Universi Paralleli

di Furiarossa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Antieroe ***
Capitolo 3: *** Il fratello ***
Capitolo 4: *** Interferenza? ***
Capitolo 5: *** Alter ego ***
Capitolo 6: *** Il principe dei morti e dei vivi ***
Capitolo 7: *** P-11 ed il Nemico ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


"Parlami dell'esistenza
di mondi lontanissimi
di civiltà  sepolte
di continenti alla deriva
Parlami dell'amore
che si fà  in mezzo a gli uomini
di viaggiatori anomali
in territori mistici...
di più
Seguimmo per istinto
le scie delle comete
come avanguardie
di un altro sistema solare"

No time no space-Franco Battiato (1985)

Prologo

«Il nostro universo non è del tutto infinito. L'universo è solo una sfera gigantesca della quale non possiamo vedere i contorni, così come di noi non può "vedere" i contorni, inteso come la fine della nostra massa, un atomo posato sulla superficie di uno dei batteri che colonizzano la nostra pelle.
Potete immaginare, per parlare in immagini semplificate, una palla di vetro gigantesca.
Si, proprio come quelle che si capovolgono e la neve cade.
Ora immaginate che l'involucro di vetro racchiuda al suo interno un oceano grande come tre o quattro volte il Pacifico. Ogni atomo di idrogeno presente in quel mare è uno degli innumerevoli mondi in cui possono svolgersi Storie differenti … e tenete presente che ci sono più atomi in un solo bicchiere d'acqua di quanti bicchieri d'acqua esistano in tutti gli oceani del pianeta Terra.
Tuttavia, anche se enorme, un universo finito non è allettante … finirebbe per essere esplorato tutto, prima o poi, fra un numero di anni tanto alto da non essere prevedibile, né calcolabile, quando tutti i calendari avranno perso un senso e nuovi mondi e nuovi tempi saranno venuti …
Eppure, anche una volta che l'universo fosse stato scoperto nella sua più piccola parte, quando i segreti di nuove forme di vita fossero stati illuminati e strane leggi fisiche e condizioni estreme sarebbero state archiviate come dominio pubblico, anche allora non si finirebbe comunque di esplorare …
Poiché oltre il nostro universo conosciuto, esistono gli Altri Mondi, quelli che comunemente si chiamano Universi Alternativi o Realtà Parallele.
Facciamo finta di allontanarci per allargare la vista: abbiamo sempre il nostro universo, una palla di vetro piena d'acqua, ma man mano che saliamo vediamo che intorno alla palla di vetro c'è un enorme mare di fuoco.
Allora, potreste pensare, intorno al nostro universo c'è una distesa di fiamme infinita?
La risposta è no.
Perché se continuiamo a salire ancora e ancora più in alto, notiamo che in questo mare di fuoco, anzi, in questo gigantesco oceano, sono immerse altre sfere di vetro … Avete indovinato, altri universi.
Noi li chiamiamo Realtà Parallele o Universi Alternativi perché sono simili al nostro, di Universo: hanno la stessa struttura, come se tutti loro fossero nati da un unico antenato comune, una specie di base.
E' come vedere cellule di uno stesso corpo, tutte simili, ma non tutte uguali … perché, benché ognuna di esse conservi lo stesso DNA di base, ciascuna di esse avrà un qualche particolare differente.
Ecco perché gli Universi Alternativi conservano caratteristiche che ci sono familiari, ma altre … per continuare a fare esempi in tema, è come se una cellula dell'intestino incontrasse una della retina: entrambe provengono da uno stesso corpo, nascono da una stessa "base" genetica, ma hanno ruoli completamente differenti. Se una cellula della retina potesse parlare, non direbbe lo stesso che direbbe una dell'intestino.
Questa è la base di ciò che "esiste".
Ma una volta che vi sarete addentrati nel mondo delle Realtà Parallele non sarà facile continuare a capir cosa è reale e cosa non lo è. Quando sarete capaci di destreggiarvi fra i varchi spazio-temporali, quando vedrete voi stessi in altri mondi viaggiare fra di essi, quando saprete che ogni cosa può essere alterata, allora, e solo allora, potrete capire cosa veramente si possa definire "esistente" e cosa no».

Pausa, respiro profondo.
Le labbra della narratrice si riaccostarono dolcemente, smorzando il fiato.
Kate, la signora dei Druidi e custode delle leggi dello spazio, smise di parlare alla platea di variopinti apprendisti accoccolati di fronte a lei, dietro i loro banchi, con le teste poggiate sulle braccia conserte.
La luce scendeva dolcemente da un soffitto di foglie intrecciate, verdi come smeraldi, bagnando di un reticolato d'oro i ripiani larghi dei grossi banchi simili a quelli scolastici, ma più tondeggianti, che erano occupati dalle pergamene e dalle lunghe penne morbide intinte di inchiostro degli apprendisti.
Quella stessa luce solare cadeva sui capelli della donna che stava seduta alla cattedra, con le mani intrecciate ed appoggiate sopra un grosso volume rilegato in pelle scura. Un simbolo spiccava sopra la copertina, un ghirigoro che somigliava ad una sciabola coricata con una strana mezzaluna superiore, due quadrettini in basso, seguita da tre elle in stampatello piccolo messe coricate, con un altro quadratino che spiccava sopra la terza elle, ed un lungo numero tre alla fine del simbolo, la cui base si allungava elegantemente.
Significava, in arabo, "Al azif". Ma il mondo conosceva quel libro come il Necronomicon.
Altri volumi circondavano la ragazza, più grandi e rilegati in materiali preziosi, ma nessuno di essi valeva la metà di quanto costava il Necronomicon.
Uno degli apprendisti, un giovane dai capelli rossicci con una spruzzata di lentiggini sul naso e sugli zigomi, alzò la mano per chiedere la parola.
«Dimmi pure» Acconsentì la signora dei Druidi, dolcemente
«Anche noi dovremmo viaggiare fra gli Universi Alternativi?»
«Ovviamente» lei continuò a sorridere «Sarà un'esperienza davvero interessante»

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Capitolo 2
*** Antieroe ***



Gli olivi, alti una ventina circa di metri, proiettavano strane ombre frastagliate sul terreno ricoperto di piccole foglie secche e fili d'erba, pezzi di tenebra che si alternavano a sprazzi di luce quasi dorata, liquida.
C'erano due farfalle bianche, due cavolaie, che volteggiavano nell'aria. I due insetti sembravano incredibilmente felici, si rincorrevano nel cielo, leggeri come aquiloni, con i loro battiti d'ala che a tratti si facevano irregolari, planate dolci e scatti improvvisi verso l'alto. Uno dei due si posò sulla spalla di un uomo che, completamente immobile, sembrava morto.
L'altra farfalla sfiorò le ali di quella posata, spronandola ad alzarsi ancora in volo con lei, ma quella, pigramente, rimase ferma … non si era accorta di ciò su cui poggiava le sue sottili zampe.
L'uomo aveva i capelli neri come la pece, raccolti in una piccola coda sulla nuca, e un naso lungo e dritto, importante, che lo faceva sembrare un po' un nobile. Portava un paio di occhiali da vista con le lenti rettangolari, sotto le quali si scorgevano due occhi bluastri e infossati, scavati dentro due occhiaie che sembravano lividi.
Si mosse, finalmente, girando gli occhi per guardare le farfalle. Adesso, si erano posate entrambe.
L'uomo fece guizzare un braccio e afferrò una farfalla dentro il suo pugno ossuto. Gli piaceva sentire le ali che sbattevano contro le sue dita, disperatamente, come un cuore che batte e che via via si spegne … strinse lentamente la presa su quel minuscolo corpicino chiaro. La farfalla sapeva che sarebbe arrivato il dolore, questo poteva capirlo persino il suo cervello grande come una punta di spillo. Le sue magnifiche ali pallide furono compresse, le punte si spezzarono. L'uomo sorrise ancora di più, mostrando denti bianchissimi, poi stritolò la farfalla.
Aprì il pugno, dischiudendo lentamente le dita per assaporare il momento in cui avrebbe visto gli ultimi sussulti dei monconi spezzati di ala.
Lui si era sempre compiaciuto del dolore, ma non per questo si definiva malvagio. Uccideva, certo, ed era capitato che stroncasse persino vite umane, ma erano umani di poco conto … per lui sarebbe stato un vero sacrilegio uccidere chi meritava di vivere. E forse in questo si credeva un dio, nello scegliere chi doveva vivere e chi invece no. Quanto all'uccidere per sopravvivere, l'uccidere per mangiare … beh, quello era sempre lecito. Umani o no, ecco perché aveva ucciso la farfalla.
Sapeva bene di non essere il classico "eroe della storia".
Poi udì dei passi e si affrettò a divorare in un boccone la sua minuscola vittima, poco prima che la sua complice gli si avvicinasse.
«Professore!» Urlò la fanciulla.
L'uomo si volse: apparve dietro le sue spalle una giovane ragazza, non avrebbe potuto avere più di venticinque anni, con i capelli color grano e immensi occhi azzurri. La pelle era candida, e possedeva un sorriso tale da poter sciogliere il cuore di ogni essere vivente. Nelle braccia teneva stretto a sé il quaderno dei propri studi, ed era vestita in maniera semplice, una orlata camicetta bianca, una gonna marrone lunga fino alle caviglie, e i piedi coperti da stivali del medesimo colore. Sorrise al suo insegnante
«Professore, cosa fa? Mi aveva dato un appuntamento per continuare con l'esperimento. La sto attendendo da più di mezz'ora!».
L'insegnante le sorrise a sua volta, ma nel suo volto tale espressione si mutava in ghigno. Nella scuola tutti si chiedevano come potesse una tale studentessa creare esperimenti con un tale uomo. Il motivo era semplice: la straordinaria intelligenza di lei, che era ben utile a lui.  
«Ha portato con se il materiale dovuto?»
«Sissignore» Rispose prontamente «Ho lasciato il tutto nel laboratorio»
«Bene» e senza pronunziare altro si diresse con la fanciulla all'interno della scuola.
Camminarono per qualche minuto. I corridoi erano ampi ed alti, non vi erano muri, ma possenti colonne, collegando i corridoi con un giardino ben curato. Ogni corridoio aveva all'inizio e alla fine una porta, che conduceva in un ampio salone nel quale vi ci erano altre quattro porte, ognuna portava ad una diversa aula. Usciti dal salone, si ritornava in un corridoio. Casualmente in una delle varie classi davanti alle quali stava passando il duo, uscì la professoressa Kate, appena conclusa la sua lezione. Lo sguardo tra i due colleghi non fu amichevole
«Salve, Kate» fu freddo l'uomo dai capelli neri
«Salve» lo fu altrettanto lei, poi osservò la ragazza «Hai ancora intenzione di continuare gli esperimenti?»
«Perchè non dovrei?» rispose l'uomo «Già ne discutemmo in consiglio straordinario, e mi è stato concesso il permesso di procedere. Non vado contro nessuna legge dell'istituto»
«I tuoi obiettivi sì, però!» fu aggressiva
«I miei obiettivi sono puramente di studio, e nient'altro come tu invece sostieni» poi si volse indietro e vide la propria studentessa preoccupata e sudante freddo «Non si preoccupi signorina Woolf, lei sta mettendo il suo genio al servizio della scienza, e nient'altro. Non è di certo una criminale, e come promesso, se l'esperimento avrà successo, lei avrà diritto alla cattedra che tanto ambisce. Sarà l'insegnante più giovane che questa scuola abbia mai avuto!».
Lei annuì, ma lo sguardo di Kate continuava ad inquietarla.
Quest'ultima si pronunciò
«Spero solo di sbagliarmi sul tuo conto. Mi dispiace non poter continuare la discussione, ma la riunione mi attende. Arrivederci, e arrivederci signorina Woolf».
La fanciulla non riuscì ad emettere alcun suono. Ricambiò il saluto con un semplice cenno del capo. Kate se ne andò. All'uomo diede molto fastidio quell'incontro
«Muoviamoci» disse semplicemente, ed infine giunsero in laboratorio.
La sala degli esperimenti era sotterranea, in qualche modo distaccata dallo stile dell'intero edificio. Niente colonne, niente alberi, niente foglie o canti di cicala. La luce era stranamente verdastra, le lampade a neon che costellavano le pareti, e che il professore accese con un clic, sembravano di un tipo che non si trova normalmente in commercio.
La signorina Woolf posò il materiale che stringeva fra le braccia sul lungo tavolo di metallo che occupava il centro della stanza principale e si voltò verso il suo mentore
«Professor Participius, adesso, se non erro, dovremmo testare lo Scalamometro» disse timidamente.
L'uomo sogghignò guardando verso la parete
«Che fretta c'è, per quell'aggeggio? Ho un'idea migliore … che ne pensa di provare direttamente il portale?»
«Co … cosa?» negli occhi azzurri della ragazza passò una scintilla di terrore e un brivido involontario le percorse la colonna vertebrale mente guardava il suo mentore e si chiedeva se fosse del tutto sano di mente «Ma, professor Participius, il corso non ci ha ancora preparati per …»
«Il corso, il corso …» sbuffò lui, aprendo le braccia «Pensavo che fosse più intelligente, signorina Woolf, pensavo che avesse capito che, ormai, lei è perfettamente pronta per questo passo …»
«Ma, professore …»
«Stiamo lavorando a questo progetto ormai da mesi, signorina. Mi creda, però, io so bene da anni ciò che voglio fare. Ti ricordi quello che ti ho detto l'altro ieri?».
La signorina Woolf si stupì del passaggio dal "lei" al "tu" che il professore aveva adoperato. E c'era qualcosa di inquietante nei suoi occhi blu, qualcosa che somigliava all'ombra nera che compare negli occhi degli assassini. Ma forse stava solo vedendo cose che non c'erano … forse era soltanto impressionata dallo zelo del suo maestro. Aveva sempre saputo che era un uomo impaziente, ma aveva paura. E poi, il motivo per cui era impaziente … il motivo per cui voleva collegarsi con un'altra dimensione …
«E' solo scienza» Disse pacatamente il professor Participius, intrecciando le mani al di sopra del tavolo.
Ora che la signorina lo guardava bene, vedeva in lui qualcosa di diverso. Per lei era stato solo un insegnante un po' differente dagli altri, qualcuno che condivideva con lei la passione per la scienza più profonda, quella di cui gli altri avevano paura. Ora, però ricordava tutto ciò che quell'uomo aveva fatto per lei, l'affetto con cui l'aveva sostenuta, con cui aveva scoperto il suo talento, e con cui le aveva promesso di farla diventare ciò che desiderava:  una docente.
Vedeva i suoi occhi, blu come il mare, e sapeva che erano sinceri. La luce verdastra dell'ambiente si rifletteva sulla pelle levigata di Claudius Participius, ma invece di deformarli e renderli demoniaci, cruda e scientifica com'era, li faceva apparire ancora più belli e regolari.
Era come se quell'ambiente, così scientifico, così spoglio, non facesse altro che risaltare il suo aspetto. Claudius Participius era sempre stato un bel ragazzo, anche da piccolo era stato il più carino del suo corso. Carino e intelligente un'accoppiata che attraeva le ragazze come il miele che attrae le api.
Eppure lui … lui era rimasto sempre solo. Aveva altri piani, a quanto pare, per il proprio futuro di piccolo genio.
Lui, perfetto.
La signorina Woolf annuì
«Certo» disse, a bassa voce «Possiamo provare»
«Bene» il professore socchiuse gli occhi e si drizzò in tutta la sua statura, sorridendo con le labbra strette in una tenue linea arricciata.
La studentessa rimase a guardarlo in silenzio, mentre lui sembrava perso nei suoi ragionamenti.
Poi l'uomo si riscosse e si avviò verso il livello successivo del laboratorio, una stanza completamente sgombra che costituiva l'anticamera di purificazione. Due grandi griglie azzurrastre sul soffitto costituivano il passaggio per la pioggia di disinfettante e il filtro per l'aria che successivamente veniva aspirata per asciugare ed eliminare eventuali impurità. La ragazza  lo seguì perplessa, guardandosi intorno. Aveva costruito quell'impianto insieme al professore e sapeva benissimo a cosa serviva: era preludio a un viaggio Infra-Universi, all'apertura di un varco spazio-temporale, la strumentazione necessaria per fare in modo da non portare agenti patogeni da una dimensione all'altra, rischiando di distruggere il delicato equilibrio di altri ecosistemi.
«Adesso?» Disse, con voce tremante.
Non ebbe risposta verbale, solo il click di un interruttore ed il rumore di un paio di ventole  gigantesche che si azionavano.

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Capitolo 3
*** Il fratello ***


