l'incidente

di Mapiamica
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** una visita inaspettata ***
Capitolo 2: *** un'amicizia tradita ***
Capitolo 3: *** chiarimenti ***
Capitolo 4: *** ritorno dal passato ***
Capitolo 5: *** vecchi rancori e affetti spezzati ***
Capitolo 6: *** UN ATTESO RITORNO ***
Capitolo 7: *** un paziente particolare ***
Capitolo 8: *** gelosie ***
Capitolo 9: *** la sera della prima ***
Capitolo 10: *** Amori ***
Capitolo 11: *** piaeevoli sorprese ***
Capitolo 12: *** vacanze natalizie ***
Capitolo 13: *** vacanze natalizie 2° parte ***
Capitolo 15: *** capodanno a sorpresa ***
Capitolo 15: *** UNA GIORNATA MEMORABILE ***
Capitolo 16: *** PROGETTI ***



Capitolo 1
*** una visita inaspettata ***


UNA VISITA INASPETTATA Capitolo I La luce del giorno filtrava tra le tende di broccato beige. Era una giornata plumbea, triste. Come lui. Da giorni ormai non faceva che piovere, come se volesse condividere il suo dolore, la sua disperazione. Il ragazzo sentì bussare alla porta e trattenne un gesto di stizza, di fastidio. Non voleva vedere nessuno, neanche sua madre che pur gli restava vicina e cercava di confortarlo come poteva. Ma non c’era niente e nessuno che potesse scuoterlo da quello stato di profonda prostrazione in cui si trovava da quando era successo l’incidente a teatro. Non c’era giorno, ora, minuto che non ricordasse tutto. Il dolore lancinante alle gambe quando gli era piombato addosso il riflettore; la corsa all’ospedale più vicino; le parole dei medici, che continuavano a dire che era un miracolo che non si fosse rotto la spina dorsale e che non si spiegavano quell’impossibilità a muovere le gambe, a camminare, dopo avergli tolto i gessi alle gambe rotte. All’inizio si pensava allo shock emotivo ma più passavano i giorni e più lui perdeva le speranze. Dopo qualche settimana l’avevano dimesso e, anche se con titubanza, aveva accettato l’invito a trasferirsi a casa della madre. - Caro, sono io – gli annunciò la madre, aprendo la porta. - Cosa c’è mamma? – chiese, quasi scocciato. Per quanto le volesse un bene immenso non sopportava quell’aria preoccupata e tesa che lei aveva, né le premure che gli faceva. - C’è una persona che vuole vederti – gli disse. - Se è Susanna o qualche giornalista… - - No, nessuno di loro – lo rassicurò lei. Per un attimo la sua mente corse a lei. Non passava giorno che non la pensasse. Pensava ad ogni attimo che avevano condiviso, alla sua voce allegra, alla sua risata cristallina e pura come l’acqua di un ruscello, ai suoi bronci repentini e fugaci quando la prendeva in giro per le sue lentiggini… La voce della madre lo distolse dai suoi pensieri. - Terence, mi senti? – gli chiese ansiosa. - Sì, sì… chi è che vuole vedermi? – fece lui curioso.. - Ciao Terence, sono io – lo salutò una voce a lui famigliare. Si girò di scatto e lo vide.

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Capitolo 2
*** un'amicizia tradita ***


,Capitolo II UN’AMICIZIA TRADITA Era sulla soglia. Alto, slanciato, capelli biondi lunghi fino alle spalle, lineamenti delicati, che tradivano una nobiltà non solo d’animo - Albert! - esclamò Terence incredulo. Non lo vedeva da molto tempo e gli sembrava così diverso da quel simpatico vagabondo che aveva conosciuto a Londra. L’altro sembrò intuire i suoi pensieri. - Già. Mi sono imborghesito, ma non per mio volere. Qualcuno doveva pur occuparsi degli affari di famiglia ed io ero l’unico in grado di farlo. Ma ora parliamo di te. Non ti chiederò come stai, posso immaginarlo…- - Perché sei qui? – lo interruppe Terence livido di rabbia. Una parte di lui era contenta di vederlo, di poter finalmente parlare con qualcuno: l’altra metà però non sopportava che lo vedesse in quel modo, e soprattutto non gli perdonava il fatto d’essersi fidanzato con lei, l’unica donna che avesse amato, che amava ancora disperatamente. Albert lo guardò. Vide un ragazzo bellissimo, dai tratti gentili e aristocratici, dai lunghi capelli scuri e gli occhi blu come la notte appena sorta. Era seduto su una sedia a rotelle e sembrava meno alto di quanto non fosse in realtà. Notò che era smagrito e con occhiaie profonde, segni di interminabili notti insonni e tormentate, e sentì il suo cuore stringersi con dolore perché capì. Capì che quel dolore che attanagliava l’anima dell’amico non era dovuto solo alla sua invalidità ma a qualcosa di più profondo, intimo, che egli percepì chiaramente ma non volle dargli importanza. Eleanor, la madre di Terence, interruppe quel silenzio carico di tensione. - Sono stata io a chiamare Albert. – dichiarò lei con timore e quando vide lo sguardo interrogativo del figlio proseguì: - Non sopporto più di vederti così apatico, sempre disperato e scontroso con tutti… - - - E cosa vuoi che faccia, mamma? Che mi metta a cantare e saltare di gioia, mentre la mia vita va in pezzi? Non riesco più a camminare da mesi ormai, il lavoro è andato a farsi benedire e poi… - ma s’interruppe in tempo: voleva dire … e poi la ragazza che amo è col mio miglior amico e io mi danno l’anima sapendo che sta con lui! - - Signora Baker, ci può lasciare soli, per favore? – chiese Albert gentilmente. Voleva chiarire le cose con Terence ma in privato. La signora sembrò titubante ma alla fine sentì di doversi fidare di quel ragazzo e uscì.

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Capitolo 3
*** chiarimenti ***


Ciao a tutti. Vi ringrazio dei vostri commenti e consigli. Purtroppo non riesco a postare i miei scritti come si dovrebbe. Mi spiace. Proverò ancora ma continuate a seguirmi! Bye. Capitolo III CHIARIMENTI Rimasti soli i due si guardarono. L’uno con sguardo fermo, deciso, risoluto a far valere le proprie ragioni e cercare di far ragionare il vecchio amico. L’altro pronto allo scontro, a dar battaglia in nome di un’antica amicizia che sentiva tradita e di un amore così forte che non voleva e poteva rinunciare. - Avanti, dimmi quello che hai da dirmi e poi ti spiegherò tutto – iniziò Albert. - Voglio sentire prima te – disse Terence - Lo so che ce l’hai con me per via di Candy. Ti senti tradito, ingannato da me… ma lascia che ti spieghi. Io non volevo innamorarmi di lei, perché è la mia figlia adottiva, perché so quanto siete stati legati e quanto vi amavate… ma è successo, così, semplicemente, giorno dopo giorno… tu sai che tra me e lei c’è sempre stato un forte feeling, molti interessi in comune… poi lei ha passato momenti molto tristi, travagliati, aspettava una tua lettera, un tuo arrivo che non arrivava, l’ho vista piangere disperata quando ti vedeva su qualche giornale accanto a Susanna Marlowe, tutti dichiaravano che eravate fidanzati…. – - Io e Susanna NON siamo fidanzati…! – esclamò Terence, interrompendo l’amico con veemenza. – anche se lei si ostina a crederlo. Il fatto che non mi sia fatto vivo con Candy è dovuto al molto lavoro e al fatto che volevo avere una sicurezza economica e professionale per poterle offrire il meglio, ciò che lei si merita dalla vita… - - Ma a lei non interessano queste cose… le bastavi tu! – disse Albert – In questi mesi Candy e io ci siamo avvicinati sempre più e alla fine abbiamo scoperto d’avere molte cose in comune e mi sono accorto di amarla moltissimo. - Ma lei ti ama? – gli chiese l’amico dubbioso, speranzoso che l’altro avesse qualche titubanza. - Certamente! – lo gelò Albert. In cuor suo però sapeva che Candy gli voleva bene ma non quanto lui voleva. Ma non poteva e voleva che Terence nutrisse qualche speranza. - Cosa vuoi da me, perché non te ne vai e mi lasci in pace? – gli ringhiò il ragazzo sulla carrozzella. - Ascolta Terence. Se hai deciso di distruggerti è affar tuo. Ma se davvero vuoi bene a Candy e soprattutto a tua madre, allora reagisci! Non startene tutto il giorno rinchiuso in camera tua: esci con tua madre o qualche amico, distraiti con gli amici, leggi dei libri. Se vuoi ti aiuterò: conosco i migliori medici specialisti, ti ci porterò. – - E perché vuoi aiutarmi? Per non sentirti in colpa? E Candy che ne pensa? E’ d’accordo con te? – lo assalì di domande l’amico. Voleva vederlo confuso e in ansia. Soprattutto non si spiegava il silenzio di lei, perché non si era ancora fatta viva. Anche se ce l’aveva con lui, non era nel suo carattere comportarsi con indifferenza, non la Candy che conosceva! - Candy non sa ancora niente dell’incidente – dichiarò Albert con un sospiro. Allo sguardo sbigottito e meravigliato di Terence rispose: - Poco prima che succedesse lei è voluta partire per l’Europa, per l’Italia, come crocerossina sul fronte italo-austriaco, e lì i giornali non arrivano. Io non avrei voluto che partisse ma sai anche tu com’è fatta, quando si mette in testa qualcosa… comunque dovrebbe tornare fra poco, perché è finito il suo mandato e poi ha nostalgia di casa. - le dirai di me? – gli chiese Terence. - Come potrei non dirglielo? Ci sono i giornali e poi, anche se non ci credi, io sono tuo amico e voglio aiutarti, anche a costo di trascinarti fuori da questa camera di peso!

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Capitolo 4
*** ritorno dal passato ***


Capitolo IV RITORNO DAL PASSATO Eleanor Baker sedeva nel suo salotto pensierosa e preoccupata. Guardava fuori la neve che quella mattina aveva iniziato a cadere soffice e impalpabile su tutta la città di New York. Era autunno ma il freddo era arrivato molto presto e si preannunciava ancora lungo e pungente. Ella se ne stava seduta su una poltrona stile neo-classico, sorseggiando un the accanto al caminetto. Era una bellissima donna sui quarant’anni, dai tratti fini e delicati, dai lunghi capelli castani e dai grandi occhi blu cobalto. Indossava un elegante abito di velluto rosa antico, con le maniche a sbuffo e la gonna lunga, che cadeva perfettamente sul suo corpo slanciato e sinuoso. Nonostante la sua avvenenza e i molti corteggiatori, non si era più risposata dopo il divorzio dal duca Richard Granchester, padre di Terence. Era stato un legame forte, passionale ma anche tormentato, travagliato da problemi e incomprensioni. Lui non aveva saputo superare i pregiudizi e l’’ostracismo della sua famiglia circa le sue origini non nobili e la sua professione di attrice, preferendo alla fine rinunciare a lei ma portandosi via il bambino a Londra, nonostante le preghiere e le rimostranze di Eleanor. Ora, dopo anni di lontananza, aveva ritrovato quel figlio tanto amato, tanto bello quanto difficile. Non poteva rimproverargli il carattere scontroso e irascibile dopo avere trascorso tanti anni senza di lei, in mezzo a bambinaie e servitù, con un padre poco presente e carente d’affetti e succube della seconda moglie, che detestava apertamente quel “figlio della colpa”, considerato un errore di gioventù. Terence alla fine aveva deciso di raggiungerla e di seguire le sue orme, diventare un attore bravo e famoso, ma ora quel maledetto incidente aveva rovinato tutto e lei non sapeva come aiutarlo. Il bussare sommesso alla porta la distolse dai suoi pensieri. Entrò il maggiordomo, dopo aver ricevuto il permesso, e le mostrò un biglietto da visita, informandola che il posssessore chiedeva di vederla. Quando lesse il nome per poco non svenne. Il suo ex marito era lì, a pochi metri da lei e voleva parlarle. Perché?’ Forse per via di Terry? Forse aveva letto i giornali? La sua mente era un guazzabuglio di domande e il suo cuore batteva all’impazzata. Alla fine decise di riceverlo. L’uomo che le si presentò non era molto cambiato dall’ultima volta che l’aveva visto. Un signore alto, distinto, coi capelli grigi, con qualche ruga sul viso. Non aveva perso i modi gentili e quell’espressione seria, magnetica degli occhi, che la scombussolava quando la guardava. - Buongiorno Eleanor – le disse, porgendole la mano. Lei non rispose. Notò che la sua voce aveva una strana inflessione, tra il pensieroso, il triste e il preoccupato. - Come mai sei qui? Quando sei arrivato? – gli chiese, cercando di mantenere la calma. - Sono arrivato ieri sera da Londra. Ho preso la prima nave che salpava per New York. Volevo venire prima ma… - - Ma tua moglie te l’ha impedito? E che scusa le hai inventato? – lo aggredì lei. - Ora non parliamo di Christine. Sono venuto per Terence. Ho saputo dell’incidente dai giornali. Come sta? Cosa dicono i dottori? – - I medici non si pronunciano, dicono che fisiologicamente non ha nulla, che il suo è un problema di testa, derivato dallo shock emotivo – - Bene, in questo caso so come aiutarlo. Ho letto che c’è una nuova branca della medicina, la psicoanalisi, che studia i casi come il suo, con buoni risultati. - - E credi che Terri si lascerà aiutare da te? Ricordati che ce l’ha a morte con te. –disse Eleanor, fra il dubbioso e lo speranzoso. - Lo so, non sono stato un buon padre, ho commesso molti sbagli, primo fra tutti quello di averlo allontanato da te. Ma io ora sono qui e lui ha bisogno d’aiuto e glielo darò, che lo voglia o no. – Lei lo ascoltava stupita, non poteva credere che quell’uomo fosse lo stesso di anni prima, duro e inflessibile. Che cosa gli era successo? Cosa lo aveva fatto cambiare? - Non t’aspettare che ti salterà con le braccia al collo per la contentezza. – lo avvertì. - Non preoccuparti, sono preparato. Ma… ormai… non mi resta che lui… - dichiarò l’uomo mestamente. - Richard, ma… che vuoi dire? – gli chiese allarmata. - Portami da Terence e vi spiegherò. – disse enigmaticamente il duca di Granchester.

