Il Weekend

di allanon9
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima parte ***
Capitolo 2: *** Seconda parte ***
Capitolo 3: *** Terza parte ***
Capitolo 4: *** Quarta parte ***



Capitolo 1
*** Prima parte ***


Autore: Allanon9
Spoilers: 2x23

Pairing: Jisbon e anche un po’ di Rigspelt
Rating: Commedy,  leggermente Angst verso la fine.
Disclaimer: I personaggi citati in questa fanfiction non mi appartengono, ho solo preso liberamente spunto
dalla serie "The Mentalist" di proprietà della CBS.

 

Il weekend

 

Teresa si svegliò alle sei, nonostante quello fosse il primo giorno di un weekend di vacanza, perché voleva fare un bagno nell’oceano di mattina presto, come facevano lei e sua madre quando era bambina.

Si alzò piano, cercando di non disturbare Grace che dormiva nel letto accanto al suo, i lunghi capelli rossi sparpagliati sul cuscino.

Sorrise, la sua recluta sembrava molto giovane e vulnerabile nel sonno.

Uscì dalla stanza e notò la porta aperta della stanza dei maschi. La curiosità fu più forte di lei e sbirciò dentro.

Cho dormiva a pancia in su con la testa reclinata di lato, il lenzuolo ben modellato al suo corpo, anche nel sonno aveva l’impassibile espressione di quando era sveglio.

Rigsby era scompostamente disteso a pancia in giù, il lenzuolo gli era caduto per terra lasciandolo coperto dai soli boxer aderenti. Lisbon pensò che Rigsby era agitato anche nei suoi sogni.

Lo sguardo si spostò sul terzo letto che era vuoto ed intatto.

Si morse le labbra.

Jane non aveva di nuovo dormito, splendido.

Jane non era stato più lo stesso dopo l’ultimo caso di Red John, la sparizione di Christina Frye prima e la sua prigionia col successivo incontro misterioso con il serial killer poi, l’avevano provato davvero molto. Non che lui l’avrebbe mai ammesso, ma lei era sicura che stesse davvero male.

Bevuto un sorso d’acqua si recò giù per le scale che davano direttamente sulla spiaggia.

Sul bagnasciuga vide una figura solitaria che riconobbe essere Jane.

I passi attutiti dalla sabbia si avvicinò piano all’uomo.

Il profilo di Jane si stagliava netto nella luce del sole appena sorto, i suoi capelli erano accesi di riflessi d’oro rosso e gli occhi, dello stesso colore azzurro dell’acqua, erano persi nel contemplare l’orizzonte.

Lisbon notò una traccia d’umidità nell’angolo dei suoi occhi e il cuore le si strinse.

“Jane.” Disse piano.

Lui si voltò sorpreso verso di lei sbattendo velocemente le palpebre come se si fosse appena svegliato da un sogno.

“Hei Lisbon, non ti ho sentita arrivare.” Sorrise scacciando da Lisbon la sensazione che fosse triste.

“Come mai così presto già in piedi?” le chiese alzandosi a sua volta e stiracchiandosi pigramente.

“Mi andava di fare un bagno. Ma tu sei rimasto qui tutta la notte?, non hai dormito?”

Lui fece spallucce.

“Meh, in realtà ho sonnecchiato sul divano fino ad un’ora fa. Poi il richiamo dell’oceano è stato troppo forte per resistergli e sono venuto qui.”

Lisbon lo guardò scettica ma non aggiunse altro. Ormai lo conosceva abbastanza da sapere che più di così non si sarebbe sbottonato.

“Ok, accetterò per buone le tue parole. Ti va una nuotata?”

Il sorriso sincero della donna arrivò dritto al cuore di Jane come un balsamo.

“Sicuro donna, ma non aspettarti di battermi.” Disse togliendosi la maglietta e rimanendo con i pantaloncini, pronto a tuffarsi.

“Hei, ma io non intendevo sfidarti in una gara Jane.” Si lamentò Lisbon.

“Strano, pensavo di aver ricevuto quest’input dal tuo cervello. Pronta?” il luccichio malizioso dei suoi occhi spinse Lisbon a raddrizzare le spalle e ad annuire vigorosamente.

“Via.” Dissero insieme.

Corsero verso le onde e cominciarono a nuotare verso il punto che avevano prefissato come meta. Nonostante la sua piccola struttura Lisbon riuscì a tenergli testa e quasi a vincere.

Uscirono sbuffando dall’acqua entrambi sorridenti.

“Complimenti Lisbon, ottimo stile.”

“Grazie. Che ne dici di fare colazione? Tutta questa adrenalina mi ha messo fame. A proposito, domani voglio la rivincita.”

Lui rise.

“Quando vuoi Lisbon.”

In casa dormivano ancora tutti e i due cercarono di fare il meno rumore possibile.

“Va a farti la doccia Lisbon, penso io alla colazione.” Le disse dirigendosi nel piccolo cucinino di cui era dotato il cottage.

La donna sparì nel bagno e quando ritornò nella stanza un delizioso aroma di caffè l’accolse.

Jane aveva preparato dei toast caldi da imburrare, caffè per lei e succo d’arancia per un reggimento.

Teresa si sedette al tavolo e si servì.

Jane prese solo il succo d’arancia e rimase in piedi a sorseggiarlo, senza mai toglierle gli occhi di dosso.

“Non mangi?” le chiese lei.

“Uhm…dopo magari, ora ho di meglio da fare.” Disse ermetico.

Lisbon lo guardò sospettosa.

“Fare cosa?”

Lui alzò le spalle e si sedette di fronte a lei.

“Ami molto il mare, Lisbon, ma era un po’ che non ti concedevi il lusso di una vacanza.” Lei sorrise della sua espressione concentrata e lui continuò.

“E’ una cosa che facevi sempre con tua madre, intendo le nuotate mattutine, vero?” le parole uscirono dalla bocca di Jane in un soffio leggero.

Il sorriso di Lisbon le morì sulle labbra e incrociò le braccia al petto sulla difensiva.

“Esci subito dalla mia testa Jane, non ti ho dato il permesso di entrarci.” Sibilò piano per non svegliare i ragazzi.

