Alien VS Enterprise

di Lady Amber
(/viewuser.php?uid=90621)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** CAP. I ***
Capitolo 3: *** CAP. II ***
Capitolo 4: *** CAP. III ***
Capitolo 5: *** CAP. IV ***
Capitolo 6: *** CAP. V ***
Capitolo 7: *** CAP. VI ***
Capitolo 8: *** CAP. VII ***
Capitolo 9: *** CAP. VIII ***
Capitolo 10: *** CAP. IX ***
Capitolo 11: *** EPILOGO ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Messaggio dell'autrice: La prima volta che ho visto "Alien" mi è sorta spontanea una domanda: e se anche l'Enterprise si imbattesse in questo micidiale mostro che squarta le persone e sanguina acido? * rulllo di tamburi * Ed è così che nasce questa storia: la prima, vera long fiction che mi decido a scrivere =) Forse questo prologo potrà spizzarvi un po' - anzi, è sicuro che lo farà - ma in futuro tutto troverà una dovuta spiegazione, trenquille ^o^
Buone lettura! E fatemi sapere cosa ne pensate, è davvero importante perchè io possa migliorarmi! ^_^






L’uomo procedeva velocemente nel buio. I suoi passi, resi pesanti e strascicati dalla fatica, rimbombavano come spari tra le pareti sporche del vuoto corridoio corroso dal tempo.
Era quello l’unico imperativo che si stagliava prepotentemente nella sua mente: correre.
Correre nonostante i numerosi tagli che costellavano il suo dorso martoriato, nonostante il sangue caldo che gli colava lungo la fronte e gli annebbiava la vista.
Correre a perdifiato come se avesse il diavolo alle calcagna, perché era quello l’unico modo per sfuggire al mostro che lo braccava.
Barcollando, l’uomo inciampò in un insidioso cumulo di ossa e cadde rovinosamente a terra con un grido strozzato.
Annaspando, chiuse gli occhi per un attimo. Cercò invano di ignorare il tremendo dolore che lo trapassava come una lama incandescente ad ogni respiro. Sarebbe stato così facile restarsene lì fermo ad aspettare la morte, così semplice smettere di lottare e di soffrire ancora. Ma lui non era certo il tipo da arrendersi. Era pienamente consapevole che le sue chances di uscire vivo da lì erano pericolosamente vicine allo zero. Tutto quello che gli restava da fare ora era pregare che quella dannata bestiaccia non lo trovasse prima che lui avesse raggiunto la sua meta.
Ma non avrebbe mai mollato, oh no, questo no.
Un teschio accanto a lui lo fissava di sbieco con le sue orbite vuote. I denti anneriti erano scoperti in un macabro ghigno, quasi stesse ridendo di gusto per l’assurdità della sua testardaggine.
Con uno sbuffo, l’uomo si rialzò faticosamente in piedi e ricominciò a correre. Doveva assolutamente raggiungere il deposito e barricarvisi dentro.
Accelerò il passo, ignorando il bruciore che serpeggiava su per le sue gambe irrigidite e doloranti per lo sforzo. Svoltò rapidamente l’angolo, intenzionato a raggiungere il secondo livello dell’astronave.
Si ritrovò di fronte a una parete rocciosa.
A quanto pareva, la parte destra del canyon era riuscita a perforare lo scafo della nave, creando un ostacolo insormontabile.
“No…” gemette l’uomo, in preda all’angoscia.
 Si guardò freneticamente intorno alla ricerca di una via d’uscita. Notò un buco dai contorni irregolari sul soffitto, proprio sopra di lui. Si allungò in punta di piedi nel tentativo di raggiungerlo, ma riuscì appena a sfiorarlo con la punta delle dita… era troppo in alto perché ci potesse arrivare.
Era in trappola. Come un povero animale braccato che viene messo con le spalle al muro dal predatore affamato.
Improvvisamente, l’assoluto silenzio del corridoio fu rotto da un gutturale gorgoglio.
Con il sangue che gli si gelava nelle vene, l’uomo si voltò lentamente.
Nonostante avesse già visto quell’essere schifoso più di una volta, non poté reprimere un moto di ribrezzo. Poteva avvertire fin da lì il tremendo tanfo del fetido alito della creatura, accucciata pochi metri davanti a lui.
Sollevando un po’ la testa informe come a fiutare l’aria, l’enorme essere digrignò i denti aguzzi e un rivolo di saliva dai riflessi argentei colò sul pavimento.
“E va bene…” Con un fluido movimento del braccio, l’uomo estrasse un coltello dal retro degli stivali e lo mostrò minacciosamente all’essere. Mossa inutile quanto disperata, pensò amaramente. Ma ormai all’uomo stanco e ferito non rimaneva nient’altro da fare che cercare di fare più male possibile al suo nemico prima di soccombere.
Anche la creatura era ben consapevole di questo. Frustando l’aria con la possente coda, si avvicinò ancora di qualche passo. Si muoveva con lentezza calcolata, come se stesse studiando l’umano da lontano e volesse giocare ancora un po’ con lui prima di ammazzarlo.
“Avanti, figlio di puttana, fatti sotto!”
L’Alieno non se lo fece ripetere due volte. Con un agile balzo e un grido disumano, si gettò con le zanne snudate contro James Kirk.




Spero di riuscire a postare il prossimo capitolo in tempi brevi... sempre che Rei Hino non mi uccida prima, è ovvio XDDD

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** CAP. I ***


48 ore prima




Il tenente Raffael Schneider era di pessimo umore.
Quella notte non aveva praticamente chiuso occhio per aiutare il Signor Scott a riparare un brutto scompenso ai motori causato dalla violenta tempesta di ioni aveva recentemente colpito la nave. Alla fine erano riusciti a sistemare il tutto alla perfezione – cosa inevitabile, quando Scott entrava in azione - ma lui era uscito dalla sala macchine con tutto il corpo indolenzito e un gran mal di testa, fastidio che non l’aveva abbandonato per tutta la mattinata.
Era questo il più grande problema del lavorare con Scott: quando c’era qualcosa da fare o un guasto da riparare, andava sistemato tutto, subito e alla perfezione. Senza vie di mezzo o inutili perdite di tempo, insomma. Ovviamente, questa caratteristica rendeva Scott un lavoratore modello e una figura di spicco all’interno della nave – se non addirittura all’interno della stessa Flotta - ma a lungo andare finiva per diventare logorante per le persone che lavoravano con lui e dovevano sottostare ai suoi ordini.
Schneider sospirò. Non che lui si fosse mai lamentato, certo. Per lui Scott era sempre stato un esempio da seguire. Gli aveva insegnato lui tutto quello che c’era da sapere sull’ingegneria e sui motori e gli aveva anche rivelato qualche astuto trucchetto maturato dopo anni di esperienza che lo avrebbe potuto aiutare in situazioni strane o di difficile risoluzione. Lo considerava un po’ come un secondo padre, un maestro di vita sempre pronto a correggerlo e indirizzarlo lungo la strada più giusta.         
Schneider lasciò la sala controllo e si avviò a passo risoluto lungo il corridoio principale. Uhura gli aveva chiesto di trovare il capitano e riferirgli che c’era una chiamata urgente dal Comando – una priorità assoluta, aveva detto. Un compito che in realtà sarebbe potuto sembrare semplice, a prima vista…
Ma il vero problema ora stava proprio nel trovare il capitano.
Vista la calma piatta della situazione, infatti, Kirk aveva deciso di prendersi qualche ora di pausa senza dire nulla a nessuno sulla sua effettiva destinazione.
Morale della storia: il capitano avrebbe potuto essere dovunque.
Schneider decise di provare a cercarlo nei suoi alloggi, il luogo dove era più probabile che il suo superiore si trovasse.

Un paio di minuti dopo, il giovane ingegnere si fermò davanti alla porta bianca degli alloggi del capitano e suonò il cicalino. Non ottenne alcuna risposta. Riprovò ancora, più per pignoleria che per vera speranza.
“Stai cercando il capitano?”
Schneider si voltò. “Janice! Sì, ho una comunicazione importante da riferirgli.”
La ragazza gli sorrise. “L’ho visto salire poco fa sul turboascensore con Spock e McCoy. Credo fossero diretti alla sala mensa… se ti sbrighi forse riesci a raggiungerli.”
Con un lieve cenno di ringraziamento, il ragazzo si incamminò verso la sua nuova destinazione.

§---°°°°°---§

“Davvero, Spock, non riesco a capire come tu faccia a mangiare solo di quella roba” disse McCoy, storcendo il naso alla vista del brodino giallognolo che riempiva il piatto del Primo Ufficiale.
“Questa roba - come la chiama impropriamente lei, dottore ” ribatté il vulcaniano sedendosi, “è assolutamente sana e naturalmente ricca di tutte quelle sostanze nutritive funzionali alla mia sopravvivenza. Al contrario, non vedo invece quale utilità possa esserci nella vostra illogica volontà di cibarvi di carne animale, privando così della vita altri esseri viventi per il puro ed egoistico piacere del vostro palato.”
“Ah, ma non sai che cosa ti perdi!” McCoy si infilò in bocca una grosso pezzo di arrosto fumante e masticò con espressione estasiata. “Sicuro che non vuoi sentirne nemmeno un pezzetto?” chiese sarcasticamente porgendo al vulcaniano una forchettata carica di carne.
“Ne faccio volentieri a meno, grazie.”
Alla vista dell’espressione quasi nauseata dipinta sul volto di Spock, Kirk si lasciò sfuggire un sorriso.
“Non riusciresti mai a convincerlo, Bones” ridacchiò. “Sarebbe come provare a convincere te a mangiare una cavalletta fritta.”
McCoy gli lanciò u’occhiata provocatoria. “Chissà, magari il gusto non sarebbe poi così male.”
“Davvero? Beh, se questa è una sfida possiamo in qualsiasi momento riprogrammare il sintetizzatore e fargli cucinare apposta per te qualche bella locusta impanata… non credo che sarebbe troppo difficile, vero Spock?”
“Per niente, Jim.”
Ridendo McCoy sollevò le mani in segno di resa. “Okay okay” si affrettò a replicare. “Ho detto una bella esagerazione, lo ammetto…”
Le risate di Kirk e del dottore si persero nel vociare allegro e confuso dell’affollata sala mensa. La stanza era interamente pervasa da un confuso tintinnio di posate e dagli improvvisi scoppi di risa che ormai da tempo caratterizzavano il clima famigliare e disteso a bordo dell’astronave U.S.S. Enterprise.
 “Capitano!” esclamò qualcuno sovrastando il brusio di voci.
Un alto ragazzo biondo dalla carnagione pallidissima si avvicinò al loro tavolo. I suoi occhi verdi smeraldo, normalmente illuminati da bagliori vivaci, sembravano ora contratti e appannati, come se mettere a fuoco gli costasse una certa fatica.
“Sì, signor Schneider?”
“Il tenente Uhura mi ha detto di riferirle che c’è una chiamata urgente dal Comando, signore.”
“Può aspettare cinque minuti?” chiese Kirk speranzoso, indicando le poche forchettate di patate arrosto ancora rimaste nel suo piatto.
Un lampo di rincrescimento attraversò i lineamenti del giovane. “Mi dispiace, signore, ma la chiamata ha priorità assoluta.”
Con un sospiro, Kirk posò il suo tovagliolo sul tavolo e si alzò. “Va bene, Schneider, dica a Uhura che sto arrivando.”
“Sissignore!” Il giovane fece per andarsene.
“Aspetta un momento, ragazzo” lo fermò McCoy. “Stai bene? Hai un’espressione piuttosto sofferente.”
“Non è niente, dottore, solo un po’ di mal di testa.”
“Scott ti ha tenuto di nuovo sveglio tutta la notte a trafficare in sala motori?”
Il ragazzo serrò nervosamente le labbra. “Non è colpa sua. Aveva bisogno di una mano e io mi sono offerto volontario.”
McCoy sbuffò. “Certo, certo… pronto a difenderlo sempre e comunque, vero Raffael? Fammi il favore di passare in infermeria, appena puoi. Vedrò che cosa posso fare per la tua emicrania.”
Un sorriso sollevato comparì sul viso affilato del giovane. “Grazie, dottore.” McCoy agitò un po’ la mano con noncuranza, facendo cenno al tenente di andarsene.
“Mi piace quel ragazzo” disse poi, osservandolo divertito correre all’interfono ed eseguire l’ordine appena ricevuto.
“Molto giovane ma efficiente” concordò Spock.
“Già.” Kirk raccolse il proprio vassoio. “Bene, signori… Ci si vede più tardi allora.”   

§---°°°°°---§

Qualche minuto dopo Kirk si sedette pesantemente sulla poltrona di comando.
“Mi passi pure la chiamata sullo schermo, Uhura.”
“Subito, signore.”
Sul grande visore centrale ci fu un improvviso guizzo colorato, subito seguito dalla nitida immagine di un robusto uomo sulla cinquantina. Era vestito completamente di rosso - un semplice addetto alle comunicazioni, probabilmente, vista l’assenza di bande o stelline sulla casacca – e la sua aria era incredibilmente seria ed austera.
“Capitano James Tiberius Kirk?”
“In persona. Con chi ho il piacere di parlare?”
“Sottotenente Louis Davis, signore, addetto alle comunicazioni della Flotta Stellare.”
Kirk annuì, sorridendo impercettibilmente. Ora sì che si spiegava il motivo di quell’aria così insoddisfatta. Essere ancora sottotenente alla sua età non doveva essere proprio tutta questa gioia.
“La chiamiamo per un imprevisto cambiamento della vostra missione di esplorazione, capitano” continuò l’uomo. “Stamattina abbiamo inspiegabilmente perso ogni contatto con la nave U.S.S. Patience. Era stata mandata in missione di controllo sul pianeta Hermes 4, ma da quanto sappiamo non c’è mai arrivata.”
“Qual’é il luogo dell’ultimo contatto?”
“Sistema solare Gamma Ni.” Davis gli lanciò un’occhiata di rimprovero. “Ci stavo arrivando. Ad ogni modo, i nuovi ordini del Comando prevedono che l’Enterprise modifichi la sua rotta per raggiungere il suddetto sistema e verificare le condizioni del vascello e dell’equipaggio.”
“Ricevuto, signor Davis. Riferisca al Comando che saremo lì al massimo in un paio di giorni. Kirk, chiudo.”
Davis annuì con un cenno brusco del capo. La sua immagine tremolò per un secondo, poi sparì completamente.
“Davvero Mr Simpatia…” borbottò il capitano in tono sarcastico. Parecchi membri dell’equipaggio ridacchiarono. “Avanti Sulu, inserisca le nuove coordinate nel navigatore e ci metta subito in viaggio. Velocità 8.”




Risposte ai commenti

MkBDiapason: Sono contenta che il prologo ti sia piaciuto! ^o^ Non è stato particolarmente difficile da scrivere... quasto capitolo, invece, abbastanza! ^_^" Dovendo inserire un nuovo personaggio ho cercato di presentarlo nel modo più chiaro e preciso possibile, ma premetto che cercherò di approfondire meglio il suo carattere nel corso della narrazione :D Ovviamente l'ho fatto tedesco XDDD Io adoro i tedeschi *ç*

Rei Hino: Mi dispiace, purtroppo dovrai aspettare ancora un po' prima di scoprire se il povero Jimmy-boy se la caverà... Quindi non perderti i prossimi capitoli, mi raccomando! ;D

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** CAP. II ***


“Ecco la U.S.S. Patience, capitano!” esclamò finalmente Chekov in tono vittorioso. Senza trovare la benché minima traccia della nave dispersa, lui e Sulu avevano passato l’ultima mezz’ora a controllare meticolosamente la superficie di quattro dei dieci pianeti che componevano il sistema solare Gamma Ni. Al quinto tentativo la fortuna sembrava essere passata dalla loro parte.
“Benissimo, Chekov, ingrandisca al 70%.”
Con un paio di mosse delle agili mani, il timoniere eseguì prontamente l’ordine e zoomò sul relitto abbandonato che una volta era stato un’imponente nave della Flotta.
Le pareti esterne del vascello erano annerite in più punti, probabilmente per il violento impatto con l’atmosfera del pianeta, ma, nonostante le scure incrostazioni che intaccavano la prua e le numerose ammaccature che ne costellavano la parte superiore, il nome della nave era ancora in parte leggibile sulla fiancata destra. La carcassa di metallo sembrava essersi incastrata fra due grosse formazioni rocciose che la bloccavano da entrambi i lati ed era posizionata di traverso alla fine di un lungo e largo solco che ne aveva accompagnato il disperato atterraggio di emergenza. Stranamente, era quasi completamente ricoperta da sabbia e detriti, come se si trovasse lì da svariati mesi, non un paio di giorni.
“Cosa rilevano i sensori, Spock? Ci sono forme di vita all’interno?”
l vulcaniano rimase in silenzio per qualche secondo. Armeggiò ancora un po’ con i vari pulsanti colorati che caratterizzavano la sua postazione scientifica e aggrottò le sopracciglia. Poi si voltò verso il capitano, che lo stava ancora fissando, in attesa.
“Le informazioni che sono stato in grado di rilevare sono a dir poco esigue, capitano. Il mantello superiore del pianeta sembra essere rivestito da un materiale magneticamente carico che crea forti interferenze alle nostre apparecchiature entro un’area di circa dieci kilometri dalla superficie.” Spinse inutilmente qualche altro pulsante. “Gli unici dati certi che abbiamo sono quelli generali presenti in archivio.”
“Questa non ci voleva… renderà tutto più complicato.” Kirk si strofinò gli occhi. “I dati in memoria cosa dicono?”
“Antares 3 sembra essere un pianeta di classe M, stadio di vita intermedio. L’attività sismica e quella vulcanica sono ridotte ma, a causa del consistente riscaldamento operato dalle sue due stelle, la temperatura diurna del pianeta è relativamente elevata per lo standard umano – attorno ai 40°, con uno scarto termico considerevole nelle poche ore di buio. L’atmosfera è di composizione simile a quella della Terra e con una buona percentuale di ossigeno, quindi perfettamente respirabile.”
Kirk si sfregò il mento, pensieroso. “Okay. Spock, scegli altri quattro membri dell’equipaggio da portare giù con noi, compresi un ingegnere e un medico. Potrebbero esserci dei sopravvissuti.” Il Primo Ufficiale annuì e il capitano si girò verso Uhura. “Tenente, dica alla sala teletrasporto di tenersi pronti per mandarci sulla superficie…”
“Capitano” lo interruppe Spock. “Quando ho detto che i nostri strumenti erano inutilizzabili, intendevo tutti gli strumenti, compreso il teletrasporto.”
Kirk si alzò e rivolse al comandante uno sguardo determinato. “E va bene, vorrà dire che utilizzeremo la Galileo.”  