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Capitolo 5
*** vecchi rancori e affetti spezzati ***


Capitolo V VECCHI RANCORI E AFFETTI SPEZZATI Eleanor bussò timorosa alla stanza del figlio. Era spaventata al pensiero della reazione di Terence alla vista del padre ma non poteva impedire quell’incontro. Terence era ancora minorenne e Richard aveva tutti i diritti legali per vederlo. Inoltre sperava che tra padre e figlio si potessero chiarire tutti i malintesi e ricominciasse un nuovo rapporto di stima e fiducia, proprio come era successo tra lei e Terence e, in ultimo, sperava ardentemente che l’ex marito potesse davvero aiutare il figlio a guarire. Perciò, dopo un lungo, profondo sospiro, entrò nella stanza, facendo cenno al duca di aspettare fuori. - Ti disturbo, caro? – chiese titubante. - No mamma – rispose il ragazzo con calma. Erano trascorsi alcuni giorni dalla visita di Albert e Terence aveva ripensato alle sue parole, le aveva rimuginate, analizzate, interiorizzate. Non che l’avesse perdonato per la storia con Candy ma aveva capito che forse non diceva il falso riguardo al suo atteggiamento scorbutico e quasi autolesionista. Aveva dunque deciso di sforzarsi a cambiare o quanto meno vedere le cose con più ottimismo, perciò aveva ripreso a leggere, a vedere qualche amico, aspettando che Albert ritornasse per portarlo da qualche medico specialista, come gli aveva promesso. Vedendo la madre turbata e inquieta le chiese: - Che c’è, mamma? Perché sei così nervosa? - - Beh… ecco… fuori c’è una visita per te… ma promettimi che non ti arrabbierai… - - Perché dovrei? – chiese stupito. - Ehm… c’è… c’è tuo padre… - gli annunciò, tutto d’un fiato. - Mio padre? E perché è qui? Cosa vuole? – chiese esterefatto Terence. - Ha saputo dai giornali del tuo incidente e… vuole aiutarti. – - Aiutarmi? E come pensa di farlo? Aiutarmi… non l’ha mai fatto! – quasi urlò, e i suoi occhi blu s’incupirono, come il mare in tempesta. - Terence, non credi che un uomo possa cambiare nella vita? – gli chiese suo padre entrando in quel momento. Calò un lungo silenzio carico di tensione. Terence guardava il duca con un misto di rancore e rabbia. Non poteva dimenticare i lunghi anni di solitudine, di disperazione, di umiliazioni per elemosinare un po’ di affetto e calore umano da un padre sempre assente o comunque poco interessato a lui, a quello che voleva veramente, indifferente e distante. Il duca iniziò a parlare con voce ferma ma dopo un po’ si sentiva tutta l’emozione trattenuta a stento. - Lo so che mi disprezzi per come mi sono comportato con te. Sono stato scostante, severo, rigido, insomma un cattivo padre. Non mi perdoni l‘averti portato via da tua madre. A quel tempo mi sembrava la soluzione migliore ma ho sbagliato, e gli sbagli si pagano e anche cari… - e si fermo un attimo, pensieroso. Vedendo lo sguardo interrogativo di Terence e sua madre, continuò dopo un lungo sospiro. - Vedete, voi non potete immaginare quello che sta succedendo in Europa. E’ un immenso campo di battaglia, ogni giorno piovono migliaia di bombe sulle città, muoiono non solo migliaia di soldati, ma anche civili, donne e bambini. – a quel punto si fermò, mordendosi un labbro per non soccombere alle lagrime, che stavano per sgorgare. Non voleva mostrarsi debole e vulnerabile. Eleanor si sentì stringere il cuore. Ebbe la strana sensazione che qualcosa di terribile fosse accaduto all’ex marito ma non osò pensare a cosa. Anche Terence ebbe le stesse emozioni e si sentì rabbrividire. Aspettavano entrambi trepidanti che il duca parlasse. - Era un pomeriggio di fine marzo e io ero al castello in Scozia. – iniziò a raccontare l’uomo, quasi in trance – Christine era voluta andare a trovare sua sorella nel nord della Francia, portando i bambini con sé. Tutto è accaduto in un attimo… il rombo degli aerei… le bombe che cadevano… Mi hanno telefonato quella sera dall’ambasciata inglese in Francia, dicendomi che mia moglie, i miei figli e mia cognata con la famiglia erano rimasti gravemente feriti e l’avevano trasportati a Parigi, in ospedale… sono corso appena ho potuto… - il duca s’accasciò su una sedia, travolto dall’emozione. - Papà – osò chiedere Terence, nel silenzio interrotto solo dai singhiozzi sommessi di Eleanor - vuoi dire che… sono morti? – Richard Gramchester esitò un attimo. Raramente il figlio lo aveva chiamato papà. Poi: - Hanno lottato per mesi, i medici hanno fatto il possibile ma… non ce l’hanno fatta. – Il ragazzo chinò il capo, travolto da un mare di sentimenti contrastanti. Pur ricordando tutto il male ricevuto da quell’uomo, non poteva fare a meno di provare pena e tristezza ma si chiedeva anche se era solo il fatto di essere rimasto solo ad averlo spinto a cercarlo. La voce del padre lo distolse dai suoi pensieri. - Terry, io volevo venire prima a cercarti ma ero impossibilitato da quanto accaduto. Forse non ci crederai ma io ti ho sempre voluto bene, magari non dimostrandotelo apertamente. Ora però ho l‘occasione per dimostrarti che dico il vero. Prima di partire ho preso accordi con un professore che cura i casi come il tuo. E’ uno psicologo, uno studioso di una nuova branca medica… - - Lo so benissimo cosa studia! – lo interruppe il figlio, accigliato – Studia i matti… vuoi dire che lo sono? - chiese fremente. - No. Tu hai solo un blocco mentale, me l’ha spiegato il dottore, lui cercherà di rimuovertelo. Domani abbiamo appuntamento nella sua clinica. - E se non funzionasse? – chiese Eleanor, che era rimasta in silenzio fino allora per riprendersi dalle emozioni di quella mattina. - Proveremo con altri medici, gireremo il mondo se possibile, ma non lascerò che nostro figlio rimanga su una sedia a rotelle! -

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Capitolo 6
*** UN ATTESO RITORNO ***


  <ìalign="justify"> Capitolo VI

 

UN ATTESO RITORNO

 La nave attraccò al porto di New York in una livida mattina di fine ottobre. Sulla banchina c’era molta gente che attendeva i passeggeri, e fra essi anche Albert che sembrava molto agitato. Continuava a guardare l’imboccatura della nave, con la speranza di vederla. Aveva ricevuto il telegramma che gli comunicava il suo ritorno quel giorno ma ancora non l’aveva scorta. Ad un tratto sentì due mani delicate coprirgli gli occhi e subito capì di chi erano.

  • Candy! – esclamò felice, e l’abbracciò dandole un bacio sulla guancia. Lei ricambiò e rise divertita. Poi disse, strizzandogli un occhio – Sono scesa nascondendomi fra un gruppo di persone… volevo coglierti di sorpresa.
  •  
  • Sei sempre la solita… riesci sempre a sgattaiolare senza farti vedere, ma ti adoro anche per questo! Ora però vieni, andiamo nel mio appartamento, poi, se vuoi, andremo a Lakewood per qualche giorno di vacanza.
  •  
  • Temo non sarà possibile. Mi hanno dato solo pochi giorni, dovrò tornare al lavoro fra poco e indovina dove? Proprio qui a New York! Sai, hanno pensato che, data la mia esperienza in trincea, potessi essere più utile nel curare i soldati tornati dal fronte, colpiti da traumi psicologici. Lavorando al fronte ho scoperto che molto spesso sono le ferite dell’anima a tardare a guarire. Per questo c’è una clinica specializzata qui in città e io lavorerò lì. –
  •  
  • Capisco. – disse Albert, sentendo uno strano presentimento, un’inquietudine inspiegabile. Per un attimo pensò a Terence e questo accostamento d’idee non gli piacque affatto. Osservò Candy mentre erano seduti in auto, guidata dal fidato autista tuttofare George. La trovò bellissima come sempre, coi suoi splendenti occhi verde mare e i capelli biondi lunghissimi raccolti in una coda, con un nastro azzurro intonato col vestito e il cappotto blu. Gli sembrava dimagrita ma la sua figura era sempre armoniosa e sbarazzina al tempo stesso. Provò l’irresistibile desiderio di stringerla fra le braccia e baciarla sulla bocca, cosa che fece senza che lei opponesse molta resistenza. Dapprima furono baci teneri, sfiorati sulle labbra ancora infantili, poco abituate ai giochi sensuali: poi iniziarono ad essere più esigenti, più passionali. Candy capiva che il suo fidanzato le avrebbe chiesto, prima o poi, qualcosa in più che non semplici baci o carezze, quel qualcosa in più di cui lei non si sentiva pronta, che la bloccava, senza spiegarsene la ragione.
  •  
  • Basta, Albert! – riuscì a dire, quando comprese che il ragazzo si stava scaldando troppo. Lui s’interruppe, un po’ deluso ma non obbiettò, consapevole d’aver esagerato, considerando che non erano soli e ormai giunti a casa.

    Fece scendere la ragazza dalla macchina e l’accompagnò nella sua stanza, dicendole che si sarebbero rivisti a pranzo.

    Dopo essersi rinfrescata dal lungo viaggio, Candy si riposò sul letto pensando al suo rapporto sentimentale con Albert, a come doveva comportarsi e se era giusto lasciarlo fare liberamente. Non che fosse bigotta, tutt’altro, ma c’era qualcosa in lei che l’impediva di lasciarsi andare completamente. Eppure l’amava, ne era sicura! Come poteva non amare i suoi modi gentili, il suo carattere dolce, protettivo, la sua sicurezza e la sua bellezza non solo esteriore? Immersa nei suoi pensieri la ragazza si accorse appena in tempo che era giunta l’ora di pranzo e si preparò a scendere dabbasso.

    Anche Albert stava pensando le stesse cose e alla fine decise di fare a Candy un piccolo "esame": le avrebbe parlato di Terence, per vedere le sue reazioni, così avrebbe capito se nutriva ancora dell’affetto o amore per lui.

     

    L’aspettò in sala da pranzo, dove lei arrivò sorridente e riposata. La fece accomodare a tavola e pregò la servitù di lasciarli soli, dopo averli serviti. Il pranzo si svolse serenamente, fra chiacchiere, notizie della famiglia Andrew e amici, e racconti e aneddoti di guerra di Candy.

