Starless Night di Sybelle (/viewuser.php?uid=28445)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Gioco di Sguardi ***
Capitolo 2: *** Presentazioni ***
Capitolo 3: *** Posso esserti amico? ***
Capitolo 4: *** Forse ti capirò ***
Capitolo 1 *** Gioco di Sguardi ***
Ebbene, questa è la nuova Starless Night. La vecchia l'ho
appena cancellata da EFP.
I contenuti non cambiano, fondamentalmente. Cambia lo stile, cambia la
profondità; ci saranno nuove prospettive, nuovi significati:
spero di rendere questa storia più bella, più
fluida.
Ringrazio tutti coloro che rimarranno al mio fianco, seguendola nuovamente.
E ringrazio tutti coloro che vorranno leggerla ora per la prima volta.
Ci vediamo a fine capitolo!
Gioco di
Sguardi
Le luci psichedeliche della sala da ballo accecavano i giovani
ballerini, annebbiando le loro menti e rendendo ancora più
invitanti i drink ristoratori, freschi e rigorosamente alcolici;
accaldati, ragazzi e ragazze si accalcavano intorno al bancone
dell'angolo bar, esibendo il biglietto che permetteva loro di ottenere
un drink gratis.
Altri, che già avevano sfruttato l'occasione, esibivano
invece banconote d'ogni tipo.
Tra questi, particolarmente convinta sembrava una ragazza,
già piuttosto ubriaca.
Era bella, molto: la pelle dorata era liscia e priva d'imperfezioni,
mentre gli occhi verdi brillavano svegli; era frizzante, era viva. E
voleva bere!
Dietro di lei, un'altra ragazza: meno bella, più comune.
Questa ragazza era seccata, nervosa, e di certo non si
stava divertendo.
"Diana!" Chiamò.
La bionda (perchè la bella ragazza assetata portava un corto
caschetto spettinato e biondissimo) la ignorò, o forse non
la sentì: "Ehi bel giovane, da questa parte, una vodka
lemon!! Ehiiii!"
La sua amica sospirò, irritata, e questa volta prese l'altra
per un braccio, portandola via con energia: "Diana, ascoltami! Dobbiamo
andare, è tardi!"
"Ma Micol, io devo
rimorchiare!!" Protestò l'altra, dimenandosi.
Micol la guardò perplessa, incapace di proferire parola:
"Sono... Sono le quattro di notte, sei impazzita?!?!?! Domani dobbiamo
andare all'Università, ed io vorrei dormire!"
Diana sembrò pensosa, incerta sul da farsi; poi, esibendo un
grandissimo sorriso, disse solo: "Allora prendimi!"
Sfuggì all'amica e corse via, lasciandola lì,
sbigottita.
Micol non poteva di certo definirsi una cattiva ragazza, anzi: la
pazienza era una delle sue virtù; ma in quel momento
desiderava solamente prendere il collo di Diana e stritolarlo, come si
fa coi polli.
La pista era affollata, buia, e la massa danzante era informe ed
omogenea: trovare Diana lì dentro avrebbe richiesto troppo
tempo, ed una dose di pazienza extra che lei non possedeva; per fortuna
quel posto (il Prince, discoteca piuttosto affermata) constava anche di
un secondo piano, dal quale era possibile vedere la pista sottostante.
Evitando pozze di alcool, bicchieri rotti, gente ubriaca e ragazzini
dallo sguardo vacuo, riuscì a raggiungere il piano
superiore: un ragazzo la guardò malizioso, ma lei non lo
considerò nemmeno.
Diana era sempre alla costante ricerca di un ragazzo, e si sentiva
persa senza: inutile, vuota.
E Micol questo non lo sopportava. Micol non sopportava l'idea che una
donna si sentisse incompleta senza un uomo; a Micol non piaceva che una
donna cercasse un uomo per un motivo del genere.
La giovane aveva avuto storie, in passato: storielle adolescenziali,
nulla di importante; ed ora poteva affermare senza alcun dubbio di
stare molto bene
da sola.
Finalmente vide la propria amica: quella sciagurata si scatenava -dando
spettacolo- al centro di un gruppetto di ragazzi; sospirò,
sfinita: il giorno dopo gliel'avrebbe fatta pagare, oh sì.
Il suo sguardo viaggiò veloce lungo l'intero locale, e senza motivo si
soffermò sul bancone del bar. E fu strano, a quel punto,
ritrovarsi ad affrontare un insistente sguardo ambrato.
*
Si trovava al Prince più per caso che per voglia: non amava
le luci al neon, né quella musica caotica e quello scatenato
modo di ballare, così sgraziato e spesso volgare.
Ricordava con nostalgia gli eleganti balli dell'Ottocento, le allegre
fiere medievali e la musica sicura e tonante del giovane Mozart.
Nei secoli tanti aspetti della vita erano mutati inesorabilmente: un
tempo i giovani non si divertivano di certo a quel modo; né,
tantomeno, ragazzi e ragazze si conciavano così pur di
piacere.
Da quando era entrato aveva già notato parecchie coppie
appartarsi, senza mai essersi viste o conosciute prima; e il dialogo,
il valore dell’animo umano? Dove finivano in quello
sfavillante secolo?
Si era sentito un po’ solo, forse. Da tanto non abbracciava
una persona amata!
Che fosse stata la solitudine a spingerlo lì? Sia ragazze
che ragazzi gli si erano avvicinati, ma nessuno di loro avrebbe mai
potuto colmare quel vuoto;
li aveva attratti involontariamente, e liberarsene era diventato quasi
seccante.
Odiava i propri poteri. Il naturale fascino era di certo
un’arma vincente quando si trovava a caccia, affamato:
purtroppo era una lama a doppio taglio, che lo vedeva oggetto
d’innumerevoli attenzioni da parte dei mortali, accecati
dalla sua bellezza.
Ma come spiegare loro che ciò che più desiderava
era essere amato per la propria anima?
Voleva una compagna –od un compagno- che avesse occhi non
solo per i suoi pregi, ma anche per i suoi difetti.
Rise, ed il suo candido sorriso sbalordì e
ammaliò le persone più vicine.
Davvero voleva tornare ad
amare? E chi? Non conosceva vampiri e vampire
interessanti, e legarsi ad un umano sarebbe stata solo
un’inutile seccatura.
Eppure … I suoi sensi erano all’erta.
Troverai la persona
giusta!, dicevano.
ORA!
E allora si era voltato, come faceva da due ore a quella parte, verso
l’entrata; infatti erano appena arrivate due ragazze.
La prima era bellissima: fisico formoso e tonico, sguardo seducente,
sorriso da ragazzina e capelli biondo sole.
Indossava un minivestito verde scuro che risaltava la pelle abbronzata,
e si muoveva a suo agio sui tacchi di tredici centimetri, evitando le
persone e facendosi strada.
Lesse un solo, chiaro messaggio nei suoi pensieri: trovare un
bellissimo ragazzo.
Sorrise, ridendo di quella smania d’apparire; era
così giovane, così ingenua…! Quanti
anni? Diciannove, poco meno!
Era giunta al Prince con la propria migliore amica; si prese il tempo
di osservarla.
Era più alta e più asciutta della bionda, ma i
suoi muscoli erano anche più allenati (nuoto,
palestra… boxe? Possibile?).
I capelli, legati in una treccia ordinata, erano lunghi e castani,
mentre gli occhi (vigili, come se avesse voluto mantenere il controllo
sull’intera sala), contornati da un filo di matita nera,
erano di un castano più chiaro.
Indossava vestiti più economici e meno appariscenti di
quelli dell’amica, e sul viso pallido si delineava di tanto
in tanto un sorriso corrucciato.
Non era bella ed attraente quanto l’altra ragazza, eppure
rimase soggiogato da quel viso e da quel corpo: la trovava meravigliosa.
Effettivamente, a voler essere sinceri, lui trovava del bello in ogni
cosa (anche nella più abominevole); poche volte,
però, rimaneva a bocca aperta.
Quella ragazza lo incuriosiva: vedeva qualcosa di totalmente diverso in
lei.
La osservò, carpendo dai discorsi con l’amica
–che lui sentiva perfettamente, solo concentrandosi sulle
loro bocche- e dai pensieri di entrambe sprazzi della loro vita e della
loro personalità.
La bionda si chiamava Diana, aveva diciotto anni e, come aveva
immaginato, stava disperatamente cercando un principe azzurro (o
lillà, blu, magenta… insomma, le bastava che
fosse un uomo e respirasse); era una ragazza dal cipiglio deciso e
dall’ubriacatura veloce, come poté presto
constatare.
L’altra… L’altra era Micol.
Subito pensò che in ebraico significava “colei che
regna”.
Oh, ed aveva una personalità degna di una regina! Diciannove
anni, pochi soldi in tasca e tanta praticità: aveva la testa
sulle spalle.
Vide nei suoi pensieri la rabbia nei confronti dell’amica,
che l’aveva costretta ad uscire; vide nei suoi pensieri le
sue idee sull’amore (come la comprendeva!); e vide, cosa
più importante, la scuola che frequentava.
Si perse nell’ammirarla, così leggiadra e sicura
di sé, e sorrise compiaciuto quando anche lei
notò la sua presenza.
*
Ricambiò lo sguardo, ma notando che il misterioso
osservatore non si decideva a distogliere gli occhi da lei, non
tardò a voltarsi per prima, mentre il suo animo oscillava
tra l’irritazione e l’imbarazzo.
Scese di corsa le scale, inciampando più volte sui corpi
esausti di ragazzi che il giorno dopo non si sarebbero ricordati di
niente, e quando arrivò alla pista la percorse in tutta la
sua lunghezza, arrivando subito dall’amica.
Quella, sbronza, ballava (o meglio, si dimenava) come una forsennata e
ammiccava maliziosamente in direzione di chiunque le capitasse a tiro.
Le prese il polso, tirandola verso di sé: “Forza
Diana, dì ciao al tuo amichetto, dobbiamo andare!”
La bionda obbedì di buon grado, agitando la mano e salutando
tutti con voce cantilenante, mentre si allontanava sospinta dalla
bruna, che agguerrita si apriva la via verso l’uscita.
Lottò ed arrancò, ma alla fine riuscì
a guadagnare la porta: una volta fuori respirò a fondo la
fresca aria notturna, sollevata.
