e confuso
dell’affollata sala mensa. La stanza era interamente pervasa
da un confuso tintinnio di posate e dagli improvvisi scoppi di risa che
ormai da tempo caratterizzavano il clima famigliare e disteso a bordo
dell’astronave U.S.S. Enterprise.
“Capitano!”
esclamò qualcuno sovrastando il brusio di voci.
Un alto
ragazzo biondo dalla carnagione pallidissima si avvicinò al
loro tavolo. I suoi occhi verdi smeraldo, normalmente illuminati da
bagliori vivaci, sembravano ora contratti e appannati, come se mettere
a fuoco gli costasse una certa fatica.
“Sì,
signor Schneider?”
“Il
tenente Uhura mi ha detto di riferirle che c’è una
chiamata urgente dal Comando, signore.”
“Può
aspettare cinque minuti?” chiese Kirk speranzoso, indicando
le poche forchettate di patate arrosto ancora rimaste nel suo piatto.
Un lampo di
rincrescimento attraversò i lineamenti del giovane.
“Mi dispiace, signore, ma la chiamata ha priorità
assoluta.”
Con un
sospiro, Kirk posò il suo tovagliolo sul tavolo e si
alzò. “Va bene, Schneider, dica a Uhura che sto
arrivando.”
“Sissignore!”
Il giovane fece per andarsene.
“Aspetta
un momento, ragazzo” lo fermò McCoy.
“Stai bene? Hai un’espressione piuttosto
sofferente.”
“Non
è niente, dottore, solo un po’ di mal di
testa.”
“Scott
ti ha tenuto di nuovo sveglio tutta la notte a trafficare in sala
motori?”
Il ragazzo
serrò nervosamente le labbra. “Non è
colpa sua. Aveva bisogno di una mano e io mi sono offerto
volontario.”
McCoy
sbuffò. “Certo, certo… pronto a
difenderlo sempre e comunque, vero Raffael? Fammi il favore di passare
in infermeria, appena puoi. Vedrò che cosa posso fare per la
tua emicrania.”
Un sorriso
sollevato comparì sul viso affilato del giovane.
“Grazie, dottore.” McCoy agitò un
po’ la mano con noncuranza, facendo cenno al tenente di
andarsene.
“Mi
piace quel ragazzo” disse poi, osservandolo divertito correre
all’interfono ed eseguire l’ordine appena ricevuto.
“Molto
giovane ma efficiente” concordò Spock.
“Già.”
Kirk raccolse il proprio vassoio. “Bene, signori…
Ci si vede più tardi allora.”
§---°°°°°---§
Qualche
minuto dopo Kirk si sedette pesantemente sulla poltrona di comando.
“Mi
passi pure la chiamata sullo schermo, Uhura.”
“Subito,
signore.”
Sul grande
visore centrale ci fu un improvviso guizzo colorato, subito seguito
dalla nitida immagine di un robusto uomo sulla cinquantina. Era vestito
completamente di rosso - un semplice addetto alle comunicazioni,
probabilmente, vista l’assenza di bande o stelline sulla
casacca – e la sua aria era incredibilmente seria ed austera.
“Capitano
James Tiberius Kirk?”
“In
persona. Con chi ho il piacere di parlare?”
“Sottotenente
Louis Davis, signore, addetto alle comunicazioni della Flotta
Stellare.”
Kirk
annuì, sorridendo impercettibilmente. Ora sì che
si spiegava il motivo di quell’aria così
insoddisfatta. Essere ancora sottotenente alla sua età non
doveva essere proprio tutta questa gioia.
“La
chiamiamo per un imprevisto cambiamento della vostra missione di
esplorazione, capitano” continuò l’uomo.
“Stamattina abbiamo inspiegabilmente perso ogni contatto con
la nave U.S.S. Patience. Era stata mandata in missione di controllo sul
pianeta Hermes 4, ma da quanto sappiamo non c’è
mai arrivata.”
“Qual’é
il luogo dell’ultimo contatto?”
“Sistema
solare Gamma Ni.” Davis gli lanciò
un’occhiata di rimprovero. “Ci stavo arrivando. Ad
ogni modo, i nuovi ordini del Comando prevedono che
l’Enterprise modifichi la sua rotta per raggiungere il
suddetto sistema e verificare le condizioni del vascello e
dell’equipaggio.”
“Ricevuto,
signor Davis. Riferisca al Comando che saremo lì al massimo
in un paio di giorni. Kirk, chiudo.”
Davis
annuì con un cenno brusco del capo. La sua immagine
tremolò per un secondo, poi sparì completamente.
“Davvero
Mr Simpatia…” borbottò il capitano in
tono sarcastico. Parecchi membri dell’equipaggio
ridacchiarono. “Avanti Sulu, inserisca le nuove coordinate
nel navigatore e ci metta subito in viaggio. Velocità
8.”
Risposte
ai commenti
MkBDiapason: Sono contenta che il
prologo ti sia piaciuto! ^o^ Non è
stato particolarmente difficile da scrivere... quasto capitolo, invece,
abbastanza! ^_^" Dovendo inserire un
nuovo personaggio ho cercato di presentarlo nel modo più
chiaro e preciso possibile, ma premetto che cercherò di
approfondire meglio il suo carattere nel corso della narrazione :D Ovviamente l'ho
fatto tedesco XDDD Io adoro i tedeschi *ç*
Rei
Hino:
Mi dispiace, purtroppo dovrai aspettare ancora un po' prima di scoprire
se il povero Jimmy-boy se la caverà... Quindi non perderti i
prossimi capitoli, mi raccomando! ;D
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Capitolo 3 *** CAP. II ***
“Ecco
la U.S.S. Patience, capitano!” esclamò finalmente
Chekov in tono vittorioso. Senza
trovare la benché minima traccia della nave dispersa, lui e
Sulu
avevano passato l’ultima mezz’ora a controllare
meticolosamente la
superficie di quattro dei dieci pianeti che componevano il sistema
solare Gamma Ni. Al quinto tentativo la fortuna sembrava essere passata
dalla loro parte.
“Benissimo,
Chekov, ingrandisca al 70%.”
Con
un paio di mosse delle agili mani, il timoniere eseguì
prontamente
l’ordine e zoomò sul relitto abbandonato che una
volta era stato
un’imponente nave della Flotta.
Le
pareti esterne del vascello erano annerite in più punti,
probabilmente
per il violento impatto con l’atmosfera del pianeta, ma,
nonostante le
scure incrostazioni che intaccavano la prua e le numerose ammaccature
che ne costellavano la parte superiore, il nome della nave era ancora
in parte leggibile sulla fiancata destra. La carcassa di metallo
sembrava essersi incastrata fra due grosse formazioni rocciose che la
bloccavano da entrambi i lati ed era posizionata di traverso alla fine
di un lungo e largo solco che ne aveva accompagnato il disperato
atterraggio di emergenza. Stranamente, era quasi completamente
ricoperta da sabbia e detriti, come se si trovasse lì da
svariati mesi,
non un paio di giorni.
“Cosa
rilevano i sensori, Spock? Ci sono forme di vita
all’interno?”
l
vulcaniano rimase in silenzio per qualche secondo. Armeggiò
ancora un
po’ con i vari pulsanti colorati che caratterizzavano la sua
postazione
scientifica e aggrottò le sopracciglia. Poi si
voltò verso il capitano,
che lo stava ancora fissando, in attesa.
“Le
informazioni che sono stato in grado di rilevare sono a dir poco
esigue, capitano. Il mantello superiore del pianeta sembra essere
rivestito da un materiale magneticamente carico che crea forti
interferenze alle nostre apparecchiature entro un’area di
circa dieci
kilometri dalla superficie.” Spinse inutilmente qualche altro
pulsante.
“Gli unici dati certi che abbiamo sono quelli generali
presenti in
archivio.”
“Questa
non ci voleva… renderà tutto più
complicato.” Kirk si strofinò gli occhi.
“I dati in memoria cosa dicono?”
“Antares
3 sembra essere un pianeta di classe M, stadio di vita intermedio.
L’attività sismica e quella vulcanica sono ridotte
ma, a causa del
consistente riscaldamento operato dalle sue due stelle, la temperatura
diurna del pianeta è relativamente elevata per lo standard
umano –
attorno ai 40°, con uno scarto termico considerevole nelle
poche ore di
buio. L’atmosfera è di composizione simile a
quella della Terra e con
una buona percentuale di ossigeno, quindi perfettamente
respirabile.”
Kirk
si sfregò il mento, pensieroso. “Okay. Spock,
scegli altri quattro
membri dell’equipaggio da portare giù con noi,
compresi un ingegnere e
un medico. Potrebbero esserci dei sopravvissuti.” Il Primo
Ufficiale
annuì e il capitano si girò verso Uhura.
“Tenente, dica alla sala
teletrasporto di tenersi pronti per mandarci sulla
superficie…”
“Capitano”
lo interruppe Spock. “Quando ho detto che i nostri strumenti
erano
inutilizzabili, intendevo tutti gli strumenti, compreso il
teletrasporto.”
Kirk si
alzò e rivolse al comandante uno sguardo determinato.
“E va bene, vorrà dire che utilizzeremo la
Galileo.”
§---°°°°°---§
Christine
Chapel appiccicò un’altra etichetta colorata
all’ennesima provetta e la
sistemò ordinatamente nell’apposito contenitore.
Quando ebbe finito
tutte le provette, richiuse la scatola e la portò sul tavolo
dei
prelievi, accanto al quale McCoy la stava aspettando con un pad sotto
il braccio.
“Allora,
ha finito?” le chiese, con una certa impazienza.
“Sì,
dottore, i campioni sono tutti qui catalogate in ordine alfabetico. Mi
dispiace, ho cercato di fare il più in fretta
possibile.”
“No,
mi scusi lei…” McCoy cominciò a
estrarre pigramente un paio di
flaconcini e a osservare qualche goccia di sangue con un microscopio
ottico. “Sa, questa faccenda dell’influenza
Finthosiana sta cominciando
a diventare un tantino frustrante.”
“La
capisco” concordò Chapel sorridendo.
Nell’ultima settimana erano stati
costretti a ricoverare ben quarantadue membri dell’equipaggio
per
un’improvvisa epidemia di febbre Finthosiana, senza contare
poi quelli
confinati ai loro alloggi per sintomi sospetti. Non che la malattia
fosse di per sé incurabile, certo - era poco più
potente di una normale
influenza terrestre - ma il trattamento di cura richiedeva parecchio
tempo di preparazione e il virus era incredibilmente
contagioso…
Quindi, in pratica, la situazione si traduceva in un mucchio di lavoro
extra per tutto il personale medico e in particolare per McCoy, che ne
era il capo. “Siamo tutti sulla stessa barca.”
“Christine!”
Raffael Schneider entrò di gran carriera in infermeria.
Quando incontrò
gli occhi azzurri della donna, il suo sguardo brillò.
“Ciao,
Rafe.”
“Posso
parlarti un attimo?” Il giovane lanciò
un’occhiata esitante a McCoy. “In privato,
magari?”
“Ho
capito, ho capito, me ne vado!” Rivolgendo al ragazzo un
sorrisetto
d’intesa e una strizzatina d’occhio, il medico
prese sottobraccio la
scatola di provette e si spostò con calma nella stanza
attigua.
“Di
che cosa hai bisogno?” gli chiese cortesemente Chapel.
Domanda inutile,
visto che il motivo per cui lui si trovava lì era chiaro
come il sole.
La donna cercò di mantenere un tono calmo e pacato, ma la
tensione che
la attanagliava era rivelata dalle minuscole rughe comparse agli angoli
delle sue labbra delicate.
“Ecco,
io… volevo sapere se hai riflettuto sulla mia proposta
dell’altro giorno.”
Ovviamente.
Sarebbe dovuto accadere prima o poi. L’infermiera chiuse gli
occhi e
inspirò profondamente. “Mi dispiace, ma la mia
risposta è no.”
Quell’affermazione
parve spiazzare il ragazzo. “Aspetta un momento, io credevo
che…” incominciò Schneider.
“No,
Rafe” affermò lei in tono risoluto. “Ci
ho pensato su a lungo, credimi. Ma non funzionerebbe.”
Schneider la
guardò, confuso. “Ma l’altra
notte…”
Le
gote pallide dell’infermiera si tinsero leggermente di rosso.
“L’altra
notte è stata uno sbaglio” affermò
Chapel lisciandosi nervosamente le
pieghe della divisa celeste. “Eravamo tutti e due un
po’ troppo allegri
per lo scotch che Scott ti aveva regalato e ci siamo lasciati
trasportare troppo dalla situazione. Tutto qui.”
Incrociando
le braccia, il tedesco le lanciò un lungo sguardo
indagatore. “È ancora
per quella faccenda di Spock, non è vero?”
indovinò.
Punta nel
vivo, Chapel si affrettò a scuotere il capo. “No,
no, lui non c’entra affatto, io-”
“La
tua è un’ossessione, Chris”
esclamò Schneider, allargando le braccia in un gesto
esasperato.
“Piantala,
Rafe.”
“Ma
lo vuoi capire che lui non ti vuole? La situazione non
cambierà, e tu
lo sai bene. Non puoi restare ad aspettarlo per tutta la
vita!”
“Perché
no?!” esplose allora l’infermiera.
“Perché non posso continuare a
sperare che prima o poi si accorga di me? Non posso farne a meno,
Rafe…. È più forte di me, non posso
dimenticarlo così, su due piedi. E
se fossi innamorato di me almeno la metà di quanto io amo
lui, lo
capiresti.”
“Ma
io non pretendo che tu lo dimentichi da un giorno
all’altro… Potremmo
lavorarci insieme, vedrai che con il tempo riusciremo a-”
“Ho
detto no, Schneider.”
“Lui
non è quello giusto per te.”
“Oh,
e chi sarebbe secondo te quello giusto?” sbottò
Chapel in tono
sarcastico. “Tu? Un bambino più giovane di me di
sette anni che smania
dalla voglia di fare nuove, eccitanti esperienze per poi vantarsene con
gli amici?” Aveva parlato senza pensare, assecondando
semplicemente la
rabbia che l’aveva travolta all’improvviso.
Schneider si
ritrasse, ferito. “È questo quello che pensi di
me?” le chiese in un sussurro amareggiato.
Chapel
si pentì immediatamente di ciò che aveva detto.
Conosceva Raffael
abbastanza bene da riconoscere anche da sola l’infondatezza
della sua
accusa. Quel ragazzo poteva anche essere un po’ sempliciotto
e alle
volte orgoglioso, temerario e incredibilmente testardo… ma
era
fondamentalmente ingenuo e sincero. E onesto. Non avrebbe mai
desiderato stare con lei per secondi fini, questo era sicuro.
Ma
ferirlo era forse l’unico modo per scoraggiare
definitivamente quei
suoi numerosi e goffi tentativi di farle cambiare idea. Chapel distolse
vilmente lo sguardo.
“È
solo per questo che sei venuto?” gli chiese stancamente.
“No.”
Il ragazzo si sforzò di ricomporsi e di parlare con un tono
distaccato
e professionale. “Sei stata scelta come membro medico della
squadra di
sbarco su Antares 3. Il ritrovo è tra mezz’ora
nell’hangar principale.”
“Ho
capito.”
Con un cenno
brusco del capo e il viso contratto, Schneider si avviò in
silenzio verso la porta.
“Mi
dispiace, Rafe” provò a dire Chapel, ma si
ritrovò a parlare con una stanza vuota.
Risposte ai commenti
Rei
Hino: Ahh,
Spock e McCoy... mi diverto troppo a scrivere di questi due! XDDD E non
dimentichiamoci di Jim, che fa da mediatore e contribuisce a
sdrammatizzare sui loro battibecchi... ^o^
MkBDiapason: Sno felice che ti
piaccia Raffael! Sì, credo che "carino" sia il termine che
lo descrive meglio >///<
È proprio perchè è così
cuccioloso ma sveglio che Scotty lo ha preso
sotto la sua ala protettiva (e sì, Len è proprio
dolce! Ma tanto lo
sappiamo tutte che sotto i suoi continui brontolii e le sue
instancabili lamentele è un medico dal cuore d'oro XD).
Uhuhu... hai
scoperto il mio sagreto! *con
un gesto plateale, tira fuori dalla tasca uno sfavillante tesserino di
riconoscimento e se lo appende al collo*
Vedi, qualche setimana fa ho minacciato Spock di rivelare all'Alto
Consiglio Vulcaniano la sua relazione con il caro Len... il mattino
dopo mi è MISTERIOSAMENTE arrivato questo pass per posta O_O Adesso ogni
finesettimana lo passo a bordo dell'Enterprise a trascrivere fedelmente
quello che succede XDD
Persefone
Fuxia:
Lo so, è un cross-over un po' strano! :D Però se
sono i guai che
cercavi, allora sei nel posto giusto! Alien è uno che ci va
giù pesante
dopotutto... XDD
Ti ringrazio. Sono contenta di sentire che dalla presentazione Raffael
sembra promettere bene... era quella la mia più grande
preoccupazione ^_^"
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Capitolo 4 *** CAP. III ***
“Ottima
scelta, Spock” si complimentò Kirk.
“Grazie,
capitano. Ho pensato che sarebbe stato saggio lasciare a bordo il
dottor McCoy, vista la corrente situazione.”
“Hai
pensato bene.” Il capitano fece scorrere lo sguardo lungo le
quattro persone radunate nell’hangar e annuì con
aria di approvazione.
Affiancato da
Scott, il tenente Raffael Schneider stava controllando ancora una volta
il corretto funzionamento delle torce fluorescenti che i membri della
squadra avrebbero ricevuto di lì a poco; qualche metro
più in là, invece, i guardiamarina Michael Konrad
e Melanie Smith erano occupati ad assicurare un paio di phaser alla
propria cintura, osservati con indifferenza da Christine Chapel.
“Scott”
chiamò Kirk.
“Sì,
capitano?”
“Visto
che le comunicazioni tra di noi saranno impossibili, per precauzione,
allo scoccare di ogni ora, qualcuno del gruppo porterà la
Galileo oltre il raggio d’azione del campo di forza e vi
darà i dovuti aggiornamenti sulla situazione.”
Scott annuì. “Bene. E non dimenticatevi di tenere
tutte le telecamere puntate sull’area attorno al relitto.
Potrebbero sempre tornare utili.”
“Certo,
signore.”
I membri del
team cominciarono a salire ordinatamente sulla navetta. Prima di
richiudere il portellone, Kirk si voltò verso Scott.
“Lascio la nave alle sue amorevoli cure, signor Scott. Posso
sperare di trovarla ancora intera, al nostro ritorno?”
scherzò.
“Penso
proprio di sì, capitano” sorrise Scott
accarezzando dolcemente la parete dell’hangar. “Non
poteva lasciare questa bellezza in mani migliori.”
Kirk
sogghignò. “Sapevo di contare su di te,
Scotty.”
§---°°°°°---§
Non appena il
portellone si fu aperto, l’abitacolo della Galileo venne
inondato da un’incredibile quantità di luce.
Schermandosi il viso con le mani, i membri del team balzarono uno alla
volta sul terreno sabbioso e si guardarono intorno. Tutto
ciò che riuscirono a vedere fu un’immensa e arida
distesa di pietra e sassi che si estendeva in lontananza fino a
sfumare, confondendosi nei mulinelli di sabbia sollevati dal vento
caldo. Affioramenti di rocce candide come la neve si alternavano a
minerali rossi e verdi dalle più disparate forme e
dimensioni, in un miscuglio di colori contrastanti che rendeva
l’atmosfera del pianeta quasi surreale.
“Venite,
l’entrata è da questa parte!”
gridò Kirk per farsi sentire sopra l’assordante
rumore del vento.
Procedettero
in fila indiana per qualche minuto, impacciati nei movimenti dagli
impermeabili che Spock aveva saggiamente consigliato loro di portare.
Costantemente attenti a non perdersi di vista neanche per un
attimo, riuscirono infine a raggiungere la carcassa del
velivolo.