    Ad un certo punto Albert chiese alla ragazza:

  • Candy, sei contenta di lavorare qui a New York?
  •  
  • Beh, all’inizio mi dispiaceva lasciare Chicago, gli amici. Ma poi ho pensato a questo nuovo lavoro, di grande responsabilità… e poi New York mi piace.
  •  
  • Ti piace? Perché? – domandò l’uomo osservandola attentamente.
  •  
  • Perché è una città viva, aperta, con grandi spazi, con tanta gente di ogni nazione…. –
  •  
  • Solo questo? – l’interruppe Albert indagatore.
  •  
  • Che vuoi dire? – chiese Candy sorpresa.
  •  
  • Non sarà perché ci abita qualcuno di nostra conoscenza? – insinuò lui scrutandola.
  •  
  • Chi? - fece la ragazza curiosa.
  •  
  • Qualcuno che… lavora in teatro… - suggerì Albert. Vide la sua fidanzata sbiancare di colpo e torturarsi le mani nervosamente.
  •  
  • Vuoi dire… Terence? – domandò lei sentendosi in preda a un’agitazione inspiegabile. – Beh, anche se fosse cosa c’entra? La città è talmente grande… -
  •  
  • Ma se lo incontrassi? – propose Albert.
  •  
  • Mi comporterei normalmente, sarebbe solo un vecchio amico. –
  •  
  • Sei sicura? – la stuzzicò.
  •  
  • Cos’è? Sei geloso? – cercò di scherzare lei, facendo un sorriso tirato
  •  
  • Sì, lo sono. Ma ora il problema è un altro. – e l’uomo iniziò a raccontarle dell’incidente e tutto il resto. Candy ascoltava allibita, incapace di qualsiasi espressione. Il suo cuore era un guazzabuglio di emozioni, sensazioni che non riusciva a capire. Alla fine le lagrime scorsero giù per le guance, incapace di trattenerle. Riuscì solo a dire: - Portami da lui, ti prego, Albert. – e lui non poté che assecondarla.

    Quando giunsero a casa Baker il maggiordomo li informò che i signori erano partiti quella mattina e che non avevano lasciato detto dov’erano diretti e se sarebbero tornati.

     

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    Capitolo 7
    *** un paziente particolare ***


    Capitolo VII

     

    UN PAZIENTE PARTICOLARE

     

    Nei giorni seguenti Candy non fece che pensare a Terence. Non riusciva a non pensare a quello che gli era successo, a come poteva sentirsi e avrebbe voluto stargli vicina anche se capiva che questo avrebbe infastidito Albert, per cui non ebbe il coraggio di chiedergli di ritornare a casa Baker, né di andare da sola a chiedere notizie.

     

    Il fidanzato era dovuto partire improvvisamente per affari urgenti e non sarebbe tornato prima di qualche settimana. Lei approfittò di quei pochi giorni di vacanza per sbrigare alcune commissioni, scrivere agli amici di Chicago, a miss Pony e suor Mary e cercare di riposarsi un po’, anche se sentiva una strana sensazione d’inquietudine, che attribuiva alla novità del nuovo lavoro, nuovi colleghi, nuovo capo.

     

    Il primo giorno di lavoro arrivò e Candy si preparò con cura, voleva fare buona impressione col dottor Stevens, il suo nuovo direttore.

     

    Il St’ James Hospital non era lontano dall’abitazione che la ragazza aveva preso in affitto, nonostante le insistenze di Albert perché rimanesse nel suo appartamento di città. Voleva almeno salvare la sua reputazione e non voleva dare cattiva impressione nel suo nuovo posto di lavoro.

     

    Arrivò all’ospedale in orario e la prima impressione fu di pulizia, ordine e serenità. La presentarono al direttore e lei si sorprese nel constatare quanto fosse giovane e di bell’aspetto. Sulla trentina d’anni, coi capelli castano chiaro, portati non tanto corti, alto e ben fatto, aveva un’aria allegra e sorniona. Sotto lo sguardo invitante si intuiva una grande professionalità e una profonda conoscenza dell’animo umano.

     

    Anche lui fu colpito dalla giovinezza, bellezza e modi di fare della neo infermiera. Si aspettava una donna più matura, meno avvenente, una di quelle arcigne e bisbetiche inservienti, ma professionalmente impeccabili. Aveva dato un’occhiata al suo curriculum lavorativo ma non ai suoi dati anagrafici e questo lo preoccupava per l’effetto che poteva avere sui suoi pazienti, quasi tutti di sesso maschile.

     

     

  • Signorina Andrew, sono molto lieto di conoscerla – disse il dottore, stringendole la mano – le sue referenze sono ottime ma non credevo fosse così giovane e carina. –

     

     

  • Anche io credevo che lei fosse un vecchio signore calvo e panciuto. – e risero allegramente. Poi lui le disse:

     

     

  • Ora le mostro la clinica e i pazienti. Sa, qui abbiamo quasi tutti reduci d guerra. Molti pensano che siano matti. In realtà soffrono di incubi e hanno perso l’equilibrio psico-fisico. – e così dicendo le mostrava i vari reparti e la presentava a tutti quelli che incontravano.

     

     

    Avevano quasi finito il giro delle sale quando il dottor Stevens si fermò davanti ad una porta e le annunciò: - ora le presento un paziente particolare. Lui non è un reduce. – e così dicendo bussò alla porta. Quando entrarono Candy notò la stanza luminosa, spaziosa e arredata con gusto. E per poco non svenne quando lo vide, di

    profilo, quei suoi capelli lunghi e setosi, quei lineamenti inconfondibili.

     

     

  • Signor Granchester, le presento la signorina Candice Andrew, nostra nuova infermiera. – gli annunciò il dottore. Il ragazzo lasciò cadere il libro che stava leggendo e i loro sguardi s’incontrarono per un tempo interminabile. Sorpresa, felicità, timore, speranza, i loro cuori battevano all’impazzata in mezzo a sentimenti contrastanti.

     

     

    Stevens notò lo sguardo dei due e capì, da uomo esperto, indagatore dell’animo umano, che c’era qualcosa di speciale fra loro.

     

     

  • Ciao Candy – disse Terence, che fu il primo a riprendersi. La sua voce era calma e melodiosa nonostante la tensione.

     

     

  • Vi conoscete? – chiese il dottore non sorpreso.

     

     

  • Sì, eravamo compagni alla Royal St’ Paul School di Londra qualche anno fa ma poi ci siamo persi di vista. – spiegò il ragazzo non togliendo lo sguardo da Candy, che sembrava ipnotizzata e incapace di profferire parola.

     

     

  • Bene, allora avrete modo di riprendere i vostri rapporti. Ma ora signorina Andrew dobbiamo andare, devo spiegarle alcune cose riguardo il suo lavoro. - fece Stevens che intuiva lo stato emotivo della ragazza e voleva toglierla da quella situazione imbarazzante.

     

     

  • Sì, sì dottor Stevens. – mormorò Candy. Ma prima di andarsene disse: - Terence, mi fa piacere averti rivisto. Tornerò più tardi. Abbiamo tante cose di cui parlare. -
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    Capitolo 8
    *** gelosie ***


    Capitolo VIII

     

    GELOSIE

     

    Quando furono nell’ufficio di Alex Stevens il dottore guardò Candy. Notò che la ragazza era ancora sconvolta da quell’incontro col suo paziente più facoltoso ma anche più difficile.

     

    Per lui Terence Granchester rappresentava una sfida. Non era il solito reduce di guerra, vittima di incubi e fobie dovuti agli orrori dei campi di battaglia. Egli non aveva nessuna delle patologie classiche assegnate ai deboli di mente; non soffriva di brutti sogni, anche se ne aveva uno ricorrente, riguardante l’incidente a teatro: non aveva manie strane o tic stravaganti. I suoi sintomi erano dovuti a uno shock emotivo, ad un "blocco" inconscio, dovuto a una forma d’isteria, forse causata da un trauma infantile.

     

    Stevens aveva studiato psicologia nelle più grandi "scuole" europee, da quella tedesca di Wundt° a quella russa di Pavlov°, per finire con la psicanalisi di Sigmund Freud, il cui metodo e procedimento richiedeva tempo e pazienza da parte di medico e paziente.

     

    Anche se lo conosceva da pochi giorni il dottore aveva imparato a conoscere il carattere ombroso, irascibile, scontroso del giovane attore. Intuiva peraltro che dietro i suoi modi irriverenti e spavaldi si nascondeva un animo sensibile, con un grande bisogno d’affetto, e un’intelligenza viva ed eclettica.

     

    L’arrivo della nuova infermiera prospettava a Stevens un nuovo scenario emotivo e psicologico su cui lavorare con Terence. il rapporto tra i due ragazzi non era di semplice amicizia, di questo ne era sicuro, e ciò poteva portare nuovi stimoli nel processo di guarigione.

     

    Il dottore fece accomodare Candy e le versò un bicchiere d’acqua che le porse scrutandola. Era pallida e faceva di tutto per controllare l’agitazione, che non accennava a lasciarla.

     

     

  • Non s’aspettava di vederlo, vero? – le chiese a bruciapelo Stevens.
  •  

     

  • Come?’ - Per un attimo lei non comprese la domanda poi cercò di dare una risposta convincente. – Beh, non in un posto come questo. –
  •  

     

  • Qui curiamo vari traumi psicologici. Ma non sapeva del suo incidente a teatro? Ne hanno parlato tutti i giornali –
  •  

     

  • Vede, quando è successo ero a lavorare al fronte, in Europa, e li non c’era tempo per leggere. Sono tornata pochi giorni fa e mi ha accennato qualcosa il mio fidanzato. –
  •  

     

  • Ah, è fidanzata? – chiese. l’uomo.
  •  

     

  • Sì, perché è così sorpreso? – domandò Candy stupita.
  •  

     

  • No, niente, niente… in effetti, una bella ragazza come lei è logico che abbia qualcuno che le voglia bene. – questa notizia aveva ridisegnato il quadro che Stevens si era fatto e gettava nuove prospettive terapeutiche. La voce dell’infermiera lo distolse dai suoi pensieri.
  •  

     

  • Dottor Stevens, pensa che Terence… il signor Granchester potrà guarire? –
  •  

     

  • In questo campo non ci sono certezze assolute. Molto dipende dal paziente, dalla sua voglia di guarire, dagli stimoli giusti. Io penso che lei signorina, potrà essere un buon incentivo alla guarigione del suo amico. – concluse il dottore con aria sorniona.
  •  

     

  • Io? Perché io? – chiese la ragazza sgranando gli occhi.
  •  

     

  • Voi siete amici, vi conoscete da tempo. A volte fa piacere vedere e parlare con qualcuno già conosciuto piuttosto che con un estraneo, soprattutto in luoghi come questo. – spiegò Stevens, che non voleva che Candy capisse che lui intuiva i reali sentimenti che provavano i due ragazzi. Dopodiché disse: - ora le dirò le sue mansioni in questo ospedale. – e parlarono per molto. Candy ascoltava attenta,, cercando di non distrarsi pensando a Terence. Venne l’ora delle visite e il primario le disse di avvisare il signor Granchester di tenersi a disposizione.
  •  

     

    Col cuore in subbuglio Candy bussò alla porta della camera di Terence ed entrò, quando lui le diede il permesso. Entrando vide che non era solo. C’era Susanna che rimase sorpresa nel vederla, tuttavia la salutò con cortesia.

     

     

  • Scusate, non volevo disturbare, sono venuta per avvisare che tra poco verrà il dottor Stevens. – Disse Candy con un filo di voce. Sentiva uno strano malessere, un fastidio indecifrabile nel vedere quella ragazza accanto a Terence, e non capiva il motivo. O meglio, aveva paura di scoprirlo.
  •  

     

  • Bene, tanto stavo per andarmene, ho le prove fra poco. – disse l’attrice, che diede un bacio sulla guancia al ragazzo e corse via.
  •  

     

    Rimasero soli. Ognuno perso nello sguardo dell’altro erano incapaci di proferir parola. Per darsi un contegno, alla fine Candy si mise a guardare la cartella clinica voltandogli le spalle.

