Smoker Eyes

di Flaminia_Kennedy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Separarsi fa soffrir di meno ***
Capitolo 2: *** Un occhio nero per mille parole ***
Capitolo 3: *** Una fragranza dolcemente sbagliata ***
Capitolo 4: *** Un tuffo nel passato ***



Capitolo 1
*** Prologo - Separarsi fa soffrir di meno ***




Se mai avessi la forza di dire qualcosa, in questo momento, direi che sei un deficiente.
Se mai avessi il coraggio di dirti quel qualcosa, direi che nonostante tu sia così ostinato, io ti amo.
Se mai, se mai, se mai.
Tutti se nella mia testa, mentre ho un buco nel petto.
E in questo momento vorrei morire, solo per quello sguardo che mi gela il cuore che non ho.

Un’ombra scura sostava con eleganza sul tetto dell’edificio, svolazzante come se fosse stata di fumo, pochi brillii a tradire la presenza di qualcosa di più concreto che pura oscurità.

Metallo placcato, sulla pelle e sugli stivali, lucidato a dovere durante le lunghe ore di noia.

Era partito per un viaggio rivelatore, a suo dire, salutando tutti nel suo modo particolare: sparendo senza far sapere nulla a nessuno.

Contava che nessuno lo avrebbe cercato, dopotutto sapevano come si comportava, com’era il suo modo di pensare e sperava solo che nessuno spendesse il proprio prezioso tempo a cercarlo e chiedere spiegazioni.

Anche perché non sarebbe stato mai capace di dare spiegazioni.

Perché era partito? Per scoprire qualcosa di sé? No, quelle informazioni le aveva fatte sue da almeno un anno e mezzo.

Per diventare più forte in battaglia, affrontando nuovi mostri? No, anche perché forse più forte di così non sarebbe mai potuto diventare.

Era partito per non poter vedere le persone a lui più care allontanarsi nonostante rimanessero in contatto.

Aveva tagliato i ponti prima che crollassero sotto il peso di una parola: amore.

L’amore lo avrebbe rovinato ancora, come aveva fatto in passato: Cloud e Tifa avevano creato la loro famiglia tutta speciale, con Denzel;
Barrett e Marlene sembravano due cose a sé stanti, quasi da pensare di poter andare a vivere a Kalm;
Yuffie si era trovato un bel ragazzo originario di Wutai, ripudiando però il trono che le spettava essendo figlia del capo villaggio.

Reeve aveva inaspettatamente trovato qualcosa più profondo dell’amicizia nella nuova alleata Shelke, lasciando tutti di stucco mentre Caith Sith lanciava coriandoli a destra e a manca al loro scioccante annuncio.

E Cid…beh lui era ritornato dalla sua assistente, doveva ancora riuscire ad andare nello spazio, il suo sogno d’infanzia, e con tutta probabilità aveva accantonato tutti i loro trascorsi.

Quella era la verità che faceva più male, quella che quella particolare persona pareva esser sparita dalla sua vita.

L’uomo si alzò dalla sua posizione accovacciata e la luna illuminò d’argento il braccio metallico, prima che sparisse sotto il mantello e un lumicino rossastro cadde dall’ovale pallido del viso, mentre un piede lo spegneva schiacciandolo.

L’unica cosa che gli era rimasta di lui era il fumo, il ricordo di quelle infinite sigarette che parevano non finire mai.

Aveva preso quella caratteristica e l’aveva fatta sua, per non sentirsi completamente solo.

Gli occhi sanguigni si chiusero per alcuni secondi, il tempo necessario a porsi una domanda: ancora una?
La mano rimasta umana prese un pacchetto scuro dalla tasca poco sopra la fondina della pistola, aprendola con uno scatto e rivelare cinque spugnette candide, in fila, accanto a un accendino a scatto, di metallo placcato come il braccio.
Ma si, ancora una, dopotutto la mancanza era tanta, doveva tamponare la ferita con qualcosa di diverso e meno vergognoso delle lacrime.

«Brutto ignorante di prima categoria!! Stupido figlio di puttana con la tintarella di luna!!»

Si svegliò nuovamente, il fiato lievemente più pesante del normale per il sogno che lo aveva costretto a ritornare alla realtà.

Non si era svegliato per le grida che aveva avvertito nel cervello, ma perché il ricordo di esse era troppo doloroso, sentirle sarebbe stato come ammettere che non c’era, lì con lui.

Avrebbe dato parecchie cose che reputava importanti, per risentire ancora quel dizionario di parolacce ambulante, senza che si stesse riferendo alla sua assistente.

Quella notte aveva sognato la prima volta che gli aveva tolto dalle labbra la perenne sigaretta, ricevendo una scarica di insulti degna di quel nome, appena lui aveva parlato di salute che se ne andava.

Al pensiero aveva riso, ma in quel momento il pacchetto scuro sul comodino della stanza d’hotel sembrò ingigantirsi fino a opprimerlo.

Si alzò e si accese una sigaretta, per poi cominciare a vestirsi: doveva pagare la notte passata quasi insonne e andarsene dalla cittadina, troppo calma e amichevole.

Si era fermato a Gongaga qualche giorno, non di più, per poi pensare di arrivare fino alle distese poco lontane dal Gold Saucer dove avrebbe bivaccato qualche altra notte.

Stava pensando di stare lontano il più possibile dalla NeoMidgar, dove per l’appunto i coniugi Strife abitavano con parecchi bambini, e magari evitare anche Kalm, dato che l’omone con cui aveva condiviso le proprie avventure aveva preso casa proprio là.

Magari sarebbe entrato nel grande parco divertimenti e avrebbe chiesto di venir assunto, gli veniva bene la parte del vampiro, ma poi liquidò il pensiero con la possibilità che qualcuno avrebbe potuto riconoscerlo.

I soldi che aveva guadagnato durante le ultime battaglie stavano finendo, a forza di pagarsi gli alberghi e le tende erano assai rare nei negozi, non poteva permettersi di comprarne più di un paio.

Il nuovo lavoro come cacciatore di taglie non era ancora decollato e i mostri che uccideva gli davano compensi miseri, rispetto alle sue uscite.

Avrebbe stretto i denti, dormire all’aperto non gli dava molti problemi, doveva solo trovare un posto dove i mostri non lo avrebbero ucciso nel sonno e sarebbe stato a posto.

Nelle piane attorno al Gold Saucer i nemici non erano molti, forse sarebbe potuto restare lì per le prossime notti «grazie, arrivederci» disse la dolce anziana padrona dell’inn, quando le diede i guil richiesti per il pernottamento, ma non le lasciò il tempo di dire altro, uscì dall’edificio e si inoltrò nella fitta foresta attorno al villaggio, dirigendosi verso nord attraverso una pianura sconfinata e priva di strade.
Potè vedere le montagne innevate all’orizzonte, quelle accanto alla sottile striscia di terra che gli avrebbe permesso di raggiungere la propria meta.

I nemici che lo sfidavano perivano in pochi istanti, quelli più forti riuscivano solo a fargli un leggero danno che poteva sostenere.

Il peso più incombente su di lui era il pacchetto di sigarette ormai agli sgoccioli: gli rimanevano due cilindri di carta e tabacco e quelle due porzioni di nicotina non sarebbero bastate a sfamare la sua voglia frustrante per una intera giornata, se non due.

Stava già iniziando a progettare una sosta al primo villaggio per comprarsele -purtroppo Gongaga era troppo salutare per poter vendere sigarette- ma a parte il parco dei divertimenti l’unico paese disponibile era North Corel, non proprio un bijou come luogo per farsi notare.

