MEMORIES

di WillowG
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** File 00 ***
Capitolo 2: *** File 01 ***
Capitolo 3: *** File 02 ***
Capitolo 4: *** File 03 ***
Capitolo 5: *** File 04 ***
Capitolo 6: *** File 05 ***



Capitolo 1
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file 00 Questo è il prologo di una serie di one-shot sotto forma di ricordi, riguardanti principalmente Catherina, Abel, Vaclav, William e Kate prima della formazione dell’AX. Come si sono conosciuti, e cosa li ha spinti a unirsi per crearla. Non ho letto i libri, e quello che so su TB è grazie all’anime, al manga e ai siti internet dedicati. Comunque per le mie fic mi baso sull’anime, con qualche riferimento e spunto del manga. Questo prologo è ambientato in un momento di pace prima del ciclo di Albion. Quindi Noelle è morta, Eshtel non è regina, Abel non è ancora partito con Ion, ma Seth, Ashta e Mirka sono personaggi già conosciuti, dato che non so quando, ma li vorrei usare come comparse.

- MEMORIES -

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 La primavera stava lasciando spazio all’estate, a Roma. Ma il clima era ancora mite, e non afoso, nonostante il sole scintillante nel cielo terso. L’aria profumata portava occasionalmente il canto di qualche uccellino. Nella fontana di Trevi l’acqua sgorgava allegra. La gente per strada era tranquilla, e si dedicava con calma alle sue faccende, senza pensare a Methuselah e associazioni votate a distruggere il mondo. Eppure, nonostante la perfezione e la pace di quella giornata, al Vaticano, una giovane suora non riusciva a stare tranquilla.
 Suor Esthel Blanchett fissava con apprensione la nuova invenzione di Padre William Walter Wordsworth, deglutendo appena. Ma nulla era la sua preoccupazione di fronte a Padre Leòn Garcia De Asturias, che fissava il lavoro del “Professor” come se fosse stato un serpente a sonagli. Un nuovo tipo di bracciali da combattimento, che avrebbero dovuto sostituire quelli del prete ispanico.
 -Padre Wordsworth? Scusi, ma … cosa avrebbero di diverso questi bracciali, rispetto a quelli vecchi?- Domandò timidamente la rossina, cercando di non usare un tono troppo sfiduciato. Il professore non lo notò, o non vi fece caso, e sfoderando un sorriso grondante d’orgoglio, prese una lunga boccata di fumo dalla sua fedele pipa.
 -Molte cose, mia cara Sorella. Tanto per cominciare, sono fatti di una lega molto più leggera di quelli vecchi. Certo, sono sempre composti perlopiù d’argento, o non sarebbero molto efficaci contro i Vampiri, ma ora dovrebbero essere ancora più robusti e resistenti.-
 -E non esplodono, vero?- Domandò Leòn, osservando scettico le sue nuove armi, senza osare avvicinarsi troppo.
 -Ovviamente no!- Esclamò William, genuinamente stupito dalla domanda. -Perché me lo chiedi?- Sia Leòn che Esthel lo fissarono per un lungo istante. Alla fine il prete sbuffò, seccato.
 -Donna e uomo di poca fede! Solo perché ogni tanto faccio qualche errore, non significa che tutte le mie invenzioni siano pericolose!-
 -”Ogni tanto”?!?- Fece l’ologramma di Sorella Kate, apparendo dal nulla dietro all’inventore. Questi, per la sorpresa perse per un istante la presa sulla propria pipa, che venne però recuperata al volo, appena prima di toccare terra, grazie a più che allenati riflessi -Padre Wordsworth, voglio sperare che, per una volta, tu non abbia combinato uno dei tuoi soliti disastri!- Sibilò l’ologramma, la lieve distorsione elettronica della voce non riusciva a nascondere un ringhio d’avvertimento.
 -Ma perché tutti pensano sempre il peggio delle mie invenzioni?! E questa volta non è neppure un’apparecchiatura elettronica! Solo sano metallo! Niente circuiti, né polvere da sparo! Neppure olio motori!-
 -Davvero? Allora posso provarli!- Fece Leòn, prendendo un bracciale, e iniziando a farlo roteare, saggiandone il peso.
 -Sì, certo, ma devi sapere che ho apportato anche un piccolo meccanismo a press …- Aggiunse il professore, ma il bracciale era già stato lanciato. Il sinistro rumore di uno scatto rimbombò nell’aria, mentre un meccanismo faceva uscire dal cerchio di metallo una serie di lame, trasformandolo in una vera e propria sega circolare. Sfortuna volle che, proprio in quel momento, entrasse Padre Vaclav Havel, con una pila di libri e documenti sulle braccia.
 -William, ti ho portato quei libri che mi avevi chiest …- Padre Havel fece appena in tempo a piegarsi all’indietro, grazie a riflessi pluricollaurdati, che l’anello di metallo andò a sbattere contro la pila di libri che teneva in mano, infilzando qualche foglio nella sua corsa, per poi piantarsi nello stipite della porta. Per un lungo, pesante istante, tutto rimase fermo nel silenzio più assoluto. Poi i presenti si riscossero, presi quasi dal panico.
 -Padre Havel! Tutto bene?!- Chiese Esthel, accorrendo assieme a Kate da “Know Fate“, che, coricato a terra, fissava il bracciale conficcato sopra la porta. Gli occhi scuri, di solito dal taglio sottile, quasi a mandorla, tondi come due palle da tennis. Poteva esserci la sua testa al posto di quei fogli …
 -Vaclav! Vecchio mio, stai bene?- Accorse anche Wordsworth, trafelato, la pipa, per una volta, dimenticata. Leòn subito dietro.
 -Chiedo scusa! È colpa del professore da strapazzo!!!-
 -Come sarebbe a dire che è colpa mia?! Sei stato tu a tirare!- Ringhiò Wordsworth risentito. Il prete ispanico ribatté feroce.
 -Ma sei stato tu a non avvertirmi che ai miei bracciali ci aveva aggiunto delle lame rotanti a scatto!- William stava per ribattere a sua volta, ma Vaclav si era tirato su a sedere con un grugnito.
 -Accidenti, rischio di più la vita a venire in questa ala del Vaticano che ad un raduno di Vampiri in preda alla Sete …-
 -Tutto a posto, amico mio? Nulla di rotto, spero …- Chiese preoccupato William, offrendo una mano al collega per tirarsi in piedi, che accettò grato.
 -Tranquillo, William. Solo qualche nuovo capello bianco e due o tre anni di vita in meno.-
 -Sai Vaclav, a volte mi stupisco che tu non abbia lo stesso colore di capelli di Abel …- Sospirò Sorella Scott, visibilmente sollevata nel vedere Padre Havel alzarsi sulle sue gambe.
 -Sorella Kate, a volte me ne stupisco anch’io …- Fece il prete, sistemandosi le vesti. Poi, con espressione amareggiata, adocchiò i libri che aveva portato, ora sparsi ovunque sul pavimento. Molti erano suoi personali, e quelli che non lo erano facevano parte delle biblioteche vaticane. E per ottenerli aveva dovuto usare tutta la sua influenza di secondo della Cardinalessa Sforza.
 -Ops! Tutti i suoi libri … le do una mano a raccoglierli, Padre!- Si offrì subito Esthel, seguita da Leòn e William. In fondo, la colpa per il piccolo disastro era soprattutto loro, come aveva prontamente ricordato Kate con un ringhio.
 Mentre raccoglieva da terra uno dei volumi più vecchi, la giovane suora dai capelli rossi notò un foglio cadere dalle pagine. Incuriosita, lo raccolse, scoprendo che il foglio altro non era che una foto. I bordi ormai ingialliti, i colori non più vivacissimi, doveva avere parecchi anni. Ma quello che davvero attirò l’attenzione della rossina erano le persone ritratte nell’immagine. Cinque in particolare attirarono la sua attenzione. Al centro, una ragazzina in abito bianco dallo sguardo deciso e boccoli dorati, era circondata a destra da un uomo dai lunghi capelli scuri e la divisa da Inquisitore e da un altro elegantemente vestito, cravatta e cilindro, con la pipa in bocca, mentre a partire da sinistra, da una giovane suora bionda con l’abito azzurro e da quello che sembrava …
 -Padre Abel!?!?!- Esclamò Esthel, attirando su di sé l’attenzione delle altre persone presenti nella stanza. Arrossendo leggermente, la ragazza porse la foto a Padre Havel. -Err … Scusatemi … Era in mezzo a un libro …- Vaclav prese in mano la foto, curioso. Non appena riconobbe l’immagine, l’uomo sorrise. Un sorriso dolce e malinconico allo stesso tempo, come i ricordi più teneri e cari sanno far nascere.
 -Erano anni che non vedevo questa foto …- William gli si fece vicino per vedere a sua volta. Lo stesso sorriso apparve sulle labbra del professore.
 -La prima visita ufficiale di Catherina Sforza a Roma. E anche il primo incontro dei membri fondatori dell’AX.-
 -Quanti anni, eh, Professor?- Sorrise Kate, svolazzando alle spalle dei due uomini. Poi rimase in silenzio per un momento, gli occhi velati, mentre riceveva una chiamata. -La Cardinalessa. Ha quasi finito l’incontro con i Cardinali e gli ambasciatori. Ci vuole nel suo ufficio appena possibile per un tè. Ha detto che ha “bisogno di vedere persone che non le facciano venire tendenze violente.”-
 -Ok … allora io me ne vado … ho … dei progetti che richiedono la mia attenzione …- Fece William, indietreggiando. Leòn fece lo stesso.
 -Stessa cosa qui … credo che se il Capo viene a sapere che le abbiamo quasi ucciso il vice ci farà la pelle a me cha ad Archimede Pitagorico qui … O, se è di buon umore, e non lo è, ci licenzia solo, e a me rimanda nell’albergo con le sbarre, fino alla fine della pena e senza sconti …-
 -Avanti, non può essere così cattiva …- Fece Eshtel, osservando con un’enorme gocciolone sul capo i due preti rifugiatisi dietro la scrivania di Wordsworth.
 -Oh, può essere anche peggio.- Fece Sorella Scott. -Ma mai senza motivo!- Ringhiò, facendo rimpicciolire Leòn e William. Cercando di ignorare il comportamento a dir poco infantile dei due colleghi, Padre Havel aprì la porta, e fece educatamente uscire per prima Esthel dall’ufficio.
 -Cerchiamo di non far aspettare troppo Catherina, allora. Se è già così di cattivo umore, non è saggio farla aspettare.- Disse poi, rivolgendosi agli altri due preti, mentre Kate svaniva a mezz’aria. Vaclav non poté trattenere un sorriso divertito di fronte alle espressioni preoccupate dei due colleghi, mentre si sbrigavano a lasciare il laboratorio/ufficio.

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 -Mi chiedo che significato ha chiamarci tanto di fretta, se poi è proprio lei la prima a non esserci!-
 -Leòn, datti una calmata. Catherina non poteva sapere che Cardinal Francesco l’avrebbe chiamata all’improvviso.- Sospirò Havel, seduto comodamente su una delle poltrone dell’ufficio cardinalesco, mentre Dandelion sembrava deciso a consumare il pavimento, a forza di andare avanti e indietro.
 -Sono certa che alla Cardinalessa avrebbe fatto molto più piacere essere qui con noi, che non con il Cardinale De Medici.- Aggiunse Kate, osservando compiaciuta Eshtel sistemare su un tavolino il necessario per accompagnare il tè.
 -Credo sarebbe preferibile avere a che fare con una nidiata di serpi velenose, che con il Carissimo Cardinale, di questi tempi.- Commentò William, con una vena ironica impossibile da non cogliere, mentre riempiva meticolosamente la sua pipa.
 -Certo, se tu usassi così tanta cura anche nelle tue invenzioni, forse non avrei il sistema antincendio in tilt un paio di volte a settimana …- Fece, sarcastica ma non troppo, la suora olografica, osservando il professore, intento a misurare la giusta quantità di tabacco con cura perfezionista. -Ti prendo un bilancino da oro, o riesci da solo?-
 -Oh, no, grazie, ormai ho una certa esperienza e centro la dose giusto di tabacco a occhi chius … oh, davvero divertente, Sorella Kate. Davvero tanto.- Ringhiò risentito Swordsworth, cogliendo finalmente l’ironia, notando le risate mal trattenute degli altri membri del clero presenti. E borbottando, si ficcò la sua pipa in bocca.
 Improvvisamente a porta si aprì. Ogni testa si voltò aspettandosi di vedere la figura in rosso della Cardinalessa Sforza. Ma la persona che fece il suo ingresso aveva come unica somiglianza con Catherina solo il colore dei capelli, biondi. Hugue De Watteau, era sospettosamente in terra vaticana, l’abito ancora impolverato per l’ultimo viaggio.
 -Padre Hugue! Che sorpresa!- Salutò Kate, illuminandosi (letteralmente) per la gioia. Il biondo spadaccino rispose al saluto con un rispettoso cenno del capo.
 -È bello rivederti, Padre Hugue. Ma come mai da queste parti?- Chiese Havel, alzandosi assieme a William per salutare il membro più girovago dell’AX. Per tutta risposta, “Swordancer” sollevò da terra quello che sembrava un sacco scuro che nessuno si era accorto stava trascinando.
 -Ho trovato questo per strada …- Solo allora dal mucchio di stoffe scure apparvero alla vista una chioma di capelli argentei e occhiali da vista.
 -Padre Abel!?!- Esclamò Eshtel, riconoscendo il prete. Un mugolio moribondo fu la sola risposta che arrivò. Nella stanza ci fu un piccolo tumulto, mentre tutti si precipitavano preoccupati a constatare le condizioni di salute del Krusnik.
 -Padre Nightroad, per favore, mi risponda, la prego … che le hanno fatto? È ferito? La prego dica qualcosa …-
 -S … sorella Eshtel …-
 -Si, Padre? Le fa male da qualche parte? Si è ferito? Mi dica che possiamo fare per lei …-
 -F … fame … ho … bisogno di c … cibo … calo … zuccheri …- Un lungo momento di silenzio allibito. Poi la stanza venne invasa dal rombo dello stomaco vuoto dell’uomo. E tutta la preoccupazione di Sorella Eshtel, svanì in una bolla di sapone, rimpiazzata da furia violenta per la stupidità di Padre Abel. La giovane Blanchett tremò violentemente per lo sforzo necessario a resistere alla tentazione di tirare un pugno in testa al prete occhialuto. In fondo si trattava pur sempre di un suo superiore. Ma Leòn non si pose alcun problema.
 WHAK!!!
 -Yeeeeeow! Padre Leòn, era proprio necessario!?- Miracolosamente tornato alla vita, Abel scattò in piedi, pronto a fronteggiare Dandelion.
 -Zitto, quattrocchi!!! Sei grande e grosso, e ti comporti come un moccioso!!!- Ribatté l’ispanico, tutt’altro che intimorito.
 -Ah, io sarei quello che si comporta come un moccioso?! Ma senti da che pulpito, tu che corri dietro ad ogni sottana come un ragazzino in pieno sviluppo ormonale!!!-
 -Bambini! Ora basta!!!- Tuonò Sorella Kate, e molti dei presenti avrebbero giurato che l’immagine della donna fosse improvvisamente diventata più alta e intimidatoria di almeno una quindicina di centimetri. Comunque, l’intervento dell’ologramma terminò subito il battibecco tra i due preti.
 -Ha cominciato lui …- Pigolò Abel, puntando col dito Leòn, stile bimbo di sei anni.
 -Te lo meritavi.- Sibilò il prete, incrociando le braccia al petto con fare offeso. Sempre stile bimbo, ma di sette anni. Al massimo. L’immagine di Kate vibrò di rabbia, indicando quanto fosse imminente una sfuriata degna di essere ricordata. E solo la presenza di Eshtel la stava trattenendo, dato che la giovane suora era un’anima innocente, e non meritava di perdere l’uso dei timpani per le due ore successive. Leggermente in disparte, Havel iniziò a massaggiarsi le tempie, sentendo una forte emicrania in arrivo.
 -Perché a volte ho come l’impressione di essere in un asilo, anziché nel bel mezzo del Vaticano?- Domandò, senza rivolgersi a nessuno in particolare.
 -E secondo voi, perché viaggio così tanto?- Sbuffò Hugue, a voce bassa abbastanza da essere sentito solo da Vaclav e William, che erano i più vicini allo spadaccino. Wordsworth sorrise.
 -Quantomeno con quei due non ci si annoia … e non si sente il bisogno di paternità!- La porta si aprì di nuovo, facendo finalmente entrare Lady Catherina e Padre Très. Alla vista dell’espressione che la donna aveva in volto, sia Leòn che Abel s’immobilizzarono come due statue: la donna in rosso aveva lo sguardo più glaciale che poteva sfoggiare, le sottili ed eleganti sopracciglia aggrottate in un’espressione a cui mancava solo il suono di sottofondo di un ruggito. Persino Très, di solito l’ombra della Cardinalessa, la seguiva a qualche passo di distanza, il suo programma di autoconservazione aveva colto il pericolo, e lo costringeva a mantenere una distanza di sicurezza.
 In perfetto stile Mosè che apre le acque del Nilo, i preti e le suore dell’AX si scansarono per lasciar passare Catherina, risultando in due file perfette. Tirando fuori tutto il coraggio che aveva in corpo, e ricordandosi che la furia in rosso era la sua vecchia amica, e non una tigre pronta a sbranarlo, Vaclav fece un passo in avanti, e con un leggero inchino salutò educatamente la donna.
 -Cardinalessa …- Per un istante, le iridi furiose si posarono sull’ex inquisitore, che si trovò a sudare freddo. Poi, con enorme sollievo del prete, Catherina emise un lungo, sofferto sospiro, e perse la sua espressione feroce, che venne sostituita da un lieve sorriso.
 -Vaclav.- Salutò a sua volta, per poi rivolgersi agli altri preti e suore presenti. -Sorella Eshtel. Kate. William. Leòn. Hugue. Abel.- Ad ogni nome un cenno del capo, a cui ognuno rispose con un breve inchino. -Perdonatemi per avervi fatto aspettare. I soliti impegni imprevisti.- E per un istante l’espressione della donna tornò accigliata al ricordo dell’incontro con Francesco, ma si rilassò quasi subito. Ora era in compagnia dei suoi sottoposti e collaboratori, dei suoi amici. Delle uniche persone con cui poteva, se non essere sé stessa, almeno lasciare per un po’ in un armadio buona parte delle ristrettezze del suo ruolo. Il tè venne versato in un istante, contornato da dolci che vennero subito spazzolati da Abel, con somma rabbia di Leòn. Catherina chiacchierava allegramente con Esthel e William, mentre Kate e Vaclav ascoltavano il resoconto dell’ultimo viaggio di Hugue. Très invece approfittava del momento di calma per ricaricare le batterie e fare una scansione del suo sistema.
 Troppo presto, alla porta bussò Padre Pietro Orsini, con la notizia di un incontro per la Cardinalessa Sforza con alcuni vescovi. Lo sguardo che la donna lanciò al Cavaliere della Distruzione lo fece quasi rintanare nella sua armatura in stile tartaruga, ma alfine, Catherina doveva lasciare nuovamente i suoi agenti.
 -La accompagno?- Chiese Vaclav, senza nascondere una certa preoccupazione.
 -No, Vaclav, ti ringrazio. Basterà Padre Très.- Al sentire nominare il proprio nome, il cyborg si affiancò alla Cardinalessa. Notando che l’espressione preoccupata del prete dai capelli scuri, però, non era cambiata, Catherina sorrise. -Tranquillo. Très sarà presente solo come guardia del corpo. Non come arma. Promesso.- Ora lo sguardo preoccupato ce l’aveva Pietro, ma il buon Padre Orsini non proferì parola. Con un ultimo saluto ai suoi preti e suore, la giovane donna uscì dalla stanza, seguita diligentemente dal fedele Très e da Pietro. Non appena la porta si chiuse alle spalle dell’inquisitore, Leòn si lasciò sprofondare sulla comoda poltrona, esasperato.
 -E così il Capo viene di nuovo chiamato al dovere. Non credo che la gente possa sapere a quanto stress vada incontro quella donna.-
 -Non la invidio.- Sospirò William, preparando nuovamente la pipa. -Solo dover stare ad ascoltare un incontro con Francesco è già dura. Parteciparvi è pura tortura, e concedetemi la rima.-
 -Concessa, Professor!- Rise l’ispanico, per poi tornare serio. -Certo che ci vuole proprio Très a sopportare tanto a lungo gli incontri della Cardinalessa.-
 -Non credo che ci riuscirebbe, se non fosse una macchina.- Aggiunse Hugue, rabbrividendo al solo pensiero di un incontro diplomatico. Troppe parole, per i suoi gusti. Se c’era una cosa che ammirava del suo capo, era la pazienza che la donna riusciva a tirare fuori durante quei lunghi ed estenuanti incontri, dove lunghissimi discorsi, spesso non portavano a nulla.
 -Essere la guardia del corpo della Cardinalessa Sforza è dura.- Ammise Padre Havel. Abel annuì.
 -Già. E noi due parliamo per esperienza.-
 -In che senso? Avete già fatto da guardia del corpo per la Cardinalessa?- Chiese Esthel.
 -Sì, prima della creazione dell’AX, sono stato per qualche tempo la guardia del corpo della Cardinalessa con Abel. Anche se allora non era ancora Cardinalessa. Era solo Duchessa di Milano. Venne investita del ruolo di Cardinale qualche anno dopo il nostro primo incontro. Poi, fino a quando non è arrivato Très, mi sono sempre occupato da solo della sicurezza di Catherina, dato che Abel era spesso in missione fuori Roma. Padre Iqs è stato una benedizione. Sapere che qualcuno era al fianco della Cardinalessa quando ero in missione, mi ha tolto molte preoccupazioni.-
 -Oh. Allora voi e la Cardinalessa Sforza vi conoscete davvero da molto tempo!- Esclamò Esthel, trovando conferma di quello che alcune chiacchiere di corridoio le avevano riportato. Ovvero la lunga amicizia tra la Cardinalessa Sforza e Padre Havel. Del rapporto tra Abel e Catherina sapeva già, era stato Know Faith stesso a dirglielo.
 -Sì. In effetti …- Vaclav fece passare lo sguardo tra i presenti nella stanza. -Si può dire che, a parte Padre Nightroad, sono l‘agente dell‘AX che conosce Catherina da più tempo.- Abel annuì, sorridendo. Suor Blanchett batté la palpebre per la sorpresa. Per lei erano tutte rivelazioni. Poi si rivolse di nuovo a Know Faith.
 -E come vi siete conosciuti? Immagino che siate andati subito d’accordo …- Vaclav esplose in una risata, accompagnato da Abel, che dovette tenersi gli occhiali per non perderli dalla furia dell’attacco d’ilarità. La reazione dei due preti fece rimanere la giovane suora con gli occhi quasi fuori dalle orbite.
 -Nulla di più sbagliato, Sorella Blanchett!-
 -Ma … Ma come! Senza offese, Padre Havel, ma voi e la Cardinalessa siete quasi sempre insieme, e siete molto amici. Com’è possibile?-
Havel e Nigthroad si ripresero dalle risa, giusto in tempo per guardarsi in volto. E ricominciare a ridere, per l’irritazione di Esthel, che cominciava a credere seriamente che il tè di Kate fosse fatto con foglioline ben diverse da quelle classiche. Anche Hugue e Leòn apparivano piuttosto confusi. Ma perché non avevano mai visto Vaclav ridere così tanto. Kate e William sorridevano, conoscendo già la storia.
 -Vede, Sorella Esthel …- Cominciò Know Faith, trattenendo con molta fatica un nuovo scroscio di risa. -Mi era stato affidato il compito di fare temporaneamente da guardia del corpo alla giovane Duchessa di Milano al posto di Abel. Il fatto è che le sono stato assegnato in un momento … particolare.- Abel annuì, e continuò il discorso, ora decisamente più serio.
 -Vedi, Esthel … Catherina aveva perso da un tempo relativamente breve la madre. Aveva assistito all’uccisione di buona parte della sua famiglia solo alcuni anni prima. Si era ripresa davvero da poco tempo, e credo che, all’epoca, io fossi il suo unico confidente e amico, oltre che guardia del corpo. Poi sono dovuto andare in missione, e Vaclav le è stato assegnato come scorta al mio posto.-
 -E immagino che non l’abbia presa molto bene.- Fece la rossina, iniziando finalmente a capire, mentre dentro di sé sentiva crescere una nuova forma di rispetto per la Cardinalessa Sforza. Anche lei aveva perso la madre in modo violento. In questo, in fondo, non erano diverse. Anche se la donna aveva perso la sua in più tenera età.
 -Dire che non l’ha presa bene, è minimizzare la cosa.- Sbuffò Havel, prendendo una sorsata di tè. Poi si passò una mano tra i folti capelli bruni, borbottando ai ricordi. -La giovane Duchessa di Milano me ne ha fatte passare davvero di ogni colore …- Abel rise ai ricordi.
 -Di certo non è stato un periodo noioso …- Gli occhi scuri fissarono accusatori il prete occhialuto, seppur con uno scintillio scherzoso.
 -Incolpo te di tutta la sofferenza che ho subito in quei giorni!- Abel roteò gli occhi al cielo.
 -Quanto sei melodrammatico! Non è andata poi così male, visto come si è evoluta la cosa tra te e Catherina! E poi, io che colpa ne avevo? Mica potevo disobbedire al Papa!!!-
 -Ma che cosa è successo di preciso? Scusate, ma non tutti i presenti erano già nell’AX ai tempi …- S’intromise Leòn, decisamente curioso.
 -Oh, parliamo di qualche anno prima della creazione dell’AX.- Rise Wordsworth, sostituendo la tazza di tè con la pipa. -Per essere precisi, di pochi mesi prima che questa foto venisse scattata.- Disse, prendendo in mano la foto trovata da Esthel quello stesso giorno. Leòn diede una lunga occhiata.
 -Però … quattrocchi è tale e quale a adesso … La Grande Capa sembra una bambolina … e chi se immaginava che diventasse la donna dal pugno di ferro che è ora … urg, Prof, sei più inglese di Sherlock Holmes … Sorella Scott … Sei un vero schianto, Baby!- Fece, lanciando un sorriso da Casanova all’ologramma e un occhiolino inequivocabile.
 -Bhe, grazie mille, Dandelion.- Arrossì di rimando Kate, lusingata. Un mugolio rassegnato venne dagli altri suore e preti presenti. Soddisfatto, l’ispanico tornò alla foto.
 -Quelli attorno non li riconosco … ma questo stangone qui con la divisa da Inquisitore … mi pare di averlo già visto …-
 -A-ehm.- Un paio di colpi di tosse arrivarono dalla poltrona di Havel.
 -Fa vedere …- Fece Hugue, incuriosito a sua volta dalla foto. -… che espressione impassibile … proprio da Inquisitore.- Un sopracciglio di Valcav iniziò a fare qualche tic nervoso, mentre Abel e William si nascondevano dietro la loro tazza di tè, nel tentativo mal riuscito di nascondere le risa trattenute a stento.
 -Eppure ha un che di familiare … come se lo conoscessi …- Continuò Hugue. Leòn annuì vigorosamente.
 -La mia stessa sensazione.-
 -Beh, i preti della Santa Inquisizione si assomigliano un po’ tutti. Magari è per quello …- Continuò il biondo. Un nuovo colpo di tosse, più potente, arrivò da Havel, mentre William e Abel si sganasciavano senza ritegno.
 -A.EHM!-
 -’clav, hai mica mal di gola?- Domandò Dandelion alzando gli occhi dalla foto, trovandosi davanti le due sottili schegge di ebano che erano diventati gli occhi di Vaclav. Raramente Padre Garcia De Asturias aveva visto Havel combattere. Ma quel poco gli era bastato per capire che non era il caso di far arrabbiare il prete. E dal modo in cui quelle iridi scurissime lo stavano trapassando da parte a parte, doveva esserci molto vicino.
 -Ehm … Padre Havel? Potrebbe smettere di fissarmi in quel modo? È piuttosto inquietante …-
 -Davvero? Me lo avranno insegnato all’Inquisizione …- La bocca di Leòn rimase aperta in una “O” muta, mentre gli ingranaggi cominciavano a girare. Hugue fece un grosso sforzo per restare impassibile, ma dovette comunque deglutire a vuoto, mentre tirava una gomitata a Leòn, lanciandogli un’occhiata che urlava “Dì qualcosa!”
 -’clav, il rosso ti dona.- Hugue si batté una mano sul volto, esasperato. Perché? Che male aveva fatto per meritarsi un compagno di squadra come Dandelion? Abel intanto stava per cadere dalla poltrona, ridendo senza remore, in compagnia di Wiliam, che non si rotolava solo per l’incolumità della sua pipa. Know Faith spostò il suo sguardo feroce sui due colleghi più anziani, per il sollievo di Dandelion e Swordancer.
 -Non te la prendere Vaclav.- Fece Wordsworth, fermandosi quel poco da poter prendere una boccata di fumo.
 -Già. È … è la barba … confonde …- Aggiunse il prete occhialuto. E di nuovo scoppiò in una risata peggiore della prima.
 -Begli amici che siete …- Sibilò Padre Havel, mantenendo lo sguardo truce.
 -Scherzi, a parte, ‘clav …- Cambiò argomento Leòn. -Non ricordo che tu ci abbia mai detto di essere stato nelle fila dei “francescani”.- Fece, riferendosi all’Inquisizione, sotto gli ordini del Cardinale Francesco. Vaclav, lasciando la maschera feroce, fece un’alzata di spalle.
 -Probabilmente non è mai venuto fuori l’argomento. Ho lasciato l’Inquisizione non appena si è deciso di fondare l’AX. È stato parecchio tempo fa.- E i ricordi che aveva con addosso la divisa rossa non erano dei migliori. Ma non era il caso che gli altri lo sapessero.
 -Dunque era nell’Inquisizione, quando è stato mandato a fare da guardia del corpo alla Cardinalessa?- Chiese Esthel, sorseggiando una tazza di tè che Kate le aveva gentilmente riempito. Vaclav annuì.
 -Già. Credo di essere stato uno dei primi ordini dati dal Cardinal Francesco. Era appena stato investito della carica, e so che aveva insistito non poco, perché fosse mandato uno dei suoi uomini a scortare la sorella.-
 -Diciamo a controllare ogni suo movimento.- Sbuffò Abel, a cui il fatto rodeva ancora.
 -Probabilmente.- Annuì Padre Havel, versandosi altro tè. -Ma credo sia stato più un dispetto da fratello maggiore alla sorella minore. Catherina detestava gli Inquisitori. E  poi all’epoca era troppo giovane per essere un pensiero politico per lui. Aveva ancora da completare gli studi, e non aveva ancora iniziato il noviziato.-
 -Umh … mi sa che hai ragione.- Mormorò Nigthroad, poco dopo. -Non ho pensato con l’epoca dei fatti. Sono troppo abituato alla situazione attuale che c‘è tra quei due …-
 -Uguale a quella che c’era allora. Solo che adesso hanno entrambi i vestimenti da Cardinale. Sono convinto che anche senza la politica di mezzo, quei due sarebbero alla gola l’uno dell’altra comunque.- Fece Kate, fluttuando tra Abel e Vaclav. -Ora, dato che dobbiamo di nuovo aspettare che la Cardinalessa riesca a liberarsi, perché non ci racconti come si deve il tuo primo incontro con la Duchessa di Milano, Vaclav?-
 -E perché no?- Sospirò il prete, internamente felice di ripercorrere quei ricordi. -Allora, erano pochi mesi prima dello scatto di questa foto …-

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 La foto a cui faccio riferimento è un’immagine che ho visto su internet, credo un’immagine dell’artbook, che rappresenta appunto, una giovane Catherina con Abel, Kate con l’abito blu da novizia, William con cilindro e abito bianco, e Vaclav con l’abito da Inquisitore rosso e senza barba. In giro ci sono altri personaggi sconosciuti, e sullo sfondo il colonnato di San Pietro. L’idea per questa serie di one shot è venuta proprio da questa immagine. Ho già pronto l’incontro (non esattamente idilliaco) tra Vaclav e Catherina, devo solo fare qualche piccolo controllo, ma domani parto per le vacanze, e lo posterò non appena torno. Nel frattempo, se mi lascerete qualche commento, mi fareste un favore. ^^ accetto tutto, non sono schizzinosa. Commenti, suggerimenti, critiche.

