MEMORIES di WillowG (/viewuser.php?uid=33011)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** File 00 ***
Capitolo 2: *** File 01 ***
Capitolo 3: *** File 02 ***
Capitolo 4: *** File 03 ***
Capitolo 5: *** File 04 ***
Capitolo 6: *** File 05 ***
Capitolo 1 *** File 00 ***
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Questo è il prologo di una serie di one-shot sotto forma
di ricordi, riguardanti principalmente Catherina, Abel, Vaclav, William
e Kate prima della formazione dell’AX. Come si sono conosciuti, e
cosa li ha spinti a unirsi per crearla. Non ho letto i libri, e quello
che so su TB è grazie all’anime, al manga e ai siti
internet dedicati. Comunque per le mie fic mi baso sull’anime,
con qualche riferimento e spunto del manga. Questo prologo è
ambientato in un momento di pace prima del ciclo di Albion. Quindi
Noelle è morta, Eshtel non è regina, Abel non è
ancora partito con Ion, ma Seth, Ashta e Mirka sono personaggi
già conosciuti, dato che non so quando, ma li vorrei usare come
comparse.
- MEMORIES -
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La primavera stava lasciando spazio all’estate, a Roma. Ma
il clima era ancora mite, e non afoso, nonostante il sole scintillante
nel cielo terso. L’aria profumata portava occasionalmente il
canto di qualche uccellino. Nella fontana di Trevi l’acqua
sgorgava allegra. La gente per strada era tranquilla, e si dedicava con
calma alle sue faccende, senza pensare a Methuselah e associazioni
votate a distruggere il mondo. Eppure, nonostante la perfezione e la
pace di quella giornata, al Vaticano, una giovane suora non riusciva a
stare tranquilla.
Suor Esthel Blanchett fissava con apprensione la nuova invenzione
di Padre William Walter Wordsworth, deglutendo appena. Ma nulla era la
sua preoccupazione di fronte a Padre Leòn Garcia De Asturias,
che fissava il lavoro del “Professor” come se fosse stato
un serpente a sonagli. Un nuovo tipo di bracciali da combattimento, che
avrebbero dovuto sostituire quelli del prete ispanico.
-Padre Wordsworth? Scusi, ma … cosa avrebbero di diverso
questi bracciali, rispetto a quelli vecchi?- Domandò timidamente
la rossina, cercando di non usare un tono troppo sfiduciato. Il
professore non lo notò, o non vi fece caso, e sfoderando un
sorriso grondante d’orgoglio, prese una lunga boccata di fumo
dalla sua fedele pipa.
-Molte cose, mia cara Sorella. Tanto per cominciare, sono fatti
di una lega molto più leggera di quelli vecchi. Certo, sono
sempre composti perlopiù d’argento, o non sarebbero molto
efficaci contro i Vampiri, ma ora dovrebbero essere ancora più
robusti e resistenti.-
-E non esplodono, vero?- Domandò Leòn, osservando
scettico le sue nuove armi, senza osare avvicinarsi troppo.
-Ovviamente no!- Esclamò William, genuinamente stupito
dalla domanda. -Perché me lo chiedi?- Sia Leòn che Esthel
lo fissarono per un lungo istante. Alla fine il prete sbuffò,
seccato.
-Donna e uomo di poca fede! Solo perché ogni tanto faccio
qualche errore, non significa che tutte le mie invenzioni siano
pericolose!-
-”Ogni tanto”?!?- Fece l’ologramma di Sorella
Kate, apparendo dal nulla dietro all’inventore. Questi, per la
sorpresa perse per un istante la presa sulla propria pipa, che venne
però recuperata al volo, appena prima di toccare terra, grazie a
più che allenati riflessi -Padre Wordsworth, voglio sperare che,
per una volta, tu non abbia combinato uno dei tuoi soliti disastri!-
Sibilò l’ologramma, la lieve distorsione elettronica della
voce non riusciva a nascondere un ringhio d’avvertimento.
-Ma perché tutti pensano sempre il peggio delle mie
invenzioni?! E questa volta non è neppure
un’apparecchiatura elettronica! Solo sano metallo! Niente
circuiti, né polvere da sparo! Neppure olio motori!-
-Davvero? Allora posso provarli!- Fece Leòn, prendendo un
bracciale, e iniziando a farlo roteare, saggiandone il peso.
-Sì, certo, ma devi sapere che ho apportato anche un
piccolo meccanismo a press …- Aggiunse il professore, ma il
bracciale era già stato lanciato. Il sinistro rumore di uno
scatto rimbombò nell’aria, mentre un meccanismo faceva
uscire dal cerchio di metallo una serie di lame, trasformandolo in una
vera e propria sega circolare. Sfortuna volle che, proprio in quel
momento, entrasse Padre Vaclav Havel, con una pila di libri e documenti
sulle braccia.
-William, ti ho portato quei libri che mi avevi chiest …-
Padre Havel fece appena in tempo a piegarsi all’indietro, grazie
a riflessi pluricollaurdati, che l’anello di metallo andò
a sbattere contro la pila di libri che teneva in mano, infilzando
qualche foglio nella sua corsa, per poi piantarsi nello stipite della
porta. Per un lungo, pesante istante, tutto rimase fermo nel silenzio
più assoluto. Poi i presenti si riscossero, presi quasi dal
panico.
-Padre Havel! Tutto bene?!- Chiese Esthel, accorrendo assieme a
Kate da “Know Fate“, che, coricato a terra, fissava il
bracciale conficcato sopra la porta. Gli occhi scuri, di solito dal
taglio sottile, quasi a mandorla, tondi come due palle da tennis.
Poteva esserci la sua testa al posto di quei fogli …
-Vaclav! Vecchio mio, stai bene?- Accorse anche Wordsworth,
trafelato, la pipa, per una volta, dimenticata. Leòn subito
dietro.
-Chiedo scusa! È colpa del professore da strapazzo!!!-
-Come sarebbe a dire che è colpa mia?! Sei stato tu a
tirare!- Ringhiò Wordsworth risentito. Il prete ispanico
ribatté feroce.
-Ma sei stato tu a non avvertirmi che ai miei bracciali ci aveva
aggiunto delle lame rotanti a scatto!- William stava per ribattere a
sua volta, ma Vaclav si era tirato su a sedere con un grugnito.
-Accidenti, rischio di più la vita a venire in questa ala
del Vaticano che ad un raduno di Vampiri in preda alla Sete …-
-Tutto a posto, amico mio? Nulla di rotto, spero …- Chiese
preoccupato William, offrendo una mano al collega per tirarsi in piedi,
che accettò grato.
-Tranquillo, William. Solo qualche nuovo capello bianco e due o tre anni di vita in meno.-
-Sai Vaclav, a volte mi stupisco che tu non abbia lo stesso
colore di capelli di Abel …- Sospirò Sorella Scott,
visibilmente sollevata nel vedere Padre Havel alzarsi sulle sue gambe.
-Sorella Kate, a volte me ne stupisco anch’io …-
Fece il prete, sistemandosi le vesti. Poi, con espressione amareggiata,
adocchiò i libri che aveva portato, ora sparsi ovunque sul
pavimento. Molti erano suoi personali, e quelli che non lo erano
facevano parte delle biblioteche vaticane. E per ottenerli aveva dovuto
usare tutta la sua influenza di secondo della Cardinalessa Sforza.
-Ops! Tutti i suoi libri … le do una mano a raccoglierli,
Padre!- Si offrì subito Esthel, seguita da Leòn e
William. In fondo, la colpa per il piccolo disastro era soprattutto
loro, come aveva prontamente ricordato Kate con un ringhio.
Mentre raccoglieva da terra uno dei volumi più vecchi, la
giovane suora dai capelli rossi notò un foglio cadere dalle
pagine. Incuriosita, lo raccolse, scoprendo che il foglio altro non era
che una foto. I bordi ormai ingialliti, i colori non più
vivacissimi, doveva avere parecchi anni. Ma quello che davvero
attirò l’attenzione della rossina erano le persone
ritratte nell’immagine. Cinque in particolare attirarono la sua
attenzione. Al centro, una ragazzina in abito bianco dallo sguardo
deciso e boccoli dorati, era circondata a destra da un uomo dai lunghi
capelli scuri e la divisa da Inquisitore e da un altro elegantemente
vestito, cravatta e cilindro, con la pipa in bocca, mentre a partire da
sinistra, da una giovane suora bionda con l’abito azzurro e da
quello che sembrava …
-Padre Abel!?!?!- Esclamò Esthel, attirando su di
sé l’attenzione delle altre persone presenti nella stanza.
Arrossendo leggermente, la ragazza porse la foto a Padre Havel. -Err
… Scusatemi … Era in mezzo a un libro …- Vaclav
prese in mano la foto, curioso. Non appena riconobbe l’immagine,
l’uomo sorrise. Un sorriso dolce e malinconico allo stesso tempo,
come i ricordi più teneri e cari sanno far nascere.
-Erano anni che non vedevo questa foto …- William gli si
fece vicino per vedere a sua volta. Lo stesso sorriso apparve sulle
labbra del professore.
-La prima visita ufficiale di Catherina Sforza a Roma. E anche il primo incontro dei membri fondatori dell’AX.-
-Quanti anni, eh, Professor?- Sorrise Kate, svolazzando alle
spalle dei due uomini. Poi rimase in silenzio per un momento, gli occhi
velati, mentre riceveva una chiamata. -La Cardinalessa. Ha quasi finito
l’incontro con i Cardinali e gli ambasciatori. Ci vuole nel suo
ufficio appena possibile per un tè. Ha detto che ha
“bisogno di vedere persone che non le facciano venire tendenze
violente.”-
-Ok … allora io me ne vado … ho … dei
progetti che richiedono la mia attenzione …- Fece William,
indietreggiando. Leòn fece lo stesso.
-Stessa cosa qui … credo che se il Capo viene a sapere che
le abbiamo quasi ucciso il vice ci farà la pelle a me cha ad
Archimede Pitagorico qui … O, se è di buon umore, e non
lo è, ci licenzia solo, e a me rimanda nell’albergo con le
sbarre, fino alla fine della pena e senza sconti …-
-Avanti, non può essere così cattiva …- Fece
Eshtel, osservando con un’enorme gocciolone sul capo i due preti
rifugiatisi dietro la scrivania di Wordsworth.
-Oh, può essere anche peggio.- Fece Sorella Scott. -Ma mai
senza motivo!- Ringhiò, facendo rimpicciolire Leòn e
William. Cercando di ignorare il comportamento a dir poco infantile dei
due colleghi, Padre Havel aprì la porta, e fece educatamente
uscire per prima Esthel dall’ufficio.
-Cerchiamo di non far aspettare troppo Catherina, allora. Se
è già così di cattivo umore, non è saggio
farla aspettare.- Disse poi, rivolgendosi agli altri due preti, mentre
Kate svaniva a mezz’aria. Vaclav non poté trattenere un
sorriso divertito di fronte alle espressioni preoccupate dei due
colleghi, mentre si sbrigavano a lasciare il laboratorio/ufficio.
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-Mi chiedo che significato ha chiamarci tanto di fretta, se poi è proprio lei la prima a non esserci!-
-Leòn, datti una calmata. Catherina non poteva sapere che
Cardinal Francesco l’avrebbe chiamata all’improvviso.-
Sospirò Havel, seduto comodamente su una delle poltrone
dell’ufficio cardinalesco, mentre Dandelion sembrava deciso a
consumare il pavimento, a forza di andare avanti e indietro.
-Sono certa che alla Cardinalessa avrebbe fatto molto più
piacere essere qui con noi, che non con il Cardinale De Medici.-
Aggiunse Kate, osservando compiaciuta Eshtel sistemare su un tavolino
il necessario per accompagnare il tè.
-Credo sarebbe preferibile avere a che fare con una nidiata di
serpi velenose, che con il Carissimo Cardinale, di questi tempi.-
Commentò William, con una vena ironica impossibile da non
cogliere, mentre riempiva meticolosamente la sua pipa.
-Certo, se tu usassi così tanta cura anche nelle tue
invenzioni, forse non avrei il sistema antincendio in tilt un paio di
volte a settimana …- Fece, sarcastica ma non troppo, la suora
olografica, osservando il professore, intento a misurare la giusta
quantità di tabacco con cura perfezionista. -Ti prendo un
bilancino da oro, o riesci da solo?-
-Oh, no, grazie, ormai ho una certa esperienza e centro la dose
giusto di tabacco a occhi chius … oh, davvero divertente,
Sorella Kate. Davvero tanto.- Ringhiò risentito Swordsworth,
cogliendo finalmente l’ironia, notando le risate mal trattenute
degli altri membri del clero presenti. E borbottando, si ficcò
la sua pipa in bocca.
Improvvisamente a porta si aprì. Ogni testa si
voltò aspettandosi di vedere la figura in rosso della
Cardinalessa Sforza. Ma la persona che fece il suo ingresso aveva come
unica somiglianza con Catherina solo il colore dei capelli, biondi.
Hugue De Watteau, era sospettosamente in terra vaticana, l’abito
ancora impolverato per l’ultimo viaggio.
-Padre Hugue! Che sorpresa!- Salutò Kate, illuminandosi
(letteralmente) per la gioia. Il biondo spadaccino rispose al saluto
con un rispettoso cenno del capo.
-È bello rivederti, Padre Hugue. Ma come mai da queste
parti?- Chiese Havel, alzandosi assieme a William per salutare il
membro più girovago dell’AX. Per tutta risposta,
“Swordancer” sollevò da terra quello che sembrava un
sacco scuro che nessuno si era accorto stava trascinando.
-Ho trovato questo per strada …- Solo allora dal mucchio
di stoffe scure apparvero alla vista una chioma di capelli argentei e
occhiali da vista.
-Padre Abel!?!- Esclamò Eshtel, riconoscendo il prete. Un
mugolio moribondo fu la sola risposta che arrivò. Nella stanza
ci fu un piccolo tumulto, mentre tutti si precipitavano preoccupati a
constatare le condizioni di salute del Krusnik.
-Padre Nightroad, per favore, mi risponda, la prego … che
le hanno fatto? È ferito? La prego dica qualcosa …-
-S … sorella Eshtel …-
-Si, Padre? Le fa male da qualche parte? Si è ferito? Mi dica che possiamo fare per lei …-
-F … fame … ho … bisogno di c … cibo
… calo … zuccheri …- Un lungo momento di silenzio
allibito. Poi la stanza venne invasa dal rombo dello stomaco vuoto
dell’uomo. E tutta la preoccupazione di Sorella Eshtel,
svanì in una bolla di sapone, rimpiazzata da furia violenta per
la stupidità di Padre Abel. La giovane Blanchett tremò
violentemente per lo sforzo necessario a resistere alla tentazione di
tirare un pugno in testa al prete occhialuto. In fondo si trattava pur
sempre di un suo superiore. Ma Leòn non si pose alcun problema.
WHAK!!!
-Yeeeeeow! Padre Leòn, era proprio necessario!?-
Miracolosamente tornato alla vita, Abel scattò in piedi, pronto
a fronteggiare Dandelion.
-Zitto, quattrocchi!!! Sei grande e grosso, e ti comporti come un
moccioso!!!- Ribatté l’ispanico, tutt’altro che
intimorito.
-Ah, io sarei quello che si comporta come un moccioso?! Ma senti
da che pulpito, tu che corri dietro ad ogni sottana come un ragazzino
in pieno sviluppo ormonale!!!-
-Bambini! Ora basta!!!- Tuonò Sorella Kate, e molti dei
presenti avrebbero giurato che l’immagine della donna fosse
improvvisamente diventata più alta e intimidatoria di almeno una
quindicina di centimetri. Comunque, l’intervento
dell’ologramma terminò subito il battibecco tra i due
preti.
-Ha cominciato lui …- Pigolò Abel, puntando col dito Leòn, stile bimbo di sei anni.
-Te lo meritavi.- Sibilò il prete, incrociando le braccia
al petto con fare offeso. Sempre stile bimbo, ma di sette anni. Al
massimo. L’immagine di Kate vibrò di rabbia, indicando
quanto fosse imminente una sfuriata degna di essere ricordata. E solo
la presenza di Eshtel la stava trattenendo, dato che la giovane suora
era un’anima innocente, e non meritava di perdere l’uso dei
timpani per le due ore successive. Leggermente in disparte, Havel
iniziò a massaggiarsi le tempie, sentendo una forte emicrania in
arrivo.
-Perché a volte ho come l’impressione di essere in
un asilo, anziché nel bel mezzo del Vaticano?- Domandò,
senza rivolgersi a nessuno in particolare.
-E secondo voi, perché viaggio così tanto?-
Sbuffò Hugue, a voce bassa abbastanza da essere sentito solo da
Vaclav e William, che erano i più vicini allo spadaccino.
Wordsworth sorrise.
-Quantomeno con quei due non ci si annoia … e non si sente
il bisogno di paternità!- La porta si aprì di nuovo,
facendo finalmente entrare Lady Catherina e Padre Très. Alla
vista dell’espressione che la donna aveva in volto, sia
Leòn che Abel s’immobilizzarono come due statue: la donna
in rosso aveva lo sguardo più glaciale che poteva sfoggiare, le
sottili ed eleganti sopracciglia aggrottate in un’espressione a
cui mancava solo il suono di sottofondo di un ruggito. Persino
Très, di solito l’ombra della Cardinalessa, la seguiva a
qualche passo di distanza, il suo programma di autoconservazione aveva
colto il pericolo, e lo costringeva a mantenere una distanza di
sicurezza.
In perfetto stile Mosè che apre le acque del Nilo, i preti
e le suore dell’AX si scansarono per lasciar passare Catherina,
risultando in due file perfette. Tirando fuori tutto il coraggio che
aveva in corpo, e ricordandosi che la furia in rosso era la sua vecchia
amica, e non una tigre pronta a sbranarlo, Vaclav fece un passo in
avanti, e con un leggero inchino salutò educatamente la donna.
-Cardinalessa …- Per un istante, le iridi furiose si
posarono sull’ex inquisitore, che si trovò a sudare
freddo. Poi, con enorme sollievo del prete, Catherina emise un lungo,
sofferto sospiro, e perse la sua espressione feroce, che venne
sostituita da un lieve sorriso.
-Vaclav.- Salutò a sua volta, per poi rivolgersi agli
altri preti e suore presenti. -Sorella Eshtel. Kate. William.
Leòn. Hugue. Abel.- Ad ogni nome un cenno del capo, a cui ognuno
rispose con un breve inchino. -Perdonatemi per avervi fatto aspettare.
I soliti impegni imprevisti.- E per un istante l’espressione
della donna tornò accigliata al ricordo dell’incontro con
Francesco, ma si rilassò quasi subito. Ora era in compagnia dei
suoi sottoposti e collaboratori, dei suoi amici. Delle uniche persone
con cui poteva, se non essere sé stessa, almeno lasciare per un
po’ in un armadio buona parte delle ristrettezze del suo ruolo.
Il tè venne versato in un istante, contornato da dolci che
vennero subito spazzolati da Abel, con somma rabbia di Leòn.
Catherina chiacchierava allegramente con Esthel e William, mentre Kate
e Vaclav ascoltavano il resoconto dell’ultimo viaggio di Hugue.
Très invece approfittava del momento di calma per ricaricare le
batterie e fare una scansione del suo sistema.
Troppo presto, alla porta bussò Padre Pietro Orsini, con
la notizia di un incontro per la Cardinalessa Sforza con alcuni
vescovi. Lo sguardo che la donna lanciò al Cavaliere della
Distruzione lo fece quasi rintanare nella sua armatura in stile
tartaruga, ma alfine, Catherina doveva lasciare nuovamente i suoi
agenti.
-La accompagno?- Chiese Vaclav, senza nascondere una certa preoccupazione.
-No, Vaclav, ti ringrazio. Basterà Padre Très.- Al
sentire nominare il proprio nome, il cyborg si affiancò alla
Cardinalessa. Notando che l’espressione preoccupata del prete dai
capelli scuri, però, non era cambiata, Catherina sorrise.
-Tranquillo. Très sarà presente solo come guardia del
corpo. Non come arma. Promesso.- Ora lo sguardo preoccupato ce
l’aveva Pietro, ma il buon Padre Orsini non proferì
parola. Con un ultimo saluto ai suoi preti e suore, la giovane donna
uscì dalla stanza, seguita diligentemente dal fedele Très
e da Pietro. Non appena la porta si chiuse alle spalle
dell’inquisitore, Leòn si lasciò sprofondare sulla
comoda poltrona, esasperato.
-E così il Capo viene di nuovo chiamato al dovere. Non
credo che la gente possa sapere a quanto stress vada incontro quella
donna.-
-Non la invidio.- Sospirò William, preparando nuovamente
la pipa. -Solo dover stare ad ascoltare un incontro con Francesco
è già dura. Parteciparvi è pura tortura, e
concedetemi la rima.-
-Concessa, Professor!- Rise l’ispanico, per poi tornare
serio. -Certo che ci vuole proprio Très a sopportare tanto a
lungo gli incontri della Cardinalessa.-
-Non credo che ci riuscirebbe, se non fosse una macchina.-
Aggiunse Hugue, rabbrividendo al solo pensiero di un incontro
diplomatico. Troppe parole, per i suoi gusti. Se c’era una cosa
che ammirava del suo capo, era la pazienza che la donna riusciva a
tirare fuori durante quei lunghi ed estenuanti incontri, dove
lunghissimi discorsi, spesso non portavano a nulla.
-Essere la guardia del corpo della Cardinalessa Sforza è dura.- Ammise Padre Havel. Abel annuì.
-Già. E noi due parliamo per esperienza.-
-In che senso? Avete già fatto da guardia del corpo per la Cardinalessa?- Chiese Esthel.
-Sì, prima della creazione dell’AX, sono stato per
qualche tempo la guardia del corpo della Cardinalessa con Abel. Anche
se allora non era ancora Cardinalessa. Era solo Duchessa di Milano.
Venne investita del ruolo di Cardinale qualche anno dopo il nostro
primo incontro. Poi, fino a quando non è arrivato Très,
mi sono sempre occupato da solo della sicurezza di Catherina, dato che
Abel era spesso in missione fuori Roma. Padre Iqs è stato una
benedizione. Sapere che qualcuno era al fianco della Cardinalessa
quando ero in missione, mi ha tolto molte preoccupazioni.-
-Oh. Allora voi e la Cardinalessa Sforza vi conoscete davvero da
molto tempo!- Esclamò Esthel, trovando conferma di quello che
alcune chiacchiere di corridoio le avevano riportato. Ovvero la lunga
amicizia tra la Cardinalessa Sforza e Padre Havel. Del rapporto tra
Abel e Catherina sapeva già, era stato Know Faith stesso a
dirglielo.
-Sì. In effetti …- Vaclav fece passare lo sguardo
tra i presenti nella stanza. -Si può dire che, a parte Padre
Nightroad, sono l‘agente dell‘AX che conosce Catherina da
più tempo.- Abel annuì, sorridendo. Suor Blanchett
batté la palpebre per la sorpresa. Per lei erano tutte
rivelazioni. Poi si rivolse di nuovo a Know Faith.
-E come vi siete conosciuti? Immagino che siate andati subito
d’accordo …- Vaclav esplose in una risata, accompagnato da
Abel, che dovette tenersi gli occhiali per non perderli dalla furia
dell’attacco d’ilarità. La reazione dei due preti
fece rimanere la giovane suora con gli occhi quasi fuori dalle orbite.
-Nulla di più sbagliato, Sorella Blanchett!-
-Ma … Ma come! Senza offese, Padre Havel, ma voi e la
Cardinalessa siete quasi sempre insieme, e siete molto amici.
Com’è possibile?-
Havel e Nigthroad si ripresero dalle risa, giusto in tempo per
guardarsi in volto. E ricominciare a ridere, per l’irritazione di
Esthel, che cominciava a credere seriamente che il tè di Kate
fosse fatto con foglioline ben diverse da quelle classiche. Anche Hugue
e Leòn apparivano piuttosto confusi. Ma perché non
avevano mai visto Vaclav ridere così tanto. Kate e William
sorridevano, conoscendo già la storia.
-Vede, Sorella Esthel …- Cominciò Know Faith,
trattenendo con molta fatica un nuovo scroscio di risa. -Mi era stato
affidato il compito di fare temporaneamente da guardia del corpo alla
giovane Duchessa di Milano al posto di Abel. Il fatto è che le
sono stato assegnato in un momento … particolare.- Abel
annuì, e continuò il discorso, ora decisamente più
serio.
-Vedi, Esthel … Catherina aveva perso da un tempo
relativamente breve la madre. Aveva assistito all’uccisione di
buona parte della sua famiglia solo alcuni anni prima. Si era ripresa
davvero da poco tempo, e credo che, all’epoca, io fossi il suo
unico confidente e amico, oltre che guardia del corpo. Poi sono dovuto
andare in missione, e Vaclav le è stato assegnato come scorta al
mio posto.-
-E immagino che non l’abbia presa molto bene.- Fece la
rossina, iniziando finalmente a capire, mentre dentro di sé
sentiva crescere una nuova forma di rispetto per la Cardinalessa
Sforza. Anche lei aveva perso la madre in modo violento. In questo, in
fondo, non erano diverse. Anche se la donna aveva perso la sua in
più tenera età.
-Dire che non l’ha presa bene, è minimizzare la
cosa.- Sbuffò Havel, prendendo una sorsata di tè. Poi si
passò una mano tra i folti capelli bruni, borbottando ai
ricordi. -La giovane Duchessa di Milano me ne ha fatte passare davvero
di ogni colore …- Abel rise ai ricordi.
-Di certo non è stato un periodo noioso …- Gli
occhi scuri fissarono accusatori il prete occhialuto, seppur con uno
scintillio scherzoso.
-Incolpo te di tutta la sofferenza che ho subito in quei giorni!- Abel roteò gli occhi al cielo.
-Quanto sei melodrammatico! Non è andata poi così
male, visto come si è evoluta la cosa tra te e Catherina! E poi,
io che colpa ne avevo? Mica potevo disobbedire al Papa!!!-
-Ma che cosa è successo di preciso? Scusate, ma non tutti
i presenti erano già nell’AX ai tempi …-
S’intromise Leòn, decisamente curioso.
-Oh, parliamo di qualche anno prima della creazione
dell’AX.- Rise Wordsworth, sostituendo la tazza di tè con
la pipa. -Per essere precisi, di pochi mesi prima che questa foto
venisse scattata.- Disse, prendendo in mano la foto trovata da Esthel
quello stesso giorno. Leòn diede una lunga occhiata.
-Però … quattrocchi è tale e quale a adesso
… La Grande Capa sembra una bambolina … e chi se
immaginava che diventasse la donna dal pugno di ferro che è ora
… urg, Prof, sei più inglese di Sherlock Holmes …
Sorella Scott … Sei un vero schianto, Baby!- Fece, lanciando un
sorriso da Casanova all’ologramma e un occhiolino inequivocabile.
-Bhe, grazie mille, Dandelion.- Arrossì di rimando Kate,
lusingata. Un mugolio rassegnato venne dagli altri suore e preti
presenti. Soddisfatto, l’ispanico tornò alla foto.
-Quelli attorno non li riconosco … ma questo stangone qui
con la divisa da Inquisitore … mi pare di averlo già
visto …-
-A-ehm.- Un paio di colpi di tosse arrivarono dalla poltrona di Havel.
-Fa vedere …- Fece Hugue, incuriosito a sua volta dalla
foto. -… che espressione impassibile … proprio da
Inquisitore.- Un sopracciglio di Valcav iniziò a fare qualche
tic nervoso, mentre Abel e William si nascondevano dietro la loro tazza
di tè, nel tentativo mal riuscito di nascondere le risa
trattenute a stento.
-Eppure ha un che di familiare … come se lo conoscessi
…- Continuò Hugue. Leòn annuì vigorosamente.
-La mia stessa sensazione.-
-Beh, i preti della Santa Inquisizione si assomigliano un
po’ tutti. Magari è per quello …- Continuò
il biondo. Un nuovo colpo di tosse, più potente, arrivò
da Havel, mentre William e Abel si sganasciavano senza ritegno.
-A.EHM!-
-’clav, hai mica mal di gola?- Domandò Dandelion
alzando gli occhi dalla foto, trovandosi davanti le due sottili schegge
di ebano che erano diventati gli occhi di Vaclav. Raramente Padre
Garcia De Asturias aveva visto Havel combattere. Ma quel poco gli era
bastato per capire che non era il caso di far arrabbiare il prete. E
dal modo in cui quelle iridi scurissime lo stavano trapassando da parte
a parte, doveva esserci molto vicino.
-Ehm … Padre Havel? Potrebbe smettere di fissarmi in quel modo? È piuttosto inquietante …-
-Davvero? Me lo avranno insegnato all’Inquisizione
…- La bocca di Leòn rimase aperta in una “O”
muta, mentre gli ingranaggi cominciavano a girare. Hugue fece un grosso
sforzo per restare impassibile, ma dovette comunque deglutire a vuoto,
mentre tirava una gomitata a Leòn, lanciandogli
un’occhiata che urlava “Dì qualcosa!”
-’clav, il rosso ti dona.- Hugue si batté una mano
sul volto, esasperato. Perché? Che male aveva fatto per
meritarsi un compagno di squadra come Dandelion? Abel intanto stava per
cadere dalla poltrona, ridendo senza remore, in compagnia di Wiliam,
che non si rotolava solo per l’incolumità della sua pipa.
Know Faith spostò il suo sguardo feroce sui due colleghi
più anziani, per il sollievo di Dandelion e Swordancer.
-Non te la prendere Vaclav.- Fece Wordsworth, fermandosi quel poco da poter prendere una boccata di fumo.
-Già. È … è la barba …
confonde …- Aggiunse il prete occhialuto. E di nuovo
scoppiò in una risata peggiore della prima.
-Begli amici che siete …- Sibilò Padre Havel, mantenendo lo sguardo truce.