Non poteva di certo farsi sorprendere nicotinomane a Nibelheim per due specifici motivi: i genitori Strife avevano la brutta abitudine di far incontrare i nonni coi nipoti parecchie volte all’anno e con la sua solita fortuna probabilmente sarebbe arrivato proprio sotto il periodo di visite.

Come città, però, non gli dava bei ricordi a causa della ShinRa Mansion, fredda e cupa com’era rimasta nella sua mente.

Con un sospiro deviò la propria direzione per andare fino a North Corel e sarebbe arrivato prima di sera, se solo a metà strada non fosse stato praticamente travolto da una moto che aveva riconosciuto subito.

Eccola, la sua solita fortuna «Vincent!» chiamò il biondo ancora in sella al bolide e spense il motore mentre con uno scatto metteva giù il cavalletto «quanto tempo! È stato brutto sapere che eri andato via» aggiunse e lui sospirò «è stato brutto anche per me, ma non potevo restare» disse, la voce profonda non era cambiata.

Cloud sembrò confuso, ma non diede poi molto peso alle parole dell’altro: era sempre stato misterioso, faceva parte della sua natura «beh, sei diretto a North Corel? Ti do un passaggio» disse, un sorriso che non gli si addiceva, almeno nei suoi ricordi.

Quel viso sempre serio e corrucciato improvvisamente illuminato di felicità non sembrava il Cloud che aveva conosciuto, si ritrovò ad essere un po’ contento per vederlo così rilassato «va bene, accetto. Grazie» rispose allora il corvino, avvicinandosi alla moto mentre l’ex Soldier riaccendeva il motore e si preparava a partire.

Lui saltò in sella con eleganza, assicurandosi che il mantello rosso e un po’ frusto non toccasse nella ruota posteriore della moto e afferrò con la mano sinistra la maniglia per il passeggero, mentre la destra appesantita dal metallo rimase lungo il suo fianco.

Ci misero poco ad arrivare nel paesello e Vincent saltò giù dal bolide con la stessa leggerezza con cui vi era montato, dando una veloce manata al mantello per liberarlo da ogni appiglio sulla moto.

Cloud scese e alzò il sellino, per prendere da uno scomparto un pacchetto «Cloud» chiamò Vincent «non dire a nessuno del nostro incontro, non credo capirebbero» disse, serio e composto come suo solito, anche se dentro sentiva alcune spine trafiggerlo dove quella strana materia metteva a riposo il demone dentro di lui.

Forse avrebbe dovuto chiamarlo cuore.

Il biondo lo guardò con i suoi occhi mako, corrucciandosi «per favore» aggiunse Vincent, nessun cambiamento nell’inflessione della voce, mentre l’altro sospirava e si metteva il pacco sottobraccio «va bene Vincent, non dirò a nessuno di averti visto» disse rassegnato e dopo averlo salutato con un gesto della mano andò a consegnare ciò che doveva.

Lui rimase qualche secondo accanto alla moto bollente, poi voltò le spalle a quello squarcio di passato e camminò fino al centro del paese, ormai case di cemento e mattoni avevano sostituito le tende da terremotati e i cittadini sembravano più contenti «buongiorno» lo salutò un commesso mentre lui buttava con non-chalance due pacchetti scuri sul bancone.

L’altro lo guardò stranito, nessuno comprava quel tipo di sigarette, ma rimase contento di venir pagato senza troppe storie «arrivederci» disse mentre Vincent prendeva e usciva dal negozio.

Appena si ritrovò nella piazzetta non potè resistere alla tentazione e tirò fuori l’ultima sigaretta dal pacchetto vuoto e mentre la accendeva con attenzione per non ferirsi con la mano destra, buttò la confezione vuota nell’unico bidone dell’immondizia.

Il fumo caldo della prima boccata si infiltrò nei suoi polmoni e lo riempì come una ventata di tranquillità, mentre la sua mente smetteva per un attimo di macchinare le sue prossime mosse.

Fu la voce di Cloud a fargli aprire gli occhi «allora quando tornerai?» chiese, mentre guardava con aria corrucciata la sigaretta ancora nelle sue labbra.

Vincent espirò il fumo, rigirandosi il cilindro acceso tra le dita della mano umana «non so se tornerò, stavolta» disse, la voce profonda era rimasta inflessibile, come i suoi occhi e il suo viso si scontrarono contro quelli delusi di Cloud «oh, beh speravo di poterti avere in casa qualche volta» aggiunse facendo leggermente spallucce «ma almeno hai un posto dove stare?» chiese e il corvino si domandò se poteva riferire come la sua vita stava prendendo una piega abbastanza negativa «sicuro» rispose allora, prima di voltargli la schiena e allontanarsi da North Corel verso nord, per inoltrarsi nelle montagne nevose alle spalle del paese.

Sarebbe rimasto in quel luogo sperduto almeno due giorni, per far perdere nuovamente le proprie tracce a tutta la banda.

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Capitolo 2
*** Un occhio nero per mille parole ***


La neve turbinava attorno a lui, senza però riuscire a sfiorare anche solo un lembo della sua pelle sensibile, e gli catturava ciocche di capelli neri per spedirli sulla sua faccia o sulle sue spalle, a dipendere dalla direzione del vento.

Trovò un’insenatura poco lontano dalla strada che partiva da North Corel e la rese il suo bivacco per due giorni, mentre la furia della tempesta gli impediva anche solo di vedere il panorama.

L’unico segnale che gli diceva di essere ancora vivo era il freddo pungente che lo scuoteva da capo a piedi, nonostante il lungo mantello rosso fosse totalmente avvolto attorno a lui.

Le gambe erano serrate al petto e le braccia trattenevano il tessuto rosso e pesante attorno al corpo.

Gli occhi sanguigni erano chiusi mentre le ciglia nere erano tempestate di piccoli cristalli di ghiaccio, soffiati dal forte vento che spirava fuori dall’insenatura.

Sentiva la temperatura glaciale fargli rabbrividire la pelle e i capelli neri sembravano essersi irrigiditi fino a far male; le sue condizioni per fortuna erano perlopiù ottime e quindi a parte il freddo non sentiva particolari forme di dolore.

La solitudine faceva più male di qualsiasi cosa, quella lo stava divorando lentamente come un virus infettivo di cui lui era portatone sano e senza che se ne potesse accorgere, si ritrovò l’ennesimo lumicino rosso a qualche centimetro dalle labbra, il fumo caldo a scaldarlo da dentro ogni volta che inspirava bruciando la carta.

L’artiglio gli graffiò la guancia quando un soffio più freddo gli fece tremare le membra e una piccola goccia di sangue scivolò giù fino al collo, senza che lui lasciasse uscire dalle labbra un solo mugolio di dolore: la bocca era troppo impegnata a bruciare per la nicotina.

Un rumore fuori dall’insenatura spezzò il monotono movimento del vento che a malapena sfiorava l’entrata della grotta, mandandolo a sbattere direttamente all’interno, spedendovi fiocchi impazziti e spegnendo il leggero e tiepido fuocherello che lui era riuscito ad accendere.

Si alzò, tenendo la sigaretta tra le dita della mano umana per impedirle di volare via, e mentre il mantello rosso si gonfiava e sventolava frenetico uscì per controllare cosa stesse accadendo fuori.

Il lumicino rosso improvvisamente sparì dalla sua mano, finendo chissà dove; la presa aveva ceduto alla sorpresa, ritrovandosi, pochi metri dal fianco della montagna, l’enorme e illuminato Shera, il metallo lucido accarezzato dalla neve mentre le pale creavano il soffio di vento che aveva riempito l’insenatura.

