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“Eh no, sta volta no!”
Con passo pesante marciņ fino all’entrata del ristorante, fissando con
sguardo truce il solito gruppo di ragazzini.
“Ehi voi!” urlņ, sbattendo il pugno sullo stipite della porta, facendo
trasalire gli adolescenti che scapparono a perdifiato. Al moro batteva
ancora la vena sulla tempia quando un giovanotto sulla ventina non andņ
a dargli qualche piccola pacca sulla spalla.
“Su su sensei, non se la prenda. Prima o poi la smetteranno” commentņ
il biondo volgendo un lieve sguardo alla parola STRONZO dipinta con un
rosso laccato acceso poco sopra il gradino. Queste maledette bombolette
spary.
“Prima o poi la smetteranno!? Che lo facciano subito allora!” sbottņ
furioso l’uomo, accendendosi una sigaretta di stizza.
“Uhm…” sospirņ l’altro, aggiustandosi gli occhiali sul naso. “Domani
chiamo l’imbianchino” disse solo, prima di scomparire dietro al
bancone.
“Brutti pezzi di merda...”soffiņ tra le labbra il cubano,
calciando adirato il tappo della bomboletta usata. “Te lo giuro
Matthew, un’altra volta, che ci provino un’altra volta e non vivranno
abbastanza per vedere la luce del giorno!”.
“Si…” –dice cosģ ogni volta- pensņ sconsolato il canadese, riponendo la
farina nell’apposito contenitore.
Spense la sigaretta sotto la suola delle scarpe ed entrando si chiuse
la porta alle spalle.
“Stasera finiamo prima. Vai pure a chiamare i fratelli Vargas e digli
che č ora che mettano in ordine”.
“Ok” rispose il giovane strofinandosi le mani sul grembiule,
dirigendosi verso le cucine.
Il pił grande si abbandonņ sulla sedia li a fianco, sospirando
profondamente. Aveva deciso di aprire quella pizzeria perché aveva
notato che in quel luogo non ve ne erano ed era sicuro di poter
finalmente vivere agiatamente, ma non fu proprio cosģ. Era un paesello
di provincia dopotutto, pieno zeppo di anziani e poco frequentato dai
giovani, tutti presi per le grandi cittą. Era stato un vero e proprio
buco nell’acqua.
Si massaggiņ le tempie tra indice e pollice, come se sentisse
un’improvvisa emicrania. ‘Non durerą ancora per molto’ constatņ
tristemente, notando i pochi tavolini immacolati poggiati al muro. Di
recente ricevevano solo chiamate per pizze d’aporto. Era da quasi una
settimana che non veniva pił nessuno a mangiare lģ e di certo quei
ragazzini non miglioravano le cose.
Di nuovo, il pensiero del muro imbrattato lo fece innervosire,
portandolo a dighignare i denti.
“Vee, capo!” una voce squillante lo portņ ad alzare il capo, scontrando
i suoi occhi neri con due piccole sfere nocciola.
“Abbiamo rimesso tutte le cose a posto e gli ingredienti in frigo. Ah,
č finita la mozzarella, domani andiamo noi a comprarla!” annunciņ
felice il moro, regalandogli uno dei suoi soliti sorrisi. Vestiva
ancora con la maglia bianca sporca di farina e i pantaloni del medesimo
colore, impiastricciati con un po’ di sugo. ‘Finisco di sporcarli,
capo!’ diceva ogni qual volta che tornava a casa cosģ agghindato per
poter poi buttare tutto direttamente in lavatrice. E il fratello in
questo lo seguiva a ruota.
“Feliciano andiamo!” una voce alle sue spalle lo richiamņ, lasciando
trasparire la giovane figura di Romano, poggiato allo stipite della
porta secondaria sul fondo della sala. Capelli mori ed occhi della
medesiama sfumatura. Toni pił cupi rispetto al minore, che sfoggiava
una chioma bruna-ambrata.
“Arrivo Nii-san!” rispose sorridente l’italiano, salutando i due
ragazzi con un gesto della mano. Appena la porta si chiuse, lo sguardo
dell’americano si posņ sull’uomo.
“Ce ne andiamo anche noi?”
“Si…”
Continua…
(Visto che il nome di Cuba non esiste mi limiterņ a chiamarlo Bob =))
Bip-bip-bip
Il brusco movimento delle lenzuola fece destare il giovane dai suoi
sogni. Schiuse appena le palpebre per poter vedere l’orologio sopra il
comodino.
Le 9.40.
Mugugnando, ficcņ il volto sotto la coperta sperando di potersi
riaddormentare. Bip-bip-bip
Come non detto. Sospirando si girņ dalla parte opposta del letto,
scontrando l’avambraccio con la spalla del fratello, poggiato con la
schiena al muro, in contemplazione del suo Nokia N-60.
“Nii-san...” biascicņ il pił giovane, scrutandolo infastidito. “Sono le
10 della mattina, spegni quel coso”. Ma il fratello non rispose, troppo
preso a leggere sul display un messaggio che doveva essere tutt’altro
che positivo. Lo si capiva chiaramente dallo sguardo truce del moretto.
“Sta zitto” disse acido, cominciando a premere con foga sui tasti.
“Piantalaaaa” piagnucolņ, ficcando la testa sotto il cuscino. “Dģ alla
tua cara Marianna che non muore mica se le rispondi tra un’oretta!”.
“MARIANNA CHI!?” urlņ l’italiano, lanciando il cellulare contro il muro
che si ruppe in pezzi. Feliciano alzņ lo sguardo verso il fratello,
stupito.
“Non mi dire che...”
“Si cazzo, due minuti fa!” ammise prima di sprofondare sotto le
coperte, sospirando affranto. Il giovane lo osservņ, sorridendogli
dispiaciuto.
“Beh non č poi la fine del mondo, stavate insieme da neanche un mese,
no?” cercņ di rassicurarlo, ma il maggiore non pareva ascoltarlo.
“Quella stronza…”disse solo, prima di alzarsi dal materasso e dirigersi
furioso in bagno. Feliciano guardņ basito il fratello, capendo che per
quella mattina avevano dormito abbastanza.
Ancora intontito dal sonno strascicņ i piedi fino alla cucina, mettendo
il latte a scaldare. Poco dopo lo raggiunse anche Romano, con addosso
la camicia ancora sbottonata.
“Oggi la picchio” annunciņ serio, sprofondando sul divano.
“Oh, andiamo nii-san, lasciala perdere, non ne vale la pena. Ce ne sono
di ragazze al mondo, non ha senso perdersi dietro a una conosciuta
neanche un mese fa” commentņ il moretto mentre versava il caffč nel
latte fumante, porgendo al fratello un croassant. “Mmmh” mugolņ l'altro
in risposta con la bocca piena, accendendo la televisione.
“E comunque oggi dobbiamo andare a fare la spesa. Abbiamo finito la
pasta e dobbiamo comprare anche la mozzarella per il capo” spiegņ
brevemente, sedendosi sulla poltrona a fianco.
“Feli, dobbiamo cercarci un altro lavoro ormai, quel locale sta
diventando una topaia, non c’é mai nessuno!” sbottņ il meridionale,
inbevendo la pasta nel caffelatte.
“Questo non č vero, i clienti ci sono ogni giorno! Ok, magari non sarą
la pizzeria pił rinnomata del vicinato ma per lo meno lavoriamo ogni
sera e guadagnamo abbastanza per permetterci un modesto appartamento.”
“Questo schifo di
appartamento” lo corresse l’altro, sorseggiando la bevanda.
“Di pure quello che vuoi, per lo meno abbiamo un tetto sotto cui stare”
disse, fissando disinteressato lo schermo della tv. E la discussione
terminņ lģ.
“Agnesi, Barilla, Voiello, DeCecco… questo č il dilemma.”
Per poco scoppiņ a ridere pensando a quel che a fior di labbra aveva
appena detto. Si grattņ confuso il capo, indeciso su che tipo di pasta
prendere.
–Ieri abbiamo fatto gli spaghetti al pesto… oggi un bel piatto di
pennette all’arrabbiata ci starebbe- e senza pensarci due volte
agguantņ il pacco da 500g di mezze penne Barilla, mettendole nel
cestello. Prese il foglietto bianco dalla tasca sinistra dei
jeans, cercando di decifrare la lista che il minore gli aveva
prescritto.
“Allooooraaaaa, pasta c’č, sugo c’č, le mozzarelle ci sono, insalata
pure… ah, le uova!”
Raggiunse il piccolo scaffale che faceva ad angolo al lungo corridoio
frigorifero, prendendo due confezioni da 6. Si diresse alla cassa,
dando un’ultima occhiata in giro, in caso si fosse dimenticato
qualcosa. Si mise in fila, guardando con disinteresse il cassiere
mentre riponeva la spesa nella busta di plastica. Sbuffņ, poggiando i
gomiti sul manico del carrello. Avrebbe dovuto aspettare un bel po’.
"bist du sicher dass sie hier nicht sind?"
"ich hab dir gesagt dass ich sie gesehen habe aberich ich ekle mich
davor!diese Italiener können nicht gute Kräuter, wie es sich gehört
tun!"
"aber bitte verschwind um sie zu nehmen und damit Schluss!"*
Voltandosi appena, Romano notņ una coppia di uomini nella fila accanto
alla sua discutere in… tedesco?
–Ci mancavano solo i crucchi- pensņ seccato il moro, scrutandoli con
astio. Non che gli dispiacesse vivere al nord, ma c’erano fin troppi
teutonici per i suoi gusti.
Quanto rimpiangeva la sua bella e calda Roma.
Li fissņ meglio, notando i chiarissimi capelli di entrambi tagliati
corti, canotta scura, pantaloni lunghi e l’inconfondibile paio di
sandali coi calzini.
-Oddio…- tappandosi la bocca con la mano cominciņ a sghignazzare,
voltandosi dalla parte opposta. –Questo č davvero troppo-
pensņ, mentre gli occhi gli si riempirono di lacrime.
Pagņ il cassiere, uscģ dal supermercato e non appena le porte
scorrevoli si chiuserņ cominciņ a ridere a squarcia gola finche le
guancie non cominciarono a fargli male. Sogghighando ancora arrivņ
davanti la porta di casa, sorridendo come un ebete. Suonņ il
campanello.
“Si?”
“Feli non crederai mai a quel che ho visto!” e l’ilarietą si
rimpossessņ di lui.
“Due cosa?”
“Hahaha d- hahaha due cru—HAHAHAHA due crucchi porca
puttana!hahahahaha- e di nuovo rotolņ sul pavimento stringendosi la
pancia. Feliciano lo guardņ con sufficienza, riprendendo a spolverare i
mobili.
“Dai nii-chan č divertente!” disse il fratello, appoggiando il mento
sul divano.
“Se lo dici te…” rispose l’altro con non curanza, riponendo lo
scopettone a fianco del frigo.
“Bah non capisci, avresti dovuto esserci!” e si tirņ su, prendendo il
borsello nero. “Comunque č ora di andare, quando pensi di essere
pronto?” lo richiamņ il maggiore, alludendo alle infradito che portava
ai piedi e ai capelli non ancora spazzolati dalla mattina.
“Gheee” lo prese in giro l’altro facendogli la linguaccia e si chiuse
in bagno.
“Guidi te sta sera?” chiese il castano mentre girava la chiave nella
toppa, dando un colpo alla maniglia per controllare di aver chiuso
bene.
“Per me é ok” disse l’altro rovistando all’interno della borsa. Scesi
in strada la attraversarono fino al parcheggio, salendo nell’auto blu
notte.
“Mamma mia che caldo, apri i finestrini!” si lamentņ il minore mentre
lasciava la portiera aperta, sperando che potesse cosģ circolare un po’
d’aria.
“Adesso, adesso” rispose seccato il moro, premendo la frizzione. Un
rombo sordo venne seguito dal rumore dei pneumatici che
sfregiarono l’asfalto lasciando due segni neri sulla strada. Con un
colpo secco mosse il cambio strattonando il volante, procedendo dritto
verso la strada, accelerando.
“Ti sei ricordati di prendere i grembiuli in lavanderia?” s’interessņ,
mentre con poca grazia superava un semaforo rosso.
“Si si. Ah, la mozzarella l’hai presa??”
“Si l’ho messa nel retro.”
Svoltati due isolati parcheggiarono l’auto poco distante da un vecchio
cantiere in ristrutturazione. “Dai che sennņ facciamo tardi” disse il
moro chiudendo la portiera. Feliciano sgusciņ fuori con il contenitore
di plastica e s’incamminņ verso la pizzeria dove fuori stava gią
Matthew a spazzare.
“Hey Matt!” urlņ sorridendo, correndo ad abbracciarlo com’era suo
solito fare.
“Pronto per un’altra seratona all’insegna del fancazzismo???” lo
schernģ Romano guardandolo beffardo. Pessima idea, Bob stava giusto
dietro di lui.
–Ops..-
*“Sei sicuro che qua non ce ne
siano?”
“Ti ho detto di averli visti ma fanno schifo! Sti’ italiani non sono
capaci di fare dei crauti come si deve!”
“Ma per piacere fila a prenderli e basta!”
“Capricciosa!”
“Pomodoro, mozzarella, prosciutto, fughi, carciofi, capperi e olive!”
“Quattro Fomaggi!”
“Pomodoro, emmenthal, verde, grana e ricotta!”
“Inverno!”
“Pomodoro, mozzarella, radicchio e grana!”
“ Rustica!”
“Pomodoro, mozzarella, tonno, cipolla, salamino piccante… e…..”
“AH, FREGATO! Olive nere!” e detto ciņ il biondo non tardņ a fuggire
mentre il bruno cercava invano di scargliarvisi contro. Feliciano si
mise a ridere a crepapelle quando Romano inciampņ nella scopa cadendo
rovinosamente a terra, seguito a ruota dall’americano. Un urlo di
dolore e frustrazione si alzņ come un boato, aumentando l’ilarietą del
momento.
“Insomma la volete piantare!?” sbraitņ il padrone del locale, fissando
con sguardo truce l’italiano steso a terra, che si irrigidģ.
“Chiedo scusa capo” disse rimettendosi in piedi, squadrando feroce i
due amici.
“Capisco che non sia arrivato ancora nessuno, ma dovete proprio
mettervi a fare i bambini!? Siamo al lavoro!” disse categorico,
andandosene a passo pesante.
“Povero capo” sospirņ Matthew, fissando la porta da cui era uscito.
“Non č proprio un bel momento per lui”.
“Neanche per noi se č per quello” ribadģ il moro, minacciando con la
scopa il fratello che aveva ancora da ridere. “Se il capo chiude ci
troviamo tutti in mezzo alla strada e addio bei soldini” disse
accomodandosi sopra la credenza.
“E apporposito di soldini!” saltņ su il canadese con tanto di occhi
spalancati. “L’avete vista???”.
I due fratelli si guardarono interrogativi.
“Visto cosa?” riposero all’unisolo.
“Venite, venite” li incitņ a seguirlo. Poco avanti all’entrata del
ristorante stava parcheggiata una lunghissima limuosine nera con le
porte corniciate con decorazioni argentee. Le maniglie in oro e i
cerchioni brillanti come l’immagine del leopardo sul cruscotto. Tutti e
tre i ragazzi erano senza parole mentre. Spiaccicati sulla vetrata,
fissavano basiti quello splendore.
“E quella di chi č!?” esclamņ incredulo il meridionale.
“Il capo ha detto che č qui dal primo pomeriggio” disse il biondo.
“Altro non sappiamo”.
“E’ bellissima!” esclamņ Feliciano, uscendo in strada. Come un bambino
al parcogiochi cominciņ a saltellare qua e lą attorno all’auto,
esclamando in continuazione.