Cap. 2
Il Fratello

Il ragazzo scese dal treno. La stazione era immensa ed affollata. Aveva deciso di non viaggiare per nave a causa del suo mal di mare, ma neanche in questo modo riuscì a stare bene.
Odiava la sua resistenza fisica così debole, maledicendola maggiormente quando cominciò a tossire. Ci sarebbe mancato pure l'influenza in un tale periodo! Nell'affondare nei suoi pensieri, non si accorse del nero treno lasciatolo alle spalle, che fischiò per annunciare la sua partenza, muovendo ritmicamente gli ingranaggi sorretti dal potente carbone. Il baffuto capotreno urlò e il mezzo di metallo partì via per future mete. Il ragazzo colto alla sprovvista, saltò in aria per lo spavento ed inciampò a terra. Sentì le risate della gente intorno a lui. Maledisse la sua sbadataggine.
Raccolse in fretta e furia le valigie e si emerse nell'onda della gente per raggiungere l'uscita. I binari si trovavano all'aria aperta, ma per dirigersi verso l'uscita bisognava percorrere una lussuosa galleria, illuminata da enormi lampadari di diamante, che con la luce riflettevano i colori dell'arcobaleno sui bianchi muri e soffitto. Le pareti erano invase dai vari negozi, ornati di ingressi d'oro e venditori di costosi oggetti preziosi. Il pavimento era formato di mosaici, che si seguivano l'un l'altro, mostrando diverse scene, da leggendarie guerre, a momenti di vita di tutti i giorni. In tale spazio chiuso, ogni attimo milioni di persone passavano per viaggiare per diverse destinazioni, sfiorandosi tra di loro, senza conoscersi e per non vedersi mai più.
Diverse vite, esperienze, emozioni filtravano per quella galleria, e questa volta vi ci era la sensazione di soffocamento del povero ragazzo, il quale mal sopportava gli spazi troppo affollati, e non vedeva l'ora di uscire da tale luogo. Dopo pochi minuti finalmente vide la luce solare, e uscì dal mastodontico portone. Istintivamente espirò rumorosamente come di chi ritorna in superficie dopo una lunga apnea. Alzò lo sguardo per vedere il grosso orologio che si ergeva sopra la stazione, dominando con il suo sguardo tutta la piazza davanti. Era di dieci minuti in ritardo. Sperò che ciò non avrebbe causato problemi. Mentre era voltato verso l'orologio, una donna gli si avvicinò, e gli toccò la spalla. Il gesto inaspettato fece nuovamente saltare il giovane, al quale caddero le valigie. La donna rimase in silenzio, sentendosi a disagio per la situazione. Il giovane immediatamente si piegò per recuperare la propria roba, e, rosso in volto per l'imbarazzo, con una mano dietro la testa, leggermente inchinandosi, si scusò per la propria sbadataggine.
«Sono io in dovere di scusarmi» Rispose la donna.
Lo osservò: era un giovane, sulla trentina d'anni, con i capelli corti, ricci e rossicci. Aveva dei grossi occhi azzurri, che mostravano molta insicurezza di se stessi, ma anche molta bontà. Purtroppo il movimento del corpo mostrava anche segni di stupidità, confermati spesso dall'espressione del volto. Si stupì delle labbra, molto accese e delicate, quasi femminili. L'altezza era leggermente sopra la media, e il fisico era di robustezza normale, né troppo grosso, né troppo mingherlino. Indossava una camicia bianca, ornata con una cravatta nera e un discutibile completo di giacca e pantaloni verdi bottiglia. Era evidente che non era molto pratico del bon ton e della moda aristocratica.
«E' lei il signorino Woolf?» Domandò.
Lui si stupì, non avrebbe mai pensato che ad attenderlo ci sarebbe stata una tale donna, sulla cinquantina, con i capelli lunghi e mossi di un biondo scuro, quasi cenere. Indossava una elegante giacca femminile rosa, dalla quale si intravedevano i ricami della candida camicetta. La gonna chiara le copriva interamente le gambe, e a malapena si poteva comprendere che genere di scarpe indossasse. Lo sguardo degli occhi grigi che attraversava le lenti dei minuti occhiali mostrava determinazione, severità, aristocrazia e intolleranza per gli errori. Il giovane si sentiva inquieto. Con la voce tremante spiegò
« Mi scuso, ma non credo di conoscerla»
«Io sono la professoressa McDotter» rispose fieramente «Sono qui per venirla a prendere e condurla nel nostro importantissimo e affermato istituto per volere della signorina Woolf.»
«Come mai non è venuta mia sorella?»
«La signorina Woolf è impegnata in una importante ricerca scientifica, si scusa per non essere potuta venire a prenderlo lei stessa come invece desiderava.»
Il signorino annuì soltanto. L'insegnante lo condusse presso l'auto che li avrebbe portati alla meta. Si sedettero entrambi nei sedili posteriori, e la professoressa ordinò all'autista di partire. Il signorino Woolf si perse nuovamente nei suoi pensieri. Tutti i geni intelligenti li aveva ereditati la sorella! Nonostante fosse più piccola, ebbe più successo del fratello. Egli non era geloso, anzi, gioiva per ogni riuscita di lei. Era la studentessa modello della scuola, e aveva dei privilegi rispetto ai suoi colleghi. Aveva una tale nomea che perfino una professoressa come la signora McDotter si rendeva disponibile a renderle i più diversi favori, come appunto prendere alla stazione il fratello.
E per nessun studente, tranne lei, avrebbero mai prestato l'auto dell'istituto, così nera, elegante, con i due piccoli faretti iniziali e le ruote che rendevano quella macchina particolare. Ogni volta che si scrivevano per lettere, lei gli annunciava sempre più entusiasmata che presto sarebbe diventata una futura docente. Aveva fatto un'importante scoperta, che doveva solo mettere in pratica, e presto avrebbe avuto una cattedra tutta sua. Forse si trattava di questo esperimento.
Lei sarebbe divenuta la docente più giovane della storia, e lui il fratello disoccupato, sfortunato e senza futuro della docente più giovane della storia. E quando finalmente sarebbe giunto il giorno desiderato, il loro padre avrebbe visto l'ennesima volta la figlia con gioia a orgoglio, e l'ennesima volta il figlio con rimprovero. Ma di questo non gli importava. Era contento per la sorella. L'unica cosa di cui si dispiaceva era deluderla. Percepiva quella sensazione, e gli aumentò quando i soldi per il viaggio dovette darli lei.
Il vestito almeno era riuscito a comprarlo lui, sperava di far bella figura in un mondo a lui sconosciuto.
In circa mezz'ora arrivarono.
La macchina si fermò di fronte all'alto cancello d'argento. A quella visione il signorino non poté fare a meno di tenere la bocca spalancata, per poi chiuderla immediatamente con vergogna quando si accorse dello sguardo arrabbiato della professoressa per tale maleducazione. Il cancello aprendosi, esibì il curato e inimmaginabile giardino, ornato di fontane, cespugli raffiguranti uomini filosofi e di scienza, e il prato di un verde acceso. La piccola stradicciola al centro conduceva alla scuola.
«Si muova, prego» Ordinò schietta la McDotter.
Lui a malapena riusciva a camminare, intrappolato nello stupore. Quello era solo l'ingresso, l'edificio doveva quindi essere qualcosa di sublime. La voglia, però, di rivedere al più presto la sorella gli diede la forza di non fermarsi e proseguire. Presto si sarebbe incontrati. La gioia lo invadeva!
«Aspettami mia piccola Claire» esclamò «Presto ti potrò riabbracciare!».
La scuola era una cosa incredibile, impossibile, una specie di fusione fra un chiosco arabo e la bellezza greca dei templi. Tutto era luce ed aria, le particelle di polvere vorticavano di fronte agli occhi del ragazzo con la grazia di simboliche farfalle, quasi a simboleggiare le materie che galleggiano nella luce perpetua della conoscenza.
E così, il piccolo Woolf, entrò in quel mondo accademico.
Lui credeva fosse un mondo serio, irraggiungibile, aulico e solenne, come un vecchio poema greco pieno di grasse parole dal significato glorioso. Se ne stava composto, cercando di fare bella figura pur nella sua umile normalità e sperando che lo accettassero.
Ma la realtà era ben diversa da quella che lui immaginava e l'istituto, sebbene avvolto da quell'austerità tipica delle università, non era il ritrovo dei grandi sapienti imbacuccati e seri destinati a diventare professori di materie teoriche.
Un grosso studente bruno, una specie di armadio tutto muscoli in tuta da ginnastica nera, sfrecciò di lato al ragazzo, guardandolo con gli occhi socchiusi. Era come se pensasse "Ma questo che ci fa qui?".
Il signorino Woolf, però, non se ne accorse. O meglio, non si accorse dello sguardo del giovane, visto che era impossibile ignorare la massa che sibilò al suo fianco quando sfrecciò come un cavallo da corsa e si perse oltre le alte colonne spesse di marmo bianco.
Altri gruppi di studenti, tutti vestiti con uniformi lunghe e di gradazioni di colore diverse, erano ammucchiati agli angoli delle gradinate e dietro le colonne, chiacchierando animatamente di cose che il ragazzo ancora non poteva capire.
Poi un uomo alto e distinto gli venne incontro.
Aveva la barba rossiccia, spruzzata di bianco, e gli occhi di un azzurro scuro che tendeva al grigio, un colore apparentemente slavato, ma che se visto da vicino dimostrava una certa, straordinaria, profondità. L'uomo vestiva di nero, come la maggior parte dei professori ed alcuni studenti, con una cravatta a piccolissimi pois rosso carminio disposti in un disegno rigidamente ordinato, e il colletto della camicia stranamente sollevato a nascondere la parte inferiore delle guance e i lati della gola.
«Oh, buongiorno messere» Salutò la McDotter, con un tono quasi adulante
«Buongiorno» rispose l'uomo, fissando i suoi occhi acuti sul giovinetto a lato della sua collega «E chi è il nostro ragazzo»
«Il signorino Woolf» rispose prontamente la professoressa «Il fratello di …»
«Ma certo» la interruppe lui, il cui sguardo ormai scintillava di piacere «Abbiamo già una Woolf nel nostro accreditato istituto. Una mente brillante, assolutamente brillante» scosse leggermente la testa e la barba ispida delle guance strusciò contro il colletto evidentemente inamidato «Se lei, signorino, è altrettanto intelligente come sua sorella, non ho dubbi sul fatto che sarà il benvenuto nella nostra scuola» gli tese una mano.
Il giovane la strinse, sorridendo sforzatamente. Nonostante la sua espressione non molto intelligente, quel sorriso stentato aveva un che di tenero e quasi sensuale, ma divenne una smorfia leggermente addolorata quando la mano del professore, grossa e calda, strinse troppo le dita del ragazzo.
«Io sono Paul Genovesi, docente di occultismo, specializzato in vampirismo» Si presentò l'uomo, con una certa enfasi sottolineata ancora una volta dalla sua stretta stritolante.
Il signorino Woolf pensò che dovesse essere pazzo … bah, vampirismo. Non esistevano cose come il vampirismo e l'occultismo, gli aveva detto sempre suo padre, era una cosa per malati di mente.
Il signor Genovesi guardò sul suo dorato orologio, con il cinturino di pelle marrone. A quella vista Woolf pensò che con un tale oggetto di valore si sarebbe addirittura potuto comprare una casa. Il docente esclamò stupito
«Si sta facendo tardi per la riunione. Signorino Woolf, mi farebbe enorme piacere se lei si unisse a noi. Sarebbe interessantissimo udire le opinioni che ha da offrirci niente poco di meno che il fratello maggiore della signorina Woolf»
Il giovane comprese che doveva trovare una scusa gentile per rifiutare l'invito
«Mi farebbe piacere assai, ma dopo il lungo viaggio avrei il forte desiderio di vedere mia sorella il più presto possibile»
Il che fu anche vero. L'altro mostrò un'espressione deludente, forse si era dispiaciuto per la risposta, pensò il giovane. Egli, però, ne spiegò immediatamente la ragione
«In questo momento la signorina è impegnata in un esperimento scientifico. E' impossibilitata ad incontrarla, ma credo che finita la riunione anch'ella avrà concluso e vi potrete incontrare. Perciò non si preoccupi, e mi segua».
Il signorino comprese di non avere scelta. Sperava solamente di non fare brutta impressione. La professoressa McDotter era invece compiaciuta della situazione: era intrigante osservare come si sarebbe comportato il giovane.
Non camminarono molto. Si addentrarono in un'ampia aula, preceduta da un'immensa porta. Woolf si sorprese che in tale sublimità la porta, anche se imponente, fosse solo di legno, dovette poi cambiare idea nell'osservare che all'interno la porta era a vetro e si osservava l'esterno. Era un genere di incantesimo che egli non conosceva assolutamente, come d'altronde molte cose del mondo a lui ignare. L'aula aveva mura alte e bianche marmoree, con ampie finestre che mostravano il giardino, e una cupola al soffitto che completava l'opera. Entrando, si aveva alla propria sinistra una possente cattedra, al quale era seduta una donna. Ne poteva osservare solo i capelli scuri lunghi, giacché il volto era abbassato intento a leggere chissà cosa. Il resto della stanza era colmo di posti a gradino, addobbati di poltrone rosse e banchi.
Vi ci erano seduti i vari insegnanti. Era una elegante aula universitaria. Solo i due docenti mancavano ancora all'appello. Si sedettero, e anche Woolf, scegliendo il posto più vicino possibile alla porta, nella speranza di non passare osservato, e nel caso sarebbe servito di fuggire facilmente e molto, molto velocemente.
Ci fu un leggero chiacchiericcio tra i colleghi, che si interruppe immediatamente quando la docente che presiedeva la cattedra alzò lo sguardo.
«Colleghi e colleghe» pronunciò Kate «Siamo qui riuniti oggi per discutere dei vari punti giornalieri. Siamo pronti a cominciare?»
Un secco e deciso «sì» fu esclamato dai docenti.
Kate annuì
«Bene, cominciamo dal primo punto: promozioni e bocciature degli studenti, e apertura con annessi nuovi iscritti del prossimo anno»
La riunione parve fin da subito lenta e tanto, tanto noiosa. Woolf non poteva credere a ciò che stava assistendo. Un ammasso di burocrazia inutile e odiosa. Ogni docente che interveniva era un blaterare continuo ed insensato per il povero giovane. Quanto tempo era passato? Delle ore interminabili? Pregava che la riunione si concludesse al più presto, ma l'ultimo punto catturò la sua attenzione
«Settimo e ultimo punto» dichiarò Kate «L'esperimento in corso del professor Participius e della studentessa Woolf»
Il fratello si inquietò quando sentì nominare la sorella. Si concentrò per comprendere meglio cosa stesse succedendo.
Un docente, obeso per l'avanzata età e con folti baffi bianchi, si espresse
«Non comprendo cosa ci sia da discutere. Già nella precedente riunione se n'è dibattuto, e il professor Participius ha spiegato in maniera ineccepibile i suoi studi e io non posso che essere d'accordo. D'altronde, signora Kate, mi stupisco di lei. Lei stessa nelle sue lezioni insegna i viaggi tra universi paralleli, e poi condanna il loro studio pratico. E' contraddittoria, a mio dire»
Gli occhi di Kate scintillarono nell'accettare la verbale sfida
«Io sto insegnando i viaggi tra i diversi universi, giusto, ma quello che il professor Participius sta creando non è solo un semplice mezzo per muoversi tra essi. Già la nostra scuola è in grado di usufruire di tale tecnologia. Proprio a lei, signor Medcer, docente di scienze, devo spiegare la formazione del nostro universo?»
«Non comprendo cosa c'entri questo» era turbato
«C'entra giacché le ricordo che il nostro universo è formato per il settantaquattro percento da "energia oscura",  il ventidue percento da "materia oscura" e solo il quattro percento dalla parte visibile e/o comprensibile: atomi, molecole, particelle, radiazione ecc ecc. Insomma il novantasei percento della realtà è fatto di qualcosa di cui non sappiamo nulla salvo il fatto che esiste. Comprende come già sia misterioso solo il nostro di universo. Inoltre le ricordo dell'immensa voragine che si è creato nell'universo di ben 900 milioni di anni luce di grandezza. E' stata causata perchè un altro universo ha superato il nostro, vi ci è entrato. Non vogliamo certamente invadere gli altri universi, vogliamo conoscerli, studiarli, ma non distruggerli. Un minimo errore e rischiamo di causare un secondo Big Bang.»
«Ma il professor Participius ha creato, mostrandocela, una macchina che non intacca gli equilibri degli universi»
«Mi faccia finire di parlare» fu brusca «Il professore Participius non vuole di certo distruggere gli universi, ma sta creando dei collegamenti tramite la materia oscura, la quale ho presentato all'inizio. Come possiamo fare esperimenti su energie e materie a noi ignote? Per anni questo istituto ha severamente vietato la manipolazione dell'energia e materia oscura, e all'improvviso tutti i docenti sono favorevoli a tale cosa. Non sappiamo nulla a quali conseguenze potrebbe portare tale esperimento. E che conseguenze vantaggiose potrebbe portare a Participius, o dannose per noi»
L'aula cadde in silenzio. Un freddo brivido la invase. Woolf fu terrorizzato dal discorso. Non aveva capito assolutamente nulla, solo che un pazzo faceva sperimenti folli e sua sorella ne era coinvolta. Doveva reagire. Stava per alzarsi e parlare, ma Genovesi lo precedette
«Signora Kate il suo discorso mostra ancora una volta la sua infinita cultura e sapienza» Iniziò «Però sono contrario di fronte alle sue affermazioni. L'oscuro fa parte dell'essere umano, come vi è nell'uomo, vi è nella natura e nell'intero universo. Ho sempre insegnato e sempre insegnerò ai miei allievi che bisogna apprendere, accettare, e anche amare la nostra parte di anima dannata, e non ritengo vi ci sia ragione di non farlo anche con l'universo. Come lei ha già spiegato questa materia oscura è anche energia oscura, energia che se compresa potrebbe tornarci utile. Se l'umanità avesse sempre seguito il suo ragionamento, per paura del rischio non avrebbe mai scoperto né il fuoco né l'elettricità né qualunque altra cosa, e non si sarebbe mai evoluta. Il professore Participius e la signorina Woolf sanno di correre un immenso pericolo, e io rispetto il loro coraggio. Perciò approvo che l'esperimento continui».
«Anch'io approvo» Ripetè il dottor Medcer, e con lui tutti gli altri.
Kate non poté far altro che accettare la decisione. Aveva il ruolo dominante dell'istituto, ma si decretava per maggioranza. Una volta solo si urlò un possente no. Si voltarono, si trattava del giovane Woolf
«Non mi importa dell'esperimento, scienza, evoluzione, e roba oscura. Mia sorella non deve essere in pericolo!»
«E lei chi è?» domandò sorpresa Kate
«E' il signorino Woolf, fratello della signorina» spiegò brevemente la McDotter.
A Kate non parve vero di avere di fronte proprio il fratello della Woolf. Si rese conto di avere dalla sua un alleato che l'avrebbe aiutata a far finire tale follia.
«Senta giovanotto, lei deve comprendere...»
«Non comprendo nulla!» il ragazzo aggredì il baffuto insegnante «Voglio solo che mia sorella stia bene!»
«E le prometto che starà bene» lo rassicurò Kate avvicinandosi, e si presentò.
Gli spiegò che la sorella era in laboratorio, e probabilmente avevano già terminato e lei sarebbe stata ben lieta di condurlo lì. Woolf, ansimante annuì soltanto con la testa, e i due uscirono dall'aula.
Tutti i professori rimasero senza parole per la scena, e Genovesi rimase molto deluso nel capire che il signorino non era intelligente come credeva.

Il laboratorio era scuro, e invaso del perenne rumore delle ventole. La signorina Woolf sentì il pavimento scomparire all'improvviso, e si sentì galleggiare nel vuoto.
Non vide intorno a se neppure il professore. Voleva urlare, ma non ci riusciva. Il nero invadeva il suo sguardo. Improvvisamente una luce blu scuro le comparve davanti. Non comprendeva cosa fosse. Voleva avvicinarsi, ma non poteva muoversi. Quando inaspettatamente un'oscura mano uscì dalla luce, la stava per afferrare e...
Ed ella ritornò nel laboratorio. Si guardò intorno terrorizzata. Non era mutato nulla. Si volse verso il professore, era furioso
«Dannazione! Dannazione! Neanche questa volta ha funzionato! Niente! Non è accaduto niente!»
Woolf non poteva credere alle sue orecchie: quell'esperienza l'aveva vissuta solo lei?
«Professore, forse se teneva accesa ancora un po' la macchina.»
«Per cinquantaquattro minuti l'ho tenuta accesa, cinquantaquattro e niente!».
Lei non poté crederci. Le pareva essere passati pochi attimi, e invece era passata quasi un'ora. Cosa diavolo le era successo? Participius vide il suo volto spaventato
«Lei ha visto qualcosa? Cosa?»
«Io... Io non lo so...» balbettava
«Dimmi cosa hai visto, devo saperlo!».
Avrebbe fatto di tutto pur di scoprirlo, di sapere perchè con lei avesse funzionato e a lui no. E cosa aveva funzionato poi. Ma furono interrotti dalla porta che si spalancò
«Claire!»
«John!» gridò.
Mai come in questo istante era felice di vedere il fratello. Si abbracciarono.
Lui percepì che la sorella era scossa
«Tutto bene?» chiese preoccupato
«Sì, solo vorrei tornare nella mia stanza»
«Ma certo!» e l'accompagnò.
Participius era arrabbiato, ma dovette calmarsi quando di fronte a lui apparve Kate. La donna non si mostrava meno rabbiosa di lui, e sapeva benissimo che sarebbe iniziato presto un diverbio.
Claudius inspirò a fondo, dilatando le narici come un toro infuriato. I suoi lineamenti si contrassero per un attimo con rabbia, in una smorfia feroce, ma immediatamente l'autocontrollo ferreo che si imponeva sin da giovanissimo ebbe il sopravvento.
Kate gli si avvicinò e lo guardò negli occhi, notando immediatamente la sua rabbia
«Cosa è successo?» scandì lentamente, in tono più neutro possibile.
Claudius Participius, non più il professor Participius, in quel momento si rivide bambino. Rivide se stesso alto un metro e venti, ancora magro, seduto sulla propria sedia di legno scuro sulla quale aveva appuntato le formule matematiche. E poi lei, sempre lei, la regina dei Druidi, che si avvicinava. Quando lui era ancora un bambino, la regina non era Kate, quella che ora si fregiava del titolo di Signora del Sapere era la reincarnazione di quella che lui aveva conosciuto da bambino …
Ma lui ricordava benissimo il volto senescente e lo sguardo acuto, infossato in orbite molli, di quella vecchia che lo studiava. Lui aveva avuto paura, la prima volta che la aveva vista, percependo il campo di energia e la grande saggezza di quella vecchia che, curva, avanzava verso di lui scortata da due uomini enormi. E poi c'era quel mostro, il Ministro, che proteggeva sempre la regina dei Druidi, camminando rispettosamente un passo dietro di lei. Faceva paura, quell'uomo, era anche più grosso delle due guardie del corpo e aveva un giubbotto nero che faceva paura, oltre a quell'orribile cravatta a disegni viola geometrici che, se la guardavi bene, sembrava ritrarre un occhio mostruoso.
La regina si avvicinava e lo toccava con le sue mani … quelle sue mani rugose … lui cercava di non fissare le dita che si abbattevano sulla sua testa, accarezzandogli i capelli scuri …

E all'improvviso la realtà. Kate non era certo quella vecchia che Claudius aveva conosciuto da bambino, ma lui continuava ad averne ugualmente paura. Gli occhi erano gli stessi, così terribilmente intelligenti, ma no … quello era niente … quegli occhi erano terribilmente antichi, come lo sguardo di un fantasma che aveva cavalcato attraverso le ere storiche, portandosi sulla cresta della battaglia, per giungere fino ad oggi e reincarnarsi in una giovinetta apparentemente innocua.
Ma Claudius non credeva che lei fosse innocua …
«Non è successo nulla che sia degno di nota, non temete» Mentì, cercando di sembrare il più naturale possibile.
Kate lo guardò con uno sguardo che sembrò trapassarlo da una parte all'altra, i suoi occhi castani e acuti si fissarono contro le pupille dell'uomo con una ferocia inaudita, che però non contagiò nessun'altra parte del suo volto, il quale rimase sereno come sempre
«Qualcosa, invece, è accaduto, professore … o meglio, Claudius».
Il professor Participius, al sentirsi chiamare per nome, temette l'arrivo di un altro doloroso flashback della propria infanzia, ma che per fortuna non venne mai.
«Kate» Disse, usando come sfida quel chiamarla per nome con asprezza «In realtà, hai ragione, qualcosa è accaduto. Per un solo istante, uno solo, sembra che la macchina abbia funzionato …»
«Avete viaggiato attraverso la materia oscura?» chiese Kate, con stupore «Come è possibile che vi sia riuscito con tanta semplicità? Ci sarebbero dovuti essere … anni di studi teorici prima di riuscire in un'impresa simile».
Il professore sospirò, scuotendo piano la testa. Un paio di ciocche nere gli sfuggirono sulla fronte sudata.
Gli sarebbe piaciuto moltissimo che fosse andata come pensava lei …

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Capitolo 4
*** Interferenza? ***


Cap. 3
Interferenza?

Ma se è vero che le cose succedono quando meno ce le aspettiamo, il Professor Participius vide un fenomeno assolutamente normale. Se invece è anormale che all'improvviso ci sia un'interferenza spazio temporale nel bel mezzo del vostro laboratorio, pensate pure che la fine del mondo sia arrivata.
Perché all'improvviso, mentre Kate e Claudius parlavano tranquillamente, l'aria iniziò a riscaldarsi e ronzare.
Lo sguardo del professor Participius s'illuminò d'un tratto, mostrando tutta la sua bellezza e crudeltà in un balenio soddisfatto
«Mio Dio!» urlò, come un animale ferito, rivolto verso le enormi ventole al soffitto.
Kate lo fulminò ancora una volta con lo sguardo, aggrappandosi al tavolo mentre l'eccitazione crescente delle particelle dovuta al calore emesso da un unico punto creava una corrente d'aria rovente
«Cosa significa?» chiese, gridando per sovrastare il rumore spaventoso di un risucchio che era appena comparso nella stanza adiacente.
Il professor Participius avrebbe dovuto essere molto più cauto e chiudere ermeticamente le porte che conducevano alla zona di trasferimento, ma adesso era felice di aver dimenticato di fare una cosa del genere.
«Funziona!» Gridò.
Kate avanzò verso di lui, furente
«Come può funzionare, se le macchine sono spente?».
Il sorriso trionfale e demoniaco si cancellò dalla faccia del professore. Capì che non era stato lui ad aprire un portale per altrove … era stato l'"altrove" che stava aprendo un portale verso di lui. Iniziò a respirare affannosamente, ritraendosi
«Oh, mio Dio …» mormorò questa volta, a voce bassissima «Non può … non può essere»
«Oh, si che può» Kate lo afferrò per un orecchio, come faceva nel suo corpo precedente quando il suo allievo Claudius era ancora piccolo «Hai segnalato agli abitanti dell'altro universo la nostra posizione. Hai richiamato nel nostro mondo un abitante delle zone oscure!»
«Mi dispiace!» piagnucolò infantilmente il professore.
Per quanto fosse caratterialmente forte, per quanto la sua malvagità e il suo intelletto cancellassero ogni altro carattere al suo confronto, Kate lo aveva forgiato e domato sin da piccolissimo e ora stava sfruttando le sue conoscenze per terrorizzarlo. Ma non era solo questo …
Il fatto era che davvero qualcosa si stava materializzando nella zona del portale. La creatura … la creatura che veniva da un Universo Parallelo …
Il laboratorio divenne improvvisamente scuro. La luce sembrava come assorbita da un qualche punto indefinito. Kate e Claudius dovettero tenersi fisicamente con le mani per non perdersi. Improvvisamente uno squarcio sbucò nel nulla. Claudius non poté credere ai suoi occhi. Era riuscito a creare un collegamento tra diverse dimensioni tramite la materia oscura.
Sapeva di dover reagire.
Era folle! Sì, il piano era dannatamente folle, ma dovette provarci. Per anni aveva abusato delle proprie energie mentali e fisiche per questo risultato, per infiniti studi che ogni volta lo avevano portato solo ad innumerevoli insuccessi. Quasi tentato di abbandonare ogni cosa, la sorte gli fu amica: nella sua aula conobbe una studentessa, la signorina Woolf, che come lui bramava di nuova conoscenza. Fu estasiato quando lei gli mostrò una formula di sua creazione, e comprese che con tale scoperta avrebbero potuto creare ciò che egli desiderava da troppo tempo. E tale riuscita era dinnanzi a lui. Osservò la breccia attentamente. Era abbastanza grande. Con scatto felino spinse la donna a terra, e balzò dentro l'altra dimensione. L'apertura sparì, ed esso con lui, senza che Kate avesse avuto tempo di reagire.