-Scherzi, a parte, ‘clav …- Cambiò argomento
Leòn. -Non ricordo che tu ci abbia mai detto di essere stato
nelle fila dei “francescani”.- Fece, riferendosi
all’Inquisizione, sotto gli ordini del Cardinale Francesco.
Vaclav, lasciando la maschera feroce, fece un’alzata di spalle.
-Probabilmente non è mai venuto fuori l’argomento.
Ho lasciato l’Inquisizione non appena si è deciso di
fondare l’AX. È stato parecchio tempo fa.- E i ricordi che
aveva con addosso la divisa rossa non erano dei migliori. Ma non era il
caso che gli altri lo sapessero.
-Dunque era nell’Inquisizione, quando è stato
mandato a fare da guardia del corpo alla Cardinalessa?- Chiese Esthel,
sorseggiando una tazza di tè che Kate le aveva gentilmente
riempito. Vaclav annuì.
-Già. Credo di essere stato uno dei primi ordini dati dal
Cardinal Francesco. Era appena stato investito della carica, e so che
aveva insistito non poco, perché fosse mandato uno dei suoi
uomini a scortare la sorella.-
-Diciamo a controllare ogni suo movimento.- Sbuffò Abel, a cui il fatto rodeva ancora.
-Probabilmente.- Annuì Padre Havel, versandosi altro
tè. -Ma credo sia stato più un dispetto da fratello
maggiore alla sorella minore. Catherina detestava gli Inquisitori.
E poi all’epoca era troppo giovane per essere un pensiero
politico per lui. Aveva ancora da completare gli studi, e non aveva
ancora iniziato il noviziato.-
-Umh … mi sa che hai ragione.- Mormorò Nigthroad,
poco dopo. -Non ho pensato con l’epoca dei fatti. Sono troppo
abituato alla situazione attuale che c‘è tra quei due
…-
-Uguale a quella che c’era allora. Solo che adesso hanno
entrambi i vestimenti da Cardinale. Sono convinto che anche senza la
politica di mezzo, quei due sarebbero alla gola l’uno
dell’altra comunque.- Fece Kate, fluttuando tra Abel e Vaclav.
-Ora, dato che dobbiamo di nuovo aspettare che la Cardinalessa riesca a
liberarsi, perché non ci racconti come si deve il tuo primo
incontro con la Duchessa di Milano, Vaclav?-
-E perché no?- Sospirò il prete, internamente
felice di ripercorrere quei ricordi. -Allora, erano pochi mesi prima
dello scatto di questa foto …-
Fine File 00
La foto a cui faccio riferimento è un’immagine che
ho visto su internet, credo un’immagine dell’artbook, che
rappresenta appunto, una giovane Catherina con Abel, Kate con
l’abito blu da novizia, William con cilindro e abito bianco, e
Vaclav con l’abito da Inquisitore rosso e senza barba. In giro ci
sono altri personaggi sconosciuti, e sullo sfondo il colonnato di San
Pietro. L’idea per questa serie di one shot è venuta
proprio da questa immagine. Ho già pronto l’incontro (non
esattamente idilliaco) tra Vaclav e Catherina, devo solo fare qualche
piccolo controllo, ma domani parto per le vacanze, e lo posterò
non appena torno. Nel frattempo, se mi lascerete qualche commento, mi
fareste un favore. ^^ accetto tutto, non sono schizzinosa. Commenti,
suggerimenti, critiche.
Saluti
Will
|
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Capitolo 2 *** File 01 ***
01
Una piccola spiegazione prima di iniziare a leggere: forse i
personaggi saranno un po’ fuori canone, ma spero non troppo.
Teniamo conto che siamo a quasi dieci anni prima delle vicende
dell’anime, e sono tutti molto più giovani. Secondo i miei
calcoli, per nulla precisi, Catherina è una ragazza di circa
sedici anni, con un trauma alle spalle, molto sola, e con gli schizzi e
l’esuberanza dell’età, senza contare
l’ambiente molto rigido e snob in cui vive. Ora, conoscendo il
carattere forte che ha da adulta, non credo che sarebbe una ragazzina
frivola e oca. Ma ho immaginato che già avesse la tendenza ad
essere ferma nelle sue convinzioni, per non dire testarda. Ha comunque
ancora molto da maturare.
Vaclav dovrebbe essere ventenne o poco più.
Nell’anime è un personaggio calmo e riflessivo, ma per la
mia fic l’ho pensato fresco di caserma (o qualunque altro luogo
in cui vanno i preti guerrieri a fare noviziato) un po’ inesperto
e con qualche schizzo anche lui.
Abel … bhe, ha dieci anni in meno … su novecento
… è tale e quale al solito. Cambia solo che ha quasi solo
Catherina e la sua famiglia come punti di riferimento.
File 01
- BODYGUARD -
-Sarà solo per un paio di mesi!- Disse un giovane uomo
molto alto con occhiali e particolari capelli color argento ad una
ragazza sui quindici anni, decisamente più bassa, ma
dall’aria estremamente battagliera.
-SOLO un paio di mesi?! Hai idea di quanto tempo sia, Abel?!?-
L’alto uomo dai capelli argentei fece qualche passo indietro di
fronte alla ragazzina, i cui occhi chiari sembravano sul punto di
mandare scintille.
-Ma Catherina, non posso farci nulla, lo sai! Non posso
disobbedire ad un ordine del Santo Padre!- La giovane scosse il capo,
facendo danzare i riccioli biondi. Un’aura d’autorevolezza
pareva come avvolgerla, mentre avanzava verso l’uomo, restaurando
la distanza originaria.
-Lo so bene, ma potevi almeno impedirgli di mettermi una nuova
guardia del corpo! Lo sai benissimo che non ne voglio! Non ne ho
bisogno, tu mi basti e avanzi!-
-Ma io dovrò assentarmi per il tempo della missione
… Non ci sarò a proteggerti!- Catherina Sforza, la
giovane Duchessa di Milano, infischiandosene dei modi signorili, si
morse il labbro inferiore e spostò lo sguardo sul pavimento. Il
giovane corpo scosso da brividi di pura furia.
-Non è giusto. Non voglio una nuova guardia del corpo!
Soprattutto una di quelle teste calde agli ordini di mio fratello
Francesco!- Abel cercò di sorridere, incoraggiante.
-Suvvia non tutti i membri dell’Inquisizione sono dei pazzi
sanguinari …- Un’occhiata raggelante della giovane Sforza
minacciò di trapassarlo come un proiettile. -Ok, la maggior
parte lo è, ma guarda il lato positivo. Sarà solo per
poco tempo. Non appena avrò terminato la missione per il Papa,
sarò nuovamente al tuo fianco, e l’uomo di Francesco se ne
tornerà a Roma così velocemente da non avere il tempo di
dire “addio, Duchessa di Milano”.- Un lievissimo sorriso si
disegnò sulle labbra della giovane, finalmente, facendo apparire
tutta la sua giovinezza.
-È una promessa, Abel?-
-Ma certo …- Con un colpo di tosse, l’autista della
casa, un uomo d’età con vistosi baffi grigi, fece notare
la propria presenza.
-Signor Nightroad … L’auto la aspetta.-
-Molto bene, Carlo.- Fece l’uomo occhialuto, per poi
rivolgersi di nuovo alla ragazza. -Allora a presto, Duchessa! E mi
raccomando. Prometti che mi aspetterai.-
-Promesso. A presto, Abel …- Catherina seguì con lo
sguardo l’automobile sparire nella strada, lasciando dietro di
sé una sottile scia di fumo e polvere. In realtà la cosa
non era ancora stata digerita. Aveva deciso di lasciare andare via Abel
con un sorriso, per non dare altri sensi di colpa al prete, ma il suo
animo era tutt’altro che sereno. Era. Letteralmente. Furiosa. Non
solo suo padre aveva fatto mandare il suo fratellino Alessando a
Sondrio a respirare aria pura, indispensabile per la sua salute
cagionevole, lasciandola sola. Ma adesso si era preso Abel, la SUA
guardia del corpo, l’angelo che aveva promesso di proteggere LEI
e gli esseri umani. E ciliegina sulla torta, le mandava come sostituto
un inquisitore. E lei non poteva far altro che aspettare. Come
promesso. Una lampadina si accese sotto la massa di capelli biondi. E
un sorriso inquietante prese il posto di quello falso e rassicurante
con cui aveva salutato Abel. Lei aveva promesso che avrebbe aspettato.
Non che sarebbe stata brava …
-----
-Eccoci arrivati, Padre.- Disse il tassista, svegliando il suo
passeggero dal torpore in cui era caduto. Spalancando di colpo gli
occhi scuri, il giovane prete si sistemò il rigido colletto con
croce della divisa da sacerdote errante. Un gesto superfluo, visto che
era abituato a quello ben più ingombrante della divisa rossa da
Inquisitore.
-È questa la villa della famiglia Sforza?- Chiese
guardando fuori dal finestrino, curioso. Il tassista annuì.
-Esattamente. Bella vista, eh?- L’Inquisitore non
poté non essere d’accordo: le linee dell’enorme
palazzo neoclassico si stagliavano su un vasto parco, in parte composto
da prati dall’erba curata e ben tagliata, ma in maggioranza da
boschi puliti e ombrosi. Subito la sua deformazione professionale di
militare decise che pattugliare e rendere sicuro un parco del genere
sarebbe stato un problema. Soprattutto da solo. Poteva solo sperare che
la Duchessa, la cui protezione gli era stata affidata, non fosse
un’amante del verde e delle passeggiate.
Ringraziando educatamente, il prete pagò la corsa, e prese il suo bagaglio.
-Avete solo quello, Padre?- Chiese il tassista, indicando il
borsone da viaggio che il giovane si era messo su una spalla. Questi
sorrise, spostandosi una ciocca di lunghi capelli scuri dagli occhi.
-Sì, nient’altro. Starò qui poco tempo.- O
almeno così sperava. Non aveva mai amato molto quel genere di
incarichi. E l’unico motivo per cui aveva accettato di venire a
Milano a fare la guardia del corpo, era perché l’incarico
veniva direttamente dal suo superiore, e non poteva disobbedire ad un
ordine diretto del seppur giovane Cardinale Francesco. Di certo il
motivo per cui ci era stato mandato lui, direttamente dalla Boemia, con
tutti gli Inquisitori presenti a Roma, era da cercarsi nei suoi
superiori. Non era mistero che il giovane prete fosse da tempo una
spina nel fianco per gli Inquisitori boemi di alto rango. Troppo ligio
al dovere, anche quando le inchieste finivano per arrivare a persone un
po’ troppo influenti.
Con un sospiro, si lasciò alle spalle i propri problemi, e
raggiunse in pochi passi il grande cancello in ferro battuto. Suonando
rispettosamente al campanello, venne accolto da una voce femminile.
-Sì? Che è?-
-Padre Vaclav Havel della Santa Inquisizione, Signora.
Aspettavate il mio arrivo.- Ci fu un momento di silenzio,
dall’altro lato del citofono. Un piccolo schermo prese vita
accanto alla telecamera di sicurezza sistemata appena sopra il
campanello. Il volto di quella che presumibilmente doveva essere la
governante, fissò sospettosa il prete.
-Non avete la divisa ufficiale.- Vaclav trattenne a stento un
sospiro. Aveva idea la gente di quanto fosse scomoda e vistosa quella
roba?
-Mi è stato detto che il mio arrivo non doveva dare
nell’occhio. Una divisa da Inquisitore incute rispetto e timore,
ma non favorisce la segretezza.- Il volto sullo schermo sembrò
soppesare la risposta. Poi la voce femminile riprese.
-Certo. Ha ragione. Aspetti che si apra il cancello. Mando subito
qualcuno ad accompagnarla alla villa.- Con un suono meccanico, il
cancello iniziò ad aprirsi quel tanto da far entrare il prete.
-----
All’inizio, girare per il giardino della villa le era parso
una buona idea. Era un’attività che l’aveva sempre
rilassata. Ma, stavolta, Catherina non riuscì a trovare nulla di
rilassante nella sua passeggiata. Neppure la compagnia di Nerone e
Attila, i due grossi mastini da guardia che la accompagnavano, riusciva
a tirarle su il morale. Ogni minima voglia di scaricare tutta la sua
frustrazione sulla guardia che sarebbe arrivata di lì a poco era
già scemata. Vendicarsi su una persona che stava solo facendo il
suo lavoro sarebbe stato solo infantile ed inutile. Non le avrebbe
riportato Abel.
Osservò con una punta di senso di colpa i due grossi cani
annusare ogni foglia con cui veniva in contatto il loro naso, le code
sottili sventolanti come bandiere. Non li portava spesso in giro. Era
qualcosa che di solito faceva il custode, e solo la sera, quando faceva
la ronda alla ricerca di tracce di possibili ladri intenti ad
infiltrarsi nella tenuta.
La giovane sbuffò, e, poco signorilmente, strappò
un filo d’erba e se lo ficcò tra le labbra. Abel le
mancava terribilmente. I suoi modi di fare, così buffi, le
mettevano sempre allegria, anche quando il comportamento infantile del
prete la faceva innervosire. Quantomeno, riusciva a farle ignorare
altre emozioni. Tristezza. Angoscia. Solitudine. Dolore. Tutte legate a
quella notte, dove aveva ricevuto allo stesso tempo, maledizione e
salvezza. I Methuselah avevano ucciso sua madre. Ma aveva anche trovato
Abel. La mano sottile si strinse attorno al crocifisso che teneva al
collo. Il Signore dà e il Signore prende. Una frase che sua
madre le ripeteva spesso.
Il ruggito dei cani la tirò fuori dalle sue riflessioni.
Il cancello principale era a pochi metri, ormai, e si stava aprendo per
far entrare una persona. Rapida, aggrappò i collari dei due
mastini, cercando di trattenerli come meglio poteva.
-Nerone! Attila! Cuccia belli!- Le due bestie ubbidirono di
malavoglia. I corpi muscolosi frementi, mentre dalle gole usciva un
ringhio sommesso e continuo. Catherina aggiustò la presa sui
collari. Sapeva bene che, se avesse perso la presa, a nulla sarebbero
valsi i suoi ordini, e il nuovo venuto avrebbe dovuto pregare di avere
gambe molto veloci. Solo quando i due cani accettarono di stare seduti,
la giovane Sforza si permise di studiare l‘estraneo, un uomo con
l‘abito nero da prete. E il suo primo pensiero, fu che il tipo
era alto quanto Abel. Ma lì finivano le similitudini. Occhi dal
taglio sottile, così scuri da rendere difficile la distinzione
tra iride e pupilla, lunghi capelli dello stesso colore, mossi come il
mare in tempesta. I tratti del viso erano affilati, quasi spigolosi. Le
labbra una linea sottile e severa. Un volto che non faceva fatica ad
intimidire chicchessia. Ma la sorpresa fu enorme quando quella bocca si
piegò in un sorriso, facendo letteralmente sciogliere la
freddezza dell’intero volto. Gli occhi sottili erano caldi, e il
viso, seppur spigoloso, emanava gentilezza. Era giovane.
Vent’anni o poco di più. La divisa scura da prete errante
sembrava assottigliare e allungare ulteriormente la figura già
longilinea. Il prete si esibì in un educato inchino di saluto,
per poi presentarsi con educazione.
-Milady. Sono Padre Vaclav Havel dell‘Inquisizione. Sono
stato inviato qui per la protezione della Duchessa Catherina Sforza.-
Presa alla sprovvista, la giovane Sforza ci mise qualche secondo, prima
di rispondere all‘inchino, per quanto impacciata nei movimenti
dai mastini. E dunque questo era la sua nuova guardia del corpo? Doveva
ammetterlo. Per una volta, suo fratello Francesco non aveva avuto
troppo cattivo gusto. Almeno il prete era civile, e non appariva un
guerrafondaio assetato di sangue, come la maggioranza degli uomini
dell’Inquisizione.
-Sono io.- Sorrise timidamente la ragazza. -Non sembrate un Inquisitore.-
-Immagino sia la mancanza di divisa e di cattivo umore.- La
battuta strappò una leggera risata alla Sforza. Sì,
decisamente il prete non era tanto male. Forse, questi due mesi di
assenza di Abel non sarebbero stati poi così terribili …
Vaclav non riuscì a togliersi il sorriso dalle labbra. Il
suo nuovo incarico era dunque questa graziosa ragazzina? Certo, era
molto giovane. Più di quanto si aspettasse. Da come gliene
avevano parlato, si aspettava una donna già fatta. Invece la
Duchessa appariva appena uscita dagli anni dell’infanzia, e in
piena adolescenza. Vederla trattenere goffamente con tutte le sue forze
i due grossi cani, poi, gli stava facendo nascere un moto di simpatia
per la giovane. Già poteva vedere che non era il solito genere
di ragazza schizzinosa e viziata, come già si aspettava, visto
il potere della famiglia a cui apparteneva. Inchinandosi nuovamente,
disse:
-Mi permetta di dirle che è un vero onore essere al vostro
servizio, Duchessina Sforza.- Come le parole gli lasciarono la punta
della lingua, sapeva di aver fatto un errore. Il viso fanciullesco
della ragazza era stato attraversato da un’espressione di pura
ferocia. Ma, soprattutto, le guance pallide si erano tinte di un rosso
accesso, di certo non dato dall’imbarazzo. Le esili mani che
tenevano i collari dei cani tremarono leggermente, mentre le nocche
sbiancavano.
La mente di Catherina era in subbuglio. Duchessina? Duchessina???
Ormai aveva sedici anni!!! Come si permetteva quel cappuccio rosso
dell’Inquisizione di chiamarla così? Rimangiandosi ogni
buona cosa che poteva aver pensato del prete, la ragazza lasciò
andare i collari di Attila e Nerone.
-Ops! Mi sono scappati …- Cinguettò, innocente. Fu
con estrema soddisfazione che vide gli occhi sottili
dell’Inquisitore diventare due sfere scure, mentre i cani
arrancavano, quasi storditi dell’improvvisa libertà, ma
pronti a fare ciò per cui erano addestrati con quello che per
loro era a tutti gli effetti un intruso.
-----
Carlo era stato autista e custode per anni nella famiglia Sforza.
Aveva vissuto con i suoi datori di lavoro gioie e dolori. Negli ultimi
anni, più dolori che gioie. L’ultimo accompagnare quella
mattina il buon Abel, guardia del corpo della Duchessa. La tristezza
era stata parte dell’aria che si respirava all’interno
dell’auto, mentre accompagnava il prete alla stazione. Sarebbe
stato difficile vedere sorridere la Signorina, nei due mesi a venire.
Aveva appena parcheggiato l’auto, quando la governante, la
Signora Beatrice, gli aveva chiesto di andare a prendere al cancello il
sostituto di Padre Nightroad. Al vecchio uomo erano venuti brividi di
rabbia. Il motore della macchina che aveva portato il buon Abel non si
era ancora raffreddato, e già l’Inquisitore era arrivato.
Ma accogliere la gente era uno dei suoi compiti, e dopo anni di onorato
servizio, non intendeva di certo mancare ai propri doveri oggi. Perso a
borbottare tra sé e sé sull’ingiustizia della vita,
e sulle sue ginocchia doloranti per l’età, si accorse
dell’abbaiare dei cani solo quando fu molto vicino al cancello.
Eh, il vecchio Carlo ne aveva viste tante, nella sua vita. Ma
quasi non credette ai suoi occhi, quando la scena gli si parò
davanti. Negli anni ne aveva viste tante. Di ogni colore. Ma questa
…
Un giovane prete avvinghiato alla parte più alta del
cancello stava lanciando insulti in lingua straniera a Nerone e Attila,
che rispondevano abbaiando e mostrando i canini. E la giovane Catherina
che si allontanava con un sorriso soddisfatto sulle labbra, camminando
verso la villa fiera come un guerriero dopo una battaglia. Al vecchio
custode gli ci volle del bello e del buono per ammansire i cani quel
tanto da far scendere il prete. E anche dopo, il nuovo arrivato
rischiò più volte di essere azzannato dalle due belve,
prima di arrivare alla villa, dove due giovani servitori li presero in
custodia per riportarli al canile. Eppure, nessuna lamentela venne
fuori dalle labbra del giovane uomo. Anzi. Una volta arrivati davanti
al portone dell’edificio, e senza i due cani ad attentare alla
sua vita, il prete fece un leggero inchino, sorprendendo
l’anziano custode.
-Volevo ringraziarla per l’aiuto. Sono Padre Vaclav Havel.
Mandato dal Cardinale Francesco per occuparmi della sicurezza della
Duchessa.- E detto questo, tese amichevolmente la mano
all’anziano, che per lo stupore quasi dimenticò di
rispondere al gesto. E questo sarebbe stato una di quelle canaglie al
soldo di Francesco?! E lui che pensava che fossero solo educati a
combattere e pregare.
-Carlo. Autista e custode della famiglia Sforza.- L’Inquisitore sorrise, gentile quanto le sue maniere.
-Un piacere conoscerla, Sognor Carlo.-
-Dammi del tu. E chiamami solo Carlo. Sarò anche vecchio,
ma non sono un pezzo grosso.- Rise il custode accarezzandosi i baffi.
Il prete rispose al sorriso.
-Molto bene, Carlo.- Poi lanciò un’occhiata allo
stemma degli Sforza appeso al grande portone. Un sofferto sospiro
svuotò i polmoni di Vaclav, ricordando come era terminato
l‘incontro con il suo nuovo incarico. -Credo proprio di aver
cominciato male.- La bocca rugosa del vecchio si piegò in un
mezzo sorriso, mentre cominciava a pensare che, forse, quel ragazzo li
stava simpatico. E qualcosa di buono poteva uscire anche da questa
storia.
-----
-Questa te la sei inventata!- Esclamò Leòn, lanciando un’occhiata accusatrice a Vaclav.
-Affatto.- Sospirò il’ex Inquisitore, portandosi
alle labbra la sua tazza. Il prete ispanico si passò una mano
tra i folti ricci scuri, i nervi messi alla prova dal racconto del
collega.
-Avanti, ‘clav! Non è immaginabile! Tu. Fra tutte le
persone. Arrampicarti su un cancello per scappare a due cani da
guardia!- Anche Hugue fissava con incredula disapprovazione il veterano
dell’AX, ma senza dire nulla. Esthel aveva invece
l’espressione tipica di chi non sa se credere a ciò che
sente oppure No.
-Tu non hai conosciuto Attila e Nerone!- S’intromise Abel,
aggiustandosi gli occhiali. -Due belve, lo posso garantire.-
-Non è questo il punto, quattr’occhi! Insomma, un tipo
come il nostro Vaclav che si fa mettere in fuga da due cani!- Esplose
Dandelion, con Hugue che annuiva, per una volta d‘accordo con il
collega.
-Beh, almeno io ero riuscito a scappare …- Sorrise Vaclav,
fissando Abel, e facendo passare gli occhi attoniti di Esthel, Hugue e
Leòn da sé al prete occhialuto. Questi arrossì
violentemente.
-Mi hanno preso alla sprovvista!- Leòn bevve la sua tazza
di tè in un solo sorso, con il desiderio che la bevanda fosse a
base di alcool invece che di teina.
-Tu non ti smentisci mai, quattrocchi … Mia cara Sorella
Scott, spero che tu abbia da parte un po’ di wiskey … se
continuerò a sentire altre cose del genere, mi servirà.-
La suora olografica rise apertamente.
-Spiacente, Dandelion. Ma ufficialmente sei in servizio, e non posso servirti alcolici.-
-Uff. la mia solita fortuna …- Sospirò
l’ispanico, ormai convinto che la sobrietà fosse
più delirante dell’ebbrezza. Poi si rivolse di nuovo a
Know Faith, deciso a togliersi tutte le curiosità sulla vicenda.
-Ma ‘clav, scusa un po’, ma non potevi che so …
prendere a calci i cani, o cose simili? Proprio … non è
digeribile pensarti abbarbicato su un cancello con due bestioni che
cercano di azzannarti il fondoschiena! Non potevi … non so,
sparire come al tuo solito, o volare via o qualcosa?!-
-All’epoca non aveva ancora gli impianti.- Ribatté
il prete, risentito. -Non che fossi indifeso, certo. Avrei potuto
sbarazzarmi dei cani di Catherina senza problemi. Ma appena arrivato
non potevo di certo uccidere i due mastini di casa, no? Già
avevo cominciato in maniera penosa con Catherina, se le avessi anche
fatto fuori i cani … non credo che sarei stato IO a
sopravvivere.-
-Ma avresti reso un ottimo servizio.- Ringhiò Abel,
ricordando perfettamente la sensazione di fauci nel didietro. Havel gli
scoccò un’occhiata gelida.
-Abel, il mio arrivo a Villa Sforza era già stato
disastroso. E poi, Nerone e Attila erano delle brave bestie, se le
sapevi prendere …-
-Sì, con le chiappe!-
-Padre Nigthroad! Veda di moderare il suo linguaggio!!!-
Ruggì Esthel, prima ancora di accorgersi del tono irrispettoso
con cui si era rivolta al suo superiore. Ma prima di potersi
correggere, Kate era già apparsa davanti al prete occhialuto,
con un’espressione talmente feroce da far restringere
l’uomo nella poltrona, nel tentativo assurdo di sparire tra le
pieghe di velluto.
-Abel Nightroad! Vedi di tenere a freno la lingua! Oppure ti
prometto che Très ti starà incollato per le prossime tre
settimane per impedirti di mangiare qualunque roba zuccherina! Sono
stata chiara?!?-
-Cristallina, Sorella. Cristallina.- Il povero prete
deglutì a vuoto, ben consapevole che Kate Scott aveva
l’autorità e i mezzi per farlo.
-Davvero non male come inizio …- Commentò Hugue,
ignorando le scenate del collega occhialuto. Esthel intanto si era
rivolta di nuovo a Vaclav, la curiosità lampante nelle iridi
chiare.
-E dopo, Padre Havel? Cos’è successo? Voi e Catherina avete fatto amicizia?-
-Oh, No. Quello è avvenuto molto più in là.
Prima abbiamo dovuto imparare a sopportarci a vicenda.-
Ridacchiò il prete scuotendo la testa. Lunghe ciocche di capelli
scuri si mossero come un mare.
-È stata tanto dura?- La giovane suora appariva sempre più confusa e curiosa.
-Anche peggio.- Annuì Havel. -Questa era solo il primo
incontro.- Wordsworth liberò una nuvoletta di fumo dalla bocca.
-Perché non ci racconti qualcos’alto, vecchio mio?
Immagino che ai nostri colleghi non dispiacerebbe sentire qualche altro
vecchio ricordo.-
-Non saprei, William … credo di aver lesionato a
sufficienza la mia dignità, per oggi …- Rispose con una
risata Know Faith. -E poi, Catherina dovrebbe quasi tornare …-
Sorella Scott chiuse un momento gli occhi, come in ascolto. Poi si
rivolse ai colleghi.
-Nessun problema, Vaclav. La Cardinalessa mi ha appena comunicato
che ne avrà ancora per un po’, quindi sei libero di
raccontare qualcos’altro.- Con un sospiro, Vaclav appoggiò
la sua tazza, ormai vuota, sul tavolino.
-Allora non mi lasciate altra scelta.- Ma il sorriso che gli
piegava le labbra era decisamente soddisfatto. -Quindi, dato che ho
raccontato il primo incontro con Catherina … direi che è
giusto raccontare il primo giorno che ho scortato la Duchessa Sforza a
scuola … Ma prima, Sorella Scott, è meglio che prepari
dell’altro tè … parlare mette sete.-
-Abel, impara!- Rise la suora. -Ecco come si fa ad ottenere il
bis!- Un coro di risate si levò nella stanza, mentre Padre
Nightroad metteva su un finto broncio offeso.
-Ecco. Ce l’avete sempre con me …-
-L’acqua per il tè è già sul fuoco,
Vaclav. Comincia pure.- Fece Kate, dando il via libera al nuovo racconto.
Vaclav sorrise, e di nuovo si tuffò nei ricordi.
-Molte bene. Allora, era la mattina dopo il mio disastroso arrivo a Villa Sforza …-
Fine File 01
Ecco finita la mia prima vignetta!!! Spero di non aver deluso
nessuno … questa serie di one-shot vogliono essere soprattutto
su base comica, anche se ne ho in mente alcune un po’ più
tristi. Mi diverte inserire i vari personaggi in situazioni strane,
cercando di non stravolgerli. Accetto consigli e critiche, e se volete
vedere i nostri personaggi di Trinity Bood alle prese con situazioni
particolari, riguardanti scuola o altro, fatemi sapere, cercherò
di accontentarvi! Più input avrò, e più one-shot
creerò … Ringrazie intanto Nuage per aver commentato il prologo. Grazie mille!!!
^_^
Saluti
Will
|
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Capitolo 3 *** File 02 ***
file 02
Secondo ricordo di Vaclav e la giovane Catherina. Sempre aperta a critiche e suggerimenti.
File 02
- FIRST DAY SCHOOL -
La piccola sveglia lampeggiò un paio di volte, prima di
iniziare a suonare. Con un grugnito, una mano si abbatté
sull’oggetto, facendo tacere il baccano infernale. Ci volle
ancora un minuto buono, perché il proprietario della mano si
decidesse ad uscire da sotto le coperte. E se qualcuno l’avesse
visto in quel momento, mai avrebbe pensato ad un temuto prete della
Santa Inquisizione. I lunghi capelli scuri erano un’unica massa
informe, e un velo di barba gli copriva il mento. Stiracchiandosi come
un gatto impigrito, Vaclav Havel iniziò la sua prima giornata a
Villa Sforza. Rasoio e spazzola, iniziò a prepararsi. I capelli
finirono al loro posto in pochi miracolosi istanti, ma la barba era
un’altra storia. Vaclav detestava farsi la barba. Una perdita di
tempo quotidiana che avrebbe pagato per non dover fare. Ma il
regolamento dell’Inquisizione era molto rigido sulla presenza
fisica. La barba, anche se curata e ben tagliata, non era concessa.
