I Pensieri di Un Drago

di Piccolo Fiore del Deserto
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Drago e la Bambina ***
Capitolo 2: *** Il Drago e L'Adolescente ***
Capitolo 3: *** Il Drago e la Donna ***
Capitolo 4: *** Il Drago e La Vecchia ***



Capitolo 1
*** Il Drago e la Bambina ***


 Il Drago e la Bambina

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    La stazione è piena di persone oggi. Risate di fanciulli e giovani ragazze risuonano nell’aria, e un continuo sonoro chiacchiericcio rompe il silenzio.
Tutto il paese si ritrova qui per festeggiare insieme il completamento del restauro di questa piccola stazione, con soli due binari, che può riprendere la sua attività. Per lunghi mesi è rimasta chiusa, causando anche caos e rabbia nei vari abitanti che non avevano la possibilità di muoversi più velocemente, ma dovevano scegliere altri mezzi, spesso meno comodi di un treno.
Ma ora, tutta la negatività avvertita sembra essersi volatilizzata, lasciando il posto a una tale allegria che riesce a coinvolgere anche me, una solida statua di pietra.
Li osservo, immobile com’è ovvio che rimanga, e silenzioso. Non sono stato scolpito per parlare, muovermi, o altro – anche perché so bene che farei paura, più di quanta ne faccia ora a chi mi osserva – ma resto come un umile spettatore ad osservare la vita di quelle persone che possono fare tutto ciò che io posso solo sognare.
Non mi rivolgono lo sguardo. No. Forse in altri tempi sarei stato visto in maniera migliore da taluni, o come un simbolo del diavolo da altri, che sciocche superstizioni! Ma ora non sono nulla. Solo un “abbellimento” posto in cima a una piccola colonna di marmo bianco.
Sono solo un drago, ma sono orgoglioso di me stesso e di colui che mi ha creato. Il mio aspetto è fiero, il mio corpo ben levigato nella pietra grigia. Le mie zampe, complete di artigli, poggiano sulla sommità della colonna di marmo bianco, come arpionandola. Il mio muso lungo e colmo di squame ben delineate – come nel resto del corpo – è rivolto verso l’alto, seppure i miei occhi, due rubini di un rosso acceso, sembrino guardare gli umani al di sotto, come se fossi un essere superbo e superiore. Forse, come tutti i draghi, mi sento realmente così, ma non sono cattivo. Anzi.
Infine, la mia coda sembra avvolgere il mio corpo, ricadendo con eleganza in parte lungo la colonna; mentre le ampie ali, perfettamente scolpite anche nel più piccolo dettaglio, sono spalancate verso l’alto dietro la mia schiena.
Un’ottima statua sì, ma non veramente apprezzata da tutti.
Eccetto forse da quella bambina.
Lei viene ogni giorno qui, accompagnata dalla sua mamma, un tempo per osservare i treni, ma anche per venire a salutare me, il suo “daco” amico, come mi chiama lei.
E anche in questo momento, in cui il paese è in fermento e m’ignora completamente, lei conduce i suoi piccoli passi verso di me. Indossa un delizioso vestitino bianco, molto semplice, quest’oggi, completo di guantini alle mani del medesimo colore e di nastrini a trattenere i suoi biondi capelli. Una volta ferma sotto la colonna sopra alla quale mi trovo, solleva il suo viso paffuto e dai lineamenti gentili verso di me e, con la sua voce trillante e squisita, cinguetta il mio nome:
« Daco Amico mio! Ciao! »
Vorrei risponderle, vorrei che sentisse la mia voce. Vorrei aprire questa mia bocca chiusa e parlare. Ma non posso farlo. Eppure, so che lei può capirmi. Forse è solo un gioco di pura immaginazione, ma può farlo.
La guardo e, se potessi, chinerei almeno il capo. Ma non importa. A lei sta bene così.
« Hai visto quanta geente? I teni tonneranno a fare ciuff ciuff, ma io vengo qui per te, pecchè sei l’amico più splendidissimo che ho! »
L’adoro, immensamente. Seppure così piccina, è l’unica a dimostrare un po’ di affetto a questo povero drago di pietra grigia che non può muoversi, non può parlare, ma può pensare.
Lei, Sophie, è il mio angelo dai morbidi riccioli biondi e occhi di un azzurro intenso. L’unica amica che ho.
E’ così piccola, così facilmente fragile, che – seppure non possa farlo realmente – ho paura di ferirla. Guai a chi osa farle del male.
« Come sto con quetto vettito? » mi chiede, roteando su se stessa, mostrandomi bene il tutto. Io vorrei risponderle che le sta d’incanto, come ogni suo vestitino. E, anche se non lo dico veramente, lei sembra capirlo ed arrossisce visibilmente.
« Graccie Daco! Sei così carino! » trilla di nuovo, fingendosi timida d’un tratto, apprezzando veramente i complimenti.
Adorabile, oltre ogni dire.
Dopo qualche momento arriva la sua mamma, una donna di una discreta eleganza, ma di una certa purezza e semplicità nello sguardo che si può rimanere incantati. Indossa anche lei un abito chiaro, sul giallo: una gonna lunga e una camicia al di sopra bianca, completa di guanti alle mani. I suoi capelli biondi sono corti e mossi, pettinati alla moda di quel tempo, gli anni venti se la mia mente non ha problemi a ricordare; e al di sopra un delizioso cappellino è posato con delicatezza sul suo capo, senza scompigliare troppo l’acconciatura. Ha pochi gioielli con sé, appartenente a quel piccolo villaggio, non dispone di troppo denaro. Un unico ciondolo con una croce e la fede al dito.
Non è una donna che può essere definita bellissima, ma ha un qualcosa in quei sottili occhi verdi e nella grazia dell’incedere, che ti affascina.
« Sophie, quante volte ti ho detto di non allontanarti troppo da me? Non vedi quanta gente c’è oggi? Rischio di perderti di vista, e se ti fai male? »
« Ma mamma, non sono sola! C’è Daco qui! » con la sua manina pallida come la luna, mi indica e, se potessi, sorriderei per acconsentire. No, non la lascerei mai sola. Katrina, questo il nome della donna, solleva lo sguardo verso di me e scuote il capo, seppure un leggero sorriso di divertimento le increspi le labbra colorate di rosso.
« Va bene piccola mia, ma ora saluta Daco e andiamo insieme agli altri. Tra poco inizia la festa, e ci sono tanti dolcetti! Non vuoi vero che Daniel te li rubi tutti no? » volta di nuovo lo sguardo verso la piccola, e lei scuote subito il capo riccioluto.
« Oh no, mamma corriaamo corriamo che se no Daniel li finisce tuuutti! Ciao Daco a pletto! » agita la manina al mio indirizzo e, tesa la mano alla madre, si avviano insieme di “corsa”, verso il gruppo di persone, per dare inizio alla festa.
Gli umani, vestiti elegantemente, tagliano il nastro rosso, brindano e mangiano, tutti gioiosi per quell’evento di cui ancora non comprendo la portata. Ma forse sono troppo diverso da loro.
Eppure non li odio. Non finché ci sarà sempre una bambina adorabile, come la mia piccola amica Sophie.