Altrove, John Woolf era preoccupato per la sorella.
Era da qualche minuto che era rimasta immobile a fissare il pavimento, seduta sul letto. Le aveva portato tre bicchieri d'acqua per calmarla, ma non avevano avuto successo. Si sedette accanto a lei, impotente, rimuginando su come aiutarla. Si guardò intorno nella speranza di trovare un qualcosa che potesse dar vita ad un discorso, ma era assai difficile: la stanza era formata dal letto ben composto, e una scrivania ornata solo da penne, matite e libri, con accanto una poltroncina. Vi erano una semplice libreria di legno.
Né peluche né altri abbellimenti femminili dimoravano nella camera. I vestiti erano ben posti nell'armadio. Era tutto ordinato e semplice. Proprio l'incontrario di com'era John. Gli scappò istintivamente un sospiro di malinconia. A ciò, a Claire Woolf scappò una risata. Quel semplice gesto donò immensa gioia nel cuore del fratello
«Ti ringrazio che ti preoccupi per me» affermò la ragazza «Ma sto bene. Non mi è successo nulla di grave. Solo, nel laboratorio durante l'esperimento ho avuto una temibile visione, e non comprendo se fosse stata reale, o solo stress, o un errore, o chissà cosa!» gli occhi mostravano che era scossa
«Claire» la tranquillizzò «Non devi preoccuparti. Questo esperimento che stai facendo è un qualcosa di assurdo. Tu non devi sentirti responsabile se qualcosa va storto. Dovresti lasciar perdere, per il tuo bene».
Ma gli occhi decisi e anche irritati della sorella gli fecero comprendere che era un argomento di cui era meglio non discutere
«Dimmi, cosa hai visto?» ma Claire non ebbe tempo per rispondere, giacché una spaventata Kate corse nella stanza spiegando cosa fosse avvenuto.

Il professore si trovava su ciò che credeva essere un pavimento roccioso, a causa del buio che offuscava la vista. Provò a muoversi, ma si rese conto di non riuscirci. Braccia e testa erano libere, ma gambe e il resto del corpo erano come incollate al suolo, da chissà quale forza magica. Dal nulla si sentì una demoniaca e rauca voce
«Ti do il mio benvenuto straniero»
Claudius si guardava intorno, ma non vedeva nulla. Ciò lo turbava parecchio. Improvvisamente una luce blu acceso gli apparve davanti: dovette chiudere gli occhi. Quando li aprì vide solo due luminose iridi che lo fissavano. Era impossibile vedere il resto del corpo.
«Dove... Dove sono?» gridò con coraggio
«Nel mio universo, al quale si accede solo tramite la materia oscura. Sai, non tutti gli universi sono fertili e vivi come il tuo, alcuni sono bui e tenebrosi e dannati come il mio. Ma, come te, anch'io ero inconsapevole di altri mondi, fin quando tu e la tua allieva non avete cominciato i vostri esperimenti. E' grazie a voi che io e la mia gente abbiamo potuto creare un'apertura che ci permise di osservarvi attentamente. E con il tuo esperimento sono riuscito ad entrare in contatto con voi. Ho tentato con la fanciulla, ma non ho avuto successo. Comprendo che invece con te ho ampie possibilità di poter parlare»
«Se quello che cerchi è solo un dialogo, allora perchè non ti mostri? E perchè mi hai imprigionato?»
«Perchè voglio un accordo. Ti libererò e ti manderò nuovamente nel tuo mondo, ma voglio che tu azioni nuovamente la macchina. Voglio che ci permetta di giungere nel tuo mondo»
«E per quale ragione?»
«Non ti riguarda» aggiunse solamente la demoniaca figura.
Claudius sentiva che potevano essere pericolosi, sentiva che rischiava di compromettere la vita di troppa gente. Eppure, il suo sesto senso gli suggeriva di fidarsi. Accettando, avrebbe mostrato al mondo la sua scoperta, anni e anni di studi avrebbero finalmente partorito il successo da troppo tempo bramato. Avrebbe avuto la reputazione di gran scienziato che meritava. E sentiva che tale accordo sarebbe stato vantaggioso per se. Avrebbe potuto sfruttare questi esseri per i suoi guadagni personali. Ciò gli diceva il sesto senso, e il suo sesto senso non sbagliava mai. Per questo accettò.
Gli occhi si incurvarono in ciò che doveva essere un ghigno.
Dalle tenebre uscirono due braccia, una di esse armata di pugnale. Afferrarono la mano destra dell'insegnante, e ferirono il palmo, causando forte dolore. Poi l'essere misterioso si ferì la sua mano destra nel medesimo modo, e la strinse a quella dell'uomo. Le due ferite si unirono
«Abbiamo compiuto un patto di sangue, ed essi vanno sempre rispettati».
Il professore sentì un lieve ma continuo bruciore. Per qualche attimo si pentì della sua scelta, credendo che in realtà fosse lui ad essere sfruttato da questi mostri per i loro scopi. Poi, però, si ricordò che il suo sesto senso non sbagliava mai, e si tranquillizzò.
«Ora vai».
E una luce accecante invase lo sguardo del povero uomo.
Si ritrovo all'improvviso in piedi, confuso, ma di nuovo libero di muoversi. La luce, abituato all'oscurità, lo accecò per qualche istante. Sentì una voce che lo chiamava. Si volse: era la signora Kate. Stupito, si guardò intorno: si trovava nell'aula delle riunioni. Vide sia Kate, che i signorini Woolf, e gli insegnanti insieme a loro.
«Professore! Professore Participius come si sente?» si buttò Claire preoccupata per la sua salute, con gli occhi lucidi.
Si sentiva ancora confuso, ma percepiva che anche gli altri provavano la stessa emozione della fanciulla.
«Sto bene, sto bene! Sparisco per un po' di tempo, e voi tutti a preoccuparvi!» affermò con tono alterato
«Un po' di tempo?» fu furiosa Kate «E' stato via per ben cinque ore!»
Claudius impallidì. Per lui erano passati solo pochi minuti. Era chiaro che tra le due dimensioni il tempo scorresse in maniera diversa. Fu invaso di domande su cosa fosse successo. Non gli diede peso. Si osservò la mano destra. La ferita era aperta e profonda, ma non vi usciva una goccia di sangue. Non era normale. Sicuramente quel patto aveva un qualcosa di magico. Ma non vi diede peso. Sapeva perfettamente cosa fare
«Domani pomeriggio alle ore diciassette vi sarà un'assemblea straordinaria che dovrà riguardare l'intero istituto, insegnanti e allievi. Vi sarà la nomina della signorina Woolf a docente straordinaria della scuola» i giovani Woolf rimasero senza parole per tale colpo di scena «Sarà la premiazione per la precoce studentessa per la riuscita dell'esperimento di usufruire della materia oscura per i viaggi interdimensionali. Vi sarà naturalmente l'atto dimostrativo di tale esperimento».
Il silenzio invase l'aula. Solo Kate ebbe il coraggio di ribellarsi
«Rifiuto tale assemblea!»
«Io invece ne sono favorevole!» Si pronunziò il professor Genovesi.
La donna lo guardò stupita.
«Come l'istituto da anni tramanda, è la maggioranza a decidere, perciò metteremo a voto la scelta. Io mi dichiaro favorevole a tale assemblea».
Ogni docente lo osservò. Ognuno percepiva come di essere rapito da quell'uomo, affascinato e quasi ipnotizzato. Non era magia, era un carisma innato che gli permetteva che chiunque facesse ciò che egli voleva. Tutti si pronunziarono favorevoli. Kate dovette accettare a malincuore. John era stracolmo di felicità per la sorella, ma ella, nonostante la gioia, percepiva che qualcosa di losco c'era. Tuttavia, ognuno andò via. Gli ultimi ad andarsene furono i professori Participius e Genovesi. Il primo si sentì osservato dal secondo. Lo fissò a sua volta. Il ghigno del docente di occultismo gli fece comprendere che egli sapeva, sapeva cosa gli fosse successo e certamente, grazie alla sua sapienza, di cosa si trattasse quel patto di sangue. Percepì che egli poteva essere un buon alleato. Ricambiò il ghigno a sua volta
«Buona giornata signor Genovesi, spero di vederla domani»
«Certamente signor Participius, non mancherò. Buona giornata anche a lei... E a domani...» .
L'indomani mattina, il professor Participius si svegliò di buon ora, elettrizzato. Alzandosi rapidamente, si andò a portare davanti allo specchio e guardò il proprio volto, sperando di trovarci l'espressione trionfale e fiera che sentiva dentro l'anima. L'espressione c'era, ma due profonde occhiaie lo turbarono. Possibile che fosse così stanco? Eppure ricordava di aver dormito bene tutta la notte, come se avesse assunto dei calmanti, e senza sogni …
Si fece la barba, continuando a guardare il suo viso smunto e chiedendosi la ragione di quel cambiamento. Non erano solo le occhiaie, era che le ossa degli zigomi sembravano voler schizzare fuori dalla pelle e le vene delle mani erano gonfie e in rilievo. Scosse piano la testa, ripensando a quello che era accaduto il giorno prima, e la lametta gli sfuggì, affettandogli un pezzo di pelle a pelo d'osso. Non gridò, né saltò su come una qualunque persona, piuttosto aprì il rubinetto e lavò abbondantemente la ferita per poi applicarci sopra la matita emostatica. Gettò via il rasoio da barbiere in un angolo, con rabbia, solo quando si ebbe tamponato la ferita a sufficienza e sbuffò, buttandosi a sedere per terra.
La sua teoria personale, formatasi nella sua mente rabbiosa solo in quel momento, è che le condizioni della dimensione in cui era finito attraversando il portale che connetteva i due universi, non erano adatte agli esseri umani. Lui era rimasto solo per poco tempo a contatto con l'atmosfera malsana dell'altro pianeta, ma tanto era bastato a deperire il suo organismo. Gli effetti, con un'esposizione più prolungata, sarebbero stati devastanti …
«A cosa stai pensando?» Disse una voce profonda alle sue spalle.
Anche questa volta il professore non si scompose troppo, ma si rialzò con calma, aggiustandosi il pigiama quasi fosse un abito da cerimonia che si era sgualcito
«Chi sei?» domandò, senza neppure voltarsi
«Io … ah, io vengo da dove tu sai che vengo»
«No, sul serio» la voce del professore si fece tagliente di ironia «Tu vieni dal manicomio»
«No, professore. Ho seguito la scia del patto …».
Claudius capì e digrignò i denti
«Sei uno di loro? Uno di quelli della dimensione oscura?»
«Esattamente»
«Come hai fatto a raggiungermi?»
«Te l'ho detto … ho seguito la scia del patto» quella voce, ora più vicina, quasi dietro le orecchie dell'uomo, aveva acquisito sfumature profonde e metalliche, come i rintocchi di campane d'alluminio «Abbiamo scoperto, dopo qualche giorno di ricerca, che a noi non servono macchine, per viaggiare fra gli universi … solo non lo avevamo mai fatto prima d'ora perché non conoscevamo l'esistenza di cose come il vostro mondo»
«E … come stai?»
«Bene, grazie. L'odore dell'aria non è il massimo, e la luce è davvero disturbante, ma …»
«Com'è possibile che parliamo la stessa lingua?» chiese il professore, passando all'aspetto pragmatico di quel contatto alieno «Voglio dire, i nostri mondi distano svariate centinaia di anni luce …»
«E' qui che ti sbagli, eh?» la risata oscura del demone si fece accesa, come fuoco che arde «La struttura del nostro universo e quella del vostro, di base, rimane immutata. Anche io sono un terrestre, ma vivo in un'altra terra. Una terra sfortunata, come ce ne sono tante, in altri mondi … tuttavia non devi venir meno all'impegno che hai preso con noi»
«Accendere la macchina?» indovinò il professore, con sarcasmo
«Esattamente. Dopotutto, anche se alcuni di noi possono viaggiare indipendentemente, usando solo i propri poteri, non è detto che ciò valga per tutti noi … alcuni hanno bisogno di essere guidati. E poi il segnale del marchio che ti è stato imposto è debole ed è facile perdersi attraverso i mondi oscuri …»
«Fatemi indovinare» ringhiò il professore, serrando i pugni «Volete venire nel nostro mondo per imporre numerosi marchi, diversi patti di sangue, alla gente, in maniera tale da poterne seguire le tracce per spostarvi a piacimento»
«Sei davvero uno scienziato, professor Claudiussss …».
Il professore si girò di scatto, ma dietro di lui non c'era nessuno. Il suo cuore iniziò a battere a mille e il nervosismo lo aggredì.
«Dove sei, dove sei canaglia!?».
Non ci fu risposta. Assalito da un tremito nervoso, il professore iniziò a piangere. Cosa aveva fatto?
Improvvisamente bussarono alla porta. Participius si chiese chi mai potesse essere a quest'ora. Si asciugò immediatamente il volto, e si compose.
Con il suo solito sguardo, aprì. Era il professor Genovesi.
«Sono passato per vedere come stava. E' pronto per il grande evento?»
«Mi sembra ovvio» rispose, sicuro di sé, come se non fosse mai stato turbato di nulla. Poi proseguì  «Comprendo che sia scortese far attendere gli ospiti alla porta. Prego, entri, solo mi scuso che dovrà aspettarmi. Come può vedere, sono ancora in pigiama»
«Non si preoccupi, nessun problema» ed entrò, mostrando un cordiale sorriso.
Nella camera, mutò espressione.
Claudius gli stava offrendo qualcosa, com'è consuetudine fare con gli ospiti, ma non lo stava sentendo. Mentre Participius stava scegliendo cosa indossare e stava dicendo che c'era del the nel caso l'altro lo volesse, Genovesi lo colse di sorpresa
«Non credevo che uno di loro venisse a trovarla. E' stata un mossa stupida direi».
Al collega caddero i vestiti dalle mani.
Colto alla sprovvista, si ricompose
«Avevo intuito ieri che lei avesse compreso qualcosa»
«Sono il miglior studioso di occultismo e vampirismo che mai esista per ogni universo!» esclamò pieno d'orgoglio« Ho passato ben quarant'anni della vita mia a tali studi, e dovrei soltanto dimettermi dal mio incarico se non riconoscessi la magia nera, o ne sentissi la presenza!»
«Quindi lei percepisce che qui ci sia stato qualcuno?» chiese incuriosito
«Esattamente. Ma più che una presenza fisica, è stata mentale. In pratica è una magia che permette di far viaggiare la mente ovunque si desideri, lasciando il corpo in un unico punto. Magia piuttosto banale»  alzò le spalle.
A Participius tale magia non sembrava banale.
Continuò
«Allora riconosce anche questo marchio» e gli mostrò la mano.
Genovesi prese da un taschino della giacca un paio di occhiali, e la esaminò a fondo
«Proprio come immaginavo ieri è un "Patto di sangue", una magia che costringe chi lo fa a mantenere la parola data. Nel caso contrario, essa prende fuoco, e con lei tutto il malcapitato, e non vi è modo di spegnere le fiamme. Non dovrebbe essere bello morire incendiati!» ironizzò, ma l'altro non era in vena di scherzi
«Gli abitanti dell'altra dimensione la utilizzano come collegamento tra il loro e il nostro mondo. Usano tale marchio come una specie di bussola, per individuarci e venire da noi».
A Genovesi scomparve il sorriso compiaciuto, e divenne serio
«Interessante, sono riusciti a modificare un incantesimo, evolvendolo. E' molto, molto interessante. Allora è probabile che mantenuta la parola data non si tolga, ma rimanga. Ma non si preoccupi, non sarà un problema. E mi dica, ha subito altre magie nell'altra dimensione?»
«Sì, una misteriosa forza mi teneva immobilizzato. Non potevo far nulla. Mi sono liberato e ritrovato qui solamente una volta concluso il "patto di sangue"»
«Ancora più interessante» la vicenda non lo preoccupava minimamente, anzi, lo eccitava «Non vedo l'ora di incontrare tali esseri. La prego, azioni questo pomeriggio all'assemblea il desiderato marchingegno. Sono elettrizzato dall'idea di poterli incontrare e parlare con loro».
«Lei non comprende» urlò «Anch'io la pensavo come lei. Ma ora... Ma ora..».
L'altro gli pose una mano sulla spalla per tranquillizzarlo
«Non tema, non succederà nulla. Si fidi di me. So esattamente cosa faccio».
Participius mai in vita sua si sentì così confuso. Infine Genovesi esclamò
«E ora si vesta. Lo sa che non è consono rimanere in pigiama con gli ospiti!».

A Claire il cuore batteva a mille. Insegnante... Sarebbe presto diventata l'insegnante più giovane della storia. A malapena riusciva a respirare. Ogni pezzo di carta che teneva in mano, lo distruggeva in mille coriandoli, con le mani agitate incapace di fermarsi. Aveva preparato il discorso.
Se lo stava ripetendo nella testa. Espirare, ispirare. Sorridere quando fosse stato necessario. Dire la battuta nel momento giusto. Oddio! E se non fossero piaciute le sue battute?
Non poteva dimostrarsi una ragazza stolta di fronte all'istituto, che rispetto le avrebbero dato i suoi studenti con pochi anni di differenza? Allora era meglio un discorso completamente serio... Sì e così avrebbe annoiato l'assemblea intera! Che doveva dire? Cosa, cosa?
«Non agitarti» le pose la mano il fratello su una sua gamba, facendola spaventare, concentrata com'era « Qualsiasi cosa dirai, sarà perfetto. Hai sempre avuto un'ottima retorica!» e le fece l'occhiolino.