Si incamminò verso la strada, dove una navetta le avrebbe
riportate vicino a casa; indossò la giacca, costringendo
l’amica a fare lo stesso.
“Ehi Micol, chi è quel tizio tutto alto con la
torcia?” Esclamò ad un certo punto Diana,
sgranando gli occhi ed indicando un punto imprecisato dietro la sua
schiena.
La ragazza, stupita, si voltò a guardare, scoprendo che la
sua cara compagna ubriaca non riusciva più a distinguere una
persona da un lampione;
sospirò, amareggiata, chiedendosi perché proprio
a lei fosse capitata una migliore amica del genere.
Prima di distogliere lo sguardo, però, notò un
particolare ben più sorprendente: lo stesso individuo di
prima era appoggiato a quello stesso palo della luce e seguitava ad
osservarla.
Era giovane, era vecchio? Impossibile a dirsi. Poteva avere qualunque
età.
L’ovale del viso –pallidissimo, ma probabilmente
era solo un effetto dovuto al lampione ed alla notte- era circondato da
lunghi capelli scuri; alla luce del lampione le sembrarono rossi, o
comunque ramati, ma non ne era certa.
Lo guardò per poco meno di un istante, ma le parve bellissimo. Non
c’era nulla di stonato in quella presenza, che sembrava quasi
fondersi con l’ambiente circostante.
Lui schiuse la bocca, forse per parlare, ma la navetta
arrivò proprio in quell’istante e Micol non
esitò a salirci sopra, trascinando con sé
l’amica mezza addormentata.
*
La vide allontanarsi, con l’animo in tumulto.
Cosa voleva dirle, prima? Perché voleva parlarle?
Prese dalla tasca dei pantaloni un registratore, che accese:
“Non so cos’abbia Micol Hale di
diverso da tutte le altre, anzi, si direbbe una normalissima ragazzina.
Sono tormentato: seguirla o lasciarla andare? Ora che non è
più qui, questa notte mi appare insignificante.”
*
“Diana!! Diana, Diana, DIANA! Svegliati!”
Una forza sconosciuta la strappò a forza dalla dolce
dimensione onirica in cui era piombata, costringendola ben presto ad
aprire gli occhi..
Scoprì così che la forza sconosciuta non era
altro che Micol, che urlava come un’ossessa, maledicendola
ogni quattro parole.
“Mic, piantala! Ho un gran mal di testa, lasciami
dormire!” Mugugnò con la voce impastata dal sonno,
stiracchiandosi e sbadigliando.
La ragazza perse completamente la testa: “CALMARMI?? Io
dovrei calmarmi??? Tra un’ora abbiamo lezione!”
Diana rimase un momento in silenzio, come imbambolata, poi si
rianimò di colpo: “NON CE LA FAREMO MAI!”
Balzò giù dal letto e quando si trovò
davanti allo specchio si spaventò nel vedere il viso pallido
ed il trucco rovinato: “Oh cielo!”
Seguì l’apocalisse: vestiti dovunque, libri
ammucchiati nelle borse senza un ordine logico e, naturalmente, urla
isteriche provenienti da entrambe.
Micol incolpava Diana di essere una testarda alcolizzata che non dava
retta a nessuno, mentre Diana, dal canto suo, accusava Micol di non
essere stata abbastanza convincente la sera prima. Rimandarono comunque
i battibecchi, così da poter risparmiare tempo, e riuscirono
a salire sul metrò giusto in tempo per arrivare in orario
alle lezioni.
Una volta a bordo nulla impedì alle due di litigare in santa
pace, finchè non trovarono il giusto compromesso e non si
stancarono di discutere.
Diana non voleva assolutamente fare cattiva impressione durante le
prime lezioni e proprio per questo pregava con tutte le forze che
arrivassero in tempo; Micol, intanto, per distrarsi un attimo si mise
ad osservare i passeggeri, immaginandosi le loro vite ed i loro
caratteri.
E quasi le venne un colpo, quando notò un viso
improvvisamente familiare...!
Se ne stava lì, elegantemente seduto con le mani in grembo,
a scrutarla; a sua volta era osservato da tutti i passeggeri
lì attorno, ma non sembrava curarsene. Inutile dire che il
principale motivo di tanto interesse da parte dei presenti era la sua
innata bellezza, perfetta in maniera quasi agghiacciante.
Non sorrideva, ma non sembrava per questo serio o cattivo: piuttosto le
sembrò assorto.
I suoi occhi presentavano dolci riflessi caramellati, mentre
l’oro ed il castano si fondevano in un unico colore.
L’ultima cosa che ebbe modo di notare, prima di scendere
velocemente dal mezzo, fu che i suoi capelli all’ombra
apparivano neri.
*
Aveva commesso l’ennesimo errore seguendola? Probabilmente
sì.
Era sembrata così spaventata! Eppure, nonostante
l’evidente spavento, non era scappata; aveva ancora una volta
affrontato i suoi occhi, osservandolo attentamente.
Era una donna forte, lo percepiva; ma era ancora tanto giovane...!
Basta, doveva evitarla. Non doveva più cercarla,
né doveva continuare ad atterrirla con la sua presenza;
doveva placare quella voglia, quella fame di vederla.
Scese in una fermata a caso, allontanandosi subito dalla calca di gente
che affollava la stazione.
“Cuore mio, cuore mio, smettila di palpitare!”
Bisbigliò a se stesso, domandandosi il motivo per cui il
proprio avvizzito organo aveva improvvisamente ripreso a battere tanto
intensamente.
Era lei? Era l’umana a renderlo...umano?
“Dunque anche un vecchio vampiro come me può
ricadere sempre negli stessi errori?” Si chiese, mentre
l’aria carezzava dolcemente (o era forse forte quel vento?
Quasi non lo sentiva!) il suo corpo.
Prese nuovamente il registratore, che accese con aria distratta:
“Sento il bisogno di donarle qualcosa. Mi sembra povera
economicamente; io invece sono ricco e solo. Potrei renderla la mia
regina, potrei farla felice. Ma non può funzionare ed io mi
sento soccombere già. Perché le do tanto peso?
L’ho solo vista. Non ha nulla che altre donne ed altri uomini
possano invidiarle.”
Sospirò, ripercorrendo il profilo di quel bel viso con la
mente: sentì l’impulso di rivederlo ancora e
ancora, per il resto della sua esistenza.
Lei non ha importanza
per me, si disse, ma il suo stesso viso lo
tradì sorridendo appena.
Portò ancora alle labbra il piccolo apparecchio elettronico:
“Credo che questo sia ciò che gli uomini chiamano colpo di
fulmine. Che gli dei mi proteggano.”
Lo spense, rimettendolo in tasca.
Ad est c’era il centro cittadino, a nord la campagna, ad
ovest la sua villa, a sud l’Università.
Corse più veloce del vento, per arrivare pochi secondi dopo.
Così vecchio
e così sciocco!, si disse.
Troppo tardi, ormai era dentro.
Fine primo capitolo
Che dire? =)
Aspetto pareri!
Ah, per chi non avesse seguito la storia da prima e non lo sapesse: non
vuole in alcun modo essere un plagio di Twilight.
È solo una storia che volevo scrivere da tempo.
Lasciatemi un commento,
se il capitolo vi è piaciuto.
Sybelle
Un disegno di...DIANA.
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Capitolo 2 *** Presentazioni ***
Presentazioni
Non che
fosse una tipa
particolarmente paranoica, ma
stranamente la prima ed unica ipotesi che era riuscita a immaginare era
quella
dello stalking.
Si diede della stupida: come
poteva subito pensare al peggio?
Esistevano le coincidenze, fino a
prova contraria; poteva persino essersi sbagliata, no?
Magari lui non la stava fissando
come credeva!
No, fuori questione. Il suo
cervello razionale si ribellò alle casualità
della vita, preferendo ad esse il
sospetto.
Micol del resto sognava di
diventare una famosa detective, l’intuito di certo non le
mancava.
Scese dal treno, dunque, immersa
nei pensieri più cupi, ringraziando il cielo nel constatare
che quell’individuo
non fosse sceso con loro.
“Micol...? Micol...? MICOL!”
Sussultò, mentre Diana le passava
una mano davanti agli occhi, cercando invano di attirare la sua
attenzione.
“Ci stai pensando anche tu eh?”
Esordì la ragazza, esibendo un gongolante sorriso malizioso.
“Pensando a cosa?” Chiese
distratta, tentando di comprendere l’eccitazione
dell’amica, pur non giungendo
a grandi risultati.
Diana parve sognante, se non
addirittura estasiata, nel rispondere: “Ma a LUI!
Non vorrai mica farmi credere di non averlo notato?!”
Domandò
dunque stizzita, come se Micol avesse compiuto così uno
scandaloso crimine.
Rimase sul vago, senza incrociare
il suo sguardo: “Forse, ma spiegati meglio.”
La bionda non se lo fece ripetere
due volte e subito si dilungò in un’appassionata
descrizione: “Era davanti a
noi, indossava una maglia nera, bellissima,
e dei pantaloni scuri a sigaretta, divini!
Aveva i capelli scuri e lunghi, veramente lunghi
–ma come sembravano
curati!-, la pelle bianca e perfetta e gli occhi... Oh, ma non hai
visto come
ci guardava?!”
Micol si ritrovò a pensare,
piuttosto egoisticamente, che Diana non centrasse niente:
provò una sorta di
odio verso l’amica, che riteneva di essere stata guardata da
quel tale.
Ebbe l’impulso di dirle che no,
non guardava tutte e due, che lui guardava lei. Lei soltanto.
Ma si sentì immediatamente
stupida ed infantile, e si limitò ad annuire col capo.
“L’ho visto ieri al Prince,
comunque.” Aggiunse, giusto per non sembrare troppo fredda.
“DAVVERO? Ma allora è del posto!”
Esultò Diana, esibendo un enorme sorriso.
“Sai Micol...”, disse subito
dopo, aggrappandosi al braccio dell’amica,
“...Credo di aver visto la mia anima
gemella!”
“Non esagerare, dai...!” Commentò
con un vago sorrisetto poco convinto, cercando di apparire tranquilla.
Non
dire cazzate!
Quanto
avrebbe voluto
urlarglielo!