     

     

  • Perché l’hai fatto, Candy? – All’improvviso la voce di Terence risuonò tagliente nella stanza.
  •  

     

  • Che cosa? – chiese lei fingendo noncuranza.
  •  

     

  • Perché ti sei fidanzata con Albert? – e vedendo che non rispondeva le afferrò una mano. Candy cercò di ritrarla ma inutilmente. Alla fine sbottò: e perché non avrei dovuto farlo? Lui mi è sempre stato vicino, mi ha aiutato… lui mi vuol bene, mi ama… - diceva queste cose con forza, quasi volesse convincere se stessa.
  •  

     

  • E tu? Tu lo ami? – lui non sembrava volesse lasciarle la mano, che anzi stringeva sempre più forte.
  •  

     

  • Io… sì, certo… e poi, cosa vuoi da me Terence? saresti forse geloso? E con che diritto? Non hai Susanna che ti sta vicino? – la sua voce era stridula, quasi gridava.
  •  

     

  • Ora sei tu la gelosa. – dichiarò lui sorridendo, e così dicendo l’attirò a sé e le loro labbra si sfiorarono. Fu un bacio dapprima lieve, timido, poi sempre più audace, passionale. Candy si lasciava guidare dall’impeto di lui, che diventava ancora più esigente.
  •  

     

    Si staccò da lui con uno sforzo sovrumano, senza forze, col respiro affannato e una gran confusione in testa.

    Terence la lasciò andare a malincuore ma le disse: - Hai capito con che diritto? Io ti amo, ti amo da morire e impazzisco di gelosia quando penso che stai con lui…! E tra me e Susanna non c’è niente. Solo amicizia. –

     

    Candy voleva replicare qualcosa ma l’arrivo di Stevens la fermò. Rossa in viso si scusò e uscì, sotto lo sguardo divertito del suo principale.

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    Capitolo 9
    *** la sera della prima ***


    Capitolo IX

    LA SERA DELLA PRIMA

    Nei giorni che seguirono Candy fu molto occupata ad imparare le sue nuove mansioni in quell’ospedale. Il primario e i colleghi erano ben disposti ad insegnarle e lei ci metteva tutta la sua buona volontà. I suoi compiti richiedevano attenzione e competenza, cose di cui lei non difettava. Oltre a doversi occupare dell’igiene personale dei pazienti, doveva anche controllarne lo stato psico-fisico, somministrare le medicine, aiutarli durante i pasti e in altre funzioni. Doveva inoltre redigere le cartelle cliniche e compilare relazioni con eventuali variazioni emotive, da sottoporre al professor Stevens.

    La sera rientrava a casa talmente stanca che non riusciva a pensare quasi a niente. Nei pochi momenti liberi doveva riordinare la casa e fare commissioni. Non aveva avuto più modo di vedere Terence da solo perché c’era sempre qualcuno: o qualche collega, o i suoi genitori, o Susanna oppure il primario. Quando lo vedeva lei cercava di non guardarlo negli occhi anche se sentiva lo sguardo del ragazzo su di se e non poteva dimenticare il bacio che le aveva dato, né quello che le aveva detto. Si sentiva confusa, combattuta, come una nave sballottata fra le onde, non sapendo bene cosa provasse per lui. Quando sentiva Albert ogni sera al telefono si sentiva sicura dei suoi sentimenti, del suo amore per lui. Eppure… eppure, quando si soffermava a pensare a Terence, un’inquietudine strana, mista a una calda melanconia, la prendeva e non la lasciava più.

    Una sera il dottor Stevens la fece chiamare. Lo trovò seduto alla sua scrivania con aria assorta e pensierosa.

  • Candy, abbiamo un problema. Lei non ha visto il signor Granchester in questi giorni, vero? – le chiese preoccupato.
  •  
  • No. – disse la ragazza, messa subito in allarme dal tono e dalle parole del primario. – ero in ferie. Cosa succede a Terence? –
  • Ecco… da alcuni giorni si comporta in modo strano. E’ più nervoso, intrattabile del solito. Non collabora alla terapia, non vuole le medicine e non mangia quasi niente.
  •  
  • E’ accaduto qualcosa di particolare in questi giorni? – Candy pensava che lo stato d’animo del ragazzo fosse dovuto al suo comportamento, che lo aveva evitato accuratamente in tutto quel tempo.
  • Stevens prese un giornale dalla scrivania e glielo porse. Era aperto sulla pagina degli spettacoli e c’era un foto di Susanna Marlowe con Ryan Swanton, il sostituto di Terence, e la didascalia diceva: Stasera la compagnia teatrale Stratford presenterà la sua ultima produzione, il "Romeo e Giulietta" di Wiliam Shakespear… Candy guardò il dottore con tristezza, poi disse: .- Cosa possiamo fare? –

  • Direi piuttosto cosa può fare lei. Penso che ha un grande ascendente su Terence e può aiutarlo a superare questo momento molto difficile. –
  •  
  • Io non saprei… crede che dovrei andare da lui? – chiese ansiosa. Stevens annuì e aggiunse: - Credo che riuscirà dove io ho fallito. –
  • Il cuore di Candy batteva forte quando bussò alla porta della camera di Terence. quando entrò senza avere avuto risposta, lo trovò seduto sul tappeto davanti al camino, che fissava il fuoco scoppiettante. Senza voltarsi lui capì chi era entrato. Lo capì dal profumo di rose e mughetto che si era sparso nella stanza, dal tocco leggero della mano di lei sulla sua spalla.

  • Che ci fai qui, Candy? Non sono in vena di vedere nessuno, vattene via! –
  •  
  • Terence, siamo preoccupati per te. Sono giorni che te ne stai rinchiuso in questa stanza, che non mangi e non rispondi alla terapia. – gli spiegò la ragazza dolcemente.
  •  
  • Lo sai che giorno è oggi? – le chiese accorato, sempre lo sguardo rivolto al fuoco.
  •  
  • Lo so… - rispose lei guardandolo, mentre si accomodava accanto a lui. Non sapeva cosa dire, come confortarlo. Notò che era pallido, dimagrito e il suo cuore ebbe una fitta lancinante.
  •  
  • Non vuoi proprio mangiare niente? Ti preparo io qualcosa, se vuoi. –
  •  
  • Che vuoi che me ne importi di mangiare ora? Non riesco a muovere queste gambe, sono inchiodato su quella maledetta carrozzella… stasera doveva essere il mio trionfo e invece… la mia vita non vale più nulla! - e così dicendo stringeva i pugni, battendoli sul tappeto e alla fine, sfinito, si lasciò cadere singhiozzando disperato, con le mani sul viso.
  • Candy non riuscì più a resistere. Si chinò su di lui carezzando dolcemente il suo volto bagnato di lagrime. Poi si guardarono intensamente, gli occhi verdi smeraldo persi in quelli blu cobalto di lui ed a un tratto le loro labbra si attrassero, come calamite, e iniziarono a cercarsi, a conoscersi. Le loro mani cercavano il corpo dell’altro, sempre più ansiosamente, e il loro respiro sempre più affannato, ansimante.

    Terence cominciò a baciarla sul collo e poi la liberò dei vestiti, mentre Candy faceva altrettanto con lui. Era un reciproco scambio di carezze e baci su tutto il corpo. Lei sentiva dei brividi di piacere attraversarle la schiena, qualcosa mai provato prima. Lui la sentiva gemere e sospirare e quando capì che era pronta per essere sua completamente l’afferrò per i fianchi, l’attirò su di se e la penetrò dolcemente. Candy sentì prima un dolore forte, poi una sensazione di benessere inimmaginabile, tanto che si lasciò sfuggire un grido soffocato e iniziò a muovere ritmicamente il bacino, sempre più velocemente, fino a che entrambi non furono esausti.

    Fuori la neve cadeva fitta ma essi non sentivano freddo, abbracciati teneramente davanti al camino di quella stanza che si era trasformata in una calda e accogliente alcova.

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    Capitolo 10
    *** Amori ***


    Capitolo X

    AMORI

    L’alba li sorprese addormentati davanti al camino ancora acceso. La notte era trascorsa senza che se ne accorgessero, immersi com’erano in un mondo tutto loro, fatto di sguardi intensi, parole sussurrate, baci rubati e resi con fervore, amplessi appassionati. Si erano lasciati andare ad una passione sfrenata e incontrollabile e alla fine caddero tra le braccia di Morfeo stanchi ma appagati.

    Terence si svegliò per primo e guardò Candy che dormiva accanto a lui. L’amore l’aveva resa ancora più bella se possibile ed egli si chiese come era possibile che il destino gli avesse riservato una gioia così grande. Lei gli aveva donato la sua purezza, il suo candore, e lui l’aveva ricambiata con tutto l’amore e la passione di cui era capace. Nessuna donna lo aveva "preso" come Candy. Sì, l’aveva amata fin dalla prima volta che l’aveva vista sul ponte di quella nave che li portava a Londra. Il rincontrarla al college era stata una piacevole sorpresa e non aveva fatto altro che confermare quel suo sentimento. Quando aveva lasciato la St’ Paul School e aveva iniziato a lavorare in teatro a New York si era ripromesso di cercarla, per chiederle di sposarlo, prima di quel maledetto incidente. Già, l’incidente. Questo cambiava tutto.

    Ad un tratto si sentì triste, desolato. Si chiese se era giusto volere Candy accanto a sé nelle sue condizioni, condannarla a una vita vicino a un invalido, farle fare l’infermiera ad oltranza. No, non era corretto. Se davvero l’amava non poteva, non voleva costringerla a stare con lui. Il dottor Stevens diceva che era questione di tempo, che avrebbe ripreso a camminare prima o poi ma lui non voleva ipotecare il suo futuro con lei, non in quelle condizioni. Chi ama davvero vuole la felicità dell’altro, non si lascia sopraffare dall’egoismo, e lui sentiva che doveva lasciare Candy libera, libera di farsi una vita, una famiglia, magari con un uomo che l’amava quanto lui. Sarebbe stato molto difficile convincerla ma lui ormai era risoluto, deciso. Si maledisse d’essersi lasciato andare così oltre con Candy quella notte, non sopportava che lei lo ritenesse un seduttore o, peggio ancora, un approfittatore. Avrebbe chiesto al dottore d’essere trasferito nell’altra clinica che lui dirigeva fuori città, o se poteva continuare la cura a casa.

    Immerso in questi pensieri sentì che la ragazza si stava svegliando. Si decise allora a rivestirsi in fretta e quando Candy aprì gli occhi lo vide seduto sulla carrozzella, intento a bere una tazza di tè con aria pensierosa.

  • Buongiorno tesoro – lo salutò e, vedendo che era ancora nuda, si affrettò a vestirsi anche lei. – Devo sbrigarmi, fra poco comincia il mio turno di lavoro. E’ molto che sei sveglio?
  •  
  • Da un po’ – rispose lui serio.

    Candy gli si avvicinò e chinandosi lo baciò timidamente sulla bocca. Facendo uno sforzo immane lui l’allontanò da sé. Poi, vedendo la faccia sorpresa di lei: - Candy, ascolta, devo parlarti. – gli costava una fatica immensa restare calmo ma doveva farlo.

  • Che c’è Terence? Ho sbagliato qualcosa? – chiese la ragazza allarmata.
  •  
  • No Candy. Sono io che ho sbagliato – disse lui tristemente.
  •  
  • Ma… non capisco… - fece lei confusa.
  •  
  • Questa notte è stata la più bella della mia vita e credimi non la dimenticherò mai, mai. Però mi sono lasciato andare troppo oltre, non dovevo permettere che accadesse… -
  •  
  • Ma l’ho voluto anch’io! Non devi sentirti in colpa per questo. Se è per via di Albert, non preoccuparti, gli parlerò, lui capirà… - lo interruppe lei agitata.
  •  
  • No, non è per lui Candy. Lo so che capirebbe, Albert è un uomo comprensivo, altruista. Ma per una volta voglio esserlo anch’io. Non sai quanto mi costi dirti queste cose ma sento che devo farlo. Se non fossi inchiodato su questa carrozzella ti avrei chiesto di sposarmi ma ora… -
  •  
  • Ma ora cosa? Cosa te lo impedisce? Credi forse che cambia qualcosa per me, che tu cammini o no? – chiese Candy con l’animo in subbuglio e una gran voglia di piangere.
  •  
  • Forse ora no ma col tempo ti stancheresti d’avere un marito invalido. –
  •  
  • Tu… tu non mi ami! – proruppe lei singhiozzando disperata.