“Insomma Feli!” lo richiamņ il canadese, raggiungendolo.
“Guarda guarda!” lo chiamņ quest’ultimo, indicando la targa.
“Viene dalla Russia!” notņ, leggendo le lettere ‘RUS’.
“Che diamine viene a fare qui un russo?” si chiese a voce alta il
giovane nordamericano.
“Perché non glielo chiedi?”
Non capendo le parole dell’italiano, Matt alzņ il capo, incontrando
delle iridi antracite fissarlo beffarde.
Un uomo sulla trentina stava in piedi di fianco a lui. Indossava un
lungo cappotto di pelle beije abbinato a una lunga sciarpa di seta
grigia. Pochi ciuffi argentei cadevano in ordine sopra questa,
incorniciandone il bel volto albino.
“некоторый проблема?”* chiese sorridente il russo.
“Ah.. eh…ah…” Il ragazzo pareva aver perso le parole tale la sorpresa
dell’essersi imbattutto nel padrone di quell’auto cosģ lussuosa. “C-come on, Feli!” disse
titubante, prendendo Feliciano per la manica, andando al locale.
Biascicņ un “bye” prima di chiudersi la porta alle spalle,
appoggiandovisi subito dopo.
“Feliciano, perché non mi hai avvisato che stava arrivando!?” imprecņ
nervoso in direzione del moretto.
“Beh, Romano mi aveva fato cenno di starmene zitto cosģ…”
Il biondo fissņ incazzato nero l’italiano che fischiettava innocente,
gironzolando tra i tavoli.
“ROMANO!!!”
Era gią pieno pomeriggio quando aprģ gli occhi. Le spesse tende
coprivano ancora la finestra e gli era difficile capire che ore
fossero, visto che la sveglia si era decisa ad abbandonarlo la sera
prima. Tastņ il freddo pavimento finché non afferņ un oggetto che
riconobbe come il suo telefono. Lo accese, constatando che erano appena
passate le 12.OO. Tra poco pił di un’ora sarebbe dovuto andare al
negozio per preparare la pasta per la sera.
Si grattņ i lunghi rasta sciolti, tastando le lenzuola in cerca
dell’elastico.
Aprģ le finestre, si lavņ, bevette il suo caffč e uscģ di casa, dando
un’ultima occhiata al suo piccolo appartamento. Cosģ spoglio. Chiuse la
porta.
Decise di prendersela comoda il cubano, procedendo al lavoro a piedi. I
tiepidi raggi di settembre battevano sopra la sua testa, costringendolo
a trovare riparo all’ombra delle case. Guardņ le varie strade, notando
che a quell’ora non vi era nessuno in giro.
–Saranno tutti in casa a pranzare con i parenti- pensņ sconsolato,
sentendosi ancora pił solo.
Arrivato davanti al negozio infilņ le chiavi nella serratura, ma si
bloccņ. Fissņ basito il riflesso del paesaggio alle sue spalle. C’era
qualcosa di decisamente strano. Si voltņ piano, coprendosi la fronte
con il palmo della mano per poter vedere.
Il vecchio cantiere che prima cadeva a pezzi pareva ora un’astronave
aliena. Era tutto incelofanato (perché termine pił appropriato non ce
n’era) dalla base fino all’antenna parabolica, che sembrava
momentaneamente scomparsa. Lo guardņ sorpreso, chiedendosi chi mai si
fosse deciso a comprare una baracca simile. Ok, magari l’avrebbero
demolito e ci avrebbero costruito un’altra casa per pensionati ma…
…. In effetti, il pensiero non faceva una grinza.
“Bah” disse solo, riprendendo a trafficare con le chiavi. “Non sono
affari che mi riguardano”.
Ma in un giorno non molto lontano si sarebbe ricreduto.
“Ma ti vuoi muovere? Cosa credi, che siano tutti lģ pronti ad
aspettarti??”
“Mi pare ovvio!” e sorrise,
com’era suo solito fare, in direzione del maggiore che anche sta volta
dovette correre per le strade in cerca di un supermercato aperto.
“Te lo giuro Feli, dillo un’altra volta e ti butto gił di strada e ci
vieni a piedi fino al locale!”sbottņ accigliato mentre prendeva una
curva in quarta.
“Veeee ma carissimo Lovino mio, io ti voglio beneeeee” canticchiņ
beffardo il castano, schioccandogli un dolce bacetto sulla guancia.
“E non usare il mio nome di battesimo!” urlņ di rimando il maggiore,
inchiodando improvvisamente nei pressi del marciapiede. “Ora muovi quel
tuo culo floscio e va a comprare carciofi e capperi, altrimenti chi lo
sente quello!” e con poca grazia buttņ fuori l’italiano che per poco
non cadde rovinosamente a terra.
“Mamma che modi…” sussurrņ massaggiandosi l’anca, zompettando fin
dentro la piccola drogheria. Tempo due minuti e fu fuori con la borsa
della spesa piena.
“Visto, ci voleva tanto??” lo riprese Feliciano, sventolandogli la
busta davanti agli occhi.
“Smettila di fare l’idiota e sali che siamo in ritardo” sbottņ acido il
fratello, immergendosi nel traffico.
“Hai preso tutto?” s’interessņ, guardando di sfuggita il contenuto
della busta che il castano teneva tra le gambe.
“Si, non preoccuparti solo che il pane l’avevano finito” si ricordņ
improvvisamente.
“Che cosa!? E non potevi dirlo subito, avremmo fatto in tempo a passare
in pan—“ “ROMANO ATTENTO!!!!”
Il freno venne premuto con foga, facendo sobbalzare l’auto
che si fermņ a pochi centimentri da un enorme carroattrezzi.
I due fratelli stavano entrambi incollati ai sedili, bianchi come
cadaveri, a guardare con occhi sgranati la possente macchina che
avevano di fronte.
“Oddio, per un pelo…” soffiņ a mezzavoce Feliciano, portandosi una mano
al petto come per rassicurarsi di essere ancora vivo.
“Ma che cazzo ci fa questo coso qui!?” inveģ irato il moro mentre lo
sorpassava, andando a parcheggiare al solito posto. Peccato che la
macchina in questione avesse totalmente sommosso l’intera zona nelle
vicinanze del vecchio cantiere, alberi compresi.
“Ehi Vargas!” Bob stava giusto uscendo dal locale, andando verso la
loro auto.
“Ehi capo, ma che succede??” chiese accigliato Feliciano, riferendosi
al grande cartello che riportava la scritta ‘Lavori in corso’.
“Vorrei saperlo anche io, ma purtroppo i muratori non ne sanno nulla.
In fondo alla via ci dovrebbe essere un altro parcheggio, andate fin
lą” disse indicando il proseguimento della strada. Andarono dove era
stato loro detto e tornati indietro i fratelli si sporsero pił che
poterono per poter vedere cosa lo ‘Stato’ stesse architettando sta
volta.
“Certo che mettere un cartello d’avviso prima della curva no, eh?” urlņ
verso l’inferriata Romano, in modo che gli operai potessero sentirlo.
Ma inutilmente.
“Tutto ok?” s’interessņ il cubano in direzione dei ragazzi.
“Si si stiamo bene, anche se comunque č stato bello spavento!” commentņ
il pił giovane passandosi la mancina sulla fronte. -Mi chiedo proprio
che diamine stiano facendo…- disse tra sé e sé, guardando curioso le
grate di ferro metallico che inglobavano l’intero edificio, sormontate
da lastre del medesimo materiale.
Continua…
(Ehm lettrici e lettori, avrei un problemino… Nel primo capitolo mi
piacerebbe pubblicare anche la copertina che ho disegnato per questa
storia, potete dirmi come devo fare? Grazie mille =))
“Grazie e arrivederci!”
Sorrise, porgendo le 4 scatole al signore che gentilmente decise di
lasciargli il resto.
Vedendolo allontanarsi, si poggiņ stancamente al muro, massaggiandosi
una guancia.
Sentendo un brivido lungo la schiena si voltņ di scatto, trovandosi lo
sguardo incredulo del resto del gruppo.
“Incredibile!” esclamņ il biondo, pulendosi le lenti degli occhiali,
sicuro di non aver visto bene.
“Vero, vero??? Quando lo fa č davvero incredibile!” urlņ eccitato
Feliciano con le lacrime agli occhi.
“Uhm… Non credevo che anche Romano sapesse sorridere”, commentņ
perplesso il cubano.
“… ehi voi…” disse permaloso il diretto interessato. “Per chi mi avete
preso!? Anche io ho un cuore!” ribadģ teatrale, portando una mano al
cielo e l’altra la petto.
I cosģddetti ‘voi’ si limitarono a guardarlo come si guarda un
pagliaccio fallito, e tornarono a svolgere le loro mansioni.
-Brutti…-
“Scusi, si puņ?”lo richiamņ una voce alle sue spalle.
“Oh certo di acco—“ ma le parole gli morirono in gola non
appena notņ la figura del giovane che gli era di fronte.
Era vestito in modo abbastanza schiatto nel complesso, ma fu il viso,
furono quelle maeldette perle cineree a smorzargli ogni neurone del
cervello.
“Desidera?” si corresse, senza riuscire a staccare lo sguardo da quello
del giovane che gli era di fronte.
“Una marinara, por favor.”
Sorrise questo, un tantino imbarazzato per aver parlato metą della sua
lingua.
L’italiano annuģ, mentre frugava nel cassetto disotto la cassa,
cercando un foglietto su cui scrivere l’ordinazione. Al diavolo, non lo
trovava e ci stava facendo una figuraccia.
“FELICIANO!” urlņ a gran voce, facendo sobbalzare il cliente.
“SIIIIIII?” si udii canterino da dietro la porta della cucina.
“UNA MARINARA!”
“Uhm... POMODORO, AGLIO E ORIGANO!”
“NON TI HO DETTO DI DIRMI GLI INGREDIENTI!!!!! PREPARALA, C’E’ UN
CLIENTE!” urlņ furioso, prendendo un colorito vermiglio in volto. Ma
che cavolo stava facendo!?
“E da quando in qua le ordinazioni si prendono cosģ?” chiese
innocentemente stupito il nordico, sbucando dalla porta. Ma si convinse
che la risposta non sarebbe stata poi cosģ importante, visto il modo in
cui il fratello lo stava ammazzando con lo sguardo.
“A-arriva!” balbettņ, correndo a stendere la pasta.
Romano sospirņ, volgendo uno sguardo dispiaciuto allo spagnolo.
“Chiedo scusa per il trambusto…” sussurrņ rammaricato. Avrebbe voluto
sotterrarsi.
“Oh, non importa” lo rassicurņ il ragazzo mentre si guardava in giro,
notando il distributore di lattine.
“Posso una?”chiese, indicando una Coca Cola.
“Ah, certo!” si affrettņ a rispondere il giovane, porgendo una moneta
da 1 euro al castano.
L’altro osservņ la sua mano senza capire.
“Offre la casa” soffiņ tra le labbra, vergognandosi a morte.
Il ragazzo sorrise.
“Gracias”.
Rimasero per un po’ di tempo in silenzio finché lo straniero non notņ
un vecchio giornale. Lo sfogliņ, notando la data stampata nell’angolo a
sinistra. Era di un mese fa.
“Da quant’é siete qui?” chiese, riponendolo sul tavolo.
“Uhm? Beh, la pizzeria non č mia, ma ci lavoro da 5 mesi ormai”.
“Non c’č molta gente…” commentņ serio, guardando il fondo stradale.
“Gią… č un paesello composto per la maggiore da gente anziana, non c’č
molto movimento” si limitņ a rispondere.
“Penso che questo non sarą pił un problema!” esclamņ ridendo lo
straniero, bevendo l’ultimo sorso della bevanda.
Il meridionale lo guardņ interrogativo.
“Perché?”.
“Beh perch--“ “E’ PRONTAAAAA!!!!” urlņ a squarcia gola un certo
veneziano mentre faceva la sua entrata in scena, richiando di
inciampare tra i lacci delle scarpe.
“Sono 4 euro e 50!” esclamņ sorridente, scansando leggermente il
fratello per poter porgere il pacco al ragazzo, che rise non appena
vide il minore fare confusione coi tasti della cassa.
“Feliciano qua ci penso io, te vai in cucina accidenti!” lo ammonģ in
malo modo il maggiore.
“Ok!” cinguettņ questo, sparendo dalla sala.
Strappato lo scontrino, glielo porse assieme al resto.
“Buona serata e arrivederci…” disse l’italiano, distogliendo lo
sguardo, imbarazzato.
“Hasta pronto”.
Sorrise, e se andņ.
Continua...
(Grazie per i commenti gente e grazie anche per avermi comunicato gli
errori di ortografia!!!>_< Se ne vedete altri non abbiate timore
di dirmelo almeno li correggo!)
“E’ permesso?”
“Uhm?”
Con passo tremante il moretto entrņ nel piccolo appartamento,
guardandosi in giro preoccupato.
“Ecco… io…”
“Heilą Kiku! Come va???” esclamņ gioviale Romano, chiudendo la rivista
che stava svogliatamente leggendo.
“SSSHH!” lo interruppe subito il giapponese, richiudendosi la porta
alle spalle, come per timore di essere seguito.
“Ma che…?”
“Lui č qui?” chiese serio, guardandolo dritto negli occhi. Deglutģ,
ancora tenendo salda la maniglia, pronto a scappare a un solo cenno di
consenso.
L’italiano fece ‘no’ col capo, sorridendogli.
“E’ uscito poco fa” e gli fece cenno di sedersi assieme a lui al tavolo.
L’orientale sospirņ sollevato, raggiungendolo.
“Mi dispiace di dover comportarmi in questo modo, ma...”
“Non preoccuparti, so cosa si prova” ammise, tirandogli una piccola
pacca sulla spalla. “Birra?”
“No, meglio di no…”
“Come vuoi. Come mai questa visita?” chiese mentre strappava la
linguetta dalla lattina.
Il moro lo fissņ titubante, indeciso se parlare.
“Beh?” lo incitņ l’altro, guardandolo stupito.
“Ci sono delle voci…” sussurrņ a basso chino il ragazzo. “Dicono che
presto accadrą qualcosa di terribile…”
Romano lo guardņ preoccupato.
“Kiku… che genere di voci?”
“Gli antichi spiriti hanno parlato!” urlņ alzandosi, portando le mani
al cielo. “I segni… la sventura si abbatterą su questa cittą!!!”
Il bruno stette a fissarlo per un po’, scoppiando poi a ridere.
“Non prendere in giro gli spiriti, Romano!”
“Certo, certo… ‘gli antichi spiriti’!”
lo canzonņ, ridendo ancora.
“Questo hanno detto. Tra non molto succederą qualcosa… me lo sento!”
disse, stringendosi la mano destra al cuore.
“Lo credo bene che lo senti” esordģ l’italiano, puntando lo sguardo
oltre l’orientale.
“Che intendi di—“ “NII-SAAANNNN!!! Credo di aver dimenticato il pallone
da calcio, l’hai vis---“
Silenzio.
Alle spalle di Kiku aveva fatto improvvisamente irruzione la figura di
Feliciano che, silente, osservava rapito la schiena dell’orientale.
“….Kiku?” chiese con un groppo alla gola.
Il diretto interessato si voltņ lentamente, fissando preoccupato
l’italiano.
“O-ohayoo, Italia-kun”
“KKKKKIIIIIIIIIIIIIKKKKKKKKKKKUUUUUUUUUUUUUUUUUU!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!”
urlņ con le lacrime agli occhi Feliciano, stritolando pił che poté il
giovane tra le sue braccia.