*
“Signora,
mi scusi, non vorrei interromperla
mentre svolge il suo prezioso lavoro. Mi vedo d’altronde
costretto a chiederle
l’ubicazione dell’aula quattro. Sarebbe possibile
forse?”
La signora delle pulizie credeva
ormai di aver visto praticamente tutto, in cinquantotto anni di vita e
trenta
di onorata carriera; ma mai, mai aveva
visto un giovane –o forse era un uomo?- così
galante, ben educato e ... sexy.
Avvampò come una ragazzina,
balbettando inebetita la risposta.
“Lei è stata davvero gentile. La
ringrazio per la cortese informazione.” Dopo averla
abbagliata con un sorriso
perfetto –ed averla messa in totale imbarazzo-, si diresse
nella direzione
indicatagli.
Trovò immediatamente l’aula, vi
entrò e si sedette in un posto a caso; la classe era
costituita da sessantadue
membri, dunque era piuttosto piccola, e la maggioranza di questi era
maschile.
La sua ricerca sarebbe stata
rapida.
Ed eccola là, infatti, la
preziosa Micol!
Qualche banco più in basso vide
infatti una lunga chioma castana, le cui lisce ciocche terminavano in
piccoli
boccoli ordinati. Micol sorrideva divertita all’amica, che le
sedeva proprio
affianco.
Le due stavano controllando l’una
gli appunti dell’altra, divertendosi forse nel notare le
incongruenze e gli
errori dovuti alla distrazione.
Sentì l’impulso selvaggio di
richiamare la sua attenzione.
Che pensiero stupido ed
infantile!
Si prese il tempo di ammirarla;
notò che il suo viso era un po’ allungato e che la
sua pelle era liscia e
pulita; non si truccava molto e non era una che badava troppo
all’apparenza ed
alla bellezza.
Diana, l’amica bionda, al
contrario sembrava attentissima al proprio aspetto, pur non volendo
apparire
una ragazza facile o, ancora peggio, di cattivo gusto.
Vederle nella loro quotidianità
gli fece un certo effetto: erano entrambe sorridenti e rilassate,
ragazzine
giovani e semplici.
Per esempio Diana la sera prima
gli era sembrata vanitosa e oca,
usando il gergo moderno, mentre in classe appariva simpatica e gioviale.
Micol gli sembrò più coerente:
una persona pacata che sapeva sia adattarsi che prendere in mano la
situazione.
Il suo sorriso era così dolce!
Ma non poteva perdersi in certe
sciocchezze da mortali: il professore era entrato.
Così, mentre l’uomo aggiustava la
sua cartellina ed i suoi oggetti personali, lei, come era
già successo altre
tre volte dal giorno prima, si girò ed incrociò
il suo sguardo.
Allo spavento seguirono la rabbia
e l’indignazione, a loro volta seguite dal sospetto; non
scappò dai suoi occhi,
anzi, li affrontò con rara determinazione.
In quei pochi secondi
combatterono fieramente.
Chi avrebbe distolto lo sguardo?
*
Si
sentiva osservata. Di nuovo. E
lei ODIAVA sentirsi osservata.
Per tutta la vita aveva lottato
contro i pregiudizi altrui, così quando sentiva un paio
d’occhi su di sé subito
avvertiva un nuovo giudizio; la irritava.
Non poteva comunque giungere a
conclusioni affrettate: doveva scoprire se davvero la stessero
guardando.
Si girò e per l’ennesima volta si
trovò ad incrociare lo sguardo magnetico del tizio
affascinante.
Il cuore ebbe un sussulto. Paura.
Chi era? Non l’aveva mai visto prima: né a
lezione, né in città, né in
discoteca... Eppure dalla sera prima era diventato onnipresente.
E continuava a fissarla con quei
suoi occhi splendidi, come a volerla intimorire!
No, non era mai esistito che
Micol Hale, la spavalda, avesse avuto paura di qualcuno, e non sarebbe
successo
mai; nemmeno se ad atterrirla era quell’inquietante ed
attraente ragazzo
(uomo?).
Avrebbe ricambiato lo sguardo ed
avrebbe messo in ginocchio quel miserabile figlio di ...!
L’avrebbe costretto a distogliere
quegli occhi maledettamente sexy da lei; lui le sembrò
sorpreso, ma pronto
comunque a vincere la sfida che gli lanciava.
Il docente li interruppe sul
nascere, iniziando a parlare: “Buongiorno. Vi sarà
di certo giunta voce di un
accordo tra la nostra facoltà e la polizia;
l’accordo ora è ufficiale.
Comprende in particolare gli studenti dell’ultimo anno, ma
è probabile che
anche voi veniate coinvolti; il progetto consiste nella
compartecipazione lavorativa,
così noi della facoltà di criminologia potremo
partecipare alle indagini e
contribuire virtualmente ad esse. Potrete, nelle ore apposite di
lezione,
formulare ipotesi, alibi, accuse, moventi e quant’altro sia
utile ad
un’indagine.”
Il professore attese che la
classe manifestasse i propri sentimenti a riguardo, per poi cominciare
la
lezione.
Micol era sempre stata una
“secchiona”: i suoi appunti erano oggetto di
contese e di ammirazione.
Quel giorno non riuscì a scrivere
niente.
*
Quella
facoltà sembrava davvero
interessante: l’impulso di diventare uno studente si fece
sempre più forte...
No! Non poteva!
Cosa stava facendo? Era
impazzito?! Diventare studente sarebbe stato il primo passo verso la
socializzazione con gli umani, e questo avrebbe anche portato ad
incontri
sempre più ravvicinati con la ragazza.
Voleva conoscerla, voleva
parlarle. DANNAZIONE!
Stupido,
stupido, stupido! Non innamorarti! Perché non impari dal tuo
passato? Perché
non impari a diffidare?
Si
sentì preda di una sofferenza
che da tempo aveva dimenticato.
Seguirla o non seguirla?
Presentarsi o sparire?
Avrebbe tanto desiderato che lei
si voltasse di nuovo, per bearsi ancora dell’autunno dei suoi
occhi!
Con i suoi poteri avrebbe
tranquillamente potuto entrare nella sua mente e manipolarla fino a
farla
voltare, certo, ma non era ciò che voleva; lui voleva che
lei lo notasse per ciò
che era, per un moto volontario.
Sentiva il bisogno che lei
provasse per lui l’interesse che lui provava per lei.
Capì che non poteva lasciarla
andare così.
Posso
almeno provare a conoscerla.
Così,
finite le lezioni, andò
spontaneamente da lei e dalla sua amica.
Lei arretrò leggermente, schiva,
avvertendo forse un segnale di pericolo.
Era splendida.
*
Era
splendido. Fu l’unico
pensiero che riuscì a formulare in quel momento. Le uniche
volte che l’aveva
visto era stato sotto luci abbaglianti o nel buio della metro,
così non era
riuscita a farsi un’idea precisa.
Ora che la luce del giorno lo
illuminava –sebbene le nuvole grigie attutissero
l’effetto dei raggi solari-
poteva vederlo per come era veramente: non aveva rughe, imperfezioni o
brutti
lineamenti.
Il suo viso era pallido ma non
per questo sembrava malato, anzi, sembrava piuttosto in forma.
Era giovane ma definirlo giovane
era comunque sbagliato. Era strano.
Indossava un dolcevita nero,
jeans scuri e una cintura firmata (Valentino... Non era un famoso
stilista
italiano?); le scarpe erano semplici Adidas bianche con le strisce
nere. Il
look era sportivo ed informale, ma l’effetto finale, su di
lui, mozzava il
fiato.
I capelli non erano né neri, come
Diana sosteneva, né rossi, come credeva lei. Erano
indubbiamente scuri, castani
forse, ma dai riflessi si capiva che non erano castani; quando la luce
li
colpiva assumevano riflessi ramati, al contrario, se rimanevano
all’ombra, i
riflessi diventavano violacei.
Un colore parecchio insolito,
insomma, come i suoi occhi.
Improvvisamente si sentì
tremendamente banale con il suo semplice castano.
Prima di poter fare qualcosa,
Diana era già partita all’attacco: una simile
occasione non andava sprecata!
“Ciao, sono Diana Rowen! Sei
nuovo?” Coronò l’esuberanza con un
sorriso abbagliante.
Lui sembrò divertito; rispose con
voce garbata e tranquilla: “Piacere Diana Rowen.
Sì, effettivamente sono nuovo,
e non conosco ancora nessuno.”
Diana rimase affascinata dal
timbro profondo ed ammaliante dell’uomo, ma non perse
comunque tempo: “Come ti
chiami?”
Micol notò che, curiosamente,
venne preso da un rapido attacco di panico: solo per un istante i suoi
occhi
apparvero persi e incerti.
Si riprese molto velocemente: “Io
sono Armand De Lincourt.”
“Sei francese?” Domandò Diana,
colpita dalla singolarità del nome.
Pensò che tutto in quella persona
era estremamente inusuale:
l’aspetto,
i modi, il nome...
“Sì.” Rispose sorridendo, ed il
panico che per un momento lo aveva assalito si era già
vaporizzato.
Spostò lo sguardo su di lei: “E
lei come si chiama, madame?”
Avvampò, pur non volendolo, e
nessun broncio, nessuna diffidenza poté impedirle di
rispondere: “Micol Hale.”
*
La
sua voce aveva un suono così
dolce! Nonostante all’apparenza fosse una ragazza forte e
risoluta, possedeva
un timbro vocale femminile ed affascinante.
In più si accorse di un fatto
singolare: mentre Diana, come tutti, rimaneva immediatamente sedotta da
lui,
Micol resisteva stoicamente, impedendosi di cedere.
Le sorrise, sperando che
cogliesse il suo invito a lasciarsi andare: fu inutile.
“Sono davvero felice di avervi
conosciute; in classe mi sentivo spaesato e solo.”
Aveva subito capito il carattere
della ragazza bionda e quindi sapeva perfettamente che lei avrebbe
subito
cercato di farlo sentire meno solo.
“Beh, hai già fatto un giro per
la città?” Incalzò lei, attendendo
fremente la risposta.
“No.” Rispose semplicemente,
aspettando che lei lo invitasse.
“Allora che ne pensi di venire
con me e Micol? Ci divertiamo!”
Micol non sembrò affatto
entusiasta, ma lui non poteva permettersi di rifiutare:
“D’accordo.”