Kirk fece
cenno a Spock di avvicinarsi e si allontanò un poco per
lasciargli maggiore spazio di manovra. Il vulcaniano afferrò
la grande manopola arrugginita situata al centro della porta e fece
pressione per girarla. Non si mosse di un millimetro.
Con la fronte
aggrottata dalla sorpresa, Spock si voltò verso Kirk in una
muta richiesta di aiuto. Ci vollero un paio di tentativi e gli sforzi
congiunti di tre uomini e un vulcaniano per ruotare completamente la
manopola corrosa dalle intemperie.
Non appena la
porta fu aperta, il gruppetto si affrettò ad entrare. Spock
richiuse subito alle loro spalle il grande portellone cigolante,
smorzando così il violento ululato del vento.
Il team si
ritrovò completamente al buio.
“Cazzo,
non si vede niente qui…”
“Fine
come sempre, eh Mike?” chiese Smith in tono sarcastico.
Konrad ridacchiò.
Sei torce si
accesero contemporaneamente.
“Ma
che cos’aveva quella stupida manopola?” chiese
Schneider massaggiandosi le braccia doloranti.
“Non
lo so davvero” ammise Spock. “Il livello di
erosione e intaccamento era a dir poco inaspettato.”
“O
magari qui c’è qualcuno che sta cominciando a
perdere colpi” buttò lì Kirk,
sogghignando in direzione del Primo Ufficiale.
“Posso
assicurarle, capitano, che la mia forza fisica è la stessa
di sempre.”
“Era
solo una battuta, Spock.”
“Ah.”
L’eco delle risate soffocate degli altri membri del gruppo si
perse lungo i corridoi vuoti del velivolo.
“D’accordo”
iniziò Kirk scuotendosi via la sabbia dai capelli color
miele, “adesso sarà meglio dividerci,
così potremo coprire più spazio in tempo minore.
Per qualsiasi problema avete le mappe e, in caso di smarrimento,
decidiamo fin da ora che il luogo di ritrovo da raggiungere
è la sala controllo. Io e Spock andremo lì per
prelevare i file del diario di bordo del capitano Lewis. Mi raccomando
di ricordarvi che entro un’ora dovremo essere tutti di nuovo
qui per decidere chi dovrà contattare
l’Enterprise, quindi occhio al tempo.” Kirk si
voltò verso le due donne. “Infermiera Chapel, lei
dovrà recarsi con la signorina Smith in infermeria. Se ci
sono sopravvissuti – cosa che spero con tutto il cuore -
è più probabile che si trovino lì o
nelle immediate vicinanze.”
Con un cenno
affermativo del capo, Smith arrotolò la manica del proprio
impermeabile e premette il pulsante di accensione del sistema di
navigazione interattivo che aveva al polso. Nelle tenebre del corridoio
comparse fluttuando una piantina tridimensionale della nave, che
illuminò le pareti circostanti con una tenue luce verde.
“Infermeria”
scandì Smith con voce chiara e decisa. L’ologramma
si trasformò istantaneamente in un vorticoso turbinio
smeraldo, per poi ricomporsi in un guizzo tremolante e segnalare il
percorso da seguire con una linea rossa. Smith si avviò a
passo deciso lungo il corridoio di destra.
Prima di
seguirla, Chapel lanciò un fugace sguardo a Schneider, che
accennò un sorriso. Visibilmente sollevata, la donna si
affrettò a raggiungere la sua compagna e ben presto il suono
dei loro passi si affievolì fino a scomparire.
“Schneider,
lei invece cerchi di avviare il generatore di emergenza. Il campo di
forze non dovrebbe interferire con il suo funzionamento, ma se non
dovesse riuscire ad accenderlo non ci perda troppo tempo e raggiunga il
punto di ritrovo. Konrad verrà con lei. ”
“Sissignore”
esclamarono in coro i due uomini.
“La
sala controllo è da quella parte”
affermò Spock osservando a sua volta la propria mappa.
“Fai
strada, Spock.”
§---°°°°°---§
I primi a
raggiungere la propria destinazione furono Schneider e Konrad. Essendo
la sala macchine molto vicina al corridoio principale da cui erano
partiti, infatti, il tragitto si rivelò decisamente breve e
privo di ostacoli.
Come ben
presto Schneider si rese conto, Konrad non era certo un tipo di molte
parole. Niente battutine stupide per alleviare la tensione, commenti
gratuiti o domande fastidiose: solo un grande silenzio intervallato
saltuariamente da qualche grido di richiamo o dal rumore soffocato di
due paia di stivali che battevano ritmicamente sul pavimento
impolverato. Questa caratteristica dell’uomo piaceva molto al
giovane ingegnere… lo faceva sentire a suo agio.
“Eccoci
qua” commentò infine Konrad entrando nel vasto
ambiente della sala macchine. “C’è
nessuno?” chiese a voce più alta. L’eco
della domanda si perse in lontananza fino a sfumare completamente.
Casa dolce
casa, pensò Schneider. Gli bastò guardare quei
pannelli colorati dall’aria così famigliare per
scacciare il senso di inquietudine che lo avevano assalito fin dal
primo momento in cui aveva messo piede nella nave fantasma.
“Il
generatore è da questa parte, vieni.” Schneider
guidò Konrad oltre l’isola di computer situata al
centro della stanza e si inginocchiò accanto a un grosso
macchinario che occupava almeno mezza parete.
“Cazzo,
quant’è grande…”
mormorò Konrad impressionato.
Schneider
sorrise, rammentando il commento di Smith. Davvero una finezza
sconcertante.
“Questo
è un modello vecchio” spiegò,
cominciando a svitare non senza fatica uno dei grossi bulloni che
tenevano ben chiuso un coperchietto in basso a sinistra. “Il
generatore di emergenza che abbiamo sull’Enterprise, invece,
è di nuova generazione. Per questo la differenza di
dimensione è così evidente.”
Konrad lo
squadrò, dubbioso. “Sei sicuro di riuscire ad
aggiustare questo affare?”
“Mi
ci giocherei la camicia” scherzò Schneider
ridendo. “Avanti, fammi un po’ più di
luce qui e vediamo cosa possiamo fare.”
§---°°°°°---§
“Allora”
incominciò Smith con noncuranza, “tu e Schneider
state insieme?”
Chapel la
guardò sconcertata. “Cosa?”
“Non
essere così sconvolta, infermiera. L’ho vista
l’occhiata che ti ha lanciato poco fa.”
“Perché,
che occhiata mi avrebbe lanciato?” chiese Chapel seccamente.
“Beh,
conoscendolo era uno sguardo del tipo ‘tranquilla piccola,
non è successo niente, non sono
arrabbiato.’” Smith fece una smorfia.
“Comunque meglio dello sguardo da bravo boy scout
‘l’hai fatta grossa, ma ti perdono per pura
bontà del mio cuore.’ Ho sempre detestato
quell’espressione sul suo viso… ma
d’altra parte non può farci niente, poverino.
È sempre stato come un libro aperto, facilissimo da leggere.
I suoi occhi, in particolare” aggiunse in tono pensoso.
Chapel la
guardò stupita. “Come sai tutte queste cose su di
lui? Siete amici?”
Smith
scoppiò a ridere. “Beh, amici
è
una parola un po’ grossa… diciamo che siamo
rimasti in buoni rapporti.” Guardò divertita
l’infermiera. “Raffael è il mio
ex” spiegò. “Siamo stati insieme per
più di un anno, dopo l’Accademia.”
“Ah.”
Chapel doveva ammettere che la notizia l’aveva colta di
sorpresa. Si ritrovò a scrutare di sottecchi la sua compagna
di viaggio con rinnovato interesse, come se dare un giudizio su di lei
fosse diventato improvvisamente di primaria importanza.
Lunghi
capelli neri raccolti in un’elegante treccia, bocca carnosa,
carnagione scura e gambe slanciate. Sicuramente non una con cui sarebbe
stato facile competere…
Ma che cosa
stava pensando? si chiese stupita. Smith non era affatto una rivale.
Perché mai avrebbe dovuto considerarla come un pericolo?
Chapel scosse
la testa per allontanare queste riflessioni inopportune.
“Allora forse ti farà piacere sapere che, in
effetti, noi non stiamo insieme” disse con un tono
ostentatamente indifferente. “Comunque mi dispiace che vi
siate lasciati…” aggiunse. “Posso
chiederti cos’è successo, se non sono troppo
indiscreta?”
Smith la
fissò per un po’ con una strana luce negli occhi.
Poi ritornò a studiare la piccola mappa tridimensionale.
“Ha visto te” disse semplicemente.
Come? Chapel
sbatté più volte le palpebre, convintissima di
aver capito male.
“Successe
più o meno un anno fa, quando fummo entrambi assegnati
all’Enterprise” spiegò Smith, facendole
cenno di svoltare a destra. “Un giorno mi dice che mi ama e
– bam! – quello dopo incontra te e cade cotto come
una pera.” La giovane donna rivolse a Chapel un sorriso
tirato. “Ti lancia certi sguardi che io me li sognavo. Non mi
ha mia guardato con una tale intensità.” Il suo
tono di voce sembrava rilassato e stranamente privo di amarezza o
rimpianto.
“Perché
mi dici tutto questo? Dovresti odiarmi. Da quanto ho capito sono stata
io la causa del fatto che vi siete lasciati.”
“Sì
e per questo ti ringrazio.” La mora rise di gusto alla vista
dello sguardo confuso apparso sul volto della bionda. “Se non
fosse stato per te, infatti, non avrei mai conosciuto il mio attuale
futuro marito.”
Chapel
notò solo allora l’anello luccicante che ornava la
mano affusolata della donna.
“Complimenti!”
“Grazie.”
Camminarono
in silenzio per qualche minuto.
“Ad
ogni modo” concluse infine Smith, “quello che sto
cercando di dirti è che ti conviene approfittare
dell’occasione. Sei una donna fortunata se un ragazzo dolce
come Raffael si è innamorato di te.”
Chapel
chinò il capo e si fissò la punta degli stivali.
“Già” mormorò.
Non vista, una grossa sagoma scura e deforme attraversò
velocemente il largo corridoio. Con un paio di movimenti
delle agili zampe, la creatura si appostò silenziosamente
alle spalle delle due donne e fece saettare verso l’alto la
lunga coda.
Con i muscoli
tesi e tutti i sensi all’erta, l’ombra si
preparò ad attaccare.
§---°°°°°---§
“Dal
livello di polvere accumulato si direbbe che la nave sia qui da almeno
un paio di mesi, non da tre soli giorni” osservò
Spock facendo passare un dito sulla superficie della postazione
scientifica abbandonata.
Kirk
starnutì, agitando una mano davanti al viso per disperdere
la polvere così sollevata.
“Guarda
là.” Indicò al vulcaniano una parete
semidistrutta accanto alla postazione di cominicazione.
“Quello non sembra causato
dall’atterraggio.”
Il Primo
Ufficiale si avvicinò alla lastra di metallo incrinato e la
sfiorò leggermente con una mano, pensieroso. “No,
infatti.” Con un dito affusolato percorse il lungo squarcio
slabbrato che incrinava la continuità della parete. Cosa
poteva aver causato un danno del genere a una parete di acciaio
rinforzato come quella?
“Spock,
ho trovato le schede di memoria. Non sembrano messe molto
bene.”
“Mi
faccia vedere” mormorò Spock avvicinandosi. Kirk
gli porse tre piccole schede di plastica e gli fece luce con la torcia.
Effettivamente un paio di esse erano sbeccate e segnate in
più punti, ma probabilmente il tricorder sarebbe riuscito a
leggerle ugualmente. Spock ne inserì una e premette un paio
di pulsanti.
“Diario
di bordo del capitano Harry Justin Lewis, data stellare 5027 punto
5”
intonò la voce sintetica del processore. A parte qualche
saltuaria interferenza, le parole erano chiare.
Spock
lanciò a Kirk un’occhiata soddisfatta.
“Non
avremmo mai dovuto accogliere a bordo quella navicella” esordì la
voce registrata del capitano Lewis. “Non
siamo ancora neppure riusciti a stabilirne l’esatta
provenienza. Dalla forma della fusoliera e dalla portata dei motori, il
reparto ingegneria si è mostrato concorde nel definirla come
una ‘navetta di salvataggio originariamente appartenente ad
una nave mercantile della Federazione’.” Il capitano fece una
pausa.
“Purtroppo
il personale scientifico non è stato in grado di
identificare i corpi che si trovavano all’interno del
velivolo. O, per meglio dire, i resti di quelli che un tempo furono
probabilmente esseri umani o forme di vita umanoidi. Il dna di quei
poveri diavoli sembra essere stato irreparabilmente danneggiato da una
sostanza corrosiva di natura sconosciuta.
“Abbiamo
cercato ripetutamente di metterci in contatto con il Comando ma invano,
le comunicazioni sono completamente saltate due punto tre ora
fa.” Lewis
esitò.
“Procedono le ricerche del comandante Jeffrey
Havock.”
Spock
sollevò un sopracciglio e inserì la seconda
scheda che aveva in mano.
“Diario
di bordo del capitano Harry Justin Lewis, data stellare 5027 punto
6.” Il tono del capitano
della Patience oscillava ora tra il frustrato e il preoccupato.
“Non siamo ancora riusciti a ricavare nessun dato certo sulla
reale provenienza della navetta o sull’identità
dei viaggiatori. Abbiamo però accertato le dinamiche della
loro morte. La misteriosa sostanza che ha deteriorato il loro dna
sembra aver intaccato anche il pannello principale e il motore destro
del velivolo, perforandone lo scafo. Lo sbalzo di pressione
è probabilmente bastato a ucciderli.
“Nelle
ultime sette ore abbiamo perso altri otto membri
dell’equipaggio. E continuano a sparirne. Stiamo controllando
la nave centimetro per centimetro, ma non abbiamo ancora trovato un
solo indizio sulla loro possibile ubicazione. Sembra funzionare tutto
come sempre, salvo per il fatto che dieci uomini sono scomparsi nel
nulla e non abbiamo la minima idea di che fine abbiano fatto.
Cristo,
su una nave non si può sparire così senza
lasciare traccia. È una cosa assurda.
Non
ho la più pallida idea di che cosa stia
succedendo… ma i miei uomini cominciano ad avere paura. E
anche io, lo confesso. Temono tutti di finire brutalmente sventrati
come il comandante Havock – pace all’anima
sua…”
“Lui
l’avevano ritrovato” mormorò Kirk in
tono sommesso.
“Siamo
ancora completamente isolati. Cercherò di raggiungere al
più presto il più vicino avamposto della Flotta.
Lewis, chiudo.”
Risposte ai commenti
Persefone
Fuxia:
Sì, in effetti tra Spock e Rafe non c'è storia...
=_=" E lo dico proprio io
che l'ho creato XD Però
immagino che per una donna come la Chapel, ordinaria sotto tutti i
punti di vista, un ragazzo normale come Raffael sarebbe sicuramente un
partito più abbordabile rispetto a Spock
ù_ù Dopotutto il nostro bonazzo dalle orecchie a
punta ha ALTRO per la testa... *guarda
maliziosamente Kirk e McCoy* Eehh già!
*ç* Do ufficialmente il
via ai tanto attesi guai! ;D
MkBDiapason: Sì,
purtroppo Bones è costretto a rimanere a bordo a causa
dell'epidemia... però non la definirei una sfortuna ò_ò Pensala
così: almeno non scenderà nella tana del mostro
insieme agli altri! :D
Scusate per la lunghezza sconcertante del capitolo, mi sono lasciata
prendere un po' la mano... ^_^"
|
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Capitolo 5 *** CAP. IV ***
“Mi
passi il cacciavite a stella, per favore?”
Konrad prese
l’attrezzo richiesto e si chinò per consegnarlo a
Schneider. “Tutto a posto lì sotto?”
Il giovane
ingegnere starnutì per l’ennesima volta. Forse non
era stata una grande idea quella di infilarsi sotto il generatore.
“A parte le tonnellate di polvere?”
riuscì a sibilare tra i colpi di tosse.
Konrad
ridacchiò.
“Ecco
fatto, così dovrebbe andare” borbottò
Schneider unendo insieme un’ultima coppia di cavetti colorati.
Il generatore
produsse di colpo un forte schiocco metallico e incominciò a
funzionare, riempiendo gradualmente la stanza con le sue calde fusa.
Nel giro di un paio di secondi, tutte le luci si furono accese e
l’ambiente fu illuminato dalla tenue luce delle impolverate
lampade al neon.
“Mica
male…”
“Te
lo avevo detto che ci sarei riuscito” disse Schneider con un
ghigno alla vista dell’espressione ammirata dipinta sul volto
di Konrad.
§---°°°°°---§
Tutte le luci
si accesero di colpo.
Un pungente
bagliore fendette improvvisamente il buio della stanza grigia e
colpì come una staffilata gli occhi di Chapel e Smith. Le
pupille delle due donne, ancora abituate al buio pesto che le aveva
accolte fin dal loro arrivo, protestarono con forza e si contrassero
dolorosamente. Gemendo, entrambe si ripararono d’istinto il
viso con le mani.
Fu Smith la
prima a riprendersi dalla sorpresa. Con gli occhi ancora leggermente
lacrimanti, sollevò cautamente il capo alla luce soffusa
delle lampade sporche e si guardò intorno.
Non
più intralciata dal limitato raggio d’azione della
torcia, la donna constatò che erano giunte in un grande
ambiente sgombero e spazioso. Le pareti, un tempo presumibilmente
bianche, erano ora di un triste color grigio sporco, saltuariamente
intervallato da aloni scuri e profondi graffi sbruciacchiati. Varie
tendine macchiate in più punti isolavano almeno una decina
di scompartimenti, tutti riempiti da altrettanti lettini
ospedalieri.
A quanto
pareva avevano finalmente raggiunto l’infermeria.
“Infermiera
Chapel!” esclamò allegramente Smith voltandosi.
“Ci siam-”
La donna
ammutolì di colpo.
Il cuore le
sprofondò in petto, alla vista che si presentò
davanti ai suoi occhi.
§---°°°°°---§
L’Alieno
scivolò fuori dal proprio rifugio nell’ombra. Con
movimenti agili e silenziosi avanzò rapidamente alle spalle
dei due strani esseri che aveva seguito fin dal primo momento in cui
avevano messo piede nel suo territorio. Avevano davvero un buon odore.
Un
odore terribilmente eccitante, ad essere sinceri.
Purtroppo non
poteva premettersi di ucciderli, come avrebbe invece tanto desiderato.
La Regina aveva assoluto bisogno di loro, era stata chiara su questo
punto.
E le
necessità della Regina erano di primaria
importanza.
L’Alieno
si erse in tutta la sua altezza a pochi passi da uno degli esseri,
crogiolandosi nella sensazione di potere che lo aveva pervaso.
Quella povera
creaturina non si era neanche accorta della sua presenza…
che specie inutile. Non ci sarebbe stato alcun godimento nel sopraffare
entità così deboli.
Silenzioso
come un’ombra, si preparò a colpire.
Di colpo, una
serie di grida concitate gli rivelò che l’altra
creatura lo aveva scoperto. L’Alieno percepì
chiaramente uno strano movimento da parte sua, come se stesse
sfoderando qualche cosa da un fianco. Un’arma forse? Magari
li aveva sottovalutati.
L’Alieno
cambiò istintivamente bersaglio e si scagliò
contro l’essere più lontano, quello che minacciava
di essere il più pericoloso. Urtò con forza la
creatura più vicina e si gettò di peso sulla
vittima designata, schiacciandola a terra. La povera entità
non aveva fatto in tempo ad emettere alcun suono, tanto
l’Alieno era stato veloce a immobilizzarla.
Gorgogliando
soddisfatto, le tranciò di netto la testa con un rapido
colpo della potente zampa artigliata.
No, aveva
visto giusto. Quei piccoli esseri erano tanto fragili quanto innocui.
