Capitolo3: “Chi è
Azusa?”
“E così quando mi sono trasferita qui due mesi fa credevo che non avrei mai
più ritrovato la pace che invece avevo a Kyoto prima che mia madre
morisse, così… improvvisamente.
Grazie a Takada ho capito che
deprimermi e rimanere chiusa a casa mi avrebbe fatto solo male.”
Azusa sembrava una ragazza molto forte ma doveva aver passato brutti momenti nella sua
giovane vita. Appariva radiosa, parlava e scherzava, sorrideva a ogni cosa
buffa e possedeva anche gran senso dell’umor. Heiji però
l’aveva notato il suo sguardo profondamente triste
quando aveva accennato a sua madre e alla sua città, non poi
tanto lontana da quella dove ora risiedeva ma vi aveva lasciato la casa della
sua fanciullezza e gli amici più cari dell’adolescenza.
Il nostro detective non
resisteva, gli
premeva sapere di più. Aveva la netta sensazione che Azusa aveva altro
da rivelargli e quell’ “
improvvisamente” che la ragazza aveva aggiunto dopo aver detto della
morte della madre, lo insospettiva non poco.
“Iwaya, perdonami se sono
indiscreto, ma come è morta tua madre?”
La ragazza ebbe un sussulto,
abbassò gli occhi a terra e volse leggermente il capo. Era triste, questo
si, ma Heiji credette di leggere nei sui atteggiamenti
qualcos’altro. Rabbia, sembrava voler contenere mordendosi il labbro
inferiore e stringendo forte i pugni.
“Mia madre…è
morta di infarto.”
Quelle parole erano state dette
con una tale freddezza che sembravano essere le battute di un copione letto con
distacco e disinteresse.
Heiji rimase molto stupito della
sua affermazione. Azusa gli sembrava non più grande di
diciannove anni, la madre dunque si poteva supporre fosse piuttosto giovane,
inoltre le donne, com’è noto, sono molto meno soggette degli
uomini a soffrire di cuore. Tentò allora di farsi spiegare.
“Mi dispiace molto. Doveva
essere sofferente, quanti anni aveva?”
“Aveva appena
quarant’anni. Non…e lei non aveva mai avuto problemi cardiaci.”
Proprio come immaginava. E allora
come poteva essere morta di infarto?
Avrebbe preferito evitare ad
Azusa di ricordare, si sentiva assai invadente ma
infondo c’era qualcosa che non quadrava.
“Ma allora…”
“Hattori-Kun per favore non
chiedermi più di mia madre. Lei era una persona eccezionale, lavorava in
polizia e
spesso le capitava di essere fuori di casa, mi mancava ma mai quanto
adesso.”
“Scusami. Non volevo farti
star male. Va bene, allora cambiamo discorso. Dimmi come mai sei arrivata nella
mia città e come è possibile che una ragazza tanto carina abbia
conosciuto uno zoticone come Takada?!”
In questo modo Heiji sperava di
poter farla sorridere almeno un po’. E così fu.
Non gli disse il motivo del suo
trasferimento, forse non era così importante che aveva
tralasciato o forse invece lo era, ebbe solo qualche notizia
frammentata, né si sentì questa volta di insistere.
“Oh bè, mi sono
trasferita qui con mio padre, come già detto, due mesi fa.
Per quanto riguarda
Takada, lo conobbi precisamente venti giorni dopo il mio arrivo. Era il mio
secondo giorno di scuola qui, ancora non te l’ho detto
ma faccio l’ultimo anno, credo di avere la tua stessa
età.”
“L’avevo immaginato.
Non ne ero certo perché evidentemente frequenti
una scuola diversa dalla mia e così non ti ho mai vista.”
“Già, che peccato…”
Un reale dispiacere si leggeva
nei suoi occhi ed Heiji ne fu commosso e allo stesso tempo compiaciuto. Si rese
subito conto che quei sentimenti contrastanti gli si insinuavano nel cuore e la
cosa non gli piacque, similmente era successo con Kazuha prima ancora che
entrambi si dichiarassero. Quando la sentiva appiccicosa
e gelosa, da una parte lo infastidiva terribilmente: si sentiva braccato e
controllato, più che un’amica di infanzia pensava di avere accanto una guardia del corpo. Dall’altra però
ne era lusingato: infatti non sapeva se quella di
Kazuha era solo iper-protezione verso un caro amico o vera e propria gelosia.