*
Diana aveva
esagerato questa
volta. Invitare, senza consultarla, un emerito sconosciuto per
un’improvvisata
uscita a tre era l’azione più sconsiderata che
avesse mai fatto!
Che poi l’emerito sconosciuto
fosse un dio incarnato non era una scusante.
Il pretesto?
“Ti prego Mic, aiutami a
conquistarlo! Mi piace da impazzire!”
Cosa non si fa per gli amici...
“Armand, ma quanti anni hai?
Scusa se te lo chiedo, ma sembri più grande di noi... Non si
direbbe che hai
appena cominciato l’Università!”
Micol alzò gli occhi al cielo:
tipico di Diana esordire con domande patetiche.
Infatti lui rise, una risata così
dolce da stupirla: “Infatti io sono un
po’ più grande di voi, ho ventiquattro
anni. Comunque vorrei farti notare
che l’Università si può iniziare a
qualunque età.”
Diana arrossì, annuendo
impercettibilmente.
Riuscì a superare la brutta
figura in pochi minuti, intrattenendo il suo nuovo
“amore” con infinite
chiacchiere sugli argomenti più disparati; Micol li
osservava ad un passo di
distanza, studiando silenziosamente il bel -bellissimo, divino,
sensuale!- francese.
C’era qualcosa che non le
quadrava: l’idea dello stalking si fece ancora strada nella
sua mente.
Cercò di non pensarci.
Diana si fermò improvvisamente,
stupendo entrambi; iniziò a cercare qualcosa nella borsa,
finchè non ne tirò
fuori un foglietto stropicciato.
“Un promemoria.” Spiegò
frettolosamente, aprendolo.
In effetti Diana scriveva sempre
su un foglio le cose che temeva di scordarsi; purtroppo poi si
dimenticava del
foglio, così si era sempre da capo.
“Ecco cosa dovevo prendere! Mi
ero scordata di aver finito i soldi nel cellulare! Mi aspettate un
attimo
mentre vado a ricaricarlo? Ci metto un secondo!”
Esclamò tutto d’un fiato,
indicando un tabacchi poco distante.
Trovò stupido avere l’affanno per
una questione così semplice; Diana davvero si sentiva
così in soggezione con
Armand?
Lui al contrario sembrava
estremamente a suo agio: “Vai pure, noi non ci muoveremo
d’un passo.”
Rincuorata, corse subito al
negozio.
Lei ed Armand si ritrovarono
improvvisamente soli, in una piazzetta poco frequentata in un angolo
della
città incredibilmente tranquillo; la pace fuori e
l’inferno dentro.
Sentiva un disagio che non
riusciva a spiegarsi: paura, ansia, agitazione, sospetto... Cosa poteva
essere?
“Puoi avvicinarti sai?” Le
sorrise lui, educatamente sarcastico.
“Sto bene dove sto, grazie.”
Rispose il più freddamente possibile, senza incrociare il
suo sguardo. Non
sembrava un pervertito, però...
Fidarsi è bene, non fidarsi...
Non si sarebbe avvicinata dunque,
anche se a chiederglielo era stato un fotomodello dalla voce intrigante
e dai
modi di un gentleman! Non avrebbe fatto la figura della stupida!
Lui reagì in modo bizzarro:
sembrò rattristato ed un po’ deluso, come se lei
avesse rifiutato una proposta
galante. Lo guardò appena, giusto in tempo per notare il suo
cambio
d’espressione: la tristezza era stata sostituita da uno
sguardo assorto e
meditabondo, come incantato.
Parlò, e la sua voce fu talmente
bassa che dovette persino sforzarsi per sentirlo: “Sei
stata creata dagli angeli...”
Non poteva crederci: davvero
l’aveva detto?
“C-cosa? Come hai detto?”
Impacciata e presa alla sprovvista, non ricevette risposta.
Diana tornò, riprendendo subito a
ridere ed a scherzare intimorita con il francese.
Lui da parte sua le sorrideva
garbatamente dandole corda, e lanciò solo
un’ultima occhiata in sua direzione.
Lei era una statua: non poteva
esserselo immaginato; aveva davvero pronunciato quelle parole.
Si sentì stordita.
Ricominciando a camminare dietro
di loro, si concentrò sulla sua voce, notando che il tono
era leggermente
diverso: sembrava spontaneo, sincero e divertito, ma si
sentì abbastanza sicura
di poter affermare che quello che stava chiacchierando con Diana non
era il
vero Armand.
Il vero Armand era quello che le
aveva appena detto, con l’aria di un uomo che osserva la cosa
più bella di
questo mondo, che quella cosa più bella era lei.
Fine
secondo capitolo
Ed
eccoci qua =)
Sono tanto felice di vedere che
questo remake ha riscosso successo!
Spero che il capitolo, per quanto
esiguo, vi sia piaciuto! ^^
Euridice
Volturi: Grazie mille
per i gentilissimi
complimenti, li apprezzo veramente molto. Per il disegno di Armand...
L’impresa
si sta rivelando difficile! O.ò Speriamo bene! Aspetto la
tua su questo
capitolo, ciao =)
Houdry:
Ciao
Houdry, ti ringrazio
infinitamente per il tuo giudizio così positivo: mi rendi
fiera del mio
italiano! X3 Il disegno l’ho fatto io, sì, anche
se devo ammettere che dal vivo
fa un’impressione migliore ^^’’. Micol la
puoi vedere qui sotto, per Armand
dovrete –purtroppo- aspettare. Spero che tu recensisca
ancora! Un bacio
StilledAnima:
Ciao
carissima! Sono così felice
di rivederti! Innanzitutto sono lieta del fatto che tu abbia notato la
maturazione stilistica e le migliorie apportate alla trama: sto
cercando di
fare del mio meglio! >.< Ah, per fortuna sono riuscita a
rendere bene il
carattere di Micol: non volevo creare una ragazza troppo perfetta o
troppo
imperfetta. È una ragazza carina e simpatica, con la testa
sulle spalle ed i
suoi sogni; una donna terra a terra, insomma, ma non arida e vuota.
>.<
Voglio che Micol sia una ragazza come tante, come potrei essere io e
come potresti
essere tu. Ci si vede =) Bacio!
Aphrodite:
Ma
guarda un po’, una sorellona!
:D Mi rende contenta vedere un po’ di entusiasmo da parte
tua... sperando ora –e
qui mi maledirai- di non deludere!!! O.o Armand registra tutto
più per diletto
che per utilità... ma lo spiegherà in futuro.
Spero che tu legga presto questo
capitolo! >.< un bacione
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Capitolo 3 *** Posso esserti amico? ***
Terzo capitolo: Posso
esserti amico?
Rifletteva, turbato, sulle conseguenze delle sue azioni.
Si era presentato da un giorno all’altro nella vita di due
ragazze mortali, seguendole e, forse, perseguitandole. Si era
impossessato a forza della fiducia di una facendo leva sul proprio
fascino, così da poter avvicinare l’altra. Quale
doveva essere la sua prossima mossa? Aveva poche scelte: poteva sparire
dalla loro vita per sempre, oppure poteva cercare di mostrarsi per
quello che era, ovvero un ragazzo dalle migliori intenzioni.
Ma in fondo era davvero così?
Prese il quadernino su cui appuntava i propri stati d’animo
ed intinse la piuma d’oca nel calamaio, per poi scrivere con
foga i pensieri del momento.
Io sono una creatura
meschina. Cerco di convincermi della bontà dei miei intenti,
ma tutto in me è pericolo e bugia. Io sogno la vita di un
ragazzo, ma sono un vampiro. Lo sono sempre stato e mai sarò
mortale.
Il mio comportamento in
fondo lo dimostra: ho usato il mio fascino per giocare con i sentimenti
di Diana, e deridendo la sua sensibilità con la mia
ipocrisia conto di fare breccia nel cuore di Micol.
Micol... Il mio arido
cuore sussulta. Di amore? Che sia?
Ripose il pennino con un sospiro rassegnato.
Erano passate due settimane dal suo azzardato esordio...
Avrebbe dovuto resistere all’impulso di presentarsi, avrebbe
dovuto lasciarla andare da subito, da quella sera al Prince; non
avrebbe dovuto farsi coinvolgere da se stesso.
Doveva rassegnarsi: nessuno lo poteva più amare. Lui era un
reietto dell’umanità, uno scarto demoniaco...
Vampiro, già... Ma al di fuori della letteratura cosa
significava esserlo? Nulla di romantico e romanzato esisteva nella sua
condizione: lui era un dannato, solo e perduto.
Micol non doveva stare con lui, perché l’avrebbe
corrotta per sempre.
E poi cosa voleva fare? Fingersi umano? Per quanto tempo avrebbe
funzionato la farsa? Un anno, forse due...
In più, non aveva né identità
né patria. Armand de Lincourt... Come gli era saltato in
mente di dire quel nome? Avrebbe potuto dirne mille altri: Alex,
Arthur, Anthony, Adrian... Un nome americano e normale, sarebbe stato
così facile! Ed invece era andato a pescarsi
l’identità più insolita e straniera che
poteva esistere: si era scelto la vita del francese antiquato. Era
caduto in un errore da principiante, da vero stupido: la prima regola
era adeguarsi al luogo, alla società ed al secolo.
Armand de Lincourt era stata la sua identità alla corte di Marie Antoinette;
era quasi inconcepibile che utilizzasse quel nome in
un’università americana del ventunesimo secolo.
Eppure, nonostante tutte le sue stranezze, Diana Rowen era caduta nella
trappola senza pensarci due volte: era una ragazzina ingenua ed
innamorata; carina, ma scontata.
D’altra parte esserne amico era la via più veloce
per arrivare a Micol. Micol, a cui erano rivolti tutti i suoi pensieri.
Infatti, per quanto la compagnia di Diana risultasse piacevole e
travolgente, una parte di lui era sempre, costantemente rivolta a lei. Continuava a
tormentarsi: la paura che un giovane mortale potesse vederla con gli
stessi occhi con cui la vedeva lui lo faceva impallidire di gelosia.
Del resto non credeva possibile che nessuno avesse ancora notato la
luce che emanava la dolce ragazza...
O forse era una luce che vedeva soltanto
lui?
L’infatuazione
mi fa pensare cose ridicole e sdolcinate, si disse.