“Scusa, non lo faccio apposta lo sai.” Disse lui rilassandosi contro la spalliera della sedia.

Lisbon lo fissò arrabbiata per un nano secondo.

“Ok, ma basta. Non ho nessuna intenzione di passare l’intero weekend a proteggere i miei pensieri da te.”

“Capito. Vado a fare la doccia.” Disse alzandosi.

Jane si chiuse nel bagno. Aprì l’acqua della doccia e un dolce aroma di cannella riempi le sue narici.

Chiuse gli occhi inalandolo, era come se Lisbon fosse lì con lui.

S’infilò sotto il getto dell’acqua mettendola fredda, il suo corpo traditore aveva bisogno di una scossa per rientrare nei ranghi. Strano però.

Quando qualche settimana prima era uscito con Kristina, il semplice fatto di aver flirtato con lei e di averla fatta ridere, l’aveva precipitato in un mondo di sensi di colpa verso la moglie morta.

Ora invece, che si stava eccitando come un quindicenne al solo sentire il profumo del bagnoschiuma del suo capo, non sentiva niente se non un piccolo brivido di paura.

Paura di non essere giusto per lei.

Sospirò piano, l’acqua che gli scivolava sulla faccia stanca.

L’aver dormito sul divano, o meglio sonnecchiato, ora gli presentava il conto. Si sentiva la schiena rigida e dolorante e neppure la nuotata aveva alleviato i suoi muscoli contratti.

Tornò a mettere l’acqua calda e un sospiro di sollievo gli sfuggi al contatto della pelle col calore. La sua mente tornò alla notte appena trascorsa.

Non era entusiasta di passare il fine settimana coi suoi colleghi in quell’angusto cottage, temeva di dormire in una stanza piena di gente, aveva paura di quello che potessero capire se per caso avesse avuto uno dei suoi incubi, ma la squadra aveva “vinto”  un fine settimana di vacanza spesato di tutto, dopo l’ultimo caso che aveva visto coinvolto Red John.

Così Hightower e quel suo nuovo strizzacervelli avevano pensato bene di mettere il team in ferie e convivenza forzate “Per saggiare il vostro grado di fiducia reciproca e se riuscirete a convivere senza saltarvi addosso l’un l’altro” (quest’ultima affermazione del gran capo era stata seguita da una significativa occhiata verso Grace e Wayne).

Jane apprezzava l’intelligenza della donna, la ammirava anche, ma a volte si scopriva ad odiarla fortemente per come cercava di manipolarli, quella avrebbe dovuto essere una sua esclusiva prerogativa.

Uscì dalla doccia e si avvolse un telo nei fianchi. Fece la sua apparizione nel saloncino e un gridolino di Grace gli fece uscire la testa dall’asciugamani che stava usando per asciugarsi i capelli.

“Che c’è?” chiese con aria innocente.

“Nien…niente.” Balbettò imbarazzata la rossa.

Lisbon, almeno apparentemente, non vi badò subito, aveva già visto Jane a torso nudo quella mattina, ma ora sotto l’asciugami non indossava nulla effettivamente…

“Avete lasciato un po’ di caffè?” chiese poi alle donne, entrando nella stanza da letto dove gli altri due agenti si stavano vestendo, come se non avesse notato il turbamento delle due donne.

“Uh…si certo.” Rispose Grace, poi, rivolta a Lisbon: “Hei capo, ma chi immaginava che Jane fosse fatto in quel modo?!”

Teresa mise la sua tazza nell’acquaio.

“In quale modo?” rispose, fingendo di non capire.

“E dai capo, non dirmi che non hai notato che razza di fisico ha il nostro consulente!” esclamò incredula

Van Pelt.

“E’ normale.” Disse lei sempre neutra.

Van Pelt era senza parole. Teresa o era cieca o era gay.

Quando gli uomini si furono serviti del caffè e della colazione uscirono tutti insieme per andare in spiaggia.

Sia Grace che Lisbon non poterono fare a meno di notare quanto quei tre fossero fisicamente molto attraenti.

Cho pur essendo di piccola statura, come Jane del resto, aveva dei muscoli davvero invidiabili e con quel costume nero aderente era davvero uno sballo.

Grace naturalmente aveva già ammirato Rigsby anche in versione adamitica, ma comunque non riusciva a staccargli gli occhi di dosso, cosa ampiamente ricambiata dal bell’agente in questione.

E poi c’era Jane.

Lisbon l’osservava attraverso le lenti scure mentre era impegnato in una partita a racchettine sul bagnasciuga con Rigsby.

Non aveva i muscoli di Wayne, ma il suo fisico asciutto e tonico era notevole e questo era sorprendente dato che passava ogni momento libero stravaccato sul divano del bullpen.

Dal canto loro, gli uomini, erano affascinati dalle due donne ognuno in modo diverso.

Wayne, pur apprezzando la figuretta snella ed aggraziata di Lisbon, non aveva occhi che per Grace, statuaria nel suo piccolo bikini nero.

Cho le ammirava entrambe: Grace così alta e prosperosa e Lisbon piccola ma assolutamente con le curve al posto giusto.

A Jane piaceva molto il costume di Grace, ma aveva occhi solo per Teresa.

Le piaceva tutta, dai capelli raccolti sulla sommità della testa per non bagnarli, alle labbra leggermente sporgenti in quel suo tipico broncio, al piccolo corpo sinuoso coperto dal bikini arancione, beh coperto…

Perse la partita, perché si era distratto e sentendo improvvisamente troppo caldo si tuffò in acqua lanciando la racchetta sulla riva.

“Tuffatevi anche voi, dai.” Li incitò schizzandoli.

I ragazzi non se lo fecero ripetere due volte, mentre le ragazze ridevano e facevano le ritrose.

“E’ troppo fredda.”

“Sciocchezze! Forza o vengo e vi prendo con la forza.” Le ammonì Jane.

Sicure che avrebbe mantenuto la parola, le due giovani si convinsero ad entrare in acqua con i propri piedi.

Subito subirono gli schizzi dei compagni al quale risposero senza pietà.