    Facendo violenza su se stesso per non abbracciarla e sommergerla di baci, la prese per le spalle e guardandola negli occhi le disse: - è proprio perché ti amo che non voglio legarti a me! Che vita ti offrirei? Dovresti fare l’infermiera a vita e io non voglio essere un peso per te. Se avremmo dei bambini, che razza di padre sarei se non potrei giocare, saltare, correre con loro? Alla fine odierei me stesso, per essere stato un egoista e averti voluto incatenare a me, e odierei anche te, perché non ti sei opposta a tutto ciò. No Candy, tu meriti di essere felice e con me non lo saresti. –

  • Cosa ne sai di quello che è meglio per me? Dei miei sentimenti? Ti sei chiesto se sarei felice con un altro? E poi, chi ti dice che resterai invalido per sempre? – lo aggredì la ragazza esasperata
  •  
  • E chi ti ha detto che guarirò? Sì, il dottor Stevens è fiducioso ma non me l’ha garantito. Non posso, non voglio ipotecare la vita con te in queste condizioni. E’ meglio che resti con Albert, lui è l’uomo giusto, è generoso, altruista, comprensivo e ti ama. Credimi, è meglio così. E ora non voglio più discutere. Non sai quanto mi odio di farti soffrire così, soprattutto dopo quello che è successo stanotte. Non piangere Candy… non lo merito. – finì Terence spossato.
  •  
  • Puoi impedirmi di vederti, di starti vicino, non puoi impedirmi di amarti! – gridò Candy voltandosi per aprire la porta. La richiuse alle sue spalle, chiudendo gli occhi, col cuore in tumulto, che batteva a mille.

    Quando Candy uscì dalla stanza Terence si lasciò cadere sulla spalliera senza forze, sentendosi come se avesse combattuto una battaglia lunga, estenuante. Chiuse gli occhi e finalmente le lagrime sgorgarono e lui le lasciò scivolare copiose.

    ***

    Quella mattina Eleonor Baker stava aspettando impaziente nel suo salotto Richard Granchester. Le aveva telefonato dicendole che le doveva parlare.

    Finalmente si aprì la porta e lui entrò distinto ed elegante come sempre. Doveva esserci abituata alla sua avvenenza virile e sensuale ma ogni volta che lo vedeva il suo cuore cominciava a fare le bizze e lo stomaco le si attorcigliava con dolore.

  • Buongiorno Eleonor – disse il duca baciandole la mano. Il tocco lieve delle sue labbra sulla pelle le provocò un brivido lungo la schiena.
  •  
  • Buongiorno Richard. – rispose lei timidamente.
  •  
  • Hai letto i giornali stamattina? Parlano del "Romeo e Giulietta" della compagnia Stratford, dove avrebbe debuttato Terence. –
  •  
  • Sì, li ho letti. Sembra che non abbia entusiasmato gran che, soprattutto l’interpretazione di Ryan Swatson, il sostituto di Terry. Sono sicura che lui avrebbe reso un Romeo indimenticabile e avrebbe avuto un successo strepitoso. – disse orgogliosamente Eleonor.
  •  
  • Cuore di mamma… - la punzecchiò con tono ironico l’ex marito.
  •  
  • No, non è perché è mio figlio. Non sai come si trasforma quando è sul palco. Ha il teatro nel sangue. – gli rispose la donna con veemenza.
  •  
  • Proprio come te. – costatò Granchester pensieroso.
  •  
  • Ma ha anche il tuo orgoglio e la tua testardaggine. – disse Eleonor. – Ma perché mi devi parlare? Di cosa? –
  •  
  • Ecco… ho pensato molto in questi giorni, a Terence… a te… a noi. – l’uomo sembrava in imbarazzo, come se non trovasse le parole. Poi continuò: - Sono preoccupato per Terry. Non dà segni di miglioramento, è sempre più depresso e magro. Ieri ho parlato col dottor Stevens, ha convenuto con me che forse un cambiamento di luogo e ambiente gli farebbe bene. Ha detto però d’aspettare ancora qualche giorno, non so perché. Io intanto mi sono mosso. Ho trovato un bel posto in montagna nel Vermont, a Stratton Mountain e lì trascorreremo le feste natalizie e anche oltre. –
  •  
  • Trascorreremo…? – lo interruppe Eleonor sorpresa.
  •  
  • Sì. Io, te e Terence. Penso che gli farebbe bene vederci insieme, come una famiglia. –
  •  
  • Perché vuoi dargli questa illusione? Noi non siamo più una famiglia, da molto tempo ormai. – disse la donna confusa -
  •  
  • Io spero che non sia solo un’illusione. Ascolta Ellie, ho fatto molti sbagli nella mia vita, il più grosso è stato lasciarti. Ma ero accecato dalle convenzioni sociali, dai pregiudizi, dall’orgoglio. Ma di una cosa devi essere certa. Non ho mai smesso di amarti. Sei sempre stata nei miei pensieri, ho seguito la tua carriera e andavo a vederti a teatro, quando venivi in tourneè a Londra. Ultimamente avevo deciso di lasciare mia moglie, di chiedere il divorzio e di tornare da te, se tu mi avresti voluto ancora. Ecco, ora te lo chiedo: mi vuoi ancora? – concluse tutto d’un fiato il duca, avvicinandosi all’attrice.
  •  
  • Oh, Richard! – esclamò, portandosi le mani sul viso, incapace di dire altro mentre le lagrime le sgorgavano spontanee. Lui l’abbracciò teneramente e la lasciò piangere finché lei gli disse: - Dovrei odiarti per tutto il male che mi hai fatto, per tutte le umiliazioni subite e per come hai trattato nostro figlio. Ma non ci riesco, non ci sono mai riuscita, il mio cuore si è sempre rifiutato. -

    Richard la interruppe avvicinando il suo viso e dandole un bacio dolce e cauto sulle labbra. Lei lo ricambiò e dopo gli chiese: - Ma hai pensato a Terry? Cosa gli diremo?

  • Terence è grande ormai, se ha amato o ama una certa ragazza che ho visto in ospedale allora capirà. -
  •  
  • Ma di chi parli? Di Susanna, la sua collega? – domandò Eleonor curiosa.
  •  
  • No. Di Candy, l’infermiera bionda con le lentiggini. Sai, loro erano insieme alla Royal St’ Paul School. E’ stata lei a dirmi di non ostacolare Terry nel suo proposito di diventare attore. –
  •  
  • L’ha capito meglio di te. – sentenziò l’attrice sorridendo.
  •  
  • Già. La forza dell’amore. – e così dicendo la baciò di nuovo, con più passione.
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    Capitolo 11
    *** piaeevoli sorprese ***


    Capitolo XI

    PIACEVOLI SORPRESE

    Quello stesso giorno Terence ricevette la visita dei suoi genitori. Li trovò stranamente tranquilli e con un’aria vagamente sognante. Intuì che c’era qualcosa di nuovo e quasi si rallegrò al pensiero di quello che poteva essere. Pensò dopotutto che almeno loro avevano il diritto di essere finalmente felici, nonostante il comportamento discutibile del padre. Perciò non si sorprese più di tanto quando il duca, un po’ imbarazzato, gli annunciò che lui e sua madre avevano deciso di tornare insieme. Eleonor era rossa in viso e sembrava sulle spine, temendo la reazione del figlio.

    Il ragazzo sospirò profondamente e con un sorriso triste disse. – Se me l’avessi detto qualche anno fa ti avrei preso a pugni, ma ora… sono cambiate molte cose. L’unica cosa che pretendo da te è che tu faccia felice la mamma. –

  • Stai tranquillo, su questo non devi avere dubbi. Non farò lo stesso errore, non sarò così pazzo un’altra volta. Mi sorprende però il tuo atteggiamento. – disse il padre stupito.
  •  
  • L’hai detto tu stesso, un uomo può cambiare. Mi sono convinto che ognuno debba cercare di essere felice e se voi lo siete non sarò certo io a impedirvi di esserlo. – proruppe Terence, con un velo di malinconia nella voce.
  • I suoi si guardarono e alla fine la madre disse: - Sono sicura che un giorno lo sarai anche tu, tesoro… - ma s’interruppe, vedendo l’espressione melanconica del figlio.

    L’ex marito le fece cenno di non continuare e cambiando argomento, illustrò a Terence i suoi progetti di portarlo in montagna con loro. Restò alquanto meravigliato dalla reazione del figlio, che proruppe:

  • Oh, sì, papà! Portami via da qui, non ne posso più di stare in questo posto! – e mentre diceva ciò bussarono alla porta ed entrò Candy. I due ragazzi si guardarono per un lungo istante. Gli occhi di lei tradivano una supplica accorata, quelli di lui una risoluzione, una decisione irremovibile, mista al desiderio di mandare tutto al diavolo e baciarla con passione. Ma si trattenne, per quel malefico vizio d’orgoglio che lo attanagliava, che lo imprigionava. E così l’infermiera disse:
  •  
  • - Scusate se vi disturbo. Il dottor Stevens vi vuol parare, verrà fra poco. – e fece per andarsene ma il duca la salutò cordialmente, ricordandole il loro colloquio a Londra.
  • La ragazza cercava di rispondere con calma ed essere disinvolta, ma tradiva un certo imbarazzo. Terence restava zitto e si chiedeva che cosa il padre aveva in mente. E non poté fare a meno di sgranare gli occhi quando disse:

  • Signorina Andrews, noi andremo nel Vermont per qualche mese. Ci farebbe molto piacere se lei ci raggiungesse per le feste di fine d’anno, magari con altri amici. – Ora toccò a Candy spalancare i suoi grandi occhi verdi, guardando sbigottita ora il duca, ora Terence. Alla fine si riprese in qualche modo e rispose confusa:
  •  
  • Ehm… la ringrazio signor Granchester, ma non credo che potrò… probabilmente le passerò a Chigaco. – e così dicendo uscì, mentre entrava il dottor Stevens.
  • Dopo qualche giorno Terence partì coi suoi genitori, alla volta del Vermont, non sapendo che il destino gli serbava grosse sorprese.

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    Capitolo 12
    *** vacanze natalizie ***


    Capitolo XII

     

    VACANZE NATALIZIE – 1° parte

     

    Stratton Mountain era un bel paesino di montagna, situato nel sud del Vermont, nella contea di Windham, a circa 1200 metri d’altitudine. Luogo per gli amanti della montagna e dello sci, durante le feste di fine anno si riempiva di sciatori che contribuivano a rendere l’atmosfera più allegra e gioiosa.

     

    I Granchester avevano affittato un grande chalet appena fuori il paese, con un salone, cucina grande, quattro camere da letto con relativi bagni, mansarda e dependance per la servitù. Intorno c’era un grande giardino che confinava con la foresta di abeti e conifere.

     

    Terence e i suoi genitori erano arrivati nei primi giorni di dicembre, trovando un paesaggio imbiancato e surreale, molto bello e suggestivo.

     

    Eleonor si occupava della cucina, non avendo voluto portarsi dietro la servitù, e per il riordino della casa avevano assunto una donna del posto. L’attrice era un’ottima ed insospettabile cuoca e si divertiva a preparare i piatti più deliziosi per i suoi due uomini o per qualche occasionale ospite.

     

    Il duca, dal canto suo, faceva di tutto per distrarre il figlio e farlo divertire. Pur essendo un provetto sciatore evitava di andare sulle piste, per non rattristare il ragazzo, ma Terence gli assicurò che non gli pesava vedere sciare, così un paio di mattine a settimana andavano tutti e tre sulle piste e quando non sciava metteva Terry su uno slittino e lo portava in giro, divertendosi come due ragazzini ad andare su e giù per la montagna.

    Nel pomeriggio facevano lunghe passeggiate in calesse o per il paese, nei mercatini o negozietti in cerca di regali e souvenirs.

    Alla sera, se non c’erano ospiti, andavano presto a letto, stravolti da giornate tanto intense.

     

    Terence era talmente frastornato da tante emozioni ed attenzioni che non aveva più tempo per pensare. Quando restava solo nella sua stanza si sentiva così inaspettatamente, sorprendentemente contento da non riuscire quasi a formulare pensiero. Non ricordava d’essersi mai sentito così coccolato e amato in vita sua, e questo gli faceva naturalmente piacere, non importava se c’era voluto l’incidente. Certo, pensava a Candy di continuo ma anche se l’amava disperatamente sperava che col tempo si rassegnasse e si facesse una vita con Albert. E pensava al suo futuro. Cosa avrebbe fatto se non fosse riuscito più a camminare? Se lo chiedeva continuamente e per la testa gli frullavano alcune idee ma per il momento non voleva parlarne con nessuno.