    §---°°°°°---§

Christine Chapel appiccicò un’altra etichetta colorata all’ennesima provetta e la sistemò ordinatamente nell’apposito contenitore. Quando ebbe finito tutte le provette, richiuse la scatola e la portò sul tavolo dei prelievi, accanto al quale McCoy la stava aspettando con un pad sotto il braccio.
“Allora, ha finito?” le chiese, con una certa impazienza.
“Sì, dottore, i campioni sono tutti qui catalogate in ordine alfabetico. Mi dispiace, ho cercato di fare il più in fretta possibile.”
“No, mi scusi lei…” McCoy cominciò a estrarre pigramente un paio di flaconcini e a osservare qualche goccia di sangue con un microscopio ottico. “Sa, questa faccenda dell’influenza Finthosiana sta cominciando a diventare un tantino frustrante.”
“La capisco” concordò Chapel sorridendo. Nell’ultima settimana erano stati costretti a ricoverare ben quarantadue membri dell’equipaggio per un’improvvisa epidemia di febbre Finthosiana, senza contare poi quelli confinati ai loro alloggi per sintomi sospetti. Non che la malattia fosse di per sé incurabile, certo - era poco più potente di una normale influenza terrestre - ma il trattamento di cura richiedeva parecchio tempo di preparazione e il virus era incredibilmente contagioso… Quindi, in pratica, la situazione si traduceva in un mucchio di lavoro extra per tutto il personale medico e in particolare per McCoy, che ne era il capo. “Siamo tutti sulla stessa barca.”
“Christine!” Raffael Schneider entrò di gran carriera in infermeria. Quando incontrò gli occhi azzurri della donna, il suo sguardo brillò.
“Ciao, Rafe.”
“Posso parlarti un attimo?” Il giovane lanciò un’occhiata esitante a McCoy. “In privato, magari?”
“Ho capito, ho capito, me ne vado!” Rivolgendo al ragazzo un sorrisetto d’intesa e una strizzatina d’occhio, il medico prese sottobraccio la scatola di provette e si spostò con calma nella stanza attigua.
“Di che cosa hai bisogno?” gli chiese cortesemente Chapel. Domanda inutile, visto che il motivo per cui lui si trovava lì era chiaro come il sole. La donna cercò di mantenere un tono calmo e pacato, ma la tensione che la attanagliava era rivelata dalle minuscole rughe comparse agli angoli delle sue labbra delicate.
“Ecco, io… volevo sapere se hai riflettuto sulla mia proposta dell’altro giorno.”
Ovviamente. Sarebbe dovuto accadere prima o poi. L’infermiera chiuse gli occhi e inspirò profondamente. “Mi dispiace, ma la mia risposta è no.”
Quell’affermazione parve spiazzare il ragazzo. “Aspetta un momento, io credevo che…” incominciò Schneider.
“No, Rafe” affermò lei in tono risoluto. “Ci ho pensato su a lungo, credimi. Ma non funzionerebbe.”
Schneider la guardò, confuso. “Ma l’altra notte…”
Le gote pallide dell’infermiera si tinsero leggermente di rosso. “L’altra notte è stata uno sbaglio” affermò Chapel lisciandosi nervosamente le pieghe della divisa celeste. “Eravamo tutti e due un po’ troppo allegri per lo scotch che Scott ti aveva regalato e ci siamo lasciati trasportare troppo dalla situazione. Tutto qui.”
Incrociando le braccia, il tedesco le lanciò un lungo sguardo indagatore. “È ancora per quella faccenda di Spock, non è vero?” indovinò.
Punta nel vivo, Chapel si affrettò a scuotere il capo. “No, no, lui non c’entra affatto, io-”
“La tua è un’ossessione, Chris” esclamò Schneider, allargando le braccia in un gesto esasperato.
“Piantala, Rafe.”
“Ma lo vuoi capire che lui non ti vuole? La situazione non cambierà, e tu lo sai bene. Non puoi restare ad aspettarlo per tutta la vita!”
“Perché no?!” esplose allora l’infermiera. “Perché non posso continuare a sperare che prima o poi si accorga di me? Non posso farne a meno, Rafe…. È più forte di me, non posso dimenticarlo così, su due piedi. E se fossi innamorato di me almeno la metà di quanto io amo lui, lo capiresti.”
“Ma io non pretendo che tu lo dimentichi da un giorno all’altro… Potremmo lavorarci insieme, vedrai che con il tempo riusciremo a-”
“Ho detto no, Schneider.”
“Lui non è quello giusto per te.”
“Oh, e chi sarebbe secondo te quello giusto?” sbottò Chapel in tono sarcastico. “Tu? Un bambino più giovane di me di sette anni che smania dalla voglia di fare nuove, eccitanti esperienze per poi vantarsene con gli amici?” Aveva parlato senza pensare, assecondando semplicemente la rabbia che l’aveva travolta all’improvviso.
Schneider si ritrasse, ferito. “È questo quello che pensi di me?” le chiese in un sussurro amareggiato.
Chapel si pentì immediatamente di ciò che aveva detto. Conosceva Raffael abbastanza bene da riconoscere anche da sola l’infondatezza della sua accusa. Quel ragazzo poteva anche essere un po’ sempliciotto e alle volte orgoglioso, temerario e incredibilmente testardo… ma era fondamentalmente ingenuo e sincero. E onesto. Non avrebbe mai desiderato stare con lei per secondi fini, questo era sicuro.
Ma ferirlo era forse l’unico modo per scoraggiare definitivamente quei suoi numerosi e goffi tentativi di farle cambiare idea. Chapel distolse vilmente lo sguardo.
“È solo per questo che sei venuto?” gli chiese stancamente.
“No.” Il ragazzo si sforzò di ricomporsi e di parlare con un tono distaccato e professionale. “Sei stata scelta come membro medico della squadra di sbarco su Antares 3. Il ritrovo è tra mezz’ora nell’hangar principale.”
“Ho capito.”
Con un cenno brusco del capo e il viso contratto, Schneider si avviò in silenzio verso la porta.
“Mi dispiace, Rafe” provò a dire Chapel, ma si ritrovò a parlare con una stanza vuota.





Risposte ai commenti


Rei Hino: Ahh, Spock e McCoy... mi diverto troppo a scrivere di questi due! XDDD E non dimentichiamoci di Jim, che fa da mediatore e contribuisce a sdrammatizzare sui loro battibecchi... ^o^

MkBDiapason: Sno felice che ti piaccia Raffael! Sì, credo che "carino" sia il termine che lo descrive meglio >///<  È proprio perchè è così cuccioloso ma sveglio che Scotty lo ha preso sotto la sua ala protettiva (e sì, Len è proprio dolce! Ma tanto lo sappiamo tutte che sotto i suoi continui brontolii e le sue instancabili lamentele è un medico dal cuore d'oro XD).
Uhuhu... hai scoperto il mio sagreto! *con un gesto plateale, tira fuori dalla tasca uno sfavillante tesserino di riconoscimento e se lo appende al collo* Vedi, qualche setimana fa ho minacciato Spock di rivelare all'Alto Consiglio Vulcaniano la sua relazione con il caro Len... il mattino dopo mi è MISTERIOSAMENTE arrivato questo pass per posta O_O Adesso ogni finesettimana lo passo a bordo dell'Enterprise a trascrivere fedelmente quello che succede XDD

Persefone Fuxia: Lo so, è un cross-over un po' strano! :D Però se sono i guai che cercavi, allora sei nel posto giusto! Alien è uno che ci va giù pesante dopotutto... XDD Ti ringrazio. Sono contenta di sentire che dalla presentazione Raffael sembra promettere bene... era quella la mia più grande preoccupazione ^_^"
 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** CAP. III ***


“Ottima scelta, Spock” si complimentò Kirk.
“Grazie, capitano. Ho pensato che sarebbe stato saggio lasciare a bordo il dottor McCoy, vista la corrente situazione.”
“Hai pensato bene.” Il capitano fece scorrere lo sguardo lungo le quattro persone radunate nell’hangar e annuì con aria di approvazione.
Affiancato da Scott, il tenente Raffael Schneider stava controllando ancora una volta il corretto funzionamento delle torce fluorescenti che i membri della squadra avrebbero ricevuto di lì a poco; qualche metro più in là, invece, i guardiamarina Michael Konrad e Melanie Smith erano occupati ad assicurare un paio di phaser alla propria cintura, osservati con indifferenza da Christine Chapel.
“Scott” chiamò Kirk.
“Sì, capitano?”
“Visto che le comunicazioni tra di noi saranno impossibili, per precauzione, allo scoccare di ogni ora, qualcuno del gruppo porterà la Galileo oltre il raggio d’azione del campo di forza e vi darà i dovuti aggiornamenti sulla situazione.” Scott annuì. “Bene. E non dimenticatevi di tenere tutte le telecamere puntate sull’area attorno al relitto. Potrebbero sempre tornare utili.”
“Certo, signore.”
I membri del team cominciarono a salire ordinatamente sulla navetta. Prima di richiudere il portellone, Kirk si voltò verso Scott. “Lascio la nave alle sue amorevoli cure, signor Scott. Posso sperare di trovarla ancora intera, al nostro ritorno?” scherzò.
“Penso proprio di sì, capitano” sorrise Scott accarezzando dolcemente la parete dell’hangar. “Non poteva lasciare questa bellezza in mani migliori.”
Kirk sogghignò. “Sapevo di contare su di te, Scotty.”

§---°°°°°---§

Non appena il portellone si fu aperto, l’abitacolo della Galileo venne inondato da un’incredibile quantità di luce. Schermandosi il viso con le mani, i membri del team balzarono uno alla volta sul terreno sabbioso e si guardarono intorno. Tutto ciò che riuscirono a vedere fu un’immensa e arida distesa di pietra e sassi che si estendeva in lontananza fino a sfumare, confondendosi nei mulinelli di sabbia sollevati dal vento caldo. Affioramenti di rocce candide come la neve si alternavano a minerali rossi e verdi dalle più disparate forme e dimensioni, in un miscuglio di colori contrastanti che rendeva l’atmosfera del pianeta quasi surreale.
“Venite, l’entrata è da questa parte!” gridò Kirk per farsi sentire sopra l’assordante rumore del vento.
Procedettero in fila indiana per qualche minuto, impacciati nei movimenti dagli impermeabili che Spock aveva saggiamente consigliato loro di portare. Costantemente attenti a non perdersi di vista neanche per un attimo,  riuscirono infine a raggiungere la carcassa del velivolo.
Kirk fece cenno a Spock di avvicinarsi e si allontanò un poco per lasciargli maggiore spazio di manovra. Il vulcaniano afferrò la grande manopola arrugginita situata al centro della porta e fece pressione per girarla. Non si mosse di un millimetro.
Con la fronte aggrottata dalla sorpresa, Spock si voltò verso Kirk in una muta richiesta di aiuto. Ci vollero un paio di tentativi e gli sforzi congiunti di tre uomini e un vulcaniano per ruotare completamente la manopola corrosa dalle intemperie.
Non appena la porta fu aperta, il gruppetto si affrettò ad entrare. Spock richiuse subito alle loro spalle il grande portellone cigolante, smorzando così il violento ululato del vento.
Il team si ritrovò completamente al buio.
“Cazzo, non si vede niente qui…”
“Fine come sempre, eh Mike?” chiese Smith in tono sarcastico. Konrad ridacchiò.
Sei torce si accesero contemporaneamente.
“Ma che cos’aveva quella stupida manopola?” chiese Schneider massaggiandosi le braccia doloranti.
“Non lo so davvero” ammise Spock. “Il livello di erosione e intaccamento era a dir poco inaspettato.”
“O magari qui c’è qualcuno che sta cominciando a perdere colpi” buttò lì Kirk, sogghignando in direzione del Primo Ufficiale.
“Posso assicurarle, capitano, che la mia forza fisica è la stessa di sempre.”
“Era solo una battuta, Spock.”
“Ah.” L’eco delle risate soffocate degli altri membri del gruppo si perse lungo i corridoi vuoti del velivolo.
“D’accordo” iniziò Kirk scuotendosi via la sabbia dai capelli color miele, “adesso sarà meglio dividerci, così potremo coprire più spazio in tempo minore. Per qualsiasi problema avete le mappe e, in caso di smarrimento, decidiamo fin da ora che il luogo di ritrovo da raggiungere è la sala controllo. Io e Spock andremo lì per prelevare i file del diario di bordo del capitano Lewis. Mi raccomando di ricordarvi che entro un’ora dovremo essere tutti di nuovo qui per decidere chi dovrà contattare l’Enterprise, quindi occhio al tempo.” Kirk si voltò verso le due donne. “Infermiera Chapel, lei dovrà recarsi con la signorina Smith in infermeria. Se ci sono sopravvissuti – cosa che spero con tutto il cuore - è più probabile che si trovino lì o nelle immediate vicinanze.”
Con un cenno affermativo del capo, Smith arrotolò la manica del proprio impermeabile e premette il pulsante di accensione del sistema di navigazione interattivo che aveva al polso. Nelle tenebre del corridoio comparse fluttuando una piantina tridimensionale della nave, che illuminò le pareti circostanti con una tenue luce verde.
“Infermeria” scandì Smith con voce chiara e decisa. L’ologramma si trasformò istantaneamente in un vorticoso turbinio smeraldo, per poi ricomporsi in un guizzo tremolante e segnalare il percorso da seguire con una linea rossa. Smith si avviò a passo deciso lungo il corridoio di destra.
Prima di seguirla, Chapel lanciò un fugace sguardo a Schneider, che accennò un sorriso. Visibilmente sollevata, la donna si affrettò a raggiungere la sua compagna e ben presto il suono dei loro passi si affievolì fino a scomparire.
“Schneider, lei invece cerchi di avviare il generatore di emergenza. Il campo di forze non dovrebbe interferire con il suo funzionamento, ma se non dovesse riuscire ad accenderlo non ci perda troppo tempo e raggiunga il punto di ritrovo. Konrad verrà con lei. ”
“Sissignore” esclamarono in coro i due uomini.
“La sala controllo è da quella parte” affermò Spock osservando a sua volta la propria mappa.
“Fai strada, Spock.”    

§---°°°°°---§

I primi a raggiungere la propria destinazione furono Schneider e Konrad. Essendo la sala macchine molto vicina al corridoio principale da cui erano partiti, infatti, il tragitto si rivelò decisamente breve e privo di ostacoli.
Come ben presto Schneider si rese conto, Konrad non era certo un tipo di molte parole. Niente battutine stupide per alleviare la tensione, commenti gratuiti o domande fastidiose: solo un grande silenzio intervallato saltuariamente da qualche grido di richiamo o dal rumore soffocato di due paia di stivali che battevano ritmicamente sul pavimento impolverato. Questa caratteristica dell’uomo piaceva molto al giovane ingegnere… lo faceva sentire a suo agio.
“Eccoci qua” commentò infine Konrad entrando nel vasto ambiente della sala macchine. “C’è nessuno?” chiese a voce più alta. L’eco della domanda si perse in lontananza fino a sfumare completamente.
Casa dolce casa, pensò Schneider. Gli bastò guardare quei pannelli colorati dall’aria così famigliare per scacciare il senso di inquietudine che lo avevano assalito fin dal primo momento in cui aveva messo piede nella nave fantasma.
“Il generatore è da questa parte, vieni.” Schneider guidò Konrad oltre l’isola di computer situata al centro della stanza e si inginocchiò accanto a un grosso macchinario che occupava almeno mezza parete.
“Cazzo, quant’è grande…” mormorò Konrad impressionato.
Schneider sorrise, rammentando il commento di Smith. Davvero una finezza sconcertante.
“Questo è un modello vecchio” spiegò, cominciando a svitare non senza fatica uno dei grossi bulloni che tenevano ben chiuso un coperchietto in basso a sinistra. “Il generatore di emergenza che abbiamo sull’Enterprise, invece, è di nuova generazione. Per questo la differenza di dimensione è così evidente.”
Konrad lo squadrò, dubbioso. “Sei sicuro di riuscire ad aggiustare questo affare?”
“Mi ci giocherei la camicia” scherzò Schneider ridendo. “Avanti, fammi un po’ più di luce qui e vediamo cosa possiamo fare.”

§---°°°°°---§

“Allora” incominciò Smith con noncuranza, “tu e Schneider state insieme?”
Chapel la guardò sconcertata. “Cosa?”
“Non essere così sconvolta, infermiera. L’ho vista l’occhiata che ti ha lanciato poco fa.”
“Perché, che occhiata mi avrebbe lanciato?” chiese Chapel seccamente.
“Beh, conoscendolo era uno sguardo del tipo ‘tranquilla piccola, non è successo niente, non sono arrabbiato.’” Smith fece una smorfia. “Comunque meglio dello sguardo da bravo boy scout ‘l’hai fatta grossa, ma ti perdono per pura bontà del mio cuore.’ Ho sempre detestato quell’espressione sul suo viso… ma d’altra parte non può farci niente, poverino. È sempre stato come un libro aperto, facilissimo da leggere. I suoi occhi, in particolare” aggiunse in tono pensoso.
Chapel la guardò stupita. “Come sai tutte queste cose su di lui? Siete amici?”
Smith scoppiò a ridere. “Beh, amici è una parola un po’ grossa… diciamo che siamo rimasti in buoni rapporti.” Guardò divertita l’infermiera. “Raffael è il mio ex” spiegò. “Siamo stati insieme per più di un anno, dopo l’Accademia.”
“Ah.” Chapel doveva ammettere che la notizia l’aveva colta di sorpresa. Si ritrovò a scrutare di sottecchi la sua compagna di viaggio con rinnovato interesse, come se dare un giudizio su di lei fosse diventato improvvisamente di primaria importanza.
Lunghi capelli neri raccolti in un’elegante treccia, bocca carnosa, carnagione scura e gambe slanciate. Sicuramente non una con cui sarebbe stato facile competere…
Ma che cosa stava pensando? si chiese stupita. Smith non era affatto una rivale. Perché mai avrebbe dovuto considerarla come un pericolo?
Chapel scosse la testa per allontanare queste riflessioni inopportune. “Allora forse ti farà piacere sapere che, in effetti, noi non stiamo insieme” disse con un tono ostentatamente indifferente. “Comunque mi dispiace che vi siate lasciati…” aggiunse. “Posso chiederti cos’è successo, se non sono troppo indiscreta?”
Smith la fissò per un po’ con una strana luce negli occhi. Poi ritornò a studiare la piccola mappa tridimensionale. “Ha visto te” disse semplicemente.
Come? Chapel sbatté più volte le palpebre, convintissima di aver capito male.
“Successe più o meno un anno fa, quando fummo entrambi assegnati all’Enterprise” spiegò Smith, facendole cenno di svoltare a destra. “Un giorno mi dice che mi ama e – bam! – quello dopo incontra te e cade cotto come una pera.” La giovane donna rivolse a Chapel un sorriso tirato. “Ti lancia certi sguardi che io me li sognavo. Non mi ha mia guardato con una tale intensità.” Il suo tono di voce sembrava rilassato e stranamente privo di amarezza o rimpianto.
“Perché mi dici tutto questo? Dovresti odiarmi. Da quanto ho capito sono stata io la causa del fatto che vi siete lasciati.”
“Sì e per questo ti ringrazio.” La mora rise di gusto alla vista dello sguardo confuso apparso sul volto della bionda. “Se non fosse stato per te, infatti, non avrei mai conosciuto il mio attuale futuro marito.”
Chapel notò solo allora l’anello luccicante che ornava la mano affusolata della donna.
“Complimenti!”
“Grazie.”
Camminarono in silenzio per qualche minuto.
 “Ad ogni modo” concluse infine Smith, “quello che sto cercando di dirti è che ti conviene approfittare dell’occasione. Sei una donna fortunata se un ragazzo dolce come Raffael si è innamorato di te.”
Chapel chinò il capo e si fissò la punta degli stivali. “Già” mormorò.

Non vista, una grossa sagoma scura e deforme attraversò velocemente il largo corridoio. Con un paio di  movimenti delle agili zampe, la creatura si appostò silenziosamente alle spalle delle due donne e fece saettare verso l’alto la lunga coda.

Con i muscoli tesi e tutti i sensi all’erta, l’ombra si preparò ad attaccare.
   