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Questa storia ha partecipato al Contest "La Stazione e... il Drago" indetto da Eylis, classificandosi Sedicesima su 27 partecipanti.
Non ho nulla da dire, se non che si compone di 4 capitoli, che pubblicherò non appena avrò tempo.
Spero che vi possa piacere :)

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Capitolo 2
*** Il Drago e L'Adolescente ***


 Il Drago e l’Adolescente

 

Gli anni passano e quella bambina che mi sorrideva e mi parlava in quel modo simpatico e particolare è cresciuta. Non ha smesso mai di venire a trovarmi, anche quando la stazione ha ripreso ad essere in continuo movimento. Ovviamente, pur importante per il paese, non è un luogo stracolmo di gente come le altre stazioni di cui sento parlare da alcuni uomini del villaggio che conoscono il mondo – o almeno così dicono -.
Il suo corpo si è evoluto. Ho osservato ogni tratto del cambiamento, e resto particolarmente stupito dal fatto che gli umani non sviluppino né artigli – i loro sono decisamente così corti, non farebbero male a una mosca, credo! E poi come si procurano le prede? – né squame lungo il loro corpo – anche se ho notato che sul volto tendono a nascere degli strani puntini gonfi, di cui non riesco a comprendere a cosa possano servire – né tantomeno ali! Oh, che oscenità! Forse per questo mi sento superiore. Io, le mie ali, non le baratterei con nulla al mondo.
Comunque, negli anni, è cambiata sicuramente: il suo fisico è più slanciato e più sottile, sul busto sembrano essere nate delle strane rotondità così simili a sua madre ma ancora acerbe. I suoi corti riccioli, si sono allungati e ora le sfiorano le spalle. Indossa ancora abitini, seppure più consoni alla sua età. Sembra cambiata, più seria forse, più pensierosa ma ogni volta che si ferma a parlare con me e mi soffermo a osservare i suoi occhi azzurri, riesco a vedere che è sempre la mia dolce e allegra Sophie.
Non viene quasi più con sua madre, suo padre forse non l’ho mai veramente visto, lei non ne parla mai. Forse neanche lo ricorda.
Ora ad accompagnarla c’è Daniel, quel ragazzino biondiccio – castano, dai grandi occhi blu e tratti ancora sottili e dolci, seppure inizi a intravedersi un accenno di peluria su quel volto.
E’ alto appena un poco più di lei – che, per essere una ragazza, ha un’altezza notevole – e sempre sorridente, anche se a volte fa innervosire la mia Sophie con i suoi insulsi scherzi.
« Allora ancora da questo drago vuoi andare? Cosa ci trovi di così bello, in quel coso di pietra? Chissà se quei rubini sono veri, potremmo prenderli. »
La voce del ragazzino mi infastidisce. Come osa minimamente pensare di toccarmi e scalfirmi? Vorrei azzannarlo o sputargli fuoco.
« Cosa ti salta in testa Daniel! Quel drago è il mio più caro amico sin da quando ero molto piccola, e tu non devi azzardarti a toccarlo, neanche per sogno!»
Gioisco nel sentire le parole della mia piccola amica, che mi difende, anche se io non ho per nulla bisogno di essere difeso. Ma che ragazza è diventata! Noto il suo viso indursi, rughe le increspano le labbra e la fronte. E il mio cuore – se ce l’ho sotto questa pietra – si scioglie. Lei mi vuole davvero così bene?
Daniel solleva le braccia, come per arrendersi, e poi le sorride amichevole.
« Tranquilla, calma! Stavo solo scherzando, non farò del male al tuo drago. »
« Giuramelo! » grida ancora Sophie, guardandolo minacciosa.
« Te lo prometto. Che io possa morire all’istante se mi azzardo a non mantenere tale promessa. » pone una mano sul cuore, e traccia un segno, come una croce. E solo a quel gesto, vedo il viso di Sophie distendersi e farsi più tranquilla.
« Bene, ora ti credo. » torna a ridere ancora, quella risata che risuona come un canto soave nell’anima – se ce ne ho una -.
Daniel ride a sua volta e poi solleva il suo sguardo verso di me.
« Sophie, ma hai pensato a che nome dargli? Da piccola come lo chiamavi? » chiede curioso, mentre noto Sophie arrossire violentemente.
« Ehm… in verità lo chiamavo Daco… ma perché non sapevo parlare bene. » cerca di giustificarsi… « però effettivamente non ho mai pensato a un nome per lui. Chissà se chi l’ha scolpito, gliene ha dato uno. Non ci sono scritte. Non c’è nulla che possa farlo capire. »
« Potresti sempre metterglielo tu un nome. Gli sei sempre stata vicina, mentre altri l’hanno ignorato e disprezzato. Prova a pensarci. »
Quel ragazzo, in fondo, può piacermi. Deve essere un attento osservatore.
« Hai ragione… Vediamo, amico mio, come posso chiamarti? » ci pensa la piccola, e in verità ci penso anch’io. Ho mai avuto veramente un nome? Chi mi ha creato mi chiamava in qualche modo? Non riesco a ricordarlo.
No, probabilmente io non l’ho mai avuto. E quella consapevolezza mi annienta. Sono ignorato, disprezzato, e… non ho neanche un nome.
D’un tratto il mio senso di superiorità viene meno. Sono davvero un essere importante, se non ho neanche un misero nome? Sophie, mia splendida amica, mettimelo tu un nome… vorrei poterlo dire a parole, ma lei mi guarda intensamente e sento che può avvertire quel pensiero.
« Zefiro… » sussurra, qualche istante dopo, e poi ripete quel nome con più forza. « Zefiro… come il vento. Tu non puoi parlare, ma spesso è come se il vento mi portasse i tuoi pensieri, mio particolare amico. E a te dono il nome di un vento. A te solamente. Perché per me sei speciale. »
In quel momento sembra che ci siamo solo io e lei, che Daniel sia scomparso. E’ un discorso tra un drago di pietra e una ragazza.
Zefiro. Il nome del Vento.
Per un attimo sembra che proprio l’aria voglia sfiorarmi e avvolgere tutto il mio corpo di pietra e penetrarmi dentro, sorpassando quella barriera prepotente.
« Che ne dici Daniel? » solo ora, lo rimette all’interno del discorso, interrompendo quel legame che si era instaurato di nuovo tra noi.
« Zefiro. E’ un ottimo nome. Non originalissimo, ma è splendido per lui. »
Sì, quel ragazzo mi può piacere.
Sophie gli sorride e poi mi lancia di nuovo uno sguardo pieno di affetto sincero.
« A presto, Zefiro. » sussurra, e poi inizia a correre via dopo aver detto a Daniel…
« Sono sicura che arriverò per prima a casa, come sempre! » la bambina in lei non è scomparsa.
« Lo vedremo! » ribatte il giovane, e la rincorre.
Le loro risate arrivano fino a me, che se fosse davvero possibile, ora sorriderei.
Sono amato da due ragazzi. E ora, ho un nome.
Zefiro.




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Grazie Eylis per aver riportato anche qui il giudizio :)

 Sachi Mitsuki : Ti ringrazio molto per la recensione e sono felice che ti piaccia per ora.
La bambina - non ho messo effettivamente l'età - ha cinque anni. Probabilmente l'ho fatta troppo piccina nel suo modo di parlare, ma mi piace così :P Son contenta che ti sembri adorabile!
Spero che anche questo capitolo sia di tuo gradimento.

Grazie anche a tutti coloro che leggono e a WingsofCrow che l'ha messa tra le Preferite; e a
Sachi Mitsuki e eleonora96 che l'hanno inserita tra le Seguite :)

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Capitolo 3
*** Il Drago e la Donna ***


