One less lonely girl and one less lonely boy

di Kioto
(/viewuser.php?uid=61774)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 01. Throw Away ***
Capitolo 2: *** 02. Hush ***
Capitolo 3: *** 03. Like a boy ***
Capitolo 4: *** 04. Sober ***
Capitolo 5: *** 05. 'Sorry' seems to be the hardest Word ***
Capitolo 6: *** 06. Thunder ***
Capitolo 7: *** 07. That should be me ***
Capitolo 8: *** 08. I see You ***
Capitolo 9: *** 09. Sacred ***
Capitolo 10: *** 10. Pick me up ***
Capitolo 11: *** 11. Savior ***
Capitolo 12: *** 12. One Day ***
Capitolo 13: *** 13. Lost and found ***
Capitolo 14: *** 14. Family portrait ***
Capitolo 15: *** 15. If you're not the one ***
Capitolo 16: *** 16. Gravity of Love ***
Capitolo 17: *** 17. Concrete Angel ***
Capitolo 18: *** 18. His Mistakes ***
Capitolo 19: *** 19. Love and Death ***
Capitolo 20: *** 20. How to save a Life ***
Capitolo 21: *** 21. In your Shadow I can shine ***
Capitolo 22: *** 22. Standing Ovation ***
Capitolo 23: *** 23. My Obsession ***
Capitolo 24: *** 24. Closer to the Edge ***
Capitolo 25: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** 01. Throw Away ***


Alex aveva 18 anni e viveva ad Amburgo da qualche mese. Aveva dovuto trasferirsi per via dell’ultimo volere della madre, che le aveva chiesto esplicitamente di andare via da Berlino.
Alex era tedesca. Era una ragazza. Ed era sola.
Il padre aveva abbandonato lei e la madre quando lei era ancora una bambina. E poi Frankie, la madre, si era ammalata ed era morta nel giro di qualche mese, obbligando la figlia a trasferirsi lontano da quella città che non gli aveva portato nulla di buono.
Alex era taciturna. Non aveva amici, né a Berlino tantomeno là ad Amburgo.
Restava sempre sulle sue, aveva imparato a tornare a casa e a fare i compiti. Si era innamorata, quello sì.
Ma nessuno l’aveva mai notata davvero.
Forse perché spesso la si scambiava per una persona che non era.
Alex vestiva in modo singolare. Era provvista di felpe oversize e di jeans alquanto larghi per la sua corporatura mingherlina.
Aveva i capelli lunghi, ma li odiava. Erano così uguali a quelli della madre che le portavano dietro troppi ricordi. E facevano tutti male.
Per esempio quando lei accarezzava i capelli alla madre. O quando, una volta arrivata a casa dopo una lite furibonda con qualche bullo di scuola, la madre era solita sfilarle la cuffietta o un qualche berretto per vederle la fluente chioma castana ricaderle sulle spalle.
Ad Alex faceva decisamente male ricordare tutto questo. Sua madre era stata l’unica persona che avesse mai amato. L’unica di cui si fosse mai fidata e l’unica che non l’aveva mai abbandonata.
Era una sfigata, continuava a ripeterselo sul treno che la portava a scuola.
La scuola che odiava con tutto il cuore. Era quella il suo maggior problema.
Odiava le materie, odiava stare tra quelle pareti, odiava dover frequentare per forza.
Odiava doverci andare ogni Lunedì mattina dopo che tornava distrutta dal lavoro del weekend e odiava ancora di più la gente che c’era.
Una persecuzione continua, erano i compagni che la ragazza continuava a trovarsi. Tutti la scambiavano per un ragazzo. E mai nessuno si accorgeva della ragazza che in realtà si nascondeva sotto quegli abiti.
Anche quel giorno portava i capelli sotto una cuffietta in lana, vista la temperatura tremendamente fredda di Ottobre.
Il treno si fermò e poco dopo riprese il suo tragitto. Alex si alzò aumentando il volume sul suo I-pod e si avvicinò alle portine, mettendosi in spalla lo zaino dentro la quale cera qualche libro e due quaderni.
Il treno si fermò, le portine si aprirono a lei scese.
Il freddo tedesco di Amburgo la costrinse a stringere ulteriormente la sciarpa al collo e si coprì le mani con le maniche della felpa nera che indossava.

L’edificio era gelido. Il riscaldamento doveva essersi rotto di nuovo e tutti si stavano ghiacciando.
Ma se c’era qualcosa che li faceva immobilizzare ulteriormente era il passaggio di quel teppista. Lui.
Quel Tom Kaulitz. Era un esemplare davvero unico. Non girava mai solo, ovvio. Ma dominava su tutti, professori compresi.
Nessuno aveva mai capito come faceva a divertirsi in quel modo, ma tutti gli andavano dietro, tutti lo adoravano, tutti lo guardavano e tutti lo temevano. Tutto in contemporanea.
Lui osservava in silenzio, non agiva mai d’impulso, non era nel suo carattere. Era taciturno, parlava solo se interpellato. E, soprattutto, solo se voleva.
Tom Kaulitz era il sogno proibito di centinaia di piccole studentesse in quella scuola. Certo, era un bel ragazzo. Come biasimarle?
Era ben piazzato, alto un metro e novantatre, aveva lunghi cornrows neri che gli ricadevano sulle spalle, vestiva sempre largo, comodo, indossava sempre scarpe di marca, orologi lussuosi, occhiali da sole anche se non servivano, arrivava sempre in macchina, sulla sua Audi A1 nera e, la cosa che mandava in tilt tutte, erano quelle labbra carnose decorate da un piercing sulla sinistra del labbro inferiore che brillava ogni volta che un minuscolo raggio di sole colpiva il viso di quel bullo.
Tom Kaulitz era un bullo che si divertiva a picchiare chiunque gli capitasse a tiro. Non aveva mai una vittima fissa, se la prendeva solo ed esclusivamente con i maschi. Ovviamente.
Con i secchioni, con chi gli stava sul cazzo e con chi riteneva meritasse una lezione.
Sì, insomma. Tom Kaulitz era davvero un figlio di puttana.
Era cresciuto viziato, qualsiasi cosa volesse la otteneva.
Voleva una ragazza? Era sua. Senza troppi preamboli.
Voleva quella macchina? Era sua. Il giorno dopo stesso.
Voleva soldi? Erano suoi Bastava prelevarli dal conto in banca di mamma e papà.
Voleva la fama e il rispetto? Erano entrambi suoi. Bastava fare ingresso a scuola.
Tom Kaulitz era il classico diciannovenne che voleva sempre più. Pretendeva.
Ogni passo gli conferiva un briciolo di sicurezza in più, ma non che ne avesse bisogno visto che il suo ego era abbastanza grande da procurargliene a sufficienza.
Gli sguardi erano tutti puntati su di lui. E gli piaceva. Eccome se gli piaceva!
« Ciao Tom. » disse qualcuno che lui ignorò.
Si avvicinò tranquillamente al suo armadietto e lo aprì, buttandoci dentro qualche libro e prendendone altri.
Quando si voltò, lo vide.
Restò a fissarlo qualche istante, lo sguardo che bruciava.
Quel ragazzino gli dava sui nervi ogni giorno di più. Era qualche mese che si tratteneva dal pestarlo a sangue.
Odiava il suo portamento, come camminava. Teneva sempre lo sguardo basso e tentava di nascondersi sotto quella cuffietta solitamente nera. Ma non ci riusciva. Lui lo vedeva sempre, cercava di incrociare il suo sguardo, di fargli capire che dovevano starsi alla larga altrimenti sarebbe finita tremendamente male.
Ma non ci riusciva, perché quel ragazzetto non gli prestava attenzione come il resto della scuola.
Ma quel giorno, lo aveva davvero fatto incazzare. E quando Tom si incazzava, non andava bene. Per nessuno.
Perché tutto questo incazzo?
Perché quello smidollato indossava la stessa felpa di Tom. E nessuno, nessuno, poteva permettersi di fare una cosa del genere.
Si mise bene la borsa in spalla e si avvicinò al malcapitato, sotto gli sguardi interessati di qualche ragazza che se lo spogliava con gli occhi.
E poi, gli si parò davanti.

L’armadietto di Alex era un perfetto casino. C’erano pacchetti di sigarette vuoti sparsi un po’ dovunque, libri e quaderni con qualche appunto volante qua e là. Foto di Jay-Z, Young Jeezy, Samy Deluxe, Eminem e altri artisti erano appese allo sportellino. Fece in tempo a chiuderlo, quando una figura le fece ombra. Si voltò lentamente e vide un grosso ragazzo davanti ai suoi occhi. Sapeva chi era. E sapeva anche che la sua presenza non voleva dire nulla di buono.
Poi notò la felpa che indossava; era identica a quella che indossava lei.
Sollevò un sopracciglio e tornò a fissare il ragazzo. Il Kaulitz.
Lui non disse niente, si limitò a prenderla per la felpa e a spiattellarla contro gli armadietti, facendole cadere i libri.
« Ci vediamo all’uscita. » sillabò quello, avvicinando il suo viso.
Poi mollò la presa e i piedi di Alex poterono toccare perfettamente il pavimento. Lo vide allontanarsi mentre gli altri studenti facevano finta di niente, e si rimise bene la felpa.
Quello era pazzo. Senza alcun dubbio. Che diamine voleva da lei?! Assurdo!
Figurarsi se si sarebbe fatta trovare davanti a lui. Per fare cosa poi? Di certo non parlare.
Si diresse verso la sua classe con uno sbuffo, mentre si sentiva decine di paia d’occhi addosso.
Odiava essere fissata. Somigliava ad un maschio e allora? Era il suo modo di comportarsi, era il suo modo di vestire, era la sua vita e ci faceva quel cazzo che le pareva. Nessuno sembrò mai domandarsi se fosse un maschio o una femmina; mascherava tutto tremendamente bene.
Quando arrivò in classe, nessuno la salutò. Nessuno le chiese come stava. Nessuno sapeva la sua storia, dopotutto. E iniziò a pensare che pure i compagni l’avessero scambiata per un maschio. D’altronde, non c’era mai molto dialogo fra loro. Anzi non ce n’era proprio per niente! Perché sprecarsi a parlare con gente di quel livello?
Berlino le aveva portato via la madre, era vero. Ma Amburgo cosa le stava offrendo? Un emerito cazzo. 

Si sbatté la porta alle spalle senza preoccuparsi di aver fatto trasalire mezza classe e si diresse a passo sicuro verso l’uscita per fumarsi una delle sue trecentocinquanta sigarette giornaliere.
Ma poi la sua attenzione venne attirata da qualcosa di più allettante della nicotina che saliva fino al suo cervello, mandandolo in tilt.

Qualcuno.
Quello che lui definiva il mocciosetto che si vestiva come lui, in realtà non era altro che Alex. Aveva deciso di farsi un giro nei corridoi perché la lezione di matematica aveva preso una piega troppo noiosa e forse contare le mattonelle giallastra nel pavimento era più divertente.
Tom si rimise in una delle enormi tasche dei suoi jeans il pacchetto di sigarette e l’accendino e decise di dare a quel fannullone la lezione che da tempo aveva desiderato affibbiargli.
Alex, dal canto suo, ignorava completamente anche solo la probabilità che qualcuno - alias il figone di cui tutti avevano paura ma che lei riteneva uno sfigato di primo livello - la stesse seguendo.
Svoltò l’angolo e sentì un rumore muto alle sue spalle. Si voltò ma non vide nessuno.
Poi, però, vide un’ombra allungarsi sopra la sua e quando si girò di nuovo, lo vide.
« Chi si vede. » esclamò Tom a denti stretti, privo di espressione.
Alex fece un passo indietro e quello non si mosse.
« Cosa vuoi?! » lo rimbeccò.
« Solo divertirmi. »
Si ritrovò con la spalle attaccate al muro e un pugno le arrivò dritto allo stomaco, facendola piegare in due. Scivolò lungo la parete ruvida e biancastra del corridoio, gemendo silenziosamente.
Il ragazzo la tirò su per le braccia facendo finta di non sentire i suoi mugolii di dolore e le sferrò un secondo colpo, affondandolo con decisione sulla felpa.
« Forse la smetterai di darmi fastidio. » mormorò quasi in un ringhio.
Alex si accasciò a terra stringendosi così tanto la pancia da poter sentire la forma dell’intestino mutarsi.
Come ciliegina sulla torta, Tom si concesse anche uno sputo, ma Alex era troppo concentrata a trattenere le urla di dolore per badarci.
Lo vide solo allontanarsi, tirando di nuovo fuori il suo pacchetto di sigarette e accendendosene una ancor prima di essere fuori.
Quel ragazzo doveva assolutamente essere pazzo. L’aveva aggredita per una felpa! Ma come diavolo si permetteva! Poi si ricordò di una cosa: somigliava ad un maschio.
Non aveva mai indugiato su quello che le ragazze avrebbero potuto pensare su di lei. E non l’aveva mai fatto appunto perché era una lei. Ma in quel momento si chiese che cazzo avesse fatto di male per avere tutto quello. Era la goccia che faceva traboccare il vaso, ma si morsicò un labbro infierendosi ulteriore dolore e sollevò lo sguardo, ricacciando le lacrime che non aveva pianto per ben 18 anni.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 02. Hush ***


Non andò da un medico. Non andò nemmeno in infermeria quella mattina. Non gliene fregava niente di farsi vedere, era meglio se fosse morta.
Poi però si ricordò di una cosa per cui valeva la pena combattere, la pena di andare avanti ancora un po’, finché tutto quello schifo sarebbe finito. Perché sarebbe finito, per forza.
Così quella sera si armò di coraggio e, nonostante non fosse nelle condizioni migliori fece lo stesso il suo ingresso in sala.
Alex ballava. Lo faceva da quando era piccola, da quando sua madre l’aveva portata con sé nella sua scuola di ballo. E le ricordava tremendamente lei.
Ogni passo le faceva credere di essere sempre più vicina alla figura che le mancava da morire.
Sì, perché Alex sarebbe voluta morire quando aveva saputo che la madre sarebbe morta nel giro di qualche giorno.
Ballava per sfogarsi, per lasciarsi alle spalle il mondo che odiava, per provare ad indossare un paio d’ali e volare via, lontano. Almeno per quell’ora.
E così sembrava accadere ogni volta che la musica partiva.
Era solita legarsi i capelli in una coda di cavallo per non essere disturbata e indossava quasi sempre una tuta nera.
Non tagliava i capelli perché alla madre piacevano così.
Ma li nascondeva. Li nascondeva sempre.
La verità era che Alex aveva una fottuta paura del mondo che la circondava. Da quando suo padre era andato via le cose erano sempre peggiorate. I debiti, la perdita della casa, il trasferimento in un appartamento angusto nella periferia più periferica di Berlino, la chiusura della scuola della madre, con sua immensa tristezza e infine la malattia con conseguente morte della sua vita, che l’aveva costretta a trasferirsi ad Amburgo.
La danza era tutto quello che le era rimasto, era l’unico ricordo che avesse ancora un valore, visto che tutto il resto era andato perduto a causa di quello stronzo di suo padre.
Scaricò tutto il nervosismo di quei pensieri sulle mosse della coreografia, ma la sua pancia le ricordò che non era nelle situazioni migliori per strafare.
Quando tornò a casa era a pezzi e nel frigo aveva solo una misera pizza surgelata.
Si infilò in doccia e notò dei lividi sui fianchi.
Quello stronzo di Kaulitz!

 Un altro colpo le arrivò dritto in faccia e sentì qualcosa di caldo colarle lungo il labbro, mentre quel cretino mingherlino che aveva alle spalle la teneva su con forza.
Tom Kaulitz le aveva appena sferrato una manata che l’aveva fatta entrare in coma per qualche secondo buono.
Quel ragazzo ce l’aveva a morte con lei e la cosa non sarebbe finita. Alex lo sapeva. Sapeva come si comportavano i bulli, sapeva che quella situazione non le piaceva ma che lui ci trovava gusto a vederla in quelle condizioni. Pardon, a vederlo.
« Lascialo stare. »
Il frocio alle sue spalle mollò la presa e cadde con la faccia attaccata al pavimento.
Perché diamine non urlava?! Perché non gli diceva che era un imbecille e che era una RAGAZZA?!
Perché le sue corde vocali erano occupate a fare qualcosa di più impegnativo, tipo bruciare dannatamente. Ecco perché.
Perché quel coglione di Tom Kaulitz accompagnato dal suo fratellino gay aveva deciso che doveva sputare sangue e pure qualche dente, molto probabilmente.
« Ti sei fatto male?! » mormorò imitando una voce da poppante.
Alex sollevò lo sguardo e lo trafisse mentalmente prima che girasse di nuovo i tacchi e si allontanasse, sparendo nello stesso modo con la quale era comparso poco prima.
Quale forza d’animo la teneva ancora in vita? Quale assurdo e stupido motivo non la lasciava morire in un angolo mentre quel Kaulitz si divertiva con le sue carni? Solo perché si vestiva come lui.
 

Una volta arrivata a casa si poggiò un enorme pezzo di ghiaccio sul labbro dolente, mentre ragionava sul da farsi.
Era un mese che quel pirla le stava dietro. Non vedeva che non aveva voglia di giocare? Non vedeva che la annoiava, che non voleva essere pestata a sangue ogni volta che la incrociava nel corridoio?
Tom Kaulitz le faceva dannatamente schifo. Era la persona più lurida e schifosa che avesse mai conosciuto e probabilmente se avesse avuto un po’ più di palle visto che, anche se l’apparenza ingannava, ne era sprovvista, l’avrebbe già denunciato per aggressione. E probabilmente pure per tentato omicidio, visto come si erano messe le cose nell’ultimo scontro.

« Siamo gracili, eh. »
Aveva commentato sferrandole un altro pugno sullo stomaco, il quinto di quella serie. Si divertiva, sì.
Era pura malattia quella che gli passava per quel fottuto cervello bacato.
Alex non lo venerava, non lo considerava, non lo riteneva un gran figo, non gli prestava tutte le attenzioni che lui pensava di meritarsi, non lo degnava minimamente d’uno sguardo. Eppure lui se l’era presa proprio con lei per quella sua superficialità della minchia.
Se non fosse stato per il fatto che ogni notte aveva una ragazza diversa a fargli compagnia, l’avrebbe definito gay. Così come si diceva del fratello, Bill. Una coppia insolita, due gemelli che si capivano solo con uno sguardo, due figure che incutevano terrore.
Bill aveva il suo look trasgressivo, ben lontano dai canoni stilistici del fratello. Ma sembrava fatto della stessa pasta cinica.
Fumavano le stesse sigarette, facevano gli stessi gesti, avevano lo stesso sguardo e l’unica differenza che avevano era il trucco pesante sulla faccia del gemello gay che quasi ogni mese aveva un piercing o un tatuaggio nuovo.
Alex provava decisamente schifo per quelle due persone che le stavano rendendo la vita ancora più difficile.
Avevano tutto, cosa cazzo volevano da una come lei?!
Continuò a chiederselo anche mentre, come ogni Sabato sera, si dirigeva al Davis, una discoteca nei sobborghi di Amburgo tutta luci e alcool.
Era il terzo lavoro nel giro di due mesi e se l’aveva trovato non poteva rifiutarlo: i soldi le servivano.
Ballava, faceva l’intrattenitrice in quel locale da ubriaconi e sfegatati di sesso.
L’aria non le piaceva, non vedeva l’ora che il suo contratto scadesse ma era l’ultima spiaggia se non voleva finire sul lastrico.
Entrò dal retro, nei camerini e tolse fuori la sua roba, richiudendosi dentro uno di essi mentre le sue colleghe iniziavano a vociferare tra di loro.
Alex non aveva amici, era chiaro. Ma là dentro sembravano tutte un po’ disperate, così qualcuna ogni tanto le rivolgeva qualche parola. Ma no, non aveva una migliore amica e non l’aveva mai avuta. L’unica persona di cui si era mai fidata, era morta. 

La ragazza al suo fianco sussultò quando lui le passò una mano sulla coscia, mentre la musica intratteneva il resto dei presenti e loro si mettevano di impegno per le loro zozzerie.
Tom ci sapeva fare, quasi affogava la ragazza con quanta foga aveva iniziato a baciarla.
Poi si allontanò, portandole un braccio sulle spalle e lei ne approfittò per alzarsi ulteriormente la minigonna, sperando disperatamente di mandarlo definitivamente in tilt.
Ma Tom sapeva come era fatto l’interno coscia di una ragazza, forse era peggio di un ginecologo a riguardo!
Perciò non si scompose più di tanto, anche se qualcosa laggiù lo avvertì di una certa impazienza.
Tom amava fare sesso, su questo non c’era alcun dubbio. Era una delle sue poche priorità. Le altre comportavano il mangiare, bere, dormire, fumare, essere figo e avere sempre con sé un preservativo. Nel caso servisse, no?
Ed era quello che attirava di più. Il fatto che la maggior parte delle ragazzine sognasse di essere sverginata o addirittura violentata da Tom Kaulitz, perché era un figo, era quasi normale.
Rimorchiava facilmente, perché era un bel tipo.
Ma i suoi genitori non avevano mai provveduto seriamente ad inculcargli un’educazione. Un po’ di rispetto. Mai.
Erano sempre stati troppo presi dai loro affari di borsa per occuparsi dei due pargoletti che, lentamente, si trasformavano in due belve.
Ma a Bill e Tom, la loro vita piaceva. Ovviamente Bill restava più sulle sue, ma se il fratello gli chiedeva un aiuto di certo non si tirava indietro. Era egocentrico, presuntuoso ed egoista.
Al contrario di Tom lui non aveva una ragazza diversa ogni notte, anzi. Sembrava più attento alle sue prede, e di solito aveva relazioni abbastanza lunghe. Tutte cose che a Tom davano noia perché lui voleva sentirsi libero. Free come citava la maglietta extralarge che indossava in quel momento.
Le luci si spensero qualche istante, per poi riaccendersi e passare dal viola all’azzurro e sul fondo della sala sbucarono 5 ragazze vestite con corpetti e minigonne rosse e nere che si strusciavano su 5 pali diversi.
Tom le guardò una ad una, sfiorandosi con la lingua il piercing senza accorgersi che la biondina al suo fianco stava andando in catalessi a furia di mangiarselo con gli occhi.
Ma lui non se la cagava.
Era impegnato a segnare il tempo con tutto il corpo, preso forse un po’ troppo dal quelle 5 ballerine.
Due avevano i capelli corti, le altre tre più o meno lunghi.
Le guardò attentamente, una ad una, immaginando di sbatterle violentemente al muro e di farsele.
Sì, Tom era solito farsi questi filmini mentali. Era normale, già.
Era già arrivato alla terza con un filmatino porno degno del premio Oscar quando vide la quinta e ultima strusciarsi terribilmente sul palo.
Aveva lunghi capelli mossi che le ricadevano sulle spalle, il suo corpo era completamente coperto di brillantini e muoveva i fianchi in modo sensuale, facendolo quasi impazzire.
Continuò a torturarsi quello stramaledetto piercing finché l’esibizione finì e dovette abbandonare i suoi pensieri erotici per quella sera e ridedicarsi alla ragazza che aveva al suo fianco.
Pensandoci bene, non si ricordava nemmeno il suo nome. 

Alex era più stanca del solito quella sera. Si avvolse nella sua felpona e si mise la solita cuffietta in testa, ma lasciando i capelli caderle giù per la schiena.
Salutò le sue colleghe e poi uscì, tornando a casa. Faceva freddo, sembrava che un temporale volesse abbattersi sulla città e lei non aveva alcun ombrello.
Ma non importava, si disse. Dopotutto non mancava poi molto al suo appartamento.
Fece in tempo a svoltare l’angolo per poi fermarsi improvvisamente nel mezzo del marciapiede e guardare davanti a sé.
Uno strano senso di panico e nervosismo le afferrò lo stomaco e iniziò a strapparglielo a morsi.
Lui. Tom. Kaulitz.
Era là. Davanti a lei.
Stava uscendo dal locale, lo stesso dove lei aveva appena ballato e dietro di lui vide una biondina tutta tette e culo fargli da ombra, per poi salire su una Audi A1 nera.
Si nascose di nuovo nell’angolo, sperando di non essere vista. Perché, poi? Aveva davvero paura di lui?
La risposta arrivò fulminea quando lui si voltò a guardarsi alle spalle, prima di risalire in macchina.
Sì. Quel ragazzo la terrorizzata a tal punto da costringerla a nascondersi dietro un tubo di scarico.
Il finto rapper fece spallucce e salì in macchina, per poi mettere in moto e partire.
Solo allora Alex si accorse di aver tenuto il respiro per tutta la durata di quella patetica scena.
Che diamine stava facendo?! Probabilmente lui non l’avrebbe nemmeno riconosciuta.
Svoltò di nuovo e camminò a passo svelto verso casa sua.
Poi, iniziò terribilmente a piovere.
E maledisse di non essersi portata dietro quel cazzo di ombrello.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 03. Like a boy ***


Quando Tom si svegliò, quella mattina, vide accanto al suo corpo quello della ragazza che gli aveva fatto compagnia per tutta la notte.
Com’è che si chiamava? Tiffany? O forse Pamela?
Bah, forse non gliel’aveva nemmeno chiesto.
Non che, effettivamente, importasse davvero, visto che quella non era nemmeno camera sua.
Insomma, era stata soltanto una notte no? Che poteva pretendere quella smorfiosa? Nulla. Esattamente nulla. Per questo non si accorse nemmeno di Tom che l’aveva praticamente abbandonata al suo destino, scrivendole un biglietto con semplicemente “Mi sono divertito, Tom”. Poi si vestì e uscì tornandosene a casa sua.
Come se niente fosse successo. 

Alex si stropicciò un po’ gli occhi e si accorse di non aver abbassato la serranda della finestra della sua camera. Il sole l’aveva colpita in pieno, svegliandola.
Guardò l’ora e notò che erano solo le 10 del mattino.
Sì, insomma. Infondo non aveva nulla da fare no? Doveva solo alzarsi, darsi una lavata e.. fare la spesa!
Il frigorifero era tremendamente vuoto e aveva finito anche le pizze surgelate. Non era possibile, si disse.
Si trascinò di mala voglia verso il bagno, si tuffò in doccia ma quando fu in strada era come se avesse ancora il cuscino attaccato alla faccia. Entrò in un supermercato, fece la spesa scegliendo con tutta l’attenzione che poteva avere in circolo il minimo indispensabile, poi pagò e infilò tutto in busta, uscendo.
La pioggia della notte prima aveva inumidito tutte le strade di Amburgo e l’odore di terra bagnata si diffondeva pienamente nei polmoni della ragazza. Tirò prontamente fuori il suo pacchetto di sigarette e se ne accese una, camminando lenta come un ghiro.
Tom frequentava il suo locale? No, probabilmente c’era andato solo quella sera per divertirsi un po’ con la sua pulzella.
Poverina, non sapeva che Tom non aveva un cuore?
Mentre pensava ad altri diecimila insulti per definire quel finto rapper sfigato del cazzo, non si accorse della figura mingherlina che le arrivava incontro, spedita. Fu solo quando le loro spalle – o meglio, la sua spalla con il braccio dell’altro – si scontrarono, che lo notò.
E avrebbe preferito non farlo.
Boccheggiò qualcosa di incomprensibile, mentre sentiva che il suo viso era impallidito e invecchiato di almeno 20 anni.
Bill Kaulitz. Era lì. La fissava.
“Non può riconoscermi”, pensò lei. Ma i lineamenti erano identici a quel ragazzino. Il taglio al labbro era lo stesso. L’espressione da persona dimenticata era la stessa. E, soprattutto, la felpa era uguale a quella nera di Tom.
Per un momento Alex pensò che il ragazzo avrebbe potuto emettere un fischio e che Tom sarebbe comparso al suo fianco con dei guanti da box oppure che lui stesso avrebbe tirato fuori una mazza da baseball per spaccargliela in testa. Ma c’era una cosa che non aveva messo in conto, un piccolo dettaglio che lei aveva dimenticato, ma che lo sguardo vacuo del diciannovenne davanti a lei le ricordò.
I capelli.
Non li aveva legati, non li aveva nascosti, non ci aveva fatto nulla di nulla. Erano semplicemente sciolti sulle sue spalle, leggermente mossi dal vento che glieli sferzava addosso.
Lo sguardo di Bill risalì velocemente fino ai suoi occhi; era ammutolito. E Bill non stava mai zitto.
Cazzo. Cazzo. Cazzo. Cazzo. 

Sbatté forte la porta di casa col fiatone, cercando di non dare a vedere che era nervosa. No, dannazione, lo era eccome!
Insomma! Il fratello gemello della persona che l’aveva umiliata per gli ultimi mesi l’aveva vista in uno stato del tutto naturale e non programmato! Come faceva a stare calma?!
Arrivò a pensare al peggio. Bill l’avrebbe detto a Tom, sicuro. Gli avrebbe amorevolmente urlato “Hey, fratellino! Lo sai che il tizio che ti sta tanto sui coglioni in realtà è femmina?”. Oppure gli avrebbe detto che era un transessuale. Un’ermafrodita volendo!
E poi? Che avrebbe fatto Tom? Ah di certo non si sarebbe scusato, siamo pazzi?! Uno come lui?! Tom Kaulitz?! Neanche morto, ne era sicura.
L’avrebbe violentata? L’avrebbe minacciata di morte se avesse denunciato o raccontato qualcosa a qualcuno? L’avrebbe derisa davanti a tutti dandole della lesbica anche se non lo era? O l’avrebbe ignorata, come faceva il resto del mondo?
Nessuna delle opzioni la rassicurava e la appagava completamente. 

« Tom! » strillò Bill una volta rientrato in casa.
Nessuno rispose e Bill salì furente le scale fino ad arrivare al piano di sopra. Aprì velocemente la porta della camera del fratello – rigorosamente messa sottosopra – che si voltò a guardarlo perplesso, abbassando istintivamente lo schermo del laptop poggiato sulla scrivania mentre dei mugolii eccitati fuoriuscivano delle casse dell’apparecchio che si spense immediatamente.
Bill lo fissò sbigottito.
« Stavi guardando un porno?! »
« E tu sei piombato in camera mia senza bussare! Che cazzo t’è preso?! » sbottò seccato.
Bill incrociò le braccia sul petto e si ricordò il perché di quella sua entrata in scena così furiosa.
« Perché non me l’hai detto? »
« Che stavo guardando un porno?! »
« Che stavamo pestando una ragazza, imbecille! »
« Frena, frena, frena! Di che cosa stai parlando?! » il fratello lo guardò sbigottito, non capendo a che cosa si riferisse Bill. Quest’ultimo lasciò cadere le braccia lungo i suoi fianchi.
« Non fare il finto tonto! » lo rimbeccò.
« Spiegami a cosa ti riferisci e poi forse potrò dirti se sto facendo il finto tonto o meno! » suonava molto come una presa in giro.
« Hai presente l’ultimo sfigatello che abbiamo conciato per le feste? »
Tom annuì.
« Certo, il moccioso che si veste come me. »
« Non è maschio. »
Tom lo fissò inarcando le sopracciglia.
« Scusa?! »
« Non fraintendermi. » precisò. « E’ una ragazza. »
Tom lo guardò ancora una volta con quell’espressione da baccalà, pensando che il fratello si fosse fumato una canna.
« L’ho vista poco fa. »
« Dove? »
« In una via non lontano da qua, era appena uscita dal market credo. » rispose. « Tom come diamine hai fatto?! »
« Hey frena un attimo! Io neanche sapevo che quello.. fosse una quella! » sbottò.
Bill grugnì rumorosamente, ricordando tanto un toro anche per via dell’anellino che aveva al setto nasale.
« Come.. come hai fatto a capire che era una lei?! » gli chiese Tom mettendosi bene a sedere, incredulo della notizia del fratello.
« Te l’ho detto, l’ho vista per strada! »
« Sì ma.. che aveva di diverso dal solito?! Aveva una maglietta scollata e le hai visto le tette, aveva dei tacchi, una minigonna o.. cosa?! »
Bill sbuffò.
« Era vestita normalmente, solo.. aveva i capelli.. »
« Anche io ho i capelli! » lo bloccò Tom, ma Bill non lo ascoltò e finì la frase.
« ..lunghi. »
Il gemello inarcò le sopracciglia.
« Quanto lunghi? »
Bill si contorse in modo quasi spaventoso per indicare la lunghezza dei capelli della ragazza.
Sì, erano decisamente troppo lunghi per un ragazzo.
« Sei sicuro? »
Bill annuì, serio.
« E come si chiama? » 

Il mattino seguente, a scuola, Alex camminò tutto il tempo con il volto basso.
Si sentiva tremendamente a disagio dopo quello che era successo il giorno precedente con Bill.
Tom lo sapeva? E se lo sapeva, cosa avrebbe fatto?
Camminò a passo svelto cercando di sfuggire agli occhi della gente e arrivò al suo armadietto.
Che situazione dannatamente di merda. Perché si stava nascondendo? Aveva davvero paura di essere una ragazza?!
Sbatté forte lo sportellino dell’armadietto e si diresse furente verso la sua classe.
Cristo! Patetica era nulla a confronto! Aveva paura! E di chi? Di quel pivellino del cavolo!
Si morse la lingua per non iniziare ad urlare e sperava davvero che Tom la prendesse di peso nel corridoio e le desse un pugno nell’addome. L’avrebbe preferito. 

Alex uscì da scuola e si diresse a passo svelto verso casa sua, o avrebbe fatto ritardo per la lezione di ballo. Si fece una doccia veloce, legò i capelli in una coda di cavallo e poi uscì di nuovo, con una borsa a tracolla, l’I-pod acceso con le cuffie nelle orecchie e una grossissima felpa grigia e dei panta neri.
Camminava veloce, attraversava sulle strisce pedonali e si nascondeva agli sguardi altrui, insicura e impaurita di fare lo stesso incontro del giorno prima.
Non aveva visto nessuno dei due a scuola, tantomeno in mensa e si convinse che non erano affatto andati.
Entrò nell’enorme edificio e poi nella sua sala.
E ci rimase anche dopo la lezione. Tirò fuori dalla borsa un CD di Ciara e lo inserì nello stereo. Scelse la canzone e poi si sistemò davanti allo specchio, studiandosi.
Like a boy, era questo che cantava lo stereo.
Lei era esattamente come un ragazzo.
Inarcò le sopracciglia e poi si sciolse i capelli. Iniziò a tenere il ritmo e poi a muovere qualche passo, finché la musica si impossessò completamente del suo corpo.
Si stava sfogando nell’unico modo che conosceva. E le piaceva da morire.
Non si fissava più, non le importava niente di come si muoveva, voleva solo dare libero sfogo a tutti i pensieri. Voleva svuotarsi completamente, arrivare stremata a terra e prendere grosse boccate d’aria.
E così fece. Si lasciò cadere sfinita sul parquet chiaro della sala e fissò il soffitto con le sue enormi luci accese.
Ascoltò ancora un po’ la canzone e poi si alzò e nell’esatto momento in cui si era decisa ad andare finalmente a casa, la sua insegnante venne a chiamarla.
« Alex, è tardi. » le sorrise.
« Sì, sto andando. » rispose lei rimettendo frettolosamente le cose nella sua borsa. Indossò di nuovo la felpa nonostante sentisse un caldo boia e uscì velocemente dall’edificio, tornando a casa sua. 

Tom mise in moto la macchina.
Alex.
Era così allora che si chiamava.
L’aveva seguita, sì. Aveva saltato la scuola e si era appostato con la sua macchina per scoprire se quello che aveva detto Bill fosse vero. E lo era, eccome se lo era.
La riconobbe subito appena la vide ballare. Poggiato su un muro in modo che lei non lo vedesse si mise ad osservarla mentre muoveva sinuosamente il bacino e quando poi era rimasta sola e si era sciolta i capelli era completamente andato in tilt.
Aveva pestato a sangue una ragazza che poteva avere, per quanto ne sapesse, la sua età. Poi aveva visto l’insegnante tornare e chiamarla.

Alex. Questo era il nome che era uscito dalle labbra della ballerina e lei, quella strana ragazza che lui così come gran parte della scuola che l’aveva notata aveva scambiato per un maschio – gay per giunta -, si era voltata a quel richiamo. Si chiamava Alex.
Nella sua mente tornarono reali gli unici momenti che aveva passato faccia a faccia con quella persona.
L’aveva umiliata, l’aveva maltrattata, solo.. solo perché pensava fosse un ragazzino che lo copiava.
Che razza di persona era?!
Mise in moto e se ne tornò a casa.
L’aveva vista, certo. Ed era la stessa ragazza che aveva ballato al Davis.
Una ragazza. Santo cielo, non riusciva a toglierselo dalla testa!
Come.. che.. insomma!
Non era plausibile una cosa del genere!
Perché diavolo quella ragazzina aveva deciso di vestirsi da maschio?! Era forse lesbica?! E perché non gliel’aveva detto prima?!