Dopo quasi mezz’ora passata a farsi scherzi e gavettoni, ridendo come ragazzini, Jane, Lisbon e Van Pelt si sdraiarono al sole, Kimball si posizionò su una sdraio sotto l’ombrellone a leggere uno dei suoi libri e Wayne, dopo una vigorosa nuotata, si sdraiò accanto a Jane.

“Van Pelt mi spalmeresti la protezione solare sulla schiena per favore?” disse Teresa sdraiandosi sullo stomaco.

“Certo capo.” Disse la ragazza prendendo il flacone dalle mani di Lisbon.

Wayne guardò i lenti movimenti della rossa e si sentì seccare la gola immaginandone le mani su di sé. Naturalmente la cosa non sfuggi a Jane che, con l’aria più innocente del mondo, disse: “Hei Rigsby, dovresti anche tu mettere la protezione, sei così pallido...Cho perché non gli fai il favore?”

L’asiatico, senza staccare gli occhi dal libro, rispose laconico come sempre: “Scordatelo.”

“Van Pelt spalmeresti la crema anche a Rigsby?” disse allora voltandosi verso la recluta.

La ragazza arrossì come un pomodoro e balbettò un imbarazzato: “Cer…certo perché no?”

Rigsby cominciò a tossicchiare imbarazzato anche lui.

“Sei sempre il solito Jane, me la paghi questa.” Gli sussurrò mentre si voltava sulla schiena e si sottoponeva a quella dolce tortura.

Jane ridacchiò e si voltò anche lui sulla schiena seppellendo il viso nell’incavo del gomito.

Il rumore delle onde, il lieve chiacchiericcio di Van Pelt e Lisbon e la stanchezza accumulata nella notte passata insonne, gli fecero da ninna nanna e si addormentò.

Si svegliò solo un attimo quando Lisbon gli disse: “Hey Jane, fatti mettere un po’ di crema anche tu o ti scotterai la schiena.”

Lui sorrise con gli occhi chiusi e le rispose: “Non è necessario dolcezza, non mi scotterò.” E tornò a dormire.

Verso le undici però un pizzicore strano nella schiena e nelle gambe lo fece svegliare del tutto.

Si sollevò sulle ginocchia e la sensazione di bruciore aumentò.

“Ouh, ma che diavolo…?” borbottò.

“Ben svegliato bell’addormentato.” Disse Rigsby sorridendo ironico.

“Dove sono gli altri?” chiese Jane disorientato dalla dormita.

“In acqua e io ho intenzione di raggiungerli, che fai vieni?”

Lui annuì cercando di guardarsi le spalle.

“Sei rosso come un peperone Jane, Lisbon ti aveva avvertito ma tu non l’hai ascoltata, anzi le hai risposto: Non è necessario dolcezza, non mi scotterò!” Gli disse entrando in acqua ridacchiando.

“Non importa, sopravvivrò.”

Rispose Jane impassibile raggiungendolo.

Dapprima la fresca acqua dell’oceano diede un po’ di refrigerio alle spalle e alle gambe brucianti di Jane, ma dopo l’iniziale benessere si sentì peggio.

“Uhm…ragazzi sono un po’ stanco di nuotare, vado a farmi una doccia e ad ordinare il pranzo.” Disse prendendo la sua tovaglia e drappeggiandosela addosso.

“Va tutto bene?” gli chiese Lisbon.

“Sì certo. Vanno bene dei panini?”

“Sì.” Risposero gli altri uscendo anche loro dall’acqua e sedendosi sulle tovaglie.

“Ora veniamo anche noi, non finire l’acqua calda…e ordina dei panini in più per Rigsby o finirà che qualcuno rimarrà senza pranzo.” Gli gridò dietro Lisbon.

Lui fece un segno di assenso con la mano e risalì il breve tratto di spiaggia che lo separava dal portico della casa.

Subito andò in bagno per togliersi l’acqua salata di dosso, un bruciore tremendo si estendeva per tutto il retro del suo corpo.

Aprì l’acqua calda e si infilò sotto il getto ma il calore era insopportabile, mise l’acqua fredda e subito si sentì meglio.

Con delicatezza si spalmò il bagnoschiuma e si risciacquò e quindi si asciugò tamponando la pelle.

Quasi subito però il bruciore tornò insistente e Jane fece una smorfia a se stesso nello specchio.

“Idiota.” Si disse e indossati gli slip e un paio di pantaloncini si diresse nel saloncino per chiamare il ristorante.

Aveva appena fatto l’ordinazione quando il resto della squadra entrò ridendo.

“Salve ragazzi, tra poco meno di mezz’ora porteranno il pranzo.” Disse sorridendo infilandosi una maglietta bianca.

Lisbon notò la lieve smorfia che fece mentre si abbassava l’indumento sulla schiena, ma fece finta di niente.

“Chi comincia con la doccia?” disse Wayne allegro.

“Prima le donne.” Rispose Cho con garbo.

“Vai pure Van Pelt, io farò dopo.” Poi, voltandosi in direzione di Jane, che si era sdraiato a pancia in giù sul divano, disse: “Jane ti posso parlare?”

Lui si alzò lentamente come al solito e la seguì nella stanza delle ragazze.

“Che c’è?”

“Togliti la maglietta.”

Jane rimase un attimo a bocca aperta, poi un sorriso malizioso si allargò sulla sua faccia.

“Accidenti Lisbon, ma di là c’è gente, non puoi aspettare più tardi?”

Lisbon arrossì violentemente.

“Non essere idiota Jane, fammi vedere la schiena.” Sibilò seccata.

“Va bene, ma ti assicuro che non è la mia parte migliore.” Disse lui sempre scherzando.

“Jane…”

Lui alzò le mani in segno di resa.

Si tolse la maglietta e lei si avvicinò per ispezionargli le spalle.

“Se ti tocco bruci?” disse appoggiando lievemente il dito sulla scapola del suo consulente.

Jane sussultò ma negò con la testa.

“E qui?” gli chiese continuando a scendere lungo la colonna vertebrale.

“Un po’, non è niente Lisbon, sta già passando.”

Cercò di rassicurarla lui rimettendosi la maglietta.

“Sei uno sciocco asino Jane, ti avevo detto di metterti la protezione. Dopo pranzo vedrò se abbiamo qualcosa contro le scottature in casa.”

