I Pensieri di Un Drago di Piccolo Fiore del Deserto (/viewuser.php?uid=90924)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Drago e la Bambina ***
Capitolo 2: *** Il Drago e L'Adolescente ***
Capitolo 3: *** Il Drago e la Donna ***
Capitolo 4: *** Il Drago e La Vecchia ***
Capitolo 1 *** Il Drago e la Bambina ***
Il
Drago e la Bambina
La stazione è piena di persone oggi. Risate di
fanciulli e giovani ragazze risuonano nell’aria, e un
continuo sonoro chiacchiericcio rompe il silenzio.
Tutto
il paese si ritrova qui per festeggiare insieme il completamento del
restauro di questa piccola stazione, con soli due binari, che
può riprendere la sua attività. Per lunghi mesi
è rimasta chiusa, causando anche caos e rabbia nei vari
abitanti che non avevano la possibilità di muoversi
più velocemente, ma dovevano scegliere altri mezzi, spesso
meno comodi di un treno.
Ma
ora, tutta la negatività avvertita sembra essersi
volatilizzata, lasciando il posto a una tale allegria che riesce a
coinvolgere anche me, una solida statua di pietra.
Li
osservo, immobile com’è ovvio che rimanga, e
silenzioso. Non sono stato scolpito per parlare, muovermi, o altro
– anche perché so bene che farei paura,
più di quanta ne faccia ora a chi mi osserva – ma
resto come un umile spettatore ad osservare la vita di quelle persone
che possono fare tutto ciò che io posso solo sognare.
Non
mi rivolgono lo sguardo. No. Forse in altri tempi sarei stato visto in
maniera migliore da taluni, o come un simbolo del diavolo da altri, che
sciocche superstizioni! Ma ora non sono nulla. Solo un
“abbellimento” posto in cima a una piccola colonna
di marmo bianco.
Sono
solo un drago, ma sono orgoglioso di me stesso e di colui che mi ha
creato. Il mio aspetto è fiero, il mio corpo ben levigato
nella pietra grigia. Le mie zampe, complete di artigli, poggiano sulla
sommità della colonna di marmo bianco, come arpionandola. Il
mio muso lungo e colmo di squame ben delineate – come nel
resto del corpo – è rivolto verso
l’alto, seppure i miei occhi, due rubini di un rosso acceso,
sembrino guardare gli umani al di sotto, come se fossi un essere
superbo e superiore. Forse, come tutti i draghi, mi sento realmente
così, ma non sono cattivo. Anzi.
Infine,
la mia coda sembra avvolgere il mio corpo, ricadendo con eleganza in
parte lungo la colonna; mentre le ampie ali, perfettamente scolpite
anche nel più piccolo dettaglio, sono spalancate verso
l’alto dietro la mia schiena.
Un’ottima
statua sì, ma non veramente apprezzata da tutti.
Eccetto
forse da quella bambina.
Lei
viene ogni giorno qui, accompagnata dalla sua mamma, un tempo per
osservare i treni, ma anche per venire a salutare me, il suo
“daco” amico, come mi chiama lei.
E
anche in questo momento, in cui il paese è in fermento e
m’ignora completamente, lei conduce i suoi piccoli passi
verso di me. Indossa un delizioso vestitino bianco, molto semplice,
quest’oggi, completo di guantini alle mani del medesimo
colore e di nastrini a trattenere i suoi biondi capelli. Una volta
ferma sotto la colonna sopra alla quale mi trovo, solleva il suo viso
paffuto e dai lineamenti gentili verso di me e, con la sua voce
trillante e squisita, cinguetta il mio nome:
«
Daco Amico mio! Ciao! »
Vorrei
risponderle, vorrei che sentisse la mia voce. Vorrei aprire questa mia
bocca chiusa e parlare. Ma non posso farlo. Eppure, so che lei
può capirmi. Forse è solo un gioco di pura
immaginazione, ma può farlo.
La
guardo e, se potessi, chinerei almeno il capo. Ma non importa. A lei
sta bene così.
«
Hai visto quanta geente? I teni tonneranno a fare ciuff ciuff, ma io
vengo qui per te, pecchè sei l’amico
più splendidissimo che ho! »
L’adoro,
immensamente. Seppure così piccina, è
l’unica a dimostrare un po’ di affetto a questo
povero drago di pietra grigia che non può muoversi, non
può parlare, ma può pensare.