Mentre si spalmava la schiuma sul volto, il prete si prese tempo
per osservare meglio la sua camera. Era modesta, anzi, aveva il dubbio
più che fondato che fosse la più piccola e meno bella
dell’intera villa, ma era più che confortevole. Pulita e
calda, priva di spifferi. L’arredamento era semplice ma di buona
qualità, il letto comodo, e aveva anche un modesto ma pratico
bagno privato, completo di tutti i servizi e una doccia. Per lui,
appena uscito dalla caserma militare dell’Inquisizione, era una
camera a cinque stelle. Solamente le lenzuola, bianche, pulite e
morbide, erano una tentazione davvero enorme, tanto da rendergli
alzarsi dal letto una piccola tragedia.
Iniziando a passarsi il rasoio su una guancia, si costrinse a
pensare al lavoro. Dal suo arrivo, non aveva più visto la
giovane Duchessa, se non di sfuggita mentre Carlo lo accompagnava a
cenare dopo il giro della casa. Catherina stava andando nella sala da
pranzo, e gli scoccò un’occhiata che avrebbe trasformato
una fiamma in un cubetto di ghiaccio. Decisamente il prete non era
nelle sue grazie.
Fu quindi con un senso di sollievo che scoprì che, per
quella sera, non era ancora in servizio, e avrebbe mangiato con il
personale. In seguito avrebbe cenato con la Duchessa, in quanto guardia
del corpo.
La schiuma venne lavata via dalla lametta, mentre il prete
sospirava demoralizzato. Quella mattina però era in servizio.
Eccome. Il suo compito era scortare la giovane Catherina alla scuola
privata che frequentava. E questa volta, gli ordini erano chiari: il
suo era un incarico ufficiale, e avrebbe dovuto passare tutto il tempo
possibile in compagnia della giovane Duchessa. E ovviamente indossando
la divisa della Santa Inquisizione. Non era ben sicuro di quale delle
due cose fosse quella che lo faceva stare peggio.
Sciacquandosi il volto, cercò di trovare, con molta
difficoltà, un lato positivo nella vicenda. E l’unico che
trovò fu che sarebbe stato Carlo a portare lui e la Sforza
all’istituto. Il vecchio stava simpatico a Vaclav. E il
sentimento pareva reciproco. Di certo, era l’unica persona di
quella casa che non lo trattava con totale odio. La governante, la
Signora Beatrice, poi, sembrava avere le stesse intenzioni di Attila e
Nerone. Fortunatamente mancava delle zanne.
Per indossare l’abito si prese tutto il suo tempo. Mettersi
ogni parte della divisa, dalla tunica rocca al colletto, ai crocifissi,
erano un rito. Era come calarsi in una parte. Prete e soldato.
Guerriero e sacerdote. L’Inquisitore era la fusione vivente del
potere sia militare che religioso del Vaticano.
Sospirò, demoralizzato. E ovviamente baby sitter papale.
Gli Inquisitori erano le guardie del corpo di Vescovi e Cardinali, o
del Papa, e già di queste importanti categorie lo erano
raramente. Gli Inquisitori erano soldati, guerrieri in grado di
combattere contro i Methuselah. Non guardie del corpo di ragazze che
andavano ancora al liceo.
Altro sospiro. Ma questo era l’incarico che gli aveva dato
il suo capo. E non un capo qualsiasi, ma il capo dell’intera
Inquisizione, Cardinale Francesco. E lui chi era per disobbedire?
Cercando di entrare in un mentalità puramente
professionale, il giovane prete prese un mantello da mettere sopra alla
divisa, per non dare troppo nell’occhio, e si affrettò a
scendere nel cortile: il rombo del motore a testimoniare che Carlo era
già pronto, e aspettava i suoi passeggeri.
Vaclav si sistemò per l’undicesima volta il rigido
colletto. La divisa rossa da Inquisitore, nascosta sotto un mantello
scuro, tanto sgargiante quanto scomoda. Carlo sorrise al ragazzo,
riflesso sullo specchietto retrovisore dell’auto. Il viaggio da
Villa Sforza alla scuola privata delle giovane Duchessa durava da soli
dieci minuti, e il prete sembrava già essere sul punto di
strapparsi il pezzo d’indumento dal collo. Per arrivare a
destinazione, sarebbero passati ancora altri cinque minuti. Ma
l’Inquisitore non era l’unico a disagio. Il volto di
Catherina sembrava scolpito nel ghiaccio, l’insofferenza stampata
nelle iridi grigie. Carlo era indeciso se ridere o piangere.
L’aria che si respirava nell’auto era densa e pesante. Il
giovane prete era a disagio, nonostante il volto impassibile, e la
Duchessa scontrosa e insofferente alla sua presenza. Soprattutto da
quando aveva ricordato che, come parte del lavoro di guardia del corpo,
Padre Havel sarebbe dovuto venire a scortarla anche all’interno
della scuola, lasciandola solo durante le lezioni. Il vecchio autista
sospirò, disilluso. Se la sua esperienza col genere umano era
tanto come niente esatta, le due persone che stava trasportando
sarebbero presto esplose.
Gli ultimi chilometri vennero percorsi con incredibile lentezza,
nonostante il contachilometri dell’automobile dicesse il
contrario. L’anziano autista fermò la vettura appena fuori
dall’istituto, come al solito, dove l’arrivo della lussuosa
auto passasse inosservato.
-Siamo arrivati. Padre. Duchessa.- Senza neppure rispondere al
saluto, la piccola furia bionda schizzò fuori dall’auto,
infischiandosene beatamente dell’educazione signorile di
attendere che le venisse aperta la portiera. Sospirando, Vaclav scese a
sua volta dal mezzo, e rivolgendo uno sguardo supplichevole a Carlo,
chiese con tono educato.
-Grazie del passaggio, Carlo. Sa già a che ora passerà a prenderci?-
-Oggi la Signorina ha lezione solo la mattina. Passerò a
prendervi poco prima dell’ora di pranzo.- Rispose il vecchio,
cercando d’infondere con un sorriso un po’ di ottimismo nel
giovane prete. Con risultati nulli.
-Molto bene.- Annuì Havel, senza sapere se essere
sollevato o meno. In un luogo pubblico, anche una scuola esclusiva come
quella frequentata dalla Sforza, sarebbe dovuto stare all’erta
come non mai. Nella villa, per quanto grande, tenere d’occhio la
giovane Duchessa sarebbe stato molto più semplice. Ma sarebbe
dovuto stare in continuo contatto con la ragazza. Mentre
nell’istituto, almeno, il tempo con il suo incarico si riduceva
drasticamente grazie alle lezioni. E, se le sue supposizioni
erano corrette, avrebbe avuto un aiuto: due guardie dall’aspetto
muscoloso e intimidatorio, stavano ai lati del portone, auricolare
all’orecchio e sguardo impassibile, sotto lenti scure. E se la
governante, Beatrice, gli aveva dato notizie vere, molte altre erano
sparse per l’edificio. Molti degli studenti erano figli di
persone illustri ed influenti, e la sicurezza era uno dei primi vanti
della scuola.
E mentre il prete prendeva gli ultimi accordi sull’ora in
cui l’autista baffuto sarebbe tornato, non si avvide che la
giovane Sforza era passata, prima di avviarsi all’entrata
dell’edificio scolastico, a sussurrare qualcosa
all’orecchio di una delle guardie. Se solo Vaclav si fosse
voltato un istante prima, avrebbe anche visto l’uomo irrigidirsi
visibilmente, mentre l’espressione dietro gli occhiali scuri si
faceva truce.
-A più tardi allora, Padre.- Sorrise Carlo mettendo in
moto l’auto. -E … buona fortuna!- Aggiunse, accelerando
talmente in fretta da non dare il tempo al prete di chiedere che cosa
intendesse dire. Ma qualunque cosa fosse, non ci voleva di certo un
genio per capire che non sarebbe stato nulla di positivo.
Il rumore dell’auto era ancora nell’aria, quando
Vaclav si voltò per seguire Catherina, decidendo di ignorare le
ultime parole dell’autista, e scacciando indietro tutti i suoi
brutti presentimenti. La giovane Sforza era appena sparita dietro la
porta d’entrata, e lui stava per fare lo stesso, per trovarsi
davanti le due guardie. Aria feroce, e nocche scricchiolanti.
Più simili a buttafuori professionisti che a guardie di un
istituto scolastico.
-Qualche problema, signori?- Domandò il prete, cercando in
tutti i modi di mantenere un’espressione gentile. La risposta fu
un ringhio basso, in cui si potevano a stento distinguere le parole.
-Sì.- Fece il gorilla di destra, subito spalleggiato da quello di sinistra.
-I molestatori di ragazzine non sono benvoluti, qui!- La mascella
di Havel cadde fino quasi all’altezza ginocchia. Molestatore?
Chi? Lui?! E no! Questo proprio no!!! Nella sua carriera, non molto
lunga, per la verità, di Inquisitore, aveva ricevuto moltissimi
epiteti. Cane del Vaticano era solo il più gentile. Ma mai. Mai
era stato chiamato molestatore di ragazzine. E questa era
un’offesa che non era disposto ad accettare. In fondo, stava solo
svolgendo il suo incarico. Seguire la Duchessa. E solo il Signore
sapeva se ne avrebbe fatto a meno. La mascella ritornò al suo
posto, mentre la sorpresa faceva spazio all’ira. Sapeva che era
di certo un equivoco, e avrebbe potuto benissimo spiegarsi. Ma la sua
pazienza ormai era un ricordo lontano. E comunque i due energumeni non
sembravano molto intenzionati a parlare, per momento.
Mentre le due guardie si scagliavano contro il prete con un
ruggito, il sopracciglio del giovane inquisitore iniziò ad avere
un tic nevoso, mentre le mani si stringevano a pugno, ed ogni traccia
di gentilezza spariva dal volto affusolato.
Il suono della campanella fu una dolce melodia per Catherina. Le
lezioni di scienze le erano sempre state un po’ indigeste.
Ciononostante, per tutta la mattinata il suo umore era stato più
che ottimo. Il sorriso che sembrava esserle stato stampato a fuoco per
tutta la durata delle lezioni, prese una piega leggermente malefica.
Era ora di andare a vedere in che stato era il prete che le aveva
affibbiato suo fratello. Sempre che ne fosse rimasto qualcosa. Gli
uomini della sicurezza avevano la mano molto pesante.
L’idea le era venuta appena scesa dall’auto. Le
guardie alla porta dell’istituto non erano mai brillate
d’intelligenza, ma erano estremamente protettive verso gli
studenti. E così, approfittando della momentanea distrazione
della sua nuova guardia del corpo, si era diretta con occhi innocenti e
spaventati dall’energumeno più vicino, e gli aveva
sussurrato che un uomo con il mantello la stava inseguendo. La guardia
non era stata neppure sfiorata dall’idea di una menzogna: tutti
all’istituto conoscevano Abel, ma non sapevano che sarebbe stato
lontano per qualche tempo, e che quindi il prete dai capelli lunghi era
il suo sostituto. Certo, anche il fatto che indossasse un mantello
aveva giocato a favore della giovane. Se Vaclav avesse messo in bella
mostra la sua divisa, di certo la storiella non sarebbe stata bevuta
tanto facilmente.
-Allegre oggi, eh?- Catherina trasalì, presa alla
sprovvista da una voce femminile a pochi centimetri
dall’orecchio. Ma subito tirò un sospiro di sollievo,
riconoscendola.
-Irene! Mi hai fatto venire un colpo!- La proprietaria della voce rise apertamente.
-Bastasse questo con te, Catherina!- La giovane Sforza
tentò un’espressione offesa, ma non riuscì a
resistere a lungo. Irene era una delle pochissime ragazze
dell’istituto che poteva considerare come amica. Lunghe trecce
castane chiaro e occhi dello stesso colore, su un viso abbronzato di
lentiggini, e una bocca a cuore sempre pronta a sorridere. Semplice
come le sue origini. Al contrario della maggioranza degli studenti
della scuola, infatti, Irene si era iscritta grazie a una borsa di
studio, e non grazie a famiglie facoltose in grado di pagare la retta
senza battere ciglio.
-Allora, Duchessa. Che cosa fa sorridere così tanto Sua
Signoria?- Fece la ragazza con tono scherzoso, per poi continuare con
uno più basso e serio. -Senza avere Abel nei paraggi …
beh, mi aspettavo di vederti più … più …-
-Musona?- Suggerì la bionda, senza perdere un solo grado di piega all’insù delle labbra.
-Triste.- Precisò Irene. -Ma musona può andare lo
stesso.- Accorgendosi del progressivo spopolamento della classe, le due
studentesse si affrettarono a raccogliere le proprie cose, e a
dirigersi verso l’uscita.
-Allora? Me lo dici o no, il motivo per cui sorridi tanto?-
Chiese di nuovo Irene, decisa a scoprire il mistero dell’amica.
Con fare complice, Catherina rivelò in poche parole di Vaclav e
dello “scherzetto” che gli aveva fatto prima di entrare a
scuola. Irene rimase indecisa se ridere o preoccuparsi. Decise per la
seconda.
-Ma … Catherina! Quello che hai fatto è grave!
Potresti finire nei guai per questa cosa … E se quel prete si
fosse fatto male?-
-È un membro della Santa Inquisizione, Irene. Combattono con i Methuselah. Non può essere tanto delicato.-
-Ma le guardie picchiano duro! Sono degli armadi a sei ante!-
Catherina dissolse le preoccupazioni dell’amica con un gesto
noncurante della mano.
-Oh, suvvia, Ire, non essere tanto tragica! Al massimo
avrà qualche osso rotto … spero.- L’ultima parola
venne appena sibilata, ma Irene la sentì benissimo.
-Sai, quasi preferivo se eri musona. In questa versione sadica mi
fai un po’ troppa paura.- La Duchessa iniziò a ridere, e
batté una mano sulla spalla della morettina, che comunque non
perse una virgola della sua preoccupazione.
-Avanti, usciamo! Sono piuttosto curiosa di sapere quanto Padre Havel si sia … divertito!-
-Parecchio, se devo essere sincero.- La bionda per poco non
saltò in braccio alla compagna di classe, vedendosi davanti
nientemeno che Vaclav, senza neppure un graffio. Lo sguardo
impassibile, se non per una piega malefica delle labbra, che a stento
si poteva chiamare sorriso. Alle sue spalle, due doloranti e tumefatti
energumeni, che vagamente assomigliavano alle guardie
dell’istituto, si stavano ancora prodigando di scuse. Catherina
lanciò un’occhiata fulminatrice al prete, ma questi
sostenne lo sguardo senza battere ciglio. Dopo un confronto di pochi
istanti, la Sforza interruppe il contatto visivo e si avviò
all’auto a passo di marcia, dove un Carlo allibito per poco non
si dimenticò di aprire le portiere. Il giovane inquisitore la
seguì con lo sguardo finché non fu seduta al suo posto,
per poi salire anche lui sull’auto.
“Uno pari.” Pensò, segnandosi su
un’immaginaria lavagna un punto a suo favore sotto una colonnina
con su scritto il suo nome, accanto a quella col nome di Catherina. Non
poteva immaginare che ne avrebbe segnati ancora molti. Da entrambe le
parti.
Irene guardò sparire l’auto dell’amica,
stranita. Poi sorrise. Eh, sì. La vita dei ricchi non era poi
così noiosa come aveva sempre pensato … e per una volta,
non ebbe neanche un briciolo di desiderio di essere al posto della
Duchessina.
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Lo studio cardinalesco fu invaso dalle risate, non appena finito
il racconto. Perfino il perennemente stoico Hugue non riuscì a
sopprimere un sorriso divertito.
-E così anche il Capo ha fatto i suoi errori!-
Riuscì a dire Leòn, mentre cercava di riprendere il
controllo. Vaclav sorrise, ma una vena amara era notabile
nell’espressione.
-Ero giovane, e ho perso il controllo. A pensarci dopo, reagire a quel modo è stato sciocco e impulsivo.-
-Oh, avanti, ‘clav! Chiunque avrebbe reagito così! Io almeno di sicuro …-
-Leòn, se ci fossi stato tu, al posto di Havel, avresti
preso a sculacciate Catherina subito dopo il fatto dei cani!-
Rimbeccò Abel, agguantando con rapidità fulminea alcuni
nuovi dolci portati da Esthel. Il prete ispanico non si scompose
più di tanto.
-Probabile.- Poi si rivolse di nuovo a Know Faith. -E dì,
un po’, come ha preso la cosa la nostra Cardinalessa? Da quanto
ho capito, neanche all’epoca era una che lasciasse correre
…- Padre Havel non ebbe però il tempo di formulare una
risposta, che la posta si aprì, facendo entrare Catherina e
Très. Ogni sorriso sparì dalle labbra dei presenti,
mentre un pesante silenzio scendeva sulla stanza. Il volto della
Cardinalessa Sforza era una maschera fredda e impenetrabile. Vaclav e
Abel si lanciarono un’occhiata. Solo loro, tra tutti i membri
dell’AX conoscevano abbastanza la Sforza da riconoscere il vero
significato di quello sguardo. Il muro impassibile che la giovane donna
costruiva attorno a sé quando si sentiva particolarmente
vulnerabile. Ma, se si fosse guardato meglio, gli occhi avevano
l’inconfondibile scintillio delle lacrime, trattenute con tutta
la forza di volontà che la Cardinalessa possedeva. Con un cenno
appena percettibile, i due preti erano già d’accordo.
Havel si schiarì la voce, quel tanto da attirare su di sé
l’attenzione dei presenti, tranne di Catherina che sembrava persa
nel suo mondo.
-William, se non sbaglio avevi da sistemare quei bracciali per
Lèon, vero?- Wordsworth venne colto di sorpresa, ma
afferrò subito il velato ordine del vecchio amico.
-Più che giusto.- Annuì, e prese una lunga boccata
di fumo prima di alzarsi dalla poltrona. -Andiamo, Dandelion.-
-Hey! Ma come!? Ce ne andiamo così? Adesso? Dopo che
abbiamo aspettato tant …- Le proteste del prete ispanico vennero
bloccate da una mano sulla spalla di un Abel sospettosamente entusiasta.
-Dei bracciali nuovi? Davvero? Avanti, Leòn, andiamo a
vederli, dai!- Padre Garcia De Asturias emise quasi un ringhio.
-Li abbiamo già visti, i bracciali.-
-Ma io no! Avanti, Leòn! Sono curioso!- Ma i piagnucolii
del prete occhialuto riuscirono solo a far irritare ulteriormente
l’ispanico.
-E io invece no! Non li voglio neanche vedere! Ho rischiato di farci fuori Vaclav, con quegli arnesi!!!-
-Un motivo in più per andare a provarli di nuovo, no?-
S’intromise Kate, che aveva ormai intuito la situazione, ed era
accorsa in aiuto di Padre Nightroad. Con un grugnito esasperato,
Leòn cedette.
-E va bene. Andiamo. Ma se stavolta faccio esplodere mezzo Vaticano, la colpa è del professore, chiaro?-
-Te l’ho già detto!!! Sono solo sano metallo!!!
Niente esplosivo!!!- Ribatté indispettito William, punto sul
vivo. Leòn indirizzò tutto il suo nervoso
sull’inventore.
-Ciò non toglie che quei cosi siano pericolosi!!!-
-Sono armi!!! È logico che lo siano!!!- E mentre
continuavano i loro battibecchi, i due preti si avviarono alla porta.
Kate svanì, presumibilmente già nel laboratorio. Abel,
subito dietro, ma prima si voltò verso Esthel, e riservandole il
sorriso destinato solo ed esclusivamente alla suora dai capelli rossi,
le fece cenno di venire con lui.
-Non ci accompagna Sorella Esthel?- La giovane arrossì leggermente, ma poi annuì.
-Oh? Ehm, sì, subito, Padre Nightroad!- Tentennando solo
un istante per lanciare una occhiata alla Cardinalessa, Esthel
seguì il prete dai capelli argentei fuori dalla stanza.
Nella stanza ora erano rimasti solo Hugue, Très, Vaclav e
Catherina. Il silenzio stava per diventare sconfortabile, quando la
donna emise un lungo, sofferto sospiro e si sedette alla sua scrivania,
per poi rivolgersi allo spadaccino.
-Padre De Watteau. Ho appena incontrato i parenti di Sorella
Noelle.- Il volto di Hugue rimase impassibile, ma negli occhi chiari
passò un lampo di emozioni.
-Capisco.-
-Vorrebbero ringraziarvi. Per aver riportato a casa la loro
congiunta.- Continuò la donna. Il dolore ora era ben visibile
nel volto fine del biondo, ma la voce era ferma come sempre.
-Io … ho solo fatto quel che dovevo. Era una compagna
dell’AX. Riportare la sua salma a casa era il minimo.- Catherina
annuì.
-Se non ve la sentite di incontrarli, posso capirvi. Ma sappiate
che fareste un enorme favore a queste persone.- La voce della
Cardinalessa era dolce e comprensiva, capiva bene la riluttanza di
Swordancer. La ferita della morte della suora era ancora aperta, non
solo per lui, ma per tutti i membri dell’AX, ed era di gran lunga
più dolorosa di qualunque ferita fisica. Ma allo stesso tempo
capiva il desiderio dei famigliari di Noelle. Hugue rimase in silenzio
qualche istante. Poi annuì, chinando leggermente il capo. I
lunghi capelli dorati gli coprirono una parte del volto.
-Molto bene.-
-Padre Très ti porterà da loro.- Disse la donna,
facendo un cenno al Cyborg, che rispose con un meccanico
“affermativo”, prima di fare strada allo spadaccino.
Appena rimasti soli, Catherina lasciò cadere la sua
maschera davanti a Vaclav, come anche solo davanti ad Abel riusciva a
fare. Calde lacrime cominciarono a scendere dagli occhi cristallini, un
segno di debolezza che una donna del suo rango non avrebbe dovuto
permettersi. Il prete le mise una mano sulla spalla, un gesto di
conforto proibito al di fuori dell’ufficio deserto. Catherina
prese la mano dell’uomo tra le sue, più piccole ed esili,
e non coperte da guanti. Il semplice gesto sufficiente a darle forza.
L’altra mano di Vaclav andò ad asciugare alcune lacrime,
mentre la giovane donna si sfogava.
-Non sono riuscita a dirgli nulla, Vaclav.- Un singhiozzo
soffocato. -I parenti di Noelle. Non sono riuscita a dirgli nulla. Solo
che era stato Hugue a … riportarla a casa.- Occhi grigi che
sembravano fatti di vetro cercarono quelli mogano del prete. -Mi hanno
ringraziato, Vaclav. Solo per avergli dato una bara su cui piangere
… Mi hanno ringraziato … e sono stata io a mandarla
a morire!-
-Non è vero. E lo sapete.-
-Le ho affidato io quella missione! L’ho mandata io a
Barcellona! Sono colpevole quanto colui che ha attivato il Silent Noise
…-
-Non dire così!- Nella foga, Havel mandò a quel
paese ogni formalità, lasciando perdere il voi e prese il volto
della Duchessa di Milano tra le sue mani, costringendola a guardarlo
negli occhi. -Non potevi sapere cosa sarebbe accaduto. E per quanto sia
orrendo, sappiamo che nel nostro lavoro ci possono essere delle
casualità.- Con un sospiro, il prete cercò di
riacquistare la sua solita calma. -Siamo preti e suore, uomini e donne,
Catherina. Ma siamo anche agenti. Siamo stati reclutati per le nostre
capacità. Ci hai scelti tu stessa, perché siamo in grado
di affrontare le missioni che ci vengono affidate. E che queste
missioni siano pericolose, lo abbiamo sempre saputo, sin dal primo
giorno. Volenti o nolenti, ci muoviamo in un mondo in guerra, per
quanto subdola, e la guerra porta morte.- Un altro sospiro, stanco. -Lo
stesso giorno in cui ognuno di noi ha accettato di entrare
nell’AX, sapeva che non era certo il ritorno dalle missioni. Ma
abbiamo sempre la speranza che le nostre azioni ci possano portare a un
mondo migliore. Ed è per questo che continuiamo a stare al tuo
fianco.-
-Non perché posso aiutare Hugue a trovare gli assassini
della sua famiglia, Leòn a non passare la vita in prigione, e
Très perché ne sono diventata proprietaria?-
Sbatté poco delicatamente in faccia al prete la donna.
-Non posso del tutto ribattere a questo.- Ammise Vaclav, mentre le
mani della Sforza andavano di nuovo a coprire le sue, ma senza
spostarle.
-Ma sono rimasti, e continuano a sostenerti e a seguire i tuoi
ordini, e ti dimostrano ogni giorno una fedeltà che Francesco,
per fare un esempio, non può pretendere, se non da un paio dei
suoi uomini. Certo, i tuoi metodi di reclutamento lasciano un po’
a desiderare …- Un leggero sorriso fece una timida apparizione
sulle labbra della bionda. Il primo da quando era rientrata nel suo
ufficio, dopo l’incontro con Francesco e quello subito successivo
della famiglia di Noelle.
-Grazie Vaclav.- Mormorò, iniziando ad asciugarsi le
lacrime. Entro pochi minuti, Catherina Sforza sarebbe tornata
l’indistruttibile donna d’acciaio in grado di far perdere
il sonno a metà dell’assemblea dei vescovi e cardinali. E
non solo per la sua più che bella presenza. Know Faith sorrise,
gentile come al suo solito, ma soddisfatto di essere stato
d’aiuto alla sua Cardinalessa.
-Sono qui per questo.- Oramai tornata di umore più
leggero, nonostante gli occhi ancora rossi, la giovane donna fece
passare lo sguardo sulla stanza, fino a fermare gli occhi sulla foto,
lasciata sul tavolino da tè, proprio vicino a una tazza
immacolata e alla teiera, che ancora conteneva una dose di liquido
caldo. Servendosi da bere, Catherina osservò, per la prima
volta, la fotografia. Un enorme sorriso le salì alle labbra.
-Dunque è di questa che avete parlato, mentre non
c’ero? Nostalgia dei vecchi tempi?- Chiese, sventolandola davanti
al naso di Vaclav. Il prete sorrise.
-Non ancora. Per adesso ci siamo limitati al nostro primo
incontro e al primo giorno che ti ho accompagnato a scuola.- Un mugolio
poco signorile scappò tra le labbra sottili della donna.
-Urgh. Non so quante volte te l’ho detto, ma scusa ancora
per Attila e Nerone … e per le guardie … anche se credo
che sia tu che dovresti chiedere loro scusa …-
-È stata legittima difesa!- Si giustificò il prete,
punto sul vivo. Un elegante sopracciglio biondo si inarcò
sospettoso. -D’accordo. Ammetto di esserci andato un po’
pesante.- Un sorriso divertito sostituì quello gentile che Padre
Havel indossava di solito. -Ma la faccia che hai fatto quando mi hai
visto … impagabile!- Catherina gli diede una pacca giocosa, che
fece solo aumentare l’ilarità dell’ex inquisitore,
che ora rideva apertamente. La donna sospirò con fare
esasperato, poi spostò di nuovo la sua attenzione sulla foto. Lo
sguardo divenne malinconico.
-Ti ricordi? Quello che è successo qualche giorno dopo?- Vaclav tornò serio.
-La prima volta che hai pianto davanti a me.- No. Non avrebbe mai
potuto dimenticarlo. Il primo vero passo nella loro improbabile
amicizia.
-Sembra così tanto tempo fa …- La voce di Catherina
era piccola, tremendamente fragile. Havel le fu subito vicino. Era come
se la donna che la sua vecchia amica e il suo capo stesse svanendo,
lasciando il posto alla ragazzina fragile ma testarda che aveva
incontrato tanto tempo prima.
-Perché è stato tanto tempo fa.- La Cardinalessa riuscì a sorridere.
-Hai ragione. Ma a volte, mi sembra che sia passato molto
più tempo di quante ne è davvero trascorso.- I due
rimasero in silenziosa contemplazione della foto, mentre la memoria
slittava a eventi ancora precedenti.
Fine File 02
Ecco qua! Finito un altro “file” … spero, come
al solito, di essere stata fedele a sufficienza ai personaggi …
in caso contrario, ditemelo, che vedrò di esserlo di più
nei prossimi capitoli. Ora, una domanda per i più esperti di TB
… qualcuno sa che razza di armi usa Vaclav? Abel usa una pistola
quando non è trasformato, Hugue la spada, Leòn i
bracciali o il bazooka, William un bastone/spada, se ho letto bene, ma
Havel, a parte sapere che diventa invisibile, non so altro. E dato che
tra uno o due capitoli avrei anche qualche scena di combattimento, mi
servirebbe davvero saperlo … Grazie a chiunque sappia
rispondermi … e un enorme ringraziamento a Nuage che ha
commentato lo scorso capitolo! ^_^ grazie mille!!! Vedrò di
inserire sempre un po’ di Abel per te!!!
Ciriciao!
Will
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Capitolo 4 *** File 03 ***
file03
Nuovo “File” … leggete e commentate, grazie! ^_^
File 03
- TEARS -
Il disordinato rumore di forchette sui piatti lo stava facendo
impazzire. Nonostante il volto impassibile, i nervi di Vaclav stavano
andando disintegrandosi. Erano passati quasi tre giorni dal suo primo
giorno al servizio della famiglia Sforza. Più precisamente da
quando aveva accompagnato la Duchessa a scuola la prima volta. E da
allora, nessuna creatura vivente aveva osato rivolgergli parola. La
giovane Catherina per puro dispetto. I guardiani della scuola per ovvie
ragioni. E tutte le persone in servizio a Villa Sforza per paura di
ritorsioni della Duchessina. Carlo, forse unica persona che gli avrebbe
fatto un minimo di compagnia, era bloccato a letto per il resto della
settimana a causa di un improvviso mal di schiena.