Tutto ciò lo turbava
moltissimo.
Quella ragazza lo aveva forse
stregato? Come erano state possibili poche ore per indurlo a porsi tali dubbi e
preoccupazioni? Ora però non ci voleva pensare e riprese la
conversazione.
“Allora continua a
raccontarmi di quel poliziotto fanfarone!”
“Dunque, mio padre era
passato a prendermi e l’ho accompagnato in banca, perché doveva
sistemare molte faccende, sai a seguito del trasferimento. Mentre aspettavamo
che il direttore ci ricevesse entrarono due tizi, volevano rapinare la banca. Minacciarono
tutti i presenti, intimandoci di stenderci a terra e lasciare i cellulari. Io
ero terrorizzata e non riuscivo a muovermi, così uno di loro
iniziò a urlarmi contro, puntandomi la pistola. Credo che mi avrebbe sparato se Takada non fosse intervenuto.”
“Takada?!”
“Era proprio lui. Si trovava
in baca per affari personali, era fuori servizio. Non
voleva intervenire e aspettare che arrivasse la polizia, nel timore che una sua
azione facesse perdere la testa ai rapinatori. A farlo però sono stata
io e così mi ha “dovuto” salvare.”
“Per ringraziarlo mio padre
lo volle incontrare personalmente. Quel giorno ci presentammo e mi disse una
cosa che mi colpì molto:
- Saresti potuta morire, io non
credo che ne valga la pena –
Takada aveva capito ciò di
cui nemmeno io ero cosciente: non ero ferma per la paura, inconsciamente
credevo che in fondo se fossi morta sarebbe stato meglio. Ma rischiando la sua
vita per la mia, quello sciocco mi ha “costretta” a sperare ancora
nella felicità. Ho così cominciato a fare amicizia e ho pensato
che impegnarmi in un lavoretto che mi mettesse a contatto con la gente non
sarebbe stato male, così sono diventata la barista par-time della sala
giochi e lì ho rincontrato Takada, che è diventato mio caro
amico.”
La vita è davvero strana e
ingarbugliata. Un giorno c’è il sole ha riscaldarci, un altro solo
vento e pioggia a scuoterci e a bagnarci. Crediamo di aver trovato finalmente
la felicità, un po’ perché ti è capitata addosso per
caso, un po’ perché te la sei meritata ma ecco che scivola via
dalle dita.
Per fortuna non siamo soli, anche
se a volte può sembrarlo. Magari basta girare l’angolo per trovare
chi ti può aiutare oppure bisogna spostarsi di qualche chilometro o di
più, ma sicuramente qualcuno c’è.
Era rimasto trasognante a
fissarla. Aveva raccontato tutto con una tale emozione, con una tale gioia che fecero sentire Heiji a disagio. Lui, stupido, che litigava
con la sua ragazza per cose così futili; che non capiva di sprecare solo
tempo; che si era precluso l’opportunità di avere altri amici; ora sentiva
di dover riflettere, non sapeva ancora su cosa ma sentiva di doverlo fare.
“Heiji…
Heiji…HEIJI!!!!”
“Ma!? Cosa?! Oh, Azusa,
scusami ero soprapensiero.”
“Non ti preoccupare volevo
solo avvisarti che hai sporcato il collo del giaccone di gelato.”
Era proprio una bella giornata,
di quelle che stan dicendo addio alla calda e soleggiatissima estate e che salutano i bagliori di una nuova stagione, tiepida e
colorata di calde tonalità. L’autunno era forse la sua stagione
preferita, fu proprio durante una giornata come quelle di diversi anni prima
che Kazuha visse quello che oggi era per lei un dolcissimo ricordo.
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“Ragazzi avanti avvicinatevi
a me e vi dirò a che classi siete stati assegnati.”
Una giovane e carina insegnante,
con la sua debole e sottile voce invitava i nuovi alunni a iniziare il loro
primo giorno di scuola media. Tutti quegli più anziani erano già
nelle loro classi.
L’ampio cortile ospitava
numerosi ragazzini che indossavano la loro prima divisa: c’era chi
chiaccerava felicemente avendo ritrovato i compagni delle scuole elementari,
chi spaesato sedeva solo in un angolo aspettando pazientemente che
l’insegnante lo chiamasse, chi solcava trafelato e sudato il cancello
della scuola non avendo udito il suono della sveglia e prendendosela con i
genitori per non aver provveduto.
“Anf…anf…Heiji!!! Maledizione, perché non mi hai aspettato.