§---°°°°°---§

“Dal livello di polvere accumulato si direbbe che la nave sia qui da almeno un paio di mesi, non da tre soli giorni” osservò Spock facendo passare un dito sulla superficie della postazione scientifica abbandonata.
Kirk starnutì, agitando una mano davanti al viso per disperdere la polvere così sollevata.
“Guarda là.” Indicò al vulcaniano una parete semidistrutta accanto alla postazione di cominicazione. “Quello non sembra causato dall’atterraggio.”
Il Primo Ufficiale si avvicinò alla lastra di metallo incrinato e la sfiorò leggermente con una mano, pensieroso. “No, infatti.” Con un dito affusolato percorse il lungo squarcio slabbrato che incrinava la continuità della parete. Cosa poteva aver causato un danno del genere a una parete di acciaio rinforzato come quella?
“Spock, ho trovato le schede di memoria. Non sembrano messe molto bene.”
“Mi faccia vedere” mormorò Spock avvicinandosi. Kirk gli porse tre piccole schede di plastica e gli fece luce con la torcia. Effettivamente un paio di esse erano sbeccate e segnate in più punti, ma probabilmente il tricorder sarebbe riuscito a leggerle ugualmente. Spock ne inserì una e premette un paio di pulsanti.
“Diario di bordo del capitano Harry Justin Lewis, data stellare 5027 punto 5” intonò la voce sintetica del processore. A parte qualche saltuaria interferenza, le parole erano chiare.
Spock lanciò a Kirk un’occhiata soddisfatta.
“Non avremmo mai dovuto accogliere a bordo quella navicella” esordì la voce registrata del capitano Lewis. “Non siamo ancora neppure riusciti a stabilirne l’esatta provenienza. Dalla forma della fusoliera e dalla portata dei motori, il reparto ingegneria si è mostrato concorde nel definirla come una ‘navetta di salvataggio originariamente appartenente ad una nave mercantile della Federazione’.” Il capitano fece una pausa.
“Purtroppo il personale scientifico non è stato in grado di identificare i corpi che si trovavano all’interno del velivolo. O, per meglio dire, i resti di quelli che un tempo furono probabilmente esseri umani o forme di vita umanoidi. Il dna di quei poveri diavoli sembra essere stato irreparabilmente danneggiato da una sostanza corrosiva di natura sconosciuta.
“Abbiamo cercato ripetutamente di metterci in contatto con il Comando ma invano, le comunicazioni sono completamente saltate due punto tre ora fa.” Lewis esitò. “Procedono le ricerche del comandante Jeffrey Havock.”
Spock sollevò un sopracciglio e inserì la seconda scheda che aveva in mano.
“Diario di bordo del capitano Harry Justin Lewis, data stellare 5027 punto 6.” Il tono del capitano della Patience oscillava ora tra il frustrato e il preoccupato. “Non siamo ancora riusciti a ricavare nessun dato certo sulla reale provenienza della navetta o sull’identità dei viaggiatori. Abbiamo però accertato le dinamiche della loro morte. La misteriosa sostanza che ha deteriorato il loro dna sembra aver intaccato anche il pannello principale e il motore destro del velivolo, perforandone lo scafo. Lo sbalzo di pressione è probabilmente bastato a ucciderli.
“Nelle ultime sette ore abbiamo perso altri otto membri dell’equipaggio. E continuano a sparirne. Stiamo controllando la nave centimetro per centimetro, ma non abbiamo ancora trovato un solo indizio sulla loro possibile ubicazione. Sembra funzionare tutto come sempre, salvo per il fatto che dieci uomini sono scomparsi nel nulla e non abbiamo la minima idea di che fine abbiano fatto.
Cristo, su una nave non si può sparire così senza lasciare traccia. È una cosa assurda.
Non ho la più pallida idea di che cosa stia succedendo… ma i miei uomini cominciano ad avere paura. E anche io, lo confesso. Temono tutti di finire brutalmente sventrati come il comandante Havock – pace all’anima sua…”
“Lui l’avevano ritrovato” mormorò Kirk in tono sommesso.
“Siamo ancora completamente isolati. Cercherò di raggiungere al più presto il più vicino avamposto della Flotta. Lewis, chiudo.”  




Risposte ai commenti


Persefone Fuxia: Sì, in effetti tra Spock e Rafe non c'è storia... =_=" E lo dico proprio io che l'ho creato XD Però immagino che per una donna come la Chapel, ordinaria sotto tutti i punti di vista, un ragazzo normale come Raffael sarebbe sicuramente un partito più abbordabile rispetto a Spock ù_ù Dopotutto il nostro bonazzo dalle orecchie a punta ha ALTRO per la testa... *guarda maliziosamente Kirk e McCoy* Eehh già! *ç* Do ufficialmente il via ai tanto attesi guai! ;D

MkBDiapason: Sì, purtroppo Bones è costretto a rimanere a bordo a causa dell'epidemia... però non la definirei una sfortuna ò_ò Pensala così: almeno non scenderà nella tana del mostro insieme agli altri! :D



Scusate per la lunghezza sconcertante del capitolo, mi sono lasciata prendere un po' la mano...
^_^"

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** CAP. IV ***


“Mi passi il cacciavite a stella, per favore?”
Konrad prese l’attrezzo richiesto e si chinò per consegnarlo a Schneider. “Tutto a posto lì sotto?”
Il giovane ingegnere starnutì per l’ennesima volta. Forse non era stata una grande idea quella di infilarsi sotto il generatore. “A parte le tonnellate di polvere?” riuscì a sibilare tra i colpi di tosse.
Konrad ridacchiò.
“Ecco fatto, così dovrebbe andare” borbottò Schneider unendo insieme un’ultima coppia di cavetti colorati.
Il generatore produsse di colpo un forte schiocco metallico e incominciò a funzionare, riempiendo gradualmente la stanza con le sue calde fusa. Nel giro di un paio di secondi, tutte le luci si furono accese e l’ambiente fu illuminato dalla tenue luce delle impolverate lampade al neon.
“Mica male…”
“Te lo avevo detto che ci sarei riuscito” disse Schneider con un ghigno alla vista dell’espressione ammirata dipinta sul volto di Konrad.  

 §---°°°°°---§

Tutte le luci si accesero di colpo.
Un pungente bagliore fendette improvvisamente il buio della stanza grigia e colpì come una staffilata gli occhi di Chapel e Smith. Le pupille delle due donne, ancora abituate al buio pesto che le aveva accolte fin dal loro arrivo, protestarono con forza e si contrassero dolorosamente. Gemendo, entrambe si ripararono d’istinto il viso con le mani.
Fu Smith la prima a riprendersi dalla sorpresa. Con gli occhi ancora leggermente lacrimanti, sollevò cautamente il capo alla luce soffusa delle lampade sporche e si guardò intorno.
Non più intralciata dal limitato raggio d’azione della torcia, la donna constatò che erano giunte in un grande ambiente sgombero e spazioso. Le pareti, un tempo presumibilmente bianche, erano ora di un triste color grigio sporco, saltuariamente intervallato da aloni scuri e profondi graffi sbruciacchiati. Varie tendine macchiate in più punti isolavano almeno una decina di scompartimenti,  tutti riempiti da altrettanti lettini ospedalieri.
A quanto pareva avevano finalmente raggiunto l’infermeria.
“Infermiera Chapel!” esclamò allegramente Smith voltandosi. “Ci siam-”
La donna ammutolì di colpo.
Il cuore le sprofondò in petto, alla vista che si presentò davanti ai suoi occhi.

§---°°°°°---§

L’Alieno scivolò fuori dal proprio rifugio nell’ombra. Con movimenti agili e silenziosi avanzò rapidamente alle spalle dei due strani esseri che aveva seguito fin dal primo momento in cui avevano messo piede nel suo territorio. Avevano davvero un buon odore.
 Un odore terribilmente eccitante, ad essere sinceri.
Purtroppo non poteva premettersi di ucciderli, come avrebbe invece tanto desiderato. La Regina aveva assoluto bisogno di loro, era stata chiara su questo punto.
E le necessità della Regina erano di primaria importanza.   
L’Alieno si erse in tutta la sua altezza a pochi passi da uno degli esseri, crogiolandosi nella sensazione di potere che lo aveva pervaso.
Quella povera creaturina non si era neanche accorta della sua presenza… che specie inutile. Non ci sarebbe stato alcun godimento nel sopraffare entità così deboli.
Silenzioso come un’ombra, si preparò a colpire.
Di colpo, una serie di grida concitate gli rivelò che l’altra creatura lo aveva scoperto. L’Alieno percepì chiaramente uno strano movimento da parte sua, come se stesse sfoderando qualche cosa da un fianco. Un’arma forse? Magari li aveva sottovalutati.
L’Alieno cambiò istintivamente bersaglio e si scagliò contro l’essere più lontano, quello che minacciava di essere il più pericoloso. Urtò con forza la creatura più vicina e si gettò di peso sulla vittima designata, schiacciandola a terra. La povera entità non aveva fatto in tempo ad emettere alcun suono, tanto l’Alieno era stato veloce a immobilizzarla.
Gorgogliando soddisfatto, le tranciò di netto la testa con un rapido colpo della potente zampa artigliata.
No, aveva visto giusto. Quei piccoli esseri erano tanto fragili quanto innocui.
L’Alieno si crogiolò nell’inebriante sensazione del sangue caldo dell’essere che colava lungo la sua fredda corazza gelida come l’acciaio.
Dopotutto, l’essere aveva reagito con aggressività al suo attacco e si era dimostrato pericoloso… la Regina non avrebbe potuto trovare nulla da ridire, su questo.
E poi, per lei restava sempre l’altra preda.

§---°°°°°---§

Ancora traballante per lo spavento e per la brutta caduta, Chapel si rialzò incerta sulle gambe e guardò con orrore crescente l’orribile essere deforme infierire sul corpo ormai senza vita della sua compagna.
Con gli occhi sbarrati e pieni di lacrime, la bionda si premette una mano sulla bocca e cercò di indietreggiare in silenzio per mettere più distanza possibile tra lei e quell’essere immondo. Urtò contro uno sgabello e cadde rovinosamente all’indietro con un gemito.
Nell’udire i singhiozzi soffocati della donna, la creatura si voltò di scatto verso la sua nuova preda. Con l’orrenda bocca digrignata in un agghiacciante ghigno e la mascella grondante di sangue ancora caldo, si avventò fulmineamente su di lei.
Chapel urlò con quanto fiato aveva in gola.

§---°°°°°---§

La sala controllo fu improvvisamente inondata da una gran luce.
Kirk si riparò automaticamente il viso con un gridolino di sorpresa, mentre Spock si limitò semplicemente a chiudere gli occhi aspettando che la sua vista si abituasse alla nuova illuminazione.
Asciugandosi gli occhi incorniciati di lacrime, Kirk fece un cenno Spock di procedere.
Il Primo Ufficiale inserì l’ultima scheda.
“Diario di bordo del capitano Lewis, data stellare 5027 punto… punto 8” Se prima la voce di Lewis era sembrata stanca, ora era completamente esausta.
“Abbiamo trovato la causa delle sparizioni” disse l’uomo. Il suo tono era chiaramente spaventato. “C’è qualcosa sulla nave, sono… sono in tanti. Non saprei come definirli… li abbiamo solo intravisti… Ricordano vagamente dei rettili Gidoniani, ma hanno il cranio più allungato e… e sono estremamente veloci… inafferrabili quasi. Sì, inafferrabili. E micidiali, anche. Per ora sono riusciti a prendere il controllo dei ponti quattro, cinque e sette. Abbiamo provato più volte a colpirli con i phaser e i fucili a raggi, ma sono troppo rapidi per noi… la loro corazza li protegge da qualsiasi tipo di attacco. L’unico punto a nostro favore è che sembrano temere il fuoco. Siamo riusciti a ferirne uno solo in modo considerevole ma, subito dopo essere stato colpito, l'essere ha rilasciato un potente acido verde che in pochi secondi ha corroso lo scafo e  alterato irreparabilmente i parametri di volo.” Kirk lanciò a Spock un’occhiata sconcertata.
“Tenteremo un atterraggio di emergenza su un pianeta di classe M del sistema solare… del sistema… Dio, non so neanche più dove ci troviamo.” Un sospiro tremante. “Aggiornerò quando avremo toccato la superficie. Lewis, chiudo.”
Nel silenzio di tomba che accompagnò queste ultime parole, Kirk e Spock si scambiarono un’occhiata inquieta.
“Capitano, se Lewis non ha più aggiornato il suo diario e questi esseri hanno davvero sterminato l’equipaggio della Patience…” iniziò cautamente Spock.
“… allora potrebbero ancora essere qui” completò Kirk passandosi nervosamente una mano tra i capelli. “Avanti, prendi le schede e raduniamo subito gli altri, dobbiamo andarcene prima che-”
Un urlo agghiacciante squarciò l’aria.
“È l’infermiera Chapel” mormorò Spock.
“Mio Dio…”

§---°°°°°---§

Schneider e Konrad corsero a perdifiato lungo il corridoio principale.
Il grido disperato che avevano udito solo qualche minuto prima proveniva sicuramente dal settore in cui era situata l’infermeria: era stato uno clamore improvviso, un urlo reso ancora più agghiacciante proprio dalla sua imprevedibilità.
Che cosa diavolo era potuto accadere a Christine e a Smith per portarle a urlare a qual modo? Era forse successo qualcosa di grave? E se fossero state ferite o - peggio ancora…?
Schneider si costrinse a ricacciare indietro questi pensieri e aumentò invece il ritmo della corsa. Doveva vedere Christine, aveva bisogno di sapere che stava bene.
Mentre percorrevano a rotta di collo i lunghi corridoi della Patience, i due uomini notarono che la maggior parte delle pareti erano chiazzate da strani aloni, invisibili prima a causa della carenza di luce. In alcuni casi erano sostituiti da veri e propri buchi nel metallo, come se il materiale fosse stato corroso da qualche tipo di sostanza acida.
Schneider svoltò l’angolo a tutta velocità e andò a urtare contro qualcosa di fresco e duro, che lo fece rimbalzare per terra.
Era il Primo Ufficiale Spock.
“Mi scusi, noi… abbiamo sentito un grido e-”
“Avanti, non c’è tempo da perdere” sbottò subito Kirk, facendo loro cenno di seguirlo e rimettendosi subito a correre.

§---°°°°°---§

Impiegarono pochi minuti per raggiungere l’infermeria.
Tutti gli scenari possibili che Kirk si era immaginato nella propria mente non si avvicinarono neanche lontanamente al macabro spettacolo che i quattro si ritrovarono di fronte.
Due dei grandi muri grigi della stanza erano quasi interamente ricoperti da schizzi di sangue. Il liquido, colando lungo la parete, aveva creato irregolari ghirigori che si erano allungati fino al pavimento, dove si era raccolto in piccole e lucenti pozze colorate.
Spostando lo sguardo più in basso, Kirk venne colto da un forte attacco di nausea.
Accanto alla porta, vicino alla parete sud, giaceva Smith. O, almeno, quello che era rimasto di lei.
Il corpo della donna era stato completamente dilaniato. Attraverso il petto straziato si potevano intravedere le costole candide e qualche frammento di pelle, mentre la testa era stata separata con violenza dal collo e mandata a sbattere contro uno dei tanti lettini presenti. Gli occhi spalancati e vitrei del cadavere erano fissi su un punto indefinito oltre le loro spalle.
“Mel…” sussurrò Konrad. Portandosi una mano allo stomaco, si appoggiò debolmente alla parete nord e vomitò.
“Dio mio.” Schneider si coprì il viso con entrambe le mani e inspirò profondamente, cercando di ignorare il disgustoso sapore metallico che gli aveva improvvisamente riempito la bocca. Chiaramente non c’era più niente da fare per Smith.
Ma se Christine non era lì, forse allora era riuscita a scappare.
C’era ancora speranza, dunque. Per quanto fosse falso e inverosimile, questo pensiero aiutò il giovane a non crollare, ma non riuscì ad evitare che calde lacrime gli riempissero gli occhi al pensiero delle due vite appena stroncate.
Spock intanto si era avvicinato al corpo senza vita della donna. Nel lago di sangue che circondava il cadavere, gli stivali del vulcaniano provocarono ad ogni passo un disgustoso risucchio, in una specie di rivoltante effetto ventosa. Quando fu sufficientemente vicino, si chinò per osservare meglio.
“È la stessa cosa che ha causato il danno alla paratia metallica in sala controllo” disse osservando il display del tricorder. Aveva parlato con un tono calmo e distaccato, come se non fosse minimamente toccato da quello che era successo.
Schneider non poteva credere alle proprie orecchie. “Ma come fa a rimanere così calmo di fronte a uno scempio simile?” esplose. “È morta una persona, Cristo, non lo vede?!”
“Certo, me ne rendo conto perfettamente, ma-”
“Si sarebbe dovuta sposare tra tre settimane” mormorò Konrad con uno sguardo vuoto. “Aspettava un bambino.”
“Abbia almeno la decenza di fingere un po’ di interessamento” sibilò Schneider in direzione di Spock.
“Schneider!” lo ammonì Kirk. “La faccia finita.”
Lanciando uno sguardo disgustato al Primo Ufficiale, l’ingegnere si avvicinò a Konrad e lo aiutò a rimettersi in piedi.
“Ne sei sicuro, Spock?” chiese Kirk.
Il Primo Ufficiale aveva riportato lo sguardo sul corpo straziato della donna. Era stranamente pallido. “Al 96, 8%. La forma e la larghezza dei tagli corrispondono.”
Kirk imprecò e si passò una mano sul viso.
“C’è qualcosa che non va, capitano.”
“Grazie, di questo me ne ero accorto anche da solo.”
“No, intendo riferirmi al tempo che è trascorso da quando abbiamo lasciato la nave. Se non sbaglio si era accordato con il signor Scott che la Galileo si sarebbe dovuta mettere in contatto con l’Enterprise allo scoccare di ogni ora. Ormai ci troviamo qui da due punto sette ore e tuttavia non sembra che abbiano ancora mandato nessuno.” Lanciò al capitano un’occhiata eloquente.
“Dobbiamo ritornare all’uscita” decise allora Kirk.
Schneider sollevò di scatto la testa. “Cosa? E Christine?”
“Al momento non possiamo fare niente per lei” disse Kirk addolorato. “Anzi, restando qui rischieremmo solo di perdere qualcun altro. Ora come ora, non abbiamo idea di dove si possa trovare e-”
“Ma non possiamo abbandonarla così!” esclamò Schneider furente.
“Purtroppo, non abbiamo altra scelta” disse Kirk avviandosi con Spock verso il corridoio. “Ritorneremo sicuramente in un secondo momento con le dovute attrezzature.”
Schneider strinse i pugni. “No.” Il capitano si bloccò. “Mi rifiuto di fare una carognata del genere.”
Kirk si girò lentamente. “Che cosa?” chiese minacciosamente avvicinandosi all’ingegnere. Schneider rimase a fissarlo in silenzio. “Non si azzardi mai più a parlarmi con questo tono, tenente.” Ora erano faccia a faccia, i nasi che quasi si sfioravano. “Mi creda, se avessi anche solo la minima idea di dove si possa trovare l’infermiera Chapel, non esiterei certo a correre in suo aiuto. Ma, nel caso non se ne fosse accorto, siamo completamente isolati e bloccati otto metri sottoterra in compagnia di uno o più micidiali esseri che aspettano soltanto l’occasione migliore per ammazzarci. Le ricordo che sono io il capitano e se dico che ce ne andiamo, ce ne andiamo. Mi ha capito bene?”     
 Schneider resse fieramente il suo sguardo e si preparò a ribattere, gli occhi scintillanti di sdegno.
“Un momento.”
Spock indietreggiò lentamente e si allontanò di qualche passo dal corridoio poco illuminato. Il suo sguardo era concentrato e attento.
“Cosa c’è?”
“Si sta avvicinando qualcosa” mormorò il vulcaniano estraendo il proprio phaser. Nel giro di mezzo secondo, un cupo gorgoglio riecheggiò nell’andito male illuminato di fronte a loro.

§---°°°°°---§

Una piccola fiala si infranse sul pavimento dell’infermeria con un penetrante rumore di vetri rotti. McCoy si appoggiò a un  lettino, la vista improvvisamente oscurata e la testa che girava in modo impressionante.
Buio.
Paura.
Un grido.
Dolore.
“Dottor McCoy, si sente bene?”
La domanda aleggiò nella mente del medico come un fantasma lontano e indistinto. Se… sto bene? pensò confuso. Il medico scosse leggermente la testa e cercò di schiarirsi le idee. Faceva improvvisamente freddo. Molto freddo.
E aveva paura.
Non sapeva neanche di che cosa, in realtà... Era una paura totalmente irrazionale e non sua.
“Dottore?” chiese esitante la stessa voce di prima. McCoy avvertì un tocco leggero sulla spalla. Quando riaprì gli occhi, incontrò lo sguardo preoccupato del dottor M’Benga.
Raddrizzandosi, il CMO fece scorrere rapidamente lo sguardo sul resto dei presenti. La stessa incertezza del giovane medico era dipinta anche sui volti di un' infermiera e di due guardiamarina seduti su altrettanti lettini.
“Avverte anche lei i sintomi dell’influenza?” si informò M’Benga guardandolo con sguardo clinico.
“No, no, sto bene, io… devo vedere immediatamente il signor Scott” mormorò McCoy ancora leggermente scosso. “Continui lei con le iniezioni. Vogliate scusarmi.”
Sottraendosi alla stretta dell’uomo, McCoy si affrettò a uscire in corridoio.
Una volta in ascensore, appoggiò la schiena contro le parete e si lasciò scivolare a sedere con il respiro affannoso. Cosa diavolo sta succedendo? pensò cercando di controllare il tremito convulso delle proprie mani.