Beh, non è che tu sia molto delicato quanto ti ci metti eh.
Fantastico, ora aveva anche qualcuno che gli parlava nel cervello!
Scosse la testa e parcheggiò la macchina nel garage.
Non avrebbe più cercato/guardato/pensato/parlato/nominato Alex. No, mai più.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 04. Sober ***


Non avrebbe più cercato/guardato/pensato/parlato/nominato Alex. No, mai più.
L’aveva detto, no? O perlomeno l’aveva pensato.
E allora perché cavolo non era riuscito a chiudere occhio quella notte?!
No, non era colpa del temporale, non gliene era mai importato nulla!

Perché sei stupido.
Ok, non era proprio la risposta che si aspettava ma non sembrava essere poi tanto sbagliata.
Si premette di nuovo il cuscino sul viso, come aveva fatto nell’ultimo quarto d’ora e represse uno dei grugniti simili a quelli di Bill.
Doveva fare qualcosa, in un certo senso si sentiva in colpa.
Un attimo.. lui si sentiva in colpa?! Era lei che l’aveva portato a quello!
Ok, però lui era convinto fosse un lui.
No, quella situazione non gli piaceva per niente.
Scese dal letto e si diresse verso il suo bagno personale. Si sciacquò il viso e poi si guardò sullo specchio ovale posto sopra il lavandino.
« Sei un idiota. » mormorò.

 Alex sembrava quasi addormentarsi durante la lezione di matematica. Un’altra insufficienza era stata scritta sull’ultimo suo compito.
Non era una novità, aveva sempre avuto qualche difficoltà con quella materia.
E non si sorprese a vedere ancora quel 4 lampeggiare in rosso sul foglio.
Insomma, dopo gli ultimi avvenimenti cosa poteva aspettarsi?
Lei, ovviamente. Perché nessuno sapeva che era stata pestata nei corridoi della scuola.
La campanella dell’intervallo suonò e tutti si fiondarono verso la mensa, affamati.
Alex ci mise un po’, impegnata a rimettersi in borsa tutto quello che aveva sul banco e poi, quando vide che i corridoi si stavano svuotando, uscì.
I suoi passi riecheggiavano nel corridoio e mentre tutti andavano verso la mensa, lei si diresse verso la parte opposta, uscendo nel cortile a fumarsi una sigaretta.
L’aveva già tirata fuori e aveva già aperto la porta, quando un ragazzo biondo le sbarrò la strada.
« Scusa, dovrei passare. » disse lei guardandolo in faccia.
Lui le mostrò un sorriso ambiguo, e si scostò su un lato.
« Prego. »
Alex gli rivolse un’occhiataccia e poi fece per superarlo, quando sentì un pizzico arderle sul braccio.
Quasi fece un balzo e imprecò mentre il biondino se la rideva.
Le aveva spento la sigaretta addosso!
« Ha pure la voce da frocio, incredibile! » borbottò rientrando e sbattendosi la porta alle spalle.
Non bastava che la gente la prendesse per maschio, le dava anche del maschio gay!
Non arrivavano a pensare che forse poteva essere una ragazza?! Ok, non aveva una quarta di seno ma aveva visto esemplari veramente sprovvisti di attributi femminili dentro quell’edificio!
E lei non aveva nemmeno la barba!
Si infervorò così tanto che diede un calcio alla porta, e qualcosa di umido le bagnò le ciglia, per poi posarsi sui suoi zigomi e finire sulle sue labbra. 

Tom era solito farsi un giretto nella scuola per vedere se trovasse qualcuno con cui scaricare il suo nervosismo. E quel giorno di nervosismo ne aveva abbastanza. Avrebbe potuto fare una donazione, se fosse stato possibile.
Ma no, doveva conviverci con quello stato d’ansia perenne. E nel corridoio non si vedeva manco un fantasma.
Decise di uscire fuori per rifarsi della sua amata nicotina e aveva già in bocca una sigaretta.
Quando poi la sua attenzione fu catturata da un rumore sommesso. Un gemito quasi trattenuto.
Si fermò un attimo e sentì dell’acqua scorrere e capì che c’era qualcuno nei bagni. Si avvicinò con calma e constatò che i rumori venivano dal bagno delle ragazze.
Si avvicinò lentamente, camminando quasi in punta di piedi. Sporse un po’ il viso e la vide.
Era china sul lavandino, il rubinetto aperto e l’acqua che le scorreva sul braccio.
Aveva una bruciatura su di esso e sembrava pulsare in continuazione. Sollevò lo sguardo sul suo viso e vide che teneva sempre una delle sue solite cuffiette in testa, e notò dei bagliori argentei circondarle gli occhi e percorrerle le guance.
Stava piangendo.
Lo stomaco gli si strinse in una morsa e fece un passo indietro, poggiando la testa sul muro.
Socchiuse gli occhi e si sentì tremendamente in colpa. Non era stato lui, ma non l’aveva picchiata fino a qualche giorno prima?
Sporse di nuovo un poco la testa e la vide di nuovo.
Alex si portò una mano sulla fronte e poi si sfilò la cuffietta, lasciando che una cascata di fluenti capelli castani le ricadesse addosso.
Se li portò dietro le orecchie e tirò su col naso.
Pregò che la madre non la stesse guardando in quello stato, che non fosse là in quel momento, perché non sarebbe stata di certo fiera di sua figlia.
Piangeva come una poppante per una bruciatura di sigaretta.
No, non era solo la sigaretta. Era tutto l’insieme. Tutta la sua vita.
Tirò il braccio fuori dall’acqua e lo fissò attentamente.
Oltre che male faceva pure schifo.
« Devi tenerlo sotto l’acqua oppure soffiarci sopra. »
Alex trasalì e si voltò verso la porta, dove vide l’ultima persona che avrebbe voluto là.
Tom deglutì quasi a fatica, agitato.
Poi indicò il braccio.
« E’ una bruciatura, no? »
Lei non rispose e rimase a fissarlo, perplessa. Aprì la bocca ma non disse nulla.
Lui allora entrò nel bagno, anche se era quello delle ragazze sapeva che non sarebbe passato nessuno di lì in quel momento; erano tutti impegnati a mangiare.
Prese il braccio della ragazza e si chinò per soffiarci delicatamente sopra, mentre l’acqua continuava ad uscire dal rubinetto.
Poi sollevò lo sguardo verso il viso di lei, contratto in una smorfia di puro terrore.
Cercò quasi di violentarsi per sorriderle, ma non ce ne fu bisogno.
Alex gli regalò un ceffone che si posò sulla guancia di Tom con uno schiocco parecchio sonoro.
Il ragazzo si trovò con il volto girato e gli occhi chiusi.
Nessuno gli aveva mai dato uno schiaffo. Nessuno.
Alex lo fissava inorridita.
Come diavolo si permetteva?! Arrivava là a fare il buon samaritano dopo tutto quello che le aveva combinato?!
Scostò con forza il braccio e si allontanò dal bagno con passo svelto.
Tom rimase qualche istante immobile, realizzando molto lentamente l’accaduto.
Gli aveva dato uno schiaffo. Gli aveva dato uno schiaffo.
Sì, gli aveva dato uno schiaffo. E nonostante stesse ribollendo di rabbia, non poteva biasimarla. 

Insomma! Chi diavolo credeva di essere?!
Pezzo di..
Alex sbatté forte la porta di casa e fu sicura di aver fatto cadere qualcosa nella casa affianco.
Non era umanamente possibile sopportare quel.. quel pezzente!
E come se non bastasse, la bruciatura le faceva ancora male.
Si mise a sedere sul divano, sprofondando tra i cuscini e se ne premette uno contro il viso, pregando di accecarsi in qualche modo.
Ma niente, quando li riaprì vedeva ancora la luce e l’arredamento del suo appartamento.
Svuotò la borsa di scuola, prese i documenti, il cellulare, l’I-pod e uscì di nuovo di casa per andare dal medico. 

« Sono a casa. » strillò Tom sulla porta d’ingresso, ma non ricevette alcuna risposta.
“Perfetto”, pensò, “sono di nuovo solo e senza nulla da fare.”
No, Tom trovava sempre qualcosa da fare. Che fosse guardarsi un porno, uscire per incontrare qualche vecchia fiamma o semplicemente masturbarsi in camera sua. Tom aveva sempre qualcosa da fare.
Solo che, quel giorno, il suo qualcosa da fare implicava il ragionare sull’accaduto di qualche ora prima.
E no, non era decisamente una buona idea.
Insomma, che doveva fare? Chiederle scusa?
Oh sì, ci aveva provato. Aveva tentato di far capire a quella ragazza che gli era dispiaciuto e che non intendeva farle alcun male. Ma lei gli aveva dato uno schiaffo.

Ci hai tentato davvero?
Ma chi cazzo c’era dentro la sua testa, il grillo parlante?!
Hai una coscienza.
Oh, bene. Adesso scopriva di avere anche una coscienza che doveva aggravare i suoi sensi di colpa.
Tom non aveva mai provato seriamente qualche senso di colpa. Ma quella situazione non l’aveva mai nemmeno presa in considerazione.
Dio, si sentiva così.. imbecille.
Si tuffò in doccia ma rimase un po’ poggiato alla parete gelida cercando di farsi venire in mente qualcosa.
C’era in gioco la sua reputazione, no?
Non proprio.. insomma, chi si preoccupava di quella ragazzina? Non aveva visto nessuno parlarle dopotutto.
Ma proprio nessuno. Come faceva a non avere amici? Come faceva a far finta di essere un ragazzo? Come faceva a diventare poi così sensuale e bella quando ballava?

Tom, ti stai rincoglionendo?!
Ok, probabilmente stava indugiando un po’ troppo sulla figura di quella.. Alex.
Mise la testa sotto il getto d’acqua e si lavò. 

Alex aveva decisamente trattenuto una bestemmia quando il medico le aveva medicato la bruciatura. Le aveva dato una pomata da mettere e se n’era andata mentre aveva ripreso a piovere.
Solo che, quella volta, aveva con sé un ombrello e arrivò a casa sua solo un po’ infreddolita.
Aprì il portone principale e si trovò meravigliosamente sorpresa di trovare un cane accucciato affianco ad esso. Era bagnato fradicio e si era accovacciato nell’unico punto dove sembrava potesse ripararsi.
Era un labrador di medie dimensioni, il muso poggiato sulle zampe anteriori e gli occhi socchiusi.
Alex si accovacciò al suo fianco. Aveva sempre desiderato un cane, ma non gliel’aveva mai regalato nessuno.
Quel cane non aveva nessuna targhetta, sembrava completamente solo.
..un po’ come lei, no?
Solo che una targhetta ce l’aveva eccome.
Gli accarezzò il manto umido e quello sussultò un poco, per poi voltarsi verso il viso della ragazza che gli sorrise.
Il cane chiuse e riaprì gli occhi, piegandoli in una curvatura malinconica.
Alex si rialzò e aprì il portone mentre l’animale si rimetteva nella posizione precedente.
Un tuono ruppe la quiete del quartiere e pure Alex trasalì. Stava per chiudersi il portone alle spalle, quando udì il mugolio sommesso dell’animale là fuori.
Si era voltato a guardare di nuovo nella sua direzione, con i suoi occhietti umidi.
La pioggia non sembrava avesse intenzione di smettere, anzi stava aumentando.
Così la ragazza allargò l’apertura del portone e fece segno con la testa al cane di entrare.
Lui si rizzò sulle sue zampine e zampettò velocemente dentro il palazzo, prima di scrollarsi di dosso tutta l’acqua che gli si era posata sopra, creando una pozzanghera sul pavimento.
Alex sorrise e il cane la guardò con la lingua a penzoloni.
« Ok, vediamo se ho qualcosa per te. » disse salendo le scale e avviandosi verso il suo appartamento, con il cane alle sue spalle.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 05. 'Sorry' seems to be the hardest Word ***


Tom si lasciò cadere sul letto, stremato e la ragazza si avvicinò a lui, insinuando il viso verso il suo collo.
Tom le cinse le spalle e la strinse a sé, mentre affondava una mano tra i suoi capelli.
« Sei bravo, Tom. » gli sussurrò Alex all’orecchio.
Lui sorrise e poggiò la testa sulla sua.
Erano completamente nudi, mezzo coperti dal lenzuolo bianco di una camera dalle pareti spoglie.
Tom non conosceva quella stanza, tantomeno Alex.
Ma si stringevano l’uno all’altra.
Poi un sonoro BIP investì le orecchie del ragazzo che si mise a sedere di botto.
Era in camera sua. Solo. Vestito.

Era un sogno.
Sì, ok, era un sogno ma aveva fatto il suo effetto a quanto pareva perché era completamente sudato.
Spense la sveglia e si guardò un attimo intorno, mentre gli organi nel suo corpo riprendevano i propri posti, cervello compreso.
Ora si metteva anche a sognare di portarsela a letto?! Che scherzo era quello?!
Forse doveva fumare di meno. Sì, decise che era colpa delle sigarette.
Si alzò e si diresse verso il bagno, aprendo la doccia e infilandosi sotto l’acqua. 

Alex si era svegliata di soprassalto.
No, non era possibile.
Lei.. come.. ma che diamine..?!
« Oh Dio mio. » biascicò con voce rauca, le corde vocali ancora addormentate.
Aveva sognato di farlo con Tom! No, non era possibile.
Lei.. lei odiava Tom! Lo schifava, era una persona che voleva evitare, assolutamente!
Ma allora perché l’aveva sognato? Perché aveva sognato di concedersi a lui?
Perché, quando le braccia di quel ragazzo si erano strette attorno al suo corpo, si era sentita protetta?
No, era solo un sogno. Solo un sogno.
Ma qualche pirla non aveva detto che i sogni son desideri?
Il cane richiamò la sua situazione e solo allora lei si ricordò di averlo fatto entrare in casa sua.
Era seduto davanti alla porta, la lingua penzoloni.
« Immagino tu abbia fame. » mormorò lei con poco entusiasmo.
Il cane non rispose e lei lo prese come un sì. Si portò giù dal letto e arrivò in cucina, cercando qualcosa da dare all’animale.
« Ci sono gli avanzi di ieri sera.. li vuoi? » gli chiese come se potesse anche rispondergli.
Lui la guardò inclinando la testolina da un lato e lei prese il piatto dal microonde e lo poggiò a terra, aspettando una qualsiasi reazione del cane, che fosse uno starnuto o una qualsiasi cosa.
L’animale si chinò, annusò il cibo e poi iniziò a divorarlo affamato.
Alex scrollò le spalle e si preparò la colazione.
Quel Sabato sarebbe stato l’ultimo al Davis. Poi sarebbe rimasta disoccupata e avrebbe dovuto trovarsi un altro lavoro.
Decise di saltare scuola per andare dal veterinario. Il cane aveva bisogno di qualche controllo, non l’aveva forse preso dalla strada?!
« Io e te dobbiamo collaborare, ok? » mormorò sorseggiando il suo bicchiere di succo d’arancia.
Il cane sembrò non ascoltarla.
« No, non iniziamo affatto bene. » 

Sì, la stava cercando. Con lo sguardo, ma sempre la stava cercando.
Non sapeva perché, ma aveva un nervoso allo stomaco che lo divorava tremendamente. Non riusciva neanche a fumare da quanto era nervoso, quella mattina.
Tutto per colpa di quel dannato sogno.
« Tom, tutto ok? » la voce di Bill lo riportò con i piedi per terra e si voltò a guardarlo.
Annuì velocemente e buttò la sigaretta, spegnendola col piede.
« Sicuro? » lo seguì Bill.
Tom entrò di nuovo nell’edificio e non gli rispose.
« Hai visto di nuovo quella ragazza? »
« Alex? » domandò lui.
Bill lo guardò un po’.
« Si chiama così? »
Tom annuì con un mugugno e continuò a camminare, diretto chissà dove.
« Fa la ballerina al Davis, l’ho vista la settimana scorsa ma.. non pensavo fosse lei. Poi l’ho seguita fino a casa sua e.. »
« L’hai pedinata?! » sbottò Bill.
Tom lo guardò perplesso.
« E che dovevo fare?! Fermarla nel corridoio, darle un pugno e chiederle “E’ vero che sei una ragazza?”?! » lo rimbeccò.
« No, ma di certo pedinarla non era il modo migliore! Avresti potuto chiederle semplicemente scusa! »
A quelle parole Tom, che aveva ripreso a camminare furente, si fermò e guardò il fratello.
« E secondo te cosa sto cercando di fare?! » 

Una volta fuori dal veterinario, Alex si sentiva più leggera.
Il cane aveva un guinzaglio, un veterinario in regola, una casa, una padroncina e un sesso.
Ma non aveva un nome.
Sì insomma, era arrivato così su due piedi. Che diavolo di nome poteva dare ad un cane femmina?! Di sicuro non Bobby. Ma nemmeno Fioccodineveunpopiùscurodellaneve.
E dove l’avrebbe lasciato quella sera?!
Arrivò a casa scervellandosi per trovare un nome adatto a quel labrador che continuava a farle le feste, ma senza risultati.
Scodinzolava, teneva perennemente la lingua a penzoloni e continuava a fissare la sua nuova padroncina con interesse.
« E adesso, piccola belva, andiamo a prenderti qualcosa da mangiare. » disse prendendo il borsellino e riuscendo con il cane alle spalle.
Lo accarezzò dolcemente e poi uscì nel freddo di Dicembre.
Al supermercato, la scelta del mangiare per il suo nuovo coinquilino era più ardua di quanto sembrasse.
C’erano decine e decine di croccantini diversi, decine e decine di pietanze per farlo crescere sano, forte, intelligente, educato.
Un momento: educato?!
Poteva benissimo pensarci lei all’educazione del suo cane.
Prese alla rinfusa le prime cose che le andavano a genio e le buttò nel cestino, per poi tornare alla cassa e pagare tutto. Una volta fuori, trovò la sua nuova amica ancora legata al palo alla quale l’aveva lasciata. Quella si alzò subito e le abbaiò contro e Alex le rivolse un sorriso contento.
« Ho fatto la spesa per te, adesso possiamo tornare a casa. Fuori fa troppo freddo e stasera devo lavorare. »
Si sentiva un po’ stupida a parlare con un cane, ma le veniva naturale. Non era forse l’unica anima che le aveva prestato un po’ d’attenzione? Non le aveva forse, salvato la vita la sera prima, tirandola via da quel temporale?
Infondo, quel cane era l’unica cosa che avesse. E anche se non erano passate nemmeno 24 ore, si era già in parte affezionata.
Afferrato un barattolo di Nutella, la ragazza si lanciò sul divano di casa sua e accese la tv. Fu ben felice di vedere il cane accovacciarsi ai suoi piedi, il muso puntato verso lo schermo.
Affondò il primo cucchiaino e la sua mente tornò a quella notte.
Non poteva averlo fatto davvero.
Si ricordava tutto con precisione. Ma proprio tutto.
E come se non bastasse, le era anche piaciuto!

La Nutella le andò di traverso e iniziò a tossire diventando paonazza.
Perfino il cane si voltò a guardarla, perplesso.
Chiuse il barattolo della Nutella e lo poggiò sul tavolo.
« No! » sbottò. 

Tom non l’aveva trovata da nessuna parte. Era praticamente sparita dalla circolazione. Non era andata a scuola, non era andata a lezione di danza – sì perché l’aveva cercata anche là – e non l’aveva vista neanche nei dintorni!
Visto che era così provvista di stramberie, aveva anche le ali e poteva volare?!
No, dubitava fortemente di questa possibilità.
Ma allora che fine aveva fatto?! Era rimasta chiusa in casa tutto il giorno?
Oppure aveva avuto un altro spiacevole incontro ed era finita in ospedale?!

Ma si può sapere perché ti preoccupi così tanto?!
Tom scosse la testa e infilò di nuovo le chiavi nella toppa di casa, aprendo la porta.
« C’è qualcuno? »
Bill sbucò dalla cucina con un pacchetto di caramelle fra le mani.
« Io. » rispose con la bocca piena.
Tom sollevò le sopracciglia e lanciò le chiavi su un piattino là vicino, per poi sfilarsi il giubbotto e salire di sopra, in camera sua.
« Dov’eri? » gli urlò Bill.
« A fare un giro. »
« Alias a cercare quel transessuale? »
« Non è un transessuale! » sbraitò Tom prima di chiudersi a chiave in camera sua.
Non sapeva minimamente perché reagiva così, ma quel sogno, il fatto che fosse fisicamente attratto da quella ragazza, lo stava facendo impazzire.
Non avrebbe dovuto seguirla e osservarla mentre ballava, avrebbe evitato di sognarla in atti decisamente poco consoni al rapporto che avevano.
Un momento: avevano un rapporto?!
A giudicare da come l’aveva trattato lei, proprio per niente.
E allora perché faceva così? Perché voleva a tutti i costi avere un dialogo con lei?

Perché devi chiederle scusa.
Quella vocina lo irritava ogni volta. Si diede uno schiaffo sul viso e poi si lasciò cadere sul letto.
Ok, forse era arrivato il momento di escogitare qualcosa.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** 06. Thunder ***


« Non si preoccupi, grazie lo stesso. »
Alex richiuse il telefono per la quinta volta consecutiva.
« Non è possibile. » mormorò depennando un altro riquadro sul giornale.
Il part-time al Davis era scaduto e ora doveva trovarsi qualcos’altro. Ma cosa?!
La fioraia prendeva dai 20 in sù, al supermercato due isolati più dietro dai 25 in sù, al negozio di dischi avevano bisogno di un cassiere fisso e lei andava anche a scuola.
No, sembrava tutto incompatibile con lei.
Tutto troppo difficile.
Il cane – che aveva chiamato Sveva – la fissava seduta su una sedia, manco fosse un essere umano.
Alex iniziò a battere il piede per terra e strinse i pugni, per poi poggiare il viso su di essi.
Sveva mugolò e la ragazza la guardò, preoccupata.
« Se non trovo un lavoro io e te vagheremo come due nomadi, lo sai? »
Il cane non rispose, continuando a fissarla.
Poi inclinò la testa sul giornale, quasi come se lo stesse leggendo.
Alex si concentrò su altri annunci con uno sbuffo ma poi Sveva poggiò una zampa su un pezzo del giornale, abbaiando.
« Che c’è?! »
Il cane continuò ad abbaiare finché Alex si voltò a guardarla, e allora batté più volte la zampa sul giornale.
No, non poteva averlo fatto davvero.
Era.. era un cane!
Spostò la zampa quasi nel tentativo di far leggere alla ragazza quell’annuncio.
Alex sollevò lo sguardo qualche istante, incrociando gli occhi marroni del cane che le abbaiò di nuovo.
Prese il telefono, digitò il numero e attese.
Poi, una voce rispose alla telefonata, e Sveva attese impaziente. 

Come faceva a non trovarla più?! Era misteriosamente diventata invisibile?! O forse lui era cieco?!
No no, doveva esserci per forza.
Da qualche parte, stuggiata in qualche angolino ma c’era. Ne era sicuro.
La campanella del pranzo suonò interrompendo i suoi pensieri e una massa uniforme di gente uscì dalle aule per recarsi in mensa.
Aveva perfettamente ragione, e la conferma stava sgambettando velocemente verso con gli altri studenti.
« Tom, senti, ti va domani di venire con me e Andreas al.. »
« Non ora, Bill. »
Tom si dileguò velocemente, quasi scaraventando via chiunque gli si parasse davanti.
Spalancò le porte della mensa e il silenzio calò nella stanza. Tutti lo guardarono.
E lui si avvicinò velocemente al suo tavolo.
Alex sollevò lo sguardo, già sapendo di chi si trattasse.
Tom deglutì con un nodo allo stomaco e restò in silenzio qualche secondo.
Lei non abbassò lo sguardo.
Non era cambiata, aveva sempre la sua cuffietta in testa, i suoi vestiti larghi e.. sì, quegli occhi che lo squadravano.
Tom si strofinò nervosamente le mani.
« Allora? » sbottò lei. « Devi stare in piedi davanti al mio tavolo senza dire nulla ancora per molto? »
« Devo parlarti. »
Lei lo guardò di sottecchi.
« Scusa?! »
« Devo parlarti. » ripeté lui con più enfasi. « Ti alzi da sola o ti devo prendere di peso? »
« No, riesco ancora a camminare. Nonostante tutto. »
Alex si alzò dalla sedia e lo seguì fuori dalla mensa, mentre gli sguardi dei presenti li seguivano con lo sguardo.
Il corridoio era vuoto, così lui si fermò a metà.
« Allora, sentiamo un po’. »
« Non pensavo fossi una ragazza. » cominciò lui, torturandosi tremendamente per cavarsi fuori le parole.
« Ma dai, non mi dire! » sbottò Alex.
« Senti, sto provando ad essere gentile e carino, non farmi innervosire! »
« Sennò mi dai un pugno? »
« Non pensavo fossi una ragazza! » ripeté lui con più enfasi.
« Questa non è una giustificazione! »
« Non sto cercando di giustificarmi infatti! » sbraitò Tom, sovrastandola in altezza.
« Ma a quanto vedo non smetti di prendertela con chiunque ti vada a genio! »
« Queste non sono cose che ti riguardano, io faccio quello che mi pare. »
« Certo, come no! » sghignazzò lei. « Prendiamo a pugni chiunque passi per la tua stessa strada, tanto chi se ne frega, giusto? »
Tom non ribatté, mordendosi la lingua per evitare di dire cose di cui poi si sarebbe pentito.
Ma poi, pentito di cosa?! La situazione non era delle migliori, dopotutto.
« Senti. » prese fiato. « Non è una giustificazione, non voglio inventarmi scuse o cose del genere. E tu non sei nessuno per farmi la ramanzina. Ma mi dispiace, ok? Se avessi saputo che sei una ragazza, non ti avrei alzato nemmeno un dito. »
Alex abbozzò un sorriso e poi scosse la testa.
« Sei patetico, Kaulitz. Molto patetico. »
La ragazza lo guardò da capo a piedi e poi uscì nel cortile, lasciandolo solo come un imbecille.
Tom strinse i pugni e si trattenne dallo sbattere la testa sul muro.
Per qualche strana ragione, gli venne da pensare che il sogno che aveva fatto in precedenza, non sarebbe mai diventato realtà. E, in qualche modo, qualcosa dentro di lui lo fece sentire terribilmente giù. 

Sveva non era un cane. Sveva era un angelo.
Quell’animale era la principale causa del suo nuovo impiego.
Dopo aver chiamato al numero indicato nell’annuncio, quando Alex aveva riattaccato aveva appena accordato un colloquio con il proprietario di un bar nel centro di Amburgo.
E come se qualcuno stesse vegliando su di lei, aveva trovato un altro lavoro.
Era già qualche giorno che lavorava in quel bar, tornava a casa stanca ma almeno aveva un lavoro e uno stipendio a fine mese.
Quel Sabato il bar era gremito di gente e Alex era vicina a smontare per tornare a casa sua.
Aveva sempre la sua cuffietta in testa, ma indossava un grembiule con stampato sopra il nome del bar.
L’ennesimo cliente entrò e si avvicinò al bancone.
« Chi si vede. »
Amburgo non era enorme, ma nemmeno piccolissima.
Ma quel biondino sembrava perseguitarla!
« Così è qua che lavori. »
Alex non sapeva come si chiamasse né quanti anni avesse e nemmeno cosa volesse da lei.
Tutto ciò che sapeva era che aveva ancora la bruciatura della sua stupida sigaretta sul braccio.
Voltò lo sguardo dall’altra parte ma non c’era molto da fare visto che il posto alla cassa era suo e lui non si schiodava da là.
« Cos’hai preso? » gli domandò cercando di mantenere la serietà dell’impiego che ricopriva.
« Ti ho per caso fatto male l’ultima volta che ci siamo visti? »
Alex si morse la lingua.
« Perché io in realtà mi sono divertito. » sghignazzò.
La ragazza batté una mano sul bancone, perdendo la pazienza.
« Sei per caso venuto qua a rompermi i coglioni? » sbottò a voce alta, facendo girare un suo collega e qualche cliente.
Il biondo trasalì un poco e poi si mise a ridere.
« Siamo agitati, eh. »
« Non ti voglio in mezzo ai piedi, vedi di cambiare aria. Chiaro? »
« Io sono il cliente. »
« E io mi sto incazzando, per cui vedi di portare via quella tua faccia da coglione lontano da me! » sbraitò.
Il silenzio calò nel bar e tutti si immobilizzarono.
« Stai giocando col fuoco, amico. » bisbigliò il ragazzo. « Vuoi bruciarti di nuovo? »
Alex digrignò i denti e si sporse dal bancone, facendo fioccare uno schiaffo sulla guancia del beota.
« E adesso fila da qua. Muoviti! »
Stava per uscire dal bancone quando Udo, il proprietario del bar, la prese per le braccia bloccandola.
« Si può sapere che diamine sta succedendo qua?! »
« Lo chieda a chi assume per lavorare. » rispose il biondo prima di sputare per terra e poi uscire sbattendosi forte la porta.
Udo voltò il corpo di Alex in modo da fissarla negli occhi.
Era un omone calvo, con gli occhi azzurri e un pizzetto scuro. Era sempre vestito in modo curato ed elegante, ma la sua pazienza aveva un limite troppo basso, lo dicevano tutti.
E forse, Alex l’aveva messo durante alla prova quel giorno.
« Ma si può sapere che ti prende?! »
La ballerina non seppe cosa dire. Aveva agito d’impulso, ma quell’ebete di cui ancora ignorava il nome, l’aveva praticamente istigata.
« Io.. io.. »
« Tu? »
Alex sospirò e abbassò lo sguardo.
« Mi dispiace. » soffiò.
« Anche a me. » rispose Udo. « Ma non posso tenere un’impiegata irruenta. Mi dispiace. »
Le porse una mano e indicò con la testa il grembiule color porpora che Alex indossava.
« Cosa? No, ti prego Udo io.. ho bisogno di lavorare, lo sai! »
« Non mi è permesso tenere impiegati di questo tipo Alex. E ora dammi il grembiule, sei licenziata. »
« Udo, per favore.. »
« No, Alex. Il grembiule. »
Alex abbassò di nuovo lo sguardo sentendo un groppo allo stomaco e si sfilò di dosso il grembiule, per poi posarlo sulle sue mani.
« Vado a prendere le mie cose. »
Si diresse nel retro, prese la sua borsa e uscì da una porta secondaria.
Sveva non sarebbe stata per niente contenta. 

Ci hai provato.
Tom continuava a ripeterselo fino alla nausea.
Il fatto che Alex l’avesse praticamente mandato a cagare non l’aveva aiutato a stare meglio con sé stesso.
Sì, perché stava facendo tutto per sé stesso, no?
Si tirò su e si mise a sedere, fissando il vuoto.
Va beh, ci aveva provato. Lei non aveva accettato le sue scuse, fine della questione.
Scese dal letto e poi al piano di sotto, dove Bill stava guardando la tv.
« Sai quando tornano mamma e papà? » gli domandò quest’ultimo, facendo zapping.
Tom scosse la testa entrando in cucina e aprendo il frigorifero.
« Non ne ho la più pallida idea. L’ultima volta sono rimasti fuori tre settimane se non sbaglio. »
« Ne sono già passate due e non si sono fatti sentire. » gli fece notare Bill.
« Avranno avuto i loro buoni motivi. » tagliò corto il gemello versandosi della Coca Cola.
Tornò nel salone e si sedette sul divano nero, accanto a Bill.
« Allora, che cosa mi stavi dicendo stamattina? »
« Prima che schizzassi verso il tavolo di quella ragazzina? »
Tom annuì con la testa e poi fece un sorso.
« Stasera andiamo con Andreas al Trivan, vieni? »
« Il pub che distribuisce alcolici senza richiedere i documenti? »
« Sì, quello. »
Tom fece spallucce.
« Ok. »
« Andreas passa qua.. » si controllò l’orologio al polso. « Fra 10 minuti. »
« Oh, grazie per avermi avvertito in tempo, Bill. » bisbigliò Tom scattando in piedi dal divano per vestirsi. 

Alex non era tornata a casa e non era nemmeno passata a scuola di danza quella sera.
Aveva perso anche quel lavoro. Si sentiva tremendamente inutile.
Cosa avrebbe detto la madre se l’avesse vista in quelle condizioni?! Non riusciva nemmeno a controllarsi davanti ad un bullo.
Bevve anche quel bicchiere e poi lo poggiò sul bancone, iniziando a vederci doppio.
Non sapeva manco che diavolo aveva ordinato ma voleva semplicemente cancellare quella giornata dalla sua mente visto che non poteva cancellarla dalla sua vita.
La musica era così alta da farle salire il nervoso e da farle pulsare le orecchie.
Batté insistentemente il bicchiere sul bancone e il barista glielo riempì di nuovo.
« Sicuro di reggerlo, amico? » lo ammonì.
Alex lo fissò già partita.
« Sono una ragazza. » sbottò sfilandosi la cuffietta e lasciandosi cadere i capelli addosso.
« Oh, scusami. » rispose lui prima di dileguarsi verso altri clienti.
Alex lo ingurgitò tutto in un baleno e sentì la testa tremendamente pesante.
Così pesante da farla cascare dallo sgabello.
« Porco d’un cane! » imprecò a voce alta, anche se la musica copriva ogni altro suono.
« Tutto ok? » si sentì urlare nell’orecchio. Si rimise in piedi tenendosi allo sgabello e al bancone e si voltò verso la persona che le aveva parlato, sforzandosi di mettere a fuoco ma senza risultati.
« Alex?! »
Tom rimase visibilmente sorpreso di trovarla là. In quelle condizioni.
Era ubriaca fradicia, si vedeva da come lo guardava e da come barcollava.
« Che diamine ci fai qua?! Sei sola? »
Lei continuò a guardarlo.
« Come fai a.. mi conosci? »
Tom non riuscì a rispondere perché la ragazza cadde di nuovo a terra, perdendo l’equilibrio e lui la sorresse per un pelo.
« La mia testa… » gemette lei in un soffio che lui udì solo perché il suo orecchio era vicinissimo alle sue labbra.
« Ok, va bene.. riesci a reggerti su? Usciamo da qua. »
Le legò un braccio attorno alla vita e si portò un suo braccio attorno al suo collo, nonostante fosse molto più alto di lei. Poi iniziò a farsi strada tra la folla e uscì. La caricò in macchina e quando chiuse lo sportello, lei poggiò la testa sul finestrino chiuso.
Tom salì alla guida e mise in moto, tirando fuori il cellulare e scrivendo un messaggio a Bill dove gli spiegava che era dovuto andare via prima.
Alex crollò in un sonno molto simile al coma nel giro di qualche istante, e quando Tom arrivò sotto casa sua, lei nemmeno si svegliò, rispondendogli in modo brusco e invitandolo ad andare a quel paese.
Tom posò le mani sul volante, incerto sul da farsi.
« So già che me ne pentirò. » mormorò tra sé e sé, rimettendo in moto la macchina e dirigendosi verso casa sua.
Una volta arrivato, parcheggiò fuori e prese Alex di peso, portandola dentro casa.
Farla dormire sul suo letto non gli sembrava appropriato e nemmeno nel letto di Bill constatando che non fosse nemmeno a conoscenza della presenza della ragazza a casa loro. E il divano era assolutamente fuori discussione.
Avrebbe sistemato la stanza degli ospiti un giorno, si disse mentre saliva e si dirigeva verso la camera dei suoi genitori.
Poggiò la ragazza sul letto immacolato e le sfilò le scarpe, le calze e la felpa che indossava, lasciandola con addosso una canottiera e i pantaloni.
Lei sospirò beatamente e lui la coprì fino alle spalle, visto che quella notte faceva freddo.
Restò a fissarla un po’, poi si avvicinò al suo orecchio.
« Se hai bisogno di qualsiasi cosa, sono nella stanza affianco. » sussurrò.
Sapeva che lei non l’avrebbe sentito, ma si sentì in pace con sé stesso dopo aver detto quella frase.
Così uscì dalla camera richiudendosi la porta alle spalle.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** 07. That should be me ***


La testa di Alex pesava tremendamente e giurò di aver sbattuto contro un treno in corsa, quando si svegliò.
Non riusciva a muovere il collo, manco avesse piombo al posto del cervello.
Strabuzzò un po’ gli occhi cercando di mettere a fuoco, e si voltò da una parte e poi dall’altra.
Un momento.. quella non sembrava affatto essere camera sua.
A meno che qualcuno avesse cambiato le lenzuola del suo letto da bianche a nere e rosse e a meno che Sveva fosse diventata bianca a chiazze.
DI CHI CAZZO ERA QUEL CANE CHE LA FISSAVA?!
Quello che le corde vocali di Alex produssero fece abbaiare l’animale che indietreggiò fino alla porta.
Subito dopo sopraggiunse un Tom completamente stralunato che rischiò di inciampare sull’animale, solo in boxer e seguito da un altro cane della stessa razza del primo che continuava ad abbaiare.
« Scotty, zitto! » esclamò Tom rivolto al primo cane. Il secondo sopraggiunse mettendosi anche lui ad abbaiare, come se non ci fosse abbastanza casino.
« Cora, stai zitta pure tu! »
« Che cazzo sta succedendo?! » Bill comparve sulla soglia più o meno con lo stesso abbigliamento del gemello, solo che si era preoccupato di indossare una T-shirt. Il suo sguardo si posò subito su Alex seduta sul letto dei suoi genitori.
« Lei che diavolo ci fa qua?! »
Tom guardò prima lui e poi Alex che aveva smesso di urlare e fissava tutti senza capire.
« Prenditi i cani e vai a farti un giro nel quartiere, ti spiego tutto dopo! »
Tom buttò fuori sia Bill che entrambi i cani che continuavano ad abbaiare e chiuse la porta.
Poi si voltò verso la ragazza.
« Non è come pensi. » disse per prima cosa.
Alex non rispose e si portò una mano alla testa, ancora più pesante di prima.
« Ieri sera eri al Trivan e hai bevuto un po’ troppo, ubriacandoti. Così ti ho presa e portata qua. Ma non ti ho fatto nulla, giuro! » si sentì in dovere di precisare.
La ragazza lo guardò aprendo e chiudendo gli occhi a scatti.
« Ricordi qualcosa? » domandò lui gesticolando assurdamente.
Lei spostò lo sguardo da un’altra parte, visto che stava indugiando un po’ troppo sulla figura seminuda del ragazzo che, bisognava ammetterlo, era un gran bel vedere.
« Ho qualche flash di luci e di qualche bicchiere di vetro. Ma no, di quello che mi hai raccontato tu non ricordo nulla. »
« Ti giuro che è la verità! » si affrettò a dire lui.
« Sì, sì, ti credo. » disse lei massaggiandosi le tempie.
Tom tirò un sospiro di sollievo e stava per chiederle come si sentisse, quando i cani ripresero ad abbaiare dalla porta e Bill li richiamò dal piano di sotto.
« Cazzo! Sveva! » esclamò Alex tirandosi via le coperte di dosso e saltando giù dal letto.
Pessima mossa, forse sarebbe stato meglio se avesse fatto le cose con più calma.
Barcollò un po’ e cadde di nuovo seduta sul letto.
« Tutto ok? Ce la fai? » le domandò Tom avvicinandosi con un balzo.
Lei strizzò gli occhi e annuì.
« Sì, sì. Devo.. devo tornare velocemente a casa, Sveva è sola! »
Tom la guardò perplesso. Era convinto vivesse sola!
« Sveva?! »
« Il cane! » rispose lei sollevando lo sguardo verso il suo.
Tom non rispose e nessuno dei due parlò.
No ok, la situazione era decisamente imbarazzante. Lui era chino su di lei, mezzo nudo. E lei non faceva nulla per allontanarlo, non gli tirava una testata, non gli sputava in un occhio, non lo prendeva a parolacce ma bensì lo fissava quasi ammaliata da cotanta bellezza!
« Il cane. » ripeté lui che si era già fatto una cinquantina di filmini mentali porno.
Si allontanò mentre un uragano ronzava nella sua testa.
« Vuoi che ti accompagni? »
Lei fece spallucce.
« Non so nemmeno dove sono. » 

Tom la accompagnò fin sotto casa sua.
Sapeva bene la strada, ma non credeva affatto che Alex fosse stupida e così le chiese di fargli da guida.
E una volta sotto, calò il silenzio.
Non che prima avessero chiacchierato molto, ma la macchina era proprio ferma.
Alex sollevò le spalle, imbarazzata.
« Ti ringrazio per.. per avermi portata a casa tua e per avermi riaccompagnata. »
Tom fece spallucce, senza guardarla.
« Figurati. Era il minimo. » rispose. « Ti consiglio di bere di meno, comunque. »
Lei la prese come una battuta e sorrise, annuendo.
« Lo terrò a mente, grazie. »
« Di nulla. »
Aprì lo sportello della macchina e prima di chiuderlo si voltò.
« Ci vediamo a scuola e.. ancora grazie. »
Tom fece un cenno con la mano e poi la ragazza chiuse lo sportello con un tonfo, tirando fuori le chiavi di casa.
Il finto rapper ripartì spedito, picchiandosi mentalmente.
Era rimasto sveglio tutta la notte, nella speranza di udire la sua voce chiamarlo. Per poi sdraiarsi al suo fianco e rassicurarla, di qualsiasi cosa ella avesse paura.
Ma non aveva sentito affatto il suo nome, e quando si era appena addormentato, scacciando via quei pensieri così stupidi, l’aveva sentita urlare ed era schizzato verso la stanza dei genitori con un laccio in gola.
Si stava letteralmente mettendo sottosopra per quella ragazzina.
Non aveva mai portato nessuna a casa sua se non per trombarla, giusto per capire meglio in che situazione si trovasse il suo cervello.
E il fatto che, qualche istante prima, fossero così dannatamente vicini l’uno all’altra da desiderare ardentemente di baciarla, non era normale nella sua indole. Quello non era affatto il Tom Kaulitz che era esistito per 19 anni. 