L’Alieno
si crogiolò nell’inebriante sensazione del sangue
caldo dell’essere che colava lungo la sua fredda corazza
gelida come l’acciaio.
Dopotutto,
l’essere aveva reagito con aggressività al suo
attacco e si era dimostrato pericoloso… la Regina non
avrebbe potuto trovare nulla da ridire, su questo.
E poi, per
lei restava sempre l’altra preda.
§---°°°°°---§
Ancora
traballante per lo spavento e per la brutta caduta, Chapel si
rialzò incerta sulle gambe e guardò con orrore
crescente l’orribile essere deforme infierire sul corpo ormai
senza vita della sua compagna.
Con gli occhi
sbarrati e pieni di lacrime, la bionda si premette una mano sulla bocca
e cercò di indietreggiare in silenzio per mettere
più distanza possibile tra lei e quell’essere
immondo. Urtò contro uno sgabello e cadde rovinosamente
all’indietro con un gemito.
Nell’udire
i singhiozzi soffocati della donna, la creatura si voltò di
scatto verso la sua nuova preda. Con l’orrenda bocca
digrignata in un agghiacciante ghigno e la mascella grondante di sangue
ancora caldo, si avventò fulmineamente su di lei.
Chapel
urlò con quanto fiato aveva in gola.
§---°°°°°---§
La sala
controllo fu improvvisamente inondata da una gran luce.
Kirk si
riparò automaticamente il viso con un gridolino di sorpresa,
mentre Spock si limitò semplicemente a chiudere gli occhi
aspettando che la sua vista si abituasse alla nuova illuminazione.
Asciugandosi
gli occhi incorniciati di lacrime, Kirk fece un cenno Spock di
procedere.
Il Primo
Ufficiale inserì l’ultima scheda.
“Diario
di bordo del capitano Lewis, data stellare 5027 punto… punto
8” Se prima la voce di
Lewis era sembrata stanca, ora era completamente esausta.
“Abbiamo
trovato la causa delle sparizioni” disse
l’uomo. Il suo tono era chiaramente spaventato. “C’è
qualcosa sulla nave, sono… sono in tanti. Non saprei come
definirli… li abbiamo solo intravisti… Ricordano
vagamente dei rettili Gidoniani, ma hanno il cranio più
allungato e… e sono estremamente veloci…
inafferrabili quasi. Sì, inafferrabili. E micidiali, anche.
Per ora sono riusciti a prendere il controllo dei ponti quattro, cinque
e sette. Abbiamo provato più volte a colpirli con i phaser e
i fucili a raggi, ma sono troppo rapidi per noi… la loro
corazza li protegge da qualsiasi tipo di attacco. L’unico
punto a nostro favore è che sembrano temere il fuoco. Siamo
riusciti a ferirne uno solo in modo considerevole ma, subito dopo
essere stato colpito, l'essere ha rilasciato un potente acido verde che
in pochi secondi ha corroso lo scafo e alterato
irreparabilmente i parametri di volo.” Kirk
lanciò a Spock un’occhiata sconcertata.
“Tenteremo
un atterraggio di emergenza su un pianeta di classe M del sistema
solare… del sistema… Dio, non so neanche
più dove ci troviamo.” Un sospiro tremante. “Aggiornerò
quando avremo toccato la superficie. Lewis, chiudo.”
Nel silenzio
di tomba che accompagnò queste ultime parole, Kirk e Spock
si scambiarono un’occhiata inquieta.
“Capitano,
se Lewis non ha più aggiornato il suo diario e questi esseri
hanno davvero sterminato l’equipaggio della
Patience…” iniziò cautamente Spock.
“…
allora potrebbero ancora essere qui” completò Kirk
passandosi nervosamente una mano tra i capelli. “Avanti,
prendi le schede e raduniamo subito gli altri, dobbiamo andarcene prima
che-”
Un urlo
agghiacciante squarciò l’aria.
“È
l’infermiera Chapel” mormorò Spock.
“Mio
Dio…”
§---°°°°°---§
Schneider e
Konrad corsero a perdifiato lungo il corridoio principale.
Il grido
disperato che avevano udito solo qualche minuto prima proveniva
sicuramente dal settore in cui era situata l’infermeria: era
stato uno clamore improvviso, un urlo reso ancora più
agghiacciante proprio dalla sua imprevedibilità.
Che cosa
diavolo era potuto accadere a Christine e a Smith per portarle a urlare
a qual modo? Era forse successo qualcosa di grave? E se fossero state
ferite o - peggio ancora…?
Schneider si
costrinse a ricacciare indietro questi pensieri e aumentò
invece il ritmo della corsa. Doveva vedere Christine, aveva bisogno di
sapere che stava bene.
Mentre
percorrevano a rotta di collo i lunghi corridoi della Patience, i due
uomini notarono che la maggior parte delle pareti erano chiazzate da
strani aloni, invisibili prima a causa della carenza di luce. In alcuni
casi erano sostituiti da veri e propri buchi nel metallo, come se il
materiale fosse stato corroso da qualche tipo di sostanza acida.
Schneider
svoltò l’angolo a tutta velocità e
andò a urtare contro qualcosa di fresco e duro, che lo fece
rimbalzare per terra.
Era il Primo
Ufficiale Spock.
“Mi
scusi, noi… abbiamo sentito un grido e-”
“Avanti,
non c’è tempo da perdere”
sbottò subito Kirk, facendo loro cenno di seguirlo e
rimettendosi subito a correre.
§---°°°°°---§
Impiegarono
pochi minuti per raggiungere l’infermeria.
Tutti gli
scenari possibili che Kirk si era immaginato nella propria mente non si
avvicinarono neanche lontanamente al macabro spettacolo che i quattro
si ritrovarono di fronte.
Due dei
grandi muri grigi della stanza erano quasi interamente ricoperti da
schizzi di sangue. Il liquido, colando lungo la parete, aveva creato
irregolari ghirigori che si erano allungati fino al pavimento, dove si
era raccolto in piccole e lucenti pozze colorate.
Spostando lo
sguardo più in basso, Kirk venne colto da un forte attacco
di nausea.
Accanto alla
porta, vicino alla parete sud, giaceva Smith. O, almeno, quello che era
rimasto di lei.
Il corpo
della donna era stato completamente dilaniato. Attraverso il petto
straziato si potevano intravedere le costole candide e qualche
frammento di pelle, mentre la testa era stata separata con violenza dal
collo e mandata a sbattere contro uno dei tanti lettini presenti. Gli
occhi spalancati e vitrei del cadavere erano fissi su un punto
indefinito oltre le loro spalle.
“Mel…”
sussurrò Konrad. Portandosi una mano allo stomaco, si
appoggiò debolmente alla parete nord e vomitò.
“Dio
mio.” Schneider si coprì il viso con entrambe le
mani e inspirò profondamente, cercando di ignorare il
disgustoso sapore metallico che gli aveva improvvisamente riempito la
bocca. Chiaramente non c’era più niente da fare
per Smith.
Ma se
Christine non era lì, forse allora era riuscita a scappare.
C’era
ancora speranza, dunque. Per quanto fosse falso e inverosimile, questo
pensiero aiutò il giovane a non crollare, ma non
riuscì ad evitare che calde lacrime gli riempissero gli
occhi al pensiero delle due vite appena stroncate.
Spock intanto
si era avvicinato al corpo senza vita della donna. Nel lago di sangue
che circondava il cadavere, gli stivali del vulcaniano provocarono ad
ogni passo un disgustoso risucchio, in una specie di rivoltante effetto
ventosa. Quando fu sufficientemente vicino, si chinò per
osservare meglio.
“È
la stessa cosa che ha causato il danno alla paratia metallica in sala
controllo” disse osservando il display del tricorder. Aveva
parlato con un tono calmo e distaccato, come se non fosse minimamente
toccato da quello che era successo.
Schneider non
poteva credere alle proprie orecchie. “Ma come fa a rimanere
così calmo di fronte a uno scempio simile?”
esplose. “È morta una persona, Cristo, non lo
vede?!”
“Certo,
me ne rendo conto perfettamente, ma-”
“Si
sarebbe dovuta sposare tra tre settimane” mormorò
Konrad con uno sguardo vuoto. “Aspettava un
bambino.”
“Abbia
almeno la decenza di fingere un po’ di
interessamento” sibilò Schneider in direzione di
Spock.
“Schneider!”
lo ammonì Kirk. “La faccia finita.”
Lanciando uno
sguardo disgustato al Primo Ufficiale, l’ingegnere si
avvicinò a Konrad e lo aiutò a rimettersi in
piedi.
“Ne
sei sicuro, Spock?” chiese Kirk.
Il Primo
Ufficiale aveva riportato lo sguardo sul corpo straziato della donna.
Era stranamente pallido. “Al 96, 8%. La forma e la larghezza
dei tagli corrispondono.”
Kirk
imprecò e si passò una mano sul viso.
“C’è
qualcosa che non va, capitano.”
“Grazie,
di questo me ne ero accorto anche da solo.”
“No,
intendo riferirmi al tempo che è trascorso da quando abbiamo
lasciato la nave. Se non sbaglio si era accordato con il signor Scott
che la Galileo si sarebbe dovuta mettere in contatto con
l’Enterprise allo scoccare di ogni ora. Ormai ci troviamo qui
da due punto sette ore e tuttavia non sembra che abbiano ancora mandato
nessuno.” Lanciò al capitano un’occhiata
eloquente.
“Dobbiamo
ritornare all’uscita” decise allora Kirk.
Schneider
sollevò di scatto la testa. “Cosa? E
Christine?”
“Al
momento non possiamo fare niente per lei” disse Kirk
addolorato. “Anzi, restando qui rischieremmo solo di perdere
qualcun altro. Ora come ora, non abbiamo idea di dove si possa trovare
e-”
“Ma
non possiamo abbandonarla così!”
esclamò Schneider furente.
“Purtroppo,
non abbiamo altra scelta” disse Kirk avviandosi con Spock
verso il corridoio. “Ritorneremo sicuramente in un secondo
momento con le dovute attrezzature.”
Schneider
strinse i pugni. “No.” Il capitano si
bloccò. “Mi rifiuto di fare una carognata del
genere.”
Kirk si
girò lentamente. “Che cosa?” chiese
minacciosamente avvicinandosi all’ingegnere. Schneider rimase
a fissarlo in silenzio. “Non si azzardi mai più a
parlarmi con questo tono, tenente.” Ora erano faccia a
faccia, i nasi che quasi si sfioravano. “Mi creda, se avessi
anche solo la minima idea di dove si possa trovare
l’infermiera Chapel, non esiterei certo a correre in suo
aiuto. Ma, nel caso non se ne fosse accorto, siamo completamente
isolati e bloccati otto metri sottoterra in compagnia di uno o
più micidiali esseri che aspettano soltanto
l’occasione migliore per ammazzarci. Le ricordo che sono io
il capitano e se dico che ce ne andiamo, ce ne andiamo. Mi ha capito
bene?”
Schneider
resse fieramente il suo sguardo e si preparò a ribattere,
gli occhi scintillanti di sdegno.
“Un
momento.”
Spock
indietreggiò lentamente e si allontanò di qualche
passo dal corridoio poco illuminato. Il suo sguardo era concentrato e
attento.
“Cosa
c’è?”
“Si
sta avvicinando qualcosa” mormorò il vulcaniano
estraendo il proprio phaser. Nel giro di mezzo secondo, un cupo
gorgoglio riecheggiò nell’andito male illuminato
di fronte a loro.
§---°°°°°---§
Una piccola
fiala si infranse sul pavimento dell’infermeria con un
penetrante rumore di vetri rotti. McCoy si appoggiò a
un lettino, la vista improvvisamente oscurata e la testa che
girava in modo impressionante.
Buio.
Paura.
Un grido.
Dolore.
“Dottor
McCoy, si sente bene?”
La domanda
aleggiò nella mente del medico come un fantasma lontano e
indistinto. Se… sto bene? pensò confuso. Il
medico scosse leggermente la testa e cercò di schiarirsi le
idee. Faceva improvvisamente freddo. Molto freddo.
E aveva
paura.
Non sapeva
neanche di che cosa, in realtà... Era una paura totalmente
irrazionale e non sua.
“Dottore?”
chiese esitante la stessa voce di prima. McCoy avvertì un
tocco leggero sulla spalla. Quando riaprì gli occhi,
incontrò lo sguardo preoccupato del dottor
M’Benga.
Raddrizzandosi,
il CMO fece scorrere rapidamente lo sguardo sul resto dei presenti. La
stessa incertezza del giovane medico era dipinta anche sui volti di un'
infermiera e di due guardiamarina seduti su altrettanti lettini.
“Avverte
anche lei i sintomi dell’influenza?” si
informò M’Benga guardandolo con sguardo clinico.
“No,
no, sto bene, io… devo vedere immediatamente il signor
Scott” mormorò McCoy ancora leggermente scosso.
“Continui lei con le iniezioni. Vogliate scusarmi.”
Sottraendosi
alla stretta dell’uomo, McCoy si affrettò a uscire
in corridoio.
Una volta in
ascensore, appoggiò la schiena contro le parete e si
lasciò scivolare a sedere con il respiro affannoso. Cosa
diavolo sta succedendo? pensò cercando di controllare il
tremito convulso delle proprie mani.
Risposte
ai commenti
MkBDiapason: Sì,
quando i team di sbarco se ne vanno in esplorazione su navi deserte e
ascoltano le registrazioni di gente morta in modi non del tutto sereni
spaventano anche me, in effetti O_O Il destino di Smith
era segnato, purtroppo ù_ù
Persefone
Fuxia:
Le tutine rosse che corrono allegramente incontro al pericolo non
possono mancare, no? XD *ricordandosi
improvvisamente dell'orrenda fine fatta da Smith si rende conto del suo
commento di cattivissimo gusto e si ritira zitta zitta in un
angolino*
|
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Capitolo 6 *** CAP. V ***
L’Alieno
lasciò silenziosamente il condotto di areazione e si
incamminò a passo felpato lungo il corridoio.
Stando bene
attento a rimanere in penombra, si appiattì contro la parete
incrostata e sondò attentamente con i suoi sensi affilati la
stanza che gli si presentò davanti.
Leggermente
stupito, percepì chiaramente la presenza di quattro esseri a
sangue caldo.
Altre prede.
Magnifico.
Piegando un
po’ la testa di lato, si concentrò sui suoni che
venivano emessi da quelle strane creature: dal loro tono di voce e
dall’aumento della loro frequenza cardiaca, probabilmente due
di loro stavano avendo un diverbio.
Di colpo,
tutte le voci si zittirono.
Era stata
un’altra voce più calma e profonda a
interromperli, ottenendo immediatamente tutta la loro attenzione. Alle
parole dell’essere più vicino al corridoio, una
scarica di adrenalina colpì gli altri suoi compagni.
Probabilmente lo strano individuo era riuscito a percepire la sua
presenza.
Interessante.
L’Alieno
si lasciò sfuggire un secco gorgoglio di avvertimento.
Ovviamente, era ben consapevole che quelle creature non sarebbero mai
riuscite a sfuggirgli… erano esseri deboli, incredibilmente
delicati.
La
consapevolezza della sua presenza avrebbe solamente reso la caccia
più eccitante.
L’Alieno
percepì il movimento di quattro piccoli arti che estraevano
contemporaneamente qualcosa da un fianco. Dovevano essere quelle
inefficienti armi che aveva provato a usare contro di lui anche la sua
preda precedente… che inutilità.
Se
l’Alieno avesse avuto senso dell’umorismo, avrebbe
riso di gusto.
Si
impegnò, invece, nella scelta della sua prima vittima.
Decise di colpire l’essere che lo aveva scoperto
nell’ombra del suo nascondiglio. Visto che con un solo intervento
era riuscito a zittire tutti gli altri, probabilmente rivestiva una
posizione di dominio all’interno del branco. E colpire
l’individuo dominante è sempre la cosa da fare per
mandare allo sbaraglio l’intero gruppo.
Rapido come
il vento, l’Alieno balzò nella stanza.
Anche questa
volta, quei poveri esseri non riuscirono quasi a vederlo.
L’Alieno registrò distrattamente le loro acute
grida di terrore e percepì il lieve spostamento
d’aria causato dai colpi che venivano sparati a vuoto sulla
scia del suo passaggio. Strisciando rasente al suolo, si
gettò di peso sul Dominante.
Inaspettatamente,
l’essere riuscì a frenare l’impeto del
suo potente slancio ma non poté comunque evitare che otto
affilati artigli gli straziassero la parte superiore del corpo.
Fu allora che
accadde qualcosa di davvero strano.
Non appena i
suoi lunghi artigli si furono conficcati nella carne del Dominante,
l’Alieno avvertì un’opprimente presenza
nella sua mente. I suoi elementari ma rapidissimi pensieri furono
colpiti prepotentemente da un’altra essenza, più
elevata e logica della sua, che riuscì a penetrare a fondo
nella sua testa provocando un’elettrizzante scarica di dolore
che lo percorse dalla sommità del capo allungato fino alla
punta della viscida coda.
Con un sibilo
di rabbia, l’Alieno si staccò di colpo
dall’odioso essere e scosse il massiccio cranio per fermare
il dolore che continuava a scuotere le sue membra.
La sua mente
lavorò a un velocità impressionante. Forse il
Dominante era superiore agli altri anche mentalmente, oltre che
fisicamente? E perché il suo sangue puzzava a quel modo?
Non appena il
dolore si fu affievolito, l’Alieno si riscosse con un
grugnito e ritornò all’attacco. Questa
volta scelse come bersaglio uno dei due esseri che prima
erano sembrati in lotta tra di loro. Azzannò una delle corte
ed esili braccia del Rivale e lo mandò a sbattere
violentemente contro l’altro membro del branco, quello che
era rimasto in silenzio per tutto il tempo.
Balzando su
di loro, l’Alieno si preparò a finirli entrambi
con un rapido scatto della sua seconda serie di mandibole.
Fu distratto
all’ultimo secondo da un fastidiosissimo grido rabbioso
proveniente dalla sua sinistra.
L’Alieno
si girò di scatto in quella direzione.
Fece giusto
in tempo a percepire il movimento di qualcosa che veniva lanciato
davanti a lui e udire il rumore di un oggetto di vetro che si
infrangeva sul pavimento.
Poi fu
avvolto dalle fiamme.
Caldo.
Paura.
Bruciore.
L’Alieno
si gettò di scatto contro la parete più vicina.
C’era
fumo.
E faceva
troppo caldo.
Doveva
scappare, sfuggire al calore che lo avvolgeva dolorosamente come una
seconda pelle infuocata.
Le fiamme
avevano risvegliato in lui un terrore cieco e primordiale che non
poteva fare altro che assecondare. Era più forte di lui.
Umiliato
dalla sconfitta, l’Alieno si fiondò con un grido
disumano nel corridoio e si rintanò nuovamente nel condotto
di ventilazione, lasciando dietro di se una leggera scia di sfrigolante
acido verde.
§---°°°°°---§
“Cerca
un laccio emostatico e del disinfettante, muoviti!”
esclamò Kirk in direzione di Konrad.
Mentre
l’uomo si precipitava ad eseguire l’ordine, il
capitano cercò di tamponare come poteva la ferita di
Schneider con il proprio impermeabile.
Era un
macello. I denti aguzzi dell’Alieno erano penetrati in
profondità nel braccio dell’ingegnere raggiungendo
e spazzando l’osso. A quanto pareva avevano anche reciso
qualche vena, vista la quantità impressionante di sangue che
il ragazzo stava perdendo.
“Ce
la fai a restare seduto da solo per un minuto?” chiese
dolcemente al ragazzo, assolutamente dimentico della discussione avuta
con lui giusto qualche minuto prima.
Schneider
annuì debolmente e chiuse gli occhi, appoggiando la testa
contro la parete con un gemito soffocato.