Risposte ai commenti

MkBDiapason: Sì, quando i team di sbarco se ne vanno in esplorazione su navi deserte e ascoltano le registrazioni di gente morta in modi non del tutto sereni spaventano anche me, in effetti O_O Il destino di Smith era segnato, purtroppo ù_ù

Persefone Fuxia: Le tutine rosse che corrono allegramente incontro al pericolo non possono mancare, no? XD *ricordandosi improvvisamente dell'orrenda fine fatta da Smith si rende conto del suo commento di cattivissimo gusto e si ritira zitta zitta in un angolino* 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** CAP. V ***


L’Alieno lasciò silenziosamente il condotto di areazione e si incamminò a passo felpato lungo il  corridoio.
Stando bene attento a rimanere in penombra, si appiattì contro la parete incrostata e sondò attentamente con i suoi sensi affilati la stanza che gli si presentò davanti.
Leggermente stupito, percepì chiaramente la presenza di quattro esseri a sangue caldo.
Altre prede.
Magnifico.
Piegando un po’ la testa di lato, si concentrò sui suoni che venivano emessi da quelle strane creature: dal loro tono di voce e dall’aumento della loro frequenza cardiaca, probabilmente due di loro stavano avendo un diverbio.
Di colpo, tutte le voci si zittirono.
Era stata un’altra voce più calma e profonda a interromperli, ottenendo immediatamente tutta la loro attenzione. Alle parole dell’essere più vicino al corridoio, una scarica di adrenalina colpì gli altri suoi compagni. Probabilmente lo strano individuo era riuscito a percepire la sua presenza.
Interessante.
L’Alieno si lasciò sfuggire un secco gorgoglio di avvertimento. Ovviamente, era ben consapevole che quelle creature non sarebbero mai riuscite a sfuggirgli… erano esseri deboli, incredibilmente delicati.
La consapevolezza della sua presenza avrebbe solamente reso la caccia più eccitante.
L’Alieno percepì il movimento di quattro piccoli arti che estraevano contemporaneamente qualcosa da un fianco. Dovevano essere quelle inefficienti armi che aveva provato a usare contro di lui anche la sua preda precedente… che inutilità.
Se l’Alieno avesse avuto senso dell’umorismo, avrebbe riso di gusto.
Si impegnò, invece, nella scelta della sua prima vittima. Decise di colpire l’essere che lo aveva scoperto nell’ombra del suo nascondiglio. Visto che con un solo intervento era riuscito a zittire tutti gli altri, probabilmente rivestiva una posizione di dominio all’interno del branco. E colpire l’individuo dominante è sempre la cosa da fare per mandare allo sbaraglio l’intero gruppo.
Rapido come il vento, l’Alieno balzò nella stanza.
Anche questa volta, quei poveri esseri non riuscirono quasi a vederlo. L’Alieno registrò distrattamente le loro acute grida di terrore e percepì il lieve spostamento d’aria causato dai colpi che venivano sparati a vuoto sulla scia del suo passaggio. Strisciando rasente al suolo, si gettò di peso sul Dominante.
Inaspettatamente, l’essere riuscì a frenare l’impeto del suo potente slancio ma non poté comunque evitare che otto affilati artigli gli straziassero la parte superiore del corpo.
Fu allora che accadde qualcosa di davvero strano.
Non appena i suoi lunghi artigli si furono conficcati nella carne del Dominante, l’Alieno avvertì un’opprimente presenza nella sua mente. I suoi elementari ma rapidissimi pensieri furono colpiti prepotentemente da un’altra essenza, più elevata e logica della sua, che riuscì a penetrare a fondo nella sua testa provocando un’elettrizzante scarica di dolore che lo percorse dalla sommità del capo allungato fino alla punta della viscida coda.
Con un sibilo di rabbia, l’Alieno si staccò di colpo dall’odioso essere e scosse il massiccio cranio per fermare il dolore che continuava a scuotere le sue membra.
La sua mente lavorò a un velocità impressionante. Forse il Dominante era superiore agli altri anche mentalmente, oltre che fisicamente? E perché il suo sangue puzzava a quel modo?
Non appena il dolore si fu affievolito, l’Alieno si riscosse con un grugnito e ritornò all’attacco. Questa volta  scelse come bersaglio uno dei due esseri che prima erano sembrati in lotta tra di loro. Azzannò una delle corte ed esili braccia del Rivale e lo mandò a sbattere violentemente contro l’altro membro del branco, quello che era rimasto in silenzio per tutto il tempo.
Balzando su di loro, l’Alieno si preparò a finirli entrambi con un rapido scatto della sua seconda serie di mandibole.
Fu distratto all’ultimo secondo da un fastidiosissimo grido rabbioso proveniente dalla sua sinistra.
L’Alieno si girò di scatto in quella direzione.
Fece giusto in tempo a percepire il movimento di qualcosa che veniva lanciato davanti a lui e udire il rumore di un oggetto di vetro che si infrangeva sul pavimento.
Poi fu avvolto dalle fiamme.
Caldo.
Paura.
Bruciore.
L’Alieno si gettò di scatto contro la parete più vicina.
C’era fumo.
E faceva troppo caldo.  
Doveva scappare, sfuggire al calore che lo avvolgeva dolorosamente come una seconda pelle infuocata.
Le fiamme avevano risvegliato in lui un terrore cieco e primordiale che non poteva fare altro che assecondare. Era più forte di lui.
Umiliato dalla sconfitta, l’Alieno si fiondò con un grido disumano nel corridoio e si rintanò nuovamente nel condotto di ventilazione, lasciando dietro di se una leggera scia di sfrigolante acido verde.

§---°°°°°---§

“Cerca un laccio emostatico e del disinfettante, muoviti!” esclamò Kirk in direzione di Konrad.
Mentre l’uomo si precipitava ad eseguire l’ordine, il capitano cercò di tamponare come poteva la ferita di Schneider con il proprio impermeabile.
Era un macello. I denti aguzzi dell’Alieno erano penetrati in profondità nel braccio dell’ingegnere raggiungendo e spazzando l’osso. A quanto pareva avevano anche reciso qualche vena, vista la quantità impressionante di sangue che il ragazzo stava perdendo.
“Ce la fai a restare seduto da solo per un minuto?” chiese dolcemente al ragazzo, assolutamente dimentico della discussione avuta con lui giusto qualche minuto prima.
Schneider annuì debolmente e chiuse gli occhi, appoggiando la testa contro la parete con un gemito soffocato.
Lanciando al tedesco uno sguardo preoccupato, Kirk si alzò e si affrettò ad inginocchiarsi al fianco di Spock. Non sembrava messo meglio di Schneider.
La casacca azzurra e l’impermeabile del Primo Ufficiale erano stracciati da otto lunghe strisce di colore smeraldo. Sangue verde gocciolava ancora sul pavimento sporco, raccogliendosi in grumi scuri a contatto con la polvere. Tuttavia, era altro che preoccupava Kirk.
L’espressione sofferente e disgustata dipinta sul viso dell’amico, per esempio.
“Spock…”
Il vulcaniano teneva gli occhi serrati. Se prima gli era sembrato pallido, ora era davvero bianco come un cencio.
“Svi’… khi-gad-yem tvi-shal…” riuscì a dire a fatica. Era stato poco più di un sussurro.
“Spock, lo sai che non capisco il vulcaniano…”
Il Primo Ufficiale aprì gli occhi e lo guardò confuso. Sembrava non essersi neanche accorto di aver parlato nella sua lingua madre. “La sala mensa…” tradusse allora portandosi lentamente le mani alla testa. Deglutì rumorosamente. “È lì che ha portato Chapel.”
“Come fai a saperlo…? Ehi no. Aspetta un momento.” Kirk gli lanciò un’occhiata orripilata. “Non avrai fatto una fusione mentale con quel mostro…?”
Per tutta risposta, Spock si voltò dalla parte opposta e vomitò. Imprecando, Kirk sostenne il Primo Ufficiale mettendogli una mano sulla fronte e una sullo stomaco. Lo fece nuovamente sdraiare per terra.
“Sto meglio, capitano, davvero…” tentò di rassicurarlo Spock.
“Fammi il favore di startene disteso lì per qualche minuto, Spock, non hai certamente l’aspetto di uno che sta bene” replicò Kirk seccamente.  
Konrad aveva già applicato il laccio emostatico al braccio di Schneider e fortunatamente il flusso di sangue si era fermato. Mentre il guardiamarina teneva fermo l’ingegnere, Kirk si preparò a disinfettare il morso.
“Questo farà male, Raffael.”
Il ragazzo strinse le labbra senza dire niente. Quando sentì il bruciore del disinfettante percorrergli tutto il braccio come una bollente scossa elettrica, non riuscì a trattenere un grido.
“Perché diavolo hai fatto la fusione?” sibilò il capitano rivolto a Spock. Il tremore della sua voce rivelava chiaramente la sua preoccupazione.
“Ho pensato che sarebbe stato utile imparare qualcosa di più su questa razza a noi ancora sconosciuta” spiegò il Primo Ufficiale drizzandosi cautamente a sedere. “E, con buone probabilità, avrei anche potuto scoprire dove si trovava l’infermiera Chapel.”
“Saresti potuto impazzire, Spock. O peggio.”
“Ma non è successo.”
“Avresti almeno potuto informarmi delle tue intenzioni.”
“Avrei tanto voluto, capitano, mi creda. Purtroppo però le circostanze non lo hanno permesso.”
Kirk sbuffò, esasperato. “Che cos’hai scoperto su questi mostri schifosi?” chiese tamponando ancora un po’ il braccio di Schneider
“Sono estremamente violenti” evidenziò Spock. Il vulcaniano fu percorso da un brivido di ribrezzo al ricordo della sensazione che aveva provato al contatto con la mente malsana dell’Alieno. “Ed evidentemente sono infastiditi dall’odore del mio sangue. La loro struttura sociale è simile a quella delle api terrestri: la regina depone le uova e gli esseri che nascono infettano l’organismo ospite inserendo al suo interno una larva, che cresce nutrendosi delle stesse carni dell’individuo. Il processo di sviluppo dell’embrione è relativamente veloce.”
Kirk bendò il braccio di Schneider legandoglielo strettamente al busto. L’ingegnere si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo e tornò ad accasciarsi contro la parete, esausto.
Kirk passò a medicare Spock. “Quanti sono?” gli chiese passandogli la garza imbevuta di disinfettante sui tagli.
Spock serrò la mascella ma non si ritrasse al contatto indesiderato. “L’esemplare contro cui abbiamo combattuto poco fa è l’unico xenomorfo rimasto, oltre alla regina. Per nostra fortuna, questi esseri sono così violenti da essere arrivati a sterminarsi a vicenda.”
“Almeno questo” borbottò Kirk.
“A proposito, mi complimento per il suo geniale stratagemma. Infiammare del Vikodin è stata una trovata molto astuta.”
“Non avevamo niente da perdere” constatò Kirk scrollando le spalle. Fortunatamente, la quantità di liquido infiammato era stata talmente irrisoria da essere arrivata a spegnersi da sola nel giro di qualche secondo. Ma la fiammata iniziale era stata spettacolare. “Sei sicuro di stare bene?” sussurrò Kirk voltando le spalle agli altri due uomini e studiando il volto del vulcaniano con attenzione.
“Certo, capitano.”
Kirk rimase a fissarlo per qualche secondo, dubbioso.  
“Ci sono rimasti due soli phaser, signore” lo informò preoccupato Konrad dirigendosi verso di loro. Kirk si alzò immediatamente e si voltò per fronteggiarlo. “Quello del signor Spock è andato distrutto tra le fiamme, mentre quello di Schneider se l’è mangiato quel figlio di puttana. Ha distrutto anche il tricorder.”
“Il phaser di Smith?”
“Non sono riuscito a trovarlo. Probabilmente si è mangiato anche quello.”
Kirk annuì brevemente e spostò lo sguardo su Schneider, sorretto per la vita da Konrad.
Il giovane ingegnere lo fissò di rimando.
“Se la sente di camminare, tenente?”
“Certo, signore.” Il tedesco si drizzò a fatica sulle gambe malferme e oscillò un po’. Stringendo i pugni, lanciò al capitano uno sguardo risoluto. Nonostante il dolore sarebbe sicuramente stato pronto a intavolare un’altra discussione con il suo superiore, non c’era alcun dubbio.
Kirk sorrise stancamente. “Ha vinto lei, allora. Andremo a salvare la sua bella.”

§---°°°°°---§

Prima di uscire dall’infermeria, Konrad strappò una delle tante tendine grigie e coprì delicatamente il corpo senza vita di Smith.
L’addetto alla Sicurezza rimase per qualche secondo a fissare il triste e consunto fagotto, pregando in silenzio per l’anima di quella povera donna e per il suo bimbo mai nato. In realtà non aveva mai pregato in vita sua, ma sperava ardentemente che Dio, se mai ne fosse davvero esistito uno, avrebbe avuto pietà di loro e ascoltato il suo disperato quanto sincero appello.
Quando Konrad si voltò, i suoi occhi erano lucidi e il viso era contratto nel tentativo di non cedere al dolore. Kirk gli appoggiò una mano sulla spalla, rattristato.
“Mi dispiace per la sua perdita” mormorò allora Spock.
Sia Konrad che Schneider lo guardarono stupiti.
Kirk si limitò a sorridere tristemente. “Andiamo.”



Mmmmmh, per questo capitolo ero davvero poco ispirata ò_o Spero che la descrizione dell'attacco dal POV di Alien non sia troppo caotica, rileggendolo mi viene qualche dubbio al riguardo... ù_ù


Risposte hai commenti


Rei Hino: Sì, indossare una divisa rossa è come avere tatuato in fronte "morto che cammina" XD Grazie, cerco davvero di fare del mio meglio... e se ami gli splatter di serie B, allora questa è la tua storia XD

MkBDiapason: Le descrizioni che faccio sono agghiaccianti? Bene, bene, bene... *si sfrega le mani con aria soddisfatta* Perfetto! XD

Persefone Fuxia: Chiamalo pure "il gioco Alien e prede senza speranza", prego ^^

Fatanera: Che bello che mi segui anche tu! *batte le mani estasiata* Sono davvero contenta che la storia ti intrighi! Il POV di Alien dovevo mettercelo assolutamente... insomma: è a tutti gli effetti uno dei personaggi principali della fic, no? ^^ Credo che Schneider e Jim abbiano un carattere così testardo che probabilmente non è stata poi un'idea così brillante portarli giù insieme... mi stupisci, Spock. Avresti dovuto pensarci! XD 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** CAP. VI ***


I quattro uomini procedettero nella penombra con estrema circospezione, ben attenti a non fare il minimo rumore che potesse tradire la loro silenziosa presenza.
Durante il tragitto verso la sala mensa non incontrarono alcuna traccia dell’Alieno. Tutto intorno a loro regnava un assordante silenzio, intervallato di tanto in tanto da una soffocata raffica di vento o da un secco crollo riecheggiante in lontananza.
Ogni minimo rumore era sufficiente per farli sobbalzare e trattenere il fiato, tanto erano tesi. Tranne Spock, in realtà, dal momento che il vulcaniano riusciva straordinariamente a mantenere una parvenza di calma nonostante la disgraziata situazione.
Una cosa a dir poco lodevole, pensò Schneider. Lanciò al Primo Ufficiale un’occhiata furtiva. Doveva ammettere che il commento che aveva fatto a Konrad poco prima di lasciare l’infermeria lo aveva spiazzato. Si era forse sentito in colpa per la sua precedente mancanza di tatto? No, sarebbe stata una reazione illogica da parte sua. E allora come si spiegava il bizzarro comportamento di Spock? Dal tono di voce gli era sembrato sincero. Era possibile che il vulcaniano provasse davvero qualche emozione, nel profondo del suo animo?
Si era davvero sbagliato sul suo conto?
All’improvviso, il braccio ferito dell’ingegnere fu percorso da una lancinante fitta di dolore. Trattenendo il respiro, Schneider chiuse gli occhi di scatto e serrò la mascella.
“Tutto okay?” bisbigliò Konrad preoccupato.
"Non è niente…" sibilò Schneider tra i denti.
Puoi sopportarlo, concentrati. Vai avanti.
“Vuole che facciamo una pausa?” chiese subito Kirk.
“No, no… sto bene” sussurrò l’ingegnere di rimando.
Christine poteva avere i minuti contati e lui non avrebbe certo perso del tempo prezioso riposandosi. Dovevano ritrovarla a tutti i costi.
Il Primo Ufficiale lanciò al giovane tenente un’occhiata penetrante. Senza dire una parola, si limitò ad incamminarsi nuovamente lungo lo stretto corridoio male illuminato.
Schneider scrutò confuso la schiena del suo superiore. Dallo sguardo che gli aveva lanciato, era evidente che fosse a conoscenza del fatto che aveva appena mentito sulle sue condizioni fisiche… tuttavia, non aveva insistito per fermarsi. Perché?
Più ci pensava, meno riusciva a capire che cosa passasse per la testa di quel vulcaniano.

§---°°°°°---§

Il ragazzo non stava affatto bene.
Spock l’aveva capito subito, ancora prima di guardarlo. Era in grado di percepire chiaramente i battiti troppo veloci del suo cuore, i suoi respiri spezzati, la sua andatura strascicata. Perfino la sua temperatura corporea si stava alzando in maniera preoccupante.
Dovevano raggiungere la sala mensa in fretta, o la sua situazione si sarebbe aggravata irreparabilmente. E lo stesso valeva anche per Chapel.
Ignorando il bruciore che gli infiammava il petto, il vulcaniano osservò attentamente la piccola mappa tridimensionale che fluttuava appena sopra il suo polso.
 A quanto pareva erano quasi arrivati. Bene.