Lei,
Sophie, è il mio angelo dai morbidi riccioli biondi e occhi
di un azzurro intenso. L’unica amica che ho.
E’
così piccola, così facilmente fragile, che
– seppure non possa farlo realmente – ho paura di
ferirla. Guai a chi osa farle del male.
«
Come sto con quetto vettito? » mi chiede, roteando su se
stessa, mostrandomi bene il tutto. Io vorrei risponderle che le sta
d’incanto, come ogni suo vestitino. E, anche se non lo dico
veramente, lei sembra capirlo ed arrossisce visibilmente.
«
Graccie Daco! Sei così carino! » trilla di nuovo,
fingendosi timida d’un tratto, apprezzando veramente i
complimenti.
Adorabile,
oltre ogni dire.
Dopo
qualche momento arriva la sua mamma, una donna di una discreta
eleganza, ma di una certa purezza e semplicità nello sguardo
che si può rimanere incantati. Indossa anche lei un abito
chiaro, sul giallo: una gonna lunga e una camicia al di sopra bianca,
completa di guanti alle mani. I suoi capelli biondi sono corti e mossi,
pettinati alla moda di quel tempo, gli anni venti se la mia mente non
ha problemi a ricordare; e al di sopra un delizioso cappellino
è posato con delicatezza sul suo capo, senza scompigliare
troppo l’acconciatura. Ha pochi gioielli con sé,
appartenente a quel piccolo villaggio, non dispone di troppo denaro. Un
unico ciondolo con una croce e la fede al dito.
Non
è una donna che può essere definita bellissima,
ma ha un qualcosa in quei sottili occhi verdi e nella grazia
dell’incedere, che ti affascina.
«
Sophie, quante volte ti ho detto di non allontanarti troppo da me? Non
vedi quanta gente c’è oggi? Rischio di perderti di
vista, e se ti fai male? »
«
Ma mamma, non sono sola! C’è Daco qui! »
con la sua manina pallida come la luna, mi indica e, se potessi,
sorriderei per acconsentire. No, non la lascerei mai sola. Katrina,
questo il nome della donna, solleva lo sguardo verso di me e scuote il
capo, seppure un leggero sorriso di divertimento le increspi le labbra
colorate di rosso.
«
Va bene piccola mia, ma ora saluta Daco e andiamo insieme agli altri.
Tra poco inizia la festa, e ci sono tanti dolcetti! Non vuoi vero che
Daniel te li rubi tutti no? » volta di nuovo lo sguardo verso
la piccola, e lei scuote subito il capo riccioluto.
«
Oh no, mamma corriaamo corriamo che se no Daniel li finisce tuuutti!
Ciao Daco a pletto! » agita la manina al mio indirizzo e,
tesa la mano alla madre, si avviano insieme di
“corsa”, verso il gruppo di persone, per dare
inizio alla festa.
Gli
umani, vestiti elegantemente, tagliano il nastro rosso, brindano e
mangiano, tutti gioiosi per quell’evento di cui ancora non
comprendo la portata. Ma forse sono troppo diverso da loro.
Eppure
non li odio. Non finché ci sarà sempre una
bambina adorabile, come la mia piccola amica Sophie.
______________________________________
Questa storia ha partecipato al Contest "La Stazione e... il Drago"
indetto da Eylis, classificandosi Sedicesima su 27 partecipanti.
Non ho nulla da dire, se non che si compone di 4 capitoli, che
pubblicherò non appena avrò tempo.
Spero che vi possa piacere :)
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Capitolo 2 *** Il Drago e L'Adolescente ***
Il Drago e
l’Adolescente
Gli anni passano e quella bambina che mi
sorrideva e mi parlava in quel modo simpatico e particolare
è cresciuta. Non ha smesso mai di venire a trovarmi, anche
quando la stazione ha ripreso ad essere in continuo movimento.
Ovviamente, pur importante per il paese, non è un luogo
stracolmo di gente come le altre stazioni di cui sento parlare da
alcuni uomini del villaggio che conoscono il mondo – o almeno
così dicono -.
