Cieli di Marmellata

di Cymbaline
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nostalgia. Una breve introduzione ***
Capitolo 2: *** Vincent. Respirare, di nuovo ***
Capitolo 3: *** Raphael. L'isola che non c'è ***
Capitolo 4: *** Tangerine. Nella luce cieca ***



Capitolo 1
*** Nostalgia. Una breve introduzione ***


La prima volta che la vidi, nonostante fosse notte, portava gli occhiali da sole.

Faceva freddo - il suo corpo, avvolto da una giacca di panno leggero, era tutto un brivido - e il respiro le si condensava in piume di ghiaccio davanti alle labbra. Le dita sottili e nervose tamburellavano costantemente nell’interno delle tasche della giacca seguendo una musica che io - povero mortale indegno - non potevo ascoltare, secondo uno spartito segreto che non sapevo leggere. Forse lo faceva per scaldarle, quelle dita sottili e nervose, tanto lunghe e pallide da dubitare che fossero parte integrante del suo corpo piuttosto che ramoscelli innestati in una nodosa, bizzarra comunione tra uomo e natura.

Ma allora non lo pensai; mi soffermai solo sul suo aspetto bizzarro, esoticamente variopinto. È stata la nostalgia a far riaffiorare lentamente questi particolari come macchie d’olio che galleggiano sull’acqua - pensi che si sia disperso, e invece eccolo lì, pronto a riaggregarsi in chiazze sempre più grandi.

È stata la nostalgia, solo lei. Ammesso che il tempo possa sbiadire lentamente i colori dei ricordi, la nostalgia è lo scudo sottile che protegge la memoria dalla rovina e dall’oblio. Il pegno da pagare è la tristezza. Ricordare - ricordi piacevoli o meno - è quasi sempre soffrire un po’, come constato ogni giorno con una punta di amarezza.

E quando il ricordo di quei giorni pigri ad Alumina bussa alla porta della mia mente, è inutile che tenti di resistere. Mi torneranno in mente la luce vibrante e liquida del sole d’estate, la sensazione dell’erba sulla pelle, il profumo - già, il suo profumo - della notte. L’unico rimedio è lasciarmi trascinare su quel fiume denso di memoria fino alla fine.

Ma quando le rapide della cascata alla fine del fiume stanno per inghiottirmi mi tornano in mente le parole di Tangerine. Anche io in un tentativo di calmarmi inizio a ripetere tra me e me la frase che lei stessa ripeteva sempre quando aveva paura in uno strano mantra infantile: Immaginati in una barca su un fiume, con alberi di mandarino e cieli di marmellata. Mi disse che erano le parole di una vecchia canzone e che sua madre gliela cantava sempre prima di andare a dormire. Pensare di essere su una barchetta e scivolare pigramente lungo i filari di alberelli di mandarino la rilassava.

Su di me non funziona altrettanto bene. Non mi soffermo sull’immagine in sé, ma sulla sua innegabile assurdità. Passino gli alberi di mandarino, ma i cieli di marmellata! Che cosa significa, un cielo di marmellata? Se provo ad immaginarlo non mi trasmette alcun senso di tranquillità, anzi. Penso ad una nube vischiosa, scura e violacea, che cola sulle foglie di mandarino e si mischia in gocce pesanti all’acqua del fiume. Un incubo.

Forse sono un po’ troppo razionale.

Qui non è il fatto di essere razionali, polemizzerebbe Tangerine, il problema è che non hai immaginazione.

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Capitolo 2
*** Vincent. Respirare, di nuovo ***


Vincent tamburella con le dita sul volante dell'auto, socchiudendo gli occhi per il sonno e per i leggeri strali di sole che gli feriscono le palpebre. Se non fosse per il fatto che, guardando dal finestrino, non coglie lo stesso stralcio grigio di città che vede tutti i giorni fermo al semaforo, quella mattina gli sembrerebbe una come tutte le altre.

Le mani gli sfuggono dal volante e lui le abbandona lungo i fianchi. La fila di macchine davanti a lui gli impedisce di proseguire. Strano, non credeva che quella strada fosse così frequentata. Prova a domandarsi il motivo di quell'ingorgo, così inspiegabile in una stradina di campagna, tanto più a quell'ora.

Lascia che gli occhi, con le palpebre ancora rilassate per il sonno – no, svegliarsi presto non è mai stato il suo forte, decisamente – si spingano oltre il confine del finestrino ed esplorino il paesaggio inconsueto che si stende al di là del vetro. Il rosso di centinaia e centinaia di papaveri ancora bagnati di rugiada palpita debolmente nella bruma dell'alba. Il cielo si intuisce sereno, dagli sprazzi di azzurro che baluginano attraverso gli strappi del mantello della nebbia ancora pigramente stesa sull'orizzonte.

Sospira. Non riesce ancora a capacitarsi di essersi liberato dal ritmo della città, che gli riesce intollerabile. Intollerabile a lui, che pure può condurre una vita più che comoda, senza doversi spostare più di tanto nel traffico... Ma anche rimanere rintanato tutti i giorni nella sua casa, nella sua tana, alla fine lo ha logorato. Tutto a un tratto si sono fatti sentire i pomeriggi passati davanti allo schermo del computer, davanti a quella pagina bianca che, con il lampeggiare pressante della barra nera, reclamava avida lettere, parole, frasi, e che pure rimaneva di quel bianco ostinato senza che lui riuscisse a scrivere niente.

Niente. Vincent Saint-Just, famoso autore di numerosi libri di successo, considerato dalla critica una tra le migliori voci in circolazione, non era riuscito a scrivere più niente. Mesi e mesi di pagine bianche e di telefonate speranzose da parte del suo agente e del suo editore lo avevano gettato nello sconforto più totale, peggiorando sempre di più la situazione già di per sé difficile.