    Anche Eleonor e Richard erano felici di vedere il figlio più tranquillo e sereno, nonostante il problema alle gambe. Ed erano felici per il loro amore, che cresceva ogni giorno di più.

     

    Una sera Richard bussò delicatamente alla porta della donna e la trovò seduta davanti allo specchio, che si spazzolava i lunghi capelli biondi. Lui si avvicinò cautamente e le diede un bacio sul collo, poi le sussurrò: - Lo sai che sei ogni giorno più bella e io ti amo sempre di più? – e così dicendo tirò fuori dalla tasca della vestaglia una scatoletta di velluto rosso e gliela porse. Quando l’aprì Eleonor non poté trattenere la sorpresa. Dentro c’era un meraviglioso anello d’oro bianco, con un diamante al centro e intorno tanti piccoli zaffiri blu come i suoi occhi. Allora lui le prese la mano sinistra e le infilò l’anello domandandole: - Mi vuoi sposare, Ellie? – Lei rispose tra le lagrime: - Sarei pazza a dirti di no. – E si baciarono calorosamente, dando libero sfogo alla passione.

    Più tardi, abbracciati nel grande letto di ferro battuto, sentivano i loro cuori battere forte. Se ne stavano in silenzio, timorosi di rovinare quel momento magico. Poi il duca si decise a parlare e disse: - Ho chiesto a Terry di farmi da testimone di nozze e lui ha accettato con gioia. Ci sposeremo dopodomani. – E guardò divertito l’espressione sconcertata di lei. – Ma come dopodomani? E’ la vigilia di Natale… e io non sono pronta… non ho l’abito adatto…! –

     

     

  • Non preoccuparti, ho provveduto a tutto. Ascolta tesoro. Penso sia inutile rimandare questo passo. Non ci sono ostacoli che ce lo impediscono, e poi voglio regalare a Terence il natale più bello della sua vita, quello che non ha mai avuto, col calore di una famiglia finalmente unita. – E così dicendo sorrise dolcemente.
  •  

     

    Due giorni dopo si sposarono nella piccola chiesa del paese. Fu una cerimonia semplice ma toccante. Pur non essendo al loro primo matrimonio i due sposi erano emozionati come due giovani, anche per la presenza del figlio, che però lanciava loro sguardi dolci e rassicuranti.

     

    Il giorno di Natale trascorse serenamente, con tutta la famiglia Granchester riunita assieme ad alcuni amici, ai colleghi e all’impresario di Eleonor, che il neo marito aveva invitato per il matrimonio.

     

    Furono due giorni intensi, indimenticabili per Terence, anche se nei suoi occhi restava un velo di tristezza, anche nei momenti più gioiosi e sereni.

     

    ***

    Questo capitolo è diviso in due parti.


     

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    Capitolo 13
    *** vacanze natalizie 2° parte ***


    VACANZE NATALIZIE 2° Parte

     

    Candy non aveva avuto molto tempo per pensare al Natale. Avrebbe voluto trascorrerlo alla casa di Pony, l’orfanotrofio dov’era cresciuta, assieme a miss Pony e suor Mary. Avrebbe voluto rivedere Annie, Archie, Patty, Tommy e Gimmy, i suoi amici più cari, oltre naturalmente ad Albert. Sentiva di avere bisogno di lui, ora più che mai, ma nello stesso tempo aveva paura. Temeva la sua reazione quando avesse saputo di lei e Terence, temeva il suo giudizio, la sua disapprovazione e la sua delusione. Il pensiero di averlo deluso, ancora di più, le era insopportabile e non le dava pace. Non che fosse pentita di quello che aveva fatto, non rinnegava nulla di ciò che aveva provato e l’avrebbe fatto ancora, se possibile. Terence l’aveva fatta sentire amata, desiderata, una vera donna insomma. Ma ora non sapeva cosa fare, come comportarsi col fidanzato, se doveva restare con lui, come le aveva detto Terry, o lasciarlo, come suggeriva il suo cuore. In ogni caso aveva capito che non amava Albert, quantomeno non come avrebbe dovuto.

     

    Alla clinica c’era molto lavoro e il dottor Stevens aveva pregato il personale di mettersi a disposizione durante le feste natalizie e Candy si era offerta prontamente, com’era nel suo carattere generoso e altruista.

     

    Albert era arrivato dal suo viaggio d’affari qualche giorno prima di Natale. Non aveva detto niente alla ragazza, perché voleva farle una sorpresa, così si presentò all’uscita dell’ospedale e aspettò che uscisse. Quando uscì le corse incontro e l’abbracciò forte. Candy non ebbe il tempo di rendersi conto di cosa stava accadendo, travolta dall’entusiasmo dell’uomo. Alla fine si staccò da lui riuscendo solo a dire:

     

     

  • Albert! Ma che bella sorpresa…! Ma perché non m hai avvertita che tornavi oggi? –

     

     

  • Non volevo perdermi la tua faccia quando mi avresti visto. Ma come stai, tesoro? Ti vedo un po’ stanca… lavori troppo! – sentenziò Albert preoccupato, accarezzandole dolcemente una guancia.

     

     

  • Senti chi parla! – scherzò lei. Poi lo rassicurò che stava bene. Albert le propose allora di andare a cena, cosa che Candy accettò con piacere.

     

     

    Andarono quindi in un ristorante molto elegante ed esclusivo. Si trovava presso il Central Park in un antico palazzo in stile Belle Epoque; gli interni erano arredati con mobili e lampadari in stile e c’erano tavoli con separé, apparecchiati con porcellane francesi di Nevers e vetri di Murano.

     

    I due giovani si sedettero e ordinarono. Candy si guardava intorno meravigliata e confusa, si chiedeva perché mai Albert l’avesse portata in un posto tanto chic.

     

    Lui sembrò intuire i suoi pensieri e cominciò a parlare: - Sai amore, in questi mesi mi sono buttato sul lavoro per non pensare troppo a te, a noi due, al nostro rapporto. Mi sono reso conto però che ti trascuro troppo. Mi sono ripromesso dunque che d’ora in poi sarò più presente. – e così dicendo le prese una mano e cominciò ad accarezzarla. Candy ascoltava imbarazzata non sapendo cosa dire. Intuiva che Albert stava per dirle qualcosa d’importante e lei non voleva, non voleva che dicesse quella cosa. Non si sentiva pronta, non avrebbe saputo cosa rispondere. Lui la guardava con occhi sognanti, adoranti, persi nel mare verde acquamarina delle sue grandi pupille, occhi che promettevano amore infinito, protezione smisurata, attenzione, dolcezza e tanta gioia. Candy si sentiva piccola, vigliacca, senza forze, inerme di fronte a quel sentimento così forte, travolgente: eppure lo capiva, lo capiva perché anche lei provava le stesse emozioni, le stesse sensazioni quando pensava a Terence, e si chiedeva se avesse mai avuto il coraggio di confessare ad Albert i suoi veri sentimenti.

     

    Albert la distolse bruscamente dai suoi pensieri. Come per magia tirò fuori dalla tasca della giacca un pacchettino confezionato con un fiocco rosso e glielo porse.

     

     

  • Ma Albert… non è ancora Natale! – esclamò la ragazza. E restò di sasso quando vide lo stupendo smeraldo incastonato nell’anello, verde come i suoi occhi.

     

     

  • Lo so piccola. Ma non ho trovato un modo più originale per… chiederti di sposarmi. – e così dicendo le sorrise felice.

     

     

    Vide Candy portarsi le mani alla bocca, i suoi occhi riempirsi di lagrime e iniziare a piangere sommessamente. Equivocando la sua reazione, l’uomo l’abbracciò teneramente e disse: - Se è questo l’effetto che ti fa la mia domanda, figuriamoci cosa farai il giorno del matrimonio! Su, via, non voglio vedere quelle brutte lagrime! – le parlava dolcemente, quasi fosse una bambina, asciugandole gli occhi con un fazzoletto di seta. Le si avvicinò piano, la baciò sulla bocca e le sussurro: - Oh, tesoro! Se tu immaginassi quanto è grande l’amore che sento per te! Non passa giorno, ora, minuto che io non ti pensi. Non voglio aspettare ancora a lungo. Mi vuoi sposare, Candy? – Era quasi una supplica la sua. Candy chiuse gli occhi, abbandonata nelle sue braccia, e annuì con la testa, pensando: - Non posso, non posso dirgli di no. Non posso dargli questo dolore, questa delusione. Mi vuole troppo bene perché io possa fargli tanto male! E poi… chissà… magari sarò felice con lui, voglio esserlo! – e rialzò il viso sorridendogli.

     

    Dopo si misero a fare progetti mentre cenavano. Stabilirono che avrebbero dato l’annuncio alla famiglia Andrews a capodanno, che si sarebbero sposati in primavera e che sarebbe stata una cerimonia semplice.

     

     

  • Buonasera signorina Andrews! – la salutò all’improvviso una voce conosciuta. Candy si girò e vide la faccia sorridente del dottor Stevens in compagnia di quella che doveva essere la moglie, una donna non tanto alta ma ben fatta, bruna e dai lineamenti regolari.

     

     

  • Buonasera dottor Stevens. – fece Candy un po’ imbarazzata. Poi fece le presentazioni. – Le presento il mio fidanzato, il signor Albert Andrews. Albert, ti presento il mio principale, il dottor Alexander Stevens. -

     

     

    Dopo aver presentato la moglie, Stevens chiese: - Lei, Albert, è il capo della famiglia Andrews di Chigaco, vero? –

     

  • Esattamente. Mi dica dottor Stevens, come si comporta Candy? E’ una brava infermiera o è sempre un po’ sbadatella? – fece Albert, ignorando l’occhiataccia della fidanzata.

     

     

  • Assolutamente no! E’ una delle migliori infermiere che ho, molto attenta e preparata. Le avrà detto che abbiamo avuto un paziente… -
  •  
  • Ehm… lo sa che io e Albert abbiamo deciso di sposarci? – lo interruppe Candy allarmata, dandogli uno sguardo supplichevole e terrorizzato. E Stevens capì. Quello sarebbe stato il loro segreto. Perciò sorrise e si congratulò con i due giovani, poi se ne andò adducendo un impegno.

     

    Albert notò lo sguardo dei due ma era così felice ed euforico che preferì non indagare oltre.

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    Capitolo 15
    *** capodanno a sorpresa ***


    AUGURO BUONE FESTE A TUTTI!

    Capitolo XIII

    CAPODANNO A SORPRESA

    Dopo le feste di Natale la gente e i turisti di Stratton Mountain si preparavano all’arrivo del nuovo anno sperando che portasse finalmente la Pace e il benessere per tutti. Da più fronti si mormorava che quello sarebbe stato l’anno decisivo per le sorti della guerra in Europa, che ormai si combatteva stancamente nelle trincee senza che nessuna delle nazioni combattenti prendesse il sopravvento. S’invocava la pace da più parti, perché stanchi di quella carneficina, stanchi d veder tornare giovani straziati nel corpo e nell’anima, senza più illusioni né speranze.

    Terence non s’aspettava grandi cose dal nuovo anno. Era grato al destino che gli aveva fatto ritrovare l’affetto e il calore dei suoi genitori, il significato vero di una vera famiglia. Certo, per essere completamente felice avrebbe dovuto riacquistare l’uso delle gambe e riavere Candy accanto ma non osava sperava tanto.

    Perciò si preparò al capodanno come meglio poté. I suoi avevano sperato fino all’ultimo che l’infermiera bionda li raggiungesse, perché avevano intuito il profondo legame che la univa al figlio. Ogni tanto cercavano di spronare Terty a confidarsi ma lui preferiva cambiare discorso o rispondere evasivamente.

    Per l’ultimo dell’anno i Granchester organizzarono una grande festa in casa, invitando tanti amici e conoscenti. Avevano allestito il giardino e il salone con cura, con luci colorate e festoni. Terence e Richard, rigorosamente in frac, erano impeccabili e tra gli uomini più affascinanti della serata e tutte le donne li guardavano ammirate. Lo stesso valeva per Eleonor, nel suo elegantissimo abito di chiffon blu notte, che faceva risaltare la sua carnagione bianca e ben curata. Portava una parure di diamanti, regalo di nozze del neo marito, e i suoi atteggiamenti raffinati non tradivano alcunché di studiato o artefatto. Riceveva gli invitati con gentilezza e affabilità insieme al duca ed al figlio.