 Il Drago e la Donna


Una stagione si sussegue all’altra in maniera continua, senza che qualcuno possa fermare il tempo. Per me gli anni sembrano giorni, non sembrano volare. In fondo non ho paura della morte, perché sono un essere immortale. I draghi sono questo no? E se io sono anche di pietra, cosa mai può scalfirmi?
Tuttavia gli anni hanno portato anche a una modifica, seppure gradita. Piante rampicanti hanno iniziato a sorgere e, allungando i loro rami adorni di foglie, hanno avvolto la corta colonna di marmo bianco, rendendola, nonostante tutto, più graziosa forse. Sembra quasi essere ancor di più un’opera d’arte. Il verde scuro delle foglie e dei rami che abbraccia il candore del marmo. Sembro quasi un drago artista, non trovate?
La pietra con cui sono stato fatto, però, è bella resistente e non è stata rovinata dal tempo, anche perché la mia piccola Sophie e il suo Daniel si sono presi cura di me non permettendo a nessuno sciocco mortale di distruggermi.
Lei è cresciuta ulteriormente. Quanti anni sono passati ancora? Dieci, se la memoria dei draghi non è fallace. Non posso quasi più chiamarla piccola, anche se io ho molti più anni di lei: ora è una vera e propria donna, l’esatta copia di sua madre, ormai anziana, ma forse – devo ammetterlo – un poco più bella e raggiante.
Raggiante sì.
Almeno così era fino a un anno fa, quando ancora non si parlava troppo di guerra e soprattutto tali voci non erano giunte fino al paese, che tuttavia sembrava vivere un’atmosfera di pace. Forse perché piccolo, forse perché un punto di non vitale importanza per quell’odio che si sta propagando nella capitale tedesca. Se so tutte queste cose è unicamente perché sento tutti coloro che passano alla stazione.
Già, la stazione. È un luogo che è fortemente amato, anche se negli ultimi tempi sembra quasi iniziare un momento di decadenza. Quello che si crede, anche se non lo si augura, è che i moti possano giungere anche qui e distruggere tutto, la tranquillità, questo luogo, e… forse anche me. Dopotutto, sono una mera opera d’arte di altri tempi, che ora non vale nulla, se non per lei.
Lei, la mia Sophie.
Lei è lì, accanto al primo binario, a pochi metri di distanza dal punto in cui mi trovo, e guarda affranta suo marito. Chi? Forse ci sarete già arrivati tutti e il mio cuore esulta nel dirvi che sì, è proprio Daniel che ha conquistato il cuore della mia amica e che l’ha resa felice per tutto questo tempo.
Ma il male e la pazzia che si instaurano nel cuore degli uomini conduce non solo alla propria distruzione, ma anche a quella degli altri.
Molti inneggiano al loro folle capo, perché sognano una Germania superiore ma, nonostante io sia il primo a sentirmi superiore a questi sciocchi umani, sono consapevole che non è facendo tali idiozie al limite dell’inverosimile che si può diventare davvero migliore degli altri.
Loro sono lì e si stringono le mani. Io li guardo, muto ed attento spettatore del loro saluto, del loro arrivederci, perché non può trattarsi di un addio no?
Lui è vestito con una strana divisa di un verde scuro, che gli è stata consegnata, e porta con sé una sacca: è stato chiamato alle armi, come vero esempio di persona superiore, per la sua altezza, i suoi splendidi capelli chiari e quegli occhi color del mare più profondo che sono sintomo di una razza al di sopra di ogni altra.
Ma io non credo che lui possa seguire alla lettera gli ideali di quel pazzo al governo, anzi sono sicuro che il cuore di Daniel è buono. No, non può essere crudele. Lui ha altri ideali, ma non vuole mettere a rischio la sua famiglia.
Sophie lo guarda con gli occhi gonfi di lacrime, che tenta di trattenere, fingendosi forte come sempre. Come quando da bambina cadeva e si sbucciava le ginocchia, ma tratteneva a forza le lacrime, per dimostrarsi forte; solo che, ora fa ancor più male. I dolori che prova una persona adulta sono ben più forti di un semplice taglio o ferita fisica.
Lo sento. È come se io e lei fossimo legati profondamente e in maniera indissolubile. Avverto i suoi sentimenti come lei avverte i miei pensieri. Sembra strano, forse impossibile, ma so che è così.
Lui le parla ed io non ho bisogno di affinare l’udito per capire. Sono di pietra, ma sono sempre un drago e ho tutte le sue caratteristiche.