L'assemblea si svolgeva nel giardino, giacché nessuna aula sarebbe stata abbastanza ampia. Nelle prime file vi sedevano gli insegnanti, seguiti dagli alunni divisi in base all'età. Davanti a loro era posto il palcoscenico. Vi era seduta Kate, Claire e John, anche se quest'ultimo avrebbe tanto preferito un posto molto meno vistoso. Vi era una sedia vuota, del professor Participius. Così era vuota quella del professor Genovesi, alla prima fila. Arrivarono insieme con qualche minuto di ritardo. Si scusarono, e si sedettero. Fu Kate ad iniziare, presentando il grande evento, elogiando brevemente la signorina Woolf, con cenni biografici di lei e vantando i successi di studio che ha sempre mostrato nell'istituto e nel mondo, rendendo ancora più grande la fama della scuola.
Poi fu la volta di Claire. Inizialmente la voce fu tremante, e si sentì ridicola, poi pian piano, una vitalità fiorì dentro di lei, divenendo spigliata e pronunciando un discorso da elogiare, spiegando in maniera chiara e semplice i suoi studi, ringraziando il professor Participius di tale opportunità, ed inserendo qualche battuta che fortunatamente fece ridere al pubblico. Si sedette fiera e con un peso in meno addosso, il fratello si complimentò con lei. Fu il turno di Claudius. Rimase qualche secondo fermo, senza pronunciare alcun suono. Percepì che stava sudando. Tra la folla iniziò un leggero chiacchiericcio, su cosa stesse facendo. Si fissò la mano. Poi fissò Genovesi, che annuì. Doveva agire.
«Colleghi e colleghe, studenti e studentesse non ritengo di aver altro da dire. Che sia portata la macchina!»
gli addetti trascinarono il possente mezzo di metallo sul palco. Un sussulto di stupore invase la folla. Il silenzio invase l'assemblea. Neanche attendere un secondo, Participius azionò la macchina. Una luce blu accecò ogni persona presente, ma questa volta non vi fu l'invasione di buio. La luce del sole venne sostituita da quest'altra, e ogni cosa illuminava di quel blu acceso.
Tutti chiusero gli occhi, solo Genovesi e Participius osservarono con orgoglio la loro opera. La luce sparì. Al suo posto tre figure apparvero. La centrale era alta poco meno di due metri, con orecchie leggermente più lunghe del normale, con la punta che si piegava verso il basso, simili a quelle dei dobermann. Le braccia erano muscolose, come tutto il corpo. Era grosso, ma non deformato. Il naso leggermente schiacciato a patata,e i canini leggermente più lunghi del normale. Gli occhi li teneva socchiusi, chiaro segno che non era abituato a una luce così forte. Gli altri due erano identici tra di loro, probabilmente erano fratelli gemelli. Non più alti di un metro e sessantacinque. indossavano vestiti di pelle che li copriva, ed entrambi impugnavano un'arma primitiva. Dal loro sguardo si deduceva che non fossero molto intelligenti. Per tutto e resto, tutti e tre assomigliavano agli esseri umani.
«Ha mantenuto l'accordo, professor Participius». quest'ultimo osservò la mano del mostro: aveva la ferita era con lui che aveva accettato l'accordo.
Senza perdere d'animo e coraggio, ma mostrando la freddezza che sempre lo contraddistinse, affermò
«Ora che voi siete qui, voglio esattamente sapere il motivo. Perchè desiderate giungere in questa dimensione? Perchè cercate persone da marchiare? Cosa volete?»
«Non sono domande da fare al nostro signore» scimmiottò uno degli esseri bassi.
Il capo lo fissò, e quindi comprese che doveva tacere.
«Anch'io vorrei sapere tante cose di voi!» si intromise il professor Genovesi «Vorrei tanto ampliare la mia conoscenza sulla vostra magia. Noto che avete preferito evolvere questa, che la tecnologia, che persone simpatiche che siete! Ma prima vorrei provare una cosa...» e, mettendosi gli occhiali, aprì un taccuino.
Pronunciò una formula magica in latino. La ferita di Claudius si chiuse leggermente, e i due esseri piccoli furono sbalzati nella loro dimensione in un lampo azzurro
«Come immaginavo» spiegò «Avete la magia di spostarvi nella nostra dimensione, ma non per tutti è così potente per rimanerci senza un marchio. E alcuni di voi potrebbero addirittura perdersi senza di esso. Ho appena letto il contro incantesimo del "patto di sangue", eppure questo continua ad esistere sul mio povero collega. Che potenza straordinaria. Credo che lei sia tra gli esponenti più importanti del suo mondo, dico bene? Che ne dice di seguirmi, e parlare a quattr'occhi nel mio studio?» chiese cordialmente.
L'ospite dell'altro mondo rise di gusto
«Sei una persona simpatica! Va bene, accetto»
«Un momento!» intervenne Kate «Questo è il mio istituto, e sono in dovere di proteggerlo. Voglio che questo essere venga rispedito nel suo mondo e questa macchina distrutta»
«Suvvia signora Kate, stiamo di fronte ad un'incredibile scoperta» aggiunse Participius « Io sono intenzionato di seguirli nello studio del collega, le consiglio di venire con noi».
Kate fissò il pubblico. Anche se spaventati, lo sguardo degli altri docenti tradiva la loro curiosità di conoscere sempre più tali esseri, mentre gli studenti erano terrorizzati e basta. Sospirò, non aveva scelta. Chiamò a se la signora McDotter e i signorini Woolf
«Vi do il comando dell'assemblea, sarà compito vostro mantenere l'ordine, e far sì che la situazione non precipiti, chiaro?».
La McDotter annuì decisa, Claire un po' meno, mentre John maledisse il giorno che aveva deciso di giungere in un tale posto di pazzoidi!
Fatto ciò, Kate si volse e seguì e due colleghi con l'essere misterioso.
Il demone dell'altra dimensione sogghignò, mostrando le gengive ritratte e quasi legnose di un colore rossastro, come la pietra arenaria, ma non disse assolutamente nulla. Tutto il suo volto era come rapito da un'espressione estatica di malvagità, qualcosa di troppo ottuso … o semplicemente troppo diverso dalla concezione umana delle cose. Bisognava fare davvero uno sforzo di immaginazione per pensare ad un mondo dove le creature come quella la facevano da padroni …
Il gruppo, silenziosamente, raggiunse lo studio del professore.
La stanza era, vista da fuori, sicuramente grande, ma dentro era così ingombra di materiale che le dimensioni si riducevano notevolmente. Non era il genere di stanza disordinata  e calda dei docenti geniali, però, anzi, nonostante l'ingombro dava un'eccezionale idea di freddezza. Alle pareti erano ammassati ordinatamente macchinari di dimensioni gargantuesche, che ronzavano lentamente con piccole spie rosse e blu accese sui loro pannelli color argento.
Il professor Participius invitò il gruppo ad entrare e li sistemò in fondo allo studio, in circolo intorno all'ampia scrivania d'acciaio. Sembrava che, in quel secolo così caldo e morbido che era il novecento, intessuto in tele rosse e broccati, fatto di legno dalle sfumature rosse, Claudius avesse deciso di crearsi un proprio angolino di metallo freddo.
Kate si sedette con calma, anche se le era toccato il posto accanto alla creatura dell'altro universo.
Dietro il tavolo d'acciaio, il professor Participius non sogghignava, ma guardava preoccupato i volti dei presenti.
Genovesi si schiarì la voce con un colpetto di tosse, si aggiustò il colletto, perennemente alzato e rigido, poi iniziò a parlare con voce chiara e parole incredibilmente fluide
«Signore e signori qui riuniti, quello che oggi stiamo effettuando è un contatto fra civiltà di due mondi diametralmente opposti in ogni loro caratteristica, ovvero un mondo di luce ed uno di tenebre. I due pianeti, a quanto pare, sono siti in due sistemi solari uguali, a loro volta posti in due vie lattee. Pertanto, dal punto di vista culturale, possiamo definirci tutti terrestri …»
«Senza dubbio, professore» lo interruppe Kate, pragmaticamente «Ma sempre dal punto di vista culturale, le nostre specie sono sin troppo differenti …»
«Sin troppo?» grugnì la creatura, poi sfoderò un ghigno terrificante ed umido, come se avesse l'acquolina in bocca «No, noi non siamo affatto umani. Siamo una specie che si è evoluta insieme a quella umana … noi c'eravamo da molto, sul nostro pianeta, poi sono venute le tenebre, perché tutto è imploso …»
«Tutto cosa?» volle sapere Kate
«Tutto» grugnì la creatura, con l'aria di chi non è capace di dire altro «E allora noi abbiamo affiancato gli uomini»
«Vuoi dire che sul vostro pianeta …»
«Nella nostra dimensione ci sono umani, si».
La notizia rimase ad aleggiare nell'aria per qualche momento. Poi, all'improvviso, il demone scattò in piedi e i suoi tendini produssero un rumore simile ad uno schiocco
«Lì, di là!» urlò, puntando alla propria destra
«Che cosa?» domandò Genovesi, esaltato
«Un'interferenza … un'altra interferenza»
«Altre … non provocate da voi?» chiese gentilmente Kate, cercando di saperne di più
«Non so» ammise la creatura, poi si fiondò fuori dalla stanza.
Il gruppo la seguì, cercando di eguagliare il suo passo rapido, quasi felino. La creatura, per un breve tratto, si piegò perfino a toccare terra con le braccia, anche se sembrava sbilanciata, finché non giunse in un punto all'aperto, all'interno del cortile scolastico, dove l'aria era diventata improvvisamente calda e sferzante.
«Lui qui!» Ruggì.
I professori alle sue spalle si fermarono.
C'era una specie di stranezza nel mezzo del prato … no, era una cosa impossibile.
Fino ad un certo punto c'era l'erba, verde, curata, ben tosata. Poi, a metà del cortile, il paesaggio cambiava radicalmente. Dall'altra parte c'era solo roccia rossastra e una luce altrettanto sanguigna che dava al paesaggio un aspetto del tutto sbagliato, del tutto fuori luogo nel bel mezzo di una scuola … eppure, se si alzavano gli occhi al cielo, tutto era normale. C'era solo quella porzione di spazio diversa.
Era come se avessero messo un muro di forma ovale in mezzo al prato e su quel muro ci avessero dipinto un paesaggio iper realistico.  Dal bordo del "muro" comparve persino un piccolo animale, una specie di lucertola dalla pelle rossastra come l'ambiente circostante e lunghe zampe dalle dita sottili munite di piccoli artigli bianchi. Il rettile guardò per un istante la delegazione di esseri umani e non che era lì a fissarla, poi scappò via sollevandosi sulle zampe e roteandole velocemente, sparendo oltre il bordo della zona di colore diverso.
Kate avanzò per prima verso quel punto, mostrando un coraggio superiore perfino a quello della creatura dell'altra dimensione. Si avvicinò senza neppure mostrare la classica cautela e mise una mano nel paesaggio rossastro.
La luce sanguigna tinse la sua pelle fino a farla sembrare arancione, ma il braccio scivolò tranquillamente fra le due dimensioni.
«E' uno squarcio dimensionale» Rivelò lei, sorpresa «Da dove …» poi ritrasse indietro il braccio «Deve essere colpa delle interferenze troppo continue che abbiamo provocato. E del modo in cui le abbiamo provocate».
Il professor Participius avrebbe voluto voltarsi e fuggire, ma piuttosto che mostrarsi vigliacco affrontò la questione
«Kate» disse, usando un tono diretto e senza tanti giri «Non è poi così grave, giusto? Era importante sperimentare, e se il prezzo da pagare è solo questo … l'apertura insignificante di un portale casuale … beh, allora abbiamo imparato qualcosa di più sui viaggi interdimensionali senza gravi conseguenze, non ti pare? Io credo proprio che … che sia stato positivo».
Kate si ritrasse e inspirò a fondo. Questa volta il suo giovane amico Claudius sembrava aver detto una cosa sensata …
«Devo ricredermi, professor Participius. Sembra che in fondo, anche se i tuoi esperimenti sono effettivamente dotati di alcune controindicazioni, non siano la cosa malvagia e insensata che credevo che fossero …»
«Ovvio»
« … Tuttavia, prima di azionare nuovamente la tua macchina, dobbiamo tenere in osservazione questi squarci temporali. Se dovessero aprirsene altri potrebbe essere davvero pericoloso … ci sono cose che non siamo pronti ad affrontare. Ad esempio, metti il caso che dall'altra dimensione provengano batteri che noi non conosciamo … ci decimerebbero. E tutto per via di un solo esperimento … non bisogna ripetere i viaggi attraverso le zone oscure dell'universo finché non saremo del tutto sicuri che siano sicuri» sorrise, quasi a scusarsi di quell'ultima parte fraseggiata del discorso «E ora ritiratevi nelle vostre stanze. Io e il nostro amico ultra dimensionale cercheremo delle guardie da mettere qui a sorvegliare questo buco fra mondi … e a capire come tapparlo»
«Beh, si» Participius acconsentì, chinando il capo.
Certo, avrebbe voluto più libertà, ma era già tanto, troppo che la preside avesse ammesso pubblicamente (per quanto con un esiguo pubblico) di avere torto.
Con un sorrisetto non del tutto soddisfatto, né del tutto da lui, si allontanò. Lentamente, si ritirò nel proprio alloggio per andare a dormire.
Quella notte sentì diversi strappi provenienti dalla propria cucina. Aprì gli occhi, ma non riuscì a svegliarsi. Accadde per numerose volte, però … la giornata aveva stancato troppo il suo corpo umano e aveva bisogno di riposo.
L'indomani mattina era stanco, ma nel guardarsi allo specchio non notò niente di troppo anormale. Sorrise, afferrandosi la mascella, e notò che il suo colorito stava migliorando e che le occhiaie erano quasi del tutto scomparse.
"Sono un bell'uomo" pensò "E sono anche il genio che ha scoperto il passaggio fra le dimensioni attraverso la materia oscura. Ditemi se non sono perfetto …".
Si vestì con un completo il più possibile elegante, una giacca bruna, camicia bianca e cravatta nera, poi si recò presso la scuola. Aveva le prime due ore buche, perciò decise di recarsi a vedere il portale apertosi con l'interferenza e capire se lui, probabilmente più esperto in materia rispetto a qualunque altro docente eccetto Kate, sarebbe stato in grado di correggere l'errore. Con suo grande sollievo, scoprì che la "controindicazione" era sparita e che i ragazzi passeggiavano tranquillamente laddove, solo un giorno prima, c'era stato un pezzo di canyon.
Soddisfatto e incredulo in uno stesso tempo, passò a prendere il giornale nel chiosco adibito, poi si recò nell'ampio portico colonnato e attualmente deserto che era il corridoio centrale della scuola. I ragazzi dovevano essere entrati tutti a fare lezione, perciò non l'avrebbero disturbato mentre leggeva le notizie.
In realtà aveva preso due giornali, uno scolastico e uno cittadino. Iniziò dal giornale scolastico, un'edizione molto economica che in prima pagina riportava stampati i dettagli della riunione del giorno precedente.
C'erano scritte anche delle dichiarazioni di Kate riguardo a certe interferenze spazio-temporali causati dall'esperimento del professor Claudius Participius. Certe, parole plurale …
Claudius digrignò i denti e scorse il testo della pagina per trovare ciò che cercava.

"Senza dubbio i cinque portali spazio-temporali che si sono aperti questa notte nelle vicinanze della scuola, e che poco dopo si sono misteriosamente chiusi, sono risultati da imputarsi all'esperimento del professor Participius, noto docente di Fisica del nostro istituto. Si ritiene infatti che i suoi esperimenti (N.d.r: cercare di viaggiare attraverso la materia oscura) non siano stati effettuati con le dovute precauzioni".

«Oh, cavolate …» Ringhiò Claudius, chiudendo il giornale.
Cinque portali in una sola notte? Non poteva crederci, quelle informazioni non erano veridiche, dovevano essere state alterate … ma certo, Kate doveva aver dichiarato questo al giornale scolastico allo scopo di screditarlo e prendersi così la rivincita per averla costretta ad ammettere che aveva torto!
Mentre era perso nei suoi pensieri schiumanti di rabbia, il professore udì dei passi che si avvicinavano.
«Ciao, campione».
Qualcuno aveva parlato. Il professore, per una ragione che sul momento non comprese, lasciò cadere il giornale a terra.  
«Chi è!?» Gridò, esasperato.
Aveva i nervi a pezzi, ma di certo la sua reazione era troppo esagerata e non riconducibile solamente a quella cosa.
E l'invisibile rispose, usando un tono terribilmente beffardo ed insieme umano
«Io, sono solo io, lo sai bene … No, credimi, non sono il frutto della tua immaginazione. Sono assolutamente reale, proprio come la tua bella giacchetta»

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Capitolo 5
*** Alter ego ***


Cap. 4

Alter ego

 

La voce … la voce della creatura. Il professore la conosceva bene, fin troppo. Era la voce che sentiva tutti i giorni, da quando si svegliava a quanto si andava a coricare. Si, anche quando era da solo, a volte … conosceva bene quei toni profondi, l’inclinazione altalenante, le inflessioni aristocratiche di certe parole … Era la sua voce, solo con lievi variazioni nel timbro che risultava appena più metallico, più inumano.

Claudius, sbarrando gli occhi, si voltò di scatto. Nell’attico c’era molta ombra, contrapposta alla luce intensa del sole.

“Le ombre sono tanto più forti quanto più forte è la luce” pensò il professore.

Da una delle numerose zone in ombra,proiettata da una delle colonne, comparve l’uomo che aveva parlato. I suoi lineamenti scivolarono fuori dalle tenebre con estrema lentezza, rivelando una pelle di un pallore cadaverico, le vene azzurrine che spiccavano da sotto la pelle apparentemente sottile come carta, le labbra sottili ed esangui piegate nel classico ghigno intelligente e malvagio insieme.

Per il resto era completamente, incredibilmente, identico al professor Claudius Participius.

Il professore deglutì. Sapeva perfettamente che esisteva la possibilità che in un altro universo esistesse un proprio alter ego, ma avercelo davanti era come minimo scioccante.

Il professore sorrise al professore.

«Beh … come ti chiami?» Gli chiese, cercando di sembrare conciliante come avrebbe voluto che gli altri fossero con lui stesso

«Claudius Niiver Participius» sorrise, mostrando due file di denti affilati «E tu?»

«io sono Claudius Robert Participius …» anche lui sorrise «E mi piacerebbe capire se saresti disposto a distinguere tra te e me come Claudius Niiver e Claudius Robert».

Il sorriso di Niiver si allargò, dando al volto diafano dell’uomo un aspetto ancora più demoniaco

«Sei un tipo pragmatico … proprio come me»

«Allora accetti?»

«Senza dubbio, Robert» ridacchiò, mentre il suo sorriso si restringeva per tornare alle dimensioni comuni «Senza dubbio»

«Tu … tu … In pratica sei me, giusto?»

«Ne so quanto te, di questa storia, non chiedermelo. Ma se tu pensi come penso io, so che sai che siamo uguali. Intendo … siamo la persona che ha preso lo stesso posto nella struttura di due differenti universi … »

«Strano … proprio strano che tu esista»

«Potrei dire altrettanto di te, lo sai?» ridacchiò ancora, con rabbia «Anzi, è ciò che ho detto di te, quando mi hanno parlato della tua esistenza. Non riuscivo quasi a crederci … ma, dopotutto, sono un uomo di scienza. Ho voluto vederti ed eccoti qui, Claudius Robert. Me eppure non me …»

«Già» Claudius Robert annuì gravemente  «Ma adesso … cosa facciamo?»

«Esattamente ciò che avevamo programmato di fare fino ad oggi. Noi colonizzeremo … noi esploreremo … noi conquisteremo nel nome della scienza».

In quel momento fu come se una scintilla scattasse ed i due uomini si avvicinavano. Sembravano essere venuti da epoche diverse e da mondi diversi, solo il volto, con la sua espressione così acuta, era lo stesso per entrambi. Dal novecento inglese, gentlemen di cultura, veniva Claudius Robert Participius. La sua veste era una giubba bruna ben spazzolata, una camicia bianca come il latte, una cravatta nera, e sul taschino appuntata una spilla che riassumeva la sua ispirazione, una piccola placcato d’argento con inciso “Potentia Regere”.

E poi c’era Claudius Niiver, uomo di un’epoca oscura, che portava la giubba nera di pelle lunga fin sotto ai fianchi, pantaloni aderenti di denim, la catenella salva portafoglio e i guanti di pelle nera spessi, con i fori in corrispondenza delle nocche. Su di lui le scritte erano incontabili, tutte raggruppate sulla maglietta nera dai colori tenebrosi, il rosso scuro e il grigio.

I due si fissarono negli occhi. Quelli, almeno, erano rimasti immutati, il tratto più incisivo e profondo del loro volto, così intelligenti nella loro fissità comprensiva, sotto le sopracciglia scure che compivano un arco lungo e armonico che si concludeva in una picchiata che dava a tutto lo sguardo un aspetto rapace.

«Allora» Disse lentamente Claudius Niiver, mostrando i denti come in un digrignare selvaggio «Andiamo a casa tua?»

«A casa mia?» rise «Sarà molto difficile condurtici senza essere visto»
«Non preoccuparti, io sono in grado di muovermi da una dimensione all’altra senza l’ausilio della macchina. Basterà che ci andrai tu soltanto, e io ti raggiungerò. Avremmo da parlare di molte cose Robert … ».
E sparì nell’ombra dalla quale apparve. Il professore era ancora turbato dalla visione, ma non si sarebbe mai e poi mai fatto scappare tale opportunità. Aveva fretta di muoversi, ma non voleva dare nell’occhio. Con la sua solita camminata lenta, si diresse all’uscita della scuola, chiamò un taxi, e partì per la volta di casa sua.

Claire Woolf sospirò. Appena nominata docente, aveva dovuto tranquillizzare un’intera assemblea scossa dall’arrivo dei demoni, e ora, non poté avere la settimana di pausa che ebbe richiesto. Si meritava una settimana di riposo prima di iniziare il suo ruolo da insegnante, ma ci fu un imprevisto: senza motivo giustificato il professor Participius non si era presentato a lezione, e lei era l’unica disponibile a sostituirlo. Ansiosa com’era, si era preoccupata che gli fosse successo qualcosa, o avesse avuto un malanno, o dello stress dopo l’ultimo esperimento. o forse il demone gli aveva fatto qualcosa!

E’ vero che era sempre ben sorvegliato dalla signora Kate, ma non bisognava né fidarsi né essere incauti. Non era bello avere un tale essere per la scuola …
Non trovando l’insegnante per l’edificio, aveva provato a chiamarlo, ma il telefono squillava a vuoto. Sempre più preoccupata, aveva chiesto a John di andare da lui a vedere come stesse, insistendo perché il fratello non voleva assolutamente più sapere di questa storia. Ma infine cedette e, maledicendo tutto l’istituto, insegnanti compresi, specificando di salvare la sorella quando si accorse che ella lo stava fulminando con i suoi chiari occhi, andò, sperando di non perdersi il fogliettino dove aveva scritto l’indirizzo. Claire entrò in aula. Sentì gli occhi degli studenti puntati su di sé, come dei giudici pronti a bocciare al minimo errore una ragazzina tremante alla sua prima gara sportiva. Alla Woolf fece un effetto strano vedere molti dei suoi vecchi compagni dall’altra parte della cattedra. Sedendosi, notò proprio davanti a sé una sedia vuota. Si trattava del suo vecchio posto. Le scappò un sorriso a pensare quante volte si metteva proprio lì, in prima fila, davanti al professore, ed estasiata dalle sue spiegazioni, inconsapevolmente appoggiava i gomiti al banco e il mento alle mani, con la testa leggermente inclinata, con il corpo pieno di letizia per le acculturate parole che udiva. Ed ora si trovava proprio nel posto che tanto bramava, dietro alla cattedra che fissava ogni mattina. «Bene ragazzi, iniziamo la lezione»
Affermò decisa: doveva dare del suo meglio.

Claudius Robert aprì la porta con le chiavi, la chiuse a sé e lanciò le chiavi sul mobile più vicino. Giunse immediatamente nella sua stanza, e senza pensarci due volte si sdraiò sul letto come morto.
«Eccoci qui finalmente!»
Affermò l’alter ego che apparve immediatamente. Non diete nemmeno il tempo di riposarsi. Robert si sedette sul letto con la schiena eretta.
«Come riesci a spostarsi così velocemente tra una dimensione all’altra?» Chiese con un tono stranamente freddo
«Grazie al marchio che hai sulla mano. Riesco a sentirla come se fossi un radar. Appena ho percepito che eri fermo ho compreso che eri arrivato, e quindi eccomi qua dal mio mondo!».
E spalancò le braccia come un’illusionista che attende l’applauso.