Comunque fortuna voleva che Diana passasse ogni minuto disponibile con
lui, dunque, volente o nolente, anche Micol doveva sempre essere nei
paraggi.
Ah, senza parlargli ovviamente.
“Innamorati di me anche tu...” Sussurrò
ancor prima di potersene avvedere. Sobbalzò: ma cosa gli
veniva in mente?!
“MALEDIZIONE!” Urlò, gettando a terra la
sedia intarsiata dalla quale si era alzato.
Osservò con orrore le sue stesse mani violente,
rattristandosi: “Io sono un mostro... Micol, devi scappare da
me. Accorgitene, cacciami dalla tua vita! Convinci Diana, fai qualunque
cosa sia in tuo potere per liberarti di me!”
Ma cosa ciarlava a fare? Stava solo dando aria alla bocca ed ai buoni
propositi: lui sapeva bene che non si sarebbe lasciato rifiutare e che
non se ne sarebbe andato mai da quella città.
La verità era che lui la desiderava ardentemente: desiderava
quel sorriso, quei capelli morbidi, quella pelle elastica, quegli occhi
luminosi. Desiderava amare quel carattere cocciuto, forte e delicato,
desiderava baciare quelle labbra sottili e quelle guance colorate.
Perso com’era in quei pensieri estatici, non si accorse di
non avere mai pensato al sangue della giovane; non si accorse della
sottile differenza tra desiderio carnale e desiderio spirituale.
Non se ne accorse, ma in fondo già lo sapeva.
*
La osservava sempre. Ovunque. A lezione, quando rideva e scherzava
(falsamente tra l’altro) con Diana, quando uscivano, quando
mangiavano, sempre. E lei iniziava veramente ad averne paura...
Secondo Diana Armand era una persona simpatica, affabile ed
incredibilmente colta, uno spettacolo d’uomo, un cavaliere di
corte, un supereroe Marvel; Diana non faceva che ripetere ogni giorno
quanto fosse figo,
maturo, attraente, sexy, accattivante, sorprendente, talentuoso,
eccetera eccetera eccetera.
Lei invece aveva sempre quella brutta sensazione che lui non fosse quello che diceva di
essere.
Non le piaceva il modo in cui era comparso nelle loro vite e non le
piaceva il modo in cui vi si era infiltrato nel quotidiano; trovava
strano il suo nome ed ancora più strani i suoi modi.
Sentiva un campanello d’allarme trillare come impazzito e le
pareva quasi di vedervi sopra una scritta: “DANGER.”
L’avviso lampeggiava senza sosta, mentre le lettere infuocate
ardevano di rinnovata fiamma quando Armand compariva dal nulla e le
salutava.
Lei non lo conosceva, non sapeva praticamente niente di lui. Lui
raccontava tante storie a Diana, ma lei non si fidava; diceva di essere
piuttosto agiato (ed il simbolo dei dollari per un istante era brillato
negli occhi verdi e affascinati di Diana), di aver viaggiato molto e di
essere vissuto anche in Inghilterra (e per questo, a suo dire, non
aveva un accento caratteristico). Aveva raccontato tante belle
favolette sulla nebbia di Londra, sull’affollamento di Parigi
e via dicendo...
Micol doveva ammettere che sentirlo parlare era piuttosto stimolante:
riusciva sempre a parlare di argomenti intelligenti senza apparire
noioso o arrogante.
Ma non voleva farsi irretire; aveva cercato di fare notare a Diana le
stranezze del bell’arrivato, ma l’amica era cieca e
sorda. Se ne era follemente innamorata e non l’avrebbe
lasciato andare per
niente al mondo.
Micol sbuffava e si arrabbiava, non capendo la testardaggine di
quell’infatuazione: certo, Armand di sicuro era affascinante,
cortese, bellissimo e... sexy,
va bene, ma possibile che soltanto lei vedesse la tenebra
della menzogna?
Eppure...
Dovette ammettere che, sotto tutta quella tenebra, sperava anche lei di
trovare la luce.
*
Dall’alto della sua venerazione per Micol nulla gli impediva
di vedere Diana come una brava persona, simpatica e ricca di vita,
così si preoccupò quando,
all’Università, la trovò pallida e
apatica.
“Diana stai bene? Sembra che tu abbia la febbre.”
Le disse accostandosi, come a volerla scrutare più da
vicino.
La ragazza si portò una mano alla fronte, appoggiandosi
stancamente al banco; i suoi movimenti apparivano lenti e appesantiti.
“Ho un po’ di nausea questa mattina. Non
preoccuparti, passerà.” Biascicò,
scompigliandosi i capelli e scostando la frangia, come se la
infastidisse.
Micol le porse un bicchiere d’acqua (che era appena andata a
prendere): “Non dovevi venire, te l’avevo detto!
Perché non sei rimasta a letto?”
“Micol ha ragione, non è salutare per te stare
qui: dovresti riposarti e prendere un medicinale.” Aggiunse
immediatamente Armand, suscitando l’approvazione (e lo
sdegno, perché aveva osato chiamarla per nome) di Micol.
“Andiamo ragazzi, sto bene! Okay? Siete gentili a
preoccuparvi, ma non ho assolutamente la febbre!” Si
lamentò infastidita la malata, bevendo subito dopo un lungo
sorso d’acqua.
Armand comprese un nuovo aspetto della sua improbabile amica: non
accettava di avere bisogno di aiuto. Gli sembrò del tutto
simile a quei bambini capricciosi che fingono di stare bene pur di non
andare dal dottore.
“Non essere stupida, sei bollente ed io ti riporto a casa! Il
professore è in ritardo, non se ne
accorgerà!” Insistette l’altra,
indossando subito la giacca e prendendo entrambi gli zaini.
“Mic, non insister-!” Diana dovette trattenere un
conato di vomito troppo palese per essere ignorato.
Armand comprese allora che quello era il momento giusto per passare del
tempo con Micol e guadagnare la sua fiducia; non perse tempo:
“Vi accompagno in macchina, così non
dovrà starsene in metropolitana.”
Micol sorrise sarcastica: “Primo: no, grazie! Secondo: con
quale macchina, il tuo bolide invisibile? Eri in treno oggi, proprio
come noi! Se vuoi renderti utile preoccupati di spiegare al signor
Gilmore la nostra assenza, nel caso lo chiedesse. Okay?”
“Colpito e affondato.” Ammise con un sorriso.
Diana tentò di calmarli, ponendosi in mezzo con fare
pacificante: “Non agitatevi, va bene? Armand, sei carinissimo
a preoccuparti per me, ma sono nelle mani sicure di Micol.”
Sorrise ancora: “Lo so.” Disse soltanto.
Poi aggiunse: “Però voglio comunque accompagnarvi.
Ho la macchina.”
Micol provò a ribattere, ma lui aveva già
condotto Diana fuori e la giovane non poté che seguirli.
Armand sospirò: ipnotizzare col pensiero, a distanza di
chilometri, un venditore d’automobili e costringerlo a
portargli un auto lì nel parcheggio era piuttosto semplice,
per lui. Spiegarlo a Micol, purtroppo, lo era molto meno.
*
Il viaggio fu un incessante e perpetuo interessamento alle condizioni
di Diana, che più veniva “coccolata”
più s’innervosiva; a meno di cinque minuti da casa
arrivò ad urlare un irato “BASTA”, e
così sia Armand che Micol si decisero a rimanere in
silenzio.
Se Diana non fosse stata febbricitante avrebbe amato quelle attenzioni
che le riservavano l’uomo che adorava e l’amica
più cara che aveva; in quel momento, però, il
sangue le fluiva rovente nelle vene e la rendeva molto più
suscettibile e lunatica.
Voleva solo starsene per i fatti suoi e dormire. Così fu: la
portarono nell’appartamento, la lasciarono in camera e le
portarono giusto il necessario affinché potesse cavarsela da
sola; avrebbero voluto rimanere in casa con lei ma Diana li
cacciò, minacciandoli di esporsi volontariamente al freddo
per aggravarsi ulteriormente, se fossero rimasti.
Così, seppur a malincuore, Micol aveva richiuso la porta di
casa dietro sé, senza poter ignorare il magnetico sguardo di
Armand sul suo profilo.
Perché si comportava così quel ragazzo?! Tutta
quella farsa dell’amico preoccupato, della macchina e del
voler restare a tutti i costi...
Ma forse non era una farsa, forse lui era innamorato di Diana.
Innamorato.
Sentì il desiderio di picchiarlo, ma si trattenne; oh, non
perché non ne avesse il coraggio...!
Avrebbe potuto tranquillamente dargli qualche bel pugno! Non erano le
conseguenze a spaventarla, bensì le cause: perché il pensiero
che a lui piacesse Diana la infastidiva?
Lei non era di certo innamorata, non era di certo gelosa! Il fascino
di Armand non l’aveva ancora conquistata, no? No?
“Vuoi che ti porti da qualche parte, visto che Diana non ti
vuole a casa per un po’?” Domandò
pacatamente l’oggetto dei suoi pensieri, come tastando il
terreno delle sue possibili reazioni.
“Con la tua macchina rubata? No, grazie.”
Sperò di avere smorzato ogni tentativo del suo
interlocutore, ma così non fu; anzi, gli diede
l’occasione di intavolare un discorso.
“Non l’ho rubata, te lo giuro.” La sua
voce era così calma e bassa da sembrare quasi un sussurro.
“Sì certo, non ne dubito! Infatti, sebbene tu sia
venuto in treno con noi e non ti sia mai staccato da noi, sei riuscito
a procurarti una macchina con le chiavi già attaccate.
Normale, no? Perché dovrei dubitare della tua
onestà?” Rispose acida, complimentandosi con se
stessa per la feroce ironia.
Lui rimase zitto.
“Dove l’hai presa?” Domandò
allora seria, scrutandolo furente.
“Ne sono dispiaciuto Micol, davvero, ma non posso
dirtelo.” Mormorò lui; nel dirlo
abbassò gli occhi, proclamandosi colpevole.
Ma colpevole di cosa? Micol si pentì di averlo aggredito;
non aveva riflettuto abbastanza ed aveva parlato d’impulso,
come le succedeva quando non comprendeva qualcosa.
Si passò una mano tra i capelli, sbuffando per scaricare la
tensione: “Senti, io non so più cosa pensare.