    Terence cercava di essere gentile e cortese, anche con i giornalisti che erano arrivati nel pomeriggio, avvisati da non si sa chi. Ad un tratto però sentì l’esigenza di stare solo, di appartarsi. Voleva raccogliere le idee e ricordare. Ricordare quel capodanno di quattro anni prima su quella nave, quando aveva incontrato Candy. Ricordava quanto l’aveva schernita, burlata per le sue lentiggini, per confonderla, per non farle capire quanto fosse fragile e vulnerabile, quanto si sentisse solo e abbandonato. Lei gli aveva insegnato ad amare la vita, ad apprezzare le piccole cose, le sfumature.

    Si era messo davanti una porta-finestra del salone che dava nel giardino e osservava la neve che cadeva fitta. I fiocchi sembravano tanti coriandoli colorati, per un singolare effetto ottico, quando incontravano le lucine variopinte dei fanaletti accesi. Aveva voglia di uscire fuori ma con quella tormenta c’era il rischio di buscarsi un malanno. Quella bufera gli faceva venire in mente un’altra notte simile, davanti al camino, con lei che gli asciugava le lagrime e lo baciava teneramente…

    Ad un tratto si sentì chiamare da una voce conosciuta e non poté trattenere la sorpresa quando vide la faccia sorridente e rassicurante di Alex Stevens.

  • Dottor Stevens…! – esclamò Terence.
  •  
  • Salve Terence. So che non s’aspettava di vedermi. Il fatto è che io e mia moglie veniamo sempre qui per Capodanno. Ho consigliato io questo posto a suo padre. Le piace? –
  •  
  • Mi piace molto. Sembra il paese delle fiabe! – scherzò il ragazzo. Poi chiese:
  •  
  • Ha saputo del matrimonio dei miei? Non c’è bisogno di dirle che sono immensamente felici, e io con loro. -
  •  
  • Immagino. I giornali ne hanno dato ampio risalto. Ma… presto avremo un altro matrimonio importante… - annunciò il dottore serio osservando il giovane attore.
  •  
  • Chi si sposa? – la faccia di Terence era diventata pallida, nonostante l’abbronzatura, presagendo la risposta temuta. Stevens osservava le varie reazioni sul suo viso. Voleva forzarlo a confidarsi, a esprimere quello che si teneva dentro. Perciò chiese dove potevano parlare con più calma. Andarono in un piccolo salotto adiacente il salone, da dove provenivano voci e musica festosa.
  •  
  • Pochi giorni prima di Natale ho incontrato la signorina Candy e il suo fidanzato Albert Andrews. Mi ha comunicato che si sposeranno in primavera. –
  • Vide che Terence s’irrigidiva sulla carrozzina, chiudendo gli occhi e stringendo le mani sui braccioli. Poi, accorgendosi d’essere osservato, rivolse al dottore uno sguardo truce e disse: - non la smette mai, vero? Si diverte a scrutare, osservare, guardare le reazioni altrui. Cosa vuol sapere da me, dottore? Vuol sapere forse se amo Candy? E anche se fosse? Lei ha diritto ad avere il meglio dalla vita… ha diritto a essere felice… - e la sua voce s’incrinava sempre di più. Stevens s’inclinò su di lui e gli chiese: - E chi ti dice che sarà felice con un altro? Ascolta Terence, ti do del tu perché ti considero un amico più che un mio paziente. Perché vuoi rinunciare a lei? –

  • Mi vede? Cosa posso offrirle io? Sarei solo un peso per Candy… - disse sconsolato Terry.
  •  
  • Non sottovalutarti, tu hai molto da offrire a una donna, hai molte qualità. Sei bello, giovane, generoso, sincero, intelligente, colto, raffinato… vuoi che continui? E non sottovalutare la forza dell’amore. Essa può abbattere qualunque ostacolo, qualunque barriera, se solo si vuole. Molto spesso ci creiamo dei muri, barriere mentali, per insicurezza o paura degli altri, di quello che possono provare per noi… pena, dolore o quant’altro. Ma Candy non è così, lei sa guardare ben oltre, sa capire e apprezzare al di là delle apparenze. Quindi, Terence, lasciati trasportare dai sentimenti, senza paure o dubbi. L’amore può tutto, anche farti camminare senza usare le gambe! –
  • In quel mentre scoccò la mezzanotte e i due si unirono agli altri per il brindisi. Terence ad un certo punto alzò il calice di champagne, se lo portò alle labbra pensando: Buon Anno, amore mio. Spero che tu sia felice. -

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    Capitolo 15
    *** UNA GIORNATA MEMORABILE ***


    Capitolo XIV

     

    UNA GIORNATA MEMORABILE 1° parte

     

    Quella mattina Candy si era svegliata presto, con uno strano malessere. Non era solo quel senso di stordimento e nausea che la prendeva da qualche giorno, come se avesse fatto indigestione. Era qualcosa d’indefinibile, una sensazione insolita, un presentimento che potesse accadere qualche cosa di grave, non sapeva cosa.

     

    Si alzò lentamente dal letto, sempre con lo stomaco in subbuglio, e un capogiro l’assalì improvviso. Si sentì gelare il sangue. Quei sintomi erano inequivocabili per un’infermiera brava come lei. Aveva sperato ardentemente di sbagliarsi, che fosse solo un po’ d’influenza, ma quei giorni di ritardo, quei capogiri e nausee volevano dire solo una cosa, erano la conferma ai suoi sospetti. Si accasciò seduta sul letto, incapace di muoversi, di pensare ma un’improvvisa voglia di vomitare la fece correre in bagno, dando fuori quasi l’anima.

     

    Si accorse che era in ritardo e si preparò in fretta per andare al lavoro. Vedendo la sua immagine allo specchio vide quanto fosse pallida e si spaventò, tanto che si pizzicò le guance e si diede un po’ di fard per colorirle.

     

    Dirigendosi verso la clinica non poteva fare a meno di pensare a quanto successo. Erano trascorsi due mesi da quando era stata con Terence e…

     

     

  • Signorina Candy, buongiorno! – la salutò il dottor Stevens ritrovandosela di fronte, persa nei suoi pensieri.
  •  

     

  • Buondì dottor Stevens. Mi scusi se l’ho scontrata, ero soprappensiero. – si scusò imbarazzata.
  •  

     

  • Non importa. Piuttosto venga con me, devo darle indicazioni per oggi. – e si avviarono verso la direzione.
  •  

     

    Stevens iniziò a elencarle il programma della giornata ma vedeva che la ragazza era distratta, qualcosa la turbava. Improvvisamente la vide sbiancare e aggrapparsi alla scrivania. Fece appena in tempo a prenderla, perché svenne fra le sue braccia. Preoccupato la stese sul lettino, le tastò il polso sentendo che era debole, e le fece un’accurata visita medica, dopo averla fatta rinvenire. Candy era angosciata dal responso che le avrebbe detto il medico, che non tardò a venire.

     

     

  • Signorina Candy, non so se per lei è una buona o cattiva notizia… presto sarà mamma, una splendida mammina… – iniziò a dire Stevens ma si fermò vedendo la ragazza mettersi le mani sul viso e singhiozzare disperata. Mettendole le mani sulle spalle, in un gesto affettuoso, le disse: - Andiamo, non è la prima donna che rimane incinta prima del matrimonio… vorrà dire che anticiperà le nozze. –
  •  

     

  • No, dottore. Io non posso più sposarmi! – esclamò Candy fra le lagrime.
  •  

     

  • Come no?’ Cosa vuol dire? – chiese sbigottito lo psicologo.
  •  

     

  • Beh… ecco… il bambino… non è di Albert… - confessò imbarazzata.
  •  

     

  • Non vorrà dirmi che… è di Terence?! - le domandò, cercando conferma ai suoi dubbi. Candy annuì, rossa in viso, e iniziò a raccontargli quello che era successo. Al termine il dottore stette in silenzio, cercando di raccogliere le idee. Si sentiva in parte colpevole, responsabile di quanto accaduto. Aveva supposto il forte legame che c’era fra i due ragazzi ma non avrebbe mai immaginato che sarebbe finita in quel modo. Doveva risolvere questo pasticcio, o quanto meno aiutare Candy, ma aveva bisogno di tempo per pensare.
  •  

     

    Vide la faccia stanca della sua infermiera e disse: - Candy, ora vada a casa e si riposi. Mi raccomando, mangi e non faccia sforzi. Si rilassi, lo stress e la tensione fanno male al bambino. Le do qualche giorno di vacanza, poi vedremo cosa fare. –

     

  • Ma dovrò pur dirlo ad Albert! – esclamò la ragazza.
  •  

     

  • Deve dirglielo proprio oggi? – fece Stevens perplesso.
  •  

     

  • Oh, sì! Se aspetto ancora non avrò mai il coraggio e prima o poi si accorgerà del mio stato. – e così dicendo salutò il dottore e corse fuori.
  •  

     

    Si ritrovò davanti la casa di Albert senza sapere come. Aveva camminato fin lì come in trance, pensando alla maniera più giusta per non fargli troppo male. Ma non ne trovava.

     

    Bussò alla porta in preda all’agitazione. Le tremavano le gambe ed era bianca in volto. Le aprì il maggiordomo e le disse, quando lei chiese del padrone di casa, che il signor Andrews non c’era ancora e la fece accomodare in un piccolo salotto. Candy ebbe così il tempo di calmarsi e prepararsi all’incontro più difficile della sua vita.

     

    Mentre aspettava Albert si ricordò che il giorno dopo sarebbe stato il compleanno di Terence e si chiese dove fosse adesso, se stava meglio e se pensasse a lei. Istintivamente si portò le mani sul ventre. Suo figlio, che cresceva dentro di lei, quel piccolo essere indifeso, l’avrebbe protetto da tutto e tutti. Non sapeva ancora come ma sentiva già di amarlo moltissimo.

     

    La porta si aprì e apparve Albert con un gran sorriso e tutto il coraggio le sembrò svanire ma si fece forza e abbozzò un sorriso.

     

     

  • Tesoro; che bello vederti! Ma… non dovresti essere al lavoro? –
  •  

     

  • Sì, ma… non stavo tanto bene e così il dottor Stevens mi ha dato qualche giorno di vacanza. – rispose timidamente Candy. Vide la faccia di lui farsi seria e preoccupata.
  •  

     

  • Non stai bene? Che cosa ti senti? Ti chiamo un medico? – chiese allarmato.
  •  

    Candy capì che era giunto il momento e, con un profondo sospiro, disse:

     

     

  • Ascolta Albert, è difficile per me dire quello che sto per dirti ma non posso più aspettare. So che dopo mi odierai, e avrai tutte le ragioni. Credimi, non avrei mai voluto farti soffrire e quanto ti dirò ti farà tremendamente male… -
  •  

     

  • Non proseguire, ti prego! – la interruppe Albert accorato – So già quello che vuoi dirmi. Sono stato uno stupido ad illudermi che tu mi amassi. Avrei dovuto capirlo, da certe tue reticenze, certi tuoi atteggiamenti… perdonami Candy. Non si può costringere ad amare quando il cuore è già occupato… va da lui e lasciami solo… -
  •  

     

  • Oh, Albert… mi dispiace! Non sai quanto mi odio per questo, per quello che ti ho fatto… - le lagrime scorrevano sul suo viso e lei si sentiva sempre più male, tanto che decise di scappare via il più velocemente possibile, andare da colui che solo poteva aiutarla in quel momento.
  •  

     

    Stevens se la ritrovò davanti, smarrita, tremante, impaurita. Capì che le era successo qualcosa di terribile, si augurò che non fosse ciò che sospettava. Lei gli corse incontro disperata e l’abbracciò gridando: - Mi aiuti dottore! Il mio bambino… lo sto perdendo…! – ma quando la visitò non poté che costatare il fatto che non c’era altro da fare. Le diede un sedativo e aspettò che si addormentasse, restandole accanto, accarezzandole delicatamente la testa.

     

    Ma quel giorno accadde anche un altro fatto, a Stratton Mountain, che avrebbe cambiato le vite di Candy e Terence.

     

    ***

     

    2° parte

     

    La giornata si era presentata con un sole caldo e splendente come raramente se ne vedono in pieno inverno, tanto che Richard e Terence, dopo una mattinata sulle piste, decisero di fare un lungo giro in calesse, lasciando Eleonor a casa ad organizzare la festa di compleanno di Terry, che ci sarebbe stata l’indomani sera.