E se per lo svolgimento del suo lavoro, la cosa non era che gli
dispiacesse tanto, dal punto di vista umano, il giovane Inquisitore
iniziava a non reggere più la situazione. Essere totalmente
ignorato dal mondo, era una tortura ben più grande di quel che
poteva immaginare. Con un sospiro, osservò la sua tazza di
caffé. Già vuota. Preso dal nervoso per la situazione di
stallo in cui si trovava, le sue papille gustative non avevano neanche
registrato il sapore del liquido scuro mentre veniva ingerito. Pur non
nutrendo grandi speranze, chiese alla cameriera un’altra tazza.
Solo per essere ignorato. Come se non avesse neppure fiatato. Unico
segno di essere stato sentito, il rabbrividire della donna, e
l’occhiata di sottecchi lanciata alla giovane duchessa, che
continuava a fare colazione come se nulla fosse.
Cercando di ignorare il desiderio di strangolare la cameriera,
Padre Havel decise di alzarsi da tavola, e avviarsi all’auto. In
teoria avrebbe dovuto restare ad aspettare che Catherina avesse finito,
e accompagnarla, ma se non fosse uscito al più presto dalla
stanza, avrebbe commesso un omicidio. Magari la cameriera. Nonostante
tutto, non si sarebbe azzardato a sfiorare con un solo dito la
Duchessa. Ergo, meglio uscire, per il bene della cameriera.
Come da aspettativa, anche il viaggio fino all’istituto fu
contraddistinto dal totale silenzio di autista e passeggeri nei
confronti del prete. Con una nota di maligna soddisfazione,
però, Vaclav notò che non era il solo a trovare la
situazione pesante, e a voler terminare il tragitto al più
presto, se l’acceleratore spinto al massimo dal sostituto autista
era di qualche indicazione.
Più verde di una zucchina, all’arrivo a scuola, il
giovane Inquisitore notò appena il razzo munito di boccoli
dorati che era Catherina superarlo, misteriosamente eccitata di entrare
in classe. Ma la velocità della Sforza era nulla, di fronte
all’eclissarsi delle guardie della scuola, alla sola vista del
prete. Lasciato nella polvere sollevata dall’autista anche troppo
felice di lasciare i suoi passeggeri, Padre Havel decise che era
decisamente ora di mettere la parola “fine” a questo voto
del silenzio nei suoi confronti.
Senza sorpresa, la giornata scolastica passò ad una
velocità da far apparire, almeno agli occhi del giovane
Inquisitore, veloce e atletica una lumaca. Il suono della campanella fu
liberatorio tanto per gli studenti che per la guardia del corpo. Nella
marea festante di ragazzi, Vaclav individuò quasi subito la
testa ricciuta che gli stava causando tanti problemi. E, come aveva
fatto negli ultimi giorni, le si affiancò senza dire una sola
parola, silenzioso e non intrusivo. E come negli ultimi giorni, la
giovane Duchessa gli lanciò un’occhiata glaciale, per poi
ignorarlo del tutto. Ignorando che una vena gli si era gonfiata sulla
tempia, Padre Havel proseguì comunque con la ragazza fino
all’automobile, dove però li attendeva una brutta
sorpresa. L’autista provvisorio era quasi completamente nascosto
dentro il motore dell’auto, lanciando esclamazioni che ben poco
si addicevano ad un servitore papale.
-Qualcosa non va?- Chiese padre Havel, senza aspettarsi una
risposta. E quando questa arrivò, per quanto poco fine, ebbe la
tentazione di buttarsi in ginocchio a ringraziare Dio in lacrime.
-Non va no, porca di quella miseria!!!- Ruggì
l’autista, tirandosi fuori a fatica dall’automobile. E
parve essere colto da un mezzo infarto, quando, voltandosi, si
trovò davanti Duchessa e guardia del corpo. Il volto a chiazze
bianche e rosse, nell’indecisione se diventare paonazzo o
impallidire, e ormai insalvabile dalla gaffe, decise di rivolgersi a
entrambi e nessuno in particolare dei suoi due passeggeri.
-Il motore ... ha un problema … da quando sono arrivato non vuole saperne di ripartire ...-
-Ci vorrà molto per ripararlo?- Chiese Vaclav. Il
servitore lanciò un’occhiata incerta a Catherina, ma
questa lo fissava, in attesa della stessa risposta del prete, e per una
volta, non interessata che venisse mantenuto il “voto del
silenzio”.
-Non ne ho idea.- Ammise l’autista, passandosi una mano
sotto il cappello. -Non sono un meccanico. Certo, Carlo saprebbe
aggiustarlo subito, ma non si è ancora ripreso dal mal di
schiena, e comunque non è qui. Ho già chiamato alla
villa, ma ci vorrà parecchio perché mandino qualcuno a
prenderci ... Gli altri autisti sono tutti andati col Santo Padre o con
il Signorino Alessandro … e né le cameriere, né la
governante sono in grado di guidare … non che servirebbe a
molto, dato che anche l‘altra auto della villa non vuole saperne
di partire.-
-Questa non ci voleva!- Esclamò la giovane dai boccoli
dorati, il bel viso contratto in una smorfia. -Domani ho un compito
importante, non posso permettermi di perdere tempo!- L’autista
stava per scusarsi, mortificato, ma Vaclav non gliene diede il tempo.
-Non importa. Andremo a piedi.-
-Cosa?!- Esclamarono insieme i due, l’autista terrificato,
e la Duchessa oltraggiata. Prima che uno dei due uomini potessero
aggiungere altro, la giovane si era comunque ripresa, e, lanciando
un’occhiata si sfida all’Inquisitore, annuì.
-Molto bene. Ci vediamo più tardi.- E, senza aggiungere
altro, la Sforza imboccò la strada verso la villa, incurante che
la sua guardia del corpo la seguisse o meno. Havel era comunque alle
sue calcagna, dopo un breve inchino di commiato al povero autista, che
dopo una lunga occhiata confusa, tornò a mostrare al motore
guasto il suo dizionario di parole volgari.
Catherina camminava con passo svelto e misurato. Ma la
rigidità del corpo mostrava tutta la sua irritazione. Vaclav la
seguiva a pochi passi di distanza, senza troppa fretta. La differenza
di falcata tra la ragazzina e l’Inquisitore evidente.
Nonostante l’espressione tranquilla, il prete era in
costante allerta. Sapeva che fare una passeggiata sulla strada non era
esattamente una delle cose più intelligenti da fare come guardia
del corpo, ma aveva assolutamente bisogno di parlare a quattrocchi con
la Duchessa. Cosa impossibile tra le mura della villa, e ancora meno
tra quelle dell’istituto. Cosa che però non si aspettava
era che proprio la Sforza iniziasse un discorso.
-Lo avete fatto apposta vero? A tirare fuori la storia di andare a piedi.-
-Mi sembrava che aveste premura.- Rispose l’uomo, che
nonostante la tensione nell’aria, non poté non godere nel
poter di nuovo comunicare con qualcuno. Per quanto irritata fosse la
controparte, e antipatica la conversazione.
Di tutt’altro parere invece era Catherina, i cui occhi
grigi minacciavano di perforare il cranio alla guardia del corpo.
-Se avessi avuto premura, avrei chiamato un taxi.- Vaclav roteò gli occhi al cielo.
-Sarebbe bastato dirlo.-
-E fare la figura della pigrona? No, grazie.-
-Questa discussione non ha senso!!!-
-Invece sì!-
-Invece no!-
-Sì!-
-No!-
-Sì!-
-Questa ha ancora meno senso!!!- Esclamò il prete,
esasperato. Una mano andò a intrecciarsi tra i lunghi capelli
scuri, mentre una forte emicrania andava a formarsi. Solitamente non
avrebbe mai e poi mai partecipato ad una conversazione simile.
Così … insensata. Ma forse per la giovane età
della sua interlocutrice, forse era il nervoso covato negli ultimi
giorni, o forse ancora i vari problemi che aveva avuto coi suoi
superiori prima di venire a Milano … c’era dentro. Fino al
collo.
Con un grugnito sprezzante, la giovane Duchessa girò i
tacchi e riprese la sua marcia. Sul volto il broncio più
insofferente che potesse mostrare. Ma Vaclav non aveva ancora finito.
-Almeno, perché questa insofferenza nei miei confronti? Ci
sarà almeno un motivo, per cui incuto tanto odio in Sua
Signoria!- Il passo marziale della sedicenne arrivò ad uno stop.
E quando si voltò verso il prete, questi fece fatica a mantenere
il volto inespressivo. Quegli occhi di ghiaccio un giorno avrebbero
fatto raggelare anche i mari, ne era certo. E lui non aveva dubbio che
la Sforza lo sapesse, e si allenasse giornalmente per perfezionarli.
-Esisti e ti trovi qui. Credimi per me è un motivo più che valido.-
-C … come?!-
-Vuoi saperla tutta? Tu sei il sostituto della mia guardia del
corpo, una persona adorabile, ma me lo hanno portato via, e al suo
posto hanno messo te. Per questo ti odio!-
-Non vedo cosa c’entro …-
-Abel non è solo la mia guardia del corpo! È mio
amico, l’unico vero amico che ho! E non sopporto vedere qualcun
altro al suo posto! E tu sei qui, e solo perché mio fratello
doveva sbattermi sotto il naso che ora è a capo
dell’Inquisizione!- Una piccola pausa, mentre riprendeva fiato.
Le guance, di solito pallide, rosse per le emozioni lasciate a briglia
sciolta. -Ma tu che ne puoi sapere. Sei un Inquisitore. Un Soldato di
Dio. Non hai idea di che vuol dire avere sentimenti.- Neppure il tempo
di riprendere a camminare, che la mano di Vaclav si era stretta attorno
al polso della giovane. La stretta ferrea, impossibile divincolarsi,
nonostante gli sforzi. La ragazza si voltò, pronta a
confrontarsi col prete, ma ogni protesta le morì in gola quando
incontrò i pozzi scuri che erano gli occhi
dell’Inquisitore. Freddi. Impassibili.
-Per essere figlia di un Papa, avete molti pregiudizi.-
Sentenziò il giovane uomo, senza allentare la presa sulla
duchessa. -Vorrei ricordarle, che prima di essere un membro
dell’Inquisizione, prima di essere un prete, sono una persona!
Non ho scelto io questo incarico. Fosse per me, non sarei neppure
venuto in Italia. Sarei rimasto in Boemia, nella mia terra.- Catherina
smise solo per un momento di divincolarsi. La voce del prete non era
cambiata, era sempre fredda e impassibile da far venire i brividi. Ma
gli occhi, quelli erano un altro discorso. Nonostante la rabbia delle
parole, le iridi color ebano erano cambiate totalmente. La freddezza
aveva lasciato spazio ad un dolore profondo, quasi fisico. Di tutte le
cose che poteva aspettarsi dall’Inquisitore, la giovane Sforza di
certo non si aspettava il dolore. Non aveva mai, neppure per un
secondo, immaginato che anche per il prete quella situazione potesse
essere un’imposizione. Solitamente, un qualunque membro della
Chiesa avrebbe fatto i salti di gioia ad avere l’incarico di
guardia del corpo della figlia del Papa. Un onore enorme, che di certo
sarebbe stato ben redarguito, in prestigio e potere.
E ora un forte senso di colpa e vergogna iniziò a farsi
strada nella ragazza, tanto forte da farsi fisico, rivoltandole lo
stomaco. Si sentì profondamente stupida. Stupida e infantile.
Poteva quasi sentire i succhi gastrici venirle su dalla gola, tanto
erano forti quelle emozioni. Ma il suo orgoglio era ancora più
forte. E, desiderosa solo di restare sola, e il più possibile
lontana da quel giovane uomo dai capelli lunghi e il volto affilato,
riprese a divincolarsi, con una forza datale dalla disperazione e dalla
rabbia, ora indecisa se rivolta contro sé stessa o
l’Inquisitore.
Vaclav lasciò andare la presa dopo pochi secondi, per la
sorpresa di Catherina. Stupito a sua volta per la sua perdita di
controllo, cercò di riprendere un poco di lucidità,
rendendosi conto di quanto fosse andato troppo oltre con il suo
comportamento. Non ebbe però modo di scusarsi, perché la
Sforza aveva approfittato dell’opportunità e aveva
cominciato a correre, senza davvero sapere per dove, vogliosa solo di
essere il più lontana possibile da quel luogo, dalla sua
vergogna, la sua rabbia e frustrazione, e dal prete che ne era in parte
causa. Sorda ai richiami di Havel, e del proprio cuore che batteva con
forza contro la cassa toracica, provocandole dolorose fitte, la ragazza
corse alla cieca, spingendo ancora di più le gambe quando
sentì gli occhi bruciare, e la vista annebbiarsi. Non voleva
piangere. Non davanti a quell’uomo. Non davanti al sostituto di
Abel, non davanti al tirapiedi di suo fratello. Un’umiliazione
che davvero non avrebbe potuto sopportare.
Strinse le palpebre con forza, sorda ai rumori e al mondo attorno
a sé, se non quando un paio di braccia vestite di rosso la
afferrarono e la tirarono indietro. Aprì la bocca per urlare le
sue proteste, ma la voce le venne inghiottita dal fracasso di una
locomotiva. Aprì gli occhi, e rimase paralizzata alla vista
delle carrozze che le sfrecciavano davanti al volto, a meno di un metro
di distanza. La violenza dello spostamento d’aria provocato dal
treno, unito all’irruenza del gesto di Vaclav, fece cadere
entrambi all’indietro. Catherina batté la schiena contro
il prete, togliendogli letteralmente l’aria dai polmoni, e
rendendogli quasi difficile restare seduto. Rimasero fermi in quella
posizione, seduti a terra, Catherina con la schiena appoggiata al petto
di Vaclav, e le sue braccia strette protettive attorno alla figura
esile di lei, finché il treno non fu passato.
Una piccola parte della mente di Catherina, l’unica rimasta
razionale, si stava dando della stupida. Ogni giorno faceva quella
strada. Eppure si era dimenticata che prima di arrivare alla villa, la
strada si incrociava con la ferrovia. Rendendosi conto del pericolo
corso, il suo corpo iniziò a tremare. Istintivamente, Havel
aumentò la stretta sulla ragazza, nel tentativo di rassicurarla.
Forse fu la paura per il pericolo appena scampato. Forse che era
davvero molto tempo che non permetteva a nessuno di tenerla
così, stretta tra le braccia, come quando era bambina. Forse
l’insieme di rimorso, vergogna e rabbia da cui cercava di
scappare, unita alla tremenda mancanza di Abel. Ma le lacrime
iniziarono a scorrere dagli occhi della ragazza, fiumi che portavano
via il veleno che le si era annidato dentro in tanto tempo.
Spaventato da quella reazione, Vaclav aprì la braccia per
liberare la sedicenne, ma questa si voltò e si aggrappò a
lui, come se fosse stato la sua unica ancora di salvezza. E lui decise
di lasciarla fare. Di farla sfogare, di buttare fuori tutto quello che
la tormentava. Non poteva sapere il profondo significato di quel
momento. Solo anni dopo, infatti, Catherina gli avrebbe confessato che
quella era stata la prima volta che aveva pianto davanti a qualcuno,
dopo l’incontro con Abel e la morte di sua madre.
Il resto della strada fu percorso in silenzio. Non per imbarazzo,
ma perché entrambi, in fondo, sapevano che non c’era nulla
da dire. L’apice dell’emotività era passata, e
restava solo una tranquilla spossatessa, e la certezza istintiva che
quanto successo sarebbe stato un fatto tra loro due. Vaclav si
arrischiò a lanciare un’occhiata alla Duchessa. Ma, con
sollievo, constatò che la giovane non era differente dal solito.
I boccoli biondi forse erano un tantino arruffati, e gli occhi ancora
un po’ lucidi, ma per il resto era del tutto normale. Tranne il
fatto che non gli stava più lanciando occhiate al vetriolo.
Cambiamento di cui era più che grato.
Beatrice aprì senza fare domande il cancello,
professionale come sempre, se non per l’evidente sollievo di
vedere tornare a casa la padroncina sana e salva. Dirigendosi verso
l’entrata della villa, i due si fermarono al suono di una voce
che entrambi conoscevano bene. Carlo, bastone in mano e seduto su una
delle panchine che contornava il parco, stava lanciando bonari ordini
agli altri servitori, che si affaccendavano sulla seconda macchina, che
sarebbe dovuta andare a prendere l’autista rimasto
all’istituto e portare soccorso all’altra auto. Sia
Inquisitore che Duchessa si avvicinarono all’anziano, ben felici
di rivederlo.
-Carlo!!!- Al suono del proprio nome, l’anziano di voltò sorridendo.
-Signorina, Padre! Siete riusciti ad arrivare anche da soli vedo!-
-Così sembra.- Concesse Vaclav, senza aggiungere altro.
Catherina gli rivolse una lunga occhiata, quasi lo stesse valutando.
Sentendosi leggermente a disagio dal quegli occhi penetranti, il prete
si concentrò su Carlo. -Allora, Carlo. Il suo mal di schiena?-
-Molto meglio, Padre, grazie.- Rise il vecchio, accarezzandosi i
baffi. -Tra un paio di giorni al massimo, potrò scorazzarvi di
nuovo in giro!-
-È bello sentirlo, Carlo.- Fece Catherina, sorridendo. Il
primo sorriso da molti giorni. L’autista annuì.
-Grazie, Signorina. Ma adesso andate. Avrete i vostri compiti da
fare. E lei, Padre, l’aspetto per cena, così mi
ragguagliate un po’ sugli ultimi fatti.- Catherina si
irrigidì alle parole del vecchio, e Vaclav intervenne subito.
-Mi farà molto piacere unirmi a voi. Ma tempo che le
potrò dire molto poco. In questi giorni non è successo
davvero nulla.- Le iridi chiare slittarono per un secondo su quelle
ebano dell’Inquisitore, quel tanto da fargli percepire la sua
gratitudine per il suo silenzio. Carlo emise uno sbuffo deluso.
-Oh, beh. A quanto pare le cose interessanti succedono solo
quando ci sono io. Meglio così! Non mi sono perso niente!!!-
Concluse ridendo l’uomo, facendo un cenno di saluto ai due
giovani. Questi, dopo averlo salutato doverosamente, si avviarono nella
villa, dove una impaziente Beatrice li aspettava alla soglia.
Carlo guardò i due allontanarsi, e solo quando fu sicuro
di essere solo, tirò fuori da dietro la schiena la sua fedele
chiave inglese. Sapeva bene che qualcosa era accaduto, tra i due, in
quei giorni. Beatrice lo informava di ogni cosa, anche la più
piccola. E lui aveva anche escogitato il modo per mettere le cose a
posto. Eh, già. Il vecchio Carlo aveva molti assi nella manica,
ancora. In fondo, da giovane aveva lavorato tanto tempo coi motori,
nell’officina del padre. Sapeva aggiustarli come niente. E
altrettanto come niente romperli.
La mattina dopo, quando Catherina scese a colazione, Vaclav era
già al suo posto, a sorseggiare caffé nero e a leggere le
ultime notizie sul giornale. I sopracigli scuri aggrottati, mentre gli
occhi scorrevano sugli ultimi fatti avvenuti in Boemia. La giovane
duchessa sentì una fitta di senso di colpa allo stomaco. Sapeva
che l’Inquisitore era straniero. Il suo accento e nome ne erano
prova. Ma non si era mai soffermata a pensare che potesse avere
nostalgia della sua patria. E le parole che le aveva urlato il
pomeriggio prima ne erano la prova.
Un pugno esile si strinse impercettibilmente. Vaclav aveva
ragione. Non si era posta il problema che, prima di essere un membro
dell’Inquisizione, quindi un soldato, uno degli uomini di
Francesco e un prete, Padre Havel era una persona. Il fatto che fosse
venuto a coprire nella sua vita, seppure per un tempo limitato, il
posto che lei aveva riservato ad Abel, non le dava di certo il diritto
di trattarlo in quel modo. Come se tutto fosse colpa sua.
Con un sospiro, la giovane Duchessa di Milano si sedette al suo
posto, e non appena la cameriera le mise davanti la sua colazione,
chiese, senza distogliere gli occhi dal piatto:
-Padre Havel, potrebbe passarmi il latte, per favore?- Le
palpebre batterono un paio di volte sulle iridi scure, mentre il prete
metabolizzava il fatto che la Sforza gli avesse rivolto parola senza
insultarlo. Poi, convintosi di non esserselo immaginato, eseguì
l’ordine con un sorriso gentile sulle labbra sottili.
-Ecco qui, Duchessa.-
-Grazie.- Fece la ragazzina, una volta ricevuta la caraffa, senza
però dare una seconda occhiata al prete. Parlargli non
significava che l’Inquisitore le piacesse. O ancora meno, che
avesse preso il ruolo di Abel. Con la coda dell’occhio, la
giovane vide la cameriera offrire dell’altro caffé al
prete, ormai tranquillizzata della rottura del “voto del
silenzio“. No. Vaclav non avrebbe mai potuto prendere il posto di
Abel. In alcun senso. Ma, per il momento, poteva fare lo sforzo di
sopportarlo. Almeno quello sì.
-----
-Non ho mai voluto prendere il posto di Abel.- Assicurò
Vaclav, mentre Catherina appoggiava di malavoglia la foto. Sarebbe
stata ore e ore ad ammirarla, persa nei ricordi.
-E non l’hai mai fatto.- Sospirò la Cardinalessa,
finendo l’ultimo sorso di tè. -Tu ti sei creato un posto
tutto tuo.- Le mani della donna andarono a coprire quelle del prete,
che le donò uno dei suoi sorrisi più sinceri. Ma il
contatto venne interrotto, non appena giunsero da dietro la porta dello
studio il rumore di passi frenetico. In pochi istanti, Sorella Esthel
Blanchett aveva aperto la porta, usando il poco fato che e era rimasto
in gola per annunciarsi.
-Che succede, Sorella? Prendete fiato con calma e spiegatevi.- La
voce della Sforza era tornata forte e decisa, ogni traccia del modo in
cui era ceduta poco prima alle emozioni sparita. La giovane dai capelli
rossi prese un paio di profondi respiri, per dare modo ai polmoni
deprivati di ossigeno di riprendersi.
-Padre Nightroad …-
-Cos’ha combinato stavolta?!- Ringhiò la
Cardinalessa, cui persino il monocolo mandava bagliori sinistri. Vaclav
rimase silenzioso, ma lo gli occhi erano vigili, e concentrati sulla
giovane suora.
-Ha provato i bracciali di Padre Leòn, e …- Neppure
il tempo di completare la spiegazione, che dal corridoio giunsero urla
di ogni genere. I tre membri del clero si fiondarono fuori
dall’ufficio cardinalesco, per essere quasi investiti da due
razzi in tonaca nera. Uno con occhiali tondi e capelli candidi,
l’altro con accento spagnolo e capelli ricci con uno strano
taglio proprio alla sommità del capo, che lo faceva sembrare un
frate a cui avessero appena fatto la tonsura.
-Ho detto che mi dispiaceeeeeee!!!-
-Te lo faccio dispiacere di più quando ti ho preso,
quattrocchi!!!- Catherina, Havel e la giovane Eshtel rimasero immobili,
troppo allibiti dalla scena che si consumava davanti ai loro occhi per
intervenire o commentare.
-Hanno anche appena dato la cera …- Mormorò Esthel,
coprendosi gli occhi, e mormorando un “non voglio guardare”.
-Vaclav … forse sarà meglio che li vai a fermare,
prima che …- Neanche la donna d’acciaio, la potente e
determinata Cardinalessa Sforza sembrava pienamente convinta delle sue
parole. Altre grida. E l’inconfondibile suono di corpi andati a
sbattere contro un muro. Vaclav emise un lungo, sofferto sospiro.
-Non credo sia più necessario.- Un lungo minuto di
silenzio rassegnato, mentre in lontananza, arrivava il sottofondo di
mugolii di dolore, intramezzati da deboli scuse e bestemmie in spagnolo.
-Vado a chiamare Padre Wordsworth. E la capo infermiera.- Mormorò Esthel, depressa quanto i suoi due superiori.
-Dì alla Sorella infermiera che vedrò di sdebitarmi
per quei due.- Disse solo la Cardinalessa, massaggiandosi stancamente
le tempie. La giovane suora dai capelli rossi era appena sparita tra i
labirintici corridoi del Vaticano, quando la voce di Sorella Scott
risuonò nell’aria.
-Cardinalessa. Il Doge di Genova chiede udienza.-
-Mai un attimo di pace, eh?- Sbuffò la donna in rosso,
sistemandosi il monocolo. -A questo punto, andiamo, Vaclav.- Solo dopo
qualche passo Catherina si accorse che Padre Havel non la stava
seguendo. -Vaclav, che c’è? Très non è
ancora arrivato, quindi devi venire con me!-
-Il Doge di Genova … è Simone Boccanegra, vero?-
Chiese il prete, le labbra serrate in una linea sottile, e
un’espressione preoccupata negli occhi. La bionda emise uno
sbuffo poco signorile. La sua pazienza messa a dura prova.
-Se non ne è stato messo un altro al suo posto negli
ultimi tempi, credo proprio di … Oh!- Improvviso lampo di genio.
-Oh.- Fece coro Vaclav, soddisfatto che la sua Cardinalessa ci fosse arrivata. Ma non per questo meno preoccupato.
-QUEL Boccanegra?- Ora la preoccupazione era apparsa anche negli
occhi della donna. Da giovane Catherina era entrata una sola volta,
convinta dalle sue amiche di scuola, in un locale per soli maggiorenni.
E lì, aveva incontrato quello che, di lì a pochi anni,
divenne nientemeno che il nuovo Doge di Genova. Non un incontro
piacevole. Per nessuna delle parti. Soprattutto per Boccanegra. Da
allora, fortunatamente, il Doge e la Cardinalessa non avevano avuto
contatti. Fino ad oggi. Vaclav annuì.
-Quello.-
-Tu pensi che …-
-Sì.-
-Sono passati dieci anni!-
-Lo so.-
-Non crederai che se lo ricordi ancora …-
-Lo do per scontato.-
-Dovrebbe esserci passato sopra, no?-
-Ne dubito.- Un sospiro. -Non si passa sopra a un setto nasale spaccato.-
-Ma mi stavi difendendo!- Cercò di scagionarlo Catherina. Ma l’auto accusa del prete reggeva anche troppo.
-Ma neanche sapevo chi stavo difendendo! È stata un’aggressione!!! In tutto e per tutto!!!-
-…è … irrilevante.- Fece la donna, pur non
essendo convinta delle sue stesse parole. -Ormai sei qui. E non
possiamo farlo aspettare oltre.-
-Speriamo che Abel abbia ragione, e che sia vero che la barba
confonde ...- Sospirò Know Faith, seguendo alfine la figura in
rosso, come ormai faceva da tanti anni. Ma entrambi non potevano non
tornare, con la mente, alla sera in cui avevano conosciuto il futuro
Doge, durante una delle serate più pazze e assurde della loro
vita. Almeno fino al ritorno di Abel e l’arrivo di William.
Fine file 03
Per chi non lo sapesse, Simone Baccanegra è stato il primo
Doge della Repubblica Marinara di Genova. Dato che molti, se non quasi
tutti, i personaggi di TB hanno nomi ispirati a personaggi storici,
perché non infilare anche lui? La verità è che sto
studiando la storia delle repubbliche marinare per conto mio, e ho
colto la palla al balzo. ^_^
Se per caso il rapporto tra Vaclav e Catherina vi sembra troppo
intimo, beh, sappiate che mi sto ancora trattenendo, perché non
voglio che la mia fic sia di tipo romantico. Giuro che la prima volta
che ho visto l’anime, ho pensato due cose di Valcav: 1)
assomiglia in maniera imbarazzante a Gesù Cristo. 2) questo
è l’amante della Cardinalessa. È stupido, ma
è quello che ho pensato.
Nell’anime, Vaclav sembra essere davvero vicino a
Catherina, tanto da essere anche l’unica persona davanti alla
quale lei possa piangere, ed è l’unico a confortarla, dopo
la morte di Noelle. Catherina poi ha sicuramente la confidenza di
piangere e sfogarsi anche con Abel, ma credo che con Vaclav abbia un
rapporto speciale. Il mio punto di vista è che lei crolli nei
momenti più dolorosi con Vaclav per non pesare su Abel che ha
già molta tristezza di suo, e probabilmente si prenderebbe il
peso anche di quello sulle spalle. Poi io mi sono messa in testa che
questi tre siano una sorta di “trio dell’AX” a causa
di un’altra immagine dell’artbook vista su internet, con
Vaclav, Abel e Catherina assieme in giardino. O che quantomeno siano i
tre da cui è partito l‘input di fondare l‘AX, e che
Kate e William siano arrivati poco dopo.
Nessuno sa Havel che armi usa? In un sito ho letto che ha dei
coltelli retrattili nascosti nei guanti, ma non so quanto è vero
… e la cosa mi sa tanto di Assassin’s Creed (un crossover
che non sarebbe male … XD butto lì l‘idea, se a
qualcuno può interessare … potrei farci comunque un
pensiero per il futuro …) Qualcuno può aiutarmi?
Saluti
Will
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Capitolo 5 *** File 04 ***
File 04
Il primo “File” dell’anno … spero che vi piaccia, e ancora auguri di Buon Anno!!!
- KNOK-OUT AT THE HEAVEN’S DOOR -
File 04
-Allora siamo d’accordo per stasera?- Catherina si
impedì di roteare gli occhi al cielo. Accanto a lei, Irene
pareva nella stessa situazione, anche se molto più intimidita.
Ma la ragazza che aveva parlato, con lunghi capelli ramati
perfettamente pettinati, non pareva demoralizzata dalla reazione delle
due compagne di classe.
-Per cosa, Arianna?- Domandò la bionda, attorcigliandosi distrattamente uno dei boccoli dorati.
-Ma come per cosa!? Catherina è una settimana che ne
parliamo!!!- Esplose la rossa, le iridi verdi scintillanti
d’irritazione. La giovane Duchessa sorrise appena.