Davvero. Prima ci segui, poi ti ritroviamo
all’Università, poi mi dici quelle cose strane ed
adesso aiuti Diana che sta male.”
Armand ascoltò quello sfogo in religioso silenzio, seguendo
i movimenti della ragazza con impercettibili movimenti della testa.
Infine Micol esplose: “Ma si può sapere cosa vuoi
da n... cosa vuoi da me?”
“Voglio esserti amico.”
Ed in quel momento tra i due il più umano era lui.
*
Probabilmente la sua risposta l’aveva incuriosita,
perché accettò di seguirlo fino al bar
più vicino, il “Melody Coffee”. Era un
bar spazioso e gradevole, con un ottimo rapporto
qualità-prezzo.
Una volta trovato il tavolo fece per prepararle la sedia, con
galanteria, ma lei fu più rapida e si sedette
immediatamente, sfidandolo con la sua indifferenza.
Lei mi piace.
Non si scoraggiò; le si sedette di fronte, chiedendole cosa
voleva ordinare; lei in tutta risposta chiamò il cameriere e
dettò direttamente a lui il suo ordine: una fetta di
crostata ed un the.
Armand sorrise sconsolato di quella cocciutaggine.
Lei mi piace.
“Continuerai ad ignorarmi o parleremo? Pensavo volessimo
chiarire.” Più che una constatazione fu quasi una
proposta di pacificazione.
Micol cedette (come resistere a quegli occhi luminosi?): “E
va bene... Se vuoi parlare ti ascolto.”
Lo disse in un sospiro, facendo trasparire noncuranza; dentro, al
contrario, bruciava di sentimenti. Armand capì che quei
sentimenti non erano per forza benevoli.
“Innanzitutto-“ Il cameriere portò il
vassoio con la crostata e la bevanda calda, così Armand
dovette interrompersi sin da subito; quando il giovane gli chiese se
anche lui desiderasse qualcosa, sorrise e disse che no, lui non aveva
fame.
Micol lo invitò a continuare il discorso, mentre si
adoperava contemporaneamente a fare colazione.
“Innanzitutto mi voglio scusare. Credo di averti
spaventata.”
Micol rise freddamente: “Tu non mi fai paura. Sei soltanto
seccante.”
Il vampiro spalancò gli occhi, accennando un sorriso
sorpreso: “Seccante? È questo che provi nei miei
confronti?”
Era una domanda retorica a cui Micol non rispose.
“Mi voglio scusare, allora, per essere stato seccante...”
Sapeva perfettamente che Micol aveva paura di lui, lo percepiva; ma non
voleva contraddirla.
“Tu ci hai perseguitate.” Intervenne lei, senza
troppi giri di parole. Non le piaceva tergiversare.
“E’ vero.” Ammise lui. Micol allora lo
guardò negli occhi, non nascondendo la propria
costernazione.
“Mi prendi in giro?” Chiese, non sapendo se ridere
o se arrabbiarsi.
“No. Io vi ho seguite da quella sera in poi, è
vero, l’ho fatto. Volevo rivedervi; non ho molti amici e
raramente provo sentimenti forti e benevoli verso qualcuno.”
Micol rimase un momento in silenzio, con le labbra appena dischiuse e
gli occhi persi nel vuoto.
“Ti sei innamorato di Diana?”
Armand rispose con un sorriso sereno: “No.”
*
Il cuore batté dieci volte più rapidamente, il
cervello divenne leggero e quasi impercettibile.
Non osò porre la stessa domanda con diverso soggetto.
Insistette su Diana, si sforzò di concentrare ogni sua
domanda su di lei: “Eppure ti comporti come se lo
fossi!”
La voce le uscì stridula e si maledisse aspramente per
questo.
“Io provo grande tenerezza nei suoi confronti. È
una ragazza simpatica e vitale, mi fa piacere starle accanto.”
A Micol sembrò che ne parlasse come si parla di una bambina.
Le sembrò che Armand non considerasse Diana sul suo stesso
piano.
“Fammi capire... Ti sei iscritto alla nostra
facoltà soltanto per rivederci?”
Soltanto per rivedermi?
Sorrise enigmatico: “Chi lo sa...!”
“Tu sei pazzo!”
L’espressione di Armand cambiò, ma Micol non
riuscì a capirne il motivo.
“Oh, sì.” Rispose soltanto, pensando a
qualcosa che lei non poté cogliere.
Per un po’ nessuno dei due seppe più cosa dire;
rimasero dunque assorti ognuno in qualcosa, Micol nel cibo (che aveva
ormai finito) e Armand nell’ambiente circostante.
La ragazza notò che lui aveva la sorprendente
capacità di guardare tutto con estrema cura; riusciva a
notare quei dettagli insignificanti, come le cuciture dei vestiti o
quei particolari effetti ottici dovuti ai raggi del sole.
Era un ragazzo scrupoloso e attento, sempre ben curato e sorridente.
Ah, ed era anche notevolmente pazzo ed incosciente. Sembrava buono, ma
alle volte il suo sguardo assumeva un che di spaventoso; non era una
persona decifrabile. Quando credeva di aver capito il suo carattere,
ecco che lui faceva qualcosa di inaspettato, cambiando le carte in
tavola.
Decise di rompere il silenzio: “E così sei
francese, Armand de Lincourt.”
Lui si voltò verso di lei con rinnovato interesse,
inglobandola nel proprio sguardo: “Sì
può dire che io lo sia.”
“Tu non sai essere chiaro, vero?” Lo
schernì lei.
“L’hai notato?” Sorrise di rimando lui (e
quasi sembrò timido).
Micol si accigliò: “Difficile non notarlo. Non
dici mai le cose come stanno: usi perifrasi, stai sul vago, giri
intorno ai concetti... Sembra che tu non voglia che qualcuno ti conosca
davvero.”
Armand colse l’occasione: “E tu vuoi conoscermi
davvero?” Sorrise.
Lei arrossì, impercettibilmente ma inevitabilmente.
“Beh, in fondo non sei male. Sei ... interessante.”
Ammise, abbassando lo sguardo.
“Interessante quanto un caso psichiatrico,
suppongo.” Incalzò lui, facendola ridere.
Ebbene sì, Micol rise. Per la prima volta gli diede una
chance.
E lui rise insieme a lei.
Risero tanto, risero a lungo, timidamente; spesso lo fecero quasi senza
motivo. Felici entrambi, ognuno per motivi diversi.
O forse, in fondo, entrambi per lo stesso.
Fine capitolo 3
Perdonerete mai il ritardo? Sono stati mesi complicati e caotici. Il
capitolo è corto, tranquillo, normale.
Spero soltanto che i cinque minuti che si impiegano a leggerlo siano
stati piacevoli. ^^
Vi mando un abbraccio, cari lettori!
Sybelle
Ah... vi ringrazio, ovviamente, per le recensioni. Mi hanno fatto un
gran piacere! <3
Ad Aphrodite: Micol
in fondo è un personaggio un po’ idealizzato. Non
è perfetta, ma idealizzata sì. Diana, al
contrario, è il ritratto di molte ragazze superficiali ma
anche simpatiche di oggi. Io non farei MAI amicizia con Diana. Micol
è guardinga, sospettosa... Non timida, ma solitaria
sì. Armand, come si vedrà, non è
decifrabile perché non ha carattere. È una cosa
che farò dire chiaramente, in futuro, ad un personaggio:
Armand, nonostante la sua “veneranda”
età, non è mai riuscito a formarsi un suo
carattere. È collerico ma buono, passionale ma controllato,
saggio ma incosciente. Credo che già si veda: lui non
è in pace con se stesso, non si conosce ancora. Per questo
scrive i propri pensieri, per auto-analizzarsi.
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Capitolo 4 *** Forse ti capirò ***
4 cap starless night
Forse ti capirò
Qualche giorno dopo, non appena Diana era stata in grado di parlare
senza che la voce le raschiasse la gola, era arrivato puntualissimo
l’interrogatorio.
“Avete fatto amicizia???? E’ fantastico lui, vero??? E
dimmi, ti ha detto qualcosa? Magari di se stesso... magari di
me???”
Micol si era resa conto per la prima volta della profondità dei
sentimenti dell’amica, che quando parlava del ragazzo si agitava,
balbettava, probabilmente il suo cuore batteva a mille. Le era mancato
il coraggio di dirle che Armand la considerava solo un’amica, una
ragazza simpatica e nulla più; la notizia l’avrebbe
annientata. No, meglio: non le avrebbe creduto, avrebbe provato ad
adescare Armand e, al rifiuto di lui, sarebbe crollata a pezzi.
Aveva sempre ritenuto ridicoli i colpi di fulmine della biondina, a
maggior ragione quando il ragazzo di cui diceva di essere innamorata
era molto fumo e niente arrosto; Diana infatti tendeva a giudicare un
ragazzo dall’aspetto fisico, non tanto per superficialità,
quanto per ingenuità. Tra l’altro, quando scopriva
l’assenza di intelligenza o di valori, allora si dichiarava
subito disillusa e lasciava perdere quei suoi amori passeggeri. Ma
Armand non era così: Armand era bello sia fuori che dentro;
sembrava creato apposta per intrappolare giovani prede nel suo charme.
Diana non l’avrebbe dimenticato tanto facilmente.
Comunque, con il tempo i loro rapporti andavano migliorando: divennero un trio inseparabile.
Armand le accompagnava in facoltà, si sedevano affianco durante
le lezioni, spesso uscivano al pomeriggio e lui andava a trovarle
mentre lavoravano (le due ragazze avevano trovato lavoro in un centro
commerciale, Diana come commessa e Micol in una gelateria).
Tutte le ragazze intorno a loro le invidiavano, morivano di gelosia
solo al vederle: ma se accettavano la presenza di Diana, data la sua
avvenenza, erano ancora più irritate da Micol, che sì era
bella, ma non al punto da meritarsi l’amicizia di un uomo tanto affascinante, tanto irraggiungibile.
In più era ricco, ricchissimo: non lavorava ma vestiva come un
gran signore, spendeva denaro come se si fosse trattato di caramelle,
adorava fare regali. Per il diciannovesimo compleanno di Diana aveva
portato alla festeggiata una felpa verde smeraldo, sulla manica della
quale imperava, a caratteri cubitali, una scritta dorata: D&G.