Dovevamo venire insieme!”
Uno di quei ritardatari era
proprio lei, Kazuha Toyama. E il suo amico d’infanzia? Possibile che
l’avesse lasciata da sola il loro primo giorno nella nuova scuola.
“Ehi ragazzina, parli da
sola?!”
Non ebbe modo di arrabbiarsi per bene con quello “stupido screanzato” (così
decise che avrebbe definito Heiji appena incontrato) che una voce cupa e
roca la distolse dai suoi pensieri.
“Chi sei tu, cosa
vuoi?”
Non era un tipo rassicurante e il
fatto che fossero da soli non le dava sicurezza, tutti
gli altri studenti infatti avevano già iniziato ad entrare nelle loro
classi.
“Non essere così
scorbutica coda di cavallo, cerco solo di aiutarti. Forse hai bisogno di una
mano, io faccio la terza media ma non mi andava di
entrare e sono rimasto fuori e ho fatto bene… se ho incontrato una
ragazza così carina”
Parlava da sopra qualche metro
rispetto il terreno, si era arrampicato sulle scale di sicurezza, quando fece
un balzò e fu subito a pochi centimetri dalla
nuova studentessa.
Le prese il viso con la mano
destra, osservandolo per qualche secondo.
“Sei
proprio bella, lo sai. Che ne dici di venire con me a fare colazione?”
A quel punto le mise un braccio
intorno alla vita e la avvicinò di più a sé.
“Lasciami razza di
pervertito, mi fai schifo!”
Non tremava, non piangeva, Kazuha
lo guardava fisso negli occhi e gli trasmetteva tutto il suo disprezzo.
“Faresti meglio a essere
più gentile con i ragazzi più grandi o ti farai male.”
Le portò il braccio dietro
la schiena e iniziò a comprimerlo.
“Dio, com’è
tardi. Mi sarei dovuto sbrigare prima e ora chi la sente quella cornacchia.”
Un ragazzino magrolino con la
propria cartella e due grossi sacchetti in mano correva a più non posso nel
tentativo disperato di solcare il limite di quel “dannato” cancello
prima che la campanella suonasse.
Accellerò ed era dentro,
tutto taceva. Non vi erano ragazzi che chiacceravano ma nemmeno campanelle che
suonavano, eppure qualcosa si sentiva.
“Lasciami, mi fai
male!”
“Te lo puoi
scrord…”
“LASCIALA!”
“Non provare a toccarla o
ti picchio.”
Aveva ragione poteva sentire
delle voci in lontananza, gli bastò avanzare di qualche metro per vedere
che in fondo a destra due ragazzi ancora erano fuori, ma non si trattava di
semplici ritardatari e quella… quella era…
“Tu!? Mi vorresti picchiare
tu?! Piccolo e gracile come sei. E poi chi saresti, il
suo amichetto forse?!”
“Heiji, vattene me la so
sbrigare da sola!”
Ovviamente non le diede retta
posò a terra ciò che aveva con sé e raccolse un ramo
appena potato, lungo e diritto. Faceva kendo, voleva poter dire qualcosa, no?!
“Vuoi fare a botte, eh?! E va bene vieni qua”
“Cosa?! No. Non se ne
parla. Heiji allontanati!”
Forse perché nei momenti
di pericolo l’istinto di sopravvivenza ci porta
a fare cose oltre le nostre capacità o forse perché era davvero un
portento nella lotta, Kazuha si staccò dalla presa del ragazzo con una
gomitata ben assestata nello stomaco e con un calcio nell’incavo del
collo, che li toccò non poca fatica con ampio svolazzamento di
gonnellino, lo mise ko.
“La prossima volta me ne vado
dritto in classe…”
“Avanti non sarai mica
invidioso perché l’ho steso io invece che te! Ora puoi lasciarlo
quel bastone, Heiji…”
Le gambe divaricate, le mani strette
intorno la sua spada e il guerriero si lanciò
all’assalto.
Quel maledetto si era rialzato e
si preparava ad afferare Kazuha un’altra volta. Non gli fu permesso: la
bastonata di quel ragazzino così “ piccolo e gracile” gli
arrivò in piena fronte. Una mossa agile e veloce, il giovane soldato
aveva trionfato.
Portò il bastone alla nuca
e con sorrisetto compiaciuto disse alla sua amica di infanzia:
“Hai bisogno di me,
piccola.”