Bill gli aveva fatto il terzo grado. Non si era accorto della ragazza nella camera dei genitori, perciò era rimasto alquanto terrorizzato quando aveva sentito un urlo femminile. Tom aveva la voce decisamente più grossa!
Così avevano fatto una mezza litigata perché Bill sosteneva che Tom se la stesse prendendo troppo a cuore per quella ragazza.
E Tom ripeteva che non era vero niente.
Stranamente, però, fin da piccoli era sempre stato Bill quello ad avere ragione.
E Tom negli ultimi giorni non aveva chiuso occhio.
Non aveva chiarito con lei, non ne aveva avuto l’opportunità o forse il coraggio. Però almeno non aveva ricevuto un altro schiaffo.

Prova a chiederle di nuovo scusa. Tentaci ancora finché non ti ascolta.
Quella vocina iniziava terribilmente ad irritarlo. Da quando era arrivata lei aveva fatto cazzate su cazzate.
Ma se era così tormentato, quella sembrava essere l’unica cosa da fare. 

3 giorni sembrarono un’eternità, senza contare la Domenica.
E non per chissà quale motivo, semplicemente perché non si erano rivolti la parola.
Ok, Alex pensava di essere altamente esagerata, ma.. era stato tremendamente gentile a portarla a casa sua.
E quando l’aveva visto a qualche centimetro da lei, con il petto scoperto, la sua mente era tornata per qualche istante a quel sogno.
Sveva era viva e vegeta, ma non aveva apprezzato tanto il fatto che la sua padrona l’avesse lasciata da sola per quasi un giorno intero.
Nonostante tutto, riuscì a procurarle un altro lavoro e Alex decise che quel cane, in realtà, aveva la stoffa del manager.
Così un altro giorno era arrivato e un’altra mattinata a scuola era iniziata.
No, non era cambiato nulla.
Alex continuava a portare le sue cuffiette in testa, a camminare fissandosi le scarpe e a non capire le lezioni di matematica.
Al suono della campanella prese velocemente tutto e lasciò l’aula quasi prima dei suoi compagni e quando fu fuori si accese una tanto bramata sigaretta.
Tom uscì in quel momento, portandosi alle labbra la sigaretta già accesa.
Bill l’aveva mollato poco prima per fermarsi a parlare con Andreas. Camminò un po’, guardandosi attorno e inforcando gli occhiali da sole, per poi fermarsi in mezzo al cortile fissando il cancello.
Alex stava uscendo in quel momento.
Velocizzò il passo, superando chiunque gli si trovasse davanti.
« Alex! »
La ragazza si voltò prima di accendere l’I-pod e davanti a sé vide l’alta figura del Kaulitz.
« Scusa, non volevo spaventarti. Mi chiedevo se.. » si fermò un po’ spostando lo sguardo da una parte all’altra. « Ti andrebbe di fare un giro con me, stasera? Sai, per portare a spasso i cani, visto che anche tu ne hai uno… »
Alex lo fissò perplessa.
« Stasera? »
« Sì. Hai da fare? »
Alex si grattò la fronte, pensando.
« Ho lezione di danza. »
« Oh… » mormorò Tom, abbassando lo sguardo verso le sue scarpe.
« Domani fa lo stesso? » si affrettò ad aggiungere lei.
Il ragazzo sollevò velocemente lo sguardo, abbozzando un sorriso.
« Certo, passo a casa tua verso le 18? »
« Va bene. » rispose lei lasciandosi sfuggire un sorriso tirato, intimidita.
« Allora ci vediamo domani. »
Alex annuì ma prima che uno dei due muovesse un passo, vide i libri che aveva tra le braccia cascarle a terra con un tonfo e una chioma bionda la superò.
Quel pezzente era ogni volta più irritante.
Sia Alex che Tom si voltarono verso il coglione in questione che si girò con un mezzo sorriso e dicendo: « Gay di merda. »
Alex scosse la testa e si chinò per prendere i libri, per poi vedere Tom spostarsi in direzione dell’altro ragazzo.
« Hey. » lo sentì dire.
Il biondo si fermò e si voltò.
« Ti sei divertito, eh? »
« Potrei fare di meglio. » rispose quello incrociando le braccia sul petto.
« Chiedi scusa. »
« Cosa?! » sbottò fissando Tom sbigottito.
« Ho detto: chiedi scusa. Devo fartelo capirei in altri modi? » domandò parandoglisi davanti e schioccandosi le dita.
Il ragazzo fece mezzo passo indietro e Tom si spostò per farlo passare.
Il biondo fece due passi e poi si fermò.
« Scusa… frocio di merda. »
Si allontanò sghignazzando e Tom rise.
Alex rimase a fissare entrambi perplessa. Poi Tom sganciò un pugno sullo zigomo di quel disgraziato, facendolo cascare a terra.
« E’ una ragazza, stronzo. »

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** 08. I see You ***


Il citofono suonò e Sveva iniziò ad abbaiare.
« Basta, stai calma! » la rimproverò Alex aprendo la porta d’ingresso e scendendo le scale.
Cercò di ignorare il fatto che ci fosse qualcosa, probabilmente uno yeti, nella sua pancia,  e scese anche gli ultimi gradini, per poi aprire il portone principale.
No, nonostante avesse cercato di immaginarsi Tom, niente era comparabile con la figura che aveva davanti.
Restò imbambolata a fissarlo cercando di imprimersi nella mente ogni minimo dettaglio e lasciando scivolare lo sguardo sulla figura che aveva davanti agli occhi.
Tom indossava una giacca rossa e bordeaux, in testa aveva un berretto della SOX altrettanto scuro e dei jeans blu.
Ma addosso a lui, tutto aveva un’altra forma.
Alex scosse mentalmente la testa e strabuzzò gli occhi, abbassando lo sguardo verso il cane che scodinzolava, abbaiando.
« Qualcuno è impaziente di passeggiare. » commentò Tom tenendo stretto il guinzaglio e abbozzando un sorriso.
Alex si chiuse il portone alle spalle e cercò di trattenere Sveva che non ne voleva sapere di stare ferma.
E poi, iniziarono a camminare avvolti da un profondo silenzio. 

Sveva e Scotty sembrava avessero fatto amicizia e si rincorrevano l’un l’altro mentre Alex e Tom li fissavano seduti su una panchina.
« Così tu e la matematica non siete molto amiche. » disse Tom voltandosi a guardare il viso della ragazza, che sembrava concentrata verso gli animali.
Alex fece spallucce.
« Non mi è mai piaciuta. »
« Forse perché non te l’hanno mai spiegata come si deve. »
Lei non rispose e fece di nuovo spallucce.
« Non credo diventerà una mia priorità imparare a risolvere equazioni. » commentò.
Tom sghignazzò.
« Comunque, il sottoscritto è abbastanza bravo in matematica. Perciò se ti servisse un aiuto, io sarei disponibile. »
« Sul serio? »
Tom annuì e si voltò di nuovo a guardarla.
« Certo. Non vorrai essere bocciata per matematica, spero. »
Alex scosse energicamente la testa e poi entrambi si voltarono di nuovo verso i cani che si rincorrevano a vicenda.
Scotty fece un balzo e finì addosso a Sveva, facendola ruzzolare per terra e Alex scoppiò a ridere divertita.
« Non ci credo! » esclamò Tom, fissandola.
« Sono assurdi! » commentò lei senza accorgersi del suo sguardo puntato addosso.
« Hai riso! »
La ragazza si voltò ancora con un leggero sorriso stampato sul volto e fissò il Kaulitz.
« Come? »
« Hai riso! » ripeté Tom con un mezzo sorriso. « E io.. non ti ho mai vista ridere! »
« Oh.. » mugolò Alex abbassando lo sguardo imbarazzata.
« No scusa, non volevo metterti in soggezione! » si affrettò a dire. « Ma.. sappi che hai un bel sorriso. »
Alex sentì il proprio viso bollire.
« Gr-grazie! »
Tom fece spallucce, e poi tornò a tenere d’occhio i cani.
La ragazza lo guardò con la coda dell’occhio, mentre una domanda la torturava fin dal principio.
« Tom, » lo chiamò. « posso farti una domanda? »
« Certo. »
Prese fiato e lo guardò.
« Perché te la sei presa tanto? Per la storia dei vestiti intendo.. »
Tom sospirò. Sapeva che prima o poi lei gliel’avrebbe chiesto. Ed era anche lecito da parte sua, no?

E mò che le dici?
Cristo, quella vocina somigliava sempre più a quel cagacazzo di Bill!
« Non lo so. » fu l’unica cosa che disse.
E Alex rimase visibilmente sorpresa.
« Faccio molte cose alla quale non riesco a dare alcuna spiegazione. » aggiunse poi, scrollando le spalle.
« C’è qualcosa che non va? » gli domandò lei.
Tom sollevò lo sguardo oltre i cani, e si leccò le labbra.
Restò in silenzio per un po’, sfregandosi nervosamente le mani.
« Scusa, sono stata troppo invadente, non volevo. » mormorò Alex, dandosi della stupida.
« No, hai ragione. Tu vuoi una risposta e io devo dartela. Non mi sono comportato bene con te, dopotutto. »
Arrivò anche il terzo sospiro, stavolta molto più profondo e Alex capì che Tom stava raccogliendo i pensieri per poi rilasciarli fuori secondo una qualche logica pressoché ordinata.
E così fu.
« Bill e io siamo cresciuti sempre insieme. Non ci siamo mai separati. Avevamo un nostro mondo, ci siamo creati delle personalità, delle vite, dei sogni. Siamo cresciuti da soli perché i nostri genitori.. beh, non erano proprio dei genitori. A loro importava molto del lavoro e gli importa ancora visto che ormai sono 3 settimane fuori casa e non sappiamo nemmeno dove siano. Forse in Georgia o in qualche altro posto là vicino. » prese fiato, tirando fuori il suo pacchetto di sigarette. « Così ho iniziato a sfogarmi in questo modo. Correndo, facendo ginnastica e… picchiando le persone. » tirò fuori una sigaretta e la accese. « Poi sei arrivata tu. Con la felpa uguale alla mia. E non c’ho più visto. »
Alex ascoltava in silenzio, assorbendo tutte le parole.
Aveva pensato che Tom fosse un cinico. Un deficiente, stronzo, pirla, fesso del cazzo.
E invece si sbagliava di grosso.
« Non mi sto giustificando, quello che ho fatto è imperdonabile e me ne rendo conto.. però questa è la mia storia. Io e i miei genitori non abbiamo un dialogo al di fuori del “Tutto ok?” – “Sì, tutto ok”. E’ come se vivessimo due vite completamente differenti. » continuò a spiegare. « Bill è più debole. È sempre rimasto più sulle sue, e poi ha iniziato a seguirmi sulla scia del pestaggio. Era l’unico modo che avevamo per.. avere un po’ di attenzione. Il nervosismo lo scaricavamo con un pugno. O perlomeno, io. Lui stava a guardare o mi sorreggeva le vittime. »
« Ho notato. » sghignazzò lei, come per sdrammatizzare.
Ma Tom non rise. Fece un altro lungo tiro e Alex lo osservò. Osservò l’incurvatura delle sue labbra, le sue dita che stringevano quella sigaretta, lo sguardo perso di Tom che fissava il nulla.
L’idea, il prototipo di Tom Kaulitz che s’era fatta, era completamente fuori pista dall’originale.
E quasi le sembrò di avere un’altra persona al suo fianco.
Tom era bello, quello l’aveva sempre pensato. Ma adesso aveva anche scoperto che poteva essere gentile, carino, educato e apprensivo.
E per di più, non era felice. Glielo si leggeva in ogni movimento, in ogni battito di ciglia. Quel ragazzo, stava cercando una svolta per capovolgere la sua vita.
Tom buttò la sigaretta per terra e la pestò con forza, ricordando eventi del passato che lo annientavano moralmente.
« E tu? Come mai ti vesti così? Non puoi dirmi che è solo una questione di stile. Sembra quasi che ti stia nascondendo. »
Aveva perfettamente fatto centro, con qualche parola in croce.
Alex si inumidì le labbra diventate misteriosamente secche e deglutì.
« Io non sono di Amburgo. » cominciò.
« No? Da dove vieni? »
« Berlino. »
Tom strabuzzò gli occhi.
« E hai lasciato Berlino per venire qua?! »
« Berlino mi ha uccisa. » rispose brevemente la ragazza, suscitando ancora più interesse su Tom. « Vivevo là con mia madre e mio padre. Lui non la amava. Non l’ha mai amata. Non la capiva, non la ascoltava, spesso e volentieri rientrava a casa ubriaco fradicio e la picchiava. La picchiava malamente, fino a lasciarla senza fiato sul letto. Poi riusciva e tornava l’indomani. » raccontò torturandosi le mani. « Una sera ha preso tutte le sue cose ed è andato via, senza dare alcuna spiegazione. Ci ha lasciate, completamente. Mia madre gestiva una scuola di danza, ma senza lo stipendio di mio padre era difficile mandare avanti tutto. C’erano troppe cose da pagare, troppe spese da affrontare e io ero ancora piccola, non potevo mettermi a lavorare. Poi mia madre fu costretta a chiudere la scuola, con suo immenso piacere. E da là partì un calvario. » le mani della ragazza avevano iniziato a tremare come due foglie che cadono da un albero, e se le fissava con insistenza, come se avesse paura che la pelle si staccasse da un momento all’altro. « Mia madre si ammalò. Un cancro, ecco come si chiamava il suo nuovo amico. E non le lasciò alcuna tregua. La trascinò via con sé molto velocemente, portandomela via. E in punto di morte, mi chiese esplicitamente di andare via da Berlino per farmi un’altra vita qui, ad Amburgo. Sono 3 mesi che cambio lavoro in continuazione, 3 mesi che seguo la scuola senza il dovuto interesse e 3 mesi che continuo a pensare a che razza di stupida piega abbia preso la mia vita. »
La voce di Alex iniziò a tremare e Tom allungò cautamente una mano verso le sue, dividendogliele.
Ne prese una e la strinse, riscaldandola.
Alex si voltò a guardarlo, stupita ed estasiata contemporaneamente da quel gesto.
Tom si vide riflesso negli occhi umidi della ballerina, che stentava a trattenersi dal piangere.
Si sentiva tremendamente inutile, in quel momento. Aveva solo contribuito a rendere la vita di quella ragazza un inferno. Ma che razza di persona era?!
« Ricordati che hai un bellissimo sorriso. » fu l’unica cosa che riuscì a dire.
Alex tentò disperatamente di abbozzarne uno, ma poi le braccia del ragazzo si avvolsero attorno al suo corpo e le lacrime presero il sopravvento.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** 09. Sacred ***


Tom non aveva mai visto nessuno piangere, ad eccezione di Bill. Ma Bill non era una ragazza.
E il fatto che Alex avesse iniziato a singhiozzare liberamente mentre lui la stringeva a sé, l’aveva non poco sorpreso. Cosa doveva fare? Nessuna ragazza aveva mai pianto davanti a lui.
Quando rientrò a casa, Scotty schizzò da una parte all’altra cercando Cora, sua sorella.
« Mamma? » domandò Bill dal piano di sopra.
« Sono Tom. »
« Oh. » Bill scese velocemente i gradini. « Com’è andata? »
Tom fece spallucce.
« Bene. »
Lo superò e salì al piano di sopra, verso la sua camera.
« Sicuro che sia tutto ok? » gli strillò il fratello.
« Perché non dovrebbe esserlo? » domandò Tom fermandosi sull’ultimo gradino e voltandosi.
Bill era all’inizio della rampa e lo fissava.
Addosso aveva una tuta ginnica completamente arancione ed era senza trucco.
« Non so, mi sembri un po’.. spossato. E’ successo qualcosa? »
Tom ci pensò un po’. Era ovvio che Bill non si bevesse quella balla, erano gemelli e quello che provava Tom, Bill lo percepiva. Ma per qualche strana ragione, preferì non dire niente al gemello di quella serata particolarmente diversa dal solito.
« No, è tutto ok. Probabilmente sono solo stanco. Oggi Scotty è più elettrico del normale. » borbottò dandogli di nuovo le spalle ed entrando in camera sua.
Si tolse il berretto e lo poggiò sulla scrivania, passandosi una mano sui cornrows e poi si sedette sulle sedia, fissando il vuoto più totale.
Si tolse la giacca e la lanciò sul letto, sospirando.
Poi prese il cellulare e osservò l’ultimo numero che aveva aggiunto alla sua rubrica.
Alex.

Sveva aveva occupato tutto il divano, sdraiandosi beatamente su di esso mentre Alex preparava la cena.
La TV era accesa e al cane come alla padrona piaceva parecchio ascoltare la musica su MTV.
Gli occhi della ragazza bruciavano ancora ed erano leggermente arrossati.
Ma si sentiva decisamente più libera. Non le piaceva piangere, era vero. Ma si era sfogata come mai prima d’allora, si era lasciata andare buttandosi a capofitto tra le braccia di Tom che non aveva detto nulla, era rimasto in silenzio ad ascoltarla che piangeva, accarezzandole la schiena e continuando a stringerla.
Poi si erano di nuovo divisi, scambiandosi il numero di telefono.
E Alex aveva iniziato a lanciargli occhiate veloci.
Attendeva uno squillo, un messaggio. Una qualsiasi cosa.
Si sedette sul tavolo, da sola, e iniziò a mangiare.
Quella giornata era senza ombra di dubbio la più strana di tutte. Si era trovata a raccontare la sua vita ad un ragazzo che l’aveva scambiata per maschio e che l’aveva pestata più volte.
E si era anche messa a piangere davanti a lui.
Doveva essere impazzita, si disse.
Il cellulare iniziò a squillare e Sveva si sedette sul divano, abbaiando.
Alex lo prese e sullo schermo lesse Tom.
Perse un battito e avvicinò l’apparecchio all’orecchio, rispondendo.
« Pronto? »
Un sorriso comparve sulle sue labbra, appena sentì la voce del ragazzo.

Nonostante la chiacchierata di quella sera e la telefono di un’ora, non si scambiarono nemmeno un saluto quando si incrociarono nel corridoio.
Bill ossessionava Tom parlando di moda e lei era preoccupata a non farsi schiacciare dagli altri studenti.
Ed entrambi avevano evitato di fermarsi per scambiarsi un sorriso, un saluto. Un abbraccio.
Ma il fatto era che Tom stava seriamente impazzendo senza dirle un “ciao”, senza sentirla respirare al suo fianco.
Si prese mentalmente a pugni mentre usciva fuori dalla sua aula cercando il pacchetto di sigarette in una delle sue trecento enormi tasche.
« Hey, che hai da guardare?! »
Una forte voce attirò la sua attenzione e sollevò lo sguardo in tempo per vedere una palla di lardo spingere con forza un ragazzino contro gli armadietti, facendolo sbattere.
Dal gemito che quello tirò fuori, Tom rimise immediatamente il pacchetto in tasca, dandosi del pirla mentalmente.
Quella era Alex!
Si avvicinò quasi correndo al ciccione e gli mollò uno spintone sulla spalla.
Alex lo guardò quasi come se fosse stato un angelo.
« Hey, chi ti credi di essere?! » lo intimidì avvolgendo la ragazza con un braccio e spostandola dietro sé.
Alex si aggrappò con le mani alla sua camicia rossa e nera, un po’ per ripararsi e un po’ per tenerlo fermo.
« Devi starle lontano, è chiaro?! »
Il ragazzo non rispose e si dileguò a gambe levate.
Tom si voltò, posando le mani sulle spalle della ragazza.
« Alex. » la richiamò, sospirando. « Come fai a cacciarti in tutti questi guai?! E’ stata una fortuna che stessi passando di qua. »
« Lo so Tom, lo so e.. ti ringrazio ancora una volta ma.. io stavo solo camminando! E’ che tutti pensano che sia un ragazzo e.. se la prendono con me.. » evitò di dire che era iniziato tutto a causa sua, ma l’aveva pensato.
Tom sospirò.
« Perché tieni addosso questa cuffietta? Se portassi i capelli sulle spalle, nessuno ti darebbe più fastidio, lo sai no? »
« Sì, certo che lo so.. » mormorò lei abbassando lo sguardo.
« Allora perché non molli queste cuffiette? Oppure mettile in testa ma lascia scivolare giù i capelli! »
« Tom, non è così semplice, io.. ho dei ricordi legati ai miei capelli che.. off! » sospirò scuotendo la testa. « Mia madre era solita accarezzarmeli. Ci passava ore intere e di solito le piaceva farlo quando andavo a dormire. Io mi rilassavo, per me era la cosa più bella che qualcuno potesse fare.. continuava a dirmi che i miei capelli le piacevano un sacco, che non avrei mai dovuto tagliarli. E ora che lei non c’è più, questi capelli portano il suo odore, i suoi gesti.. e non c’è nessuno che me li accarezzi per il puro piacere di farlo… »
Tom la osservava mentre parlava, estasiato dal suono della sua voce e dalle movenze delle sue labbra.
Quella ragazza gli faceva provare un formicolio intenso in ogni singola parte del corpo e il solo sfiorarsi lo mandava in iperventilazione.
« Posso farlo io. » disse poi, raccogliendo tutto il coraggio che gli era rimasto, come se fosse un vigliacco.
Alex sollevò di colpo il capo, guardandolo.
« Come? »
Tom notò che aveva di nuovo gli occhi umidi ma non voleva che si rimettesse a piangere. Così si affrettò ad indicare la cuffietta che la ragazza aveva in testa.
« Posso accarezzarti io i capelli. Anche se non sono tua madre. »
Alex sentì un vortice, un uragano nella sua pancia. Le scombussolò tutto, facendole girare la testa e riuscì a contare i battiti del suo cuore senza toccarsi il petto.
Annuì nascondendo un sorriso e Tom avvicinò una mano verso la testa della ragazza. Afferrò la cuffietta e gliela sfilò con cura, osservando attentamente la sua chioma che cascava giù. L’aveva vista altre volte, ma mai così vicino. Mai col desiderio di tuffarci le mani in mezzo.
Deglutì a fatica, sentendo la gola bruciare e poi avvicinò una mano ai capelli della ragazza, che profumavano di pulito.
In poco tempo, la sua mano destra stava accarezzando la chioma castana della ballerine che aveva adagiato la testa al petto di Tom.
La mano del ragazzo era grande, compiva gesti timidi e insicuri. E ad Alex piacevano da morire, le procuravano brividi lungo la spina dorsale.
Tom fissava le sue espressioni, cercava di tranquillizzarla, di rimediare a tutti gli errori che aveva commesso.
Alex, dopotutto, non gli aveva fatto niente. Eccetto farlo sentire diverso dal resto del mondo ogni volta che la guardava.
Lei sollevò lo sguardo incrociando il suo e Tom si sentì sopraffatto da una grande voglia di imprimersi il sapore di quella ragazza sulle sue labbra.
Chinò leggermente il capo decidendo di soddisfare quella sua voglia, ma la campanella precedette ogni sua azione e un’orda di studenti sbucò improvvisamente fuori dalle aule.
Quel pizzico di atmosfera che c’era nel corridoio, svanì così com’era comparso.
« Tom! » Bill chiamava il fratello del fondo del corridoio, e Alex si riprese velocemente la cuffietta.
« Ci vediamo. » si dileguò, entrando in bagno.

Era ovvio: qualcosa in lui era cambiato. Forse un po’ tutto.
Com’è che non sentiva più la necessità di picchiare qualcuno? Ma, al contrario, aveva il costante bisogno di sentire quella ragazza?
Alex lo stava mettendo duramente alla prova. Senza nemmeno accorgersene.
Bill bussò alla porta di camera sua.
I genitori erano ancora fuori e avevano fatto sapere che sarebbero stati fuori ancora per un po’. Ma né Bill né Tom sapevano dove si trovassero.
« Tom. » disse Bill facendo il suo ingresso.
« Bill. » lo imitò Tom, mettendosi a sedere sul letto.
« Io e te dobbiamo parlare. »
Tom odiava quando Bill diceva quella frase. Era come se stesse dicendo “Tu hai qualcosa che non va e io mi preoccupo peggio della mamma”.
Perciò fece spallucce e attese che Bill iniziasse il suo sermone.
« Il mio istinto femminile mi dice che ti stai prendendo una cotta. »
Tom trasalì.
« Bill, sei un maschio! Che.. che cazzo stai dicendo?! Istinto femminile?! »
Bill annuì fermamente convinto e incrociò le braccia sul petto, come suo solito.
« Insomma! Ogni volta che la vedi ti agiti, smetti di parlare, di fumare, di fare qualsiasi azione che non abbia un collegamento con lei e probabilmente se potessi la seguiresti ovunque lei vada. Per non parlare del fatto che l’altro giorno sia tu che Scotty siete rientrati uno più su di giri dell’altro e.. la tua giacca odora ancora di profumo di femmina! Poi clamorosamente passi giornate intere sdraiato a fare un emerito cazzo ma la cosa ancora più strana è che hai smesso di guardarti porno, di passare le nottate fuori con qualche pivellina dalla quinta sproporzionata rispetto al corpo e di picchiare chiunque ti vada a genio! »
Bill aveva assunto il colore di una prugna e Tom strabuzzava gli occhi.
« E non dirmi che non c’è niente fra te e quella Alex, perché siamo gemelli omozigoti e so perfettamente quando mi dici una minchiata! » aggiunse. « Cosa che hai fatto nelle ultime due settimane. »
« Ok Bill, calmati e vedi di respirare o dovrò regalarti un inalatore per il prossimo compleanno. Ok? »
Bill non rispose e prese una grande boccata d’aria. Poi si sedette sulla sedia davanti alla scrivania.
« Sentiamo un po’. Ti devo fare le domande io o mi rispondi con un discorso serio? »
« No, fammi il terzo grado, tanto non saprei manco quali sono le risposte che cerchi. »
« Ok, bene. Ti piace? »
« Chi? » sbuffò Tom giusto per perdere tempo.
« Alex, idiota! »
Il ragazzo si grattò la nuca.
« E’ carina e.. simpatica. »
« Ok, ti piace. »
« Bill, non tirare conclusioni affrettate! »
« Tu le piaci? » lo ignorò il gemello.
« Ma cosa ne so, a me nemmeno interessa saperlo! »
TIK! Una ruspa gli sfregò una parte del cervello facendogli risuonare l’allarme “Balla megalomane”, e Bill sollevò il sopracciglio destro. Non era stupido.
« Certo, come no. » sghignazzò. « Avanti, parlami di lei. »
« Cosa? »
« Parlami di lei. » ripeté con più enfasi. « Quanti anni ha, com’è il suo carattere. Le cose basilari. »
Tom si schioccò il collo con un movimento e si mise bene a sedere sul letto, preparandosi psicologicamente ad essere intimidito dalla figura esile del gemello.
« Ha 18 anni e.. beh, è una normale ragazza. »
« Deve avere qualcosa per piacerti. »
Bill aveva ragione, e Tom lo sapeva. Solo che era così cocciuto da non voler nemmeno sfiorare quella possibilità.
« E’ gentile. » iniziò.
« E? »
« Ha un bel sorriso… »
« E? » insistette Bill.
« E ha un buon profumo. Ha anche dei bei capelli e delle belle mani. Ha pure un fisico abbastanza carino, quando balla si muove abbastanza bene – nella sua mente passarono le parole “quando balla è una vera bomba” – e poi.. »
Penso ai suoi occhi. A quando li aveva visti pieni di lacrime, a quando aveva capito che quella ragazza aveva  dovuto sorpassare delle difficoltà.
« E poi? »
« Ok, va bene hai vinto tu. Mi piace, contento? »
Bill sfoggiò uno dei suoi sorrisoni smaglianti, allargando la faccia a dimensioni paurose e poi batté le mani, entusiasta.
Tom sbuffò e roteò gli occhi.
« Quando me la presenti? »
« Ma la conosci già! »
« Ti devo ricordare in che situazione ci siamo conosciuti? »
Tom scosse la testa.
« No, lascia stare. »

Alex aveva più volte ripensato a quel momento con Tom. Alla sua mano fra i suoi capelli, al suo profumo, alle sue braccia così protettive. E aveva anche ripensato a quel sogno, fatte un po’ di tempo prima.
Aveva rivalutato Tom in un milione di modi diversi da come se lo sarebbe immaginato.
E mentre faceva queste riflessioni, Sveva passeggiava tranquilla per le vie di una Amburgo quasi priva di gente.
Dicembre aveva portato neve dappertutto ma questo non significava che la cagnetta dovesse stare chiusa in quell’appartamento tutto il tempo.
Così sembrava quasi avesse pregato la padroncina di portarla fuori. E Alex non ci aveva poi pensato su troppo tempo.
Aveva indossato una sciarpa, un giubbotto e si era messa un cappello in testa. Ma lasciando i capelli sciolti.
Così camminava sul marciapiede ghiacciato tenendo il guinzaglio del suo cane che le aveva procurato un altro lavoro, con il suo solito metodo.
Fu un misero istante, e Sveva iniziò a correre facendo scivolare il guinzaglio dalle mani della sua padroncina.
« Sveva! » fu il suo richiamo, ma il cane continuò a correre e svoltò l’angolo.
Alex la seguì stando ben attenta a non scivolare come una pera e quando svoltò l’angolo, si aspettava di vedere il cane che pisciava su un albero, non di vederlo accoccolato mentre amoreggiava con Scotty.
E tantomeno s’immaginava di vedere Tom affianco a Scotty.
I due si guardarono, entrambi stupiti di trovarsi ancora una volta.
Poi Tom abbozzò un sorriso e fece un gesto di saluto a cui Alex rispose con un sorriso.
« Sveva. » la richiamò, ma il cane non smise di annusare Scotty.
« Credo che qualcuno abbia trovato un nuovo amico. » rispose Tom. « Tutto ok? »
Alex annuì.
« Tutto ok, sì. Tu? »
Il ragazzo fece spallucce.
« Non mi lamento. E con matematica? »
L’espressione di Alex si trasformò in puro disgusto.
« Deduco ci siano altri problemi. » ironizzò.
« E’ che per me è proprio un altro mondo! » spiegò la ragazza avvicinandosi.
« Te l’ho detto, se vuoi posso aiutarti. »
Alex si morse un labbro, e Tom si sentì ancora più attratto da lei.
« Lo faresti sul serio? »
Il ragazzo annuì aggiungendo un sorriso.
Sveva e Scotty iniziarono a rincorrersi attorno ai loro padroni e intrecciando i guinzagli.
« Sveva, fermati! Sveva! » la chiamò Alex girando su se stessa come una trottola.
« Scotty fai da bravo, smettila di… ! »
I cani strinsero i loro guinzagli tra le gambe dei loro padroni e questi si trovarono uno di fronte all’altro, ad una distanza minima. Quasi nulla.
Le mani della ragazza erano chiuse, poggiate sul petto di Tom che la fissava assalito nuovamente da quella strana sensazione di farla sua con un solo gesto.
E, perso nell’immensità di quelle emozioni che lo frastornavano, cedette. Cedette a quel peccato e assaporò lentamente quella bocca che sembrava fosse stata creata solo ed esclusivamente per lui.
Alex sentì le sue dita sfiorarle il viso con cautela e provocarle piccoli brividi sulla nuca. Il suo cuore prese a battere straordinariamente veloce e quasi si sorprese di riuscire a stare ancora in piedi, mentre il profumo di Tom la inebriava, avvolgendola.
Nulla attraversava le loro menti, niente importava più. C’erano solo le loro labbra che si rincorrevano e i loro corpi che si avvicinavano sempre di più, cercando di coprire ogni distanza possibile.
Poi i cani sciolsero i loro guinzagli e si sedettero manco fossero due spettatori.
Tom non aveva mai baciato nessuna ragazza col desiderio di farlo. Con la paura di intimidirla. Quella era come se fosse una seconda prima volta per lui. E solo quando aprì di nuovo gli occhi, con le labbra che bollivano, distanti da quelle di Alex, si accorse di quello che era accaduto.
« Scusa! » si affrettò a dire mentre lei indietreggiava arrossendo sulle guance.
« No, tu.. io.. » balbettò. Scosse la testa e poi afferrò il guinzaglio di Sveva, tirandola via.
« Devo andare. »
Il cane abbaiò energicamente ma la ragazza non ci badò e si affrettò a voltare l’angolo.
Camminò a passo svelto fino a casa sua.
Aveva mal di stomaco.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** 10. Pick me up ***