Saluti

Will

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Capitolo 2
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01  Una piccola spiegazione prima di iniziare a leggere: forse i personaggi saranno un po’ fuori canone, ma spero non troppo. Teniamo conto che siamo a quasi dieci anni prima delle vicende dell’anime, e sono tutti molto più giovani. Secondo i miei calcoli, per nulla precisi, Catherina è una ragazza di circa sedici anni, con un trauma alle spalle, molto sola, e con gli schizzi e l’esuberanza dell’età, senza contare l’ambiente molto rigido e snob in cui vive. Ora, conoscendo il carattere forte che ha da adulta, non credo che sarebbe una ragazzina frivola e oca. Ma ho immaginato che già avesse la tendenza ad essere ferma nelle sue convinzioni, per non dire testarda. Ha comunque ancora molto da maturare.
 Vaclav dovrebbe essere ventenne o poco più. Nell’anime è un personaggio calmo e riflessivo, ma per la mia fic l’ho pensato fresco di caserma (o qualunque altro luogo in cui vanno i preti guerrieri a fare noviziato) un po’ inesperto e con qualche schizzo anche lui.
 Abel … bhe, ha dieci anni in meno … su novecento … è tale e quale al solito. Cambia solo che ha quasi solo Catherina e la sua famiglia come punti di riferimento.

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- BODYGUARD -

 -Sarà solo per un paio di mesi!- Disse un giovane uomo molto alto con occhiali e particolari capelli color argento ad una ragazza sui quindici anni, decisamente più bassa, ma dall’aria estremamente battagliera.
 -SOLO un paio di mesi?! Hai idea di quanto tempo sia, Abel?!?- L’alto uomo dai capelli argentei fece qualche passo indietro di fronte alla ragazzina, i cui occhi chiari sembravano sul punto di mandare scintille.
 -Ma Catherina, non posso farci nulla, lo sai! Non posso disobbedire ad un ordine del Santo Padre!- La giovane scosse il capo, facendo danzare i riccioli biondi. Un’aura d’autorevolezza pareva come avvolgerla, mentre avanzava verso l’uomo, restaurando la distanza originaria.
 -Lo so bene, ma potevi almeno impedirgli di mettermi una nuova guardia del corpo! Lo sai benissimo che non ne voglio! Non ne ho bisogno, tu mi basti e avanzi!-
 -Ma io dovrò assentarmi per il tempo della missione … Non ci sarò a proteggerti!- Catherina Sforza, la giovane Duchessa di Milano, infischiandosene dei modi signorili, si morse il labbro inferiore e spostò lo sguardo sul pavimento. Il giovane corpo scosso da brividi di pura furia.
 -Non è giusto. Non voglio una nuova guardia del corpo! Soprattutto una di quelle teste calde agli ordini di mio fratello Francesco!- Abel cercò di sorridere, incoraggiante.
 -Suvvia non tutti i membri dell’Inquisizione sono dei pazzi sanguinari …- Un’occhiata raggelante della giovane Sforza minacciò di trapassarlo come un proiettile. -Ok, la maggior parte lo è, ma guarda il lato positivo. Sarà solo per poco tempo. Non appena avrò terminato la missione per il Papa, sarò nuovamente al tuo fianco, e l’uomo di Francesco se ne tornerà a Roma così velocemente da non avere il tempo di dire “addio, Duchessa di Milano”.- Un lievissimo sorriso si disegnò sulle labbra della giovane, finalmente, facendo apparire tutta la sua giovinezza.
 -È una promessa, Abel?-
 -Ma certo …- Con un colpo di tosse, l’autista della casa, un uomo d’età con vistosi baffi grigi, fece notare la propria presenza.
 -Signor Nightroad … L’auto la aspetta.-
 -Molto bene, Carlo.- Fece l’uomo occhialuto, per poi rivolgersi di nuovo alla ragazza. -Allora a presto, Duchessa! E mi raccomando. Prometti che mi aspetterai.-
 -Promesso. A presto, Abel …- Catherina seguì con lo sguardo l’automobile sparire nella strada, lasciando dietro di sé una sottile scia di fumo e polvere. In realtà la cosa non era ancora stata digerita. Aveva deciso di lasciare andare via Abel con un sorriso, per non dare altri sensi di colpa al prete, ma il suo animo era tutt’altro che sereno. Era. Letteralmente. Furiosa. Non solo suo padre aveva fatto mandare il suo fratellino Alessando a Sondrio a respirare aria pura, indispensabile per la sua salute cagionevole, lasciandola sola. Ma adesso si era preso Abel, la SUA guardia del corpo, l’angelo che aveva promesso di proteggere LEI e gli esseri umani. E ciliegina sulla torta, le mandava come sostituto un inquisitore. E lei non poteva far altro che aspettare. Come promesso. Una lampadina si accese sotto la massa di capelli biondi. E un sorriso inquietante prese il posto di quello falso e rassicurante con cui aveva salutato Abel. Lei aveva promesso che avrebbe aspettato. Non che sarebbe stata brava …

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 -Eccoci arrivati, Padre.- Disse il tassista, svegliando il suo passeggero dal torpore in cui era caduto. Spalancando di colpo gli occhi scuri, il giovane prete si sistemò il rigido colletto con croce della divisa da sacerdote errante. Un gesto superfluo, visto che era abituato a quello ben più ingombrante della divisa rossa da Inquisitore.
 -È questa la villa della famiglia Sforza?- Chiese guardando fuori dal finestrino, curioso. Il tassista annuì.
 -Esattamente. Bella vista, eh?- L’Inquisitore non poté non essere d’accordo: le linee dell’enorme palazzo neoclassico si stagliavano su un vasto parco, in parte composto da prati dall’erba curata e ben tagliata, ma in maggioranza da boschi puliti e ombrosi. Subito la sua deformazione professionale di militare decise che pattugliare e rendere sicuro un parco del genere sarebbe stato un problema. Soprattutto da solo. Poteva solo sperare che la Duchessa, la cui protezione gli era stata affidata, non fosse un’amante del verde e delle passeggiate.
 Ringraziando educatamente, il prete pagò la corsa, e prese il suo bagaglio.
 -Avete solo quello, Padre?- Chiese il tassista, indicando il borsone da viaggio che il giovane si era messo su una spalla. Questi sorrise, spostandosi una ciocca di lunghi capelli scuri dagli occhi.
 -Sì, nient’altro. Starò qui poco tempo.- O almeno così sperava. Non aveva mai amato molto quel genere di incarichi. E l’unico motivo per cui aveva accettato di venire a Milano a fare la guardia del corpo, era perché l’incarico veniva direttamente dal suo superiore, e non poteva disobbedire ad un ordine diretto del seppur giovane Cardinale Francesco. Di certo il motivo per cui ci era stato mandato lui, direttamente dalla Boemia, con tutti gli Inquisitori presenti a Roma, era da cercarsi nei suoi superiori. Non era mistero che il giovane prete fosse da tempo una spina nel fianco per gli Inquisitori boemi di alto rango. Troppo ligio al dovere, anche quando le inchieste finivano per arrivare a persone un po’ troppo influenti.
 Con un sospiro, si lasciò alle spalle i propri problemi, e raggiunse in pochi passi il grande cancello in ferro battuto. Suonando rispettosamente al campanello, venne accolto da una voce femminile.
 -Sì? Che è?-
 -Padre Vaclav Havel della Santa Inquisizione, Signora. Aspettavate il mio arrivo.- Ci fu un momento di silenzio, dall’altro lato del citofono. Un piccolo schermo prese vita accanto alla telecamera di sicurezza sistemata appena sopra il campanello. Il volto di quella che presumibilmente doveva essere la governante, fissò sospettosa il prete.
 -Non avete la divisa ufficiale.- Vaclav trattenne a stento un sospiro. Aveva idea la gente di quanto fosse scomoda e vistosa quella roba?
 -Mi è stato detto che il mio arrivo non doveva dare nell’occhio. Una divisa da Inquisitore incute rispetto e timore, ma non favorisce la segretezza.- Il volto sullo schermo sembrò soppesare la risposta. Poi la voce femminile riprese.
 -Certo. Ha ragione. Aspetti che si apra il cancello. Mando subito qualcuno ad accompagnarla alla villa.- Con un suono meccanico, il cancello iniziò ad aprirsi quel tanto da far entrare il prete.

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 All’inizio, girare per il giardino della villa le era parso una buona idea. Era un’attività che l’aveva sempre rilassata. Ma, stavolta, Catherina non riuscì a trovare nulla di rilassante nella sua passeggiata. Neppure la compagnia di Nerone e Attila, i due grossi mastini da guardia che la accompagnavano, riusciva a tirarle su il morale. Ogni minima voglia di scaricare tutta la sua frustrazione sulla guardia che sarebbe arrivata di lì a poco era già scemata. Vendicarsi su una persona che stava solo facendo il suo lavoro sarebbe stato solo infantile ed inutile. Non le avrebbe riportato Abel.
 Osservò con una punta di senso di colpa i due grossi cani annusare ogni foglia con cui veniva in contatto il loro naso, le code sottili sventolanti come bandiere. Non li portava spesso in giro. Era qualcosa che di solito faceva il custode, e solo la sera, quando faceva la ronda alla ricerca di tracce di possibili ladri intenti ad infiltrarsi nella tenuta.
 La giovane sbuffò, e, poco signorilmente, strappò un filo d’erba e se lo ficcò tra le labbra. Abel le mancava terribilmente. I suoi modi di fare, così buffi, le mettevano sempre allegria, anche quando il comportamento infantile del prete la faceva innervosire. Quantomeno, riusciva a farle ignorare altre emozioni. Tristezza. Angoscia. Solitudine. Dolore. Tutte legate a quella notte, dove aveva ricevuto allo stesso tempo, maledizione e salvezza. I Methuselah avevano ucciso sua madre. Ma aveva anche trovato Abel. La mano sottile si strinse attorno al crocifisso che teneva al collo. Il Signore dà e il Signore prende. Una frase che sua madre le ripeteva spesso.
 Il ruggito dei cani la tirò fuori dalle sue riflessioni. Il cancello principale era a pochi metri, ormai, e si stava aprendo per far entrare una persona. Rapida, aggrappò i collari dei due mastini, cercando di trattenerli come meglio poteva.
 -Nerone! Attila! Cuccia belli!- Le due bestie ubbidirono di malavoglia. I corpi muscolosi frementi, mentre dalle gole usciva un ringhio sommesso e continuo. Catherina aggiustò la presa sui collari. Sapeva bene che, se avesse perso la presa, a nulla sarebbero valsi i suoi ordini, e il nuovo venuto avrebbe dovuto pregare di avere gambe molto veloci. Solo quando i due cani accettarono di stare seduti, la giovane Sforza si permise di studiare l‘estraneo, un uomo con l‘abito nero da prete. E il suo primo pensiero, fu che il tipo era alto quanto Abel. Ma lì finivano le similitudini. Occhi dal taglio sottile, così scuri da rendere difficile la distinzione tra iride e pupilla, lunghi capelli dello stesso colore, mossi come il mare in tempesta. I tratti del viso erano affilati, quasi spigolosi. Le labbra una linea sottile e severa. Un volto che non faceva fatica ad intimidire chicchessia. Ma la sorpresa fu enorme quando quella bocca si piegò in un sorriso, facendo letteralmente sciogliere la freddezza dell’intero volto. Gli occhi sottili erano caldi, e il viso, seppur spigoloso, emanava gentilezza. Era giovane. Vent’anni o poco di più. La divisa scura da prete errante sembrava assottigliare e allungare ulteriormente la figura già longilinea. Il prete si esibì in un educato inchino di saluto, per poi presentarsi con educazione.
 -Milady. Sono Padre Vaclav Havel dell‘Inquisizione. Sono stato inviato qui per la protezione della Duchessa Catherina Sforza.- Presa alla sprovvista, la giovane Sforza ci mise qualche secondo, prima di rispondere all‘inchino, per quanto impacciata nei movimenti dai mastini. E dunque questo era la sua nuova guardia del corpo? Doveva ammetterlo. Per una volta, suo fratello Francesco non aveva avuto troppo cattivo gusto. Almeno il prete era civile, e non appariva un guerrafondaio assetato di sangue, come la maggioranza degli uomini dell’Inquisizione.
 -Sono io.- Sorrise timidamente la ragazza. -Non sembrate un Inquisitore.-
 -Immagino sia la mancanza di divisa e di cattivo umore.- La battuta strappò una leggera risata alla Sforza. Sì, decisamente il prete non era tanto male. Forse, questi due mesi di assenza di Abel non sarebbero stati poi così terribili …
 Vaclav non riuscì a togliersi il sorriso dalle labbra. Il suo nuovo incarico era dunque questa graziosa ragazzina? Certo, era molto giovane. Più di quanto si aspettasse. Da come gliene avevano parlato, si aspettava una donna già fatta. Invece la Duchessa appariva appena uscita dagli anni dell’infanzia, e in piena adolescenza. Vederla trattenere goffamente con tutte le sue forze i due grossi cani, poi, gli stava facendo nascere un moto di simpatia per la giovane. Già poteva vedere che non era il solito genere di ragazza schizzinosa e viziata, come già si aspettava, visto il potere della famiglia a cui apparteneva. Inchinandosi nuovamente, disse:
 -Mi permetta di dirle che è un vero onore essere al vostro servizio, Duchessina Sforza.- Come le parole gli lasciarono la punta della lingua, sapeva di aver fatto un errore. Il viso fanciullesco della ragazza era stato attraversato da un’espressione di pura ferocia. Ma, soprattutto, le guance pallide si erano tinte di un rosso accesso, di certo non dato dall’imbarazzo. Le esili mani che tenevano i collari dei cani tremarono leggermente, mentre le nocche sbiancavano.
 La mente di Catherina era in subbuglio. Duchessina? Duchessina??? Ormai aveva sedici anni!!! Come si permetteva quel cappuccio rosso dell’Inquisizione di chiamarla così? Rimangiandosi ogni buona cosa che poteva aver pensato del prete, la ragazza lasciò andare i collari di Attila e Nerone.
 -Ops! Mi sono scappati …- Cinguettò, innocente. Fu con estrema soddisfazione che vide gli occhi sottili dell’Inquisitore diventare due sfere scure, mentre i cani arrancavano, quasi storditi dell’improvvisa libertà, ma pronti a fare ciò per cui erano addestrati con quello che per loro era a tutti gli effetti un intruso.

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 Carlo era stato autista e custode per anni nella famiglia Sforza. Aveva vissuto con i suoi datori di lavoro gioie e dolori. Negli ultimi anni, più dolori che gioie. L’ultimo accompagnare quella mattina il buon Abel, guardia del corpo della Duchessa. La tristezza era stata parte dell’aria che si respirava all’interno dell’auto, mentre accompagnava il prete alla stazione. Sarebbe stato difficile vedere sorridere la Signorina, nei due mesi a venire.
 Aveva appena parcheggiato l’auto, quando la governante, la Signora Beatrice, gli aveva chiesto di andare a prendere al cancello il sostituto di Padre Nightroad. Al vecchio uomo erano venuti brividi di rabbia. Il motore della macchina che aveva portato il buon Abel non si era ancora raffreddato, e già l’Inquisitore era arrivato. Ma accogliere la gente era uno dei suoi compiti, e dopo anni di onorato servizio, non intendeva di certo mancare ai propri doveri oggi. Perso a borbottare tra sé e sé sull’ingiustizia della vita, e sulle sue ginocchia doloranti per l’età, si accorse dell’abbaiare dei cani solo quando fu molto vicino al cancello.
 Eh, il vecchio Carlo ne aveva viste tante, nella sua vita. Ma quasi non credette ai suoi occhi, quando la scena gli si parò davanti. Negli anni ne aveva viste tante. Di ogni colore. Ma questa …
 Un giovane prete avvinghiato alla parte più alta del cancello stava lanciando insulti in lingua straniera a Nerone e Attila, che rispondevano abbaiando e mostrando i canini. E la giovane Catherina che si allontanava con un sorriso soddisfatto sulle labbra, camminando verso la villa fiera come un guerriero dopo una battaglia. Al vecchio custode gli ci volle del bello e del buono per ammansire i cani quel tanto da far scendere il prete. E anche dopo, il nuovo arrivato rischiò più volte di essere azzannato dalle due belve, prima di arrivare alla villa, dove due giovani servitori li presero in custodia per riportarli al canile. Eppure, nessuna lamentela venne fuori dalle labbra del giovane uomo. Anzi. Una volta arrivati davanti al portone dell’edificio, e senza i due cani ad attentare alla sua vita, il prete fece un leggero inchino, sorprendendo l’anziano custode.
 -Volevo ringraziarla per l’aiuto. Sono Padre Vaclav Havel. Mandato dal Cardinale Francesco per occuparmi della sicurezza della Duchessa.- E detto questo, tese amichevolmente la mano all’anziano, che per lo stupore quasi dimenticò di rispondere al gesto. E questo sarebbe stato una di quelle canaglie al soldo di Francesco?! E lui che pensava che fossero solo educati a combattere e pregare.
 -Carlo. Autista e custode della famiglia Sforza.- L’Inquisitore sorrise, gentile quanto le sue maniere.
 -Un piacere conoscerla, Sognor Carlo.-
 -Dammi del tu. E chiamami solo Carlo. Sarò anche vecchio, ma non sono un pezzo grosso.- Rise il custode accarezzandosi i baffi. Il prete rispose al sorriso.
 -Molto bene, Carlo.- Poi lanciò un’occhiata allo stemma degli Sforza appeso al grande portone. Un sofferto sospiro svuotò i polmoni di Vaclav, ricordando come era terminato l‘incontro con il suo nuovo incarico. -Credo proprio di aver cominciato male.- La bocca rugosa del vecchio si piegò in un mezzo sorriso, mentre cominciava a pensare che, forse, quel ragazzo li stava simpatico. E qualcosa di buono poteva uscire anche da questa storia.

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 -Questa te la sei inventata!- Esclamò Leòn, lanciando un’occhiata accusatrice a Vaclav.
 -Affatto.- Sospirò il’ex Inquisitore, portandosi alle labbra la sua tazza. Il prete ispanico si passò una mano tra i folti ricci scuri, i nervi messi alla prova dal racconto del collega.
 -Avanti, ‘clav! Non è immaginabile! Tu. Fra tutte le persone. Arrampicarti su un cancello per scappare a due cani da guardia!- Anche Hugue fissava con incredula disapprovazione il veterano dell’AX, ma senza dire nulla. Esthel aveva invece l’espressione tipica di chi non sa se credere a ciò che sente oppure No.
 -Tu non hai conosciuto Attila e Nerone!- S’intromise Abel, aggiustandosi gli occhiali. -Due belve, lo posso garantire.-
-Non è questo il punto, quattr’occhi! Insomma, un tipo come il nostro Vaclav che si fa mettere in fuga da due cani!- Esplose Dandelion, con Hugue che annuiva, per una volta d‘accordo con il collega.
 -Beh, almeno io ero riuscito a scappare …- Sorrise Vaclav, fissando Abel, e facendo passare gli occhi attoniti di Esthel, Hugue e Leòn da sé al prete occhialuto. Questi arrossì violentemente.
 -Mi hanno preso alla sprovvista!- Leòn bevve la sua tazza di tè in un solo sorso, con il desiderio che la bevanda fosse a base di alcool invece che di teina.
 -Tu non ti smentisci mai, quattrocchi … Mia cara Sorella Scott, spero che tu abbia da parte un po’ di wiskey … se continuerò a sentire altre cose del genere, mi servirà.- La suora olografica rise apertamente.
 -Spiacente, Dandelion. Ma ufficialmente sei in servizio, e non posso servirti alcolici.-
 -Uff. la mia solita fortuna …- Sospirò l’ispanico, ormai convinto che la sobrietà fosse più delirante dell’ebbrezza. Poi si rivolse di nuovo a Know Faith, deciso a togliersi tutte le curiosità sulla vicenda. -Ma ‘clav, scusa un po’, ma non potevi che so … prendere a calci i cani, o cose simili? Proprio … non è digeribile pensarti abbarbicato su un cancello con due bestioni che cercano di azzannarti il fondoschiena! Non potevi … non so, sparire come al tuo solito, o volare via o qualcosa?!-
 -All’epoca non aveva ancora gli impianti.- Ribatté il prete, risentito. -Non che fossi indifeso, certo. Avrei potuto sbarazzarmi dei cani di Catherina senza problemi. Ma appena arrivato non potevo di certo uccidere i due mastini di casa, no? Già avevo cominciato in maniera penosa con Catherina, se le avessi anche fatto fuori i cani … non credo che sarei stato IO a sopravvivere.-
 -Ma avresti reso un ottimo servizio.- Ringhiò Abel, ricordando perfettamente la sensazione di fauci nel didietro. Havel gli scoccò un’occhiata gelida.
 -Abel, il mio arrivo a Villa Sforza era già stato disastroso. E poi, Nerone e Attila erano delle brave bestie, se le sapevi prendere …-
 -Sì, con le chiappe!-
 -Padre Nigthroad! Veda di moderare il suo linguaggio!!!- Ruggì Esthel, prima ancora di accorgersi del tono irrispettoso con cui si era rivolta al suo superiore. Ma prima di potersi correggere, Kate era già apparsa davanti al prete occhialuto, con un’espressione talmente feroce da far restringere l’uomo nella poltrona, nel tentativo assurdo di sparire tra le pieghe di velluto.
 -Abel Nightroad! Vedi di tenere a freno la lingua! Oppure ti prometto che Très ti starà incollato per le prossime tre settimane per impedirti di mangiare qualunque roba zuccherina! Sono stata chiara?!?-
 -Cristallina, Sorella. Cristallina.- Il povero prete deglutì a vuoto, ben consapevole che Kate Scott aveva l’autorità e i mezzi per farlo.
 -Davvero non male come inizio …- Commentò Hugue, ignorando le scenate del collega occhialuto. Esthel intanto si era rivolta di nuovo a Vaclav, la curiosità lampante nelle iridi chiare.
 -E dopo, Padre Havel? Cos’è successo? Voi e Catherina avete fatto amicizia?-
 -Oh, No. Quello è avvenuto molto più in là. Prima abbiamo dovuto imparare a sopportarci a vicenda.- Ridacchiò il prete scuotendo la testa. Lunghe ciocche di capelli scuri si mossero come un mare.
 -È stata tanto dura?- La giovane suora appariva sempre più confusa e curiosa.
 -Anche peggio.- Annuì Havel. -Questa era solo il primo incontro.- Wordsworth liberò una nuvoletta di fumo dalla bocca.
 -Perché non ci racconti qualcos’alto, vecchio mio? Immagino che ai nostri colleghi non dispiacerebbe sentire qualche altro vecchio ricordo.-
 -Non saprei, William … credo di aver lesionato a sufficienza la mia dignità, per oggi …- Rispose con una risata Know Faith. -E poi, Catherina dovrebbe quasi tornare …- Sorella Scott chiuse un momento gli occhi, come in ascolto. Poi si rivolse ai colleghi.
 -Nessun problema, Vaclav. La Cardinalessa mi ha appena comunicato che ne avrà ancora per un po’, quindi sei libero di raccontare qualcos’altro.- Con un sospiro, Vaclav appoggiò la sua tazza, ormai vuota, sul tavolino.
 -Allora non mi lasciate altra scelta.- Ma il sorriso che gli piegava le labbra era decisamente soddisfatto. -Quindi, dato che ho raccontato il primo incontro con Catherina … direi che è giusto raccontare il primo giorno che ho scortato la Duchessa Sforza a scuola … Ma prima, Sorella Scott, è meglio che prepari dell’altro tè … parlare mette sete.-
 -Abel, impara!- Rise la suora. -Ecco come si fa ad ottenere il bis!- Un coro di risate si levò nella stanza, mentre Padre Nightroad metteva su un finto broncio offeso.
 -Ecco. Ce l’avete sempre con me …-
 -L’acqua per il tè è già sul fuoco, Vaclav. Comincia pure.- Fece Kate, dando il via libera al nuovo racconto. Vaclav sorrise, e di nuovo si tuffò nei ricordi.
 -Molte bene. Allora, era la mattina dopo il mio disastroso arrivo a Villa Sforza …-

Fine File 01

 Ecco finita la mia prima vignetta!!! Spero di non aver deluso nessuno … questa serie di one-shot vogliono essere soprattutto su base comica, anche se ne ho in mente alcune un po’ più tristi. Mi diverte inserire i vari personaggi in situazioni strane, cercando di non stravolgerli. Accetto consigli e critiche, e se volete vedere i nostri personaggi di Trinity Bood alle prese con situazioni particolari, riguardanti scuola o altro, fatemi sapere, cercherò di accontentarvi! Più input avrò, e più one-shot creerò … Ringrazie intanto Nuage per aver commentato il prologo. Grazie mille!!!
^_^

Saluti

Will

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Capitolo 3
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file 02 Secondo ricordo di Vaclav e la giovane Catherina. Sempre aperta a critiche e suggerimenti.