 Ma Claudius Robert non era in vena di applausi
«Prima di discutere, vorrei sapere alcune cose del vostro mondo».
L’altro rise
«Ma ovviamente! Anch’io al tuo posto avrei fatto la stessa domanda!».
Nel frattempo il telefono squillò, ma non gli fu data importanza. Robert parlò
«Com’è possibile che alcuni di voi possano teletrasportarsi e altri no? Su cosa si basa tale differenza?»
Niiver si mostrò serio
«Questo problema riguarda coloro che voi definite “demoni”. Noi esseri umani teoricamente potremmo tranquillamente muoverci, avendo un’intelligenza più sviluppata. Purtroppo, non tutti sono uomini di scienza come noi, anzi, gran parte della popolazione vive nell’ignoranza lasciando marcire la grandiosità del proprio cervello!» fu rabbioso in quest’ultima frase « Sono veramente pochi gli acculturati come me. Invece i “demoni” hanno un’intelligenza più limitata. Alcuni di loro sono quasi dei primitivi, mentre altri possono più o meno essere considerati degli esseri intelligenti, come chi state ospitando nell’edificio. La mancanza di intelligenza, però, è compensata dall’immensa forza, e dalla grande capacità di sopravvivenza. Se non fosse stato per loro, l’umanità sarebbe estinta insieme a tutte le altre forme di vita»

«Che intendi dire? Non c’è vita sulla vostra Terra?»
Il telefono squillò nuovamente, ma anche questa volta non fu calcolato
«No. Poco più di novecento anni fa il Sole iniziò per non so quale ragione a diventare una nana bianca molto prima del suo tempo previsto. La stella iniziò a spaccarsi all'interno, senza dare sintomi all'esterno se non la perdita di luminosità. Infine implose, come annunciò una profezia»
A Robert si illuminarono gli occhi
«La profezia dell’anno Mille! Anche noi avevamo tale profezia nel Medioevo, riguardante la fine del mondo, ma non si verificò mai»
«Da noi invece successe. In quell’anno il Sole implose, distruggendo ogni sorte di vita terrestre. I cosiddetti “demoni” si manifestarono. Temevamo per la nostra sorte, ed invece furono i nostri salvatori. Oltre alla forza, possedevano la magia, e ce la insegnarono quanto bastasse per sopravvivere nelle tenebre»
«E senza animali né piante come vi nutrite?»
L’altro si mostrò un attimo turbato, quasi scosso a tale domanda, poi, sospirando, rispose
«Come loro, abbiamo imparato ad immagazzinare la nostra energia nei nostri corpi affinché ci basti il più possibile. Come un animale che va in letargo insomma: accumula tale energia da non aver bisogno di mangiare per una stagione invernale intera. Nonostante ciò, dobbiamo mangiare. Una volta all’anno per l’esattezza. Ma prima, è il caso di spiegare la nostra società: nel nostro mondo non esistono le grandi nazioni. Sarebbe impossibile gestire tante persone nell’oscurità eterna. Siamo formati da città-stato, esattamente come le polis dell’antica Grecia. Ogni città non conterrà più di duecento abitanti, ed ogni città ha le proprie leggi e i propri capi. Una volta all’anno, il ventuno settembre, uomini, donne, “demoni” maschi e “demoni” femmine di ogni città si sfidano a duello, che porta sistematicamente alla morte di sette di ogni loro categoria: sette uomini, sette donne e quattordici  “demoni” mettendo insieme maschi e femmine. I loro corpi vengono cotti da un fuoco magico che ci permette di assorbire più energia possibile da loro, ed infine gli abitanti mangiano le carni dei ventotto defunti».
Robert fu un attimo sorpreso per tale rivelazione, ma non indignato. Non era il tipo da disgustarsi per tali azioni: comprendeva che la sopravvivenza era il bene primario di ogni essere, e se in un tale mondo erano costretti a tali scelte, egli non era nessuno per giudicare. Durante il discorso, il telefono aveva nuovamente squillato, ma per loro era come se non esistesse. Calmo, come un insegnante che conduce un’interrogazione, continuò
«E’ chiaro che questi vostri demoni appartengano alla stessa specie di coloro che durante il Medioevo del mio mondo vennero cacciati e sterminati insieme alla famosa “caccia alle streghe”. Per questo non ve se ne trova traccia in questa dimensione. Ma dimmi, ho notato che te usi il termine “demone” in maniera forzata, voi come preferite chiamarli?»
«In origine gli fu coniato il termine di Homo Superior, considerandoli nostri salvatori ed esseri a noi supremi. Con i secoli, però, ci siamo resi conto che oltre alla magia e alla forza, non hanno nulla migliore di noi. Tendiamo a definirli esseri umani come noi, solo con caratteri diversi. Siamo a loro troppo grati per definirli “demoni” o “mostri”»
Robert annuiva molto interessato

«Mmm, vediamo…» cominciò a pensare accarezzando con una mano la sua barbetta, gli occhi rivolti in alto «Della società mi hai già parlato. Dimmi, ci sono delle differenze sociali? Avete degli ospedali, edifici, scuole?»
«Noi non abbiamo nessuna classe sociale, anche se esiste la legge del più forte. Chi è più forte o intelligente domina sul più debole. La maggior parte degli abitanti sono dei lavoratori analfabeti. Sono coloro che scavano sulle rocce, nelle miniere, e costruiscono le abitazioni. Abitiamo in case di roccia, con utensili e mobili di materiali ferrosi, anche d’oro, non avendo il senso del denaro. Usiamo il baratto e la nostra tecnologia non è così avanzata come la vostra. Anche noi abbiamo il senso della famiglia, ma prettamente non c’è distinzione tra uomo e donna: entrambi sono molto utili per i lavori, ed entrambi si prendono cura dei figli. Non abbiamo dei veri e proprio ospedali: difficilmente ci ammaliamo non esistendo i virus e i batteri nel nostro mondo. Capita di ferirci, quello sì. In ogni caso, ogni città ha il suo esperto di medicina, umano o “demone” che sia, e viene curato nella sua abitazione privata. Anche la cultura si insegna nelle abitazioni private: i più acculturati si riuniscono sempre in una casa fissa dove discutono e imparano le più svariate discipline. Esattamente come Socrate tendeva a fare con i suoi discepoli. La mia di casa è tra i luoghi di ritrovo culturale più importanti della città».
Volle continuare, ma fu interrotto, giacché improvvisamente suonarono alla porta.

Claudius Robert Participius si diresse imprecando sotto voce verso il portoncino dell’abitazione, i pugni stretti in una reazione di ira quasi esagerata. Era mai possibile che nel momento clou dello scambio di opinioni, quando la cosa si stava facendo terribilmente interessante, venissero a suonare? Non avevano niente di meglio da fare?

Giurò a se stesso che se fosse stato uno stupido venditore ambulante o qualcuno in vena di scherzi, lo avrebbe strozzato a mani nude sull’uscio finché non lo avesse visto smettere di respirare.

Aprì a testa bassa, poi si ricompose d’un tratto, attore perfetto come dopotutto lo erano sempre i geni.

Quello che vide fu lo strano ragazzo dal volto delicato, il fratello della signorina Woolf, quello che doveva chiamarsi John. Gli sorrise, tentando di sembrare gentile

«Buongiorno, signorino Woolf. Cosa desidera?».

Il ragazzo, ora che aveva davanti quell’uomo, si sentì spaesato. Più lo guardava, più notava che era in forma perfetta, smagliante, e quindi pensava che si sarebbe dimostrato alquanto idiota a chiedergli come stava.

Il professore fissò a lungo il giovane, poi sollevò un sopracciglio color carbone con aria interrogativa

«Allora» disse «Cosa c’è?»

«C’è, professore, che … che … che …» John si torse le mani, in preda al panico, abbassando gli occhi sulle proprie scarpe lustre «Stamattina non vi siete presentato alla lezione, di conseguenza mia sorella si … si è p-preoccupata un po’ e mi ha mandato a vedere come stavate».

Il professore sembrò addolcirsi un po’, ma la sua espressione rimaneva in qualunque caso terribilmente arcigna

«Mio caro ragazzo, io sto benissimo, potete tranquillamente riferirlo a vostra sorella …»

«G-grazie ...».

Il giovane Woolf si girò e fece per andarsene. Claudius gli chiuse la porta alle spalle, ma proprio in quel momento udì la voce del giovane dire

«Bah, che razza di carattere debole, questo si che è uno smidollato della domenica … ».

Furibondo, senza riuscire del tutto a credere alle proprie orecchie, aprì la porta e gridò dietro al signorino Woolf

«Cosa hai detto? Ripetilo sei hai il coraggio, mascalzone!»

«Io … io non ho detto proprio niente» John abbassò di nuovo lo sguardo e le punte delle sue orecchie diventarono rosse come il fuoco «Signore, sono rimasto in silenzio fino ad ora»

«Ti ho sentito benissimo, piccolo delinquente! E così sarei uno smidollato?»

«No, signore, voi non siete uno …» ebbe una specie di tremito e si allontanò spaventato

«Ripeti quella parola, avanti, ragazzo» il professore uscì di casa, minaccioso, con una di quelle facce che avrebbero terrorizzato il demonio in persona.

Sembrava che non si sarebbe fatto poi tanti scrupoli a picchiare il ragazzo, anche perché non sopportava il fatto che lui non avesse ammesso la propria colpa. Odiava quelli senza spina dorsale e il piccolo doppiogiochista sembrava uno di loro.

Il signorino Woolf si voltò dall’altra parte, incassando la testa fra le spalle come se non avesse altro desiderio che non fosse quello di sembrare più piccolo. Aveva quasi le lacrime, che ricacciava continuamente indietro inspirando a fondo con il naso e producendo strani sibili.

Il professor Participius la considerò come una presa in giro

«Se sei così desideroso di prendermi per i fondelli, ragazzo, perché non vieni qui e mi dici ciò che sono da uomo a uomo, faccia a faccia, eh?»

«Voi siete … un professore» bisbigliò lui, confuso, con la voce che si era fatta nasale.

Claudius avanzò ancora e andò ad afferrare dalla collottola il fratello della sua ex alunna, lo tirò indietro e lo costrinse con la forza a guardarlo negli occhi, prendendolo per il mento con dita che sembravano fatte d’acciaio

«Avanti, ragazzo» ringhiò, in preda alla rabbia, con i denti serrati «Dimmelo adesso, dimmelo in faccia che sono uno smidollato»

«Voi non siete smidollato!» urlò il ragazzo, scoppiando a piangere davvero, questa volta.

Il professore rimase sorpreso, con la bocca aperta, e lasciò andare John. Quest’ultimo cadde a sedere per terra e singhiozzò, tenendosi il volto fra le mani.

«Ha ragione» Disse la stessa voce di prima, quella del giovane Woolf, ma che evidentemente non veniva da Woolf stesso «Voi non siete smidollato. Sicuramente lo smidollato è lui, a lui mi riferivo».

Il professore girò la testa, palesemente divertito.

«Toh» Disse, sorridendo «Un altro Alter Ego, eh?».

Colui che aveva parlato si fece avanti. Era la copia esatta del signorino John Woolf, aveva gli stessi lineamenti delicati, le labbra angeliche, accese, e i capelli morbidi e rossi che sembravano quasi quelli di una bambola. Malgrado ciò, gli occhi azzurri erano accesi di un acume diverso e il sorriso era tutt’altro che buono e ingenuo.

Al collo portava una catenella d’acciaio che terminava con un lucchetto e il professore si chiese che cosa diavolo ci facesse con un arnese di quel genere al collo.

L’Alter Ego di John Woolf avanzò rapidamente verso l’altro se stesso e lo aiutò a sollevarsi da terra, afferrandolo per un braccio. In piedi erano alti alla stessa maniera e quando i loro occhi si incontrarono, il John autoctono si spaventò e fece un salto all’indietro.

«Sono m-m-morto?»

«No, non sei m-m-morto» Lo sbeffeggio il suo gemello, imitandone alla perfezione la titubanza nella voce sottile «E solo che hai appena fatto quello che nel mio mondo definiremmo un incontro  ravvicinato del terzo tipo …»

«Benvenuto» si intromise cordialmente il professor Participius, ospitale «Io sono colui che ha costruito la macchina che ha reso possibile il vostro passaggio da …»

«Mi faccia il favore di non dire sciocchezze» lo rimbeccò il nuovo John «Noi non siamo quelli che voi avete aiutato a venire da questa parte. Noi siamo quelli che per colpa vostra abbiamo il mondo bucherellato di interferenze … non veniamo dagli universi oscuri, come tutta quella marmaglia che abbiamo trovato in giro per i passaggi. C’era troppo, veramente troppo traffico … la mia povera sorellina, ingenua com’è, deve essersi persa. Ed è tutta colpa vostra! Sapete che nel nostro mondo aprire multipli passaggi è vietato? Sapete che la nostra legge vi punirebbe? Sapete che …».

Mentre il ragazzo dai capelli rossi continuava a bersagliare di rimproveri il professore, puntandogli contro l’indice con rabbia, il professore lo guardava estasiato.

Esisteva dunque un universo dove le cose andavano, almeno in parte, al contrario? E se in quell’universo il ragazzo Woolf era intelligente, e sua sorella la brava ingenua, allora in quel posto Kate era l’insegnante talentuosa ma malvagia e lui il saggio, rispettato e temuto preside? La sola idea lo faceva andare su di giri.

In effetti, si vedeva, il ragazzo che era appena spuntato dal nulla non veniva dalle dimensioni oscure, era troppo abbronzato … rimaneva il problema di sistemare il signorino Woolf autoctono prima che potesse parlare troppo e metterlo nei guai.

Non gli andava che quel piccolo idiota debole decidesse di andare a spifferare tutta la questione alla scuola, e dunque a Kate … sarebbe finita male. Doveva neutralizzarlo. Rapirlo. Portarlo dalla sua parte, fargli il lavaggio del cervello. O magari anche ucciderlo. Non sarebbe stata la prima volta, dopotutto.

Eppure lui, nonostante quello che aveva fatto più e più volte, non si era mai definito malvagio. Saggio, questo andava meglio. Di sicuro lungimirante. Ma non malvagio, no … malvagio è chi ostacola deliberatamente il progresso.

Almeno era ciò che lui credeva.

 

Kate si stava dirigendo nel suo ufficio. La lezione era diventata più interessante del solito grazie alla gran partecipazione degli studenti, e si era fermata più del necessario per rispondere alle loro curiose domande. Sicuramente Claire Woolf già la stava attendendo. L'aveva convocata per poter sapere come fosse andata la sua prima giornata da docente. Già si immaginava di incontrare una Woolf elettrizzata e piena di entusiasmo. Sorrise. Andava fiera di quella ragazza!
Era la vitalità e l'energia fatta in persona! Ispirava fiducia ed ottimismo! Era certa che sarebbe divenuta una degli insegnanti più famosi dell'istituto in poco tempo. Finalmente giunse, ed aprì la porta. Ciò che vide la lasciò di stucco. Racchiusa su di sé in un angolo c’era una tremante Claire Woolf. Kate non si sarebbe mai e poi mai immaginata una reazione del genere, che razza di giornata aveva trascorso? Si avvicinò pian piano, abbastanza per sfiorarle una spalla con la mano
«Claire?» domandò preoccupata, per tutta risposta la fanciulla scoppiò in un nevrotico pianto
«Voglio tornare a casa! Voglio tornare a casa!».
Kate saltò per tale reazione improvvisa. Doveva aver avuto dei diavoli di studenti per tale shock! Che mai le avevano fatto? Notò che era più abbronzata del solito, e aveva una camicia sportiva verde con dei pantaloni lunghi blu. Un abbinamento abbastanza discutibile, e soprattutto era la prima volta che la vedeva con i pantaloni! Prima, però, era necessario tranquillizzarla
«Suvvia, suvvia, non è niente! Capita a tutti avere esperienze del genere…» l'altra tirò su con il naso
«Come mai sei così gentile con me?» chiese
«Perché?» fu sorpresa «Ma perché è il mio dovere! Non posso lasciare indifese le persone come te. Suvvia, evidentemente per oggi ti sei troppo agitata. Vedrai che si risolverà tutto! Ora però asciughiamo questo bel visino. Che ne dici di andare un attimo al bagno così ti sistemi?» aveva un tono materno, come se stesse parlando ad un bambino.

Woolf annuì e, in lacrime, uscì dall'ufficio. Kate si sedette sospirando sulla poltrona dietro l'immensa scrivania. Fissò il portalettere di marmo, poi i vari quadri con cui aveva decorato la stanza. Domani sarebbe andata immediatamente alla classe della Woolf per capire cosa fosse successo. Era evidente che gli studenti le avevano pesantemente mancato di rispetto. Tale gesto nel suo istituto, che roba! Pochi minuti dopo rientrò la Woolf, sorridente come al suo solito. Per fortuna si era ripresa, e aveva anche cambiato vestiti! Era di nuovo elegante come sempre. Ma, era solo un'impressione, o era meno abbronzata di prima? Non diete tempo per una domanda, che subito tutta eccitata iniziò a parlare
«Oh mio Dio che mattinata! Certo, è stata dura all'inizio, ma, non ci posso credere, ho mantenuto l'ordine per tutto il tempo della lezione. Pensavo che la classe ne potesse approfittare per la mia giovane età, ma è andato tutto a gonfie vele! E'... E' meraviglioso! Un sogno che si realizza! E grazie, grazie infinite per tale opportunità per me è un onore essere una professoressa di una scuola così prestigiosa!» era euforica!

Kate dovette rimanere a bocca aperta, ma non era sconvolta fino a pochi attimi fa? Non riuscì a pronunciare nulla, quando Claire, catturata dalla gioia, esclamò
«Oddio! Nell'emozione mi sono dimenticata il registro in classe: corro a prenderlo!» ed uscì lasciando di stucco la dirigente.

Questa si sedette quasi senza forze sulla poltrona, senza capirci nulla. Poco dopo entrò nuovamente la Woolf. Aveva di nuovo quei vestiti orrendi!
«Grazie per la bontà che mi mostrate» disse singhiozzando ma senza più lacrime «Oggi per me è stata veramente una giornata orrenda. Io... Io mi sento completamente persa e sola. Non so cosa devo fare... Sento di aver bisogno di aiuto...»
Kate invece sentiva che il cervello stava andando in fumo. Cosa diavolo stava succedendo? Non riusciva ad emettere nessuna parola sensata. All'improvviso Claire si volse
«Ho sentito un rumore: forse è mio fratello! Oh meno male almeno mi aiuterà lui!» ed uscì di corsa.

 Kate era allibita. Poco dopo entrò di nuovo la Woolf, ma con la gonna
«Che sbadata che sono! Invasata di felicità mi dimentico di tutto! Se non avessi la testa attaccata al collo perderei pure quella!» e rise... Kate la testa la stava perdendo.

Di colpo si sentì urlare e piangere, ed entrò terrorizzata la Claire con i pantaloni. L'altra Claire la fissò incredula, Kate ringraziò il miracolo che ci fosse una spiegazione a tutto questo, anche se pure tale spiegazione aveva bisogno di una spiegazione a sua volta...
«Non è mio fratello! Non è mio fratello!» ripeteva spaventata
«Ma che succede qui?» ma Kate dovette di nuovo azzittirsi quando entrò niente poco di meno che lei stessa: solo era più abbronzata, con occhiali da sole, e masticava ripetutamente un qualcosa che lei non conosceva, una gomma da masticare.

Indossava jeans di un blu chiaro, stivali neri e una canottiera molto attillata. Teneva le mani ai fianchi, e si osservava ripetutamente intorno. Imprecò
«Dannazione non è neanche qui!» e senza calcolare né la sua alter ego, né l'altra Claire, prese con forza la Woolf del suo mondo e se la mise sulle spalle.

Questa iniziò a piangere
«Zitta!» e gli diede uno schiaffo in faccia «E' per recuperare te che ho perso tuo fratello. Percepisco però il suo ultimo spostamento, non è molto lontano da qui».
Nella normale Kate uscì la scienziata che era lei: cominciò ad analizzare il fatto che riuscissero a percepire gli spostamenti dei propri simili. E sicuramente, notando la troppa somiglianza fisica, ma anche la completa differenza di carattere, era spostamenti interdimensionali, e quindi venivano da un altro universo. Forse erano loro la causa degli squarci della notte precedente. Doveva saperlo
«Un momento!» disse in maniera autoritaria, alzandosi con schiena eretta e sguardo fiero.

L'altra la fissò in malo modo
«Che vuoi sgualdrina? Non ho tempo per prenderti a calci!».
L'altra Kate si infuriò
«Come osi definirmi così?»
«Se sei come me allora lo sei...» l'ascoltatrice rimase di stucco, poi la Kate "malvagia" rise «Dai lo so che non sei come me! Dai, in fondo mi sei simpatica! Dimmi, ma ho fretta!».
Il modo di esprimersi indicava che era una persona molto rude e soprattutto poco acculturata. Era una testa calda ignorante. Alla professoressa Kate venne istintivo muovere la testa in segno di rimprovero, ma doveva sapere
«Dimmi» era inutile dare del "lei" a tale essere «Siete stati voi a causare le interferenze spazio-temporali nel nostro mondo?» l'altra mostrò un'espressione poco sveglia
«Non ho capito nulla, ma se intendi se siamo arrivati stanotte sì, io, lei e il fratello. Il perché è solo colpa vostra. Ma ora devo andare!» e se ne andò senza aggiungere altro.

La docente si preoccupò: loro erano stati la causa di tre su cinque interferenze. Chi erano gli altri due? Doveva scoprirlo.
«Signorina Woolf» Ordinò «Vada nello studio del professor Genovesi. Probabilmente ancora sta discutendo con il nostro ospite "demoniaco". Io seguirò la mia, ahimè, alter ego. Dovrete raggiungerci tutti e tre. Il signor Genovesi acuto com'è conoscerà un incantesimo per rintracciarmi. Mi raccomando, conto su di lei».
Claire, all'inizio turbata, annuì decisa. Kate andò via. Uscirono dall'istituto e furono per strada a camminare. La sua alter ego teneva ancora stretta a sé la povera "altra-Claire", che ormai aveva rinunciato a lottare per liberarsi. Le seguiva a pochi metri di distanza, anche se "l'altra-Kate" si fosse accorta di lei non le sarebbe importato. Camminando sentiva diversi rumori che la stavano inquietando, e quando comprese quale fosse l'origine si spaventò: il cielo stava scricchiolando.

 

Il Professor Participius si avvicinò al giovane Woolf terrestre, pronto a colpirlo in testa e trascinarlo dentro. Non lo avrebbe ucciso, non ancora, perché gli sembrava in qualche modo utile lasciare in vita il ragazzo.

Poi, all’improvviso, alzò la testa.

Il cielo, il cielo … no, era impossibile … il cielo scricchiolava!

Era un rumore orrendo, sentito in così vasta scala, come se centinaia e centinaia di scarpe nuove corressero su un selciato immaginario sopra la testa degli uomini che si affannavano nella loro vita terrena.

John Woolf dell’altra dimensione smise di rimproverare il professore e alzò la testa. Fece una smorfia estremamente tragica, da attore consumato, poi abbassò di nuovo gli occhi su Participius e lo fulminò

«E adesso, perché questo?»

«Non lo so» ammise l’uomo, indietreggiando, mentre ai suoi piedi il giovane piagnucolava più forte

«Non lo sai! Ma tu sai cosa ti farà la confederazione? Non si limiterà certo a metterti a morte … hai rischiato con degli esperimenti ultra dimensionali di questa portata?»

«Ti giuro, non sapevo …» per la prima volta il professore si sentì veramente spiazzato

«La legge non ammette ignoranza!» ruggì il Woolf dell’altra dimensione, indicando chi gli stava davanti.

Quell’indice era come una freccia, crudele, e faceva quasi male.

Claudius Niiver uscì finalmente di casa, coprendosi il volto con le mani per non farsi bruciare dal sole

«Che diavolo sta … oh no!»

«Tu ne sai qualcosa, mozzarella?» lo apostrofò il John Woolf abbronzato, quasi mostrando i denti

«Si … voglio dire» sembrava spaventato e tutti lo guardavano con una certa fissità, imbarazzandolo ancora «A questo rumore, in genere, si accompagnano passaggi dimensionali di un certo genere …»

«Che genere?» chiese avido Claudius Robert

«Uhm … passaggi dimensionali di grandi quantitativi di energia. La cosa che abbiamo portato da questa parte non è neppure lontanamente umana, oppure …»

«Oppure?»

«Beh, non c’è un oppure. Stavo per dire “oppure è un umano diverso da noi”. Ma se è diverso, ho pensato, non è più umano … credo, però, che per capire cosa è accaduto, dovremmo aspettare la sera …»

«Perché?»