Lanciando al
tedesco uno sguardo preoccupato, Kirk si alzò e si
affrettò ad inginocchiarsi al fianco di Spock. Non sembrava
messo meglio di Schneider.
La casacca
azzurra e l’impermeabile del Primo Ufficiale erano stracciati
da otto lunghe strisce di colore smeraldo. Sangue verde gocciolava
ancora sul pavimento sporco, raccogliendosi in grumi scuri a contatto
con la polvere. Tuttavia, era altro che preoccupava Kirk.
L’espressione
sofferente e disgustata dipinta sul viso dell’amico, per
esempio.
“Spock…”
Il vulcaniano
teneva gli occhi serrati. Se prima gli era sembrato pallido, ora era
davvero bianco come un cencio.
“Svi’…
khi-gad-yem tvi-shal…”
riuscì a dire a fatica. Era stato poco più di un
sussurro.
“Spock,
lo sai che non capisco il vulcaniano…”
Il Primo
Ufficiale aprì gli occhi e lo guardò confuso.
Sembrava non essersi neanche accorto di aver parlato nella sua lingua
madre. “La sala mensa…” tradusse allora
portandosi lentamente le mani alla testa. Deglutì
rumorosamente. “È lì che ha portato
Chapel.”
“Come
fai a saperlo…? Ehi no. Aspetta un momento.” Kirk
gli lanciò un’occhiata orripilata. “Non
avrai fatto una fusione mentale con quel mostro…?”
Per tutta
risposta, Spock si voltò dalla parte opposta e
vomitò. Imprecando, Kirk sostenne il Primo Ufficiale
mettendogli una mano sulla fronte e una sullo stomaco. Lo fece
nuovamente sdraiare per terra.
“Sto
meglio, capitano, davvero…” tentò di
rassicurarlo Spock.
“Fammi
il favore di startene disteso lì per qualche minuto, Spock,
non hai certamente l’aspetto di uno che sta bene”
replicò Kirk seccamente.
Konrad aveva
già applicato il laccio emostatico al braccio di Schneider e
fortunatamente il flusso di sangue si era fermato. Mentre il
guardiamarina teneva fermo l’ingegnere, Kirk si
preparò a disinfettare il morso.
“Questo
farà male, Raffael.”
Il ragazzo
strinse le labbra senza dire niente. Quando sentì il
bruciore del disinfettante percorrergli tutto il braccio come una
bollente scossa elettrica, non riuscì a trattenere un grido.
“Perché
diavolo hai fatto la fusione?” sibilò il capitano
rivolto a Spock. Il tremore della sua voce rivelava chiaramente la sua
preoccupazione.
“Ho
pensato che sarebbe stato utile imparare qualcosa di più su
questa razza a noi ancora sconosciuta” spiegò il
Primo Ufficiale drizzandosi cautamente a sedere. “E, con
buone probabilità, avrei anche potuto scoprire dove si
trovava l’infermiera Chapel.”
“Saresti
potuto impazzire, Spock. O peggio.”
“Ma
non è successo.”
“Avresti
almeno potuto informarmi delle tue intenzioni.”
“Avrei
tanto voluto, capitano, mi creda. Purtroppo però le
circostanze non lo hanno permesso.”
Kirk
sbuffò, esasperato. “Che cos’hai
scoperto su questi mostri schifosi?” chiese tamponando ancora
un po’ il braccio di Schneider
“Sono
estremamente violenti” evidenziò Spock. Il
vulcaniano fu percorso da un brivido di ribrezzo al ricordo della
sensazione che aveva provato al contatto con la mente malsana
dell’Alieno. “Ed evidentemente sono infastiditi
dall’odore del mio sangue. La loro struttura sociale
è simile a quella delle api terrestri: la regina depone le
uova e gli esseri che nascono infettano l’organismo ospite
inserendo al suo interno una larva, che cresce nutrendosi delle stesse
carni dell’individuo. Il processo di sviluppo
dell’embrione è relativamente veloce.”
Kirk
bendò il braccio di Schneider legandoglielo strettamente al
busto. L’ingegnere si lasciò sfuggire un sospiro
di sollievo e tornò ad accasciarsi contro la parete,
esausto.
Kirk
passò a medicare Spock. “Quanti sono?”
gli chiese passandogli la garza imbevuta di disinfettante sui tagli.
Spock
serrò la mascella ma non si ritrasse al contatto
indesiderato. “L’esemplare contro cui abbiamo
combattuto poco fa è l’unico xenomorfo rimasto,
oltre alla regina. Per nostra fortuna, questi esseri sono
così violenti da essere arrivati a sterminarsi a
vicenda.”
“Almeno
questo” borbottò Kirk.
“A
proposito, mi complimento per il suo geniale stratagemma. Infiammare
del Vikodin è stata una trovata molto astuta.”
“Non
avevamo niente da perdere” constatò Kirk
scrollando le spalle. Fortunatamente, la quantità di liquido
infiammato era stata talmente irrisoria da essere arrivata a spegnersi
da sola nel giro di qualche secondo. Ma la fiammata iniziale era stata
spettacolare. “Sei sicuro di stare bene?”
sussurrò Kirk voltando le spalle agli altri due uomini e
studiando il volto del vulcaniano con attenzione.
“Certo,
capitano.”
Kirk rimase a
fissarlo per qualche secondo, dubbioso.
“Ci
sono rimasti due soli phaser, signore” lo informò
preoccupato Konrad dirigendosi verso di loro. Kirk si alzò
immediatamente e si voltò per fronteggiarlo.
“Quello del signor Spock è andato distrutto tra le
fiamme, mentre quello di Schneider se l’è mangiato
quel figlio di puttana. Ha distrutto anche il tricorder.”
“Il
phaser di Smith?”
“Non
sono riuscito a trovarlo. Probabilmente si è mangiato anche
quello.”
Kirk
annuì brevemente e spostò lo sguardo su
Schneider, sorretto per la vita da Konrad.
Il giovane
ingegnere lo fissò di rimando.
“Se
la sente di camminare, tenente?”
“Certo,
signore.” Il tedesco si drizzò a fatica sulle
gambe malferme e oscillò un po’. Stringendo i
pugni, lanciò al capitano uno sguardo risoluto. Nonostante
il dolore sarebbe sicuramente stato pronto a intavolare
un’altra discussione con il suo superiore, non
c’era alcun dubbio.
Kirk sorrise
stancamente. “Ha vinto lei, allora. Andremo a salvare la sua
bella.”
§---°°°°°---§
Prima di
uscire dall’infermeria, Konrad strappò una delle
tante tendine grigie e coprì delicatamente il corpo senza
vita di Smith.
L’addetto
alla Sicurezza rimase per qualche secondo a fissare il triste e
consunto fagotto, pregando in silenzio per l’anima di quella
povera donna e per il suo bimbo mai nato. In realtà non
aveva mai pregato in vita sua, ma sperava ardentemente che Dio, se mai
ne fosse davvero esistito uno, avrebbe avuto pietà di loro e
ascoltato il suo disperato quanto sincero appello.
Quando Konrad
si voltò, i suoi occhi erano lucidi e il viso era contratto
nel tentativo di non cedere al dolore. Kirk gli appoggiò una
mano sulla spalla, rattristato.
“Mi
dispiace per la sua perdita” mormorò allora Spock.
Sia Konrad
che Schneider lo guardarono stupiti.
Kirk si
limitò a sorridere tristemente.
“Andiamo.”
Mmmmmh,
per questo capitolo ero davvero poco ispirata ò_o
Spero che la descrizione dell'attacco dal POV di Alien non sia troppo
caotica, rileggendolo mi viene qualche dubbio al riguardo...
ù_ù
Risposte hai commenti
Rei
Hino:
Sì, indossare una divisa rossa è come avere
tatuato in fronte "morto che cammina" XD
Grazie,
cerco davvero di fare del mio meglio... e se ami gli splatter di serie
B, allora questa è la tua storia XD
MkBDiapason: Le descrizioni che
faccio sono agghiaccianti? Bene, bene, bene... *si
sfrega le mani con aria soddisfatta* Perfetto! XD
Persefone
Fuxia: Chiamalo
pure "il gioco Alien e prede senza speranza", prego ^^
Fatanera: Che bello che mi
segui anche tu! *batte
le mani estasiata* Sono davvero
contenta che la storia ti intrighi! Il POV di Alien dovevo mettercelo
assolutamente... insomma: è a tutti gli effetti uno dei
personaggi principali della fic, no? ^^ Credo che Schneider
e Jim abbiano un carattere così testardo che probabilmente
non è stata poi un'idea così brillante portarli
giù insieme... mi stupisci, Spock. Avresti dovuto pensarci! XD
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Capitolo 7 *** CAP. VI ***
I quattro
uomini procedettero nella penombra con estrema circospezione, ben
attenti a non fare il minimo rumore che potesse tradire la loro
silenziosa presenza.
Durante il tragitto verso la sala mensa non incontrarono alcuna traccia
dell’Alieno. Tutto intorno a loro regnava un assordante
silenzio, intervallato di tanto in tanto da una soffocata raffica di
vento o da un secco crollo riecheggiante in lontananza.
Ogni minimo rumore era sufficiente per farli sobbalzare e trattenere il
fiato, tanto erano tesi. Tranne Spock, in realtà, dal
momento che il vulcaniano riusciva straordinariamente a mantenere una
parvenza di calma nonostante la disgraziata situazione.
Una cosa a dir poco lodevole, pensò Schneider.
Lanciò al Primo Ufficiale un’occhiata furtiva.
Doveva ammettere che il commento che aveva fatto a Konrad poco prima di
lasciare l’infermeria lo aveva spiazzato. Si era forse
sentito in colpa per la sua precedente mancanza di tatto? No, sarebbe
stata una reazione illogica da parte sua. E allora come si spiegava il
bizzarro comportamento di Spock? Dal tono di voce gli era sembrato
sincero. Era possibile che il vulcaniano provasse davvero qualche
emozione, nel profondo del suo animo?
Si era davvero sbagliato sul suo conto?
All’improvviso, il braccio ferito dell’ingegnere fu
percorso da una lancinante fitta di dolore. Trattenendo il respiro,
Schneider chiuse gli occhi di scatto e serrò la mascella.
“Tutto okay?” bisbigliò Konrad
preoccupato.
"Non è niente…" sibilò Schneider tra i
denti.
Puoi sopportarlo, concentrati. Vai avanti.
“Vuole che facciamo una pausa?” chiese subito Kirk.
“No, no… sto bene” sussurrò
l’ingegnere di rimando.
Christine poteva avere i minuti contati e lui non avrebbe certo perso
del tempo prezioso riposandosi. Dovevano ritrovarla a tutti i costi.
Il Primo Ufficiale lanciò al giovane tenente
un’occhiata penetrante. Senza dire una parola, si
limitò ad incamminarsi nuovamente lungo lo stretto corridoio
male illuminato.
Schneider scrutò confuso la schiena del suo superiore. Dallo
sguardo che gli aveva lanciato, era evidente che fosse a conoscenza del
fatto che aveva appena mentito sulle sue condizioni fisiche…
tuttavia, non aveva insistito per fermarsi. Perché?
Più ci pensava, meno riusciva a capire che cosa passasse per
la testa di quel vulcaniano.
§---°°°°°---§
Il ragazzo non stava affatto bene.
Spock l’aveva capito subito, ancora prima di guardarlo. Era
in grado di percepire chiaramente i battiti troppo veloci del suo
cuore, i suoi respiri spezzati, la sua andatura strascicata. Perfino la
sua temperatura corporea si stava alzando in maniera preoccupante.
Dovevano raggiungere la sala mensa in fretta, o la sua situazione si
sarebbe aggravata irreparabilmente. E lo stesso valeva anche per Chapel.
Ignorando il bruciore che gli infiammava il petto, il vulcaniano
osservò attentamente la piccola mappa tridimensionale che
fluttuava appena sopra il suo polso.
A quanto pareva erano quasi arrivati. Bene.
§---°°°°°---§
La sala mensa della nave U.S.S. Patience era a dir poco irriconoscibile.
Tutte le pareti del locale erano interamente ricoperte da una spessa
coltre di un materiale grigio-verdognolo non meglio identificato, che
oscurava parzialmente anche le lampade al neon. Lo spessore di quella
sostanza aumentava considerevolmente in corrispondenza di quelli che a
prima vista si sarebbero potuti definire come enormi bozzoli, larghe
protuberanze che rompevano la continuità delle pareti. Il
pavimento sporco, invece, era ricoperto da una miriade di strane uova
di consistenza poco più che gelatinosa da cui partivano vari
tentacoli che si ramificavano fin dentro ai numerosi nodi bitorzoluti.
Era uno spettacolo disgustoso.
I quattro uomini avanzarono con circospezione nel locale semi-buio. Si
mossero silenziosamente evitando le uova e mantenendosi il
più possibile rasenti alla pareti, nel tentativo di non
tradire in alcun modo la propria presenza.
Alla vista di una mano ossuta e rinsecchita che sbucava da uno dei
tanti bozzi, Kirk strinse convulsamente la propria arma. Dio, quei cosi
contenevano delle persone. Innocenti ed indifesi esseri umani.
Un improvviso gemito alle sue spalle gli fece drizzare i capelli sulla
nuca.
Immediatamente si voltarono tutti e quattro in quella direzione, Kirk e
Konrad con i phaser spianati pronti a fare da scudo a Schneider e a
Spock.
I fragili lamenti continuarono. Erano deboli, impercettibili quasi, ma
sembravano provenire distintamente da uno dei bozzoli appiccicati alla
parete ovest.
Dimentico del dolore, Schneider scattò in quella direzione.
Ignorando i soffocati richiami di avvertimento degli altri,
incominciò a squarciare ossessivamente con il suo unico
braccio buono i fragili e appiccicosi fili che componevano la
disgustosa matassa.
“Christine!” esclamò con voce soffocata
dall’emozione.
“No! Basta, ti prego…
s-smettila…” piagnucolò lei voltando il
viso dall’altra parte.
Schneider afferrò con decisione il mento
dell’infermiera e si sforzò di usare un tono
fermo. “Christine. Apri gli occhi, piccola…
Avanti. Guardami.”
La donna aprì a fatica gli occhi gonfi e arrossati dal
pianto. Non appena realizzò chi aveva davanti, il suo volto
si illuminò e le sue labbra incrostate di sangue rappreso si
incurvarono, assumendo la parvenza di un sorriso.
“Rafe… sei proprio tu?”
sussurrò incredula.
Schneider fu colto da un moto di sollievo. Era viva.
C’era davvero ancora speranza.
L’ingegnere si fece da parte mentre Kirk e Konrad finivano di
liberare la donna e la adagiavano delicatamente al suolo. Mettendole
una mano sul volto e una sul ventre, Spock la fissò con uno
sguardo concentrato.
“Come sta?” chiese Schneider scostandole
gentilmente un ciuffo biondo dalla fronte sudata.
Spock aggrottò le sopracciglia. “Le rimangono al
massimo un paio di ore di vita, l’embrione è quasi
interamente formato.”
I tre umani guardarono con orrore il vulcaniano.
“Vuoi dire che ha dentro uno di quei…
cosi…?” chiese Kirk sconcertato.
Spock lo guardò gravemente. “Va estratto prima che
si faccia strada da solo verso l’esterno.”
“Forse se la portiamo in tempo sull’Enterprise,
Bones sarà in grado di …”
“Capitano!” esclamò improvvisamente
Konrad con tono urgente.
Il guardiamarina stava puntando il suo phaser dritto contro una delle
uova, la cui superficie molliccia e filacciosa si era appena aperta in
quattro pccole membrane triangolari. Una miriade di rigagnoli
trasparenti colarono sul pavimento in un disgustoso sciaquio.
Spock si alzò e si posizionò con fare protettivo
davanti all’infermiera svenuta e all’ingegnere
inginocchiato al suo fianco.
“Ma cosa diavolo…” incominciò
Schneider.
Accadde tutto in rapida successione.
Dall’uovo appena schiuso spuntarono un paio di tentacoli
marroncini, che artigliarono l’aria cercando appoggio per non
scivolare. Poi, con un agghiacciante risucchio, un piccolo disco rugoso
di colore slavato seguì i tentacoli e si gettò
sui quattro ad una velocità impressionante.
Konrad e Kirk fecero fuoco contemporaneamente.
Schizzi di acido verde piovvero su di loro e su Spock, cominciando
lentamente a sciogliere i loro indumenti.
Con un grido soffocato, Kirk e Konrad si levarono freneticamente gli
impermeabili fumanti. Spock lottò per liberarsi della sua
maglietta ormai stracciata e la gettò a terra insieme agli
altri vestiti. Gli indumenti continuarono a sfrigolare, intaccando
anche il metallo su cui erano appena stati gettati.
Altre uova cominciarono a tremolare.
“Via, via!” gridò Kirk.
La voce del capitano fu sormontata da un ringhio disumano che
squarciò improvvisamente l’aria e
riecheggiò in modo sinistro nell’ambiente vuoto.
“La regina ci ha scoperti” mormorò Spock
con lo sguardo fisso nel nulla.
“Muoviamoci!” gridò allora Kirk.
Con una fluida mossa, Spock prese in braccio l’infermiera
svenuta e si precipitò insieme agli altri verso il corridoio
da cui erano venuti.
“Spock, sei sicuro di riuscire a…?”
iniziò Kirk voltandosi. I suoi occhi si allargarono alla
vista delle sottili zampe artigliate che erano sbucate silenziosamente
dall’alto dell’imboccatura del corridoio.
“Attenzione alle spalle!” urlò con
quanto fiato aveva in gola.
Konrad non fece in tempo a scansarsi. L’Alieno
risucchiò dall’alto l’uomo urlante e
cominciò a trascinarselo dietro mentre scalava rapidamente
la parete appiccicosa.
Con uno scatto fulmineo, Kirk si gettò in avanti e
afferrò le gambe penzoloni di Konrad. Tentò con
tutte le sue forze di riportarlo a terra, strattonandolo, sparando
colpi nel vuoto, ma l’Alieno era troppo forte. Nel giro di
qualche secondo, si ritrovò anche lui ad un metro da terra,
le gambe agitate nel disperato tentativo di trovare un appiglio a cui
agganciarsi.
Era così concentrato nel non mollare la presa che quasi non
si accorse che le gambe di Konrad avevano smesso di agitarsi e le sue
agghiaccianti grida disarticolate erano cessate.
Con un sibilo di frustrazione, Kirk lasciò andare il corpo
ormai senza vita dell’uomo e cadde pesantemente sulla
schiena.
Schneider lo afferrò debolmente per un braccio e lo
aiutò ad alzarsi.
“Ormai non può fare più niente per
lui” disse l’ingegnere con voce spezzata,
spingendolo verso la fine del tunnel.
I due uomini raggiunsero di corsa Spock, che li stava aspettando
qualche metro più in là, e si precipitarono
insieme verso la fine del lungo corridoio. Dopo aver svoltato
speditamente l’angolo, si fiondarono nel condotto principale
costantemente inseguiti dall’eco dei rapidi passi
dell’Alieno.
“È nel condotto di areazione!”
esclamò Spock ansimando.
Un violento scossone fece tremare l’intera nave. E poi un
altro. E un altro ancora.
“Ma cosa-” tentò di dire Kirk.
“Attenzione lassù!” gridò
Schneider gettandosi pesantemente addosso a Spock.
Lo sbrago già presente sulla parete destra del tunnel si
allargò con un atroce stridio. Una marea di rocce, pietre e
sassi di varia grandezza si riversò con un rombo
nell’ampio corridoio.
Tossendo per la polvere sollevata, Schneider si rialzò in
piedi a fatica e si aggrappò alla parete per non cadere. Gli
girava la testa da morire. “Signor Spock,
Christine…?” chiese alla cieca con voce roca.
“Siamo qui” rispose la voce profonda del Primo
Ufficiale. “Capitano?” chiamò poi il
vulcaniano.
Non ottenne alcuna risposta.