§---°°°°°---§

La sala mensa della nave U.S.S. Patience era a dir poco irriconoscibile.
Tutte le pareti del locale erano interamente ricoperte da una spessa coltre di un materiale grigio-verdognolo non meglio identificato, che oscurava parzialmente anche le lampade al neon. Lo spessore di quella sostanza aumentava considerevolmente in corrispondenza di quelli che a prima vista si sarebbero potuti definire come enormi bozzoli, larghe protuberanze che rompevano la continuità delle pareti. Il pavimento sporco, invece, era ricoperto da una miriade di strane uova di consistenza poco più che gelatinosa da cui partivano vari tentacoli che si ramificavano fin dentro ai numerosi nodi bitorzoluti.
Era uno spettacolo disgustoso.
I quattro uomini avanzarono con circospezione nel locale semi-buio. Si mossero silenziosamente evitando le uova e mantenendosi il più possibile rasenti alla pareti, nel tentativo di non tradire in alcun modo la propria presenza.
Alla vista di una mano ossuta e rinsecchita che sbucava da uno dei tanti bozzi, Kirk strinse convulsamente la propria arma. Dio, quei cosi contenevano delle persone. Innocenti ed indifesi esseri umani.
Un improvviso gemito alle sue spalle gli fece drizzare i capelli sulla nuca.
Immediatamente si voltarono tutti e quattro in quella direzione, Kirk e Konrad con i phaser spianati pronti a fare da scudo a Schneider e a Spock.
I fragili lamenti continuarono. Erano deboli, impercettibili quasi, ma sembravano provenire distintamente da uno dei bozzoli appiccicati alla parete ovest.
Dimentico del dolore, Schneider scattò in quella direzione. Ignorando i soffocati richiami di avvertimento degli altri,  incominciò a squarciare ossessivamente con il suo unico braccio buono i fragili e appiccicosi fili che componevano la disgustosa matassa.
“Christine!” esclamò con voce soffocata dall’emozione.
“No! Basta, ti prego… s-smettila…” piagnucolò lei voltando il viso dall’altra parte.
Schneider afferrò con decisione il mento dell’infermiera e si sforzò di usare un tono fermo. “Christine. Apri gli occhi, piccola… Avanti. Guardami.”
La donna aprì a fatica gli occhi gonfi e arrossati dal pianto. Non appena realizzò chi aveva davanti, il suo volto si illuminò e le sue labbra incrostate di sangue rappreso si incurvarono, assumendo la parvenza di un sorriso. “Rafe… sei proprio tu?” sussurrò incredula.
Schneider fu colto da un moto di sollievo. Era viva.
C’era davvero ancora speranza.
L’ingegnere si fece da parte mentre Kirk e Konrad finivano di liberare la donna e la adagiavano delicatamente al suolo. Mettendole una mano sul volto e una sul ventre, Spock la fissò con uno sguardo concentrato.
“Come sta?” chiese Schneider scostandole gentilmente un ciuffo biondo dalla fronte sudata.
Spock aggrottò le sopracciglia. “Le rimangono al massimo un paio di ore di vita, l’embrione è quasi interamente formato.”
I tre umani guardarono con orrore il vulcaniano.
“Vuoi dire che ha dentro uno di quei… cosi…?” chiese Kirk sconcertato.
Spock lo guardò gravemente. “Va estratto prima che si faccia strada da solo verso l’esterno.”
“Forse se la portiamo in tempo sull’Enterprise, Bones sarà in grado di …”
“Capitano!” esclamò improvvisamente Konrad con tono urgente.
Il guardiamarina stava puntando il suo phaser dritto contro una delle uova, la cui superficie molliccia e filacciosa si era appena aperta in quattro pccole membrane triangolari. Una miriade di rigagnoli trasparenti colarono sul pavimento in un disgustoso sciaquio.
Spock si alzò e si posizionò con fare protettivo davanti all’infermiera svenuta e all’ingegnere inginocchiato al suo fianco. “Ma cosa diavolo…” incominciò Schneider.
Accadde tutto in rapida successione.
Dall’uovo appena schiuso spuntarono un paio di tentacoli marroncini, che artigliarono l’aria cercando appoggio per non scivolare. Poi, con un agghiacciante risucchio, un piccolo disco rugoso di colore slavato seguì i tentacoli e si gettò sui quattro ad una velocità impressionante.
Konrad e Kirk fecero fuoco contemporaneamente.
Schizzi di acido verde piovvero su di loro e su Spock, cominciando lentamente a sciogliere i loro indumenti.
Con un grido soffocato, Kirk e Konrad si levarono freneticamente gli impermeabili fumanti. Spock lottò per liberarsi della sua maglietta ormai stracciata e la gettò a terra insieme agli altri vestiti. Gli indumenti continuarono a sfrigolare, intaccando anche il metallo su cui erano appena stati gettati.
Altre uova cominciarono a tremolare.
“Via, via!” gridò Kirk.  
La voce del capitano fu sormontata da un ringhio disumano che squarciò improvvisamente l’aria e riecheggiò in modo sinistro nell’ambiente vuoto.
“La regina ci ha scoperti” mormorò Spock con lo sguardo fisso nel nulla.
“Muoviamoci!” gridò allora Kirk.
Con una fluida mossa, Spock prese in braccio l’infermiera svenuta e si precipitò insieme agli altri verso il corridoio da cui erano venuti.
“Spock, sei sicuro di riuscire a…?” iniziò Kirk voltandosi. I suoi occhi si allargarono alla vista delle sottili zampe artigliate che erano sbucate silenziosamente dall’alto dell’imboccatura del corridoio. “Attenzione alle spalle!” urlò con quanto fiato aveva in gola.
Konrad non fece in tempo a scansarsi. L’Alieno risucchiò dall’alto l’uomo urlante e cominciò a trascinarselo dietro mentre scalava rapidamente la parete appiccicosa.
Con uno scatto fulmineo, Kirk si gettò in avanti e afferrò le gambe penzoloni di Konrad. Tentò con tutte le sue forze di riportarlo a terra, strattonandolo, sparando colpi nel vuoto, ma l’Alieno era troppo forte. Nel giro di qualche secondo, si ritrovò anche lui ad un metro da terra, le gambe agitate nel disperato tentativo di trovare un appiglio a cui agganciarsi.
Era così concentrato nel non mollare la presa che quasi non si accorse che le gambe di Konrad avevano smesso di agitarsi e le sue agghiaccianti grida disarticolate erano cessate.
Con un sibilo di frustrazione, Kirk lasciò andare il corpo ormai senza vita dell’uomo e cadde pesantemente sulla schiena.
Schneider lo afferrò debolmente per un braccio e lo aiutò ad alzarsi.
“Ormai non può fare più niente per lui” disse l’ingegnere con voce spezzata, spingendolo verso la fine del tunnel.
I due uomini raggiunsero di corsa Spock, che li stava aspettando qualche metro più in là, e si precipitarono insieme verso la fine del lungo corridoio. Dopo aver svoltato speditamente l’angolo, si fiondarono nel condotto principale costantemente inseguiti dall’eco dei rapidi passi dell’Alieno.
“È nel condotto di areazione!” esclamò Spock ansimando.
Un violento scossone fece tremare l’intera nave. E poi un altro. E un altro ancora.
“Ma cosa-” tentò di dire Kirk.
“Attenzione lassù!” gridò Schneider gettandosi pesantemente addosso a Spock.
Lo sbrago già presente sulla parete destra del tunnel si allargò con un atroce stridio. Una marea di rocce, pietre e sassi di varia grandezza si riversò con un rombo nell’ampio corridoio.
Tossendo per la polvere sollevata, Schneider si rialzò in piedi a fatica e si aggrappò alla parete per non cadere. Gli girava la testa da morire. “Signor Spock, Christine…?” chiese alla cieca con voce roca.
“Siamo qui” rispose la voce profonda del Primo Ufficiale. “Capitano?” chiamò poi il vulcaniano.
Non ottenne alcuna risposta.
“Capitano!” Schneider si avvicinò al cumulo di macerie e cominciò debolmente a spostare qualche masso.
“Jim!” chiamò Spock a voce più alta. Si concentrò nel tentativo di percepire un rumore, un sospiro, qualsiasi cosa che potesse indicare che Kirk era ancora vivo.
Non sentì nulla, a parte i rantoli soffocati di Schneider che continuava illogicamente a scavare nonostante il silenzio di tomba che aleggiava dall’altra parte della barriera.
“Tenente, interrompa immediatamente la sua azione” disse il Primo Ufficiale con freddezza.
Schneider si voltò e gli lanciò uno sguardo disperato. “Ma noi non possiamo… il capitano è…” Si interruppe alla vista dell’immenso dolore presente negli occhi scuri del vulcaniano.
“Dobbiamo portare subito l’infermiera Chapel alla Galileo e lei non è certo nelle condizioni di sopportare uno sforzo fisico del genere.”
Gli occhi di Schneider, già lucidi per la febbre, si bagnarono ulteriormente. Con un groppo in gola, l’ingegnere annuì mestamente e si alzò con un sospiro di dolore.
Gettando un ultimo, scoraggiato sguardo al cumulo di macerie, Spock e Schneider si avviarono a capo chino verso l’uscita.




Scusate, Spock senza maglietta volevo mettercelo a tutti i costi XD Anche se in realtà è mezzo fasciato come una mummia, quindi si vede poco... ò_o Comunque l'idea di lui senza giubba mi piaceva troppo!
I prossimi capitoli li avevo già scritti da un po', quindi cercherò di postarli più velocemente!







Risposte ai commenti:


Persefone Fuxia: Sì, le tonnellate di sangue erano implicite nella sola presenza di Alien XD Chapel è salva (beh, per modo di dire... =_="), ora il vero problema sarà uscire vivi dalla nave fantasma...

Fatanera: Qui Spock fa pena anche a me T_T Ma ci vuole ben altro per scalfire la sua dura scorza vulcaniana... come la consapevolezza di perdere Jim. Adesso è davvero preoccupato, te lo dico io ù__ù

Rei Hino: Ahahah, infatti il nostro bel vulcaniano ha la brutta abitudine di fondersi con qualsisi cosa sia dotata di movimento... e Jim deve costantemente fare i conti con le conseguenze ò_o Ovviamente si preoccupa per lui, Spock non si lamenterebbe neanche se stesse seriamente per morire! Eh, vedi che non avere Len nelle vicinanze porta male... XD

MkBDiapason: Dottor House Forever! Non lo guardo spesso perché quel telefilm mi fa venire l'ansia, ma il personaggio in sè lo adoro! Una sorta di moderno Sherlock Holmes all'ennesima potenza... ^o^

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** CAP. VII ***


La prima cosa che Kirk avvertì fu una fastidiosa sensazione di vertigine, immediatamente seguita da una lancinante fitta alla nuca.
Era un dolore acuto, martellante, che a ogni nuova ondata percorreva tutta la lunghezza della sua spina dorsale e si ramificava lungo le costole togliendogli il respiro. Tentò di girarsi supino, ma un paio di grossi massi gli inchiodavano i piedi al suolo impedendogli qualsiasi movimento.
“Spock! Schneider!” gridò senza fiato.
L’unica risposta che ottenne fu quella fredda e confusa dell’eco. Maledizione, pensò. Sperò con tutto se stesso che i suoi due compagni non fossero rimasti sepolti sotto il cedimento.
Inveendo contro qualsiasi cosa avesse provocato quei fatali scossoni, tirò bruscamente le gambe verso il proprio petto e sentì qualcosa cedere all’interno del cumulo di macerie. Con un paio di violenti strattoni, Kirk riuscì a liberarsi definitivamente dalla morsa della roccia.
Gemendo per il dolore, si affrettò a rotolare lontano dal cumulo di rocce per schivare la miriade di sassi e pietruzze che i suoi bruschi movimenti avevano fatto franare.
Dopodiché tentò di rialzarsi, barcollante, e constatò con un lieve sospiro di sollievo che fortunatamente non sembrava avere nulla di rotto. Già, è una fortuna pazzesca, pensò con sarcasmo. Era chiuso lì sotto da solo con quel mostro e una dannatissima frana aveva bloccato la sua unica possibile via d’uscita. Cosa diavolo avrebbe potuto fare adesso?
Kirk trasse un profondo respiro e si sforzò di ragionare a mente lucida.
Ormai Spock e Schneider sarebbero già dovuti essere a bordo della Galileo. Sempre supponendo, ovviamente, che fossero ancora vivi… il capitano scacciò questo pensiero con un cenno infastidito del capo.
Spock era vivo, ne era certo. Non poteva essere altrimenti.
Logicamente, la prima cosa che il vulcaniano avrebbe ordinato una volta raggiunta l’Enterprise, sarebbe stato di sparare contro il relitto per cancellare completamente dalla faccia del pianeta quelle bestiacce schifose. Avrebbe fatto saltare in aria il velivolo fantasma, insomma. Con lui dentro. Sì, era la cosa più logica che Spock avrebbe potuto fare…  
Era spacciato, dunque.
A meno che…
Una strana idea si fece strada nella sua mente. Per regolamento, ogni nave della Flotta doveva avere almeno un deposito di scorie, a bordo. Quegli speciali magazzini erano rivestiti da uno strato di adamantite spesso un paio di metri che li isolava completamente dall’esterno ed erano stati progettati per contenere al loro interno materiali pericolosi o radioattivi con cui la nave sarebbe potuta entrare in contatto…
Forse sarebbe valso anche il processo inverso. Magari, se lui vi si fosse chiuso dentro, sarebbe stato in grado di sopravvivere all’esplosione, probabilmente attutita anche dalle rocce nelle quali la nave era incastonata… Un piano certamente originale ma che, a rigor di logica, avrebbe senz’altro potuto funzionare.
Non aveva più nulla da perdere, dopotutto.  

§---°°°°°---§

L’Alieno sia arrestò per un momento e rimase in ascolto.
La Regina aveva davvero avuto un’idea geniale, doveva ammetterlo. Con quella seria di violenti scossoni aveva bloccato la via di fuga agli esseri a sangue caldo e li aveva mandati totalmente allo sbaraglio.
Il gruppo era stato diviso dal repentino crollo di una parete, questo era ovvio.
L’Alieno aveva potuto capirlo facilmente dalle grida di richiamo che il Dominante e il Rivale avevano lanciato in direzione della barriera rocciosa e dai loro goffi quanto inutili tentativi di scavare per rimuovere l’ostacolo. Poi, finalmente, si erano dati per vinti e avevano deciso di abbandonare il loro compagno, andandosene insieme all’Ospite.
Una mossa molto intelligente, in effetti. E utile per lui, anche, visto che ora aveva a sua disposizione una preda isolata a cui dare tranquillamente la caccia.
E non una preda qualunque, no… proprio la Creatura del Fuoco. L’Alieno non avrebbe certo potuto chiedere di meglio: avrebbe avuto la sua giusta vendetta sull’essere che durante il loro primo scontro lo aveva costretto a fuggire precipitosamente con la coda tra le gambe.
Si preannunciava una caccia interessante, non c’erano dubbi.
L’Alieno interruppe i suoi rapidissimi pensieri.
Aveva udito un rumore, da qualche parte davanti a lui. Una decina di tunnel più avanti, in linea d’aria. Erano i grevi e leggermente strascicati passi della Creatura del Fuoco. A quanto pareva si stava dirigendo verso sud.
Chissà che cosa aveva in mente. Non era affatto un avversario da sottovalutare: questo l’aveva ampiamente dimostrato in precedenza.
Con un guizzo nervoso della massiccia coda, l’Alieno iniziò l’inseguimento.

Raggiunse la sua preda nel giro di un paio di minuti.
La Creatura del Fuoco si stava muovendo nervosamente avanti e indietro di fronte a una grande parete rocciosa. I suoi soffocati gemiti di frustrazione riecheggiarono lungo il corridoio e suonarono dolci come musica, per lui.
L’Alieno fu percorso da un’ondata di soddisfazione.
Presto avrebbe avuto la sua vendetta. Oh sì, gliela avrebbe fatta pagare davvero cara per il suo affronto. Nessuno era mai riuscito ad avere la meglio su di lui, neanche all’interno della sua stessa specie. E tra la Creatura del Fuoco e l’Alieno, il più forte era sicuramente quest’ultimo, non c’erano dubbi.
Glielo avrebbe dimostrato. Avrebbe squarciato brutalmente quelle sue tenere e fragili ossa con un unico e fulmineo gesto delle sue possenti zampe.
L’Alieno si accucciò a pochi metri dalla Creatura del Fuoco e rimase per un momento a studiarla, cauto. Poi emise un leggero gorgoglio di avvertimento, che le pareti spoglie amplificarono facendolo risuonare come un cupo ringhio.
La Creatura del Fuoco si voltò di scatto verso di lui, trattenendo il respiro.
L’Alieno sollevò senza fretta la testa e fiutò l’aria, assaporando l’inebriante profumo di paura che ora gli aleggiava appetitosamente intorno.
Allora la Creatura del Fuoco sibilò qualcosa a mezza voce e sfoderò un oggetto dal retro di una delle sue corte e impacciate gambe. Dal suono che la cosa produsse fendendo l’aria, l’Alieno capì che si doveva trattare di un oggetto aguzzo ed affilato.
Nulla che sarebbe riuscito a penetrare la sua indistruttibile corazza, comunque.
La Creatura del Fuoco gridò contro l’Alieno con quanto fiato aveva in gola, sputandogli addosso tutta la sua rabbia e la sua frustrazione.
Un chiaro segno di sfida.
L’Alieno non aspettava altro.
Spalancando le sue enormi fauci, si scagliò fulmineamente contro la sua preda con tutta l’intenzione di concludere vittoriosamente quella caccia.
Ma accadde qualcosa di inaspettato.

§---°°°°°---§

Kirk serrò gli occhi, preparandosi al tremendo impatto.
Che però non venne.
Sollevò le palpebre di scatto. Tutto quello che fece in tempo a vedere fu un getto di fiamme bollenti che colpiva il mostro deforme, ora agonizzante a terra in una pozza di acido. Prima ancora di avere il tempo di capire che cosa fosse accaduto, un paio di forti braccia lo afferrarono dall’alto e lo trascinarono di peso oltre il buco presente sul soffitto.
Traballante, Kirk tentò di rimettersi in piedi ma sbatté violentemente la testa contro la bassa parete di uno stretto tunnel. Imprecando a bassa voce, nella penombra riuscì a scorgere un volto dai lineamenti famigliari.
“Spock!” esclamò con stupore misto a gioia. Il capitano posò automaticamente una mano sul braccio destro del vulcaniano, serrando la stretta come ad accertarsi che il suo Primo Ufficiale si trovasse di nuovo lì al suo fianco. Dire che era sollevato sarebbe stato un eufemismo. “Schneider e Chapel sono…?”
“Al sicuro” tagliò corto Spock cominciando a strattonarlo rudemente verso la fine dello stretto tunnel. “Non abbiamo tempo, Jim, il fuoco l’ha solo rallentato.”
Il soffitto era così basso che per avanzare dovettero procedere a carponi. Questo impedimento riduceva drasticamente la loro velocità di fuga, ma i due cercarono comunque di mettere più distanza possibile tra loro e le penetranti grida di dolore dell’Alieno.
“È un lanciafiamme al plasma, quello?” chiese Kirk boccheggiando e lanciando una rapida occhiata all’ingombrante arma che il vulcaniano portava a tracolla.
“Lo abbiamo trovato nel deposito armi della Galileo” rispose Spock ansimando leggermente. “È un modello un po' datato, ma è servito al suo scopo.”

§---°°°°°---§

Lo avevano fatto di nuovo!
L’Alieno ruggì di rabbia.
Quegli insignificanti esseri erano riusciti ancora una volta a sfuggirgli, utilizzando, per di più, quello stesso, dannato trucchetto del fuoco!
Male.
Non poteva accettarlo.
Proprio no.
Bruciore.
Dolore.
Per l’Alieno esisteva solo quello ora: un atroce dolore che gli bruciava gli arti, la corazza, il cranio, mentre il suo stesso sangue lo ustionava e si faceva strada dentro di lui come una miriade di coltelli bollenti.
L’Alieno si erse sulle zampe posteriori e ruggì ancora, scrollandosi gran parte dell’acido di dosso.
Strisciò sibilando dentro al buco in cui quei maledetti erano spariti. Ignorando il dolore che lo martoriava a ogni sfregamento contro le pareti del ristretto ambiente, si concentrò su un unico pensiero: uccidere.
Uccidere gli esseri inferiori che avevano osato ridurlo così. A qualsiasi costo.
Avvertì del movimento a circa metà del condotto. Si fiondò in quella direzione guidato solo dalla sua furia cieca e dalla sua sete di sangue, frustando l’aria con la micidiale coda dentellata.
Poteva percepire il profumo della Creatura del Fuoco e la nauseante puzza del Dominante farsi sempre più intensi.
Il tunnel, però, sembrava ora stranamente vuoto. Se ne erano forse già andati?
Assolutamente no, non poteva permettere loro di uscire! pensò l’Alieno nel delirio della sete e del dolore.

§---°°°°°---§

Non appena Kirk e Spock ebbero svoltato l’angolo, le grida disarticolate del mostro cessarono di colpo. Qualche secondo dopo, vennero sostituite dall’agghiacciante suono di una serie di rapidi passi concitati e dallo stridio di qualcosa che strusciava rumorosamente contro le pareti.
L’orribile ticchettio si fece sempre più vicino.
Troppo vicino, pensò Spock. Di questo passo, non ce l’avrebbero mai fatta a raggiungere in tempo il passaggio che era riuscito ad aprire nella parete metallica con il phaser. Era troppo distante.
“Da questa parte!” gridò allora il vulcaniano strisciando in un piccolo tunnel secondario che si diramava alla loro destra. Nel giro di una frazione di secondo, si sporse oltre la fine dello stretto cubicolo e si lasciò cadere con un agile balzo dall’altra parte. Si alzò in punta di piedi per aiutare anche Kirk a uscire.
Il capitano si era già sporto con mezzo busto dall’apertura, quando si arrestò di colpo. Il suo volto si contorse in una smorfia di dolore.
“Mi ha preso!” Kirk cercò di dimenarsi per liberare la gamba bloccata. L’Alieno non mollò la presa.
Spock abbracciò saldamente il capitano e cercò di trascinarlo verso di lui. “Resisti, Jim!”
Kirk urlò di dolore. La superiorità della forza dell’Alieno era schiacciante, non sarebbero riusciti a resistere ancora a lungo.
Poi, senza alcun preavviso, lo xenomorfo mollò la presa.
Con un grido soffocato, Kirk volò dritto addosso a Spock. Sbilanciati dalla loro stessa forza, rovinarono entrambi su un’arrugginita grata metallica che cedette con un inquietante cigolio.
Con un grido, i due uomini precipitarono nel buio.

§---°°°°°---§

Era finalmente riuscito a prenderlo, quello schifosissimo insetto.
L’Alieno cercò di trascinare la Creatura del Fuoco verso di sé, ma c’era qualcosa che opponeva resistenza. Il Dominante, probabilmente.
Poco male. La Creatura del Fuoco sarebbe morta squarciata entro pochi minuti.
Avrebbe comunque vinto lui.
Ad un certo punto, un odore pungente colpì l’Alieno. Era un profumo muschiato e amaro, aspro ma dolce, brusco e intenso al tempo stesso.
Un odore che l’Alieno conosceva molto bene.
Oltre il condotto c’era la sua Regina, realizzò con un moto di stupita soddisfazione. Era stato così preso dalla caccia che non aveva notato la vicinanza del Nido.
Un pensiero tanto astuto quanto sadico prese forma con violenza nella mente malsana dell’Alieno. Ci avrebbe pensato lei a uccidere i due bipedi. E successivamente avrebbe anche dovuto riconoscere che era stato lui a portarle quelle due prede succulente.
Le creature sarebbero morte e contemporaneamente lui sarebbe cresciuto in valore agli occhi della sua Regina.
Un piano a dir poco geniale.
Con un gorgoglio soddisfatto, l’Alieno lasciò la presa. Udì la Creatura del Fuoco sbattere violentemente contro il Dominante. Poi un cigolio, un rumoroso clangore e un grido.
In silenzio, si accucciò appagato. Presto avrebbe udito le urla agghiaccianti dei due esseri.
E lui si avrebbe assistito in prima fila allo spettacolo.