Il portellone si aprì mentre Vincent assottigliava gli occhi per vedere chi fosse l’ombra scura che si stava sbracciando per indicargli di saltare dentro.

Indovinò la figura esile e femminile di Yuffie e con una imprecazione inudibile in quel fracasso rombante, voltò la schiena e rientrò nella caverna, ignorando le grida della ragazzina.

Non voleva più avere nulla a che fare con loro, non finchè non avrebbe imparato come asportarsi quella parte di cervello in cui risiedevano le emozioni.

Sentì lo Shera aumentare i giri del motore e ritornare in alta quota, forse per allontanarsi e lasciarlo lì, per fortuna, ma quel pensiero divenne inutile quando dei passi nella neve alta del passaggio si fecero sentire.

Probabilmente avevano solo fatto atterrare la grande aeronave da qualche parte per poi raggiungerlo a piedi «Vincent!» chiamò la ragazzina, spostandosi dalla testa un grosso cappuccio peloso che l’aveva protetta dal vento gelido «Vincent abbiamo bisogno di una mano, vieni con me!» esclamò lei, mentre l’uomo tornava a sedersi sul fondo della grotta e riaccendere la sigaretta che si stava godendo solo qualche secondo prima «non avete bisogno di me» disse, rimanendo con gli occhi fissi sul lumicino rosso e le dita che facevano cadere la cenere sulla roccia fredda e umida.

Non poté vedere la ragazzina venir scostata e una mano afferrarlo per il colletto del mantello rosso per rizzarlo in piedi «smettila e vieni con noi, depresso del cazzo» la voce gracchiante e gioviale nonostante l’età lo scosse totalmente e gli occhi rossi ebbero un guizzo mentre osservava un tipico cerotto bianco sulla tempia sinistra, quasi un simbolo «avanti, muovi il culo» aggiunse Cid, lasciando che ritornasse sui propri piedi e indicando l’entrata della grotta.

Il corvino sospettò lo zampino di Cloud in quell’azione di reclutamento forzato, ma non disse nulla finché non si ritrovò sulla nave, sollevato parecchi chilometri dalla neve e dal gelo, le ossa che ritrovavano calore e la carne che ritornava a essere più morbida «andarsene così, senza dire una parola» stava borbottando Cid al timone, mentre lui si dirigeva verso una delle tante cabine presenti in coperta.

Tifa passò di lì in quel momento, proprio quando il corvino si voltò e con lo stesso passo calmo e cadenzato con cui stava andando via raggiunse il capitano «qualcosa di cui lamentarsi?» chiese, con la voce profonda incrinata da una tonalità diversa, sconosciuta a tutti, quasi a lui stesso.

Cid si voltò, stringendo la spugnetta del filtrino tra i denti e prima ancora che potesse proferire una sola parolaccia del suo vocabolario, un flash arrivò repentino e in un secondo l’altro si ritrovò a terra, una guancia ammaccata da un potente pugno.

Un taglio era rimasto sullo zigomo e la pelle stava iniziando a diventare di un colorito violaceo.

L’altro era rimasto statuario, solo il mantello ancora in movimento aveva tradito il suo scatto «ma ti sei fottuto il cervello??» gridò Cid, saltando in piedi e fronteggiando il corvino.

Vincent non disse nulla, guardandolo con quel sottile astio che riusciva a trasparire attraverso gli scudi del suo cuore, poi si voltò per camminare a passo sostenuto fuori dalla plancia fino in coperta.

Tifa rimase immobile appena poco lontano dalla porta d’entrata in plancia e guardando l’uomo poté vedere qualcosa di liquido passare sulle sue guance, nascosto dai capelli scarmigliati e dalle piccole goccioline in cui si erano trasformati i fiocchi di neve «ma è impazzito? Che gli è preso?» stava chiedendo Yuffie a un Cloud totalmente allibito.

La donna si avvicinò a Cid e diede un’occhiata all’alone scuro che il pugno metallico aveva lasciato dopo lo scatto d’ira «vieni, ti ci vuole un po’ di pomata qui» disse, toccando appena con le dita il volto del capitano e lo accompagnò verso l’infermeria mentre la nave veniva controllata attraverso il pilota automatico.

I due arrivarono nella stanzetta adibita a farmacia di bordo e mentre Tifa iniziava a tamponare il livido con del disinfettante per impedire che il taglio infettasse, il biondo aveva iniziato a borbottare ogni singolo insulto disponibile su quella Terra «di certo non sono stato io a scomparire nel vuoto, almeno ho avvisato dove avreste potuto trovarmi…almeno non ho tirato un pugno a Cloud quando mi siete venuti a chiamare!» e la donna per bloccare quel fiume di parole irose premette il cotone idrofilo nell’aureola blu attorno all’occhio ottenendo un urlo un po’ strozzato «Cid fermati un attimo» disse sofficemente, iniziando a sistemare quell’occhio nero con più delicatezza «tu non sei un acume di uomo, lo sai benissimo» disse «sarebbe bene chiedersi perché Vincent ti ha fatto un occhio nero, giusto?».

Mai nessuna frase sarebbe stata più giusta.

Nella sua camera, Vincent si era liberato del mantello rosso e del guanto metallico protettivo, osservando nella propria intimità il braccio destro, trasformato in un artiglio nero dall’aspetto liscio, levigato come la pelliccia di una pantera.

Quel colore svaniva oltre il gomito, un po’ a pezzi, come se fosse stata una macchia di petrolio impossibile da eliminare.

L’uomo, magrissimo nei pantaloni di pelle e nella maglia dello stesso materiale, aveva aperto l’unico oblò della camera e aveva guardato fuori, la notte stellata sopra la sua testa e una distesa di nuvole sotto i suoi occhi, illuminata dalla falce di luna in mezzo al cielo; il vento d’alta quota gli scompigliò i capelli, ma niente di più.

Furono le lacrime a uscire da sole dai suoi occhi, quelle maledette che non era riuscito a bloccare se non prima di raggiungere il lungo corridoio fuori dalla porta, le stesse che avevano approfittato del vento freddo per uscire di nuovo.

Lui era scomparso senza dire nulla a nessuno?

E lui? Lui non era partito per tornare da quella svampita della sua assistente -che aveva persino dato il nome a quella aeronave, la sciagurata!- per fare cosa? Cercare di andare nello spazio…con tutto quello che c’era da fare sul Pianeta, lui voleva andare nello spazio! Per morirci, magari, visto che il primo razzo al mondo sarebbe stato un insieme di metallo più o meno resistente che poi sarebbe esploso al primo problema.

Quel pensiero lo fece guardare in alto, alle stelle che brillavano come diamanti: si chiese cosa fosse successe per richiedere una tale riunione di vecchi amici che non dovrebbero più vedersi.

Si chiese perché avevano avuto bisogno di lui, poi un’idea lo trapassò.

Ma certo, lui poteva diventare come quei mostri che avevano sconfitto parecchie volte, poteva diventare il peggior mostro in circolazione, con quel potere così sconfinato ma al tempo stesso addormentato dentro il suo petto.

Quella considerazione gli fece posare l’artiglio al centro del petto, appena sulla sinistra, dove sapeva esserci quella strana Materia.