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- FIRST DAY SCHOOL -

 La piccola sveglia lampeggiò un paio di volte, prima di iniziare a suonare. Con un grugnito, una mano si abbatté sull’oggetto, facendo tacere il baccano infernale. Ci volle ancora un minuto buono, perché il proprietario della mano si decidesse ad uscire da sotto le coperte. E se qualcuno l’avesse visto in quel momento, mai avrebbe pensato ad un temuto prete della Santa Inquisizione. I lunghi capelli scuri erano un’unica massa informe, e un velo di barba gli copriva il mento. Stiracchiandosi come un gatto impigrito, Vaclav Havel iniziò la sua prima giornata a Villa Sforza. Rasoio e spazzola, iniziò a prepararsi. I capelli finirono al loro posto in pochi miracolosi istanti, ma la barba era un’altra storia. Vaclav detestava farsi la barba. Una perdita di tempo quotidiana che avrebbe pagato per non dover fare. Ma il regolamento dell’Inquisizione era molto rigido sulla presenza fisica. La barba, anche se curata e ben tagliata, non era concessa.
 Mentre si spalmava la schiuma sul volto, il prete si prese tempo per osservare meglio la sua camera. Era modesta, anzi, aveva il dubbio più che fondato che fosse la più piccola e meno bella dell’intera villa, ma era più che confortevole. Pulita e calda, priva di spifferi. L’arredamento era semplice ma di buona qualità, il letto comodo, e aveva anche un modesto ma pratico bagno privato, completo di tutti i servizi e una doccia. Per lui, appena uscito dalla caserma militare dell’Inquisizione, era una camera a cinque stelle. Solamente le lenzuola, bianche, pulite e morbide, erano una tentazione davvero enorme, tanto da rendergli alzarsi dal letto una piccola tragedia.
 Iniziando a passarsi il rasoio su una guancia, si costrinse a pensare al lavoro. Dal suo arrivo, non aveva più visto la giovane Duchessa, se non di sfuggita mentre Carlo lo accompagnava a cenare dopo il giro della casa. Catherina stava andando nella sala da pranzo, e gli scoccò un’occhiata che avrebbe trasformato una fiamma in un cubetto di ghiaccio. Decisamente il prete non era nelle sue grazie.
 Fu quindi con un senso di sollievo che scoprì che, per quella sera, non era ancora in servizio, e avrebbe mangiato con il personale. In seguito avrebbe cenato con la Duchessa, in quanto guardia del corpo.
 La schiuma venne lavata via dalla lametta, mentre il prete sospirava demoralizzato. Quella mattina però era in servizio. Eccome. Il suo compito era scortare la giovane Catherina alla scuola privata che frequentava. E questa volta, gli ordini erano chiari: il suo era un incarico ufficiale, e avrebbe dovuto passare tutto il tempo possibile in compagnia della giovane Duchessa. E ovviamente indossando la divisa della Santa Inquisizione. Non era ben sicuro di quale delle due cose fosse quella che lo faceva stare peggio.
 Sciacquandosi il volto, cercò di trovare, con molta difficoltà, un lato positivo nella vicenda. E l’unico che trovò fu che sarebbe stato Carlo a portare lui e la Sforza all’istituto. Il vecchio stava simpatico a Vaclav. E il sentimento pareva reciproco. Di certo, era l’unica persona di quella casa che non lo trattava con totale odio. La governante, la Signora Beatrice, poi, sembrava avere le stesse intenzioni di Attila e Nerone. Fortunatamente mancava delle zanne.
 Per indossare l’abito si prese tutto il suo tempo. Mettersi ogni parte della divisa, dalla tunica rocca al colletto, ai crocifissi, erano un rito. Era come calarsi in una parte. Prete e soldato. Guerriero e sacerdote. L’Inquisitore era la fusione vivente del potere sia militare che religioso del Vaticano.
 Sospirò, demoralizzato. E ovviamente baby sitter papale. Gli Inquisitori erano le guardie del corpo di Vescovi e Cardinali, o del Papa, e già di queste importanti categorie lo erano raramente. Gli Inquisitori erano soldati, guerrieri in grado di combattere contro i Methuselah. Non guardie del corpo di ragazze che andavano ancora al liceo.
 Altro sospiro. Ma questo era l’incarico che gli aveva dato il suo capo. E non un capo qualsiasi, ma il capo dell’intera Inquisizione, Cardinale Francesco. E lui chi era per disobbedire?
 Cercando di entrare in un mentalità puramente professionale, il giovane prete prese un mantello da mettere sopra alla divisa, per non dare troppo nell’occhio, e si affrettò a scendere nel cortile: il rombo del motore a testimoniare che Carlo era già pronto, e aspettava i suoi passeggeri.

 Vaclav si sistemò per l’undicesima volta il rigido colletto. La divisa rossa da Inquisitore, nascosta sotto un mantello scuro, tanto sgargiante quanto scomoda. Carlo sorrise al ragazzo, riflesso sullo specchietto retrovisore dell’auto. Il viaggio da Villa Sforza alla scuola privata delle giovane Duchessa durava da soli dieci minuti, e il prete sembrava già essere sul punto di strapparsi il pezzo d’indumento dal collo. Per arrivare a destinazione, sarebbero passati ancora altri cinque minuti. Ma l’Inquisitore non era l’unico a disagio. Il volto di Catherina sembrava scolpito nel ghiaccio, l’insofferenza stampata nelle iridi grigie. Carlo era indeciso se ridere o piangere. L’aria che si respirava nell’auto era densa e pesante. Il giovane prete era a disagio, nonostante il volto impassibile, e la Duchessa scontrosa e insofferente alla sua presenza. Soprattutto da quando aveva ricordato che, come parte del lavoro di guardia del corpo, Padre Havel sarebbe dovuto venire a scortarla anche all’interno della scuola, lasciandola solo durante le lezioni. Il vecchio autista sospirò, disilluso. Se la sua esperienza col genere umano era tanto come niente esatta, le due persone che stava trasportando sarebbero presto esplose.
 Gli ultimi chilometri vennero percorsi con incredibile lentezza, nonostante il contachilometri dell’automobile dicesse il contrario. L’anziano autista fermò la vettura appena fuori dall’istituto, come al solito, dove l’arrivo della lussuosa auto passasse inosservato.
 -Siamo arrivati. Padre. Duchessa.- Senza neppure rispondere al saluto, la piccola furia bionda schizzò fuori dall’auto, infischiandosene beatamente dell’educazione signorile di attendere che le venisse aperta la portiera. Sospirando, Vaclav scese a sua volta dal mezzo, e rivolgendo uno sguardo supplichevole a Carlo, chiese con tono educato.
 -Grazie del passaggio, Carlo. Sa già a che ora passerà a prenderci?-
 -Oggi la Signorina ha lezione solo la mattina. Passerò a prendervi poco prima dell’ora di pranzo.- Rispose il vecchio, cercando d’infondere con un sorriso un po’ di ottimismo nel giovane prete. Con risultati nulli.
 -Molto bene.- Annuì Havel, senza sapere se essere sollevato o meno. In un luogo pubblico, anche una scuola esclusiva come quella frequentata dalla Sforza, sarebbe dovuto stare all’erta come non mai. Nella villa, per quanto grande, tenere d’occhio la giovane Duchessa sarebbe stato molto più semplice. Ma sarebbe dovuto stare in continuo contatto con la ragazza. Mentre nell’istituto, almeno, il tempo con il suo incarico si riduceva drasticamente grazie alle lezioni. E, se le sue supposizioni  erano corrette, avrebbe avuto un aiuto: due guardie dall’aspetto muscoloso e intimidatorio, stavano ai lati del portone, auricolare all’orecchio e sguardo impassibile, sotto lenti scure. E se la governante, Beatrice, gli aveva dato notizie vere, molte altre erano sparse per l’edificio. Molti degli studenti erano figli di persone illustri ed influenti, e la sicurezza era uno dei primi vanti della scuola.
 E mentre il prete prendeva gli ultimi accordi sull’ora in cui l’autista baffuto sarebbe tornato, non si avvide che la giovane Sforza era passata, prima di avviarsi all’entrata dell’edificio scolastico, a sussurrare qualcosa all’orecchio di una delle guardie. Se solo Vaclav si fosse voltato un istante prima, avrebbe anche visto l’uomo irrigidirsi visibilmente, mentre l’espressione dietro gli occhiali scuri si faceva truce.
 -A più tardi allora, Padre.- Sorrise Carlo mettendo in moto l’auto. -E … buona fortuna!- Aggiunse, accelerando talmente in fretta da non dare il tempo al prete di chiedere che cosa intendesse dire. Ma qualunque cosa fosse, non ci voleva di certo un genio per capire che non sarebbe stato nulla di positivo.
 Il rumore dell’auto era ancora nell’aria, quando Vaclav si voltò per seguire Catherina, decidendo di ignorare le ultime parole dell’autista, e scacciando indietro tutti i suoi brutti presentimenti. La giovane Sforza era appena sparita dietro la porta d’entrata, e lui stava per fare lo stesso, per trovarsi davanti le due guardie. Aria feroce, e nocche scricchiolanti. Più simili a buttafuori professionisti che a guardie di un istituto scolastico.
 -Qualche problema, signori?- Domandò il prete, cercando in tutti i modi di mantenere un’espressione gentile. La risposta fu un ringhio basso, in cui si potevano a stento distinguere le parole.
 -Sì.- Fece il gorilla di destra, subito spalleggiato da quello di sinistra.
 -I molestatori di ragazzine non sono benvoluti, qui!- La mascella di Havel cadde fino quasi all’altezza ginocchia. Molestatore? Chi? Lui?! E no! Questo proprio no!!! Nella sua carriera, non molto lunga, per la verità, di Inquisitore, aveva ricevuto moltissimi epiteti. Cane del Vaticano era solo il più gentile. Ma mai. Mai era stato chiamato molestatore di ragazzine. E questa era un’offesa che non era disposto ad accettare. In fondo, stava solo svolgendo il suo incarico. Seguire la Duchessa. E solo il Signore sapeva se ne avrebbe fatto a meno. La mascella ritornò al suo posto, mentre la sorpresa faceva spazio all’ira. Sapeva che era di certo un equivoco, e avrebbe potuto benissimo spiegarsi. Ma la sua pazienza ormai era un ricordo lontano. E comunque i due energumeni non sembravano molto intenzionati a parlare, per momento.
 Mentre le due guardie si scagliavano contro il prete con un ruggito, il sopracciglio del giovane inquisitore iniziò ad avere un tic nevoso, mentre le mani si stringevano a pugno, ed ogni traccia di gentilezza spariva dal volto affusolato.

 Il suono della campanella fu una dolce melodia per Catherina. Le lezioni di scienze le erano sempre state un po’ indigeste. Ciononostante, per tutta la mattinata il suo umore era stato più che ottimo. Il sorriso che sembrava esserle stato stampato a fuoco per tutta la durata delle lezioni, prese una piega leggermente malefica. Era ora di andare a vedere in che stato era il prete che le aveva affibbiato suo fratello. Sempre che ne fosse rimasto qualcosa. Gli uomini della sicurezza avevano la mano molto pesante.
 L’idea le era venuta appena scesa dall’auto. Le guardie alla porta dell’istituto non erano mai brillate d’intelligenza, ma erano estremamente protettive verso gli studenti. E così, approfittando della momentanea distrazione della sua nuova guardia del corpo, si era diretta con occhi innocenti e spaventati dall’energumeno più vicino, e gli aveva sussurrato che un uomo con il mantello la stava inseguendo. La guardia non era stata neppure sfiorata dall’idea di una menzogna: tutti all’istituto conoscevano Abel, ma non sapevano che sarebbe stato lontano per qualche tempo, e che quindi il prete dai capelli lunghi era il suo sostituto. Certo, anche il fatto che indossasse un mantello aveva giocato a favore della giovane. Se Vaclav avesse messo in bella mostra la sua divisa, di certo la storiella non sarebbe stata bevuta tanto facilmente.
 -Allegre oggi, eh?- Catherina trasalì, presa alla sprovvista da una voce femminile a pochi centimetri dall’orecchio. Ma subito tirò un sospiro di sollievo, riconoscendola.
 -Irene! Mi hai fatto venire un colpo!- La proprietaria della voce rise apertamente.
 -Bastasse questo con te, Catherina!- La giovane Sforza tentò un’espressione offesa, ma non riuscì a resistere a lungo. Irene era una delle pochissime ragazze dell’istituto che poteva considerare come amica. Lunghe trecce castane chiaro e occhi dello stesso colore, su un viso abbronzato di lentiggini, e una bocca a cuore sempre pronta a sorridere. Semplice come le sue origini. Al contrario della maggioranza degli studenti della scuola, infatti, Irene si era iscritta grazie a una borsa di studio, e non grazie a famiglie facoltose in grado di pagare la retta senza battere ciglio.
 -Allora, Duchessa. Che cosa fa sorridere così tanto Sua Signoria?- Fece la ragazza con tono scherzoso, per poi continuare con uno più basso e serio. -Senza avere Abel nei paraggi … beh, mi aspettavo di vederti più … più …-
 -Musona?- Suggerì la bionda, senza perdere un solo grado di piega all’insù delle labbra.
 -Triste.- Precisò Irene. -Ma musona può andare lo stesso.- Accorgendosi del progressivo spopolamento della classe, le due studentesse si affrettarono a raccogliere le proprie cose, e a dirigersi verso l’uscita.
 -Allora? Me lo dici o no, il motivo per cui sorridi tanto?- Chiese di nuovo Irene, decisa a scoprire il mistero dell’amica. Con fare complice, Catherina rivelò in poche parole di Vaclav e dello “scherzetto” che gli aveva fatto prima di entrare a scuola. Irene rimase indecisa se ridere o preoccuparsi. Decise per la seconda.
 -Ma … Catherina! Quello che hai fatto è grave! Potresti finire nei guai per questa cosa … E se quel prete si fosse fatto male?-
 -È un membro della Santa Inquisizione, Irene. Combattono con i Methuselah. Non può essere tanto delicato.-
 -Ma le guardie picchiano duro! Sono degli armadi a sei ante!- Catherina dissolse le preoccupazioni dell’amica con un gesto noncurante della mano.
 -Oh, suvvia, Ire, non essere tanto tragica! Al massimo avrà qualche osso rotto … spero.- L’ultima parola venne appena sibilata, ma Irene la sentì benissimo.
 -Sai, quasi preferivo se eri musona. In questa versione sadica mi fai un po’ troppa paura.- La Duchessa iniziò a ridere, e batté una mano sulla spalla della morettina, che comunque non perse una virgola della sua preoccupazione.
 -Avanti, usciamo! Sono piuttosto curiosa di sapere quanto Padre Havel si sia … divertito!-
 -Parecchio, se devo essere sincero.- La bionda per poco non saltò in braccio alla compagna di classe, vedendosi davanti nientemeno che Vaclav, senza neppure un graffio. Lo sguardo impassibile, se non per una piega malefica delle labbra, che a stento si poteva chiamare sorriso. Alle sue spalle, due doloranti e tumefatti energumeni, che vagamente assomigliavano alle guardie dell’istituto, si stavano ancora prodigando di scuse. Catherina lanciò un’occhiata fulminatrice al prete, ma questi sostenne lo sguardo senza battere ciglio. Dopo un confronto di pochi istanti, la Sforza interruppe il contatto visivo e si avviò all’auto a passo di marcia, dove un Carlo allibito per poco non si dimenticò di aprire le portiere. Il giovane inquisitore la seguì con lo sguardo finché non fu seduta al suo posto, per poi salire anche lui sull’auto.
 “Uno pari.” Pensò, segnandosi su un’immaginaria lavagna un punto a suo favore sotto una colonnina con su scritto il suo nome, accanto a quella col nome di Catherina. Non poteva immaginare che ne avrebbe segnati ancora molti. Da entrambe le parti.
 Irene guardò sparire l’auto dell’amica, stranita. Poi sorrise. Eh, sì. La vita dei ricchi non era poi così noiosa come aveva sempre pensato … e per una volta, non ebbe neanche un briciolo di desiderio di essere al posto della Duchessina.

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 Lo studio cardinalesco fu invaso dalle risate, non appena finito il racconto. Perfino il perennemente stoico Hugue non riuscì a sopprimere un sorriso divertito.
 -E così anche il Capo ha fatto i suoi errori!- Riuscì a dire Leòn, mentre cercava di riprendere il controllo. Vaclav sorrise, ma una vena amara era notabile nell’espressione.
 -Ero giovane, e ho perso il controllo. A pensarci dopo, reagire a quel modo è stato sciocco e impulsivo.-
 -Oh, avanti, ‘clav! Chiunque avrebbe reagito così! Io almeno di sicuro …-
 -Leòn, se ci fossi stato tu, al posto di Havel, avresti preso a sculacciate Catherina subito dopo il fatto dei cani!- Rimbeccò Abel, agguantando con rapidità fulminea alcuni nuovi dolci portati da Esthel. Il prete ispanico non si scompose più di tanto.
 -Probabile.- Poi si rivolse di nuovo a Know Faith. -E dì, un po’, come ha preso la cosa la nostra Cardinalessa? Da quanto ho capito, neanche all’epoca era una che lasciasse correre …- Padre Havel non ebbe però il tempo di formulare una risposta, che la posta si aprì, facendo entrare Catherina e Très. Ogni sorriso sparì dalle labbra dei presenti, mentre un pesante silenzio scendeva sulla stanza. Il volto della Cardinalessa Sforza era una maschera fredda e impenetrabile. Vaclav e Abel si lanciarono un’occhiata. Solo loro, tra tutti i membri dell’AX conoscevano abbastanza la Sforza da riconoscere il vero significato di quello sguardo. Il muro impassibile che la giovane donna costruiva attorno a sé quando si sentiva particolarmente vulnerabile. Ma, se si fosse guardato meglio, gli occhi avevano l’inconfondibile scintillio delle lacrime, trattenute con tutta la forza di volontà che la Cardinalessa possedeva. Con un cenno appena percettibile, i due preti erano già d’accordo. Havel si schiarì la voce, quel tanto da attirare su di sé l’attenzione dei presenti, tranne di Catherina che sembrava persa nel suo mondo.
 -William, se non sbaglio avevi da sistemare quei bracciali per Lèon, vero?- Wordsworth venne colto di sorpresa, ma afferrò subito il velato ordine del vecchio amico.
 -Più che giusto.- Annuì, e prese una lunga boccata di fumo prima di alzarsi dalla poltrona. -Andiamo, Dandelion.-
 -Hey! Ma come!? Ce ne andiamo così? Adesso? Dopo che abbiamo aspettato tant …- Le proteste del prete ispanico vennero bloccate da una mano sulla spalla di un Abel sospettosamente entusiasta.
 -Dei bracciali nuovi? Davvero? Avanti, Leòn, andiamo a vederli, dai!- Padre Garcia De Asturias emise quasi un ringhio.
 -Li abbiamo già visti, i bracciali.-
 -Ma io no! Avanti, Leòn! Sono curioso!- Ma i piagnucolii del prete occhialuto riuscirono solo a far irritare ulteriormente l’ispanico.
 -E io invece no! Non li voglio neanche vedere! Ho rischiato di farci fuori Vaclav, con quegli arnesi!!!-
 -Un motivo in più per andare a provarli di nuovo, no?- S’intromise Kate, che aveva ormai intuito la situazione, ed era accorsa in aiuto di Padre Nightroad. Con un grugnito esasperato, Leòn cedette.
 -E va bene. Andiamo. Ma se stavolta faccio esplodere mezzo Vaticano, la colpa è del professore, chiaro?-
 -Te l’ho già detto!!! Sono solo sano metallo!!! Niente esplosivo!!!- Ribatté indispettito William, punto sul vivo. Leòn indirizzò tutto il suo nervoso sull’inventore.
 -Ciò non toglie che quei cosi siano pericolosi!!!-
 -Sono armi!!! È logico che lo siano!!!- E mentre continuavano i loro battibecchi, i due preti si avviarono alla porta. Kate svanì, presumibilmente già nel laboratorio. Abel, subito dietro, ma prima si voltò verso Esthel, e riservandole il sorriso destinato solo ed esclusivamente alla suora dai capelli rossi, le fece cenno di venire con lui.
 -Non ci accompagna Sorella Esthel?- La giovane arrossì leggermente, ma poi annuì.
 -Oh? Ehm, sì, subito, Padre Nightroad!- Tentennando solo un istante per lanciare una occhiata alla Cardinalessa, Esthel seguì il prete dai capelli argentei fuori dalla stanza.
 Nella stanza ora erano rimasti solo Hugue, Très, Vaclav e Catherina. Il silenzio stava per diventare sconfortabile, quando la donna emise un lungo, sofferto sospiro e si sedette alla sua scrivania, per poi rivolgersi allo spadaccino.
 -Padre De Watteau. Ho appena incontrato i parenti di Sorella Noelle.- Il volto di Hugue rimase impassibile, ma negli occhi chiari passò un lampo di emozioni.
 -Capisco.-
 -Vorrebbero ringraziarvi. Per aver riportato a casa la loro congiunta.- Continuò la donna. Il dolore ora era ben visibile nel volto fine del biondo, ma la voce era ferma come sempre.
 -Io … ho solo fatto quel che dovevo. Era una compagna dell’AX. Riportare la sua salma a casa era il minimo.- Catherina annuì.
 -Se non ve la sentite di incontrarli, posso capirvi. Ma sappiate che fareste un enorme favore a queste persone.- La voce della Cardinalessa era dolce e comprensiva, capiva bene la riluttanza di Swordancer. La ferita della morte della suora era ancora aperta, non solo per lui, ma per tutti i membri dell’AX, ed era di gran lunga più dolorosa di qualunque ferita fisica. Ma allo stesso tempo capiva il desiderio dei famigliari di Noelle. Hugue rimase in silenzio qualche istante. Poi annuì, chinando leggermente il capo. I lunghi capelli dorati gli coprirono una parte del volto.
 -Molto bene.-
 -Padre Très ti porterà da loro.- Disse la donna, facendo un cenno al Cyborg, che rispose con un meccanico “affermativo”, prima di fare strada allo spadaccino.
 Appena rimasti soli, Catherina lasciò cadere la sua maschera davanti a Vaclav, come anche solo davanti ad Abel riusciva a fare. Calde lacrime cominciarono a scendere dagli occhi cristallini, un segno di debolezza che una donna del suo rango non avrebbe dovuto permettersi. Il prete le mise una mano sulla spalla, un gesto di conforto proibito al di fuori dell’ufficio deserto. Catherina prese la mano dell’uomo tra le sue, più piccole ed esili, e non coperte da guanti. Il semplice gesto sufficiente a darle forza. L’altra mano di Vaclav andò ad asciugare alcune lacrime, mentre la giovane donna si sfogava.
 -Non sono riuscita a dirgli nulla, Vaclav.- Un singhiozzo soffocato. -I parenti di Noelle. Non sono riuscita a dirgli nulla. Solo che era stato Hugue a … riportarla a casa.- Occhi grigi che sembravano fatti di vetro cercarono quelli mogano del prete. -Mi hanno ringraziato, Vaclav. Solo per avergli dato una bara su cui piangere … Mi hanno ringraziato … e sono stata  io a mandarla a morire!-
 -Non è vero. E lo sapete.-
 -Le ho affidato io quella missione! L’ho mandata io a Barcellona! Sono colpevole quanto colui che ha attivato il Silent Noise …-
 -Non dire così!- Nella foga, Havel mandò a quel paese ogni formalità, lasciando perdere il voi e prese il volto della Duchessa di Milano tra le sue mani, costringendola a guardarlo negli occhi. -Non potevi sapere cosa sarebbe accaduto. E per quanto sia orrendo, sappiamo che nel nostro lavoro ci possono essere delle casualità.- Con un sospiro, il prete cercò di riacquistare la sua solita calma. -Siamo preti e suore, uomini e donne, Catherina. Ma siamo anche agenti. Siamo stati reclutati per le nostre capacità. Ci hai scelti tu stessa, perché siamo in grado di affrontare le missioni che ci vengono affidate. E che queste missioni siano pericolose, lo abbiamo sempre saputo, sin dal primo giorno. Volenti o nolenti, ci muoviamo in un mondo in guerra, per quanto subdola, e la guerra porta morte.- Un altro sospiro, stanco. -Lo stesso giorno in cui ognuno di noi ha accettato di entrare nell’AX, sapeva che non era certo il ritorno dalle missioni. Ma abbiamo sempre la speranza che le nostre azioni ci possano portare a un mondo migliore. Ed è per questo che continuiamo a stare al tuo fianco.-
 -Non perché posso aiutare Hugue a trovare gli assassini della sua famiglia, Leòn a non passare la vita in prigione, e Très perché ne sono diventata proprietaria?- Sbatté poco delicatamente in faccia al prete la donna.
 -Non posso del tutto ribattere a questo.- Ammise Vaclav, mentre le mani della Sforza andavano di nuovo a coprire le sue, ma senza spostarle.
 -Ma sono rimasti, e continuano a sostenerti e a seguire i tuoi ordini, e ti dimostrano ogni giorno una fedeltà che Francesco, per fare un esempio, non può pretendere, se non da un paio dei suoi uomini. Certo, i tuoi metodi di reclutamento lasciano un po’ a desiderare …- Un leggero sorriso fece una timida apparizione sulle labbra della bionda. Il primo da quando era rientrata nel suo ufficio, dopo l’incontro con Francesco e quello subito successivo della famiglia di Noelle.
 -Grazie Vaclav.- Mormorò, iniziando ad asciugarsi le lacrime. Entro pochi minuti, Catherina Sforza sarebbe tornata l’indistruttibile donna d’acciaio in grado di far perdere il sonno a metà dell’assemblea dei vescovi e cardinali. E non solo per la sua più che bella presenza. Know Faith sorrise, gentile come al suo solito, ma soddisfatto di essere stato d’aiuto alla sua Cardinalessa.
 -Sono qui per questo.- Oramai tornata di umore più leggero, nonostante gli occhi ancora rossi, la giovane donna fece passare lo sguardo sulla stanza, fino a fermare gli occhi sulla foto, lasciata sul tavolino da tè, proprio vicino a una tazza immacolata e alla teiera, che ancora conteneva una dose di liquido caldo. Servendosi da bere, Catherina osservò, per la prima volta, la fotografia. Un enorme sorriso le salì alle labbra.
 -Dunque è di questa che avete parlato, mentre non c’ero? Nostalgia dei vecchi tempi?- Chiese, sventolandola davanti al naso di Vaclav. Il prete sorrise.
 -Non ancora. Per adesso ci siamo limitati al nostro primo incontro e al primo giorno che ti ho accompagnato a scuola.- Un mugolio poco signorile scappò tra le labbra sottili della donna.
 -Urgh. Non so quante volte te l’ho detto, ma scusa ancora per Attila e Nerone … e per le guardie … anche se credo che sia tu che dovresti chiedere loro scusa …-
 -È stata legittima difesa!- Si giustificò il prete, punto sul vivo. Un elegante sopracciglio biondo si inarcò sospettoso. -D’accordo. Ammetto di esserci andato un po’ pesante.- Un sorriso divertito sostituì quello gentile che Padre Havel indossava di solito. -Ma la faccia che hai fatto quando mi hai visto … impagabile!- Catherina gli diede una pacca giocosa, che fece solo aumentare l’ilarità dell’ex inquisitore, che ora rideva apertamente. La donna sospirò con fare esasperato, poi spostò di nuovo la sua attenzione sulla foto. Lo sguardo divenne malinconico.
 -Ti ricordi? Quello che è successo qualche giorno dopo?- Vaclav tornò serio.
 -La prima volta che hai pianto davanti a me.- No. Non avrebbe mai potuto dimenticarlo. Il primo vero passo nella loro improbabile amicizia.
 -Sembra così tanto tempo fa …- La voce di Catherina era piccola, tremendamente fragile. Havel le fu subito vicino. Era come se la donna che la sua vecchia amica e il suo capo stesse svanendo, lasciando il posto alla ragazzina fragile ma testarda che aveva incontrato tanto tempo prima.
 -Perché è stato tanto tempo fa.- La Cardinalessa riuscì a sorridere.
 -Hai ragione. Ma a volte, mi sembra che sia passato molto più tempo di quante ne è davvero trascorso.- I due rimasero in silenziosa contemplazione della foto, mentre la memoria slittava a eventi ancora precedenti.

Fine File 02

 Ecco qua! Finito un altro “file” … spero, come al solito, di essere stata fedele a sufficienza ai personaggi … in caso contrario, ditemelo, che vedrò di esserlo di più nei prossimi capitoli. Ora, una domanda per i più esperti di TB … qualcuno sa che razza di armi usa Vaclav? Abel usa una pistola quando non è trasformato, Hugue la spada, Leòn i bracciali o il bazooka, William un bastone/spada, se ho letto bene, ma Havel, a parte sapere che diventa invisibile, non so altro. E dato che tra uno o due capitoli avrei anche qualche scena di combattimento, mi servirebbe davvero saperlo … Grazie a chiunque sappia rispondermi … e un enorme ringraziamento a Nuage che ha commentato lo scorso capitolo! ^_^ grazie mille!!! Vedrò di inserire sempre un po’ di Abel per te!!!

 Ciriciao!

Will

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Capitolo 4
*** File 03 ***


file03  Nuovo “File” … leggete e commentate, grazie! ^_^

File 03

 - TEARS -

 Il disordinato rumore di forchette sui piatti lo stava facendo impazzire. Nonostante il volto impassibile, i nervi di Vaclav stavano andando disintegrandosi. Erano passati quasi tre giorni dal suo primo giorno al servizio della famiglia Sforza. Più precisamente da quando aveva accompagnato la Duchessa a scuola la prima volta. E da allora, nessuna creatura vivente aveva osato rivolgergli parola. La giovane Catherina per puro dispetto. I guardiani della scuola per ovvie ragioni. E tutte le persone in servizio a Villa Sforza per paura di ritorsioni della Duchessina. Carlo, forse unica persona che gli avrebbe fatto un minimo di compagnia, era bloccato a letto per il resto della settimana a causa di un improvviso mal di schiena.
 E se per lo svolgimento del suo lavoro, la cosa non era che gli dispiacesse tanto, dal punto di vista umano, il giovane Inquisitore iniziava a non reggere più la situazione. Essere totalmente ignorato dal mondo, era una tortura ben più grande di quel che poteva immaginare. Con un sospiro, osservò la sua tazza di caffé. Già vuota. Preso dal nervoso per la situazione di stallo in cui si trovava, le sue papille gustative non avevano neanche registrato il sapore del liquido scuro mentre veniva ingerito. Pur non nutrendo grandi speranze, chiese alla cameriera un’altra tazza. Solo per essere ignorato. Come se non avesse neppure fiatato. Unico segno di essere stato sentito, il rabbrividire della donna, e l’occhiata di sottecchi lanciata alla giovane duchessa, che continuava a fare colazione come se nulla fosse.
 Cercando di ignorare il desiderio di strangolare la cameriera, Padre Havel decise di alzarsi da tavola, e avviarsi all’auto. In teoria avrebbe dovuto restare ad aspettare che Catherina avesse finito, e accompagnarla, ma se non fosse uscito al più presto dalla stanza, avrebbe commesso un omicidio. Magari la cameriera. Nonostante tutto, non si sarebbe azzardato a sfiorare con un solo dito la Duchessa. Ergo, meglio uscire, per il bene della cameriera.