Il depisito di scorie è ovviamente una mia invenzione ù__ù  Spero che la sua presenza non sia troppo improbabile: comunque avrebbe una grande utilità sulla nave ^^ E i lanciafiamme ce li avranno nel 23^ secolo?

Boh XDDDDD






Risposte ai commenti


Rei Hino: Oddio, cara, la crisi epilettica no! ò____o  Sorry, sorry, non volevo causarti così tanto maleeeeee... XD Ma Spock ha ritrovato Jim, no?  (tralasciando il fatto che sono volati tutti e due giù da una balaustra... =____=") Comunque ci sto: ridisegnamo le uniformi della Flotta! Secondo me ci vorrebbero dei tessuti un po' più trasparenti e dei pantaloni di pelle attillati (sebbene siano pericolosamente stretti già quelli normali, dopotutto XD)  E ovviamente bisognerà usare Spock, Jim e Bones come modelli... Però ho come il sentore che le alte sfere non approveranno facilmente la nuova collezione XDDD

MkBDiapason: Ahahah, hai ragione, Schneider che chiama Chapel "piccola" è tanto buffo e tenero >W<  Sì, siamo finalmente arrivati al prologo! Ormai non manca più tanto alla fine della storia... e Bones lo ritroveremo nel prossimo capitolo ^^

Fatanera: Verità innegabile, noi slasher siamo ASSOLUTAMENTE senza cuore in certe situazioni =__=" Però Jim è ritornato fra le braccia del suo folletto, visto? ^^


Persefone Fuxia: Convengo con te, è roba davvero schifosa quella ò_______o  Nei film di Alien le uova sono davvero da voltastomaco (ma soprattutto i mostriciattoli allo stadio intermedio... sembrano delle specie di grossi e viscidi ragni spigolosi O___o)
 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** CAP. VIII ***


L'impatto fu parzialmente attutito da una grande quantità di acqua.
Il gelido liquido colpì con violenza il torace di Kirk, che rimase senza fiato e fluttuò scompostamente per una frazione di secondo, stordito. Toccato il solido fondo con i piedi, il capitano si riscosse dallo shock e si diede una forte spinta verso l’alto. Artigliando disperatamente l’acqua con le mani, lottò per ritornare in superficie.
Riemerse boccheggiando e aprì a fatica gli occhi congestionati dal freddo. Era buio pesto.
“Spock!” chiamò. Udì un paio di forti colpi di tosse e uno sciacquio poco lontano da lui.
“Sono qui…” rispose una voce soffocata alla sua sinistra.
“Resisti, sto arrivando!” Con un paio di energiche bracciate, Kirk cercò di raggiungere alla cieca il suo Primo Ufficiale. Qualche secondo dopo, urtò contro qualcosa di morbido e tiepido che si agitava convulsamente nell’acqua.
“Tranquillo, Spock, ti tengo…” Kirk afferrò il vulcaniano per la vita e lo sorresse.
Spock tossì ancora e si aggrappò al collo del capitano, il respiro leggermente affannoso. “Grazie…”
“Dove diavolo siamo finiti?” chiese Kirk voltando la testa da una parte e dall’altra nel tentativo di scorgere qualcosa nell’oscurità che li circondava. “E cos’è tutta quest’acqua?”
“N-non saprei” rispose il vulcaniano con voce tremante. “Potrebbe esserci una falla da qualche parte che lascia filtrare l’acqua piovana. Aspetta, dovrei avere una torcia con me…”
Con il braccio ancora ben saldo attorno al collo di Kirk, Spock cercò qualcosa alla sua cintura. Poco dopo, una piccola lampada al neon illuminò l’acqua intorno a loro e Spock la sollevò sopra la propria testa per aumentarne il raggio d’azione.
Trattennero entrambi il respiro.
Un ampio tratto di pavimento rialzato, distante da loro un paio di metri, era completamente ricoperto di uova gelatinose. Dio, no, pensò Kirk sgomento. Erano ritornati nella tana del mostro.
Erano completamente circondati e senza via d’uscita.
I due amici non fecero neanche in tempo a muovere un solo muscolo che un basso e cupo ringhio squarciò l’aria. Dall’ombra di fronte a loro emerse una gigantesca figura dai lineamenti grotteschi e ludici, che si appiattì al suolo e fece schioccare nervosamente una zampa sul pavimento. Era molto simile allo xenomorfo che li aveva ripetutamente attaccati nelle ultime ore, ma differiva da esso per la grandezza del corpo e per la forma della testa, che era più larga e appiattita. Il nuovo mostro fece scattare minacciosamente le sue possenti mandibole ornate di zanne nella loro direzione.
“Oh merda…” mormorò Kirk.
“La regina” constatò Spock in un sussurro. Nonostante il ferreo autocontrollo del vulcaniano, la sua voce tradiva una certa agitazione.
I due compagni passarono i secondi successivi in uno stato di quasi totale immobilità. La regina continuò a fissarli e a ringhiare contro di loro dibattendo la coda, frustrata.
“Perché non ci attacca?” biascicò Kirk. L’acqua fredda gli aveva intorpidito tutto il corpo, tanto che ormai aveva difficoltà anche solo ad articolare le parole.
“Non lo so. La mente dello xenomorfo si è ritratta prima che potessi completare la mia analisi” rispose Spock rabbrividendo. Illuminò con la torcia una porzione di muro alle loro spalle. “Guarda, laggiù c’è una scala. Se riuscissimo a raggiungerla, forse…”
“D’accordo, andiamo” sbuffò Kirk. Trascinando con sé il vulcaniano, cominciò a nuotare per raggiungere la scaletta.
All’improvviso, un uovo tremolante si aprì di scatto. Fu immediatamente seguito da un altro. E da un altro ancora.
“Non per metterti fretta, Jim, ma la situazione qui dietro sta peggiorando a vista d’occhio.”
“Sto facendo del mio meglio, Spock” rispose Kirk sbuffando. “Non è che tu sia proprio un piuma, sai.”   
Qualche secondo dopo, i due avevano raggiunto la parete. Ignorando il terrificante ruggito della regina, Spock si aggrappò alla scaletta ed incominciò ad arrampicarsi verso l’alto, i movimenti solitamente rapidi e calcolati ora impacciati dal torpore del gelo.
Kirk si affrettò a seguire il vulcaniano con uno sbuffo. A metà strada un piede gli scivolò su un piolo particolarmente viscido e bagnato facendolo sbilanciare all’indietro, ma Spock lo afferrò prontamente per la maglietta permettendogli così di recuperare l’equilibrio. Con un lieve gemito, trascinò il capitano al sicuro e si lasciarono crollare entrambi a terra, esausti.
Annaspando, Kirk afferrò fulmineamente il phaser che penzolava dalla cintura del vulcaniano e fece fuoco su uno dei mostriciattoli che era appena riuscito a raggiungere l’alta piattaforma. A quanto pareva quei mostri schifosi riuscivano anche ad arrampicarsi su per le sdrucciolevoli pareti metalliche della nave. Non bastava che fossero praticamente indistruttibili, no, potevano anche raggiungere in qualsiasi momento qualsiasi luogo volessero. Si alzò con uno scatto fulmineo e aumentò la carica del phaser.
Spock si gettò il più in fretta possibile lontano dalla parete e si ancorò alla grata sporca.
Contemporaneamente, Kirk si aggrappò alla ringhiera arrugginita e voltò il viso dalla parte opposta.
Fece fuoco.
L’esplosione fu breve ma violenta. L’onda d’urto mandò i due compagni a sbattere contro il corrimano di metallo e spazzò via alcuni dei mostri più vicini, spianando la via per la fuga.
“Fuori, presto!” gridò Spock precipitandosi con Kirk all’esterno.

§---°°°°°---§

L’urlo di rabbia della Regina riecheggiò per i corridoi vuoti della neve fantasma.
No! pensò l’Alieno sopraffatto dall’ira.
Si gettò con tutta la propria forza contro l’apertura che il Dominante aveva creato nello scafo della nave per poter entrare. L’impatto fu violentissimo, ma non sufficiente per aprire un varco nella parete.
Accecato dalla rabbia, l’Alieno continuò a sbattere ripetutamente contro la solida fiancata, cercando di allargare la fenditura quel tanto che sarebbe bastato a permettergli di uscire.
Non li avrebbe lasciati scappare.
Per fortuna l’acido di cui era ricoperto aveva già incominciato ad intaccare il metallo, che si rivelò incredibilmente cedevole sotto i suoi possenti colpi.
Finalmente, il muro si accartocciò con un inquietante stridio e l’Alieno poté lanciarsi a capofitto nella tempesta. La scia di odore lasciata dai due esseri era poco più di una labile traccia dispersa dall’acqua, ma fu sufficiente per rivelargli la direzione da prendere.
Nel giro di pochi secondi, l’Alieno aveva già raggiunto le pendici del promontorio. Nonostante il disturbante scrosciare confuso e tamburellante della pioggia, riuscì comunque ad isolare una coppia di respiri affannosi che arrancavano nella tempesta, con tutta probabilità riconducibili ai due bipedi in fuga.
D’improvviso, si fece sempre più vicino un rombo cupo e martellante.
L’Alieno poté udire distintamente che i passi strascicati dei due esseri si erano fermati e che ora la Creatura del Fuoco stava gridando a gran voce qualcosa a lui incomprensibile. La voce soffocata del Rivale gli rispose in modo altrettanto concitato. Il suo tono sembrava sollevato.
Come? pensò l’Alieno con agitazione. Il Rivale? Che cosa diavolo ci faceva lì?
Cercò di aumentare la propria velocità, nonostante il dolore e le numerose bruciature lo rallentassero. L’essere era sicuramente venuto in soccorso dei suoi due compagni che erano rimasti indietro, si disse. Ma perché? Perché rischiare di essere ucciso nel tentativo di aiutare un proprio simile? L’Alieno non riusciva proprio a capacitarsene.
Ormai aveva finalmente raggiunto il luogo da cui provenivano le voci. Venivano dall’alto, constatò con stupore.
Un lieve movimento davanti a lui tradì la presenza del Dominante.
Frustrato, l’Alieno mulinò una zampa artigliata in quella direzione, ma il bipede fu più veloce. Con un balzo felino schivò il colpo e si aggrappò al bordo del grande e rumoroso oggetto da cui provenivano le grida di incitazione della Creatura del Fuoco.
Poi, le voci si smorzarono di colpo. Il sordo boato si affievolì e ben presto l’unico suono che rimase udibile fu  l’insistente scrosciare della pioggia.
Se ne erano andati, pensò furiosamente l’Alieno.
Questo voleva dire che lui aveva definitivamente perso.
Un’agghiacciante ruggito di rabbia squarciò la landa desolata e battuta dalla pioggia.

§---°°°°°---§

Con un ultimo sforzo, Kirk riuscì ad issare Spock a bordo e si affrettò a chiudere il portellone. Boccheggiante, si lasciò scivolare pesantemente lungo la fredda parete della Galileo. Ce l’avevano fatta.
“Signore!” esclamò Schneider sorridendogli sollevato. “Ero sicuro che fosse ancora vivo.” L’ingegnere si avvicinò subito al capitano e gli offrì il suo braccio sano per aiutarlo ad alzarsi.
“Grazie, ce la faccio da solo” lo rassicurò Kirk lanciandogli un’occhiata preoccupata. Aveva un aspetto orribile. “Tu come ti sente, piuttosto?”
A questa domanda, il fragile sorriso sul volto di Schneider vacillò. “Sono stato meglio, signore” mormorò con voce flebile. Oscillò.
Kirk lo sorresse delicatamente e lo fece sedere in uno dei sei posti vuoti dell’abitacolo. “Non preoccuparti, Raffael. Presto raggiungeremo l’Enterprise e vedrai che il dottor McCoy ti rimetterà subito in sesto. Lo stesso vale anche per l’infermiera Chapel, ovviamente.” Schneider annuì con un debole cenno del capo. “Spock, portaci a portata di radio.”
“Certo, capitano.” Ancora leggermente tremante, il vulcaniano si alzò dal luogo in cui giaceva l’infermiera svenuta e si affrettò ai comandi della navetta. Il colore delle sue labbra, prima pericolosamente vicino al verde bottiglia, era ora sbiadito assumendo una colorazione più tenue.
“Come sta?” chiese Kirk al suo Primo Ufficiale lanciando uno sguardo preoccupato alla Chapel. Era mortalmente pallida.
“Le rimangono quaranta minuti di vita, cinquanta al massimo. I movimenti dell’embrione sono sempre più aggressivi.”
Kirk guardò con rabbiosa impotenza sia l’infermiera che Schneider. Il giovane tenente si era accucciato accanto a lei e ora le accarezzava teneramente una mano, mormorandole piano parole rassicuranti. “Avrà parecchie cose da spiegarmi quando tutto sarà finito” sibilò.
Spock non diede segno di aver notato il tono astioso del suo superiore. “Ci siamo, capitano. Tra qualche secondo si dovrebbe stabilire il collegamento.”

§---°°°°°---§

La porta argentata del turbo ascensore si aprì sibilando.
“Buongiorno, dottore” disse Scott distrattamente.
“Contatta il capitano, Scotty” replicò seccamente McCoy senza rispondere al saluto.
“Come?” chiese stupito l’ingegnere alzando lo sguardo dal suo pad.
“Contatta il capitano. Adesso.”
“Non posso” rispose Scott voltando la poltrona girevole per fronteggiare McCoy. “Il pianeta è interamente schermato, comunicare con la superficie è impossibile.” L’ingegnere notò con una certa preoccupazione il pallido colorito del medico. “Cosa ti è successo? Hai una faccia orribile.”
“Lascia stare la mia faccia, dannazione!” esclamò McCoy con voce tremante. “Trova subito un modo per contattare la Galileo!”
“Ma perché? Qual è il problema?”
“C’è qualcosa che non va, laggiù” rispose McCoy tutto d’un fiato stringendosi nelle braccia. Il medico trasse un profondo respiro e chiuse gli occhi per un secondo, cercando di calmarsi. Nonostante i suoi sforzi, il suo cuore continuò comunque ad andare a mille.
“Qualcosa che non va, hai detto?” ripeté Scott. Si drizzò sulla sedia, improvvisamente attento. “Che cosa te lo fa pensare?”
“Me lo sento.” Il medico si rese conto dell’assurdità della sua affermazione nel momento stesso in cui finiva di pronunciarla.
Nell’udire queste parole, Scott sorrise e si rilassò nuovamente sulla poltrona.
“È più di una semplice sensazione” cercò di spiegarsi McCoy con voce esasperata. “Ne sono certo! Davvero, io...”
“Mi dispiace, dottore. Una sensazione non è un motivo sufficiente per organizzare e inviare una squadra di soccorso.”
“Dico sul serio, Scott!” sbottò McCoy stringendo convulsamente i pugni. “Non sto scherzando. Se proprio non vuoi mandare nessuno, mi offro io come volontario. Fammi scendere a controllare… ti prego” aggiunse poi con voce più bassa.
Scott sgranò gli occhi. Non era certo da McCoy supplicare in quel modo. “Sei… sicuro di stare bene?” ripeté incerto.
McCoy annuì con decisione. “Allora?” chiese con voce speranzosa.
Scott studiò il viso del medico per qualche secondo. “Allora niente” rispose infine. “Adesso te ne vai nei tuoi alloggi e ti fai una bella dormita” tagliò corto alzandosi e sospingendo leggermente l’amico verso la porta. “È un ordine.”
“Ti ho già detto che sto benissimo!” tuonò ancora McCoy scrollandosi di dosso le mani dell’ingegnere.
“Ti capisco, Leonard” assicurò Scott con fare comprensivo. “Siamo tutti stanchi, in questo momento. E tu a maggior ragione, vista l’emergenza medica in cui ci troviamo…”
“Signor Scott!” esclamò Uhura d’un tratto. “C’è una chiamata urgente dalla Galileo! Il capitano vuole parlare con lei.”
Scott lanciò uno sguardo esterrefatto al medico, che per tutta risposta gli scoccò un’occhiata tanto risentita quanto trionfante. “Me li passi subito, tenente.”  

§---°°°°°---§

“Uhura” ripeté Kirk con impazienza. “È ancora lì?”
Si sentì un leggero rumore di sottofondo.
“Capitano?” esordì una voce maschile dal chiaro accento scozzese. Il tono del capo ingegnere Scott sembrava stupito, anche se non quanto Kirk si sarebbe aspettato.
“Ascoltami bene, Scotty. Voglio immediatamente una squadra medica di urgenza in sala teletrasporto. Dovete prepararvi a ricevere quattro persone.”
“Ma signore, la Galileo-”
“Il Signor Spock ha inserito il pilota automatico, la navetta rientrerà regolarmente nell’hangar. Ora faccia subito quello che le ho detto.”
“Agli ordini, capitano.”
Kirk si avvicinò a Schneider e lo aiutò ad alzarsi, mentre Spock reinseriva velocemente le coordinate per la guida automatica.
Non era passato neanche un minuto che Kirk cominciò già ad avvertire il solito, famigliare formicolio che preannunciava ogni smaterializzazione.