“Capitano!” Schneider si avvicinò al
cumulo di macerie e cominciò debolmente a spostare qualche
masso.
“Jim!” chiamò Spock a voce
più alta. Si concentrò nel tentativo di percepire
un rumore, un sospiro, qualsiasi cosa che potesse indicare che Kirk era
ancora vivo.
Non sentì nulla, a parte i rantoli soffocati di Schneider
che continuava illogicamente a scavare nonostante il silenzio di tomba
che aleggiava dall’altra parte della barriera.
“Tenente, interrompa immediatamente la sua azione”
disse il Primo Ufficiale con freddezza.
Schneider si voltò e gli lanciò uno sguardo
disperato. “Ma noi non possiamo… il capitano
è…” Si interruppe alla vista
dell’immenso dolore presente negli occhi scuri del vulcaniano.
“Dobbiamo portare subito l’infermiera Chapel alla
Galileo e lei non è certo nelle condizioni di sopportare uno
sforzo fisico del genere.”
Gli occhi di Schneider, già lucidi per la febbre, si
bagnarono ulteriormente. Con un groppo in gola, l’ingegnere
annuì mestamente e si alzò con un sospiro di
dolore.
Gettando un ultimo, scoraggiato sguardo al cumulo di macerie, Spock e
Schneider si avviarono a capo chino verso l’uscita.
Scusate, Spock senza
maglietta volevo mettercelo a tutti i costi XD Anche se in
realtà è mezzo fasciato come una mummia, quindi
si vede poco... ò_o
Comunque l'idea di lui senza giubba mi piaceva troppo!
I prossimi capitoli li avevo già scritti da un po', quindi
cercherò di postarli più velocemente!
Risposte ai commenti:
Persefone Fuxia: Sì,
le tonnellate di sangue erano implicite nella sola presenza di Alien XD Chapel
è salva (beh, per modo di dire... =_="), ora il vero
problema sarà uscire vivi dalla nave fantasma...
Fatanera: Qui
Spock fa pena anche a me T_T
Ma ci vuole ben altro per scalfire la sua dura scorza vulcaniana...
come la consapevolezza di perdere Jim. Adesso è davvero
preoccupato, te lo dico io ù__ù
Rei Hino:
Ahahah, infatti il nostro bel vulcaniano ha la brutta abitudine di
fondersi con qualsisi cosa sia dotata di movimento... e Jim deve
costantemente fare i conti con le conseguenze ò_o
Ovviamente si preoccupa per lui, Spock non si lamenterebbe neanche se
stesse seriamente per morire! Eh, vedi che non avere Len nelle
vicinanze porta male... XD
MkBDiapason: Dottor
House Forever! Non lo guardo spesso perché quel telefilm mi
fa venire l'ansia, ma il personaggio in sè lo adoro! Una
sorta di moderno Sherlock Holmes all'ennesima potenza... ^o^
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Capitolo 8 *** CAP. VII ***
La prima cosa
che Kirk avvertì fu una fastidiosa sensazione di vertigine,
immediatamente seguita da una lancinante fitta alla nuca.
Era un dolore acuto, martellante, che a ogni nuova ondata percorreva
tutta la lunghezza della sua spina dorsale e si ramificava lungo le
costole togliendogli il respiro. Tentò di girarsi supino, ma
un paio di grossi massi gli inchiodavano i piedi al suolo impedendogli
qualsiasi movimento.
“Spock! Schneider!” gridò senza fiato.
L’unica risposta che ottenne fu quella fredda e confusa
dell’eco. Maledizione, pensò. Sperò con
tutto se stesso che i suoi due compagni non fossero rimasti sepolti
sotto il cedimento.
Inveendo contro qualsiasi cosa avesse provocato quei fatali scossoni,
tirò bruscamente le gambe verso il proprio petto e
sentì qualcosa cedere all’interno del cumulo di
macerie. Con un paio di violenti strattoni, Kirk riuscì a
liberarsi definitivamente dalla morsa della roccia.
Gemendo per il dolore, si affrettò a rotolare lontano dal
cumulo di rocce per schivare la miriade di sassi e pietruzze che i suoi
bruschi movimenti avevano fatto franare.
Dopodiché tentò di rialzarsi, barcollante, e
constatò con un lieve sospiro di sollievo che fortunatamente
non sembrava avere nulla di rotto. Già, è una
fortuna pazzesca, pensò con sarcasmo. Era chiuso
lì sotto da solo con quel mostro e una dannatissima frana
aveva bloccato la sua unica possibile via d’uscita. Cosa
diavolo avrebbe potuto fare adesso?
Kirk trasse un profondo respiro e si sforzò di ragionare a
mente lucida.
Ormai Spock e Schneider sarebbero già dovuti essere a bordo
della Galileo. Sempre supponendo, ovviamente, che fossero ancora
vivi… il capitano scacciò questo pensiero con un
cenno infastidito del capo.
Spock era vivo, ne era certo. Non poteva essere altrimenti.
Logicamente, la prima cosa che il vulcaniano avrebbe ordinato una volta
raggiunta l’Enterprise, sarebbe stato di sparare contro il
relitto per cancellare completamente dalla faccia del pianeta quelle
bestiacce schifose. Avrebbe fatto saltare in aria il velivolo fantasma,
insomma. Con lui dentro. Sì, era la cosa più
logica che Spock avrebbe potuto fare…
Era spacciato, dunque.
A meno che…
Una strana idea si fece strada nella sua mente. Per regolamento, ogni
nave della Flotta doveva avere almeno un deposito di scorie, a bordo.
Quegli speciali magazzini erano rivestiti da uno strato di adamantite
spesso un paio di metri che li isolava completamente
dall’esterno ed erano stati progettati per contenere al loro
interno materiali pericolosi o radioattivi con cui la nave sarebbe
potuta entrare in contatto…
Forse sarebbe valso anche il processo inverso. Magari, se lui vi si
fosse chiuso dentro, sarebbe stato in grado di sopravvivere
all’esplosione, probabilmente attutita anche dalle rocce
nelle quali la nave era incastonata… Un piano certamente
originale ma che, a rigor di logica, avrebbe senz’altro
potuto funzionare.
Non aveva più nulla da perdere, dopotutto.
§---°°°°°---§
L’Alieno sia arrestò per un momento e rimase in
ascolto.
La Regina aveva davvero avuto un’idea geniale, doveva
ammetterlo. Con quella seria di violenti scossoni aveva bloccato la via
di fuga agli esseri a sangue caldo e li aveva mandati totalmente allo
sbaraglio.
Il gruppo era stato diviso dal repentino crollo di una parete, questo
era ovvio.
L’Alieno aveva potuto capirlo facilmente dalle grida di
richiamo che il Dominante e il Rivale avevano lanciato in direzione
della barriera rocciosa e dai loro goffi quanto inutili tentativi di
scavare per rimuovere l’ostacolo. Poi, finalmente, si erano
dati per vinti e avevano deciso di abbandonare il loro compagno,
andandosene insieme all’Ospite.
Una mossa molto intelligente, in effetti. E utile per lui, anche, visto
che ora aveva a sua disposizione una preda isolata a cui dare
tranquillamente la caccia.
E non una preda qualunque, no… proprio la Creatura del
Fuoco. L’Alieno non avrebbe certo potuto chiedere di meglio:
avrebbe avuto la sua giusta vendetta sull’essere che durante
il loro primo scontro lo aveva costretto a fuggire precipitosamente con
la coda tra le gambe.
Si preannunciava una caccia interessante, non c’erano dubbi.
L’Alieno interruppe i suoi rapidissimi pensieri.
Aveva udito un rumore, da qualche parte davanti a lui. Una decina di
tunnel più avanti, in linea d’aria. Erano i grevi
e leggermente strascicati passi della Creatura del Fuoco. A quanto
pareva si stava dirigendo verso sud.
Chissà che cosa aveva in mente. Non era affatto un
avversario da sottovalutare: questo l’aveva ampiamente
dimostrato in precedenza.
Con un guizzo nervoso della massiccia coda, l’Alieno
iniziò l’inseguimento.
Raggiunse la sua preda nel giro di un paio di minuti.
La Creatura del Fuoco si stava muovendo nervosamente avanti e indietro
di fronte a una grande parete rocciosa. I suoi soffocati gemiti di
frustrazione riecheggiarono lungo il corridoio e suonarono dolci come
musica, per lui.
L’Alieno fu percorso da un’ondata di soddisfazione.
Presto avrebbe avuto la sua vendetta. Oh sì, gliela avrebbe
fatta pagare davvero cara per il suo affronto. Nessuno era mai riuscito
ad avere la meglio su di lui, neanche all’interno della sua
stessa specie. E tra la Creatura del Fuoco e l’Alieno, il
più forte era sicuramente quest’ultimo, non
c’erano dubbi.
Glielo avrebbe dimostrato. Avrebbe squarciato brutalmente quelle sue
tenere e fragili ossa con un unico e fulmineo gesto delle sue possenti
zampe.
L’Alieno si accucciò a pochi metri dalla Creatura
del Fuoco e rimase per un momento a studiarla, cauto. Poi emise un
leggero gorgoglio di avvertimento, che le pareti spoglie amplificarono
facendolo risuonare come un cupo ringhio.
La Creatura del Fuoco si voltò di scatto verso di lui,
trattenendo il respiro.
L’Alieno sollevò senza fretta la testa e
fiutò l’aria, assaporando l’inebriante
profumo di paura che ora gli aleggiava appetitosamente intorno.
Allora la Creatura del Fuoco sibilò qualcosa a mezza voce e
sfoderò un oggetto dal retro di una delle sue corte e
impacciate gambe. Dal suono che la cosa produsse fendendo
l’aria, l’Alieno capì che si doveva
trattare di un oggetto aguzzo ed affilato.
Nulla che sarebbe riuscito a penetrare la sua indistruttibile corazza,
comunque.
La Creatura del Fuoco gridò contro l’Alieno con
quanto fiato aveva in gola, sputandogli addosso tutta la sua rabbia e
la sua frustrazione.
Un chiaro segno di sfida.
L’Alieno non aspettava altro.
Spalancando le sue enormi fauci, si scagliò fulmineamente
contro la sua preda con tutta l’intenzione di concludere
vittoriosamente quella caccia.
Ma accadde qualcosa di inaspettato.
§---°°°°°---§
Kirk serrò gli occhi, preparandosi al tremendo impatto.
Che però non venne.
Sollevò le palpebre di scatto. Tutto quello che fece in
tempo a vedere fu un getto di fiamme bollenti che colpiva il mostro
deforme, ora agonizzante a terra in una pozza di acido. Prima ancora di
avere il tempo di capire che cosa fosse accaduto, un paio di forti
braccia lo afferrarono dall’alto e lo trascinarono di peso
oltre il buco presente sul soffitto.
Traballante, Kirk tentò di rimettersi in piedi ma
sbatté violentemente la testa contro la bassa parete di uno
stretto tunnel. Imprecando a bassa voce, nella penombra
riuscì a scorgere un volto dai lineamenti famigliari.
“Spock!” esclamò con stupore misto a
gioia. Il capitano posò automaticamente una mano sul
braccio destro del vulcaniano, serrando la stretta come ad accertarsi
che il suo Primo Ufficiale si trovasse di nuovo lì al suo fianco. Dire che era sollevato sarebbe stato un eufemismo. “Schneider e Chapel
sono…?”
“Al sicuro” tagliò corto Spock
cominciando a strattonarlo rudemente verso la fine dello stretto
tunnel. “Non abbiamo tempo, Jim, il fuoco l’ha solo
rallentato.”
Il soffitto era così basso che per avanzare dovettero
procedere a carponi. Questo impedimento riduceva drasticamente la loro
velocità di fuga, ma i due cercarono comunque di mettere
più distanza possibile tra loro e le penetranti grida di
dolore dell’Alieno.
“È un lanciafiamme al plasma, quello?” chiese Kirk
boccheggiando e lanciando una rapida occhiata all’ingombrante
arma che il vulcaniano portava a tracolla.
“Lo abbiamo trovato nel deposito armi della
Galileo” rispose Spock ansimando leggermente.
“È un modello un po' datato, ma è
servito al suo scopo.”
§---°°°°°---§
Lo avevano fatto di nuovo!
L’Alieno ruggì di rabbia.
Quegli insignificanti esseri erano riusciti ancora una volta a
sfuggirgli, utilizzando, per di più, quello stesso, dannato
trucchetto del fuoco!
Male.
Non poteva accettarlo.
Proprio no.
Bruciore.
Dolore.
Per l’Alieno esisteva solo quello ora: un atroce dolore che
gli bruciava gli arti, la corazza, il cranio, mentre il suo stesso
sangue lo ustionava e si faceva strada dentro di lui come una miriade
di coltelli bollenti.
L’Alieno si erse sulle zampe posteriori e ruggì
ancora, scrollandosi gran parte dell’acido di dosso.
Strisciò sibilando dentro al buco in cui quei maledetti
erano spariti. Ignorando il dolore che lo martoriava a ogni sfregamento
contro le pareti del ristretto ambiente, si concentrò su un
unico pensiero: uccidere.
Uccidere gli esseri inferiori che avevano osato ridurlo
così. A qualsiasi costo.
Avvertì del movimento a circa metà del condotto.
Si fiondò in quella direzione guidato solo dalla sua furia
cieca e dalla sua sete di sangue, frustando l’aria con la
micidiale coda dentellata.
Poteva percepire il profumo della Creatura del Fuoco e la nauseante
puzza del Dominante farsi sempre più intensi.
Il tunnel, però, sembrava ora stranamente vuoto. Se ne erano
forse già andati?
Assolutamente no, non poteva permettere loro di uscire!
pensò l’Alieno nel delirio della sete e del dolore.
§---°°°°°---§
Non appena Kirk e Spock ebbero svoltato l’angolo, le grida
disarticolate del mostro cessarono di colpo. Qualche secondo dopo,
vennero sostituite dall’agghiacciante suono di una serie di
rapidi passi concitati e dallo stridio di qualcosa che strusciava
rumorosamente contro le pareti.
L’orribile ticchettio si fece sempre più vicino.
Troppo vicino, pensò Spock. Di questo passo, non ce
l’avrebbero mai fatta a raggiungere in tempo il passaggio che
era riuscito ad aprire nella parete metallica con il phaser. Era troppo
distante.
“Da questa parte!” gridò allora il
vulcaniano strisciando in un piccolo tunnel secondario che si diramava
alla loro destra. Nel giro di una frazione di secondo, si sporse oltre
la fine dello stretto cubicolo e si lasciò cadere con un
agile balzo dall’altra parte. Si alzò in punta di
piedi per aiutare anche Kirk a uscire.
Il capitano si era già sporto con mezzo busto
dall’apertura, quando si arrestò di colpo. Il suo
volto si contorse in una smorfia di dolore.
“Mi ha preso!” Kirk cercò di dimenarsi
per liberare la gamba bloccata. L’Alieno non mollò
la presa.
Spock abbracciò saldamente il capitano e cercò di
trascinarlo verso di lui. “Resisti, Jim!”
Kirk urlò di dolore. La superiorità della forza
dell’Alieno era schiacciante, non sarebbero riusciti a
resistere ancora a lungo.
Poi, senza alcun preavviso, lo xenomorfo mollò la presa.
Con un grido soffocato, Kirk volò dritto addosso a Spock.
Sbilanciati dalla loro stessa forza, rovinarono entrambi su
un’arrugginita grata metallica che cedette con un inquietante
cigolio.
Con un grido, i due uomini precipitarono nel buio.
§---°°°°°---§
Era finalmente riuscito a prenderlo, quello schifosissimo insetto.
L’Alieno cercò di trascinare la Creatura del Fuoco
verso di sé, ma c’era qualcosa che opponeva
resistenza. Il Dominante, probabilmente.
Poco male. La Creatura del Fuoco sarebbe morta squarciata entro pochi
minuti.
Avrebbe comunque vinto lui.
Ad un certo punto, un odore pungente colpì
l’Alieno. Era un profumo muschiato e amaro, aspro ma dolce,
brusco e intenso al tempo stesso.
Un odore che l’Alieno conosceva molto bene.
Oltre il condotto c’era la sua Regina, realizzò
con un moto di stupita soddisfazione. Era stato così preso
dalla caccia che non aveva notato la vicinanza del Nido.
Un pensiero tanto astuto quanto sadico prese forma con violenza nella
mente malsana dell’Alieno. Ci avrebbe pensato lei a uccidere
i due bipedi. E successivamente avrebbe anche dovuto riconoscere che
era stato lui a portarle quelle due prede succulente.
Le creature sarebbero morte e contemporaneamente lui sarebbe cresciuto
in valore agli occhi della sua Regina.
Un piano a dir poco geniale.
Con un gorgoglio soddisfatto, l’Alieno lasciò la
presa. Udì la Creatura del Fuoco sbattere violentemente
contro il Dominante. Poi un cigolio, un rumoroso clangore e un grido.
In silenzio, si accucciò appagato. Presto avrebbe udito le
urla agghiaccianti dei due esseri.
E lui si avrebbe assistito in prima fila allo spettacolo.
Il depisito di scorie è ovviamente una mia invenzione ù__ù
Spero che la sua presenza non sia troppo improbabile:
comunque avrebbe una grande utilità sulla nave ^^ E i lanciafiamme
ce li avranno nel 23^ secolo?
Boh XDDDDD
Risposte ai commenti
Rei Hino:
Oddio, cara, la crisi epilettica no! ò____o
Sorry, sorry, non volevo causarti così tanto maleeeeee... XD Ma Spock ha
ritrovato Jim, no? (tralasciando il fatto che sono volati
tutti e due giù da una balaustra... =____=") Comunque ci
sto: ridisegnamo le uniformi della Flotta! Secondo me ci vorrebbero dei
tessuti un po' più trasparenti e dei pantaloni di pelle
attillati (sebbene siano pericolosamente stretti già quelli
normali, dopotutto XD)
E ovviamente bisognerà usare Spock, Jim e Bones come
modelli... Però ho come il sentore che le alte sfere non
approveranno facilmente la nuova collezione XDDD
MkBDiapason: Ahahah,
hai ragione, Schneider che chiama Chapel "piccola" è tanto
buffo e tenero >W<
Sì, siamo finalmente arrivati al prologo! Ormai non manca
più tanto alla fine della storia... e Bones lo ritroveremo
nel prossimo capitolo ^^
Fatanera:
Verità innegabile, noi slasher siamo ASSOLUTAMENTE senza
cuore in certe situazioni =__="
Però
Jim è ritornato fra le braccia del suo folletto, visto? ^^
Persefone Fuxia:
Convengo con te, è roba davvero schifosa quella ò_______o
Nei film di Alien le uova sono davvero da voltastomaco (ma soprattutto
i mostriciattoli allo stadio intermedio... sembrano delle specie di
grossi e viscidi ragni spigolosi O___o)
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Capitolo 9 *** CAP. VIII ***
L'impatto fu
parzialmente attutito da una grande quantità di acqua.
Il gelido liquido colpì con violenza il torace di Kirk, che
rimase senza fiato e fluttuò scompostamente per una frazione
di secondo, stordito. Toccato il solido fondo con i piedi, il capitano
si riscosse dallo shock e si diede una forte spinta verso
l’alto. Artigliando disperatamente l’acqua con le
mani, lottò per ritornare in superficie.
Riemerse boccheggiando e aprì a fatica gli occhi
congestionati dal freddo. Era buio pesto.
“Spock!” chiamò. Udì un paio
di forti colpi di tosse e uno sciacquio poco lontano da lui.
“Sono qui…” rispose una voce soffocata
alla sua sinistra.
“Resisti, sto arrivando!” Con un paio di energiche
bracciate, Kirk cercò di raggiungere alla cieca il suo Primo
Ufficiale. Qualche secondo dopo, urtò contro qualcosa di
morbido e tiepido che si agitava convulsamente nell’acqua.
“Tranquillo, Spock, ti tengo…” Kirk
afferrò il vulcaniano per la vita e lo sorresse.