« Amore mio, stai tranquilla, e pensa al nostro piccolino che deve ancora arrivare. » le sfiora il viso, mentre lei socchiude gli occhi per qualche istante e poi li riapre, prendendo la sua mano tra le sue e portandola al ventre, che sotto la camicetta bianca, appare un poco gonfio. Lì, gli umani, come le nostre dragonesse conservano la scintilla di una nuova vita.
« Il nostro bimbo crescerà in un mondo migliore, ne sono certo. Lotterò per fargli avere il meglio, ma tu non disperare. Tornerò. »
« Sì, Daniel. Mi occuperò di lui, starò tranquilla e farò in modo di stare bene, per non permettere al piccolo di soffrire. Noi ti aspettiamo. So quello che vali e so che dentro al tuo cuore hai altri ideali. Va amor mio, e dimostra il tuo coraggio e il tuo cuore d’oro. Io resterò qui e ti aspetterò in trepidante attesa. »
Resto silenzioso, senza esprimere pensiero alcuno. Quello è il loro momento e non posso permettermi di rovinarlo. Lui accarezza di nuovo il suo ventre, e i suoi occhi si fanno umidi, mentre un sorriso pieno di amarezza per non poter rimanere lì tranquillo ad aspettarlo affiora sulle sue labbra. Lei gli sfiora i capelli, e cerca di sorridere. Dimostra una forza unica, anche in questi momenti colmi di dolore.
Poi, Daniel si china su di lei, sfiorando le sue labbra in un bacio dapprima dolce, e poi denso di una passione talmente intensa, come se temesse che quello sia il loro ultimo bacio. Solo in quell’attimo, una singola lacrima esce dall’occhio destro di Sophie. Una lacrima silenziosa, che scivolandole lungo la guancia destra, ricade poi a terra senza il minimo rumore.
Il treno è fermo davanti a loro. Immobile e cheto fino a quel momento. Ma come facendosi beffa di loro, proprio nel momento in cui il bacio si fa più intenso, viene messo in moto. Al rumore, segue il fischio. Le porte vengono aperte da uomini più o meno robusti – che lavorano proprio alla stazione -, in modo tale da permettere ad altri umani di accedervi.
Riluttanti i miei due adorabili amici innamorati si staccano. Ma prima di allontanarsi, Sophie afferra la mano di Daniel, come con l’intenzione di non lasciarlo andare via.
« Daniel…» la sua voce è incerta e spezzata dalle lacrime che minacciano ancora di uscire. Non dice altro, ma i suoi grandi occhi color del cielo, circondati da corti riccioli biondi, acconciati con grazia secondo la moda degli anni quaranta, dicono tutto. Vorrebbe non lasciarlo andare via. Vorrebbe tenerlo per sé. Ma sa che ciò non potrà succedere.
Anche gli occhi blu di Daniel dicono molto. Sento che vorrebbe restare lì, per vivere con tranquillità la sua storia d’amore ed attendere l’arrivo di una nuova, grande gioia, rappresentata da suo figlio. Ma tutto ciò non è possibile.
« Sophie… tornerò da te. Aspettami. »
« Ti aspetterò. » un sussurro appena, prima di tentare di mostrare un sorriso forzato, al quale lui risponde. E poi, pian piano, la presa delle loro mani si fa più lenta, fino a lasciarsi.
Tra di loro, solo vuoto.
Lui sale sul treno e si avvicina subito a un finestrino. Da lì, la guarda. La osserva chiedendosi quando e se tornerà. Lei lo fissa, immobile, senza versare lacrima alcuna.
Un altro fischio. Poi il rumore delle porte che vengono chiuse con forza, da addetti allo scopo.
Sono abituato da anni a quei rumori orrendi, eppure ora mi appaiono ancora più forzati, più distruttori della quiete.
Il treno prende a marciare e pian piano si allontana dalla stazione. Sophie inizia a correre, facendo attenzione a non cadere, come se volesse inseguirlo, come se credesse che le sue semplici gambe possano raggiungerlo. Vorrei davvero poter muovere le mie possenti ali per trasportarla da lui. Ma neanche questo è possibile. Quando la banchina è conclusa e non può più andare oltre, si ferma, e guarda il treno che pian piano diventa sempre più una figura lontana, poi un puntino nero, e poi più nulla.
Solo a quel punto si volta verso di me. Mi si avvicina.
« Oh Zefiro… » dice unicamente e, portandosi le mani a coprirsi il viso, scoppia a piangere, non dovendosi più trattenere. Sa che davanti a me può piangere e sfogarsi tutte le volte che vuole, seppure il suo dolore faccia soffrire anche me, e io non so proprio come aiutarla.
Piangi dolce Sophie. Piangi e non curarti di chi ti guarda.
Piangi. Il tuo amico è qui e ti sostiene.
In fondo un amico serve anche a questo, no?