“COME STAI???E’ DA UN SACCO CHE NON VIENI A TROVARCI!!! ALLORA, CHE FAI
DI BELLO??? E IL LAVORO? COME VA IL LAVORO??? OOOHHH DAAAIIII ORA DEVO
PROPRIO ANDARE VIA!!!! MA APPENA TORNO CI MANGIAMO UN BEL PIATTO DI
PASTA E MI RACCONTI TUTTO TUTTO OK??? CHE BELLO RIVEDERTI!!!! ALLORA IO
VADO EH, CI SI VEDE DOPO EH??? CIAO KIKUUUUUU!!!!” e prosciugandogli la
guancia con un bacio sparģ dietro la porta, seguito dal pallone,
raccattato da sotto l’attaccapanni.
I passi dell’italiano rimbombarono per tutta la rampa delle scale
finché, uscito, non tornņ il silenzio.
Romano guardņ preoccupato il moro che se ne stava ancora in piedi,
pietrificato.
“K-kiku? Tutto apposto?”
“…. Sventura…”esalņ, prima di svenire.
Continua…
(Ve lo prometto, tra poco tutta questa storia avrą un senso, non
preoccupatevi!XD)
BROOOOOMMMMMMMM!!!!!!!
“Uhm, s-si una margherita… e..”
BROOMMMM, BROOOOOOOMMMM!!!!!
“ Come scusi? Non ho capito… Ah, una… capricciosa?”
IIIIIHHHHHHHH, BROOOMMMM, SBAAAAAMMMM!!!!!
“Allora, ricapitoliamo. Margherita, Capricciosa e Vegetariana... senza…
p-pomodoro?”
BROOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMMM!!!!!!!!!!!
“Mi scusi, potrebbe attendere un momento?”
Mise la mano sul ricevitore. Inspirņ a fondo, spalancņ la bocca e…
“FELICIANO!!!!!!!! PORCA DI QUELLA PUTTANA, VUOI CHIUDERE QUELLA PORTA
DI MERDA!?!?!?!” esalņ fino a spolmonarsi il meridionale, ansimando in
seguito.
Tutto per veder spuntare il fratellino dalla cucina con addosso le
cuffie dell’Mp3, guardandolo interrogativo.
“Mi hai chiamato?” chiese angelicamente, staccandosi un auricolare da
un orecchio.
Romano non ebbe neanche la forza di controbattere, dirigendosi egli
stesso a chiudere la porta d’ingresso della pizzeria.
Sempre silente riprese in mano la cornetta, stringendo la penna nella
destra.
“Eccomi, scusi il disturbo… Passi a ritirarle tra 10 minuti. Buona
giornata.” e riattaccņ.
“Vee fratellin--“ “LONTANO!” disse incollandogli il postit con le
ordinazioni in fronte.
“Ahiaaaa” piagnucolņ il minore. “Non č colpa mia se le macchine lą
fuori fanno un baccano infernale! Io devo stare concentrato mentre
cucino e---“ “TU DOVEVI RICORDARTI DI CHIUDERE LA PORTA” replicņ
furioso, guardandolo con una strana ombra in fronte.
“IIIIHHHH! Scusa, Romano!”pigolņ il nordico.
BROOOOOOOOOMMMMMMMM!!!!!!!!
“Cristo…” sussurrņ sommessamente il maggiore, passandosi una mano tra i
corti capelli bruni.
“Non ne posso pił, davvero. E’ da almeno un mese che continuano a
lavorare giorno e notte, che cavolo staranno costruendo poi!”.
Feliciano stava per dire qualcosa ma la risposta sfumņ non appena due
ragazzi biondi entrarono nel locale. E Romano se li ricordava bene.
Trasalģ leggermente ritrovandosi davanti i due tedeschi che aveva visto
al supermercato un mese fa, vestiti esattamente come allora.
“Possiamo ordinare?” chiese l’albino sulla destra, sorridendogli.
Capelli argentei e occhi rossi color sangue, certamente non era una
persona del tutto ‘normale’. L’altro ragazzo invece sembrava parecchio
nella norma, non troppo muscoloso e di bell’aspetto, capelli biondi
tirati indietro col gel e occhi azzurro cielo.
“Si, certo... Feliciano ci pensi tu?” chiese voltandosi verso il
fratello, trovandoselo incantato ad osservare il biondo teuronico, che
arrossģ.
“Woooow!” esclamņ, squadrandolo dalla testa ai piedi. “Come fai ad
avere tutti quei muscoli???” commentņ, sporgendosi dal bancone.
“E-ehm..” rispose l’altro, spiazzato dalla domanda. “Direi… palestra?”
disse abbastanza ovviemente, mentre una gocciolone gli spuntava dietro
il capo.
“Oooooohhhhhhh” esalņ meravigliato l’italiano con gli occhi che
brillavano. “Che figata!”
“G-gią…” rispose il biondo, nascondendosi dietro il listino.
“Ehi Lud, che guardi il listino! Sai gią che pizza mangiare!” disse
sarcastico l’amico, prendendogli in cartoncino colorato. “Due wuster
con patate” annunciņ.
“Arrivano” mormorņ Romano correndo in cucina, trattenendo le risate per
l’ordinazione tipicamente crucca.
“Sono 10 euro in tutto” sorrise Feliciano, porgendo lo scontrino ai due
ragazzi.
Mentre l’albino trafficava col portafoglio, Feli notņ il biondo
guardare seccato i lavori dall’altra parte della strada.
“Lo so, disturbano un po’!” commentņ in direzione del tedesco, che si
girņ guardandolo interrogativo.
“I cantieri” e li indicņ. “E’ ormai da un mesetto che ci lavorano, ma
penso che presto finiranno”.
L’albino sorrise.“Oh, non č per il casino che mio fratello é
arrabbiato”. Il moretto lo guardņ stupito. Erano fratelli allora.
“E’ solo che tra un po’ dovremmo cominciare a lavorarci” disse facendo
spallucce, ficcando lo scontrino in tasca.
“Ma… cosa ci costruiscono di preciso?” chiese l’italiano.
“Una discoteca” rispose improvvisamente ‘Lud’, assottigliando lo
sguardo.
Feliciano lo fissņ con occhi spalancati, incredulo.
“Nii-san, io esco!” lo richiamņ a gran voce il minore, saltellando qua
e lą per l’appartamento, cercando d’infilarsi le scarpe.
Romano mugugnņ un ‘ok’ senza degnare di uno sguardo il fratellino che
nel momento era finito col cadere a terra.
“Farņ tardi!” aggiunse poi, strisciando fino al limitare della loro
stanza.
Il maggiore stava disteso sull’intero letto matrimoniale, intento a
giocare al pc.
“Ricordati le chiavi” rispose solo, imprecando in seguito per essere
stato ‘colpito’.
Feliciano lo guardņ sornione, buttandovisi accanto.
“Vee- Romano!!!!” esordģ, cingendogli la vita con le braccia e premendo
il capo sulla sua schiena.
“Cavolo Feli si puņ sapere che vuoi!?” sbottņ questo, furioso per
aver perso la partita. Voltatosi si trovņ davanti i grandi occhioni del
minore guardarlo implorante, leggermente umidi.
-Urgh..- esclamņ arrossendo, sentendosi in colpa per avergli urlato
contro.
“Nii-saaannn!” piagnucolņ questo senza staccargli gli occhi di dosso.
“C-che vuoi!?” sbottņ rosso in volto il fratello, chiudendo il
portatile.
Feliciano si strinse maggiormente a lui, facendo aderire completamente
il petto alla sua schiena, strusciandovisi contro.
Romano era totalmente schiacciato dal ‘candido peso’ del fratellino,
che gli si era completamente steso sopra, poggiandogli il mento sul
capo.
“E quindi?” concluse esasperato, alzando gli occhi al cielo.
Senti il nordico sospirare, battendo le dita ritmicamente sulle
lenzuola.
“Feliciano?” lo richiamņ stizzito.
“Mi vergogno, ecco!”
Seguģ un lungo silenzio, scandito unicamente dalla lancietta
dell’orologio della cucina.
“Non credi che sia troppo tardi per dirlo?” concluse accigliato il
meridionale, voltando il volto per poter vedere in viso il fratello.
“No!” disse quasi scandalizzato l’italiano, rotolando via da sopra il
fratello, stendendovisi a fianco.
Romano sospirņ, staccando la spina del pc e riponendo il tutto sul
comodino.
“Ripeto la domanda… e quindi?”
Il veneziano lo guardņ con occhi supplichevoli.
“Mi accompagneresti?”
Tutte a lui dovevano capitare.
**
La scritta “Las Vegas’ sarebbe risultata uno sputo a confronto a quello
che stava ‘nascendo’ da quell’ammasso di destriti che era una volta
cantiere. Ma non era di quello che Romano si preoccupava.
Seduto al fianco del minore, guardava annoiato il verde paesaggio
estendersi in tutta la sua ampiezza. -Sembra un tutt’uno col cielo-
pensņ.
“Vee-- nii-san, siamo quasi arrivati!” canticchiņ assurdamente felice
Feliciano, fischiettando un motivetto che trasmettevano alla radio.
Mugugnņ in risposta, stiracchiandosi.
“Ma sai dove andare di preciso?” s’interessņ il maggiore.
“Oh beh, a quello ci pensa Matt!” cinguettņ spensierato il veneziano,
mentre tagliava la strada a un autobus.
Il meriodionale lo guardņ sconvolto.
“E dov’č Matt!?” sbraitņ, chinandosi in avanti per poter vedere bene in
faccia il minore.
Feliciano ricambiņ lo sguardo allucinato.
“Romano ma che stai dicendo!?”
“Rispondi alla mia domanda!!!” lo rimbeccņ.
Feliciano roteņ gli occhi, sobbalzando dopo aver preso un dosso ai 70
all’h.
“Ma secondo te chi sta seduto dietro da quando siamo partiti!?” rispose
esasperato, sfiorando una nonnina che attraversava la strada.
“Ma che cazzo dici, non c’č ness—“ ma le parole gli morirono in gola
non appena notņ la figura del canadese steso sul sedile anteriore,
tremante.
“Oh!” esclamņ meravigliato. “Hey, Matt, come stai? Non hai una bella
cera…” ma il biondo non rispose, intento com’era a tapparsi la bocca
con entrambe le mani, e Romano preferģ non spostargliele da lģ.
Arrivarono nei pressi dell’aeroporto verso le 2 del pomeriggio,
ma raggiungendo il reparto solo alle 3. Matthew aveva avuto dei
problemi allo stomaco.
Ancora barcollate, il giovane canadese cominciņ a scrutare gli orari
degli aerei, aggiustandosi continuamente la montatura degli occhiali.
In un angolo, i fratelli Vargas lo osservavano silenti.
“E’ nervoso…” commentņ a bassa voce Romano. “Ma chi č che stiamo
aspettando?”
“Ha detto che sarebbe venuto a fargli visita un suo conoscente… ma non
ho capito se sono effettivamente fratelli o cugini” spiegņ brevemente
il pił giovane mentre guardavano il biondo muoversi frenetico da un
tabellone all’altro.
“Eccolo!” lo videro esclamare all’improvviso, indicando un volo appena
atterrato da New York.
Facendo invidia ad un cavallo all’ippodromo, prese a correre a
perdifiato fino alle grande pista d’atterraggio, dove l’aereo era
ancora in movimento.
Poco dopo i due italiani lo raggiunsero, dedicandogli una serie di
colorati insulti d’annotare al suo vocabolario.
“Ma... ma si puņ sapere che ti č preso!?” sbraitņ il meriodionale
poggiando i palmi sulle ginocchia, cercando di prendere fiato.
Feliciano era stramazzato a terra.
“E’ arrivato” disse questo con aria solenne, alzando lo sguardo al
cielo.
E fu in quel momento che la porta dell’aereo fu spalancata, lasciando
spazio a un giovane ragazzo della loro etą, biondo, con gli occhiali e
con una maglietta con su scritto ‘I’M A HERO!” che fu appunto la prima
cosa che disse toccando terra.
Romano lo fissava spaventato, augurandosi con tutto il cuore che non
fosse lui il fantomatico parente. Speranza che sfumņ il frretta.
“MAAATHEEEWWWW!!!” sbraitņ eccitato questo correndo velocissimo ad
abbracciare il cugino.
“AAARGHHH! Alfred mollami, mi fai male!!!!” urlņ Matt cercando in tutti
i modi di levarselo di dosso.
“Oooohhh non fare cosģ “ e lo strinse con pił foga.
Spostando il suo interesse altrove, l’americano si bloccņ a fissare
Romano, che ricambiava lo sguardo non troppo convinto, tanto che
indietreggiņ.
“WOW! You’re Feliciano!” esclamņ improvvisamente con una strana luce
negli occhi, raggiungendolo.
“N-no io…” cercņ di spiegare l’italiano ma non riuscģ a finire la
frase, cadendo nella morsa di quelle braccia stritolatrici. “Aiuto—“
biascicņ viola in viso in direzione del fratello, entrato in coma.
“Alfred! Alfred mollalo! Non č lui Feliciano!” lo riprese il canadese,
facendogli mollare la presa. “Uhm? E allora lui chi č?” chiese mentre
guardava il cadavere umano che teneva tra le braccia.
“Lui č Romano, suo fratello! Feliciano č lui” disse indicando il
castano steso a terra.
“Uoooh! I’m sorry Romano! I’m Alfred, Matthew’s cousin! Nice to met
youuuu!!!!” e lo strinse ancora.
Matt guardava la scena senza sapere cosa dire, acucciandosi poi vicino
all’altro italiano. ‘Feliciano tutto ok?” chiese preoccupato. Il
moretto alzņ appena il capo guardandolo morente. Schiuse le labbra
secche, sussurrando qualcosa che il biondo non riusciva a capire. Si
sporse pił vicino, tendendogli l’orecchio.
“Feliciano?”
“P-PASTAAAAAAAAAHHHHH!!!!!!!!!!!!!!” e svenne.
E non faceva
che pensarci dopo aver incontrato lo spagnolo
di qualche sera fa lavorare dal fruttivendolo vicino alla drogheria.
Era capitato
tutto quella mattina.
Romano stava
passeggiando tranquillamente lungo il
marciapiede e poco prima di svoltare l'angolo si ritrovņ davanti
un'immensa
cassa di pomodori che gli si rovesciņ addosso, mostrando il bel volto
del
ispanico guardarlo dapprima stupito, poi cominciando a sbraitare per il
malanno
combinato.
Il giovane
italiano all'inizio non mosse un muscolo, troppo sconvolto
dall'accaduto, ma
poi aiutņ il moro a raccogliere tutta la verdura e a riporla nella
scatola,
scusandosi. Perchč si fosse scusato poi rimane un mistero, come il non
spiegarsi quelle assurde palpitazioni che l'italiano sentiva ogni qual
volta
sentisse lo sguardo dello straniero su di se.
"Sono molti"
"Lo so, sono in
offerta speciale"
"Mmmh..."
E ancora si
chiedeva che cazzo faceva in compagnia di quello
spagnolo del cavolo!
L'orologio a
pendolo segnava ormai le 1.00 meno un quarto, e
lui era ancora lģ, a discutere di frutta e verdura come un idiota.
Non se lo
spiegava davvero.
"Beh dai,
dammene una dozzina" disse infine il meridionale
indicando la cesta dei pomodori che avevano raccattato ore prima.
Il ragazzo
prese un sacchetto di carta e mise al suo interno
i dieci pomodori, porgendo poi la busta al pi¯ł giovane, che lo guardņ
confuso.
"Offre la casa"
disse con un sorriso che fece scoppiare il
cuore in petto a Romano.
"M-ma no che
stai di-"
"Ehi, ehi!