Spock tossì ancora e si aggrappò al collo del
capitano, il respiro leggermente affannoso.
“Grazie…”
“Dove diavolo siamo finiti?” chiese Kirk voltando
la testa da una parte e dall’altra nel tentativo di scorgere
qualcosa nell’oscurità che li circondava.
“E cos’è tutta
quest’acqua?”
“N-non saprei” rispose il vulcaniano con voce
tremante. “Potrebbe esserci una falla da qualche parte che
lascia filtrare l’acqua piovana. Aspetta, dovrei avere una
torcia con me…”
Con il braccio ancora ben saldo attorno al collo di Kirk, Spock
cercò qualcosa alla sua cintura. Poco dopo, una piccola
lampada al neon illuminò l’acqua intorno a loro e
Spock la sollevò sopra la propria testa per aumentarne il
raggio d’azione.
Trattennero entrambi il respiro.
Un ampio tratto di pavimento rialzato, distante da loro un paio di
metri, era completamente ricoperto di uova gelatinose. Dio, no,
pensò Kirk sgomento. Erano ritornati nella tana del mostro.
Erano completamente circondati e senza via d’uscita.
I due amici non fecero neanche in tempo a muovere un solo muscolo che
un basso e cupo ringhio squarciò l’aria.
Dall’ombra di fronte a loro emerse una gigantesca figura dai
lineamenti grotteschi e ludici, che si appiattì al suolo e
fece schioccare nervosamente una zampa sul pavimento. Era molto simile
allo xenomorfo che li aveva ripetutamente attaccati nelle ultime ore,
ma differiva da esso per la grandezza del corpo e per la forma della
testa, che era più larga e appiattita. Il nuovo mostro fece
scattare minacciosamente le sue possenti mandibole ornate di zanne
nella loro direzione.
“Oh merda…” mormorò Kirk.
“La regina” constatò Spock in un
sussurro. Nonostante il ferreo autocontrollo del vulcaniano, la sua
voce tradiva una certa agitazione.
I due compagni passarono i secondi successivi in uno stato di quasi
totale immobilità. La regina continuò a fissarli
e a ringhiare contro di loro dibattendo la coda, frustrata.
“Perché non ci attacca?”
biascicò Kirk. L’acqua fredda gli aveva
intorpidito tutto il corpo, tanto che ormai aveva difficoltà
anche solo ad articolare le parole.
“Non lo so. La mente dello xenomorfo si è
ritratta prima che potessi completare la mia analisi” rispose
Spock rabbrividendo. Illuminò con la torcia una porzione di
muro alle loro spalle. “Guarda, laggiù
c’è una scala. Se riuscissimo a raggiungerla,
forse…”
“D’accordo, andiamo” sbuffò
Kirk. Trascinando con sé il vulcaniano, cominciò
a nuotare per raggiungere la scaletta.
All’improvviso, un uovo tremolante si aprì di scatto. Fu immediatamente seguito da un altro. E da un
altro ancora.
“Non per metterti fretta, Jim, ma la situazione qui dietro
sta peggiorando a vista d’occhio.”
“Sto facendo del mio meglio, Spock” rispose Kirk
sbuffando. “Non è che tu sia proprio un piuma,
sai.”
Qualche secondo dopo, i due avevano raggiunto la parete. Ignorando il
terrificante ruggito della regina, Spock si aggrappò alla
scaletta ed incominciò ad arrampicarsi verso
l’alto, i movimenti solitamente rapidi e calcolati ora
impacciati dal torpore del gelo.
Kirk si affrettò a seguire il vulcaniano con uno sbuffo. A
metà strada un piede gli scivolò su un piolo
particolarmente viscido e bagnato facendolo sbilanciare
all’indietro, ma Spock lo afferrò prontamente per
la maglietta permettendogli così di recuperare
l’equilibrio. Con un lieve gemito, trascinò il
capitano al sicuro e si lasciarono crollare entrambi a terra, esausti.
Annaspando, Kirk afferrò fulmineamente il phaser che
penzolava dalla cintura del vulcaniano e fece fuoco su uno dei
mostriciattoli che era appena riuscito a raggiungere l’alta
piattaforma. A quanto pareva quei mostri schifosi riuscivano anche ad
arrampicarsi su per le sdrucciolevoli pareti metalliche della nave. Non
bastava che fossero praticamente indistruttibili, no, potevano anche
raggiungere in qualsiasi momento qualsiasi luogo volessero. Si
alzò con uno scatto fulmineo e aumentò la carica
del phaser.
Spock si gettò il più in fretta possibile lontano
dalla parete e si ancorò alla grata sporca.
Contemporaneamente, Kirk si aggrappò alla ringhiera
arrugginita e voltò il viso dalla parte opposta.
Fece fuoco.
L’esplosione fu breve ma violenta. L’onda
d’urto mandò i due compagni a sbattere contro il
corrimano di metallo e spazzò via alcuni dei mostri
più vicini, spianando la via per la fuga.
“Fuori, presto!” gridò Spock
precipitandosi con Kirk all’esterno.
§---°°°°°---§
L’urlo di rabbia della Regina riecheggiò per i
corridoi vuoti della neve fantasma.
No! pensò l’Alieno sopraffatto dall’ira.
Si gettò con tutta la propria forza contro
l’apertura che il Dominante aveva creato nello scafo della
nave per poter entrare. L’impatto fu violentissimo, ma non
sufficiente per aprire un varco nella parete.
Accecato dalla rabbia, l’Alieno continuò a
sbattere ripetutamente contro la solida fiancata, cercando di allargare
la fenditura quel tanto che sarebbe bastato a permettergli di uscire.
Non li avrebbe lasciati scappare.
Per fortuna l’acido di cui era ricoperto aveva già
incominciato ad intaccare il metallo, che si rivelò
incredibilmente cedevole sotto i suoi possenti colpi.
Finalmente, il muro si accartocciò con un inquietante
stridio e l’Alieno poté lanciarsi a capofitto
nella tempesta. La scia di odore lasciata dai due esseri era poco
più di una labile traccia dispersa dall’acqua, ma
fu sufficiente per rivelargli la direzione da prendere.
Nel giro di pochi secondi, l’Alieno aveva già
raggiunto le pendici del promontorio. Nonostante il disturbante
scrosciare confuso e tamburellante della pioggia, riuscì
comunque ad isolare una coppia di respiri affannosi che arrancavano
nella tempesta, con tutta probabilità riconducibili ai due
bipedi in fuga.
D’improvviso, si fece sempre più vicino un rombo
cupo e martellante.
L’Alieno poté udire distintamente che i passi
strascicati dei due esseri si erano fermati e che ora la Creatura del
Fuoco stava gridando a gran voce qualcosa a lui incomprensibile. La
voce soffocata del Rivale gli rispose in modo altrettanto concitato. Il
suo tono sembrava sollevato.
Come? pensò l’Alieno con agitazione. Il Rivale?
Che cosa diavolo ci faceva lì?
Cercò di aumentare la propria velocità,
nonostante il dolore e le numerose bruciature lo rallentassero.
L’essere era sicuramente venuto in soccorso dei suoi due
compagni che erano rimasti indietro, si disse.
Ma perché? Perché rischiare di essere ucciso nel
tentativo di aiutare un proprio simile? L’Alieno non riusciva
proprio a capacitarsene.
Ormai aveva finalmente raggiunto il luogo da cui provenivano le voci.
Venivano dall’alto, constatò con stupore.
Un lieve movimento davanti a lui tradì la presenza del
Dominante.
Frustrato, l’Alieno mulinò una zampa artigliata in
quella direzione, ma il bipede fu più veloce. Con un balzo
felino schivò il colpo e si aggrappò al bordo del
grande e rumoroso oggetto da cui provenivano le grida di incitazione
della Creatura del Fuoco.
Poi, le voci si smorzarono di colpo. Il sordo boato si
affievolì e ben presto l’unico suono che rimase
udibile fu l’insistente scrosciare della pioggia.
Se ne erano andati, pensò furiosamente l’Alieno.
Questo voleva dire che lui aveva definitivamente perso.
Un’agghiacciante ruggito di rabbia squarciò la
landa desolata e battuta dalla pioggia.
§---°°°°°---§
Con un ultimo sforzo, Kirk riuscì ad issare Spock a bordo e
si affrettò a chiudere il portellone. Boccheggiante, si
lasciò scivolare pesantemente lungo la fredda parete della
Galileo. Ce l’avevano fatta.
“Signore!” esclamò Schneider
sorridendogli sollevato. “Ero sicuro che fosse ancora
vivo.” L’ingegnere si avvicinò subito al
capitano e gli offrì il suo braccio sano per aiutarlo ad
alzarsi.
“Grazie, ce la faccio da solo” lo
rassicurò Kirk lanciandogli un’occhiata
preoccupata. Aveva un aspetto orribile. “Tu come ti sente,
piuttosto?”
A questa domanda, il fragile sorriso sul volto di Schneider
vacillò. “Sono stato meglio, signore”
mormorò con voce flebile. Oscillò.
Kirk lo sorresse delicatamente e lo fece sedere in uno dei sei posti
vuoti dell’abitacolo. “Non preoccuparti, Raffael.
Presto raggiungeremo l’Enterprise e vedrai che il dottor
McCoy ti rimetterà subito in sesto. Lo stesso vale anche per
l’infermiera Chapel, ovviamente.” Schneider
annuì con un debole cenno del capo. “Spock,
portaci a portata di radio.”
“Certo, capitano.” Ancora leggermente tremante, il
vulcaniano si alzò dal luogo in cui giaceva
l’infermiera svenuta e si affrettò ai comandi
della navetta. Il colore delle sue labbra, prima pericolosamente vicino
al verde bottiglia, era ora sbiadito assumendo una colorazione
più tenue.
“Come sta?” chiese Kirk al suo Primo Ufficiale
lanciando uno sguardo preoccupato alla Chapel. Era mortalmente pallida.
“Le rimangono quaranta minuti di vita, cinquanta al massimo.
I movimenti dell’embrione sono sempre più
aggressivi.”
Kirk guardò con rabbiosa impotenza sia
l’infermiera che Schneider. Il giovane tenente si era
accucciato accanto a lei e ora le accarezzava teneramente una mano,
mormorandole piano parole rassicuranti. “Avrà
parecchie cose da spiegarmi quando tutto sarà
finito” sibilò.
Spock non diede segno di aver notato il tono astioso del suo superiore.
“Ci siamo, capitano. Tra qualche secondo si dovrebbe
stabilire il collegamento.”
§---°°°°°---§
La porta argentata del turbo ascensore si aprì sibilando.
“Buongiorno, dottore” disse Scott distrattamente.
“Contatta il capitano, Scotty” replicò
seccamente McCoy senza rispondere al saluto.
“Come?” chiese stupito l’ingegnere
alzando lo sguardo dal suo pad.
“Contatta il capitano. Adesso.”
“Non posso” rispose Scott voltando la poltrona
girevole per fronteggiare McCoy. “Il pianeta è
interamente schermato, comunicare con la superficie è
impossibile.” L’ingegnere notò con una
certa preoccupazione il pallido colorito del medico. “Cosa ti
è successo? Hai una faccia orribile.”
“Lascia stare la mia faccia, dannazione!”
esclamò McCoy con voce tremante. “Trova subito un
modo per contattare la Galileo!”
“Ma perché? Qual è il
problema?”
“C’è qualcosa che non va,
laggiù” rispose McCoy tutto d’un fiato
stringendosi nelle braccia. Il medico trasse un profondo respiro e
chiuse gli occhi per un secondo, cercando di calmarsi. Nonostante i
suoi sforzi, il suo cuore continuò comunque ad andare a
mille.
“Qualcosa che non va, hai detto?” ripeté
Scott. Si drizzò sulla sedia, improvvisamente attento.
“Che cosa te lo fa pensare?”
“Me lo sento.” Il medico si rese conto
dell’assurdità della sua affermazione nel momento
stesso in cui finiva di pronunciarla.
Nell’udire queste parole, Scott sorrise e si
rilassò nuovamente sulla poltrona.
“È più di una semplice
sensazione” cercò di spiegarsi McCoy con voce
esasperata. “Ne sono certo! Davvero, io...”
“Mi dispiace, dottore. Una sensazione non è un
motivo sufficiente per organizzare e inviare una squadra di
soccorso.”
“Dico sul serio, Scott!” sbottò McCoy
stringendo convulsamente i pugni. “Non sto scherzando. Se
proprio non vuoi mandare nessuno, mi offro io come volontario. Fammi
scendere a controllare… ti prego” aggiunse poi con
voce più bassa.
Scott sgranò gli occhi. Non era certo da McCoy supplicare in
quel modo. “Sei… sicuro di stare bene?”
ripeté incerto.
McCoy annuì con decisione. “Allora?”
chiese con voce speranzosa.
Scott studiò il viso del medico per qualche secondo.
“Allora niente” rispose infine. “Adesso
te ne vai nei tuoi alloggi e ti fai una bella dormita”
tagliò corto alzandosi e sospingendo leggermente
l’amico verso la porta. “È un
ordine.”
“Ti ho già detto che sto benissimo!”
tuonò ancora McCoy scrollandosi di dosso le mani
dell’ingegnere.
“Ti capisco, Leonard” assicurò Scott con
fare comprensivo. “Siamo tutti stanchi, in questo momento. E
tu a maggior ragione, vista l’emergenza medica in cui ci
troviamo…”
“Signor Scott!” esclamò Uhura
d’un tratto. “C’è una chiamata
urgente dalla Galileo! Il capitano vuole parlare con lei.”
Scott lanciò uno sguardo esterrefatto al medico, che per
tutta risposta gli scoccò un’occhiata tanto
risentita quanto trionfante. “Me li passi subito,
tenente.”
§---°°°°°---§
“Uhura” ripeté Kirk con impazienza.
“È ancora lì?”
Si sentì un leggero rumore di sottofondo.
“Capitano?”
esordì una voce maschile dal chiaro accento scozzese. Il
tono del capo ingegnere Scott sembrava stupito, anche se non quanto
Kirk si sarebbe aspettato.
“Ascoltami bene, Scotty. Voglio immediatamente una squadra
medica di urgenza in sala teletrasporto. Dovete prepararvi a ricevere
quattro persone.”
“Ma signore,
la Galileo-”
“Il Signor Spock ha inserito il pilota automatico, la navetta
rientrerà regolarmente nell’hangar. Ora faccia
subito quello che le ho detto.”
“Agli ordini,
capitano.”
Kirk si avvicinò a Schneider e lo aiutò ad
alzarsi, mentre Spock reinseriva velocemente le coordinate per la guida
automatica.
Non era passato neanche un minuto che Kirk cominciò
già ad avvertire il solito, famigliare formicolio che
preannunciava ogni smaterializzazione.
Risposte ai commenti
Rei Hino:
Grazie mille per i complimentiii! ^^
*saltella
un po' in giro allegra come una Pasqua* Ovvio che quando
uscirai dalla scuola di regia ti venderò tutti i diritti,
che domande
ù___ù
Persefone Fuxia:
Spock + lanciafiamme + senza maglietta = collasso XDDD Concordo
pienamente! ^o^
MkBDiapason:
Ed ecco ritornato il tuo caro Bones! Prestissimissimo si
ricongiungerà con Jim e Spock... vedrai che
starà meglio, la loro vicinanza fa sempre miracoli ^^
|
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Capitolo 10 *** CAP. IX ***
“Raffael!”
esclamò Scott non appena il gruppetto si fu materializzato.
Aggirando con un balzo la postazione di controllo,
l’ingegnere capo si affiancò velocemente al
ragazzo e lo sorresse preoccupato.
“Lo sapevo!” strillò McCoy con
voce stridula inorridendo alla vista delle bende insanguinate sul petto
di Spock. “Cosa diavolo vi è successo?”
“Io e il capitano stiamo bene, dottore, ma
l’infermiera Chapel e il tenente Schneider necessitano di
immediate cure mediche.”
Notando solo in quel momento l’infermiera svenuta accanto al
vulcaniano, il medico si precipitò subito al suo fianco e ne
controllò i parametri vitali.
“Non è possibile…”
borbottò McCoy tra i denti. Un corpo estraneo di quelle
dimensioni nel ventre di Chapel? Quell’aggeggio doveva essere
rotto. Non c’era altra spiegazione.
“Un parassita alieno si sta sviluppando dentro di
lei” lo informò Spock in tono urgente.
“Va estratto immediatamente.”
Lanciando uno sguardo sconcertato al suo tricorder, il medico fece
qualche cenno agli infermieri vicini. “Presto, carichiamola
su una barella! Va portata subito in infermeria.”
“Devi farlo adesso,
Bones, non c’è più tempo!”
esclamò Kirk.
“Tu sei pazzo! non posso operarla qui, serve una stanza
asettica altrimenti rischiamo di-”
“Allora morirà” constatò
Spock.
Gli occhi azzurri del medico incontrarono quelli scuri del vulcaniano.
Dio, era davvero sincero. Spock non avrebbe mai potuto mentirgli, su
questo era certo.
Una rapida occhiata al volto sporco e graffiato di Kirk
confermò i suoi sospetti. Era la verità. Se non
l’avessero operata subito, Chapel sarebbe morta sul serio.
“Maledizione” sbottò tornando ad
inginocchiarsi. “Datemi subito il laser e state pronti con
delle garze e dell’antisettico. E mettetele anche una
mascherina a ossigeno, avanti!”
Schneider tentò di districarsi dalla presa di Scott e di
avvicinarsi a Chapel, ma Kirk lo bloccò.
“Vai con il dottor M’Benga, Raffael.”
“No, io non posso… Christine...”
“Se la caverà, non potrebbe essere in mani
migliori. Fidati” aggiunse posandogli una mano sulla spalla e
allontanandolo leggermente.
Schneider fissò alternativamente Kirk e la donna stesa a
terra. Infine annuì con riluttanza, permettendo al medico di
colore e ad un’altra infermiera di condurlo alla porta.
Quando fu uscito, Scott ritornò accanto a Kirk.
“Cos’è stato a ridurlo
così?” chiese tutto d’un fiato.
“E dove sono gli altri membri della squadra?”
Il capitano aprì la bocca per rispondere, ma un grido
straziante lo costrinse a riportare lo sguardo sul gruppetto accucciato
a terra.
“Tienila ferma!”
Anche Scott si era voltato verso McCoy, ora.
L’infermiera Chapel sembrava preda di un attacco epilettico.
Braccia e gambe si contraevano spasmodicamente come se fossero percorse
da una scarica elettrica e gli occhi aperti erano rovesciati
all’indietro, completamente bianchi. Spock cercò
faticosamente di mantenere fermo il fragile busto su cui McCoy stava
operando, ma le convulsioni divennero sempre più violente,
tanto che ben presto si rese necessario l’intervento di un
altro infermiere per tenerla ferma senza farle male. Nonostante la
precaria situazione, però, McCoy operava con mosse sicure e
mano ferma, sapendo con precisione dove cercare grazie alle accurate
indicazioni di Spock.
D’un tratto, il medico trovò quello che stava
cercando.
Quasi timidamente, una specie di grosso e grottesco embrione fece
capolino dalle carni della donna. Tutti i presenti trattennero il
fiato. Era come se l’orrore avesse congelato ogni cosa.
L’essere digrignò i sottili ma micidiali dentini
aguzzi. Con un disgustoso e umido tonfo, cadde sul pavimento freddo e
si drizzò sulla coda.
Senza un suono, scivolò velocemente verso la buchetta di
areazione.
Kirk e Spock gridarono come un sol uomo.
“FERMATELO!”
“Non deve entrare nel condotto!”
A queste parole, Scott scattò in avanti e si
gettò di peso sul piccolo Alieno.
Accadde tutto in pochi secondi.