«Perché si sarà andato a nascondere … e anche io ho intenzione di nascondermi. Il sole mi sta dando alla testa, non sono abituato a tanto … caldo e luce».

Il Participius terrestre spinse delicatamente dentro il suo alter ego e chiuse la porta. Poi si voltò verso il Woolf terrestre per stordirlo e rapirlo, ma sia lui, che il suo gemello ultra dimensionale, erano come spariti nel nulla. Per terra, di suo, rimanevano soltanto le chiazze salate delle lacrime spesse e fitte che erano cadute dal suo volto.

Imprecò, poi corse verso l’istituto. Era quasi del tutto sicuro che entrambi i suoi fuggitivi si sarebbero rifugiati nel grandioso e sicuro asilo di cultura della zona e in qualunque caso, anche se non li avesse trovati, era assolutamente convinto di dover fare un paio di chiacchiere con Kate.

Doveva risolvere la storia dei portali dimensionali, se ne erano aperti veramente tanti, se il giornale aveva detto il vero … e doveva averlo fatto, visto che lui, esemplare isolato della razza umana autoctona, aveva già incontrato ben due abitanti di universi adiacenti.

Gli ci volle un po’ per raggiungere il centro di studio e si fece di corsa tutte le scale. Ma quando entrò nel corridoio che congiungeva il resto dell’edificio allo studio della preside, fu colto da un’indescrivibile sorpresa.

C’erano due Kate e due, ben due signorine Claire Woolf. Battè le palpebre, pensando di stare sognando, poi ricordò degli squarci dimensionali … anche a vederla sotto questa prospettiva, però, sembrava impossibile che ci fossero tanti “cloni” in giro.

«Buongiorno» Disse, esitante.

Non sapeva se sarebbe stato punito all’istante per il guaio che aveva combinato, ma sapeva che sarebbe stato punito. Adesso Kate sapeva veramente … non tutto, forse, ma buona parte dei fatti.

Sorrise mestamente, inclinando la testa da un lato a causa di un’improvvisa fitta di dolore sul lato destro del collo

«Ah!» esalò, toccandosi i muscoli sul lato destro della gola.

«Stai male, eh, professor Participius?» Disse la preside, con ironia tagliente «E ce l’hai da stamattina, per questo sei venuto in ritardo, oppure ti è venuto appena hai visto che eravamo in due di più del normale?»

«Ce l’ho da adesso» confessò il professore, in preda al dolore tremendo che è un crampo al collo «Ah, devo aver dormito malissimo … ma adesso … non so, avrò preso freddo …»

«Invece di parlare del tuo collo, dovremmo …»

«Ma io sto veramente male, professoressa Kate» il tono era troppo sofferente e gentile insieme «Non riesco neanche a tenere su la testa, posso avere una borsa d’acqua calda? Dopo parleremo di tutto ciò che vorrete!».

Kate si addolcì e gli si avvicinò a passo lento. L’altra Kate, quella abbronzata, sogghignò maliziosamente, ma nessuno se ne accorse davvero.

Il professor Participius era davvero, inspiegabilmente, colpito da un dolore strano. Non stava esagerando, in vita sua ne aveva provati di dolori, alcool su ferita ancora aperte, sbagli con il coltello che gli erano costati belle porzioni di pelle e poi quelle orrende coliche quando era ancora un bambino oppure le influenze che lo facevano sentire fiacco e con le ossa tutte doloranti … ma questo, oh, questo era peggio di tutto. Almeno, sul momento, lui pensò così: era insopportabile pensare che ogni movimento della testa corrispondesse ad una stilettata di dolore che somigliava ad una pugnalata, inoltre i muscoli sul lato destro del collo erano diventati duri come corde d’acciaio.

Kate diede un rapido controllo alla zona infiammata, riscontrando anche un lieve aumento della temperatura che faceva pensare alla febbre, e sospirò

«Hai ragione» disse, arrendendosi all’evidenza «A furia di essere così teso per il modo in cui ti farò a pezzi ti sei fatto a pezzi da solo … vieni, andiamo nel mio studio. Parleremo lì, tutti insieme, e tu avrai la tua borsa dell’acqua calda per eliminare il crampo, va bene?»

«Tutto va bene» pigolò il professore, seguendola.

Kate convinse anche tutti gli altri a seguirla, usando le maniere buone e minacciando la sua alter ego con le cattive. Poco dopo erano seduti in cerchio, come i mistici cavalieri di re Artù, con Kate dietro la scrivania di mogano levigato e il professor Participius si premeva un sacchetto piano d’acqua bollente sui muscoli tesi, cercando di sciogliere la morsa dolorosa e d’acciaio che gli arrivava fino alla nuca.

«Allora» Disse Kate, in tono solenne «E’ chiaro, anzi è evidente, che questa riunione, per quanto sia stata organizzata con rapidità, sia un consiglio speciale e un punto di incontro fra civiltà differenti»

«Hai un cestino della spazzatura?» la interruppe la Kate ultra dimensionale

«Si, è lì, dietro quel mobiletto … ma come dicevo, miei cari, siamo in una situazione di allarme, perché come ieri abbiamo detto in questo istituto, all’apertura di un primo portale, è veramente pericoloso il viaggio di corpi di cui non si conosce la provenienza da un universo all’altro. Quindi l’apertura di portali casuali espone il nostro pianeta ad un enorme fattore di rischio … ora è successo anche quest’altro fenomeno. Intendo quanto è accaduto proprio sopra le nostre teste, il rumore che è provenuto dal cielo non molto tempo fa e che non ho idea di cosa sia»

«Io lo so. Abbastanza» si intromise Participius, premendo più forte la borsa dell’acqua calda contro il collo «Ho un mio alter ego, a casa, che viene dalla dimensione oscura. Loro sono più propensi di noi a spostamenti come questi … a quelli che, con un termine futuristico, potremmo chiamare “teletrasporti” … e mi ha detto che questo scricchiolio è tipico di quando si sposta una grande massa di energia. Una cosa sicuramente non umana, ma non ha specificato altro … o meglio, mi pento di non avergli permesso di specificare altro. Sono stato uno stupido, ma ho cercato di proteggerlo …»

«E da cosa?» volle sapere Kate

«Dal sole. Lo so, sembra strano, ma il sole non gli fa bene. Viene dalla dimensione oscura, come il nostro amico demone … dove hai messo il demone?»

«Anche lui non ama il sole …»

«Ah. Quindi, dicevo, l’ho lasciato a casa. Da solo, anche perché lui dice che la cosa che è arrivata probabilmente uscirà solo stasera»

«Quindi stasera sapremo quanto gravi sono le conseguenze del tuo esperimento, eh, Claudius?»

«Probabilmente. Sempre che la grande quantità di energia non sia servita a farmi venire questo torcicollo … sto impazzendo».

Kate rise. Si, avrebbero aspettato fino a sera, poi si sarebbe visto il da farsi.

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Capitolo 6
*** Il principe dei morti e dei vivi ***


Cap. 5

Il Principe dei vivi e dei morti

 

Il gruppo, le due Kate, le due Claire e il professor Participius, si riunì nel cortile interno della scuola.

Claudius Robert Participius aveva chiesto al suo alter ego di raggiungerli al più presto e quegli aveva acconsentito di buon grado, purché gli dessero da mangiare, pregandolo di trovare qualcosa di sostanzioso da mettere sotto i denti, visto che neppure sapeva che gusto avesse il cibo …

Nel silenzio della notte, un profumo strano si sollevava nell’aria fredda e immota.

Mentre i quattro, appena ritrovatisi, stavano per iniziare a parlare, si udì il rumore di passi lenti nel buio, leggeri, eppure non ticchettanti come quelli di una persona di piccola taglia.

Kate si girò lentamente verso la zona non rischiarata dalle lampade ad olio e le fiaccole appese lungo le colonne

«Chi va là?» chiese, a voce alta.

Il professor Participius sogghignò, sicuro che fosse il suo Alter Ego quello che si stava avvicinando.

«Non c’è problema,Kate» Mormorò, avvicinandosi a lei quel tanto che bastava per farle udire la propria voce «Credo che sia un mio caro amico ultra dimensionale …»

«Davvero?» Kate lo guardò con scetticismo,sollevando un sopracciglio «Davvero hai come amico un vampiro?».

Il professor Participius fece un sorriso debole e mostruoso. Un vampiro? Questo avrebbe dimostrato il pallore del suo “gemello”. Ma no, era impossibile, ci mancavano anche i vampiri … eppure fu terribilmente sollevato quando fu sicuro che l’essere che si stava avvicinando non era il suo alter ego.

Sapeva che era una reazione da ossessionato e che avrebbe dovuto essere terrorizzato all’idea di incontrare un vampiro vero, ma era comunque sollevato per non aver ospitato nella propria dimora uno di quegli orrendi demoni succhiasangue.

I lineamenti che scivolarono fuori dall’ombra per entrare nella luce fiammeggiante delle torce erano affilati e crudeli. La pelle era pallida, ma sotto il pallore rimaneva comunque un colore leggermente olivastro, come se per natura fosse stato abbronzato.

Del suo volto colpivano le guance incavate, eppure sode, il mento forte e ben delineato, coperto da una leggera barba nera come il carbone sagomata in modo da coprire solo una striscia sotto le labbra, e il naso lungo e dritto, importante, che conferiva uno strano, nobile equilibrio a quella faccia antica.

Si era vestito tutto di rosso e faceva uno strano effetto sotto la luce impietosa delle torce sfrigolanti: era come se fosse fatto di fiamme scure e sangue, un simbolismo forte, sicuramente calcolato dalla mente fredda del mostro.

Portava un cappello a falde larghe, rosso anch’esso, e sormontato da una grande piuma bianca e ricurva che terminava con una punta marrone scura.

Mentre avanzava, uscendo dalle tenebre, la luce scivolo sulle sue spalle e fu come vedere apparire una cascata di inchiostro dai riflessi aurei. Aveva i capelli veramente lunghi per essere un uomo, semiricci e lucenti, di un nero così puro che risultava difficile pensare ad un colore del genere abbinato ad un essere umano, persino più scuri di quelli di Participius.

Portava un paio di occhialini tondi, neri, con la montatura dorata, ma tutti sapevano che dietro le lenti dovevano esserci due occhi scarlatti e malvagi.   

Kate si mostrò disinvolta di fronte a lui

«Allora» disse «Hai intenzione di unirti anche tu alla festa?»

«Oh, è un invito allettante» la voce del vampiro era deliziosamente profonda e tenebrosa, ma per nulla roca, anzi, era liscia e quasi scivolosa «Ma prima vorrei sapere se discutete di ciò di cui penso stiate parlando …»

«Non leggo nella tua mente, come invece sai fare tu» ribatté Kate, sempre con una stana gentilezza «Eh, Principe Vlad Dracula?»

«Sono lusingato che lei mi conosca» e fece un leggero inchino «Mi dispiace di avervi terrorizzato durante il giorno a causa del mio rumoroso spostamento. Vi avrei voluto avvertire prima, ma comprendete miei cari che con il sole nel cielo mi era assai possibile. Ma, vi prego, non mostrate tali facce spaventate e preoccupate, sono qui solo per parlare, non per uccidervi... Per il momento...» e mostrò i suoi lunghi canini con un sorriso che forse doveva rassicurare, ma si mostrò soltanto più terrificante.
Le due Claire erano spaventate, Kate e Claudius incuriositi dal nuovo arrivato, l'altra Kate invece teneva la testa piegata in un lato, con un'espressione idiota. Non aveva idea chi fosse quel vampiro
«Credo che possiamo anche iniziare a discutere»
«No che non possiamo» replicò Claudius alla professoressa Kate «Dobbiamo aspettare il mio alter ego»
«Comincio a pensare che qui tutti i problemi, dal più piccolo al più grande siano solo per causa tua. E va bene, aspettiamo!» disse stufa Kate.

I due ebbero un leggero battibecco
«Ehi! Dovresti trattarla meglio!» rimproverò l'altra Kate a Participius
«E perchè?» disse in tono di sfida.

L'altra fu sorpresa
«Ma perchè lei...» poi, cosa rara in vita sua, ebbe un'illuminazione «Aaaaahhh... Voi due... No...»
«Cosa? Cosa? Riesci a dire una frase di senso compiuto?» sbottò Participius
«Ecco...» fu imbarazzata «Nel mio universo io sono sposata...»
«Oh, c'è un pazzoide che ti ha voluto con se!» fu ironico
«Il problema... Beh insomma mio marito si chiama Claudius Participius... Insomma, sei te!» e alzò le spalle.

Il professor Participius a tali parole per la prima e unica volta in vita sua pensò seriamente al suicidio. Sposato. C’era un altro se stesso, da qualche parte del mondo, che era stato abbastanza stupido da sposare una Kate che non era neanche intelligente … a guardarla bene sembrava un ruminante, e ancora più impressione gli aveva fatto quando, la prima volta che l’aveva incontrata, l’aveva vista a masticare quella cosa rosa e gommosa che non conosceva. 

La Kate terrestre incrociò le braccia. Si annoiava quando non aveva qualcosa con cui tenere sveglio il cervello, era fatta così, perciò decise di sostenere una conversazione fuori da quello che era il tema della serata

«Allora …» disse «Come state?»

«Bene grazie» rispose il vampiro, mentre tutti gli altri lo fissavano sconvolti «Voglio dire, bene per essere morto …»

«Ma …» intervenne il professor Participius, il quale, ora che ci pensava, si era stupito dell’apparizione del vampiro.

Il libro “Dracula”, scritto da un certo Bram Stoker, era da poco diventato un romanzo molto popolare e anche Claudius l’aveva letto, divorandolo avido pagina dopo pagina … ma ricordava chiaramente che alla fine il conte Dracula era stato sconfitto per sempre. Inoltre il Dracula del romanzo somigliava solo vagamente a quello che adesso aveva davanti e di certo era molto più vecchio.

Il vampiro lo guardò atteggiando il suo volto crudele in un’espressione che stavolta parve davvero gentile

«Ma cosa, signor Participius?»

«Come conosce il mio nome?»

«Telepatia, suppongo …»

«Lei può leggere nel pensiero?»

«E posso fare molto, molto, molto di più …» si avvicinò lentamente, un passo dopo l’altro, e il suo corpo sembrò scurirsi e sfumare, come se si stesse dissolvendo in una nube « … Io posso mutare forma e divenire … qualunque tuo incubo …»

«Ce lo dica se ha intenzione di spaventarci tutti, così ci prepariamo» si intromise Kate, con un sorriso luminoso

«Oh, signorina, lei è dotata di un coraggio eccezionale …»

«No, è solo un’eccezionale preparazione. Vede, Vlad … anzi, vedi, noi ci conosciamo già»

«Ci …» la sua espressione divenne indecifrabile, ma quasi coprì i denti, facendolo sembrare una persona normale « … Ci conosciamo?»

«Ovviamente … » Kate usò un tono di voce leggermente più profondo del normale «Ci siamo conosciuti … quando tu eri ancora in vita».

Il Principe Vlad si tolse gli occhiali e li infilò sotto il giubbotto, nel taschino della camicia. I suoi occhi erano rossi, come tutti si aspettavano, ma invece di essere morti e vitrei si illuminarono di un’evidente sorpresa

«La … Signora dei Druidi?» cercò di indovinare il vampiro, facendo un aggraziato passo in avanti.

Kate gli si avvicinò scrutandolo in maniera strana

«Si … sei cambiato, principe. Sei più umano adesso di quanto lo eri allora … e mi sembri anche più alto, se devo dirla tutta»

«Erri … è solo che so celare bene il mio vero aspetto. E tu sei in un corpo un po’ più piccolo di quello che ricordo»

Lui si chinò a baciarle la mano con gentilezza, come un vero galantuomo.

«Mascalzone» lo redarguì Kate, senza però riuscire a nascondere l’evidente divertimento nella voce cristallina «Se il Ministro vedesse te, un vampiro, prendersi così tante libertà con me …»

«Il Ministro non mi vedrà, e anche se accadesse» Vlad si strinse nelle spalle, con noncuranza

«Sei veramente un mascalzone …»

«Sono un vampiro, signora, cosa si aspettava da me?»

«Niente di meno, Vlad, niente di meno …» rise piano «Allora, grande guerriero, che ne pensi di questo tuo … successo»

«Intendi il fatto che il mio nome è sulla bocca di tutti?» anche lui rise, ma era una risata più profonda e inequivocabilmente virile, oltre ad avere note inumane «Non c’è male. Peccato che comunque non sappiano riconoscermi, a quanto pare il vecchio Bram ha fatto un ottimo lavoro. E tutti mi credono morto … bah …»

«Vlad …»

«Eh»

« … Tu sei morto, non ricordi?»

«Ma certo» stavolta le sue labbra si incurvarono in un’espressione triste e le sopracciglia tese dimostrarono un’evidente delusione «Sono morto. Ma dopotutto, sempre meno morto di altri vampiri di mia conoscenza … sono una cosa a metà»

«E’ forse per questo che ti chiamano morto vivente?» cercò di azzardare Kate, sempre con lo stesso sconcertante sorriso

«Milady, tutto è possibile» anche lui parve ritrovare il buonumore, anche se era impossibile capire se fosse un’altra delle sue “maschere” o la pura realtà «Ora, poiché tutto è possibile, vorrei chiedere a te, che dall’alto della tua lungimiranza puoi rispondermi …»

«Non sono così lungimirante» tentò di schermirsi lei, ma il vampiro continuò imperterrito

«Com’è mai possibile che oggi, al mio risveglio, io abbia veduto due creature del tutto identiche sotto molti punti di vista. Ho pensato “sono gemelli”, ma poco dopo vi se ne è aggiunto un terzo. E vi dico io, signora, sembravano venire tutti da posti completamente diversi … uno di loro sembrava un selvaggio, vestito di pelli. Poteva anche essere un caso, ma poi vengo qui e … cosa vedo? Oh, ma certo … quella è la vostra copia esatta» indicò l’altra Kate, poi si corresse immediatamente «Quasi esatta: non ha certo il vostro meraviglioso sguardo …»

«Di che parli, latticino?» ringhiò l’altra Kate, aggressiva.

Vlad sorrise e fu come vedere un taglio che si apriva nel suo volto, solo che dentro, invece del sangue, c’erano quei denti che sembravano lame, all’improvviso divenuti tutti animaleschi, come quelli dei coccodrilli

«Signora» mormorò, con voce gutturale «Forse lei non è capace di comprendere che con un vampiro non si scherza …».

La donna indietreggiò, terrorizzata. Non era solo il fatto che quello che aveva davanti si era appena rivelato un essere mostruoso, ma c’era ancora qualcos’altro, qualcosa di più profondo, che le ardeva nelle vene e le faceva accapponare la pelle. Era il potere di quell’essere, una cosa a cui sembrava difficile sfuggire.

Proprio in quel momento arrivò Claudius Niiver Participius, uscendo dall’ombra dietro le colonne con uno sguardo tutto felice e soddisfatto. Sguardo che sparì, non appena si posò sulla figura ammantata di rosso che, al centro del cortile, sembrava intento a spaventare una donna.

Con scattò si posizionò tra la donna e il vampiro. Il suo impetuoso arrivo sorprese tutti. Per quell'intrusione il conte indietreggiò leggermente, emettendo un suono simile a quello dei gatti quando sono pronti ad aggredire e gli si alza il pelo sulle spalle
«Maledetta creatura» tuonò posizionando dietro di sé con il braccio la Kate ignorante per difenderla « Giammai permetterò che le tue dannate zanne tocchino il collo di codesta creatura»
Vlad se prima era offeso per tale arrivo, si calmò e sorrise al nuovo arrivato
«Lei mostra di essere un uomo di grande coraggio e determinazione, non posso che rispettare una persona come lei»
E avvolgendo il braccio sinistro con il mantello, si inchinò in segno di rispetto. L’altro non capiva
«E’ tutto a posto» lo informò l’alter ego «E’ qui per parlare con noi. E’ dalla nostra parte, giusto?»
E si volse verso Kate per averne conferma, la quale annuì. Compresa la situazione Niiver si scusò gentilmente.
«Tu sì che sei un vero uomo!» esclamò l'altra Kate «Non come il tuo gemello sempre con il broncio. Sei dolce come il mio sweety!»
E mostrò un sorriso che esprimeva tutta la sua gioia, quasi infantile. Niiver stava per chiedere che significasse tale frase, ma Robert glielo impedì. Non era il caso che anche il suo sosia subisse tale trauma.
«Strano però» aggiunse Kate «Dal nostro primo incontro avevo creduto che tu… Insomma… Fossi una donna poco incline alla monogamia»
L’altra alzò le spalle
«Io ci tento a rimanergli il più fedele possibile, ma ogni volta ci ricasco. Nonostante questo» e chiuse le mani e si muoveva con il busto a sinistra e a destra come una bambina «Lui rimane sempre il mio dolcissimo sweety!»
A Claudius Robert stava per venire da vomitare, e anche stavolta impedì al suo alter ego di fare domande affinché capisse la situazione. Kate comprese che era meglio cambiare discorso
«Bene, possiamo iniziare»
«Non ancora» disse una voce dietro di loro, la persona nascosta dall’ombra mise una mano sulla spalla di Kate e l’altra sulla spalla di Claudius Robert e pronunziò «Con il potere a me conferito vi dichiaro marito e moglie»
Per tutta risposta subì una violentissima gomitata sull’addome. Genovesi cadde in ginocchio
«Stavo solo scherzando»  affermò quasi senza voce per il mancato respiro
«Non sono scherzi da fare!» gridò di rabbia il collega indicandolo severamente con l’indice.
«Voi essere di questa dimensione siete davvero bizzarri» si intromise il “demone” che comparve proprio dietro a Genovesi e lo aiutò a rialzarsi.

Niiver si sorprese
«Gaber, sei davvero tu?».
Agli altri parve un nome strano per un “demone”.