Vincent ricorda perfettamente quell'ultima telefonata di Auguste, il suo agente. Dopo i soliti gentili convenevoli si era informato sull'andamento della sua produzione artistica. Che era un modo gentile e non troppo pressante per ordinare alla sua mucca, che mai prima d'allora si era rivelata recalcitrante, a produrre il latte che tutti aspettavano da tanto tempo.

Troppo” si era lasciato sfuggire Auguste, con una nota di rimprovero non troppo impercettibile, dopo aver esposto il problema.

Vuoi che scriva a comando?” si era informato lo scrittore. “Se è questo che vuoi, ci metterò pochissimo a scrivere due stronzate che piacciano alla gente.” La sua vena di sarcasmo era più che percettibile, al contrario.

Andiamo, non è questo quello che intendevo” tagliò corto l'agente con impazienza. “Tutti stiamo aspettando da mesi qualcosa da te, ma non arriva niente. Cristo, dacci un segno almeno, dicci che sei vivo!”

Oh, quanta formalità, puoi chiamarmi Vincent, ci conosciamo da anni. Non c'è bisogno che ti rivolga a me con questi epiteti religiosi.”

Silenzio.

Non fare l'idiota, Vince.”

E tu non mettermi pressioni” lo rimbeccò l'altro.

Va bene, Vince. Smettiamola di fare gli idioti e parliamo seriamente. Qual è il problema?”

Non c'è nessun problema. Semplicemente non ho più niente da scrivere.”

Che è un modo carino per dire che vuoi più soldi?” Un classico. Soldi, soldi, sempre soldi. Vincent non riusciva a capacitarsi di quanto Auguste fosse attaccato al tornaconto economico. O meglio, se ne capacitava benissimo, visto che il suo guadagno era così strettamente legato a quello del suo agente; nonostante tutti i suoi sforzi, però, Vincent non riusciva a non percepire il denaro come qualcosa di lontano, non abbastanza degno di considerazione e interesse.

Ma come sei venale, Auguste. No, non è questo quello che intendevo.” La sua voce si era ammorbidita. Essere sarcastico non era il suo mestiere, e non gli riusciva più a lungo di qualche minuto. “Sono... solo un po' stanco.”

L'eufemismo dell'anno. L'ultima volta che ti ho visto sembravi pronto per una qualche orribile festa gotica, vista la tua vitalità.”

Tralasciando il tuo umorismo scontato, Auguste” aveva ripreso lo scrittore, sottolineando delicatamente l'aggettivo “dico sul serio. Sono stanco, e non ho la minima ispirazione, ad essere sincero.”

E come pensi di risolvere il problema?”

Aspettare che torni l'ispirazione è una risposta troppo scontata, vero?” Si era grattato la barba non rasata da tre giorni con la punta del pollice.

No, è una risposta idiota. Se ci metterà un anno a tornare, pensi di essere disposto ad aspettare tutto questo tempo?”

Mi sembra chiaro che tu per primo non lo sia.”

Una piccola pausa.
“No, non lo sono. Ma non lo sei neanche tu. Che fine ha fatto il Saint-Just di tre, quattro anni fa? Non eri così... così... passivo, quando ci siamo conosciuti.”

Vincent era rimasto in silenzio, non sapendo come controbattere a quella che lui sentiva come un'accusa ingiusta.
“Vince. Capisco che sia un periodo no. Capita a tutti, non buttarti troppo giù.” Auguste aveva cambiato tono, ora era quasi gentile. “So io quello che ci vuole.”

Una frase scontata, da film, che presagiva una risposta altrettanto idiota. Vincent aveva temuto che dietro questo rimedio che l'amico stava per proporgli si celasse una festa, una bella bevuta o addirittura una donna.

Una vacanza, ecco quello che ci vorrebbe.”

Meno peggio di quello che aveva pensato. In fondo non era male, come idea.

Sì, ci avevo pensato anche io” aveva ammesso, quasi a malincuore. “Ma dovrei spostarmi, andare lontano... Non...”

Vince, ti farà piacere sapere che nel corso degli ultimi secoli sono stati inventati dei validi mezzi di trasporto che ti solleveranno dal problema del camminare.”

Vincent aveva sbuffato. “Non è quello... intendevo... dovrei andare lontano, in un posto isolato, senza telecamere. Non voglio incontrare persone che possono conoscermi.”

Gestire la tua insofferenza nei confronti del genere umano sta diventando sempre più difficile.”

Non si tratta di insofferenza. Solo, non voglio che si ficchi il naso nella mia vita privata.”

All'altro capo della cornetta, una risatina sarcastica. “La tua vita privata è la più immacolata che abbia mai visto. Se non fosse per le sigarette che fumi ogni tanto, gareggeresti con Suor Bernadette.”

Se mi apparisse la Madonna, almeno avrei qualcosa di cui scrivere” aveva borbottato cupamente l'altro.

Un altro ghigno. “A parte scherzi, hai davvero bisogno di staccare. Va' lontano, sta' via quanto vuoi, anche un mese, se ti va. Non può che farti bene. Se la situazione resta com'è, finirai per impiccarti.”

Vincent aveva avuto la sinistra visione di se stesso penzolare da un cappio nel mezzo della stanza e strizzargli l'occhio amichevolmente. Ottimo.

Forse hai ragione.”

Così ti voglio. Su, trovati uno stramaledetto posto e parti. Non mi importa dove.”

E gli aveva dato ragione. Aveva dedicato qualche giorno alla sua ricerca, poi, sfogliando un giornale, la risposta era arrivata sotto forma di un articolo firmato da un nome conosciuto.