Tom si prese la testa fra le mani, cercando di imprimersi nella memoria quel minuscolo paragrafo di storia. Ma sapeva perfettamente che era tutto inutile.
Tutto gli ricordava quel momento, quel bacio. Tutto lo agitava ancora di più.
Alex probabilmente l’avrebbe preso per un maniaco sessuale. Eppure Tom aveva provato qualcosa di diverso dalle altre volte che baciava una ragazza. In precedenza il suo unico scopo era far fare ginnastica alla sua lingua. Ma in quel caso, era tutto diverso. Aveva voluto accarezzare le labbra di quella ragazza con le sue,  aveva voluto sfiorarle il viso per accertarsi che fosse vera e non un altro stupido sogno e si era sentito tremendamente bene quando aveva sentito che lei non si era allontanata, ma aveva risposto a quel bacio.
Fu come essere entrato in un’altra dimensione nettamente migliore a quella dove viveva. Un po’ come accadeva tutte le volte che la aveva al suo fianco.
Forse quello era un primo segno di pazzia, pensò.
Bill bussò incerto alla porta.
« Avanti. » sbuffò Tom, mettendosi ritto sulla sedia.
Il fratello fece capolino e abbozzò un sorriso.
« Hey. » lo ammonì, « Tutto ok? ».
Tom annuì con un’espressione che diceva “Sicuro, non vedi con quanta allegria stia saltando sul letto in questo momento?!
« E’ successo qualcosa? » azzardò Bill, entrando nella camera.
Tom sospirò e strinse i pugni.
« L’ho baciata. » rispose, voltandosi verso il gemello.
Bill spalancò gli occhi portando avanti la testa.
« Cosa?! »
« L’ho baciata! » ripeté Tom.
« E lei? »
« E lei niente. »
« Ti ha dato uno schiaffo? »
Tom scosse la testa.
« Ti ha spinto via? »
« No. »
« Ti ha fatto capire che le facevi tremendamente schifo? »
« Grazie per averci provato, ma no. »
« E allora cos’ha fatto?! »
« Nulla, ha.. risposto al bacio, ma è normale. »
Tom prese una penna e iniziò a battere sul libro aperto.
« E allora qual è il problema?! » domandò ancora Bill.
« Il problema è che mi sento a disagio! » sbottò il fratello. « Non mi sono mai comportato così con una ragazza e tu lo sai bene! E clamorosamente mi ritrovo con la pelle d’oca e la paura di averla terrorizzata come mio solito! Che cavolo faccio appena la vedo per i corridoi?! Che diamine succede se lei non mi saluta?! E per la miseria, non è possibile che non riesca a studiare questo cazzo di paragrafo di storia! »
Batté una mano sul libro e poi lo chiuse con un tonfo.
Bill lo fissò ammutolito. Se non fosse stato per il fatto che si aspettava una reazione più o meno simile, l’avrebbe definito un’altra persona.
« Tom » esordì, andando a sedersi sul letto del gemello. « hai mai pensato di avere un cuore? » 

Nascondersi dagli sguardi altrui le riusciva tremendamente bene, quando voleva.
Bastava solo saltare il pranzo e nascondersi nei bagni, no?
« Patetica. » si disse lanciando via la sigaretta senza spegnerla.
Stava scappando da qualcosa che la faceva sentire bene ma che, contemporaneamente, temeva.
Si mise meglio la sciarpa mentre tornava a casa dopo una stressante giornata di lavoro come cassiera in una vecchia pasticceria.
Una volta aperta la porta, Sveva le corse incontro facendo le feste.
« Tu me la paghi. » la rimproverò la ragazza ironicamente, mentre posava il giubbotto su una sedia ed entrava nella sua camera per cambiarsi.
La lezione di danza sarebbe iniziata a breve ma nonostante questo, Alex fece lo stesso le cose senza fretta, con una calma e una lentezza surreale. La verità era che aveva un vortice di pensieri sconnessi a tenerla occupata. Come se facessero parte di un rompicapo, di un sudoku.
Sveva mugolò quando Alex uscì di nuovo, ma non poteva certo portarla con sé.
La lezione come previsto era già iniziata e la ragazza si scusò con l’insegnante, per poi mettersi nell’ultima fila e ripetere la coreografia.
Era distrutta, aveva i nervi a pezzi ma la cosa più sbalorditiva era che ci metteva tutta sé stessa. Ballava con l’anima, sfruttando tutte le forze che le rimanevano.
« Per oggi va bene così. Passate un buon Natale e un felice anno nuovo ragazzi. » esordì l’insegnante, spegnendo la musica.
« Grazie. » risposero tutti in coro.
Alex prese il suo borsone, la felpa e uscì dall’aula tirando fuori una bottiglietta d’acqua.
Si avviò verso le scale per andare al piano di sotto quando qualcuno le prese il braccio, facendola voltare.
« Tom?! »
Il ragazzo sorrise.
« Disturbo? »
« No, tranquillo. »
Ecco di nuovo lo yeti in pancia che ballava la salsa con un gonnellino hawaiano.
« Come hai fatto a trovarmi?! »
Tom tossì.
« Ti ho seguita. » rispose. « Volevo passare a casa tua ma poi ho visto che sei uscita e ho pensato di fermarti per strada.. solo che poi sei entrata qua così ho preferito aspettare. »
« Mi hai vista ballando?! » domandò Alex arrossendo vistosamente.
Tom annuì sorridendo.
« E, detto fra di noi, balli davvero bene. »
Alex si lasciò sfuggire un sorriso timido e Tom si sentì tremendamente imbarazzato da abbassare lo sguardo e battere un piede per terra.
« Come mai mi cercavi? »
Lui fece spallucce sollevando di nuovo lo sguardo.
« Mi chiedevo se ti andasse di mangiare fuori con me. Niente di formale, solo.. una pizzetta con le bestie visto che Scotty moriva dalla voglia di vedere Sveva. »
« Adesso? »
Lui annuì.
Alex abbassò lo sguardo su sé stessa.
« Avrei bisogno di una doccia. » disse più a sé stessa.
« Posso aspettarti. » si offrì lui, con un sorriso.
« Va bene! »
Uscirono insieme dalla scuola e Scotty era seduto ad attenderli dentro la macchina di Tom parcheggiata là davanti.
Salirono, mise in moto e arrivarono subito a casa di Alex.
Aprì lo sportello.
« Ti aspetto qua. » disse Tom.
« Non sali? Mi dà fastidio lasciarti qua da solo. »
Gli bastò un’occhiata al viso della ragazza per capire che, dopotutto, non era una cattiva idea.
Scese anche lui con Scotty, Alex aprì il portone principale e poi salirono fino al suo appartamento.
« Non è grande come casa tua ma non posso permettermi molto. »
« Mi hai preso per un tipo materialista?! »
« No, ma non conosco i tuoi gusti. »
La ragazza entrò chiamando il cane a gran voce, che comparve nel salotto con la lingua a penzoloni.
Scotty le corse subito incontro e fu come se i due animali si stessero abbracciando. La scena scaturì le risate di entrambi i padroni che erano rimasti fermi sulla soglia.
« Vado a farmi una doccia veloce, tu fai come se fossi a casa tua, ok? »
« Ok, va bene. »
Tom si sedette nel divano. Avrebbe passato tutto il tempo seduto là, ne era sicuro.
Così ne approfittò per dare uno sguardo in giro.
Le pareti color pesca davano un’atmosfera tranquilla alla casa. Il soggiorno era arredato con un divano – dove c’era saldamente piombato il suo culo – color panna, una TV davanti ad esso, un tavolino fra i due e qualche quadro sparso qua e là.
Scotty e Sveva avevano iniziato a rotolarsi sul pavimento e Tom si accorse dell’acqua che scendeva dalla doccia.
Si alzò scacciando via pensieri non consoni a quella situazione e prese a camminare sul parquet della casa.
Vide la cucina, arredata con mobili in legno scuro e con un tavolo a 4 posti al centro. Poi si spostò verso la camera da letto. Le lenzuola erano bianche, le pareti gialline e c’era una finestra che dava ad un piccolo balconcino. Delle tende arancioni la coprivano, ma Tom intravide lo stesso delle sedie intorno ad un tavolino.
Non c’erano specchi ma un grande armadio davanti al letto e dei comodini in vetro con qualche foto e qualche fiore.
Si allontanò dalla stanza mentre sentiva l’acqua chiudersi e tornò nel soggiorno.
Si risedette nel divano dando una carezza a Sveva e battendo con un piede per terra, attendendo.
Ci volle un pochino prima che la porta si aprisse.
Ma quando Tom si voltò, udendo il rumore di un paio di tacchi, pensò che ne era valsa davvero la pena contare quante macchie avesse Scotty sul suo manto.
Alex spense la luce del bagno e si portò un ciuffo dietro l’orecchio. Tom si alzò dal divano e lo stesso fecero i cani, ancora accovacciati al suolo.
« Scusami se ci ho messo tanto, è che ho fatto un casino con l’acqua. » si scusò la ragazza.
Il suo corpo era avvolto da un maglioncino grigio a mezza manica. Indossava degli stretti jeans neri e delle scarpe grigie.
In un polso aveva un bracciale nero e i suoi occhi erano stati disegnati da un filo di trucco che li risaltava ancora di più in tutta la loro semplicità.
Tom restò qualche istante ammutolito, assorbendo l’effetto che quella semplice ragazza gli stava provocando. Brillava ai suoi occhi.
Poi si risvegliò da quel coma temporaneo e la raggiunse inciampando sui suoi stessi piedi e sbattendo una gamba sul divano.
« Sei.. bellissima. » 

Sveva e Scotty erano così impegnati a farsi le coccole che non gli passava nemmeno per la testa di scappare a zampe levate, visto che i loro padroni avevano mollato i guinzagli, e si erano abbandonati su una panchina dopo una pizza che li aveva saziati a dovere.
E no, non era ancora successo nulla, nonostante le labbra di Alex richiamassero quelle di Tom con costanza.
« Allora, » esordì lui rompendo un leggero silenzio. « sai già cosa farai dopo la scuola? »
Alex respirò profondamente e poi fece spallucce.
« Una volta lo sapevo. »
Tom sapeva che i ricordi di Alex erano confusi. E che la mancanza della madre si faceva sentire frequentemente. Ma voleva che quella ragazza si smuovesse, che si aprisse con lui più di quanto non avesse già fatto. E non sapeva nemmeno perché, ma starla ad ascoltare, vedere che lei si fidava di lui, lo faceva stare particolarmente bene. Lo faceva sentire diverso.
Attese che lei continuasse a parlare, perché era certo che l’avrebbe fatto.
« Quando ero bambina, vedevo mia madre ballare. Vedevo quanta passione mettesse nei suoi insegnamenti, con quanta attenzione curasse la sua scuola. E volevo a tutti i costi diventare come lei. Volevo avere anche io la mia scuola di musica, un giorno. » raccontò.
« E non può essere così? »
« La danza è la mia vita. È tutto ciò che mi è rimasto. Ma non posso. Non posso lasciarmi coinvolgere troppo, io.. non voglio diventare una schiava della danza, non voglio poi dover rinunciare ad essa. »
« Nessuno ha detto che tu sarai costretta a farlo. Avanti, perché non ci provi? »
La ragazza deglutì e poi sollevò lo sguardo verso il cielo.
« Il sogno di mia madre era di far felici le persone con il ballo. Era di insegnare a fare del ballo una via d’uscita. Non guadagnare da esso. »
« Tu ami ballare? »
Alex spostò lo sguardo sul viso di Tom.
« Sì. »
« Ti rende felice? »
« Sì, certo. »
Tom le prese una mano e la strinse.
« Allora penso che tua madre desideri vederti felice. »
Il modo in cui lo disse, la tenerezza dei suoi occhi e la naturalezza della sua voce, schiusero il cuore di Alex. Lo sentì battere forte in petto, quasi stesse implorando di uscire per vivere.
Quello era il vero Tom. Quella era la persona che non aveva mai incontrato nella sua vita. Una persona che riuscisse a provare le sue stesse emozioni? No. Una persona che la vedeva per quello che era davvero. E non un’orfana che si vestiva da maschio, con l’insufficienza in matematica. Ma una ballerina che amava quell’arte.
Tom la vedeva. La capiva. La rifletteva.
Non ebbe molto da pensarci, si tuffò addosso al ragazzo e insinuò la testa fra il suo collo e la sua spalla, abbracciandolo.
Ad Alex non era mai importato nulla dell’amore. Non ci aveva mai creduto e non era difficile immaginare il perché.
Ma Tom… Tom era così dannatamente diverso dal resto del mondo, da ricordarle di possedere un cuore. Da ricordarle quanto fosse splendidamente traumatizzante sentire lo stomaco in subbuglio.
« Grazie, Tom. »
Le mani del ragazzo affondarono di nuovo tra i capelli di Alex che si trovò in uno stato di quasi completa estasi.
« Andiamo, ti porto a casa. »
Alex sollevò lo sguardo e vide Tom sorriderle, fiducioso.
Prese il guinzaglio di Sveva e stava per portarsi una mano dentro la tasca del giubbotto, per riscaldarla, quando fu Tom ad abbracciarla con la sua, nettamente più grande.
Il ritorno sembrò più veloce dell’andata, forse per il semplice fatto che entrambi erano preoccupati a constatare quanto bello e naturale fosse tenersi per mano.
E poi, arrivarono davanti al portone.
Tom le lasciò la mano e la guardò dall’alto verso il basso, con un mezzo sorriso.
« Ho passato una bella serata. » commentò lei.
« Anche io. »
Sveva e Scotty si fissarono un momento. Poi avvicinarono i musi, sfiorandoseli a vicenda.
Alex rise, intenerita da quella scena.
« Alex » la chiamò Tom.
Lei sollevò lo sguardo mentre il sorriso svaniva, e alla poca luce della luna e di qualche lampione lontano, riusciva a vedere il volto di Tom immerso in un profondo giochi di luci e ombre.
« Posso baciarti? »
Nessuno gliel’aveva mai domandato. Nessuno si era mai preoccupato di ricevere una risposta.
Nessuno, tranne Tom.
Annuì senza parlare, con un semplice movimento della testa e un sorriso.
E in qualche misero istante, le labbra di Tom trovarono di nuovo quelle della ballerina.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** 11. Savior ***


Volava.
Qualcuno gli aveva montato due ali e lui aveva iniziato a volare, guardando la vita con occhi diversi.
E non se ne pentiva nemmeno un po’.
Si sentiva decisamente più leggero, ad almeno cinque metri da terra, ed era tutto a causa di Alex.
O forse, per merito di Alex.
Bill non aveva nemmeno chiesto il motivo di tanta allegria quella mattina, non gli era difficile trovarlo da sé.
Dopo una piacevole chiacchierata fatta col fratello, su un argomento che non avrebbe mai pensato di affrontare, Tom era tornato a casa con un grosso sorriso stampato sul volto.
E sembrava non ci fossero differenze fra la reazione di Tom e quella di Scotty.
Entrambi pareva avessero completamente perso il senno.
Tom camminava tranquillo per il corridoio. Di solito mangiava in mensa solo e quando glielo chiedeva Bill o Andreas. Ma quel giorno, anche se non gliel’aveva chiesto nessuno, si decise a varcare quella soglia.
Calò il silenzio fra i presenti.
Bill, che era già seduto, lo guardò perplesso.
Tom si diresse a passo sicuro oltre il suo tavolo, rivolgendogli uno sguardo e mentre le sue scarpe e i suoi jeans strisciavano per terra con fare disinteressato, si avvicinò ad un tavolo occupato da una sola persona, che non mangiava ma bensì leggeva una rivista.
Le si sedette affianco e poi poggiò i gomiti sul tavolo, mentre dei mormorii si levavano un po’ dappertutto.
« Ma che diavolo sta facendo?! » chiese Andreas al ragazzo androgino.
Bill lo guardò trattenendo una risata.
« Credo si sia appena trovato una ragazza. »
Alex sollevò leggermente lo sguardo dal giornale e lo voltò verso Tom, che aveva un mezzo sorriso stampato sul viso.
Il ragazzo non le lasciò nemmeno il tempo di fargli qualche domanda che la baciò a stampo sulle labbra, solo per toccarle ancora una volta.
E allora cadde davvero il silenzio.
Qualcuno lasciò cadere qualcosa a terra che fece un baccano assurdo in quell’atmosfera morta.
Alex abbassò lo sguardo arrossendo.
« Mi sento osservato. » constatò Tom. « Ti va di venire fuori? »
Lei annuì e insieme si alzarono dal tavolo. Il ragazzo le strinse una mano e si incamminarono verso l’uscita.
« Chi l’avrebbe mai detto. Gay pure lui. »
Quella frase, anche se sussurrata, arrivò dritta alle orecchie dei due.
Tom si fermò e lo stesso fece Alex.
Si voltò verso la sua destra, fissando l’unica persona che avrebbe potuto pronunciare quella frase.
Lo conosceva, non l’aveva mai sopportato e la cosa era reciproca.
Si chiamava Erwin, era un anno più piccolo di lui e odiava quei suoi capelli rossi e quelle sue lentiggini. Era il classico secchio omofobo che della vita non aveva ancora capito un emerito cazzo e molto probabilmente si faceva ancora la pipì a letto, secondo Tom.
Lasciò andare la mano di Alex e gli si avvicinò lentamente.
Gli bolliva lo sguardo, l’avrebbe incenerito se solo ne fosse stato capace. Quei suoi sudici abiti avrebbero preso fuoco in men che non si dica e lui sarebbe stato carbonizzato solo per l’enorme cazzata che aveva detto. Non conosceva Tom, tantomeno Alex.  Eppure aveva parlato. Aveva espresso un giudizio a riguardo, si era reso partecipe di quella scena e l’aveva rovinata, mandando Tom in bestia.
Non perché avesse qualcosa contro i gay. Per il semplice fatto che tutti avessero creduto che Alex fosse un maschio. E che si stessero prendendo la briga di esprimersi su quello che lui faceva.
Li odiava, dal primo all’ultimo.
Erano una massa di fessi, tutti uguali che si basavano su stupidi stereotipi e non capivano nulla, esattamente nulla, di tutto quello che li circondava.
« Come, scusa? »
Se fosse stato un drago, sarebbero uscite fiamme al posto di quelle parole.
Il ragazzo indietreggiò con la sedia e le mani di Tom si stavano già serrando in due pugni, quando alle sue spalle sentì dei sussurri e una mano gli si posò sulla spalla.
Si voltò pensando che fosse Bill, ma si sbagliava.
Era Alex.
E tutti la stavano guardando.
Si sentiva nuda. Completamente nuda. Perché? Perché aveva appena mostrato a tutta la sua scuola quanto potesse essere femminile anche indossando una felpa oversize e dei jeans dal cavallo basso.
Tom la osservò e gli occhi della ragazza funsero da estintore per le fiamme che ardevano attorno a lui.
Le passò una mano sulla testa, tastandole ogni singolo capello come se fosse stato oro, e poi la tirò via, lasciando tutti a bocca aperta.
Il corridoio era vuoto, Tom procedeva velocemente senza guardarsi alle spalle, tirando via l’unica persona che volesse con sé in quel momento.
Spalancò la porta principale e scese i gradini, per poi fermarsi in mezzo al cortile e lasciare andare la ragazza.
Si prese la testa fra le mani e si maledisse più volte. Stava per farlo di nuovo.
Aveva ceduto alla rabbia che gli ribolliva da anni e stava per prendersela con quel fesso.
No, non era cambiato, si disse. Era sempre la stessa testa di cazzo, capace di commettere sempre gli stessi errori.
Era vero, avrebbe volentieri spaccato la faccia a quel pirlone, ma che diritto aveva?
Aveva terrorizzato tutti i suoi compagni dal primo giorno, scartavetrandosi le nocche per il puro piacere di sfogarsi su un corpo che non era capace di difendersi a dovere.
« Tom. »
Alex era là, con lui.
Aveva pronunciato il suo nome in un sussurro, timorosa.
La guardò col volto stravolto da tremila pensieri e emozioni diversi.
Scosse la testa con un sospiro amaro.
« Che razza di persona sono?! » mormorò.
« Tom, se vuoi posso… »
« No. Tu non devi fare niente, hai… già fatto abbastanza per me. »
Lei scosse leggermente la testa.
« Non sono cambiato d’una virgola. Sono sempre lo stesso mostro. »
« Tu non sei un mostro. »
« Ah no?! » sbottò Tom voltandosi nuovamente a guardarla. « E allora cosa sono? Cosa sono, Alex? Ti ho picchiata, ti ho derisa, ti ho umiliata e pensavo di essere cambiato, pensavo che tu mi avessi cambiato ma.. non è così. Sono sempre lo stesso sciocco che non sa regolarsi, che è sempre pronto a dare un pugno al primo che passa. Ti ho umiliata un’altra volta, facendo il figo davanti a tutti. Volevo mostrare che ero una persona diversa, che si può cambiare ma.. mi sbagliavo. Mi sbagliavo di grosso, io.. non sono assolutamente cambiato. »
« Ascoltami bene. » lo rimbeccò la ragazza, avvicinandosi. « Tu non sei un mostro! Non sei nulla di quello che dici di essere! Sei nervoso, hai un passato e un presente difficile che ti circonda e questo non ti aiuta, fa sì che ti accanisca contro chi con te non ha nulla a che fare. Ma non sei una bestia. »
« E allora cosa sono? »
Tom si vide riflesso negli occhi scuri della ragazza che aveva davanti.
Alex lo guardò, trafiggendolo.
Non stava pensando, la risposta ce l’aveva ed era pronta a prendere il volo per portarlo in salvo.
« La mia salvezza. »
Un vulcano, un temporale, un fuoco d’artificio e un lungo brivido occuparono il corpo di Tom che non seppe più cosa dire.
Lui non poteva essere il suo Salvatore. Era lei che aveva salvato lui.
La guardò come se fosse l’ultima volta che la vedesse, e poi le si tuffò addosso, travolgendola in un abbraccio.
Tom non piangeva, ma in quel momento gli sembrava di esserci molto vicino.
Alex gli strinse la felpa e si adagiò sul suo petto.
« Scusa… » sussurrò il ragazzo.
Alex scosse la testa, ancora fra le sue braccia.
Poi si allontanò e gli accarezzò il viso.
La pelle di Tom era sempre calda, sembrava una stufa.
« Non c’è bisogno che tu mi chieda scusa. » sussurrò. « Io sono sempre al tuo fianco. »
Le braccia di Tom si strinsero di nuovo al corpo di Alex.
E poco dopo, le loro labbra si incontrarono di nuovo

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** 12. One Day ***


Tom suonò di nuovo il campanello e poco dopo Bill aprì la porta, già pronto a riempirlo di insulti. Poi però vide la figura femminile al suo fianco, e si limitò ad ingoiare tutto quanto.
« Oh, ciao! »
Tom lo superò portandosi dietro Alex che teneva Sveva per il guinzaglio.
« Ehr.. piacere di conoscerti, io sono Bill. » il ragazzo le porse la mano e lei la strinse.
« Alex. »
« Tom mi ha parlato di te. Beh.. ho dovuto cavargli le parole dalla bocca, ma alla fine ce l’abbiamo fatta. »
« Oh! » Alex sorrise. « Spero ti abbia detto cose positive. »
Il ragazzo annuì.
Poi abbassò lo sguardo sul cane che scodinzolava.
« Immagino che questo sia il tuo cane. »
Alex sorrise.
« Lei è Sveva. »
« Ciao Sveva, io sono Bill. »
L’animale si voltò e lo guardò, tenendo la lingua a penzoloni.
Poi abbaiò, facendolo balzare e dal piano di sopra scese correndo un Scotty euforico.
Alex slacciò il guinzaglio del suo animale e lasciò che i due si allontanassero.
« Allora io vi lascio. Se avete bisogno di qualcosa, sono di su, ok? »
« Grazie Bill. »
Tom si dileguò verso destra e Bill salì i gradini a sinistra. Alex seguì il primo, che la portò nella cucina.
« Allora, tira fuori i libri. »
La ragazza aprì la borsa e tolse un quaderno, l’astuccio e il libro di matematica e li poggiò sul tavolo al centro della stanza.
Tom si sedette su una sedia, e Alex lo imitò.
« Vediamo. Cosa non ti è chiaro? »
La ragazza lo fissò.
« Tutto. » 

Erano passate ben due ore d’orologio e Tom aveva continuato a spiegare sempre gli stessi argomenti per tutto il tempo, trovandosi ad usare oggetti che aveva sotto il naso per fare esempi. Anche i più stupidi.
Ma sembrava fosse riuscito nella sua impresa. Alex aveva fatto tutti gli ultimi esercizi in modo corretto e non aveva più dubbi riguardo cose che prima le sembravano appartenere ad un altro mondo.
« Ok. » concluse la ragazza, chiudendo il suo quaderno.
Tom le passò il libro e lei rimise tutto nella sua borsa.
Poi si voltò a fissarlo.
« Grazie. » gli sorrise.
Lui ricambiò estremamente ammaliato, immerso in un vortice di pensieri perfino a lui sconosciuto.
« Tutto qua?! »
Alex lo guardò aggrottando le sopracciglia.
« Nessun “Grazie Tom, non so come avrei fatto senza di te! Sei la mia ancora di salvataggio, sei tremendamente importante, farò tutto quello che vuoi per sdebitarmi, te lo prometto! Oh grazie Tom, grazie infinite, sei il mio Dio!”?! »
Alex scoppiò a ridere studiando attentamente ogni singolo particolare di Tom mentre recitava la frase. I suoi occhi vagavano nell’aria insieme alle mani che schizzavano da una parte all’altra facendo mossette e gesti strani. Il suo naso si arricciava in un modo quasi impercettibile, e portava le labbra avanti imitando una voce femminile.
Alex scese dalla sedia  e gli prese un lembo della maglia, facendolo alzare. Poi lo attirò a sé e gli stampò un bacio sulle labbra.
Non era nel suo carattere fare azioni così impulsive, ma la causa era Tom. Non aveva mai incontrato un Tom nella sua vita. Una persona che riuscisse a sorprenderla, scombussolandole la vita in trenta modi diversi.
Tom l’aveva offesa, umiliata, picchiata, derisa, ferita, maltrattata, confusa, etichettata, insultata e poi l’aveva fatta ridere, piangere, l’aveva abbracciata, consolata, liberata, salvata, incantata.
Ok, non erano proprio trenta ma Tom le aveva chiaramente fatto cambiare idea. E non con un movimento di lingua, non con un occhiolino e non portandosela a letto come aveva fatto le altre volte con qualsiasi altra ragazza. Ma semplicemente cullandola fra le sue braccia, proteggendola.
Era come se Alex avesse atteso tutta una vita per trovare al suo fianco una persona come Tom. Un protettore.
Dal salotto si udì uno scatto e successivamente la porta si aprì.
« Tom? Bill? »
Tom prese Alex per le spalle, allontanando il suo viso.
« Mamma?! »
Sulla soglia comparve una donna robusta, con un tailleur scuro e un grosso sorriso stampato sul viso. Aveva i capelli lunghi fino alle spalle, mossi e scuri.
Le fece ombra un uomo dal viso asciutto, in giacca e cravatta che stringeva ancora una ventiquattrore con la mano destra. Nel suo volto non c’era alcuna espressione.
« Tom caro! »
La donna si scaraventò sul figlio e lo stritolò, mentre Bill scese dal piano di sopra con la stessa delicatezza di una mandria di gnu.
« Papà?! » domandò perplesso.
L’uomo si voltò mantenendo la stessa espressione e solo allora Bill vide la figura femminile che accompagnava l’uomo.
« Mamma?! »
A quelle parole, la donna si voltò, smettendo di torturare le guance di Tom e si diresse verso il secondo ragazzo, riuscendo a farlo dimagrire ulteriormente, mentre lo stringeva fra le sue braccia.
Tom si passò una mano sulla nuca e si voltò verso Alex.
« Lei chi è, Tom? » la madre si voltò di nuovo lasciando perdere il millesimo piercing di Bill e passandogli una mano tra i capelli attese la risposta del figlio. Lui lanciò uno sguardo ad Alex.
« Un’amica. » disse. « La stavo aiutando in matematica. »
Sapeva che ai genitori piaceva da morire sentirsi dire che il figlio era bravo in matematica.
« Piacere cara, io sono Simone! »
Alex strinse la mano alla donna e si presentò con un sorriso.
L’uomo, tuttavia, rimase sulle sue e sibilò un sottile « Jörg. »
« Resti a cena? »
Tom fissò perplesso la madre che aveva pronunciato la richiesta con un tono 3 volte superiore a quello normale.
Alex si colorò sulle guance e si mise la borsa in spalla.
« Mi spiace, ma credo di aver disturbato già abbastanza. Poi ho altri impegni ed è meglio che vi lasci. Magari un’altra volta. » rifiutò.
« Quando vuoi: casa nostra è sempre aperta agli amici di Tom! »
Quest’ultimo si affrettò a prendere le chiavi della macchina.
« La accompagno, sto tornando. Sveva! »
Dal giardino arrivarono correndo sia Sveva che Cora, seguite da Scotty che abbaiava gioioso.
Il padre di Tom fissò gli animali e Alex si affrettò a prendere il guinzaglio del suo cane, temendo che l’uomo potesse esplodere da un momento all’altro. No, decisamente non gli trasmetteva tranquillità.
Tom aprì velocemente la porta e Alex rivolse un ultimo saluto ai genitori e a Bill e poi tirò via Sveva che non ne voleva sapere di allontanarsi dal suo amato Scotty.
Tom si chiuse la porta alle spalle e fece salire il cane di lei in macchina.
Poi salì anche lui, mise in moto e la accompagnò.
« Non mi hai detto che i tuoi sarebbero arrivati oggi. »
« Non lo sapevo nemmeno io. » sbuffò il ragazzo. « Non avvisano mai. »
Alex restò un po’ in silenzio, mentre Sveva si era accucciata nei sedili posteriori.
« Comunque tua madre mi sembra una brava persona. »
« Mia madre si mostra sempre gentile e premurosa con tutti. Ma appena si parla di soldi, di affari.. è tutta un’altra storia. Credo sia colpa di mio padre, dopotutto l’ha fatta entrare lui a lavorare con sé. »
« Questo non significa che non fosse contenta di rivedervi. Mi sembrava più emozionata di.. tuo padre. »
Tom abbozzò un sorriso e svoltò, per poi rallentare e fermarsi davanti a casa della ragazza.
« La verità è che papà non ha mai dimostrato un briciolo d’affetto per nessuno. Non capisco nemmeno come abbia fatto la mamma ad innamorarsi e a volte penso che non lo ami per niente ma che lo segua solo perché ha avuto due figli da lui. » confessò. « Comunque non devi preoccuparti, molto probabilmente dopo Natale saranno già ripartiti. »
Alex annuì con la testa. Ma non era affatto contenta del fatto che Bill e Tom restassero tutto quel tempo da soli.
« Allora.. ti ringrazio ancora. »
Tom la guardò sorridendo.
« Figurati. »
La ragazza aprì lo sportello e poi fece scendere Sveva, mentre tirava fuori le chiavi del portone.
Tom mise in moto ma prima di partire la chiamò.
« Alex! »
La ragazza si voltò, inserendo le chiavi nella toppa del portone.
Le labbra di Tom si arricciarono in un sorriso.
« Buonanotte. » 

Scotty gli saltò addosso quando riaprì la porta di casa. C’erano almeno tre valigie nel salotto: una davanti al divano e due poste sopra di esso. Cora le annusava cercando di aprirle e dalla cucina si udì la voce di Bill che chiacchierava con Simone.
« Mamma, non lo so! » sbottò il ragazzo uscendo dalla cucina. Guardò Tom e gli fece segno di filarsela, ma Simone comparve alle sue spalle senza tailleur ma con addosso degli abiti casarecci.
« Tom! » lo chiamò andandogli incontro con le braccia allargate e perfino Scotty se la diede a zampe.
Tom roteò gli occhi mentre la mamma quasi se lo inglobava.
« Bill, non devi portare le valigie in camera da letto? »
Bill strabuzzò gli occhi e stava già per strillare un “Cosa?!”, quando la madre lo fulminò con lo sguardo e lui fu costretto a prendere le due valigie sul divano e a portarle al piano di sopra.
Allora, Simone tirò Tom per un lembo della maglietta iniziando con il suo classico: « Tom caro! »
Lo fece sedere sul divano e si sedette al suo fianco, con un mezzo sorriso sul volto che in realtà presagiva un interrogatorio di tre ore.
« Tutto bene? E’ un po’ che non ci vediamo. »
Tom annuì spostando lo sguardo altrove.
« Sì, tutto bene. E voi? Com’è andata.. lì dove eravate? »
Simone fece spallucce.
« Normale, come al solito. » disse frettolosa. « Piuttosto… chi è quella ragazza che era qua con te? Come ha detto che si chiama..? »
« Alex. » rispose il figlio.
« Oh sì, giusto! E’ carina, no? »
Tom evitò di rispondere e lanciò uno sguardo fugace alla mamma.
Come diavolo le era venuto in mente di mettersi a parlare di lei?! Voleva tremendamente scappare. Forse avrebbe fatto meglio a passare la notte a casa di Alex. Oh no.. ecco che tornavano i pensieri sconci. Sempre nei momenti più inopportuni!
« Che mi dici di lei? »
Tom si passò una mano sulla nuca.
« Dipende da cosa vuoi sapere. »
« Beh, per esempio…  »
« Ho finito, contenta?! » sbuffò Bill. « Tom, mi aiuti a… »
« Bill, non devi andare ad aiutare tuo padre in garage? »
« Cosa?! » stavolta Bill l’aveva davvero strillato e Tom si sentì dentro un film. Uno di quelli dove nella tua famiglia sono tutti matti da legare e tu sei l’unico sano, incompreso dai tuoi familiari.
Simone non ribatté ma si limitò a fissare il figlio mingherlino, che scattò verso il garage sbattendo i piedi per terra.
« Dicevo… »
« Mamma, senti. » la ammonì Tom. « So che ti sei già fatta diecimila filmini mentali su Alex, che vorresti sapere ogni singola cosa su di lei ma.. frena, ok? Nemmeno io conosco tutto di lei ma, se ti interessa saperlo, sì. Mi ci sono affezionato. E lo stesso vale per lei. Ci stiamo frequentando, stiamo bene insieme e questo mi basta. Non so qual è il suo colore preferito, né se è allergica a qualcosa ma non mi importa. Io ho bisogno di lei e lei di me. Ti va bene come descrizione del nostro rapporto? »
Simone fissò il figlio e lasciò che il suo labbro inferiore tremolasse un po’. Poi lo avvolse nuovamente fra le sue braccia, stritolandolo.
« Quando la inviti a cena? »

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** 13. Lost and found ***


Natale passò lasciando la sua scia di neve sui tetti di Amburgo e trasformando ogni singola cosa in puro ghiaccio.
Alex si era appena presa un momento di pausa dal lavoro per ripassare matematica. La biblioteca sembrava l’unico posto dove avere un po’ di tranquillità per quella mezz’ora, così ci andò a passo svelto e, una volta arrivata, scelse un tavolo vuoto e lontano dalle altre persone per fare qualche altro esercizio.
A breve ci sarebbe stato un altro compito e doveva assolutamente rimediare le ultime insufficienze.
Era già a buon punto quando qualcuno le fece ombra. A primo impatto pensò fosse Tom, visto che sembrava essere onnipresente. Ma poi la sua teoria venne smontata da una figura femminile. Sempre a meno che Tom non avesse fatto un salto dal chirurgo e si fosse piantato un bel paio di sode tette sul petto.
La ragazza che Alex aveva davanti aveva due tette decisamente enormi. Indossava uno stretto maglioncino color senape, dei jeans a vita bassa, aveva i capelli lunghi, biondi e ricci e per finire era truccata con forte ombretto blu e rossetto rosso.
L’esatto opposto di Alex.
A prima vista, Alex pensò volesse sedersi nel suo stesso tavolo per leggere qualcosa, ma poi notò che non aveva libri. E no, decisamente non era andata là per leggere o studiare.
Spostò la sedia che aveva davanti e si sedette, continuando a fissare la ballerina.
« Tu esci con Tom, giusto? »
Il suo tono di voce era esageratamente alto, soprattutto per quel posto dove regnava il silenzio.
Alex la guardò aggrottando le sopracciglia.
« Come? »
« Ho detto: tu esci con Tom, non è così? »
« Siamo amici. » farfugliò. « Perché? Tu chi sei? »

Chi sei.Oh, Alex avrebbe tanto voluto saperlo. Ma veramente tanto, eh.
Peccato che non ebbe alcuna risposta.
La ragazza si sporse verso di lei e le prese un lembo della maglietta, avvicinando i loro visi.
« Stagli alla larga, ok? » sibilò. « Prendilo come un consiglio. »
Le lasciò andare la maglia e se ne andò.
Quella città, era senza dubbio piena di matti. 