Il suo corpo si è evoluto. Ho osservato ogni tratto del
cambiamento, e resto particolarmente stupito dal fatto che gli umani
non sviluppino né artigli – i loro sono
decisamente così corti, non farebbero male a una mosca,
credo! E poi come si procurano le prede? – né
squame lungo il loro corpo – anche se ho notato che sul volto
tendono a nascere degli strani puntini gonfi, di cui non riesco a
comprendere a cosa possano servire – né tantomeno
ali! Oh, che oscenità! Forse per questo mi sento superiore.
Io, le mie ali, non le baratterei con nulla al mondo.
Comunque, negli anni, è cambiata sicuramente: il suo fisico
è più slanciato e più sottile, sul
busto sembrano essere nate delle strane rotondità
così simili a sua madre ma ancora acerbe. I suoi corti
riccioli, si sono allungati e ora le sfiorano le spalle. Indossa ancora
abitini, seppure più consoni alla sua età. Sembra
cambiata, più seria forse, più pensierosa ma ogni
volta che si ferma a parlare con me e mi soffermo a osservare i suoi
occhi azzurri, riesco a vedere che è sempre la mia dolce e
allegra Sophie.
Non viene quasi più con sua madre, suo padre forse non
l’ho mai veramente visto, lei non ne parla mai. Forse neanche
lo ricorda.
Ora ad accompagnarla c’è Daniel, quel ragazzino
biondiccio – castano, dai grandi occhi blu e tratti ancora
sottili e dolci, seppure inizi a intravedersi un accenno di peluria su
quel volto.
E’ alto appena un poco più di lei – che,
per essere una ragazza, ha un’altezza notevole – e
sempre sorridente, anche se a volte fa innervosire la mia Sophie con i
suoi insulsi scherzi.
« Allora ancora da questo drago vuoi andare? Cosa ci trovi di
così bello, in quel coso di pietra? Chissà se
quei rubini sono veri, potremmo prenderli. »
La voce del ragazzino mi infastidisce. Come osa minimamente pensare di
toccarmi e scalfirmi? Vorrei azzannarlo o sputargli fuoco.
« Cosa ti salta in testa Daniel! Quel drago è il
mio più caro amico sin da quando ero molto piccola, e tu non
devi azzardarti a toccarlo, neanche per sogno!»
Gioisco nel sentire le parole della mia piccola amica, che mi difende,
anche se io non ho per nulla bisogno di essere difeso. Ma che ragazza
è diventata! Noto il suo viso indursi, rughe le increspano
le labbra e la fronte. E il mio cuore – se ce l’ho
sotto questa pietra – si scioglie. Lei mi vuole davvero
così bene?
Daniel solleva le braccia, come per arrendersi, e poi le sorride
amichevole.
« Tranquilla, calma! Stavo solo scherzando, non
farò del male al tuo drago. »
« Giuramelo! » grida ancora Sophie, guardandolo
minacciosa.
« Te lo prometto. Che io possa morire all’istante
se mi azzardo a non mantenere tale promessa. » pone una mano
sul cuore, e traccia un segno, come una croce. E solo a quel gesto,
vedo il viso di Sophie distendersi e farsi più tranquilla.
« Bene, ora ti credo. » torna a ridere ancora,
quella risata che risuona come un canto soave nell’anima
– se ce ne ho una -.
Daniel ride a sua volta e poi solleva il suo sguardo verso di me.
« Sophie, ma hai pensato a che nome dargli? Da piccola come
lo chiamavi? » chiede curioso, mentre noto Sophie arrossire
violentemente.
« Ehm… in verità lo chiamavo
Daco… ma perché non sapevo parlare bene.
» cerca di giustificarsi… «
però effettivamente non ho mai pensato a un nome per lui.
Chissà se chi l’ha scolpito, gliene ha dato uno.
Non ci sono scritte. Non c’è nulla che possa farlo
capire. »
« Potresti sempre metterglielo tu un nome. Gli sei sempre
stata vicina, mentre altri l’hanno ignorato e disprezzato.
Prova a pensarci. »
Quel ragazzo, in fondo, può piacermi. Deve essere un attento
osservatore.
« Hai ragione… Vediamo, amico mio, come posso
chiamarti? » ci pensa la piccola, e in verità ci
penso anch’io. Ho mai avuto veramente un nome? Chi mi ha
creato mi chiamava in qualche modo? Non riesco a ricordarlo.
No, probabilmente io non l’ho mai avuto. E quella
consapevolezza mi annienta. Sono ignorato, disprezzato, e…
non ho neanche un nome.