Ovviamente non si era limitato ad una maglia griffatissima: era anche
un pezzo unico, fatto per l’occasione; infatti Armand vi aveva
fatto cucire una scritta in brillanti con il nome della ragazza.
Esagerato, aveva pensato Micol, fare un regalo simile ad un’amica conosciuta solo un mesetto fa.
Che razza di regali avrebbe potuto fare ai suoi parenti o alla sua ragazza?!
Che regalo avrebbe potuto fare a lei?
Aveva scacciato quel pensiero con profondo fastidio; dovette ammettere,
però, che Armand era sicuramente un bel tipo – difficile
da inquadrare e piuttosto sospetto, ma pur sempre un bel tipo.
Possedeva, a dispetto di quanto potesse sembrare, una
personalità piuttosto varia, al limite del lunatico. Non che
alzasse mai la voce, o litigasse, o assumesse un atteggiamento
indispettito, per carità!
D’altronde Micol si era presto accorta di quanto il suo
comportamento oscillasse tra due opposti: l’avvenente uomo sicuro
di sé e il ragazzo ingenuo e sorpreso da tutto.
Era intelligentissimo (a lezione non ascoltava neanche una sillaba,
eppure ai test brillava), affabile con tutti ma veramente amichevole
con nessuno: teneva il mondo a debita distanza, scusandosi di
ciò con un sorriso splendente; era molto più diffidente
di Micol, una specie di miracolo.
In più, sembrava perennemente a dieta: non mangiava mai,
declinava gentilmente ogni tipo di offerta riguardante il cibo. Diceva
di soffrire di disturbi alimentari e di preferire non mangiare in
pubblico; però beveva, eccome se beveva! Si portava appresso una
fiaschetta argentata da cui, ogni tanto, beveva qualche sorso.
Micol lo osservava; lo osservava molto e, pur non capendolo, sentiva di capirlo. Era confusa.
*
Iniziava lentamente a capire meglio il carattere di Micol, che, una
volta avvicinata, non era affatto severa e imbronciata come appariva a
occhi esterni: era anzi una ragazza sorridente e amabile, molto alla
mano e pragmatica. Aveva un forte senso etico e l’educazione era
un suo chiodo fisso; non provava il bisogno di omologarsi o di cercarsi
molti amici, al contrario preferiva starsene con poche persone
selezionate.
Con quelle dava il meglio di se stessa: elargiva abbracci e sorrisi,
battute e consigli; ovviamente, il suo sguardo innamorato non aveva
potuto celargli anche qualche difetto... Ad esempio, Micol odiava essere presa in giro.
Non che non sapesse stare agli scherzi, o che non accettasse qualche
battuta sul suo conto, ma alla lunga il gioco la infastidiva, scavando
nel suo orgoglio e facendone scaturire cattiveria e nervosismo.
In più, difficilmente accettava aiuto: voleva sempre e comunque
farcela con le proprie forze; le vittorie voleva sudarsele.
Era una ragazza estremamente atletica, del resto: aveva praticato per
anni il nuoto e il karate, ed andava regolarmente in palestra per
seguire corsi di boxe e di autodifesa. Sempre sport individuali,
perché lei era fatta così: preferiva primeggiare. In una
squadra si sarebbe sentita oppressa.
Diana era l’esatto opposto in quel senso: espansiva, solare,
sempre alla ricerca di nuovi amici e di compagnie numerose (anche se,
in fondo, alla fine rimaneva sempre ancorata alla migliore amica, sua
roccia, sua fortezza); adorava gli sport in cui si faceva gioco di
squadra e ad una giornata da sola in casa preferiva un infernale giro
al centro commerciale con chiunque le capitasse a tiro. Nella stessa
situazione Micol, se poteva, se ne stava a casa a leggere (o a fare
zapping, perché no!), oppure usciva per godersi lunghe
passeggiate solitarie.
Armand notò come le sue due nuove amiche, nonostante queste
palesi differenze caratteriali, vivessero in assoluta simbiosi: se
l’altra non c’era si sentivano perse.
L’aveva notato ritrovandosi da solo con Diana, un pomeriggio:
girovagavano per il centro, chiacchierando amabilmente, eppure,
nonostante il vampiro sapesse perfettamente di essere l’oggetto
dei sogni della ragazza che era lì con lui, la bionda appariva
distante, a tratti completamente assente. Il discorso ricadeva spesso
su Micol e quasi sempre per iniziativa di lei.
Per Micol lo stesso: poteva anche passare un intero pomeriggio a
lamentarsi della coinquilina, ma alla fine tutto ciò che Armand
sentiva non erano le lamentele, ma la pressante necessità di
Micol di avere vicino l’amica, anche nel male.
Le due si adoravano e si odiavano come sorelle.
E lui che ruolo aveva, in tutto ciò? Doveva ammettere di essersi
sentito più volte escluso, sensazione per lui completamente
nuova e inaspettata, alle volte graffiante, alle volte insidiosa.
Aveva passato quasi tutta la vita in compagnia di altre due persone:
era abituato ai trii, che considerava come una sorta di piccola
famiglia; in quel trio, però, lui era un intruso.
Non credo di poter tollerare la solitudine, oramai; potevo, non posso più.
Puntualmente, ogni volta che i pensieri più cupi ottenebravano
la sua mente e gravavano sul suo sguardo, Micol giungeva a salvarlo con
piccoli gesti inaspettati e colmi d’affetto: un tocco sulla
spalla, un sorriso, una battuta, oppure il delicato lavoro delle sue
dita sui suoi capelli, quando sedevano l’uno davanti
all’altra e lei si metteva a intrecciargli le ciocche,
confessandogli quanto preferisse la sua compagnia a quella dei
chiassosi compagni di facoltà.
*
Era stato faticoso sconfiggere il proprio orgoglio ed ammettere che, effettivamente,
Armand era una persona piacevole. Era stato faticoso ma necessario,
perché la presenza del francese stava diventando costante e lei
si ritrovò inconsciamente a ricercarla, sperando in un contatto,
in una parola, in un sorriso.
Le piacevano i suoi sorrisi: avevano il potere di farla sentire a posto.
Un’altra cosa che le piaceva erano i capelli del ragazzo; oramai
era diventato un passatempo rilassante quello di pettinarli con le
dita, tra una lezione e l’altra. A dirla tutta, provava una certa
invidia per quei capelli più lucenti e setosi dei suoi (erano
persino più lunghi!), d’altronde Armand giurava di non
prestare loro alcuna attenzione particolare.
Non era vanitoso e tendeva ad annullare l’aria arrogante con gli
atteggiamenti più umili (Micol non si sarebbe mai scordata
l’assurdo momento in cui si era ritrovata ad insegnarli cosa
fossero i cartoni animati come se si fosse trattato di un argomento dalla rilevante importanza socio-politica).
Diana la invidiava per la facilità con cui si rapportava ad
Armand: la bionda era sempre troppo nervosa con lui, temeva sempre di
non piacergli e quindi tentennava. Micol non la capiva, ma non glielo
diceva; del resto, quando mai capitava che Diana si sentisse a disagio
con qualcuno? Era un evento epocale.
E spaventoso.
Armand non amava Diana, né provava per lei qualcosa che non
fosse una tiepida amicizia; Diana invece bruciava, ardeva, lo voleva
per sé ma non aveva il coraggio di rivendicarlo.
E Micol? Micol stava lì e li osservava, cercando di dimenticare
le assurde parole che lui le aveva detto tempo prima e tentando di non
pensare a quanto fosse evidente che Armand cercava sempre e solo lei.
E poi a lei lui non piaceva, quindi la situazione era davvero
improbabile – anche se, a pensarci bene, trovava irreale che ad
un simile adone potesse interessare una tipa come lei. In definitiva,
preferiva non rifletterci troppo su; preferiva piuttosto godersi quelle
belle giornate, le risate, le passeggiate, le ore spese a fare shopping
in tre e quelle a chiacchierare tranquillamente, quando la gelateria
era vuota e Armand passava a salutarla con quel suo modo di fare che
sembrava casuale e che invece non lo era mai.
*
La facoltà di criminologia era un luogo interessante se non per
le materie, per le persone che dentro vi circolavano: poliziotti,
detective, professori dal passato oscuro, studenti con i più
improbabili passatempi...
Il mondo, in quel piccolo ateneo, era davvero vario.
Armand si beava di tutte quelle sfaccettature della realtà,
analizzando le persone con la stessa cura di uno scienziato: raramente
si fermava a parlare, molto più spesso osservava. Dunque, se
c’era una cosa che aveva notato, era la massiccia presenza di
uomini e ragazzi; uomini e ragazzi che, spesso e volentieri, si
facevano avanti sia con Diana (piuttosto comprensibile, quel corpo e
quel viso avrebbero mandato in visibilio qualunque umano) che con la sua
Micol. Non che Armand volesse sminuire il valore della bella castana
–lui avrebbe dato l’anima solo per passare la vita a
corteggiarla, ad elemosinare anche un’unica carezza-, ma non
poteva che innervosirsi quando un giovane umano le si avvicinava con fare amichevole o persino interessato.
Per esempio si ritrovò a detestare un certo Paul, un ragazzo
alto, trasandato e col naso storto che faceva parte della cerchia
d’amici delle due ragazze; Paul era allegro e vivace e si
intratteneva volentieri a chiacchierare con le due colleghe di studio.
Armand lo odiava. Dal profondo. Lo odiava perché sorrideva a
Micol in modo sfacciato, sicuro del suo charme da essere umano.
Quando vedeva la sua pelle scura pensava con rammarico e dolore al proprio pallore di spettro. Quasi a sentirsi inadeguato.
Quel giorno, quel fatidico quindici di ottobre, Paul riuscì a
rivelarsi più irritante del solito con una sola, agghiacciante
esclamazione.
“Ehi Mic, Didi, avete saputo? Ci faranno vedere un cadavere, all’obitorio! E’ un cadavere senza sangue!”
Armand riuscì per un momento ad ignorare il fatto che quel tale
appellasse le sue due amiche con nomignoli (cosa che lui non faceva) e
riuscì anche a non pensare all’incredibile maestria con
cui l’aveva palesemente evitato, non salutandolo: Armand ebbe
orecchi solo per la notizia.
Un cadavere senza sangue...
Quello era un serio problema.
*
“Non era una mia vittima Armand, non lo era.”