Tom quasi rotolò giù dalle scale, mentre Scotty scodinzolava davanti all’ingresso.
Nel soggiorno, la TV era accesa su un canale sportivo, e il padre era comodamente seduto sopra il divano a fissarla incantato. Appena il figlio arrivò nella stanza, si voltò a guardarlo.
« Oh! Ciao Tom. »
« Ciao. »
Il ragazzo si diresse verso la cucina, aprendo poi il frigorifero.
Alle sue spalle sentì dei passi pesanti, e capì che anche il padre era entrato nella stanza.
« Come va? »
« Tutto bene. »
« A scuola tutto ok? »
« Sì, certo. »
« E.. con quella ragazza? »
Bingo.
Ecco qual’era il punto che il padre di Tom voleva toccare, l’argomento che voleva affrontare a tutti i costi: Alex.
« Che c’è? » sospirò il ragazzo, voltandosi con una bottiglia di Coca Cola in mano.
Il padre sollevò lo sguardo dal suo giornale.
« Che c’è cosa?! »
« Perché vuoi parlare di Alex? »
« E’ la tua ragazza, no? »
« Non ti è mai importato nulla delle mie ragazze, papà! » sbottò Tom, agitando la bottiglia.
Il padre si mise bene a sedere.
« Che lavoro fa? »
« Come? »
« Che lavoro fa? » ripeté l’uomo con più enfasi.
Tom lo fissò perplesso.
« Adesso fa la cassiera in una pasticceria. »
« Non guadagna molto. » constatò l’uomo.
« Papà, non vorrai che scelga le persone in base alla loro ricchezza! »
« Ho solo paura che ti stia sfruttando, tutto qua. »
Tom strabuzzò gli occhi.
« Alex non mi hai mai chiesto nulla! L’unico favore che mi ha chiesto è stato di aiutarla in matematica! » esclamò. « Come diavolo fai a dire queste cose?! »
Jörg voltò lo sguardo verso il figlio, che era diventato rosso in viso.
« Non conosci Alex, non sai com’è fatta, non sai cos’ha passato e non sai nemmeno che rapporto c’è fra noi! Probabilmente non sai nemmeno com’è il mio carattere, visto che passi la maggior parte del tempo impegnato con i tuoi affari. E poi hai anche il coraggio di venirmi a fare la ramanzina se mi faccio trovare a casa con una ragazza che non è vestita come vuoi tu! »
Tom stava per esplodere. Non poteva credere che il padre avesse seriamente azzardato a fargli la predica per i soldi che Alex non aveva. Non lo credeva così materialista.
« Tom, io sto solo cercando di metterti in guardia! »
« In guardia da cosa?! Dall’essere felice? Beh, ti ringrazio tanto per l’interessamento, ma ne faccio anche a meno! » sbatté la bottiglia sul ripiano in legno della cucina e uscì furioso.
Jörg si passò una mano sulla nuca. Forse non aveva fatto la mossa più giusta. 

Alex aprì il portone principale e salì fino al suo pianerottolo. Tirò fuori le chiavi di casa, ma non ce ne fu bisogno: la porta era già aperta.
Scattò in avanti trattenendo il respiro e spalancò l’uscio, temendo il peggio.
La casa era in perfetto ordine, così come l’aveva lasciata.
« Sveva? » chiamò.
Entrò lentamente, un passo dopo l’altro, ma non udiva alcun rumore. Nessun gemito, nessun abbaio, nessun sospiro. Nulla di nulla.
Arrivò al soggiorno, ma del cane neanche l’ombra. Poi controllò in bagno, in camera da letto, in cucina e perfino nel balcone.
Sveva non c’era.
Il cuore della ragazza perse un battito e corse velocemente di nuovo fuori, sbattendosi la porta alle spalle e cercando freneticamente il cellulare all’interno della borsa. Lo tirò fuori e chiamò la prima e unica persona che le venne in mente.
« Pronto? »
« Tom, sono Alex, devi aiutarmi! »
« E’ successo qualcosa? »
Alex aprì il portone e si immobilizzò. Non sapeva nemmeno dove cominciare a cercarla.
« Alex?! Che è successo?! »
« Sveva è scappata! »
« Cosa?! »
« Sveva è scappata di casa! Sono arrivata e c’era la porta aperta, non so come sia potuto succedere ma.. Dio, Tom ti prego! Ho bisogno che tu i aiuti a cercarla! »
« Certo, non muoverti da casa tua, sto arrivando! » 

Sveva non si trovava.
Tom era arrivato qualche minuto dopo, sulla sua macchina, e avevano già percorso mezza Amburgo alla disperata ricerca dell’animale che, tuttavia, sembrava essere scomparso nel nulla.
La porta.. come diavolo aveva potuto lasciare la porta aperta?! Non l’avevano scassata e le chiavi del suo appartamento non le aveva nessun altro esclusa lei, perciò l’aveva dimenticata aperta! E Sveva non si era posta molti problemi ad uscire, ovviamente.
E chissà dove si era cacciata! Avevano setacciato ogni posto dove un cane potesse andare: supermercati, negozi di animali, parchi.
Ma nulla, di quel labrador nemmeno l’ombra. E la gente non era d’aiuto perché nessuno l’aveva visto, nessuno si era accorto che un cane potesse passeggiare affianco a loro, nessuno aveva messo in considerazione l’opzione che un cane di nome Sveva potesse essere scappato.
« E se l’hanno rapita? » era la terza volta che Alex pronunciava quella frase e per la terza volta, Tom la guardò, cercando di farla stare calma.
« Non può essere andata lontano, in quanti altri posti l’hai portata? »
Alex si prese la testa fra le mani, pressandosi le tempie.
« Oh sì! » esclamò poi. « La scuola di danza! L’ho portata un paio di volte, magari è venuta a cercarmi là! »
Tom accelerò e si diresse verso la scuola di danza della ragazza. Parcheggiò e Alex scese velocemente dal mezzo, controllando a destra e a sinistra nella speranza di vedere l’animale sbucare da un angolo e correrle incontro. Ma nulla.
« Proviamo dentro. » Tom la spinse dentro la scuola.
Gli animali non potevano entrare e qualcuno si sarebbe di sicuro accorto della presenza del cane.
Si avvicinarono al bancone principale e un uomo in giacca e cravatta, di carnagione scura e calvo, li osservò.
« Posso esservi utile? »
« Cerchiamo un cane. » rispose Alex.
L’uomo li guardò, perplesso.
« Questo non è uno zoo. »
« No, vede » si intromise Tom. « Abbiamo perso un cane e siccome lei – indicò Alex – frequenta la scuola, abbiamo pensato che potesse essere venuto qua. Lei non ha visto nessun labrador? »
L’uomo scosse la testa fissando il ragazzo.
Tom sospirò e Alex si voltò, facendosi nuovamente prendere dal panico.
« Grazie lo stesso. »
Uscirono dall’edificio e risalirono in macchina.
« Altri posti? » domandò lui.
Alex rimase in silenzio.
« La pasticceria dove lavoro? »
Tom annuì e mise di nuovo in moto, ma il suo cellulare squillò.
Era Bill.
« Pronto? »
« Abbiamo visite. »
« Bill, non è il momento più adatto. » sbuffò Tom.
« Oh secondo me invece è il caso che la tua ragazza venga a riprendersi il cane. »
Tom restò in silenzio e aggrottò le sopracciglia.
« Cosa?! »
Alex lo guardò.
« Sveva è qua. »
« Ok, tienila là; stiamo arrivando. »
« Oh tranquillo, non credo che abbia molte intenzioni di fuggire da qua. »
Tom chiuse il telefono e se lo rimise in tasca, prima di uscire dal parcheggio.
« E’ successo qualcosa? » domandò la ragazza.
« Il tuo cane è venuto a farci una visitina. O forse voleva solo rivedere Scotty. » rispose Tom.
« Sveva è da te?! »
Il ragazzo annuì.
Quando arrivarono, fu Bill ad aprirgli la porta.
« Io non so che diamine fate voi ogni volta che dite di portare a spasso i cani, ma qua c’è qualcosa che non va e di sicuro non voglio badare a decine di cuccioletti! »
Alle sue spalle, Sveva e Scotty erano beatamente sdraiati sul pavimento.
Alex superò Bill e si piazzò davanti ai cani.
« Sveva! » la richiamò.
Dal giardino sbucò Simone con in mano un vaso.
« Oh! Ciao cara! » la salutò.
Alex sollevò lo sguardo e arrossì, imbarazzata.
« Mi dispiace, non so come abbia fatto ad arrivare fin qua! »
« Oh, non preoccuparti! »
La donna poggiò il vaso su un ripiano là vicino e si pulì le mani sporche di terra sul grembiule.
« Togliamo subito il disturbo. » si affrettò la ragazza, estraendo il guinzaglio e agganciandolo al collare di Sveva, che la fissò con i suoi grandi occhioni scuri, quasi implorandola di lasciarla là.
« Disturbo? Ma quando mai! » rise Simone. « Piuttosto, visto che ora siete tutti qua, perché non restate a cena? »
Era la seconda volta che quella donna le proponeva di restare a cena a casa loro.
Non poteva esserci un secondo rifiuto da parte di Alex, che figura c’avrebbe fatto?!
Ma il guinzaglio era già attaccato al collare, anche se Sveva si era ulteriormente accoccolata accanto a Scotty.
Nessuno parlò e la ragazza si voltò verso Tom, sperando che lui dicesse qualcosa per tirarla fuori da quella situazione.
Quest’ultimo fece spallucce e batté le mani.
« Ehr.. sì, perché non resti? »
L’avrebbe volentieri ucciso.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** 14. Family portrait ***


Disagio, timidezza, vergogna, terrore alimentavano l’animo di Alex.
Tom era seduto accanto a lei e non si sprecava a divorare tutto quello che aveva sul piatto. Anche Bill, dal canto suo, sembrava aver intrapreso un dialogo molto vivace con il suo pasto.
Ma i loro genitori, risultavano più composti.
Simone non aveva smesso un secondo di sorridere, mentre Jörg se ne stava sulle sue, non aveva ancora detto nulla e quando aveva saputo che Alex sarebbe rimasta a cena da loro, aveva solamente annuito con la testa, senza nemmeno sprecarsi di dire un: « Ok ».
Era la seconda volta che Sveva la cacciava in una situazione imbarazzante.
E la seconda volta che gliela faceva passare liscia.
« Allora, Alex. » disse Simone, rompendo un leggero silenzio che era interrotto solo dal tintinnio delle forchette sui piatti. « Cosa fai oltre a studiare? »
La ragazza ingoiò il boccone e poi fissò la donna che le sorrideva.
« Lavoro come cassiera in una pasticceria. »
« Alex balla. » intervenne Tom e la ragazza gli lanciò uno sguardo infuocato.
« Sul serio? » domandò la donna.
La ragazza annuì abbozzando un sorriso.
« Ballo da quando sono piccola, è una passione che mi ha sempre seguito. »
« E cosa balli? Danza classica, moderna? »
« Anche. Ma soprattutto hip hop. »
« Oh. » la donna emise una risatina divertita. « Qualcosa in comune con Tom! Anche se lui non balla, ovviamente. »
« Certo, è una sega. » intervenne Bill.
« Spiritoso! »
« Come vi siete conosciuti? »
Tom si immobilizzò e Alex si voltò a guardarlo.
Oh sì. Bella storia da inventare.
Che cazzo potevano dire?!
La picchiavo perché pensavo fosse un ragazzino che mi copiava, ma poi l’ho pedinata e ho scoperto che era una ragazza, così ho cercato di farmi perdonare ma ho scoperto che era piena di problemi e così tra una chiacchierata e l’altra ho capito che forse c’era qualcosa in lei che mi attirava.
Ma certo, perché non ci aveva pensato prima?! Era così carina come storia!
« A scuola. » si affrettò a dire lui. « Una chiacchierata qua e là. »
Il viso di Bill si colorò di un rosso vistoso; non stava trattenendo una risata. Peggio.
Cristo santo, come le era venuto in mente di accettare di restare a cena?!
Non si sentiva per niente a suo agio, non poteva iniziare a raccontare alla madre e al padre di Tom come si erano davvero conosciuti, cosa era successo fra di loro e storielle varie!
Oddio, non che Jörg fosse molto interessato al discorso, visto che non aveva ancora aperto bocca.
Alex era sempre più convinta che quell’uomo la ignorasse. Non che le desse fastidio, probabilmente se non l’avesse ignorata avrebbe iniziato a riempirla di domande, facendola sentire ancora più in imbarazzo.
E poi, il tono di voce di quell’uomo era così… grottesco.
No no, decisamente non gli trasmetteva simpatia, tantomeno allegria.
« Spero che Tom con te si comporti bene. » continuò Simone. « Sei la prima ragazza che porta a casa. Mi ha detto che stavate studiando matematica. »
« Oh sì. » annuì lei. « Ho qualche problema e così gli ho chiesto se potesse darmi una mano. »
« Ed è servito a qualcosa? »
Alex annuì di nuovo, sorridendo.
« Sarebbe bravo come insegnante. »
A quelle parole, il padre di Tom sollevò lo sguardo dal suo piatto e fissò la ragazza.
Poggiò la forchetta e unì le mani sul bordo del tavolo.
« Che lavoro fanno i tuoi genitori? »
Tom lo guardò di sottecchi e Alex si immobilizzò.
Era decisamente meglio se quell’uomo si fosse stato zitto. Muto, immobile, privo di espressione. Proprio come il barattolo del sale che la ragazza stava fissando.
No, non era una bella storia la sua. Proprio per niente.
Che figura c’avrebbe fatto Tom? Aveva descritto i genitori come cinici superficiali, ma mentre la madre sembrava mostrarsi più affettuosa, il padre non aveva fatto altro che incuterle terrore tutto il tempo.
E nell’unica volta che aveva aperto la bocca, aveva fatto la domanda più stupida che potesse venirgli in mente.
« Mia mamma gestisce una scuola di danza. » mentì. « E mio padre è un avvocato. »
Tom la guardò, ammutolito.
Jörg annuì, interessato.
Gli occhi della ballerina incontrarono quelli di Tom. Non poteva dire la verità. Non ancora.
Un giorno, forse, avrebbe detto ad entrambi i signori Kaulitz, che aveva mentito per fare una bella figura. Ma in quel momento no, non poteva assolutamente rischiare di essere definita una poveraccia.
« Ritornando al ballo. » Simone richiamò la sua attenzione. « Fai anche gare? » 

Tom mise in moto.
Alex poggiò la testa sul sedile, mentre quel silenzio la uccideva, e Sveva mugolava dai sedili posteriori, come al solito.
Iniziò a fissare gli interni della macchina.
Oh sì, bei sedili. Comodi. E anche bel cruscotto.
Per non parlare del freno a mano, proprio figo!

Cogliona.
« I tuoi genitori sono carini. » si sentì in dovere di dire.
« Perché hai mentito? »
La ragazza non rispose, ma sospirò.
Un sospiro che valeva mille parole e non.
Un sospiro che voleva dire tutto e niente.
« Che figura c’avresti fatto se avessi detto che sono orfana di madre e che mio padre mi ha abbandonata quando ero ancora una bambina? E’ già abbastanza degradante sapere che cambio lavoro quasi ogni mese, Tom. »
Lui scosse la testa, continuando a guidare.
« Non devi parlare pensando a cosa potrebbero dire i miei genitori, Alex. »
« Perché no? Tu due genitori li hai ancora, io no. E non è giusto che a causa mia ti debba beccare ramanzine o cose simili. Io non vorrei che mio figlio stesse con una fallita. »
Tom accostò, frenando di botto.
« Ascoltami, una volta per tutte. » il suo tono era agitato. « Tu non sei una fallita, è chiaro? Continui ad andare avanti con le tue forze, a studiare, a ballare e a cercarti lavoro. Non sei una fallita. Dopo tutto quello che hai passato, non puoi assolutamente dirlo. »
Alex abbassò di nuovo lo sguardo, e Tom la avvolse fra le sue braccia.
Il suo profumo, il suo calore. Tutto di quel ragazzo le trasmetteva protezione. Tutto la faceva sentire veramente a casa.
Sveva emise un verso simile ad un grugnito, e Tom si voltò a guardarla, sciogliendo il suo abbraccio.
« Va bene, te la lascio. Ma trattamela bene, ok? »
Alex aprì lo sportello e poi fece scendere Sveva.
« Comunque, mi sono divertita. Tua madre mi sta davvero simpatica. »
Lui fece spallucce.
« Ti prego, non allearti con lei o rischio l’esaurimento nervoso! »
La ragazza rise, tenendo ancora la portina aperta.
« Tranquillo, non lo farò. »
« Meno male. »
« Solo se mi permetti di insegnarti a ballare. »
Tom trasalì.
« Cosa?! Sei… sei pazza?! »
« Non puoi essere così tanto negato. »
« No no no Alex, tu sei fuori! Io non ballo. »
« Neanche se ci sono io come insegnante? »
Il ragazzo la guardò e notò che aveva messo il broncio.
No. Cos’era quella cosa che si muoveva nella sua pancia?! Una biscia?!
Santo cielo, non era possibile! Doveva avere uno zoo dentro lo stomaco e nemmeno lo sapeva!
Si voltò dall’altra parte, sbuffando.
« Niente capriole, spaccate o cose in punta di piedi, chiaro? »
Lei sorrise raggiante, e annuì con la testa e alle sue spalle Sveva abbaiò, impaziente.
« Il cane mi reclama. »
Tom annuì con la testa e mise di nuovo in moto.
« Ci vediamo domani. Buonanotte. »
Alex chiuse lo sportello e lo salutò con una mano, mentre lui si allontanava. Tirò fuori le chiavi e aprì il portone.
Tom strinse le mani sul volante.
Ballare. Lui.
Ma se si metteva ad abbaiare come faceva Sveva, riusciva a farle fare quello che voleva lui?!

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** 15. If you're not the one ***


Di nuovo su quella sedia. Di nuovo su quel tavolo. Di nuovo quel giornale aperto. Di nuovo Sveva al suo fianco.
Anche quel lavoro era andato, e per la millesima volta Alex doveva trovarsene un altro. Come faceva a continuare così?! Possibile che non ci fosse nessuno in grado di darle un impiego fisso?
Si passo distrattamente una mano sul viso e si alzò per prendere la borsa dove aveva lasciato il cellulare.
La rovesciò sul tavolo e insieme all’astuccio, i libri e l’apparecchio telefonico, sbucò fuori anche il suo ultimo compito di matematica.
Quella sufficienza splendeva sul foglio bianco. Ed era stato tutto merito di Tom se era riuscita a fare il compito in modo decente.

Tom.
Stava arrivando. Quando aveva saputo della sufficienza non si era trattenuto ed era salito in macchina.
Ma Alex..
Il pensiero di doversi trovare un altro lavoro era snervante.
Per non parlare del fatto che non avesse manco minimamente accennato a Tom dell’incontro poco piacevole che aveva fatto in biblioteca.
Era successo tutto troppo in fretta, tutto troppo incasinato.
Poggiò la schiena sulla sedia e si strofinò gli occhi.
Sveva mugolò e Alex la guardò.
« Stavolta è più dura del solito. Devo ancora pagare le bollette… » sospirò.
Si prese la testa fra le mani e poi il citofono suonò.
La ragazza si alzò e andò ad aprire, sapendo che poteva essere solo Tom.
Passò qualche istante e anche il campanello della porta suonò.
Alex aprì trattenendo l’ennesimo sospiro della giornata e un Tom sorridente si presentò alla porta.
Era completamente vestito di bianco e il suo viso splendeva.
Alex cercò almeno di abbozzare un sorriso, visto che sembrava fosse stata prosciugata di qualsiasi energia, ma Tom si accorse delle sue occhiaie e degli angoli delle sue labbra rivolti verso il basso.

Brutto segno.
Oh ciao vocina, era da tanto che non ti facevi sentire!
« Qualcosa non va? »
Alex si affrettò a scuotere energicamente la testa e lo fece entrare.
« Sicura? »
Tom entrò con qualche passo e poi notò il casino sul tavolo: la borsa rovesciata, il cellulare, il compito di matematica, i libri, i quaderni e il giornale aperto.
« E’ scaduto anche l’ultimo contratto? »
Alex non rispose e chiuse la porta, evitando perfino di guardarlo in faccia.
« Alex… » la chiamò Tom in un sospiro.
« Sto cercando di trovarne un altro ma.. non ci riesco. » rispose. « E ho quasi finito i soldi per le bollette e l’affitto dell’appartamento. »
Si allontanò verso il tavolo e iniziò a mettere tutto a posto.
Tom si passò una mano sulla nuca.
« Hai bisogno di soldi? »
Alex si immobilizzò.
« Perché se vuoi… posso aiutarti… »
Lascio andare la borsa e si voltò, furente.
« Mi hai forse presa per una morta di fame?! » sbottò.
« No, ma magari… »
« Magari cosa, Tom? Magari vuoi farmi l’elemosina?! »
Tom aggrottò le sopracciglia.
« Non stiamo parlando di elemosina, Alex. Sto cercando di darti una mano! »
« Beh non ho bisogno dell’aiuto di nessuno, grazie mille! »
Tom rimase in silenzio, stringendo i pugni.
« Perché sei così cocciuta?! Non stai facendo un patto col diavolo, porca miseria! »
« Pensi che non sia capace di badare a me?! Pensi che siccome mi hai aiutato in matematica non riesca ad andare avanti senza te?! »
Tom la fissò, perplesso.
Doveva essere impazzita.
« Che… che cazzo stai dicendo?! Alex, ti rendi conto delle puttanate che stai sparando?! »
« Sono io che sto sparando puttanate, Tom?! Sono io che ti ho chiesto soldi? No, non mi pare! »
« Non è colpa mia se entro a casa tua e ti trovo in uno stato di semi-depressione! »
« Oh grazie, adesso sì che sei d’aiuto, complimenti! Non so, vuoi un applauso?! » sbottò lei. « Se sei venuto qua a rompermi i coglioni, la porta è da quella parte! »
« Mi stai cacciando?! » sbraitò lui, avvicinandosi.
Lei si voltò con la stessa forza di un terremoto.
« Sì, ti sto cacciando! Non ti voglio fra le palle se devi accumulare il mio nervosismo, perciò è meglio che te ne vada! »
Tom diventò viola, e strinse ulteriormente i pugni.
« Va bene! »
Si voltò e aprì la porta, pestando i piedi per terra.
Se la chiuse con un tonfo alle spalle e Alex si trovò a lanciare l’astuccio contro la superficie di legno.
L’oggetto cadde a terra e la ballerina si passo le mani fra i capelli.
No, quella non era una valanga di lacrime e no, lei non poteva mettersi a piangere.
Ma cazzo, stava nuovamente andando tutto a puttane!
Aveva appena sbattuto Tom fuori casa, aveva i nervi a fior di pelle ed era disoccupata, con una situazione finanziaria seriamente catastrofica.
Sveva era rimasta tutto il tempo ferma, muta.
Alex si lanciò sul divano prendendo a pugni un cuscino mentre lame d’acqua le bagnavano le gote.
Dei colpi arrivarono alla porta e Sveva si alzò e corse ad aprirla.
Alex si alzò. Quel cane sembrava ogni giorno più angelico.
Tom era sulla soglia che respirava col fiatone.
La ragazza voltò lo sguardo dall’altra parte.
« Cosa vuoi? »
Tom non rispose ed entrò, chiudendosi la porta alle spalle.
« Non ti ho detto di entrare. » sbottò lei, asciugandosi velocemente la guance. « Perché sei qua? »
Tom continuò a guardarla.
« Perché ti amo. »
Non ci aveva nemmeno messo tanto a dirlo, dopotutto.
Il fatto era che mentre stava scendendo le scale, mentre era salito in macchina si dava del coglione mentalmente e pensava a lei, ad Alex. Pensava a quanto il suo cuore battesse forte ogni volta che la vedeva sorridere e anche al nervoso che si era appena preso. E sul sedile della sua auto che aveva più volte visto e accompagnato anche la ragazza, la sua ragazza, se l’era di nuovo immaginata al suo fianco e aveva sentito come un pugno nello stomaco perché lei non era là con lui.
E no, non poteva lasciare le cose così. Doveva rimediare in qualche modo, ma non chiedendo scusa. Non di nuovo.
Quella volta serviva scavare dentro sé, per farle capire che non pensava fosse una persona squallida.
E l’aveva capito sentendo una fitta al petto. Qualcuno bussava.
Così era sceso dalla macchina, si era precipitato velocemente contro il portone, facendosi aprire dalla signora che abitava al piano terra e aveva fatto i gradini a gruppi di 5, fino a raggiungere la porta d’ingresso di casa di Alex.
E in quel momento, ce l’aveva davanti.
Lei lo guardava, non aveva minimamente spostato lo sguardo.
Era passata forse un’eternità.
« Cosa? »
« Ti amo. »
Sembrava che le sue labbra adorassero pronunciare quelle due parole. Sembrava che, oltre a toccare quelle della ballerina, amassero pure dedicarle quel sentimento, quella parte di cuore che Tom aveva sempre nascosto. Che non pensava di possedere.
E non aveva nemmeno pensato alla possibilità che potesse aver sprecato quelle parole, per la prima volta che le pronunciava. No. Perché si sentiva tremendamente pieno ad averlo ammesso.
Sì, lui la amava. Al di sopra di qualsiasi altra cosa.
« Io ti amo. » lo ripeté facendo qualche altro passo avanti e arrivandole davanti, superandola in altezza.
Lo pronunciò un’altra volta, prima di baciarla.
In un sospiro, in un soffio, avvolgendola con le sue braccia.
Sentendo il suo corpo poggiarsi al suo petto, sentendola tremare mentre le sue labbra cullavano le sue.
Non voleva farla piangere, ma sapeva che Alex era abbastanza emotiva e considerando che stesse già piangendo, il fatto che avesse continuato a farlo, senza singhiozzare ma semplicemente lasciando che le lacrime scendessero fino alle loro labbra, era fantasticamente naturale.
Tom la voleva. Voleva farla sua, voleva sentire la sua pelle sotto le sue mani, sotto le sue labbra, voleva dimostrarle che quello che diceva, che provava, era estremamente vero.
Così lasciò scendere le labbra sul suo collo.
Era la prima volta che lo assaggiava. Non ci aveva mai provato perché aveva paura che lei si tirasse indietro. Ma in quel momento, era tutto diverso.
Nemmeno la presenza di Sveva – che si era coperta gli occhi con una zampa – contava più.
Alex strinse le mani sulla felpa oversize di Tom.
Nessuno le aveva mai detto di amarla. Nessuno, oltre Tom.
Voleva credergli. Voleva fidarsi di lui.
Si trovò poggiata al tavolo mentre le labbra di Tom si accendevano sul suo collo.
Quel ragazzo la mandava in estasi con un semplice gesto. Sembrava capire perfettamente di cosa avesse bisogno.
Se lei voleva essere abbracciata, lui lo faceva. Se voleva essere baciata, lui lo faceva. Se voleva andare verso la camera da letto, lui ce la portava.
Tom la condusse lentamente verso il letto, facendola sdraiare sopra e si sedette a cavalcioni sul suo corpo, sentendo la felpa che indossava, tremendamente ingombrante.
Così se la sfilò ma vide le mani di Alex sollevargli anche la maglietta e si denudò anche di quella.
Il suo petto si rifletteva negli occhi di Alex che lo studiava incantata.
Giurò di non aver mai visto nessuno bello quanto o più di Tom.
Il ragazzo si chinò, baciandole gli occhi ancora umidi, poi scese alle guance, agli angoli delle labbra e poi di nuovo al collo, infilando le mani sotto la sua maglietta e sollevandola.
Le labbra di Tom si posarono sul ventre della ragazza, poi salirono alla pancia, inumidendo l’ombelico e continuarono a salire, mentre le sue mani spingevano via quell’indumento.
Alex se ne spogliò, mentre Tom le reggeva la schiena con una mano e si tuffava a baciarle anche il petto.
Invertirono le posizioni e Tom cadde disteso sul letto, mentre la ragazza gli torturava le labbra e il piercing, i loro bacini estremamente attaccati.
I capelli di Alex ricadevano addosso ad entrambi i corpi e Tom li accarezzava. Ora le sue mani si immergevano nella sua chioma, ora percorrevano il laccio del suo reggiseno.
La fece sedere sulle sue gambe e le baciò nuovamente lo sterno, per poi salire al seno e segnarle il contorno del reggiseno con la lingua, mentre con l’altra mano cercava di slacciare il laccio.
Le mani della ragazza, invece, erano poggiate sulla nuca di Tom e lentamente scendevano sulle sue spalle.
Spalle grandi, calde e che iniziavano a sudare.
Tom aveva più volte portato a letto una ragazza. Ma quella volta era diverso, perché la ragazza in questione era Alex.
Riuscì a sganciarle il reggiseno e lo gettò via, iniziando a leccarle i capezzoli.
La sentì sospirare; sospiri che parlavano.
Mentre le sue labbra lavoravano sulla pelle chiara della ballerina, le mani di Tom scesero sulla cerniera dei jeans della ragazza. Slacciò il bottone, la cerniera e iniziò ad abbassarglieli, sentendosi tremendamente impaziente di tenerla stretta fra le sue braccia.
Li fece scendere fino alle ginocchia, poi Alex si sdraiò di nuovo e Tom poté godersi quella figura femminile beatamente adagiata davanti a lui, con addosso solo un paio di slip.
Lei lo guardò e poi si mise sui gomiti.
« Qualcosa non va? »
Tom abbozzò un sorriso e le si avvicinò, baciandola. Ogni volta riusciva a sorprendersi di come le loro labbra si incastrassero perfettamente.
La fece coricare di nuovo, accarezzandole il viso con delicatezza e sentì le sue mani toccargli il petto.
Alex fece scendere le mani sui pantaloni di Tom e iniziò a slacciarglieli, mentre lui riprendeva a baciarle il collo.
Tom sembrava indossare una tenda da campeggio al posto dei jeans; quei pantaloni erano tremendamente grandi che ci volle un po’ prima di riuscire a spogliarlo.
E no, ogni minimo particolare era decisamente migliore di quanto Alex si fosse immaginata.
La sue gambe, i suoi muscoli, il suo fondoschiena.
Tom era la cosa più bella che potesse essergli capitata fino ad allora.
Lo baciò, sentendosi finalmente amata. Sentendosi di nuovo a casa.
« Dillo di nuovo. » gli sussurrò, mentre le sue dita percorrevano il bordo dei suoi slip.
« Che cosa? » lui sollevò lo sguardo, abbassandole leggermente le mutande.
« Che mi ami. »
Tom esitò.
« Ti amo. »
Il viso di Alex si addolcì ulteriormente e avvolse il corpo del ragazzo fra le sue braccia.
« Ti amo anche io, Tom. »
Sentirlo uscire dalle sue labbra, sapendo che lo diceva col cuore, riempì il corpo di Tom di un calore immenso.
Lui la amava. Lei lo amava. Entrambi si amavano.
E quella, per lui, era la prima volta che faceva l’amore.
Ed era assolutamente convinto del fatto che Alex fosse la persona più giusta per dedicargli quel sentimento e tutte quelle attenzioni.
La spogliò anche dell’ultimo indumento che indossava e sorrise vedendola arrossire.
E.. per l’amor del cielo. Qualcosa si stava muovendo nella sua pancia. Ma non era uno yeti. E nemmeno una biscia. Sembrava fossero… farfalle.
Lasciò scivolare le dita lungo i fianchi della ragazza, vedendo qualche brivido comparirle sulla pelle, e poi scese sempre più giù, sulle cosce e oltre.
Le accarezzò il sesso e la vide chiudere gli occhi e mordersi le labbra.
Vi infilò cautamente un dito, quasi avesse paura di farle male anche con il minimo movimento, e iniziò a muoverlo.
Poi ne aggiunse un altro quasi subito dopo e la ragazza iniziò a sospirare, stringendo il cuscino con le mani.
« Tom… » lo chiamò in un soffio, e lui sollevò lo sguardo.
Sudava, i capelli le aderivano sul viso e sul collo e teneva sempre gli occhi chiusi. Ma le sue espressioni cambiavano a seconda dei movimenti delle dita di Tom.
Inarcò la schiena lanciando un piccolo gemito di piacere e Tom capì di aver toccato un punto particolare.
Continuò ancora un po’, amando osservarla in ogni suo piccolo movimento.
Ma non riusciva quasi più a trattenersi, si sentiva già abbastanza pronto per andare oltre.
Così si fece strada sul suo corpo, lasciandola respirare e poggiò il viso sulla sua spalla, respirando il suo profumo.
Lei lo abbracciò e gli accarezzò i cornrows.
« Spogliati. » mormorò in un soffio che Tom udì perfettamente.
La baciò prima sul collo, poi sulla mascella e infine sulle labbra, sedendosi sul suo bacino e sfilandosi lentamente i boxer.
Sentì le sue mani toccarlo, accarezzarlo in ogni parte possibile e poi un dito di quelle mani che amava tanto stringere, gli accarezzò il pene, sfiorandolo.
Un minimo tocco riusciva a mandarlo in tilt e si trattenne dall’urlare una bestemmia.
Tirò la testa indietro mentre lei continuava il suo giochetto. Poi allontanò le mani e tirò su le braccia, restando ad osservarlo.
Si passò la lingua sulle labbra, stuzzicandolo e Tom, come un leone affamato, si tuffò sul corpo della ragazza e iniziò a baciarla con foga, quasi come se volesse strapparle via l’anima.
Poi avvicinò lentamente il suo membro al sesso della ballerina che aveva passato le braccia attorno al suo collo.
Lo sentì entrare e diventare sua in un battibaleno, lasciandosi sfuggire un sospiro di eccitazione, mentre Tom iniziava a muoversi con lentezza.
Ogni istante che passava era un’emozione diversa. Ora c’era piacere, ora eccitazione.
Tom strinse i denti, mentre la sua pelle andava a fuoco sotto le mani di Alex che sembrava stessero tracciando un percorso immaginario sulle sue spalle, ma in realtà amavano solo toccarlo in ogni sua minuziosità.
Sentiva il suo membro muoversi e fremere nel suo sesso, sapeva che Tom si stava trattenendo per far durare quella goduria il più possibile.
Una spinta, poi due, tre. Non voleva fermarsi, continuava a sospirare e i suoi sospiri diventavano sempre più forti mentre infilava la testa fra il collo e la spalla sinistra della ragazza che imprecò a voce alta, stringendo le gambe attorno al bacino di Tom. Quest’ultimo affondò leggermente i denti sulla pelle della sua spalla, mordendola.
E con un ultimo sforzo, Tom cedette, svuotandosi insieme alla ragazza che stringeva fra le braccia e dipingendole sulla pelle un bacio che sapeva di amore.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** 16. Gravity of Love ***


Tom stava beatamente sognando quando sveva iniziò a leccargli la faccia, riempiendolo di bava.
« Ma che cazzo… ?! »
Era ancora del tutto addormentato, ma abbastanza cosciente da capire che non riusciva a muoversi, bloccato da qualcosa. O meglio, da qualcuno.
Fece scendere Sveva dal letto, mentre metteva a fuoco la figura femminile che dormiva beatamente poggiata sul suo petto.
E sì, qualcosa nel suo sterno fece un enorme balzo, provocandogli un sorriso.
Forse per quello che era successo, forse perché adorava sentirla così vicina a sé o semplicemente perché aveva capito di amarla.
Così restò immobile a fissarla, continuando a ripetersi che era sua.