* * *




Credevo – come del resto lo credevano gli uomini del villaggio – che la guerra non potesse arrivare anche in quel luogo sconosciuto, e difatti questo non avvenne. L’unica cosa che si udiva, era il rumore degli aerei da combattimento che sorvolavano i cieli sopra di noi, ma fortunatamente non ci colpivano, nonostante alimentassero le nostre paure. Non c’erano più bambini felici che riempivano l’aria con le loro risate e i loro giochi, non c’erano neanche dolci donzelle che allietavano le giornate dei baldi giovani che facevano loro apprezzamenti, ricavandone dei sorrisi e forse anche di più. Non c’era più l’allegria, la voglia di vivere. La stazione però era ancora molto vissuta. Donne con i loro bambini si recavano ogni giorno davanti a quei binari, con la speranza di vedere tornare i loro compagni, fratelli, padri, zii e figli, ma spesso dovevano tornare a casa, senza una risposta. Altre volte, i messaggi che ricevevano erano i peggiori, ed ero costretto a sentire urla strazianti e pianti interrotti, scene crudeli da vedere. Rare volte, invece, avevano la fortuna di vederli tornare, un po’ malandati, feriti nell’animo e nel fisico, ma almeno erano a casa.
E, tra queste donne, c’era ovviamente anche la mia Sophie.
Lei veniva ogni giorno alla stazione, pur sapendo che non poteva vederlo tornare tanto presto. Quella che si prospettava una guerra corta e rapida, risultò essere col tempo, molto lunga e colma di imprevisti. La follia umana arrivò ai massimi livelli, commettendo anche le scene più orride e indescrivibili. Io stesso, un essere capace di uccidere facilmente una vittima, restavo inorridito alle storie che giungevano anche lì, in quel paese sconosciuto ai più.
Di fronte a quella follia, a quel clima di disperazione, c’era lei, che con la sua speranza e la voglia di credere a un mondo migliore, cercava di allietarmi, come io cercavo a mia volta di allietare lei.
Veniva sempre. Si fermava al primo binario e osservava per ore ed ore l’arrivo di un treno, che spesso non arrivava. Poi si fermava con me a parlare: di lei, di lui, del loro piccolo che nel giro di pochi mesi sarebbe arrivato. E spesso sorrideva, immaginando e descrivendo un futuro, fatto di sola gioia e tanta felicità; certo ci sarebbero stati degli alti e anche dei bassi, ma con un po’ di forza e buona volontà tutto sarebbe andato per il meglio. Amava sognare la mia Sophie, ed io adoravo anche questo suo aspetto.
Dopo ore trascorse insieme, si recava presso gli uffici della stazione a chiedere informazioni di Daniel, ma il più delle volte si ritrovava a sospirare e tornare a casa senza una risposta, senza il suo amato.
Solo una settimana mancò.
In quella settimana diede alla luce un piccolo, dai riccioli biondo-castani e grandi occhi blu, come suo padre. Lo chiamò Christopher, come Daniel avrebbe voluto e, troppo stanca per muoversi e dovendosi occupare per bene di lui, non venne alla stazione, seppure sentissi che era una cosa che le costava molto.
Dopo qualche tempo tuttavia tornò: portò con sé il piccolo, per farmelo vedere. Guardò il binario per qualche minuto, ma poi venne da me, mostrandomi il pargolo.
« Guarda Zefiro, questo è mio figlio, o meglio il figlio mio e di Daniel. Non lo trovi bellissimo? » mi chiese, sorridendomi, seppure i suoi occhi non mostrassero la consueta allegria che sempre la caratterizzava.
« Piccolino mio, lui è il mio più caro amico, e quando crescerai imparerai ad apprezzarlo ed amarlo come faccio io e come ha imparato a fare anche tuo padre. Sai piccino, presto il tuo papà tornerà, e saremo tutti e tre felici. » adorava parlare con il piccolo.
Ma anche in quell’occasione non ci furono notizie di Daniel.
Passarono i mesi e pian piano si avvicinava la fine della guerra. Il piccolo Christopher cresceva, e passati tre anni ancora non si sapeva nulla del padre; fino a quando, infine, tornò a casa uno dei soldati, un cittadino del paese, che volle parlare con la mia Sophie.