 Come da aspettativa, anche il viaggio fino all’istituto fu contraddistinto dal totale silenzio di autista e passeggeri nei confronti del prete. Con una nota di maligna soddisfazione, però, Vaclav notò che non era il solo a trovare la situazione pesante, e a voler terminare il tragitto al più presto, se l’acceleratore spinto al massimo dal sostituto autista era di qualche indicazione.
 Più verde di una zucchina, all’arrivo a scuola, il giovane Inquisitore notò appena il razzo munito di boccoli dorati che era Catherina superarlo, misteriosamente eccitata di entrare in classe. Ma la velocità della Sforza era nulla, di fronte all’eclissarsi delle guardie della scuola, alla sola vista del prete. Lasciato nella polvere sollevata dall’autista anche troppo felice di lasciare i suoi passeggeri, Padre Havel decise che era decisamente ora di mettere la parola “fine” a questo voto del silenzio nei suoi confronti.

 Senza sorpresa, la giornata scolastica passò ad una velocità da far apparire, almeno agli occhi del giovane Inquisitore, veloce e atletica una lumaca. Il suono della campanella fu liberatorio tanto per gli studenti che per la guardia del corpo. Nella marea festante di ragazzi, Vaclav individuò quasi subito la testa ricciuta che gli stava causando tanti problemi. E, come aveva fatto negli ultimi giorni, le si affiancò senza dire una sola parola, silenzioso e non intrusivo. E come negli ultimi giorni, la giovane Duchessa gli lanciò un’occhiata glaciale, per poi ignorarlo del tutto. Ignorando che una vena gli si era gonfiata sulla tempia, Padre Havel proseguì comunque con la ragazza fino all’automobile, dove però li attendeva una brutta sorpresa. L’autista provvisorio era quasi completamente nascosto dentro il motore dell’auto, lanciando esclamazioni che ben poco si addicevano ad un servitore papale.
 -Qualcosa non va?- Chiese padre Havel, senza aspettarsi una risposta. E quando questa arrivò, per quanto poco fine, ebbe la tentazione di buttarsi in ginocchio a ringraziare Dio in lacrime.
 -Non va no, porca di quella miseria!!!- Ruggì l’autista, tirandosi fuori a fatica dall’automobile. E parve essere colto da un mezzo infarto, quando, voltandosi, si trovò davanti Duchessa e guardia del corpo. Il volto a chiazze bianche e rosse, nell’indecisione se diventare paonazzo o impallidire, e ormai insalvabile dalla gaffe, decise di rivolgersi a entrambi e nessuno in particolare dei suoi due passeggeri.
 -Il motore ... ha un problema … da quando sono arrivato non vuole saperne di ripartire ...-
 -Ci vorrà molto per ripararlo?- Chiese Vaclav. Il servitore lanciò un’occhiata incerta a Catherina, ma questa lo fissava, in attesa della stessa risposta del prete, e per una volta, non interessata che venisse mantenuto il “voto del silenzio”.
 -Non ne ho idea.- Ammise l’autista, passandosi una mano sotto il cappello. -Non sono un meccanico. Certo, Carlo saprebbe aggiustarlo subito, ma non si è ancora ripreso dal mal di schiena, e comunque non è qui. Ho già chiamato alla villa, ma ci vorrà parecchio perché mandino qualcuno a prenderci ... Gli altri autisti sono tutti andati col Santo Padre o con il Signorino Alessandro … e né le cameriere, né la governante sono in grado di guidare … non che servirebbe a molto, dato che anche l‘altra auto della villa non vuole saperne di partire.-
 -Questa non ci voleva!- Esclamò la giovane dai boccoli dorati, il bel viso contratto in una smorfia. -Domani ho un compito importante, non posso permettermi di perdere tempo!- L’autista stava per scusarsi, mortificato, ma Vaclav non gliene diede il tempo.
 -Non importa. Andremo a piedi.-
 -Cosa?!- Esclamarono insieme i due, l’autista terrificato, e la Duchessa oltraggiata. Prima che uno dei due uomini potessero aggiungere altro, la giovane si era comunque ripresa, e, lanciando un’occhiata si sfida all’Inquisitore, annuì.
 -Molto bene. Ci vediamo più tardi.- E, senza aggiungere altro, la Sforza imboccò la strada verso la villa, incurante che la sua guardia del corpo la seguisse o meno. Havel era comunque alle sue calcagna, dopo un breve inchino di commiato al povero autista, che dopo una lunga occhiata confusa, tornò a mostrare al motore guasto il suo dizionario di parole volgari.
 Catherina camminava con passo svelto e misurato. Ma la rigidità del corpo mostrava tutta la sua irritazione. Vaclav la seguiva a pochi passi di distanza, senza troppa fretta. La differenza di falcata tra la ragazzina e l’Inquisitore evidente.
 Nonostante l’espressione tranquilla, il prete era in costante allerta. Sapeva che fare una passeggiata sulla strada non era esattamente una delle cose più intelligenti da fare come guardia del corpo, ma aveva assolutamente bisogno di parlare a quattrocchi con la Duchessa. Cosa impossibile tra le mura della villa, e ancora meno tra quelle dell’istituto. Cosa che però non si aspettava era che proprio la Sforza iniziasse un discorso.
 -Lo avete fatto apposta vero? A tirare fuori la storia di andare a piedi.-
 -Mi sembrava che aveste premura.- Rispose l’uomo, che nonostante la tensione nell’aria, non poté non godere nel poter di nuovo comunicare con qualcuno. Per quanto irritata fosse la controparte, e antipatica la conversazione.
 Di tutt’altro parere invece era Catherina, i cui occhi grigi minacciavano di perforare il cranio alla guardia del corpo.
 -Se avessi avuto premura, avrei chiamato un taxi.- Vaclav roteò gli occhi al cielo.
 -Sarebbe bastato dirlo.-
 -E fare la figura della pigrona? No, grazie.-
 -Questa discussione non ha senso!!!-
 -Invece sì!-
 -Invece no!-
 -Sì!-
 -No!-
 -Sì!-
 -Questa ha ancora meno senso!!!- Esclamò il prete, esasperato. Una mano andò a intrecciarsi tra i lunghi capelli scuri, mentre una forte emicrania andava a formarsi. Solitamente non avrebbe mai e poi mai partecipato ad una conversazione simile. Così … insensata. Ma forse per la giovane età della sua interlocutrice, forse era il nervoso covato negli ultimi giorni, o forse ancora i vari problemi che aveva avuto coi suoi superiori prima di venire a Milano … c’era dentro. Fino al collo.
 Con un grugnito sprezzante, la giovane Duchessa girò i tacchi e riprese la sua marcia. Sul volto il broncio più insofferente che potesse mostrare. Ma Vaclav non aveva ancora finito.
 -Almeno, perché questa insofferenza nei miei confronti? Ci sarà almeno un motivo, per cui incuto tanto odio in Sua Signoria!- Il passo marziale della sedicenne arrivò ad uno stop. E quando si voltò verso il prete, questi fece fatica a mantenere il volto inespressivo. Quegli occhi di ghiaccio un giorno avrebbero fatto raggelare anche i mari, ne era certo. E lui non aveva dubbio che la Sforza lo sapesse, e si allenasse giornalmente per perfezionarli.
 -Esisti e ti trovi qui. Credimi per me è un motivo più che valido.-
 -C … come?!-
 -Vuoi saperla tutta? Tu sei il sostituto della mia guardia del corpo, una persona adorabile, ma me lo hanno portato via, e al suo posto hanno messo te. Per questo ti odio!-
 -Non vedo cosa c’entro …-
 -Abel non è solo la mia guardia del corpo! È mio amico, l’unico vero amico che ho! E non sopporto vedere qualcun altro al suo posto! E tu sei qui, e solo perché mio fratello doveva sbattermi sotto il naso che ora è a capo dell’Inquisizione!- Una piccola pausa, mentre riprendeva fiato. Le guance, di solito pallide, rosse per le emozioni lasciate a briglia sciolta. -Ma tu che ne puoi sapere. Sei un Inquisitore. Un Soldato di Dio. Non hai idea di che vuol dire avere sentimenti.- Neppure il tempo di riprendere a camminare, che la mano di Vaclav si era stretta attorno al polso della giovane. La stretta ferrea, impossibile divincolarsi, nonostante gli sforzi. La ragazza si voltò, pronta a confrontarsi col prete, ma ogni protesta le morì in gola quando incontrò i pozzi scuri che erano gli occhi dell’Inquisitore. Freddi. Impassibili.
 -Per essere figlia di un Papa, avete molti pregiudizi.- Sentenziò il giovane uomo, senza allentare la presa sulla duchessa. -Vorrei ricordarle, che prima di essere un membro dell’Inquisizione, prima di essere un prete, sono una persona! Non ho scelto io questo incarico. Fosse per me, non sarei neppure venuto in Italia. Sarei rimasto in Boemia, nella mia terra.- Catherina smise solo per un momento di divincolarsi. La voce del prete non era cambiata, era sempre fredda e impassibile da far venire i brividi. Ma gli occhi, quelli erano un altro discorso. Nonostante la rabbia delle parole, le iridi color ebano erano cambiate totalmente. La freddezza aveva lasciato spazio ad un dolore profondo, quasi fisico. Di tutte le cose che poteva aspettarsi dall’Inquisitore, la giovane Sforza di certo non si aspettava il dolore. Non aveva mai, neppure per un secondo, immaginato che anche per il prete quella situazione potesse essere un’imposizione. Solitamente, un qualunque membro della Chiesa avrebbe fatto i salti di gioia ad avere l’incarico di guardia del corpo della figlia del Papa. Un onore enorme, che di certo sarebbe stato ben redarguito, in prestigio e potere.
 E ora un forte senso di colpa e vergogna iniziò a farsi strada nella ragazza, tanto forte da farsi fisico, rivoltandole lo stomaco. Si sentì profondamente stupida. Stupida e infantile. Poteva quasi sentire i succhi gastrici venirle su dalla gola, tanto erano forti quelle emozioni. Ma il suo orgoglio era ancora più forte. E, desiderosa solo di restare sola, e il più possibile lontana da quel giovane uomo dai capelli lunghi e il volto affilato, riprese a divincolarsi, con una forza datale dalla disperazione e dalla rabbia, ora indecisa se rivolta contro sé stessa o l’Inquisitore.
 Vaclav lasciò andare la presa dopo pochi secondi, per la sorpresa di Catherina. Stupito a sua volta per la sua perdita di controllo, cercò di riprendere un poco di lucidità, rendendosi conto di quanto fosse andato troppo oltre con il suo comportamento. Non ebbe però modo di scusarsi, perché la Sforza aveva approfittato dell’opportunità e aveva cominciato a correre, senza davvero sapere per dove, vogliosa solo di essere il più lontana possibile da quel luogo, dalla sua vergogna, la sua rabbia e frustrazione, e dal prete che ne era in parte causa. Sorda ai richiami di Havel, e del proprio cuore che batteva con forza contro la cassa toracica, provocandole dolorose fitte, la ragazza corse alla cieca, spingendo ancora di più le gambe quando sentì gli occhi bruciare, e la vista annebbiarsi. Non voleva piangere. Non davanti a quell’uomo. Non davanti al sostituto di Abel, non davanti al tirapiedi di suo fratello. Un’umiliazione che davvero non avrebbe potuto sopportare.
 Strinse le palpebre con forza, sorda ai rumori e al mondo attorno a sé, se non quando un paio di braccia vestite di rosso la afferrarono e la tirarono indietro. Aprì la bocca per urlare le sue proteste, ma la voce le venne inghiottita dal fracasso di una locomotiva. Aprì gli occhi, e rimase paralizzata alla vista delle carrozze che le sfrecciavano davanti al volto, a meno di un metro di distanza. La violenza dello spostamento d’aria provocato dal treno, unito all’irruenza del gesto di Vaclav, fece cadere entrambi all’indietro. Catherina batté la schiena contro il prete, togliendogli letteralmente l’aria dai polmoni, e rendendogli quasi difficile restare seduto. Rimasero fermi in quella posizione, seduti a terra, Catherina con la schiena appoggiata al petto di Vaclav, e le sue braccia strette protettive attorno alla figura esile di lei, finché il treno non fu passato.
 Una piccola parte della mente di Catherina, l’unica rimasta razionale, si stava dando della stupida. Ogni giorno faceva quella strada. Eppure si era dimenticata che prima di arrivare alla villa, la strada si incrociava con la ferrovia. Rendendosi conto del pericolo corso, il suo corpo iniziò a tremare. Istintivamente, Havel aumentò la stretta sulla ragazza, nel tentativo di rassicurarla.
 Forse fu la paura per il pericolo appena scampato. Forse che era davvero molto tempo che non permetteva a nessuno di tenerla così, stretta tra le braccia, come quando era bambina. Forse l’insieme di rimorso, vergogna e rabbia da cui cercava di scappare, unita alla tremenda mancanza di Abel. Ma le lacrime iniziarono a scorrere dagli occhi della ragazza, fiumi che portavano via il veleno che le si era annidato dentro in tanto tempo.
 Spaventato da quella reazione, Vaclav aprì la braccia per liberare la sedicenne, ma questa si voltò e si aggrappò a lui, come se fosse stato la sua unica ancora di salvezza. E lui decise di lasciarla fare. Di farla sfogare, di buttare fuori tutto quello che la tormentava. Non poteva sapere il profondo significato di quel momento. Solo anni dopo, infatti, Catherina gli avrebbe confessato che quella era stata la prima volta che aveva pianto davanti a qualcuno, dopo l’incontro con Abel e la morte di sua madre.

 Il resto della strada fu percorso in silenzio. Non per imbarazzo, ma perché entrambi, in fondo, sapevano che non c’era nulla da dire. L’apice dell’emotività era passata, e restava solo una tranquilla spossatessa, e la certezza istintiva che quanto successo sarebbe stato un fatto tra loro due. Vaclav si arrischiò a lanciare un’occhiata alla Duchessa. Ma, con sollievo, constatò che la giovane non era differente dal solito. I boccoli biondi forse erano un tantino arruffati, e gli occhi ancora un po’ lucidi, ma per il resto era del tutto normale. Tranne il fatto che non gli stava più lanciando occhiate al vetriolo. Cambiamento di cui era più che grato.
 Beatrice aprì senza fare domande il cancello, professionale come sempre, se non per l’evidente sollievo di vedere tornare a casa la padroncina sana e salva. Dirigendosi verso l’entrata della villa, i due si fermarono al suono di una voce che entrambi conoscevano bene. Carlo, bastone in mano e seduto su una delle panchine che contornava il parco, stava lanciando bonari ordini agli altri servitori, che si affaccendavano sulla seconda macchina, che sarebbe dovuta andare a prendere l’autista rimasto all’istituto e portare soccorso all’altra auto. Sia Inquisitore che Duchessa si avvicinarono all’anziano, ben felici di rivederlo.
 -Carlo!!!- Al suono del proprio nome, l’anziano di voltò sorridendo.
 -Signorina, Padre! Siete riusciti ad arrivare anche da soli vedo!-
 -Così sembra.- Concesse Vaclav, senza aggiungere altro. Catherina gli rivolse una lunga occhiata, quasi lo stesse valutando. Sentendosi leggermente a disagio dal quegli occhi penetranti, il prete si concentrò su Carlo. -Allora, Carlo. Il suo mal di schiena?-
 -Molto meglio, Padre, grazie.- Rise il vecchio, accarezzandosi i baffi. -Tra un paio di giorni al massimo, potrò scorazzarvi di nuovo in giro!-
 -È bello sentirlo, Carlo.- Fece Catherina, sorridendo. Il primo sorriso da molti giorni. L’autista annuì.
 -Grazie, Signorina. Ma adesso andate. Avrete i vostri compiti da fare. E lei, Padre, l’aspetto per cena, così mi ragguagliate un po’ sugli ultimi fatti.- Catherina si irrigidì alle parole del vecchio, e Vaclav intervenne subito.
 -Mi farà molto piacere unirmi a voi. Ma tempo che le potrò dire molto poco. In questi giorni non è successo davvero nulla.- Le iridi chiare slittarono per un secondo su quelle ebano dell’Inquisitore, quel tanto da fargli percepire la sua gratitudine per il suo silenzio. Carlo emise uno sbuffo deluso.
 -Oh, beh. A quanto pare le cose interessanti succedono solo quando ci sono io. Meglio così! Non mi sono perso niente!!!- Concluse ridendo l’uomo, facendo un cenno di saluto ai due giovani. Questi, dopo averlo salutato doverosamente, si avviarono nella villa, dove una impaziente Beatrice li aspettava alla soglia.
 Carlo guardò i due allontanarsi, e solo quando fu sicuro di essere solo, tirò fuori da dietro la schiena la sua fedele chiave inglese. Sapeva bene che qualcosa era accaduto, tra i due, in quei giorni. Beatrice lo informava di ogni cosa, anche la più piccola. E lui aveva anche escogitato il modo per mettere le cose a posto. Eh, già. Il vecchio Carlo aveva molti assi nella manica, ancora. In fondo, da giovane aveva lavorato tanto tempo coi motori, nell’officina del padre. Sapeva aggiustarli come niente. E altrettanto come niente romperli.

 La mattina dopo, quando Catherina scese a colazione, Vaclav era già al suo posto, a sorseggiare caffé nero e a leggere le ultime notizie sul giornale. I sopracigli scuri aggrottati, mentre gli occhi scorrevano sugli ultimi fatti avvenuti in Boemia. La giovane duchessa sentì una fitta di senso di colpa allo stomaco. Sapeva che l’Inquisitore era straniero. Il suo accento e nome ne erano prova. Ma non si era mai soffermata a pensare che potesse avere nostalgia della sua patria. E le parole che le aveva urlato il pomeriggio prima ne erano la prova.
 Un pugno esile si strinse impercettibilmente. Vaclav aveva ragione. Non si era posta il problema che, prima di essere un membro dell’Inquisizione, quindi un soldato, uno degli uomini di Francesco e un prete, Padre Havel era una persona. Il fatto che fosse venuto a coprire nella sua vita, seppure per un tempo limitato, il posto che lei aveva riservato ad Abel, non le dava di certo il diritto di trattarlo in quel modo. Come se tutto fosse colpa sua.
 Con un sospiro, la giovane Duchessa di Milano si sedette al suo posto, e non appena la cameriera le mise davanti la sua colazione, chiese, senza distogliere gli occhi dal piatto:
 -Padre Havel, potrebbe passarmi il latte, per favore?- Le palpebre batterono un paio di volte sulle iridi scure, mentre il prete metabolizzava il fatto che la Sforza gli avesse rivolto parola senza insultarlo. Poi, convintosi di non esserselo immaginato, eseguì l’ordine con un sorriso gentile sulle labbra sottili.
 -Ecco qui, Duchessa.-
 -Grazie.- Fece la ragazzina, una volta ricevuta la caraffa, senza però dare una seconda occhiata al prete. Parlargli non significava che l’Inquisitore le piacesse. O ancora meno, che avesse preso il ruolo di Abel. Con la coda dell’occhio, la giovane vide la cameriera offrire dell’altro caffé al prete, ormai tranquillizzata della rottura del “voto del silenzio“. No. Vaclav non avrebbe mai potuto prendere il posto di Abel. In alcun senso. Ma, per il momento, poteva fare lo sforzo di sopportarlo. Almeno quello sì.

-----

 -Non ho mai voluto prendere il posto di Abel.- Assicurò Vaclav, mentre Catherina appoggiava di malavoglia la foto. Sarebbe stata ore e ore ad ammirarla, persa nei ricordi.
 -E non l’hai mai fatto.- Sospirò la Cardinalessa, finendo l’ultimo sorso di tè. -Tu ti sei creato un posto tutto tuo.- Le mani della donna andarono a coprire quelle del prete, che le donò uno dei suoi sorrisi più sinceri. Ma il contatto venne interrotto, non appena giunsero da dietro la porta dello studio il rumore di passi frenetico. In pochi istanti, Sorella Esthel Blanchett aveva aperto la porta, usando il poco fato che e era rimasto in gola per annunciarsi.
 -Che succede, Sorella? Prendete fiato con calma e spiegatevi.- La voce della Sforza era tornata forte e decisa, ogni traccia del modo in cui era ceduta poco prima alle emozioni sparita. La giovane dai capelli rossi prese un paio di profondi respiri, per dare modo ai polmoni deprivati di ossigeno di riprendersi.
 -Padre Nightroad …-
 -Cos’ha combinato stavolta?!- Ringhiò la Cardinalessa, cui persino il monocolo mandava bagliori sinistri. Vaclav rimase silenzioso, ma lo gli occhi erano vigili, e concentrati sulla giovane suora.
 -Ha provato i bracciali di Padre Leòn, e …- Neppure il tempo di completare la spiegazione, che dal corridoio giunsero urla di ogni genere. I tre membri del clero si fiondarono fuori dall’ufficio cardinalesco, per essere quasi investiti da due razzi in tonaca nera. Uno con occhiali tondi e capelli candidi, l’altro con accento spagnolo e capelli ricci con uno strano taglio proprio alla sommità del capo, che lo faceva sembrare un frate a cui avessero appena fatto la tonsura.
 -Ho detto che mi dispiaceeeeeee!!!-
 -Te lo faccio dispiacere di più quando ti ho preso, quattrocchi!!!- Catherina, Havel e la giovane Eshtel rimasero immobili, troppo allibiti dalla scena che si consumava davanti ai loro occhi per intervenire o commentare.
 -Hanno anche appena dato la cera …- Mormorò Esthel, coprendosi gli occhi, e mormorando un “non voglio guardare”.
 -Vaclav … forse sarà meglio che li vai a fermare, prima che …- Neanche la donna d’acciaio, la potente e determinata Cardinalessa Sforza sembrava pienamente convinta delle sue parole. Altre grida. E l’inconfondibile suono di corpi andati a sbattere contro un muro. Vaclav emise un lungo, sofferto sospiro.
 -Non credo sia più necessario.- Un lungo minuto di silenzio rassegnato, mentre in lontananza, arrivava il sottofondo di mugolii di dolore, intramezzati da deboli scuse e bestemmie in spagnolo.
 -Vado a chiamare Padre Wordsworth. E la capo infermiera.- Mormorò Esthel, depressa quanto i suoi due superiori.
 -Dì alla Sorella infermiera che vedrò di sdebitarmi per quei due.- Disse solo la Cardinalessa, massaggiandosi stancamente le tempie. La giovane suora dai capelli rossi era appena sparita tra i labirintici corridoi del Vaticano, quando la voce di Sorella Scott risuonò nell’aria.
 -Cardinalessa. Il Doge di Genova chiede udienza.-
 -Mai un attimo di pace, eh?- Sbuffò la donna in rosso, sistemandosi il monocolo. -A questo punto, andiamo, Vaclav.- Solo dopo qualche passo Catherina si accorse che Padre Havel non la stava seguendo. -Vaclav, che c’è? Très non è ancora arrivato, quindi devi venire con me!-
 -Il Doge di Genova … è Simone Boccanegra, vero?- Chiese il prete, le labbra serrate in una linea sottile, e un’espressione preoccupata negli occhi. La bionda emise uno sbuffo poco signorile. La sua pazienza messa a dura prova.
 -Se non ne è stato messo un altro al suo posto negli ultimi tempi, credo proprio di … Oh!- Improvviso lampo di genio.
 -Oh.- Fece coro Vaclav, soddisfatto che la sua Cardinalessa ci fosse arrivata. Ma non per questo meno preoccupato.
 -QUEL Boccanegra?- Ora la preoccupazione era apparsa anche negli occhi della donna. Da giovane Catherina era entrata una sola volta, convinta dalle sue amiche di scuola, in un locale per soli maggiorenni. E lì, aveva incontrato quello che, di lì a pochi anni, divenne nientemeno che il nuovo Doge di Genova. Non un incontro piacevole. Per nessuna delle parti. Soprattutto per Boccanegra. Da allora, fortunatamente, il Doge e la Cardinalessa non avevano avuto contatti. Fino ad oggi. Vaclav annuì.
 -Quello.-
 -Tu pensi che …-
 -Sì.-
 -Sono passati dieci anni!-
 -Lo so.-
 -Non crederai che se lo ricordi ancora …-
 -Lo do per scontato.-
 -Dovrebbe esserci passato sopra, no?-
 -Ne dubito.- Un sospiro. -Non si passa sopra a un setto nasale spaccato.-
 -Ma mi stavi difendendo!- Cercò di scagionarlo Catherina. Ma l’auto accusa del prete reggeva anche troppo.
 -Ma neanche sapevo chi stavo difendendo! È stata un’aggressione!!! In tutto e per tutto!!!-
 -…è … irrilevante.- Fece la donna, pur non essendo convinta delle sue stesse parole. -Ormai sei qui. E non possiamo farlo aspettare oltre.-
 -Speriamo che Abel abbia ragione, e che sia vero che la barba confonde ...- Sospirò Know Faith, seguendo alfine la figura in rosso, come ormai faceva da tanti anni. Ma entrambi non potevano non tornare, con la mente, alla sera in cui avevano conosciuto il futuro Doge, durante una delle serate più pazze e assurde della loro vita. Almeno fino al ritorno di Abel e l’arrivo di William.

Fine file 03

 Per chi non lo sapesse, Simone Baccanegra è stato il primo Doge della Repubblica Marinara di Genova. Dato che molti, se non quasi tutti, i personaggi di TB hanno nomi ispirati a personaggi storici, perché non infilare anche lui? La verità è che sto studiando la storia delle repubbliche marinare per conto mio, e ho colto la palla al balzo. ^_^
 Se per caso il rapporto tra Vaclav e Catherina vi sembra troppo intimo, beh, sappiate che mi sto ancora trattenendo, perché non voglio che la mia fic sia di tipo romantico. Giuro che la prima volta che ho visto l’anime, ho pensato due cose di Valcav: 1) assomiglia in maniera imbarazzante a Gesù Cristo. 2) questo è l’amante della Cardinalessa. È stupido, ma è quello che ho pensato.
 Nell’anime, Vaclav sembra essere davvero vicino a Catherina, tanto da essere anche l’unica persona davanti alla quale lei possa piangere, ed è l’unico a confortarla, dopo la morte di Noelle. Catherina poi ha sicuramente la confidenza di piangere e sfogarsi anche con Abel, ma credo che con Vaclav abbia un rapporto speciale. Il mio punto di vista è che lei crolli nei momenti più dolorosi con Vaclav per non pesare su Abel che ha già molta tristezza di suo, e probabilmente si prenderebbe il peso anche di quello sulle spalle. Poi io mi sono messa in testa che questi tre siano una sorta di “trio dell’AX” a causa di un’altra immagine dell’artbook vista su internet, con Vaclav, Abel e Catherina assieme in giardino. O che quantomeno siano i tre da cui è partito l‘input di fondare l‘AX, e che Kate e William siano arrivati poco dopo.
 Nessuno sa Havel che armi usa? In un sito ho letto che ha dei coltelli retrattili nascosti nei guanti, ma non so quanto è vero … e la cosa mi sa tanto di Assassin’s Creed (un crossover che non sarebbe male … XD butto lì l‘idea, se a qualcuno può interessare … potrei farci comunque un pensiero per il futuro …) Qualcuno può aiutarmi?

Saluti

Will

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Capitolo 5
*** File 04 ***


File 04  Il primo “File” dell’anno … spero che vi piaccia, e ancora auguri di Buon Anno!!!