-Deve essermi passato di mente. Sai, ho avuto … parecchie cose a cui pensare, ultimamente.-
-Sì, tipo una guardia del corpo capellon … Umph!!!-
Il braccio di Catherina attorno al collo impedì a Irene di
completare la frase, e anche di respirare correttamente. Senza cambiare
espressione, la Sforza continuò a fissare Arianna, a cui si era
affiancata una nuova ragazza.
-Quale guardia del corpo? Sempre quel prete con gli occhiali che
pensa solo al cibo?- Domandò la nuova arrivata, liscissimi
capelli biondo platino e occhi grigi.
-Abel non pensa solo a mangiare, Isabella!- Sibilò
Catherina, fissando con espressione torva la biondina. Questa
sbuffò, per nulla impressionata, mentre Irene approfittava del
momento per divincolarsi dalla presa della Sforza.
-Sì, sì, certo, come No. Tornando a cose
importanti.- Continuò la ragazza platinata, sedendosi sul banco
accanto a quelli di Catherina e Irene, vuoti durante la ricreazione in
corso. -Sono riuscita a procurare ben quattro pass per l’apertura
con musica dal vivo dell’Heaven’s Door, il locale
più importante della città. Che, sottolineiamo, è
aperto solo ad una clientela maggiorenne.- E detto questo, fece uscire
dalla borsa quattro nuove sfavillanti carte d’identità,
con i nomi e foto delle quattro ragazze.
-Ventiquattro anni?!?- Esclamò Catherina una volta avuta
in mano la sua. -Ma se sono già fortunata se dimostro i sedici
che ho!!!-
-Prendere o lasciare, mia cara.- Fece Isabella, tirando fuori uno
specchietto e sistemandosi un’inesistente ciocca di capelli fuori
posto. Irene, intanto, aveva cominciato a rosicchiarsi nervosamente
un’unghia.
-Ehm … ma questo locale … sarà molto costoso … non credo di potermelo permettere …-
-Oh, nessun problema!- Rise Arianna. -Essendo la serata di
apertura, si pagano solo le consumazioni. Se vuoi puoi bere e paghi,
altrimenti No. Ma comunque ti godrai della vera musica!-
-Allora è tutto deciso! Passerò questa sera col mio
ragazzo a prendervi, dato che nessuna di noi sa guidare o ha la
patente.- Concluse Isabella, ricacciando lo specchietto nella borsa.
-Sopratutto perché nessuna di noi è maggiorenne
…- Sbuffò Catherina, proprio al suono della campanella.
Le ragazze tornarono ai propri posti, e le lezioni ricominciarono.
All’uscita dall’istituto, Catherina e Irene
camminarono fianco a fianco. Arianna e Isabella già sparite. La
giovane sforza sospirò, semi depressa. Arianna e Isabelle erano
le uniche ragazze, oltre Irene, con cui avesse un minimo di rapporto. E
questo solo perché provenivano da famiglie abbastanza potenti e
ricche da non sentirsi in particolare disagio in presenza della figlia
del Papa. Peccato che fossero anche delle vere ribelli. O almeno questo
pensava la giovane Duchessa, avendo rinunciato a contare le volte che
le due ragazze avevano violato il regolamento, scolastico e non. Con,
ovviamente, nessuna conseguenza particolare. Sempre omaggio del loro
status sociale, che garantiva una sorta di immunità per ognuno
dei loro capricci. Entrare in un locale accessibile solo a maggiorenni
era solo l’ultimo grillo che saltava nella testa delle due.
Irene camminava a testa bassa, preoccupata. E a ragione. Se
Arianna e Isabella, al massimo, in caso fossero state scoperte,
potevano ricevere una piccola lavata di testa a casa, Irene avrebbe
passato guai piuttosto seri, specie a scuola. Nessuno avrebbe mai osato
cacciare due delle rampolle più in vista di Milano. Ma non si
poteva dire lo stesso di una ragazza di umili origini come la morettina
…
-Non so, Catherina … questa storia non mi piace …-
-Se devo essere sincera neanche a me.- Ammise la bionda.
-Però non credo che avremo mai più un’occasione del
genere …- Irene annuì. Se per lei gli ostacoli erano di
tipo economico, di certo anche Catherina aveva i suoi. Anche una volta
diventata maggiorenne, il suo destino era di seguire l’esempio
del fratellastro Francesco ed entrare nel clero. E allora non ci
sarebbe stato modo di evadere dalla gabbia dorata in cui il suo status
nobiliare l’avrebbe rinchiusa.
Catherina emise un lungo, sofferto sospiro. Anche se non lo
avrebbe ammesso ad anima viva, ammirava Isabella e Arianna. Il modo in
cui non si curavano delle conseguenze, l’assoluta spensieratezza
con cui vivevano … la giovane Duchessa non riusciva a non
sentirsi attratta da quel modo di vivere, così estraneo alla sua
realtà. Specie dopo la notte in cui aveva conosciuto cosa
davvero fosse la violenza e l’omicidio.
-Le carte d’identità ce le abbiamo. Ormai sarebbe
solo uno spreco non usarle. Senza contare che credo che Isabella si
offenderebbe se rifiutassimo … e Arianna pure …- Entrambe
le ragazze vennero attraversate da un brivido. Anche se per ragioni
diverse, entrambe avevano difficoltà a trovare amicizie nella
scuola. Una perché temuta, l’altra perché snobbata.
E l’idea di perdere le uniche due ragazze che si degnavano di
rivolgere loro parola, era davvero terribile.
-Mi sa che hai ragione …- Annuì Irene,
accarezzandosi le trecce castane. -Piuttosto, tu hai già trovato
un modo per uscire di casa? Io non ho grandi problemi. Mi basta dire ai
miei che esco senza dire dove vado, ma tu … come farai con la
tua “ombra capellona”?- Chiese, riferendosi a Vaclav.
Catherina trattenne a fatica una risata. Irene stessa aveva inventato
il soprannome, e alla Sforza piaceva davvero. Anche se aveva il dubbio
che al soggetto in questione invece non sarebbe piaciuto molto ….
-Non sono ancora sicura.- Ammise la bionda. -Padre Havel, anche
se è un Inquisitore è un tipo tranquillo, e passa le
serate per conto suo, e non è assillante … quando dico
che me ne vado a letto, non entra in camera a controllare. Mi
preoccupano di più i servitori che fanno le ronde nel giardino e
i cani.- Una smorfia passò sul viso fanciullesco. -Soprattutto
non so come farò con addosso i vestiti che mi ha passato
Isabella!!!- La stessa smorfia passò sul volto di Irene.
-Non parlarmene! A casa li devo nascondere. Se mia madre li vede
e le venisse anche solo da pensare che me li metto, mi sbatte fuori!-
Le due sospirarono in unisono. Isabella non aveva tutti i torti: per
entrare nell’Heaven’s Door, servivano, oltre alle carte
d’identità, anche gli abiti giusti. Almeno giusti
abbastanza da non farsi scoprire subito. Peccato che quelli giusti
secondo Isabella non “vestissero” molto. Sembrava
infatti che più payette e meno stoffa avessero, più
fossero considerati adatti. Ora, Catherina non conosceva poi molto il
mondo al di fuori della villa e della scuola, e di certo Isabella aveva
ragione … ma questo non faceva accapponare meno la pelle alla
giovane Duchessa al pensiero di dover indossare vesti simili!!!
Le due ragazze erano ormai arrivare all’uscita, dove un
paziente Vaclav aspettava, braccia conserte sotto le maniche larghe,
apparentemente ignaro di quanto gli accadeva intorno. Ma non appena i
riccioli biondi della Sforza fecero capolino, nonostante la ressa di
studenti, il prete si voltò, individuandola subito, e offrendo
un sorriso educato.
-Ok. Allora a stasera. E ricordati il trucco. Arianna si è
raccomandata.- Sussurrò Irene, prima di salutare Catherina.
Questa sorrise e annuì, prima di affiancarsi a Vaclav e avviarsi
all’auto, dove un recentemente guarito Carlo li aspettava.
Che qualcosa sotto ci fosse, Vaclav non aveva dubbi. La
Duchessina era stata silenziosa per tutto il viaggio, pensierosa. E,
soprattutto, non gli aveva lanciato neanche una delle sue occhiate
raggelanti. E, per quanto sentisse il dovere di ringraziare la propria
buona stella per questo, il prete non poteva non reputarlo un cattivo
segno. La classica quiete prima della tempesta.
Ci stava ancora pensando dopo cena, dopo aver educatamente
salutato Catherina, ritiratasi nelle sue stanze, quando la brusca e
professionale voce della governante lo fece trasalire.
-Allora, Padre? Che cosa farete della vostra serata?-
-Mi ritirerò per le mie preghiere, farò la mia
ronda serale, e salirò alla mia stanza. Per quale motivo,
Signora Beatrice?- Chiese l’Inquisitore, stupito dalla domanda.
Gli occhi della donna si spalancarono per la sorpresa, perdendo un poco
della loro severità.
-Davvero? Non avete progetti? Eppure siete un ragazzo giovane
… pensavo avreste usato in maniera diversa la vostra serata di
riposo …-
-Serata di riposo?!- La fronte del prete si corrugò per la confusione.
-Ma certo! Non siete mica uno schiavo! Come ogni servitore della
villa, anche voi avete diritto ad un’intera giornata di riposo
ogni mese. Il vostro inizierà stasera, per terminare domani
sera.- Vaclav rimase immobile, esterrefatto. Un’intera giornata
di riposo? Solo per lui? Senza nessun tipo di compito? Una cosa
assolutamente normale, ma di cui lui aveva perso cognizione, entrando
nell’ordine clericale. Nella Santa Inquisizione soprattutto, le
regole erano rigide, e non esistevano giorni di riposo, se non per
ordine del medico. C’erano le uscite per visitare le famiglie,
certo, ma lui non ne aveva mai usufruito. Anche la Domenica, era
considerata solo dal punto di vista religioso, con la confessione prima
della Santa Messa, che per l’occasione della festività
settimanale, veniva seguita coi fedeli in chiesa invece che nella
cappella privata nella caserma monastica.
-Quindi … non ho altri compiti … fino a domani sera?-
-Ma certo!- Fece Beatrice, sempre più stupita dalla
sorpresa del prete. -Andate da Carlo, e fatevi scorrazzare un po’
per la città. Uscite di qui, e respirate un po’ di
aria!!!- Cercando di ricomporsi, il prete annuì.
-Un gradito suggerimento. Grazie ancora per avermi avvertito. I
miei saluti.- E con un leggero inchino, uscì dalla stanza.
Beatrice scosse la testa, indecisa tra irritazione e
rassegnazione. Il tempo che la porta si chiudesse alle spalle
dell’Inquisitore, e la voce del Padre sembrò trapassare i
muri.
-SONO LIBERO!!!- La donna si portò una mano alle tempie,
esasperata e rassegnata. Inquisitori. Mai che ce ne fosse uno normale.
Il sopracciglio biondo si inarcò, scettico.
L’immagine allo specchiò mimò perfettamente
l’azione, ma Catherina non riuscì a riconoscere la ragazza
riflessa, e non sapeva se esserne felice o meno. Il trucco era pesante,
quasi una maschera. La giovane Duchessa emise un sospiro, esasperata.
Non si era mai truccata da sola. E questo era il risultato migliore che
era riuscita a ottenere. Si passò con cautela il rossetto sulle
labbra, e la trasformazione era terminata. Al posto della piccola
sedicenne Catherina stava una versione più adulta, che avrebbe
fato girare la testa a tutti gli uomini che l’avessero incrociata
per strada.
Sì. Magari! Tutto quello che la ragazza riusciva a vedere
allo specchio era una sorta di Pierrot punk. Ad avere molta fantasia.
Aveva già preso in mano le salviette struccanti per
ricominciare tutto, ma un’occhiata all’orologio la
costrinse a rinunciare: Isabella sarebbe passata di lì a poco
con il suo ragazzo, e lei doveva ancora sgattaiolare fuori dalla villa.
E per farlo, doveva approfittare della piccola pausa tra Carlo che
andava a dar da mangiare ad Attila e Nerone, e la ronda serale attorno
alla villa di Vaclav. Pochi minuti, ma sufficienti a sgattaiolare fuori
indisturbata, sempre che i tacchi non la facessero stramazzare al suolo
prima.
Lanciò un’ultima occhiata disgustata al suo
riflesso, poi agguantò il cappotto più lungo che aveva,
per nascondere al meglio gli abiti che indossava. La gonna che le era
stata prestata non era particolarmente corta, per fortuna, ma non la
faceva sentire a suo agio. Così come la maglietta senza maniche
scintillante di payette. Un flebile raggio di luna, e sarebbe stata
visibile da ogni angolo del giardino.
Colletto della giacca tirato su al massimo, e un profondo respiro. Era ora di andare.
Del tutto ignaro di quanto stesse combinando la Duchessina,
Vaclav si stava mezzo maledicendo a denti stretti. Per la prima volta
da anni, aveva l’opportunità di vivere una serata nel
mondo, fuori dall’Ordine. Solo per non poterne godere.
L’iniziale euforia già svanita, una volta resosi conto di
non avere con sé neanche uno straccio di abito civile.
Nonostante non fosse di certo raro trovare in giro ad ogni ora preti di
ogni grado, infatti, con l’abito avrebbe attirato comunque troppa
attenzione. Ma tutte le sue vesti erano composte da divise rosse da
Inquisitore, o scure da prete. Non che si fosse portato chissà
cosa nel borsone. Ma anche volendo, lui proprio non possedeva altro. E
ora si trovava seduto nella rimessa, indeciso su cosa fare.
-Padre? Che ci fa qui?- Carlo, di ritorno da nutrire i
cani, lo fissava sorpreso. -Non è la sua serata libera?- Una
vena andò a pulsare sulla tempia del prete. Nella villa era lui
l’unico a non sapere quando fosse il suo giorno di riposo?
-Così sembra.- Rispose, piatto.
-E allora cosa fa lì impalato? Vada a mettersi qualcosa di
meno clericale, forza! La porto a fare un giro in città!-
-È qui il problema.- Sospirò Havel, passandosi una
mano tra i lunghi capelli bruni. -Non possiedo nulla di non clericale.-
Lo sguardo sorpreso che gli lanciò l’anziano fece
arrossire di vergogna il giovane Inquisitore. -Non … non era
previsto che avessi tempo per uscire … così … non
ho portato nulla.- Inutile precisare che lui, a parte la biancheria,
non aveva assolutamente niente senza croci p altri simboli sacri sopra.
Era già abbastanza imbarazzante così. L’anziano
custode parve riflettervi per qualche istante, accarezzandosi i lunghi
baffi.
-A questo si può rimediare. Mi segua, Padre.- Curioso,
Vaclav seguì il buon vecchio fino ai suoi alloggi, che neanche a
dirlo, si trovavano in una piccola abitazione a pochi passi
dall’autorimessa. Dopo aver atteso per qualche minuto nella
piccola ma accogliente sala da pranzo, Havel venne raggiunto da Carlo,
con le braccia coperte di abiti di ogni genere.
-Mio figlio è partito con il Signorino Alessandro. Di
certo non ne avrà a male se le presto qualcuno dei suoi stracci.-
-Io … davvero non so come ringraziare …-
Mormorò il prete, sinceramente commosso. Carlo rise, agitando
una mano, volatilizzando ulteriori parole da parte del giovane.
-Non deve neanche dirlo! E ora vediamo se tra questa roba
c’è qualcosa che le possa andare bene …- La cernita
fu più veloce di quanto immaginato, a causa della differenza di
taglia fra il figlio di Carlo e Vaclav. Il figlio del custode, infatti,
era di quasi una ventina di centimetri più basso del prete, e
alla fine, gli unici abiti indossabili dall’Inquisitore si
ridussero ad un paio di jeans scuri, regalati da Beatrice un Natale di
qualche anno prima sbagliando taglia, e mai accorciati, e a una camicia
scura e una giacca intonata, fortunatamente con maniche abbastanza
lunghe per le braccia del prete.
-Allora, Padre? Che gliene pare?- Chiese Carlo, senza nascondere
un sorriso soddisfatto sotto i baffi. Vaclav infilò le mani
nelle tasche dei jeans, piacevolmente soddisfatto della sensazione che
quella stoffa ruvida ma allo stesso tempo comoda gli dava.
-Posso essere sincero, Carlo? Non ho mai indossato nulla di
più comodo in vita mia!- L’autista scoppiò in una
risata, per nulla sorpreso dalla risposta. Era difficile non vedere
l’Inquisitore senza essere alle prese con il suo infernale
colletto. Perché i preti si infliggessero tale tortura, per
Carlo era un mistero. Poi però, studiando meglio il giovane uomo
che si trovava di fronte, gli venne un’altra idea.
-Ditemi, Padre. Avete la patente di guida?- Havel annuì,
dopo aver battuto un paio di volte le palpebre, confuso dalla domanda.
-Sì, certo. Per renderci completamente indipendenti in
caso di trasferta, l’Ordine ci obbliga a saper guidare un mezzo.
Per quale motivo?-
-Perché credo di avere una proposta più alettante
che non farsi scorazzare in auto da un vecchio fossile come me
…- E detto questo, l’anziano fece segno a Vaclav di
seguirlo nell’autorimessa.
Superando le auto di servizio, l’autista guidò
Vaclav fino a dei mezzi coperti da teli. Quando Carlo scoprì il
primo, l’Inquisitore perse l’uso delle corde vocali:
scintillante nella poca luce, la carrozzeria aerodinamica e lucente, un
motore che pregava di essere acceso: una vera Ferrari, nera e seducente
come la notte.
-Il nonno della Signorina, il defunto Duca Sforza, era un
appassionato di auto dell’epoca pre-armageddon.- Spiegò
l’anziano, accarezzandosi con orgoglio i baffi. -Da anni mi
occupo di questa e degli altri gioielli motorizzati della collezione.
Ma questa puledra è un po’ il mio orgoglio.- Sorrise,
quasi gongolante, mentre Vaclav sfiorava appena la carrozzeria, ancora
senza parole. -All’inizio, non riuscivo a farla partire. Troppi
anni senza manutenzione e troppa polvere. Ma dopo aver smontato e
riassemblato il motore pezzo per pezzo, questa meraviglia mi ha
ripagato con il rombo più melodioso del mondo!- Vaclav non era
un intenditore di auto. Né un fanatico. Ma avrebbe mentito
dicendo che era impassibile di fronte a quell’automobile.
Probabilmente era un gene presente nel DNA maschile, ma di fronte a una
bella macchina, non c’era ordine religioso che teneva. Nessun
uomo avrebbe potuto fare altro se non rimanere in adorante ammirazione
davanti a una quattroruote del genere.
-È un vero gioiello, Carlo.- Bisbigliò il prete,
riuscendo a stento a far funzionare un minimo le corde vocali. Era
certo che non servissero tutte le dita di una mano per contare gli
esemplari di quel modello ancora esistenti al mondo. Il sorriso di
Carlo, se possibile, si accentuò ulteriormente, mentre tirava
fuori un mazzetto di chiavi.
-Allora credo proprio che le piacerà farci un bel giro.-
Gli occhi sottili dell’Inquisitore si fecero tondi come due palle
da tennis.
-Cosa?!-
-Oh, siete troppo giovane per essere sordo, Padre.- Sbuffò
il vecchio, ficcando in mano a Vaclav le chiavi. -Quest’auto
è troppo veloce per me, e sarebbe solo un triste spreco
lasciarla sempre qua, senza poter mostrare al mondo il livello che
avevano raggiunto le automobili prima dell’Armageddon. Prendetela
e fatela rombare per un po’ per le strade, ragazzo!-
-Ma … siete davvero sicuro … insomma …-
Havel dovette deglutire più volte, sentendosi improvvisamente
regredito ad un bambino di sei anni a cui era stata regalata la
bicicletta più bella del mondo.
-La prenda, ci faccio un bel giro e ci carichi su una bella
ragazza, e si diverta anche un po’ per me!!!- Il volto del prete
divenne paonazzo quanto la sua divisa da Inquisitore, ma Carlo rise,
dando una pacca sloga spalla al ragazzo. -Cerchi solo di non farle
danni che neanche un topo da motori come me possa aggiustare, e per
questa notte è tutta sua!- E detto questo, lasciò Vaclav
da solo con il bolide maliziosamente scintillante nella luce
artificiale.
Il posto non era davvero come Catherina se lo aspettava. Pieno di
luci, musica e gente. Questo sì. Quello che non si aspettava,
era le luci psichedeliche che sembravano avere il solo scopo di farle
venire il mal di mare, il volume della musica così alto da
impedirle di sentire quello che le stava urlando Irene
nell’orecchio, e una folla che la spintonava ad una parte
all’altra dell‘ambiente. Pressata come una sardina, con un
inizio di mal di testa e confusa oltre ogni limite, non riusciva bene a
capire dove fosse il divertimento. L’Heaven’s Door aveva
iniziato la sua serata inaugurale con un assaggio di musica da
discoteca. Fu un vero sollievo quando il disco venne tolto, per far
entrare un gruppo in carne e ossa.
Approfittando con gratitudine della pausa necessaria per
accordare gli strumenti sul palco, la Sforza riuscì finalmente a
udire ciò che Irene aveva tentato di comunicarle da quasi un
quarto d’ora.
-Sai Arianna e Isabella dove sono finite? Non le vedo più
…- Una smorfia passò sul volto della bionda. Arianna e
Isabella? E chi le aveva più viste? Dopo essere riuscite a
entrare nel locale, scampando ai controlli, cosa che si era rivelata
più semplice del previsto, le due ragazze erano come schizzate
via, lasciando Irene e Catherina sole tra la folla pressante.
-Non ne ho idea!- Sospirò la Duchessa, per poi indirizzare
l’amica verso un angolo meno affollato. Entrambe esalarono un
enorme sospiro di sollievo. Incredibile quanto fosse bello avere lo
spazio sufficiente per respirare e voltarsi senza rischiare di
calpestare i piedi a qualcuno. Neanche il tempo di godere del piccolo
piacere, però, che erano già state raggiunte.
-Ragazze, scusate, avete per caso visto Isabella?- Catherina e
Irene fissarono con odio il nuovo arrivato, che si trovò
inconsciamente a fare qualche passo indietro. Un ragazzo piuttosto alto
e dinoccolato, con capelli ricci color carota e un mare di lentiggini
sulla zona guance e naso. Lorenzo, il ragazzo di Isabella. Difficile
credere, dal solo aspetto, che fosse già maggiorenne e
patentato. E ancor di più che Isabella, dati i suoi gusti
raffinati in fatto di ragazzi, ci uscisse assieme. Quasi tutti gli ex
della platinata, infatti, sembravano essere pescati da riviste di
intimo maschile, o da una palestra. Ma Lorenzo era un ragazzotto
gentile e disponibile, come testimoniava il fatto che avesse fatto da
autista alle quattro ragazze, e questo lo aveva fatto entrare
decisamente nelle grazie di Irene e Catherina.
-No, ci spiace.- Disse Catherina, abbandonando, almeno per il momento, la faccia feroce.
-La stavamo cercando anche noi …- Ammise Irene. Lorenzo si lasciò andare ad un sospiro depresso.
-E io che speravo di passare la serata con lei, prima di suonare col mio gruppo …-
-Tu suoni qui?!- Tropo tardi Catherina si rese conto di quanto il
suo tono di voce fosse troppo incredulo. Ma era davvero difficile
immaginare il semplice Lorenzo a suonare in un locale alla moda come
l’Heaven’s Door. Arrossendo di brutto, cercò di
scusarsi. -Scusa, non volevo dire …-
-Oh, fa lo stesso.- Assicurò il ragazzo, bloccando la
Sforza con un gesto della mano. -La prima volta che l’ho detto a
Isabella si è messa a ridere …-
-E che strumento suoni?- Chiese Irene, togliendo l’amica dall’imbarazzo.
-Chitarra.- Rispose il rossino, il volto improvvisamente
illuminato dal piacere di poter parlare della sua passione. -Da piccolo
ho suonato pianoforte, e adesso sto imparando anche il saxofono.-
Proprio mentre Lorenzo esponeva le sue qualità musicali, alle
sue spalle, pochi metri più in là, Catherina e Irene
individuarono Isabella. Solo che stava attaccata stile ventosa alla
bocca di un ragazzo dal fisico muscoloso e corti capelli biondi.
Né la Sforza né la morettina volevano sapere dove fossero
le lingue dei due. Un’occhiata di sfuggita, e Irene e Catherina
furono d’accordo. Ben attenta ad attirare su di sé
l’attenzione di Lorenzo, in modo che non si voltasse, la
morettina sfoderò il suo sorriso più dolce.
-Da piccolo? Perché ora non suoni più il piano?-
-Solo un po’.- Una tinta ciliegia sulle guance fece
mimetizzare buona parte delle lentiggini. -Sapete. Ho smesso col piano
perché mi piace andare a suonare in giro. E un pianoforte
è troppo ingombrante da portarsi dietro …- E mentre Irene
intratteneva il rosso, Catherina partiva a passo di marcia verso
l’amica infedele. Nella sua testa già si agitavano decine
di improperi da mandare alla platinata. Ah, se solo non ci fosse stato
quel tipo di mezzo … quello fu l’unico ostacolo che fece
rallentare la ragazza. Furiosa sì. Ma non a sufficienza da
straccionare un’amica di fronte a estranei. La sua educazione
glielo impediva, più rigida di una spranga di metallo.
Fortuna volle (o sfortuna, a seconda delle parti) che il tipo a
cui era avvinghiata Isabella la lasciasse un momento, e sparisse dalle
parti dei bagni maschili. Giusto in tempo perché la platinata si
trovasse faccia a faccia con lo sguardo glaciale della Sforza.
-Isabella.- Il sibilo che uscì dalle labbra della bionda
avrebbe avuto lo stesso effetto di una condanna a morte. Quindi, quando
l’unica reazione di Isabella fu una risatina infantile, Catherina
quasi perse la mascella.
-Oh, Catherina! Ti stai divertendo? Non è uno spettacolo
questo posto?- Una sola occhiata alle pupille dilatate della ragazza, e
le parole strascicate, fecero sospettare qualcosa a Catherina. Ma la
zaffata di alcool che la colpì non appena Isabella le si fece
più vicina, le diede la conferma che le serviva. La bionda
platinata era. Completamente. Ubriaca.
La Sforza si spalmò una mano tremante sul volto, mentre
l’amica si divulgava in sproloqui assurdi, i nervi ducali messi a
dura prova. Specie quando Isabella si mise in testa di provare un bacio
lesbico. L’arrivo di Arianna fu provvidenziale nel salvare la
vita alla platinata.
-Hey! Come procede la serata?- Cinguettò la rossa, con
tanto di cocktail in mano. Catherina le mandò una delle sue
occhiate più feroci.
-Aiutatmi. A. togliermela. Di. Dosso.- Sibilò la Sforza,
cercando di districarsi dalla morsa di Isabella, regredita ad un
mollusco convinto che Catherina fosse il suo scoglio. La rossa rise,
facendo quasi versare il contenuto del bicchiere. Neanche lei in
condizioni molto salubri.
-Si è di nuovo messa in testa di baciare una ragazza,
vero? Le succede tutte le volte che va fuori … Ma di solito
è me che vuole baciare … Devo essere gelosa?- Le risate
divertite di Arianna fecero solo aumentare la furia della bionda
ricciuta, le cui iridi erano diventate due schegge gelide
dall’aspetto letale.
-Prenditela. E. Basta.-
-Eeeeeh, ok, ok, che carattere! Che sei, omofobica? Guarda che
non c’è niente di mare ad essere un po’ lesbiche
…-
-C’è di male quando una lesbica cerca di baciare una
etero che non vuole essere baciata!- Ringhiò la Sforza, evitando
per un pelo un “assalto” di Isabella.
-Come se tu avessi abbastanza esperienza da sapere che ti piace.-
Sospirò Arianna, afferrando la platinata e portandosela via,
nonostante le proteste strascicate. Catherina rimase ferma, immobile.
Solo un lieve tremolio del corpo a dimostrare la rabbia bruciante,
mentre un rossore acceso si faceva strada sul viso. Era vero, lei non
aveva molta esperienza con l’altro sesso. Anzi, praticamente non
ne aveva nessuna. Fino ad allora, non era mai uscita con un ragazzo. E
per molte ragioni. La figlia di un Papa non poteva permettersi una vita
sentimentale come ogni ragazza, in fondo. Non che fosse stata una sua
priorità. Negli ultimi anni, aveva avuto ben altro a cui
pensare. Dalla morte di sua madre, alla salute cagionevole di
Alessandro, ai battibecchi feroci, anzi liti, con Francesco. E senza
mettere in conto i vari attacchi alla sua persona da parte di
attentatori, umani e non. Tutti, fortunatamente, sventati da Abel.
Ma il sentirsi rinfacciare questa sua mancanza la feriva. La
feriva dal profondo. E forse ancora di più perché a
rinfacciarglielo era una sua amica. Ricacciò dietro le palpebre
le lacrime di rabbia. Non era né il luogo, né il tempo
adatto per piangere.
-Ok, dolcezza sono torn … hey, ma dov’è
finita?- Catherina fece quasi un balzo. Il biondo con cui si stava
baciando solo poco prima Isabella era tornato. E la stava cercando.
Desiderando profondamente di essere diventata invisibile, la bionda si
voltò, e piano piano, cercando in ogni modo di non dare
nell’occhio, si avviò dove Irene stava ancora
intrattenendo Lorenzo. Ma una mano sulla spalla le impedì di
continuare la fuga di soppiatto.
-Oh, dolcezza eccoti qui!- Il biondo l’aveva agguantata,
con un sorriso quasi predatore sulle labbra. L‘accento, si rese
conto la Duchessina, foresto. Non straniero, ma neppure Milanese.
L‘aveva già sentito, da qualcuno dei numerosi ospiti del
padre. E se non si sbagliava, le pareva genovese. I suoi dubbi vennero
confermati non appena il ragazzo riprese a parlare. -Isabella cara, per
un attimo ho pensato che non saresti rimasta ad aspettarmi …-
Gli occhi grigi della Sforza si fecero enormi.