“Sei sicura?”
“Al cento per cento. Attualmente mi sto nutrendo a New York, e Constantine è con me. Non è nostro.”
“... Io... Io temo di esserne il responsabile.”
“Tu?!?! Non sei più un bambino! Come hai potuto lasciare un cadavere in mostra?”
“... Non ci scopriranno, comunque.”
“No, certo che no, ma è ugualmente seccante tesoro.”
“...Mi dispiace.”
*
L’obitorio. Un luogo asettico e spaventoso, un tesoriere di
cadaveri. Lì i corpi venivano smembrati, studiati, rivoltati e
infine venivano messi in una scatola.
Lei un giorno vi avrebbe lavorato, in quel posto. Lei voleva assolutamente lavorarci.
Non sapeva come spiegarlo... Ciò che era mistero
l’affascinava; ciò che era irrisolto la ammaliava. Sentiva
il perenne bisogno di trovare soluzioni, dare risposte a quel mondo
così pieno d’incertezze.
Tante persone morivano senza che si sapesse l’identità del
loro assassino: troppe. Micol voleva stanare quell’assassino.
“Il corpo è stato trovato da un pescatore, appena fuori
dal centro urbano. Come vedete si tratta di un uomo che doveva avere
circa una sessantina d’anni, ma attualmente non è ancora
stato identificato. La particolarità del caso consiste in questo
elemento: il corpo è stato ritrovato senza una goccia di sangue,
come svuotato. E non è stato trovato alcun segno di ferite da
taglio o armi da fuoco. Si stima che il decesso sia avvenuto circa
quattro, cinque giorni fa.”
Quello era decisamente un mistero.
*
Micol era straordinaria, senza dubbio; questo si ritrovò a pensare, osservandola con attenzione.
Gli era bastato uno sguardo per capire che il cadavere era proprio la
sua vittima, così, poiché già lo conosceva, si era
dedicato all’analisi di ben altri soggetti.
Diana era pallida, a tratti disgustata: l’obitorio la metteva in
soggezione, lei era nata per la luce, il prato, il Sole ed il cielo.
Non per i cadaveri. Scrutava, sì, il morto, ma cercava di
concentrarsi sui dettagli meno sgradevoli; Micol, al contrario, era una
macchina da guerra.
Fissava, annotava, rimuginava, chiedeva e fissava ancora: quello era il
futuro che si era scelta, non poteva mostrarsi debole. Certo...
inizialmente anche lei, come altri, aveva avuto bisogno di qualche
minuto per poter affrontare quella vista (e lui era stato ben lieto di
offrirle la sua spalla come appoggio); poi si era fatta coraggio, aveva
distaccato la mente da ogni emozione e si era concentrata sul resto.
E Armand si ritrovò a pensare che non avrebbe potuto desiderare compagna migliore.
I cadaveri non la sconvolgono!, pensò.
Ma lui, che era cadavere tanto quanto quel morto lì disteso, si sentì ugualmente orribile.
*
“Tu cosha ne penshi?”
“Scusami?”
Diana sputò nel lavandino l’acqua, decretando la fine della toeletta mattutina.
“Del cadavere, della giornata di ieri... Insomma...”
Si trovava parecchio a disagio, a parlarne: quel corpo, quel viso,
quell’odore... Non erano stati un toccasana. Affatto. E visto che
Micol sembrava tanto (ma tanto) più tranquilla di lei, sperava
che parlarne avrebbe alleviato anche solo di poco il suo netto fastidio.
“Beh...”, cominciò infatti la castana, sedendosi su
una sedia, “...penso che sia stata una giornata importante per
noi. Quello è il lavoro per cui sto studiando, quindi sono stata
contenta. Inorridita, certo, ma contenta. E poi dai, insomma... Era
senza sangue! Capisci?”
Ecco, Diana non aveva avuto torto: l’entusiasmo di Micol (un
po’ stonato forse, dato il contesto, ma pur sempre sincero)
riuscì subito a calmarla.
“Sì, magari è stato Edward Cullen spuntato fuori
dal suo bel libro rilegato!” Ironizzò, ridendo di gusto
insieme all’altra, che la corresse ricordandole i gusti vegani
del personaggio in questione.
“Allora si sarà trattato di Armand.”
Allo sguardo alquanto esterrefatto di Micol, Diana si accorse dell’errore fatale: “Oh cazzo, non intendevo il nostro Armand! Io intendevo quello dei libri!”
Micol scoppiò a ridere, tanto forte da farsi venire le lacrime agli occhi.
“Questa dobbiamo dirgliela!” Ripeteva.
“Questa dobbiamo proprio dirgliela!”
*
La sua bara.
La sua bara era lunga e stretta ed il legno ormai consunto non poteva
più vantare il colore intenso di un tempo; nonostante questo,
era sempre riuscito a mantenerla in condizioni ottimali. Era scampata a
incendi, terremoti, umidità, viaggi, crolli...
Non che lui necessitasse per forza di dormire in un sepolcro,
figurarsi. Semplicemente poteva rivelarsi utile avere un luogo
così riparato dove riposare, nei momenti di più cupa
stanchezza. Soprattutto quando il nutrimento veniva a mancare per
lunghi periodi o la luce iniziava a diventare fastidiosa, come se
ancora avesse potuto bruciargli la pelle.
In verità quella sua bara lo spaventava da sempre: claustrofobico fino al ridicolo.
“Io sono vivo.” Decretò a se stesso sfiorando quel legno.
“Io sono vivo.” E dormo in una tomba,
si trattenne dall’aggiungere. Con un gesto secco
l’aprì, andando a svelare l’imbottitura interna, a
tratti sfilacciata, a tratti stinta.
Aveva decisamente bisogno di un nuovo sepolcro; magari più resistente, magari più bello.
Eppure, eppure... Eppure niente sarebbe mai stato come quello che già aveva.
Dovette ammettere, seppur con rammarico, che quel pezzo di legno sudicio oramai sapeva di casa.
*
“Mic, sei sveglia?”
“No.”
La coperta si scosse e ridacchiò: Diana era sepolta là in
mezzo, da qualche parte, stretta al cuscino e per nulla intenzionata a
chiudere gli occhi.
Anche Micol rise, contagiata dalla demenzialità del momento: “E’ tardi Didi! Che vuoi ancora?”
“Scusamiii...” Qualche movimento, silenzio, altri
movimenti; con uno scatto Diana si liberò dalle coperte, scese
dal letto e si intrufolò in quelle dell’amica, sorridendo
birichina.
“Ah no, non se ne parla sai?” Commentò subito
l’altra, cercando prima solo con le mani, poi anche coi piedi, di
spingerla giù dal suo umile giaciglio monoposto.
Gli sforzi furono vani: le due più che lottare si solleticavano
a vicenda, più che discutere ridevano e, più Micol
cercava di cacciare Diana, più Diana si aggrappava a Micol
strappandole quasi via il pigiama.
La castana dovette infine dichiararsi vinta, mentre l’usurpatrice proclamava vittoriosa la riuscita del colpo di stato.
Naso contro naso, le due iniziarono a chiacchierare, pizzicandosi le
gambe con i piedi giusto per ricordarsi a vicenda l’odio
reciproco, di tanto in tanto.
“Non riesco a non pensare ad Armand, sai?” Disse
improvvisamente Diana, svelando il motivo di tutta
quell’inquietudine.
“Credo... non so, credo sia una cosa seria stavolta. È che
lui è così dolce e gentile! È diverso da tutti gli
altri, e vabbè, è anche bello sì, molto bello,
però...cioè... E’ come se...Oddio, che sto
blaterando?” Rise di se stessa, ma era tutta rossa in viso.
Micol sorrise: “Dicevi che non è solo bello, ma anche dolce e gentile, diversamente dagli altri.”
Diana annuì con convinzione: “Perché vedi, lui
è... è speciale. Ha un sorriso tanto dolce! E poi non
guarda solo le mie tette o il mio culo, e questo è...wow.”
Micol provò a buttarla sul ridere: “Magari è
gay!”, disse. Il pensiero la disturbò e decise di non
pensarlo mai più. Perché lei già sapeva che a lui
Diana non piaceva. Ma se fosse stato omosessuale allora... allora...
Allora cosa?
“Non dire stupidaggini!” Diana capì la battuta e rise, spintonandola.
“Però sai cosa?”
Micol improvvisamente non era più in vena di scherzare: “Cosa?”, mormorò.
“A volte mi sento inadeguata. Lui è così tutto ed io sono così... niente.”
L’abbracciò stretta: “Non è vero che sei niente. Sei bellissima.”
L’inadeguata era lei.
Fine 4° capitolo
E va bene... sono in ritardo. LEGGERO, LEGGERISSIMO ritardo.
Scusatemi, è un periodo della mia vita davvero delirante. I 18 anni sono una brutta cosa, eeeeh.
Mi auguro che il capitolo sia in qualche modo piaciuto e abbia ripagato
l’attesa di...ehm...quel qualcuno che l’ha letto, immagino.
E’ successa una cosa bizzarra che mi ha spinta a chiudere qui il capitolo, piuttosto che continuarlo ulteriormente.
E’ successo che, a distanza di molti, molti giorni, io abbia
usato il termine “inadeguato” senza ricordarmi di averlo
usato anche per Armand, poche righe più sopra. Questa cosa mi ha
esaltata al punto da farmi dire: voglio che il capitolo si concluda così.
A proposito: il titolo è dovuto al fatto che i due si stanno reciprocamente studiando.
Ah! Ho citato, così, tanto per fare dell’auto-ironia, sia Twilight che il libro Armand il Vampiro;
l’uno perché la trama lo ricorda, il secondo perché
il mio Armand è uguale a quell’Armand lì (perdonami
Anne!).
Si fa per ridere insomma!
Sybelle
Aphrodite: Armand è
un sacco cuccioloso <3. Lui è... educato. Credo sia il
termine esatto. Non è uno di quei vampiri tutto sangue e
rock'n'roll, né tanto meno è un vecchietto ammuffito.
Vuole vivere, come tutti. Vuole amare.
Micol... Micol si scioglierà un po', andando avanti. Poveraccia, anche lei di tanto in tanto si rilassa! o.ò
A me piace, mi infonde sicurezza. :) E' molto tosta!
Dimmi che pensi del capitolo quando puoi <3.
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