Quest’ultimo riconobbe l’amico e anche lui fu sorpreso nel vederlo. Si conoscevano da una vita, ma quella fu la prima volta che poterono vedere, per la mancanza di luce del loro mondo, in maniera perfetta come fossero fisicamente. Si abbracciarono. Questo gesto rese felice tutti quanti, con entrambe le Claire che sospirarono di gioia, il professor Participius mantenne la sua solita freddezza, anche se un leggero sorriso si poteva intravedere nella barba, e la Kate dell’altro mondo a osservare la scena con la testa inclinata e masticando rumorosamente la gomma. Solo il vampiro ne era indifferente. Fu lui a parlare
«Vi prego, vi prego. Potremmo per favore iniziare la riunione? O vogliamo passare la notte in inutili questioni? Fra poche ore vi sarà l’alba»
«Questo problema l’abbiamo anche noi» aggiunse Gaber «Non possiamo stare io e Claudius sotto il sole. Ci danneggerebbe»
«Avete perfettamente ragione, dobbiamo iniziare subito a discutere. Io inizierei per prima cosa riguardo gli squarci temporali. La notte scorsa ne sono apparsi ben cinque. Tre di essi ne abbiamo scoperto la causa, i nostri tre alter ego identici. A proposito, dove sono i nostri due John Woolf?»
A quella domanda le due Claire si preoccuparono. Anche al professor Participius venne una leggera preoccupazione, senza darla a vedere. Da quando erano scappati da casa sua non li aveva più visti.
«Non state in ansia» tranquillizzò l’altra Kate «Il John che conosco io è il ragazzo più sveglio e coraggioso che io abbia mai visto!».
A Claire Woolf scappò un sorriso nel pensare che il fratello era completamente l’incontrario.
«Comunque sia non abbiamo tempo per pensare a loro. Dobbiamo riuscire a capire di chi fossero i due squarci rimanenti» dichiarò la professoressa Kate.

 
Mentre il gruppo discuteva su tali questioni, il povero John Woolf camminava senza meta per la città. Nel fuggire si era smarrito, ed era ore che vagava senza comprendere dove fosse. Era addirittura notte fonda. Doveva ripararsi da qualche parte
«Sei solo un cretino!»
Disse l’altro John, a lui dietro.
«Smettila di dirmi così, chiaro?» si arrabbiò l’altro, fermandosi e voltandosi verso il suo sosia
«E’ inutile che ti arrabbi, lo sei e basta! Sol un cretino come te poteva perdersi!»
«Mi sono perso solo perché non conosco questa città, hai capito? E poi senti chi parla, e allora perché tu mi stai seguendo?».
L’altro rise di gusto
«Perché voglio vedere quello che combini, imbecillotto!»
«Sì, sì, certo come no! La verità è che ti sei perso anche tu!»
«Ti sbagli» affermò fieramente «Io so la strada»
«Cosa?» fu stupito l’altro che stava quasi per cadere all’indietro
«Certo!» disse l’altro in maniera calma «Riesco a percepire la presenza dei miei simili, non devo far altro che raggiungerli»
«Allora perché non me l’hai detto prima?» gridò totalmente furioso.

L’altro John rise nuovamente
«Perché era divertente vederti in difficoltà come una povera bambina. E poi perché non me l’hai chiesto»
John Woolf era sempre stata una persona gentile, calma e pacifista, ma come non mai in quel momento desiderava tuffarsi contro l’odiata copia e strangolarla. Gli fu impedito giacché dietro a lui comparve un qualcosa di luminoso. Si volse e insieme al John Woolf coraggioso e arrogante osservò. Si trattava di un altro squarcio temporale e dimensionale. Vi apparve un’area desertica in mezzo alla strada, con la sabbia rosso rame, e solo pietre all’orizzonte. Vi era il sole. Il calore era tale da poter essere percepito anche nella dimensione in cui si trovavano i due ragazzi. Dal nulla, spuntò un essere. Non poteva essere visto in volto perché era girato di spalle, e i lunghissimi capelli neri come catrame coprivano il resto del corpo. Non si poteva comprendere se fosse un umano o altro. Il John abbronzato senza paura si diresse tranquillamente vicino allo squarcio per infilarci la mano ed avere un contatto con il nuovo essere, ma il terrorizzato Woolf glielo impedì, afferrandolo per una spalla e trascinandolo a sé nella fuga, grazie ad una improvvisa forza mai scoperta finora. Si nascosero all’angolo della strada. Poco dopo lo squarcio si richiuse
«Brutto idiota, perché mi hai fermato?»
«Poteva essere pericoloso! Magari ti ammazzava! Possibile che tu non ci pensi a certe cose?»
«Non sono un vigliacco come te» E incrociò le braccia.

L’altro proseguì
«Dobbiamo subito avvertire qualcuno di tale anomalia. C’è… C’è qualcosa che non va! Hai detto che percepisci i tuoi compagni giusto?» l’alter ego annuì «Perfetto. Allora muoviamoci, abbiamo bisogno d’aiuto!»

 

Il vampiro si era seduto per terra, nella posizione yoga del loto, con le mani poggiate sulle ginocchia, e ascoltava calmo la conversazione dei mortali. Avevano iniziato a parlare tutti di cose come “squarci spazio-temporali” e altre assurdità che al tempo della sua giovinezza sarebbero state condannate come eresie orribili e i conversatori sarebbero stati affidati ai paladini della chiesa cristiana perché fossero purificati con le fiamme.

D’improvviso vide arrivare due giovinetti pressoché identici, entrambi con capelli rossi e ricci e con gli occhi azzurri. Ma, malgrado l’evidente somiglianza fisica, riusciva a distinguere in essi caratteri completamente differenti, quasi opposti. I loro pensieri parlavano chiaro … il giovanotto vestito con la moda del momento era profondamente irritato e spaesato insieme, non riusciva a capire bene cosa stesse accadendo, mentre l’altro, quello con lo strano ciondolo al collo, era terribilmente sicuro di se e aveva certamente qualcosa da dire.
Il vampiro sogghignò in silenzio, in attesa del momento in cui la conversazione fosse arrivata al momento cruciale … e chissà, magari ci sarebbe stata una “rottura” nel gruppo e lui si sarebbe ritrovato a poter bere sangue fresco. Se pensava che ancora non aveva cenato gli venivano i crampi al cervello. Non doveva pensare troppo, doveva solo ascoltare, per fortuna …

«Buonasera, delegazione di umani …» Iniziò il John dell’altra dimensione, con una cordialità sorprendente « … Ah, c’è anche lei, professor rabbioso, con il suo gemello latticino» aggiunse con leggera acidità, guardando verso i due Participius «Comunque, a parte salutare e questi bla bla bla … il vostro amichetto si era perso e ve l’ho riportato a casa»

«Stai dimenticando una cosa» disse a denti stretti il suo “gemello”

«Cosa?»

«Quello che abbiamo incontrato … il … lo … la distorsione …»

«Ah, si, certo, il ragazzo vuole che io vi informi del fatto che abbiamo incontrato un’altra distorsione spazio-temporale»

«Un’altra?» chiese Claire, con preoccupazione «Allora deve essere uno dei disturbi che abbiamo udito questa notte, non pensate anche voi?

«Oh si» il John Woolf dell’altra dimensione fu particolarmente sorpreso di vedere la sua sorellina parlare in quel modo «Fa parte del miliardo e mezzo di buchi che si stanno aprendo nel nostro mondo, non trovate?» il suo tono di voce si fece rabbioso «Perché, vi chiederete, il nostro mondo è pieno di buchi? Dannazione, non si può nemmeno camminare senza finire da qualche parte, ed è tutta, tutta colpa dell’uomo copia del latticino e del suo amichetto che si dilettano a fare esperimenti oscuri con la materia!»

«Calmati!» cercò di tranquillizzarlo la Claire meno intelligente, in un sussurro appena udibile

«Perché dovrei calmarmi?» i pugni del ragazzo si serrarono finché le sue nocche non divennero bianche come neve «Io non mi calmo, non ce la faccio …»

«Camminiamo, fratellino, ti prego … lo so che camminare ti rilassa …»

«Hai ragione Claire» l’uomo si passò una mano sul volto.

Era strano, ma sembrava una dozzina di volte più anziano del suo gemello dell’altra dimensione. Avevano la stessa età entrambi, ma mentre uno era un uomo fatto e finito, l’altro aveva ancora il carattere incerto di un ragazzo.

La Kate dell’altro universo ridacchiò

«Allora, ragazzi, che ne pensate di accontentarlo?»

«In cosa?» fece la sua gemella, perplessa

«Passeggiamo. Lui è un genio, certo, ma le sue … ehm … le sue genialità gli vengono meglio quando cammina»

«Ma certo» fu comprensiva, mentre annuiva e un sorriso pieno illuminava il suo volto «Su, su, forza, camminiamo … anche tu, vampiro pigrone»

«Ma io non ho ancora mangiato» si lamentò il Principe

«Non per questo non hai la forza per reggerti in piedi»

«Se solo mi permettessi di azzannare qualche collo …»

«Non dirlo neppure per scherzo, animale!»

«Animale?» Vlad sorrise, ma gentilmente «Ma certo, milady … non lo dirò più. Non vorrei trovarmi certo di fronte al Ministro solo perché ho detto che avrei morso qualcuno …»

«E per non dirlo, intendo anche non farlo, sciocco impertinente»

«Spero che tu, invece, stia scherzando …»

«Ma è ovvio, conte, non oserei darvi dello sciocco …»

«Io non sono un conte» ribatté il vampiro, sdegnosamente «L’unico problema del romanzo di Stoker è che mi sminuisce. Io sono un principe»

«Oh, certamente, un principe. Ma vedi, ai giorni nostri tu non sei più quello che eri al tempo delle guerre contro …»

«Ah ah ah!» scattò in piedi come una molla, a una velocità sovraumana, e si mise le mani sulle orecchie «Cammino, va bene, ma non pronunciare quel nome di fronte a me»

«Ma come, un mostro come te?» Kate rise, emettendo una serie di brevi suoni cristallini «non credevo che fossi così sensibile, specie al sentir pronunciare il nome di un unico mortale che è ormai sepolto sotto terra da … quanto? Tre secoli? No, di più, non è vero? E pensare che molta gente trema al sentire pronunciare del tuo nome».

Il vampiro si tolse lentamente le mani da sopra le orecchie, caracollando in avanti. Quasi tutti notarono che la parte superiore del padiglione auricolare era leggermente a punta, come quella dei cani.

Il professor Genovesi fu entusiasta nel vedere quella caratteristica vampirica, unita al mostrarsi di zanne che balenava in un sorriso incerto, quasi addolorato, sul volto affilato del principe Dracula.

Si aggiustò il colletto bianco, che come sempre era sollevato a nascondere la sua gola, quasi come una precauzione, e si avvicinò cercando di mostrarsi cordiale

«Buona sera, Nosferatu, mi dispiace di non averla notata prima, sebbene non possa dire di esserle rimasto del tutto indifferente al vostro, come dire, campo di energia …»

«Toh guarda, un vampirologo» Vlad tornò immediatamente felice, come un bambino piccolo di fronte ad un mucchio di caramelle «Chi pensava di vederne uno proprio adesso … vi si distingue da due chilometri di distanza. Siete così enormemente» sibilò, cercando una parola adatta a quello che voleva esprimere « Zelanti»

«Oh, lei mi lusinga veramente, signor conte»

«Principe» lo corresse lui, in un ringhio «Sono un principe, Bram Stoker ha cercato solo di camuffare la mia identità»

«Ma certo, principe … principe dei morti e dei vivi. Un vero nosferatu, proprio qui tra noi, in questa sera … si direbbe che siete un presagio infausto, sapete? Capitate proprio mentre il mondo è in balia di una qualche oscura forza che porta a noi creature sconosciute, proprio come il nostro amico demone, Gaber»

«Può darsi. Come può darsi di no, dopotutto io sono sempre stato in zona»

«Ma si è palesato soltanto adesso, non crede che ci sia una certa simbologia in tutto questo?».

Fu proprio Vlad, che si era mostrato il più restio a camminare, che iniziò la passeggiata. Anche se non voleva ammetterlo, era stato probabilmente il primo a pensare di continuare il discorso camminando: era un’attività che lo rilassava, senza contare il fatto che avrebbe trovato molto più facilmente un giovane umano da cui attingere per fare la sua cena. Il professor Genovesi lo affiancò, sempre con il suo sorriso convincente e affabile che si allargava in mezzo alla barba ispida

«E’ un vero piacere conoscerla, signore, e mi scusi se mi sto ripetendo, ma mi sento proprio come uno scolaretto di fronte ad uno scienziato. Insomma, lei è il massimo delle tenebre, e le tenebre sono, come dire … il mio campo»

«Piacere mio» rispose Dracula, guardando dritto davanti a se eppure controllando con l’udito che il gruppo li seguisse «E credo che sarà utile poter parlare con un esperto di materie oscure che, come lei, è coinvolto in questa faccenda assurda di varchi spazio-temporali»

«Mi creda, per me sarà molto più gratificante confrontarmi con un vero Nosferatu»

«Lei non sa quanto è in pericolo, camminando di lato ad uno come me … lei forse non ricorda che sono un mostro»

«Lo crede?» Genovesi ridacchiò brevemente con la sua voce grassa e gioviale «Sa, sono ben munito del materiale per respingerla, signore, ma non è una cosa che voglio fare, adesso …»

«Ah, davvero? Cosa nasconde sotto il cappotto?»

«Ecco che iniziano a farsi proposte indecenti» mormorò divertita la Kate dell’altro universo, che era rimasta in ascolto della coppia in testa al gruppo

«Proposte indecenti?» borbottò il professor Genovesi, dandosi un’altra aggiustata al colletto «Ma di cosa sta parlando, signora?»

«Cosa nasconde sotto il cappotto?» ripetè la donna, cercando di imitare il tono di voce profondo del vampiro

«Stia indietro» ringhiò Vlad, ferocemente «Oppure ci ripenso e la dissanguo. E questa volta non ci sarà nessuno “sweety” a fermarmi »

«Che gentile, mi da anche del lei …»

«Non è carino dare del tu a chi non è mio amico … e lei, signora, di sicuro non lo diventerà mai. Sa, la vedo come una preda, in questo momento. Una preda, deliziosa …» anche continuando a camminare, sembrava che incombesse sulla donna, e per un istante la lingua, affilata come quella di un rettile, fece la sua comparsa oltre le chiostre di denti affilati da animale « … Sento il profumo del suo sangue, un odore decisamente più dolce del suo carattere, signora»

«Ohh … la grazia del cacciatore. Così ruvido e aggraziato insieme, mi fa venire …»

«E’ perché sono un vampiro» la voce del Principe si rischiarò dall’ira mentre trascinava rapidamente in avanti il professor Genovesi, cercando di sottrarlo dalle grinfie della donna «I vampiri fanno quasi sempre questo effetto e poi io sono antico … ».

La Kate dell’altra dimensione dovette accorgersi  per forza di non essere gradita e tornò indietro, dove il resto del gruppo parlava animatamente di cose come la possibilità che ci fosse qualcos’altro, oltre a loro, che aveva scatenato un fenomeno di dimensioni così grandi come l’apertura di massa di portali per Universi Alternativi.

Eppure lei non avrebbe dimenticato mai il volto demoniaco del vampiro, dai lineamenti così marcati che sembravano scavati nel marmo, eppure così maschili e seducenti, e il suo sorriso perverso, bestiale, che sembrava solo affamato e gioioso di aver trovato una preda …

 

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Capitolo 7
*** P-11 ed il Nemico ***


Cap. 6

P-11 e il Nemico

 

La conversazione era entrata nel vivo, così appassionata che l’intero gruppo si era distratto.

Così, mentre passeggiavano, non si accorsero di essere passati da un mondo all’altro … dopotutto il mondo in cui erano entrati era incredibilmente simile al loro. Solo Kate, dopo qualche metro, notò un nocciolo che non ricordava di aver mai visto nei dintorni dell’istituto. Inspirò a fondo e sollevò la mano destra con il palmo rivolto verso i suoi compagni di avventura, fermandoli

«Non so se ve ne siete resi conto»disse, allegramente «Ma laggiù dietro di noi le nuvole hanno un andamento strano … come potete vedere si spezzano in quel punto laggiù …  e poi, non so se avete notato, ma questo delizioso nocciolo non c’era nella nostra vecchia … zona».

Il professor Participius sorrise, voltandosi all’indietro

«Non ci posso credere … siamo entrati in uno di questi portali che stanno in giro senza nemmeno accorgercene … chissà dove siamo finiti … Non resta molto da fare per scoprirlo, eh?»

«Io direi che è pericoloso proseguire» intervenne Kate «Forza, tutti indietro, la scampagnata è finita!»

«No, niente affatto» ringhiò Vlad, scivolando indietro per frapporsi fra il gruppo e la strada ignota che conduceva in ignoti luoghi «Credo proprio che proseguirò e che terrò con me chiunque voglia fare altrettanto»

«Puoi fare come desideri, principe» Kate gli sorrise «Grande e grosso come sei non credo che tu abbia bisogno di una baby-sitter»

«Però …» Lo sguardo del vampiro scorse sui membri del gruppo, poi si fermò di nuovo sulla Signora dei Druidi e un sorriso leggero e divertito si mostrò sul suo volto « … Mi piacerebbe che tu mi accompagnassi. Andiamo, cosa c’è da temere, vi proteggerò io, sono un immortale, non credo che potesse accaderci niente ..»

«Mi dispiace Vlad, ma non credo che ti accompagnerò … voglio dire, il portale alle nostre spalle. Niente di personale, e non credere che io abbia paura, credimi»

«Ma certo … non ci avevo pensato» sembrò imbarazzato «Va bene, allora io proseguirò, non ho nulla da perdere … chissà, magari fra un milione di anni o due il portale si riaprirà e tornerò a trovarti»

«Spero solo che la nostra razza non si sia estinta fra un milione di anni o due … potresti finire sulla terra e non trovare niente da mangiare»

«Ma tu … non dovresti essere un druido? La vostra razza?»

«Oh, se la nostra razza si estingue sta tranquillo che anche gli umani si estingueranno … siamo o non siamo i padroni delle leggi del mondo? Che dire … se non ci fossimo noi a regolare la natura non ci sarebbe più di che sostentarsi per la specie umana, non trovi?»

«Spero proprio che tu non muoia» il principe parve serio mentre lo diceva, ma Kate gli sorrideva come di fronte ad alcune battute particolarmente divertenti.

Il professor Participius si fece avanti

«Io voglio esplorare con voi, signor Vlad»

«Ne è sicuro, umano?»

«Umano?»

«Forse non lo è, professor Participius?» domandò beffardo il vampiro, sollevando gli angoli della bocca.

Il professore non rispose, ma si affiancò al principe e chinò la testa. Era evidentemente invaso dalla brama di conoscere, di esplorare il nuovo universo, e contemporaneamente farsi proteggere da Vlad, ma ciò non voleva dire che sopportasse granché Dracula.

Kate annuì

«Forse è meglio così, professor Participius … senza di te non avremo problemi, immagino. E poi sono sicura che verrà con voi anche Genovesi …»

«Cosa vorresti dire?»

«Beh,cercavo solo di vedere il lato positivo della cosa … se tu rimani qui staremo più tranquilli, no, Claudius? Non avremo nessuno che apre pericolosi buchi ultra dimensionali in cui la gente può finire passeggiando per strada …»

«Ehi!» Claudius si sentì profondamente indignato «Non è detto che io non debba ritornare, il portale potrebbe non chiudersi ... Sempre se non interferite».

Qualcuno si avvicinò al gruppo.

Quando fu abbastanza vicino perché si potesse distinguere nelle tenebre, si accorsero che era un uomo basso, anziano, con i capelli bianchi come il cotone, tagliati cortissimi sulla testa quasi perfettamente tonda. Anche se era anziano, aveva un volto pieno e le guance stranamente da bambino, morbide, senza neppure un filo di barba, segnate appena da qualche ruga. Era vestito con un camice candido adornato di un cartellino di cartoncino giallo chiaro con sopra scritto il suo nome “Mack McCleever”.

«State tranquilli, quel portale non si chiuderà prima di due o tre mesi» Disse, disinvolto, con una voce vivace e sottile, leggermente impastata «Siamo stati in grado di stabilirne la durata … con un certo margine»

«Come?» Kate si fece avanti e andò incontro all’uomo «Lei è l’artefice del portale?»

«No, non sono stato io, ma visto e considerato che la natura dei portali, nel nostro mondo è questa, e che la durata varia da mondo a mondo … niente, sappiamo già che la durata di un portale ultra dimensionale aperto casualmente nella nostra terra non può essere inferiore al mese. Comunque, signori, capitate giusto a fagiolo … » si voltò e prese fra le mani il volto di Dracula, indelicatamente «Specialmente lei, signor Nosferatu»

«Ma chi diavolo è lei?» ringhiò il vampiro, mostrando le sue due file di denti mostruosi

«Pensavo che non me lo avreste chiesto, visto che c’è sul cartellino» l’uomo lasciò il mento del non morto e si pulì le dita sul camice, come se avesse toccato qualcosa di sporco «Allora, signori, volete seguirmi. Sono sicurissimo che il mio obiettivo e il vostro sono gli stessi, ma non abbiamo molto tempo»

«Come sarebbe a dire non abbiamo tempo?» lo interruppe Participius, rabbiosamente «Mi sembra che stiamo correndo un po’ troppo».

Anche se Participius era senza dubbio un uomo pragmatico per quello che era il suo mondo,  non era abituato a dover “correre” così in fretta e per lui un uomo che saltava in quel modo i convenevoli era maleducato.

Tuttavia Mack McCleever ignorò le parole di Claudius e si mise a camminare da solo in direzione di un grande edificio bianco e creato da forme tondeggianti che risplendevano come di metallo nella notte stellata

«Forza» disse «Ora non ditemi che anche voi non mi aspettavate …»

«No» ruggì Claudius, ma tutti lo ignorarono

«Andiamo, su, su, su!».

E così furono quasi letteralmente costretti a seguire quello strambo ometto candido che sembrava avere le risposte al disastro che era accaduto fra le dimensioni, il quale li condusse fin dentro l’enorme struttura complicata fatta di muri bianchi e cupole, vetrate ampissime e in generale un aspetto così alieno, così avanti con i tempi, che era impossibile per loro pensare che una cosa del genere si potesse costruire e far stare in piedi.

L’interno della struttura era persino più bizzarra, ricordava vagamente, per la luminosità che avrebbe dovuto avere durante il giorno, la scuola retta da Kate, ma non c’erano colonne, solo pareti, acciaio e vetro, tantissimo vetro,di forme e colori diversi.

La luce delle lampade era bianchissima, come quella del sole di mezzogiorno.

«Intendiamo puntare su P-11» Iniziò improvvisamente a spiegare l’omino candido «ora ve la farò conoscere …»

«Chi è P-11?» domandò Kate, curiosa

«Oh, stavo giustappunto per parlarvene. Allora, questo centro di studio è quanto di meglio esista in tutto il creato conosciuto per quanto riguarda la bioingegneria»

«Bioingegneria?» fece Claudius, stranito, e stavolta la sua domanda fu ascoltata

«Si, l’arte di manipolare il DNA»

«DNA?»