L'altra volta hai offerto tu, ora ti ricambio il
favore" e gli fece cenno di inviarsi pure verso la porta che oramai
doveva
chiudere.
"Beh grazie"
riuscģ a dire mentre le sue guance prendevano
un colore molto tendente alla verdura che teneva tra le braccia.
"De
nada" e
sospirando si slacciņ il grembiule riponendolo sul bancone, andņ a
lavarsi le
mani al lavabo e tornņ brandendo le chiavi della serranda.
"Andiamo?"
chiese gioviale all'italiano che arrossģ
annuendo, uscendo dal negozio.
Entrambi
risentivano ancora del calore estivo che non voleva
andarsene da quei pomeriggi di settembre, ma l'italiano soffriva anche
di un
calore a lui sconosciuto.
Neppure lui
seppe da dove uscģ quella frase.
"Ti va di
pranzare insieme?"
L'ispanico si
voltņ sorridente, mentre si ripuliva le mani
sui lunghi pantaloni in jeans.
Romano stava
col volto chino, troppo imbarazzato per poterlo
guardare.
"E' un
appuntamento?" ci scherzņ sopra l'altro e Romano andņ
a fuoco.
Dovette fare diversi
tentativi prima di riuscire a infilare
le chiavi nella toppa.
Tutto questo era
assurdo, nel modo pił¯ completo.
Sbloccata la serratura
aprģ la porta, scusandosi in anticipo
per il disordine. Cosa che, a quanto pare, non servģ affatto.
I pavimenti erano
lustrissimi, i mobili immacolati e le
finestre parevano brillare di luce propria. E mentre l'ispanico
boffonchiava un 'ma quale disordine?' Romano sospirava sollevato,
ringraziando mentalmente il
fratello per aver pulito quella mattina.
Il meridionale andņ a
poggiare la borsa della spesa sulla
tavola della cucina, lanciando nel mentre la giacca sul divano. Lo
spagnolo lo
seguģ ancora titubante, sussurrando un 'permesso' a vuoto. Vide il
giovane
trafficare con le pentole, senza neanche sapere dove mettere le mani.
"Ehm... posso darti una
mano?" chiese cortesemente ricevendo
in risposta un secco "no" da parte dell'italiano che diventņ bordeaux.
-E' davvero buffo vederlo
cosģ goffo- pensņ sorridendo il
moro, sedendosi comodamente su una delle quattro sedie disposte attorno
alla
tavola. Un rumore di passi attirņ l'attenzione dei due che, voltatisi
in
direzione della porta d'ingresso videro un certo ciuffetto di capelli
castani
fare la sua apparizione. "Niichan sono a casaaaa!" urlņ felice il
padrone di
tale chioma mentre richiudeva con un calcio la porta dietro di sč,
appendendo
il cappotto sull'attaccapanni.
"Scusa il ritardo ma non
ci crederai, gił¯ nel parcheggio ho
incontrato..." ma si fermņ non appena vide la figura dello spagnolo che
lo
guardava sorridente.
"OH! Ma tu sei il cliente
dell'altra volta!" esclamņ
eccitato, andando a stringergli la mano energicamente. Entrambi stavano
lģ a
guardarsi con un sorriso da ebeti mentre si presentavano e a Romano
quasi venne
un colpo.
Presentarsi.
Il nome.
CAZZO, NON SAPEVA NEMMENO
COME SI CHIAMAVA!
Imbarazzatissimo
s'intromise nella conversazione, porgendo
la mano all'ispanico.
"E-ehm.. R-Romano,
p-piacere comunque" esalņ. L'altro rise,
ricambiando la stretta.
"Piacere Romano, io sono
Antonio" disse con le lacrime agli
occhi, scoppiando a ridere subito dopo mentre un certo veneziano li
guardava
senza capire.
"Ma scusa, non vi
conoscevate gią?" chiese innocentemente,
ma Romano gli fece cenno di lasciar perdere e cominciarono a preparare
il
pranzo.
Un rutto gutturale ruppe
il dolce frinire delle cicale,
destando lo spagnolo dai suoi sogni.
Voltandosi nella direzione
di quel suono, si trovņ il capo
di Romano poggiato al suo braccio, sentendoselo improvvisamente
atrofizzato. Il
viso di questo era contratto in una smorfia di dolore mentre deglutiva
infastidito, strusciandosi meglio contro il suo petto, riprendendo a
dormire.
Lo spagnolo lo fissņ indispettito. Sbattendo le palpebre, Antonio si
voltņ
dalla parte opposta, riscontrando la chioma bruna di Feliciano
solleticargli il
mento, mentre questo dormiva beatamente, a differenza del fratello che
russava
in modo disumano. -Nel belmezzo, insomma-
Sospirņ sommessamente,
sentendo ancora la pasta al pomodoro
pesargli sullo stomaco, gonfio.
Finito di mangiare si era
lasciato convincere a seguire i
due nella loro quotidiana pennichella pomeridiana, ritrovandosi ora
impossibilitato a muovere anche un solo muscolo. Chissą che ore si
erano fatte.
Cominciņ a guardarsi
attorno alla ricerca di un orologio, ma
invano.
Fissņ ancora la testa dei
due ragazzi, dicendosi che
dopotutto avevano dormito abbastanza.
"Ehi.." esalņ, senza
ricevere perņ risposta.
"Ehi...!"ripetč¸ con un
tono pi¯ alto, ricevendo in risposta un 'sta zitto Feli' da parte di
Romano che si girņ dalla parte opposta,
ricominciando a russare.
Almeno adesso aveva un
braccio libero. Ora bisognava solo
spostare il minore che se ne stava col capo appoggiato al suo petto.
Sfilņ il
braccio sinistro da sotto il cuscino, poggiando delicatamente la mano
sulla
guancia del castano, spostando il proprio busto da sotto la sua testa,
poggiandogliela poi sul morbido cuscino.
-Libero- pensņ e con balzo
saltņ gi¯ dal letto. Si accertņ
che i due dormissero ancora e messe le scarpe si avviņ verso
l'ingresso.
"Ehi"
"Uhm?"
"Se ne ¸ andato?"
Il silenzio calņ
improvvisamente, rispondendo alla domanda
del meridionale che guardava basito il fratello sorridergli dall'altro
guanciale.
"E' stato gentile, non ha
voluto svegliarci" disse questo
alzandosi piano, sbadigliando sonoramente.
Peccato che Romano non la
pensasse allo stesso modo. "Vado a
prendermi una birra" disse solo mentre si dirigeva in cucina, ma uno
strano
cartoncino giallo appiccicato al frigo lo lasciņ a bocca aperta.
Poco dopo spuntņ anche
Feliciano che guardņ prima il
fratello, poi il postit.
"ma
capo, č ¸ incredibile!!!" urlņ
euforico Feliciano, spiando dalla cucina la marea di persone che
aveva invaso
l'intero locale, lasciando una modesta fila all'esterno.
Bob
si limitņ a tirargli un pugno
in testa che lo zittģ, prendendogli poi il volto e girandolo in
direzione di un
certo americano che si era messo a produrre panini a quantitą
industriali.
"Questa
¸ una PIZZERIA, non un
MacDonalds!!!!" sbraitņ, fissando il giovane con astio. Feliciano si
limitņ a
commentare con il suo solito 'veee', andando in direzione del biondo
che a una
velocitą mostruosa preparava hamburger uno dietro l'altro. "Alfred il
capo ¸č
arrabbiato perchč prepari panini" disse molto semplicemente,
poggiandogli una
mano sulla spalla. Questo si girņ sorridente verso l'italiano. "CHE SI
FOTTA!"
e riprese a spalmare la maionese sopra l'insalata.
Proprio
in quel momento passņ
Matthew di lģ, cadendo inevitabilmente nelle grinfie del cubano. "E'
tutta colpa tua!" sbraitņ
questo al canadese che cercava invano di nascondersi dietro ai cartoni
delle
pizze. Presero a inseguirsi, scappando dalla porta sul retro, chiusa
repentinamente da Feliciano. Avrebbero di certo corso per un bel po'.
Sospirando
guardņ come se la
cavava Romano, vista tutta quella gente, trovandolo stranamente pieno
di
energie.
"Nii-chan
serve una mano?"
domandņ avvicinandovisi.
"Feliciano
vieni a vedere!" urlņ
eccitato il meridionale mostrandogli il contenitore delle monete nella
cassa.
"EURO!
Un euro per uno stupido
panino e guarda qua che roba!!!" disse fiero di sč mentre ne incassava
altri 5
da un gruppo di amici. "Possiamo dire addio a quegli odiosi calcoli dei
resti!"
e diede una leggera pacca al fratello che sorrise debolmente.
Dimenticava
il problema di
Romano con la matematica.
Fece
per tornare alla sua
postazione ma una non-indifferente spazzola bionda si fece spazio tra
la folla.
"Feliciano!"
lo chiamņ il
tedesco, sventolando la mano.
"Ludwig!"esclamņ
allegramente questo,
correndo a cingergli il collo con le braccia. "Che bello, sei riuscito
a
passare allora!" e si strinse maggiormente al teutonico sotto lo
sguardo
allucinato del fratello e dei clienti.
Il
biondo se lo staccņ di dosso
senza troppe cerimonie, spingendolo poi a proseguire il suo lavoro e
promettendogli che lo avrebbe aspettato fuori. Romano non perse una
virgola.
"Feli..."
una voce atona lo fece
sobbalzare, portando il castano a voltarsi, incontrando le iridi
indagatrici
del maggiore.
"veee...
che sguardo cupo
fratellone!" commentņ indietreggiando sotto gli occhi accusatori del
moretto.
"Lui
chi ¸č?" chiese senza una
direzione specifica.
"chi?"
si domandņ il minore
guardandosi attorno.
"lui,
lui!Il tedesco!"
"aaaaah,
parli di Lud!"
-Lud...-
gią ai nomignoli.
"Da
quando lo conosci?!"
"Beh
¸ da pi¯ł di un mese ormai
che andiamo quasi tutti i giorni a giocare a calcio e ad allenarci in
palestra!" disse pieno di orgoglio gonfiando quei pochi pettorali che
aveva.
"Non mi hai mai
detto nulla!" sbottņ scioccato il meridionale.
"Beh
nii-san,devo raccontarti di tutte le volte che ti sei
messo a prenderlo in giro ripetendo in continuazione quanto il solo
sentirlo
nominare ti stesse sulle scatole?? Mettiti nei miei panni, se te ne
avessi
parlato mi avresti impedito di uscirci assieme!" spiegņ.
"Si ma..." il
maggiore non seppe che dire. Feliciano e quel
crucco di merda.
Che diamine!
"e dove pensi
di andare ora?!" chiese mentre osservava il
minore sfilarsi il grembiule di dosso. "sono le 10, Feli. LA DIECI. Non
mi fido
di quello!". Feliciano lo guardņ accigliato.
"Sembri nostro
nonno, Romano..." e detto questo prese una
borsa e si chiuse in bagno, uscendone con un paio di jeans attillati e
una
larga camicia a scacchi blu e neri.
Con noncuranza
riordinņ le ultime cose sotto lo sguardo
attento del maggiore che lo scrutava malamente, indeciso se pedinarlo o
rinchiuderlo direttamente in casa.
"Te non esci
conciato cosģ" disse categorico, indicandolo.
Feliciano
sbuffņ. "Posso andare a rimorchiare anch'io
qualcuno o siccome te sei single lo devo rimanere pure io per
solidarietą? No,
grazie..." e scansandolo uscģ, lasciando il maggiore a bocca aperta.
Colpito e
affondato.
Richiudendosi
la porta alle spalle inspirņ a fondo, buttando
poi fuori tutto l'ossigeno che aveva in corpo. Alzando il colletto
della
camicia svoltņ l'angolo, trovando il biondo aspettarlo appostato a una
merchedes verde smeraldo.
"Luuuuddddd!"
lo richiamņ sventolando pazzamente la mano,
mettendo in imbarazzo il tedesco che fece finta di non conoscerlo.
"ehiii dai
perchč non mi saluti???" lo rimbeccņ imbronciato
l'italiano gią appostatosi contro la portiera. Il teutonico lo fissņ
per poi
ribattere un secco 'piantala e sali', seguito da una serie di
piagnistei da
parte del castano che durarono per tutto il tragitto in auto.
"Dove mi porti
sta sera??" chiese poi questo, sporgendosi col
capo fuori dal finestrino, osservando affascinato le luci dei neon e
dei
locali. Ludwig si limitņ a svoltare l'angolo, parcheggiando in un
vicolo
stretto, spegnendo l'auto.
Feliciano si
voltņ a fissarlo interrogativo quando questo,
slacciata la cintura, non si sporse pericolosamente verso di lui, fino
ad
arrivare a pochi centimetri dal suo viso.
"v-vee Lud
che-che-che"
"ho un problema"
"un...
problema..?"
"...sabato..."
"sabato?"
Feliciano non
capiva. Come non capiva perchč l'amico era
arrossito di botto, mentre si mordeva nervoso il labbro inferiore.
"che accade
sabato?" insistette l'italiano. Voleva sapere, a
questo punto.
Ma il teutonico
non sembrava della stesso avviso e senza
dire una parola riaccese l'auto e si mise in strada. Feliciano continuņ
ad
assillarlo senza ricevere perņ risposta. Arrivati ai pressi di una fila
di case a schiera, il biondo
parcheggiņ l'auto sotto una di queste, scendendo e seguito a ruota dal
veneziano starnazzante.
"sta sera si
sta da me, va bene?" chiese quasi inutilmente,
visto che il cancello era gią stato aperto come a dire 'entra e basta'.
Feliciano annuģ con una strana luce negli occhi, dimenticandosi
completamente
del discorso appresso. Aperto l'uscio di casa sgusciņ dentro,
cominciando a perlustrare la casa da cima a fondo, creando caos al solo
passaggio. Ludwig decise di aspettarlo in cucina, bevendo una buona
birra con
sottofondo le urla d'eccitazione dell'amico. Poco dopo Feliciano lo
raggiunse, prendendo
anch'egli da bere e cominciarono a giocare a carte come due
anziani.
Oh beh, un
gioco a caso, tanto per dirne uno..... scopa.
“ma ti rendi conto??”
“incredibile!”
“ti giuro, come se fosse normale!”
“hai proprio ragione!”
“che sollievo, sapevo che almeno tu mi avresti capito!”
“mmh… cameriereeehhh, un altro per favoreeee” e il bicchiere ormai vuoto venne riempito di uno strano liquido rossastro fino all’orlo, lasciando sconvolto il giovane italiano. Fissņ lo spagnolo ingurgitare il decimo bicchiere di sangria senza batter ciglio, come fosse acqua.
Antonio si voltņ verso il giovane, fissandolo vacuo. “dicevi?” e scoppiņ a ridere, premendosi le mani sullo stomaco.
Romano sentģ la tempia sul capo ingrossarsi, ordinando un bicchiere dello stesso alcolico. “Ma cosa parlo a fare con te…” sussurņ a denti stretti, sorseggiando la bevanda, passandosela appena sulle labbra per sentirne il sapore. Era dolce.
“Scusa, scusa… beh, seriamente, non ci trovo nulla di male nel fatto che tuo fratello si trovi un compagno…” disse l’ispanico, fissando con disinteresse le assi di legno del bancone, sforandole con le falangi. Il meridionale si voltņ esterrefatto. “Ehi… guarda che Feliciano mica č gay!” disse sorridente, trovando estremamente comica quella insinuazione. Lo spagnolo lo fissņ con la coda dell’occhio, per poi tornare a concentrarsi sulla lunga fila di liquori di fronte.