Disse uscendo dalla stanza esasperata.

Lui sorrise lievemente, non ricordava che fosse stata lei a dirgli di mettersi la crema, aveva sognato sua moglie che lo invitava a proteggersi dal sole e lui, come al solito, l’aveva rassicurata che non era necessario, poi lei l’aveva raggiunto e gli aveva spalmato la schiena di fresca crema solare.

Sospirò, questa vacanza non era una buona idea, troppi ricordi affioravano nella sua mente.

Raggiunse i compagni nel cucinino, i panini erano arrivati.

Ne prese uno con prosciutto e formaggio e si sedette su una sedia attento a non appoggiarsi allo schienale, almeno le gambe gli bruciavano meno, pensò.

Mangiarono in un’atmosfera rilassata e amichevole, scambiandosi le prime impressioni su quel posto.

“Meno male che Hightower non ci ha spediti in uno di quei camping sperduti nelle montagne, qui a Malibù almeno c’è la movida.” Disse Rigsby ingoiando l’ultimo boccone del terzo panino.

“Giusto.” Concordò Grace versandogli dell’altra Coca Cola.

Lisbon sbuffò scettica e Cho e Jane non dissero nulla.

“Non so voi, ma io voglio tornare in spiaggia.” Disse Grace alzandosi dalla sedia.

“Sì, vengo anch’io.” Disse Lisbon.

Anche gli altri aderirono e Lisbon disse rivolta al suo consulente: “Fossi in te starei lontana dal sole per un po’.”

Lui sorrise sbruffone come al solito.

“Terrò la maglietta, tranquilla.”

Lei fece una smorfia e uscirono.

Grazie a tutte per le belle recensioni della Oneshot Il party, siete state veramente carinissime.

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Capitolo 2
*** Seconda parte ***


Un grazie enorme per le vostre recensioni.

Giulia: grazie, anche tu scrivi davvero bene, sono contenta che ti piacciano le mie storie.

Sonia: anch'io ho riso scrivendo di Rigsby, a volte è proprio un bambinone! In quanto a Jane e Lisbon era ovvio che lui la fraintendesse no?

Soarez: un piccolo omaggio a Cho, che ha davvero un gran fisico per un piccoletto, come si dice il vino buono sta nella botte piccola.

Cla: beh Jane non è proprio cretino, forse un po' infantile e facilone, ma così affascinante...non trovi?

Seconda parte

 

Il pomeriggio passò tranquillamente tra bagni in mare e bagni di sole, verso le sei tornarono in casa e dopo le docce, i tre membri più giovani del team, si prepararono per uscire.

“Vi va di andare al cinema e poi magari a mangiare qualcosa?” disse Rigsby attirato dall’aria vacanziera del posto.

“Voi andate pure, io preferisco riposare.” Disse Jane ingoiando un’aspirina.

“Anch’io preferisco rimanere a casa, divertitevi.” Disse Lisbon guardandolo sospettosamente, Jane non prendeva quasi mai l’aspirina.

“Vai anche tu Lisbon, ti annoierai qui.” Disse lui cercando di spronarla ad uscire un po’.

“Non mi annoierò affatto, c’è un film in televisione che voglio assolutamente vedere.” Lo rassicurò lei.

“Capo, ma sei in vacanza!” disse Grace incredula.

“Uscirò con voi domani sera ragazzi, divertitevi…tranquilli.” Disse poi spingendoli fuori dalla porta.

Wayne ridacchiò quando la porta si chiuse alle loro spalle: “E’ come se il capo volesse rimanere sola con Jane!”

“Ti ho sentito Rigsby!” la voce di Lisbon lo fece impallidire e, senza dire nient’altro, si allontanò con gli altri due che si trattenevano a stento dallo scoppiare a ridere.

“Potevi andare con loro Lisbon, non ho bisogno di una babysitter, non combinerò guai per stasera.” Disse Jane, sforzandosi di sembrare allegro.

“Ti brucia molto?” gli chiese lei come se non l’avesse sentito.

“No.”

“Bugiardo. Non avresti dovuto tornare in spiaggia questo pomeriggio. Comunque, ho trovato della pomata contro le scottature nel bagno, stenditi che te la spalmo.”

Disse tirandolo verso la stanza dei ragazzi.

Jane sbuffò.

“Ma non è poi così grave Lisbon, avevo la maglietta e poi basta che non ci dorma sopra e domani starò bene.” Si lamentò lui.

“Piantala e fa come ti ho detto.”

“Tu e la tua mania del controllo.” Borbottò Jane togliendosi la maglia e stendendosi sul letto a pancia sotto.

“Cosa?” disse lei.

“Niente.” La risposta di Jane si soffocò nel cuscino nel quale aveva seppellito la faccia.

“Uhm…in fondo non è un’ustione grave Jane, solo una lieve scottatura. Un po’ di balsamo e domani, se non prenderai sole, andrà decisamente meglio.” Disse mentre con mani delicate spalmava la crema sulla sua schiena arrossata.

“E io cosa avevo detto donna?”

“Taci.” Gli intimò lei cominciando a strofinargli delicatamente la crema su tutta la schiena.

Un mugugno di piacere sfuggì dalla bocca di Jane, che ringraziò Dio, o chi per lui, di essere a pancia in giù, il suo corpo stava rispondendo a tradimento, beh a dire il vero stava rispondendo nel modo giusto per il quale era stato progettato, a quella dolce carezza.

“Hai anche mal di testa?” gli chiese lei con la voce leggermente roca, o forse Jane se l’era sognato?

“Meh, niente che non si possa sopportare.” Rispose lui finalmente alzando la testa.

“Stai giù. Allora perché hai preso l’aspirina?” gli chiese scendendo a spalmargli la crema sulle cosce muscolose.

Quei gesti così intimi stavano provocando, oltre che in Jane, anche in Lisbon reazioni da tempo sopite.

Il semplice gesto di spalmare la crema sulla pelle bollente per la scottatura del suo consulente, le provocava mille brividi lungo gli avambracci, le spalle e la colonna vertebrale, e non erano dovuti certamente al freddo della sera, vista la stagione.