-Ehm, guardi che io non sono …- Imbarazzata, la ragazza
tentò di chiarire l’equivoco, ma il biondo non le diede
modo di parlare, convintissimo di avere di fronte Isabella.
-Piccola, non fare l’offesa! Sono stato via poco, no, come
promesso!- E con un sorriso seducente, le sfiorò giocosamente
una ciocca di capelli. Catherina si lanciò una maledizione
serrata tra i denti. Ora aveva capito il perché
dell‘equivoco. I suoi capelli. Per l’occasione, aveva
appiattito i boccoli dorati con una piastra. E alla luce artificiale,
spesso multicolore del locale, i suoi capelli biondi, una volta
lisciati, non erano molto diversi da quelli ancora più chiari di
isabella. Senza contare che fisicamente le due non erano chissà
quanto diverse. Non poteva dare neppure tutti i torti al biondo. Senza
contare che anche lui sembrava stare bene dal punto di vista alcolico
…
La Sforza decise di tentare ancora una volta a chiarire l’equivoco.
-Senta, io non …-
-Tranquilla, rimedierò il tempo perduto …- Fece il
giovane, avvicinandosi troppo per i gusti della Duchessina, che
nonostante i tentativi di indietreggiare, si trovò con il volto
del biondo a pochi centimetri dal proprio. Oramai a vuoto di risorse, e
disillusa su un improvviso ravvedimento del tipo, Catherina fece
l’unica cosa che venne in mente. Con la pura forza
dell’istinto, tirò un calcio. Forte. Che raggiunse la
caviglia dell’uomo, facendolo ululare di dolore e sorpresa.
Balzando all’indietro, urtò anche delle persone, ma non se
ne curò minimamente, lo shock trasformato in rabbia.
-Ma che diavolo ti è preso, maledetta bagascia?!?!-
Con uno scatto fu subito sulla bionda, che non fu abbastanza veloce da
scappare via in tempo. Catherina cercò di divincolarsi dalla
mano che l’aveva afferrata per il braccio, ma senza successo.
Chiuse gli occhi quando notò la mano libera del biondo alzarsi,
pronta per schiaffeggiarla.
Vaclav non era mai entrato in un posto del genere, prima. Mai da
semplice frequentatore, almeno. Qualche volta aveva compiuto degli
arresti in locali notturni, anche più equivoci, ma mai lussuosi
e belli come l’Heaven’s Door. Buffo come la semplice
ricerca di parcheggio lo avesse portato fin lì. Tutti i posti
erano chiusi o strapieni. Così, girovagando senza una meta
precisa, era arrivato ad un parcheggio riservato ai clienti del locale.
Il custode del parcheggio, visto il mezzo su cui viaggiava il ragazzo,
ed erroneamente prendendolo per chissà quale rampollo, aveva
subito proposto un posto controllato per l’auto, e ovviamente
consegnato un buono per una consumazione gratuita
all’Heven’s Door.
E così, ritenendo stupido non approfittare di tale colpo
di fortuna, l’Inquisitore era entrato nel locale, e ora stava
sorseggiando un cocktail di cui non avrebbe mai potuto ripetere il
nome, neanche se ne fosse valsa la sua stessa vita, ma che non era
affatto male. Soprattutto, era impaziente di ascoltare i gruppi dal
vivo. Pur non avendo, nella vita clericale, molto spazio per lo svago,
la musica era una delle poche distrazioni che si permetteva. E, che si
trattasse di cori di chiesa o meno, non era di certo tipo da perdere
l’occasione di sentire una melodia dal vivo. Anche il genere poco
gli importava, purché fosse di epoca pre-armageddon. Apprezzava
ogni tipo di musica. Dalla classica al rock.
Le chitarre venivano accordate, e lui prese un lungo sorso, quasi
pentendosene: la cosa aveva un nome strano, ma era alcolica. Eccome.
Resistendo alla voglia di tossire, se la allontanò dalle labbra,
deciso a farsi durare la bevanda il più a lungo possibile.
Le ultime parole famose.
Uno spintone alle spalle, e il bicchiere gli scappò di
mano, facendo un perfetto arco a mezz’aria, prima di frantumarsi
sul pavimento. Un cameriere vide la scena, e si affrettò a
pulire, ma Vaclav vi fece poca attenzione. Cameriere o no, non poteva
permettersi un nuovo cocktail. Non coi prezzi del locale. E voleva
almeno togliersi la soddisfazione di fissare in cagnesco la persona che
gli aveva fatto sprecare il suo alcool. Il primo da quando aveva
lasciato la Boemia.
Ma quando si girò, vide un motivo ben più grave per
avercela con lo sconosciuto. Il tipo stava strattonando una ragazza per
un braccio, e si stava preparando a schiaffeggiarla, sotto gli sguardi
incuranti degli altri avventori del locale. Un moto di rabbia si
espanse nel petto dell’Inquisitore, indeciso se avercela di
più con il tizio biondo, così vigliacco da avere
l’ardire di alzare le mani su una ragazza che era tranquillamente
la sua metà, o con la gente, del tutto indifferente a quanto
stava succedendo a pochi passi di distanza.
Lasciandosi scappare dalle narici uno sbuffo degno di un toro,
afferrò la mano alzata, giusto prima che lo schiaffo partisse.
Un’esclamazione in un dialetto a lui sconosciuto, e l’uomo
si voltò, gli occhi chiari del biondo a fare conoscenza con le
iridi ebano del prete in borghese.
-E tu cosa vuoi!?- Ringhiò il ragazzo, trovando
però la presa dell’Inquisitore ben più salda di
quanto si aspettasse.
-Non ho capito bene quello che ha detto. Ma sono certo che non
siano scuse per il mio bicchiere.- Sibilò Havel, serrando
ulteriormente la presa sul braccio del tizio. -Ora, c’è
una cosa che non sopporto. E non mi riferisco solo a quelli che mi
fanno cadere da bere. Sono quelli che se la prendono coi più
deboli. Specie se i più deboli sono delle donne.- E con un
movimento fulmineo, il pugno del prete andò a sbattere contro il
naso del ragazzo. Un sonoro crack fu udibile dagli avventori più
vicini, mentre il biondo finiva scagliato parecchio più in
là. Stordito, il giovane riuscì appena a trovare la forza
di portarsi una mano al viso, che si stava rapidamente sporcando di
sangue.
Aggiustandosi la giacca con fare soddisfatto, Vaclav si rivolse
alla ragazza, caduta a terra, cercando di essere il più gentile
possibile.
-VI siete fatta male, signorina?- Chiese, porgendo una mano, che venne accettata con un filo di voce.
-N … no, non credo …- Un campanello interno parve
come suonare nella testa del giovane prete. Conosceva quella voce. Ma
non poteva essere davvero sicuro di dove e quando l’avesse
già sentita.
Catherina accettò con gratitudine la mano del suo
salvatore. Poteva già sentire le cinque dita stampate sul volto,
quando la mano del biondo era stata fermata. E quando il braccio le era
stato improvvisamente liberato dalla presa ferrea in cui era costretto,
era caduta ingloriosamente all’indietro. Stupidi tacchi. Anche
loro parte della “divisa” datale da Isabella. Un ringhio
sommesso. La platinata avrebbe avuto parecchie cose per cui chiedere
perdono, una volta tornata sobria e tra le grinfie della Sforza …
Senza apparente fatica, il nuovo arrivato la tirò in
piedi, e Catherina alzò lo sguardo per guardarlo in viso. Da
quel che aveva potuto vedere era molto alto, e con capelli lunghi, ma
le luci infami del locale non le avevano permesso di vederne il viso.
La voce aveva un che di familiare, ma davvero non riusciva a collegarvi
un volto … Non appena gli occhi dei due si incontrarono, la
sorpresa fece cascare ad entrambi la mascella.
-TU!?!?!- Il grido di sorpresa uscì in perfetta sincronia.
-Non è possibile!!! Sei un’ossessione!!!-
Strillò la Sforza, portandosi le mani tra i capelli biondi, i
nervi ridotti a fibre sottilissime.
-Finalmente qualcosa su cui siamo d’accordo …-
Sibilò Vaclav, vena pulsante sulla tempia, e tic al
sopracciglio. I due si trovarono a fissarsi in cagnesco, in un modo che
avrebbe fatto l’orgoglio di Attila e Nerone. Dopo qualche lungo
istante, però, lo sguardo di Catherina mutò in uno
più sorpreso.
-Aspetta, ma che fine ha fatto la divisa? Sembri la metà
senza …- Ed era vero. Con addosso la camicia e la giacca scura,
l‘effetto ottenuto era molto simile a quello con l’abito
scuro da prete errante. Ovvero un Vaclav dall’aspetto molto
longilineo, apparentemente poco forte fisicamente. Risentito,
l’Inquisitore non fece tardare la sua risposta.
-E lei che ha fatto agli occhi? Non so se sembra un pierrot punk
o un panda …- Il ragazzo dagli occhi scuri registrò
appena quanto fosse irrispettosa e impertinente la sua risposta.
Probabilmente la colpa era da darsi al cocktail dal nome
impronunciabile e all‘alcool all‘interno. Ma fatto stava
che in quel preciso istante, non gliene poteva importare di meno
dell’etichetta.
Al commento, gli occhi grigi della ragazza parvero mandare scintille. E dagli col pierrot!!!
-Sono affari miei!!!- Ma, forse per la sorpresa di aver trovato
l’ultima persona al mondo che avesse voglia di incontrare, o
forse perché ormai ci aveva fatto l‘abitudine ad essere
fissato in quel modo, il prete rimase assolutamente impassibile.
-Sarà. Ma mi pare che questo non sia posto da Duchessine.
Soprattutto minorenni.- Se le sue corde vocali glielo avessero
permesso, la ragazza avrebbe ruggito. Il prete non imparava la lezione,
vero?! Lei. Odiava. Essere. Chiamata. Duchessina!!!
-Un’altra parole e …- Ma Vaclav non seppe mai quale
fosse la minaccia della Duchessa, perché alle loro spalle erano
arrivati quelli che presumibilmente erano gli amici del biondino, fino
a quel momento rimasti in disparte, sparsi per il locale.
-Signorino Boccanegra!- Erano le parole che uscivano più
spesso dalle bocche dei nuovi arrivati. Vaclav inarcò un
sopracciglio, confuso.
-Signorino?-
-Boccanegra?- Fece coro Catherina, egualmente disorientata.
Boccanegra? Dove l’aveva già sentito quel cognome? Pochi
secondi. E il cervello fece i suoi collegamenti. E gli occhi truccati
della ragazzina si fecero larghi come due palline da golf
Boccanegra.
Signorino Boccanegra.
Boccanegra.
Accento genovese.
Genova.
Boccanegra.
Una lampadina parve accendersi nella scatola cranica della
Sforza. Simone Boccanegra. Figlio di Riccardo Boccanegra. Attuale Doge
della città di Genova!!! E, se ricordava bene i discorsi di suo
padre e Francesco, il favorito alle elezioni che si sarebbero tenute di
lì ai prossimi anni per il governo della Superba!!! A confermare
i suoi sospetti, anche la somiglianza del ragazzo con l’attuale
Doge, di cui aveva visto una volta una foto. Terrore puro
cominciò a scenderle lungo la schiena. C’erano tutte le
potenzialità di scatenare un incidente diplomatico di dimensioni
mastodontiche. Con un improvviso moto di affetto per il prete,
Catherina lo afferrò per un braccio, e tentò di
trascinarlo via. Ma questi non si mosse di un millimetro, nonostante la
ragazza stesse usando tutte le sue forze.
-Cosa accidenti c’è adesso?!- Ringhiò questo,
in un tono irritato che la ragazza gli aveva sentito usare solo una
volta, quando erano tornati a piedi da scuola. Segno che il prete
doveva essere davvero arrabbiato. Ma lei continuò a
strattonarlo, cercando di convincerlo a smuoversi, con risultati nulli.
-Andiamocene!-
-Per quale motivo?- Chiese, facendo aumentare a dismisura l’impazienza della Sforza.
-Quello è Simone Boccanegra!!!-
-E allora?- Con un’esclamazione esasperata, la Sforza
spiegò in poche parole chi era il biondo col naso spaccato che
stava perdendo sangue per ogni dove a pochi passi da loro. La
trasformazione del volto del prete fu un qualcosa che avrebbe voluto
filmare. Ma non c’era tempo per cose del genere. E anche volendo,
la ragazza non ne avrebbe avuto, perché l’Inquisitore
l’aveva afferrata e trascinata fuori dal locale di gran carriera,
approfittando della distrazione della gente, tutta rivolta al ragazzo
col naso insanguinato. Le parve di aver visto di sfuggita Lorenzo e
Irene, a cui fece cenno di saluto, e anche Isabella e Arianna, ma non
ne fu sicura al cento per cento, trascinava via stile bandiera. Ma per
una volta, non pensò neppure di lamentarsi.
In men che non si dica, i due erano fuori dal locale e nel
parcheggio, dove Vaclav strappò letteralmente di mano le chiavi
al custode, e ficcò a mò di pacco la Duchessa nel sedile
passeggero della Ferrari nera.
-E questa dove l’hai presa?!?- Esclamò la ragazza, incredula.
-Carlo.- Fu la sola risposta del prete mentre metteva in moto e
usciva dal parcheggio a tutta velocità, rischiando di investire
il custode. Catherina si guardò alle spalle, giusto in tempo per
vedere un buon numero di persone fare esattamente la stessa cosa, con
auto più moderne, ma non altrettanto potenti.
-Accelera!- Incitò la giovane, terrorizzata all’idea
che qualcuno potesse averla riconosciuta, e ancora di più che
qualcuno li raggiungesse.
-Sto già accelerando!!!- Rispose Vaclav, esasperato, il rombo del motore a dimostrazione delle sue parole.
-Allora accelera di più!!!-
-Sono già oltre i limiti!!!-
-Chi se ne frega!!! Le multe te le pago io!!! Schiaccia
quell’acceleratore!!!- Urlò la ragazza, in preda a una
crisi isterica. Incoraggiato dalle grida della Duchessa e dalle luci
delle auto che li inseguivano, il prete eseguì l’ordine.
-Come desidera Sua Signoria …-
In pochi minuti di corsa supersonica, gli inseguitori erano stati
seminati. E questo fece tirare un profondo sospiro di sollievo ai due.
Quasi con dispiacere, il bolide venne fatto rallentare, fino ad
arrivare ad una velocità non troppo illegale. Solo allora,
Catherina ritrovò un briciolo della sua avversione per la sua
guardia del corpo. Le parole le uscirono dalla bocca con un sibilo
gelido.
-Cosa ci facevi lì?- La risposta dell’Inquisitore non si fece attendere, altrettanto glaciale.
-Prima risponde quella che lo ha fatto illegalmente.- Riflessi
sullo specchietto, gli occhi scuri non ammettevano repliche. -Fino a
prova contraria, il locale non è vietato ai preti, neanche
quelli che fanno parte dell’Inquisizione. Ma lo è per le
ragazze di buona famiglia minorenni.- E a questo la Sforza non
poté ribattere. Che le piacesse o meno, Vaclav aveva il coltello
dalla parte del manico, e lo sapeva benissimo. Non poteva fare a meno
di esaudire la richiesta del prete, e sperare che decidesse di non fare
la spia. Incoraggiata dal fatto che avesse mantenuto il silenzio sulle
sue lacrime di qualche giorno prima, decise di fidarsi. E con uno
sbuffo riluttante, Catherina iniziò a raccontare delle idee
malsane di Isabella e Arianna. E di come erano arrivate a convincere
lei e Irene a parteciparvi.
-Spero ne sia valsa la pena.- Fu l’unico commento di Havel, che si guadagnò la sua occhiata al vetriolo.
-Il tuo turno. Che ci facevi lì?- Domandò la
ragazzina, decisa, ora che aveva svuotato il sacco, ad avere la sua
risposta.
-Serata libera. E una consumazione gratuita.- Ammise il prete,
mentre rilasciava il suo resoconto. In fondo, la Duchessa era stata
sincera con lui. E su questo non aveva dubbi, avendo visto, nei giorni
in cui aveva scortato la ragazza a scuola, i comportamenti delle sue
amiche. Era il suo turno. Una volta terminato il breve racconto, il
silenzio avvolse la vettura, se non per il rombo del motore. Alla fine,
la Sforza emise un lungo sospiro.
-Mi spiace. Ti ho rovinato la serata libera … non ne avrai
altre fino al mese prossimo.- Vaclav dovette voltarsi un momento per
controllare che non gli avessero scambiato Duchessa. Era la prima volta
che la ragazza si scusava apertamente con lui. Una volta accertato che
tutto era al suo posto, il prete si lasciò andare ad un sorriso.
-Non importa. Ce ne saranno altre.- Passarono altri lunghi
istanti silenziosi, ma decisamente più rilassati. Poi una lieve
risata venne a stento trattenuta da Vaclav, ma non abbastanza da non
farne accorgere Catherina.
-Perché ridi?-
-Perché sto facendo esattamente quello che mi ha detto di
fare Carlo.- Catherina lo fissò stupita. Senza perdere la piega
divertita delle labbra, il prete spiegò: -Sto facendo fare un
giro a questo gioiello di auto, e ci ho caricato sopra una bella
ragazza.- Vaclav evitò accuratamente di aggiungere la parte del
“divertimento“. Non sarebbe stato bello essere strangolati
durante la guida.
Un rossore imbarazzato si fece largo sulle guance di Catherina.
-Pensi che io sia bella?- Chiese con un pigolio titubante la
ragazzina. Era la prima volta in assoluto che una persona
dell’altro sesso le faceva un complimento simile. E seppur la
cosa la stava facendo sentire come se le fossero appena spuntate un
paio di ali, allo stesso tempo le faceva uscire una insicurezza che
neppure sapeva di avere. Vaclav annuì, sincero e sicuro delle
proprie parole.
-Certo. Il rossetto, poi, le sta molto bene.- Per un istante, il
moro distolse lo sguardo dalla strada, per studiare meglio la Duchessa.
-Certo, per il resto sembra una fan del Kiss o di Alice Cooper, ma
è davvero carina …- Un ringhio e una borsetta in testa fu
la ricompensa per la battuta. -Hey!!! Sto guidando!!!-
Tra una scaramuccia e l’altra, la fuoriserie portò a
casa i suoi passeggeri, in un clima quasi cameratesco. Una volta sceso
dall’auto, Padre Havel si lasciò andare ad un sospiro
depresso.
-Cosa c’è?- Domandò la sedicenne, sinceramente preoccupata, e non irritata dal prete.
-Credo di aver fatto più infrazioni del codice della
strada questa sera che in tutta la mia vita.- Gli occhi ebano si
posarono supplichevoli sulla ragazza. -Non so se dopo stasera
manterrò il lavoro …- Catherina sbuffò. Ma quanto
sapeva essere melodrammatico questo ragazzo? Poi però
notò che l’espressione del prete si era già sciolta
in un sorriso, segno che la sua voleva essere una battuta. Mantenendo
un tono serio, la ragazza lo rassicurò.
-Casomai ti assumo come autista.- Il volto fine
dell‘Inquisitore si contrasse in un‘espressione pensosa.
Poi dopo pochi secondi, entrambi si trovarono a sorridere.
Un’altra manciata di secondi, e per la prima volta da quando si
erano conosciuti, i due si lasciarono andare a una risata, mentre un
nuovo sentimento di complicità si faceva strada nei due. Non
ancora amicizia. Ma già qualcosa di più rispetto alla
traballante tolleranza di soli pochi giorni prima.
-----
-Ahia!!!- La Sorella infermiera roteò gli occhi al cielo,
esasperata dai lamenti infantili di uno degli ultimi ospiti
dell’infermeria vaticana. Tutto il suo rispetto e simpatia
rivolti alla giovane suora dai capelli rossi che se ne stava occupando.
-Oh, insomma, Padre Nightroad! Non posso averle fatto così male!-
-Ma pizzica …- Pigolò il prete albino, ottenendo uno sbuffo irritato da Esthel.
-È disinfettante, è normale che pizzichi! E ora la smetta di fare il bambino. Ho quasi finito.-
-Inutile, Sorella Esther. Non si può pretendere tanto dal
nostro Padre Nightroad.- Con un sorriso divertito stampato sulle labbra
ricoperte dall’elegante rossetto, la Cardinalessa Sforza era
entrata nell’infermeria, seguita da un egualmente sorridente
Vaclav.
L’incontro era andato davvero bene. Simone Boccanegra non
li aveva riconosciuti, ufficialmente, e non aveva fatto commenti, se
non che Padre Havel assomigliava molto ad un uomo che l’aveva
rimesso al suo posto, anni prima. La frase era stata detta con il
sorriso sulle labbra, e senza malizia. Difficile indovinare se si
riferisse davvero a quella fatidica sera, o ad altro. Ma
un’occhiata era bastata per capire che il Doge aveva riconosciuto
i due. Eccome. Quegli occhi chiari fissavano l’ex Inquisitore in
maniera inequivocabile. Ma non ce l’aveva con il prete o con la
ora Cardinalessa. Ed evidentemente considerava il fatto un episodio su
cui farci una risata, e non una scusa per una rimostranza. Il commento
rese l’atmosfera più confidenziale, e, per una volta,
l’udienza fu civile e non del tutto spiacevole, come spesso
invece accadeva negli incontri con capi di città.
Abel, evitando il pizzicante batuffolo di cotone di Esthel, si esibì in uno dei suoi bronci più riusciti.
-Cardinalessa Sforza, lei mi ferisce! È proprio così bassa la stima che ha nei miei confronti?-
-Vuoi la risposta educata, Abel, o quella sincera?- Fece la donna in rosso, con un tono tra il sarcastico e la minaccia.
-Mi accontenterò di quella educata …- Pigolò
il prete albino, scatenando una risata a Padre Havel e Suor Blanchett.
Lanciando un’occhiata feroce ai due, che non venne presa
minimamente sul serio, Padre Nightroad decise di cambiare argomento.
-Devo assumere che l’incontro con il Doge è andato bene?-
-Dobbiamo ammettere che è così.- Disse la
Cardinalessa, lasciandosi andare a un sorriso stanco ma soddisfatto.
-Le banche e le navi genovesi continueranno a lavorare per il Vaticano,
come le altre Nuove Repubbliche Marinare, a patto di avere una totale
libertà di mercato anche con l’Impero e con i Methuselah
in generale, senza dover renderne conto a Roma.-
-Ai genovesi non importa se il loro cliente è Methuselah o
Terran. Come ai veneziani, ai pisani e agli abitanti di Amalfi.-
Annuì Vaclav, mentre porgeva a Catherina una sedia su cui
sedersi. -In fondo, ha solo chiesto ciò che ha da sempre
contraddistinto le Nuove Repubbliche Marinare. Venezia, Genova,
Pisa e Amalfi, pur facendo parte delle terre vaticane, hanno da sempre
preteso una totale autonomia da Roma. Sono in tutto e per tutto
città stato, con un loro governo autonomo e leggi proprie.-
-Ma Cardinalessa, Pisa … non era governata da suo zio, il Vescovo d’Este?- Chiese la suorina rossa, confusa.
-Sì. Ma ne era il capo solo per elezione. Si faceva
chiamare Duca, ma era stato eletto, come ogni Doge.- Confermò
Catherina, piacevolmente stupita dalla domanda della giovane Blanchett.
Abel piegò la testa da un lato, le sopracciglia chiare inarcate
in confusione.
-Strano che Pisa abbia taciuto dopo l’arresto del suo Signore, e non si sia ribellata …-
-Este voleva far rientrare Pisa sotto il comando di Roma,
sacrificandone l’indipendenza, per poterla continuare a governare
anche una volta divenuto Papa. E questo ai pisani non è piaciuto
molto. Hanno visto l’arresto di Este quasi come una cosa di cui
ringraziare il Vaticano.- Spiegò la Cardinalessa, il cui sorriso
aveva preso una piega malevolmente sadica.
-E indirettamente l’hanno fatto, attraverso il Doge
Boccanegra.- Sorrise sotto i baffi Vaclav. -Se quei doni di fattura
pisana che egli vi ha portato sono di qualche indicazione.-
-Già. Pisani e Genovesi non vanno molto d’accordo,
ma sono entrambe Repubbliche Marinare, e quindi alleate.-
Ridacchiò Catherina, ripensando ai bellissimi piatti e al
dipinto donati, su cui era ritratta, invece che la Lanterna, simbolo
della città ligure, la famosissima Torre di Pisa. Un messaggio
più che lampante. -Sarebbe stato troppo diretto un dono da parte
del nuovo Doge di Pisa. Così Boccanegra l‘ha portato al
suo posto, ufficialmente come dono di Genova.-
-Davvero strano. Due città che non hanno simpatia
l’una per l’altra, eppure alleate?- Domandò Esthel,
scetticismo grondante da ogni parola. Non era segreto, infatti, che tra
gli abitanti delle due città non corresse buon sangue. E persino
lei, che abitava in Italia da non molto tempo, ne era venuta a
conoscenza. Addirittura molte persone erano stupite del fatto che le
due città continuassero a far parte di questa alleanza di
Repubbliche, rinate ispirandosi alle antiche Repubbliche Marinare di un
tempo. Per anni furono tra i pochi baluardi dell’umanità
caduta in disgrazia dopo l’Armageddon, in un periodo di caos,
prima che il Vaticano si mobilitasse e riportasse un minimo di ordine e
unità.
-Tra le persone accade più spesso di quanto creda,
Sorella.- Rispose con un sorriso gentile Know Faith. -Basti pensare a
Padre Abel e Padre Leòn.-
-O a me e te quando ci siamo conosciuti.- Annuì Abel,
senza riuscire a sopprimere una risata, a cui si unì anche il
prete moro.
-Giusta osservazione!- Gli occhi blu si Esthel parvero cercare di
uscire dalle cavità oculari del cranio della ragazza.
-Che cosa!? Anche voi due non andavate d’accordo?!?-
Catherina non cercò neppure di sopprimere un mugolio esasperato.
-Non voglio ripensare al nervoso che mi avete fatto venire voi
due …- I due preti si lasciarono andare ad una risata. Esthel li
fissava, sul volto lampante la sete di conoscenza. Un’occhiata
complice, e Havel prese posto su una sedia accanto a Catherina, mentre
Abel iniziava il racconto del suo primo incontro con Know Faith, quasi
un mese dopo il fattaccio all’Heaven’s Door.
Fine File 04
Ehm … per chi non lo sapesse, in dialetto genovese, Bagascia vuol dire “puttana”. ^_^’
Lo so, questo capitolo è venuto fuori lunghissimo, anche
perché è l’ultimo File con solo Catherina e Vaclav.
Dal prossimo ci sarà anche Abel, e allora arriva il bello!!! ^_^
Non ho davvero potuto resistere oltre. Non vedevo l’ora di
cominciare le avventure del terzetto. Se comunque avete qualche
richiesta specifica su situazioni particolari in cui volete vedere i
personaggi di TB, basta dirlo e vedrò di accontentare tutti.
Ho fatto tutto questo sproloquio sulle Repubbliche Marinare per
il semplice fatto che mi sembrava una cosa carina da inserire, e
perché mi veniva fuori man mano che scrivevo il finale del
capitolo, e mi pareva una buona idea per introdurre l’inizio del
racconto sull’incontro tra Vaclav e Abel, non esattamente dei
migliori, anche in questo caso. E non escludo che possano venirmi bene
in futuro. Ho dato parecchio spazio a personaggi inventati da me, lo
so, ma quasi tutti avranno una certa importanza in seguito per la
crescita di Catherina e delle sue due guardie del corpo.
Grazie mille a The_Dark_Side che ha commentato, oltre al File 03,
anche la mia one-shot “Late Night Conversation”. Spero che
questo nuovo File ti sia piaciuto! ^_^
Saluti
Will
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Capitolo 6 *** File 05 ***
file 05
Nuovo File … e finalmente arriva Abel!!! Adoro questo
personaggio, e i modi in cui mi farà impazzire il buon Vaclav!!!
XD
Allora, dato che alla fine non ho scoperto che armi usa Havel, ho
deciso di usare una mia assunzione: riguardando bene l’immagine
dell’artbook da cui è nata “Memories”, mi pare
che Vaclav non abbia il bastone (o quello che è!) come Pietro,
ma a ben guardare, anche la sua divisa da Inquisitore è
piuttosto differente da quella degli altri Inquisitori. Può
essere per il fatto che non è un Inquisitore di Roma? O
perché ci sono degli anni di differenza, e la divisa è
cambiata? O perché è di un rango differente? Boh, dato
che non so… provvedo con la mia fantasia.
Comunque, ho trovato che la spada funziona bene per la mia fic, e
almeno per questa mia storia, ambientata ai tempi in cui è un
Inquisitore, prenderò la cosa per buona, e lo renderò uno
spadaccino.
Ho anche un altro piccolo dilemma: in TB, non è chiaro se
i preti e le suore del Vaticano si possano sposare o meno. Con una mia
amica ho avuto questa discussione, e siamo arrivate alla conclusione
che i voti di celibato e castità siano stati o eliminati, o resi
facoltativi. In fondo parliamo di un futuro post-apocalittico moooolto
lontano. Anche la Chiesa può fare qualche cambiamento, no?
Una delle cose che mi fa pensare questo è la motivazione
per cui Alessandro viene fatto Papa, e non Francesco. Da quel che ho
capito, Francesco non viene fatto Papa perché è un figlio
illegittimo del vecchio Papa. Ma se questo avesse preso i voti da
sacerdote, ovvero non potersi sposare ecc. allora anche Alessandro
sarebbe stato un figlio illegittimo! Invece, da quel che ho capito, il
fatto è solo che Francesco ha una madre diversa da Alessandro e
Catherina. Mi sembra anche strano che non sia stata eletta Catherina,
ma forse, il ruolo di Papa, dato che deve rappresentare San Pietro in
terra, è l’unica carica, in questo mondo dove le donne
possono essere cardinali, in cui deve essere eletto un uomo. O forse
è anche lei una figlia illegittima… accidenti, tutto
troppo complicato e poco spiegato.