L’artiglio scivolò dalla pelle della maglia nera e si insinuò nella tasca per prendere il pacchetto scuro di quelle particolari sigarette per accendersene una, senza allontanarsi dall’oblò, lo scatto dell’accendino fu l’unico rumore a parte il debole soffio dell’aspirare del fumo e il silenzio cadde pesante e concreto nella stanza, finché un bussare improvviso lo fece appena sobbalzare, strappandolo dai suoi pensieri.

Vincent si girò, torcendo il busto per guardare la porta, ma sapendo essere aperta non si diede la pena nemmeno di invitare lo sconosciuto a entrare «hey, posso?» la sua voce arrivò alle orecchie dell’altro e Vincent chiuse gli occhi, inspirando a fondo dalla sigaretta, sentendola bruciare come mai aveva fatto «oh beh io entro lo stesso» lo sentii borbottare poi il cigolio della porta gli indicò che era appena entrata la persona che avrebbe voluto vedere di meno in quel momento.

Cid entrò e non chiuse la porta, ma si mise le mani in tasca «allora, perché quel pugno?» domandò secco, le labbra per metà occupate a trattenere una sigaretta.

Vincent non parlò, rimase immobile con i gomiti appoggiati al bordo dell’oblò e le ginocchia piegate a causa della bassezza della finestra, mentre il biondo sbuffava «per caso ho urtato dei sentimenti? Andiamo, cosa vuoi che possa anche solo sfiorare in quel guscetto vuoto?» aggiunse e dalla bocca dell’altro uscì il fumo sottile e grigio, prima che le parole lo rincorressero «esci da qui» disse, cacciando dalla finestra la cicca oramai arrivata al suo ultimo millimetro utile «subito» e mentre Vincent si muoveva per prendere una nuova sigaretta, Cid si avvicinò e gli posò una mano rude sulle spalle «hey, ho fatto qualcosa che non dovevo?».

Subito gli occhi rossi si voltarono a fulminarlo e nel giro di qualche secondo scattò veloce, allontanandosi come se si fosse trattato di qualcosa di schifoso.

Quello che Cloud vide mentre si stava dirigendo verso l’infermeria fu il corpo di Cid volare fuori da una porta lasciata aperta, che però sbatté qualche secondo dopo accompagnata da un ruggito violento all’interno.

Il biondo raggiunse il capitano, rimasto steso contro il muro del corridoio, e gli offrì una mano «pensavo che Tifa fosse stata di aiuto» disse mentre l’altro si alzava mugolando «oh la tua fottuta moglie mi ha suggerito di capire cosa stesse succedendo e di chiedere scusa, cosa che ho fatto» brontolò e Cloud si ritrovò a ridacchiare «certo, immagino come tu abbia chiesto scusa» e detto ciò lo spedì in plancia, dove la radio aveva cominciato a mandare strani segnali, per poi dare una bussata alla porta di Vincent «Vincent, sono io» disse, sperando di ottenere qualcosa di più che un grugnito «posso entrare? Vorrei parlarti» aggiunse e vedendo che la porta era aperta diede una piccola spinta.

Entrando sospettò la rabbia dell’amico a causa dei pesanti graffi sulle pareti della cabina e dal letto praticamente sventrato «Vince…» chiamò di nuovo Cloud, ricevendo un ringhio scontroso da fuori l’oblò, quasi praticamente il doppio della larghezza, deformato in vari punti dalla presa furiosa di lui.

Non poteva essersi allontanato di molto, infatti lo vide seduto su un’ala dello Shera, trasformato nella parte demoniaca di se stesso.

Gli occhi dorati e lucenti guardavano lontano, forse anche troppo, e l’espressione irata sul viso era nascosta dalla mano artigliata, senza la protezione platinata che giaceva in un angolo della stanza devastata.

Cloud si sporse dall’oblò e lo chiamò ancora, nonostante il vento gli ricacciasse le parole in gola; quello che ricevette fu un’occhiata superficiale, niente di più, da cui stavano scendendo alcune gocce rosse che sembravano molto simili al sangue.

Il liquido rossastro stava scendendo da un profondo taglio sopra l’occhio destro e l’artiglio inumano grondava dello stesso sangue «Vincent!» chiamò ancora Cloud, ma ottenne soltanto silenzio e dopo qualche minuto lo vide svolazzare via per posarsi di nuovo sul tetto dello Shera, le ali richiuse attorno al corpo come un involucro impenetrabile.

Sarebbe stato difficile scoprire cosa stesse succedendo nella mente labirintica di Vincent, ma prima avrebbero dovuto raggiungere la grotta di Lucrecia, dove tutti i problemi avevano avuto inizio.



Lo Shera atterrò poco lontano dalla grotta, nella grande piana richiusa fra le montagne, e il gruppo era smontato per entrare tra lo scintillio dei cristalli e dell’acqua limpida.

Tutti si fermarono poco dopo l’entrata e mentre Tifa stava parlando con Barrett di quello che era successo, a bassa voce, Vincent si guardò intorno, trovando il luogo diverso.

Mancava qualcosa e in effetti dalla grande formazione di cristalli azzurrini era scomparso il corpo della dottoressa Crescent, come svanito nel nulla mentre la bara trasparente era come stata fatta a pezzi da qualcosa di incredibilmente potente.

Gli occhi sanguigni non poterono credere alla vista che gli si parava d’innanzi: il suo angelo protettore era scomparso, era stato preso senza pietà.

Solo qualche secondo dopo si accorse che l’acqua attorno all’enorme cristallo spezzato si stava muovendo e alcune bolle interrompevano la calma della superficie «meglio prepararsi» disse Cloud, guardando però l’amico corvino con occhi colpevoli.

Loro sapevano cos’era successo e non avevano trovato il coraggio per dirgli nulla.

No, non può essere!

Dalla superficie del lago spuntò prima una testa di capelli color miele, poi un volto che di umano non aveva più molto.

Dal corpo filiforme spuntavano parecchi tentacoli, da dietro la schiena, che si dimenavano come serpenti senza testa.

Riconobbe le cellule di Jenova dal loro odore, ma il volto era sempre quello che aveva guardato attraverso le pareti sfaccettate di quella bara.

Il volto senza espressione dagli occhi bianchi era orribile, un colpo atroce per il suo cuore provato «L-Lu…» riuscì solo ad esalare mentre muoveva un passo verso la creatura che aveva posato i piedi umidi sulla riva, ondeggiando la testa prima a destra e poi a sinistra, come se stesse cercando di capire cosa stessero facendo quelle persone lì.

Prontamente Cid gli posò una mano sulla spalla, bloccandolo e scuotendo la testa «ce ne occupiamo noi» disse Cloud, mentre Barret e Cid lo affiancavano «state fuori» aggiunse e il biondo aeronauta cercò di sorridere come solito, senza riuscirci per davvero.

Vincent non poté fare altro che stare a guardare le tre armi dei compagni iniziare a crivellare, squartare e dilaniare il corpo latteo e perfetto di Lucrecia, mentre esso ritornava ogni volta al suo stato originale.

Il sangue che macchiava la lama della Buster Sword era lo stesso che lui aveva visto parecchi anni prima, ma allo stesso tempo non era più lo stesso.

Non poteva tenere l’animale che aveva dentro, non poteva continuare a guardare, sentire le grida della donna trasformata e quelle dei tre combattenti «Vinnie…» lo chiamò triste Yuffie, guardandolo dal basso con gli occhioni color nocciola.

Aveva intuito cosa stava pensando? Molto probabilmente lo aveva notato dalle pupille verticali nei suoi occhi e dagli ansiti sempre più faticosi che gli uscivano dalla gola.

Oppure dai denti improvvisamente più affilati.