“Ma che fai mi spii?” ritorse lui cercando di distogliere il pensiero dalle mani calde e morbide di Lisbon che scendevano lungo il suo corpo, facendo sentire anche a lui i brividi nonostante la sua pelle fosse bollente.

“Certo che no, che sciocchezza.” Disse lei mettendo fine a quel dolce tormento.

“Ok, puoi alzarti. Per un po’ non metterti la maglia, fai assorbire bene la crema.”

Disse col fiato corto, come dopo una corsa, uscendo dalla stanza prima che lui potesse leggerle il turbamento negli occhi.

Lui si alzò appena lei fu fuori e quando fu certo di essere presentabile, la raggiunse nel saloncino e si sedette sul divano.

“Grazie Lisbon, se vuoi puoi andare a raggiungere i ragazzi, non devi rimanere a casa per colpa mia.”

Le disse con voce dolce.

Lei roteò gli occhi al cielo, ma sorrise: “Dio Jane, il tuo ego è veramente enorme. Sono stanca ecco perché non sono uscita. Ti va del the freddo?” disse poi alzandosi per prenderne un bicchiere.

“Si molto, grazie.” Rispose lui col suo fiammeggiante sorriso.

Si sedettero sugli scalini della veranda a bere il loro the finché Lisbon non si scoprì affamata.

“Cinese o pizza?” gli chiese.

“Qualsiasi cosa, non è che abbia troppa fame.” Disse lui massaggiandosi le tempie.

“Allora ordinerò la pizza.” Disse lei entrando per telefonare.

Il cibo arrivò dopo venti minuti e i due mangiarono seduti sugli scalini, il cartone aperto tra loro.

“Si sta bene qui non è vero?” disse Lisbon guardando verso l’oceano.

“Sì. Ho sempre desiderato vivere in una casa vicino all’oceano.” Le rispose piano.

“Beh, se non ricordo male la tua casa era vicino all’oceano…Dio Jane, mi dispiace io…” borbottò Lisbon, si era appena ricordata che la casa di Jane, quella in cui Red John aveva assassinato la sua famiglia, era proprio a Malibù.

“Non importa. Sì è vero la mia casa è a qualche isolato da qui, appena ho avuto abbastanza denaro ne comprai una enorme, ma a mia moglie non piaceva molto veramente, diceva che era troppo grande e pacchiana, io però l’adoravo. Vi avevo persino lo studio dove ricevevo i miei clienti. Sai,” aggiunse a voce talmente bassa che lei stentò ad udirla.

“Dopo tutti gli anni passati a girovagare col Luna Park senza una meta, mi ero illuso di poter mettere radici da qualche parte. Odiavo il nostro camper quasi quanto odio Red John!”

Sospirò, lo sguardo lontano e triste.

“Credo che andrò a dormire adesso. A domani Lisbon, ricordati la nostra nuotata.” Si alzò sorridendo, come se quello che le aveva appena raccontato non gli avesse minimamente fatto male.

Gli occhi verdi di Lisbon luccicavano alla luce della luna piena, quell’uomo era un maestro dell’inganno, ma a lei, a volte, lasciava intravedere il vero Patrick, quello ferito e spezzato.

“Spero che tu possa riposare un po’ Jane, ne hai bisogno.” Gli disse con un dolce sorriso.

“Prenderò le pillole Lisbon, credo anch’io di aver bisogno di dormire.”

Ed entrò in casa.

Lisbon rimase ancora fuori, si sedette sul divanetto di vimini circondandosi le ginocchia con le braccia.

A volte avrebbe tanto voluto  lasciarsi andare agli impulsi del cuore che, in momenti così, la spingevano a volerlo consolare magari con un forte abbraccio.

Invece il suo lato razionale la teneva legata e in controllo, facendole sprecare occasioni importanti.

Sospirando guardò l’orologio.

Le dieci. Non era poi così tardi ma la giornata passata al sole e a nuotare l’aveva stancata, anche se piacevolmente.

Rientrò anche lei e dopo essersi lavata i denti ed indossato la sua maglia Lisbon 99, si affacciò alla porta della stanza dei ragazzi.

Jane dormiva tranquillo, a pancia in giù con un braccio ripiegato sotto il cuscino e l’altro lungo il fianco, il viso rivolto verso la porta, le rughe di espressione che si intrecciavano sul suo volto abbronzato durante il giorno, spianate.

Si avvicinò piano e, mollando la presa sul suo autocontrollo, spostò una ciocca di capelli dalla fronte del consulente. Era caldo, l’effetto dell’eccessiva esposizione al sole, evidentemente, gli aveva fatto aumentare un po’ la temperatura ecco perché aveva mal di testa.

“Mi dispiace Jane.” Mormorò piano.

“Vorrei tanto che Red John non esistesse, anche se questo significherebbe che noi due … che noi due non ci conosceremmo.”

Jane si mosse leggermente nel sonno, voltandosi sul fianco ma non sembrò svegliarsi. Lisbon uscì dalla stanza e andò a dormire.

Veramente non prese subito sonno, persa nelle sue elucubrazioni, e sentì distintamente i suoi tre sottoposti rientrare piano ridacchiando.

Solo dopo che Van Pelt ebbe spento la luce e si fu addormentata, anche lei si abbandonò nelle braccia di Morfeo.

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Capitolo 3
*** Terza parte ***


Sasita: "da quando è diventata un randu robin???" che cosa vuoi dire non capisco. Comunque grazie.

Evelyn_Cla: No, Jane era proprio addormentato, le pillole ricordi? Grazie anche a te.

Giulia: Ti piace Rigsby vero? Effettivamente è così dolce a volte, ma Jane è Jane. Grazie cmq per le tue belle parole.

Vi avverto che non sarà molto lunga uno o due capitoli ancora, i weekend sono brevi purtroppo!!!!!

Terza parte

La mattina successiva lei e Jane si svegliarono prima degli altri per la loro gara di nuoto che, tra una rivincita e l’altra, divenne quasi un torneo.

Un paio di volte Lisbon riuscì anche a batterlo, guadagnandosi il suo broncio offeso.

“Hai imbrogliato!” l’accusò lui “Mi hai afferrato per la caviglia!”