Boh. Ipotesi mie. Comunque, se in TB ci fossero i voti di
castità, sarebbe davvero uno spreco coi bei tipi dell’AX e
non solo! Soprattutto credo che Leòn finirebbe per entrare in
una depressione profondissima!!! XD
Se qualcuno sa qualcosa di più, può farmi sapere? Mi sarebbe molto utile per il continuo dei ricordi…
Ok. Momento di pazzia finito. Si torna al File.
File 05
- ABEL’S RETURN -
Il parco di Villa Sforza era, nel pomeriggio soleggiato, un
piccolo paradiso terrestre. L’aria era piacevole, non fredda, ma
neanche afosa. Un venticello allegro sembrava accarezzare il tardo
pomeriggio, assieme alle piccole creature che si affaccendano prima
della sera, in un clima di pace e serenità, dove persino i
compiti scolastici apparivano sotto una luce meno disgustosa. Per
questo Catherina aveva deciso di seguire la sua guardia del corpo
temporanea, l’Inquisitore Vaclav Havel, nel parco, portandosi
dietro i libri di scienze.
Beatrice aveva dovuto guardare due volte prete e Duchessa, per
essere certa di aver visto proprio loro due uscire assieme dalla villa.
E senza scannarsi. O meglio. Senza che Catherina cercasse di scannare
Vaclav. Sebbene nell’ultimo mese, i due fossero diventati sempre
più vicini, soprattutto dopo una certa serata in un certo
locale, era ancora dura per il personale domestico accettare che i due
non fossero più l’una alla gola dell’altro. Ma che
anzi, certe volte era difficile intuire se era l’Inquisitore ad
essere l’ombra della Sforza, o il contrario. I battibecchi
c’erano sempre, a volte anche violenti (da parte della Sforza) ma
ciononostante, era diventato difficile vedere la Duchessa senza la sua
“ombra capellona”, come Irene continuava, imperterrita, a
chiamare Padre Havel.
-203 … 204 … 205 …- Il prete contava le
flessioni, incurante del sudore che iniziava a farsi strada sulle
tempie. Essere in servizio come guardia del corpo non era una scusa
accettabile per non mantenersi in forma. Anzi, semmai era una
motivazione in più. Non poteva mai sapere quando sarebbero stati
richiesti i suoi talenti di soldato della Santa Inquisizione, ed era
meglio essere pronti a ogni evenienza.
Senza contare che l’allenamento aveva sempre avuto un
effetto calmante su di lui. Il movimento sempre uguale, apparentemente
monotono, era familiare e la fatica rinvigorente. In un certo qual
modo, non lo considerava diverso dalle preghiere. Quasi una
meditazione, ma, oltre che dello spirito, anche del corpo. Così,
tunica da allenamento rossa ma senza paramenti sacri, Padre Havel aveva
approfittato del pomeriggio libero di lezioni per fare un po’ di
esercizio nel verde, seguito dalla duchessina.
Vaclav si lasciò andare a un sorriso sereno, mentre
cominciava a sentire i primi effetti benefici degli esercizi. I muscoli
che cominciavano a scaldarsi a dovere, rendendo minore la fatica, la
pelle che traspirava umidità, la mente che si svuotava…
-Ne hai saltata una.- Puntuale, la voce della giovane Sforza
distrusse la piccola serenità che andava formandosi
nell’Inquisitore.
-Non mi pare.- Sibilò Vaclav, con un tono che celava
“sono io quello che fa fatica quindi non immischiatevi!!!”,
ma che la bionda aveva deliberatamente ignorato.
-Invece è così. L‘hai contata, ma non
l‘hai fatta. Hai barato.- Havel abbassò il capo,
soffocando in un sofferto sospiro la voglia di strangolare quella spina
nel fianco ricciuta che era il suo incarico.
-Mi sembra che si stia prendendo un po’ troppe confidenze, Duchessa.-
-Mi pare naturale.- Rispose la ragazza, senza neppure sollevare
gli occhi dal libro. -Sei la mia guardia del corpo, quindi devo passare
quasi tutto il mio tempo con te alle calcagna. È solo
fisiologico che mi prenda qualche piccola libertà.-
-”Piccola”?!?- Il sibilo minaccioso dell’Inquisitore venne del tutto ignorato da Catherina.
-Non vedo cos’hai da lamentarti tanto!- Sbuffò la
ragazza, sfogliando una pagina, e iniziando un nuovo capitolo. -In
fondo io me ne sto solo qui, buona buona a studiare, mentre tu fai i
tuoi esercizi.- Ora la pazienza di Havel, di solito piuttosto
abbondante, era diventata tragicamente scarsa. Una vena in rilievo su
una tempia, e tic al sopracciglio.
-E deve proprio studiare sulla mia schiena?!- Ringhiò,
girando la testa quel tanto che il collo gli consentiva, cercando di
fissare con aria feroce la sedicenne che aveva preso la sua colonna
vertebrale per una panchina.
-Mica è colpa mia se ha scelto l’unico angolo del
parco senza panchine, Padre Havel.- Ribatté la giovane, senza
neppure alzare gli occhi dal suo libro. Ricacciando in gola un ringhio,
l’Inquisitore girò la testa. Quanto detestava quando la
Duchessa aveva ragione … in un modo malato e piuttosto
fantasioso, ma pur sempre ragione. Uno strano verso gli scappò
quando il tacco basso di una delle scarpette ducali andò a
colpirgli una costola.
-Almeno non dondoli le gambe!!!- Sbuffò
l’Inquisitore, tornando ai suoi esercizi, tristemente rassegnato.
La ragazza roteò gli occhi al cielo.
-Non ho fatto forte, non posso averti fatto tanto male…- E
così dicendo, all’opposto delle sue parole, scostò
delicatamente alcune ciocche di lunghi capelli bruni dal collo del
prete, lasciato scoperto dalla tunica da allenamento, quasi una carezza
di scuse. Rapido come se fosse stato colpito da una scossa elettrica,
il ragazzo incassò il collo tra le spalle, lasciandosi sfuggire
dalle labbra un sibilo. Gli occhi grigio azzurri si spalancarono a
dismisura, sorpresi, per poi assottigliarsi, mentre la biondina
ripeteva l’operazione, ricevendo la stessa identica reazione. Le
iridi chiare scintillanti di maligna comprensione.
-Tu soffri il solletico!!!- Ad avergli tirato una bastonata, il
prete era sicuro che avrebbe sofferto meno. Quella della Duchessa non
era una domanda. Ma una sentenza. Il corpo di Vaclav si irrigidì
come una statua. Il sudore dell’allenamento trasformato in sudore
freddo. Si trovò a deglutire a vuoto. Non aveva bisogno di
voltarsi, per vedere il sorriso sadico e che si era formato sulle
labbra rosa della Sforza.
Da parte sua, la Duchessina stava assaporando ogni aspetto della
sua scoperta. Ora capiva: dondolando le gambe, non stava facendo male
al prete … gli stava solo facendo il solletico!!! La piega delle
labbra si accentuò, mentre capiva il perché della lotta
continua dell’Inquisitore col suo colletto. Di sicuro
l’indumento pizzicava come un’ortica, e con un collo
sensibile, doveva essere pura tortura. E ora, era venuto il momento di
godere di questa scoperta. Senza perdere tempo, iniziò a passare
le dita sottili sulla pelle scoperta del collo del prete.
-La … la smetta subito!!!- Uggiolò dopo pochi
istanti di coraggiosa resistenza il prete, tentando un tanto istintivo
quanto ridicolo tentativo di scostare il collo dalle mani implacabili
della ragazza, intramezzato da imbarazzanti risate isteriche,
impossibili da soffocare del tutto.
Catherina, da parte sua, non aveva alcuna intenzione di smettere.
Se era possibile, quella era la scoperta più divertente che le
avevano regalato gli ultimi tempi, decisamente migliore
dell’Heaven’s Door, e non aveva di certo in mente di
terminare tanto presto il suo divertimento. Non mentre Vaclav era alla
sua totale mercè.
-Signorina! Ma che mi sta combinando?!?- Carlo fissava i due
totalmente allibito, i lunghi baffi facevano apparire la bocca
più spalancata di quanto non fosse in realtà. La ragazza
smise un momento il suo assalto, e il prete approfittò
dell’attimo di distrazione per scrollarsi la Duchessa di dosso.
-Hey!!!- Catherina emise un’esclamazione sorpresa,
trovandosi all’improvviso con il ducale fondoschiena per terra.
Un’occhiata glaciale raggiunse Vaclav, che però era troppo
sollevato dall’essere fuggito alla tortura, per esserne davvero
colpito.
L’anziano autista, intanto, fissava con disapprovazione la sua Duchessa.
-Signorina. Mi indigno per il suo comportamento.- Catherina ebbe
la decenza di arrossire, consapevole dell’infantilismo delle sue
azioni. Carlo sbuffò, non ancora soddisfatto. -È ancora
troppo giovane per molestare sessualmente gli ospiti della casa!-
Entrambe le mascelle di Inquisitore e Duchessa caddero a livello
ginocchia, inorriditi e allibiti, mentre i volti prendevano una tinta
bordeaux. Il grido partì all’unisono.
-CARLO!!!-
-Non faccia tanto la scandalizzata, Signorina!- Rise il vecchio,
la sorpresa e la severità di pochi istanti prima sostituiti da
un sorriso malizioso sul volto rugoso. -È così che vostro
padre ha concepito vostro fratello Francesco … e anche lei, se
è per questo. Il piccolo Alessandro, invece, è stato
concepito in maniera meno appariscente… e dopo il matrimonio con
la cara Duchessa Sforza.-
-CARLO!!!- Le corde vocali di prete e Duchessa sembravano
incantatesi solo sul nome dell’anziano, i volti, se possibili,
ancora più paonazzi. Catherina per l’imbarazzo e
l’accusa di essere paragonata al lato dongiovanni del carattere
paterno, Vaclav perché per nulla interessato al modo in cui il
suo capo e il suo incarico erano venuti al mondo. C’erano cose
che era sempre meglio non sapere. E lui non era mai stato un tipo
troppo curioso. Non d quel genere d’informazioni, almeno.
Divertito dalle reazioni attenute, e dal passo buono di distanza
preso uno dall’altra dai due giovani, l’autista tirò
fuori dalla tasca due buste.
-Venendo a cose più serie, sono appena stato in
città, e sono passato a ritirare queste. Sembra che il Santo
Padre sarà presto a casa.- Catherina prese con mani tremanti le
buste. Una le era stata spedita da suo padre, il Papa, come
testimoniava lo stemma sulla carta, mentre l’altra…
-È di Abel!!!- Esclamò quasi in un cinguettio la giovane, aprendo subito la busta, impaziente.
Cara Catherina,
Come promesso alla mia
partenza, ho fatto più in fretta che ho potuto, e difatti la mia
missione si è conclusa prima del previsto.
Ti scrivo questa lettera
proprio mentre sto partendo. Può darsi che quando ti
arriverà, io sarò già alle porte di Milano. O,
ancora meglio, di Villa Sforza.
Sono stato veloce come promesso, no?
Affettuosamente,
- Abel.
Solo poche parole, scritte in una calligrafia che a malapena si
poteva definire leggibile, ma che la ragazza lesse e rilesse più
volte, un’espressione incredula e al tempo stesso gioiosa sul
volto fanciullesco.
-Buone notizie, Duchessa?- Chiese Vaclav, notando
l’espressione estasiata sul volto della bionda. Troppo felice per
pensare alle formalità, Catherina gettò di slancio le
braccia attorno al collo del prete, dimostrando una notevole elevazione
nel salto, data la differenza d’altezza tra i due.
-Abel ritorna!!!- Stupito e mezzo soffocato
dall’inaspettato gesto d’affetto, il giovane Inquisitore
rischiò momentaneamente di perdere l’equilibrio, ma
rispose con un sorriso gentile e ricambiando educatamente
l‘abbraccio.
-Sono felice per lei, Signorina forza.- Per i minuti successivi,
Catherina non riuscì a fare a meno di sorridere, così
felice da avere la sensazione che l’emozione fosse troppa
perché il suo corpo potesse contenerla. Carlo e Havel ben felici
di vederla, per una volta, piena dell’allegria tipica della sua
ancora giovanissima età.
Senza neppure che il terzetto se ne fosse accorto, il sole aveva
iniziato a tramontare, colorando di una tiepida luce arancione ogni
cosa. Così, prete e duchessina, iniziarono a raccogliere le
proprie cose. Una volta pronti, la ragazza, spinta da un’insolita
spensieratezza, lasciò indietro l’autista e la sua guardia
del corpo, senza riuscire a smettere di saltellare di tanto in tanto.
Il solito passo marziale e sicuro, sostituito da una camminata allegra
e quasi fanciullesca. Carlo e Vaclav, intanto, parlavano placidamente
tra loro.
-Allora Padre, sa già quale sarà la sua prossima
destinazione?- Chiese Carlo, senza accorgersi dell’improvviso
irrigidimento della Duchessa, a pochi passi di distanza dai due uomini,
a perfetta distanza orecchio. Vaclav scosse il capo, un sorriso mesto
sulle labbra sottili.
-No, non ancora.-
-Quale destinazione? Che volete dire?- Catherina raggiunse
all’istante i due uomini, gli occhi chiarissimi concentrati sulla
figura alta e longilinea dell’Inquisitore, mentre un forte senso
di inquietudine le si stava formando in petto. Vaclav dovette fare uno
sforzo per non rinnegare ogni parola detta. Quegli occhi grigi lo
fissavano in maniera così preoccupata, pregandolo quasi, per
cosa non sapeva neppure lui, che anche parlare gli era diventato
difficoltoso. Ma non poteva esimersi dal raccontare la verità.
-Una volta che Abel, la sua legittima guardia del corpo,
sarà tornato, il mio compito di sostituto sarà finito.
Immagino per allora mi verrà affidato un nuovo compito.
Probabilmente a Roma, o nel mio paese natale.-
-C… capisco…- Una mano invisibile sembrò
serrarsi attorno al giovane cuore della Duchessa. Sapeva bene che la
presenza di Vaclav nella sua vita sarebbe stata solo momentanea. Ma con
tutte le cose che erano capitate loro, se ne era completamente
dimenticata. Che lo ammettesse o meno, aveva finito per affezionarsi
davvero all’Inquisitore. Era tanto tempo che non le capitava
più di legare così tanto con qualcuno. Ovvero da quando
Abel era entrato nella sua vita. Anche Isabella, Arianna e Irene, erano
sue amiche già da prima dell’orrida notte in cui aveva
perso, oltre ai suoi cari, anche la capacità di affezionarsi
agli altri.
Carlo fece un sospiro. Da una parte non poteva che essere felice
della reazione della sua Signorina. Era molto tempo che la giovane non
lasciava entrare qualcuno nella sua scorza, a parte Abel, ovviamente.
Aveva ripreso ad affezionarsi alle persone, e questo era solo un bene.
Ma allo stesso tempo, una separazione in un momento così
delicato per il totale recupero emotivo della ragazza, poteva causare
danni ancora maggiori.
I tre ripresero a camminare in silenzio. Ora la Sforza non
saltellava più. Una parte di lei continuava a farlo, impaziente
e felicissima di rivedere il suo adorato Abel, mentre un’altra,
quella che si era affezionata all’Inquisitore, pregava che il
prete occhialuto aspettasse ancora un po’ a tornare. E questa era
la parte che più odiava. Si sentiva come se stesse tradendo Abel
e questo era qualcosa che non poteva accettare.
Le prime ombre stavano scendendo sul giardino, quando
l’Inquisitore si bloccò di colpo. Il viso improvvisamente
trasformato in una maschera severa. I muscoli tesi, pronti a scattare.
L’udito, la vista, e ogni senso pronto a captare il minimo
segnale. Le iridi scure scansionavano le ombre della sera, mentre
rivolgeva una preghiera silenziosa al cielo. Sperava di essersi
sbagliato. Lo sperava davvero. Ma l’esperienza e
l’addestramento degli anni passati come prete guerriero non
davano possibilità di errore. Nel giardino non erano soli.
Catherina emise quasi un grido, quando il prete sguainò la
grande spada a due mani che era solito portare alla cintura.
L’arma ufficiale degli Inquisitori della Boemia. Più
elegante e meno vistosa dei bastoni della divisione romana, ma in una
lega d‘argento estremamente resistente e letale per ogni Vampiro.
E la bionda sapeva che l‘improvvisa entrata in scena
dell‘arma poteva voler dire solo una cosa…
Erano sotto attacco.
-Carlo. Portate via la Duchessa. Ora.- La voce di Vaclav quasi un
sussurro, ma talmente autoritaria da non lasciare adito a repliche.
Catherina era già pronta a ribattere, ma due figure saettarono
fuori dai cespugli ben curati, le zanne e le unghie affilate
scintillanti nella fievole luce, ormai innocua, del tardo tramonto.
Gli occhi chiari della giovane si allargarono a dismisura, mentre
un terrore istintivo s’impadroniva di lei. Era anche peggio di
quel che temeva.
Methuselah.
E dal modo in cui le vene erano in rilievo, le zanne evidenti, e
le pupille ridotte ad una linea verticale appena accennata, dovevano
anche essere in preda a un forte attacco di Sete.
Avrebbe voluto gridare. Ma le corde vocali erano paralizzate come
il resto del suo corpo. Ricordi del passato che si mescolavano al
presente, gelidi e spaventosi.
Solo il clangore degli artigli dei Methuselah contro la spada
dell’Inquisitore la fece tornare alla realtà. Vaclav si
era subito parato di fronte a Duchessa e autista, deciso a non far
avanzare oltre i due intrusi, che si ritrovarono ad indietreggiare,
momentaneamente confusi dalla reazione del prete. Evidentemente non si
aspettavano resistenza.
-Andate. Ora!!!- L’ordine di Havel fece scattare Carlo, che
afferrò gentilmente per un braccio la Sforza e la costrinse a
seguirlo di corsa. Catherina lanciò un’ultima occhiata
alla sua guardia del corpo, mentre i Vampiri, ripresisi, si lanciarono
in un attacco feroce. Fece in tempo a vederlo mentre ne trafiggeva uno.
E per un istante le mancò il fiato. I lunghi capelli mossi al
vento, il volto severo su cui gli occhi scurissimi scintillavano, fieri
e concentrati nella battaglia. In quel momento, Vaclav era il ritratto
vivente di un guerriero dei tempi antichi. Di quei paladini di cui
narravano storie ben più antiche dell’Armageddon. Questo
fu il pensiero della bionda. L’Inquisitore non era soprannaturale
ed etereo come il suo Abel, il suo Angelo, ma era comunque
affascinante. Doveva ammetterlo, per quanto fuori luogo fosse la sua
considerazione. Una fitta al cuore. Quanto avrebbe voluto che ci fosse
anche il suo angelo a proteggerla, assieme all’Inquisitore…
Insulti e frasi minacciose urlate dal Vampiro ancora in vita, e
la giovane si mise a correre dietro al vecchio autista, una preghiera
rivolta al cielo, perché questo incubo improvviso avesse presto
fine.
Solo pochi passi, e un terzo Methuselah si parò davanti ai
due fuggitivi. Decisamente, quella sera, il Signore non aveva voglia di
ascoltarla.
Con un grido agghiacciante, uno dei vampiri venne trapassato
dalla lunga spada. Un movimento brusco, e il prete estrasse
l’arma, solo per infierire nuovamente sul vampiro caduto,
terminandone la vita. Con la colonna vertebrale spezzata, gli aveva
tolto ogni possibilità di rigenerarsi. Un’uccisione
veloce. Il Vampiro non aveva neppure considerato la lunga spada
dinnanzi a sé, lanciandosi a capofitto contro il prete. La Sete
lo aveva reso imprudente. E Vaclav lo sapeva, come ogni Inquisitore.
Quando in preda alla Sete, le capacità soprannaturali dei
Methuselah aumentavano in maniera naturale, risvegliate dal bisogno di
sangue. Ma questo a discapito del pensiero razionale. Molti Vampiri
usavano la Sete come una droga da combattimento, per avere più
forza e coraggio, ma come ogni droga, era un’arma a doppio
taglio. Il Vampiro affetto, non era più in grado di valutare
lucidamente le situazioni di pericolo, e finiva ucciso a causa di
ciò. Come era accaduto in quel momento.
La lama lasciò di nuovo il corpo ora senza vita della sua
vittima, l’Inquisitore pronto a confrontarsi anche con
l’altro Methuselah.
Ma un grido lo fece voltare. Fu con orrore che vide un terzo
Vampiro troneggiare su Catherina e Carlo, bloccando loro la via di
fuga. Solo i riflessi allenati impedirono al moro di finire infilzato
dai lunghi artigli del Vampiro con cui stava combattendo, decisamente
inferocito dall’uccisione del suo compagno.
Ciononostante, la mente dell’Inquisitore era molto
più concentrata su Duchessa e autista. Come poteva salvarli?
Come? Era lontano. Troppo per intervenire in tempo, anche se fosse
riuscito a liberarsi in un sol colpo del Methuselah che aveva davanti.
Non avrebbe mai fatto in tempo. E anche lasciare il combattimento in
corso, era solo un suicidio inutile: il Vampiro avrebbe approfittando
subito della schiena scoperta del prete e lo avrebbe ucciso ben prima
che avesse raggiunto Carlo e Catherina.
Che cosa doveva fare? Cosa?
Chiuse gli occhi. Pochi, decisivi, frustranti istanti per prendere la sua decisione.
Gli occhi del Vampiro erano malevoli, le sottili pupille appena visibili nelle iridi dorate.
-Fine della corsa, Terran.- Le parole dette con disgusto, quasi
come se Duchessa e autista fossero stati macchie di fango su un
bell’abito. Catherina voleva chiudere gli occhi. Davvero.
Perché vedere di prima persona la stessa fine che aveva fatto
sua madre era davvero troppo. Era l’incubo peggiore che il suo
subconscio avrebbe potuto procurarle. Ma non era un sogno. Era reale. E
questo significava che non c’era risveglio, non c’era via
di fuga. E lei non era una ragazza che scappava. Mai. Di fronte a
nulla. Avrebbe visto la propria morte in faccia, qualunque essa fosse.
Perché il coraggio era l’unica qualità che poteva
trovare in sé stessa. O almeno, l’unica che voleva
disperatamente avere.
Quando vide le unghie del Vampiro allungarsi fino a diventare
lunghi artigli affilati, ne fu certa. Era arrivata la sua ora. E
questo, stranamente, la calmò. Non c’era più modo
di fuggire. Era un fatto ineluttabile. Scappare, combattere,
disperarsi, tutto inutile. Solo attesa.
Non ebbe neppure il tempo di stupirsi per questa sua reazione di
fronte alla morte, che un fascio di luce argentea le passò
accanto. L’orrido rumore di ossa spezzate e carne infilzata. E
una spada d‘argento, lanciata come un giavellotto, aveva
trapassato il Vampiro.
Il tempo di un battito di ciglia. E l’espressione
sprezzante del Methuselah si trasformò in una di sorpresa prima,
e di dolore poi. Le mani cercavano ancora di raggiungere
l’impugnatura per estrarre l’arma, mentre cadeva a terra.
La vita ormai sfuggita dal corpo, mentre il sangue si espandeva sul
prato erboso.
Vaclav si concesse un sospiro di sollievo. Li aveva salvati. Ma
il sollievo fu di breve durata, mentre il Vampiro superstite, colto da
furia vendicativa, lo attaccò. Il prete riuscì a
scostarsi di lato appena in tempo, ma gli artigli riuscirono ad
affondare nella carne tenera del braccio. Un sibilo di dolore
uscì dalle labbra dell’umano. Disarmato e ferito, seppure
non gravemente, il prete fece l’unica cosa che poteva fare al
momento: evitare al meglio gli artigli dell’avversario, e dare a
Carlo e Catherina il tempo di arrivare al sicuro, sperando che non ci
fossero in giro altri Methuselah.
L’odore del sangue caldo ebbe come un effetto eccitante sul
Vampiro, che cominciò ad attaccarlo con maggiore fervore, senza
dargli tregua. Presto Vaclav iniziò a sentire la stanchezza, i
movimenti sempre più lenti e difficoltosi. Non avrebbe potuto
evitare ancora a lungo gli assalti…
-Vaclav!!!- Al suono del suo nome, il prete si voltò, solo
per vedere la giovane Duchessa, a soli pochi passi dal cadavere del
Vampiro infilzato nella spada, Carlo che cercava di trascinarla via a
forza.
Mille pensieri affollarono in un istante la mente di Havel.
Perché Catherina era ancora lì? Perché non era
scappata? Perché Carlo non l’aveva trascinata via subito?
Non ebbe il tempo di rivolgere alcuna domanda. Evitò un
nuovo attacco all’ultimo istante, perdendo l’equilibrio e
cadendo a terra. Fece appena in tempo a mettersi in ginocchio, quando
realizzò l’errore commesso: era finito in una posizione
vulnerabile. E il ghigno sul volto del Vampiro era la prova che anche
il suo avversario lo sapeva.
Il Methuselah sorrise. Alla fine il Terran si era distratto, e
proprio a causa delle stesse persone che stava cercando di salvare.
L’Inquisitore si sarebbe accorto dell’errore commesso
troppo tardi. Aveva abbassato la guardia, e il Vampiro non aveva
intenzione di lasciarsi scappare l’occasione. Ora non aveva solo
una missione da svolgere. Ora aveva anche da vendicare due compagni
caduti. La mano già alzata, gli artigli sguainati.
Poi uno sparo.
Un altro.
E un altro ancora.
E il Methuselah cadde a terra, registrando appena il dolore
infuocato dei proiettili d’argento che gli bruciavano le carni,
prima che l’oscurità eterna lo inghiottisse.
Padre Havel fissò stupito il cadavere che solo fino a
pochi istanti prima minacciava di ucciderlo. Alzando lo sguardo, vide
il suo salvatore. Pistola ancora fumante in mano, le lenti rotonde
degli occhiali riflettevano la luce della luna, come i capelli
argentei. Il crocifisso al collo risaltava sulla divisa scura da prete
errante.
Per un momento l’area fu immersa nel silenzio, interrotto
solo dal fruscio dei passi del nuovo arrivato che si avvicinava ai tre.
E quando fu a una distanza minore, Vaclav poté vederne il volto.
La pelle diafana, quasi quanto i capelli, e dietro le lenti, due grandi
occhi azzurri, che, appena abbassata la pistola, presero un aspetto
mansueto, in contrasto con la letale precisione dei colpi che erano
appena partiti dalla sua arma.
L’Inquisitore sapeva chi era quell’uomo.
L’aveva visto più volte, in alcune fotografie mostrategli
da Catherina.
-Abel!!!- La giovane Duchessa di Milano corse a perdifiato verso
la sua guardia del corpo, quasi placcandolo. L’alta figura del
prete albino barcollò leggermente all‘indietro, travolto
dall‘irruenza della ragazza.
-Catherina!- Rise l’uomo, aggiustandosi gli occhiali,
mentre la ragazza lo lasciava leggermente andare. -Sono stato veloce
come avevo promesso, no?-
-Anche di più!- Sorrise la Sforza, gli occhi grigi
scintillanti. -Proprio come avevi detto nella lettera!- Rassicurato
dalla familiarità della bionda, Havel si concesse un sorriso e
un sospiro di sollievo. Di certo, la guardia del corpo della Sforza
aveva la qualità di arrivare nei momenti giusti.
Se qualcuno avesse chiesto ad Abel quale fosse la cosa più
bella del mondo, il prete non avrebbe avuto dubbi. L’espressione
di pura gioia leggibile nel volto fanciullesco della giovane Sforza,
sarebbe stato un lavoro degno dei più grandi artisti. E, seppur
non avesse uno specchio per verificarlo, era certo di avere
un’espressione molto simile in volto. Facendo fare una mezza
giravolta alla ragazza, la posò gentilmente a terra.
-Allora, Duchessa. Come è andata mentre ero via?-
Catherina stava per buttarsi nei racconti, ma un mugolio alle sue
spalle la interrupe. Il moro si stava alzando in piedi, una mano sul
braccio ferito, Carlo accanto, pronto ad aiutarlo, se avesse avuto
sbandamenti.
-Padre Havel!!!- Neanche il tempo di lasciare aprir bocca
al prete albino, e la giovane Sforza era schizzata al fianco
dell’Inquisitore, ed esaminava con occhio critico e preoccupato i
tagli lasciati dal Vampiro, senza vedere la mascella penzolante di
Abel. Da quando la sua Catherina si preoccupava per gli scagnozzi di
Francesco? Perché, nonostante il pensiero comune, Abel sapeva
essere piuttosto sveglio, e non serviva un genio per riconoscere, nella
tunica rossa e nell’efficienza nell’uccidere Methuselah, un
membro della Santa Inquisizione. E Catherina aveva di certo contribuito
con varie lettere riguardanti Padre Havel. Ma da quello che aveva
capito tra i due regnava una sorta di faida. Quindi, la preoccupazione
evidente della ragazza aveva lasciato a dir poco sconcertato Padre
Nightroad.
Ignara della confusione del suo più caro amico, Catherina
aveva terminato di esaminare, per quanto possibile nel crepuscolo, la
ferita di Vaclav. Non era nulla di grave, un taglio poco profondo, ma
che sanguinava dannatamente.
-Stai sanguinando troppo.- Gli occhi grigi della ragazza fissi su
quelli ebano del prete. -Devi subito farti vedere da un medico!-
-La ringrazio delle attenzioni, ma non è il caso. È
solo un graffio che sanguina un po’. Nulla di cui preoccuparsi.-
Rispose con un sorriso il prete, per poi lasciarsi scappare un sibilo e
una smorfia di dolore quando il dito della ragazza andò a
piantarsi nella ferita. Carlo e Abel non poterono evitare una smorfia
molto simile, improvvisamente solidali con l’Inquisitore.