Il viso della
“piccola” Kazuha si imporporò di rosso fuoco
ma fu meno diretta nelle parole.
“Ehi, non mi fare tanto il
gradasso ora. Comunque sia, sappi che anche
tu hai bisogno di me.”
“Tu senza dubbio di
più, guarda un po’!”
Raggiunse ciò che
precedentemente aveva posato a terra prima dello scontro e pose a Kazuha uno di
quei due sacchetti che aveva trasportato insieme ai libri e ai quaderni.
“Cos’è?!”
“Ho pensato che, dal
momento che ti sei svegliata tardi e sapendo quanto ci tieni alla puntualità,
non avresti fatto in tempo a prepararti il pranzo così sono andato dal
chiosco più vicino ed ecco qua il tuo pranzo.”
Questa volta era rimasta davvero
a bocca aperta, non poteva proprio aspettarsi una cosa del genere
anzi era pronta a rimproverarlo di essere scappato via subito dopo che
gli era stato detto che veniva proprio quando si stava alzando.
“Heiji…
io…”
“Ehi, non credere che lo
avrei fatto se non fosse stato che mancava anche a me il pranzo!”
E prendendo l’altro
sacchetto aggiunse:
“Inoltre il mio è il
più buono”
“Razza di stupido
screanzato!”
Si era tolta una soddisfazione.
Ma lo sguardo di Heiji e il suo sorriso le fecero capire che non era proprio la
verità ciò che aveva detto: il pranzo lo aveva comprato anzitutto
per lei.
“E ora andiamo a vedere in
che classi siamo stati assegnati. Avanti Kazuha non rimanere lì
imbambolata!”
Si avvicinarono al tabellone
affisso fuori e videro i loro nomi nello stesso elenco, classe I° G.
“Bene, così
potrò controllarti meglio.”
Le si
voltò sorridendo. Un sorriso così luminoso e caldo che le
parole per la controbattuta le morsero sulle labbra e ve ne uscì
soltanto:
“Sono felice”
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“Sono felice…”
Fu quella volta, che capì…
…che sarebbe stato impossibile per me stare lontano da lui,
perché io ne ero innamorata. Il mio primo e unico amore.
Una vibrazione la scosse dai suoi
pensieri e poi un'altra e un’altra ancora le ricordarono di avere nella
tasca dei pantaloni il cellulare, lo prese e lesse sul display -Ran-.
Sorrise, doveva aspettarselo da
parte sua, sempre così premurosa…
“Pronto, ciao Ran”
“Kazuha! Ti sto chiamando
per…”
“assicurarti se sono uscita
come mi hai consigliato?!”
“Ehm…sì, che diventerai
anche tu un detective?!”
“Avevi ragione, fare una
passeggiata mi ha aiutato a riflettere. Ora cercherò Heiji e gli
parlerò. Grazie.”
“E di che. Sbrigati,
piuttosto.”
“Ehi, Ran. Ma quell’ Akira…”
“Kazuha!!!!!!”
“Va bene va bene, ho
capito. Però se non interessa a te, magari potrebbe interessare a me nel
caso in cui io ed Heiji…”
“Questo non accadrà,
vai!”
Schiacciò il pulsante per
chiudere la conversazione e proseguì. Aveva pensato di iniziare a
cercare Heiji andando
a casa di lui, in caso non vi fosse stato sarebbe andata alla questura.
Era lì, di fronte la porta
che molto probabilmente la divideva dal raggiungere il suo vecchio amico di
infanzia e il cuore le pulsava forte, sintomo di un sentimento vivo.
Suonò e la porta si aprì, ma comparve sull’uscì la madre del giovane detective.
“Kazuha, ciao. Cosa ci fai
qui?”
“Cercavo Heiji, è in
casa?”
“Ma era con te o sbaglio?! Non è ancora rientrato. Forse è andato da
suo padre.”
“Già deve essere
così, proverò in questura. Grazie e arrivederci.”
“Kazuha, c’è
qualcosa che non va? Hai qualche problema o avete litigato?”
“Bhe ecco, io devo
parlargli.”
“Perdonalo se a volte fa lo
stupido ma sebbene si da tante arie, è ancora
un giovane ragazzo.”
Le sorrise, un sorriso che voleva
dire tante cose: la incoraggiava, la consolava, le diceva di volerle bene. Era
quello stesso sorriso che Heiji le regalò quel giorno di autunno di
cinque anni fa e che ancora oggi le scaldava il cuore.