“Sei proprio un bambino Jane.” Gli disse lei ridendo “Ti ho solo sfiorato senza farlo apposta.”

Lui, abbandonata l’espressione seccata, le sorrise in modo affascinante dicendole: “Non sono un bambino, e che forse tu sei troppo…adulta.”

Lei gli lanciò un cucchiaio dietro finendo per svegliare tutti, visto che lui si era spostato e il cucchiaio aveva colpito il frigo.

Passarono la giornata in spiaggia, ridendo degli scherzi senza fine di Jane e della goffagine di Rigsby nel cercare di ignorare quello che la vicinanza di Van Pelt gli stava facendo.

Nel pomeriggio, durante una passeggiata in centro,  incontrarono un paio di star del cinema che avevano le loro residenze nella zona.

Si divertirono parecchio in giro per i negozi che si aprivano quasi sulla spiaggia, mangiarono gelato e per un po’si scordarono di essere agenti di polizia, sentendosi delle persone normali.

Né Lisbon né Jane parlarono più delle confidenze che Jane le aveva fatto la sera prima.

Tornati a casa decisero di cenare lì invece di uscire di nuovo, era piacevole stare tutti insieme senza crimini e omicidi ad accomunarli, uniti solo dall’amicizia e dall’affetto reciproco.

Mangiarono del cibo cinese, comprato in un negozio che Jane conosceva bene e quando Rigsby, dopo cena, si allontanò per fare una passeggiata notturna sulla spiaggia, Jane disse a Van Pelt:

“Muori dalla voglia di seguirlo Grace, la tua mente me lo sta gridando. E allora fallo, che aspetti!”

“Non è vero Jane, ti sbagli proprio.” Disse lei, rossa quasi quanto i suoi capelli.

Lui le sorrise e le prese le mani tra le sue stringendole leggermente e la fissò dritto negli occhi castani con i suoi incredibilmente azzurri.

“Bugiarda. Va da lui.”

Lei ingoiò a vuoto un paio di volte prima di alzarsi e correre dietro al suo ex.

Si allontanarono insieme, senza nemmeno sfiorarsi, ma la tensione tra loro era palpabile.

“Perché l’hai fatto Jane, sei crudele.” Gli disse Lisbon severa.

“Se Hightower lo sapesse ci licenzierebbe tutti e tre.”

Jane si sedette sulle scale dandole le spalle, voltò la testa nella sua direzione e col suo solito sorriso sornione le rispose: “Non lo farà perché non lo saprà mai, a meno che tu o Cho non cantiate come usignoli.”

Cho fece spallucce.

“Io non ho visto niente. Vi auguro la buonanotte, domani dovremo alzarci presto.” Disse salutandoli con la sua espressione calma e rilassata che avrebbe fatto invidia a qualunque guru yoga.

Il sorriso di Jane si allargò e, dopo aver fatto un cenno a Cho con la mano, si voltò completamente verso di lei con aria interrogativa.

Lisbon si morse le labbra e alzò gli occhi al cielo esasperata, il suo consulente aveva l’espressione di un folletto dispettoso.

“Patrick Jane, tu sarai la rovina della mia carriera!!!”

Lui rise nervosamente.

“Lo sai che non ti farei mai del male consapevolmente Lisbon, ma io sono convinto che, con o senza il mio aiuto, prima o poi, quei due esploderanno e si salteranno addosso l’un l’altro con conseguenze catastrofiche.”

La raggiunse sul divanetto di vimini e le sorrise, uno dei suoi rari sorrisi sinceri.

“Tu non li vorresti vedere felici? Io sì, adoro le storie a lieto fine.”

Lisbon si ritrovò ad annegare nell’oceano azzurro dei suoi occhi, la gola le divenne secca per la sua improvvisa vicinanza e dovette deglutire forte per liberarsi dal nodo che gliela serrava.

“Le regole…”

“Andiamo Lisbon, le regole sono fatte per essere infrante.” Sbuffò lui esasperato.

“Non si può rinunciare a vivere una cosa così grande come l’amore che provano Grace e Wayne l’uno per l’altra, per delle stupide regole! Tu dovresti sapere cosa vuol dire rinunciare all’amore!” esclamò.

Lei lo guardò torva. “Che diavolo intendi dire?”

“Lo sai. Tu e Bosco…lui ti amava, tu lo amavi…ma le regole sono regole.” Disse con l’aria di chi la sa lunga.

Lisbon divenne scarlatta.

“Come osi?” Disse alzandosi in piedi.

“Tu non sai niente di me e di Bosco. Lui era un uomo sposato, fedele, onesto e sì rispettoso delle regole, tutto quello che tu non sarai mai!” gridò sconvolta.

Jane la guardò un momento, gli occhi grandi e velati, segno che le sue parole l’avevano ferito, ma la sua maschera beffarda tornò immediatamente al suo posto.

“Uh…vero, almeno fino ad un certo punto. Io comunque sono stato un marito fedele Lisbon.” Si alzò lentamente anche lui.

“Mi dispiace se ho esagerato, ma non permettere che la tua personale esperienza negativa rovini la felicità di quei due. Io spero davvero che tu un giorno riesca a dimenticare Bosco e ad andare avanti con la tua vita, mi piacerebbe vederti felice.” Le sussurrò con un sorriso strano.

Lisbon strinse le labbra ancora furiosa.

“Forse riuscirò a dimenticare quando dimenticherai anche tu Jane.” Gli disse entrando in casa.

Un sospiro sfuggì dalle labbra di Jane che alzò gli occhi al cielo.

” Dimenticare…e come?”  disse a voce appena udibile dalle sue stesse orecchie. Se qualcuno avesse potuto insegnarglielo gliene sarebbe stato grato per l’eternità.

Entrò anche lui.

Lisbon era in cucina che beveva un bicchier d’acqua.

“Non è colpa mia se Grace e Wayne si sono lasciati, Jane.” Disse guardandolo con gli occhi verdi che ancora mandavano bagliori di rabbia.

“Lo so. E che a volte sono un inguaribile romantico. Dimentica quello che ti ho detto, ho passato una bella vacanza sai?”