Grazie al cielo.
Quella vocina iniziava a stargli simpatica.
Il silenzio venne interrotto dal suono della sveglia e Tom fece un balzo dallo spavento.
Alex si mosse e, aprendo gli occhi, vide il corpo di Tom disteso esattamente sotto il suo e lanciò un urlo che andò ad unirsi all’irritante trillo della sveglia e Tom la seguì a ruota, scappando dal letto.
E solo quando fu in piedi si accorse di essere completamente nudo. Ma proprio tutto tutto.
Alex lo fissò e arrossì stringendosi il lenzuolo attorno al petto e spegnendo con un pugno la sveglia.
Tom si coprì velocemente le parti basse con entrambe le mani e si colorò in viso più di quanto non fosse già.
No, decisamente non si aspettava un risveglio del genere.
La ragazza scoppiò a ridere e si passò distrattamente una mano sul viso, mentre Tom veniva contagiato dalla sua risata.
Probabilmente, Sveva stava pensando di essere l’unica con un minimo di cervello là dentro, perciò uscì dalla stanza. Tom si risedette sul letto.
« Scusa, non so che m’è preso! » rise lei.
Tom fece spallucce coprendosi il bassoventre e si sdraiò di nuovo sul letto.
« Immagino che quella fosse la sveglia per andare a scuola. »
Lei annuì, sdraiandosi al suo fianco.
« Non ho ripassato matematica. » constatò.
« Hai ripassato anatomia. » sogghignò Tom.
Alex gli mollò un colpo sulla spalla e rise.
« Comunque il tuo cane mi ha limonato poco fa. »
« Cos’ha fatto?! »
« So di essere tremendamente irresistibile, specialmente nudo, ma non pensavo di far cadere ai miei piedi pure i cani! Ha iniziato a leccarmi la faccia, l’ho scambiata per te. »
« Io non ti lecco la faccia! » sbottò la ballerina fissandolo.
« Oh giusto, giusto. Allora forse è la ragazza della scorsa notte che mi ha leccato la faccia! » ironizzò, allungando un braccio verso la schiena della ragazza, che però si ritrasse sibilando un flebile: « Spiritoso! »
Tom fece uno scatto e la fece cascare sul letto e le scoppiò a ridere in faccia.
« Facciamo le preziosette eh! »
Le bloccò i polsi con le mani e poi si chinò per baciarle il collo.
« Comunque buongiorno. » mormorò lei.
« Buongiorno amore mio. »
Salì sulle sue guance, stampandole poi piccoli e soffici baci sulle labbra.
Dalla soglia Sveva abbaiò, catturando l’attenzione di entrambi.
« Il tuo cane ha qualche problema con me. » 

Il fatto che Bill l’avesse tartassato di chiamate e messaggi che aveva sempre lo stesso testo – ovvero “Sei con Alex?” – non gli aveva creato troppi problemi.
Il gemello si preoccupava sempre troppo. Ma già s’immaginava l’interrogatorio che avrebbe dovuto subire.
Parcheggiò fuori dalla scuola e scese per primo, aspettando che anche Alex, uscisse prima di chiudere tutto.
Si presero per mano e varcarono il cancello principale, entrando nel cortile.
Ed era inutile meravigliarsi di avere un centinaio di sguardi addosso.
Tom camminava preso per mano con una persona.
Tom era appena sceso dalla sua macchina con una persona.
Tom era fidanzato.
Tom era sempre più il sogno proibito di più di mezza scuola.
Alex la ragazza più odiata, ovviamente.
O ragazzo, ancora a seconda dei punti di vista.
Attraversarono il cortile e poi entrarono nell’edificio.
« Non trovi che la gente ci stia fissando? » commentò lei.
Tom le strinse ulteriormente la mano.
« Non trovi che sia estremamente sexy con questi occhiali da sole? » 

Bill diede una pacca sulla testa del fratello, che si voltò e lo guardò perplesso.
« Ciao anche a te Bill! »
« Grazie per avermi cagato ai messaggi e alle chiamate. »
« Oh, figurati. »
Tom chiuse l’armadietto e si mise la borsa in spalla.
« Molto divertente. » Bill lo seguì quasi respirandogli sul collo. « Almeno mi degni di una risposta?! »
Tom annuì.
« Sì, ero da Alex. »
« E… ? »
Tom lo fissò da oltre gli occhiali scuri.
« Tom! » sbuffò il gemello.
« Hey, sono grande! » sbottò. « E sai bene che non è la prima volta. »
« Oh certo. Vuoi un applauso?! »
« Bill. » Tom si fermò nel corridoio. « Perché non ti trovi anche tu una ragazza? Dai, facciamo che domani ti porto fuori, ok? »
Bill lo fissò perplesso.
« Mi hai preso per un morto di figa? »
« No, ma magari una ragazza ti farebbe bene. »
Bill fissò il gemello con uno sguardo tutt’altro che rassicurante.
« Che ne è stato di mio fratello? » 

Tom girò le chiavi nella toppa ma Bill lo precedette, aprendogli.
« Fila in camera prima che la mamma ti veda! » sibilò a denti stretti.
Tom mise velocemente un piede sul primo gradino e…
« Tom? »

Cazzo!
Si fermò fra un gradino e l’altro e sperò di aver sentito male. Ma la faccia di Bill non prometteva nulla di buono.
Lo vide fargli cenno con la mano di filarsela il prima possibile e così iniziò a salire i gradini a gruppi di tre, per poi ruzzolare sull’ultimo ed entrare in camera sua col culo.
Giusto per non farsi sentire.
Chiuse lo stesso la porta e lanciò la borsa da una parte, per poi sdraiarsi sul letto e fissare il soffitto, come se fosse serenamente tranquillo.
In realtà stava solo contando il tempo che impiegava la madre a salire fino alla sua stanza. E ci mise meno tempo di quanto avesse stimato.

Toc toc.
« Avanti. »
La porta si aprì e Simone fece capolino.
« Tutto ok? »
Lui annuì e si mise a sedere.

Terzo grado. Terzo grado. Terzo grado.
Oh sì, ne era perfettamente a conoscenza.
Sua madre stava per fargli un terzo grado coi fiocchi.
« Bill mi ha detto che sei andato da Alex, ieri sera. Sta bene? »
Tom annuì di nuovo.
« Sì, abbiamo parlato. »
Come se sua madre si bevesse quella balla!
Da oltre la porta si sentì un grugnito trattenuto e Simone si voltò.
Afferrò la maniglia e aprì l’uscio, per mostrare sulla soglia un Bill che tratteneva una risata.
Tom lo fulminò con lo sguardo.
« Stavo per bussare. » si giustificò il gemello prima di fare qualche passo nella stanza.
Bene. Non solo stava per essere interrogato come se fosse un criminale, ma c’era perfino il pubblico!
Era meglio se fosse rimasto a vedere Alex ballare.
Simone si sedette sulla sedia.
« E hai passato la notte da lei, immagino. »
Tom annuì di nuovo con la testa, senza guardarla.
« Tom. » lo chiamò Simone. « Avete usato il preservativo? »
Tom la guardò. No, non si aspettava minimamente una domanda di quel tipo!
Si grattò le tempie e poi rispose.
« Alex usa la pillola. »
Simone annuì con la testa, rilassando il viso.
« Ed è la prima volta che tue lei lo fate? »
« Sì. »
« E… com’è andata? »
Tom spostò lo sguardo dalla madre al fratello che aveva la sua stessa espressione perplessa.
« Oh, beh… normale. Voglio dire, non abbiamo avuto problemi, è andato tutto bene. »
« Ma tu.. voglio dire.. sei venuto dentro di lei? »
« Mamma! » sbottarono entrambi i gemelli e Simone fece uno scatto sulla sedia.
« Scusate, avete ragione! Non devo impicciarmi! »
Il suo viso si colorò di rosso e si alzò dalla sedia.
« Vado a finire le mie cose. » si dileguò, chiudendosi la porta alle spalle.
Rimasero solo Bill e Tom, il primo fissava il secondo con interesse.
Era tutto tremendamente imbarazzante!
Tom sollevò lo sguardo su Bill.
« Che c’è? »
« E’ stato solo normale? »
Tom amava il rapporto gemellare che aveva con Bill. Si capivano in un battibaleno.
Così sospiro, sapendo che Bill capiva cosa intendeva.
« E’ stato tremendamente bello. Diverso da ogni singola volta in passato. E Alex… lei è così perfetta, è diversa dalle altre ragazze, dal resto del mondo, lei… è fatta per me. »
Bill si sedette sulla sedia dove prima era seduta Simone e guardò Tom con uno sguardo indagatore. Poi portò un dito al sopracciglio destro e iniziò a grattarselo distrattamente.
« Allora ti sei proprio trovato una ragazza. Intendo… una vera. »
Tom annuì lasciandosi sfuggire un sorriso.
« Oh beh… allora… sai che forse hai ragione? »
« Riguardo cosa? »
« Dovrei trovarmela anche io una ragazza. Se tu non sei più acido come prima, magari le donne servono a qualcosa. »
« Spiritoso! Tu pensa a restare sempre il solito cagacazzo eh! »
Bill rise e si alzò.
« Sai, penso che la mamma non voglia nipotini a quest’età. »
« L’avevo capito anche io. »
« Non ha tutti i torti eh. »
Si avvicinò alla porta e la aprì, ma non uscì. Si voltò di nuovo, le sopracciglia aggrottate.
« Però le sei davvero venuto dentro? »
« Bill! »
« Ok ok scusa! »
Tom si preparò a lanciagli un cuscino ma il gemello se la svignò chiudendosi la porta alle spalle.
Era proprio figlio di sua madre.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** 17. Concrete Angel ***


Trovare un lavoro era più difficile di quanto sembrasse. Non poteva trovarsi un impiego dall’altra parte della città se non aveva nemmeno una macchina. E di sicuro non avrebbe usufruito della disponibilità di Tom.
Qualcosa doveva esserci per forza.
Tom si avvicinò alla porta in legno scuro e dopo aver preso un bel respiro, bussò tre volte.
« Avanti. »
Entrò nello studio e vide il padre seduto alla scrivania, con dei documenti sottomano.
« Ciao papà. »
Jörg sollevò lo sguardo e lo puntò sul figlio.
« Oh, ciao Tom. »
Il ragazzo gli si avvicinò sfregandosi le mani.
« Senti, ho bisogno di chiederti un favore. Credo che tu possa aiutarmi. »
L’uomo lo guardò e annuì interessato.
« Dimmi pure, vedrò cosa posso fare. »
Tom prese fiato, sapendo di toccare un terreno poco stabile.
« Alex ha bisogno di un lavoro. »
« Non stava facendo la cassiera? »
Tom annuì.
« Sì ma le è scaduto il contratto, era solo per qualche mese… lei va avanti così da un po’ di tempo. » rispose.
« E i genitori non possono aiutarla? La madre per esempio. Visto che balla perché non la prende con sé? E poi perché deve lavorare se il padre è un avvocato? Dovrebbero avere delle entrate più che soddisfacenti. »
« Alex non ha i genitori. »
« Come?! »
Tom voltò lo sguardo dall’altra parte e poi prese una sedia lì vicina. La mise davanti al padre e si sedette, cercando di riordinare le parole per fare un discorso decente.
« Quando vi ha detto che il padre era un avvocato e che la madre aveva una scuola di danza, vi ha mentito. Aveva paura di farvi una cattiva impressione, non voleva sfigurare e così si è inventata questa storia. Ma lei vive ad Amburgo da sola. Ed è costantemente alla ricerca di un lavoro fisso che però non riesce a trovare. Studia, balla, lavora e si dà da fare da sola. E pensa di essere una fallita. Ho cercato di farle capire che non lo è, ma… è così fragile. »
Sollevò lo sguardo che aveva abbassato sulle sue mani e fissò il padre.
« Pensi di poter fare qualcosa per lei? Non so, un impiego nei paraggi visto che non ha nemmeno la macchina. »
Jörg si mosse sulla sedia e si grattò il pizzetto scuro.
Suo figlio gli chiedeva aiuto per la sua ragazza.
Tom era solito risolversi i problemi da solo, ma evidentemente in quel caso non aveva potuto fare molto.
E stava facendo tutto quello solo per quella ragazza. Per Alex.
Che aveva mentito ad una semplice domanda, solo per fare una bella impressione sia a lui che a Simone.
E Simone sembrava adorarla, l’avrebbe anche adottata come figlia se avesse potuto, visto che ne parlava ogni volta che Tom non era presente. Beh, effettivamente anche quando lui era presente.
« Tom. » esordì. « Mi stai chiedendo di aiutare una ragazza che non conosco, che ho visto due volte e che mi ha detto delle bugie per fare bella figura, giusto? »
Tom scosse la testa.
« Ti sto chiedendo di aiutare la mia ragazza. Se non vuoi farlo per lei, fallo per me. »
Lo stava implorando. E non si sarebbe mai aspettato di fare una cosa del genere.
« Non è stata lei a chiedermi questo favore, sono stato io a prendere questa decisione e lei ne è completamente all’oscuro. Mi puoi aiutare o no? »
Jörg non era un uomo cattivo.
Amava la sua famiglia, sua moglie Simone e i suoi figli. Semplicemente non riusciva a trasmettergli l’affetto di cui avevano bisogno. Non era bravo a dialogare, gli sembrava sempre di sbagliare con ogni minima parola.
E in quel momento, Tom gli chiedeva aiuto.
Non aveva mai avuto molte opportunità di poter parlare con suo figlio, tantomeno riguardo Alex. Così decise di andare oltre, di capire perché Tom si stesse preoccupando tanto.
« Perché? Dammi solo una motivazione e io proverò ad aiutarti. »
Tom poggiò la schiena sulla sedia e si sentì tremendamente scoperto, come se fosse un albero a cui è stata sradicata la corteccia.
Così sospirò, e si preparò ad arrossire.
« Perché la amo. »
Jörg strabuzzò un po’ gli occhi ma restò comunque a fissare il ragazzo.
« Ti basta come risposta? »
L’uomo sollevò le sopracciglia e abbozzò un sorriso.
« Tom, parlare di amore alla tua età è… un po’ prematuro, non credi? Probabilmente vuoi molto bene a questa ragazza e per lei è lo stesso ma… »
« Papà, non è così. Alex è una persona diversa e mi ha reso una persona diversa. Lei è… come un mondo da scoprire, io non le voglio solo bene. Io la amo. La amo in ogni suo gesto; quando sorride, quando piange, quando studia, quando dorme, quando si arrabbia, quando si emoziona, quando balla, quando parla, quando accarezza Sveva o Scotty, quando mi chiama al telefono, quando continua ad andare avanti con le sue forze e quando cerca di nascondermi i suoi problemi per non farmi preoccupare. »
Oh sì, dire che era diventato rosso in viso era poco. Le sue guance si erano colorate di un rosso pomodoro.
Jörg non sapeva che suo figlio potesse intimidirsi, parlando dei propri sentimenti.
E fino a qualche minuto prima, non credeva nemmeno che si sarebbe mai seriamente innamorato.
Ma c’era qualcosa nei suoi occhi, nel tono della sua voce e nel colore del suo viso, che gli facevano oscillare quelle convinzioni.
Così sospirò, pensando.
« Allora, pensi di potermi aiutare? »
Effettivamente, c’era quel vecchio amico che gli doveva diversi favori…
Sollevò lo sguardo, abbozzando un sorriso.
« Vedrò cosa posso fare. » rispose dandogli una pacca sulla spalla.
Tom riprese il suo colore naturale e sorrise, rassicurato.
Poi si alzò e si diresse verso la porta, ma prima di aprirla si bloccò e si girò di nuovo.
Il padre era nuovamente immerso nel suo lavoro.
« Papà? »
Jörg sollevò lo sguardo e vide un sorriso sincero sul volto del figlio.
« Grazie. » 

Andreas suonò ancora una volta il clacson e fu Tom il primo ad aprire la porta e ad uscire, facendo segno all’amico di calmarsi.
Bill lo seguì a ruota, con addosso una giacca che ricordava parecchio Dracula, e forte trucco nero sugli occhi.
Gli piaceva uscire così.
Tom aprì lo sportello della Mercedes dell’amico.
« Abbiamo fretta? »
Si sedette sul sedile del passeggero e Bill si mise dietro, sistemandosi il colletto.
« Devi andare ad un party di travestiti? » gli domandò il biondino, cambiando marcia e partendo.
Bill lo fulminò con lo sguardo, ma ormai era abituato alle frecciatine di Andreas.
« Allora, tutto a posto con la tua lady? » domandò rivolto a Tom.
Quest’ultimo annuì con la testa.
« Avremo un Kaulitz Junior fra di noi? »
Tom lo guardò.
« Divertente! »
« Oh dai, pensa se somiglia a te quante belle ragazze ti porterà in casa! »
Tom sbuffò e scosse la testa, divertito.
« Allora dove andiamo stasera? » domandò Bill.
« In un posto carino con alcool e poche luci. Oh tranquillo Tom, c’è anche l’angolo fidanzati. » rispose Andreas senza evitare di lanciare una frecciatina all’amico bruno.
« Hai finito di tartassarmi i maroni?! »
Andreas si lasciò sfuggire una risata divertita ma continuò comunque a stuzzicarlo fino all’arrivo nel locale.
Un locale per niente sobrio, constatò Tom una volta dentro.
Fumo e alcool erano la prima cosa che si sentiva nell’aria. Le luci creavano un’atmosfera intima per chi voleva stare in un angolo a pomiciare, e c’era chi non si era fatto scampare quell’opportunità.
In fondo c’era un piccolo palchetto con delle ragazze seminude che ballavano incitando gli spettatori là sotto, i quali sborsavano banconote da cinquanta euro e le infilavano nei pochi indumenti rimasti alle cosiddette ballerine.
Alex aveva fatto la ballerina al Davis, ma quello era un altro locale. Nessuno si spogliava, solo nelle tarde ore notturne e Alex non l’aveva mai fatto. O almeno, Tom non l’aveva mai vista.
Andreas li portò nel privè e gli fece segno di accomodarsi nei divanetti chiari.
« Bel posto. » commentò Tom sarcasticamente. « Proprio sobrio. »
« E dai, adesso non vorrai farmi credere che sei diventato un santarellino! Guardare non è un peccato. » gli rispose l’amico. « E neanche bere qualche bicchiere di Vodka. »
« Le puttane tutte tue? »
« Mie e di Bill. Tu guarda o se vuoi, riprendi. »
La risposta di Tom si evinse dal dito medio che aveva prontamente sollevato in aria.

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** 18. His Mistakes ***


E’ solo un bicchiere.
Andreas l’aveva ripetuto almeno 30 volte quella sera. O, per lo meno, ogni volta che ordinava da bere.
E a furia di trincare, l’aveva finita a ridere da solo mentre aveva intrapreso un discorso a livelli di stupidità inimmaginabili, con il suo bicchiere.
Tom lo fissava vedendogli due teste attaccate al collo.
Quella serata si era rivelata una vera merda, aveva iniziato a bere come una spugna e ora a malapena riusciva ad alzarsi dal divanetto.
Ma doveva: Bill era scomparso da più di mezz’ora e sperava che fosse abbastanza lucido da portarli tutti e tre a casa sani e salvi.
Così allungò le gambe e si mise in piedi, lasciando Andreas ridere delle sue stesse coglionate e iniziò a girare fra i tavoli pieni di gente.
Vedeva la maggior parte delle cose doppie, gente con addirittura tre teste, ma di Bill nemmeno l’ombra.
Non che, effettivamente, l’ombra si riuscisse a vedere in quel posto.
Continuò a vagare per qualche minuto buono mentre la musica gli impallava ulteriormente il cervello e giurò di aver rovesciato più di un vassoio dalle mani dei baristi.
Poi vide una figura molto simile a Dracula seduta non molto lontano da lui e così raggruppò tutte le forze che gli erano rimaste e si avvicinò.

Bene.
La vocina vacillava, ma Tom la udì bene.
Tuo fratello sta pomiciando.
Nulla di male, no? La cosa che traumatizzò Tom però, era il fatto che Bill stesse limonando con un ragazzo.
Chiuse e aprì gli occhi un paio di volte, ma la scena non mutava.
« Bill?! »
La sua voce venne coperta dalla musica alta, così cerco di farsi ulteriormente strada tra la gente che separava lui e il suo fratello gemello – che era amorevolmente impegnato a farsi i cazzi suoi – spingendo chiunque gli si trovasse davanti.
Una mano gli afferrò un polso e lo bloccò.
Voltò lo sguardo sentendo la testa più pesante che mai ma non riuscì a mettere bene a fuoco la persona che aveva davanti. Vedeva solo una folta chioma riccia che cambiava colore a seconda delle luci e… un momento. Quelle erano quattro tette!
Il cervello di Tom fece una capriola. Non aveva mai visto 4 tette insieme!
« Tom! »
Sollevò lo sguardo e ridusse gli occhi a due piccole fessure per capire chi gli stava parlando.
« Diana?! »
La biondina gli sorrise e solo allora Tom la riconobbe.
Era l’ultima sua fiamma, l’ultima pollastrella che si era portato a letto prima di conoscere Alex.
Ma se la ricordava con solo due tette. E che tette.
« E’ da un po’ che non ci vediamo! Come va? »
« Oh io… » Tom si premette la fronte. « Bene, sto bene. »
« Vedo che te la stai spassando. »

Fila via il più in fretta possibile. Ricordati che non esistono quattro tette.
« Oh… già. »
« Sei solo? »
Diana si portò il bicchiere di alcool che stringeva con una mano alle labbra e fece scivolare la lingua sul bordo.
Tom iniziò a sentire caldo.

Dì di no. Dì di no.
« No, sono con Andreas e Bill. »
Bravo!
« Ma sono per i fatti loro. »
Sei un coglione.
Diana spostò il bicchiere e si avvicinò al corpo di Tom, posandogli la mano libera sul petto.
« Che ne dici di fare quattro chiacchiere? E’ da molto che non parliamo. »
Quattro tette premevano sul suo petto.
« Certo, perché non ci sediamo? » 

Nelle sue vene non c’era più un briciolo di sangue, era completamente andato.
Non aveva fatto come Andreas, da solo a ridere in un angolo di sé stesso, o come Bill che aveva iniziato a limonare con un suo simile.
Aveva fatto molto peggio.
I capelli di Diana gli facevano un leggero solletico sul collo mentre la ragazza gli passava la lingua sul petto, soffermandosi particolarmente sui capezzoli del ragazzo il quale aveva una capacità di comprensione veramente limitata.
Diana si fermò e lo baciò sulle labbra, mentre gli occhi di Tom restavano chiusi e vedeva vortici di ogni tipo e colore.
Li aprì solo quando non sentì più le labbra della bionda attaccate alle sue e la vide scendere fin sul suo basso ventre.
Si caricò sui gomiti mentre lei si spostava i capelli dal viso e dal collo e poi prese il suo pene fra le mani.
Tom non gemette né mugugnò qualcosa di eccitato mentre la mano della ragazza gli accarezzava il membro.
Non era il tocco che lo mandava in tilt, non era la mano che conosceva bene, non era la ragazza giusta.
Non era Alex.
La vide aprire la bocca e provò con quel poco di senno che gli era rimasto a bloccarla.
Ma quando la lingua di Diana toccò la punta del suo pene, Tom non capì più nulla e si lasciò cadere sul letto, diventando un perfetto burattino per i giochi erotici della ragazza.
Era tutto automatico, non provava le emozioni che avrebbe dovuto e tantomeno riusciva perfettamente a rendersi conto di ogni singola cosa stesse accadendo in quella stanza da letto.
Si accorse di quando Diana si fece penetrare, ma sembrava stesse facendo tutto da sola.
Lui non era là con lei, anche se quello era il suo corpo.
Non voleva esserci.
Ma nonostante tutto, non riusciva a dirle di fermarsi, era come bloccato da quella sbronza che era peggiorata da quando aveva incontrato Diana nel locale.
La sentiva urlare di piacere e le sue orecchie fischiavano, udendo quegli strilli che gli sembravano tremendamente orribili.
No, quella non era la voce di Alex. Non c’era il suo profumo e lui non era toccato dalle sue mani né dalle sue labbra. 

Alex prese il cellulare, ma non vide nulla sullo schermo.
Aveva provato a chiamare Tom già una prima volta, ma non le aveva risposto.
Fece un lungo respiro e poi compose di nuovo il numero. Si portò l’apparecchio all’orecchio e attese.
Invano, ma attese.
Sveva era in un angolo a fissarla, preoccupata.
La ragazza chiuse la chiamata e si voltò verso il cane.
« Evidentemente non ce l’ha addosso. »
Ma no, non pensava minimamente che Tom non avesse proprio nulla addosso, esclusa la stessa ragazza che l’aveva messa in guardia. 

Tom aprì gli occhi e si passò una mano sulla fronte. La testa gli pulsava come mai prima d’allora.
Voltò lo sguardo e vide la schiena nuda di Diana.
Chiuse gli occhi sentendosi terribilmente schifoso. L’aveva fatto davvero. Non era tutto un sogno, quella volta era tutto reale.
Buttò di nuovo la testa sui cuscini insultandosi mentalmente e poi, con uno sforzo immane visto il peso sproporzionato che aveva preso la sua testa, si mise a sedere, cercando i suoi abiti fra quella marmaglia di roba sparsa per terra.
Si sentiva un verme, una perfetta merda.
Si era ubriacato e come un idiota si era fatto portare a letto dall’ultima persona che avrebbe voluto vedere in quei momenti.
Forse Diana non sapeva che lui stava con Alex, non sapeva che lui aveva legato il suo cuore a quello della ballerina e così aveva semplicemente voluto portarselo a letto. Proprio come lui faceva fino a qualche mese prima.
Si rivestì assorto fra i suoi tredicimila pensieri contorti e poi si decise ad uscire da quella casa.
La macchina di Diana era parcheggiata fuori. Bene, come prima punizione dove arrivare a casa sua a piedi e da solo. E il sole non era nemmeno sorto.
Tirò fuori il cellulare dalla tasca per controllare l’ora, sperando in un Bill più sobrio di lui.
Ma quello che vide furono solo 2 chiamate perse. Entrambe di Alex.
E, sbronza o meno, la nausea lo costrinse a nascondersi in un angolo per vomitare tutto il veleno che l’aveva infettato per quella dannata notte. 

Il telefono di Alex squillò facendola balzare sul letto.
Guardò l’ora: erano le 10 del mattino e lei dormiva ancora.
Prese velocemente l’apparecchio sperando di sentire la voce di Tom, ma quando rispose udì una voce decisamente più rauca.
« Buongiorno, parlo con la signorina Alex Meyer? »
La ragazza si mise a sedere mentre Sveva entrava nella stanza.
« Sì, sono io. »
« Piacere di conoscerla, sono Franz Müller. Mi è stato detto che è alla ricerca di un impiego. »
Il cuore di Alex fece un balzo.
« Sì. »
« Le interesserebbe fare la commessa in un negozio hip hop? » 

Bill non si era risparmiato la sua ramanzina. Per non parlare del fatto che fosse andato totalmente in bestia quando Tom gli aveva raccontato cos’era successo.
« L’hai tradita! Te ne rendi conto?! » aveva urlato.
E Tom si era semplicemente limitato ad annuire, divorato dal suo nuovo amico mal di testa.
« Ha fatto tutto lei, io non capivo niente. »
« Oh certo. Come se io adesso ti sbraghettassi e ti facessi un pompino! »
Tom fulminò Bill con lo sguardo.
« Non sono l’unico qui che ieri sera si è divertito. Se non sbaglio ti ho lasciato in simpatica compagnia di un ragazzo. »
Bill arrossì e abbassò lo sguardo.
« Io non ci sono andato a letto. E anche se fosse, non ho una ragazza che si preoccupa per me. »
Tom scosse la testa, sbuffando.
« Bill ti prego, so di aver fatto una cazzata. Basta. Finiamola qui. »
« Glielo dirai? »
« Con le parole giuste. »
Bill stava per rispondere quando il cellulare del fratello squillò, distogliendolo dal discorso.
Nello schermo brillava il nome Alex.
Tom lo fissò e poi sollevò lo sguardo sul gemello.
« Non dirmi che è Diana. »
« E’ Alex. »
« Rispondi, muoviti! »
Tom rispose con un: « Pronto? » alquanto mogio.
« Buongiorno. »
« Buongiorno. Tutto bene? »
« Alla grande! »
« Come mai quest’allegria? »
Bill gli lanciò uno sguardo indagatore.
« Mi hanno offerto un lavoro! »
« Wow, sono contento per te. » disse senza troppo entusiasmo.
« Tutto ok?  »
Tom deglutì.
« Sì, è tutto ok. Sono solo un po’ stanco, ieri sera sono rientrato tardi a casa. A proposito scusa se non ti ho richiamata, ma era tardi… »
« Non preoccuparti. Allora ti lascio riposare. »
« Ci vediamo domani a scuola? »
« Ok. Tom? »
« Sì? »
« Ti amo. »
Quella volta però, il suo cuore non balzò. Lo sentì comprimersi e sanguinare.
Chiuse gli occhi sentendosi mancare il fiato.
« Ti amo anche io. »

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** 19. Love and Death ***


Cazzo, se solo si fosse dato una regolata anziché seguire Andreas che beveva e beveva!
Tom batté lo sportello dell’armadietto e si diresse verso l’uscita con il suo pacchetto di sigarette.
Ne prese una e la accese varcando la soglia d’ingresso e si guardò attorno, cercando con gli occhi la sua ragazza.
Alex si dondolava su un piede e poi sull’altro guardandosi attorno.
Tom fece un tiro e poi la raggiunse. Doveva dirglielo il prima possibile.
A pranzo non ce l’aveva fatta. Tantomeno nei corridoi. Lei era così euforica di avere un nuovo impiego che non voleva rovinarle tutto con quella sua confessione.
Le si avvicinò tenendo lo sguardo basso e ringraziandosi da solo per aver indossato gli occhiali da sole, nonostante la giornata fosse nuvolosa.
Alex lo salutò con un sorriso a cui lui rispose prendendole la mano.
« Tutto ok? »
La voce di Alex gli risuonava più soave di quanto in realtà fosse.
Forse perché si sentiva una bestia nei suoi confronti.
« Sì, tutto ok. »
« Ti vedo giù. E’ successo qualcosa? »
Era successo il finimondo!
Tom si immobilizzò fissando la figura femminile che gli camminava incontro.
Deglutì e abbassò lo sguardo verso Alex, che guardava nella sua stessa direzione.
Quella era la stessa identica ragazza che aveva incontrato in biblioteca.
La vide avvicinarsi a loro e poi fermarsi davanti a Tom.
Solo dopo spostò lo sguardo verso di lei.
« Complimenti. » sibilò.
« Tom, che succede? »
« Diana vai via. »
Alex lasciò la mano del ragazzo.
Lui la conosceva?!
« Credevo fosse il caso di restituirti questo. »
Frugò nella borsetta e tolse fuori un preservativo.
Alex inorridì. Era usato.
Tom impallidì e lo sguardo della sua ragazza schizzò prima sulla sua figura, poi su quella della ragazza.
Sul viso di Diana comparve un ghigno di soddisfazione e Tom si voltò verso Alex.
« Non è come pensi. »
« Siete andati a letto insieme! »
« Posso spiegarti! » Tom allungò una mano ma Alex la colpì, allontanandosi.
« Spiegarmi cosa?! Come il tuo cazzo è entrato nella sua vagina? Quanto grandi e belle fossero le sue tette?! Quanto hai goduto andando a letto con questa troia?! »
« Hey! » squittì quest’ultima.
Alex sentì l’impulso di darle un pugno in modo da cambiarle connotati ma lei non stava con Diana. Lei stava con Tom.
Così sposto lo sguardo sul ragazzo e un fiume di lacrime arrivò veloce ai suoi occhi.
Ecco perché non aveva risposto. Ecco perché era così stanco.
« Alex ti prego, lascia che ti spieghi! »
« Come fai a dire così, Tom? Io mi fidavo di te! Mi fidavo! »
Tom si sentì morire.
Lacrime argentate comparvero sugli zigomi della diciottenne che si allontanò ulteriormente.
« Non voglio più vederti. »
« Alex, per favore… » Tom provò di nuovo ad allungare una mano, ma Alex quasi ringhiò, mollandogli un ceffone.
« Non ti avvicinare! Mi fai schifo! Sei uno schifoso e come una cogliona mi sono fidata di te! Pensavo che fossi sincero, che fossi cambiato o almeno questo era quello che continuavi a ripetermi e invece no! Sei sempre la solita testa di cazzo e con te non c’è vita! » non gliene fregava niente se attorno a loro tutti stavano guardando e ascoltando.
Quella era una pugnalata più che mortale.
Lei aveva riposto in Tom tutte le sue ultime speranze, tutta la sua fiducia e lui aveva gettato tutto alla prima occasione.
Come poteva continuare a fidarsi di lui? A lasciarsi toccare da quelle mani che avevano toccato un altro corpo?
« Non voglio più vederti. »
Tom vide fiamme nell’ultimo sguardo che Alex gli rivolse. Fiamme di odio e di disprezzo.
Rimase immobile, osservandola mentre correva via, nascondendosi nuovamente da tutti gli sguardi.
Diana si era messa da una parte, guardando la scena.
Tom non la degnò nemmeno di uno sguardo e decise che era ora di tornare a casa, quando una mano si posò sulla sua spalla.
Il viso di Bill era cupo.
« Beh, che avete tutti da guardare?! Vi sembra forse un circo questo? » ruggì Andreas alle loro spalle.
La gente iniziò ad allontanarsi, Diana compresa.
Tom si levò la mano di Bill di dosso.
Era troppo schifoso per essere toccato perfino dal suo gemello. 

Andreas l’aveva invitato ad uscire ma no, lui non aveva voluto.
Preferiva evitare di fare altre stronzate.
Non era colpa di Andreas che l’aveva incitato a bere, nemmeno di Bill che se n’era andato per i fatti suoi. Era tutta colpa sua. Doveva dire a Diana di smetterla, di fermarsi, di stare calma perché lui era fidanzato, perché lui amava Alex e non voleva perderla.
E invece no. Aveva mandato a puttane tutto quello che lo aveva fatto stare bene fino ad allora. Aveva mandato a puttane Alex.
Jörg entrò in cucina e vide il figlio con una sigaretta in mano.
« Ho chiamato un amico, credo abbia contattato la tua ragazza. »
Tom sollevò lo sguardo senza essersi accorto della presenza del padre e spense velocemente la sigaretta nel posacenere.
« Oh sì. So che l’hanno chiamata per lavorare in un negozio hip hop. »
Il padre sorrise versandosi del caffè.
« Grazie. » sospirò Tom.
Jörg fece spallucce.
« Figurati. Ma ora mi spieghi perché hai quella faccia? »
Tom sollevò leggermente lo sguardo per vedere che il padre lo stava fissando.
Poggiò la schiena sulla sedia, prendendo fiato.
« Sono andato a letto con un’altra. »
Jörg tossì mentre beveva.
« Cosa?! »
« Ero ubriaco! »
Il padre lo fulminò con lo sguardo.
« Tom, ti rendi conto di cosa stai dicendo?! »
« Non ne vado fiero, se è questo che intendi. Lei l’ha scoperto e ovviamente non l’ha presa bene. »
Rivide il viso di Diana e fu avvolto da un senso di nausea.
« Non potevi di certo pretendere che si mettesse a saltare d’allegria. »
Tom scosse la testa e poi se la prese fra le mani.
« Hey! » Jörg gli si avvicinò mollando la tazzina di caffè da una parte e gli poggiò una mano sulla schiena. « Son sicuro che si metterà tutto a posto. Lasciale del tempo per pensare, per ragionarci sopra. Se vi amate davvero, supererete anche questo. »
Tom annuì sentendosi male psicologicamente. Quanto avrebbe dovuto aspettare?
Non voleva. Il tempo lo spaventata e lui voleva averla con sé. Voleva riabbracciarla, ribaciarla, riguardarla negli occhi e risentirsi dire che lo amava.
Il cellulare prese a squillare e lo tirò fuori con un sospiro, leggendo il nome dell’amico biondo sullo schermo.
« Che c’è? »
La voce di Andreas era coperta da fischi e dalla musica alta.
« Non ti sento! Cos’hai detto?! »
L’amico si premette l’apparecchio sulle labbra.
« Ho detto che ti conviene fare un salto all’Angie’s e anche in fretta! »
« Ti ho detto che non ho voglia di uscire. »
« Tom se non sali su quella cazzo di macchina la tua ragazza finirà lo spogliarello davanti a decine di uomini già eccitati! »
« Cosa?! »
Tom scattò in piedi.
« C’è Alex! » strillò Andreas. « E non so se ti faccia piacere sapere che si sta esibendo in una lap dance! Qua è pieno di gente, non so se senti il casino… Tom?! »
Tom era corso nel garage e aveva preso la macchina con la stessa furia di un cavallo imbizzarrito.
Mise in moto e si riportò il cellulare all’orecchio.
« Dove hai detto che sei? »
« All’Angie’s, sbrigati! »
Il moro chiuse la chiamata e accelerò verso il locale.
Se qualche poliziotto l’avesse visto in quei momenti gli avrebbe sequestrato la patente senza pensarci su troppo.
I semafori non esistevano, tantomeno gli incroci e parcheggiò nel peggior modo esistente.
Fece il suo ingresso nel locale e quasi pregò che l’amico stesse scherzando. Ma no.
Alex era davvero mezza nuda e si stava strusciando su un palo mentre ai suoi piedi stavano una quarantina di uomini sbavanti.
Tom grugnì e non vide nemmeno Andreas che gli andava incontro. Iniziò a correre e a spingere via chiunque gli ostacolasse il cammino.
Una spinta, un pugno e poi si ritrovò a salire sul palco.
Alex lo guardò e Tom capì che non era completamente lucida. Così la prese di peso, raccogliendo gli abiti che aveva buttato a terra e mentre gli altri lo fischiavano e lei si dimenava, lui uscì dal locale.
« Che cazzo fai?! »
La posò per terra e lei gli si lanciò addosso, spingendolo.
« Che cazzo fai tu?! Ti sembra normale spogliarti davanti a tutti?! »
« Non sono affari tuoi! » Alex prese la maglietta e se la rimise addosso.
« Come sarebbe a dire?! Fino a prova contraria sei ancora la mia ragazza! »
Alex lo guardò quasi prendendo fuoco.
« Sono la tua ragazza solo in questi casi?! Perché ti sei dimenticato di me quando sei andato a letto con quella?! »
« Non mi sono dimenticato di te, ma ero ubriaco! »
« Ti sembra una motivazione?! » strillò lei.
« Sto cercando di dirti cosa cazzo è successo! »
Alex si voltò e camminò, poi si fermò e si voltò di nuovo, puntando un dito contro Tom.
« Tu sei solo un’opportunista! Mi hai usata fin dal primo momento, volevi farmi credere di essere diverso ma invece il tuo unico scopo era solo fottermi! E dopo che l’hai fatto, chi s’è visto s’è visto! »
« Io ti amo, Alex! »
« No, qua sono io che ti amo perché mi sono davvero affezionata a te, ho davvero creduto ad ogni singola cazzata che mi hai rifilato, ho davvero voluto fare l’amore con te perché provo qualcosa che non ho mai provato prima e mi sono davvero fidata di te, di ogni cosa tu abbia detto o fatto per me! Eri la mia unica speranza, lo sapevi benissimo e guarda cosa hai fatto! »
Tom si guardò attorno, agitato.
Non era vero. Lui non aveva mentito neanche una volta con lei.
Le aveva detto la verità fin dal principio, non aveva approfittato di lei.
« Come cazzo devo fartelo capire, Alex?! Devo scrivertelo sui muri, farmelo tatuare, cantartelo, recitartelo?! Devo salire su un palco e urlare “Alex Meyer, io ti amo”?! Cosa cazzo devo fare?! Dimmelo e lo farò! »
« Devi andartene a fanculo! » sbraitò lei. « Io ti odio! »
Tom la fissò con la stessa espressione e intensità della prima volta che l’aveva vista ballare.
Scosse la testa ripetendosi che non era vero, che lei era ubriaca.
La figura di Alex venne illuminata da una forte luce e entrambi si voltarono.
Tom scattò in avanti urlando il suo nome ma venne spinto di nuovo via e udì un rumore sordo.
Il mezzo, un macchinone scuro, si fermò e il conducente uscì a controllare i danni borbottando una bestemmia.
Tom si rialzò velocemente da terra e corse davanti al mezzo.
I fari la illuminavano perfettamente. I suoi occhi erano fottutamente chiusi.