Lei, che si trovava proprio alla stazione, gli chiese di dirle tutto davanti a me, il suo amico e come sempre attento spettatore e sostenitore.
« Sophie… Daniel ha sempre avuto degli ottimi ideali. Amava molto la nostra patria e in un primo momento accettò di combattere per difenderla, e proteggere te e tuo figlio, come ben sai. »
Lei annuì, non dicendo parola alcuna. Il soldato, quindi, riprese « ma, nel momento in cui gli fu commissionato di uccidere un pover’uomo incapace di difendersi, solo perché diverso da noi e non appartenesse alla razza superiore tanto decantata, lui si rifiutò. Il rifiuto va contro le regole. Fu accusato di essere un traditore, un incapace, di non seguire le regole del nostro capo, di quel… dittatore da strapazzo. » al sol chiamarlo così, storse le labbra in una smorfia di puro disprezzo e rabbia… « e, è stato… ucciso, per dar mostra a tutti di cosa succede ai traditori. Mi dispiace Sophie, e so che questo mio pensiero non servirà ad alleviare la sofferenza che ora potrai provare ma: Daniel era un grande uomo, e tu dovresti esserne sempre orgogliosa. »
Guardai Sophie, e lessi nel suo sguardo una tale sofferenza da struggermi l’animo. Anch’io soffrivo, perché col tempo avevo imparato ad amare quell’uomo, e ora, sapendo ciò che aveva fatto, ne ero orgoglioso come del resto potevo ben capire che lo fosse lei. Annuì e ringraziò il soldato, per poi ritirarsi in solitudine. La vidi sollevare lo sguardo verso il cielo e, mentre le lacrime scorrevano sul suo viso, un sorriso lo accese. Era orgogliosa di lui, nonostante la solitudine e la sofferenza che invadevano il suo cuore.




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Prima di passare ai ringraziamenti e alle risposte alle recensioni, devo fare una premessa: il capitolo che ho inviato al contest non era proprio così. L'ultima parte in "corsivo" l'avevo inserita nel capitolo successivo, ma dopo il giudizio di Eylis e rileggendo il tutto con più attenzione, ho optato per riportarlo qui (per tal ragione quindi il capitolo è più lungo).
Il passaggio al passato è puramente voluto. Sono pensieri passati del drago che troveranno poi riscontro nell'ultimo capitolo, che posterò nei prossimi giorni. Ho notato anche degli errori e ho cercato di correggerli, sperando di non averne lasciati altri xD

Spero che vi possa piacere :)
Per chi volesse sapere com'è la storia originale inviata per il contest, può andare qui . (Il sito creato da Eylis per gli Original Concorsi da lei creati. Quella è la mia pagina con la storia! )



Sachi Mitsuki :
ti ringrazio per il nuovo commento :) Non sai che gioia nel leggere che ti piace ciò che ho scritto. Sono d'accordo con te per il nome. Secondo me non averne uno è davvero terribile. E' un qualcosa di tuo, che ti appartiene, che ti identifica... non so se riesco a farmi capire.
Sì, ho deciso di descrivere tutta la storia degli umani (in particolare Sophie) attraverso i pensieri di Zefiro. Non è stato facilissimo, ma per il contest è venuta fuori questa ispirazione e l'ho subito riportata sulla "carta".
Per quanto riguarda i bambini piccoli, in effetti io conosco un bambino di cinque anni che sfortunatamente non parla bene, parla quasi come mia nipote di due anni. Quindi ci sono bambini che ci mettono più tempo a imparare. Poi non so.
Grazie mille per i complimenti, spero che ti possa piacere anche questo capitolo. ;)

WingsofCrow : Il tuo commento mi fa davvero piacere *.* Ti ringrazio tantissimo per le tue parole, e sono contenta di essere riuscita a caratterizzare il "carattere" del drago solo con i suoi pensieri. Sono altresì felice di vedere che anche a te è piaciuta moltissimo la scena del nome. Come dicevo prima, lo ritengo molto molto importante per ogni essere vivente. Io poi devo mettere un nome a qualsiasi cosa xD
Grazie infinite per aver inserito questa storia tra le preferite, e anche per i complimenti.  :)
Spero che questo capitolo potrà piacerti.