Lisbon lo fissò negli occhi sperando di potervi leggere qualcosa, ma Jane era così dannatamente bravo a nascondersi…

Alzò gli occhi al cielo, perché non riusciva a rimanere arrabbiata con lui per troppo a lungo?

“Lo farò se anche tu dimenticherai quello che ti ho detto io, la rabbia è una cattiva consigliera.”

Lui parve pensarci su. Poi, ondeggiando un po’ la testa come suo solito rispose:

“Meh, suppongo di poterlo fare Lisbon. Allora pace?” le disse porgendole la mano.

Lei gli sorrise. “Pace.” E a sua volta gli porse la sua.

Lui l’afferrò saldamente e la tirò verso di sé in un fugace ma forte abbraccio.

“Grazie.” Mormorò nel suo orecchio prima di allontanarsi con un affascinante sorriso da almeno mille watt. 

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Capitolo 4
*** Quarta parte ***


Eccoci alla fine della storia.

Grazie a tutte le mie fedeli lettrici, chiedo venia se è mancato il movimento, non so se mi spiego, ma non disperate posterò presto qualcosa in cui il movimento spero non mancherà.

Quindi buona lettura e...alla prossima!

Quarta parte

A letto Lisbon non riuscì a prendere sonno, le mille espressioni e i mille umori di Jane le danzavano nella testa senza darle pace.

Adorava il modo in cui riusciva a farla sentire viva, come la sfidava, come la consolava o come la faceva impazzire di rabbia anche, in poche semplici parole adorava Patrick Jane nella sua totalità e questo la spaventava a morte.

Non sapeva come gestire quei sentimenti per il suo consulente, non riusciva nemmeno a darsi una spiegazione logica sul come o quando o perché avesse sviluppato tali sentimenti per lui.

Era talmente diverso da lei: infantile, immaturo, spaccone, menefreghista…ma anche dannatamente affascinante, divertente, bello, dolce, triste...

Sospirò voltandosi per l’ennesima volta nel letto in cerca di una posizione che magari le avrebbe conciliato il sonno, non riuscendoci si alzò e uscì nella veranda.

L’aria fresca proveniente dal mare le riempì le narici rinvigorendola.

“Non riesci a dormire?” le chiese Jane sottovoce.

“No, neppure tu vedo.”

Lui ridacchiò.

“Non è una novità per me. Cosa ti turba?” le chiese scrutandola nel buio.

Lei fece spallucce.

“Ah Lisbon, perché menti? Sai che io riesco a leggerti come un libro aperto.”

Lisbon ridacchiò a sua volta.

“Si certo, come no.”

Jane le si avvicinò pericolosamente, scrutandole gli occhi verdi grandi e smarriti.

“Il tuo dilemma è… hai dei sentimenti per qualcuno che secondo te non li merita. No, non è che non li meriti e che è così differente dal tuo tipo ideale!” le disse con la faccia concentrata come se stesse realmente leggendogli la mente.

Come ogni volta che Jane riusciva ad indovinare i suoi pensieri, Lisbon sulla difensiva, oltre che arrossire, negò.

“Non è vero!”

“Sì è così. Beh, se posso darti un consiglio dovresti parlargli, questo allenterà parecchio la tensione e lo stress a cui la tua mente è sottoposta e migliorerà anche i tuoi mal di testa.” Aggiunse allontanandosi da lei sorridendo sicuro di ciò che aveva appena letto nell’espressione di lei.

“No…io…non è vero che sono tesa.” Continuò lei debolmente.

“Se ti piace negare l’evidenza fai pure Lisbon, ma a me non puoi sfuggire.” Le sussurrò di nuovo troppo vicino.

“Conosco il fortunato?” aggiunse poi sorridendo.

“Non lo so, dimmelo tu, non sono un libro aperto per te?” lo sfidò Lisbon.

Lui scoppiò a ridere.

“Ok, per stasera basta così. Domani ci aspetta un viaggio abbastanza lungo per tornare a casa, faremo bene a provare a riposare un po’.”

“Già. A domani Jane.” Lo salutò lei a disagio.

“A domani.” Rispose lui, ondeggiando sui piedi.

Rigsby e Van Pelt tornarono a casa pochi minuti dopo che Jane si fu ritirato per la notte.

Avevano parlato per un po’ del più e del meno durante la passeggiata, poi lui preso dalla passione l’aveva baciata e Grace non era riuscita a resistergli.

Avevano finito per fare l’amore in riva al mare, come in un film degli anni cinquanta, con le onde che lambivano i loro corpi intrecciati e ora, sentendosi colpevoli come due ragazzini, si baciarono velocemente e ognuno andò nella propria stanza.

Van Pelt si coricò cercando di non far troppo rumore, ma Lisbon era sveglia.

“Spero che non te ne pentirai Van Pelt, per il tuo bene e anche per il mio.” Le disse guardandola dritto negli occhi.

“Staremo attenti questa volta capo, te lo giuro.” Rispose la ragazza con la voce tremante.

“Dormi ora.” Le disse Lisbon girandosi dall’altra parte.

Le era sembrato di essersi appena addormentata quando dei rumori provenienti dalla cucina la svegliarono, spingendola ad alzarsi, guardò fuori dalla finestra, era ancora scuro ma già il chiarore dell’alba tingeva l’orizzonte.

Piano e con la pistola in pugno si diresse verso i suoni che l’avevano disturbata.

“Lisbon!” gridò quasi Jane con le mani alzate, appena la vide puntargli l’arma addosso.

“Gesù Jane, avrei potuto spararti.” Disse lei mettendo via la pistola.

Lui abbassò le mani e se ne passò una nei capelli arruffati, con il risultato di arruffarli ancora di più.

“Non riesci a dormire?” gli chiese Teresa sedendosi al tavolo.

“Stavo dormendo veramente, ma ho avuto un incubo e…Ma tu perché sei qui?” ritorse cambiando discorso.

Lei lo guardò negli occhi e sorrise.

“Cambi discorso Jane? Ok, quando ero piccola e facevo brutti sogni, la mamma mi preparava del latte caldo col miele, diceva che aiutava a dimenticare l’angoscia e faceva tornare il sonno.” Il sorriso di Lisbon era così dolce nel ricordare quell’episodio, che Jane sentì il cuore stringersi ma non sapeva bene se per la tenerezza che lei gli ispirava in quel momento, o per il dolore di condividere il suo senso di perdita.