Risposte ai commenti

Rei Hino: Grazie mille per i complimentiii! ^^ *saltella un po' in giro allegra come una Pasqua* Ovvio che quando uscirai dalla scuola di regia ti venderò tutti i diritti, che domande ù___ù

Persefone Fuxia: Spock + lanciafiamme + senza maglietta = collasso XDDD Concordo pienamente! ^o^

MkBDiapason: Ed ecco ritornato il tuo caro Bones! Prestissimissimo si ricongiungerà con Jim e Spock... vedrai che starà meglio, la loro vicinanza fa sempre miracoli ^^ 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** CAP. IX ***


“Raffael!” esclamò Scott non appena il gruppetto si fu materializzato. Aggirando con un balzo la postazione di controllo, l’ingegnere capo si affiancò velocemente al ragazzo e lo sorresse preoccupato.
 “Lo sapevo!” strillò McCoy con voce stridula inorridendo alla vista delle bende insanguinate sul petto di Spock. “Cosa diavolo vi è successo?”
“Io e il capitano stiamo bene, dottore, ma l’infermiera Chapel e il tenente Schneider necessitano di immediate cure mediche.”
Notando solo in quel momento l’infermiera svenuta accanto al vulcaniano, il medico si precipitò subito al suo fianco e ne controllò i parametri vitali.
“Non è possibile…” borbottò McCoy tra i denti. Un corpo estraneo di quelle dimensioni nel ventre di Chapel? Quell’aggeggio doveva essere rotto. Non c’era altra spiegazione.
“Un parassita alieno si sta sviluppando dentro di lei” lo informò Spock in tono urgente. “Va estratto immediatamente.”
Lanciando uno sguardo sconcertato al suo tricorder, il medico fece qualche cenno agli infermieri vicini. “Presto, carichiamola su una barella! Va portata subito in infermeria.”
“Devi farlo adesso, Bones, non c’è più tempo!” esclamò Kirk.
“Tu sei pazzo! non posso operarla qui, serve una stanza asettica altrimenti rischiamo di-”
“Allora morirà” constatò Spock.
Gli occhi azzurri del medico incontrarono quelli scuri del vulcaniano. Dio, era davvero sincero. Spock non avrebbe mai potuto mentirgli, su questo era certo.
Una rapida occhiata al volto sporco e graffiato di Kirk confermò i suoi sospetti. Era la verità. Se non l’avessero operata subito, Chapel sarebbe morta sul serio.
“Maledizione” sbottò tornando ad inginocchiarsi. “Datemi subito il laser e state pronti con delle garze e dell’antisettico. E mettetele anche una mascherina a ossigeno, avanti!”
Schneider tentò di districarsi dalla presa di Scott e di avvicinarsi a Chapel, ma Kirk lo bloccò.
“Vai con il dottor M’Benga, Raffael.”
“No, io non posso… Christine...”
“Se la caverà, non potrebbe essere in mani migliori. Fidati” aggiunse posandogli una mano sulla spalla e allontanandolo leggermente.
Schneider fissò alternativamente Kirk e la donna stesa a terra. Infine annuì con riluttanza, permettendo al medico di colore e ad un’altra infermiera di condurlo alla porta. Quando fu uscito, Scott ritornò accanto a Kirk.
“Cos’è stato a ridurlo così?” chiese tutto d’un fiato. “E dove sono gli altri membri della squadra?”
Il capitano aprì la bocca per rispondere, ma un grido straziante lo costrinse a riportare lo sguardo sul gruppetto accucciato a terra.
“Tienila ferma!”
Anche Scott si era voltato verso McCoy, ora.
L’infermiera Chapel sembrava preda di un attacco epilettico. Braccia e gambe si contraevano spasmodicamente come se fossero percorse da una scarica elettrica e gli occhi aperti erano rovesciati all’indietro, completamente bianchi. Spock cercò faticosamente di mantenere fermo il fragile busto su cui McCoy stava operando, ma le convulsioni divennero sempre più violente, tanto che ben presto si rese necessario l’intervento di un altro infermiere per tenerla ferma senza farle male. Nonostante la precaria situazione, però, McCoy operava con mosse sicure e mano ferma, sapendo con precisione dove cercare grazie alle accurate indicazioni di Spock.
D’un tratto, il medico trovò quello che stava cercando.
Quasi timidamente, una specie di grosso e grottesco embrione fece capolino dalle carni della donna. Tutti i presenti trattennero il fiato. Era come se l’orrore avesse congelato ogni cosa.
L’essere digrignò i sottili ma micidiali dentini aguzzi. Con un disgustoso e umido tonfo, cadde sul pavimento freddo e si drizzò sulla coda.
Senza un suono, scivolò velocemente verso la buchetta di areazione.
Kirk e Spock gridarono come un sol uomo.
“FERMATELO!”
“Non deve entrare nel condotto!”
A queste parole, Scott scattò in avanti e si gettò di peso sul piccolo Alieno.
Accadde tutto in pochi secondi.
Attaccata alle spalle, la creatura si voltò con un sibilo e tentò di azzannare la mano dell’ingegnere. Scott ritrasse prontamente il braccio, ma sul suo palmo rimase comunque impressa una serie di piccoli graffi vermigli. L’Alieno incominciò a dimenarsi come un indemoniato, dibattendosi, mordendo, graffiando, tentando in tutti i modi di sfuggire alla presa del suo assalitore.
Ripresosi dallo stupore iniziale, Kirk accorse in aiuto dell’ingegnere. Non senza una certa fatica, afferrarono insieme l’essere per la lunga coda dentellata e lo lanciarono con violenza sulla piattaforma del teletrasporto.
“ENERGIA!” tuonò Spock.
L’Alieno tentò di scappare con un grido stridulo, ma non fu abbastanza veloce. La piccola sagoma deforme venne di colpo avvolta da un’abbagliante luce dorata e sparì senza lasciare traccia.
Kirk si rialzò di scatto. “Dov’è adesso?”
“Nello spazio, signore” rispose il pallido guardiamarina addetto alla consolle.
Il capitano si avventò sul comunicatore. “Sala controllo, qui Kirk.”
“Parla Sulu, capitano.”
“Dovrebbe esserci un oggetto di piccole dimensioni orbitante nei pressi della nave. Confermate?”
“Aspetti che controlliamo. Ah, sì. Affermativo.”
“Armate subito i phaser e disintegratelo all’istante.”
“Con i phaser, signore?” ripeté l’asiatico incerto.
“Cos’è sordo, per caso?” ribatté Kirk seccamente. “Faccia subito come le ho detto.”
“Ricevuto.”
Il silenzio si fece sempre più assordante, mentre la tensione cresceva e attanagliava tutti i presenti come una ferrea morsa allo stomaco.
“Signor Sulu, mi conferma che il bersaglio è stato terminato?” incalzò Kirk.
La pausa si protrasse ancora per qualche, snervante secondo.
“Sissignore” rispose infine il timoniere. “Bersaglio terminato.”  
Tutti i presenti trassero un sospiro di sollievo. Kirk inspirò profondamente e si passò una mano tremante sul viso.
“Ottimo lavoro, Sulu. Adesso voglio che miriate al relitto della U.S.S. Patience e facciate fuoco a volontà. Non deve rimanerci niente di niente, neanche l’ombra di un bullone. Sono stato chiaro?”
Questa volta il timoniere evitò di commentare. “Chiarissimo, capitano.”
“Vi raggiungerò in sala controllo il prima possibile. Kirk chiudo” terminò il capitano voltandosi.
Un paio di infermieri stavano deponendo Chapel su una barella. “Attenti, fate piano…” li ammonì McCoy mantenendo ben ferma la testa della donna.
“Come sta?” chiese Kirk con un cenno del capo in direzione del corpo inerte dell’infermiera.
“È presto per dirlo…” rispose McCoy ancora scosso. “Dovrò farle qualche altro controllo prima di poter dare una prognosi adeguata. Tu stai bene?” aggiunse poi preoccupato. Afferrato il mento del capitano, fece voltare il suo bel volto prima a destra poi a sinistra, osservandolo con sguardo clinico.
“Sì, tranquillo. Ho solo qualche livido qua e là.”
“Ti voglio comunque in infermeria entro dieci minuti. E anche Spock” aggiunse indicando il vulcaniano. “Mi hai capito bene? Dieci minuti. Non ti azzardare ad andare in giro bighellonando per la nave conciato così.”
Kirk sorrise stancamente. “Ricevuto.”
Il medico diede un tenero buffetto sulla spalla del capitano e uscì dalla sala teletrasporto a passo sostenuto.
Kirk appoggiò la testa al muro e chiuse gli occhi per un attimo. “È finita” constatò con un sospiro.
Scott gli si avvicinò lentamente. “Adesso mi vuole spiegare che cosa diavolo è successo?”
“Potrei farti la stessa domanda, Scott.” Kirk riaprì gli occhi e fissò l’ingegnere con sguardo attento. “Siamo rimasti là sotto per più di sette ore senza darvi nostre notizie. Avevamo un accordo… Non avreste dovuto mandare qualcuno?”
“Sette ore, capitano?” ripeté Scott sinceramente confuso. “Sono passati appena venti minuti da quando siete partiti.”
“Come?” chiese Kirk incredulo.
“Ovviamente…” mormorò Spock.
Kirk e Scott gli lanciarono uno sguardo interrogativo.
“Capitano, è mia ferma convinzione che esista una discontinuità temporale tra l’Enterprise e la superficie del pianeta” spiegò il vulcaniano. “Se quanto afferma il signor Scott è vero, questa è l’unica soluzione possibile. Probabilmente tale irregolarità è stata generata dallo stesso materiale che disturba anche tutte le nostre apparecchiature. Ciò spiegherebbe sicuramente le condizioni in cui si trovava il relitto.”
“Una discontinuità temporale?” ripeté Scott aggrottando le sopracciglia.
“Se elimina l’impossibile, Signor Scott” iniziò Spock con calma, “quello che rimane, per quanto improbabile, deve necessariamente essere la verità.”
Kirk annuì. “Effettivamente la Patience sembrava abbandonata da almeno un paio di anni” concordò pensoso. “La tua teoria avrebbe sicuramente un senso, Spock. Però l’archivio digitale non accennava a nessuna discontinuità di questo genere per Antares 4. Mi piacerebbe tanto sapere chi è stato a omettere un’informazione così importante.”
“Capitano, se fossimo stati a conoscenza di questo fatto e i soccorsi fossero arrivati per tempo, probabilmente non sarebbe cambiato nulla” gli fece notare Spock. “Anzi, avremmo sicuramente subìto molte più perdite tra gli stessi soccorritori.”   
“Comunque ormai è finita, grazie a Dio” concluse Kirk avviandosi con passo leggermente zoppicante verso la porta. “Accompagnaci  in infermeria, Scotty. Ti racconteremo tutto strada facendo.”
“Sono tutt’orecchi, signore.”
“Ah, prima che mi dimentichi” esclamò Kirk voltandosi. “Spock… credo che sia il caso che tu ti metta qualcosa addosso.” Kirk lanciò al confuso vulcaniano un’occhiata divertita. “Stai facendo sudare parecchie signore, qui.”
Un’infermiera e due guardiamarina arrossirono violentemente e distolsero immediatamente lo sguardo dal bel corpo del vulcaniano, imbarazzate.
Il Primo Ufficiale sollevò divertito un sopracciglio. “Interessante.”





Okay, ragazze, questo era il penultimo capitolo ^^ Prossiamamente posterò l'epilogo, anche se non so bene quando perché l'università sta davvero prosciugando ogni mia energia (organizzazione zero e corsi a buco O_o)... ma non temete :D Arriverà! Scriverò sul treno o sull'autobus, se necessario XDDD







Risposte ai commenti


Rei Hino: Sì, Jim e Spock abbracciati nell'acqua sono prorpio HOT *ç* Non sai quanto è stato difficile in un simile frangente controllare i miei istinti e non far fare loro cose, diciamo, inadatte a quei particolari luogo e situazione XDDD Per quanto riguarda Scotty, è amicissimo di Len... voglio dire, si sbronzano insieme! Dài, come fanno a non darsi del "tu"? ^o^

Fatanera: Ecco, i tre si sono finalmente riuniti... per gli abbracci dovrai attendere l'epilogo! E ce ne saranno, non ti preoccupare >/////<

Persefone Fuxia: Operazione riuscita! Come puoi vedere il baby Alieno è stato asportato con successo... ^_^ Len è un mito, riesce a fare proprio tutto! ^o^  

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** EPILOGO ***


Questo capitolo lo dedico a Rei Hino, la dea indiscussa del Threesome- fluff! >///////< Spero che sia abbastanza smielato per i tuoi gusti, cara! ^^



Schneider riprese coscienza del proprio corpo in modo lento e graduale.
La prima cosa che avvertì fu la piacevole sensazione di un fresco e morbido lenzuolo che gli accarezzava lievemente le punte dei piedi nudi. Poi incominciò a percepire anche un fastidioso prurito al collo provocato probabilmente dall’orlo di un ruvido camice di ospedale, il braccio ripiegato e fasciato strettamente al torace indolenzito e una luce che lo raggiungeva tremolante nonostante le palpebre ancora serrate. Ancora mezzo incosciente, il ragazzo notò distrattamente che attorno alla sua mano libera aleggiava un caldo e piacevole tepore.
L’ingegnere aprì lentamente gli occhi. Fortunatamente la luce non era così intensa da fargli male, ma fu comunque costretto a sbattere più volte le palpebre per abituarsi a quella nuova illuminazione. Poco a poco, la vista gli si snebbiò.
La prima cosa che vide fu un soffitto chiaro. Tutto intorno a lui sembrava regnare il colore bianco, reso ancora più brillante e acceso dalla luce soffusa che pervadeva l’ambiente.
Sono in infermeria, realizzò il ragazzo con un certo sollievo. Era vero, allora: si trovava davvero di nuovo a bordo dell’Enterprise.
“Rafe…” lo chiamò d’un tratto una voce dolce e vellutata.
Il giovane ingegnere voltò cautamente il capo. E la vide.
L’infermiera Christine Chapel era seduta compostamente accanto al suo letto e gli sorrideva caldamente. Vagamente stupito, Schneider realizzò che era lei che gli stava tenendo la mano.
“Chris!” esclamò subito, riuscendo in qualche modo a drizzarsi a sedere. “Stai… stai bene?”
Lei non rispose, continuò semplicemente a guardarlo. Inclinò la testa di lato e sorrise di nuovo.
“Chris…?”
La donna avvicinò una mano al viso dell’ingegnere e dischiuse le morbide labbra come per dire qualcosa.
Di colpo, indistinta e inesorabile come un’ombra, una lucida zampa artigliata spuntò a rilento alle sue spalle.
Schneider spalancò gli occhi.
L’arto scheletrico e affilato agguantò la bionda con una lentezza infinita, stringendosi pian piano attorno al suo lungo e candido collo. Poi, la testa allungata dell’Alieno fece silenziosamente capolino dal bordo del letto.
Schneider rimase letteralmente paralizzato sul posto, atterrito.
L’Alieno si avvicinò. Strusciò la sua fredda mascella scura contro il chiaro e pallido viso di Chapel. Lei non reagì, continuò ossessivamente a fissare Schneider con espressione vuota.
D’un tratto, il suo sorriso si spense. L’Alieno emise un basso e cupo gorgoglio, scoprendo le svariate file di denti aguzzi di cui era dotata la sua doppia bocca argentata.
Con uno scatto fulmineo, azzannò la donna.
Quando gli schizzi del sangue caldo dell’infermiera colpirono il suo viso, Schneider ritrovò finalmente la voce. E gridò come non aveva mai fatto in vita sua.
“Rafe!” lo chiamò un’ansiosa voce vellutata dal suono famigliare. “Rafe!”
Schneider si svegliò di soprassalto. Ansante e madido di sudore, si drizzò a sedere di colpo e si guardò freneticamente intorno, realizzando con un certo sconcerto di trovarsi ancora in infermeria.
Girandosi di scatto, vide che Chapel semisdraiata sul lettino accanto al suo che lo stava fissando con espressione preoccupata.
“Calma, ragazzo” lo tranquillizzò subito il dottor McCoy entrando all’interno del suo campo visivo. “È stato solo un incubo. Sei al sicuro adesso. Prendi dei bei respiri profondi” continuò fissando con una certa apprensione il monitor sulla testa del tedesco. “Così, bravo. Insipira, espira. Inspira…”
Schneider chiuse gli occhi e seguì le istruzioni del medico, concentrandosi per calmare i battiti frenetici del proprio cuore. Quando McCoy gli posò delicatamente una mano sotto il mento per osservare meglio il suo viso, li riaprì.
“Come ti senti?” indagò il buon medico.
“Come se mi fosse caduto addosso un Klingon obeso…” gemette il ragazzo ricadendo pesantemente sul morbido lettino.
La risata cristallina di Chapel pervase piacevolmente la stanza.
“Beh, è normale” sorrise allora McCoy lanciando un ultimo sguardo ai rilevamenti. “Hai ancora la febbre alta. Ma se riesci a trovare la forza per fare dell’ironia, vuol dire che la situazione non è poi così grave. Entro un paio di giorni sarai di nuovo in piedi sveglio e pimpante come sempre ad ammazzarti di lavoro assieme al caro Scott. Non hai idea di quanto sia disperato, poverino, ora che ha perso il suo aiutante tutto fare” aggiunse con un sospiro. Questa volta fu il turno di Schneider di sorridere. “Sarà il caso che vada a dire al capitano che ti sei svegliato. Aveva una certa urgenza di parlarti.”
“Riguardo a cosa?” chiese l’ingegnere confuso.
“Ah, non chiederlo a me. Sono un medico, non un indovino” borbottò McCoy uscendo.
Schneider si morse leggermente un labbro e si voltò nuovamente verso Chapel.
Osservò avidamente il dolce sorriso che le illuminava il volto, lo scintillio vivace di quei suoi occhi azzurri e limpidi come il cielo di primavera, i riflessi luminosi dei suoi capelli dorati che le incorniciavano il pallido viso di luna. Lo stava  fissando in attesa, come se aspettasse che fosse lui a parlare per primo. E in effetti Schneider aveva così tante cose da dirle, così tante… “Ciao” riuscì a balbettare.
Ciao?! Dio, ma quanto sono deficiente? pensò subito con un moto di stizza nei confronti di sé stesso. Aveva davanti la donna dei suoi sogni che lo stava guardando sorridente e tutto quello che riusciva a dire era un misero “ciao”?!
Chapel sorrise tacitamente.
Per un attimo, Schneider ebbe l’agghiacciante déja-vue dell’orribile zampa dell’Alieno che spuntava silenziosamente alle spalle della donna.
“Ciao” rispose invece la bionda rompendo il silenzio. Notando l’ingegnere rilassarsi impercettibilmente, Chapel gli lanciò un’occhiata incuriosita. “Mi hanno detto che hai rischiato di fare andare Kirk fuori dai gangheri, giù sulla Patience.”
“Già.” Schneider accennò un sorriso, nonostante il ricordo di quell’episodio fosse tutt’altro che divertente. “Voleva che lasciassimo la nave senza di te, così ho dato un po’ in escandescenze… Ehi, aspetta un momento!” Il suo sguardo si fece di colpo allarmato. “Non sarà per quello che Kirk vuole vedermi!”
“No, non credo proprio” rise di nuovo Chapel. “Penso che volesse chiederti qualcosa riguardo al signor Spock. O almeno, questo è quello che ho capito io.”
“Dio, grazie…per un momento ho temuto il peggio” sospirò Schneider sollevato. “Da quant’è che sei sveglia?” chiese poi.
“Non lo so di preciso…” Chapel ci pensò un attimo su. “Devo essermi risvegliata circa quattro o cinque ore fa, ma mi sono riaddormentata quasi subito dopo la visita del capitano. Ho dormito per tutto il resto del tempo, almeno finché tu non hai cominciato ad agitarti nel sonno.”  
“Mi dispiace…” Schneider deglutì e si asciugò con la manica il sudore che gli imperlava ancora la fronte. “È stato un incubo davvero orribile.”
“Temo che ne avremo parecchi altri, nelle prossime settimane” disse l’infermiera annuendo.
“Già, è quello che penso anch’io.” Schneider scrollò le spalle con uno sbuffo di frustrazione. “Tanto vale prenderci l’abitudine fin da ora…”
Il sorriso sul viso delicato di Chapel si attenuò leggermente. La donna distolse lo sguardo, passando a osservarsi attentamente le mani poggiate in grembo. “Rafe, ti devo delle scuse” esordì improvvisamente. Schneider fissò stupito la bionda. “Devo scusarmi per aver dubitato dei tuoi sentimenti.”
“Chris, non c’è bisogno che tu…”
“Invece sì,” si affrettò a ribattere Chapel senza lasciargli il tempo di continuare. “Il tempo che ho passato dentro a quello schifo di bozzolo è stato un’eternità. Saranno anche state solo poche ore, nella realtà, ma ti posso assicurare che a me è sembrato molto, molto di più. Proprio per questo ho avuto la possibilità di riflettere a lungo, per quanto la mia mente fosse più assente che altro. E…” Lanciò a Schneider un’occhiata incerta. “… sono giunta alla conclusione che forse la mia risposta alla tua ultima proposta è stata un po’ troppo avventata.”
“Chris…”
“No, aspetta, lasciami finire. Vedere il tuo viso laggiù è stata la mia salvezza. Letteralmente. Non quello di Kirk, non quello di Konrad… non quello di Spock. Il tuo. È stato solo in quel momento che mi sono resa conto di quanto tu fossi importante per me.” L’ingegnere poté notare chiaramente lo sforzo che l’infermiera stava facendo per ammettere che aveva avuto ragione lui, fin dall’inizio. “Quindi volevo chiederti se, una volta usciti da qui, magari ti andava di… sì, insomma, di continuare a vederci come abbiamo fatto negli ultimi tempi…”
Schneider scrutò la donna per qualche secondo, pensieroso. “Non lo so, Christine.”
Gli occhi dell’infermiera si allargarono per lo sgomento.
Il ragazzo prese un profondo respiro e la guardò di sbieco. Provò a mantenere un’espressione al contempo seria e grave, ma il suo tentativo andò miseramente a monte. “Ma quanto sei credulona?” le chiese allora scoppiando a ridere fragorosamente. “Possibile che dopo tutto quello che abbiamo passato tu creda davvero che non ti voglia?”
Accorgendosi della presa in giro, Chapel fece una smorfia indispettita e si allungò leggermente verso Schneider, tentando di dargli uno scappellotto in testa.
“Okay, okay, va bene…” rise l’ingegnere riparandosi dai colpi della bionda. “È stato uno scherzo cretino, lo ammetto!”
“Non che da un bambino come te ci si potesse aspettare altro, dopotutto…” sbottò Chapel in tono vagamente risentito.
“Ma sentitela, parla la vecchia signora!” la canzonò lui con un sorrisetto furbo stampato in faccia.
“Aspetta solo che esca di qui, Raffael…” iniziò lei con aria ostentatamente minacciosa.
“… e sentiamo, che cosa mi farai?” la stuzzicò il ragazzo.
“Lo scoprirai presto, mio caro…” Chapel lo guardò intensamente, poi sorrise con aria maliziosa. “Oh sì, ti assicuro che in confronto la nostra prima notte ti sembrerà un tranquillo pisolino tra fratellini.”
Il lieve aumento dei battiti del cuore di Schneider venne tradito dal rumoroso monitor sopra la sua testa.
“Sei così carino quando arrossisci!” affermò Chapel sorridendo e portandosi le mani al viso.
L’ingegnere distolse lo sguardo, imbronciato.
“Che succede, qui?” iniziò allora McCoy entrando in infermeria insieme al capitano. “Siamo un po’ agitati, ragazzo?” si informò controllando accigliato i dati del rilevatore. Chapel ridacchiò.
“Sto bene” tagliò corto l’ingegnere.
“Ne sono davvero felice, tenente” sorrise Kirk affiancandosi al medico. “Eravamo tutti molo preoccupati… c’è mancato poco che Scotty non si accampasse in infermeria per vegliarla.”
“Tipico suo” rise Schneider scuotendo leggermente la testa.
Kirk annuì, divertito. “Senta Schneider, avrei bisogno di alcune informazioni che solo lei può fornirmi. Se la sentirebbe di rispondere a qualche domanda?”
Il giovane ingegnere si mordicchiò un po’ il labbro ma mantenne un’espressione decisa. “Certo, signore. Di che si tratta?”
“Oh, niente di troppo comlicato” rispose Kirk con uno strano bagliore negli occhi. “Solo curiosità.”