Con un ruggito Vincent divenne un’enorme bestia simile a un lupo dal pelo violastro e con un altro lamento si lanciò in mezzo ai compagni, sbaragliandoli come fossero stati birilli e lanciandosi sul corpo mutato di Lucrecia, finendo entrambi nel laghetto.

I denti affilati affondarono nei grossi tentacoli, lacerandoli ogni volta che ricrescevano e graffiando con gli unghioni il corpo sempre più grande. Le lacrime non si poterono notare in mezzo ai milioni di bollicine che li avvolgevano «Vincent?» sentì chiamare nella sua testa, la voce della donna, quella che ricordava «Vincent» disse ancora e la bestia si placò, mentre le mani pallide di lei si erano alzate nella nuvola di sangue che fluttuava attorno al corpo mutato.

L’uomo alzò la mano sinistra, scioccato da quella voce angelica «MUORI».

Immediatamente l’acqua divenne un turbinio di bolle e sangue, mentre l’uomo veniva sballottato a destra e a sinistra, mentre il corpo di Lucrecia mutava, diventando enorme e inglobando la stessa acqua che stava muovendo con tanta frenesia.

Come una spugna divenne il doppio, il triplo di prima «che cazzo…??» si sentì Cid mentre Cloud stringeva la presa sulla spada.

L’essere diventò come un’enorme ragno, i tentacoli sorreggevano il peso del corpo rotondo mentre la testa e il busto spuntavano da un lato, completamente trasfigurati.

E dentro l’enorme corpo pieno d’acqua lottava Vincent, cercando di obbligare le pareti gommose di quel mostro a cedere.

L’ossigeno stava iniziando a finire e i suoi polmoni iniziarono a bruciare «ragazzi occupatevi della signorina!» esclamò Cid mentre correva contro il mostro, per poi saltare e piantare la punta della propria lancia in quel ventre gonfio ed enorme, tirando e lacerando.



The one winged angel: Non trovando nulla in giro riguardo a una Valenwind ho deciso di metterla io :P
Chiedo venia per gli errori, ma le storie le scrivo prettamente la notte e quindi a volte ci scappa qualcosa.
Mi servirebbe qualcuno come Beta, ma non saprei a chi rivolgermi ^^"

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Capitolo 3
*** Una fragranza dolcemente sbagliata ***


La prima cosa che vidi fu una luce accecante, o forse erano i miei occhi ad essere rimasti chiusi per troppo tempo.

Appena mi fui di nuovo abituato al bagliore sopra di me, potei di nuovo tentare una fugace occhiata al mondo esterno, attraverso le ciglia.

Vidi delle immagini parecchio sfocate, delle ombre muoversi e le orecchie ronzanti non captavano i suoni che delle bocche in quelle ombre cercavano di mandarmi.

Quella più vicina a me voltò la testa parecchie volte, per parlare con quelle più piccole, più lontane, e sentii il corpo farsi più pesante e capii di aver abbandonato l’acqua dove stavo galleggiando «Oi!» un urlo mi trapanò le orecchie, ma non riuscii a tirare su la testa ciondolante, solo gli occhi non mi facevano così male da non poterli muovere «…on…spi…a!» altre parole confuse, senza un senso.

Nella mia testa regnava ancora l’immagine nitida di quella creatura uscita dal laghetto, il corpo di Lucrecia posseduto da un mostro, un essere orribile che ne aveva infangato l’immagine che avevo tenuto con così tanta cura nella mia memoria «Vi…ent!» un altro grido femminile, uno scossone e poi la mia schiena venne in contatto con qualcosa di solido, mentre le braccia che mi avevano retto in quel momento sparirono «…cent!» la chiamata venne dall’ombra sopra di me e i miei occhi poterono vedere nelle tenebre che sembravano avvolgere quelle persone.

La mia mente registrò un rettangolo bianco, all’altezza della tempia, e un paio di sopracciglia aggrottate sopra degli occhi azzurri come i cristalli sullo sfondo «Vincent! Respira accidenti!» il pugno che ricevetti in pieno petto pressò i polmoni e in meno di un secondo scattai a sedere, cacciando da un lato l’acqua che mi aveva appesantito in quel momento.

La gola mi bruciava per lo sforzo e la mano che mi sosteneva la schiena passò sulla fronte mentre il corpo di una ragazzina si schiantava su di me «Vinnie sei vivo!!! Eravamo così preoccupati!!!» urlò Yuffie nelle mie orecchie sensibili, scuotendomi.

Sentii qualcuno togliermela caritatevolmente di dosso, forse Barret e l’ombra vicino a me assunse le sembianze di Cid, un po’ più preoccupato di quel che credessi «Torniamo sull’aeronave» disse, alzandosi e portandosi appresso il mio corpo provato.

Non avevo il coraggio di stare in piedi, di guardare il Lifestream impossessarsi della donna che avevo amato per cui avevo dato la vita.

I perché sostavano uno dopo l’altro nella mia testa per poi sfuggirmi di nuovo ogni volta che tentavo di rispondervi; mi sentivo uno straccio, le uniche forze che avevano erano impegnate a non far scendere le lacrime rosse dai miei occhi chiusi.

Mi ripresi solo quando raggiunsi la stanza che prima avevo distrutto e mi lasciai posare sul letto prima di appallottolarmi e appoggiare la fronte al muro contro cui era messo il letto «Ehm» sentii Cid iniziare, prima di sedersi accanto a me «Mi…dispiace» disse poi e lo sentii alzare una mano, probabilmente per grattarsi la nuca.

Un gesto d’imbarazzo, perché era imbarazzato? Dopotutto ero io il signore dei misteri nel gruppo, non lui «Non devi scusarti, ho più o meno capito cosa è successo» dissi, la voce atona come solito, per evitare che potesse avvicinarsi troppo.

Non avrei retto un’altra separazione se ci fossimo avvicinati più di così «Ah! Beh, allora perché non mi informi? Io non ci ho capito niente, con la mia zucca vuota».

Stava attaccando bottone per farsi perdonare, lo sentivo quasi dal suo odore il senso di colpevolezza che provava.

Forse perché aveva squartato la donna della mia vita…e anche io mi sarei sentito male se per sbaglio avessi ucciso la sua, di donna.

Mi misi a sedere affondando le dita della mano sinistra tra i capelli ancora umidi, massaggiandomi la cute per evitare che mi venisse un mal di testa con i fiocchi «Lucrecia era stata parecchio a contatto con le cellule di Jenova, quando Hojo le ha iniettate nel feto che portava che poi diventò Sephiroth. Probabilmente si sono risvegliate dopo questo tempo solo per puro caso» spiegai mentre Cid si era alzato e aveva girato per la stanza, guardando le unghiate che avevo dato senza pensarci in un attacco di rabbia.

Lo guardai togliersi i guanti fradici e metterli nel giubbotto fradicio anch’esso e ricevetti una fitta all’altezza della Protomateria, nel mio petto, quando vidi qualcosa brillare di una sfumatura dorata al suo anulare sinistro.

Distolsi gli occhi proprio qualche secondo prima che lui si voltasse «Non credo sia accaduto per caso.
Reeve ha chiamato dicendo che uno dei vecchi dottori della ShinRa si era diretto da quella parte» disse, infilandosi le mani nelle tasche e privandomi di quel brillio pesante come un macigno sulla mia anima «Credo che questo sia stato l’ennesimo tentativo di riportare in vita quella bestiaccia di Jenova, per fortuna c’eravamo noi» e il ghigno che fece, quello da eroe consumato, mi obbligò quasi a storcere le labbra in un sorriso un po’ malinconico.