“Vuoi che te lo prepari Jane?” gli chiese con la voce morbida.

Jane rimase a fissarla perso nella dolcezza del suo viso, sbattendo le palpebre come se stesse svegliandosi da un sogno.

“Ehm…no grazie Lisbon, ho paura che nulla possa conciliare il mio sonno, però apprezzo il tuo interessamento.” Le rispose piano, sedendosi accanto a lei.

Lei fece spallucce.

“Io ci ho provato. Jane…” disse poi sporgendosi un po’ verso di lui.

“Perché non provi a raccontarmi il tuo incubo, condividerlo potrebbe aiutare.”

Lui scosse la testa testardamente.

“No. Non voglio raccontarti niente, era solo uno stupido incubo tutto qui.” Disse lui alzandosi e allontanandosi da lei.

“Hai la maglietta che si può strizzare e lo sguardo di un animale spaventato, non occorre essere te per capire il tipo di sogni che ti tormentano.”

Jane alzò gli occhi al cielo e sospirò forte.

“Se li immagini non chiedermi di parlarne allora, per favore.”

Lisbon rimase senza fiato nel vedere lo sguardo di Jane.

Dolore, paura, rabbia erano mescolati insieme nell’azzurro verde di quegli occhi dandogli l’aspetto di un bambino sperduto, solo.

Il cuore di Lisbon accelerò i battiti mentre si alzava per raggiungerlo.

“Scusami non intendevo girare il coltello nella piaga, volevo solo che tu ti aprissi un po’, dici sempre di fidarti di me ed ho pensato che magari volessi confidarti. Quando sarai pronto, io sarò lì per ascoltarti.”

Gli diede un leggero bacio sulla guancia resa ruvida dall’accenno di barba che cresceva e quasi scappò nella sua camera chiudendo la porta dietro di se.

Jane si toccò la guancia con tenerezza, avrebbe tanto voluto sapersi aprire con gli altri come pretendeva che loro facessero con lui, ma non nè era capace, non più.

Si sedette con la testa tra le mani, a volte aveva l’impressione che con la sua famiglia fosse morta anche la sua umanità.

Amava Lisbon, ma finché la sua anima non avesse ottenuto la sua vendetta su Red John non poteva fare nessuna mossa con lei, non meritava un uomo spezzato come era lui.

Guardò l’ora. Le cinque, avrebbe fatto una nuotata prima di partire, forse l’avrebbe aiutato a liberare la mente dai dolorosi ricordi che questo weekend aveva riportato a galla.

Uscì nell’aria fresca del mattino non ancora spuntato e si diresse sulla spiaggia.

Il vento proveniente dall’oceano era pungente e Jane si strofinò gli occhi che gli bruciavano per la salsedine.

Sbatté più volte le palpebre per liberarsi dal fastidioso bruciore e, toccandosi gli occhi, scoprì essere causato dalle lacrime.

Si sedette sulla spiaggia, si sentiva girare la testa e gli pareva che qualcuno gli stesse affondando un coltello nel cuore. Portò le ginocchia al petto e vi seppellì il viso, soffocandovi i singhiozzi.

Era stanco: stanco di non dormire, stanco di sentire solo il vuoto dentro di se, stanco di dover rinunciare ad amare una donna meravigliosa come Lisbon, stanco di rincorrere un beffardo, crudele e sfuggente serial killer, stanco di sentirsi così in colpa.

Si alzò e si tuffò in mare, l’acqua fredda lo colpì come un pugno nello stomaco, con vigorose bracciate cominciò a nuotare annullando i pensieri che gli turbinavano nel cervello.

Nuotò per una buona mezz’ora finché i suoi muscoli doloranti non cominciarono a protestare, solo allora uscì dall’acqua e si avviò verso il cottage.

Si fece una doccia, si vestì col completo grigio scuro e  la camicia azzurra e preparò una veloce colazione per i suoi colleghi.

Si sentiva meglio, era sempre così che succedeva: aveva un incubo, si svegliava sudato e spaventato, i muri di protezione sgretolati come dopo un terremoto, provava a scacciare la tristezza senza successo (con o senza la presenza di Lisbon non c’era differenza), poi si lasciava andare all’autocommiserazione piangendo come un bambino e quando era stremato si faceva una doccia e si sforzava di andare avanti rimettendo in piedi il muro che lo proteggeva.

Rigsby e Cho si alzarono per primi e dopo aver bevuto il loro caffè e mangiato le loro ciambelle, si andarono a preparare.

Le due donne invece uscirono dalla loro camera già pronte.

“Grazie per la colazione Jane.” Disse Lisbon guardandolo di sbieco.

Lui le sorrise tranquillo.

“Di niente. Allora…” disse battendo insieme le mani “Andiamo?”

Tutti annuirono e prese le loro valigie si avviarono ai taxi che Cho aveva chiamato per portarli all’aeroporto.

“Tutto ok?” gli chiese Lisbon trattenendolo per una manica prima di entrare nel secondo taxi con lui.

“Sto bene. Dopo di te.” Disse facendola passare davanti a lui.

Lei annuì leggermente.

I loro corpi si sfiorarono appena entrando nel taxi ed entrambi rimasero senza fiato.

Sarebbe stata dura tenere a bada i sentimenti che provavano l’uno per l’altra, ma entrambi erano consapevoli di non essere pronti per affrontarli.

Forse col tempo, dopo Red John, Jane sarebbe tornato a vivere dandosi una possibilità e Lisbon era disposta ad aspettare che il cuore del suo biondo consulente smettesse di sanguinare.

Il sentiero verso quel cuore lei aveva provato a tracciarlo la notte prima, l’importante era non perderlo di vista.

La costa sabbiosa di Malibù si snodava davanti agli occhi di Jane come un lungo serpente dorato.

Un sorriso gli increspò le labbra piene, il profumo di Lisbon invase i suoi sensi rendendolo sicuro di una cosa: avrebbe lottato per lei anche a costo della sua vita, qualunque cosa fosse successa, stavolta ci sarebbe stato per la donna che amava.

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