E infine, i ringraziamenti:

Grazie a chi la legge semplicemente;
a WingsofCrow che l'ha inserita tra le Preferite;
e a  - AhiUnPoDiLui e - Sachi Mitsuki  che l'hanno inserita tra le Seguite!


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Capitolo 4
*** Il Drago e La Vecchia ***


 Il Drago e la Vecchia

 


Ora sono passati troppi anni da quel fatidico giorno. La guerra è finita, ma altre cose sono accadute. Non m’interessa raccontarle. Io faccio parte di questa stazione e di Sophie, solo loro sono importanti.
I segni del tempo però ci hanno mutato violentemente.
Ho sempre pensato che la vecchiaia non potesse colpirmi, che la pietra di cui sono fatto, non potesse essere scalfita, che potessi rimanere in questa stazione, sopra quella colonna di marmo bianco, per sempre allo stesso modo eppure, anche un drago può sbagliare.
Troppi anni sono passati, quasi ne ho perso il conto. Cinquanta o forse sessanta? Mi sembra veramente di sentirmi vecchio, anche mentalmente. Forse ho pensato troppo, forse ho osservato troppo, forse i cambiamenti mi hanno scombussolato, facendomi invecchiare precocemente.

La stazione è stata modificata. Non è più quella semplice e sobria costruzione in mattoni di un tempo. Il nostro paese è stato accorpato a una città vicina e, le idee innovative degli uomini e le nuove tecnologie hanno portato molti cambiamenti. Quasi non la riconosco. Ora il ferro e altri materiali a me sconosciuti e di difficile comprensione hanno occupato il posto di quei semplici mattoni rossi. Tutto qui è più veloce, i treni stessi. Tutto è stato modificato, eccetto la colonna che mi sostiene. Essa c’è ancora, come un ricordo intangibile dei tempi andati. Come il simbolo, quasi, del paese ormai mutato.
Eppure, anch’io sono mutato.
La statua splendida che ero un tempo ha subito i segni del tempo: la coda risulta essere spezzata alla sua fine e anche le ali hanno perso dei pezzi. Fossi un essere reale, avrei provato un estremo dolore, anche se l’ho comunque provato mentalmente. È come perdere realmente qualcosa di sé.
Al centro del paese, un’altra statua ha preso comunque più considerazione: una statua di un uomo, che commemora il sacrificio dei caduti per la guerra. Quella statua ha di certo più importanza di me. Ma c’è sempre lei a non dimenticarmi.
No, lei non si è mai allontanata da me e, con lei, spesso mi viene a trovare suo figlio. Un uomo ormai, che ha messo su famiglia, rallegrando sua madre anche con l’arrivo di splendidi nipotini.
Lei non si è mai risposata. Amava troppo Daniel e sapeva bene che non sarebbe stata capace di amare più nessuno. Con lui era cresciuta. Si conoscevano sin da bambini, avevano trascorso l’adolescenza insieme, imparando ad amarsi allora, e poi il loro amore aveva dato un frutto splendido: il loro bambino.
No, lei non voleva altri.
Con la sua grande forza è riuscita ad andare avanti. Ma anche in lei i segni del tempo l’hanno profondamente cambiata: sembra essere più bassa, forse un poco curva. I biondi capelli ora sono completamente bianchi. Una serie di rughe solcano il suo viso, i cui tratti però riescono sempre ad esprimere una dolcezza infinita. Il suo corpo è più magro e più fragile. Si tiene a stento con un bastone. A volte vorrei spingerla a non venire più da me da sola. Ma lei è testarda e viene ogni giorno, a meno che non stia troppo male per alzarsi. L’unica cosa che è rimasta immutata sono i suoi grandi occhi azzurri, che continuano a guardarmi con amore.
Mi raggiunge e si siede su una panchina, costruita da pochi anni proprio nei pressi della colonna in cui poso. Fa un profondo respiro, che le costa anche un poco di fatica, ed osserva il binario davanti a sé, sembra quasi che ancora attenda il suo amore.
Poi torna a guardarmi e prende parola.
« Sai Zefiro. Penso di essere proprio arrivata alla fine dei miei giorni, ma sono felice della mia vita, di tutto ciò che ho fatto, delle persone che ho conosciuto, di quel che è successo. Certo, i segni della guerra mi hanno profondamente colpita, la ferita nel mio cuore non si è mai completamente sanata. Daniel mi manca, non ho mai smesso di amarlo, di pensare a lui, di sognare una vita con lui. Ma è andata così e non si può tornare indietro. Lui è stato un uomo stupendo. Sono sempre stata così orgogliosa di lui e, anche se il mio Christopher non l’ha mai veramente conosciuto, sono contenta che, grazie alle mie parole e ai miei racconti, sia riuscito ad amarlo quasi quanto lo amo io. È così orgoglioso di lui, e gli somiglia così tanto. È come se il mio Daniel fosse tornato in Christopher. Lui è sempre vicino a me sai? Tu la senti la sua presenza? Mi è vicino come lo sei sempre stato tu. Il mio amico Daco. » cerca di sorridere, ma poi si ritrova a tossire più volte, e solo quando si calma, torna a parlare. « ti ho adorato sin dalla più tenera età. Non ero capace ancora di parlare bene, eppure non facevo altro che stare qui con te e raccontarti tutto. Poi sono cresciuta, e tu mano a mano hai visto tutti i momenti della mia vita. Ero solo una ragazzina quando mi sono innamorata di lui. Poi sono diventata donna, ed ora, guardami. Sono orrenda eh? »
Vorrei dirle di no, che per me è sempre la mia piccola Sophie ma lei, ancora una volta, sembra capirlo.
« No? Sei sempre stato un adulatore! Comunque sono felice di averti conosciuto e di avere avuto sempre te come il mio fido amico e custode di tutti i miei segreti. Ti voglio tanto bene Zefiro e chissà, magari anche da lassù riusciremo ad incontrarci di nuovo. Saremo io, Daniel e tu. Ne sono certa. »
Fa un altro respiro, un altro sforzo estremo, e poi la guardo chinar il capo sulla spalla. La mia Sophie sembra essersi addormentata. La guardo attento e vorrei davvero sfiorarla, ma so che lei sa già quanto bene le voglio. Lei è sempre riuscita a capirmi così bene…