La mia mano sinistra s’infilò nella tasca dei pantaloni solo per sentire il pacchetto di sigarette impregnato d’acqua, rendendole così inutilizzabili esattamente quanto l’accendino: non sarei stato in grado di accendermene una nemmeno con un Flare.

Guardai Cid inspirare da quella che aveva accesso appena eravamo arrivati sull’aeronave e mi chiesi se potevo permettermi di fare quello che la mia mente aveva chiesto.

Con uno scatto mi alzai e mi avvicinai a lui, rubandogli dalle labbra la cartina arrotolata da cui partiva il fumo che stava impregnando la stanza.

Con l’artiglio tremante la portai alla mia bocca, incurante del fatto che un graffio si era aperto sottile nella mia guancia, e inspirai il fumo quasi con delicatezza, sentendo il calore invadermi ancora una volta i polmoni, anche se questa volta c’era qualcosa di più.

La fragranza di Cid era mescolata all’odore del tabacco e quasi sembrava di assorbire la sua essenza.
Una cosa che mi era stata proibita perché sbagliata.

Aprii gli occhi e lo guardai fissarmi confuso, gli occhi azzurri luccicavano «Grazie, ne avevo bisogno» dissi atono, il fumo che mi usciva dalle labbra come nebbia «Ci vediamo in plancia» aggiunsi, posando la sigaretta di nuovo nelle sue labbra semiaperte e andandomene dalla stanza.



Una volta al posto di comando, potei ascoltare in ogni dettaglio quello che era successo da quando Reeve aveva chiamato fino alle conclusioni che aveva tirato fuori dopo un’approfondita ricerca.

Lo scienziato fuggito era un assistente che Hojo aveva addestrato per protrarre la sua ricerca nel caso lui fosse scomparso e ancora una volta mi ritrovai a maledire l’uomo «per questo vorrei tutti voi qui a Midgar, devo mostrarvi alcune cose» disse la voce di Reeve -un po’ disturbata- attraverso la radio.

L’etere era ancora troppo pieno di Lifestream per avere delle chiamate di ottima qualità a così lungo raggio. Vidi Cloud chiudere la conversazione e guardarci tutti, uno dopo l’altro «Appena Cid ritorna sarebbe meglio partire» disse e mentre tutti annuivano io mi sentii tirato dentro alla situazione prima che potessi fare qualcosa.

Dannazione a me stesso, avrei dovuto rifiutarmi! Invece non avevo detto una parola e me ne ero stato immobile, qualche passo dal timone «Scusate il ritardo, la natura chiamava!» esclamò Cid, entrando dalla porta automatizzata e lasciando che essa si chiudesse con un rumore soffiato alle sue spalle.

Lo guardai, aveva qualcosa di strano, ma non ci feci molto caso in quel momento. Ringraziai soltanto che i guanti di pelle avessero nascosto quell’anello infernale «Cid, prossima destinazione Midgar, abbiamo da far visita a Reeve» disse Tifa con il suo solito dolce sorriso ristoratore e appena mi guardò inclinò la testa, lievemente, per poi avvicinarsi «Cos’hai fatto qui?» disse, alzando una mano per passare un dito sulla mia guancia.

Quando lo ritrasse potei vedere del sangue «Solo un graffio» proferii e, appena guardai i suoi occhi nocciola cercare qualche bugia nei miei vermigli, sospirai «Ecco» disse e aprendo la mano davanti al mio volto sentii la frescura di un Cure sulla mia pelle e il taglio si richiuse in un attimo «Sarebbe meglio che ognuno di noi porti con sé una materia curativa, ogni tanto» disse sorridendo e dandomi una pacca delicata sulla guancia appena guarita.

Certo, come no.

Se mai avessi portato delle materia con me sarebbe stato un guaio, altroché.

Avevo notato che da quando la Protomateria era ritornata nel mio corpo l’effetto delle magie era cambiato sul mio corpo, a volte risultavano innocue e altre diventavano mortali.

Mentre l’aeronave muoveva con fatica il suo enorme corpo di metallo io stetti a guardare fuori dalle vetrate il mondo scorrere sotto di noi, prima di incappare nell’enorme distesa d’acqua che risultava il mare a quella velocità.

Un tessuto colore dello zaffiro con a malapena qualche piega «Hey» mi si avvicinò Cloud, guardando fuori mentre Cid era al timone «Mi dispiace per non averti avvertito prima» disse, spostando il suo sguardo dal paesaggio ai miei occhi.

Solo in quel momento l’immagine di Lucrecia in quel corpo mutato si fece sentire più forte che mai, come un pugno nel petto, ma non mossi un muscolo per evitare che il biondo si insospettisse «Non ti preoccupare.
L’ho scoperto, alla fine» dissi senza staccare gli occhi dal vetro, guardando la terra avvicinarsi poco a poco, il territorio di Midgar era vicino.

E con esso i ricordi dei laboratori ShinRa, i ricordi di Hojo.



The one winged angel: Anche Vinnie pensa di avere amici un po' scemi, ma meglio per lui, sennò la facciata tenebrosa sarebbe inutile xD
Beh come betaggio quello che fai te va benissimo! Ho corretto tutte le maiuscole mancanti (chiedo venia se i capitoli precedenti li lascio così, ma sono pelandrona xD) e spero che vada meglio XD

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Capitolo 4
*** Un tuffo nel passato ***