-Visto? Ti fa soffrire. Devi subito farti portare dal medico!-
Continuò, imperterrita, la bionda, ormai entrata nel ruolo di
crocerossina che non sentiva ragioni.
-Non farebbe così male se qualcuno non ci piantasse le
dita!!!- Ringhiò piano Havel, pazienza ridotta a brandelli.
-Quel che si dice “mettere il dito nella piaga”
…- Borbottò Carlo, accarezzandosi i baffi. Abel non
poté essere più d’accordo con il vecchio autista.
Forse la Duchessa non si stava preoccupando poi così tanto per
la salute dell’Inquisitore… Intanto Catherina restava
ferma nelle sue posizioni.
-Devi farti curare! Non fare il testardo!- Le iridi scure
dell’Inquisitore fecero un guizzo. Ma guarda te da che
pulpito…
-Da qualcuno avrò imparato, negli ultimi tempi…-
-Non da me!- Ribatté sfacciatamente la Sforza, incrociando
le braccia e impuntandosi. Havel emise uno sbuffo irritato dalle
narici. Pazienza ormai ridotta ad un velo di fumo.
-Questa è la battuta del secolo…- Il gelo artico
che trapelava dagli occhi grigi della ragazza fece capire al prete
quanto il suo commento fosse poco apprezzato. Havel stava già
per scansarsi, convinto che una sfuriata fosse in arrivo, magari ai
danni del suo braccio ferito, quando invece Catherina estrasse un
fazzoletto candido da una tasca della gonna.
-Fatti almeno fasciare con questo o dopo ti aizzo di nuovo contro Attila e Nerone…-
-Sempre troppo gentile…- Commentò il prete, ma si
abbassò comunque quel tanto da rendere più comodo per la
bionda raggiungergli la ferita. Quando rabbrividì a causa di una
stretta di troppo, Catherina bisbigliò un “scusa”
appena percettibile, a cui l’Inquisitore rispose con un
silenzioso cenno del capo e un lieve sorriso.
Entrambi erano ignari dell’esplosione silenziosa
scatenatasi nel prete albino, confuso oltre ogni dove. I due parlavano
come se fossero pronti staccarsi la testa a morsi a vicenda (o meglio:
come se Catherina volesse farlo!), ma si comportavano in maniera del
tutto inversa. La sedicenne teneva all’Inquisitore, ed era
davvero preoccupata per il suo benestare. E lui le era affezionato. Si
vedeva nella gentilezza e nella pazienza che dimostrava nei confronti
della ragazza. Il loro rapporto aveva una dinamica molto simile a
quello che c’era tra lui e Catherina, seppure in maniera molto
più aggressiva.
Era evidente che quella tra il moro e la giovane fosse ancora una
relazione acerba, certo. Ma questo non impedì ad Abel di sentire
una fitta di gelosia farsi strada dentro di sé. Era certo che
presto, quella relazione sarebbe maturata in un’amicizia molto
profonda.
Un fremito di paura e gelosia. Forse un’amicizia più
importante di quella che c’era tra lui e la ragazza? Scosse il
capo. No, non era possibile. Era un pensiero assurdo. Ma il tarlo
malefico aveva intaccato, e scavava nella mente e nel cuore del Krsnik.
-Sta riprendendo ad affezionarsi della gente.- La voce di Carlo
lo fece distogliere dai suoi pensieri velenosi. -Una bella cosa, non
crede, Padre?- Gli occhi sormontati da sopracciglia ispide fissarono
intensamente Abel. Il prete albino fu quasi certo che l’anziano
autista avesse intuito perfettamente ciò che gli passava per la
mente, e sapeva bene di aver dato una frustata alla sua parte
razionale, perché scacciasse quei sentimenti malsani, e lo
portasse ad un ragionamento più lucido.
E funzionò, almeno in parte. Una metà di Abel
sorrideva, felice e orgoglioso che la sua piccola Catherina avesse
finalmente ritrovato la forza di uscire dal suo guscio, e lasciare
avvicinare altre persone, oltre a lui. Aveva avuto l’onore di
essere l’unico punto di riferimento emozionale stabile della
Duchessa per due anni. Era tempo che altri si affacciassero nella vita
della giovane. Ma questo non significava che lui dovesse esserne felice.
L’atra metà del prete albino, infatti, avrebbe
voluto cacciare via l’Inquisitore, non disposta a lasciare posto
ad altri nel cuore di Catherina. Le aveva promesso di proteggerla. Lei
e tutti gli umani. La ragazza bionda dagli occhi grigi era la preziosa
depositaria della sua promessa, non poteva perderla. Per nulla al mondo.
Catherina intanto aveva terminato il suo lavoro sul braccio
dell’Inquisitore, fermando la fasciatura improvvisata con un
piccolo nodo. In pochi istanti, il fazzoletto stava prendendo una
colorazione carminia, tamponando goffamente la perdita di sangue.
-Devi comunque farti vedere.- Rimbeccò un’ultima
volta la giovane, fissando negli occhi Havel, con un’espressione
autoritaria, innaturalmente convincente nel volto di una sedicenne. Il
prete annuì rassicurante.
-Va bene, mammina…-
-E non sfottermi!!! Sei sempre un prete!!!-
-Un prete. Non un santo.- Puntualizzò Havel,
beccandosi un’occhiata inceneritrice, e una promessa di futuro
dolore da una Catherina improvvisamente pentita della gentilezza
mostrata verso la sua “guardia del corpo capellona”.
In lontananza, intanto, si potevano udire i latrati
inconfondibili di Attila e Nerone, accompagnati dagli ordini secchi e
le grida dei servitori della casa, allarmati dai rumori e dagli spari
di soli pochi minuti prima, e accorsi a cercare la loro Duchessa.
Poco dopo, un gruppo capitanato da una Beatrice armata di fucile,
aveva già raggiunto i quattro. Sospettosamente, sia Vaclav che
Abel fecero del loro meglio per stare a distanza di sicurezza da Attila
e Nerone, improvvisamente più interessati ai due preti che a
cercare eventuali intrusi.
-Vampiri! A Villa Sforza!!! E voi due, che stavate facendo?!?
È vostro compito tenere lontani quegli esseri dalla
Signorina!!!- La bisbetica governate aveva a malapena preso a riguardo
il ritorno di Abel. E solo per iniziare una ramanzina. Ai danni sia di
Vaclav che del prete occhialuto. Giusto per non farsi mancare nulla.
Havel se ne rimase in silenzio. E non per un mea culpa, come avrebbe
potuto dare da pensare il volto privo d’emozioni. Ma
perché troppo allibito dal fatto che la governante se la stesse
prendendo a quel modo proprio con lui e Abel, i due che si erano appena
misurati con tre Methuselah, per poter anche solo esprimersi. Intanto,
Padre Nightroad tentava goffamente di placare la furia femminile che
era la governante.
-Avanti, Signora Beatrice… non sia così arrabbiata…-
-Per l’amor del cielo, donna!!! Questi due ragazzi hanno
appena salvato la nostra Duchessa e questo vecchio ammasso di baffi e
demenza senile! Non fare la solita vecchia bisbetica, e vedi di essere
un po’ più riconoscente, miseriaccia!!!- Sia Vaclav che
Abel avrebbero baciato Carlo, se non avesse avuto i baffi. Ma Beatrice
non era per nulla felice dell’intervento dell’autista.
-Il loro compito è prevenire i pericoli!!! Non far
assistere la Signorina Sforza a certi spettacoli!!!- Ruggì la
donna, indicando i cadaveri dei tre Methuselah. Carlo sbuffò
come un toro, decisamente irritato dalla mancanza di buon senso della
governante.
-Meglio assistere a certi spettacoli che essere parte di certi
spettacoli!!!- Ribatté il vecchio baffuto. -E poi, mi spiega
come sono entrati, questi disgraziati?! Se non vado errato, tutto il
perimetro del parco dovrebbe essere sotto il controllo del sistema
d’allarme di cui Lei, Signora Beatrice, va tanto fiera!!!.-
-Ci… ci sarà stata di sicuro una falla, un
sabotaggio…- Borbottò la donna, rossa di rabbia e
vergogna.
-Insomma basta!!!- Esplose Catherina, stufa e per nulla
dell’umore adatto per sentire i battibecchi di Beatrice e Carlo.
Era stanca e spaventata, le immagini dell’attentato appena
sventato che andavano a risvegliare ricordi terribili sulla notte in
cui aveva conosciuto Abel. Voleva solo entrare in casa, tra le mura
solide e familiari, magari davanti ad una tazza di tè o
cioccolata calda, per cacciare via il freddo. Perché era solo il
freddo, che la stava facendo tremare come una foglia. Vero?
-La Duchessa ha ragione.- Intervenne Vaclav, impedendo a
governante e autista di ribattere, notando lo shock della bionda. -Non
c’è tempo per discussioni. Potrebbero esserci altri
Metuselah, e la Signorina Sforza va portata immediatamente al sicuro.-
-Finalmente qualcuno di buon senso.- Ringhiò Carlo,
lanciando un’occhiata di sbieco a Beatrice, che da parte sua
sembrava sul punto di usare il fucile sul vecchio. Havel
sospirò, disilluso, mentre recuperava la sua spada. Sentì
molti occhi puntati sulla schiena. Tutti aspettavano ordini. Era chiaro
da come i servitori seguivano ogni sua mossa. Perfino Abel e Catherina
lo fissavano, in attesa di una sua parola. Si lanciò una
maledizione. Aiutando la Sforza a mettere fine alla discussione tra
Carlo e Beatrice, aveva involontariamente preso il comando
dell’operazione. E il fatto che fosse l’unico soldato
presente, e per di più un membro della Santa Inquisizione, di
certo lo poneva come miglior candidato al ruolo di generale. Rassegnato
e per nulla felice della carica improvvisata, espose un piano. Semplice
e logico.
-Ci divideremo. Un gruppo con Beatrice e Carlo scorteranno la
Duchessa al sicuro nella Villa. Io e Padre Nightroad perlustreremo
nella direzione da cui sono spuntati i primi due. Il gruppo coi cani da
dove è spuntato il terzo.- Tutti annuirono, tranne Catherina e
Abel, che esplosero, oltraggiati.
-Cosa!? Stai scherzando! Sei ferito, devi farti vedere subito da
un medico!!!- Ruggì la ragazza, lo shock completamente
sostituito dalla rabbia. Anche il prete albino aveva le sue rimostranze.
-Ehi!!! Perché noi due da soli!?! Non è giusto!!!
Almeno prendiamo i cani!!!- Lo scatto delle fauci di Attila verso la
mano del prete fu udibile da tutti. -Va bene. Lasciamo perdere.-
Rettificò subito Abel, mettendosi a distanza di sicurezza dai
mastini.
Catherina fissò dritto negli occhi Vaclav per qualche
lungo istante. Iridi ghiaccio contro iridi mogano. Abel si
affiancò all’Inquisitore con un sorriso rassicurante. Alla
fine la Duchessa emise un lungo sospiro. La rassegnazione apparve sul
volto fanciullesco solo per un momento, subito sostituita da
determinazione. Fu come se gli anni avessero fatto un’improvvisa
corsa, rendendole il viso maturo e imperscrutabile.
-State attenti. Tutti e due.- I due preti annuirono,
rassicuranti. Né Abel né Vaclav potevano immaginare che
quella scena di commiato si sarebbe ripetuta, uguale, molte volte negli
anni a venire. Sia prima che dopo la creazione dell’AX. E prima
di ogni missione.
-Non si preoccupi! Ci penso io a Padre Havel…- Fece il
prete albino, mostrando un entusiasmo fuori luogo, e dando una pacca
giocosa sul braccio di Vaclav. Un mugolio di dolore in lingua
straniera. Cinquanta per cento di possibilità di errore. E Abel
aveva subito beccato il braccio ferito del prete in rosso. Con uno
scatto meccanico e uno “scusa” da morto vivente, o in
procinto di esserlo, l’occhialuto si costrinse a incontrare le
fessure scurissime che erano gli occhi dell’Inquisitore,
inquietantemente sullo stesso livello di quelli cerulei e colpevoli di
Nightroad. Un lungo momento di teso silenzio, poi Vaclav si
voltò, iniziando a incamminarsi nella direzione prescelta,
seguito a ruota da Abel.
La Sforza si lasciò scappare un sospiro. Ogni traccia di
impassibilità scomparsa, mentre Carlo la guidava gentilmente
verso la Villa. Non sapeva bene il perché, o meglio, lo sapeva,
ma non voleva ammetterlo, ma non era del tutto sicura che lasciare le
sue due guardie del corpo da sole e insieme fosse una buona idea…
Le stelle erano apparse in cielo ormai da un po’, e Abel
non riusciva più a mantenere la concentrazione. Gli occhi si
rifiutavano di indagare tra le ombre sempre più fitte della
sera, e le orecchie di individuare rumori fuori dalla norma.
L’eccitazione della caccia e delle ricerca ormai solo un ricordo
scomodo.
-Ci stiamo allontanando un po’ tanto dal gruppo… non
li sento quasi più…- Il mugolio scontento sembrò
raggiungere appena i padiglioni oculari di Vaclav, esattamente come i
latrati dei cani e degli uomini in perlustrazione dalla parte opposta
del parco, ormai in lontananza.
-Lo so.-
-Non crede che sarebbe meglio essere un po’ più
vicini? Sa, in caso di attacco… supporto a vicenda…- Per
tutta risposta, l’Inquisitore continuò ad ispezionare la
vegetazione, ignorando il suo compagno. La perlustrazione
continuò ancora per un tempo che, almeno ad Abel, parve
lunghissimo. Fino a quando questi esplose, annoiato e stanco.
-Ha intenzione di esplorare tutto il parco, Padre?! Sono decine
di ettari, lo sa?- Apparentemente, il prete bruno era insensibile ai
lamenti dell’occhialuto. -Insomma!!! Ho fatto un viaggio da tre
giorni in meno di ventiquattrore, non può avere pietà?!-
Gli occhi scuri di Vaclav continuavano ad esplorare
l’oscurità, l’orecchio più attento ai rumori
della notte che ai piagnucolii del prete albino. Alla fine chiuse la
palpebre con un sospiro. L’unica cosa che riusciva a sentire
erano i latrati dei cani e degli uomini che battevano la zona. Non che
potesse sentire davvero qualcosa, con tutto il baccano che stava
facendo l’albino.
-Almeno una pausa…- Il piagnucolio arrivò con la
mano dell’occhialuto, aggrappatosi disperato al braccio
dell’Inquisitore. Braccio ferito, ovviamente. Vaclav non seppe
mai da dove prese la forza di non abbattere sull’istante Padre
Nightroad. Ma questi seppe benissimo da dove riprese l’entusiasmo
di tornare a controllare l’area. Gli occhi sottili di Padre Havel
avevano la capacità pura e semplice di fargli produrre una dose
di adrenalina non indifferente. E anche gli epiteti lanciati in rumeno
e l’estrazione della spada dovevano averci qualcosa a che fare.
Con un sospiro esasperato, l’Inquisitore cercò di
evocare la sua logorata pazienza. Il dolore della ferita pulsante. Poi
, mentre rinfoderava la sua arma, notò che la mano del suo
collega si era sporcata di vermiglio.
-Veda di pulirsi la mano. Non è saggio avere addosso odore
di sangue.- Abel smise la sua agitata ricerca per fissare, timoroso e
stupito l’Inquisitore.
-Che… che cosa intende dire?-
-I Methuselah che ci hanno aggrediti erano tutti in preda alla
Sete. Se ce ne fossero altri, quasi sicuramente saranno nella stessa
condizione. E in questo stato, l’odore del sangue li
attirerà come api al miele.-
-Non pensa che possano essere andati a cercare Catherina, mentre
siamo qui?- Sibilò il prete albino, irritato per essersi fatto
riprendere da uno degli uomini di Francesco.
-No, non lo credo. In preda alla Sete, si saranno anche
dimenticati del motivo per cui sono qui, penseranno solo a cercare la
fonte di sangue. Che in questo caso, è me. Quindi, più la
Duchessa e ogni essere vivente mi starà distante, più
sarà al sicuro.-
-Per questo ha voluto allontanarsi…- Mormorò Abel,
colpito dal ragionamento di Padre Havel, ma altrettanto voglioso di
prendersi a calci da solo: non conosceva i Methuselah da due giorni.
Eppure non aveva pensato a quell’aspetto della faccenda. -Ma
perché non l’ha detto anche prima, con Carlo e
Catherina?!- Havel emise un lungo sospiro. Non gli era piaciuto
omettere tale informazione al suo incarico. Ma non aveva avuto molta
scelta.
-La Duchessa Sforza non sa che ora sono una calamita per Vampiri.
E quindi chiunque, compreso lei, Padre Nightroad, è in pericolo
accanto a me. Non credo avrebbe accettato di buon grado sapere che la
stiamo proteggendo da ulteriori nemici solo perché siamo uno
spuntino più appetitoso di lei. Meglio dirle che stiamo solo
cercando di coprirle il rientro alla Villa dando una mano agli altri
uomini. Darle preoccupazioni in più mi sembrava un’inutile
crudeltà. E poi non credo mi perdonerebbe il fatto che sto
mettendo in pericolo la sua guardia del corpo appena tornata a casa.-
Concluse con un sorriso gentile il prete. Abel annuì,
comprendendo le ragioni di Havel. Ma dopo pochi istanti, il cervello
dell’occhialuto arrivò ad accendere una lampadina.
-Un momento!!! Allora vuol dire che fino a ora … sono
stato in compagnia dell’equivalente umano di un’esca viva
per Vampiri!?!- Il sopracciglio moro del prete boemo fece un tic
irritato.
-Non è che mi faccia impazzire l’immagine del
sottoscritto ridotto a paragone di una larva attaccata all’amo,
ma sì, è così.- Ci volle qualche lungo secondo
perché Abel digerisse l’idea. Solo per comprendere
un’altra cosa.
-Un momento!!! Ma allora… io fino a ora ero in percolo!!!
-Mi pare di avervelo appena detto…- Borbottò il
moro, gocciolone sulla nuca, stranito dalla lentezza di comprendonio
dell’albino, che ora puntava un dito accusatore contro di lui.
-E lei lo sapeva!!! E non mi ha detto nulla!!!-
-Effettivamente…- Ammise, Vaclav, portandosi una mano al mento. Un sorriso divertito sulle labbra.
-Ma come ha potuto!!! Perchè non ha preso qualcun altro
degli uomini!!! O i cani!!! Perché ha messo in percolo me!?!-
-Vari motivi.- Ammise l’inquisitore, senza mostrare molto
pentimento. -In primo luogo, mi fido di più di un Methuselah in
preda alla Sete che di Attila e Nerone.- E qui Abel non ebbe
possibilità di ribattere. -Secondo, nessuno degli uomini della
Villa è davvero preparato a un incontro con un Methuselah, e
sarebbe un problema serio in caso di un attacco. Il panico può
far fare errori letali. Lei era l’unica persona presente con la
preparazione adatta a fronteggiare un attacco, in caso di pericolo. Me
lo ha dimostrato salvandomi la vita, solo poco fa. Per, cui tra
l’altro, non ho ancora avuto modo di ringraziarla. E per
concludere, Catherina avrebbe accettato di buon grado di non
trascinarmi con lei da un medico, solo se fossi stato in compagnia di
qualcuno di cui ha fiducia totale. E quella persona è lei, Padre
Nightroad.- Abel rimase per qualche lungo istante in silenzio, colpito
dalle capacità analitiche dell’Inquisitore. Ma alla fine
non poté trattenere un sorriso.
-Però, davvero non me lo sarei aspettato un ragionamento
tanto fine da un soldato della Santa Inquisizione…- Fece il
prete occhialuto, dando una pacca al braccio del moro. Quello ferito.
Di nuovo. Un sibilo di dolore scappò tra i denti serrati del
prete. L’albino fece un balzo all’indietro, maledicendosi
internamente. Decisamente una parte di lui era fuori controllo, e
desiderava far del male all’Inquisitore. -Ah!!! Mi spiace, mi
spiace, non volevo…- Si affrettò a scusarsi
l’occhialuto, agitando istericamente le braccia. Vaclav dovette
raccogliere ogni goccia di autocontrollo rimastagli per non decapitarlo
all’istante.
-Non fa nulla. Solo non lo faccia di nuovo, va bene?- Il tono di
voce era sempre gentile, ma Abel capì dalle scintille omicide
che scaturivano dalle iridi ebano che in realtà, quello era un
ultimatum. E anche se poteva avere più di un motivo per avercela
con l’Inquisitore che gli stava rubando l’affetto della sua
Catherina, non poteva di certo dargli torto se era irritato con lui. Il
prete boemo era già abbastanza stanco e in pena da solo, senza
avere a che fare con la goffaggine del prete albino.
I due avanzarono, scrutando la zona ancora per alcuni minuti,
giusto per scrupolosità. Ma ormai era chiaro che non
v’erano altri Vampiri in zona. E tra le esultanze non troppo
silenziose di Abel, i due preti si avviarono in direzione di Villa
Sforza.
Buona parte del percorso passò in silenzio, per la gioia
di Vaclav. L’Inquisitore sentiva come il bisogno di pace.
L’effetto dell’adrenalina ormai esaurito e la perdita di
sangue, seppur non esagerata, lo avevano lasciato in uno stato di
spossatezza. La spada d’argento appesa al fianco pesava. Non
importava quello che gli avevano detto durante l’addestramento, e
ancora meno quello che veniva ripetuto dai suoi superiori a ogni
predica. I Methuselah erano persone. E lui quella stessa sera aveva
posto fine alla vita di due uomini. Sapeva di non avere avuto scelta.
Ma questo era il fatto che lo aveva spossato di più. Più
della fatica e delle ferite.
Si rese conto di essere immerso completamente nei suoi pensieri solo quando sentì Abel parlare.
-Scusi, può ripetere, Padre? Non stavo ascoltando.- Il
prete albino batté le palpebre, e ripeté la sua domanda.
-Volevo dire… da domani inizieremo a lavorare insieme, io
e lei, giusto?- l’Inquistore smise di camminare, del tutto
impreparato alla domanda.
-Non saprei, Padre Nightroad.- Ammise dopo pochi secondi,
riprendendo la marcia. -Il mio incarico con la Duchessa Sforza sarebbe
dovuto terminare al suo ritorno. Quindi, almeno in teoria, dovrei
essere già destinato all’assegnazione di un nuovo
incarico.-
-Ah… capisco.- Mormorò Abel, tornando a fissare il
sentiero. -E Catherina? Come crede che la prenderà?-
-Non capisco che vuol dire.- havel cercò di mantenere una
facciata neutrale, ma Padre Nightroad era bel lungi dal crederci.
-Insomma, Padre Havel! Non può non essersene accorto!
Lei… si è molto affezionata a voi, vero?- Un lungo minuto
di silenzio, e alla fine l’Inquisitore rispose.
-Sì.- La risposta ebbe l’effetto di una pugnalata al
cuore per il Krsnik. E le parole successive di altre coltellate. -Ma
mentirei se dicessi che il sentimento non è reciproco.-
-Capisco.-
-Ciononostante, non credo che la mia partenza sarà un
grosso problema.- Abel alzò gli occhi di scatto
sull’Inquisitore, per incontrare il sorriso gentile e allo stesso
tempo triste del prete dai capelli scuri. -Lei ora è qui. Ed
è la persona più importante per quella ragazza. La mia
presenza non è più necessaria. Sotto ogni aspetto.-
-Si sbaglia.- Si ritrovò a dire il prete Albino, prima
ancora di sapere di aver aperto bocca. -Anche lei è molto
importante per Catherina.-
-Importante. Non indispensabile.-
-Nessuno lo è al mondo.- Ribatté Nightroad. -Ma
Catherina deve poter fare affidamento anche su altre persone. E non
solo su di me.- Il mare di capelli bruni venne scosso da una cenno di
diniego.
-Questo discorso ha comunque poco futuro. Anche volendo, il mio tempo a Villa Sforza è finito.-
-No, non ancora.- Sbottò quasi in un ringhio Abel, stupito
egli stesso della sua determinazione a voler trattenere
l’Inquisitore.
-Cosa? Che volete dire?- Gli occhi ebano indagarono sospettosi
quelli blu dell’altro uomo. Qualcosa nel suo tono aveva fatto
scattare un campanello. Sentiva che Abel aveva trovato la fregatura.
-Se non sbaglio, il suo lavoro qui doveva durare due mesi,
giusto?- Chiese il prete albino, le iridi blu scintillanti, e un
sorriso maliziosamente felino che avrebbe fatto l’invidia dello
Stregatto.
-Sì, è così- Concesse il prete moro,
continuando a camminare. Il sospetto tutt’altro che accantonato.
-Dunque, almeno per poco meno di un mese, lei sarà destinato a stare qui.-
-Non se riceverò la comunicazione di un nuovo incarico.-
Precisò l’Inquisitore, mentre l’espressione complice
raggiungeva anche le sue labbra. Ora capiva dove l’altro stava
andando a parare…
-Oh, non lo riceverà, si fidi.- Ridacchiò il prete,
sistemandosi le lenti sul naso. -L’incarico le è stato
assegnato direttamente dal Cardinale Francesco. Anche se in teoria il
bisogno della sua presenza è terminato, Cardinale Medici
l’ha assegnata qui per due mesi. Per cui, fino al mese prossimo,
non riceverà un nuovo incarico, e resterà qui! Nessuno
dei suoi superiori oserà chiamarla al dovere prima del tempo
stabilito dal capo della Santa Inquisizione. Quindi questo vuol dire
che lavoreremo insieme ancora per un mesetto scarso!- Concluse
trionfante, il petto gonfio d’orgoglio per il cavillo trovato.
Vaclav intanto aveva un sorriso decisamente più deciso sulle
labbra sottili, contagiato dall’ottimismo del collega.
-E dopo? Cosa crede mi tratterrà ancora qui?-
-Beh, è del tutto inutile preoccuparsi prima del tempo,
no?- Rise Abel, dando una forte pacca giocosa sul braccio
dell’Inquisitore. Solo il ruggito di dolore a malapena soffocato
gli fece notare di aver colpito il braccio ferito. Di nuovo. Deglutendo
appena, e ben consapevole della gaffe fatta, si voltò lentamente
a fissare il volto del prete bruno. -L … Lo sa che non
l’ho fatto apposta, vero?-
-È per questo che le do dieci secondi di vantaggio.-
Sibilò Vaclav, tra denti stretti, mentre alzava le iridi mogano
a livello di quelle cristalline del prete occhialuto.
Alle porte della Villa, Catherina si aggrappò spaventata a Carlo, quando un razzo
in abito nero con sospettosi capelli candidi la sorpassò a
velocità supersonica, seguito esattamente dieci secondi dopo da
uno vestito di rosso con capelli bruni.
Attila e Nerone rimasero per un momento confusi. Ma subito si
ripresero, e abbaiando, scapparono al servitore che li teneva al
guinzaglio, le code e i nasi frementi per la caccia.
L’anziano autista emise un lungo sospiro, mentre la
Duchessa lo liberava dalla sua morsa. Le cose si sarebbero fatte molto
interessanti, da lì in avanti… non che prima fossero
noiose… ma a quanto pareva, quello era il destino di quella
villa e dei suoi abitanti.
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Gli occhi blu di Suor Esthel erano il ritratto vivente
dell’incredulità e del sospetto, mentre fissava Padre
Havel, che, pur mantenendo la solita espressione gentile, cominciava a
sentirsi a disagio.
-Ehm … qualcosa non va, Esthel?- Chiese Abel,
interrompendo momentaneamente il racconto. La suorina rossa scosse il
capo, ma non cambiò espressione.
-Nulla, Padre Nightroad. Solo che… Beh, non vorrei fare il
Leòn della situazione… ma non ci vedo Padre Havel a
perdere la pazienza a quel modo… e anche la Cardinalessa…
chiedo scusa, Eminenza, Padre, ma è davvero dura credere che il
racconto di Padre Nightroad sia su di voi…- La risposta
causò uno scroscio di risa da parte di Know Faith e Catherina.
-Forse le sembra che questa storia sia un poco inverosimile,
Sorella Blanchett, visto che ci ha sempre conosciuto come siamo
adesso…- Disse la Cardinalessa, una volta finito il momento
d’ilarità. Il volto rilassato, mentre nel raccoglimento
privato dell’infermeria abbandonava il peso del suo rango. A
Esthel parve anche molto più giovane. E forse la sedicenne di
cui Abel aveva parlato fino a quel momento, non era poi così
lontana. Questo pensiero causò una risata spontanea nella rossa.
-Oh, non tutta! La parte su Padre Nightroad era decisamente credibile…-
-Sorella Esthel!!!- Esclamò oltraggiato il prete albino, mentre Havel e Catherina scoppiavano nuovamente a ridere.
-Ammetto che la vicinanza con Padre Nightroad è stata una
vera scuola per la mia pazienza …- Fece il prete moro, scuotendo
il capo. Abel tentò di risollevare la propria dignità,
esasperato dall’opinione che avevano di lui i suoi colleghi e
amici.
-Vaclav, ti ci metti anche tu?! Non ero così
insopportabile!!!- Le iridi scure di Havel vennero attraversate da uno
scintillio malizioso e divertito.
-Vogliamo ricordare il giorno dopo il tuo ritorno? Quando abbiamo
portato insieme a scuola Catherina?- Il prete occhialuto tentò
ancora qualche debole protesta, ma oramai Padre Havel si era lanciato
nel racconto.
-Questo era un ricordo che preferivo evitare…-
Mugolò sottovoce la Cardinalessa, sentita solo da Esthel, che,
senza nascondere un sorriso, appoggiò il mento sulle mani,
pronta ad ascoltare.
Fine File 05
Chiedo scusa, avrei voluto inserire più cose in questo
file, ma veniva troppo lungo, e l’ho diviso in due. Spero di
riuscire a preparare il prossimo file al più presto …
Ringrazio sempre The_Dark_Side che ormai è la mia commentatrice ufficiale!
Grazie mille!!!
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