«Si, insomma, il nostro codice genetico. La serie di caratteri che determinano il nostro aspetto, il nostro carattere, il nostro organismo, il sesso e tutte quelle caratteristiche … ah, dimentico sempre da dove venite. Noi siamo in un’epoca molto più … avanti rispetto alla vostra. Solo che voi avete lui» e indicò Dracula

«Ehi, sono desiderato» si vantò il principe, lisciandosi i capelli con fare vagamente civettuolo

«Certo» disse Mack «Ma non invaghirti di me, si sa come siete voi vampiri …»

«Invaghirmi?»

«Ah, dimentico che ci metterete un po’ di tempo per … accettare di parlare di cose scandalose in questo modo svagato. Comunque, ragazzi, benvenuti nel futuro. Ci troviamo nel duemilacentouno, l’era della biotecnologia. Dopo aver passato le due rivoluzioni industriali e l’era dell’informatica ci troviamo finalmente nel mondo in cui l’intero sapere si concentra su quella che chiamiamo la forza della vita e il suo potenziale inaspettato. Per questo motivo pensiamo di avere esattamente quello che vi serve per risolvere tutti i vostri problemi»

«Mi sembrate un venditore ambulante» commentò la Kate dell’altra dimensione, aspramente «E comunque voi che ne sapete dei nostri problemi, signorino fiocco di neve?»

«Più di quanto crediate … per esempio voi non sapete qual è il problema di base»

«Oh si, che lo sappiamo» la Kate gentile si intromise «E’ per colpa del Professor Participius che ha tentato un viaggio utilizzando come vettore la materia oscura del nostro universo e ha richiamato creature le quali hanno ripetutamente aperto altri passaggi utilizzando la magia oscura. E’ per colpa del fatto che ci sono stati troppi passaggi insieme e … la materia spazio-temporale ha avuto qualche curva di troppo e si è bucata»

«Oh. Signorina, lei è molto lungimirante, ma … certamente non ha potuto vedere che c’è dell’altro. Adebaren»

«Cos’è Adebaren?»

«Non cosa, ma chi. Adebaren è quello che sta approfittando della rottura dell’equilibrio spazio-temporale per creare nuovi passaggi ed invadere mondi. Ora vuole arrivare al nostro e al vostro … ma brama soprattutto il vostro, visto che è la base del fenomeno» ridacchio sommessamente, come un bambino che ha visto un cartone animato particolarmente divertente «Dobbiamo combattere contro di lui, eh?»

«Come sarebbe a dire combattere?» chiese Vlad, su di giri «Vuoi dire proprio combattere combattere?»

«Bravo ragazzo, adesso mi dai del tu?»

«Ehm …»

«Non è un rimprovero, è un elogio. Ma dov’eravamo rimasti? Ah, per combattere contro Adebaren abbiamo puntato tutto su P-11»

«Chi è P-11?» si ripetè ancora una volta Kate

«Ma certo, certo … dovevo spiegarvelo. E vi sto portando da lei, perché sapete, anche se da lontano non sembra, è una lei … è il nostro esperimento di punta. L’unica riuscita del progetto Warmachine. Abbiamo combinato la tecnologia con la bioingegneria, il risultato è quasi perfetto. Quasi, direi, perché ancora non abbiamo finito di lavorare su di lei … sapete, abbiamo utilizzato la base genetica di un licantropo»

«Un licantropo?» Vlad fece una smorfia difficilmente interpretabile, digrignando i denti

«Si. Di base, ma abbiamo inibito la sua forma umana, esaltando le caratteristiche animali e la capacità di sintetizzare le proteine che in un licantropo, come perfino voi saprete, è altissima. Abbiamo usato un goldenwolfen»

«Pelliccia d’oro?»

«Si, bravo vampiro, hai indovinato ancora una volta. Ma, per ricapitolare, è il mostro perfetto, la macchina da combattimento, summa dei nostri estremi sforzi. Un DNA quasi perfetto, l’aggressività esaltata al massimo delle possibilità, l’intelligenza quasi umana di un licantropo, la forma di un hispo, come un orso, ma la leggerezza e la rapidità del lupo. La forza di due dei suoi arti è stata raddoppiata grazie a dei congegni appositamente studiati che si adattano naturalmente al movimento del suo corpo e che si muovono esattamente in sincrono essendo collegati ai nervi tramite delle protesi nervose e dunque funzionano proprio come se fossero dei prolungamenti veri e propri delle zampe»

«Ehm, perché mai solo due zampe?»

«L’ho detto che il lavoro non è ancora finito? Non abbiamo fatto tutto in una volta perché è … doloroso, immagino. E la nostra creatura potrebbe morire per lo shock»

«Interessante … e questa creatura …»

«So che detto così non sembra possibile, ma è la cosa più forte che tu abbia mai visto, vampiro. E’ quasi più forte di un drago …»

«Un drago?»

«Fai troppe domande per essere un tenebroso principe»

«Scusami, ma è difficile starvi dietro, e proprio io sono troppo antico per adattarmi così in fretta …»

«Intelligente il ragazzo, intelligente … proprio come un bambino»

«Ehi!»

«Sul serio … ah, dimenticavo che nel vostro secolo i bambini non sono presi abbastanza sul serio. Ma recenti ricerche hanno dimostrato che i bambini sono molto più intelligenti e deduttivi dell’adulto, basti pensare a come riescono ad imparare a parlare e a collegare i significati alle parole … un adulto non è altrettanto capace di imparare una nuova lingua o qualunque altra cosa, non pensate?»

«Questo alla faccia di Van Helsing che diceva che sono infantile!».

Mack ridacchiò ancora una volta e poi rimase in silenzio.

Arrivarono di fronte ad una gigantesca cella. Le sbarre erano pesanti, a sezione esagonale, di metallo lucente. In alcuni punti erano state deturpate come da colpi di artigli.

La camera era tanto profonda e così poco illuminata che vi si scorgeva appena il contenuto, una scintilla brillante sul fondo che si muoveva lentamente al ritmo di un respiro mastodontico. Poi la scintilla si mosse, sollevandosi da terra.

Era d’improvviso più in alto di quanto si potesse immaginare … no, nessun lupo poteva avere quelle dimensioni e quel colore. La bestia si avvicinò alle sbarre con passo calmo e pesante, i suoi arti d’acciaio producevano un rumore quasi robotico contro il suolo di mattonelle di pietra ruvida.

Il respiro dell’animale somigliava al cupo ansito di un mantice gigante e quando il suo muso comparve fu come vedere due pezzi di carne ricoperti di una peluria ispida color miele striata di giallo disposti sopra e sotto ad una serie di lame mostruosamente spesse e lunghe.

Era una creatura sorprendente, una specie di misto fra specie che la rendeva bizzarra e invincibile. Sul cranio pesante, solo vagamente lupesco, crescevano due corna che somigliavano a quelle delle antilopi, percorse da spirali, e che si curvavano leggermente all’indietro.

Solo uno degli occhi era giallo e tondo, con la pupilla dilatata, mentre l’altro era evidentemente artificiale: una telecamera dall’obbiettivo rosso e bombato impiantata nella carne con un anello di metallo le cui propaggini si infilavano sotto la pelle. L’occhio artificiale era collegato ad una specie di piccolo pannello solare scuro attraverso un filo e il pannello stesso era collegato dietro l’orecchio, sottopelle, con un altro cordino simile.

La zampa sinistra anteriore e la zampa destra posteriore, poi, erano ricoperte da una sorte di involucro metallico che sembrava pesare parecchio e che era formato da diverse piastre unite da piccoli cardini e cavi.

L’animale mostrava i denti come se fossero un trofeo, scoprendo anche le gengive rosate, e il suo alito caldo si infilò fra le sbarre ed investì i presenti con una zaffata di odore pesante e carnoso.

Il vampiro si avvicinò alle sbarre della cella e posò le mani intorno ai pezzi di metallo, chiudendo delicatamente le dita, come se avesse paura di fare movimenti bruschi.

P-11 spalancò le fauci, disserrando le due chiostre di denti affilati, e ansimò violentemente. Poi, piano, estrasse un’enorme lingua rosata e con quella toccò le nocche di Vlad.

Il Principe sorrise

«Proprio una bella bestia» mormorò, soddisfatto «Avete fatto un ottimo lavoro su di lei, non credevo che fosse possibile»

«Quindi approva» disse Mack, il quale evidentemente si era sentito sollevato

«Si, è perfetto …»

«Oh. Beh, avevo paura che non ti piacesse, che non ti soddisfacesse»

«Perché proprio lui?» chiese la Kate sgraziata, senza gentilezza

«Perché lui è un vampiro e non soltanto questo … è lui che dovrà collaborare con P-11 ed è lui che dovrà entrare in sintonia con lei, perciò era importante che lei gli piacesse. E poi, di solito, vampiri e licantropi non vanno d’accordo …»

Il vampiro fu sorpreso per tale affermazione
«Per quale ragione dovrei collaborare con la vostra creatura?»  chiese in maniera pacata, mantenendo il suo aspetto regale
«Perchè, nonostante l'immensa evoluzione che ha subito tramite la biotecnologia, non basta per sconfiggere il nostro nemico. Serve una forza diabolica maggiore. Dovete unire le vostre forze. Soltanto se riuscite a fondere le vostre coscienze in un un'unica energia e a collaborare potremmo vincere su Adebaren».
Il principe mostrò un'espressione seria che tradiva il fatto che fosse contrario a ciò. Mai e poi mai gli era servito l'allearsi con nessun essere, né tanto meno lo avrebbe fatto con un licantropo, quanto fosse cambiato o evoluto. Inoltre percepiva che la fame aumentava. Il fissare continuo della Kate ignorante lo fece comprendere a Mack McCleever
«Non preoccuparti» tranquillizzò «Con i nostri sofisticati macchinari siamo in grado di creare artificialmente del sangue umano. Potrai nutrirti con esso».
A Dracula tale idea sembrò disgustosa. Nutrirsi non significava bere insulso sangue artificiale in un bicchiere. Significava carpire la preda, sedurla, finché essa stessa desiderasse la morte pur di avere un minimo di quell'infinito piacere causato dal dissanguamento tramite gli affilati e brillanti lunghi canini. Era sottomettere la vittima, affinché questa, in ginocchio, implorasse al proprio vampiro divenuto quasi dio di afferrarla, concedendo volontariamente il proprio corpo e il proprio collo. Questo significava nutrirsi. Fare ciò che proponeva McCleever era umiliarsi. Vlad, però, si volse per un istante verso Kate, la signora dei Druidi. Sapeva che non avrebbe mai permesso un tale gesto, e non poteva rischiare con lei. Era costretto a bere per il momento quel sangue finto, ma solo momentaneamente, giacché presto avrebbe braccato la propria vittima, ed egli già sapeva perfettamente chi sarebbe stata la persona che sarebbe stata ipnotizzata dalla sua seduzione di morte...
I suoi pensieri furono interrotti dal chiacchiericcio dei suoi compagni. Gaber si avvicinò a P-11 per osservarla meglio. A lui e Niiver la luce dava molto fastidio, ma non risultava essere dannosa come quella solare
«Complimenti, è veramente un ottimo esemplare» e stava per avvicinare la mano per sfiorarla, ma Mack glielo impedì in tempo.

P-11 scattò in piedi e con rabbia ringhiò selvaggiamente al demone. Storse la gabbia con le sue possenti zanne, ma questa riuscì a contenerla. Ci vollero alcuni minuti affinché alcuni scienziati accorsi la tranquillizzassero. Gaber fu fatto allontanare dall'esperimento. Dal suo volto era abbastanza chiaro che voleva delle spiegazioni
«L'abbiamo programmata affinché ella uccida Adebaren, ed egli è un appartenente alla tua razza» tali parole suscitarono sorpresa nel demone e agli altri ascoltatori «Per questo motivo tu non puoi avvicinarti, ti ucciderebbe all'istante»
«Quindi è un pericolo per tutti i miei simili che vivono in questa dimensione?» ringhiò Gaber, l'altro fece segno di no con la testa
«Adebaren è l'unico superstite della tua specie»
Il principe iniziò a ridere
«Scusatemi, ma se questo temibile nemico è solo un demone come lui, io non servo assolutamente. Saranno anche immensamente forti e grandi conoscitori della magia nera, ma sono ben inferiori a me, e di certo a P-11».

Il ringhio di Gaber significava che si fosse offeso. Mack scosse la testa preoccupato, prese i suoi occhiali, li pulì con un fazzoletto di stoffa, e se li mise davanti agli occhi
«Adebaren non è un demone qualsiasi. Egli è la fusione di tutti i demoni esistenti. Durante il Medioevo del mio mondo tali creature insieme alle cosiddette streghe venivano cacciati e sterminati»
«Stessa cosa successe nel nostro mondo» aggiunse Genovesi, contrariato per questa scelta fatale della storia, l'altro continuò
«Già. Molti appartenenti a tale specie vennero sterminati, ma molti altri decisero di unire le forze. Tramite un incantesimo le loro menti si fusero in una, dalla quale nacque una creatura spietata e crudele, spirito creatosi dal nutrimento di vendetta e rancore nei confronti di noi esseri umani. All'epoca tale essere, che sterminò un intero continente, venne intrappolato con la magia. Ai nostri tempi tramite la tecnologia, ma l'aver utilizzato da parte vostra la materia oscura ha fatto cedere la barriera che lo teneva prigioniero, ed ora è nuovamente libero. Non potete neppure immaginare che essere sia, e di cosa sia capace di fare».
A tali parole le due Kate si mostrarono preoccupate, come le due Claire, il John buono era terrorizzato dall'idea di incontrare tale mostro, mentre il suo alter ego mostrava un sorriso arrogante come di chi fosse pronto a competere in un match di boxe. Dracula invece era estasiato, quasi drogato dalla frenesia di incontrare un essere al suo pari. Da quanti secoli non accadeva? Troppi... E troppi miseri insetti insignificanti aveva incontrato al suo cammino. E ora invece era giunta la sfida che tanto attendeva...
«Mi scusi» intervenne Genovesi «Tale magia di unire più persone in un unico essere è veramente affascinante e ha veramente dell'incredibile!» era elettrizzato «Non vi è possibile studiare alcuni documenti di cui parlino di tale incantesimo?»
«Ma certamente!» gli sorrise lo scienziato «Nella nostra biblioteca potrete avere tutto il materiale che volete».
A Genovesi scappò un largo sorriso. Anche Claudius Participius si intromise
«Anch'io vorrei analizzare i vostri documenti: ha detto che ci troviamo nell'anno duemilacento, e vorrei assolutamente capire come sia possibile! Sapevo che in ogni universo vi fossero mondi diversi, ma non che in tali mondi anche il trascorrere del tempo mutasse. Ero convinto che tali universi vivessero tutti la stessa epoca»
«Potrà studiare anche questo quesito. Due scienziati di mia fiducia vi aiuteranno nell'usare i nostri dati»
«La ringrazio» rispose Robert «Ma siamo in grado di usare dei libri da soli»
«Oh ma noi non abbiamo libri, abbiamo dei computer nei quali è memorizzata tutta la nostra storia, ricerche, geografia e ogni genere di argomento!» e sorrise.

Participius fu veramente sorpreso, anche perchè ignorava cosa fosse esattamente un computer. Seguendo due scienziati che furono convocati da McCleever, andò via, insieme a Genovesi. Anche il principe li seguì, accettando l'invito di Genovesi di andare con loro, e anche Gaber per conoscere meglio tale essere straordinario della sua specie, e ovviamente Niiver. I restanti invece rimasero con Mack, il quale li condusse nelle loro stanze per passare la notte.

La professoressa McDotter si mise le mani tra i capelli. Era mattina, la scuola era aperta da mezz'ora, e dei docenti Kate, Participius, Genovesi e Woolf nessuna traccia. Fortunatamente la Woolf aveva la sua settimana di pausa, ma gli altri tre erano indispensabili per le lezioni. Inoltre la signora Kate doveva amministrare l'istituto. Nel cercarli passò un'altra ora. Ormai le lezioni stavano per cominciare, e la giornata scolastica doveva avere inizio. Per necessità prese lei il comando della scuola, finché Kate non fosse riapparsa. Si riuscì a far svolgere tranquillamente le lezioni, ma il problema consisteva in tre classi: la sua, quella di Kate e quella di Participius. Come poteva un'insegnante sola gestire tre aule contemporaneamente? Diede il comunicato a queste tre di presentarsi nel cortile interno, giacché gli studenti sarebbero stati seguiti da lei soltanto in una lezione straordinaria. Mentre camminava per il corridoio pensava nella speranza che la sua brillante mente le desse un suggerimento o un'idea su come risolvere la questione e che genere di «lezione speciale» svolgere. Inoltre, come se i guai non bastassero, una segretaria, raggiungendola le consegnò un telegramma che le fece quasi venire un infarto: il signor Woolf si sarebbe presentato il giorno dopo all'istituto per congratularsi con la figlia della sua nomina di docente.

Questo era senza dubbio un problema, visto che la figlia del signore si era appena volatilizzata insieme alla preside e al geniale scienziato che aveva creato insieme alla signorina Woolf la macchina per viaggiare fra mondi …

Asciugandosi la fronte sudata, la professoressa McDotter decise di iniziare a pensare solo una cosa alla volta, anteponendo le urgenze. E la lezione di quest’oggi sarebbe stata su qualcosa che avrebbe sicuramente tenuto buoni i ragazzi, interessati com’erano all’argomento: i vampiri.

Sapeva bene che una delle classi era composta da elementi troppo giovani per essere abbastanza avanti con gli studi da conoscere quel genere di creature, ma era sicura che proprio per questo li avrebbe stregati parlando loro degli “immortali”.

Quando si presentò nel cortile interno, le classi erano già radunate. C’era il rosso smunto delle uniformi dei Keepers, la classe dei giovani “Cercatori di Tesori”, il verde bottiglia intenso delle cappe lunghe dei Woodboys, gli appassionati di scienze naturali, e poi c’era il grigio chiaro della classe dei giovanissimi che non erano ancora stati smistati.

La McDotter inspirò profondamente e con il suo solito contegno granitico raggiunse la posizione che le spettava, di fronte alla folla di studenti accoccolati e con gli occhi brillanti di attenzione

«Allora» inizio «Oggi studieremo qualcosa che tutti voi, di certo, conoscerete … anche grazie alla gloria che un’opera ha raggiunto proprio negli ultimi tempi, un libro di Bram Stoker …».

Una mano si alzò, scattando in aria come una molla: era quella di un ragazzo grosso, tarchiato, con il collo taurino e i capelli cortissimi che portava la divisa rossa dei Keepers.

La McDotter annuì

«Cosa c’è, Brown?»

«Ma signora, il professor Genovesi aveva detto che non avremmo iniziato i vampiri prima di un mese»

«Oh, beh … è per questo che quella che sto per fare è una lezione speciale, non credi ragazzo?»

«Scusatemi l’impertinenza, ma non sarebbe più qualificato il nostro professore di occultismo per reggere una lezione del genere?»

«Oh, si, certo … senza dubbio, ma vede, signorino Brown, in questo momento il professor Genovesi non può essere presente».

Stringendo i pugni, il giovane Brown rimase in silenzio. Non trovava giusto che fossero costretti ad affrontare una delle lezioni più entusiasmanti proprio con “madama perfezione”. Non sarebbe stato affatto entusiasmante …

«Allora, iniziamo partendo dal significato proprio della parola vampiro. L’etimologia non è chiarissima, ma si ritiene che questa parola possa derivare dal serbo, dove si utilizzava il termine vampir. Ricordiamo inoltre che quasi tutte le lingue slave possiedono un termine simile e con uguale significato rispetto a quello serbo …».

Brown sospirò. Sapeva che se invece della McDotter ci fosse stato Genovese, avrebbe presentato la lezione in maniera completamente diversa … aveva ancora in mente la presentazione sul mondo demoniaco che aveva fatto loro proprio il giorno precedente.

Con zelo, con enfasi, era entrato e si era accasciato gravemente sulla sedia dietro alla cattedra, come se fosse stato in preda di qualche angoscia sovrannaturale. Eppure Brown era riuscito a leggere chiaramente, dietro quel comportamento, la voglia assurda di mettere su una lezione spettacolare.
Per qualche istante il professore Genovesi si era massaggiato le tempie, con lenti movimenti circolari delle dita, poi aveva alzato la testa verso il suo pubblico attento e aveva sorriso

«Sapete, miei giovani discepoli, che in questo momento potrei benissimo essere posseduto da una qualche incredibile forza maligna?» aveva chiesto.

E come lo aveva chiesto: sembrava davvero che stesse soppesando la possibilità concreta di avere un demone dentro di se.

Un brivido collettivo aveva percorso gli studenti  mentre il professore si lanciava in un’ardita descrizione delle tipologie di demoni e delle loro conseguenze

«Fuoco, terremoti, orrende nefandezze, accompagnano i demoni più potenti, i figli stessi di satana, ma è una razza ormai estinta … mai, però, crediate che non possano tornare! Abbiate paura invece, dei più deboli in forza, poiché ugualmente scaltri e nefandi sono e si infilano nelle case per suggere la vita dai loro abitanti! Come gli incubi … oh si …» la sua espressione si era fatta affilata, mentre fissava in particolare un ragazzo, uno mingherlino, con il raffreddore «… I piccoli incubi sono praticamente minuscoli, non più grandi di un gatto, ma sono fatti di una materia terribilmente concentrata e pesano come il ferro … di notte entrano nelle case e si posizionano sul petto dei giovani, impedendo loro di respirare. E così che uccidono! E poi si nutrono del sangue della vittima» i suoi occhi scorrevano ancora in mezzo al suo raggelato ed eccitato pubblico, poi le sue labbra tornarono a muoversi rapidamente per illustrare gli orrori del mondo dei demoni «Attenti poi ai demoni succubi, miei cari ragazzi, poiché inducono al peccato, venendo la notte, sotto forma di voluttuose e meravigliose giovinette, ma non appena ad esse cedete, loro banchetteranno con le vostre carni … e anche per voi, ragazze, c’è qualcuno, non crediate di essere al sicuro! Gli incubi, oh si, loro sono la versione maschile dei succubi e sono altrettanto pericolosi … ».

Invece, con la McDotter era tutta un’altra storia. Noiosa, era già mezz’ora che stava discutendo dell’origine del nome vampiro, più che altro sembrava dubbiosa. Aveva blaterato di stregoni malefici e del fatto che esistessero tanti di quei tipi di vampiri da fare venire il capogiro, ma non sembrava sapere nulla che potesse veramente rivelarsi utile nel caso se ne incontrasse uno. Noiosa …

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