Ora era ancora più certa che la cosa giusta era trovarlo e risolvere tutto. Trovare
insieme un modo per poter superare gli ostacoli.
Oramai aveva percorso a piedi
quasi due chilometri e le mancavano ancora cinquecento metri per raggiungere la
meta, decise di riposare qualche minuto. Distante qualche metro vi era il
parco, vi si recò e pensò di rinfrescarsi prendendo un gelato.
Cinque mesi prima era lì
che Heiji per la prima volta l’aveva baciata, il solo pensiero le faceva
diventare rosso il viso sul quale si stendeva un lungo sorriso di
felicità.
Dopo aver preso e pagato il
gelato si diresse proprio verso quel vicolo, il luogo dello scontro-incontro.
Ricordava bene che lì vi stava una panchina, svoltò a destra ma quella panchina era occupata, ed era occupata da
una coppia. Il giovane di spalle aveva la divisa della sua scuola i capelli
castani, le spalle larghe e allenate, tipiche di uno sportivo di Kendo. Quel
ragazzo sembrava tanto…
“Ma a cosa stavi pensando?! Alza il mento, proverò a ripulirti io.”
Aveva un profumo fresco come il
mare in estate, il vento leggero le sfiorava i lunghi capelli che accarezzavano
il viso di Heiji.
“Ho fatto quello che
potevo, ti consiglio di metterlo subito a mollo
nell’acqua appena arrivi a casa”
Aveva il viso molto vicino a
quello di lui e le mani ancora appoggiate in entrambi gli incavi del collo. Il
suo sguardo intenso la rapì. Le si era serrata
la bocca, non sapeva cosa dire e un lieve rossore le imporporava le guance.
“Iwaya…ti
ringrazio”
Heiji era inebriato del suo profumo ma presto si accorse che i loro visi erano troppo
vicini, ciò lo imbarazzava tantissimo e si odiava: non avrebbe mai
dovuto permettere che si verificasse una situazione del genere. Kazuha lo amava
e lui amava Kazuha. E allora perché si sentiva così fortemente
catturato dai suoi occhi così grandi e profondi. Era un detective e non
avrebbe lasciato che la ragione fosse schiacciata dalla forza istintiva di
sentimento fugace.
“Di niente…”
Poggiando le mani su quelle di
lei tentò delicatamente di allontanarle dal suo collo.
“Ecco io credo che sia
meglio se…se…”
Non poteva crederci: quel ragazzo
non somigliava a Heiji, era Heiji. Aveva fatto tanta strada a piedi, si era
tanto preoccupata di cercarlo il prima possibile, era disposta a mettere da
parte il suo incredibile orgoglio e lui era al parco, proprio in quel luogo,
con una ragazza.
Inoltre non si trattava di una
qualunque, era bella e gli stava vicino, molto vicino. Gli abbracciava il
collo, le loro mani erano le une sulle altre e i loro visi a una distanza tale
che solo un foglio vi poteva passare.
Kazuha non capì se fu a
causa della stanchezza o se vedere Heiji “avvinghiato” a un’ altra le aveva provocato tanta delusione da
privarla delle forze, ma non reagì come avrebbe voluto e come tutti si
sarebbero aspettati da quella testa calda, come spesso la definiva il suo
amico, di Kazuha Toyama.
Non disse una parola, non esplose
in una scenata di isterismo o gelosia, non pianse nemmeno, soltanto girò
i tacchi e se ne andò. Con il capo chino si trascinò via da quel
luogo, che un tempo era stato la cornice di uno dei suoi più bei ricordi
e ora invece diventava
la tomba delle sue speranze.
Note Dell’Autrice:
Salve^^, anzitutto scusate il
ritardo: avrei dovuto postare l’ultimo capitolo almeno un mese fa e
invece… Il problema miei cari lettori sono i compiti -__-
Ora voglio dirvi qualcosina
riguardo l’ultimo capitolo. E’ stato molto
difficile scriverlo perché dovevo caratterizzare bene il nuovo
personaggio: Azusa. Immagino che a qualcuno non piaccia, ma avrà un
ruolo importante in tutta la storia. Le cose si complicano per la neo coppietta…
Vi confesso che non so ancora
come proseguire la storia, sarà tutta una sorpresa anche per me^^
Ringrazio moltissimo tutti coloro
che hanno commentato, mi raccomando continuate a recensire perché in tal
modo mi incoraggiate sempre più.
Vì-chan