Nel suo solito tono conciso e polemico, che lo aveva reso una penna famosa in tutta la nazione, Raphael de Vries aveva raccontato il problema di Alumina, denunciando, non certo per la prima volta, la formazione di una comunità totalmente – o quasi – estranea alla vita civile della nazione.

Certo, Vincent era a conoscenza di questo problema che lo stato sembrava ignorare volutamente, ma non se ne era mai interessato, reputandolo estraneo alla sua sfera di interessi. In quel momento, invece, la possibilità di sfruttare la situazione per prendersi una pausa, e, contemporaneamente, per trovare del buon materiale per riaccendere la sua ispirazione latitante, gli era apparsa chiarissima, e imperdibile.

L'unico problema, semmai, era stato quello di trovare delle informazioni su Alumina, cosa che gli era costata parecchie difficoltà. Ma, in un modo o nell'altro, era riuscito a superarle, pensa, ringraziando l'utilità di internet e la disponibilità dei suoi contatti mentre lascia scorrere pigramente lo sguardo fuori dal finestrino.

Vincent sbadiglia, notando che la fila delle macchine inizia – lentamente – a scorrere. Davanti alla sua, saranno a malapena quattro o cinque automobili, ma sono sufficienti per bloccargli la visuale ed impedirgli di sapere la causa per cui, alle sette e mezzo di mattina, è fermo in una stradina di campagna.

Gli sembra di essere partito da molto tempo, ma è uscito di casa solo un paio d'ore prima. In realtà, constata, la sua mente è partita non appena il nome evocativo di Alumina gli è stato bisbigliato nelle orecchie dalla voce sottile e ironica del Caso. Gira il volante lentamente, seguendo la curva sulla strada sterrata, ancora dietro quell'utilitaria blu e impolverata che da una buona manciata di minuti gli sta riversando addosso il suo scarico, sperando di vedere con i suoi occhi cosa abbia procurato il rallentamento.

Essere pessimisti è uno stile di vita. Per un pessimista è naturale pensare che un semplice rallentamento sulla strada sia dovuto ad un incidente, e nella sua mente di pessimista senza speranza, Vincent Saint-Just non può fare a meno di immaginare un'auto rovesciata, o anche solo andata fuori strada, bloccare di traverso la carreggiata. Gli viene più che naturale prefigurarsi scenari drammatici, adatti più ai servizi di cronaca di un telegiornale che a quella placida mattina in campagna. Per lui è immediato temere che quell'incidente che lui immagina sia avvenuto coinvolga anche persone che lui conosce.

Le auto scorrono davanti a lui, allargando la curva per evitare l'ostacolo che è stato motivo del blocco. Ad attirare la sua attenzione è qualcosa di bianco che spunta nella sua visuale, ai bordi della strada, oltre le macchine della fila. Ancora qualche metro, e nell'informe massa color panna riconosce dei musi, delle zampe, delle orecchie, che, l'istante successivo, si trasformano in un enorme gregge di pecore, completo di pastori.

Vincent stesso non riesce a spiegare la commozione che gli sale alla gola, stringendogliela.

Socchiude il finestrino, e la macchina viene invasa dal penetrante odore della campagna e dal quieto scampanellio dei sonagli al collo degli animali. Quante sono, pensa, mentre i due pastori si affannano a farle passare ai bordi della strada, con l'unico risultato di farle rallentare ancora di più e di occupare ugualmente lo spazio destinato al traffico. Circondato da un mare di dorsi lanosi e bianchi, è costretto a spegnere il motore dell'automobile e ad aspettare che l'intero gregge passi.

Il groppo alla gola, al contrario, non gli accenna a passare.

Certo i pastori di quella mattina non sono quelli idealizzati e raffinati della letteratura bucolica: appartengono al vero genere, quello che nessuno ha mai decantato, quello che si limita a badare alle pecore senza scivolare in dibattiti filosofici o composizioni di delicate elegie. Ma Vincent, quella mattina, li trova bellissimi, con i loro vestiti colorati e sdruciti e i bastoni ricurvi.

Socchiude gli occhi di nuovo, cullato dal delicato acciottolio dei campanelli, con le labbra incurvate in un sorriso inspiegabilmente commosso. Si aspettava un incidente, e ha trovato invece un enorme gregge di pecore. In quel momento capisce di aver passato il confine invisibile tra il mondo reale e quello irreale e caleidoscopico di Alumina, oltre il quale, lo sa, è sacrilego portare le preoccupazioni e gli affanni della vita vera. Quelle vanno lasciate prima di varcare la soglia.

Sono ancora in tempo” mormora, rivolto al muso di una pecora che sta guardando attraverso il finestrino.

In quell'attimo coglie l'assurdità della situazione – lui, uno scrittore famoso, bloccato in macchina in un ingorgo di pecore in un posto letteralmente dimenticato dal mondo, che riesce a trovare carini due tizi barbuti che con ogni probabilità lo hanno già bollato come idiota visto il sorriso ebete. E, per finire in bellezza, ora sta colloquiando amabilmente con una pecora.

Gli sfugge una risata e sente il nodo di tensione e stanchezza annidato nel petto allentarsi. Capisce, finalmente, di essere arrivato.



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Capitolo 3
*** Raphael. L'isola che non c'è ***


Due settimane prima

 

La sua coscienza stava cercando di nascondersi sotto strati e strati di sogni ancora incompiuti, sottraendosi alle forze esterne che la spingevano a riaffiorare in superficie. Rimase per qualche minuto in uno stato di semicoscienza, cercando disperatamente di affondare di nuovo nell'informe groviglio del sonno. Ma la sua mente, minuto dopo minuto, si scrollava lentamente di dosso il torpore, fino a quando non fu costretta a riemergere nella realtà.