Le ore passano, eppure lei non si sveglia. Osservo il suo viso e poi il suo corpo. Sembra essere diventata come me, una statua immobile, incapace anche di respirare.
Ma gli umani devono respirare per vivere.
E lei…
…non respira.
Solo in quell’attimo la consapevolezza della sua mancanza di respiro mi prende. No. Non Sophie. Non ora.
Ho ancora bisogno della mia unica amica.
Non ho mai pensato al giorno in cui sarebbe morta, forse perché la consideravo immortale.
Ma lei è mortale. E ora giace immobile in quella panchina, inerme, senza vita.
Vorrei gridare, vorrei muovermi, vorrei far qualcosa. Ma è tutto inutile.
Lei ha deciso di seguire il suo Daniel e forse dovrei essere felice di vederli di nuovo insieme.
Eppure mi accorgo che l’unica cosa che vorrei fare ora, è piangere. Ma non posso…
In quel momento, dal cielo s’ode un rumore sordo di un tuono. Le nuvole hanno coperto tutto, nuvole scure, che minacciano pioggia. Che anche il cielo pianga la sua morte? Anche lui può farlo, ed io no.
Mi sento un miserabile.
Sophie…
Ma poi una prima goccia cade dal cielo, seguita da altre. Una di queste mi colpisce in pieno il muso e sembra scorrere dal mio occhio, piccolo rubino rosso, e poi un’altra si posa sull’altro, scivolando verso il basso.
E così, alla fine, anche un drago di pietra può provare sentimenti. Può pensare, e può piangere la sua unica vera grande amica, che non potrà mai dimenticare.



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Ecco qui l'ultimo capitolo della storia. Spero di non aver deluso le aspettative di chi legge, ma sentivo che era giusto che finisse così.
Sperando che vi sia piaciuta, rinnovo i miei ringraziamenti a chi legge, ma soprattutto a Sachi Mitsuki e WingsofCrow che l'hanno inserita tra le Preferite, e hanno sempre lasciato dei commenti che mi hanno scaldato il cuore e risollevato un poco la mia scarsa autostima :P
Mi spiace per chi l'ha tolta dalle seguite, ma ognuno deve agire come meglio crede. Probabilmente non sono riuscita a farvela piacere, pazienza :)


Risposte alle Recensioni

Sachi Mitsuki: Sì, diciamo che Zefiro è una sorta di angelo custode e un amico e confidente di Sophie. Tra loro si è instaurato un rapporto magico, come se si comprendessero. E' solo fantasia, e Sophie può apparire matta nel parlare con una Statua, eppure ho voluto far nascere questa sorta di amicizia tra loro, e far capire tutta la sua vita attraverso i pensieri di una statua, un oggetto che non può parlare, nè muoversi e che non ha vita, nella realtà.
Comunque ti ringrazio tantissimo per le tue parole. Come già detto sopra, mi hanno scaldato il cuore. Fa sempre piacere a un "autore" ricevere recensioni, soprattutto se sono così positive e se la propria storia riesce a trasmettere qualcosa anche agli altri.

WingsofCrow: Fai vivere i personaggi, li rendi reali...e io che leggo, lo sento, lo provo.
Queste tue parole mi hanno davvero commossa; ho avuto gli occhi lucidi quando le ho lette, e non scherzo. Sono fortemente sensibile, e il sapere che ci sono persone cui le mie storie piacciono e suscitano sentimenti o sensazioni, mi riempie il cuore di gioia. Sono anche fortemente critica di me stessa e a ciò si unisce l'avere un autostima quasi pari a 0. Quindi leggere certi commenti così positivi, seppur pochi, mi fa stare bene. Davvero. Ti ringrazio di cuore. Spero che il finale sia anche di tuo gradimento. :)

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