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** 20. How to save a Life ***


Tom si stropicciò gli occhi.
Dovevano essere sì e no le 8 del mattino. Non aveva chiuso occhio neanche un momento, ma alla fine si era concesso uno stato di dormiveglia.
I suoi muscoli erano costantemente tesi e nonostante gli avessero più volte ripetuto di andarsene a casa, lui aveva ribadito che non si sarebbe mosso di là.
Bill si era offerto di andare a fargli compagnia, così era salito in macchina ed era arrivato all’ospedale in un battibaleno.
Non aveva mai visto Tom in quelle condizioni.
Continuava a camminare avanti e indietro e, inizialmente, l’aveva trovato col volto sconvolto dalla paura e le mani piene di sangue.
« Che è successo?! »
Tom aveva semplicemente sollevato lo sguardo e Bill vide i suoi occhi colmi di lacrime.
« Hanno investito Alex. »
Le ore sembravano passare più lente che mai e come se non bastasse, nessun dottore usciva dalla sala operatoria.
Bill gli batté una mano su una spalla e Tom sobbalzò. Mise a fuoco la figura del fratello e lo vide porgergli un caffè.
Tom lo prese ringraziandolo con voce rauca e poi ingurgitò quello schifo.
« Hai saputo qualcosa? »
Tom scosse la testa.
« Non è uscito nessuno ancora. »
« Mi vuoi raccontare cos’è successo precisamente? »
Tom spostò il bicchiere dalle sue labbra e sospirò.
« Era all’Angie’s, stava facendo uno spogliarello. »
« Cosa?! »
« Era mezza ubriaca. Mi ha chiamato Andreas e sono corso a prenderla. L’ho tirata via, l’ho portata fuori e abbiamo iniziato a discutere. Lei urlava, sbraitava ogni cosa le passasse per la mente e intanto indietreggiava. Le facevo così tanto schifo da allontanarla. Poi la macchina è sbucata dal nulla, abbiamo visto i fari avvicinarsi e sono corso verso di lei, ma… mi ha spinto via. »
« Ti ha spinto via? »
« Mi ha salvato. Io volevo allontanarla, spostarla da un’altra parte e fanculo alla macchina se mi avesse preso. Ma no.. lei non ha voluto.. e ora è dentro quella sala operatoria a causa mia. »
« Tom non l’hai investita tu. » mormorò Bill.
« Ma sono stato io a tradirla. Io sono la causa dei suoi dispiaceri e io sono la causa principale dell’incidente. Se avessi avuto un po’ di autocontrollo e non mi fossi ubriacato, non sarei andato a letto con Diana, non sarebbe successo nulla e io e Alex staremmo ancora insieme e magari a quest’ora saremmo nello stesso letto a riscaldarci a vicenda aspettando che la sua sveglia suoni per ricordarci di andare a scuola! »
Tom rovesciò il caffè a terra da quanto aveva iniziato a gesticolare.
Ma la sua attenzione venne attirata dalle porte che si richiudevano alle spalle di due medici.
Il ragazzo si alzò e, seguito dal gemello, si avvicinò ai medici. Il suo cuore bussava in gola.
« Lei è il ragazzo che era con la signorina? » gli domandò un dottore, levandosi la mascherina dal viso.
Tom annuì con la testa e quello sospirò, togliendosi anche i guanti.
Il medico affianco a lui si dileguò molto velocemente e Tom giurò di essere entrato dentro un film.
Odiava gli ospedali da quando era bambino e in quel momento odiava anche il silenzio del dottore.
« E’ stato necessario rianimarla. »
Tom strabuzzò gli occhi.
« Non si preoccupi è ancora viva e per ora le sue condizioni sono stabili. »
Il ragazzo si passò una mano sul viso mentre Bill gli poggiava una mano sulla spalla, rassicurandolo.
« L’impatto è stato molto forte e la ricaduta della ragazza lo stesso. In sostanza, abbiamo dovuto sistemare una frattura al ginocchio destro e abbiamo dovuto operare anche la colonna vertebrale. Voglio essere sincero con lei, senza nasconderle che la sua situazione era.. non molto buona. »
Il dottore tirò su col naso e Tom si sentì la testa più pesante del solito, come l’ultima sbronza.
« Abbiamo fatto il possibile ma temiamo che la ragazza possa rimanere paralizzata. »
Quel poco di impulsività che scorreva nel corpo di Tom, lo portò a nascondersi il viso fra le mani e ad allontanarsi, mentre Bill lo guardava, immobile.
Tom si voltò di nuovo e per la prima volta in vita sua, Bill lo vide con gli occhi lucidi.
« Voglio vederla. »
Non doveva chiedere nessun permesso. Non ne aveva alcun bisogno perché era tutta colpa sua se Alex rischiava di restare paralizzata.
« Adesso la stanno sistemando in una stanza, incaricherò un’infermiera di informarvi appena sarà pronta. »
Tom annuì e il medico si allontanò, lasciandolo solo con Bill, che pronunciò un incerto: « Tom… »
« Non dire nulla. » lo zittì il gemello.
Si stava lentamente maledicendo per tutto quello che aveva combinato.

 Ogni passo che faceva sembrava un passo verso l’inferno.
L’infermiera si fermò davanti ad una porta e lo guardò con un mezzo sorriso.
« L’effetto dell’anestesia dovrebbe passare fra qualche minuto. Cerchi di non farla sforzare. »
Tom annuì e poi vide l’infermiera allontanarsi.
Sospirò e poi abbassò la maniglia della porta, aprendola lentamente.
Nelle sue orecchie rimbombava un tic regolare e i suoi occhi videro una figura sdraiata su un lettino, immobile, con fili sparsi un po’ dappertutto e i capelli adagiati sul cuscino.
Tom si mosse cautamente, temendo di fare qualcosa che potesse causargli la perdita totale di quella persona. Chiuse la porta con un nodo in gola e si avvicinò lentamente al lettino.
Prese una sedia e la mise silenziosamente affianco al lato sinistro della ballerina.

La Alex che era abituato a vedere, non era la stessa Alex che dormiva davanti a lui.
Allungò cautamente una mano e sfiorò la sua, che non si mosse.
Poi la toccò con il palmo e sollevò lo sguardo verso il suo viso.
Moriva a vederla così, circondata da fili e ferita.
E, preso da un’improvvisa sensazione di paura, chinò il capo e iniziò a piangere.
In silenzio, stringendosi nelle spalle e badando di non fare il minimo rumore per paura di disturbarla.
Ma sotto la sua mano, le dita di Alex si mossero in una maniera quasi impercettibile.
Tom sollevò di scatto lo sguardo, senza accorgersi di avere le guance solcate da qualche lacrima, e lo posò sul viso della ragazza.
Vide chiaramente le sue palpebre tremare e poi sbattere leggermente, fino ad aprirsi.
Si era svegliata.
« Alex? »
La sua voce era roca e la gola gli bruciava.
La ragazza chiuse e aprì di nuovo gli occhi, mettendo a fuoco e cercando di capire dove si trovasse.
Poi voltò lo sguardo e lo vide. Nei suoi occhi rivide tutto quello che era successo fino ad allora e mosse le labbra cercando di pronunciare il suo nome, ma non riusciva a parlare.
Tom allungò una mano per accarezzarle la fronte e fu allora che Alex notò le sue lacrime.
« Si può sapere che ti è preso?! » la rimproverò Tom a bassa voce, continuando ad accarezzarle la fronte e i capelli.
Alex non rispose e Tom vide le sue labbra prendere quella solita piega che presagivano un pianto liberatorio.
Ma nei suoi occhi leggeva una paura smisurata.
« Mi dispiace. » mormorò.
Lui scosse la testa e si avvicinò, baciandole una palpebra chiusa.
« Sono io che devo scusarmi. Mi sono lasciato trascinare perché non ero in me, non ero lucido. Ma ti assicuro che non mi sono dimenticato di te. Ero così avvolto dai sensi di colpa che non riuscivo nemmeno a guardarti negli occhi, mi facevo e mi faccio tuttora schifo per quello che ho fatto. Che ti ho fatto. » prese fiato passandosi una mano sulle guance bagnate. « E’ tutta colpa mia se abbiamo litigato, tutta colpa mia se ora ti faccio schifo ed è soprattutto tutta colpa mia se ora sei su questo letto. Ma ti giuro sulla mia stessa vita, su Bill e su tutto ciò che ho di più caro, che non ti ho mai mentita. Non ti ho mai usata e tutto quello che ti ho detto fin’ora è vero, dalla prima all’ultima parola. Ogni singolo respiro che ti ho rivolto era il più sincero di tutta la mia vita. »
Una lacrima rigò il volto di Alex e Tom la asciugò velocemente.
« Sei un coglione. » rispose la ragazza. « Sei sempre il solito coglione. »
Ci aveva messo uno sforzo immane ad insultarlo in quel modo, quasi non aveva più fiato, poteva solo aggiungere qualcosa.
Tom abbassò lo sguardo annuendo flebilmente con la testa e aggiungendo mentalmente altri insulti alla lista.
« E ti amo. »
Se non fosse stato per il fatto che erano vicinissimi tra di loro, Tom pensò di aver udito male.
Guardò il viso di Alex incorniciato da quei tubicini di plastica che l’avevano tenuta in vita e si lasciò sfuggire un sorriso che illuminò il suo viso stravolto.
Accarezzò nuovamente il viso della ragazza che gli toccò la mano con la sua, chiudendo gli occhi.
Ma quando Tom le passò la mano sui capelli, vide nel suo viso un’espressione terrorizzata.
Alex spostò lo sguardo in un paio di punti, facendolo saettare dalle pareti della stanza al soffitto fino a soffermarsi su Tom, che la guardava chiedendosi cosa le stesse succedendo.
Non l’aveva mai vista così terrorizzata.
« Che c’è? »
La fronte di Alex si corrugò e le sue labbra iniziarono a tremare, mentre cercava disperatamente di trattenere le lacrime. Si toccò il petto, poi la pancia e sembrò lisciarsi le lenzuola. Ma stava facendo tutt’altro.
« Non mi sento le gambe. »
Un fucile a pressione avrebbe fatto meno male.
Le gambe di Alex non si muovevano. Non le sentiva connesse al suo corpo, non riusciva a controllarle. Non riusciva a muovere un singolo muscolo dei suoi arti inferiori.
Tom le prese una mano, attirando la sua attenzione.
« Ho parlato con uno dei dottori che ti hanno operata. Hai un ginocchio fratturato e.. hanno dovuto operare anche la colonna vertebrale. Secondo loro non ci sono state complicazioni ma non escludono niente. »
Alex voltò lo sguardo dall’altra parte sentendosi annientata.
Che vita sarebbe stata senza la danza?
Non poteva capacitarsi del fatto che non avrebbe più toccato un palco, fatto una piroetta, una spaccata, un arabesque e che avrebbe passato il resto della sua vita su una sedia a rotelle.
No, quello doveva essere uno scherzo, non era assolutamente possibile che lei restasse paralizzata.
Lei ballava, diamine! Quelle gambe le servivano per vivere!
Tom le strinse la mano.
« Non agitarti, ok? L’anestesia non è del tutto svanita e i dottori sono fiduciosi. »
Alex si voltò, i suoi occhi tremendamente arrossati dalle lacrime.
« Cosa farò senza la danza? »
« Tu continuerai a ballare! Questo non ti fermerà ma ti renderà ancora più forte! Mi hai capito? »
Alex non rispose e Tom ripeté la domanda: « Mi hai capito, Alex? »
La ballerina annuì, prima di allargare le braccia e tuffarsi fra quelle di Tom.

 Allontanarsi? Non se ne parlava neanche!
Tom era rimasto tutto il tempo insieme ad Alex, che si era addormentata un paio di volte.
Bill aveva avvertito Simone e Jörg e subito dopo scuola si era precipitato per salutare il fratello e per sapere qualcosa in più sulle condizioni della sua ragazza.
Tom aveva iniziato a raccontare ad Alex qualche aneddoto della sua infanzia quando qualcuno bussò alla porta.
« Avanti. » risposero entrambi.
La porta si aprì e fece capolino il sorriso di Simone.
« Mamma?! »
« Alex cara! » la donna saettò verso il lato destro della ragazza e le schioccò un bacio sulla fronte.
Più lento, invece, fu l’ingresso di Jörg.
Fece un passo dopo l’altro e si avvicinò prima dal figlio, posandogli una mano sulla spalla. Poi vide Alex voltarsi con un mezzo sorriso, e le rivolse un cenno con la mano, sperando che bastasse.
« Appena abbiamo saputo cosa ti era successo volevamo precipitarci ma Bill ci ha detto che Tom era già con te e allora abbiamo preferito lasciarvi un po’ da soli. »
« Immagino voi due abbiate avuto diverse cose su cui parlare. » commentò l’uomo.
Tom annuì senza guardarlo.
« Tom, perché non ti prendi un caffè? Non hai una splendida cera. »
Tom stava per scuotere la testa quando vide lo sguardo che la madre gli stava lanciando, e capì che volevano stare da soli con Alex.
« Sì, hai ragione. »
Si alzò dalla sedia e, sentendosi il culo indolenzito, uscì dalla stanza richiudendosi la porta alle spalle.
Alex provò la stessa sensazione di disagio della sera a cena da loro.
Solo che, in quel momento, era su un letto d’ospedale e non riusciva a muoversi.
« Alex. » la voce di Jörg era sempre più scura. « Tom e io abbiamo parlato parecchio in quest’ultimo periodo. E tutti i nostri discorsi erano concentrati su di te. »
Alex arrossì.
« Sul tuo lavoro, sul tuo studio, sulla tua danza, sulla vostra relazione, sull’ultima cafonaggine di Tom. E anche sulla tua famiglia. »
La ballerina socchiuse gli occhi e Simone le posò una mano sul grembo.
« Perché non ci hai detto la verità? »
« Avevo paura. »
« Di noi? »
« Dell’impressione che vi avrei potuto fare. »
« Pensi che definendoti figlia di gente ricca avremmo potuto definirti perfettamente adatta a Tom? » domandò Jörg.
Alex non rispose e l’uomo si sedette al posto del figlio.
« Io e te non abbiamo mai parlato, ma Tom ti ha descritta in una maniera diversa. Quasi come se fossi un angelo. »
La ragazza sentì le guance bollire.
« Per lui sei davvero importante. E a noi non importa se non hai una famiglia che ti aiuta. » aggiunse Simone.
« Se Tom è sicuro di quello che fa, allora lo siamo anche noi. E tu sei sempre la benvenuta. »
Jörg si era dimostrato una persona differente, rispetto agli inizi.
Tom fece nuovamente il suo rientro nella stanza ed era seriamente andato alla macchinetta del caffè.
« Bill mi ha chiamato e ha detto che sta arrivando. Hey perché quelle facce?! »
« Nulla. » si affrettò a dire Simone. « Stavamo solo parlando. »
« Il che equivale ad un terzo grado. »
Tom si avvicinò al letto e Jörg si alzò.
« Bene, noi vi lasciamo. »
« Per qualsiasi cosa, siamo a vostra disposizione. »
Si allontanarono verso la porta e prima di chiudersela alle spalle, Jörg si voltò un’ultima volta.
« Ah, Alex? »
La ragazza sollevò lo sguardo.
« Per il lavoro non preoccuparti, avverto io che hai avuto un incidente. »
E solo allora capì che era stato tutto merito di Tom.

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** 21. In your Shadow I can shine ***


Tom scese dalla macchina e si avvicinò alla porta d’ingresso. Suonò il campanello e attese che venisse aperta.
Diana comparve sulla soglia e rimase alquanto stupida di vedere il ragazzo davanti a sé.
« Posso entrare? »
La ragazza si spostò e gli fece spazio, allora Tom entrò e si sedette sul divano.
Conosceva casa di Diana abbastanza bene da comportarsi come se fosse casa sua, ma in quel momento si sentiva lo stesso un tantino imbarazzato.
« Immagino ti stia chiedendo perché sono qui. »
Diana si strinse nelle spalle e Tom le fece segno di sedersi accanto a lui.
« Tom, mi dispiace per quello che… »
Tom la bloccò sollevando una mano in aria.
« Non mi interessa sapere che ti dispiace. Quello che è fatto, è fatto. E tu non ti sei comportata bene. Ma non sono venuto qua per insultarti o farti imbarazzare. Sono venuto qua solo per chiudere questa storia una volta per tutte. »
Diana sollevò lo sguardo, fissando il viso di Tom.
« Alex e io abbiamo litigato, come tu avrai potuto vedere. Lei è andata fuori di testa ed è stata investita. Adesso è in ospedale e rischia di non riuscire più a camminare. »
Diana sgranò gli occhi e impallidì.
« Tom, io… »
« Sapevi che Alex ballava? No, forse no. E forse non sapevi nemmeno che lei, ora, è tutta la mia vita. Così come non sai che io la amo e che ho rischiato di perderla. »
Gli occhi di Diana si abbassarono sulle sue mani e Tom si alzò dal divano.
« Mi dispiace se ho fatto qualcosa che può averti illusa. Ma ora c’è Alex e non voglio più che ci siano altri casini. »
« Mi stai tagliando fuori dalla tua vita? »
« Credimi, lo sto facendo nel modo più carino che mi riesce. »
Se Tom voleva fare lo stronzo, ci riusciva ancora bene.
Diana annuì con la testa e il ragazzo si voltò e aprì la porta per uscire.
« Sai, » Diana catturò di nuovo la sua attenzione. « invidio parecchio quella ragazza, anche se non la conosco. »
Tom si fermò sulla soglia e si voltò.
« E perché? » domandò allargando le braccia.
Diana era ancora seduta e gli dava le spalle. Poi si alzò e gli andò incontro.
« Perché è fortunata ad averti sempre al suo fianco. Diglielo. »
Tom aggrottò le sopracciglia da sotto la fascetta ma annuì comunque.
Poi si voltò e tornò verso la sua macchina.
Destinazione, ospedale. 

Alex si lisciò nuovamente le lenzuola quando la porta si aprì e Tom entrò nella stanza.
Si fermò sulla soglia vedendo quasi tutta la stanza ricoperta da mazzi di fiori di ogni tipo.
« Visto? »
Tom si chiuse la porta alle spalle e si avvicinò.
« Ma chi ti ha mandato tutta questa roba? »
« Alcuni sono dalla scuola di danza, un mazzo è di Andreas e gli altri da gente che non credo di conoscere. »
Tom si avvicinò ad un mazzo di margherite e lesse il bigliettino.
« Oh questa ragazza la conosco, è di scuola. »
« Davvero? »
Alex si mise a sedere aiutandosi con le braccia e Tom le si avvicinò schioccandole un bacio sulle labbra, prima di sedersi sulla sua solita sedia che era sempre libera.
« Com’è andata a scuola? »
« Oh.. non sono andato a scuola, dovevo parlare con una persona. »
Tom abbassò lo sguardo e si grattò la nuca.
« E con chi hai parlato? »
« Con Diana. »
A sentire quel nome, il viso di Alex assunse un’espressione attonita.
Tom le prese una mano e sorrise.
« Mi ha detto di dirti che sei molto fortunata. »
Alex lo guardò e poi rise.
« Sì, me ne sono resa conto. » commentò. « Oh, guarda! »
Si sfilò le coperte di dosso e Tom fissò le sue esili gambe. Quella destra era ingessata e la ragazza se le fissò con insistenza.
Tom vide le dita dei piedi muoversi e Alex sorrise con la stessa intensità di un bambino che guarda il suo cartone preferito con dello zucchero filato come merenda.
« Visto? Riesco a muoverle! E guarda! »
Aggrottò la fronte e piegò la gamba sinistra.
« Allora è questo che fai quando ti annoi. »
« Beh, se voglio riprendere a ballare il prima possibile, direi che è il minimo. »
« Hai ragione. Perciò fra un po’ dovrò abituarmi a vederti zompettare da una parte all’altra con una gamba monca? » domandò Tom e Alex annuì con un’espressione vispa sul viso.
« Però non voglio che lasci perdere la scuola per me. »
« Ho i voti abbastanza alti da permettermi qualche giorno in completa compagnia della mia ragazza che penso abbia più bisogno di me che di questi fiori. »
La ragazza sorrise, intenerita.
« Mi aiuterai a guarire? »
« Sarò il tuo bastone. » 

Tom stava aspettando fuori, poggiato sulla sua macchina, gli occhiali da sole poggiati sul naso e la sua solita aria da figo.
« Tom? »
La voce di Alex lo fece sobbalzare e si voltò di scatto, vedendo la ragazza saltellargli incontro. Si reggeva su due stampelle e aveva un enorme gesso sulla gamba sinistra.
Tom le si avvicinò velocemente e la aiutò a salire in macchina. Poi salì al volante e mise in moto.
« Come va con queste stampelle? »
« Non c’è male, ma devo ancora abituarmi. »
« Fra un mese ti tolgono il gesso e dopo un po’ di riabilitazione sarà tutto come prima. »
« Spero solo di riuscire a ballare come una volta. »
Tom la guardò con la coda dell’occhio e vide che guardava oltre il finestrino. Allora le prese una mano e sorrise.
« Ballerai meglio di prima. »
Consolarla, farle tornare il sorriso, migliorarle la giornata era diventato quasi un passatempo. Non si stancava, non gli dava fastidio, anzi. Lo rendeva particolarmente felice vederle spuntare il sorriso sulle labbra.
Poco dopo accostò davanti al palazzo della ragazza. La aiutò a scendere e poi le aprì il portone principale, ma c’era un piccolo problema, che i comuni mortali chiamano scale.
Alex iniziò a salire i gradini uno ad uno, ma Tom la bloccò.
« Che stai facendo?! »
« Salgo le scale. »
« Non se ne parla nemmeno! »
Il ragazzo si abbassò e si caricò il peso della ragazza addosso, prendendola in braccio.
« Tu sei fuori di testa! »
« Ti ho promesso che ti avrei aiutata a guarire. » disse salendo i gradini. « E che sarei stato il tuo bastone. »
« Non sapevo potessi diventare anche un ascensore. »
Il ragazzo sorrise e arrivò all’ultima rampa di scale.
« C’è sempre una prima volta. »
Arrivò al pianerottolo e la poggiò per terra, badando che avesse preso il giusto equilibrio. Poi si tolse le chiavi della porta dalla tasca e la aprì.
La casa era illuminata e sul tavolo in fondo c’era un cartellone bianco con scritto “Bentornata a casa” e affianco ad esso un mazzo di fiori con un pacchetto rosso.
Alex voleva voltarsi per rimproverare Tom solo con lo sguardo, ma Sveva sbucò dal nulla e iniziò ad abbaiare, correndo incontro alla sua padrona e facendole le feste.
Tom chiuse la porta mentre Alex parlottava col suo cane, chiedendole come stava e ricevendo solo abbai come risposte.
Poi la ragazza si raddrizzò nuovamente e scrutò il cartellone e quello che c’era al suo fianco.
Si avvicinò e annusò i fiori, per poi prendere la scatoletta fra le mani.
Sapeva che Tom era alle sue spalle.
Sfilò il fiocco e aprì la scatoletta, scoprendo una collana in argento con scritto il suo nome.
Tom le si avvicinò e le posò le mani sulle spalle.
« Ti piace? »
« Se mi piace? E’ estremamente riduttivo, Tom. Come diavolo ti è venuto in mente di fare una cosa simile?! » gli domandò voltandosi.
« Oh e questo è solo l’inizio, credimi. »
Le si avvicinò, stampandole un bacio sulle labbra e poi prese la collana fra le mani, legandogliela al collo.
« Sei bellissima. »
Alex arrossì.
« Tanto lo so che lo dici solo perché vuoi che anche io lo dica a te. »
« Sì, può darsi. Ma questo non cambia il fatto che io lo pensi davvero. »
« Questo significa che dovrei dirti anche io che sei bellissimo? »
Tom fece spallucce.
« Solo se vuoi. »
« E se ti dicessi che sei la persona più importante della mia vita? Quella da cui dipende da mia esistenza? E se magari aggiungessi anche che ti amo? »
Tom sorrise e avvicinò di nuovo il viso a quello della ragazza.
« Direi che il “sei bellissimo” passa assolutamente in secondo piano. »
Catturò ancora una volta le labbra della ballerina ma, come al solito, Sveva iniziò ad abbaiare.
« Vado a preparare il pranzo. » le strillò, allontanandosi verso la cucina.
Uno, due, tre giorni.
Tom passò settimane e settimane al fianco di Alex, accompagnandola a scuola, dal medico e portando a spasso Sveva e Scotty.
Dormiva a casa sua – sì, stranamente ci dormiva e basta – le faceva trovare tutto pronto e cercava di non farle mancare nulla.
Come se fosse stato un angelo custode.
Vedeva i suoi miglioramenti, assistette alla rimozione del gesso e alla riabilitazione della gamba.
E, con sua immensa gioia, mentre fuori il temporale era in festa, la rivide ballare.

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** 22. Standing Ovation ***


Tom si sedette sulla poltroncina blu e attese che anche la madre e Bill facessero lo stesso.
Davanti a loro, una tenda rossa copriva il palco.
« Quanto manca? » domandò Bill.
Tom si controllò l’orologio al polso.
« Credo poco. »
« E loro quando sono? » chiese Simone.
« Sono i terzi. »
Simone poggiò la schiena sulla poltroncina e attesero l’inizio dello spettacolo.
Alex era in ansia e Tom lo sapeva. Lo sapeva perfettamente perché aveva provato duramente da quando aveva ripreso a ballare.
Le luci si spensero e ne restò solo una circolare che illuminava il tendone sul palco.
Poco dopo, il primo gruppo comparve con la sua coreografia e uno scroscio di applausi li accolse.
La sfida era iniziata.
Simone aveva insistito per andare con Tom a vedere la gara di Alex e alla fine si era aggiunto anche Bill, lasciando Jörg da solo a casa a badare ai cani.
Avevano preso i biglietti ed eccoli tutti e tre seduti ad aspettare.
I primi due gruppi si esibirono e quando il secondo uscì, Tom strinse i braccioli, già sapendo che da quel momento in poi, il suo unico pensiero era Alex.
Le luci gialle si trasformarono in azzurre e bianche, ma nessuno comparve sul palco.
Finché poi, le note di Remember the Name dei Fort Minor invasero la sala e dei ballerini iniziarono a spuntare dalle entrate laterali.
Tom la cercò, ma non la vide.
Almeno per i primi 30 secondi.
Alex entrò da sinistra, piroettando su sé stessa, seguita da un ragazzo che le reggeva la vita e la sollevava in aria.
Indossava un abito nero e aveva i capelli sciolti e lisci che le ricadevano addosso.
Tom sorrise.
La ballerina si muoveva con la sua solita naturalezza, lasciandosi trasportare dal ritmo della canzone e dalla coreografia che ormai conosceva come le sue tasche.
Saltava, girava su sé stessa sempre con il sorriso stampato sul viso.
Alex non danzava: volava.
Tom la osservò tutto il tempo, sperando che la canzone non finisse mai, per poterla vedere sempre così. Ma poi le luci si spensero e le tende si richiusero, per poi lasciare spazio al quarto dei cinque gruppi partecipanti alla gara.
« E’ molto brava. » commentò Simone, all’orecchio del figlio.
Tom sorrise.
« Si è impegnata tanto per riuscire ad arrivare qui. »
« Lo immagino. Spero che il suo gruppo vinca. »
Tom non sperava. Sapeva per certo che avrebbero vinto loro.
Gli altri balli sembravano tutti uguali, monotoni.
E no, non lo diceva solo perché c’era Alex a ballare.
L’ultimo gruppo lasciò il palco e un uomo robusto, con una folta barba bianca, salì al posto dei ragazzi.
« Buonasera, buonasera miei cari spettatori, sono molto lieto che siate qui stasera per assistere alla finale della Best Hip Hop Hamburg School. Come avrete già visto, i 5 gruppi finalisti si sono esibiti con le loro coreografie preparate dalle loro rispettive insegnanti e la nostra giuria ha assegnato ad ogni gruppo dei voti. Il voto di ogni giudice verrà sommato agli altri voti e si eleggeranno i tre vincitori. Intanto, facciamo entrare le scuole partecipanti! »
Il pubblico applaudì e i gruppi rientrarono in scena.
Alex rideva.
« Hamlyn Schule, Daily Hip Hop, HHH, Tanzen Schule e la Halo Schule! »
I gruppi si sistemarono e rivolsero un sorriso al pubblico, visibilmente emozionati.
« Chiamerei qui sul palco il giudice Schmidt, fondatore della competizione. »
Un altro uomo salì sul palco, accolto dagli applausi; indossava un abito formale con cravatta e fiore all’occhiello. Consegnò una busta al tizio simile a Babbo Natale e poi tornò giù.
L’uomo aprì la busta mentre tutti mormoravano fra di loro e poi si avvicinò il microfono alle labbra.
« Bene, eccoci qua. Iniziamo col quinto posto. Troviamo la HHH. »
I ballerini vestiti d’arancione applaudirono e il pubblico li incoraggiò. Ma un quinto posto non era nulla, in quella sfida. Era una vera e propria sconfitta.
« Al quarto posto, la Tanzen Schule. »
I piccoli puffi, come li aveva nominati mentalmente Tom, che si era terribilmente annoiato durante la loro esibizione e si stava ancora chiedendo come avessero fatto ad arrivare quarti, lasciarono il palco con delle espressioni per nulla felici. Rimasero in tre: la Halo Schule, la Daily Hip Hop e la scuola di Alex, la Hamlyn Schule.
Tom si mise bene sul sedile, sapendo che Alex attendeva quel momento da… sempre.
« Al terzo posto, con una medaglia di bronzo, troviamo la Daily Hip Hop. »
Una squadra formata soltanto da ragazze fece un inchino e la loro insegnante ricevette una medaglia di bronzo che si portò al collo.
« E ora, » il gruppo abbandonò il palco e il cerchio si restrinse. « Il momento tanto atteso. Al primo posto, con la medaglia d’oro e il massimo dei punti… »
Alex sentì il suo cuore bussare e chiederle di lasciarlo fuggire per qualche istante.
Osservava il pubblico, cercava Tom con lo sguardo perché sapeva che lui era là, ne era sicura. Gliel’aveva promesso.
Poi eccolo, lo vide, e guardava proprio lei. Le sorrise e…
« La Hamlyn Schule! »
Alex venne sommersa dai compagni di danza e per un po’ non capì cosa diavolo fosse successo.
Poi vide tutti applaudire, Tom era scattato in piedi e la sua insegnante reggeva al collo una medaglia d’oro.
Avevano vinto proprio loro.
Saltò addosso alla prima persona che le passò accanto e la stritolò, chiunque essa fosse. Poteva pure essere della squadra avversaria che non le importava assolutamente nulla: loro avevano vinto.
Lei aveva raggiunto un traguardo, una meta che per qualche istante aveva temuto di non raggiungere mai.
Ma no, ce l’aveva fatta. Ce l’avevano fatta.
Sentiva che quella vittoria apparteneva anche a Tom, perché lui l’aveva aiutata e se non ci fosse stato al suo fianco, non sarebbe mai arrivata lì, quel giorno.
Osservò con piacere e commozione l’insegnante ricevere la medaglia e la coppa e non si sentì mai così felice di averci creduto.
« E quindi la medaglia d’argento va alla Halo Schule. »
L’insegnante dell’altro gruppo si avvicinò per prendere la medaglia e loro lasciarono il palco.
« Alex! »
La ragazza si voltò e l’insegnante l’abbracciò calorosamente, stringendo ancora fra le mani la coppa che risplendeva.
« Congratulazioni! »
« Non è merito mio, è merito tuo Hanna. »
La ragazza notò che l’insegnante aveva gli occhi lucidi.
« Prima che tu vada via volevo dirti una cosa molto importante. » sorrise debolmente, prendendole una mano. « Una compagnia di Broadway mi ha presa per lavorare con loro. »
« Cosa?! Non ci credo! Sul serio?! »
La donna annuì mordendosi un labbro.
« Oh buon Dio, sono felicissima per te! »
Alex strinse l’insegnante fra le proprie braccia, sentendola tirare su col naso.
« Questo significa, però, che dovrò partire per l’America e abbandonare la scuola. »
« Oh… già. »
Hanna sarebbe partita per l’America. Alex avrebbe dovuto cambiare insegnante.
Seguire le lezioni di Hanna senza Hanna era.. inconcepibile.
Lei era arrivata ad Amburgo e aveva iniziato con lei, continuare con una persona diversa era terribile.
Perciò abbracciò l’insegnante.
« L’importante è che tu continui per questa strada, perché so che ti renderà felice. E non importa se ci lascerai con un’altra insegnante. Noi stasera abbiamo vinto con e grazie a te. »
Hanna si lasciò scivolare una lacrima e si specchiò nella coppa.
« Hey Hanna! » Felix la chiamò dal fondo del corridoio e le fece segno di raggiungerlo.
« Ti spiace se…? »
« No, vai pure! E in bocca al lupo. »
« Crepi! »
La donna si allontanò e Alex entrò nei camerini. Raccolse la borsa e indossò il giubbotto, per poi riuscire subito dopo.
Tom la aspettava. 

Tom passò davanti allo studio del padre e lo sentì confabulare.
« Oh quindi volete demolirlo? »
Si fermò oltre la porta, incuriosito.
« Mh, capisco. Va bene, vedrò cosa posso fare. A presto. »
L’uomo attaccò il telefono e si alzò dalla sedia.
Tom si allontanò dalla porta e il padre uscì subito dopo.
« Oh! Ciao Tom. »
« Ciao. Senti… non stavo origliando, ma ho sentito che parlavi di… demolizione. »
« Oh, sì. C’è un palazzo che non usa più nessuno e mi hanno chiesto di contattare qualcuno per demolirlo. »
Tom inarcò le sopracciglia.
Jörg si allontanò e Tom si affrettò per farsi venire in mente un’altra domanda.
« Quanto è grande? »
L’uomo si fermò e si voltò.
« E’ alto 4 piani ed è 5 volte casa nostra. Non capisco perché vogliano demolirlo, ad essere sincero. Ma a quanto pare non serve più a nessuno e penso vogliano vendere il terreno. »
Jörg si voltò di nuovo.
« E’ in vendita? »
Tom aveva praticamente urlato la domanda e Jörg non era nemmeno riuscito a fare un passo.
« Tom. » iniziò, voltandosi lentamente. « Mi spieghi che te ne faresti di un palazzo che non usa più nessuno? »
Tom mise le mani nelle tasche dei suoi jeans extralarge e si torturò il piercing con fare distratto.
« Ci starebbe una scuola di danza? »

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** 23. My Obsession ***


Tom baciò gli occhi chiusi della ragazza, che li strabuzzò e se li stropicciò, fino ad aprirli.
« Buongiorno. »
Alex sorrise e circondò il corpo nudo di Tom con le sue braccia, riscaldandosi.
« Buongiorno. »
Tom affondò una mano fra i suoi capelli e con l’altra iniziò ad accarezzarle un fianco, sentendo i brividi risaltarle la pelle.
Il solo pensiero che aveva rischiato di perderla gli fece desiderare di rivivere la notte appena trascorsa, dall’inizio fino alla fine.
Sentì le gambe di Alex accarezzare le sue e sorrise.
« Mi stai provocando? »
Lei sollevò lo sguardo, con un mezzo sorriso.
« No, volevo solo ricordarti che ti amo. »
Oh Cristo santo.
Gli piaceva da morire sentirselo dire con quella spontaneità e naturalezza che solo Alex riusciva ad avere.
E contemporaneamente, Alex adorava dirglielo. Perché ogni volta sul viso di Tom si dipingeva un sorriso grande quanto tutta la sua faccia e arrossiva sulle gote, spostando lo sguardo altrove.
L’aveva notato fin dal primo momento in cui lei gliel’aveva detto e non le era più sfuggito.