“Ma l’hai detto tu… lui ha usato la parola ‘compagno’ quando intendeva rimorchiare qualcuno” l’italiano fece per ribattere ma un improvviso flashback lo ammutolģ.
”"Posso andare a rimorchiare anch'io qualcuno o siccome te sei single lo devo rimanere pure io per solidarietą? No, grazie..."
Perdiana, lo aveva detto sul serio!
“e comunque..” continuņ questo, svuotando l’undicesimo bicchiere “sono troppo ubriaco per parlare di queste cose” e si buttņ a peso morto sul bancone, mugolando. Romano sospirņ, notando poi il barista lanciargli certe occhiatacce da far accapponare la pelle, cosģ decise di caricarsi l’amico in spalla, pagare e uscire da quel posto ormai troppo affollato.
L’aria pungente gli entrava fin dentro al colletto, costringendo il moretto a coprirsi con il braccio dello straniero, totalmente abbandonato sulla sua schiena.
Strascicando i piedi riuscģ a raggiungere l’auto dell’ispanico. Fortunatamente avevano parcheggiato non troppo lontano.
Brandendo le chiavi nella tasca del cappotto del moro si costrinse ad appoggiare l’amico, mentre la apriva.
Non appena Antonio toccņ la fredda portiera, scivolņ silenziosamente a terra, cadendo sopra un tombino, cominciando a ridere.
“Cristo…”imprecņ l’italiano, sollevandolo da terra.
“Romanoooo” esalņ questo, stringendosi maggiormente al giovane che aveva preso un colore tendente al carminio.
“A-Antonio! cristo, sei ubriaco marcio!” urlņ in preda all’agitazione, allontanandolo da sé, ma sempre tenendolo saldamente per le spalle in modo che non crollasse.
Lo spagnolo lo guardņ sorridente, sospirando. “Hai ragione, sono ubriaco. Non mi fido a guidare in queste condizioni” ammise grattandosi il capo, ridacchiando. Romano lo fissņ, aspettando che continuasse. “Non č che posso stare da te per sta notte?”concluse questo, riprendendo a ridere, poggiando gli avambracci sul tettuccio dell’auto, nascondendovi il volto in mezzo. L’italiano rimase per un primo momento sbigottito, ma visto lo stato in cui era l’amico non era certo il caso di fare il vergognoso.
“Sei irrecuperabile. Dai, andiamo.”e cingendogli la vita s’ incamminarono ciondolanti verso l’appartamento.
“mmmhhh”
“beh?”
“no, č che…”
“che c’č?!”
“hahahahaha mi chiedevooooo… sei libero sabato?”
“č appena martedģ, che vuoi che ne sappia???”
“appunto, cosģ ora puoi tenerti libero!” e Antonio gli diede un leggero sbuffo sulla spalla, mentre sentiva l’amico rigirarsi tra le lenzuola, irrequieto.
Mai aveva trovato cosģ scomodo quell’UNICO LETTO MATRIMONIALE.
“E sentiamo, grande genio, che avresti da propormi?”buttņ lģ il meridionale, pił per arrivare al nocciolo della questione e poter cosģ dormire, che per reale curiositą. Anche se, comunque -lui non l’avrebbe mai ammesso- quell’invito lo aveva mandato K.O.
“Hai presente quella grande discoteca che stanno costruendo davanti alla vostra pizzeria?”
Romano si alzņ di scatto dal materasso, fissandolo. La luce della luna filtrava attraverso le vetrate alle spalle dell’italiano, donandogli un bagliore aureo alle spalle. Antonio pensņ che fosse divino.
“Starai scherzando, voglio sperare!”
“Oh no no, affatto! Questo sabato ci sarą la vera e propria apertura e visto che č gratis mi chiedevo se avevi voglia di farmi compagnia” e sorrise, sfoggiando quel suo sguardo ammaliatore a cui soltanto un cieco poteva non cedere.
Il meridionale si voltņ dalla parte opposta, indeciso.
“Non so… ci penso” e si rimise sotto le coperte, fissando il soffitto.
“Daaaaaaiiiii…”insistette questo, avvicinandosi lentamente all’italiano, nascostosi ora sotto le lenzuola. Con la destra cominciņ ad accarezzargli la chioma bruna, mentre lo osservava stregato. Romano non riusciva a fare nulla, solo se ne stava con il viso coperto, tremante.
“Ok”
“Eh?”
“HO DETTO CHE CI VENGO!” urlņ spuntando da sotto le coperte, lasciando lo spagnolo di sasso che poi sorrise, donandogli un piccolo bacio sulla fronte, augurandogli la ‘buena noches’.
Romano osservava in coma lo spagnolo dargli le spalle, indeciso se tirargli un pugno o buttarlo fuori di casa direttamente.
Chi gli dava il permesso per atteggiamenti tanto confidenziali!? Neanche fossero amici di vecchia data!
Ma quel batticuore incessante, quel tremore invadergli il corpo, quel rossore alle guance… maledetto.
***
“…oddio….”
“….”
“…oddio!”
“… uh… e-eh?che succede?”
“Romano io… non volevo, cioč… non che non mi sia dispiaciuto, anzi, ma… non ero in me, te lo giuro!”
“ma-ma che cazzo stai dicendo?!”
Intontito l’italiano si girņ in direzione dell’ispanico, il quale se ne stava seduto sul materasso, mentre si rigirava nervosamente le mani.
Il meridionale si mise in ginocchio, strofinandosi gli occhi con la manica del pigiama.
“Come va il mal di testa?”
“eh!?”
“la testa, non soffri il dopo sbornia?” chiese, sbadigliando.
“ecco…” si grattņ il capo. “beh si, mi fa un po’ male ma č tutto a posto, davvero”
Romano fissņ inebetito il compagno. “si puņ sapere che ti prende?”
Il moro ricambiņ lo sguardo, sorpreso. “ma… scusa, ieri notte… non č.. accaduto nulla? Insomma, dico… di quel genere…”
L’italiano spalancņ gli occhi per poi arrossire vistosamente. “M-m-ma che ti salta in mente, ovvio che no, razza di maniaco!!!” sbraitņ lanciandogli in pieno viso il cuscino, facendolo cadere a terra.
“ohiii, la testaaaa…” piagnucolņ questo togliendosi la morbida cosa di dosso.
“cosģ impari!” sentenziņ l’altro andando in cucina, seguito goffamente dall’amico che camminava appoggiato al muro.
Sedutosi sul divano si vide comparire davanti al naso un vassoio con sopra dei croissant e una tazza di caffelatte. Romano appoggiņ il tutto sul tavolino adiacente, prendendo poi un bicchiere d’acqua e buttandoci dentro un’aspirina.
“Mangia, sennņ non puoi prenderla” spiegņ. Antonio lo ringraziņ e prese a mangiare, bevendo poi la medicina e ristendendosi sul divano.
“quanto ho bevuto?”chiese poi, sentendo ancora le farfalle nello stomaco.
“un bel po’, non stavi neanche in piedi da solo”
“mmmhh, grazie ancora Romano, se non mi avessi ospitato chissą dove cavolo sarei finito”
“di nulla” e alzandosi il meridionale portņ il vassoio al lavello, pensando che poi a lavare ci avrebbe pensato Feliciano.
Un momento. Dov’era Feliciano?
(Tadaaan!!! Questa sarebbe la copertina della storia, č un mio piccolo disegnino <3 X3)
“Veeee”
“…mmmh?”
“Doitzu, ho fameee”
“zzzzzz- uhm, eh?c-che ore sono?”
“mezzogiorno, Doitzuuuu”
“m-ma che vuol dire ‘Doitzu’? E poi—C-CHE CI FAI NEL MIO LETTO!?”
‘Veeee’ e sorridendo beffardamente l’italiano si accoccolņ meglio al suo guanciale mentre il tedesco lo fissava imbarazzato, tenendosi sugli avambracci.
“Era cosģ caldo qui!” spiegņ il moretto, stirando gli arti lungo tutto il materasso.
Ludwig sospirņ rassegnato, passandosi malamente la mancina sui biondi capelli, tirandoli indietro.
“che vuoi mangiare?”chiese, cambiando argomento, osservando ancora assonnato la sveglia sul comodino.
L’italiano stette a pensarci un po’, rispondendo ovviamenteche un buon piatto di pasta al sugo ci sarebbe stata benissimo. Il teutonico perņ spiegņ che in casa non aveva nulla del genere e cosģ Feliciano propose di andare da lui.
“E con tuo fratello come la mettiamo?” chiese.
Il veneziano lo guardņ stupito. Come aveva fatto a capire di non piacere a Romano?
“Guarda che lo so” rispose l’altro alla faccia interrogativa del pił giovane. “Ho visto che occhiatacce mi lancia non appena ti sono accanto, e non solo. Ma non preoccuparti, te vai pure.”concluse sedendosi sopra il materasso, dandogli le spalle.
Un rumore di lenzuola, e due flebili braccia gli coprirono le spalle, un petto gli si posņ sulla schiena, e una chioma bruna gli solleticņ la guancia.
“non voglio andare da solo!” piagnucolņ l’italiano, stringendosi maggiormente al biondo a cui erano diventate rosse pure le dita dei piedi. “te vieni a casa con me, chi se ne frega di quello che pensa mio fratello! Siamo amici, no!?”
Non lo avrebbe mai detto. Non avrebbe mai detto che due piccole parole potessero renderlo cosģfelice. Siamo amici.
Il teutonico annuģ, accarezzandogli amorevole il capo.
“ok…”
“e allora, PASTAAAAA!!!”
Poche rampe di scale, cosģ pochi gradini ed era sempre pił convinto che fosse una pessima idea.
Guardava silente la minuta figura del compagno saltellare allegramente davanti a lui, tirandolo appena per la manica del giubbotto. Si, era una pessima idea.
“Feliciano?” lo richiamņ il tedesco, aspettando che l’amico si voltasse. “Uhm?”
“Forse non č il caso, sai… non vorrei che litigaste per causa mia” ammise preoccupato. L’italiano gli sorrise, brandendo le chiavi di casa.”Doitzu non devi preoccuparti di nulla!” e finalmente arrivarono sul pianerottolo. Tre colpi di serratura e la porta si aprģ, lasciando entrare un dolce aroma di sugo misto pesce. “Che profumino nii-chan!!!” esclamņ il castano entrando, trovando perņ ai fornelli Antonio.
“Hola!” salutņ gioviale questo, mollando padelle e pentole per correre ad abbracciare il giovane, che ricambiņ l’abbraccio sotto lo sguardo sorpreso del teutonico.
“Antonio?” biascicņ il tedesco, incredulo. Lo spagnolo lo fissņ un secondo. “Ludwig?”
“Antonio!!!” e gli andņ incontro mollandogli una leggera pacca sulla schiena, approfittando per staccare Feliciano dalle sue braccia. “non ci posso credere, anche tu qui?? Aspetta che lo venga a sapere mio fratello!”
“Lud! non mi avevate detto che sareste venuti in Italia! C’č pure Gilbert??? Allora dobbiamo assolutamente trovarci!!” ed entrambi scoppiarono a ridere, riprendendo a ciarlare, fissati da un Feliciano spaesato e confuso.
“Ehm…” biascicņ, catturando l’attenzione dei due. “Voi due come fate a conoscervi?” domandņ palesemente. I due stavano per rispondere quando un certo meridionale non fece la sua comparsa, guardando sbigottito prima Antonio e poi Ludwig. Quel crucco di merdaera nel suo…
“FELICIANOOOO!!!” sibilņ velenoso contro il fratello che di tutta risposta si nascose dietro all’ispanico, tremante.
“Andiamo Romano” cercņ di calmarlo lo spagnolo. “č un amico di tuo fratello dopotutto, e questa non č solo casa tua, altrimenti nemmeno io potrei stare qui se Feli avesse qualcosa in contrario, o no?” spiegņ calmo verso il meridionale che si ammutolģ, volgendo uno sguardo d’odio al tedesco. Effettivamente aveva ragione. “tzč, stģ crucchi…” e senza aggiungere altro si mise a preparare la tavola, mentre un Feliciano sprizzante di gioia saltņ addosso a un certo teutonico, con di sottofondo le risa dell’ispanico.
In fondo, un po’ di movimento in casa non faceva male.
***
‘Diiiinnn doooonnn’
Le note riecheggiarono sorde all’interno del modesto appartamento, distraendo il piccolo giapponese dalla sua quotidiana meditazione mattutina. Innervosito si recņ davanti l’uscio, spiando dal piccolo oblņ, trovandosi davanti la figura sorridente di Feliciano salutarlo con la mano. Senza fiatare si allontanņ di qualche passo, deciso a non aprirgli.
“Heyyy Kikuuu so che sei in casa, ti ho sentito camminare!!!Daii aprimiiii, ho una proposta da farti!!!”
Il giapponese sospirņ, andando ad aprire la porta.
“Ohayo Italia-kun!”
“Ohayo Nihon!!!” e di slanciņ lo abbracciņ, facendo arrossire il giovane orientale che lo spintonņ via in modo brusco. “q-quante volte ti devo dire di non farlo, insomma!”
“eeeehhh?” gemette incredulo il castano.
“comunque ero intento a meditare, puoi dirmi di che si tratta velocemente cosģ posso continuare?”
“oh si si certo certo! Ecco qua!” e frugando nella tasca posteriore dei jeans estrasse un piccolo fogliettino di quaderno con sopra disegnata una mappa. Kiku perse il foglio, scrutandolo confuso.
“e questo?”
“ecco, sabato sera io e Romano siamo stati invitati da dei nostri amici all’apertura di quella nuova discoteca davanti alla nostra pizzeria, e mi chiedevo se magari volevi unirti a noi!” disse indicando il punto segnato con una ‘x’. Il moretto sembrņ pensarci su, avendo poi un’illuminazione.
“Oh accidenti no, sabato non posso proprio, ho promesso a un amico che lo avrei accompagnato alla stazione dei treni a prendere delle cose”.
L’italiano lo fissņ poco convinto. “Al sabato sera?”chiese dubbioso.
Ed effettivamente anche Kiku si sorprese di questo. “In effetti č strano, ma sono sicuro che mi abbia detto cosģ, ‘sabato sera tieniti libero che ci sarebbe una certa commissione da sbrigare alla stazione, non darmi buca ti supplico, sei l ‘unico di cui possa fidarmi’…” e un po’ parve preoccupato.
Il veneziano sospirņ dispiaciuto, abbassando il capo. “che disdetta avrei tanto voluto venirci con te.. beh sarą per la prossima volta, vero???” e osservņ con occhi luccicanti il povero orientale che a stento annuģ.
“FANTASTICO! Ok ok allora ora vado, non voglio rubarti altro tempo!!! Buona giornata Kikuuuu!!! Ciao!!!!” e velocemente scese la lunga scalinata, saltellando, come suo solito. Quando Kiku lo sentģ entrare nell’ appartamento chiuse anch’egli la porta, appoggiandovisi sopra con fare pensieroso.
“Sabato sera… che diamine avrą in mente quell’olandese???”
“Vorreste il sabato libero?”
Dire che quella fosse un’impresa rischiosa era poco.
Era suicida, e lo sapevano benissimo.
“Voi, al sabato sera, vorreste stare a casa?”
Una gigantesca vena gli si formņ in fronte, mentre un sorriso forzato gli si stampava in faccia.
Il capo sembrava tutt’altro che d’accordo.
Romano deglutģ impaurito, mentre il minore si nascondeva dietro la sua schiena, tremante.
“S-si… e-ecco noi abbiamo sempre lavorato e-e beh non abbiamo mai fatto ferie e quindi---“
“voi venite al lavoro solo la sera, saltando pure il mercoledģ, avete tutta la mattina e il pomeriggio liberi… e avete il coraggio di chiedermi un sabato?”