- KNOK-OUT AT THE HEAVEN’S DOOR -

File 04

 -Allora siamo d’accordo per stasera?- Catherina si impedì di roteare gli occhi al cielo. Accanto a lei, Irene pareva nella stessa situazione, anche se molto più intimidita. Ma la ragazza che aveva parlato, con lunghi capelli ramati perfettamente pettinati, non pareva demoralizzata dalla reazione delle due compagne di classe.
 -Per cosa, Arianna?- Domandò la bionda, attorcigliandosi distrattamente uno dei boccoli dorati.
 -Ma come per cosa!? Catherina è una settimana che ne parliamo!!!- Esplose la rossa, le iridi verdi scintillanti d’irritazione. La giovane Duchessa sorrise appena.
 -Deve essermi passato di mente. Sai, ho avuto … parecchie cose a cui pensare, ultimamente.-
 -Sì, tipo una guardia del corpo capellon … Umph!!!- Il braccio di Catherina attorno al collo impedì a Irene di completare la frase, e anche di respirare correttamente. Senza cambiare espressione, la Sforza continuò a fissare Arianna, a cui si era affiancata una nuova ragazza.
 -Quale guardia del corpo? Sempre quel prete con gli occhiali che pensa solo al cibo?- Domandò la nuova arrivata, liscissimi capelli biondo platino e occhi grigi.
 -Abel non pensa solo a mangiare, Isabella!- Sibilò Catherina, fissando con espressione torva la biondina. Questa sbuffò, per nulla impressionata, mentre Irene approfittava del momento per divincolarsi dalla presa della Sforza.
 -Sì, sì, certo, come No. Tornando a cose importanti.- Continuò la ragazza platinata, sedendosi sul banco accanto a quelli di Catherina e Irene, vuoti durante la ricreazione in corso. -Sono riuscita a procurare ben quattro pass per l’apertura con musica dal vivo dell’Heaven’s Door, il locale più importante della città. Che, sottolineiamo, è aperto solo ad una clientela maggiorenne.- E detto questo, fece uscire dalla borsa quattro nuove sfavillanti carte d’identità, con i nomi e foto delle quattro ragazze.
 -Ventiquattro anni?!?- Esclamò Catherina una volta avuta in mano la sua. -Ma se sono già fortunata se dimostro i sedici che ho!!!-
 -Prendere o lasciare, mia cara.- Fece Isabella, tirando fuori uno specchietto e sistemandosi un’inesistente ciocca di capelli fuori posto. Irene, intanto, aveva cominciato a rosicchiarsi nervosamente un’unghia.
 -Ehm … ma questo locale … sarà molto costoso … non credo di potermelo permettere …-
 -Oh, nessun problema!- Rise Arianna. -Essendo la serata di apertura, si pagano solo le consumazioni. Se vuoi puoi bere e paghi, altrimenti No. Ma comunque ti godrai della vera musica!-
 -Allora è tutto deciso! Passerò questa sera col mio ragazzo a prendervi, dato che nessuna di noi sa guidare o ha la patente.- Concluse Isabella, ricacciando lo specchietto nella borsa.
 -Sopratutto perché nessuna di noi è maggiorenne …- Sbuffò Catherina, proprio al suono della campanella. Le ragazze tornarono ai propri posti, e le lezioni ricominciarono.
 All’uscita dall’istituto, Catherina e Irene camminarono fianco a fianco. Arianna e Isabella già sparite. La giovane sforza sospirò, semi depressa. Arianna e Isabelle erano le uniche ragazze, oltre Irene, con cui avesse un minimo di rapporto. E questo solo perché provenivano da famiglie abbastanza potenti e ricche da non sentirsi in particolare disagio in presenza della figlia del Papa. Peccato che fossero anche delle vere ribelli. O almeno questo pensava la giovane Duchessa, avendo rinunciato a contare le volte che le due ragazze avevano violato il regolamento, scolastico e non. Con, ovviamente, nessuna conseguenza particolare. Sempre omaggio del loro status sociale, che garantiva una sorta di immunità per ognuno dei loro capricci. Entrare in un locale accessibile solo a maggiorenni era solo l’ultimo grillo che saltava nella testa delle due.
 Irene camminava a testa bassa, preoccupata. E a ragione. Se Arianna e Isabella, al massimo, in caso fossero state scoperte, potevano ricevere una piccola lavata di testa a casa, Irene avrebbe passato guai piuttosto seri, specie a scuola. Nessuno avrebbe mai osato cacciare due delle rampolle più in vista di Milano. Ma non si poteva dire lo stesso di una ragazza di umili origini come la morettina …
 -Non so, Catherina … questa storia non mi piace …-
 -Se devo essere sincera neanche a me.- Ammise la bionda. -Però non credo che avremo mai più un’occasione del genere …- Irene annuì. Se per lei gli ostacoli erano di tipo economico, di certo anche Catherina aveva i suoi. Anche una volta diventata maggiorenne, il suo destino era di seguire l’esempio del fratellastro Francesco ed entrare nel clero. E allora non ci sarebbe stato modo di evadere dalla gabbia dorata in cui il suo status nobiliare l’avrebbe rinchiusa.
 Catherina emise un lungo, sofferto sospiro. Anche se non lo avrebbe ammesso ad anima viva, ammirava Isabella e Arianna. Il modo in cui non si curavano delle conseguenze, l’assoluta spensieratezza con cui vivevano … la giovane Duchessa non riusciva a non sentirsi attratta da quel modo di vivere, così estraneo alla sua realtà. Specie dopo la notte in cui aveva conosciuto cosa davvero fosse la violenza e l’omicidio.
 -Le carte d’identità ce le abbiamo. Ormai sarebbe solo uno spreco non usarle. Senza contare che credo che Isabella si offenderebbe se rifiutassimo … e Arianna pure …- Entrambe le ragazze vennero attraversate da un brivido. Anche se per ragioni diverse, entrambe avevano difficoltà a trovare amicizie nella scuola. Una perché temuta, l’altra perché snobbata. E l’idea di perdere le uniche due ragazze che si degnavano di rivolgere loro parola, era davvero terribile.
 -Mi sa che hai ragione …- Annuì Irene, accarezzandosi le trecce castane. -Piuttosto, tu hai già trovato un modo per uscire di casa? Io non ho grandi problemi. Mi basta dire ai miei che esco senza dire dove vado, ma tu … come farai con la tua “ombra capellona”?- Chiese, riferendosi a Vaclav. Catherina trattenne a fatica una risata. Irene stessa aveva inventato il soprannome, e alla Sforza piaceva davvero. Anche se aveva il dubbio che al soggetto in questione invece non sarebbe piaciuto molto ….
 -Non sono ancora sicura.- Ammise la bionda. -Padre Havel, anche se è un Inquisitore è un tipo tranquillo, e passa le serate per conto suo, e non è assillante … quando dico che me ne vado a letto, non entra in camera a controllare. Mi preoccupano di più i servitori che fanno le ronde nel giardino e i cani.- Una smorfia passò sul viso fanciullesco. -Soprattutto non so come farò con addosso i vestiti che mi ha passato Isabella!!!- La stessa smorfia passò sul volto di Irene.
 -Non parlarmene! A casa li devo nascondere. Se mia madre li vede e le venisse anche solo da pensare che me li metto, mi sbatte fuori!- Le due sospirarono in unisono. Isabella non aveva tutti i torti: per entrare nell’Heaven’s Door, servivano, oltre alle carte d’identità, anche gli abiti giusti. Almeno giusti abbastanza da non farsi scoprire subito. Peccato che quelli giusti secondo Isabella non  “vestissero” molto. Sembrava infatti che più payette e meno stoffa avessero, più fossero considerati adatti. Ora, Catherina non conosceva poi molto il mondo al di fuori della villa e della scuola, e di certo Isabella aveva ragione … ma questo non faceva accapponare meno la pelle alla giovane Duchessa al pensiero di dover indossare vesti simili!!!
 Le due ragazze erano ormai arrivare all’uscita, dove un paziente Vaclav aspettava, braccia conserte sotto le maniche larghe, apparentemente ignaro di quanto gli accadeva intorno. Ma non appena i riccioli biondi della Sforza fecero capolino, nonostante la ressa di studenti, il prete si voltò, individuandola subito, e offrendo un sorriso educato.
 -Ok. Allora a stasera. E ricordati il trucco. Arianna si è raccomandata.- Sussurrò Irene, prima di salutare Catherina. Questa sorrise e annuì, prima di affiancarsi a Vaclav e avviarsi all’auto, dove un recentemente guarito Carlo li aspettava.

 Che qualcosa sotto ci fosse, Vaclav non aveva dubbi. La Duchessina era stata silenziosa per tutto il viaggio, pensierosa. E, soprattutto, non gli aveva lanciato neanche una delle sue occhiate raggelanti. E, per quanto sentisse il dovere di ringraziare la propria buona stella per questo, il prete non poteva non reputarlo un cattivo segno. La classica quiete prima della tempesta.
 Ci stava ancora pensando dopo cena, dopo aver educatamente salutato Catherina, ritiratasi nelle sue stanze, quando la brusca e professionale voce della governante lo fece trasalire.
 -Allora, Padre? Che cosa farete della vostra serata?-
 -Mi ritirerò per le mie preghiere, farò la mia ronda serale, e salirò alla mia stanza. Per quale motivo, Signora Beatrice?- Chiese l’Inquisitore, stupito dalla domanda. Gli occhi della donna si spalancarono per la sorpresa, perdendo un poco della loro severità.
 -Davvero? Non avete progetti? Eppure siete un ragazzo giovane … pensavo avreste usato in maniera diversa la vostra serata di riposo …-
 -Serata di riposo?!- La fronte del prete si corrugò per la confusione.
 -Ma certo! Non siete mica uno schiavo! Come ogni servitore della villa, anche voi avete diritto ad un’intera giornata di riposo ogni mese. Il vostro inizierà stasera, per terminare domani sera.- Vaclav rimase immobile, esterrefatto. Un’intera giornata di riposo? Solo per lui? Senza nessun tipo di compito? Una cosa assolutamente normale, ma di cui lui aveva perso cognizione, entrando nell’ordine clericale. Nella Santa Inquisizione soprattutto, le regole erano rigide, e non esistevano giorni di riposo, se non per ordine del medico. C’erano le uscite per visitare le famiglie, certo, ma lui non ne aveva mai usufruito. Anche la Domenica, era considerata solo dal punto di vista religioso, con la confessione prima della Santa Messa, che per l’occasione della festività settimanale, veniva seguita coi fedeli in chiesa invece che nella cappella privata nella caserma monastica.
 -Quindi … non ho altri compiti … fino a domani sera?-
 -Ma certo!- Fece Beatrice, sempre più stupita dalla sorpresa del prete. -Andate da Carlo, e fatevi scorrazzare un po’ per la città. Uscite di qui, e respirate un po’ di aria!!!- Cercando di ricomporsi, il prete annuì.
 -Un gradito suggerimento. Grazie ancora per avermi avvertito. I miei saluti.- E con un leggero inchino, uscì dalla stanza.
 Beatrice scosse la testa, indecisa tra irritazione e rassegnazione. Il tempo che la porta si chiudesse alle spalle dell’Inquisitore, e la voce del Padre sembrò trapassare i muri.
 -SONO LIBERO!!!- La donna si portò una mano alle tempie, esasperata e rassegnata. Inquisitori. Mai che ce ne fosse uno normale.

  Il sopracciglio biondo si inarcò, scettico. L’immagine allo specchiò mimò perfettamente l’azione, ma Catherina non riuscì a riconoscere la ragazza riflessa, e non sapeva se esserne felice o meno. Il trucco era pesante, quasi una maschera. La giovane Duchessa emise un sospiro, esasperata. Non si era mai truccata da sola. E questo era il risultato migliore che era riuscita a ottenere. Si passò con cautela il rossetto sulle labbra, e la trasformazione era terminata. Al posto della piccola sedicenne Catherina stava una versione più adulta, che avrebbe fato girare la testa a tutti gli uomini che l’avessero incrociata per strada.
 Sì. Magari! Tutto quello che la ragazza riusciva a vedere allo specchio era una sorta di Pierrot punk. Ad avere molta fantasia.
 Aveva già preso in mano le salviette struccanti per ricominciare tutto, ma un’occhiata all’orologio la costrinse a rinunciare: Isabella sarebbe passata di lì a poco con il suo ragazzo, e lei doveva ancora sgattaiolare fuori dalla villa. E per farlo, doveva approfittare della piccola pausa tra Carlo che andava a dar da mangiare ad Attila e Nerone, e la ronda serale attorno alla villa di Vaclav. Pochi minuti, ma sufficienti a sgattaiolare fuori indisturbata, sempre che i tacchi non la facessero stramazzare al suolo prima.
 Lanciò un’ultima occhiata disgustata al suo riflesso, poi agguantò il cappotto più lungo che aveva, per nascondere al meglio gli abiti che indossava. La gonna che le era stata prestata non era particolarmente corta, per fortuna, ma non la faceva sentire a suo agio. Così come la maglietta senza maniche scintillante di payette. Un flebile raggio di luna, e sarebbe stata visibile da ogni angolo del giardino.
 Colletto della giacca tirato su al massimo, e un profondo respiro. Era ora di andare.

 Del tutto ignaro di quanto stesse combinando la Duchessina, Vaclav si stava mezzo maledicendo a denti stretti. Per la prima volta da anni, aveva l’opportunità di vivere una serata nel mondo, fuori dall’Ordine. Solo per non poterne godere. L’iniziale euforia già svanita, una volta resosi conto di non avere con sé neanche uno straccio di abito civile. Nonostante non fosse di certo raro trovare in giro ad ogni ora preti di ogni grado, infatti, con l’abito avrebbe attirato comunque troppa attenzione. Ma tutte le sue vesti erano composte da divise rosse da Inquisitore, o scure da prete. Non che si fosse portato chissà cosa nel borsone. Ma anche volendo, lui proprio non possedeva altro. E ora si trovava seduto nella rimessa, indeciso su cosa fare.
 -Padre? Che ci fa qui?-  Carlo, di ritorno da nutrire i cani, lo fissava sorpreso. -Non è la sua serata libera?- Una vena andò a pulsare sulla tempia del prete. Nella villa era lui l’unico a non sapere quando fosse il suo giorno di riposo?
 -Così sembra.- Rispose, piatto.
 -E allora cosa fa lì impalato? Vada a mettersi qualcosa di meno clericale, forza! La porto a fare un giro in città!-
 -È qui il problema.- Sospirò Havel, passandosi una mano tra i lunghi capelli bruni. -Non possiedo nulla di non clericale.- Lo sguardo sorpreso che gli lanciò l’anziano fece arrossire di vergogna il giovane Inquisitore. -Non … non era previsto che avessi tempo per uscire … così … non ho portato nulla.- Inutile precisare che lui, a parte la biancheria, non aveva assolutamente niente senza croci p altri simboli sacri sopra. Era già abbastanza imbarazzante così. L’anziano custode parve riflettervi per qualche istante, accarezzandosi i lunghi baffi.
 -A questo si può rimediare. Mi segua, Padre.- Curioso, Vaclav seguì il buon vecchio fino ai suoi alloggi, che neanche a dirlo, si trovavano in una piccola abitazione a pochi passi dall’autorimessa. Dopo aver atteso per qualche minuto nella piccola ma accogliente sala da pranzo, Havel venne raggiunto da Carlo, con le braccia coperte di abiti di ogni genere.
 -Mio figlio è partito con il Signorino Alessandro. Di certo non ne avrà a male se le presto qualcuno dei suoi stracci.-
 -Io … davvero non so come ringraziare …- Mormorò il prete, sinceramente commosso. Carlo rise, agitando una mano, volatilizzando ulteriori parole da parte del giovane.
 -Non deve neanche dirlo! E ora vediamo se tra questa roba c’è qualcosa che le possa andare bene …- La cernita fu più veloce di quanto immaginato, a causa della differenza di taglia fra il figlio di Carlo e Vaclav. Il figlio del custode, infatti, era di quasi una ventina di centimetri più basso del prete, e alla fine, gli unici abiti indossabili dall’Inquisitore si ridussero ad un paio di jeans scuri, regalati da Beatrice un Natale di qualche anno prima sbagliando taglia, e mai accorciati, e a una camicia scura e una giacca intonata, fortunatamente con maniche abbastanza lunghe per le braccia del prete.
 -Allora, Padre? Che gliene pare?- Chiese Carlo, senza nascondere un sorriso soddisfatto sotto i baffi. Vaclav infilò le mani nelle tasche dei jeans, piacevolmente soddisfatto della sensazione che quella stoffa ruvida ma allo stesso tempo comoda gli dava.
 -Posso essere sincero, Carlo? Non ho mai indossato nulla di più comodo in vita mia!- L’autista scoppiò in una risata, per nulla sorpreso dalla risposta. Era difficile non vedere l’Inquisitore senza essere alle prese con il suo infernale colletto. Perché i preti si infliggessero tale tortura, per Carlo era un mistero. Poi però, studiando meglio il giovane uomo che si trovava di fronte, gli venne un’altra idea.
 -Ditemi, Padre. Avete la patente di guida?- Havel annuì, dopo aver battuto un paio di volte le palpebre, confuso dalla domanda.
 -Sì, certo. Per renderci completamente indipendenti in caso di trasferta, l’Ordine ci obbliga a saper guidare un mezzo. Per quale motivo?-
 -Perché credo di avere una proposta più alettante che non farsi scorazzare in auto da un vecchio fossile come me …- E detto questo, l’anziano fece segno a Vaclav di seguirlo nell’autorimessa.
 Superando le auto di servizio, l’autista guidò Vaclav fino a dei mezzi coperti da teli. Quando Carlo scoprì il primo, l’Inquisitore perse l’uso delle corde vocali: scintillante nella poca luce, la carrozzeria aerodinamica e lucente, un motore che pregava di essere acceso: una vera Ferrari, nera e seducente come la notte.
 -Il nonno della Signorina, il defunto Duca Sforza, era un appassionato di auto dell’epoca pre-armageddon.- Spiegò l’anziano, accarezzandosi con orgoglio i baffi. -Da anni mi occupo di questa e degli altri gioielli motorizzati della collezione. Ma questa puledra è un po’ il mio orgoglio.- Sorrise, quasi gongolante, mentre Vaclav sfiorava appena la carrozzeria, ancora senza parole. -All’inizio, non riuscivo a farla partire. Troppi anni senza manutenzione e troppa polvere. Ma dopo aver smontato e riassemblato il motore pezzo per pezzo, questa meraviglia mi ha ripagato con il rombo più melodioso del mondo!- Vaclav non era un intenditore di auto. Né un fanatico. Ma avrebbe mentito dicendo che era impassibile di fronte a quell’automobile. Probabilmente era un gene presente nel DNA maschile, ma di fronte a una bella macchina, non c’era ordine religioso che teneva. Nessun uomo avrebbe potuto fare altro se non rimanere in adorante ammirazione davanti a una quattroruote del genere.
 -È un vero gioiello, Carlo.- Bisbigliò il prete, riuscendo a stento a far funzionare un minimo le corde vocali. Era certo che non servissero tutte le dita di una mano per contare gli esemplari di quel modello ancora esistenti al mondo. Il sorriso di Carlo, se possibile, si accentuò ulteriormente, mentre tirava fuori un mazzetto di chiavi.
 -Allora credo proprio che le piacerà farci un bel giro.- Gli occhi sottili dell’Inquisitore si fecero tondi come due palle da tennis.
 -Cosa?!-
 -Oh, siete troppo giovane per essere sordo, Padre.- Sbuffò il vecchio, ficcando in mano a Vaclav le chiavi. -Quest’auto è troppo veloce per me, e sarebbe solo un triste spreco lasciarla sempre qua, senza poter mostrare al mondo il livello che avevano raggiunto le automobili prima dell’Armageddon. Prendetela e fatela rombare per un po’ per le strade, ragazzo!-
 -Ma … siete davvero sicuro … insomma …- Havel dovette deglutire più volte, sentendosi improvvisamente regredito ad un bambino di sei anni a cui era stata regalata la bicicletta più bella del mondo.
 -La prenda, ci faccio un bel giro e ci carichi su una bella ragazza, e si diverta anche un po’ per me!!!- Il volto del prete divenne paonazzo quanto la sua divisa da Inquisitore, ma Carlo rise, dando una pacca sloga spalla al ragazzo. -Cerchi solo di non farle danni che neanche un topo da motori come me possa aggiustare, e per questa notte è tutta sua!- E detto questo, lasciò Vaclav da solo con il bolide maliziosamente scintillante nella luce artificiale.

 Il posto non era davvero come Catherina se lo aspettava. Pieno di luci, musica e gente. Questo sì. Quello che non si aspettava, era le luci psichedeliche che sembravano avere il solo scopo di farle venire il mal di mare, il volume della musica così alto da impedirle di sentire quello che le stava urlando Irene nell’orecchio, e una folla che la spintonava ad una parte all’altra dell‘ambiente. Pressata come una sardina, con un inizio di mal di testa e confusa oltre ogni limite, non riusciva bene a capire dove fosse il divertimento. L’Heaven’s Door aveva iniziato la sua serata inaugurale con un assaggio di musica da discoteca. Fu un vero sollievo quando il disco venne tolto, per far entrare un gruppo in carne e ossa.
 Approfittando con gratitudine della pausa necessaria per accordare gli strumenti sul palco, la Sforza riuscì finalmente a udire ciò che Irene aveva tentato di comunicarle da quasi un quarto d’ora.
 -Sai Arianna e Isabella dove sono finite? Non le vedo più …- Una smorfia passò sul volto della bionda. Arianna e Isabella? E chi le aveva più viste? Dopo essere riuscite a entrare nel locale, scampando ai controlli, cosa che si era rivelata più semplice del previsto, le due ragazze erano come schizzate via, lasciando Irene e Catherina sole tra la folla pressante.
 -Non ne ho idea!- Sospirò la Duchessa, per poi indirizzare l’amica verso un angolo meno affollato. Entrambe esalarono un enorme sospiro di sollievo. Incredibile quanto fosse bello avere lo spazio sufficiente per respirare e voltarsi senza rischiare di calpestare i piedi a qualcuno. Neanche il tempo di godere del piccolo piacere, però, che erano già state raggiunte.
 -Ragazze, scusate, avete per caso visto Isabella?- Catherina e Irene fissarono con odio il nuovo arrivato, che si trovò inconsciamente a fare qualche passo indietro. Un ragazzo piuttosto alto e dinoccolato, con capelli ricci color carota e un mare di lentiggini sulla zona guance e naso. Lorenzo, il ragazzo di Isabella. Difficile credere, dal solo aspetto, che fosse già maggiorenne e patentato. E ancor di più che Isabella, dati i suoi gusti raffinati in fatto di ragazzi, ci uscisse assieme. Quasi tutti gli ex della platinata, infatti, sembravano essere pescati da riviste di intimo maschile, o da una palestra. Ma Lorenzo era un ragazzotto gentile e disponibile, come testimoniava il fatto che avesse fatto da autista alle quattro ragazze, e questo lo aveva fatto entrare decisamente nelle grazie di Irene e Catherina.
 -No, ci spiace.- Disse Catherina, abbandonando, almeno per il momento, la faccia feroce.
 -La stavamo cercando anche noi …- Ammise Irene. Lorenzo si lasciò andare ad un sospiro depresso.
 -E io che speravo di passare la serata con lei, prima di suonare col mio gruppo …-
 -Tu suoni qui?!- Tropo tardi Catherina si rese conto di quanto il suo tono di voce fosse troppo incredulo. Ma era davvero difficile immaginare il semplice Lorenzo a suonare in un locale alla moda come l’Heaven’s Door. Arrossendo di brutto, cercò di scusarsi. -Scusa, non volevo dire …-
 -Oh, fa lo stesso.- Assicurò il ragazzo, bloccando la Sforza con un gesto della mano. -La prima volta che l’ho detto a Isabella si è messa a ridere …-
 -E che strumento suoni?- Chiese Irene, togliendo l’amica dall’imbarazzo.
 -Chitarra.- Rispose il rossino, il volto improvvisamente illuminato dal piacere di poter parlare della sua passione. -Da piccolo ho suonato pianoforte, e adesso sto imparando anche il saxofono.- Proprio mentre Lorenzo esponeva le sue qualità musicali, alle sue spalle, pochi metri più in là, Catherina e Irene individuarono Isabella. Solo che stava attaccata stile ventosa alla bocca di un ragazzo dal fisico muscoloso e corti capelli biondi. Né la Sforza né la morettina volevano sapere dove fossero le lingue dei due. Un’occhiata di sfuggita, e Irene e Catherina furono d’accordo. Ben attenta ad attirare su di sé l’attenzione di Lorenzo, in modo che non si voltasse, la morettina sfoderò il suo sorriso più dolce.
 -Da piccolo? Perché ora non suoni più il piano?-
 -Solo un po’.- Una tinta ciliegia sulle guance fece mimetizzare buona parte delle lentiggini. -Sapete. Ho smesso col piano perché mi piace andare a suonare in giro. E un pianoforte è troppo ingombrante da portarsi dietro …- E mentre Irene intratteneva il rosso, Catherina partiva a passo di marcia verso l’amica infedele. Nella sua testa già si agitavano decine di improperi da mandare alla platinata. Ah, se solo non ci fosse stato quel tipo di mezzo … quello fu l’unico ostacolo che fece rallentare la ragazza. Furiosa sì. Ma non a sufficienza da straccionare un’amica di fronte a estranei. La sua educazione glielo impediva, più rigida di una spranga di metallo.
 Fortuna volle (o sfortuna, a seconda delle parti) che il tipo a cui era avvinghiata Isabella la lasciasse un momento, e sparisse dalle parti dei bagni maschili. Giusto in tempo perché la platinata si trovasse faccia a faccia con lo sguardo glaciale della Sforza.
 -Isabella.- Il sibilo che uscì dalle labbra della bionda avrebbe avuto lo stesso effetto di una condanna a morte. Quindi, quando l’unica reazione di Isabella fu una risatina infantile, Catherina quasi perse la mascella.
 -Oh, Catherina! Ti stai divertendo? Non è uno spettacolo questo posto?- Una sola occhiata alle pupille dilatate della ragazza, e le parole strascicate, fecero sospettare qualcosa a Catherina. Ma la zaffata di alcool che la colpì non appena Isabella le si fece più vicina, le diede la conferma che le serviva. La bionda platinata era. Completamente. Ubriaca.
 La Sforza si spalmò una mano tremante sul volto, mentre l’amica si divulgava in sproloqui assurdi, i nervi ducali messi a dura prova. Specie quando Isabella si mise in testa di provare un bacio lesbico. L’arrivo di Arianna fu provvidenziale nel salvare la vita alla platinata.
 -Hey! Come procede la serata?- Cinguettò la rossa, con tanto di cocktail in mano. Catherina le mandò una delle sue occhiate più feroci.
 -Aiutatmi. A. togliermela. Di. Dosso.- Sibilò la Sforza, cercando di districarsi dalla morsa di Isabella, regredita ad un mollusco convinto che Catherina fosse il suo scoglio. La rossa rise, facendo quasi versare il contenuto del bicchiere. Neanche lei in condizioni molto salubri.
 -Si è di nuovo messa in testa di baciare una ragazza, vero? Le succede tutte le volte che va fuori … Ma di solito è me che vuole baciare … Devo essere gelosa?- Le risate divertite di Arianna fecero solo aumentare la furia della bionda ricciuta, le cui iridi erano diventate due schegge gelide dall’aspetto letale.
 -Prenditela. E. Basta.-
 -Eeeeeh, ok, ok, che carattere! Che sei, omofobica? Guarda che non c’è niente di mare ad essere un po’ lesbiche …-
 -C’è di male quando una lesbica cerca di baciare una etero che non vuole essere baciata!- Ringhiò la Sforza, evitando per un pelo un “assalto” di Isabella.
 -Come se tu avessi abbastanza esperienza da sapere che ti piace.- Sospirò Arianna, afferrando la platinata e portandosela via, nonostante le proteste strascicate. Catherina rimase ferma, immobile. Solo un lieve tremolio del corpo a dimostrare la rabbia bruciante, mentre un rossore acceso si faceva strada sul viso. Era vero, lei non aveva molta esperienza con l’altro sesso. Anzi, praticamente non ne aveva nessuna. Fino ad allora, non era mai uscita con un ragazzo. E per molte ragioni. La figlia di un Papa non poteva permettersi una vita sentimentale come ogni ragazza, in fondo. Non che fosse stata una sua priorità. Negli ultimi anni, aveva avuto ben altro a cui pensare. Dalla morte di sua madre, alla salute cagionevole di Alessandro, ai battibecchi feroci, anzi liti, con Francesco. E senza mettere in conto i vari attacchi alla sua persona da parte di attentatori, umani e non. Tutti, fortunatamente, sventati da Abel.
 Ma il sentirsi rinfacciare questa sua mancanza la feriva. La feriva dal profondo. E forse ancora di più perché a rinfacciarglielo era una sua amica. Ricacciò dietro le palpebre le lacrime di rabbia. Non era né il luogo, né il tempo adatto per piangere.
 -Ok, dolcezza sono torn … hey, ma dov’è finita?- Catherina fece quasi un balzo. Il biondo con cui si stava baciando solo poco prima Isabella era tornato. E la stava cercando. Desiderando profondamente di essere diventata invisibile, la bionda si voltò, e piano piano, cercando in ogni modo di non dare nell’occhio, si avviò dove Irene stava ancora intrattenendo Lorenzo. Ma una mano sulla spalla le impedì di continuare la fuga di soppiatto.
 -Oh, dolcezza eccoti qui!- Il biondo l’aveva agguantata, con un sorriso quasi predatore sulle labbra. L‘accento, si rese conto la Duchessina, foresto. Non straniero, ma neppure Milanese. L‘aveva già sentito, da qualcuno dei numerosi ospiti del padre. E se non si sbagliava, le pareva genovese. I suoi dubbi vennero confermati non appena il ragazzo riprese a parlare. -Isabella cara, per un attimo ho pensato che non saresti rimasta ad aspettarmi …- Gli occhi grigi della Sforza si fecero enormi.
 -Ehm, guardi che io non sono …- Imbarazzata, la ragazza tentò di chiarire l’equivoco, ma il biondo non le diede modo di parlare, convintissimo di avere di fronte Isabella.
 -Piccola, non fare l’offesa! Sono stato via poco, no, come promesso!- E con un sorriso seducente, le sfiorò giocosamente una ciocca di capelli. Catherina si lanciò una maledizione serrata tra i denti. Ora aveva capito il perché dell‘equivoco. I suoi capelli. Per l’occasione, aveva appiattito i boccoli dorati con una piastra. E alla luce artificiale, spesso multicolore del locale, i suoi capelli biondi, una volta lisciati, non erano molto diversi da quelli ancora più chiari di isabella. Senza contare che fisicamente le due non erano chissà quanto diverse. Non poteva dare neppure tutti i torti al biondo. Senza contare che anche lui sembrava stare bene dal punto di vista alcolico …
 La Sforza decise di tentare ancora una volta a chiarire l’equivoco.
 -Senta, io non …-
 -Tranquilla, rimedierò il tempo perduto …- Fece il giovane, avvicinandosi troppo per i gusti della Duchessina, che nonostante i tentativi di indietreggiare, si trovò con il volto del biondo a pochi centimetri dal proprio. Oramai a vuoto di risorse, e disillusa su un improvviso ravvedimento del tipo, Catherina fece l’unica cosa che venne in mente. Con la pura forza dell’istinto, tirò un calcio. Forte. Che raggiunse la caviglia dell’uomo, facendolo ululare di dolore e sorpresa. Balzando all’indietro, urtò anche delle persone, ma non se ne curò minimamente, lo shock trasformato in rabbia.
 -Ma che diavolo ti è preso, maledetta bagascia?!?!- Con uno scatto fu subito sulla bionda, che non fu abbastanza veloce da scappare via in tempo. Catherina cercò di divincolarsi dalla mano che l’aveva afferrata per il braccio, ma senza successo. Chiuse gli occhi quando notò la mano libera del biondo alzarsi, pronta per schiaffeggiarla.