La prima cosa che Raphael de Vries percepì, appena sveglio, fu il freddo delle coperte nel letto. Isabelle doveva essersene andata già da un pezzo, e doveva essere mattina inoltrata. Che ore erano?

Si voltò su un fianco, e, per guardare la radiosveglia sul comodino, fu costretto a socchiudere gli occhi, lasciando che la luce liquida del mattino si frantumasse tra le sue ciglia. Le nove e mezzo, constatò, non appena i suoi occhi furono in grado di distinguere le cifre sul display.

Il caffè che Isabelle aveva lasciato per lui sul comodino conservava ancora una leggera traccia di tepore. Raphael si erse al di sopra del mucchio delle coperte e allungò pigramente il braccio per prendere la tazzina. Una misera tazzina, che non sarebbe bastata neanche a fargli recuperare l'energia sufficiente ad alzarsi dal letto, probabilmente, eppure ne aveva bisogno, appena sveglio, come aveva bisogno dell'aria che respirava.

Un cliché scontato, quello della dipendenza da caffeina, pensò ironicamente, portandosi la tazzina alle labbra.

Al diavolo i cliché scontati, fu il pensiero che gli affiorò alla mente nel momento in cui l'amaro intenso del caffè non zuccherato, appena tiepido, gli accarezzò le papille gustative. Certo, non gli avrebbe dato la forza necessaria a trascinarsi immediatamente fuori dalla coperte, ma almeno aveva l'effetto benefico di restituirgli la lucidità.

Per esempio, che aveva fatto la sera prima per essere così stanco?

Ah, già, aveva scritto.

Che strano.

Sì, i ricordi stavano lentamente riaffiorando, tanto da lasciargli ricordare che, come al solito, era rimasto fisso davanti a quel dannato computer fino alle quattro. Sì, riconosceva anche i segni dell'essere stato seduto così a lungo: fitte penetranti alle spalle e un torcicollo straziante, che, nonostante una nottata – o per lo meno, qualche ora – di riposo, gli avevano ancora lasciato degli strascichi fastidiosi.

Un rapido sguardo fuori dalla finestra rivelò un cielo grigiastro, coperto da stralci di nuvole smorte che non promettevano certo una buona giornata. Tanto peggio.

Sospirò, abbandonandosi di nuovo sul cuscino e fissando il soffitto bianco. Cercò di ricordarsi se la sera precedente, almeno, avesse fatto un buon lavoro o si fosse limitato a scrivere qualcosa di innegabilmente e spudoratamente commerciale per la redazione.

Ah sì, era quell'articolo in cui sputtanava il presidente accusandolo di...

Bene, era qualcosa di decisamente commerciale, sospirò, buttando giù l'ultimo sorso di caffè ormai freddo, con l'effetto di farne cadere una goccia sulle lenzuola immacolate. Rimase a fissare la macchiolina che si allargava, più scura, poi leggermente più sbiadita ai bordi. Meditabondo, passò il polpastrello sulla stoffa fino a coprirla.

Qual è stato l'ultimo articolo decente che ho scritto?

Decise che era una domanda troppo difficile per essere fatta di mattina presto.

 

Quando riuscì ad alzarsi dal letto, erano le dieci passate. Quando riuscì a ragionare lucidamente erano passati un'altra mezz'ora e un altro caffè. Non appena recuperò le risorse mentali sufficienti, agguantò il primo della pila dei giornali sul tavolo – un altro dei discreti doni mattutini di Isabelle – e si mise a leggere.

Sfogliò le pagine pigramente, aspirando con soddisfazione il profumo del terzo caffè, godendosi il fruscio della carta che gli era così familiare. Un articolo di cronaca. Un articolo di politica. Un altro articolo di politica. Tutti pezzi di bravura dei suoi colleghi, ineccepibili, per carità, ma degni di ammirazione solo per chi non avesse assistito ai retroscena della loro composizione. La maggior parte erano scritti a tavolino, senza la minima partecipazione. Raphael non capiva perché si ostinasse a rimanere abbonato anche al giornale filo-governativo. Sbuffò d'impazienza, leggendo l'ennesimo resoconto positivo della conferenza tenuta dal ministro degli interni il giorno precedente, e cambiò giornale. Prese l'ultimo della pila, volutamente, sapendo che era quello in cui scriveva lui stesso. Un trafiletto in prima pagina gli strappò un sorrisetto compiaciuto: ecco qual era l'ultimo articolo decente che aveva scritto. Un lavoretto fresco fresco, di appena un paio di giorni prima.

L'isola che non c'è ~ Raphael de Vries

Passatemi la licenza poetica – perché Alumina si trova ancora ben salda sulla terraferma, lo sappiamo bene – ma è difficile trovare un nome più appropriato per definire questo piccolo paese sorto dal nulla, che nella sua insignificanza apparente rappresenta una sfida al governo. Sfida ovviamente – e palesemente – ignorata.

Cercando di soffocare quel sentimento lievemente compiaciuto che sentiva invadergli il petto – andiamo, non era certo la prima volta che vedeva il suo nome su un giornale! - sfogliò le pagine del quotidiano fino ad arrivare alla quarta.

Per quanto quello che in precedenza era il rifugio di poche decine di persone si stia lentamente trasformando in un vero e proprio paese a sé, il nostro governo fa finta di niente. Per loro, come del resto per la legge dello Stato, Alumina non esiste. Eppure continua a proliferare, contando ora diverse centinaia di abitanti.

Alumina, no, non è mai esistita. Neanche all'inizio, mezzo secolo fa, quando, per protesta, un gruppo sparuto di poche decine di pacifisti si insediò in un piccolo paese semi-disabitato e iniziò a vivere in nome del loro ideale di pace e fraternità. Neanche allora Alumina esisteva. In un' unica occasione, è esistita: quando i suoi abitanti annunciarono di voler tagliare qualsiasi contatto con l'esterno e lo stato eliminò loro qualsiasi assistenza sanitaria e umanitaria.