Lo videro prendere il coltello da sopra il tagliere, cominciando a tagliuzzare finemente la cipolla.
“N-noi sabato abbiamo un appuntamento e-e-“
“un… COSA?”
Feliciano sbucņ da sopra la spalla del maggiore. “E’-č vero, dei nostri amici ci hanno proposto di andare all’apertura della discoteca” e indicņ l’edificio dall’altra parte della strada.
Questo sembrņ stupire il cubano che riponendo il coltello al suo posto, fissņ poco convinto prima i due, che trasalirono, poi la discoteca adiacente.
“siamo proprio sicuri che andrete lģ?” s’interessņ stranamente curioso.
“s-si” biascicarono sotto lo sguardo intenso del moro.
“mmmh e va bene” e senza aggiungere altro andņ in cucina, lasciandoli con tanto di naso.
I due fratelli Vargas si guardarono subito increduli, esultando poi di gioia.
“EVVAI!!!!!”
“ah gią, e visto che aprirą a mezzanotte avrete pure tutto il tempo di venire al lavoro, quindi domani vi aspetto qui alla solita ora!” annunciņ Bob sbucando dalla porta, ridendo malefico.
“questo?”
“ti prego, no!”
“aspetta aspetta!!!... cosģ?”
“se vuoi andare al circo sei il benvenuto”
“e che cavolo!... beh questa va bene, dai!”
“quello č il tendone del circo”
“insomma nii-chan!! aiutami invece di prendermi in giro!!!”
Stavano in quel negozio da almeno un’ora e il fratello minore non riusciva a trovare un capo decente per la serata imminente. Le aveva provate tutte, arrivando perfino a indossare cose da donna, ma senza trovare nulla che potesse piacergli. E ora stava passando in rassegna i classici ‘maglioni della nonna’.
“Feli, ti rendi conto che lą dentro ci saranno almeno 30 gradi!? Io quasi ci verrei in pantaloncini corti, fai conto te!” e strappandogli dalle mani la felpa di lana, il meridionale procedette furibondo verso l’ala estiva, tornandone con un pacco di magliette con o senza maniche.
“toh, queste vanno bene, sceglietene una e andiamo!”
“ma ma ma..”
“NIENTE MA! Avanti, che non voglio perdere tutta la mattinata!”
Feliciano annuģ silente. Romano faceva davvero paura quando si arrabbiava.
“E te come vestirai invece?” chiese il nordico mentre si cambiava nello stanzino.
“allora…scarpe nere, un paio di jeans lunghi blu notte strappati, una maglietta a maniche corte bianca con sopra un gilet nero. Metterņ un po’ di gel sui capelli e un polsino al braccio destro e poi…” e procedette a elencare ogni singolo particolare del suo abbigliamento. Sicuramente ci si era parecchio scervellato.
“Uhm, anch’io credo cosģ, solo che metterņ quel paio di pantaloni chiari stretti della settimana scorsa e per la maglietta… uh! oddio oddio, questa, questa Lovi!!!” e mettendo fuori un braccio cominciņ a sventolare una t-shirt ocra con il colletto a V con due lacci che la chiudevano a zig zag, la maniche tagliuzzate e lo stesso nel fondo, sfumato pił scuro.
“oooh sia lodato il cielo, ce l’abbiamo fatta!” e agguantando fulmineo la maglia il maggiore andņ subito a pagare, prendendo poi il fratello per i polsi e buttandolo letteralmente fuori dal negozio prima che potesse avere altri ripensamenti.
“bene, siamo a posto! Ah, ho detto ad Antonio che non avremmo fatto in tempo per la cena e ha risposto che allora ci avrebbe aspettato dentro” disse Romano mente montava in macchina, imitato dal minore. “E te col crucco? Che ti dice?”
“Basta chiamarlo cosģ nii-san, detto da te assume un tono dispregiativo!” e il moretto mise su un adorabile broncio che fece comunque sghignazzare il maggiore.
“Che cretino, la parola ‘crucco’ č dispregiativa gią di suo! Beh, che ti ha detto?”
“Ecco, non ho ben capito, ma ha detto che ci avrebbe raggiunto dopo la mezzanotte per via di un impegno. Non ha voluto dirmi cos’ha da fare perņ!”
“Dovrą far rifornimento di crauti hahahaha”
“Spiritoso” e si voltņ immusonito verso il finestrino, sentendo l’aria autunnale scompigliarli la chioma ramata.
“Dai scherzavo, su! Ora pensiamo a rifocillarci, a lavorare e poi a divertirci ok???”
“Uhm.. ok…”
Romano non avrebbe davvero mai creduto di vedere il fratello cosģ gił di morale, festaiolo com’era. Possibile che la presenza di quel tedesco non lo lasciasse cosģ indifferente? Si beh, parlava lui poi, che aveva passato gli ultimi due giorni a dannarsi per trovare un abbigliamento decente per quel cretino di uno spagnolo… cosa aveva appena detto?
“Devi spiegarmi una cosa…”
Spallata.
“Dimmi tutto nii-san!”
Altra spallata.
“In primo luogo, sai dove stiamo andando?”
Alcolico sulle scarpe.
“Uhm… beh, ecco… effettivamente… no!”
Pugno in testa da parte di Romano.
“Ahiaaaa!!!!”
Spallata.
“Qualcuno mi faccia uscire!!!” ma le sue parole furono smorzate dall’assordante musica house che proveniva sparata dall’interno dell’edificio.
Un ammasso di uomini e donne stava attaccata alla porta d’ingresso, ansiosa di entrare e poter subito immergersi in quella lunga nottata che avrebbe portato loro tutto o niente.
E loro due se ne stavano nel mezzo del ‘tutto’.
“Feliciano…” annaspņ il meridionale, fissando malevolo il minore “questa č l’ultima volta che ti do retta!”
“Ma se č stato Antonio a invitarti!” lo rimbeccņ questo, scostandosi da una tettona, spiaccicandosi addosso al maggiore.
“E non starmi cosģ attaccato!” sbraitņ.
“Credi che lo faccia apposta!?siamo tutti attaccati!”
“Maledizione!” e il vano tentativo di liberare un braccio lo costrinse ad avvolgerlo in vita al minore, che nel mentre si teneva saldo al fratello brandendolo per la cinta.
“Che situazione del cazzo”
“Sssh, ho sentito un rumore, credo che stiano per aprire!”
“Io Antonio lo ammazzo, appena lo trovo lo ammazzo!”
“Ora pensiamo ad entrare per favore!” e avvinghiati l’uno all’altro si fecero trasportare dalla corrente, finendo poi in un grande salone, sfavillate di luci colorate ed epilettiche.
Non appena la stretta fu allentata entrambi emisero un lungo sospiro, mentre un certo spagnolo sputava l’intero contenuto del suo bicchiere alla vista dei due cosģ abbracciati.
“Sono loro?”chiese una voce melliflua al suo orecchio, facendo trasalire l’ispanico che cercņ invano di ricomporsi.
“S-si..”disse ripulendosi la bocca con il dorso della mano, mentre fissava imbarazzato i due fratelli dirigersi confusi verso la sala.
“Perché non li chiami qui?” disse il padrone di quella stessa voce, ora intento ad andare verso i diretti interessati.
“F-Francis, cristo, fermati!” ma ciņ non bastņ a far sģ che il bel francese prendesse i due giovani italiani per la vita, accompagnandoli verso l’angolo bar.
O meglio, č quello che provņ a fare, ricevendo invece un destro nello stomaco da parte del meridionale che lo definģ ‘porco maniaco’.
Antonio sospirņ, bevette l’ultimo sorso di gin lemone andņ a raccogliere da terra il francese sotto lo sguardo confuso dei due italiani.
“E’ un mio amico…” spiegņ mentre sosteneva il biondo per un braccio, mollandogli due sberle per farlo riprendere.
“Ma che cazzo fai, mi ha colpito allo stomaco, mica sono svenuto!”
“Lo so, ma te le sei meritate per averci provato subito con i miei amici” e sorridendo ai due gli fece cenno di seguirlo dentro un'altra sala, ad un tavolo privato.
“Eccoci qua!” esclamņ felice mentre riponeva in malo modo l’amico sulla sedia, ancora dolorante.
“Questa me la paghi”esalņ questo.
“Su su vedi di ripigliarti presto, ho sentito che tra non molto un certo Arthur…”
A solo sentire quel nome il francese scattņ come una molla, ora perfettamente guarito e in forma.
“Questa sarą la mia serata, cherģ!” disse passando una rosa (da dove č spuntata fuori?) sotto il mento di Feliciano, che sorrise allegro.
“Scusate la scortesia, non mi sono ancora presentato” disse ritirandosi, poggiando un piede sul cuscino della sedia, guardando i presenti in modo sensuale.
“Io sono Francis Bonnefoy, il piacere č tutto mio” e detto questo tentņ di baciare la mano al nordico, ma un sussurro all’orecchio lo bloccņ.
Antonio si sporse veloce verso il francese: “Francis se fossi in te non lo farei, č roba di Ludwig” e si ritirņ senza aggiungere altro, lasciando l’amico con i sudori freddi.
“Molto bene!” disse infine lo spagnolo, alzandosi dalla sedia. “vado a ordinare da bere, cosa volete?”
“Te cosa ci consigli?”chiese spensierato il giovane italiano.
“Mmmh, ora vado a parlare con il barista e mi faccio dire… e te, Romano?”. Si voltņ in direzione del meridionale che lo guardava in malo modo. “ehi, che c’č?” chiese allarmato.
“C’č che ci hai fatto sudare quattro camicie per venire qui sta sera, e per cosa? Un banalissimo drink e qualche troia di turno?” alluse a un gruppo di ragazze che lanciavano ai suddetti sguardi ammaliatori.
Antonio sospirņ. “Ho capito, ho capito… dai vieni con me” e senza lasciare il tempo all’altro di ribattere lo prese per il braccio e lo trascinņ in mezzo alla calca, scomparendo nel mezzo.
“Certo che tuo fratello č proprio un tipetto rose e fiori!”commentņ sarcastico il francese mentre stappava una bottiglia di vino (anche quella spuntata da chissą dove).
“Si si! poi delle volte č anche peggio, ma sta sera l’ho visto pił agitato e scontroso del solito… non credevo odiasse cosģ tanto le discoteche”
“Non credo che sia un problema di discoteche…”
“Ah no? E secondo te che ha?”
“Beh č abbastanza evidente”
Feliciano lo guardava senza capire.
“Oh andiamo!” esclamņ di cipiglio il biondo “vuoi dirmi che non ti sei accorto di nulla???”
Il nordico sembrņ pensarci per poi rispondere che, seriamente, non ci stava capendo nulla.
“Cristo santo, č Antonio, Antonio!” spiegņ esasperato il francese mentre porgeva un bicchiere di vino all’amico. “Si vede lontano un chilometro!”
“E’ arrabbiato con Antonio? Questa non č certo una novitą, č costantemente in collera con lui anche se non mi spiego il perché, č cosģ simpatico…”e bevve un goccio di quel denso liquore blando, sentendo caldo al petto.
Il francese si chiese seriamente se c’era o ci faceva.
“Feliciano, giusto? Non credo che Romano sia davvero arrabbiato con Antonio…” ma il discorso venne interrotto dai due diretti interessati che erano tornati al tavolo con almeno 8 bicchieri di alcolici diversi.
“E quelli?!” esclamņ accigliato il biondo.
“Romano non sapeva decidersi e allora ho pensato di prenderne di vario tipo” e con un sorriso grande come una casa mise i bicchieri sul tavolo, sedendosi subito dopo.
“ehi, Antņ…” sussurrņ sorridente il francese dall’altra parte del tavolo “con questo ti sei gią organizzato la serata a quanto vedo”.
“Piantala Francis” rispose seccato, arrossendo leggermente, sotto lo sguardo curioso dei due fratelli.
Feliciano ingurgitņ un altro sorso del vino del francese, sentendo gią la testa girargli. Antonio si accorse dello sguardo spaesato del giovane italiano.
Prima guardņ lui, poi il francese, poi di nuovo lui e di nuovo il biondo. Il bicchiere, la bottiglia…
“FRANCIS, CRISTO!” imprecņ agitato, prendendo il bicchiere dalle mani dell’italiano che lo assecondava passivamente, sorridendo.
“hahahaha su su Antonio non č nulla hahahaha” rise il francese allo sguardo allarmato dell’amico che era corso a buttare via la bevanda.
“Quante volte ti devo dire non portarla quella roba, vuoi farlo andare in coma???”
“e che sarą mai, con un goccio di questo ti risparmi almeno 6 caraffe!”
Romano intanto osservava preoccupato il fratello.
“Feliciano?”lo chiamņ e questo si voltņ sorridendo.
–Beh sembra normale- pensņ –perché se l’č presa quel modo?-
“Lovinooooohhh!!!”
SMACK
Impietrito, il meridionale sentģ improvvisamente le labbra del nordico premere umide sulle sue, lasciandolo completamente di sasso.
Quando il minore si staccņ quasi cadde dalla sedia, troppo sconvolto dall’accaduto. Feliciano lo guardņ sornione. “Veeehh, ti voglio bene nii-san!” e lo abbracciņ.
E mentre il maggiore, ripresosi, cercava in tutti i modi di staccarsi il moretto di dosso, Francis se ne stava nell’angolo sospirando ‘ah, l’amour’ e Antonio… beh… stava morendo dissanguato.
“Proprio sta sera…”
“Eh che vuoi farci, ordini dell’ultimo minuto!Ksesese!”
“Ma te che ridi?!C’č da piangere invece!”
“Oh su su che sono tutti questi problemi improvvisamente?? Č una cosa che abbiamo sempre fatto!”
“Si, ma…” e il biondo si ammutolģ all’entrata di una bellissima ragazza russa nel suo camerino. Vestiva di un abito blu notte, i capelli lunghi grigi raccolti in una morbida coda, e un paio di stivali neri ai piedi. Era entrata senza bussare, come suo solito.
“Mio maritoha detto che avete ancora due ore prima dello spettacolo, e che quindi potete andare a fare un giro se volete” e senza salutare o aggiungere altro richiuse la porta, facendola sbattere.
Gilbert sospirņ sollevato, “non ti pare che Natalia sia ogni giorno pił tetra?” commentņ acido l’albino, infilandosi un paio di jeans neri.
“Quella č sempre cosģ, per stare con uno come Ivan poi” rispose il tedesco, riponendo i propri vestiti in ordine sopra il tavolo.
“eEnoi ci lavoriamo pure per quello!” commentņ sarcastico il maggiore infilandosi una bianca camicia aderente, aperta sul davanti.
Ludwig non rispose, indossņ la sua solita canotta nera e uscģ, seguito da un ‘aspettamiiii’ da parte dell’altro. Percorse a passo di marcia tutto il lungo corridoio, arrivando alla porta secondaria che portava all’interno della discoteca. Mentre cercava le chiavi nelle tasche dei jeans venne raggiunto dal fratello.
“A proposito! Hai parlato con Rohderick per le musiche?” s’interessņ quest’ultimo.
Ludwig sospirņ: “Si si, sono passato da lui giusto l’altra sera per discuterne. Ho scelto dei pezzi brevi, cosģ almeno la facciamo finita subito” e rigirata la chiave nella fessura un boato si espanse in tutta l’area. Vennero entrambi investiti da musica, puzza di alcol e persone che emigravano da una parte all’altra dell’edificio, ubriaca.
“Fiuuu, non credevo che ci sarebbe stata cosģ tanta gente!” commentņ Gilbert stupito, facendosi spazio tra la calca.
“Meglio cosģ” rispose il minore mentre cercava di stare dietro al fratello.