 Vaclav non era mai entrato in un posto del genere, prima. Mai da semplice frequentatore, almeno. Qualche volta aveva compiuto degli arresti in locali notturni, anche più equivoci, ma mai lussuosi e belli come l’Heaven’s Door. Buffo come la semplice ricerca di parcheggio lo avesse portato fin lì. Tutti i posti erano chiusi o strapieni. Così, girovagando senza una meta precisa, era arrivato ad un parcheggio riservato ai clienti del locale. Il custode del parcheggio, visto il mezzo su cui viaggiava il ragazzo, ed erroneamente prendendolo per chissà quale rampollo, aveva subito proposto un posto controllato per l’auto, e ovviamente consegnato un buono per una consumazione gratuita all’Heven’s Door.
 E così, ritenendo stupido non approfittare di tale colpo di fortuna, l’Inquisitore era entrato nel locale, e ora stava sorseggiando un cocktail di cui non avrebbe mai potuto ripetere il nome, neanche se ne fosse valsa la sua stessa vita, ma che non era affatto male. Soprattutto, era impaziente di ascoltare i gruppi dal vivo. Pur non avendo, nella vita clericale, molto spazio per lo svago, la musica era una delle poche distrazioni che si permetteva. E, che si trattasse di cori di chiesa o meno, non era di certo tipo da perdere l’occasione di sentire una melodia dal vivo. Anche il genere poco gli importava, purché fosse di epoca pre-armageddon. Apprezzava ogni tipo di musica. Dalla classica al rock.
 Le chitarre venivano accordate, e lui prese un lungo sorso, quasi pentendosene: la cosa aveva un nome strano, ma era alcolica. Eccome. Resistendo alla voglia di tossire, se la allontanò dalle labbra, deciso a farsi durare la bevanda il più a lungo possibile.
 Le ultime parole famose.
 Uno spintone alle spalle, e il bicchiere gli scappò di mano, facendo un perfetto arco a mezz’aria, prima di frantumarsi sul pavimento. Un cameriere vide la scena, e si affrettò a pulire, ma Vaclav vi fece poca attenzione. Cameriere o no, non poteva permettersi un nuovo cocktail. Non coi prezzi del locale. E voleva almeno togliersi la soddisfazione di fissare in cagnesco la persona che gli aveva fatto sprecare il suo alcool. Il primo da quando aveva lasciato la Boemia.
 Ma quando si girò, vide un motivo ben più grave per avercela con lo sconosciuto. Il tipo stava strattonando una ragazza per un braccio, e si stava preparando a schiaffeggiarla, sotto gli sguardi incuranti degli altri avventori del locale. Un moto di rabbia si espanse nel petto dell’Inquisitore, indeciso se avercela di più con il tizio biondo, così vigliacco da avere l’ardire di alzare le mani su una ragazza che era tranquillamente la sua metà, o con la gente, del tutto indifferente a quanto stava succedendo a pochi passi di distanza.
 Lasciandosi scappare dalle narici uno sbuffo degno di un toro, afferrò la mano alzata, giusto prima che lo schiaffo partisse. Un’esclamazione in un dialetto a lui sconosciuto, e l’uomo si voltò, gli occhi chiari del biondo a fare conoscenza con le iridi ebano del prete in borghese.
 -E tu cosa vuoi!?- Ringhiò il ragazzo, trovando però la presa dell’Inquisitore ben più salda di quanto si aspettasse.
 -Non ho capito bene quello che ha detto. Ma sono certo che non siano scuse per il mio bicchiere.- Sibilò Havel, serrando ulteriormente la presa sul braccio del tizio. -Ora, c’è una cosa che non sopporto. E non mi riferisco solo a quelli che mi fanno cadere da bere. Sono quelli che se la prendono coi più deboli. Specie se i più deboli sono delle donne.- E con un movimento fulmineo, il pugno del prete andò a sbattere contro il naso del ragazzo. Un sonoro crack fu udibile dagli avventori più vicini, mentre il biondo finiva scagliato parecchio più in là. Stordito, il giovane riuscì appena a trovare la forza di portarsi una mano al viso, che si stava rapidamente sporcando di sangue.
 Aggiustandosi la giacca con fare soddisfatto, Vaclav si rivolse alla ragazza, caduta a terra, cercando di essere il più gentile possibile.
 -VI siete fatta male, signorina?- Chiese, porgendo una mano, che venne accettata con un filo di voce.
 -N … no, non credo …- Un campanello interno parve come suonare nella testa del giovane prete. Conosceva quella voce. Ma non poteva essere davvero sicuro di dove e quando l’avesse già sentita.

 Catherina accettò con gratitudine la mano del suo salvatore. Poteva già sentire le cinque dita stampate sul volto, quando la mano del biondo era stata fermata. E quando il braccio le era stato improvvisamente liberato dalla presa ferrea in cui era costretto, era caduta ingloriosamente all’indietro. Stupidi tacchi. Anche loro parte della “divisa” datale da Isabella. Un ringhio sommesso. La platinata avrebbe avuto parecchie cose per cui chiedere perdono, una volta tornata sobria e tra le grinfie della Sforza …
 Senza apparente fatica, il nuovo arrivato la tirò in piedi, e Catherina alzò lo sguardo per guardarlo in viso. Da quel che aveva potuto vedere era molto alto, e con capelli lunghi, ma le luci infami del locale non le avevano permesso di vederne il viso. La voce aveva un che di familiare, ma davvero non riusciva a collegarvi un volto … Non appena gli occhi dei due si incontrarono, la sorpresa fece cascare ad entrambi la mascella.
 -TU!?!?!- Il grido di sorpresa uscì in perfetta sincronia.
 -Non è possibile!!! Sei un’ossessione!!!- Strillò la Sforza, portandosi le mani tra i capelli biondi, i nervi ridotti a fibre sottilissime.
 -Finalmente qualcosa su cui siamo d’accordo …- Sibilò Vaclav, vena pulsante sulla tempia, e tic al sopracciglio. I due si trovarono a fissarsi in cagnesco, in un modo che avrebbe fatto l’orgoglio di Attila e Nerone. Dopo qualche lungo istante, però, lo sguardo di Catherina mutò in uno più sorpreso.
 -Aspetta, ma che fine ha fatto la divisa? Sembri la metà senza …- Ed era vero. Con addosso la camicia e la giacca scura, l‘effetto ottenuto era molto simile a quello con l’abito scuro da prete errante. Ovvero un Vaclav dall’aspetto molto longilineo, apparentemente poco forte fisicamente. Risentito, l’Inquisitore non fece tardare la sua risposta.
 -E lei che ha fatto agli occhi? Non so se sembra un pierrot punk o un panda …- Il ragazzo dagli occhi scuri registrò appena quanto fosse irrispettosa e impertinente la sua risposta. Probabilmente la colpa era da darsi al cocktail dal nome impronunciabile e all‘alcool all‘interno. Ma fatto stava che in quel preciso istante, non gliene poteva importare di meno dell’etichetta.
 Al commento, gli occhi grigi della ragazza parvero mandare scintille. E dagli col pierrot!!!
 -Sono affari miei!!!- Ma, forse per la sorpresa di aver trovato l’ultima persona al mondo che avesse voglia di incontrare, o forse perché ormai ci aveva fatto l‘abitudine ad essere fissato in quel modo, il prete rimase assolutamente impassibile.
 -Sarà. Ma mi pare che questo non sia posto da Duchessine. Soprattutto minorenni.- Se le sue corde vocali glielo avessero permesso, la ragazza avrebbe ruggito. Il prete non imparava la lezione, vero?! Lei. Odiava. Essere. Chiamata. Duchessina!!!
 -Un’altra parole e …- Ma Vaclav non seppe mai quale fosse la minaccia della Duchessa, perché alle loro spalle erano arrivati quelli che presumibilmente erano gli amici del biondino, fino a quel momento rimasti in disparte, sparsi per il locale.
 -Signorino Boccanegra!- Erano le parole che uscivano più spesso dalle bocche dei nuovi arrivati. Vaclav inarcò un sopracciglio, confuso.
 -Signorino?-
 -Boccanegra?- Fece coro Catherina, egualmente disorientata. Boccanegra? Dove l’aveva già sentito quel cognome? Pochi secondi. E il cervello fece i suoi collegamenti. E gli occhi truccati della ragazzina si fecero larghi come due palline da golf
 Boccanegra.
 Signorino Boccanegra.
 Boccanegra.
 Accento genovese.
 Genova.
 Boccanegra.
 Una lampadina parve accendersi nella scatola cranica della Sforza. Simone Boccanegra. Figlio di Riccardo Boccanegra. Attuale Doge della città di Genova!!! E, se ricordava bene i discorsi di suo padre e Francesco, il favorito alle elezioni che si sarebbero tenute di lì ai prossimi anni per il governo della Superba!!! A confermare i suoi sospetti, anche la somiglianza del ragazzo con l’attuale Doge, di cui aveva visto una volta una foto. Terrore puro cominciò a scenderle lungo la schiena. C’erano tutte le potenzialità di scatenare un incidente diplomatico di dimensioni mastodontiche. Con un improvviso moto di affetto per il prete, Catherina lo afferrò per un braccio, e tentò di trascinarlo via. Ma questi non si mosse di un millimetro, nonostante la ragazza stesse usando tutte le sue forze.
 -Cosa accidenti c’è adesso?!- Ringhiò questo, in un tono irritato che la ragazza gli aveva sentito usare solo una volta, quando erano tornati a piedi da scuola. Segno che il prete doveva essere davvero arrabbiato. Ma lei continuò a strattonarlo, cercando di convincerlo a smuoversi, con risultati nulli.
 -Andiamocene!-
 -Per quale motivo?- Chiese, facendo aumentare a dismisura l’impazienza della Sforza.
 -Quello è Simone Boccanegra!!!-
 -E allora?- Con un’esclamazione esasperata, la Sforza spiegò in poche parole chi era il biondo col naso spaccato che stava perdendo sangue per ogni dove a pochi passi da loro. La trasformazione del volto del prete fu un qualcosa che avrebbe voluto filmare. Ma non c’era tempo per cose del genere. E anche volendo, la ragazza non ne avrebbe avuto, perché l’Inquisitore l’aveva afferrata e trascinata fuori dal locale di gran carriera, approfittando della distrazione della gente, tutta rivolta al ragazzo col naso insanguinato. Le parve di aver visto di sfuggita Lorenzo e Irene, a cui fece cenno di saluto, e anche Isabella e Arianna, ma non ne fu sicura al cento per cento, trascinava via stile bandiera. Ma per una volta, non pensò neppure di lamentarsi.
 In men che non si dica, i due erano fuori dal locale e nel parcheggio, dove Vaclav strappò letteralmente di mano le chiavi al custode, e ficcò a mò di pacco la Duchessa nel sedile passeggero della Ferrari nera.
 -E questa dove l’hai presa?!?- Esclamò la ragazza, incredula.
 -Carlo.- Fu la sola risposta del prete mentre metteva in moto e usciva dal parcheggio a tutta velocità, rischiando di investire il custode. Catherina si guardò alle spalle, giusto in tempo per vedere un buon numero di persone fare esattamente la stessa cosa, con auto più moderne, ma non altrettanto potenti.
 -Accelera!- Incitò la giovane, terrorizzata all’idea che qualcuno potesse averla riconosciuta, e ancora di più che qualcuno li raggiungesse.
 -Sto già accelerando!!!- Rispose Vaclav, esasperato, il rombo del motore a dimostrazione delle sue parole.
 -Allora accelera di più!!!-
 -Sono già oltre i limiti!!!-
 -Chi se ne frega!!! Le multe te le pago io!!! Schiaccia quell’acceleratore!!!- Urlò la ragazza, in preda a una crisi isterica. Incoraggiato dalle grida della Duchessa e dalle luci delle auto che li inseguivano, il prete eseguì l’ordine.
 -Come desidera Sua Signoria …-
 In pochi minuti di corsa supersonica, gli inseguitori erano stati seminati. E questo fece tirare un profondo sospiro di sollievo ai due. Quasi con dispiacere, il bolide venne fatto rallentare, fino ad arrivare ad una velocità non troppo illegale. Solo allora, Catherina ritrovò un briciolo della sua avversione per la sua guardia del corpo. Le parole le uscirono dalla bocca con un sibilo gelido.
 -Cosa ci facevi lì?- La risposta dell’Inquisitore non si fece attendere, altrettanto glaciale.
 -Prima risponde quella che lo ha fatto illegalmente.- Riflessi sullo specchietto, gli occhi scuri non ammettevano repliche. -Fino a prova contraria, il locale non è vietato ai preti, neanche quelli che fanno parte dell’Inquisizione. Ma lo è per le ragazze di buona famiglia minorenni.- E a questo la Sforza non poté ribattere. Che le piacesse o meno, Vaclav aveva il coltello dalla parte del manico, e lo sapeva benissimo. Non poteva fare a meno di esaudire la richiesta del prete, e sperare che decidesse di non fare la spia. Incoraggiata dal fatto che avesse mantenuto il silenzio sulle sue lacrime di qualche giorno prima, decise di fidarsi. E con uno sbuffo riluttante, Catherina iniziò a raccontare delle idee malsane di Isabella e Arianna. E di come erano arrivate a convincere lei e Irene a parteciparvi.
 -Spero ne sia valsa la pena.- Fu l’unico commento di Havel, che si guadagnò la sua occhiata al vetriolo.
 -Il tuo turno. Che ci facevi lì?- Domandò la ragazzina, decisa, ora che aveva svuotato il sacco, ad avere la sua risposta.
 -Serata libera. E una consumazione gratuita.- Ammise il prete, mentre rilasciava il suo resoconto. In fondo, la Duchessa era stata sincera con lui. E su questo non aveva dubbi, avendo visto, nei giorni in cui aveva scortato la ragazza a scuola, i comportamenti delle sue amiche. Era il suo turno. Una volta terminato il breve racconto, il silenzio avvolse la vettura, se non per il rombo del motore. Alla fine, la Sforza emise un lungo sospiro.
 -Mi spiace. Ti ho rovinato la serata libera … non ne avrai altre fino al mese prossimo.- Vaclav dovette voltarsi un momento per controllare che non gli avessero scambiato Duchessa. Era la prima volta che la ragazza si scusava apertamente con lui. Una volta accertato che tutto era al suo posto, il prete si lasciò andare ad un sorriso.
 -Non importa. Ce ne saranno altre.- Passarono altri lunghi istanti silenziosi, ma decisamente più rilassati. Poi una lieve risata venne a stento trattenuta da Vaclav, ma non abbastanza da non farne accorgere Catherina.
 -Perché ridi?-
 -Perché sto facendo esattamente quello che mi ha detto di fare Carlo.- Catherina lo fissò stupita. Senza perdere la piega divertita delle labbra, il prete spiegò: -Sto facendo fare un giro a questo gioiello di  auto, e ci ho caricato sopra una bella ragazza.- Vaclav evitò accuratamente di aggiungere la parte del “divertimento“. Non sarebbe stato bello essere strangolati durante la guida.
 Un rossore imbarazzato si fece largo sulle guance di Catherina.
 -Pensi che io sia bella?- Chiese con un pigolio titubante la ragazzina. Era la prima volta in assoluto che una persona dell’altro sesso le faceva un complimento simile. E seppur la cosa la stava facendo sentire come se le fossero appena spuntate un paio di ali, allo stesso tempo le faceva uscire una insicurezza che neppure sapeva di avere. Vaclav annuì, sincero e sicuro delle proprie parole.
 -Certo. Il rossetto, poi, le sta molto bene.- Per un istante, il moro distolse lo sguardo dalla strada, per studiare meglio la Duchessa. -Certo, per il resto sembra una fan del Kiss o di Alice Cooper, ma è davvero carina …- Un ringhio e una borsetta in testa fu la ricompensa per la battuta. -Hey!!! Sto guidando!!!-
 Tra una scaramuccia e l’altra, la fuoriserie portò a casa i suoi passeggeri, in un clima quasi cameratesco. Una volta sceso dall’auto, Padre Havel si lasciò andare ad un sospiro depresso.
 -Cosa c’è?- Domandò la sedicenne, sinceramente preoccupata, e non irritata dal prete.
 -Credo di aver fatto più infrazioni del codice della strada questa sera che in tutta la mia vita.- Gli occhi ebano si posarono supplichevoli sulla ragazza. -Non so se dopo stasera manterrò il lavoro …- Catherina sbuffò. Ma quanto sapeva essere melodrammatico questo ragazzo? Poi però notò che l’espressione del prete si era già sciolta in un sorriso, segno che la sua voleva essere una battuta. Mantenendo un tono serio, la ragazza lo rassicurò.
 -Casomai ti assumo come autista.- Il volto fine dell‘Inquisitore si contrasse in un‘espressione pensosa. Poi dopo pochi secondi, entrambi si trovarono a sorridere. Un’altra manciata di secondi, e per la prima volta da quando si erano conosciuti, i due si lasciarono andare a una risata, mentre un nuovo sentimento di complicità si faceva strada nei due. Non ancora amicizia. Ma già qualcosa di più rispetto alla traballante tolleranza di soli pochi giorni prima.

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 -Ahia!!!- La Sorella infermiera roteò gli occhi al cielo, esasperata dai lamenti infantili di uno degli ultimi ospiti dell’infermeria vaticana. Tutto il suo rispetto e simpatia rivolti alla giovane suora dai capelli rossi che se ne stava occupando.
 -Oh, insomma, Padre Nightroad! Non posso averle fatto così male!-
 -Ma pizzica …- Pigolò il prete albino, ottenendo uno sbuffo irritato da Esthel.
 -È disinfettante, è normale che pizzichi! E ora la smetta di fare il bambino. Ho quasi finito.-
 -Inutile, Sorella Esther. Non si può pretendere tanto dal nostro Padre Nightroad.- Con un sorriso divertito stampato sulle labbra ricoperte dall’elegante rossetto, la Cardinalessa Sforza era entrata nell’infermeria, seguita da un egualmente sorridente Vaclav.
 L’incontro era andato davvero bene. Simone Boccanegra non li aveva riconosciuti, ufficialmente, e non aveva fatto commenti, se non che Padre Havel assomigliava molto ad un uomo che l’aveva rimesso al suo posto, anni prima. La frase era stata detta con il sorriso sulle labbra, e senza malizia. Difficile indovinare se si riferisse davvero a quella fatidica sera, o ad altro. Ma un’occhiata era bastata per capire che il Doge aveva riconosciuto i due. Eccome. Quegli occhi chiari fissavano l’ex Inquisitore in maniera inequivocabile. Ma non ce l’aveva con il prete o con la ora Cardinalessa. Ed evidentemente considerava il fatto un episodio su cui farci una risata, e non una scusa per una rimostranza. Il commento rese l’atmosfera più confidenziale, e, per una volta, l’udienza fu civile e non del tutto spiacevole, come spesso invece accadeva negli incontri con capi di città.
 Abel, evitando il pizzicante batuffolo di cotone di Esthel, si esibì in uno dei suoi bronci più riusciti.
 -Cardinalessa Sforza, lei mi ferisce! È proprio così bassa la stima che ha nei miei confronti?-
 -Vuoi la risposta educata, Abel, o quella sincera?- Fece la donna in rosso, con un tono tra il sarcastico e la minaccia.
 -Mi accontenterò di quella educata …- Pigolò il prete albino, scatenando una risata a Padre Havel e Suor Blanchett. Lanciando un’occhiata feroce ai due, che non venne presa minimamente sul serio, Padre Nightroad decise di cambiare argomento. -Devo assumere che l’incontro con il Doge è andato bene?-
 -Dobbiamo ammettere che è così.- Disse la Cardinalessa, lasciandosi andare a un sorriso stanco ma soddisfatto. -Le banche e le navi genovesi continueranno a lavorare per il Vaticano, come le altre Nuove Repubbliche Marinare, a patto di avere una totale libertà di mercato anche con l’Impero e con i Methuselah in generale, senza dover renderne conto a Roma.-
 -Ai genovesi non importa se il loro cliente è Methuselah o Terran. Come ai veneziani, ai pisani e agli abitanti di Amalfi.- Annuì Vaclav, mentre porgeva a Catherina una sedia su cui sedersi. -In fondo, ha solo chiesto ciò che ha da sempre contraddistinto le Nuove Repubbliche Marinare. Venezia,  Genova, Pisa e Amalfi, pur facendo parte delle terre vaticane, hanno da sempre preteso una totale autonomia da Roma. Sono in tutto e per tutto città stato, con un loro governo autonomo e leggi proprie.-
 -Ma Cardinalessa, Pisa … non era governata da suo zio, il Vescovo d’Este?- Chiese la suorina rossa, confusa.
 -Sì. Ma ne era il capo solo per elezione. Si faceva chiamare Duca, ma era stato eletto, come ogni Doge.- Confermò Catherina, piacevolmente stupita dalla domanda della giovane Blanchett. Abel piegò la testa da un lato, le sopracciglia chiare inarcate in confusione.
 -Strano che Pisa abbia taciuto dopo l’arresto del suo Signore, e non si sia ribellata …-
 -Este voleva far rientrare Pisa sotto il comando di Roma, sacrificandone l’indipendenza, per poterla continuare a governare anche una volta divenuto Papa. E questo ai pisani non è piaciuto molto. Hanno visto l’arresto di Este quasi come una cosa di cui ringraziare il Vaticano.- Spiegò la Cardinalessa, il cui sorriso aveva preso una piega malevolmente sadica.
 -E indirettamente l’hanno fatto, attraverso il Doge Boccanegra.- Sorrise sotto i baffi Vaclav. -Se quei doni di fattura pisana che egli vi ha portato sono di qualche indicazione.-
 -Già. Pisani e Genovesi non vanno molto d’accordo, ma sono entrambe Repubbliche Marinare, e quindi alleate.- Ridacchiò Catherina, ripensando ai bellissimi piatti e al dipinto donati, su cui era ritratta, invece che la Lanterna, simbolo della città ligure, la famosissima Torre di Pisa. Un messaggio più che lampante. -Sarebbe stato troppo diretto un dono da parte del nuovo Doge di Pisa. Così Boccanegra l‘ha portato al suo posto, ufficialmente come dono di Genova.-
 -Davvero strano. Due città che non hanno simpatia l’una per l’altra, eppure alleate?- Domandò Esthel, scetticismo grondante da ogni parola. Non era segreto, infatti, che tra gli abitanti delle due città non corresse buon sangue. E persino lei, che abitava in Italia da non molto tempo, ne era venuta a conoscenza. Addirittura molte persone erano stupite del fatto che le due città continuassero a far parte di questa alleanza di Repubbliche, rinate ispirandosi alle antiche Repubbliche Marinare di un tempo. Per anni furono tra i pochi baluardi dell’umanità caduta in disgrazia dopo l’Armageddon, in un periodo di caos, prima che il Vaticano si mobilitasse e riportasse un minimo di ordine e unità.
 -Tra le persone accade più spesso di quanto creda, Sorella.- Rispose con un sorriso gentile Know Faith. -Basti pensare a Padre Abel e Padre Leòn.-
 -O a me e te quando ci siamo conosciuti.- Annuì Abel, senza riuscire a sopprimere una risata, a cui si unì anche il prete moro.
 -Giusta osservazione!- Gli occhi blu si Esthel parvero cercare di uscire dalle cavità oculari del cranio della ragazza.
 -Che cosa!? Anche voi due non andavate d’accordo?!?- Catherina non cercò neppure di sopprimere un mugolio esasperato.
 -Non voglio ripensare al nervoso che mi avete fatto venire voi due …- I due preti si lasciarono andare ad una risata. Esthel li fissava, sul volto lampante la sete di conoscenza. Un’occhiata complice, e Havel prese posto su una sedia accanto a Catherina, mentre Abel iniziava il racconto del suo primo incontro con Know Faith, quasi un mese dopo il fattaccio all’Heaven’s Door.

Fine File 04

 Ehm … per chi non lo sapesse, in dialetto genovese, Bagascia vuol dire “puttana”. ^_^’

 Lo so, questo capitolo è venuto fuori lunghissimo, anche perché è l’ultimo File con solo Catherina e Vaclav. Dal prossimo ci sarà anche Abel, e allora arriva il bello!!! ^_^
 Non ho davvero potuto resistere oltre. Non vedevo l’ora di cominciare le avventure del terzetto. Se comunque avete qualche richiesta specifica su situazioni particolari in cui volete vedere i personaggi di TB, basta dirlo e vedrò di accontentare tutti.
 Ho fatto tutto questo sproloquio sulle Repubbliche Marinare per il semplice fatto che mi sembrava una cosa carina da inserire, e perché mi veniva fuori man mano che scrivevo il finale del capitolo, e mi pareva una buona idea per introdurre l’inizio del racconto sull’incontro tra Vaclav e Abel, non esattamente dei migliori, anche in questo caso. E non escludo che possano venirmi bene in futuro. Ho dato parecchio spazio a personaggi inventati da me, lo so, ma quasi tutti avranno una certa importanza in seguito per la crescita di Catherina e delle sue due guardie del corpo.

 Grazie mille a The_Dark_Side che ha commentato, oltre al File 03, anche la mia one-shot “Late Night Conversation”. Spero che questo nuovo File ti sia piaciuto! ^_^

Saluti

Will

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Capitolo 6
*** File 05 ***


file 05  Nuovo File … e finalmente arriva Abel!!! Adoro questo personaggio, e i modi in cui mi farà impazzire il buon Vaclav!!! XD
 Allora, dato che alla fine non ho scoperto che armi usa Havel, ho deciso di usare una mia assunzione: riguardando bene l’immagine dell’artbook da cui è nata “Memories”, mi pare che Vaclav non abbia il bastone (o quello che è!) come Pietro, ma a ben guardare, anche la sua divisa da Inquisitore è piuttosto differente da quella degli altri Inquisitori. Può essere per il fatto che non è un Inquisitore di Roma? O perché ci sono degli anni di differenza, e la divisa è cambiata? O perché è di un rango differente? Boh, dato che non so… provvedo con la mia fantasia.
 Comunque, ho trovato che la spada funziona bene per la mia fic, e almeno per questa mia storia, ambientata ai tempi in cui è un Inquisitore, prenderò la cosa per buona, e lo renderò uno spadaccino.
 Ho anche un altro piccolo dilemma: in TB, non è chiaro se i preti e le suore del Vaticano si possano sposare o meno. Con una mia amica ho avuto questa discussione, e siamo arrivate alla conclusione che i voti di celibato e castità siano stati o eliminati, o resi facoltativi. In fondo parliamo di un futuro post-apocalittico moooolto lontano. Anche la Chiesa può fare qualche cambiamento, no?
 Una delle cose che mi fa pensare questo è la motivazione per cui Alessandro viene fatto Papa, e non Francesco. Da quel che ho capito, Francesco non viene fatto Papa perché è un figlio illegittimo del vecchio Papa. Ma se questo avesse preso i voti da sacerdote, ovvero non potersi sposare ecc. allora anche Alessandro sarebbe stato un figlio illegittimo! Invece, da quel che ho capito, il fatto è solo che Francesco ha una madre diversa da Alessandro e Catherina. Mi sembra anche strano che non sia stata eletta Catherina, ma forse, il ruolo di Papa, dato che deve rappresentare San Pietro in terra, è l’unica carica, in questo mondo dove le donne possono essere cardinali, in cui deve essere eletto un uomo. O forse è anche lei una figlia illegittima… accidenti, tutto troppo complicato e poco spiegato.
 Boh. Ipotesi mie. Comunque, se in TB ci fossero i voti di castità, sarebbe davvero uno spreco coi bei tipi dell’AX e non solo! Soprattutto credo che Leòn finirebbe per entrare in una depressione profondissima!!! XD
 Se qualcuno sa qualcosa di più, può farmi sapere? Mi sarebbe molto utile per il continuo dei ricordi…
 Ok. Momento di pazzia finito. Si torna al File.