D’un tratto il mio senso di superiorità viene
meno. Sono davvero un essere importante, se non ho neanche un misero
nome? Sophie, mia splendida amica, mettimelo tu un nome…
vorrei poterlo dire a parole, ma lei mi guarda intensamente e sento che
può avvertire quel pensiero.
« Zefiro… » sussurra, qualche istante
dopo, e poi ripete quel nome con più forza. «
Zefiro… come il vento. Tu non puoi parlare, ma spesso
è come se il vento mi portasse i tuoi pensieri, mio
particolare amico. E a te dono il nome di un vento. A te solamente.
Perché per me sei speciale. »
In quel momento sembra che ci siamo solo io e lei, che Daniel sia
scomparso. E’ un discorso tra un drago di pietra e una
ragazza.
Zefiro. Il nome del Vento.
Per un attimo sembra che proprio l’aria voglia sfiorarmi e
avvolgere tutto il mio corpo di pietra e penetrarmi dentro, sorpassando
quella barriera prepotente.
« Che ne dici Daniel? » solo ora, lo rimette
all’interno del discorso, interrompendo quel legame che si
era instaurato di nuovo tra noi.
« Zefiro. E’ un ottimo nome. Non originalissimo, ma
è splendido per lui. »
Sì, quel ragazzo mi può piacere.
Sophie gli sorride e poi mi lancia di nuovo uno sguardo pieno di
affetto sincero.
« A presto, Zefiro. » sussurra, e poi inizia a
correre via dopo aver detto a Daniel…
« Sono sicura che arriverò per prima a casa, come
sempre! » la bambina in lei non è scomparsa.
« Lo vedremo! » ribatte il giovane, e la rincorre.
Le loro risate arrivano fino a me, che se fosse davvero possibile, ora
sorriderei.
Sono amato da due ragazzi. E ora, ho un nome.
Zefiro.
______________________
Grazie Eylis per aver riportato anche qui il giudizio :)
Sachi
Mitsuki : Ti ringrazio molto per la recensione e sono
felice che ti piaccia per ora.
La bambina - non ho messo effettivamente l'età -
ha cinque anni. Probabilmente l'ho fatta troppo piccina nel
suo modo di parlare, ma mi piace così :P Son contenta che ti
sembri adorabile!
Spero che anche questo capitolo sia di tuo gradimento.
Grazie anche a tutti coloro che leggono e a WingsofCrow che
l'ha messa tra le Preferite; e a Sachi Mitsuki e
eleonora96 che l'hanno inserita tra le Seguite :)
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Capitolo 3 *** Il Drago e la Donna ***
Il
Drago e la Donna
Una stagione si sussegue all’altra in maniera continua, senza
che qualcuno possa fermare il tempo. Per me gli anni sembrano giorni,
non sembrano volare. In fondo non ho paura della morte,
perché sono un essere immortale. I draghi sono questo no? E
se io sono anche di pietra, cosa mai può scalfirmi?
Tuttavia gli anni hanno portato anche a una modifica, seppure gradita.
Piante rampicanti hanno iniziato a sorgere e, allungando i loro rami
adorni di foglie, hanno avvolto la corta colonna di marmo bianco,
rendendola, nonostante tutto, più graziosa forse. Sembra
quasi essere ancor di più un’opera
d’arte. Il verde scuro delle foglie e dei rami che abbraccia
il candore del marmo. Sembro quasi un drago artista, non trovate?
La pietra con cui sono stato fatto, però, è bella
resistente e non è stata rovinata dal tempo, anche
perché la mia piccola Sophie e il suo Daniel si sono presi
cura di me non permettendo a nessuno sciocco mortale di distruggermi.
Lei è cresciuta ulteriormente. Quanti anni sono passati
ancora? Dieci, se la memoria dei draghi non è fallace. Non
posso quasi più chiamarla piccola, anche se io ho molti
più anni di lei: ora è una vera e propria donna,
l’esatta copia di sua madre, ormai anziana, ma forse
– devo ammetterlo – un poco più bella e
raggiante.
Raggiante sì.
Almeno così era fino a un anno fa, quando ancora non si
parlava troppo di guerra e soprattutto tali voci non erano giunte fino
al paese, che tuttavia sembrava vivere un’atmosfera di pace.
Forse perché piccolo, forse perché un punto di
non vitale importanza per quell’odio che si sta propagando
nella capitale tedesca. Se so tutte queste cose è unicamente
perché sento tutti coloro che passano alla stazione.