Questo perņ si fermņ improvvisamente, voltandosi a osservare il teutonico.
“West, si puņ sapere che hai? Non ti ho mai visto cosģ riluttante al lavoro… Chi c’čsta sera?” chiese divertito. E il biondo in questione sapeva perfettamente che quel sorriso non comportava nulla di buono.
“Non c’č nessuno, Gil” disse conciso, sorpassandolo. Il maggiore stette a guardarlo silente, cominciando a pensare in quale modo aiutare il suo caro fratellino.
Un paio di metri dopo raggiunsero una saletta appartata, dove scostata la lunga tenda rossa che ne copriva l’interno, videro spuntare la chioma dorata di Francis attorniata da altre 3 persone.
“Hey Francis—“ ma la voce gli si smorzņ non appena le sue pupille azzurre riscontrarono la figura di Feliciano ridere sguainatamene seduto in braccio al francese. Sentģ come uno strano… dolore, al petto. L’immagine del suo Feliciano con un altro... un momento. UN SINGOLO MOMENTO, PREGO! Che aveva appena detto!?
“FRANCIS, BRUTTO IDIOTA!”. A portarlo alla realtą fu l’urlo del fratello che andņ a scansare Feliciano per saltare addosso al francese, facendolo cadere a terra.
“Ehi ehi che fate, vi divertite senza di me??” e dal tavolo la figura di Antonio andņ a cozzare contro gli altri due, i quali presero a darsele di santa ragione. Ah, l’amicizia.
A sguardo chino Ludwig raggiunse il gruppo di amici, salutando prima Romano e poi volgendo lo sguardo verso Feliciano che… lui.. stava dormendo?
“Non ci posso credere” esalņ, sedendosi a fianco dell’italiano che se ne stava col capo sopra il tavolo, ronfante. “Un secondo fa stava ridendo assieme a Francis!”.
“Ha!” sbuffņ il meridionale, guardando storto il teutonico. “tenon ci puoi credere!” e ripensando al bacio appresso sentģ ancora le guance imporporarsi. Ludwig non rispose, riprendendo a guardare l’italiano mugolare qualcosa nel sonno. Era cosģ carino quando dormiva.
Ecco, l’aveva rifatto. Che cazzo aveva!?
“Romanoooo” uno spagnolo allegro accorse ad abbracciare il maggiore Vargas, facendogli sputare i pił sentiti insulti.
“Levati di dosso!” sbraitņ questo mentre cercava di staccare le mani dell’ispanico dai suoi vestiti. “daiii non fare cosģģģ, non hai ancora bevuto nienteee…” disse alludendo ai 6 bicchieri di alcolici intoccati sul tavolo.
“chi pensi che abbia bevuto gli altri due!?”
“non fregarmi, uno l’ho bevuto io! Non sono ancora cosģ ubriaco!” e con forza lo fece sedere accanto a se, porgendogli un bicchiere di peschito.
“Facciamo cosģ! se lo bevi tutto d’un fiato prometto di regalati un intera cassa di pomodori!” disse mettendo la bevanda sotto il naso dell’italiano che lo fissava contrario.
“ho detto che non lo bevo”
“peeeensaci…” sussurrņ l’ispanico al suo orecchio, facendolo trasalire “un intera cassa di pomodori GRATIS”.
“….” E senza aggiungere altro l’italiano agguantņ malamente l’alcolico, cominciando a berlo, sorso dopo sorso, senza mai fermarsi. Deglutita l’ultima goccia sentģ come un forte mal di testa scuoterlo da capo a piedi, dolore che sfumņ subito, tramutandosi in semplice stordimento e… allegria.
“visto???” urlņ sbattendo il bicchiere sul tavolo mentre l’ispanico applaudiva ridendo.
“Buon lavoro, ma oraaa” e prese due bicchieri di rum e cola“ora facciamo una gara! Chi lo finisce per primo!” e senza neanche dare il via, Romano strappņ dalle mani dello spagnolo il bicchiere bevendoselo d’un fiato, non dando neanche il tempo a questo d’iniziare. Antonio era rimasto incantato a osservare una goccia umida scivolare lungo tutta la giugulare, infilandosi poi sotto la maglietta del moretto che staccatosi dal bicchiere riprese a respirare pił forte, rosso in volto. Questo č troppopensņ, sentendosi improvvisamente accaldato e… che stava succedendo laggił?
Ludwig osservava la scena senza dire nulla, bevendo il contenuto di uno dei bicchieri. Lo assaggiņ appena, sentendo un sapore dolce invadergli la bocca. Davvero buono. Chissą come si chiamama pensņ che non fosse il momento adatto per disturbare i due che avevano preso a discutere animatamente (e stupidamente) sulla differenza tra peperoni e pomodori.
Bevendone un altro sorso si voltņ a osservare l’amico immerso nel mondo dei sogni. Con la punta delle falangi andņ a sfiorarne appena il ciuffetto ribelle, sentendolo mugolare al solo contatto. Ritrasse appena la mano e vide il compagno aprire i suoi grandi occhi nocciola.
‘Veee’ disse, sbattendo le palpebre pił volte. “Luuud?” domandņ.
“Felicia—“ “WEEEEST AIUTOOOHHHHH!!!!” e in meno di un secondo il povero tedesco venne scaraventato prima sul tavolo poi, a causa della troppa ‘pressione’, le gambe di legno si ruppero e i 3 ragazzi finirono rovinosamente a terra, completamente zuppi d’alcolici. E mentre l’albino e il francese sembravano far a gara a chi per prima moriva soffocato dal troppo ridere, il teutonico strinse convulsamente i pugni, pensando che se entro il tre non si fossero ancora alzati dalla sua schiena li avrebbe ammazzati. Antonio e Romano non sembravano essersi accorti di nulla, ma in compenso traccannavano come matti ogni cosa che avesse una consistenza liquida. A quei due andrą in coma il fegato,pensņ brandendo per la collottola il fratello ancora sghignazzante. Feliciano se ne stava imbambolato ad osservarli, il che fece arrossire vistosamente il teutonico che prima di voltarsi lo salutņ distrattamente con la mano, strascicando il maggiore per terra mentre un Francis ubriaco gli si attaccava alla gambe, venendo anch’egli trasportato.
“Insomma Gil! ti vuoi ripigliare, dobbiamo lavorare!” sbottņ inacidito il biondo mentre gli dava uno strattone per rimetterlo in piedi. “E tu levati!” e diede una pedata in fronte al francese che svenne definitivamente. Scostņ malamente la spessa tenda rossa, rientrando nel casino della solita ressa. A sguardo deciso zigzagava tra le persone, seguito a ruota da un albino danzante che ad ogni occasione palpava il sedere a ogni uomo o donna che gli capitasse a tiro.
Aprendo la porta dello stanzino cacciņ dentro il maggiore che ancora sorrideva ebete, cominciando gią a spogliarsi. Inspirņ ed espirņ, cercando di calmarsi.
“Ehi West perché sei tanto arrabbiato? Č venuto anche Feli-chan, dovresti essere felice!” disse sfilandosi i jeans per sostituirli con un paio di pantaloncini neri strappati un po’ sul davanti e con due bretelle, per nulla coprenti, aderenti al petto scolpito. Il fratello fece lo stesso, restando silente.
“Non ti riguarda” rispose secco, dandosi un’ultima controllatina allo specchio, scompigliandosi leggermente i biondi capelli.
L’albino sorrise. “Sei preoccupato che ti possa giudicare per il lavoro che fai? Non credo dovresti preoccuparti di questo, anzi, dovresti forse preoccuparti del fatto che molto probabilmente ti salterą addosso!“ e ammiccņ audace mentre l ‘altro gli rivolgeva uno sguardo esasperato.
“E’ un uomo, Gilbert”
“E con questo?”
“E con questo voglio dire che non gli interesso!”
“Mmmh” e dando una pacca sul sedere al minore aprģ la porta, voltandosi. “Dai andiamo, sei un figurino!”
–e comunque vedremo, ksesese-.
Le luci pirotecniche plasmavano ogni cosa al loro passaggio, dando al luogo un’aria surreale. I bagliori epilettici rendevano i gesti meccanici e ritmati, monocromi. Bianco e nero, bianco e nero, bianco e ne—
“Felicianoooo” e il moretto venne spintonato nel mezzo della pista dallo spagnolo, che abbracciato al francese faceva oscillare in aria l’ennesimo bicchiere di sangria. “BALLIAMO AVANTI!!!!” e lanciando il liquido in aria prese a danzare senza remore, trasportato a pił non posso dalla musica. Francis lo guardņ prima ridendo poi seguendolo a ruota in quei movimenti pazzi. Feliciano osservņ prima loro, poi il fratello maggiore al limitare della pista, sbronzo e indeciso sul da farsi.
Con un po’ di difficoltą il nordico raggiunse il fratello, accantonandovisi.
“Tuuuutto ooook???” chiese urlando, oscillando appena sul posto.
“Shhhiiiiiii! Tu piuttostoo, come va la teeeesta???”
“Tranquillissimamente!!!” e brandendo il meridionale dalla vita raggiunsero i due amici, ballando.
Corpi umidi che si sfioravano, si scontravano, labbra che mute ripetevano testi di canzoni, occhi socchiusi, inebriati dall’emozione. Note che rompevano timpani, e muri, pareti del cuore e davano svago, rendeva liberi.
E i loro corpi a formare una geometria perfetta, l’unione di nazioni cosģ diverse mescolate sotto un unico tetto.
Battendo la mani il francese fece piroettare l’ispanico su se stesso, rischiando di cadere. E fu un attimo e le sue plumbee pupille s’incantarono a due baratri antracite. Arthur.
Senza dire una parola il francese corse incontro a un minuto ragazzo inglese che stava dietro al bancone degli alcolici, con solo un piccolo grembiule nero e un papillon legato al collo, assieme alle maniche legate ai polsi. Il francese credette di venire solo guardandolo.
“Tzč, pure le raneora sono ammesse in posti del genere?” commentņ acido osservando l’amico rorido di sudore di fronte a lui, ansante.
“Ti cercavo angletette”
“Ma fammi il piacere, stupid frog!”
Un colpo assordante di basso, la musica che sfumava sempre pił in profonditą. E si sentģ sprofondare.
“Vieni a ballare”
“Sto lavorando, sei cieco?”
“Il tuo turno č finito da un pezzo, lo so”
“Tu sai fin troppe cose” e senza una meta ben precisa cominciņ a trafficare con dei bicchieri puliti disposti nell’interno del mobile, dando la vana impressione di essere occupato.
“Lo so mon amour, e so che mi stavi aspettando”. Con un gesto lesto girņ il bancone prendendo l’amico per il polso, trascinandolo nel mezzo della calca.
“Sei uno stupido! Se lo sapevi perché non sei venuto prima?”
Il biondo si voltņ, avvicinandosi pericolosamente verso l’inglese.
“Perché stavi lavorando, amour. Non volevo disturbarti…” e le loro labbra si unirono in un profondo bacio, troppo preteso e bramato. Dio, da quanto tempo era che non si vedevano.
Staccatosi Arthur non disse nulla, solo tornņ appena indietro per sfilarsi il grembiule e indossare un paio di jeans, bevendo nel frattempo un bicchiere di invisibile.
“Andiamo” biascicņ rosso in volto mentre stringeva le dita del francese tra le sue, facendosi largo tra la folla.
“Pensi di arrivarci?”
“Cristo Lud! Siamo o non siamo i pił fighi del mondo?!”
“E’ questo che mi preoccupa…”
“Su su, te seguimi!” ed aprendo la porta fecero la sua comparsa i due tedeschi: capelli spettinati, pettorali scolpiti coperti unicamente da due bretelle incrociate al petto e vestiti solo che da un minimo di pantaloncini che lasciavano trasparire fin troppo di quel che ‘in teoria’ avrebbero dovuto nascondere.
Le prime ragazze che videro tale scena, inevitabilmente, stramazzarono a terra esamini, mentre con sicurezza i due bei germanici si facevano spazio tra la folla, raggiungendo ognuno la loro postazione.
La grande sala rettangolare era composta ambedue le estremitą da una gabbia sollevata da terra 7 metri, spostata leggermente in avanti. Ognuno dei due fratelli entrņ in una di queste, ancora oscurate dalla luce. Gli sguardi di entrambi scrutavano la marea di persone sotto di loro, pregustandosi il loro stupore non appena li avrebbero annunciati.
Con passo cadenzato la musica scemņ, lasciando entrare la voce di un ragazzino, illuminato ora da due proiettori al centro della sala. Il giovane se ne stava sul cubo al centro di questa, vestito con un body rosa coi pizzi, tacchi a spillo, calze a rete e due buffe orecchiette da coniglio sopra il cappello rigorosamente fucsia.
“Salve a tutti signore e signoriiiii” acclamņ, mentre le persone applaudivano concitate ed entusiasti.
A Ludwig quasi caddero le braccia. Felix non smetterą mai di stupirmi…. Che cos’č quel vestito!?
“Grazie per essere accorsi cosģ numeri alla nuova apertura della DISCO EUROPAAAA!!!” e qui le urla partirono a baritoni altissimi, tramortendo quasi lo stesso polacco.
“Calma calma gente!! Ora, per ringraziarvi della vostra bellissima presenza ho l’onore di presentarvi qualcosa di rispettivamente bello!” e a un gesto della sua mano due luci violacee si proiettarono sul capo dei due teutonici, che fecero un passo avanti, lasciandosi ammirare.
“VIA DISCO EUROPA!!!” e una improvvisa nube bianca coprģ l’intera figura del ragazzo che svanģ, facendo cosģ ricominciare la musica, un ritmo nuovo, deciso, profondo ed erotico. E qui i due fratelli cominciarono a ballare mentre la gente sotto di loro faceva lo stesso. Molti ripresero a danzare, a bere, a parlare, mentre altri incitavano o semplicemente li stavano a guardare.
E fra questi stava proprio Feliciano.
Continua…
Tratta da una pura esperienza personale XD
Da un tot di mesi vado spesso in una discoteca sia per etero che per omosessuali e il repertorio dei cubisti č alla stregua di Gilbert e Ludwig, se non di meglio (peccato che siano dell’altra sponda T^T) e per quanto riguarda il vestito di Felix, beh, lą c’č pieno di ragazzi vestiti cosģ XD
Secondo i suoi calcoli savrebbe dovuto restare almeno una decina di minuti, se non di pił.
Sentiva indistintamente l’effetto della pasticca entrargli in circolo, facendolo ribollire. Stupido Gilbert, gliel’avevo detto di non insistere.
Perché loro facevano cosģ. ‘Assumevano’ (termine un po’ grosso, dopotutto si trattava solo di uno stimolante) questa pillola prima di salire nella gabbia, cosģ da non provare vergogna o che altro. Era come essere ubriachi, solo in un tempo record.
Sentiva i baritoni delle casse entrargli in corpo, scuoterlo da capo a piedi, e per liberarsene non doveva far altro che ballare. Era pagato per questo, per divertirsi, dopotutto.
Distrattamente puntņ lo sguardo dall’altra parte della sala, notando in fratello strusciarsi sulla fredda parete, incitare la gente, richiamandola a sé con un minimo cenno della mano.
Lui era pił composto, riservato. Ballava per i fatti suoi, che la gente facesse ciņ che voleva.
Le luci si oscurarono e la musica scivolņ in un tono basso e forte. Ecco, toccava a lui.
Fu un secondo, e un getto d’acqua fredda lo investģ da capo a piedi, mentre egli non accennava a smettere di ballare. Sentģ un boato di urla eccitate e tonfi di gente che sveniva. Con la destra si tirņ indietro i capelli con un gesto sensuale, socchiudendo le palpebre, rivolgendo ora lo sguardo verso il pubblico, sorridendo soddisfatto. Tutti erano lģ per lui.