Arrivarono a Midgar che la notte si era impadronita del cielo, mandando a dormire il sole mentre la luna faceva la sua comparsa.
Era quasi piena e con un po’ di malinconia Vincent pensò che sarebbe stato più naturale per lui essere una bestia a tempo pieno.
La mente sarebbe stata incatenata dalla furia del Galian e sarebbe stata troppo impegnata a soccombere, piuttosto che riflettere su tutto quello che stava succedendo.
Aveva infranto i suoi punti cardinali, le promesse che aveva fatto a se stesso: mai far del male a chi si ama -e lo aveva fatto per ben due volte-, mai lasciarsi trasportare dagli eventi, mai far ritorno in quella combriccola malformata di eroi.
Avrebbe potuto far di meglio che nascondersi tra la neve e il gelo, era un ex-Turk, l’addestramento ormai faceva parte del suo essere, eppure si era lasciato fregare; forse perché in fondo aveva sempre sperato di ritornare a combattere fianco a fianco con quella congrega strampalata.
Dopotutto lui era un esperimento mal riuscito, con qualche rattoppo qua e là, stare in quel gruppo di persone con problemi psichici, fisici e di comportamento lo faceva sentire quasi normale «Vincent! È bello rivederti in carne e ossa» disse Reeve mentre li accoglieva nel palazzo rimesso a nuovo della ShinRa, dove lui aveva stabilito il quartier generale della WRO.
Il corvino annuì soltanto, un cenno del capo che gli fece intendere che anche per lui era un piacere vederlo vivo e vegeto «Seguitemi e non spaventatevi troppo» disse l’altro, mentre si dirigeva verso una porta a destra della hall, una porta che Vincent ricordava fosse per i sotterranei e i laboratori.
Il gruppo percorse qualche lungo corridoio, Cloud in testa assieme a Tifa, mentre lui si era autoproclamato chiudi fila, in modo da non avere alcun problema con nessuno «Eccoci qui, questo era il laboratorio personale di Hojo» asserì Reeve una volta che varcarono una doppia porta automatizzata che si chiusero appena dietro di loro, un centimetro troppo vicino al mantello rosso di Vincent.
I ricordi si accavallarono uno dietro l’altro nella sua mente, facendogli provare mille brividi lungo la schiena e lungo il braccio destro: i tavoli di acciaio erano disposti in posti diversi, ma erano sempre gli stessi.
Ricordò anche quello su cui era rimasto per parecchio tempo, agonizzante, mentre i vari demoni nel suo corpo lottavano nel trovare un posto appropriato.
Era quello più in fondo alla stanza, il bordo superiore deformato appena, molti graffi su quelli laterali.
Ricordò quanto avessero fatto male le mani, quando il bruciore nel suo cervello lo faceva impazzire a tal punto da piantare le unghie nel metallo fino a spezzarsele.
Inconsciamente si afferrò il braccio destro mentre Reeve parlava «Abbiamo scoperto quasi per caso questo laboratorio, sulle carte del palazzo non era segnato e c’è voluto parecchio per illudere il meccanismo che impediva alla porta di aprirsi».
Diverse catene attaccate a un muro, macchie scure di sangue rappreso da anni e anni. Manette enormi, troppo per dei normali polsi umani.
Non ricordava molto del tempo passato in quel laboratorio, solo alcuni dolorosi particolari quando ancora il suo cervello non era stato fritto dalle cellule di Jenova, ma probabilmente quel muro era stato il primo posto dove Galian aveva fatto la sua prima comparsa «E in queste capsule abbiamo trovato questo» la mano di Reeve sollevò un tessuto bianco da uno dei tavoli operatori, mostrando un corpo pallido e senza vita, un corpo che Vincent aveva visto parecchie volte davanti allo specchio.
Un clone di se stesso, seguito da un clone di Cloud, entrambi incompleti e morti come pupazzi senza batteria «Temo che quel dottore stesse finendo una ricerca di Hojo sulle cellule di Jenova, utilizzando questi manichini come esempio. Dopotutto voi due siete gli unici a parte Sephiroth ad avere ancora delle cellule di Jenova nel vostro corpo» continuò Reeve, guardandoli.
Cloud aveva annuito, conscio del fatto che in effetti essendo stato un Soldier quella possibilità c’era stata, di entrare in contatto con quel materiale genetico.
Vincent non riuscì a staccare gli occhi dove in teoria avrebbe dovuto esserci il suo volto.
Il buco vuoto nel petto del manichino -se così si poteva chiamare quell’ammasso di carne e ossa- era come il suo, dove in quel momento la Protomateria metteva la museruola a Chaos.
La presa sul proprio braccio destro si fece più decisa «Lo stesso dottore deve aver prelevato le cellule stabili dal corpo di Lucrecia, innescando la sua rinascita come il mostro che avete affrontato non molto tempo fa, per iniettarle in questi corpi, ma a quanto pare è morto prima di poter completare l’esperimento» continuò Reeve e Vincent alzò gli occhi su di lui, intendendo che l’essere che aveva ucciso lo scienziato doveva esser stato Lucrecia stessa.
Se non c’erano più problemi, perché chiamarli lì?
La domanda implicita negli occhi del corvino ottenne risposta da Cloud stesso «Allora perché ci hai chiamato qui?» chiese «Non vedo alcun problema se il dottore è morto, il nostro lavoro è concluso» aggiunse e Vincent vide Reeve scuotere la testa, coprendo di nuovo il clone dell’uomo, per poi muoversi verso un grosso terminale.
Quando Hojo si avvicinava a quel computer, per Vincent erano sempre stati dolori «Tutto bene?» sussurrò qualcuno vicino a lui e l’uomo si ritrovò a guardare Cid, quasi alla stessa altezza dei suoi occhi.
Annuì, nonostante non riuscisse a staccare la mano umana dall’artiglio.
Lo schermo del computer s’illuminò mostrando loro alcuni schemi che Reeve chiuse perché inutili «Date un’occhiata a questo video» disse Reeve e lo schermo divennero per alcuni secondi, prima di dare il via libera per i brividi di Vincent.

[Sesto mese dall‘inizio degli esperimenti, il soggetto C è ancora reticente nel collaborare] la voce di Hojo.
[Dottore! Il soggetto sta diventando instabile!] una voce più giovane, probabilmente l’assistente.
Alcuni ringhi e delle urla umane, il gruppo stentò a riconoscere a chi appartenevano.
[Aumenta la dose di Mako giornaliera, questo lo terrà buonino per un po’ finchè non finisco questo] ancora la voce di Hojo, rumore di vetri infranti e altri ringhi.
Un urlo misto al piano e dei soffi irati, sofferenti.
[Dottore il soggetto non reagisce, sembra che la dottoressa abbia innestato qualcosa] l’assistente, mentre il nero sullo schermo si diradava per mostrare dei camici bianchi e la risatina di Hojo faceva da contorno a un petto ansante e coperto di cicatrici e ferite.
[Ahhh, allora quella sgualdrinella è riuscita a crearla alla fine. Perfetto, perfetto!] la voce di Hojo e lo scintillio di un bisturi.
[Non penso sia una buona idea dottore, quella Materia gli impedisce di regredire] la voce dell’assistente è parecchio impaurita mentre le urla e i ringhi si alternano e impediscono quasi di sentire la risposta dello scienziato a capo del progetto.
[Regredirà comunque, l’ho creato così apposta, idiota] una risatina untuosa e poi uno strano silenzio.
[Come avevo pensato. Sta ancora registrando?]
[Si dottore…] un ringhio basso, frustrato e il frusciare di un camice.
[Ottimo] poi la telecamera sembrò spostarsi dal luogo in cui si trovava, per mostrare tutto il laboratorio e finalmente il tavolo dove il corpo ringhiante di un giovane Turk si agitava, la pelle segata dai legacci che lo bloccavano all’acciaio.
Il metallo sotto la testa era piegato, sembrava essere ceduto dopo una forte testata del soggetto in preda a tremori.
Gli occhi rossastri erano aperti fino a mostrare il bianco attorno alle iridi e i denti scoperti erano appuntiti e forse troppo grossi per quella bocca.
Il ragazzo si calmò per un attimo, incuriosito di vedere la telecamera, per poi liberare una mano dai legami e allungarla verso l’obiettivo.
[Stai buono, Valentine, tra poco farai una bella dormita] un’altra risatina.
[Grazie a quella stupida di Lucrecia, ora che hai la Materia, Alpha e Omega saranno a portata di mano.
Mi sono stufato di fare lo scienziato.
Sorridi alla telecamera, tra poco lo zio Hojo dominerà il Pianeta]
la voce di Hojo è seguita da un’esclamazione dell’assistente e nel video si potè notare il Turk inarcare la schiena.
Gli occhi chiusi di scatto per un’altra fitta di dolore, mentre qualcosa nel petto sembrava muoversi, pulsare.
[Dottore, il polso è sparito] l’assistente sembrava parecchio lontano dalla telecamera, la voce era arrivata al microfono quasi per miracolo.
Hojo imprecò qualcosa, ma poi si risollevò quando nel video la mano destra del Turk aveva forzato le cinghie che lo imprigionavano e gli occhi prima rossi erano diventati di una scura tonalità di verde.
Le labbra screpolate si erano mosse per formare una frase, ma nulla si era sentito.
[Esperimento quasi riuscito, dannazione alla testardaggine di questo ragazzo] la telecamera si spostò ancora e venne appoggiata a un ripiano, mentre si poteva vedere il corpo di Hojo allontanarsi dall’apparecchio per raggiungere il ripiano d’acciaio dove il ragazzo aveva ripreso ad agitarsi.
Le grida erano fortissime, così tanto che Reeve si vide costretto ad abbassare il volume finchè non ci fu uno stacco.
Il silenzio che calò fu quasi sconcertante e solo la voce arcigna di Hojo si potè sentire recitare la data di venti anni prima.
[Ho dei problemi con la ShinRa, penso abbiamo scoperto che sto lavorando solo per me stesso, a questo punto.
Questa nota è per te, stupido deficiente, e vedi di eseguire i comandi alla lettera come hai sempre fatto.
Il mio corpo sarà pure scomparso quando ascolterai la registrazione, ma di certo non lo sarà la mia mente geniale.
Torna a casa mia, nel mio computer personale troverai tutto quello che riguarda il progetto Alpha.
Quando lo avrai trovato rintraccia il soggetto C nella ShinRa Mansion, sai dove abbiamo interrotto]
la registrazione ebbe un altro stacco prima di poter sentire di nuovo la data della giornata, risalente solo a tre giorni prima.
Sempre la voce di Hojo risuonava nel laboratorio.
[Sono ancora io, maledetto stupido, e posso notare che tu non abbia seguito le mie precedenti istruzioni.
Ora sono in un posto un po’ diverso dal solito, ma posso ancora notare i tuoi fallimenti.
Omega è stato un vero fallimento, a causa del soggetto che tu non ti sei preso la briga di prelevare. È sveglio, purtroppo per te, e pare essersi accorto che nel suo corpo c’è qualcosa di veramente importante.
La sua mente è ancora debole per fortuna, anche se ammetto di esserci andato leggero anni fa. Fai qualsiasi cosa, ma proteggi il progetto Alpha e porta a termine il mio operato.
Soprattutto, cancella queste registrazioni]
.
La voce si spense, ciò significò la fine dell’intero video.