Già, la stazione. È un luogo che è
fortemente amato, anche se negli ultimi tempi sembra quasi iniziare un
momento di decadenza. Quello che si crede, anche se non lo si augura,
è che i moti possano giungere anche qui e distruggere tutto,
la tranquillità, questo luogo, e… forse anche me.
Dopotutto, sono una mera opera d’arte di altri tempi, che ora
non vale nulla, se non per lei.
Lei, la mia Sophie.
Lei è lì, accanto al primo binario, a pochi metri
di distanza dal punto in cui mi trovo, e guarda affranta suo marito.
Chi? Forse ci sarete già arrivati tutti e il mio cuore
esulta nel dirvi che sì, è proprio Daniel che ha
conquistato il cuore della mia amica e che l’ha resa felice
per tutto questo tempo.
Ma il male e la pazzia che si instaurano nel cuore degli uomini conduce
non solo alla propria distruzione, ma anche a quella degli altri.
Molti inneggiano al loro folle capo, perché sognano una
Germania superiore ma, nonostante io sia il primo a sentirmi superiore
a questi sciocchi umani, sono consapevole che non è facendo
tali idiozie al limite dell’inverosimile che si
può diventare davvero migliore degli altri.
Loro sono lì e si stringono le mani. Io li guardo, muto ed
attento spettatore del loro saluto, del loro arrivederci,
perché non può trattarsi di un addio no?
Lui è vestito con una strana divisa di un verde scuro, che
gli è stata consegnata, e porta con sé una sacca:
è stato chiamato alle armi, come vero esempio di persona
superiore, per la sua altezza, i suoi splendidi capelli chiari e quegli
occhi color del mare più profondo che sono sintomo di una
razza al di sopra di ogni altra.
Ma io non credo che lui possa seguire alla lettera gli ideali di quel
pazzo al governo, anzi sono sicuro che il cuore di Daniel è
buono. No, non può essere crudele. Lui ha altri ideali, ma
non vuole mettere a rischio la sua famiglia.
Sophie lo guarda con gli occhi gonfi di lacrime, che tenta di
trattenere, fingendosi forte come sempre. Come quando da bambina cadeva
e si sbucciava le ginocchia, ma tratteneva a forza le lacrime, per
dimostrarsi forte; solo che, ora fa ancor più male. I dolori
che prova una persona adulta sono ben più forti di un
semplice taglio o ferita fisica.
Lo sento. È come se io e lei fossimo legati profondamente e
in maniera indissolubile. Avverto i suoi sentimenti come lei avverte i
miei pensieri. Sembra strano, forse impossibile, ma so che è
così.
Lui le parla ed io non ho bisogno di affinare l’udito per
capire. Sono di pietra, ma sono sempre un drago e ho tutte le sue
caratteristiche.
« Amore mio, stai tranquilla, e pensa al nostro piccolino che
deve ancora arrivare. » le sfiora il viso, mentre lei
socchiude gli occhi per qualche istante e poi li riapre, prendendo la
sua mano tra le sue e portandola al ventre, che sotto la camicetta
bianca, appare un poco gonfio. Lì, gli umani, come le nostre
dragonesse conservano la scintilla di una nuova vita.
« Il nostro bimbo crescerà in un mondo migliore,
ne sono certo. Lotterò per fargli avere il meglio, ma tu non
disperare. Tornerò. »
« Sì, Daniel. Mi occuperò di lui,
starò tranquilla e farò in modo di stare bene,
per non permettere al piccolo di soffrire. Noi ti aspettiamo. So quello
che vali e so che dentro al tuo cuore hai altri ideali. Va amor mio, e
dimostra il tuo coraggio e il tuo cuore d’oro. Io
resterò qui e ti aspetterò in trepidante attesa.
»
Resto silenzioso, senza esprimere pensiero alcuno. Quello è
il loro momento e non posso permettermi di rovinarlo. Lui accarezza di
nuovo il suo ventre, e i suoi occhi si fanno umidi, mentre un sorriso
pieno di amarezza per non poter rimanere lì tranquillo ad
aspettarlo affiora sulle sue labbra. Lei gli sfiora i capelli, e cerca
di sorridere. Dimostra una forza unica, anche in questi momenti colmi
di dolore.