Eppure, un paese senza scuole, senza dottori, senza servizi è riuscito a sopravvivere fino ai nostri giorni. Dovrebbe essere un incubo, ma, di fatto, è per i suoi abitanti una vera e propria isola felice.

Abitanti che non esistono, neanche loro, davanti alla legge. La maggior parte dei colonizzatori originali di mezzo secolo fa è scomparsa, e l'esistenza dei loro figli, mai registrati ad un'anagrafe, è ben lontana dall'essere riconosciuta.

Ma nonostante lo stato continui ad ignorare questo problema, preso da altri ben più gravi, non possiamo fare a meno di porci delle domande. Quanto ancora continueremo ad ignorare questo problema – perché di problema si tratta? Come fanno, queste centinaia di persone, a sopravvivere? Certo il mercato nero non può bastare, soprattutto per determinati beni di consumo. Ma è difficile indagare sul campo, visto che gli abitanti dell' ”isola” ammettono pochissimi stranieri all'interno della loro società, e disponiamo di pochissime testimonianze dirette...

Raphael smise di leggere -quel pezzo lo sapeva a memoria- e si lasciò sfuggire un sospiro soddisfatto. No, l'articolo non era male, ma era soprattutto l'argomento ad interessarlo.

Il punto era che non sapeva ancora bene come porsi nei confronti di quella società così assurda. Da una parte era innegabilmente scettico sulle loro reali condizioni di vita, dall'altra ne era incuriosito. Se solo avesse trovato un modo, una scusa per andare...

...Avrebbe trovato un mucchio di hippies sballati, regrediti ad uno stadio semi-primordiale di civiltà, pensava, sdegnata, la sua parte razionale – che non mancava mai di mettere becco nei suoi affari, del resto.

Eppure il paradosso rimaneva. Da una parte, la società moderna sta andando in declino, minata alle basi, pur essendo regolata da leggi valide. Dall'altra, sembra proprio l'assenza di un qualsiasi apparato politico e legislativo a garantire la sopravvivenza di Alumina.

Quella frase, nel paragrafo finale del suo articolo, gli era costata parecchie riflessioni. Alzandosi e andando a sciacquare soprappensiero la tazzina sporca, pensò che se avesse suscitato riflessioni in qualcun altro oltre a lui, il suo mal di schiena per le troppe ore passate davanti al computer non sarebbe stato invano.

 

Raphael!”

Jules, il caporedattore gli venne incontro, non appena Raphael varcò la soglia dell'ufficio.

Abbiamo pubblicato nel numero di oggi il tuo articolo, hai visto?”

Sai che novità, lavoro qui da cinque anni e ogni mattina vedo...”

Il caporedattore ebbe un moto d'impazienza. “Sì, sì, sottilizza finché ti pare. Ovviamente sai di che articolo sto parlando.”

Quello in cui ho commentato le foto del pres...”

No, non quell'articolo... non ti sopporto, quando fai così” sbuffò Jules. Raphael sorrise, non riuscendo a trascorrere il suo autocompiacimento. Sì, la vanità era decisamente uno dei suoi difetti. “Dai, non arrabbiarti. L'articolo su Alumina l'ho letto stamattina. Come ti è sembrato?”

Jules si strinse nelle spalle. “Un azzardo, come sempre” commentò, asciutto.

Ottimo” esclamò Raphael in tono leggero. “Era quello che volevo che fosse.”

Un azzardo che non servirà a niente.” Il caporedattore scosse la testa, poi aggiunse: “Se non a crearti problemi.” E ad un gesto di insofferenza del giornalista rincarò la dose. “Quanto pensi possa fregare alla gente di una storia di cinquant'anni fa?”

A me sembrava molto attuale, invece, visto che un gruppo di hippies rimasti al '68 si è installato in questa nazione e intende rimanerci fino a quando qualcuno non si decide a sbatterli fuori.”

Questo è quello che vuoi? Sbatterli fuori?”

No, assolutamente.”

Jules lo fissò negli occhi, con un'espressione mista di sfida e scetticismo. Lavoravano insieme da quando Raphael aveva iniziato a scrivere nel giornale, e, dopo diversi anni, poteva dire di annoverarlo tra le persone più vicine a lui. Gli piaceva quell'alone di amicizia e di calore che emanavano a volte i suoi occhi scuri, circondati da piccole rughe. La barba arruffata lo faceva sembrare più vecchio di quanto in realtà non fosse e contribuiva a dargli quell'aspetto un po' informale – l'aggettivo immediatamente inferiore a “trasandato”.

Sì, Jules gli piaceva, decisamente, nonostante caratterialmente fosse il suo opposto. Il suo senso della limitazione e dell'autocontrollo funzionava fin troppo bene, al contrario di quello di Raphael. Per non parlare dell'umiltà, che, se nel caporedattore si articolava in un sentimento quasi cristiano, in lui, doveva ammetterlo, era quasi totalmente schiacciata dal peso dell'orgoglio.

Non voglio sterminarli, se è questo che intendi, Jules” osservò. “Voglio solo... osservarli. Analizzarli da vicino.”

Il silenzio da parte dell'interlocutore lo incoraggiò a proseguire. “Se ci pensi, se davvero fossero contenti della loro vita sarebbe un paradosso. Noi ci siamo affannati per millenni a cercare la legge, la legge giusta, la legge migliore... e ora questa gente viene a dirci che senza legge si vive meglio. Perlomeno,” aggiunse “senza le leggi del nostro stato, che noi abbiamo sempre considerato inviolabili e giuste.” precisò.

Tu ci credi?”

A cosa?”