Attaccata alle spalle, la creatura si voltò con un sibilo e
tentò di azzannare la mano dell’ingegnere. Scott
ritrasse prontamente il braccio, ma sul suo palmo rimase comunque
impressa una serie di piccoli graffi vermigli. L’Alieno
incominciò a dimenarsi come un indemoniato, dibattendosi,
mordendo, graffiando, tentando in tutti i modi di sfuggire alla presa
del suo assalitore.
Ripresosi dallo stupore iniziale, Kirk accorse in aiuto
dell’ingegnere. Non senza una certa fatica, afferrarono
insieme l’essere per la lunga coda dentellata e lo lanciarono
con violenza sulla piattaforma del teletrasporto.
“ENERGIA!” tuonò Spock.
L’Alieno tentò di scappare con un grido stridulo,
ma non fu abbastanza veloce. La piccola sagoma deforme venne di colpo
avvolta da un’abbagliante luce dorata e sparì
senza lasciare traccia.
Kirk si rialzò di scatto.
“Dov’è adesso?”
“Nello spazio, signore” rispose il pallido
guardiamarina addetto alla consolle.
Il capitano si avventò sul comunicatore. “Sala
controllo, qui Kirk.”
“Parla Sulu,
capitano.”
“Dovrebbe esserci un oggetto di piccole dimensioni orbitante
nei pressi della nave. Confermate?”
“Aspetti che
controlliamo. Ah, sì. Affermativo.”
“Armate subito i phaser e disintegratelo
all’istante.”
“Con i phaser,
signore?” ripeté l’asiatico
incerto.
“Cos’è sordo, per caso?”
ribatté Kirk seccamente. “Faccia subito come le ho
detto.”
“Ricevuto.”
Il silenzio si fece sempre più assordante, mentre la
tensione cresceva e attanagliava tutti i presenti come una ferrea morsa
allo stomaco.
“Signor Sulu, mi conferma che il bersaglio è stato
terminato?” incalzò Kirk.
La pausa si protrasse ancora per qualche, snervante secondo.
“Sissignore”
rispose infine il timoniere. “Bersaglio
terminato.”
Tutti i presenti trassero un sospiro di sollievo. Kirk
inspirò profondamente e si passò una mano
tremante sul viso.
“Ottimo lavoro, Sulu. Adesso voglio che miriate al relitto
della U.S.S. Patience e facciate fuoco a volontà. Non deve
rimanerci niente di niente, neanche l’ombra di un bullone.
Sono stato chiaro?”
Questa volta il timoniere evitò di commentare. “Chiarissimo,
capitano.”
“Vi raggiungerò in sala controllo il prima
possibile. Kirk chiudo” terminò il capitano
voltandosi.
Un paio di infermieri stavano deponendo Chapel su una barella.
“Attenti, fate piano…” li
ammonì McCoy mantenendo ben ferma la testa della donna.
“Come sta?” chiese Kirk con un cenno del capo in
direzione del corpo inerte dell’infermiera.
“È presto per dirlo…” rispose
McCoy ancora scosso. “Dovrò farle qualche altro
controllo prima di poter dare una prognosi adeguata. Tu stai
bene?” aggiunse poi preoccupato. Afferrato il mento del
capitano, fece voltare il suo bel volto prima a destra poi a sinistra,
osservandolo con sguardo clinico.
“Sì, tranquillo. Ho solo qualche livido qua e
là.”
“Ti voglio comunque in infermeria entro dieci minuti. E anche
Spock” aggiunse indicando il vulcaniano. “Mi hai
capito bene? Dieci minuti. Non ti azzardare ad andare in giro
bighellonando per la nave conciato così.”
Kirk sorrise stancamente. “Ricevuto.”
Il medico diede un tenero buffetto sulla spalla del capitano e
uscì dalla sala teletrasporto a passo sostenuto.
Kirk appoggiò la testa al muro e chiuse gli occhi per un
attimo. “È finita” constatò
con un sospiro.
Scott gli si avvicinò lentamente. “Adesso mi vuole
spiegare che cosa diavolo è successo?”
“Potrei farti la stessa domanda, Scott.” Kirk
riaprì gli occhi e fissò l’ingegnere
con sguardo attento. “Siamo rimasti là sotto per
più di sette ore senza darvi nostre notizie. Avevamo un
accordo… Non avreste dovuto mandare qualcuno?”
“Sette ore, capitano?” ripeté Scott
sinceramente confuso. “Sono passati appena venti minuti da
quando siete partiti.”
“Come?” chiese Kirk incredulo.
“Ovviamente…” mormorò Spock.
Kirk e Scott gli lanciarono uno sguardo interrogativo.
“Capitano, è mia ferma convinzione che esista una
discontinuità temporale tra l’Enterprise e la
superficie del pianeta” spiegò il vulcaniano.
“Se quanto afferma il signor Scott è vero, questa
è l’unica soluzione possibile. Probabilmente tale
irregolarità è stata generata dallo stesso
materiale che disturba anche tutte le nostre apparecchiature.
Ciò spiegherebbe sicuramente le condizioni in cui si trovava
il relitto.”
“Una discontinuità temporale?”
ripeté Scott aggrottando le sopracciglia.
“Se elimina l’impossibile, Signor Scott”
iniziò Spock con calma, “quello che rimane, per
quanto improbabile, deve necessariamente essere la
verità.”
Kirk annuì. “Effettivamente la Patience sembrava
abbandonata da almeno un paio di anni” concordò
pensoso. “La tua teoria avrebbe sicuramente un senso, Spock.
Però l’archivio digitale non accennava a nessuna
discontinuità di questo genere per Antares 4. Mi piacerebbe
tanto sapere chi è stato a omettere
un’informazione così importante.”
“Capitano, se fossimo stati a conoscenza di questo fatto e i
soccorsi fossero arrivati per tempo, probabilmente non sarebbe cambiato
nulla” gli fece notare Spock. “Anzi, avremmo
sicuramente subìto molte più perdite tra gli
stessi soccorritori.”
“Comunque ormai è finita, grazie a Dio”
concluse Kirk avviandosi con passo leggermente zoppicante verso la
porta. “Accompagnaci in infermeria, Scotty. Ti
racconteremo tutto strada facendo.”
“Sono tutt’orecchi, signore.”
“Ah, prima che mi dimentichi” esclamò
Kirk voltandosi. “Spock… credo che sia il caso che
tu ti metta qualcosa addosso.” Kirk lanciò al
confuso vulcaniano un’occhiata divertita. “Stai
facendo sudare parecchie signore, qui.”
Un’infermiera e due guardiamarina arrossirono violentemente e
distolsero immediatamente lo sguardo dal bel corpo del vulcaniano,
imbarazzate.
Il Primo Ufficiale sollevò divertito un sopracciglio.
“Interessante.”
Okay, ragazze, questo
era il penultimo capitolo ^^
Prossiamamente posterò l'epilogo, anche se non
so bene quando perché l'università sta davvero
prosciugando ogni mia energia (organizzazione zero e corsi a buco O_o)... ma non
temete :D
Arriverà! Scriverò sul treno o sull'autobus, se
necessario XDDD
Risposte ai commenti
Rei Hino:
Sì, Jim e Spock abbracciati nell'acqua sono prorpio HOT *ç* Non
sai quanto è stato difficile in un simile frangente
controllare i miei istinti e non far fare loro cose, diciamo, inadatte
a quei particolari luogo e situazione XDDD Per quanto
riguarda Scotty, è amicissimo di Len... voglio dire, si
sbronzano insieme! Dài, come fanno a non darsi del "tu"? ^o^
Fatanera:
Ecco, i tre si sono finalmente riuniti... per gli abbracci dovrai
attendere l'epilogo! E ce ne saranno, non ti preoccupare >/////<
Persefone Fuxia:
Operazione riuscita! Come puoi vedere il baby Alieno è stato
asportato con successo... ^_^
Len è un mito, riesce a fare proprio tutto! ^o^
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Capitolo 11 *** EPILOGO ***
Questo capitolo lo dedico a Rei
Hino, la dea indiscussa del Threesome- fluff! >///////<
Spero che sia abbastanza smielato per i tuoi gusti, cara! ^^
Schneider riprese coscienza del proprio corpo in modo lento e graduale.
La prima cosa che avvertì fu la piacevole sensazione di un
fresco e morbido lenzuolo che gli accarezzava lievemente le punte dei
piedi nudi. Poi incominciò a percepire anche un fastidioso
prurito al collo provocato probabilmente dall’orlo di un
ruvido camice di ospedale, il braccio ripiegato e fasciato strettamente
al torace indolenzito e una luce che lo raggiungeva tremolante
nonostante le palpebre ancora serrate. Ancora mezzo incosciente, il
ragazzo notò distrattamente che attorno alla sua mano libera
aleggiava un caldo e piacevole tepore.
L’ingegnere aprì lentamente gli occhi.
Fortunatamente la luce non era così intensa da fargli male,
ma fu comunque costretto a sbattere più volte le palpebre
per abituarsi a quella nuova illuminazione. Poco a poco, la vista gli
si snebbiò.
La prima cosa che vide fu un soffitto chiaro. Tutto intorno a lui
sembrava regnare il colore bianco, reso ancora più brillante
e acceso dalla luce soffusa che pervadeva l’ambiente.
Sono in infermeria, realizzò il ragazzo con un certo
sollievo. Era vero, allora: si trovava davvero di nuovo a bordo
dell’Enterprise.
“Rafe…” lo chiamò
d’un tratto una voce dolce e vellutata.
Il giovane ingegnere voltò cautamente il capo. E la vide.
L’infermiera Christine Chapel era seduta compostamente
accanto al suo letto e gli sorrideva caldamente. Vagamente stupito,
Schneider realizzò che era lei che gli stava tenendo la
mano.
“Chris!” esclamò subito, riuscendo in
qualche modo a drizzarsi a sedere. “Stai… stai
bene?”
Lei non rispose, continuò semplicemente a guardarlo.
Inclinò la testa di lato e sorrise di nuovo.
“Chris…?”
La donna avvicinò una mano al viso dell’ingegnere
e dischiuse le morbide labbra come per dire qualcosa.
Di colpo, indistinta e inesorabile come un’ombra, una lucida
zampa artigliata spuntò a rilento alle sue spalle.
Schneider spalancò gli occhi.
L’arto scheletrico e affilato agguantò la bionda
con una lentezza infinita, stringendosi pian piano attorno al suo lungo
e candido collo. Poi, la testa allungata dell’Alieno fece
silenziosamente capolino dal bordo del letto.
Schneider rimase letteralmente paralizzato sul posto, atterrito.
L’Alieno si avvicinò. Strusciò la sua
fredda mascella scura contro il chiaro e pallido viso di Chapel. Lei
non reagì, continuò ossessivamente a fissare
Schneider con espressione vuota.
D’un tratto, il suo sorriso si spense. L’Alieno
emise un basso e cupo gorgoglio, scoprendo le svariate file di denti
aguzzi di cui era dotata la sua doppia bocca argentata.
Con uno scatto fulmineo, azzannò la donna.
Quando gli schizzi del sangue caldo dell’infermiera colpirono
il suo viso, Schneider ritrovò finalmente la voce. E
gridò come non aveva mai fatto in vita sua.
“Rafe!” lo chiamò un’ansiosa
voce vellutata dal suono famigliare. “Rafe!”
Schneider si svegliò di soprassalto. Ansante e madido di
sudore, si drizzò a sedere di colpo e si guardò
freneticamente intorno, realizzando con un certo sconcerto di trovarsi
ancora in infermeria.
Girandosi di scatto, vide che Chapel semisdraiata sul lettino accanto
al suo che lo stava fissando con espressione preoccupata.
“Calma, ragazzo” lo tranquillizzò subito
il dottor McCoy entrando all’interno del suo campo visivo.
“È stato solo un incubo. Sei al sicuro adesso.
Prendi dei bei respiri profondi” continuò fissando
con una certa apprensione il monitor sulla testa del tedesco.
“Così, bravo. Insipira, espira.
Inspira…”
Schneider chiuse gli occhi e seguì le istruzioni del medico,
concentrandosi per calmare i battiti frenetici del proprio cuore.
Quando McCoy gli posò delicatamente una mano sotto il mento
per osservare meglio il suo viso, li riaprì.
“Come ti senti?” indagò il buon medico.
“Come se mi fosse caduto addosso un Klingon
obeso…” gemette il ragazzo ricadendo pesantemente
sul morbido lettino.
La risata cristallina di Chapel pervase piacevolmente la stanza.
“Beh, è normale” sorrise allora McCoy
lanciando un ultimo sguardo ai rilevamenti. “Hai ancora la
febbre alta. Ma se riesci a trovare la forza per fare
dell’ironia, vuol dire che la situazione non è poi
così grave. Entro un paio di giorni sarai di nuovo in piedi
sveglio e pimpante come sempre ad ammazzarti di lavoro assieme al caro
Scott. Non hai idea di quanto sia disperato, poverino, ora che ha perso
il suo aiutante tutto fare” aggiunse con un sospiro. Questa
volta fu il turno di Schneider di sorridere. “Sarà
il caso che vada a dire al capitano che ti sei svegliato. Aveva una
certa urgenza di parlarti.”
“Riguardo a cosa?” chiese l’ingegnere
confuso.
“Ah, non chiederlo a me. Sono un medico, non un
indovino” borbottò McCoy uscendo.
Schneider si morse leggermente un labbro e si voltò
nuovamente verso Chapel.
Osservò avidamente il dolce sorriso che le illuminava il
volto, lo scintillio vivace di quei suoi occhi azzurri e limpidi come
il cielo di primavera, i riflessi luminosi dei suoi capelli dorati che
le incorniciavano il pallido viso di luna. Lo stava fissando
in attesa, come se aspettasse che fosse lui a parlare per primo. E in
effetti Schneider aveva così tante cose da dirle,
così tante… “Ciao”
riuscì a balbettare.
Ciao?! Dio, ma quanto sono deficiente? pensò subito con un
moto di stizza nei confronti di sé stesso. Aveva davanti la
donna dei suoi sogni che lo stava guardando sorridente e tutto quello
che riusciva a dire era un misero “ciao”?!
Chapel sorrise tacitamente.
Per un attimo, Schneider ebbe l’agghiacciante
déja-vue dell’orribile zampa dell’Alieno
che spuntava silenziosamente alle spalle della donna.
“Ciao” rispose invece la bionda rompendo il
silenzio. Notando l’ingegnere rilassarsi impercettibilmente,
Chapel gli lanciò un’occhiata incuriosita.
“Mi hanno detto che hai rischiato di fare andare Kirk fuori
dai gangheri, giù sulla Patience.”
“Già.” Schneider accennò un
sorriso, nonostante il ricordo di quell’episodio fosse
tutt’altro che divertente. “Voleva che lasciassimo
la nave senza di te, così ho dato un po’ in
escandescenze… Ehi, aspetta un momento!” Il suo
sguardo si fece di colpo allarmato. “Non sarà per
quello che Kirk vuole vedermi!”
“No, non credo proprio” rise di nuovo Chapel.
“Penso che volesse chiederti qualcosa riguardo al signor
Spock. O almeno, questo è quello che ho capito io.”
“Dio, grazie…per un momento ho temuto il
peggio” sospirò Schneider sollevato. “Da
quant’è che sei sveglia?” chiese poi.
“Non lo so di preciso…” Chapel ci
pensò un attimo su. “Devo essermi risvegliata
circa quattro o cinque ore fa, ma mi sono riaddormentata quasi subito
dopo la visita del capitano. Ho dormito per tutto il resto del tempo,
almeno finché tu non hai cominciato ad agitarti nel
sonno.”
“Mi dispiace…” Schneider
deglutì e si asciugò con la manica il sudore che
gli imperlava ancora la fronte. “È stato un incubo
davvero orribile.”
“Temo che ne avremo parecchi altri, nelle prossime
settimane” disse l’infermiera annuendo.
“Già, è quello che penso
anch’io.” Schneider scrollò le spalle
con uno sbuffo di frustrazione. “Tanto vale prenderci
l’abitudine fin da ora…”
Il sorriso sul viso delicato di Chapel si attenuò
leggermente. La donna distolse lo sguardo, passando a osservarsi
attentamente le mani poggiate in grembo. “Rafe, ti devo delle
scuse” esordì improvvisamente. Schneider
fissò stupito la bionda. “Devo scusarmi per aver
dubitato dei tuoi sentimenti.”
“Chris, non c’è bisogno che
tu…”
“Invece sì,” si affrettò a
ribattere Chapel senza lasciargli il tempo di continuare. “Il
tempo che ho passato dentro a quello schifo di bozzolo è
stato un’eternità. Saranno anche state solo poche
ore, nella realtà, ma ti posso assicurare che a me
è sembrato molto, molto di più. Proprio per
questo ho avuto la possibilità di riflettere a lungo, per
quanto la mia mente fosse più assente che altro.
E…” Lanciò a Schneider
un’occhiata incerta. “… sono giunta alla
conclusione che forse la mia risposta alla tua ultima proposta
è stata un po’ troppo avventata.”
“Chris…”
“No, aspetta, lasciami finire. Vedere il tuo viso
laggiù è stata la mia salvezza. Letteralmente.
Non quello di Kirk, non quello di Konrad… non quello di
Spock. Il tuo.
È stato solo in quel momento che mi sono resa conto di
quanto tu fossi importante per me.” L’ingegnere
poté notare chiaramente lo sforzo che l’infermiera
stava facendo per ammettere che aveva avuto ragione lui, fin
dall’inizio. “Quindi volevo chiederti se, una volta
usciti da qui, magari ti andava di… sì, insomma,
di continuare a vederci come abbiamo fatto negli ultimi
tempi…”
Schneider scrutò la donna per qualche secondo, pensieroso.
“Non lo so, Christine.”
Gli occhi dell’infermiera si allargarono per lo sgomento.
Il ragazzo prese un profondo respiro e la guardò di sbieco.
Provò a mantenere un’espressione al contempo seria
e grave, ma il suo tentativo andò miseramente a monte.
“Ma quanto sei credulona?” le chiese allora
scoppiando a ridere fragorosamente. “Possibile che dopo tutto
quello che abbiamo passato tu creda davvero che non ti
voglia?”
Accorgendosi della presa in giro, Chapel fece una smorfia indispettita
e si allungò leggermente verso Schneider, tentando di dargli
uno scappellotto in testa.
“Okay, okay, va bene…” rise
l’ingegnere riparandosi dai colpi della bionda.
“È stato uno scherzo cretino, lo
ammetto!”
“Non che da un bambino come te ci si potesse aspettare altro,
dopotutto…” sbottò Chapel in tono
vagamente risentito.
“Ma sentitela, parla la vecchia signora!” la
canzonò lui con un sorrisetto furbo stampato in faccia.
“Aspetta solo che esca di qui, Raffael…”
iniziò lei con aria ostentatamente minacciosa.
“… e sentiamo, che cosa mi farai?” la
stuzzicò il ragazzo.
“Lo scoprirai presto, mio caro…” Chapel
lo guardò intensamente, poi sorrise con aria maliziosa.
“Oh sì, ti assicuro che in confronto la nostra
prima notte ti sembrerà un tranquillo pisolino tra
fratellini.”
Il lieve aumento dei battiti del cuore di Schneider venne tradito dal
rumoroso monitor sopra la sua testa.
“Sei così carino quando arrossisci!”
affermò Chapel sorridendo e portandosi le mani al viso.
L’ingegnere distolse lo sguardo, imbronciato.
“Che succede, qui?” iniziò allora McCoy
entrando in infermeria insieme al capitano. “Siamo un
po’ agitati, ragazzo?” si informò
controllando accigliato i dati del rilevatore. Chapel
ridacchiò.
“Sto bene” tagliò corto
l’ingegnere.
“Ne sono davvero felice, tenente” sorrise Kirk
affiancandosi al medico. “Eravamo tutti molo
preoccupati… c’è mancato poco che
Scotty non si accampasse in infermeria per vegliarla.”
“Tipico suo” rise Schneider scuotendo leggermente
la testa.