Lo stesso accadde al fratello 5 secondi dopo: lo scrosciare del getto gelido illuminņ il capo dell’albino, facendo aderire ciocche argentee lungo il viso sudato, gocce tra i pettorali, infilandosi voraci tra la stoffa. La gente di sotto stava letteralmente pendendo da ogni loro gesto, completamente basiti e avari di quell’acqua che scorsa dal loro corpo, scendeva a intermittenza dalla gabbia d’acciaio. Erano pazzi.
E andava bene cosģ.
La musica cambiņ ancora per tre volte, e quando i due tedeschi videro accendersi sul fondale una luce oro capirono che il loro tempo era terminato.
Francis era da poco tornato con uno strano ragazzo con delle enormi sopracciglia. Ballavano insieme, si abbracciavano, si baciavano, si… toccavano, in punti un pocosconvenienti.
Romano li fissava interdetto, chiedendosi se i due sapevano di trovarsi in mezzo a un orda di gente. Anche se, comunque, nessuno pareva fare caso a loro.
Il fratello era tutto a un tratto scomparso senza dire nulla, come i due crucchi prima di lui. Sarebbe voluto andare a cercarlo, perņ un certo bastardoubriaco marcio gli stava dando parecchi problemi. Non che lui fosse sano, anzi, a stento riusciva a stare fermo, troppo sballato dalla musica e dal caos, e da un pessimo pensiero che gli stava entrando zitto zitto nel cervello.
Guardņ un’altra volta con la coda dell’occhio l’ispanico muoversi a tempo di musica, pestare i piedi per terra, tendere le mani al cielo, sorridendo. E perdiana, sarą stata la centesima volta in un minuto che si girava a guardarlo. E, diciamocelo, non era neanche per controllare che non faccia danni, ma era la persona nel complesso.
Quella sua stupida canotta aderente al suo fisico perfetto, le gambe atletiche fasciate da un paio di jeans neri e le sue mani, i suoi capelli, il suo viso.. che gli stava succedendo? Doveva bere, doveva trovare il modo per distrarsi. Ma pił beveva, pił peggiorava.
Non capendo pił nulla (e dopo aver svuotato il 15esimo bicchiere d’alcool) cominciņ, senza accorgersene, a ballare con Antonio. Questo da subito non sembrņ farci caso poi, come se si fosse illuminato, prese il meridionale per il bacino, movendosi sinuoso lungo tutta la sua schiena, aderendo completamente le sue mani alla pancia dell’altro, che imbarazzatissimo si allontanņ. O almeno č quello che avrebbe voluto fare, ma neanche lui sembrava troppo convinto di non volere ciņ che lo spagnolo stava facendo.
La musica copriva ogni singolo rumore. La ragione sembrava non esserci pił stata e l’unico senso vivo era il tatto. Quelle mani, quelle fottutemani si muovevano avanti e indietro, su e gił, lungo tutta la leggera stoffa della maglietta del castano, stringendola, alzandola, sfiorando gli addominali con le dita, bramando la cintura.
Tutto a tempo di musica, tutto con una pacatezza estenuante. I corpi che uniti, si movevano in simultanea. Il bacino del ispanico contro il suo fondoschiena, le labbra che andarono a lambirne il lobo, facendolo gemere.
“Romano” sussurrņ roco, aumentando la pressione delle mani sulla pelle del giovane italiano che chiuse gli occhi, concentrando l’attenzione solo sui loro movimenti, sentendo una leggera pressione al basso ventre.
“Romano…” ripetč, scostando la mancina oltre la cintura, carezzando il rigonfiamento del meridionale che al solo contatto aumentņ, facendolo gemere.
Non ci stava capendo pił nulla, cristo. La sua mano era li, e lui non ci stava capendo un cazzo.
“n-no” biascicņ spostando la mano dello spagnolo lontano dal suo cavallo, voltandosi a guardarlo, trovandosi poi con la lingua di Antonio totalmente nella sua bocca, che leccava, invadeva, ansimava all’interno, sopra le labbra, ritornando dentro,fuori, inglobandolo del tutto.
Fu l’inizio della fine.
Lo sentiva spingere prepotente, mordere le labbra, stringerlo con le braccia, aderire la virilitą contro la sua, toccare con le mani ovunque, stringendo convulsamente le natiche, cercando di calarne i pantaloni. E a Romano piaceva. Dio mio se gli piaceva!
Staccandosi bruscamente il meridionale fece capire allo spagnolo la sua intenzione: ‘Voleva giocare? Avrebbe giocato dunque!’. Ma inteso cosģ era troppo facile, Antonio voleva sentirsele dire certe cose, anche se in quel momento pure lui era al limite.
Riprendendo a stingere l’italiano, lo baciņ ancora.
“Dillo” disse sottovoce, leccandogli il collo “dillo…”
“gh—b-bastar—ah!”
le dita del moro tastarono da sopra la stoffa la linea dei glutei, scivolando sempre pił in basso, affondando sempre pił a fondo.
“Avanti” lo incitņ.
“Mmh--… pren.. prendimi…”
“Cosa?”
“Cristo Antonio scopami ok!?”
Sorrise.
Non bastņ aggiungere altro.
“Romanoooo”
“mmmmmmhhhhhh”
“Romano sveglia sono le 6 del mattino! Dobbiamo uscire!”
“ancora cinque minuti…”
“daaaaiiiii non posso tornare a casa senza di teeee…”
A malincuore e con una buona dose d’improperi masticati, il moretto dovette abbandonare il caldo giaciglio che da ormai 3 ore lo intorpidiva amorevole nel suo calore. Senza badare al casino appresso, agguantņ la maglietta da terra, riallacciņ la cintura in vita e sorreggendosi a malapena al minore, neanche lui messo troppo bene, s’incamminarono sbronzi verso l’uscita del locale, sotto lo sguardo serio e leggermente preoccupato dei buttafuori.
Appena messo piede fuori un’ondata di gelo li investģ da capo a piedi, facendoli rabbrividire.
“Che freddo Felicianoooo! D-d-dai vai a prendere la macchina!!!”
“Io non ho la macchina … cioč… siamo venuti a piedi… credo…”
“Dobbiam—“ buca nel tombino “cristo—non dirmi che dobbiamo farcela a piedi…”
Il minore non rispose. Completamente ubriaco e stanco, spingeva entrambi verso la loro dolce casetta. Neanche si stava chiedendo perché quel fastidioso dolore al fondoschiena.
Solo un unico desiderio. Dormire.
Pip pip pip pip
Non un solo pensiero passņ per la mente del povero meridionale, che senza cognizione alcuna, buttņ fuori dalla finestra il cellulare, ricevendo di risposta un tonfo sordo, seguito da un guaire canino.
Si riaddormentņ.
DIINNN DLOOOONNNNNN
Chi era ora che spaccava i coglioni?
Se aprire le palpebre fu un’impresa mastodontica, non esisteva termine per definire l’impossibile raggiungimento dell’uscio di casa.
Il tragitto fu compiuto interamente con l’ausilio del muro come appoggio. Si chiedeva ancora se stava dormendo o comunque dove si trovasse.
Senza accertarsi di chi fosse, aprģ stancamente la porta, ritrovandosi davanti il giovane giapponese guardarlo preoccupato.
“Signor Romano si sente bene? Non ha una bella cera…”
“Fottiti Kiku” disse senza cattiveria alcuna e dandogli le spalle si buttņ sul divano, riaddormentandosi prima che un conato di vomito potesse sopraggiungere.
Un piagnucolio interrotto destņ il moretto dai suoi sogni, aprendo le palpebre e trovandosi il fratello minore avvinghiato sul suo addome travolto da un pianto di dolore. Sbuffņ sonoramente, pensando che solo questo ci mancava.
“F-Feli sono a pezzi, si puņ sapere che succede?” disse a fatica, desiderando ardentemente un bicchiere d’acqua.
“sigh Roman—Sob…Lud… ieri sera… VVVVEEEEEHHHHH!” e strappandogli di poco la maglietta ripiombņ a singhiozzare contro il suo petto. Romano di tutta risposta se lo staccņ di dosso buttandolo di peso a terra, strisciando i piedi fino al lavandino e tracannando tutta l’acqua che potč. Nel mentre Feliciano era rimasto a terra, piangendo tra un ‘non č possibile’ e un ‘adesso che faccio?’. Lovino lo fissava incapace di capire fino a che livello potesse arrivare la sua stupiditą.
“Si puņ sapere che č successo???” sbraitņ infine, sedendosi su una sedia, ripulendosi le labbra col dorso della mano.
Il minore lo guardņ titubante. “Prometti che non ti arrabbierai?”
“Mi arrabbio se non mi dici subito qual č il problema! Dai spara…”
“Io e Lud abbiamo fatto sesso”.
Fu una cosa cosģ… veloce, detta in modo semplice, senza peli sulla lingua. Non ebbe neanche il tempo di metabolizzare il significato che stava gią rispondendo di non preoccuparsi.
Sesso. Suo fratello. Con IL CRUCCO DI MERDA.
Stava per vomitare.
“Tu… cos…. Aspetta, dai, che cazzo stai dicendo?”
“E’ cosģ Romano… ecco lo sapevo, ti stai arrabbiando!”
“No io.. cristo Feli č normale che… ma… porca puttana ma io dove cazzo ero—“
Un improvviso flash back gli provocņ una violenta scossa. Rivedeva il locale, il vino, quelle luci colorate che sulle pareti e… le labbra e le mani di Antonio su di sé.
Deglutii, facendosi improvvisamente serio e sentendo sudare freddo. No lui, lui non aveva fatto ‘sesso’ perņ… i preliminari…
“Veeeh Romano?” chiese preoccupato il minore, visto lo stato catatonico in cui era caduto il meridionale. AL richiamo questo sembrņ ridestarsi, cominciando a girovagare per la casa alla ricerca di qualcosa. “Dov’č, dov’č, dove cazzo l’ho messo?!??!”
“Romano che stai—“
“il cellulare FEli IL CELLLULARE!”
“Questa mattina č passato Kiku a casa nostra, dicendo di averlo trovato nel giardino all’entrata del condominio… non ho idea di come ci sia finito” disse indicando un mattoncino tutto ammaccato e rotto sopra la mensola della cucina. Romano rabbrividģ. Come diamine ci era finito lą?
“Feliciano, ora facciamo una bella cosa…” disse fintamente calmo mentre prendeva la giacca e cercava in un qualche modo d’indossarla “ora noi… andiamo da quei deficienti… e ci facciamo dire che cazzo č successo ieri..”
“Ma Roman”
“Niente ma!!! Andiamo!” e tirando il minore dal polso si chiuse la porta alle spalle, facendolo salire in macchina.
“R-Romano stai barcollando come pensi di riuscire a guidare?!?”
“Zitto non c’č tempo per queste cose!!” ma non fece neanche in tempo ad inserire la chiave che un certo spagnolo gli si parņ di fronte al parabrezza, facendogli cenno di fermarsi.
“veloce”
“ma Romano io—“
“HO DETTO VELOCE!”
“sigh… gira la prossima a destra”
Fregandosene di frecce, semafori e vecchiette decrepite che attraversavano la strada, la macchina sgommņ in malo modo nell’ormai sovraffollato centro storico. Ci mancavano solo i banchetti.
“Lovi-chan ti prego decellera, sto per vom—“ ma non riuscģ a finire la frase che un dosso in quarta fece volare il povero spagnolo con la testa incastrata sul tettuccio dell’auto. Feliciano d’altro canto, abituato alla guida del fratello, era unicamente preoccupato di rivedere il tedesco. Oramai erano quasi arrivati sotto casa sua e non sapeva cosa fare. Aveva una tale confusione in testa.
“Fratellone io non me la sento di—“
“Veneziano non osare fiatare” sibilņ l’altro prima di sterzare e parcheggiare l’auto con un colpo secco di retro tra due camper, senza causare alcun danno. Antonio per poco non rimise l’anima.
Romano uscģ dall’auto e prendendo lo spagnolo dalla collottola e trascinandosi appresso il minore in lacrime, andņ a suonare a casa del ‘mangia-patate’.
“Hey hey che č sto casino?” chiese un povero albino che aprendo l’uscio si ritrovņ l’amico spagnolo tra le braccia, in coma. Senza dargli il tempo di capire che stesse succedendo, il meridionale fece irruzione in casa, cominciando a sbraitare di voler parlare con il ‘crucco di merda’.
Il suddetto biondo, sentendosi preso in causa, fece capolino dalla cucina, guardando accigliato tutta la scenetta che i 4 stavano imbastendo: Antonio svenuto, Prussia agitato, Romano incazzato e Italia in lacrime.
“si puņ sapere che sta succ---“
“NOOOOHHHHH!!!” a bloccarlo fu l’urlo strozzato del veneziano che vedendo l’amico avanzare verso di lui fu preso dal panico e cominciņ a dimenarsi sempre pił.
“Feli PIANTALA!!!”urlņ Romano che prese il fratello per la collottola e lo lanciņ addosso a Ludwig, il quale repentinamente lo prese in braccio, rischiando di perdere l’equilibrio.
“ORA SEDETEVI!” ordinņ furioso ai due indicandogli il divano. Il tedesco ubbidģ e si sedette con a fianco il moretto, che dal troppo imbarazzo aveva deliberatamente deciso di non guardarlo in faccia. Romano si sedette sul sofą di fronte, mollando una sonora sberla allo spagnolo per farlo riprendere.
“Voi” disse, passando lo sguardo dal tedesco ad Antonio “ci dovete delle spiegazioni”.
Il pomeriggio trascorse tutto sommato ‘tranquillamente’. A turno raccontarono la propria versione della sera precedente, senza omettere nulla (comprese scene osč di cui Romano avrebbe voluto sprofondare).
“Perché non mi ricordo nulla…?” esalņ questo in preda alla depressione pił nera.
“Su su chico, possiamo recuperare sta notte se vuoi~” “AAARGH non mi toccare bastardo di uno spagnolo!!!!!” e mentre un povero Antonio veniva colpito da una dura testata allo stomaco, Feliciano si decise finalmente ad affrontare i suoi sentimenti nei confronti del biondo.
“Lud…” lo richiamņ titubante, poggiandogli una mano sulla sua. “Io… ecco…” non trovava le parole, maledizione! Imbarazzato, cercņ lo sguardo del compagno trovandolo stranamente sorridente. Era dolce.
“Ho capito...” rispose questo prima di donargli un caldo bacio a fior di labbra.
Cosa che lasciņ Romano con un grande gocciolane sul capo. “Ehi ehi ehi un momento!!! Feliciano, noi eravamo venuti qui per chiudere con questi due individui!!!!” sbraitņ allibito il maggiore. “Oh Lovinito ma non vedi quanto si vogliono bene!? Come noi due d'altronde!”disse Antonio e approfittando della distrazione del meridionale se lo coricņ su di una spalla, scappando nella camera da letto.
“Ehi ma dico- EHI METTIMI GIUUUUUU!!!!!” ma il povero Romano ricevette in risposta solo una sincera risata che gli fece imporporare il viso. Non era vero che voleva chiudere definitivamentecon quel ragazzo, perņ…. “GILBERT CHE CACCHIO FAI CON QUELLA VIDEOCAMERA METTILA VIA SUBITOO!!!!”
“Hahahaha mai!!! Il magnifico Me ha deciso che dovrete farvi un bel giro su Youtube Ksesesesese!”
“QUESTA ME LA PAGHI, APPENA RIESCO IO---“
“Fai cheeessss!!!”
“No Antonio ti prego- no!” FLASH