Al fatto che senza legge, o con la loro legge, vivano meglio di noi.”

Raphael lasciò che la domanda di Jules cadesse nel silenzio per una significativa manciata di secondi. Poi rispose, conciso.

No, non ci credo.”

E allora...?”

Mi domando semplicemente come facciano a sopravvivere.”

Jules si strinse nelle spalle. “Onestamente, abbiamo già abbastanza problemi senza doverci preoccupare anche dei loro.”

Hai ragione anche tu. Però...”

Ho come l'impressione che prima o poi andrai a dare un'occhiata di persona.” Jules lanciò all'amico un'occhiata in tralice, con quello sguardo speciale indirizzato sempre solo a lui, simile all'atteggiamento di condiscendenza bonaria e ironica riservato ai bambini. Raphael si strinse nelle spalle, con un sorriso.

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Capitolo 4
*** Tangerine. Nella luce cieca ***


Il giorno prima

 

Quando la musica ebbe inizio, tutto d'un tratto la realtà divenne un sogno. O era un incubo?

Tangerine non lo sapeva. Ma si immerse volontariamente nel pulsare ritmico della luce che le guizzava sulla pelle e nel ritmo trascinante delle percussioni che sentiva pulsarle nella testa.

Vortici di luce colorata, interrotti solo da brevissimi sprazzi di buio.

La realtà era frammentata, ma conservava, in qualche modo, un'unitarietà che le impediva di andare in pezzi. Ogni istante sembrava ferito e scandito dalle note della chitarra, e allo stesso tempo ricucito insieme a tutti gli altri dai lenti accordi d'organo.

A malapena presente a sé stessa, Tangerine chiuse gli occhi, per avere un attimo di riposo da quella tempesta di luce. Ma solo un attimo dopo si ritrovò precipitata in un limbo dove ogni sorta di consapevolezza era assente. Con le palpebre serrate, sentiva ancora più intensamente il pulsare delle percussioni da qualche parte, in fondo allo stomaco.

Riaprì gli occhi. Le figure di Damien e di David vicino a lei le apparivano frammentate, ogni loro movimento, anche il più fluido, era trasformato in una serie di scatti slegati sotto i flash psichedelici dell'illuminazione. Continuò a ballare sorridendo, gli occhi socchiusi, la luce – ora color del tramonto – che le arrivava negli occhi scomposta dalle ciglia in mille piccoli raggi dorati.

Il ritmo le entrava nello stomaco, nelle ossa, nei muscoli. Sempre di più. Veloce, ancora di più. E dopo una canzone, un'altra. Tangerine si spostò davanti agli amplificatori continuando a ballare.

Si guardò intorno, in uno degli sprazzi di lucidità concessi dall'affievolirsi delle luci, e non vide più né David né Damien accanto a lei. La folla che continuava ad affluire nella sala li aveva separati.

La luce continuava a muoversi, a interrompersi, a cambiare colore, e tutto era irriconoscibile da ciò che era prima ogni secondo che passava, tanto che per Tangerine fu un puro caso cogliere con la coda dell'occhio la figura alta e bionda di Damien abbracciata ad un'altra ragazza che lei non aveva mai visto. Era ogni volta la stessa storia, pensò Tangerine sorridendo, mentre continuava a ballare sempre più veloce ripetendo le parole della canzone tra sé e sé.

Le note dell'organo risuonavano nella sala e creavano strane armonie quasi stonate, scandite dal ritmo furioso e incessante della batteria e dalle sensuali note lancinanti della chitarra, influenzando il pulsare della luce. Il tutto era così irreale da spingerla a chiedersi più volte se stesse sognando o no. Si rese conto che doveva fare uno sforzo immane per rimanere presente a sé stessa, per mantenere ancora un brandello di coscienza ancorato alla realtà visibile.

Poi sentì lentamente due braccia che seguivano il contorno delle sue, poi insistevano lentamente sui suoi fianchi. Credendo fosse David, si voltò, sorridendo, ma si trovò faccia a faccia con uno sconosciuto. Passata la sorpresa iniziale, sorrise anche a lui, praticamente inconsapevole dei quello che accadeva attorno a lei.

Nonostante gli fosse molto vicina, non si rese conto del suo aspetto. Riusciva a percepire, in quella strana atmosfera, solo una serie di dettagli slegati che non riusciva a ricomporre tra loro per formare un viso: la linea forte del suo collo, le ciglia folte, la forma dell'attaccatura dei capelli che proseguiva negli accenni di barba sugli zigomi. Non riuscì a distinguere neanche il colore dei suoi occhi.

Erano tutti precipitati in una dimensione onirica, e Tangerine, sebbene non avesse assunto spesso stupefacenti o allucinogeni, con l'ultimo brandello di coscienza che le rimaneva riconobbe una certa somiglianza con la trance della droga. Si portò all'interno del cerchio formato delle braccia dello sconosciuto che la circondavano, continuando a ballare con ancora più vigore, sempre con il sorriso sulle labbra, con i muscoli che pulsavano a rimo con la musica, l'assolo di organo che era appena iniziato che rimbombava nelle orecchie, un lontano calore di felicità nel petto.

Fu a malapena consapevole delle mani dell'uomo sui suoi fianchi che la accarezzavano lentamente. Si limitò ad accettarle con una sorta di soddisfatta acquiescenza, e a sua volta circondò con le braccia ossute la nuca dell'altro. Trovava difficile ballare a ritmo con il corpo costretto in quell'abbraccio, ma piuttosto che liberarsi preferì muoversi più lentamente, assecondando il ritmo sensuale delle sue braccia. Socchiuse le gambe per accogliere quella di lui tra le sue e si strinse al petto dello sconosciuto, in trance, chiedendosi se stesse accadendo davvero, se davvero le mani di quell'uomo si stessero muovendo con delicata insistenza sulle sue spalle, se lei stessa fosse stretta a qualcuno di cui non conosceva neanche il nome.