Reeve chiuse il terminale e prese un profondo respiro.
Sembrava che tutti avessero tenuto il fiato senza accorgersene «Ovviamente è l’ultima parte che ci interessa di più. A detta di Vincent, Hojo dovrebbe essere morto poiché si trovava all’interno di Omega quando essa è stata distrutta, eppure…» disse, cercando Vincent in mezzo al gruppo.
E non riuscì a trovarlo.
Era sparito durante quella sequela di grida e risatine senza che nessuno se ne potesse accorgere, senza riuscire a trattenere i tremori, fantasmi di quelli che nel video avevano sconquassato il suo corpo provato.
Si era cacciato nel primo bagno disponibile -ricordava ce ne fosse uno non propriamente lontano dai laboratori- e aveva staccato velocemente la protezione metallica dal braccio destro per poi lasciarla cadere a terra.
Il fragore era stato niente, in confronto alle urla che sentiva ancora nelle orecchie, le stesse che gli avevano strappato la gola anni e anni prima.
Vincent si tenne il braccio contro il petto, piegandosi in avanti per evitare di urlare dal dolore, riaffiorato dai ricordi «Dannazione» borbottò tra sé, appoggiando la schiena e ricordando le parole di Hojo.
Regredirà comunque.
In che senso? Era difettoso? La Protomateria era inutile? Sarebbe diventato senza saperlo lo stesso mostro che aveva ucciso Omega?
Una fitta all’altezza del polso gli fece stringere di più la presa si di esso, quasi avesse voluto staccarsi quel braccio inutile e dolorante.
Ti prego Lucrecia aiutami, sto male.

Intanto, nel laboratorio tutti si erano stupiti per la mancanza di Vincent, solo Tifa aveva più o meno intuito cosa fosse successo.
Quel video era stato scioccante per tutti, figurarsi Vincent «Cid, per favore, vai a cercarlo» disse lei mentre gli altri guardavano lungo tutti i laboratori e il biondo aviatore annuì, le mani in tasca e la solita sigaretta tra le labbra.
Diede le spalle alla ragazza mentre usciva dai laboratori e guardava in giro senza però lasciarsi andare alla tachicardia, dopotutto Vincent era Vincent, sapeva sempre come cavarsela da solo.
Se si era allontanato era per un motivo valido, giusto?
Cid non seppe però come incominciò a sentire un peso, da qualche parte nel petto, che lo trascinava in basso, facendolo sentire lento.
Aumentò il passo, iniziando ad aprire ogni porta che incontrava, ma incontrò RedXIII prima che potesse iniziare a dare di matto «Cid!» esclamò lui, guardandolo con il suo unico occhio, simbolo che Hojo si era sempre divertito troppo a far del male agli esservi viventi «L’hai trovato?» chiese il biondo iniziando a trottare vicino ad esso e il leone annuì muovendo la coda per un attimo «Seguimi, per me sarebbe stato difficile fermarlo, per questo sono corso a cercarvi» aggiunse e Cid si fermò, confuso «Fermarlo?» chiese, ma ottenne risposta ancora prima che Nanaki riuscisse a proferire parola.
Un ringhio alto e gutturale provenne dal fondo del corridoio, un segnale per far partire Cid di corsa, le gambe tese per fare più presto possibile.
Arrivò in scivolata davanti alla porta di quel bagno quasi totalmente distrutto, Chaos a carponi sul pavimento, le ali completamente aperte sbattevano contro il soffitto e la lamiera sottile dei bagni, tagliandola con le parti ossee delle ali.
L’aviatore gli si butto addosso, bloccandolo al suolo con le ali premute contro il proprio petto e i suoi polsi nelle mani del biondo «Vincent controllati!» esclamò mentre il corpo del demone si agitava.
Gli spunzoni nei capelli graffiarono il volto di Cid, ma non mollò la presa «Raggirato! Mi hanno raggirato!
Rinchiuso e raggirato!
» urlava e ringhiava Chaos «In questo corpo debole credevano di potermi controllare! Hanno usato quella Materia! Usato per distruggere il mio Signore! Io sono forte abbastanza per liberarmi!» continuò e dopo appena qualche secondo si rilassò completamente al suolo, lasciando Vincent in uno stato quasi catatonico, lì steso su un fianco.
Cid lo lasciò andare dopo essersi assicurato che fosse veramente tutto tranquillo e si tirò sulle ginocchia «hey Vince…» chiamò il biondo, avvicinando una mano al viso dell’altro per scostarne i capelli ritornati alla normalità.
Per un attimo ebbe paura che fosse morto, ma i suoi occhi sanguigni si mossero dopo un paio di minuti di immobilità e chiuse le palpebre, arricciando il naso in una espressione di dolore «C-cosa…» borbottò e Cid gli porse la protezione metallica per il braccio destro, sapeva quanto tenesse a nascondere quella parte rimasta mutata di se stesso «te lo spiegherò più tardi, andiamo.
Ti stavamo cercando tutti» disse, cercando di stemperare con un sorriso la sua voce ancora un po’ tremante per lo spavento e la preoccupazione.
Vincent notò le piastrelle rotte, i lavandini stroncati dal muro e gli specchi graffiati «Sono…stato io?» chiese e Cid ci mise un po’ più del solito a rispondere, poi gli passò un braccio intorno alle spalle per aiutarlo ad alzarsi «No, non sei stato tu» disse alla fine, un debole sorriso sulle labbra.


Eccoci qui, capitolo lungo dopo tanto tempo. Scusate ^^"
One Winged Angel: Se per Vincent non fosse difficile non sarebbe il protagonista xD Cid sposato? Oppure Cid non sposato? Cosa ci riserverà il futuro? XD

Chary: grazie ^^ io ho riscoperto questa coppia quasi per caso, mi è balzata alla testa e ho pensato di scriverci qualcosa eheh

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