File 05

 - ABEL’S RETURN -

 Il parco di Villa Sforza era, nel pomeriggio soleggiato, un piccolo paradiso terrestre. L’aria era piacevole, non fredda, ma neanche afosa. Un venticello allegro sembrava accarezzare il tardo pomeriggio, assieme alle piccole creature che si affaccendano prima della sera, in un clima di pace e serenità, dove persino i compiti scolastici apparivano sotto una luce meno disgustosa. Per questo Catherina aveva deciso di seguire la sua guardia del corpo temporanea, l’Inquisitore Vaclav Havel, nel parco, portandosi dietro i libri di scienze.
 Beatrice aveva dovuto guardare due volte prete e Duchessa, per essere certa di aver visto proprio loro due uscire assieme dalla villa. E senza scannarsi. O meglio. Senza che Catherina cercasse di scannare Vaclav. Sebbene nell’ultimo mese, i due fossero diventati sempre più vicini, soprattutto dopo una certa serata in un certo locale, era ancora dura per il personale domestico accettare che i due non fossero più l’una alla gola dell’altro. Ma che anzi, certe volte era difficile intuire se era l’Inquisitore ad essere l’ombra della Sforza, o il contrario. I battibecchi c’erano sempre, a volte anche violenti (da parte della Sforza) ma ciononostante, era diventato difficile vedere la Duchessa senza la sua “ombra capellona”, come Irene continuava, imperterrita, a chiamare Padre Havel.
 -203 … 204 … 205 …- Il prete contava le flessioni, incurante del sudore che iniziava a farsi strada sulle tempie. Essere in servizio come guardia del corpo non era una scusa accettabile per non mantenersi in forma. Anzi, semmai era una motivazione in più. Non poteva mai sapere quando sarebbero stati richiesti i suoi talenti di soldato della Santa Inquisizione, ed era meglio essere pronti a ogni evenienza.
 Senza contare che l’allenamento aveva sempre avuto un effetto calmante su di lui. Il movimento sempre uguale, apparentemente monotono, era familiare e la fatica rinvigorente. In un certo qual modo, non lo considerava diverso dalle preghiere. Quasi una meditazione, ma, oltre che dello spirito, anche del corpo. Così, tunica da allenamento rossa ma senza paramenti sacri, Padre Havel aveva approfittato del pomeriggio libero di lezioni per fare un po’ di esercizio nel verde, seguito dalla duchessina.
 Vaclav si lasciò andare a un sorriso sereno, mentre cominciava a sentire i primi effetti benefici degli esercizi. I muscoli che cominciavano a scaldarsi a dovere, rendendo minore la fatica, la pelle che traspirava umidità, la mente che si svuotava…
 -Ne hai saltata una.- Puntuale, la voce della giovane Sforza distrusse la piccola serenità che andava formandosi nell’Inquisitore.
 -Non mi pare.- Sibilò Vaclav, con un tono che celava “sono io quello che fa fatica quindi non immischiatevi!!!”, ma che la bionda aveva deliberatamente ignorato.
 -Invece è così. L‘hai contata, ma non l‘hai fatta. Hai barato.- Havel abbassò il capo, soffocando in un sofferto sospiro la voglia di strangolare quella spina nel fianco ricciuta che era il suo incarico.
 -Mi sembra che si stia prendendo un po’ troppe confidenze, Duchessa.-
 -Mi pare naturale.- Rispose la ragazza, senza neppure sollevare gli occhi dal libro. -Sei la mia guardia del corpo, quindi devo passare quasi tutto il mio tempo con te alle calcagna. È solo fisiologico che mi prenda qualche piccola libertà.-
 -”Piccola”?!?- Il sibilo minaccioso dell’Inquisitore venne del tutto ignorato da Catherina.
 -Non vedo cos’hai da lamentarti tanto!- Sbuffò la ragazza, sfogliando una pagina, e iniziando un nuovo capitolo. -In fondo io me ne sto solo qui, buona buona a studiare, mentre tu fai i tuoi esercizi.- Ora la pazienza di Havel, di solito piuttosto abbondante, era diventata tragicamente scarsa. Una vena in rilievo su una tempia, e tic al sopracciglio.
 -E deve proprio studiare sulla mia schiena?!- Ringhiò, girando la testa quel tanto che il collo gli consentiva, cercando di fissare con aria feroce la sedicenne che aveva preso la sua colonna vertebrale per una panchina.
 -Mica è colpa mia se ha scelto l’unico angolo del parco senza panchine, Padre Havel.- Ribatté la giovane, senza neppure alzare gli occhi dal suo libro. Ricacciando in gola un ringhio, l’Inquisitore girò la testa. Quanto detestava quando la Duchessa aveva ragione … in un modo malato e piuttosto fantasioso, ma pur sempre ragione. Uno strano verso gli scappò quando il tacco basso di una delle scarpette ducali andò a colpirgli una costola.
 -Almeno non dondoli le gambe!!!- Sbuffò l’Inquisitore, tornando ai suoi esercizi, tristemente rassegnato. La ragazza roteò gli occhi al cielo.
 -Non ho fatto forte, non posso averti fatto tanto male…- E così dicendo, all’opposto delle sue parole, scostò delicatamente alcune ciocche di lunghi capelli bruni dal collo del prete, lasciato scoperto dalla tunica da allenamento, quasi una carezza di scuse. Rapido come se fosse stato colpito da una scossa elettrica, il ragazzo incassò il collo tra le spalle, lasciandosi sfuggire dalle labbra un sibilo. Gli occhi grigio azzurri si spalancarono a dismisura, sorpresi, per poi assottigliarsi, mentre la biondina ripeteva l’operazione, ricevendo la stessa identica reazione. Le iridi chiare scintillanti di maligna comprensione.
 -Tu soffri il solletico!!!- Ad avergli tirato una bastonata, il prete era sicuro che avrebbe sofferto meno. Quella della Duchessa non era una domanda. Ma una sentenza. Il corpo di Vaclav si irrigidì come una statua. Il sudore dell’allenamento trasformato in sudore freddo. Si trovò a deglutire a vuoto. Non aveva bisogno di voltarsi, per vedere il sorriso sadico e che si era formato sulle labbra rosa della Sforza.
 Da parte sua, la Duchessina stava assaporando ogni aspetto della sua scoperta. Ora capiva: dondolando le gambe, non stava facendo male al prete … gli stava solo facendo il solletico!!! La piega delle labbra si accentuò, mentre capiva il perché della lotta continua dell’Inquisitore col suo colletto. Di sicuro l’indumento pizzicava come un’ortica, e con un collo sensibile, doveva essere pura tortura. E ora, era venuto il momento di godere di questa scoperta. Senza perdere tempo, iniziò a passare le dita sottili sulla pelle scoperta del collo del prete.
 -La … la smetta subito!!!- Uggiolò dopo pochi istanti di coraggiosa resistenza il prete, tentando un tanto istintivo quanto ridicolo tentativo di scostare il collo dalle mani implacabili della ragazza, intramezzato da imbarazzanti risate isteriche, impossibili da soffocare del tutto.
 Catherina, da parte sua, non aveva alcuna intenzione di smettere. Se era possibile, quella era la scoperta più divertente che le avevano regalato gli ultimi tempi, decisamente migliore dell’Heaven’s Door, e non aveva di certo in mente di terminare tanto presto il suo divertimento. Non mentre Vaclav era alla sua totale mercè.
 -Signorina! Ma che mi sta combinando?!?- Carlo fissava i due totalmente allibito, i lunghi baffi facevano apparire la bocca più spalancata di quanto non fosse in realtà. La ragazza smise un momento il suo assalto, e il prete approfittò dell’attimo di distrazione per scrollarsi la Duchessa di dosso.
 -Hey!!!- Catherina emise un’esclamazione sorpresa, trovandosi all’improvviso con il ducale fondoschiena per terra. Un’occhiata glaciale raggiunse Vaclav, che però era troppo sollevato dall’essere fuggito alla tortura, per esserne davvero colpito.
 L’anziano autista, intanto, fissava con disapprovazione la sua Duchessa.
 -Signorina. Mi indigno per il suo comportamento.- Catherina ebbe la decenza di arrossire, consapevole dell’infantilismo delle sue azioni. Carlo sbuffò, non ancora soddisfatto. -È ancora troppo giovane per molestare sessualmente gli ospiti della casa!- Entrambe le mascelle di Inquisitore e Duchessa caddero a livello ginocchia, inorriditi e allibiti, mentre i volti prendevano una tinta bordeaux. Il grido partì all’unisono.
 -CARLO!!!-
 -Non faccia tanto la scandalizzata, Signorina!- Rise il vecchio, la sorpresa e la severità di pochi istanti prima sostituiti da un sorriso malizioso sul volto rugoso. -È così che vostro padre ha concepito vostro fratello Francesco … e anche lei, se è per questo. Il piccolo Alessandro, invece, è stato concepito in maniera meno appariscente… e dopo il matrimonio con la cara Duchessa Sforza.-
 -CARLO!!!- Le corde vocali di prete e Duchessa sembravano incantatesi solo sul nome dell’anziano, i volti, se possibili, ancora più paonazzi. Catherina per l’imbarazzo e l’accusa di essere paragonata al lato dongiovanni del carattere paterno, Vaclav perché per nulla interessato al modo in cui il suo capo e il suo incarico erano venuti al mondo. C’erano cose che era sempre meglio non sapere. E lui non era mai stato un tipo troppo curioso. Non d quel genere d’informazioni, almeno.
 Divertito dalle reazioni attenute, e dal passo buono di distanza preso uno dall’altra dai due giovani, l’autista tirò fuori dalla tasca due buste.
 -Venendo a cose più serie, sono appena stato in città, e sono passato a ritirare queste. Sembra che il Santo Padre sarà presto a casa.- Catherina prese con mani tremanti le buste. Una le era stata spedita da suo padre, il Papa, come testimoniava lo stemma sulla carta, mentre l’altra…
 -È di Abel!!!- Esclamò quasi in un cinguettio la giovane, aprendo subito la busta, impaziente.

 Cara Catherina,

 Come promesso alla mia partenza, ho fatto più in fretta che ho potuto, e difatti la mia missione si è conclusa prima del previsto.
 Ti scrivo questa lettera proprio mentre sto partendo. Può darsi che quando ti arriverà, io sarò già alle porte di Milano. O, ancora meglio, di Villa Sforza.
 Sono stato veloce come promesso, no?

 Affettuosamente,
Abel.

 Solo poche parole, scritte in una calligrafia che a malapena si poteva definire leggibile, ma che la ragazza lesse e rilesse più volte, un’espressione incredula e al tempo stesso gioiosa sul volto fanciullesco.
 -Buone notizie, Duchessa?- Chiese Vaclav, notando l’espressione estasiata sul volto della bionda. Troppo felice per pensare alle formalità, Catherina gettò di slancio le braccia attorno al collo del prete, dimostrando una notevole elevazione nel salto, data la differenza d’altezza tra i due.
 -Abel ritorna!!!- Stupito e mezzo soffocato dall’inaspettato gesto d’affetto, il giovane Inquisitore rischiò momentaneamente di perdere l’equilibrio, ma rispose con un sorriso gentile e ricambiando educatamente l‘abbraccio.
 -Sono felice per lei, Signorina forza.- Per i minuti successivi, Catherina non riuscì a fare a meno di sorridere, così felice da avere la sensazione che l’emozione fosse troppa perché il suo corpo potesse contenerla. Carlo e Havel ben felici di vederla, per una volta, piena dell’allegria tipica della sua ancora giovanissima età.
 Senza neppure che il terzetto se ne fosse accorto, il sole aveva iniziato a tramontare, colorando di una tiepida luce arancione ogni cosa. Così, prete e duchessina, iniziarono a raccogliere le proprie cose. Una volta pronti, la ragazza, spinta da un’insolita spensieratezza, lasciò indietro l’autista e la sua guardia del corpo, senza riuscire a smettere di saltellare di tanto in tanto. Il solito passo marziale e sicuro, sostituito da una camminata allegra e quasi fanciullesca. Carlo e Vaclav, intanto, parlavano placidamente tra loro.
 -Allora Padre, sa già quale sarà la sua prossima destinazione?- Chiese Carlo, senza accorgersi dell’improvviso irrigidimento della Duchessa, a pochi passi di distanza dai due uomini, a perfetta distanza orecchio. Vaclav scosse il capo, un sorriso mesto sulle labbra sottili.
 -No, non ancora.-
 -Quale destinazione? Che volete dire?- Catherina raggiunse all’istante i due uomini, gli occhi chiarissimi concentrati sulla figura alta e longilinea dell’Inquisitore, mentre un forte senso di inquietudine le si stava formando in petto. Vaclav dovette fare uno sforzo per non rinnegare ogni parola detta. Quegli occhi grigi lo fissavano in maniera così preoccupata, pregandolo quasi, per cosa non sapeva neppure lui, che anche parlare gli era diventato difficoltoso. Ma non poteva esimersi dal raccontare la verità.
 -Una volta che Abel, la sua legittima guardia del corpo, sarà tornato, il mio compito di sostituto sarà finito. Immagino per allora mi verrà affidato un nuovo compito. Probabilmente a Roma, o nel mio paese natale.-
 -C… capisco…- Una mano invisibile sembrò serrarsi attorno al giovane cuore della Duchessa. Sapeva bene che la presenza di Vaclav nella sua vita sarebbe stata solo momentanea. Ma con tutte le cose che erano capitate loro, se ne era completamente dimenticata. Che lo ammettesse o meno, aveva finito per affezionarsi davvero all’Inquisitore. Era tanto tempo che non le capitava più di legare così tanto con qualcuno. Ovvero da quando Abel era entrato nella sua vita. Anche Isabella, Arianna e Irene, erano sue amiche già da prima dell’orrida notte in cui aveva perso, oltre ai suoi cari, anche la capacità di affezionarsi agli altri.
 Carlo fece un sospiro. Da una parte non poteva che essere felice della reazione della sua Signorina. Era molto tempo che la giovane non lasciava entrare qualcuno nella sua scorza, a parte Abel, ovviamente. Aveva ripreso ad affezionarsi alle persone, e questo era solo un bene. Ma allo stesso tempo, una separazione in un momento così delicato per il totale recupero emotivo della ragazza, poteva causare danni ancora maggiori.
 I tre ripresero a camminare in silenzio. Ora la Sforza non saltellava più. Una parte di lei continuava a farlo, impaziente e felicissima di rivedere il suo adorato Abel, mentre un’altra, quella che si era affezionata all’Inquisitore, pregava che il prete occhialuto aspettasse ancora un po’ a tornare. E questa era la parte che più odiava. Si sentiva come se stesse tradendo Abel e questo era qualcosa che non poteva accettare.
 Le prime ombre stavano scendendo sul giardino, quando l’Inquisitore si bloccò di colpo. Il viso improvvisamente trasformato in una maschera severa. I muscoli tesi, pronti a scattare. L’udito, la vista, e ogni senso pronto a captare il minimo segnale. Le iridi scure scansionavano le ombre della sera, mentre rivolgeva una preghiera silenziosa al cielo. Sperava di essersi sbagliato. Lo sperava davvero. Ma l’esperienza e l’addestramento degli anni passati come prete guerriero non davano possibilità di errore. Nel giardino non erano soli.

 Catherina emise quasi un grido, quando il prete sguainò la grande spada a due mani che era solito portare alla cintura. L’arma ufficiale degli Inquisitori della Boemia. Più elegante e meno vistosa dei bastoni della divisione romana, ma in una lega d‘argento estremamente resistente e letale per ogni Vampiro. E la bionda sapeva che l‘improvvisa entrata in scena dell‘arma poteva voler dire solo una cosa…
 Erano sotto attacco.
 -Carlo. Portate via la Duchessa. Ora.- La voce di Vaclav quasi un sussurro, ma talmente autoritaria da non lasciare adito a repliche. Catherina era già pronta a ribattere, ma due figure saettarono fuori dai cespugli ben curati, le zanne e le unghie affilate scintillanti nella fievole luce, ormai innocua, del tardo tramonto.
 Gli occhi chiari della giovane si allargarono a dismisura, mentre un terrore istintivo s’impadroniva di lei. Era anche peggio di quel che temeva.
 Methuselah.
 E dal modo in cui le vene erano in rilievo, le zanne evidenti, e le pupille ridotte ad una linea verticale appena accennata, dovevano anche essere in preda a un forte attacco di Sete.
 Avrebbe voluto gridare. Ma le corde vocali erano paralizzate come il resto del suo corpo. Ricordi del passato che si mescolavano al presente, gelidi e spaventosi.
 Solo il clangore degli artigli dei Methuselah contro la spada dell’Inquisitore la fece tornare alla realtà. Vaclav si era subito parato di fronte a Duchessa e autista, deciso a non far avanzare oltre i due intrusi, che si ritrovarono ad indietreggiare, momentaneamente confusi dalla reazione del prete. Evidentemente non si aspettavano resistenza.
 -Andate. Ora!!!- L’ordine di Havel fece scattare Carlo, che afferrò gentilmente per un braccio la Sforza e la costrinse a seguirlo di corsa. Catherina lanciò un’ultima occhiata alla sua guardia del corpo, mentre i Vampiri, ripresisi, si lanciarono in un attacco feroce. Fece in tempo a vederlo mentre ne trafiggeva uno. E per un istante le mancò il fiato. I lunghi capelli mossi al vento, il volto severo su cui gli occhi scurissimi scintillavano, fieri e concentrati nella battaglia. In quel momento, Vaclav era il ritratto vivente di un guerriero dei tempi antichi. Di quei paladini di cui narravano storie ben più antiche dell’Armageddon. Questo fu il pensiero della bionda. L’Inquisitore non era soprannaturale ed etereo come il suo Abel, il suo Angelo, ma era comunque affascinante. Doveva ammetterlo, per quanto fuori luogo fosse la sua considerazione. Una fitta al cuore. Quanto avrebbe voluto che ci fosse anche il suo angelo a proteggerla, assieme all’Inquisitore…
 Insulti e frasi minacciose urlate dal Vampiro ancora in vita, e la giovane si mise a correre dietro al vecchio autista, una preghiera rivolta al cielo, perché questo incubo improvviso avesse presto fine.
 Solo pochi passi, e un terzo Methuselah si parò davanti ai due fuggitivi. Decisamente, quella sera, il Signore non aveva voglia di ascoltarla.

 Con un grido agghiacciante, uno dei vampiri venne trapassato dalla lunga spada. Un movimento brusco, e il prete estrasse l’arma, solo per infierire nuovamente sul vampiro caduto, terminandone la vita. Con la colonna vertebrale spezzata, gli aveva tolto ogni possibilità di rigenerarsi. Un’uccisione veloce. Il Vampiro non aveva neppure considerato la lunga spada dinnanzi a sé, lanciandosi a capofitto contro il prete. La Sete lo aveva reso imprudente. E Vaclav lo sapeva, come ogni Inquisitore. Quando in preda alla Sete, le capacità soprannaturali dei Methuselah aumentavano in maniera naturale, risvegliate dal bisogno di sangue. Ma questo a discapito del pensiero razionale. Molti Vampiri usavano la Sete come una droga da combattimento, per avere più forza e coraggio, ma come ogni droga, era un’arma a doppio taglio. Il Vampiro affetto, non era più in grado di valutare lucidamente le situazioni di pericolo, e finiva ucciso a causa di ciò. Come era accaduto in quel momento.
 La lama lasciò di nuovo il corpo ora senza vita della sua vittima, l’Inquisitore pronto a confrontarsi anche con l’altro Methuselah.
 Ma un grido lo fece voltare. Fu con orrore che vide un terzo Vampiro troneggiare su Catherina e Carlo, bloccando loro la via di fuga. Solo i riflessi allenati impedirono al moro di finire infilzato dai lunghi artigli del Vampiro con cui stava combattendo, decisamente inferocito dall’uccisione del suo compagno.
 Ciononostante, la mente dell’Inquisitore era molto più concentrata su Duchessa e autista. Come poteva salvarli? Come? Era lontano. Troppo per intervenire in tempo, anche se fosse riuscito a liberarsi in un sol colpo del Methuselah che aveva davanti. Non avrebbe mai fatto in tempo. E anche lasciare il combattimento in corso, era solo un suicidio inutile: il Vampiro avrebbe approfittando subito della schiena scoperta del prete e lo avrebbe ucciso ben prima che avesse raggiunto Carlo e Catherina.
 Che cosa doveva fare? Cosa?
 Chiuse gli occhi. Pochi, decisivi, frustranti istanti per prendere la sua decisione.

 Gli occhi del Vampiro erano malevoli, le sottili pupille appena visibili nelle iridi dorate.
 -Fine della corsa, Terran.- Le parole dette con disgusto, quasi come se Duchessa e autista fossero stati macchie di fango su un bell’abito. Catherina voleva chiudere gli occhi. Davvero. Perché vedere di prima persona la stessa fine che aveva fatto sua madre era davvero troppo. Era l’incubo peggiore che il suo subconscio avrebbe potuto procurarle. Ma non era un sogno. Era reale. E questo significava che non c’era risveglio, non c’era via di fuga. E lei non era una ragazza che scappava. Mai. Di fronte a nulla. Avrebbe visto la propria morte in faccia, qualunque essa fosse. Perché il coraggio era l’unica qualità che poteva trovare in sé stessa. O almeno, l’unica che voleva disperatamente avere.
 Quando vide le unghie del Vampiro allungarsi fino a diventare lunghi artigli affilati, ne fu certa. Era arrivata la sua ora. E questo, stranamente, la calmò. Non c’era più modo di fuggire. Era un fatto ineluttabile. Scappare, combattere, disperarsi, tutto inutile. Solo attesa.
 Non ebbe neppure il tempo di stupirsi per questa sua reazione di fronte alla morte, che un fascio di luce argentea le passò accanto. L’orrido rumore di ossa spezzate e carne infilzata. E una spada d‘argento, lanciata come un giavellotto, aveva trapassato il Vampiro.
 Il tempo di un battito di ciglia. E l’espressione sprezzante del Methuselah si trasformò in una di sorpresa prima, e di dolore poi. Le mani cercavano ancora di raggiungere l’impugnatura per estrarre l’arma, mentre cadeva a terra. La vita ormai sfuggita dal corpo, mentre il sangue si espandeva sul prato erboso.

 Vaclav si concesse un sospiro di sollievo. Li aveva salvati. Ma il sollievo fu di breve durata, mentre il Vampiro superstite, colto da furia vendicativa, lo attaccò. Il prete riuscì a scostarsi di lato appena in tempo, ma gli artigli riuscirono ad affondare nella carne tenera del braccio. Un sibilo di dolore uscì dalle labbra dell’umano. Disarmato e ferito, seppure non gravemente, il prete fece l’unica cosa che poteva fare al momento: evitare al meglio gli artigli dell’avversario, e dare a Carlo e Catherina il tempo di arrivare al sicuro, sperando che non ci fossero in giro altri Methuselah.
 L’odore del sangue caldo ebbe come un effetto eccitante sul Vampiro, che cominciò ad attaccarlo con maggiore fervore, senza dargli tregua. Presto Vaclav iniziò a sentire la stanchezza, i movimenti sempre più lenti e difficoltosi. Non avrebbe potuto evitare ancora a lungo gli assalti…
 -Vaclav!!!- Al suono del suo nome, il prete si voltò, solo per vedere la giovane Duchessa, a soli pochi passi dal cadavere del Vampiro infilzato nella spada, Carlo che cercava di trascinarla via a forza.
 Mille pensieri affollarono in un istante la mente di Havel. Perché Catherina era ancora lì? Perché non era scappata? Perché Carlo non l’aveva trascinata via subito?
 Non ebbe il tempo di rivolgere alcuna domanda. Evitò un nuovo attacco all’ultimo istante, perdendo l’equilibrio e cadendo a terra. Fece appena in tempo a mettersi in ginocchio, quando realizzò l’errore commesso: era finito in una posizione vulnerabile. E il ghigno sul volto del Vampiro era la prova che anche il suo avversario lo sapeva.

 Il Methuselah sorrise. Alla fine il Terran si era distratto, e proprio a causa delle stesse persone che stava cercando di salvare. L’Inquisitore si sarebbe accorto dell’errore commesso troppo tardi. Aveva abbassato la guardia, e il Vampiro non aveva intenzione di lasciarsi scappare l’occasione. Ora non aveva solo una missione da svolgere. Ora aveva anche da vendicare due compagni caduti. La mano già alzata, gli artigli sguainati.
 Poi uno sparo.
 Un altro.
 E un altro ancora.
 E il Methuselah cadde a terra, registrando appena il dolore infuocato dei proiettili d’argento che gli bruciavano le carni, prima che l’oscurità eterna lo inghiottisse.

 Padre Havel fissò stupito il cadavere che solo fino a pochi istanti prima minacciava di ucciderlo. Alzando lo sguardo, vide il suo salvatore. Pistola ancora fumante in mano, le lenti rotonde degli occhiali riflettevano la luce della luna, come i capelli argentei. Il crocifisso al collo risaltava sulla divisa scura da prete errante.
 Per un momento l’area fu immersa nel silenzio, interrotto solo dal fruscio dei passi del nuovo arrivato che si avvicinava ai tre. E quando fu a una distanza minore, Vaclav poté vederne il volto. La pelle diafana, quasi quanto i capelli, e dietro le lenti, due grandi occhi azzurri, che, appena abbassata la pistola, presero un aspetto mansueto, in contrasto con la letale precisione dei colpi che erano appena partiti dalla sua arma.
 L’Inquisitore sapeva chi era quell’uomo. L’aveva visto più volte, in alcune fotografie mostrategli da Catherina.
 -Abel!!!- La giovane Duchessa di Milano corse a perdifiato verso la sua guardia del corpo, quasi placcandolo. L’alta figura del prete albino barcollò leggermente all‘indietro, travolto dall‘irruenza della ragazza.
 -Catherina!- Rise l’uomo, aggiustandosi gli occhiali, mentre la ragazza lo lasciava leggermente andare. -Sono stato veloce come avevo promesso, no?-
 -Anche di più!- Sorrise la Sforza, gli occhi grigi scintillanti. -Proprio come avevi detto nella lettera!- Rassicurato dalla familiarità della bionda, Havel si concesse un sorriso e un sospiro di sollievo. Di certo, la guardia del corpo della Sforza aveva la qualità di arrivare nei momenti giusti.