Ma la musica continuava, la luce le martellava gli occhi e la coscienza, frantumandola in mille vetri colorati. Quando l'uomo abbassò lentamente la bocca sul suo collo, forse mormorando qualcosa, si lasciò sfuggire un sospiro sorpreso. Continuava a ballare, ma era sempre più consapevole di quelle labbra così vicine alla sua pelle. Sentì di nuovo quel calore di tenerezza nel petto, e quella sensazione di trasporto fiducioso. Poi capì che non era questo che voleva, e tutt'a un tratto si sentì soffocare. Puntando le mani sul suo petto, lo allontanò gentilmente da sé sciogliendosi da quella stretta che tutt'a un tratto aveva sentito come pericolosa, e si allontanò prima che lui, presente a sé stesso tanto quanto lo era Tangerine, potesse reagire.

Si fece largo tra la folla, reggendosi a stento sulle gambe. Voleva uscire, prendere una boccata d'aria. Aveva bisogno di quiete e di buio: quella luce e quel frastuono le erano diventati intollerabili. Mentre stava per raggiungere l'uscita sentì una mano sulla spalla, e si sentì mancare il respiro. Era quasi certa di sapere chi fosse e si voltò bruscamente, pronta a delle scuse, delle giustificazioni – ma per cosa, poi? - ma vide il volto familiare di David, e ciò bastò a tranquillizzarla.

Tangie? Che fai, esci?”

Si, sono un po' stanca. Tu continua pure.”

David scosse la testa e la sua mano spinse gentilmente la spalla di Tangerine verso l'uscita.

No, esco anche io. Stasera tutta questa luce mi fa uno strano effetto.”

Anche a me.”

Con la sua mano amica sulla spalla, Tangerine si sentì meglio. In fila indiana proseguirono ancora verso l'uscita fino a raggiungere la porta. Quando furono fuori, all'aria aperta, le sembrò di riprendere a respirare. Quello attorno a loro non si poteva definire certo un ambiente civile – niente pub, niente di niente, solo quel campo pieno di sterpi e qualche casa nei dintorni – ma non poteva lamentarsi: almeno poteva stare da sola, in silenzio. Si abbandonò su un muretto, rabbrividendo per il contatto della pietra fredda e ruvida sulla pelle, e inforcò gli occhiali da sole, che aveva portato per tutta la sera sulla fronte.

Perché non posi quegli occhiali?” si lamentò David, appoggiato al bordo della panchina, poco lontano da lei. “Sono inutili. Tanto qui non ti vede nessuno.”

Tangerine non rispose, un po' per ignorarlo deliberatamente, un po' perché era troppo impegnata a riprendersi. Con la testa rovesciata all'indietro, guardava la luce della luna e delle stelle, anche se affievolita notevolmente dalla barriera scura delle lenti.

Tangie? Ma che hai?”

Sono stanca” mugugnò. Non aveva intenzione di dirgli quello che era successo, non per i prossimi cinque minuti, almeno – sapeva che prima o poi, David le avrebbe estorto le informazioni che voleva. Ma, per il momento, non voleva che lui sapesse. Si sarebbe fatto una risata, ed era l'ultima cosa che lei avrebbe gradito, in quello stato, quando non sapeva neanche lei per quale motivo si fosse comportata in quel modo.

Hai bevuto?” si informò lui.

Poco” fu la laconica risposta.

David si passò una mano tra i capelli ricci e scuri, con un gesto che gli era familiare. Tangerine, guardandolo attraverso le palpebre semichiuse, non poté fare a meno di provare un moto d'affetto.

Bè, quelle luci hanno fatto un certo effetto anche a me. Ma tu sembri davvero a pezzi.”

Se non lo fossi non starei qui semi sdraiata su un muretto, al freddo, in mezzo al nulla.”

Sperò che David dicesse ancora qualcosa di gentile nei suoi confronti, ma lui rimase in silenzio. Evidentemente, aveva esaurito la sua scorta di sollecitudine per l'intera serata.

E tu? Di solito neanche tu ti fai impressionare da così poco, Dave” lo stuzzicò, cercando di provocare in lui una qualche reazione. Ma ora era il suo turno di stringersi nelle spalle e rimanere in silenzio.

Hai bevuto?” le parti si erano invertite, ma nonostante lei si aspettasse una risposta, lui continuò a non proferire parola.

Rimasero qualche minuto in silenzio, mentre Tangerine, ancora appoggiata al muretto, respirava lentamente – gli occhi schermati dalle lenti ancora fissi nel nero del cielo – cercando di recuperare lentamente la lucidità.

Senti, Tangie, ti senti meglio? Perché se non hai bisogno di me, torno dentro.”

Tangerine sollevò la testa e lo guardò. “Fino a due minuti fa hai detto che non ti sentivi bene.”

Sì, ma non è niente di che. Solo... non mi va di passare una serata qui fuori a non far niente.”

Lui era fatto così, lunatico fino allo spasmo, contraddittorio e umorale. I suoi attimi di gentilezza erano irresistibili, ma rari, piccole scintille che duravano troppo poco per scaldare davvero. E quando David faceva così, l'unico modo era assecondarlo e non prendersela.

Vai pure, non mi serve niente.”

La figura di David, alta e snella e quasi androgina, era già scomparsa pochi attimi dopo, inghiottita dal buio, e a Tangerine non rimase che seguirla con lo sguardo.

