Quando finisce un amore

di EstrellaLunar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Fine. ***
Capitolo 3: *** L'ultimo ritorno. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Salve a tutti!!

Questa che state per leggere è una raccolta di storie che ho scritto quando ero più piccina.
Mi è sembrato divertente postarle qui, anche se lo stile è leggermente più banale di quello che ho attualmente(non che ora sia una scrittrice provetta, però diciamo che mi sono migliorata), potrebbero comunque risultare piacevoli per qualcuno.
La loro tematica centrale, una sorta di filo conduttore è la fine a cui un amore può andare incontro, che sia per colpa di una tragedia, della noia, di un tradimento, ecc.

GRAZIE a tutti quelli che recensiranno o si soffermeranno semplicemente sui miei scritti!
EstrellaLunar

^_^

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Capitolo 2
*** Fine. ***


Fine.

Il 53 si era fermato davanti a me. Non ero nemmeno sicuro che fosse il 53, non riuscivo ad alzare lo sguardo e leggere i led rossi che indicavano il numero sulla vettura. Perché avrei dovuto farlo? Mi diressi verso il ciglio della strada e mi unii al fiume di persone che stava attraversando. Probabilmente il semaforo era verde, ma io non avevo voglia di alzare la testa per controllarlo. Mi stupii di me stesso: mi ero soffermato su pensieri inutili, senza senso, metropolitani, quasi esistenziali non essendo in grado di pensare ad altro, a quello.
Una ragazzina mi sbatté contro, riuscì a vederla in viso solo perché era bassa e quindi non dovetti alzare lo sguardo, non riuscivo ad alzare lo sguardo. La ragazzina mi insultò, dicendomi che ero un deficiente e dovevo starmene a casa. Avrei voluto essere a casa anche io,cara e rintanarmi sotto le coperte per non uscirci mai più, per dormire e mettere a tacere la mia testa che turbinava in un insieme di pensieri stupidi e senza significato.
Tutto a un tratto sentii caldo addosso a me, mi ero dimenticato che cosa indossassi, probabilmente il mio solito giaccone verde militare e sotto avrò avuto un maglione. Chissà com'era il cielo, ma non potevo vederlo: avrei dovuto alzare la testa. I colori delle automobili però erano scintillanti, accecanti, probabilmente il sole splendeva, comunque non avevo voglia di togliermi la giacca.
Dove stavo andando? Non lo sapevo e non mi interessava. Non sapevo nemmeno se stessi camminando, il mio cervello non mi rendeva partecipe di quei movimenti. Oltre ai miei pensieri stupidi, nella mia testa non c'era niente. Mi sentivo però come se me la stessero comprimendo da fuori, come se qualcuno me la stesse stringendo dalle tempie fin sotto la nuca. Alzai le mani a toccarmi il capo per assicurarmi che non fosse davvero così. Toccai qualcosa che scivolò di lato e cadde per terra. Il mio cappello! Mi chinai per raccoglierlo e fui risvegliato da un clacson che suonò praticamente dentro le mie orecchie, accompagnato da una serie di insulti non meglio identificabili. Forse il solo istinto di sopravvivenza mi fece alzare la testa e guardare verso i fanali della macchina a pochi centimetri dal mio viso.
<> sbraitò un uomo sporgendosi fuori dal finestrino. Mi alzai e camminai svelto fino al ciglio opposto della strada, accompagnato nel mio percorso da una melodia di clacson e strombazzate.
Sì, ero un coglione o forse un deficiente, ma non mi interessava più. Niente mi interessava più di quella città, della nostra città. A un tratto ogni angolo della strada era un ricordo, una risata, una parola, un'avventura, un bacio, un sorriso. Quella città non era mia, ma era nostra. Era la testimonianza in cemento e mattoni di tutto quello che avevamo vissuto, volevo scappare. Chiusi gli occhi per non vedere più nulla e li sentii umidi dietro le mie palpebre. Mi chiesi quanto tempo e quanto coraggio ci sarebbe voluto per riaprirli.