 Se qualcuno avesse chiesto ad Abel quale fosse la cosa più bella del mondo, il prete non avrebbe avuto dubbi. L’espressione di pura gioia leggibile nel volto fanciullesco della giovane Sforza, sarebbe stato un lavoro degno dei più grandi artisti. E, seppur non avesse uno specchio per verificarlo, era certo di avere un’espressione molto simile in volto. Facendo fare una mezza giravolta alla ragazza, la posò gentilmente a terra.
 -Allora, Duchessa. Come è andata mentre ero via?-
 Catherina stava per buttarsi nei racconti, ma un mugolio alle sue spalle la interrupe. Il moro si stava alzando in piedi, una mano sul braccio ferito, Carlo accanto, pronto ad aiutarlo, se avesse avuto sbandamenti.
 -Padre Havel!!!-  Neanche il tempo di lasciare aprir bocca al prete albino, e la giovane Sforza era schizzata al fianco dell’Inquisitore, ed esaminava con occhio critico e preoccupato i tagli lasciati dal Vampiro, senza vedere la mascella penzolante di Abel. Da quando la sua Catherina si preoccupava per gli scagnozzi di Francesco? Perché, nonostante il pensiero comune, Abel sapeva essere piuttosto sveglio, e non serviva un genio per riconoscere, nella tunica rossa e nell’efficienza nell’uccidere Methuselah, un membro della Santa Inquisizione. E Catherina aveva di certo contribuito con varie lettere riguardanti Padre Havel. Ma da quello che aveva capito tra i due regnava una sorta di faida. Quindi, la preoccupazione evidente della ragazza aveva lasciato a dir poco sconcertato Padre Nightroad.
 Ignara della confusione del suo più caro amico, Catherina aveva terminato di esaminare, per quanto possibile nel crepuscolo, la ferita di Vaclav. Non era nulla di grave, un taglio poco profondo, ma che sanguinava dannatamente.
 -Stai sanguinando troppo.- Gli occhi grigi della ragazza fissi su quelli ebano del prete. -Devi subito farti vedere da un medico!-
 -La ringrazio delle attenzioni, ma non è il caso. È solo un graffio che sanguina un po’. Nulla di cui preoccuparsi.- Rispose con un sorriso il prete, per poi lasciarsi scappare un sibilo e una smorfia di dolore quando il dito della ragazza andò a piantarsi nella ferita. Carlo e Abel non poterono evitare una smorfia molto simile, improvvisamente solidali con l’Inquisitore.
 -Visto? Ti fa soffrire. Devi subito farti portare dal medico!- Continuò, imperterrita, la bionda, ormai entrata nel ruolo di crocerossina che non sentiva ragioni.
 -Non farebbe così male se qualcuno non ci piantasse le dita!!!- Ringhiò piano Havel, pazienza ridotta a brandelli.
 -Quel che si dice “mettere il dito nella piaga” …- Borbottò Carlo, accarezzandosi i baffi. Abel non poté essere più d’accordo con il vecchio autista. Forse la Duchessa non si stava preoccupando poi così tanto per la salute dell’Inquisitore… Intanto Catherina restava ferma nelle sue posizioni.
 -Devi farti curare! Non fare il testardo!- Le iridi scure dell’Inquisitore fecero un guizzo. Ma guarda te da che pulpito…
 -Da qualcuno avrò imparato, negli ultimi tempi…-
 -Non da me!- Ribatté sfacciatamente la Sforza, incrociando le braccia e impuntandosi. Havel emise uno sbuffo irritato dalle narici. Pazienza ormai ridotta ad un velo di fumo.
 -Questa è la battuta del secolo…- Il gelo artico che trapelava dagli occhi grigi della ragazza fece capire al prete quanto il suo commento fosse poco apprezzato. Havel stava già per scansarsi, convinto che una sfuriata fosse in arrivo, magari ai danni del suo braccio ferito, quando invece Catherina estrasse un fazzoletto candido da una tasca della gonna.
 -Fatti almeno fasciare con questo o dopo ti aizzo di nuovo contro Attila e Nerone…-
 -Sempre troppo gentile…- Commentò il prete, ma si abbassò comunque quel tanto da rendere più comodo per la bionda raggiungergli la ferita. Quando rabbrividì a causa di una stretta di troppo, Catherina bisbigliò un “scusa” appena percettibile, a cui l’Inquisitore rispose con un silenzioso cenno del capo e un lieve sorriso.
 Entrambi erano ignari dell’esplosione silenziosa scatenatasi nel prete albino, confuso oltre ogni dove. I due parlavano come se fossero pronti staccarsi la testa a morsi a vicenda (o meglio: come se Catherina volesse farlo!), ma si comportavano in maniera del tutto inversa. La sedicenne teneva all’Inquisitore, ed era davvero preoccupata per il suo benestare. E lui le era affezionato. Si vedeva nella gentilezza e nella pazienza che dimostrava nei confronti della ragazza. Il loro rapporto aveva una dinamica molto simile a quello che c’era tra lui e Catherina, seppure in maniera molto più aggressiva.
 Era evidente che quella tra il moro e la giovane fosse ancora una relazione acerba, certo. Ma questo non impedì ad Abel di sentire una fitta di gelosia farsi strada dentro di sé. Era certo che presto, quella relazione sarebbe maturata in un’amicizia molto profonda.
 Un fremito di paura e gelosia. Forse un’amicizia più importante di quella che c’era tra lui e la ragazza? Scosse il capo. No, non era possibile. Era un pensiero assurdo. Ma il tarlo malefico aveva intaccato, e scavava nella mente e nel cuore del Krsnik.
 -Sta riprendendo ad affezionarsi della gente.- La voce di Carlo lo fece distogliere dai suoi pensieri velenosi. -Una bella cosa, non crede, Padre?- Gli occhi sormontati da sopracciglia ispide fissarono intensamente Abel. Il prete albino fu quasi certo che l’anziano autista avesse intuito perfettamente ciò che gli passava per la mente, e sapeva bene di aver dato una frustata alla sua parte razionale, perché scacciasse quei sentimenti malsani, e lo portasse ad un ragionamento più lucido.
 E funzionò, almeno in parte. Una metà di Abel sorrideva, felice e orgoglioso che la sua piccola Catherina avesse finalmente ritrovato la forza di uscire dal suo guscio, e lasciare avvicinare altre persone, oltre a lui. Aveva avuto l’onore di essere l’unico punto di riferimento emozionale stabile della Duchessa per due anni. Era tempo che altri si affacciassero nella vita della giovane. Ma questo non significava che lui dovesse esserne felice.
 L’atra metà del prete albino, infatti, avrebbe voluto cacciare via l’Inquisitore, non disposta a lasciare posto ad altri nel cuore di Catherina. Le aveva promesso di proteggerla. Lei e tutti gli umani. La ragazza bionda dagli occhi grigi era la preziosa depositaria della sua promessa, non poteva perderla. Per nulla al mondo.
 Catherina intanto aveva terminato il suo lavoro sul braccio dell’Inquisitore, fermando la fasciatura improvvisata con un piccolo nodo. In pochi istanti, il fazzoletto stava prendendo una colorazione carminia, tamponando goffamente la perdita di sangue.
 -Devi comunque farti vedere.- Rimbeccò un’ultima volta la giovane, fissando negli occhi Havel, con un’espressione autoritaria, innaturalmente convincente nel volto di una sedicenne. Il prete annuì rassicurante.
 -Va bene, mammina…-
 -E non sfottermi!!! Sei sempre un prete!!!-
 -Un prete. Non un santo.- Puntualizzò Havel,  beccandosi un’occhiata inceneritrice, e una promessa di futuro dolore da una Catherina improvvisamente pentita della gentilezza mostrata verso la sua “guardia del corpo capellona”.
 In lontananza, intanto, si potevano udire i latrati inconfondibili di Attila e Nerone, accompagnati dagli ordini secchi e le grida dei servitori della casa, allarmati dai rumori e dagli spari di soli pochi minuti prima, e accorsi a cercare la loro Duchessa.
 Poco dopo, un gruppo capitanato da una Beatrice armata di fucile, aveva già raggiunto i quattro. Sospettosamente, sia Vaclav che Abel fecero del loro meglio per stare a distanza di sicurezza da Attila e Nerone, improvvisamente più interessati ai due preti che a cercare eventuali intrusi.
 -Vampiri! A Villa Sforza!!! E voi due, che stavate facendo?!? È vostro compito tenere lontani quegli esseri dalla Signorina!!!- La bisbetica governate aveva a malapena preso a riguardo il ritorno di Abel. E solo per iniziare una ramanzina. Ai danni sia di Vaclav che del prete occhialuto. Giusto per non farsi mancare nulla. Havel se ne rimase in silenzio. E non per un mea culpa, come avrebbe potuto dare da pensare il volto privo d’emozioni. Ma perché troppo allibito dal fatto che la governante se la stesse prendendo a quel modo proprio con lui e Abel, i due che si erano appena misurati con tre Methuselah, per poter anche solo esprimersi. Intanto, Padre Nightroad tentava goffamente di placare la furia femminile che era la governante.
 -Avanti, Signora Beatrice… non sia così arrabbiata…-
 -Per l’amor del cielo, donna!!! Questi due ragazzi hanno appena salvato la nostra Duchessa e questo vecchio ammasso di baffi e demenza senile! Non fare la solita vecchia bisbetica, e vedi di essere un po’ più riconoscente, miseriaccia!!!- Sia Vaclav che Abel avrebbero baciato Carlo, se non avesse avuto i baffi. Ma Beatrice non era per nulla felice dell’intervento dell’autista.
 -Il loro compito è prevenire i pericoli!!! Non far assistere la Signorina Sforza a certi spettacoli!!!- Ruggì la donna, indicando i cadaveri dei tre Methuselah. Carlo sbuffò come un toro, decisamente irritato dalla mancanza di buon senso della governante.
 -Meglio assistere a certi spettacoli che essere parte di certi spettacoli!!!- Ribatté il vecchio baffuto. -E poi, mi spiega come sono entrati, questi disgraziati?! Se non vado errato, tutto il perimetro del parco dovrebbe essere sotto il controllo del sistema d’allarme di cui Lei, Signora Beatrice, va tanto fiera!!!.-
 -Ci… ci sarà stata di sicuro una falla, un sabotaggio…- Borbottò la donna, rossa di rabbia e vergogna.
 -Insomma basta!!!- Esplose Catherina, stufa e per nulla dell’umore adatto per sentire i battibecchi di Beatrice e Carlo. Era stanca e spaventata, le immagini dell’attentato appena sventato che andavano a risvegliare ricordi terribili sulla notte in cui aveva conosciuto Abel. Voleva solo entrare in casa, tra le mura solide e familiari, magari davanti ad una tazza di tè o cioccolata calda, per cacciare via il freddo. Perché era solo il freddo,  che la stava facendo tremare come una foglia. Vero?
 -La Duchessa ha ragione.- Intervenne Vaclav, impedendo a governante e autista di ribattere, notando lo shock della bionda. -Non c’è tempo per discussioni. Potrebbero esserci altri Metuselah, e la Signorina Sforza va portata immediatamente al sicuro.-
 -Finalmente qualcuno di buon senso.- Ringhiò Carlo, lanciando un’occhiata di sbieco a Beatrice, che da parte sua sembrava sul punto di usare il fucile sul vecchio. Havel sospirò, disilluso, mentre recuperava la sua spada. Sentì molti occhi puntati sulla schiena. Tutti aspettavano ordini. Era chiaro da come i servitori seguivano ogni sua mossa. Perfino Abel e Catherina lo fissavano, in attesa di una sua parola. Si lanciò una maledizione. Aiutando la Sforza a mettere fine alla discussione tra Carlo e Beatrice, aveva involontariamente preso il comando dell’operazione. E il fatto che fosse l’unico soldato presente, e per di più un membro della Santa Inquisizione, di certo lo poneva come miglior candidato al ruolo di generale. Rassegnato e per nulla felice della carica improvvisata, espose un piano. Semplice e logico.
 -Ci divideremo. Un gruppo con Beatrice e Carlo scorteranno la Duchessa al sicuro nella Villa. Io e Padre Nightroad perlustreremo nella direzione da cui sono spuntati i primi due. Il gruppo coi cani da dove è spuntato il terzo.- Tutti annuirono, tranne Catherina e Abel, che esplosero, oltraggiati.
 -Cosa!? Stai scherzando! Sei ferito, devi farti vedere subito da un medico!!!- Ruggì la ragazza, lo shock completamente sostituito dalla rabbia. Anche il prete albino aveva le sue rimostranze.
 -Ehi!!! Perché noi due da soli!?! Non è giusto!!! Almeno prendiamo i cani!!!- Lo scatto delle fauci di Attila verso la mano del prete fu udibile da tutti. -Va bene. Lasciamo perdere.- Rettificò subito Abel, mettendosi a distanza di sicurezza dai mastini.
 Catherina fissò dritto negli occhi Vaclav per qualche lungo istante. Iridi ghiaccio contro iridi mogano. Abel si affiancò all’Inquisitore con un sorriso rassicurante. Alla fine la Duchessa emise un lungo sospiro. La rassegnazione apparve sul volto fanciullesco solo per un momento, subito sostituita da determinazione. Fu come se gli anni avessero fatto un’improvvisa corsa, rendendole il viso maturo e imperscrutabile.
 -State attenti. Tutti e due.- I due preti annuirono, rassicuranti. Né Abel né Vaclav potevano immaginare che quella scena di commiato si sarebbe ripetuta, uguale, molte volte negli anni a venire. Sia prima che dopo la creazione dell’AX. E prima di ogni missione.
 -Non si preoccupi! Ci penso io a Padre Havel…- Fece il prete albino, mostrando un entusiasmo fuori luogo, e dando una pacca giocosa sul braccio di Vaclav. Un mugolio di dolore in lingua straniera. Cinquanta per cento di possibilità di errore. E Abel aveva subito beccato il braccio ferito del prete in rosso. Con uno scatto meccanico e uno “scusa” da morto vivente, o in procinto di esserlo, l’occhialuto si costrinse a incontrare le fessure scurissime che erano gli occhi dell’Inquisitore, inquietantemente sullo stesso livello di quelli cerulei e colpevoli di Nightroad. Un lungo momento di teso silenzio, poi Vaclav si voltò, iniziando a incamminarsi nella direzione prescelta, seguito a ruota da Abel.
 La Sforza si lasciò scappare un sospiro. Ogni traccia di impassibilità scomparsa, mentre Carlo la guidava gentilmente verso la Villa. Non sapeva bene il perché, o meglio, lo sapeva, ma non voleva ammetterlo, ma non era del tutto sicura che lasciare le sue due guardie del corpo da sole e insieme fosse una buona idea…

 Le stelle erano apparse in cielo ormai da un po’, e Abel non riusciva più a mantenere la concentrazione. Gli occhi si rifiutavano di indagare tra le ombre sempre più fitte della sera, e le orecchie di individuare rumori fuori dalla norma. L’eccitazione della caccia e delle ricerca ormai solo un ricordo scomodo.
 -Ci stiamo allontanando un po’ tanto dal gruppo… non li sento quasi più…- Il mugolio scontento sembrò raggiungere appena i padiglioni oculari di Vaclav, esattamente come i latrati dei cani e degli uomini in perlustrazione dalla parte opposta del parco, ormai in lontananza.
 -Lo so.-
 -Non crede che sarebbe meglio essere un po’ più vicini? Sa, in caso di attacco… supporto a vicenda…- Per tutta risposta, l’Inquisitore continuò ad ispezionare la vegetazione, ignorando il suo compagno. La perlustrazione continuò ancora per un tempo che, almeno ad Abel, parve lunghissimo. Fino a quando questi esplose, annoiato e stanco.
 -Ha intenzione di esplorare tutto il parco, Padre?! Sono decine di ettari, lo sa?- Apparentemente, il prete bruno era insensibile ai lamenti dell’occhialuto. -Insomma!!! Ho fatto un viaggio da tre giorni in meno di ventiquattrore, non può avere pietà?!- Gli occhi scuri di Vaclav continuavano ad esplorare l’oscurità, l’orecchio più attento ai rumori della notte che ai piagnucolii del prete albino. Alla fine chiuse la palpebre con un sospiro. L’unica cosa che riusciva a sentire erano i latrati dei cani e degli uomini che battevano la zona. Non che potesse sentire davvero qualcosa, con tutto il baccano che stava facendo l’albino.
 -Almeno una pausa…- Il piagnucolio arrivò con la mano dell’occhialuto, aggrappatosi disperato al braccio dell’Inquisitore. Braccio ferito, ovviamente. Vaclav non seppe mai da dove prese la forza di non abbattere sull’istante Padre Nightroad. Ma questi seppe benissimo da dove riprese l’entusiasmo di tornare a controllare l’area. Gli occhi sottili di Padre Havel avevano la capacità pura e semplice di fargli produrre una dose di adrenalina non indifferente. E anche gli epiteti lanciati in rumeno e l’estrazione della spada dovevano averci qualcosa a che fare.
 Con un sospiro esasperato, l’Inquisitore cercò di evocare la sua logorata pazienza. Il dolore della ferita pulsante. Poi , mentre rinfoderava la sua arma, notò che la mano del suo collega si era sporcata di vermiglio.
 -Veda di pulirsi la mano. Non è saggio avere addosso odore di sangue.- Abel smise la sua agitata ricerca per fissare, timoroso e stupito l’Inquisitore.
 -Che… che cosa intende dire?-
 -I Methuselah che ci hanno aggrediti erano tutti in preda alla Sete. Se ce ne fossero altri, quasi sicuramente saranno nella stessa condizione. E in questo stato, l’odore del sangue li attirerà come api al miele.-
 -Non pensa che possano essere andati a cercare Catherina, mentre siamo qui?- Sibilò il prete albino, irritato per essersi fatto riprendere da uno degli uomini di Francesco.
 -No, non lo credo. In preda alla Sete, si saranno anche dimenticati del motivo per cui sono qui, penseranno solo a cercare la fonte di sangue. Che in questo caso, è me. Quindi, più la Duchessa e ogni essere vivente mi starà distante, più sarà al sicuro.-
 -Per questo ha voluto allontanarsi…- Mormorò Abel, colpito dal ragionamento di Padre Havel, ma altrettanto voglioso di prendersi a calci da solo: non conosceva i Methuselah da due giorni. Eppure non aveva pensato a quell’aspetto della faccenda. -Ma perché non l’ha detto anche prima, con Carlo e Catherina?!- Havel emise un lungo sospiro. Non gli era piaciuto omettere tale informazione al suo incarico. Ma non aveva avuto molta scelta.
 -La Duchessa Sforza non sa che ora sono una calamita per Vampiri. E quindi chiunque, compreso lei, Padre Nightroad, è in pericolo accanto a me. Non credo avrebbe accettato di buon grado sapere che la stiamo proteggendo da ulteriori nemici solo perché siamo uno spuntino più appetitoso di lei. Meglio dirle che stiamo solo cercando di coprirle il rientro alla Villa dando una mano agli altri uomini. Darle preoccupazioni in più mi sembrava un’inutile crudeltà. E poi non credo mi perdonerebbe il fatto che sto mettendo in pericolo la sua guardia del corpo appena tornata a casa.- Concluse con un sorriso gentile il prete. Abel annuì, comprendendo le ragioni di Havel. Ma dopo pochi istanti, il cervello dell’occhialuto arrivò ad accendere una lampadina.
 -Un momento!!! Allora vuol dire che fino a ora … sono stato in compagnia dell’equivalente umano di un’esca viva per Vampiri!?!- Il sopracciglio moro del prete boemo fece un tic irritato.
 -Non è che mi faccia impazzire l’immagine del sottoscritto ridotto a paragone di una larva attaccata all’amo, ma sì, è così.- Ci volle qualche lungo secondo perché Abel digerisse l’idea. Solo per comprendere un’altra cosa.
 -Un momento!!! Ma allora… io fino a ora ero in percolo!!!
 -Mi pare di avervelo appena detto…- Borbottò il moro, gocciolone sulla nuca, stranito dalla lentezza di comprendonio dell’albino, che ora puntava un dito accusatore contro di lui.
 -E lei lo sapeva!!! E non mi ha detto nulla!!!-
 -Effettivamente…- Ammise, Vaclav, portandosi una mano al mento. Un sorriso divertito sulle labbra.
 -Ma come ha potuto!!! Perchè non ha preso qualcun altro degli uomini!!! O i cani!!! Perché ha messo in percolo me!?!-
 -Vari motivi.- Ammise l’inquisitore, senza mostrare molto pentimento. -In primo luogo, mi fido di più di un Methuselah in preda alla Sete che di Attila e Nerone.- E qui Abel non ebbe possibilità di ribattere. -Secondo, nessuno degli uomini della Villa è davvero preparato a un incontro con un Methuselah, e sarebbe un problema serio in caso di un attacco. Il panico può far fare errori letali. Lei era l’unica persona presente con la preparazione adatta a fronteggiare un attacco, in caso di pericolo. Me lo ha dimostrato salvandomi la vita, solo poco fa. Per, cui tra l’altro, non ho ancora avuto modo di ringraziarla. E per concludere, Catherina avrebbe accettato di buon grado di non trascinarmi con lei da un medico, solo se fossi stato in compagnia di qualcuno di cui ha fiducia totale. E quella persona è lei, Padre Nightroad.- Abel rimase per qualche lungo istante in silenzio, colpito dalle capacità analitiche dell’Inquisitore. Ma alla fine non poté trattenere un sorriso.
 -Però, davvero non me lo sarei aspettato un ragionamento tanto fine da un soldato della Santa Inquisizione…- Fece il prete occhialuto, dando una pacca al braccio del moro. Quello ferito. Di nuovo. Un sibilo di dolore scappò tra i denti serrati del prete. L’albino fece un balzo all’indietro, maledicendosi internamente. Decisamente una parte di lui era fuori controllo, e desiderava far del male all’Inquisitore. -Ah!!! Mi spiace, mi spiace, non volevo…- Si affrettò a scusarsi l’occhialuto, agitando istericamente le braccia. Vaclav dovette raccogliere ogni goccia di autocontrollo rimastagli per non decapitarlo all’istante.
 -Non fa nulla. Solo non lo faccia di nuovo, va bene?- Il tono di voce era sempre gentile, ma Abel capì dalle scintille omicide che scaturivano dalle iridi ebano che in realtà, quello era un ultimatum. E anche se poteva avere più di un motivo per avercela con l’Inquisitore che gli stava rubando l’affetto della sua Catherina, non poteva di certo dargli torto se era irritato con lui. Il prete boemo era già abbastanza stanco e in pena da solo, senza avere a che fare con la goffaggine del prete albino.
 I due avanzarono, scrutando la zona ancora per alcuni minuti, giusto per scrupolosità. Ma ormai era chiaro che non v’erano altri Vampiri in zona. E tra le esultanze non troppo silenziose di Abel, i due preti si avviarono in direzione di Villa Sforza.
 Buona parte del percorso passò in silenzio, per la gioia di Vaclav. L’Inquisitore sentiva come il bisogno di pace. L’effetto dell’adrenalina ormai esaurito e la perdita di sangue, seppur non esagerata, lo avevano lasciato in uno stato di spossatezza. La spada d’argento appesa al fianco pesava. Non importava quello che gli avevano detto durante l’addestramento, e ancora meno quello che veniva ripetuto dai suoi superiori a ogni predica. I Methuselah erano persone. E lui quella stessa sera aveva posto fine alla vita di due uomini. Sapeva di non avere avuto scelta. Ma questo era il fatto che lo aveva spossato di più. Più della fatica e delle ferite.
 Si rese conto di essere immerso completamente nei suoi pensieri solo quando sentì Abel parlare.
 -Scusi, può ripetere, Padre? Non stavo ascoltando.- Il prete albino batté le palpebre, e ripeté la sua domanda.
 -Volevo dire… da domani inizieremo a lavorare insieme, io e lei, giusto?- l’Inquistore smise di camminare, del tutto impreparato alla domanda.
 -Non saprei, Padre Nightroad.- Ammise dopo pochi secondi, riprendendo la marcia. -Il mio incarico con la Duchessa Sforza sarebbe dovuto terminare al suo ritorno. Quindi, almeno in teoria, dovrei essere già destinato all’assegnazione di un nuovo incarico.-
 -Ah… capisco.- Mormorò Abel, tornando a fissare il sentiero. -E Catherina? Come crede che la prenderà?-
 -Non capisco che vuol dire.- havel cercò di mantenere una facciata neutrale, ma Padre Nightroad era bel lungi dal crederci.
 -Insomma, Padre Havel! Non può non essersene accorto! Lei… si è molto affezionata a voi, vero?- Un lungo minuto di silenzio, e alla fine l’Inquisitore rispose.
 -Sì.- La risposta ebbe l’effetto di una pugnalata al cuore per il Krsnik. E le parole successive di altre coltellate. -Ma mentirei se dicessi che il sentimento non è reciproco.-
 -Capisco.-
 -Ciononostante, non credo che la mia partenza sarà un grosso problema.- Abel alzò gli occhi di scatto sull’Inquisitore, per incontrare il sorriso gentile e allo stesso tempo triste del prete dai capelli scuri. -Lei ora è qui. Ed è la persona più importante per quella ragazza. La mia presenza non è più necessaria. Sotto ogni aspetto.-
 -Si sbaglia.- Si ritrovò a dire il prete Albino, prima ancora di sapere di aver aperto bocca. -Anche lei è molto importante per Catherina.-
 -Importante. Non indispensabile.-
 -Nessuno lo è al mondo.- Ribatté Nightroad. -Ma Catherina deve poter fare affidamento anche su altre persone. E non solo su di me.- Il mare di capelli bruni venne scosso da una cenno di diniego.
 -Questo discorso ha comunque poco futuro. Anche volendo, il mio tempo a Villa Sforza è finito.-
 -No, non ancora.- Sbottò quasi in un ringhio Abel, stupito egli stesso della sua determinazione a voler trattenere l’Inquisitore.
 -Cosa? Che volete dire?- Gli occhi ebano indagarono sospettosi quelli blu dell’altro uomo. Qualcosa nel suo tono aveva fatto scattare un campanello. Sentiva che Abel aveva trovato la fregatura.
 -Se non sbaglio, il suo lavoro qui doveva durare due mesi, giusto?- Chiese il prete albino, le iridi blu scintillanti, e un sorriso maliziosamente felino che avrebbe fatto l’invidia dello Stregatto.
 -Sì, è così- Concesse il prete moro, continuando a camminare. Il sospetto tutt’altro che accantonato.
 -Dunque, almeno per poco meno di un mese, lei sarà destinato a stare qui.-
 -Non se riceverò la comunicazione di un nuovo incarico.- Precisò l’Inquisitore, mentre l’espressione complice raggiungeva anche le sue labbra. Ora capiva dove l’altro stava andando a parare…
 -Oh, non lo riceverà, si fidi.- Ridacchiò il prete, sistemandosi le lenti sul naso. -L’incarico le è stato assegnato direttamente dal Cardinale Francesco. Anche se in teoria il bisogno della sua presenza è terminato, Cardinale Medici l’ha assegnata qui per due mesi. Per cui, fino al mese prossimo, non riceverà un nuovo incarico, e resterà qui! Nessuno dei suoi superiori oserà chiamarla al dovere prima del tempo stabilito dal capo della Santa Inquisizione. Quindi questo vuol dire che lavoreremo insieme ancora per un mesetto scarso!- Concluse trionfante, il petto gonfio d’orgoglio per il cavillo trovato. Vaclav intanto aveva un sorriso decisamente più deciso sulle labbra sottili, contagiato dall’ottimismo del collega.
 -E dopo? Cosa crede mi tratterrà ancora qui?-
 -Beh, è del tutto inutile preoccuparsi prima del tempo, no?- Rise Abel, dando una forte pacca giocosa sul braccio dell’Inquisitore. Solo il ruggito di dolore a malapena soffocato gli fece notare di aver colpito il braccio ferito. Di nuovo. Deglutendo appena, e ben consapevole della gaffe fatta, si voltò lentamente a fissare il volto del prete bruno. -L … Lo sa che non l’ho fatto apposta, vero?-
 -È per questo che le do dieci secondi di vantaggio.- Sibilò Vaclav, tra denti stretti, mentre alzava le iridi mogano a livello di quelle cristalline del prete occhialuto.
 Alle porte della Villa, Catherina si aggrappò spaventata a Carlo, quando un razzo in abito nero con sospettosi capelli candidi la sorpassò a velocità supersonica, seguito esattamente dieci secondi dopo da uno vestito di rosso con capelli bruni.
 Attila e Nerone rimasero per un momento confusi. Ma subito si ripresero, e abbaiando, scapparono al servitore che li teneva al guinzaglio, le code e i nasi frementi per la caccia.
 L’anziano autista emise un lungo sospiro, mentre la Duchessa lo liberava dalla sua morsa. Le cose si sarebbero fatte molto interessanti, da lì in avanti… non che prima fossero noiose… ma a quanto pareva, quello era il destino di quella villa e dei suoi abitanti.

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 Gli occhi blu di Suor Esthel erano il ritratto vivente dell’incredulità e del sospetto, mentre fissava Padre Havel, che, pur mantenendo la solita espressione gentile, cominciava a sentirsi a disagio.
 -Ehm … qualcosa non va, Esthel?- Chiese Abel, interrompendo momentaneamente il racconto. La suorina rossa scosse il capo, ma non cambiò espressione.
 -Nulla, Padre Nightroad. Solo che… Beh, non vorrei fare il Leòn della situazione… ma non ci vedo Padre Havel a perdere la pazienza a quel modo… e anche la Cardinalessa… chiedo scusa, Eminenza, Padre, ma è davvero dura credere che il racconto di Padre Nightroad sia su di voi…- La risposta causò uno scroscio di risa da parte di Know Faith e Catherina.
 -Forse le sembra che questa storia sia un poco inverosimile, Sorella Blanchett, visto che ci ha sempre conosciuto come siamo adesso…- Disse la Cardinalessa, una volta finito il momento d’ilarità. Il volto rilassato, mentre nel raccoglimento privato dell’infermeria abbandonava il peso del suo rango. A Esthel parve anche molto più giovane. E forse la sedicenne di cui Abel aveva parlato fino a quel momento, non era poi così lontana. Questo pensiero causò una risata spontanea nella rossa.
 -Oh, non tutta! La parte su Padre Nightroad era decisamente credibile…-
 -Sorella Esthel!!!- Esclamò oltraggiato il prete albino, mentre Havel e Catherina scoppiavano nuovamente a ridere.
 -Ammetto che la vicinanza con Padre Nightroad è stata una vera scuola per la mia pazienza …- Fece il prete moro, scuotendo il capo. Abel tentò di risollevare la propria dignità, esasperato dall’opinione che avevano di lui i suoi colleghi e amici.
 -Vaclav, ti ci metti anche tu?! Non ero così insopportabile!!!- Le iridi scure di Havel vennero attraversate da uno scintillio malizioso e divertito.
 -Vogliamo ricordare il giorno dopo il tuo ritorno? Quando abbiamo portato insieme a scuola Catherina?- Il prete occhialuto tentò ancora qualche debole protesta, ma oramai Padre Havel si era lanciato nel racconto.
 -Questo era un ricordo che preferivo evitare…- Mugolò sottovoce la Cardinalessa, sentita solo da Esthel, che, senza nascondere un sorriso, appoggiò il mento sulle mani, pronta ad ascoltare.

Fine File 05

 Chiedo scusa, avrei voluto inserire più cose in questo file, ma veniva troppo lungo, e l’ho diviso in due. Spero di riuscire a preparare il prossimo file al più presto …
 Ringrazio sempre The_Dark_Side che ormai è la mia commentatrice ufficiale!
 Grazie mille!!!

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