Quando le sfuggì un sospiro dalle labbra e lo vide condensarsi in una nuvoletta di vapore si accorse di avere freddo. Abbassò lo sguardo e vide le gambe nude, coperte solo dalla stoffa del leggero vestito ricamato che le arrivava a mala pena alle ginocchia, e notò che aveva la pelle d'oca. Rabbrividì, rimpiangendo lo scialle di cotone che aveva lasciato all'interno del locale.

Faceva davvero troppo freddo. Dopotutto era appena maggio, e l'ultima cosa che Tangerine voleva era beccarsi un bel raffreddore per essere stata esposta al gelo di un'umida sera di inizio maggio, visto che pochi giorni dopo, su quel palco di quella stessa sala, avrebbe dovuto esserci lei a cantare. Decise di andarsi almeno a riprendere lo scialle.

Si alzò con cautela, un po' traballante sulle zeppe altissime, e il suo movimento fu accompagnato dal tintinnare dei braccialetti. A passi cauti, gli occhiali ancora ben saldi sul naso, si avviò verso l'interno.

Tangie!”

Dal buio le venne incontro un'altra figura, stavolta più massiccia e dai capelli chiari, che, non appena la distanza si ridusse, si rivelò essere Damien. “Stai bene?”

Sì, sì, certo che sto bene” rispose lei, appoggiandogli affettuosamente una mano sulla spalla. No, dalla sollecitudine di Damien non era affatto stupita, al contrario di quella di David. Nonostante fossero fratelli, erano differenti in modo impressionante. “Ero solo un po' stanca, e David mi ha accompagnato fuori?”

Stavi rientrando?”

Sì, ho freddo.”

Damien annuì e le cinse anche lui le spalle con il braccio muscoloso. “Ti accompagno.”

Percorsero a ritroso la strada verso il locale, in silenzio. Poi il ragazzo si lasciò sfuggire un sospiro pesante di rabbia.

Quell'idiota” sibilò tra i denti. “Lasciarti sola di notte in un posto come questo. E stavi anche male.”

Damien, non stavo male” ripeté pazientemente Tangerine, divertita sempre di più dalla sua sollecitudine. “A proposito, come hai fatto a incontrare David, in tutta quella folla?”

L'ho visto all'entrata, proprio nel momento in cui è tornato. Gli ho chiesto dov'era stato e mi ha risposto che ti aveva accompagnato fuori perché non ti sentivi bene, allora sono uscito subito a cercarti.”

E la ragazza?” Domandò Tangerine in tono provocatorio.

Quale ragazza?” Damien era elusivo, ma non sapeva fingere.

Quella con cui eri impegnato in un... colloquio.” Sorrise allusiva, scegliendo accuratamente le parole.

Ah, quella” borbottò lui, fingendo di cadere dalle nuvole. “Bè, l'ho lasciata lì all'entrata dicendo che dovevo uscire un attimo. Non credo che l'abbia presa molto bene. Cercherò di evitarla, quando rientriamo.”

Tangerine ridacchiò.
“Che scemo. L'hai mollata per venire da me?”

Sì.”

Idiota.”

Bel ringraziamento” mugugnò.

Oh, non te la prendere. Lo sai che lo dico per il tuo bene” lo blandì lei, salvo poi pensare che era ovvio che a Damien non importasse più di tanto, visto che ad ogni concerto – suo o di qualcun altro – trovava una ragazza diversa, e certo, anche solo la sera dopo, avrebbe potuto rifarsi.

Comunque” riprese, cambiando argomento “che pensiamo di fare al concerto? Vuoi suonare qualcosa in particolare?”

Non so. Vedremo domani” fu la laconica risposta.

Certo l'organizzazione non è il nostro forte, eh?”

Oh, via, Tangie” protestò Damien, tirando un debole calcio ad un sasso sulla strada sterrata e facendolo rotolare via. “Non è poi questo granché, il concerto. Si tratta di suonare un'oretta per far ballare quella gente.”

Però quelli di stasera sono bravi” obiettò lei. “Li conosci?”

La bassista sì. È un'amica di Robert... l'ho conosciuta una volta.”

Tangerine ridacchiò fra sé, identificandola come una delle probabili precedenti groupies di Damien.

Bè, sono bravi. Vediamo di non sfigurare. Dave è in forma decente?”

Sembrerebbe di sì. È qualche giorno che non tocca un tasto, ma per lui è normale. Tu piuttosto, sbrigati a rientrare. Se perdi la voce per il freddo è finita” tagliò bruscamente Damien.

Dammi la tua giacca allora” esclamò Tangerine, e, vedendolo stringersi nelle spalle con quell'espressione tra il divertito e il rassegnato, gli sfilò con qualche difficoltà il giubbotto di pelle tirandolo dalle maniche. Lo indossò, ridendo soddisfatta, nonostante fosse enorme per lei – le sue spalle erano larghe, ma spigolose, e non potevano certo competere con quelle larghe e muscolose dell'amico. Se lo avvolse intorno al torace come una coperta, avvertendo un piacevole senso di calore. Era ancora tiepido.

Grazie.”

Possibile che tu non ti porti mai una giacca decente, Tangie? Dovrò regalartene una” borbottò bonariamente Damien, sistemandogliela sulle spalle.

Ho lasciato il mio scialle dentro. Appena lo riprendo te la restituisco.”

In realtà sapeva benissimo che Damien gliela avrebbe fatto portare fino a casa, per paura di farle prendere freddo. Affondò il viso nel bavero e aspirò con soddisfazione il profumo di tabacco dell'amico.

 

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Procede un po' a rilento causa scuola, ma procede.

Ringrazio infinitamente la cara Lucy Beetle che ha commentato (grazie per la recensione, e per i tuoi complimenti :3 ) e anche tutti gli altri che hanno inserito questa storiella tra le "seguite" o tra le "ricordate". O che hanno anche letto e basta. Grazie.

Cymbaline ~

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