Tom era vita.
« Ti amo anche io. »
Tutto di lui era vita. Le sue parole, i suoi gesti, la sua voce, le sue mani, i suoi capelli, le sue labbra, il suo collo, le sue braccia, il suo petto, il suo fondoschiena, le sue guance, i suoi occhi, il suo mento, il suo sorriso, la sua risata, il suo profumo, la sua camminata, i suoi abbracci, i suoi baci, le sue carezze, perfino i suoi nei.
Amava ogni singola imperfezione di Tom.
« Hai già deciso cosa farai una volta finita la scuola? » gli domandò, disegnandoli dei cerchi sul petto.
Tom inspirò, pensandoci su.
« Credo lavorerò con i miei. O in alternativa potrei sempre tentare la carriera da modello, no? »
« O da attore porno. »
« Esatto! »
Alex rise, iniziando a dipingergli dei triangoli.
« E tu? Vuoi tornare a Berlino o.. fare qualcosa qui? »
Alex scosse la testa, rompendo i triangoli e tracciando un percorso immaginario con l’unghia dell’indice.
« Non credo tornerò a Berlino. Non finché Amburgo non mi dà un motivo per essere odiata. Non so, mi piacerebbe aprire la mia scuola di danza, come mi hai suggerito tu… ma non saprei nemmeno da dove partire, forse dovrei iniziare a cercare qualche immobile e poi informarmi su prestiti e cose del genere. Tu che ne pensi? »
Tom fece spallucce, facendo balzare la sua testa.
« E’ una buona idea. »
« Hanna mi ha detto che parte per l’America per lavorare a Broadway e io ho davvero paura di non trovarmi bene con il prossimo insegnante. Perciò magari aprire una mia scuola… sì insomma, non mi sembra poi una così pessima idea. »
Tom strinse le sue braccia attorno al corpo della ragazza.
« E poi, mi sembra di stare più vicina a mia madre. »
Il ragazzo abbozzò un sorriso.
« Secondo me saresti perfetta. Hai già pensato a come la vorresti? »
Alex riprese a disegnare forme senza senso sugli addominali del ragazzo.
« Normale, non mi interessa che sia superlussuosa o altro. »
« Dovresti anche pensare ad un nome. »
« Troppe cose da fare, non ho nemmeno un posto dove costruirla! »
« Sì ma più idee hai, meglio è. E poi ci sono io che ti aiuto. »
« Oh sì, questo lo so. »
La ragazza sollevò il viso e inumidì il collo di Tom di piccoli e soffici baci.
« Ho sentito che a fine anno organizzano uno di quei balli in stile americano. » sussurrò lui.
« Oh, quelli con i vestiti pomposi, la palla al centro del soffitto e la musica soft a fine serata? »
« Sì esatto, quelli. »
« Grandioso! »
« Però non ho una compagna. Voglio dire, so già a chi potrei chiederlo, ma non ho la minima idea di come farlo. » Tom fece una pausa mentre lei lo fissava. « Forse tu potresti aiutarmi. Hai presente quella del secondo anno, che ha sempre le treccine? »
Alex lo guardò rassegnata.
« Non ce l’hai presente? Beh, io volevo chiederlo a lei. »
« Potrebbe anche dirti di no. »
« Appunto. Oppure c’è un’altra persona a cui potrei chiederlo. Sai la ballerina che sta al quarto, che si veste più o meno come me e che ha un sorriso bellissimo? Ecco, anche lei non sarebbe male. »
« Oh sì! Quella che ti deve insegnare a ballare, giusto? »
Tom si irrigidì.
« Veramente quel punto l’avrei volentieri omesso, ma comunque sì. Vedo che hai capito. »
« Oh dai, non dirmi che ti sei dimenticato delle nostre lezioni private di danza! »
Alex si mise a sedere, tenendosi il lenzuolo legato attorno al petto.
« No, ma speravo che almeno tu te ne fossi scordata. Ma a quanto vedo mi sbagliavo. » sbuffò lui.
La ballerina prese il lenzuolo e se lo legò addosso, scendendo dal letto.
« Hey no, ma che fai?! »
Tom gattonò sul materasso cercando di riprendersi il lenzuolo per coprirsi, ma Alex era al centro della stanza con un ammasso di tessuto bianco legato addosso.
« Andiamo, vieni qua. »
« Alex, lo sai che… »
La ragazza prese da terra i boxer di Tom e glieli lanciò dritti in faccia, zittendolo.
« Ok va bene: mi sto alzando. »
Tom si coprì le parti basse con i boxer scuri e poi si avvicinò alla ballerina, sbuffando.
« Allora? »
Alex gli prese una mano e la posò sulla sua vita, poi prese l’altra e la strinse con la sua.
« Un passo dopo l’altro, senza prendere i miei piedi, ok? »
« Oh sì, certo. Stai parlando con una sega del ballo, eh! »
Iniziarono a muoversi e Tom seguiva i suoi passi, guardando per terra e chiedendosi cosa avesse fatto di male in quei giorni per meritarsi quella tortura.
« Ecco, così. Vedi che non sei poi tanto sega? »
« Questo perché non ti ho ancora tranciato un piede! »
Detto fatto, la zattera di Tom andò a pestare il piede di Alex che balzò sul posto.
« Visto?! »
Lei lo pizzicò.
« Zitto e mettici impegno. Schiena dritta, braccia sicure e petto in fuori! »
« Se non faccio progressi io, di sicuro tu hai già l’autorità da insegnante di danza. »
Mezz’ora, poi un’altra e un’altra ancora.
Alex non smetteva di provarci, lo sgridava, lo punzecchiava e lo faceva continuare.
« Ecco, così sai come ballare con quella strafiga della treccinomane del secondo anno! »
Alex si spogliò del lenzuolo, mentre Tom si lanciava sul letto, esausto.
« Oh, certamente… hey! Sei nuda! »
La ballerina lo guardò aggrottando le sopracciglia.
« E allora?! Avevo caldo! »
Tom si mise a sedere e si avvicinò alla sua schiena, baciandole poi le spalle.
« Oh sì, anche io inizio ad avere caldo, signorina Meyer. »
« Molto divertente, signor Kaulitz. »
Alex gli legò le braccia attorno al collo e gli saltò addosso, lasciandolo cadere all’indietro.
« Sai che la mamma mi chiede sempre di te? »
Alex annuì.
« L’avevo immaginato. Mi chiama quasi ogni giorno. »
« Davvero?! »
La ragazza annuì.
« Molto probabilmente sta già pensando ai preparativi per il matrimonio! »
« Deduco che ci vedrebbe bene come marito e moglie. »
« Più che bene, secondo i suoi gusti. »
Alex si sdraiò al suo fianco, poggiandosi sulla sua spalla.
« Secondo te come sarebbe? Vivere sposati intendo. »
Tom inspirò.
« Dovremmo pensare alle bollette, alla casa, al lavoro, ai cani. »
« E magari anche a dei futuri bambini. »
« Già. »
Restarono in silenzio a fissare il soffitto.
Vivere con Alex. Dormire sempre al suo fianco, vederla svegliarsi ogni mattina, passare ogni giorno con le sue abitudini e prendersi cura di lei in ogni istante. Sapere di essere in attesa di un bambino, passare 9 mesi con la pancia che cresceva, sentire il battito cardiaco della creatura, toccare la pancia di sua moglie e sentire il loro bambino muoversi, assistere al parto e diventare padre.
Tutto questo faceva tremare lo stomaco di Tom in una maniera indescrivibile.
« Tu vorresti… sposarmi? » domandò.
Alex lo guardò.
« Mi stai chiedendo di sposarti? »
« No! » si affrettò a dire lui. « Stavo solo pensando ad una possibile vita da.. marito e moglie. Con bambini e altro. »
« Oh. » squittì lei. « Beh… perché no? Voglio dire, non puoi essere così rompipalle. »
Tom la guardò.
« A volte penso che lo spirito di mio fratello si stia impossessando di te. »
La ballerina rise e circondò di nuovo il corpo del ragazzo con le braccia.
« Ti sposerei ad una sola condizione. »
Tom abbozzò un sorriso.
« Quale? »
« Vieni al ballo con me? »

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** 24. Closer to the Edge ***


Tom si strofinò le mani l’una contro l’altra, agitato. Alex non ne voleva proprio sapere di scendere!
Aveva suonato il clacson già tre volte e iniziava a preoccuparsi.
Scese dall’auto e andò a citofonare, quando il portone si aprì e si trovò davanti una Alex nuova, mai vista prima.
Indossava un abito rosso scuro, aveva i capelli mossi e lo sguardo ansioso.
« Scusa, Sveva non ne voleva sapere di stare in casa! »
Tom lasciò andare il pulsante del citofono – che aveva tenuto premuto finché aveva smesso di farle una radiografia completa – e si mise apposto la giacca nera che indossava.
« Oh non preoccuparti. »
Si affrettò ad allontanarsi prima di rovinare quella meraviglia, alias la sua ragazza, che nella sua mente superava di gran lunga lo splendore di una dea, e le aprì lo sportello.
« Molto gentile! » sorrise lei, sedendosi.
Tom corse al volante e poi partì.
E l’occhio scappava. Oh sì che scappava.
Beh insomma. Alex era davvero uno schianto conciata in quel modo.
Lui la amava, sì. Ma in quel momento gli sembrava di uscirci per la prima volta, di non averla mai conosciuta. Era come innamorarsi di nuovo di lei.
« Allora, pronto per ballare? »
« Tu stai scherzando! »
« Non ti ho insegnato a ballare per nulla! »
Tom non replicò e accostò in un parcheggio.
La palestra era illuminata e controllata da qualche professore e decine di ragazzi entravano al ballo di fine anno.
Tom scese dalla macchina per primo e corse ad aprirle lo sportello, per poi porgerle la mano.
Alex lo guardò perplessa e lui rispose con un sorriso.
Diavolo quanto avrebbe voluto baciarla!
La ballerina gli prese la mano, stringendola, e lui la aiutò a scendere dal mezzo, chiudendo poi tutto e dirigendosi verso l’ingresso. Le loro mani intrecciate.
« Mi sento un tantino a disagio. » commentò lei abbassando lo sguardo.
« Per una volta sono contento di dirti che stavolta la gente guarderà te e non me. »
Alex sollevò lo sguardo.
« Oh adesso sì che mi sento meglio. »
Tom abbassò il suo, con un mezzo sorriso.
« Non è colpa mia se sei bellissima. »
E se non fosse stato per il fatto che fosse sera, il colore del viso di Alex sarebbe stato uguale a quello del tramonto.
E l’ingresso non fu certamente uno dei migliori. Ovviamente non per Tom, che gongolava a girare preso per mano con la ragazza più bella di tutta la serata.
« Ancora non capisco perché cazzo abbia deciso di vestirmi così! »
« Sai, sei sexy anche quando riprendi il tuo lato da camionista, Alex. »
Lei lo guardò rassegnata, trattenendo una risata e lui annuì con la testa, sollevando le sopracciglia e facendo una delle sue solite facce da cartone animato.
« Hey Tom! »
Andreas gli si parò davanti, accompagnato da una rossa, vestita di verde e che si guardava attorno quasi spaesata.
« Hey! » Tom diede una spallata all’amico.
« Lei è Alice. Loro sono Tom e Alex. »
« Piacere di conoscervi. » Alice porse la mano ad entrambi, con un sorriso. « Bel vestito. » commentò poi, rivolta ad Alex.
« Oh, ti ringrazio! »
« Tuo fratello? »
« Non ho idea di dove sia, ma penso arriverà più tardi. »
« Aveva una compagna? »
« Anche questo è un grosso punto di domanda. »
« Chi vi capisce è bravo: vivete sotto lo stesso tetto e ci sono giorni in cui è come se aveste due vite separate! » Andreas scosse la testa. « Comunque stai bene in smoking! »
« Tu invece fai sempre schifo! » gli strillò dietro Tom, mentre l’amico si allontanava portandosi dietro la sua compagna.
« Io sono d’accordo con lui. » balbettò Alex, tirandolo per un braccio verso un tavolo per due persone.
« Tu sei sempre d’accordo con chiunque dica una cosa su di me. »
« Perché la maggior parte delle volte dicono cose vere. » Alex si sedette, sistemandosi l’abito.
« Oh sì, immagino che fosse vero anche quando Bill ha detto che sembro una scimmia appena sveglio. »
La ragazza scoppiò a ridere.
« No, quello no. »
« Vado a prendere da bere. »
Si allontanò verso il bancone dondolando la testa da una parte all’altra, seguendo il ritmo della canzone e cercò qualcosa che potesse andare bene ad entrambi.
Sentì una mano toccargli una spalla e si voltò, trasalendo.
« Diana?! » esclamò.
La ragazza abbozzò un sorriso.
« Ciao Tom. »
« Non ti avevo detto che volevo chiudere una volta per tutte? » sbuffò lui.
« Lo so ma… volevo vederti. Lei è qua? »
« Certo che è qua, è seduta dall’altra parte. »
« Capisco. »
« Diana, è meglio se te ne vai. Non voglio altri casini. »
« Non sono venuta qua per commettere casini, Tom. Sono venuta qua solo per parlarti. »
« Parlarmi di cosa?! »
« Di noi. »
« Diana, non c’è più un noi da quando c’è Alex! » strillò Tom, perdendo la pazienza.
« Intendi davvero buttare all’aria tutto quello che c’è stato fra di noi?! »
« Era solo sesso! » esclamò, perplesso. « Hai idea di cosa voglia dire affezionarsi davvero ad una persona? Amarla, fare davvero l’amore con lei in modo sincero, senza ricorrere a sbronze o a scollature vertiginose? Ti prego, non farmi perdere la pazienza! »
« Tom, tu sei… »
« Che succede? »
Tom si voltò di scatto e vide Alex alle sue spalle. Il suo sguardo saettava da lui a Diana.
Lui si passò una mano sul viso, temendo già il peggio.
« Tu cosa vuoi? »
Alex si era rivolta direttamente a Diana, che era rimasta più lontana.
Lei aprì la bocca ma non disse niente, soffiando e basta.
« Hai altri preservativi con te? »
Tom guardò la ballerina, trovandola più che arrabbiata.
« No? Allora puoi anche girare i tacchi. Che, fra parentesi, sono davvero osceni. »
Diana si guardò le scarpe e poi spostò lo sguardo altrove.
« Io volevo solo parlare con Tom. »
« Parlare non significa seguirlo dappertutto o farlo ubriacare per portartelo a letto. Son due cose estremamente diverse, se non opposte. »
« Cosa ne sai di quello che provo io per lui? »
« E tu invece sai cosa posso provare io? O cosa può provare lui? Dimmi, Diana: tu sai qualcosa di noi? »
Tom la prese per le braccia, piazzandosi fra lei e Diana.
« Basta, smettila. Andiamo via. »
Alex guardò Diana da oltre le braccia di Tom.
La odiava dal profondo del suo cuore.
Se era capace di amare Tom con un’immensità inaudita, riusciva anche ad odiare Diana con la stessa passione.
Girò i tacchi e si allontanò, sentendo il suo corpo invaso da un calore che doveva essere molto simile al fuoco sputato da un drago.
Tom la seguì maledicendosi mentalmente per averla portata a quel ballo.
« Alex! »
Le prese un braccio e la fece voltare.
No, non di nuovo. Alex non poteva crollare ogni volta che vedeva la faccia di Diana, non poteva sentirsi così fragile davanti a lei.
La ballerina abbassò lo sguardo, nascondendo le ciglia bagnate e gli occhi lucidi.
« Hey! No no, non devi, lo sai. »
Tom la avvolse fra le sue braccia, mentre la vocina nella sua testa gli sussurrava ancora una volta di essere un coglione catalogato.
« Scusa, è che sono incazzata e pur di non spaccarle la faccia faccio così. »
Tom la strinse ulteriormente a sé.
« Non preoccuparti. »
Le schioccò un bacio sulla testa sperando che bastasse.
Le luci si abbassarono e il Dj mise nelle casse If you’re not the one di Daniel Bedingfield. Tom l’aveva sentita solo una volta e non si ricordava nemmeno dove, ma trovò una soluzione per farsi perdonare, nonostante Alex non fosse arrabbiata con lui.
Così si allontanò e le prese una mano, abbozzando un sorriso.
Indicò la pista con la testa e Alex lo guardò interrogativa.
« Balli? »
« Cosa?! »
« Andiamo! Potrei anche ripensarci. »
Alex gli strinse la mano e Tom la accompagnò al centro della sala.
« Ok, vediamo se mi ricordo come si fa. Una mano qua e una qua, giusto? »
Alex annuì con la testa e poggiò una mano sulla sua spalla.
« Ok, pronti? Via! »
Tom era decisamente poco portato per il ballo, ma ce la metteva tutta per cercare di non pestarle i piedi. E, soprattutto, per farla sorridere di nuovo.
« Come ti è venuto in mente di metterti in ridicolo davanti a tutta la scuola?! » gli domandò lei.
« Oh sai com’è. Quando perdi la testa per una persona sei capace di fare qualsiasi cosa. Anche volare. »
Le fece fare un giro su sé stessa e poi la riprese per la vita, meravigliandosi di sé stesso.
« Wow! Vedo che perdere la testa ti fa anche improvvisare. »
« A volte succede, sì. »
Alex poggiò la testa sulla sua spalla, socchiudendo gli occhi.
E continuarono a dondolarsi da una parte all’altra, immersi fra altre coppie, pensando solamente a quanto fosse perfetto il brivido che gli provocava stare l’uno al fianco dell’altra.
Una canzone dopo l’altra, Tom si sciolse e si distrussero di risate e battute fino allo svenimento, lasciando perdere tutto quello che di brutto era accaduto fino ad allora e vivendosi fino all’ultimo momento. 

Le labbra di Tom si fecero strada sul il corpo nudo della ragazza che bruciava sotto la sua lingua.
Un bacio, poi un altro, fino ad arrivare alle sue labbra bollenti e avere per la millesima volta la conferma di sentire sempre il costante bisogno di assaggiarle come se fossero un frutto, una mela appena caduta da un albero.
Fare l’amore con lei era come scoprire un mondo nuovo. Ogni volta.
C’era sempre qualche punto del suo corpo che non aveva notato, qualche espressione del suo viso che si era lasciato sfuggire, qualche sensazione nel suo stomaco che giurava di non aver mai provato.
E diventare una cosa sola, non era uguale alle altre volte. Non era godere il suo unico scopo, ma sentirla vicina a sé, proteggerla con le sue braccia, essere il suo eroe anche in quei momenti di completa intimità, portandola via dal resto del mondo e cullandola col suo corpo.
La baciava non solo per il gusto di farlo, ma con la speranza di farle sempre capire che lui era e sarebbe stato là fino alla fine. Fine che non comprendeva la loro rottura. Fine che significava finché fosse morto.
Con o senza di lei, lui le sarebbe sempre rimasto fedele, come un cane aspetta che il suo padrone ritorni dal lavoro.
E da quando era arrivata Alex, era cambiato tutto. Lui, Bill, i suoi genitori, la sua vita, il suo carattere, il suo cuore. Era come un uragano.
E mentre si faceva queste seghe mentali, Alex ansimava fra le sue braccia, rendendosi conto che Tom era tutto ciò che aveva sempre aspettato. Che Tom aveva sostituito tutto ciò che non aveva mai avuto perché con lui era davvero felice, con lui poteva avere un futuro e con lui aveva un presente.
Un presente che non avrebbe scambiato con niente al mondo, nemmeno con la danza che era stato il suo primo amore. Tom era tutto ciò di cui necessitava, era la sua aria personale e non poteva chiedere di meglio.
I suoi baci, le sue carezze, le sue attenzioni, le sue parole di conforto, i suoi “ti amo” erano di vitale importanza.
E sì, era sempre più convinta di non riuscire più a separarsi da quella persona. O forse, da quell’angelo. 

Alex aprì gli occhi e cercò il corpo di Tom, senza risultati. Si voltò e constatò di essere sola sul letto.
Tom non c’era, ma in cucina si sentiva un baccano assordante.
Sveva entrò velocemente nella stanza e si sedette in un angolo, mentre la padrona si caricava sulle braccia.
Tom entrò con la colazione su un vassoio e si fermò sulla soglia.
« Pensavo stessi dormendo. »
« Mi sono appena svegliata. » sbadigliò lei. « Che cos’hai fatto?! »
Tom protese il vassoio in avanti e si avvicinò al letto, sorridente.
« Ti ho preparato la colazione! »
Alex fissò prima il vassoio e poi Tom, che si abbassò e le schioccò un bacio sulla fronte.
« Una colazione con i fiocchi per la mia ballerina preferita. Oh e ho già dato da mangiare a Sveva, perciò non ti devi preoccupare! »
Alex spostò lo sguardo verso il cane.
« Gli hai strizzato le palle per farlo diventare così scemo? »
Sveva mugolò e chinò la testa da un lato.
« Ok, senti. » Tom si sedette sul bordo del letto. « Ho una sorpresa per te. »
« Per me? »
« Sì, per te. »
« E’ che sorpresa è? »
 « Ma sei scema?! Se te lo dico non è più una sorpresa! » gesticolò Tom, « Perciò mangia, preparati e poi usciamo. ».
« Ah non è qui? »
Tom si alzò e uscì dalla stanza.
« E’ troppo grande! »
Alex prese in mano una fetta biscottata.
« Oddio, mi hai regalato un cazzo gigante?! » 

Tom teneva la mano di Alex con la sua, e l’eccitazione stringendo l’altra in un pugno.
Cazzo, fare sorprese lo agitava così tanto!
Sperava che Alex gradisse. Anzi no, era fermamente convinto che Alex avrebbe gradito.
Però immaginarsi la sua reazione era praticamente impossibile, ed era quello ad agitarlo maggiormente.
Svoltarono l’angolo, mentre Alex continuava a blaterare le sue idiozie – tutte concentrate sulla bandana che Tom gli aveva messo sugli occhi.
Faceva tutto parte del suo “piano”, se così si può chiamare.
Tom rallentò e Alex tirò il guinzaglio di Sveva.
« Ok, aspetta due secondi. »
Si frugò nelle enormi tascone e poi estrasse un mazzo di chiavi. Aprì il portone e poi tornò a prendere Alex. La guidò sui gradini dell’ingresso principale e poi la condusse all’interno dell’edificio.
« Ok, piccola premessa. Se piangi, ti sgancio un pugno, è chiaro? »
« Ooook, va bene. »
« E dato che sai che faccio male, non ti conviene farlo. »
« Se pensi che possa piangere, allora vuol dire che lo farò. »
« Se lo farai, sappi comunque che ti darò un pugno. »
Sveva abbaiò e il suo verso echeggiò in tutta la sala.
« Ma che cos’è?! » domandò allora Alex.
« Ok, ci siamo. Sto per toglierti la benda, ok? Tre, due, uno e… »
Tom slegò la benda dagli occhi della ragazza, e si spostò.
« Via. »
Alex mise a fuoco quello che aveva davanti.
Un’enorme scala si apriva davanti ai suoi occhi. Le finestre erano rotte e sbarrate con delle travi in legno, ma il pavimento era stato sistemato e c’era un chiaro parquet sotto i suoi piedi.
Delle stanze occupavano il piano terra e al piano superiore c’erano dei corridoi che portavano ad altre stanze.
Si voltò verso Tom, guardandolo con un grosso punto interrogativo stampato in faccia.
Lui fece spallucce.
« Benvenuta nella tua scuola di danza. »
Gli occhi di Alex assunsero mille sfumature.
Tom giurò di vederli colorarsi di rosso.
« Cos’hai fatto? »
La voce di Alex tremava. No, non poteva crederci. Non era assolutamente possibile che Tom avesse fatto una cosa del genere.
Tom indicò l’edificio.
« L’ho comprato e lo sto facendo mettere apposto. »
« Tu… tu… » gli occhi di Alex iniziarono ad inumidirsi, diventando molto simili ad un oceano.
« Ah-ah-ah! Io il pugno te lo dò davvero! »
La ballerina si voltò di nuovo, continuando a fissare l’enorme edificio che si presentava ai suoi occhi.
Non si era mai immaginata una cosa così splendida.
Ed era stato tutto merito di Tom.
Così si voltò di nuovo a guardarlo.
« Tom, io… non so davvero cosa dire è… è fantastico e… grazie mi sembra riduttivo. »
Tom sorrise e infilò le mani in tasca.
« Suvvia, cosa vuoi che sia? Ho solo regalato una scuola di danza alla mia ragazza! »
« Tu sai che questo è un sogno che diventa realtà, no? »
« E tu sai che sei il mio sogno divenuto realtà, sì? »
« Tom, sono seria. »
« Anche io, Alex. E se ho fatto questo un motivo c’è. Ed è perché voglio vederti felice. »
La prese per mano e la fece voltare.
« Quante classi vuoi? Hip hop, moderno e classico? Bene, farai hip hop, moderno e classico. Vuoi farla interamente di hip hop? Sarà completamente concentrata sull’hip hop. E’ una tua scelta. » si tolse le chiavi dalla tasca e le racchiuse nella sua mano. « La scuola è tua. »
« Io… mi sento in debito… »
Tom rise.
« In debito di cosa?! Mi dai tutto quello di cui ho bisogno. »
« Tom cazzo, mi stai regalando una scuola di danza! Questo è… è un edificio enorme! »
Lui roteò gli occhi.
« E allora? Vorrà dire che darai l’opportunità a più persone di imparare a ballare. Io ce l’ho fatta, guarda. »
Le prese una mano e la fece voltare su sé stessa, racchiudendola poi fra le sue braccia.
« Non importa quanto ci metterai per realizzare questo sogno, perché io sarò sempre al tuo fianco e ti aiuterò anche quando non vorrai. L’importante è che continui a crederci, perché nessun sogno è così sbagliato o irraggiungibile da esser mollato. »
Mettercela tutta. Era questo che le stava dicendo Tom.
Con i suoi gesti e le sue parole, le stava facendo capire di non arrendersi, di non avere paura ma di andare avanti. E lui ci sarebbe sempre stato.
Al suo fianco, per tirare su il morale, per aiutarla, per consolarla, per smuoverla, per difenderla.
Tom era la parte mancante della sua esistenza, il suo punto di forza.
E se non fosse stato per lui, di sicuro Alex non avrebbe mai rincominciato a sognare e a lottare per qualcosa, come aveva fatto da quel giorno in cui l’unico ragazzo che le aveva rubato il cuore, le aveva dato le chiavi per l’eterna felicità.

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Epilogo ***


8 anni dopo.

 

Alex si districò fra le lapidi, sotto il sole di Giugno.
Gli occhiali da sole sul viso, un mazzo di fiori colorati in una mano e un TomTom ficcato in testa.
Si fermò solo quando riconobbe il viso della madre. Sorrideva.
La foto doveva essere di Natale. O forse no, era di Capodanno.
Ma che importava? Era comunque bellissima.
Si avvicinò ancora e si fermò solo quando vi fu davanti.
« Ciao mamma. »
Abbozzò un sorriso e poi cambiò l’acqua, buttando i fiori secchi e mettendo i nuovi nel vaso.
« Come stai? Scusa se non sono più venuta, ma non ho avuto molto tempo ultimamente. Sai com’è: il lavoro, la casa. Troppe cose a cui pensare e non avevo mai tempo. Ma alla fine sono tornata. »
Sistemò un altro fiore.
« Ti piacciono questi fiori? Mi sei venuta in mente appena li ho visti. Sono così colorati e allegri, proprio come te. »
Accarezzò la foto della madre, giusto per far finta che fosse ancora là con lei, e poi si alzò.
« Ora devo andare. Ma ti prometto che tornerò presto. »
Voltò le spalle alla tomba. Ogni volta andare via da quel cimitero era come abbandonarla. Ma cercava di convincersi che lì c’era solo il suo corpo e che la sua anima era sempre al suo fianco, per vegliarla.
Aprì lo sportello della macchina e si sedette.
« Tutto ok? »
Voltò lo sguardo verso Tom e sorrise.
Lui mise in moto la macchina e partì verso la A24. 

Tom suonò il campanello e dopo qualche istante Bill aprì la porta.
« Tom! Che sorpresa! »
I due gemelli si abbracciarono e Bill fece entrare il fratello nella sua dimora.
« Eric! »
Dalla cucina uscì un alto ragazzo biondo, dagli occhi color ghiaccio e si avvicinò con un sorriso.
« Ciao Tom! Che sorpresa! »
« Ciao Eric. Come va? »
« Tutto ok, ce la passiamo bene. »
Eric passò un braccio muscoloso sulle spalle di Bill, sorridendo.
« Sì, vedo. Oh già, son venuto per portarvi questa. » tirò fuori una cartolina e la porse a Bill. « E’ di mamma e papà ma hanno sbagliato indirizzo e l’hanno mandata a me. »
Bill la prese e iniziò a leggerla.
« Deduco che si stiano divertendo. »
« Oh sì, alla grande. La mamma ha già chiamato Alex una trentina di volte da quando sono partiti. »
« Incredibile! » commentò Eric.
« Non avrei mai dovuto parlargli dell’Italia. » rise Bill, rigirandosi la cartolina fra le mani.
« Se si trasferiscono là sono cazzi poi! » commentò il gemello.
« Resti? Ti preparo qualcosa da bere. »
Eric si era già allontanato verso la cucina ma Tom scosse la testa, con un sorriso idiota stampato sul volto.
« Devo andare a prendere Alex. Oggi è il nostro anniversario. »
Bill vide gli occhi ambrati del gemello trasformarsi in due diamanti e guardò Eric con l’espressione di chi la sa lunga.
« Allora perché sei ancora qua?! »
« Giusto! Vado! Statemi bene ragazzi! »
Tom si dileguò velocemente e si diresse verso la sua auto.
« Salutami Alex! » strillò Bill prima di chiudere la porta.
Tom rispose con un gesto e si tuffò alla guida, mettendo in moto e uscendo dal parcheggio.
Portò un braccio fuori dal finestrino e si fissò la mano al volante.
La fede splendeva ancora come sei anni prima. 

« Per oggi basta ragazzi, siete stati bravissimi. »
La classe salutò e piano piano uscirono tutti dalla sala di hip hop.
Alex si voltò verso lo stereo e si riprese il CD di Eminem, rimettendolo dentro la borsa e poi uscendo.
« Signorina Meyer, il signor Schmidt ha chiamato per chiedere conferma per la gara del mese prossimo. »
Helen, una donna paffuta con tre figli alle spalle che lavorava da tempo con Alex, le si avvicinò con una cartella fra le mani. Erano uno di quei tipi che ripete la stessa cosa per almeno dieci volte ed era solita chiamare Alex con “Signorina Meyer” ogni volta che ci parlava.
« Che gara? » domandò la ragazza.
« La Best Hip Hop Hamburg School.
L’ha dimenticato? »
Alex abbassò lo sguardo abbozzando un sorriso e scosse la testa.
No, non l’aveva assolutamente dimenticato. Non aveva dimenticato un solo istante di quando aveva vinto lei quella sfida.
« No, ora mi ricordo. Certo, conferma pure. »
« Perfetto signorina Meyer, vado a chiamare subito il signor Schmidt! »
Helen si allontanò velocemente verso l’ufficio al piano di sotto ma poi si bloccò con una scivolata degna da cartone animato.
« Dimenticavo, signorina Meyer! Suo marito la sta aspettando di sotto. »
Alex guardò al piano inferiore e vide la figura di Tom guardarsi attorno, impaziente.
Scese la scalinata centrale e arrivò al piano di sotto. Tom la vide e le sorrise.
« Che sorpresa! » commentò lei.
« Pensavi ti avrei lasciata tornare a casa a piedi?! »
Le labbra di Tom si posarono dolcemente su quelle della ballerina.
« Non sarei stata di sicuro sola. »
Alex indicò con la testa un punto oltre le spalle di Tom.
Il ragazzo si voltò e sorrise posando lo sguardo su una graziosa creaturina dai lunghi e boccolosi capelli castano chiaro che si torturava le mani, nel suo piccolo vestitino con tutù bianco.
Si inginocchiò poggiando le braccia sulle gambe, da sopra i suoi jeans oversize.
« Ciao Nicole. »
La bambina scoppiò in una fragorosa risata e si tuffò fra le braccia di Tom, squittendo un adorabile: « Papà! » e circondandogli il collo con le sue piccole braccine.
« Com’è andata le lezione? »
« Bene, ma la maetra mi ha fatto toiere le cappe. »
Tom abbassò lo sguardo verso i piedi della sua bambina e vide un paio di scarpe da tennis che non avevano assolutamente nulla a che fare con il suo tutù.
« Quando qualcuno ha brutte influenze in fatto di vestiario! » commentò Alex, ancora in piedi al loro fianco.
Tom sollevò lo sguardo, ormai abituato a quelle prese in giro, e la bambina si lanciò addosso alla madre, chiamandola a gran voce e tirandola verso l’uscita.
« Vestiario che ti piace parecchio addosso a me. » replicò Tom stizzito, mentre uscivano.
« Oh credimi, mi piaci anche senza vestiti addosso. » 

Tom prese il suo pacchetto di sigarette e raggiunse Alex nel giardino, sotto il gazebo che avevano costruito insieme.
Alex andava quasi ogni sera là, perché le piaceva guardare l’immensità del cielo e il suo manto stellato.
Vide Tom arrivare con la sua solita camminata e gli fece spazio sulla panchina.
Alex aveva smesso di fumare quando aveva scoperto di essere incinta di Nicole e da allora non aveva più ripreso.
Tom le si sedette accanto, facendo un lungo tiro, e poi la avvolse con un braccio.
« Com’è andata oggi? »
« Abbastanza bene. Il mese prossimo i ragazzi hanno la loro prima gara. »
« Wow, ma è fantastico! Immagino che tu sia abbastanza in ansia. »
« Lo ero di più quando toccava a me salire sul palco. Ma sono molto contenta del loro lavoro e anche se non dovessero vincere, sono degli ottimi ballerini. »
« Tu resti comunque la mia ballerina preferita. »
Fece un altro tiro mentre Alex sorrise, arrossendo.
Erano passati anni, ma continuava ad arrossire ogni volta che lui le faceva un complimento.
E Tom amava il suo colorito. Le sue guance si coloravano naturalmente, non era un rossore esagerato ma era tremendamente delicato da renderla sempre più bella.
E anche a Nicole succedeva la stessa cosa.
« Ti ricordi quando mi hai detto di essere incinta? »
Alex annuì.
« Eravamo seduti qui e tu fumavi, come ora. »
Tom sorrise. La loro quotidianità lo sorprendeva costantemente.
« E ti ricordi cosa ti dissi? »
Alex rise, poggiando la testa sulla sua spalla.
« Che quello era il secondo giorno più bello della tua vita. »
« Esatto. E sai qual è stato il più bello in assoluto? »
Alex scosse la testa e lo guardò, attendendo risposta.
Tom fece l’ultimo tiro e gettò via la sigaretta.
« Esattamente sei anni fa. »
Alex strabuzzò gli occhi.
« Te ne sei ricordato! »
« Certo che sì. » rise lui. « Però non ti ho preso nessun anello come l’anno scorso. Non mi piace fare sempre lo stesso regalo. Ho pensato a qualcos’altro. »
« E sarebbe? »
Tom si alzò, tossendo.
« Vediamo se mi ricordo ancora come si fa, allora… »
Si voltò verso Alex e le porse la mano.
« Mi concede un ballo, signorina Meyer? »
Alex si lasciò sfuggire una risata e scosse la testa, ricordandosi della prima volta che lei e Tom avevano ballato insieme.
« O forse dovrei dire signorina Kaulitz? »
La ballerina fissò la mano di Tom e vide la fede risplendere. Poggiò la sua mano e si alzò, lasciando che Tom la prendesse fra le sue braccia. Iniziarono a dondolarsi da una parte all’altra, fissandosi negli occhi e reprimendo diecimila dichiarazioni d’amore.
« Ieri mattina Nicole mi ha chiesto quando avrà un fratellino. » esordì Alex.
Tom sghignazzò.
« E’ un modo carino per chiedermi di portarti a letto? »
« No, stupido. E’ un modo intelligente per chiederti se vorresti avere un altro figlio. »
Tom le strinse la mano.
« Che sia uno, che siano tre o cinque o undici, l’importante è che siano miei e tuoi. Li amerei tutti dal primo all’ultimo. »
Quello era il Tom che amava. Il Tom legato ad ogni cosa appartenesse ad entrambi, anche la più insignificante.
La porta per il giardino si chiuse con un tonfo e Scotty e Sveva uscirono accompagnati da un esercito di piccoli cuccioli dalle mille sfumature.
« Beh, vedo che non siamo gli unici a voler allargare la famiglia. » commentò lui.
Alex poggiò la testa sulla sua spalla e inspirò il suo profumo.
Erano passati sei anni. Sei meravigliosi anni da quando lei e Tom si erano sposati.
E quattro indimenticabili anni dalla nascita di Nicole.
La loro vita diventava ogni giorno più bella, ricca di sorprese e soprattutto d’amore.
Tom e Alex non si sarebbero mai lasciati, avrebbero continuato a sostenersi, curarsi e amarsi fino alla fine dei loro giorni, con una splendida famiglia attorno a loro. Come avevano promesso.
C’erano una ragazza ed un ragazzo soli, in meno.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=545556