    Dopo pranzo dunque il duca preparò il calesse e dopo mise il figlio seduto accanto a sé e partirono. Seguendo un sentiero fra i boschi s’inoltrarono per alcuni chilometri. La luce del sole filtrava attraverso le foglie degli alberi, lasciando che i suoi raggi riscaldassero l’aria. Il paesaggio era immerso nel silenzio e ricoperto dalla neve.

     

    I due chiacchieravano ammirando il panorama e facendo progetti per il futuro. Terence confessò al padre che aveva deciso di diventare scrittore di drammi e commedie teatrali.

     

     

  • Ah, vuoi diventare il nuovo Shakespeare? - lo canzonò divertito il duca, e tutti e due risero di cuore.
  •  

     

    A un tratto il cavallo diede segni d’impazienza e si mise a correre all’impazzata. Richard tentava inutilmente di frenare la sua corsa ma improvvisamente si ritrovarono sbalzati fuori dal calesse, ognuno lontano di qualche metro, affondati nella neve e il cavallo lontano chissà dove.

     

    Per qualche minuto i due non diedero segno di vita, poi Terence si riscosse dal torpore, si alzò indolenzito a sedere sulle braccia e cercò il padre, che giaceva a pochi metri più in là. Spaventato si mise a strisciare sulle braccia e i gomiti finché non lo raggiunse. L’uomo sembrava svenuto ma pian piano rinvenne e cercò di alzarsi, ma un dolore lancinante alla gamba destra gl’impedì di muoversi.

     

     

  • Terence! Credo d’avere una gamba rotta…! Come faremo ora? – disse il duca angosciato.
  •  

     

  • Non lo so, papà, ma dobbiamo trovare una soluzione! – e in quel momento il ragazzo capì che tutto dipendeva da lui, che se non volevano morire assiderati, doveva tentare il tutto per tutto! Iniziò dunque a poggiare le mani sulla neve, tentando di mettersi carponi e poi in ginocchio, cosa che gli riuscì dopo sforzi indicibili. Ma la cosa più difficile fu alzarsi in piedi. Autoconvincendosi che ce la poteva fare, come gli aveva detto il dottor Stevens, si appoggiò a un ramo robusto di nn albero lì vicino e, dopo uno sforzo disumano, riuscì a mettersi in piedi, tentando qualche passo.
  •  

     

  • Terry… ma tu… cammini! – esclamò il padre esterrefatto.
  •  

     

  • Sì, sì…! Ci sono riuscito…! – gridava Terence, fuori di se dalla gioia, e corse barcollando ad abbracciare il padre, ridendo e piangendo insieme. Passato il momento d’euforia, asciugandosi le lagrime col dorso delle mani, disse: - Ora pensiamo a come tornare a casa. Il sole sta tramontando, dobbiamo sbrigarci. Penso di fare così. Tu mettiti a cavalcioni sulle mie spalle e io cercherò di camminare fino a casa. – e così fece, nonostante le proteste di Richard che non voleva si stancasse troppo.
  •  

     

    Non si erano allontanati moltissimo dallo chalet, forse una decina di chilometri, ma a Terence sembrava non arrivare mai, anche se non gli pesava portare il padre sulle spalle, non era più abituato a camminare così tanto. Finalmente vide la casa e un senso di pace lo invase.

     

    Eleonor non credeva ai suoi occhi quando li vide sulla porta, stanchi ma felici. Appena dentro Terry posò il padre su una poltrona e andò a chiamare un medico, mentre la madre si faceva raccontare tutto da marito, davanti a una bollente tazza di tea.

     

    Quella notte non dormì nessuno dei tre, soprattutto Terence che faceva mille progetti, in particolare pensava a Candy e a quello che le avrebbe detto. Non vedeva l’ora di tornare a New York.

     

    La festa di compleanno si svolse in un clima sereno e felice. C’erano tutti gli amici della Compagnia Stratford, che non potevano ancora credere che il loro primo attore fosse guarito e gli proposero di tornare a lavorare con loro. Susanna Marlowe si mostrava particolarmente gentile e affettuosa ma Terence aveva la testa altrove. L’indomani sarebbe partito per New York.

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    Capitolo 16
    *** PROGETTI ***


    Capitolo XV

     

    PROGETTI

     

    Il dottor Stevens stava esaminando delle cartelle cliniche nel suo studio ma quella mattina non riusciva a concentrarsi. Ripensava a quanto era successo a Candy e al modo per aiutarla a superare quel brutto momento. Gli era venuta un’idea brillante e gliela aveva proposta, la ragazza sembrava interessata ma si era riservata un po’ di tempo per pensarci. Le aveva concesso qualche giorno di riposo, sperando che si rimettesse da quel brutto colpo.

     

    Immerso nei suoi pensieri ad un tratto sentì bussare alla porta e quando aprì non credeva ai suoi occhi. Si trovava davanti un Terence abbronzato, sorridente, in forma smagliante e… in piedi!

     

     

    Terence…. ma… com’è accaduto…!!??? – fece il dottore stupito.
     

     

    Il merito è anche tuo, Alex. Mi dicevi sempre che se avessi voluto sarei guarito e io ho seguito il tuo consiglio. C’è voluto solo un piccolo "aiuto" da parte di mio padre. – e cominciò a raccontare l’episodio del calesse e tutto il resto. Poi gli confidò i suoi progetti futuri e naturalmente gli chiese di Candy. Stevens sembrava turbato e imbarazzato, non sapendo se dirgli quello che era successo. Alla fine disse: - Ho dato a Candy qualche giorno di ferie. Puoi trovarla a casa. –
     

     

    Andrò a trovarla subito. Deve aver sofferto tantissimo per colpa mia, povero tesoro. Ma d’ora in poi non sarà più così, qualunque cosa succeda. – e salutando il medico, ormai suo amico, gli annunciò: - Sei invitato al nostro matrimonio e mi farai da testimone, preparati! –
     

     

    Quando si fermò davanti alla porta di casa della sua amata il suo cuore batteva tanto forte che gli faceva male. Comunque si fece coraggio e bussò.

     

    Per poco Candy non svenne vedendo la faccia di Terry davanti a sé. Aveva letto i giornali quella mattina, che riportavano la notizia della sua guarigione miracolosa, ma non pensava che sarebbe venuto così presto a trovarla.

     

     

    Terry…! – Esclamò sorpresa.
     

     

    Posso entrare? – chiese lui titubante.
     

     

    Lei lo fece accomodare in un piccolo soggiorno, arredato con gusto, con un divano davanti al camino, dove si sedettero guardandosi intensamente, incapaci di esprimere a parole tutti i sentimenti che li attraversavano. Poi si abbracciarono, non potendo più trattenere la gioia di essersi ritrovati.

     

    Dopo un tempo incalcolabile Candy fu la prima a parlare e con voce rotta dall’emozione iniziò a raccontare quello che le era accaduto. Quando finì aveva il viso inondato di lagrime e anche Terence era molto scosso. Alla fine proruppe:

     

     

    Oh, tesoro! E’ tutta colpa mia! Non dovevo abbandonarti così, non potrò mai perdonarmi per questo…! Ma voglio che tu sappia, io sono tornato e non intendo più scappare. Ho capito che i problemi vanno affrontati, qualunque essi siano. E voglio affrontarli con te, perciò ti chiedo se vuoi sposarmi. – e detto ciò tirò fuori dalla tasca della giacca un pacchetto, che porse a Candy. Lei, intuendo il contenuto, lo aprì con mani tremanti. Dentro una scatoletta di velluto rosso c’era uno stupendo anello con diamanti e smeraldi, incastonati a formare una veretta. La ragazza restò a bocca aperta ma Terence non le permise di riaversi perché le prese l’anello, glielo mise al dito e la baciò sulle labbra, dapprima delicatamente, poi sempre più con passione. Lei lo lasciò fare per un po’, incapace di sottrarsi a tanto ardore ma poi si staccò con fatica da lui e guardandolo negli occhi gli disse:
     

     

    Terry, io sono molto felice che tu mi voglia sposare ma… prima vorrei fare una cosa a cui tengo molto. Il dottor Stevens mi ha dato l’idea: vorrei iscrivermi all’università e diventare psichiatra. Lui dice che ho le doti giuste, sono sensibile, altruista e so ascoltare le persone. So che questo vorrà dire aspettare ancora qualche anno ma ti prego, lasciami aiutare le persone che sono più sfortunate di noi… -
     

     

    Terence ascoltò in silenzio e attentamente quello che gli diceva Candy. Alla fine non poté fare a meno di abbracciarla forte, dicendole con un sospiro: - Ma certo amore! Come potrei impedirtelo? Sono sicuro che sarai un’ottima dottoressa! Del resto anch’io pensavo di iscrivermi ad un corso universitario di Letteratura e Drammaturgia, per poi tentare di tenere dei corsi di recitazione e anche diventare commediografo o drammaturgo, oltre che attore. Ma dimmi, come farai col lavoro? –

     

     

    Beh, Stevens m’ha promesso d’aiutarmi, farò qualche sacrificio, qualche turno in più di notte… ma non mi spavento… e non voglio perdere questa opportunità. E poi, è bellissimo quello che vuoi fare! Sono fiera di te, amore mio! – E felici si baciarono.
     

     

    ***

     

    Passarono quasi cinque anni prima che si potessero sposare. Candy si dimostrò una studentessa modello, laureandosi col massimo dei voti e diventando una luminare nel campo della psichiatria soprattutto infantile. Continuò a lavorare con Alex Stevens, nella sua clinica, anche dopo essersi sposata, compatibilmente coi suoi doveri di moglie e madre.

     

    Terence non fu da meno. Dopo la laurea, conseguita brillantemente, alternò il suo lavoro di attore e scrittore di drammi e commedie a quello di insegnante universitario di Tecnica Teatrale. Il pubblico e la critica lo acclamava come il più grande interprete teatrale e le sue lezioni erano sempre gremite di studenti, soprattutto ragazze, desiderose di farsi notare dall’affascinante e tenebroso professore, pur se con la fama di severissimo e intransigente docente.

     

    Il matrimonio si svolse in un clima allegro e sereno. La cerimonia fu celebrata in una graziosa chiesetta fuori città, per evitare curiosi e giornalisti. Solo pochi, accreditati fotografi e addetti stampa, il resto degli invitati erano parenti e tanti amici.

     

    C’erano Eleonor e Richard, che avevano avuto la gioia di diventare di nuovo genitori di una meravigliosa bambina di nome Chantal. Raggianti come non mai assistevano commossi alla felicità del loro adorato figlio.

     

    Testimone dello sposo Alex Stevens sorrideva soddisfatto al braccio della moglie Sonja.

     

    C’era Albert, ormai "guarito" dall’amore per Candy e disponibile per un altro sentimento, altrettanto forte e puro. Durante quei cinque anni si rese conto che la sua vita era come imprigionata fra i suoi doveri famigliari e sociali di capofamiglia degli Andrews e il suo desiderio di libertà. Così aveva trovato un compromesso. Per sei mesi all’anno se ne andava in Africa a occuparsi di una missione da lui fondata, oppure in giro per il mondo ad aiutare i poveri e i bisognosi, lasciando gli affari nelle mani del fidato segretario tuttofare George e del nipote Archie, che nel frattempo si era sposato con Annie, la migliore amica di Candy. Naturalmente erano fra gli invitati, insieme a tutti i componenti la compagnia teatrale Stratford, i bambini dell’orfanotrofio dov’era cresciuta Candy, con miss Pony e suor Mary. Infine c’era l’altra grande amica della sposa, Patty, insieme a Stear, fratello di Archie e reduce della Grande Guerra.

     

    La luna di miele si svolse prima sul Mauritania, poi a Londra e in Scozia, dove i due novelli sposi si divertivano a rivedere i luoghi dove si erano conosciuti e innamorati. Infine si recarono a Parigi, la città per antonomasia dell’amore e degli spiriti romantici.

     

    La loro vita si svolse serenamente, circondati dall’affetto dei loro quattro figli, più due adottati. Insieme formavano una famiglia felice, serena e solidale com’era nella natura di Candy e Terence. Non mancarono problemi e discussioni ma seppero superarli sempre con l’amore che li univa, la comprensione e l’altruismo.

     

    Fine.

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