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Capitolo 3
*** L'ultimo ritorno. ***


Fine luglio.
Il volo in aereo era durato 4 ore, avevo dormito la maggior parte del tempo. Tranquilla, appoggiata sulla forte spalla di Luca. Mi sentivo protetta, al sicuro, al suo fianco sapevo che niente sarebbe potuto accadere.
Arrivati all'aeroporto di Malpensa, Luca mi sfiorò la fronte con un leggero bacio.
-Buongiorno cucciola, siamo arrivati. Come va?-
-Ciao tesoro..-eravamo già atterrati, la musica nelle mie orecchie e il respiro regolare di Luca mi avevano trascinato in un altro mondo. Ero stordita e con le orecchie tappate.
Uscimmo dall'aereo e decidemmo di mangiare un panino lì all'aeroporto. La nostra ultima cena di vacanza, prima di tornare alla vita di tutti i giorni. Dopo aver preso le valigie e aver riempito lo stomaco erano ormai le 21 e decidemmo di prendere un taxi.
Abitavamo ancora con i nostri genitori, a pochi isolati di distanza l'uno dall'altra nella zona residenziale. Il viaggio in taxi sarebbe durato poco più che 3 quarti d'ora.
Dopo aver caricato le valigie nel baule, mi sedetti sul sedile posteriore e appoggiai la testa sulla spalla di Luca, proprio come avevo fatto sull'aereo. Lui mi abbracciò amorevolmente.
-Non è giusto che siano già finite, caspita queste tre settimane sono volate!- sospirai sbuffando. In mente mi tornarono molti ricordi di quel viaggio, forse ancora troppo freschi per apprezzarli appieno, mi sentivo ancora in vacanza.
-Dai tesoro, io sono contento. Sono state settimane fantastiche e tu.. tu sei splendida lo sai?-
Mi voltai verso di lui, guardando il suo viso abbronzato, i capelli scuri tagliati corti corti e i suoi occhi castani, davvero felici e sereni. Quanto lo amavo.
-Sì, grazie lo so!. Risposi ironica.
-Ti amo Ste- disse lui baciando la mia testa.
-Anche io! Svegliami quando arriviamo!- lui si mise ad accarezzarmi i capelli, canticchiando sottovoce una canzone egiziana che avevamo sentito durante le molti notti passate fra risate, cocktail colorati e gente allegra.
Ritornai presto in un piacevole dormiveglia. Fui svegliata di soprassalto, sentivo l'autista gridare e il corpo rigido di Luca vicino a me. Poi niente. Non un suono, non una luce, non un ricordo. Buio, vuoto, nulla.
Quando riaprii gli occhi c'era una luce bianca, finta, da ospedale sopra di me.
Mi guardai attorno preoccupata, non ricordavo niente. Avevo un respiratore sulla bocca e cercai di alzare il braccio destro, ma mi pervase un dolore atroce, non potevo nemmeno muovere la testa, che mi accorsi essere fasciata. Riuscì a muovere il braccio sinistro, lo sollevai e osservai le piccole ferite, i graffi sulle mani e l'ago della flebo uscire dall'incavo del gomito.
Lo riportai sul letto. Cercai di girare lentamente la testa, vidi un uomo con molte fasciature e una grande ferita sul viso, mi sembrava una figura familiare. Lentamente riaffiorarono alcuni ricordi: era l'autista del taxi. Subito pensai a Luca e girai la testa verso destra, ma il letto a fianco era vuoto, con le lenzuola ancora intatte.
Cercai di parlare senza riuscirci, subito apparve ai piedi del mio letto un'infermiera molto giovane.
-Ti sei svegliata, meno male. Come stai Stefania?-
Era sorridente, anche se appariva imbarazzata, tesa.
-Dov'è.. Lu...Luca?- riuscì solo a sospirare.
-Riposati ora tranquilla, devi dormire.- aumentò il flusso della flebo e tutto ricominciò a essere buio.
Quando mi risvegliai mi sentivo meglio. Provavo meno male e riuscivo a muovere la testa senza difficoltà. Cercai allora di alzarmi a sedere, ma non ci riuscii. L'autista di fianco a me dormiva ancora, probabilmente era in coma.
Luca non c'era, incominciavo a preoccuparmi.
Suonai il campanello appoggiato alla sponda del mio letto, comparve subito l'infermiera e dietro di lei mia madre.
-Piccola mia, che bello vederti sveglia!- Aveva delle lacrime tristi in viso.
-Mamma, Luca?- la mia domanda echeggiò nella stanza senza risposta. Mi stavo agitando.
-Mamma, Luca? Dov'è Luca?- la mia voce era diventata un urlo.
Mia madre incominciò a singhiozzare, l'infermiera indietreggiò.
-Mamma...!- i miei occhi si stavano già velando di lacrime.
Mia madre mi guardò e il suo sguardo mi raccontò ogni cosa.
-Tesoro mio..non ce l'ha fatta..-
Non riuscivo a respirare, non riuscivo a far uscire un suono dalla mia gola, non riuscivo a muovermi o a chiudere gli occhi. Era come se un'ombra pesante e scura si fosse posata su di me, inglobandomi. Non poteva essere vero, non doveva. Tornai a osservare il letto vuoto a fianco a me e cominciai a piangere. Non smisi per un paio di giorni, piansi talmente tanto che alla fine non avevo più lacrime, ma solo urla.


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