§---°°°°°---§

Kirk suonò il cicalino della porta degli alloggi di Spock.
“Avanti” rispose dopo qualche istante la voce profonda del vulcaniano.
Ottenuto il permesso, il capitano entrò nell’ambiente caldamente illuminato. Come sempre lo sbalzo di temperatura rispetto all’esterno colpì l’umano come una frustata, facendolo quasi barcollare.
Il Primo Ufficiale era seduto compostamente alla sua scrivania. Lo sguardo scuro prima fisso sul monitor luminoso si sollevò tranquillamente per accompagnare l’entrata dell’uomo nella stanza.
“Ciao, Spock. Come vanno i tagli?”
“Ormai sono in via di guarigione.” Il vulcaniano si alzò e invitò il capitano a sedersi. “Vuoi qualcosa da bere, Jim?”
Kirk lanciò a Spock uno sguardo enigmatico. “Un brandy danubiano sarebbe fantastico.”
Spock si diresse con eleganza verso il sintetizzatore. “Immagino che sarebbe inutile ricordarti che assumere alcolici in servizio è un comportamento che va ufficialmente contro il Regolamento.”
“Suvvia, lo sai che lo reggo bene l’alcool” rise Kirk. “Un goccetto non mi farà alcun male. Se non mi sbaglio” incominciò poi assumendo un tono più serio, “noi due abbiamo una discussione in sospeso.”
Spock finse di non capire, ma Kirk notò le sue spalle irrigidirsi impercettibilmente. “Una discussione, Jim?”
“Sì. A proposito della nostra ultima missione, ricordi? Dovevi spiegarmi perché invece di portare Schneider e Chapel sull’Enterprise sei ritornato indietro per cercarmi. Hanno rischiato molto grosso, e lo sai anche tu.”
Il vulcaniano parlò con ostentata indifferenza. “Il vento di Anteres 4 aveva danneggiato i motori della Galileo, cosicché le eliche principali erano risultate quasi interamente incrostate di sabbia. Per poterle liberare sarebbe stato necessario portare la rena a temperatura di fusione, quindi bisognava fare riscaldare sufficientemente il motore. Sapevo per certo che eri ancora vivo. Visto che il processo avrebbe comunque richiesto una quantità non trascurabile di tempo, ho ritenuto opportuno approfittare dell’occasione per verificare il tuo effettivo stato di salute” concluse Spock voltandosi con un bicchiere in mano.
Kirk lo scrutò con sguardo indagatore e accettò il drink. Rimase in silenzio.
“Puoi chiedere anche al tenente Schneider. Lui confermerà sicuramente che-”
“Sì, sì, ho già parlato con Schneider.”
Spock gli lanciò un’occhiata confusa. “E allora perché me lo hai chiesto?”
“Perché Schneider ha aggiunto anche qualcos’altro” rivelò Kirk facendo oscillare distrattamente il contenuto del bicchiere. “Ha detto che ancora prima di essere arrivato alla Galileo e avere scoperto in che condizioni si trovava il motore, tu avevi già deciso di ritornare indietro a cercarmi. È rimasto molto impressionato dalla tua enfasi, in effetti.”
Spock non disse nulla. Si limitò a lanciare al capitano un’occhiata guardinga, come se avesse capito fin troppo bene dove voleva andare a parare.
“È vero?” lo incalzò Kirk.
“Sì.”
“Quindi in poche parole avresti lasciato il comando della navetta a Schneider che, oltre ad essere gravemente ferito, non aveva neanche lontanamente l’abilità di un pilota professionista. La Galileo si sarebbe potuta schiantare al suolo e noi due saremmo potuti rimanere bloccati sul pianeta, alla mercé dello xenomorfo.” Kirk si alzò e si piazzò davanti al suo Primo Ufficiale, con le braccia conserte. “La tua azione non è stata per niente logica” constatò con durezza.
Spock esitò. “Ovviamente avrei inserito il pilota automatico.”
“Ma saresti comunque tornato a cercarmi.”
Il Primo Ufficiale fissò il capitano, in silenzio.
Lo sguardo di Kirk si intenerì. “Questo non va affatto bene, Spock. Non fraintendermi, ovviamente mi ha dato una gioia assurda il fatto che tu sia tornato indietro a cercarmi. Però io ho bisogno di poter contare sempre su di te, di sapere che agirai secondo logica quale che sia la situazione.” Spock chinò il capo e fissò il pavimento, le orecchie affilate pervase da una leggera tinta verdognola. Kirk sospirò. “Avanti, guardami” disse prendendo il pallido viso del vulcaniano tra le mani. L’espressione di Spock sembrava calma e pacata come sempre, ma i suoi occhi tradivano ora uno scintillio di tristezza. “Analizziamo la situazione. Io sono un impulsivo attaccabrighe e Bones è un lunatico brontolone. Siamo tutti e due irrecuperabili, temo.”
L’ombra di un sorriso aleggiò per un secondo sul bel viso del vulcaniano. “Concordo.”
“Purtroppo tu sei l’unico che può riparare a questi nostri difetti. E devi farlo seguendo la tua logica,senza tenere conto delle conseguenze che essa potrebbe avere per noi due o per chiunque altro.”
“Mi stai dicendo che dovrei smettere di farvi da balia?” chiese d’un tratto Spock sollevando un sopracciglio.
Kirk si grattò la testa, accigliato. “Beh, non l’avrei espressa proprio in questi termini, ma sì. Il concetto è quello.”
Spock si avvicinò all’umano e sfiorò il naso di Kirk con il proprio. “Ci proverò, Jim.”
Per tutta risposta, Kirk ridacchiò sulle labbra del vulcaniano e lo sospinse dolcemente sul letto, attento a non pesargli troppo sul petto ancora dolorante. “Lo spero” sussurrò nella sua bocca calda.
D’un tratto, la porta degli alloggi del Primo Ufficiale si spalancò.
“Uh là-là… giù le mani dal capitano, folletto dei boschi.”
“Parli del diavolo…” sorrise Kirk alzandosi su un gomito.
“Leonard, non ti ha mai detto nessuno che sarebbe cortesia bussare, prima di entrare nella stanza di qualcuno?” chiese Spock rotolando su un fianco.
“Davvero?” chiese McCoy gettando da una parte il suo tricorder medico. “Sono allibito. Francamente credevo che ormai avessimo raggiunto un livello di intimità tale da poter saltare i convenevoli.”
Spock sollevò un sopracciglio. “Cortesia e convenevoli sono due concetti molto diversi.”
“Toh, brandy…” mormorò il medico tra sé e sé. Trangugiò in un solo sorso il resto del drink che Kirk aveva abbandonato sulla scrivania. “Mh-mh, certo, certo” convenne poi annuendo senza convinzione. “È sicuramente come dici tu, Spock.”
Kirk roteò gli occhi e si spostò per fare posto a McCoy. Con un sospiro, il medico si lanciò a peso morto sul letto e si posò la superficie fresca del bicchiere sulla fronte. “Dio mio, che giornata.”
“Come sta Fischer?” biascicò Kirk. Diavolo, quanto era comodo quel letto.
“Come credi che possa stare uno che ha perso fidanzata e figlio nel giro di un quarto d’ora? È letteralmente distrutto. Gli ho dovuto somministrare una doppia dose di sonnifero, per farlo dormire.”
“Sono convinto che con le tue straordinarie doti mediche riuscirai ad aiutarlo, Leonard.”
“Ah beh, se ne è convinto il folletto allora…” sorrise McCoy poggiando il bicchiere a terra.
Assonnato, Kirk trasse a sé il medico e lo circondò con le proprie braccia in un tenero abbraccio. Poi incominciò ad accarezzargli dolcemente i capelli color caramello, imitato da Spock che li cinse entrambi da dietro.
“Vi ho sentiti” mormorò McCoy dopo un po’.
“Lo so, Leonard” sussurrò Spock di rimando. “Mi dispiace. Non credevo che ci saresti riuscito anche senza il Legame.”
“Non mi era mai successo prima.”
“Di che cosa state parlando?” chiese Kirk confuso.
“Poco dopo la vostra partenza” spiegò nervosamente McCoy, “ho provato le vostre stesse emozioni. Ho avvertito la vostra paura, il vostro dolore, la sensazione di qualcosa di orribile che si annidava nell’oscurità, era… era tutto così reale…”
“Tranquillo, Bones” sussurrò piano Kirk rinsaldando la presa attorno al medico tremante. “Siamo qui al sicuro, adesso. Tutti e tre insieme, come dovrebbe essere.”
McCoy annuì lentamente e sbadigliò, stringendosi di più al capitano. “Da non credere” borbottò in tono sonnacchioso. “Siamo nello stesso letto con un prestante vulcaniano e tutto quello che riusciamo a fare è sbadigliare. Che tristezza.”
Kirk ridacchiò. “Però, devi ammettere che è la prima volta che ci capita.”
“Già” sogghignò McCoy. “Di solito c’è ben poco per cui sbadigliare.”
“Silenzio…” li rimproverò Spock dolcemente. “Avete la necessità di riposare, ora. Tutti e due.”
“Cosa dicevamo prima, riguardo al farci da balia?” mugugnò il capitano ormai in dormiveglia.
Spock non rispose, ma Kirk poté comunque avvertire tra i capelli il lieve movimento della sua bocca che si tirava in un leggero sorriso. Il vulcaniano continuò ad accarezzare dolcemente i suoi due umani e a cullarli per conciliare loro il sonno. Ormai semicosciente, Kirk aumentò la presa sul medico addormentato fra le sue braccia e voltò il capo verso Spock. La sua guancia fresca incontrò le labbra bollenti del vulcaniano. Cielo, quanto erano calde, pensò distrattamente. Davvero di un caldo assurdo. Un caldo arido, secco.
Afoso, quasi.
In un attimo, il capitano si ritrovò nuovamente sull’instabile pianeta di Antares 4. In un vortice confuso di sensazioni, suoni e colori, gli ritornarono alla mente tutti i pensieri che lo avevano accompagnato durante il tragitto verso la U.S.S.Patience… Percepì nuovamente il vento afoso e instabile che spazzava la superficie, gli irritanti mulinelli di sabbia del deserto, il sole ustionante, la terribile arsura della sete… La sensazione di avere la gola incredibilmente secca, il disperato bisogno di acqua che attanagliava le sue viscere…
Un momento.
Acqua?
“Spock!” esclamò Kirk drizzandosi a sedere di colpo.
“Eddài, Jim…” piagnucolò McCoy nel sonno strattonandolo giù nuovamente e tornando a utilizzare il suo petto come cuscino.
“Cosa c’è, T’hy’la?” sussurrò Spock scostando dolcemente un ciuffo color miele dalla fronte sudata del capitano. “Un incubo?”
“No, no…” bisbigliò Kirk per non svegliare McCoy. “È solo che mi è tornata in mente una cosa che volevo chiederti.”
Spock aggrottò la fronte con aria interrogativa. “Cosa?”
“Davvero non sai nuotare?”
“Suppongo che tu ti riferisca all’episodio della Patience” mormorò il vulcaniano. “La temperatura dell’acqua era davvero troppo bassa per il mio corpo, tanto da impedirmi di respirare correttamente. In aggiunta, i vestiti inzuppati e gli stivali pesanti intralciavano in modo considerevole i miei movimenti, contribuendo a trascinarmi verso il fondo.”
“Quindi… sai nuotare?” tentò di riassumere Kirk ancora non del tutto sveglio.
Spock esitò. “So rimanere a galla.”
“Strano. Credevo che all’Accademia quello di nuoto fosse uno degli esami più importanti.”
“Lo è, infatti.”
“E allora?” gli chiese Kirk confuso. “Come sei riuscito a passarlo se sai solo stare a galla?”
Kirk aspettò pazientemente una risposta che non venne. Stupito e ormai completamente sveglio, si sollevò quel tanto che il medico-koala ancora aggrappato alla sua pancia gli permetteva.
“Spock?”
Il vulcaniano sembrava essersi addormentato. Il suo viso sereno era completamente rilassato e il suo respiro era lento e regolare.
“Tanto lo so che non stai dormendo” sibilò Kirk a bassa voce. Il medico brontolò nel sonno e sfregò ancora la faccia contro il ventre di Kirk.
“Credo” iniziò cautamente Spock sempre ad occhi chiusi, “che l’istruttore non avesse le idee molto chiare, al momento dell’assegnazione dei punteggi.”
Kirk guardò a bocca aperta le orecchie del vulcaniano tornare a tingersi di verde. “Tu… hai barato?” chiese incredulo.
Spock aprì la bocca per ribattere ma fu interrotto dallo squillo dell’interfono.
“Signor Spock?” 
“Salvato in extremis dalla bella Uhura” commentò Kirk sollevandosi per permettere al vulcaniano di raggiungere la parete opposta della stanza.
“Parla Spock.”
“Sto cercando il capitano, mi hanno detto che si trova lì da lei.”
“Esatto, tenente, è qui” la informò Spock assumendo il suo solito tono professionale. “Lo chiamo subito, attenda in linea.” Detto questo, si affrettò ad aiutare Kirk a districarsi dal mortale abbraccio di McCoy e tornò a stendersi silenziosamente sul letto.
“Che c’è Uhura?” riuscì finalmente a chiedere il capitano.
“Signore, mi dispiace disturbarla ma abbiamo l’ammiraglio Harrison in collegamento video. Vuole urgentemente parlare con lei riguardo alla nostra ultima missione… non sembra affatto contento della sua decisione di distruggere la U.S.S. Patience.”
“Va bene, Uhura, gli dica pure di attendere in linea. Arriverò tra un paio di minuti.”
Il capitano interruppe bruscamente la comunicazione e si girò con un sospiro. Alla vista del suo accigliato Primo Ufficiale avvolto tra le spire del medico ancora addormentato, si lasciò sfuggire una risata.
“Devo andare, Spock. Guai in vista.”
“D’accordo, mi occupo io di Leonard.”
“Del polipo brontolone vorrai dire!” bisbigliò il capitano divertito. Stampò un tenero bacio sulle fronte del medico e accarezzò le fresche labbra del vulcaniano con le proprie, sfiorandogli due dita con l’indice e il medio. “E tu non credere di cavartela con così poco. Dovrai spiegarmi nei dettagli la faccenda dell’istruttore confuso.”
“Jim” incominciò Spock con urgenza, “ti pregherei di non divulgare a terzi questa informazione.”
Kirk rise sommessamente e si avviò in silenzio verso la porta del bagno, intenzionato a passare non visto nei suoi alloggi. “Ovviamente. Immagino che per “terzi” tu intenda Bones, giusto? Ti tormenterebbe a vita.”
“Perché, ti tormenterei a vita?” biascicò improvvisamente McCoy sollevandosi su un braccio e osservando confuso Spock. I suoi capelli erano straordinariamente arruffati e i suoi occhi azzurri erano ancora pieni di sonno.
“Niente” risposero all’unisono Kirk e Spock.
“Balle…” replicò McCoy battendo più volte le palpebre per snebbiarsi la mente. “Non è leale parlarmi alle spalle mentre dormo…!”
“Leonard…”
“Ditemelo, lo voglio sapere anche io!” sbottò il medico sempre più sveglio.
Spock lanciò a Kirk uno sguardo sconcertato.
“Non fargli troppo male, Bones” ridacchiò Kirk ammiccando nella loro direzione. “Mi serve tutto intero, sul ponte. E Spock…” aggiunse sogghignando prima di uscire. “… buona fortuna.”

§---°°°°°---§

Una piccola sagoma di colore indefinito si staccò silenziosamente dalla parete inferiore della Galileo e zampettò senza un suono nel vasto hangar mediamente illuminato. Non visto, l’essere bitorzoluto percorse qualche metro costeggiando la fredda parete di metallo e si infilò con un lievissimo risucchio in un piccola diramazione secondaria del condotto di ventilazione.
Bene, era momentaneamente al sicuro.
La creaturina si appiattì contro il fondo della tubatura e rilassò le sue numerosa zampette fredde mollicce. Tutto quello che gli rimaneva da fare, ora, era aspettare.
  


Okay, care le mie lettrici, a questo punto credo proprio di dovervi qualche spiegazione O___o Come promesso, questo capitolo è a tutti gli effetti l’Epilogo della storia… nonostante ciò, come potete ben vedere, ho comunque deciso di mantenere un finale aperto.
“Eh, perché?!” vi starete sicuramente chiedendo indispettite. “Non ne ha abbastanza questa qui di descrivere squartamenti sanguinolenti, mostri orrendi e disperate corse contro il tempo?” Beh, avreste ragione su tutta la linea, ragazze ù____ù
Però… io un’idea per un eventuale seguito ce l’avrei. E c’entrerebbero anche quegli alieni tanto squilibrati e passionali chiamati Romulani, che ultimamente ho imparato ad apprezzare e amare. Ma non ho ancora iniziato a scrivere nulla e, siccome si prospetterebbe un progetto abbastanza lungo e impegnativo, l’ultima cosa che vorrei sarebbe perderci il sonno (come ho fatto con questa fic, dopotutto ^^”) per poi annoiarvi con un seguito che non vi interessa. Quindi…. *rullo di tamburi* … mi rimetto senza riserve al vostro impareggiabile giudizio! ù___ù Vi prego di farmi sapere se siete pro o contro l’idea di un eventuale seguito... nel caso non vi gustasse  non ci sarebbe davvero alcun problema: lascerei morire di fame il piccolo mostriciattolo color cappuccino e l’Enterprise riprenderebbe la suo solito viaggio di routine come se niente fosse! XDDD
Perciò, niente peli sulla lingua: siate artefici del destino di questa storia!!! ^o^



Voglio ringraziare in particolar modo Rei Hino, MkBDiapason, Fatanera e Persefone Fuxia per i loro bellissimi commenti (vi lovvo tanticcimo, girls! *3*); minnie2004 per aver aggiunto questa storia tra le preferite (merciiiii, cara! ^^) e ovviamente tutti gli altri silenziosi lettori che mi hanno seguita! VI RINGRAZIO CON TUTTO IL CUORE PER IL VOSTRO INESTIMABILE APPOGGIO!! *3*



Risposte ai commenti

Rei Hino: Caro Jim, fammi sapere quando avrai finito la tua “Accademia”… ti aspetterò al varco con un contratto nuovo fiammante, questo sarà senza dubbio un grande film per il tuo esordio! ù___ù E grazie ancora per i complimenti! * Amber arrossisce *

MkBDiapason: Dire che la tua preoccupazione è puccia è un eufemismo! Ops, sorry, volevo dire che la preoccupazione di Bones è un eufemismo… che poi, alla fine, è la stessa cosa… o no…? Bah! Ormai mi sto abituando a chiamare te Leonard e Rei Jim… mi state contagiando, maledette!! XDD

Fatanera: Non venire a dirlo a me, io sto sudando ancora adesso! XDD Spero che gli abbracci siano stati di tuo gradimento! ^^
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=553923