Kirk annuì, divertito. “Senta Schneider, avrei
bisogno di alcune informazioni che solo lei può fornirmi. Se
la sentirebbe di rispondere a qualche domanda?”
Il giovane ingegnere si mordicchiò un po’ il
labbro ma mantenne un’espressione decisa. “Certo,
signore. Di che si tratta?”
“Oh, niente di troppo comlicato” rispose Kirk con
uno strano bagliore negli occhi. “Solo
curiosità.”
§---°°°°°---§
Kirk suonò il cicalino della porta degli alloggi di Spock.
“Avanti” rispose dopo qualche istante la voce
profonda del vulcaniano.
Ottenuto il permesso, il capitano entrò
nell’ambiente caldamente illuminato. Come sempre lo sbalzo di
temperatura rispetto all’esterno colpì
l’umano come una frustata, facendolo quasi barcollare.
Il Primo Ufficiale era seduto compostamente alla sua scrivania. Lo
sguardo scuro prima fisso sul monitor luminoso si sollevò
tranquillamente per accompagnare l’entrata
dell’uomo nella stanza.
“Ciao, Spock. Come vanno i tagli?”
“Ormai sono in via di guarigione.” Il vulcaniano si
alzò e invitò il capitano a sedersi.
“Vuoi qualcosa da bere, Jim?”
Kirk lanciò a Spock uno sguardo enigmatico. “Un
brandy danubiano sarebbe fantastico.”
Spock si diresse con eleganza verso il sintetizzatore.
“Immagino che sarebbe inutile ricordarti che assumere
alcolici in servizio è un comportamento che va ufficialmente
contro il Regolamento.”
“Suvvia, lo sai che lo reggo bene
l’alcool” rise Kirk. “Un goccetto non mi
farà alcun male. Se non mi sbaglio”
incominciò poi assumendo un tono più serio,
“noi due abbiamo una discussione in sospeso.”
Spock finse di non capire, ma Kirk notò le sue spalle
irrigidirsi impercettibilmente. “Una discussione,
Jim?”
“Sì. A proposito della nostra ultima missione,
ricordi? Dovevi spiegarmi perché invece di portare Schneider
e Chapel sull’Enterprise sei ritornato indietro per cercarmi.
Hanno rischiato molto grosso, e lo sai anche tu.”
Il vulcaniano parlò con ostentata indifferenza.
“Il vento di Anteres 4 aveva danneggiato i motori della
Galileo, cosicché le eliche principali erano risultate quasi
interamente incrostate di sabbia. Per poterle liberare sarebbe stato
necessario portare la rena a temperatura di fusione, quindi bisognava
fare riscaldare sufficientemente il motore. Sapevo per certo che eri
ancora vivo. Visto che il processo avrebbe comunque richiesto una
quantità non trascurabile di tempo, ho ritenuto opportuno
approfittare dell’occasione per verificare il tuo effettivo
stato di salute” concluse Spock voltandosi con un bicchiere
in mano.
Kirk lo scrutò con sguardo indagatore e accettò
il drink. Rimase in silenzio.
“Puoi chiedere anche al tenente Schneider. Lui
confermerà sicuramente che-”
“Sì, sì, ho già parlato con
Schneider.”
Spock gli lanciò un’occhiata confusa. “E
allora perché me lo hai chiesto?”
“Perché Schneider ha aggiunto anche
qualcos’altro” rivelò Kirk facendo
oscillare distrattamente il contenuto del bicchiere. “Ha
detto che ancora prima di essere arrivato alla Galileo e avere scoperto
in che condizioni si trovava il motore, tu avevi già deciso
di ritornare indietro a cercarmi. È rimasto molto
impressionato dalla tua enfasi, in effetti.”
Spock non disse nulla. Si limitò a lanciare al capitano
un’occhiata guardinga, come se avesse capito fin troppo bene
dove voleva andare a parare.
“È vero?” lo incalzò Kirk.
“Sì.”
“Quindi in poche parole avresti lasciato il comando della
navetta a Schneider che, oltre ad essere gravemente ferito, non aveva
neanche lontanamente l’abilità di un pilota
professionista. La Galileo si sarebbe potuta schiantare al suolo e noi
due saremmo potuti rimanere bloccati sul pianeta, alla mercé
dello xenomorfo.” Kirk si alzò e si
piazzò davanti al suo Primo Ufficiale, con le braccia
conserte. “La tua azione non è stata per niente
logica” constatò con durezza.
Spock esitò. “Ovviamente avrei inserito il pilota
automatico.”
“Ma saresti comunque tornato a cercarmi.”
Il Primo Ufficiale fissò il capitano, in silenzio.
Lo sguardo di Kirk si intenerì. “Questo non va
affatto bene, Spock. Non fraintendermi, ovviamente mi ha dato una gioia
assurda il fatto che tu sia tornato indietro a cercarmi.
Però io ho bisogno di poter contare sempre su di te, di
sapere che agirai secondo logica quale che sia la
situazione.” Spock chinò il capo e
fissò il pavimento, le orecchie affilate pervase da una
leggera tinta verdognola. Kirk sospirò. “Avanti,
guardami” disse prendendo il pallido viso del vulcaniano tra
le mani. L’espressione di Spock sembrava calma e pacata come
sempre, ma i suoi occhi tradivano ora uno scintillio di tristezza.
“Analizziamo la situazione. Io sono un impulsivo
attaccabrighe e Bones è un lunatico brontolone. Siamo tutti
e due irrecuperabili, temo.”
L’ombra di un sorriso aleggiò per un secondo sul
bel viso del vulcaniano. “Concordo.”
“Purtroppo tu sei l’unico che può
riparare a questi nostri difetti. E devi farlo seguendo la tua
logica,senza tenere conto delle conseguenze che essa potrebbe avere per
noi due o per chiunque altro.”
“Mi stai dicendo che dovrei smettere di farvi da
balia?” chiese d’un tratto Spock sollevando un
sopracciglio.
Kirk si grattò la testa, accigliato. “Beh, non
l’avrei espressa proprio in questi termini, ma sì.
Il concetto è quello.”
Spock si avvicinò all’umano e sfiorò il
naso di Kirk con il proprio. “Ci proverò,
Jim.”
Per tutta risposta, Kirk ridacchiò sulle labbra del
vulcaniano e lo sospinse dolcemente sul letto, attento a non pesargli
troppo sul petto ancora dolorante. “Lo spero”
sussurrò nella sua bocca calda.
D’un tratto, la porta degli alloggi del Primo Ufficiale si
spalancò.
“Uh là-là… giù le
mani dal capitano, folletto dei boschi.”
“Parli del diavolo…” sorrise Kirk
alzandosi su un gomito.
“Leonard, non ti ha mai detto nessuno che sarebbe cortesia
bussare, prima di entrare nella stanza di qualcuno?” chiese
Spock rotolando su un fianco.
“Davvero?” chiese McCoy gettando da una parte il
suo tricorder medico. “Sono allibito. Francamente credevo che
ormai avessimo raggiunto un livello di intimità tale da
poter saltare i convenevoli.”
Spock sollevò un sopracciglio. “Cortesia e
convenevoli sono due concetti molto diversi.”
“Toh, brandy…” mormorò il
medico tra sé e sé. Trangugiò in un
solo sorso il resto del drink che Kirk aveva abbandonato sulla
scrivania. “Mh-mh, certo, certo” convenne poi
annuendo senza convinzione. “È sicuramente come
dici tu, Spock.”
Kirk roteò gli occhi e si spostò per fare posto a
McCoy. Con un sospiro, il medico si lanciò a peso morto sul
letto e si posò la superficie fresca del bicchiere sulla
fronte. “Dio mio, che giornata.”
“Come sta Fischer?” biascicò Kirk.
Diavolo, quanto era comodo quel letto.
“Come credi che possa stare uno che ha perso fidanzata e
figlio nel giro di un quarto d’ora? È
letteralmente distrutto. Gli ho dovuto somministrare una doppia dose di
sonnifero, per farlo dormire.”
“Sono convinto che con le tue straordinarie doti mediche
riuscirai ad aiutarlo, Leonard.”
“Ah beh, se ne è convinto il folletto
allora…” sorrise McCoy poggiando il bicchiere a
terra.
Assonnato, Kirk trasse a sé il medico e lo
circondò con le proprie braccia in un tenero abbraccio. Poi
incominciò ad accarezzargli dolcemente i capelli color
caramello, imitato da Spock che li cinse entrambi da dietro.
“Vi ho sentiti” mormorò McCoy dopo un
po’.
“Lo so, Leonard” sussurrò Spock di
rimando. “Mi dispiace. Non credevo che ci saresti riuscito
anche senza il Legame.”
“Non mi era mai successo prima.”
“Di che cosa state parlando?” chiese Kirk confuso.
“Poco dopo la vostra partenza” spiegò
nervosamente McCoy, “ho provato le vostre stesse emozioni. Ho
avvertito la vostra paura, il vostro dolore, la sensazione di qualcosa
di orribile che si annidava nell’oscurità,
era… era tutto così reale…”
“Tranquillo, Bones” sussurrò piano Kirk
rinsaldando la presa attorno al medico tremante. “Siamo qui
al sicuro, adesso. Tutti e tre insieme, come dovrebbe essere.”
McCoy annuì lentamente e sbadigliò, stringendosi
di più al capitano. “Da non credere”
borbottò in tono sonnacchioso. “Siamo nello stesso
letto con un prestante vulcaniano e tutto quello che riusciamo a fare
è sbadigliare. Che tristezza.”
Kirk ridacchiò. “Però, devi ammettere
che è la prima volta che ci capita.”
“Già” sogghignò McCoy.
“Di solito c’è ben poco per cui
sbadigliare.”
“Silenzio…” li rimproverò
Spock dolcemente. “Avete la necessità di riposare,
ora. Tutti e due.”
“Cosa dicevamo prima, riguardo al farci da balia?”
mugugnò il capitano ormai in dormiveglia.
Spock non rispose, ma Kirk poté comunque avvertire tra i
capelli il lieve movimento della sua bocca che si tirava in un leggero
sorriso. Il vulcaniano continuò ad accarezzare dolcemente i
suoi due umani e a cullarli per conciliare loro il sonno. Ormai
semicosciente, Kirk aumentò la presa sul medico addormentato
fra le sue braccia e voltò il capo verso Spock. La sua
guancia fresca incontrò le labbra bollenti del vulcaniano.
Cielo, quanto erano calde, pensò distrattamente. Davvero di
un caldo assurdo. Un caldo arido, secco.
Afoso, quasi.
In un attimo, il capitano si ritrovò nuovamente
sull’instabile pianeta di Antares 4. In un vortice confuso di
sensazioni, suoni e colori, gli ritornarono alla mente tutti i pensieri
che lo avevano accompagnato durante il tragitto verso la
U.S.S.Patience… Percepì nuovamente il vento afoso
e instabile che spazzava la superficie, gli irritanti mulinelli di
sabbia del deserto, il sole ustionante, la terribile arsura della
sete… La sensazione di avere la gola incredibilmente secca,
il disperato bisogno di acqua che attanagliava le sue
viscere…
Un momento.
Acqua?
“Spock!” esclamò Kirk drizzandosi a
sedere di colpo.
“Eddài, Jim…”
piagnucolò McCoy nel sonno strattonandolo giù
nuovamente e tornando a utilizzare il suo petto come cuscino.
“Cosa c’è,
T’hy’la?” sussurrò Spock
scostando dolcemente un ciuffo color miele dalla fronte sudata del
capitano. “Un incubo?”
“No, no…” bisbigliò Kirk per
non svegliare McCoy. “È solo che mi è
tornata in mente una cosa che volevo chiederti.”
Spock aggrottò la fronte con aria interrogativa.
“Cosa?”
“Davvero non sai nuotare?”
“Suppongo che tu ti riferisca all’episodio della
Patience” mormorò il vulcaniano. “La
temperatura dell’acqua era davvero troppo bassa per il mio
corpo, tanto da impedirmi di respirare correttamente. In aggiunta, i
vestiti inzuppati e gli stivali pesanti intralciavano in modo
considerevole i miei movimenti, contribuendo a trascinarmi verso il
fondo.”
“Quindi… sai nuotare?” tentò
di riassumere Kirk ancora non del tutto sveglio.
Spock esitò. “So rimanere a galla.”
“Strano. Credevo che all’Accademia quello di nuoto
fosse uno degli esami più importanti.”
“Lo è, infatti.”
“E allora?” gli chiese Kirk confuso.
“Come sei riuscito a passarlo se sai solo stare a
galla?”
Kirk aspettò pazientemente una risposta che non venne.
Stupito e ormai completamente sveglio, si sollevò quel tanto
che il medico-koala ancora aggrappato alla sua pancia gli permetteva.
“Spock?”
Il vulcaniano sembrava essersi addormentato. Il suo viso sereno era
completamente rilassato e il suo respiro era lento e regolare.
“Tanto lo so che non stai dormendo”
sibilò Kirk a bassa voce. Il medico brontolò nel
sonno e sfregò ancora la faccia contro il ventre di Kirk.
“Credo” iniziò cautamente Spock sempre
ad occhi chiusi, “che l’istruttore non avesse le
idee molto chiare, al momento dell’assegnazione dei
punteggi.”
Kirk guardò a bocca aperta le orecchie del vulcaniano
tornare a tingersi di verde. “Tu… hai
barato?” chiese incredulo.
Spock aprì la bocca per ribattere ma fu interrotto dallo
squillo dell’interfono.
“Signor
Spock?”
“Salvato in extremis dalla bella Uhura”
commentò Kirk sollevandosi per permettere al vulcaniano di
raggiungere la parete opposta della stanza.
“Parla Spock.”
“Sto cercando
il capitano, mi hanno detto che si trova lì da
lei.”
“Esatto, tenente, è qui” la
informò Spock assumendo il suo solito tono professionale.
“Lo chiamo subito, attenda in linea.” Detto questo,
si affrettò ad aiutare Kirk a districarsi dal mortale
abbraccio di McCoy e tornò a stendersi silenziosamente sul
letto.
“Che c’è Uhura?”
riuscì finalmente a chiedere il capitano.
“Signore, mi
dispiace disturbarla ma abbiamo l’ammiraglio Harrison in
collegamento video. Vuole urgentemente parlare con lei riguardo alla
nostra ultima missione… non sembra affatto contento della
sua decisione di distruggere la U.S.S. Patience.”
“Va bene, Uhura, gli dica pure di attendere in linea.
Arriverò tra un paio di minuti.”
Il capitano interruppe bruscamente la comunicazione e si
girò con un sospiro. Alla vista del suo accigliato Primo
Ufficiale avvolto tra le spire del medico ancora addormentato, si
lasciò sfuggire una risata.
“Devo andare, Spock. Guai in vista.”
“D’accordo, mi occupo io di Leonard.”
“Del polipo brontolone vorrai dire!”
bisbigliò il capitano divertito. Stampò un tenero
bacio sulle fronte del medico e accarezzò le fresche labbra
del vulcaniano con le proprie, sfiorandogli due dita con
l’indice e il medio. “E tu non credere di cavartela
con così poco. Dovrai spiegarmi nei dettagli la faccenda
dell’istruttore confuso.”
“Jim” incominciò Spock con urgenza,
“ti pregherei di non divulgare a terzi questa
informazione.”
Kirk rise sommessamente e si avviò in silenzio verso la
porta del bagno, intenzionato a passare non visto nei suoi alloggi.
“Ovviamente. Immagino che per “terzi” tu
intenda Bones, giusto? Ti tormenterebbe a vita.”
“Perché, ti tormenterei a vita?”
biascicò improvvisamente McCoy sollevandosi su un braccio e
osservando confuso Spock. I suoi capelli erano straordinariamente
arruffati e i suoi occhi azzurri erano ancora pieni di sonno.
“Niente” risposero all’unisono Kirk e
Spock.
“Balle…” replicò McCoy
battendo più volte le palpebre per snebbiarsi la mente.
“Non è leale parlarmi alle spalle mentre
dormo…!”
“Leonard…”
“Ditemelo, lo voglio sapere anche io!”
sbottò il medico sempre più sveglio.
Spock lanciò a Kirk uno sguardo sconcertato.
“Non fargli troppo male, Bones”
ridacchiò Kirk ammiccando nella loro direzione.
“Mi serve tutto intero, sul ponte. E
Spock…” aggiunse sogghignando prima di uscire.
“… buona fortuna.”
§---°°°°°---§
Una piccola sagoma di colore indefinito si staccò
silenziosamente dalla parete inferiore della Galileo e
zampettò senza un suono nel vasto hangar mediamente
illuminato. Non visto, l’essere bitorzoluto percorse qualche
metro costeggiando la fredda parete di metallo e si infilò
con un lievissimo risucchio in un piccola diramazione secondaria del
condotto di ventilazione.
Bene, era momentaneamente al sicuro.
La creaturina si appiattì contro il fondo della tubatura e
rilassò le sue numerosa zampette fredde mollicce. Tutto
quello che gli rimaneva da fare, ora, era aspettare.
Okay, care le mie
lettrici, a questo punto credo proprio di dovervi qualche spiegazione O___o Come promesso,
questo capitolo è a tutti gli effetti l’Epilogo
della storia… nonostante ciò, come potete ben
vedere, ho comunque deciso di mantenere un finale aperto.
“Eh,
perché?!” vi starete sicuramente chiedendo
indispettite. “Non ne ha abbastanza questa qui di descrivere
squartamenti sanguinolenti, mostri orrendi e disperate corse contro il
tempo?” Beh, avreste ragione su tutta la linea, ragazze ù____ù
Però…
io un’idea per un eventuale seguito ce l’avrei. E
c’entrerebbero anche quegli alieni tanto squilibrati e
passionali chiamati Romulani, che ultimamente ho imparato ad apprezzare
e amare. Ma non ho ancora iniziato a scrivere nulla e, siccome si
prospetterebbe un progetto abbastanza lungo e impegnativo,
l’ultima cosa che vorrei sarebbe perderci il sonno (come ho
fatto con questa fic, dopotutto ^^”)
per poi annoiarvi con un seguito che non vi interessa.
Quindi…. *rullo di tamburi* … mi rimetto senza
riserve al vostro impareggiabile giudizio! ù___ù
Vi prego di farmi sapere se siete pro o contro l’idea di un
eventuale seguito... nel caso non vi gustasse non ci sarebbe
davvero alcun problema: lascerei morire di fame il piccolo
mostriciattolo color cappuccino e l’Enterprise riprenderebbe
la suo solito viaggio di routine come se niente fosse! XDDD
Perciò,
niente peli sulla lingua: siate artefici del destino di questa
storia!!! ^o^
Voglio
ringraziare in particolar modo Rei Hino, MkBDiapason, Fatanera e
Persefone Fuxia per i loro bellissimi commenti (vi lovvo tanticcimo,
girls! *3*); minnie2004 per aver aggiunto questa storia tra le
preferite (merciiiii, cara! ^^) e ovviamente tutti gli altri silenziosi
lettori che mi hanno seguita! VI RINGRAZIO CON TUTTO IL CUORE PER IL
VOSTRO INESTIMABILE APPOGGIO!! *3*
Risposte ai commenti
Rei Hino:
Caro Jim, fammi sapere quando avrai finito la tua
“Accademia”… ti aspetterò al
varco con un contratto nuovo fiammante, questo sarà senza
dubbio un grande film per il tuo esordio! ù___ù
E grazie ancora per i complimenti! *
Amber arrossisce *
MkBDiapason:
Dire che la tua preoccupazione è puccia è un
eufemismo! Ops, sorry, volevo dire che la preoccupazione di Bones
è un eufemismo… che poi, alla fine, è
la stessa cosa… o no…? Bah! Ormai mi sto
abituando a chiamare te Leonard e Rei Jim… mi state
contagiando, maledette!! XDD
Fatanera:
Non venire a dirlo a me, io sto sudando ancora adesso! XDD Spero che gli
abbracci siano stati di tuo gradimento! ^^
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