Poi, Daniel si china su di lei, sfiorando le sue labbra in un bacio
dapprima dolce, e poi denso di una passione talmente intensa, come se
temesse che quello sia il loro ultimo bacio. Solo in
quell’attimo, una singola lacrima esce dall’occhio
destro di Sophie. Una lacrima silenziosa, che scivolandole lungo la
guancia destra, ricade poi a terra senza il minimo rumore.
Il treno è fermo davanti a loro. Immobile e cheto fino a
quel momento. Ma come facendosi beffa di loro, proprio nel momento in
cui il bacio si fa più intenso, viene messo in moto. Al
rumore, segue il fischio. Le porte vengono aperte da uomini
più o meno robusti – che lavorano proprio alla
stazione -, in modo tale da permettere ad altri umani di accedervi.
Riluttanti i miei due adorabili amici innamorati si staccano. Ma prima
di allontanarsi, Sophie afferra la mano di Daniel, come con
l’intenzione di non lasciarlo andare via.
« Daniel…» la sua voce è
incerta e spezzata dalle lacrime che minacciano ancora di uscire. Non
dice altro, ma i suoi grandi occhi color del cielo, circondati da corti
riccioli biondi, acconciati con grazia secondo la moda degli anni
quaranta, dicono tutto. Vorrebbe non lasciarlo andare via. Vorrebbe
tenerlo per sé. Ma sa che ciò non
potrà succedere.
Anche gli occhi blu di Daniel dicono molto. Sento che vorrebbe restare
lì, per vivere con tranquillità la sua storia
d’amore ed attendere l’arrivo di una nuova, grande
gioia, rappresentata da suo figlio. Ma tutto ciò non
è possibile.
« Sophie… tornerò da te. Aspettami.
»
« Ti aspetterò. » un sussurro appena,
prima di tentare di mostrare un sorriso forzato, al quale lui risponde.
E poi, pian piano, la presa delle loro mani si fa più lenta,
fino a lasciarsi.
Tra di loro, solo vuoto.
Lui sale sul treno e si avvicina subito a un finestrino. Da
lì, la guarda. La osserva chiedendosi quando e se
tornerà. Lei lo fissa, immobile, senza versare lacrima
alcuna.
Un altro fischio. Poi il rumore delle porte che vengono chiuse con
forza, da addetti allo scopo.
Sono abituato da anni a quei rumori orrendi, eppure ora mi appaiono
ancora più forzati, più distruttori della quiete.
Il treno prende a marciare e pian piano si allontana dalla stazione.
Sophie inizia a correre, facendo attenzione a non cadere, come se
volesse inseguirlo, come se credesse che le sue semplici gambe possano
raggiungerlo. Vorrei davvero poter muovere le mie possenti ali per
trasportarla da lui. Ma neanche questo è possibile. Quando
la banchina è conclusa e non può più
andare oltre, si ferma, e guarda il treno che pian piano diventa sempre
più una figura lontana, poi un puntino nero, e poi
più nulla.
Solo a quel punto si volta verso di me. Mi si avvicina.
« Oh Zefiro… » dice unicamente e,
portandosi le mani a coprirsi il viso, scoppia a piangere, non
dovendosi più trattenere. Sa che davanti a me può
piangere e sfogarsi tutte le volte che vuole, seppure il suo dolore
faccia soffrire anche me, e io non so proprio come aiutarla.
Piangi dolce Sophie. Piangi e non curarti di chi ti guarda.
Piangi. Il tuo amico è qui e ti sostiene.
In fondo un amico serve anche a questo, no?
* * *
Credevo – come
del resto lo credevano gli uomini del villaggio – che la
guerra non potesse arrivare anche in quel luogo sconosciuto, e difatti
questo non avvenne. L’unica cosa che si udiva, era il rumore
degli aerei da combattimento che sorvolavano i cieli sopra di noi, ma
fortunatamente non ci colpivano, nonostante alimentassero le nostre
paure. Non c’erano più bambini felici che
riempivano l’aria con le loro risate e i loro giochi, non
c’erano neanche dolci donzelle che allietavano le giornate
dei baldi giovani che facevano loro apprezzamenti, ricavandone dei
sorrisi e forse anche di più. Non c’era
più l’allegria, la voglia di vivere. La stazione
però era ancora molto vissuta. Donne con i loro bambini si
recavano ogni giorno davanti a quei binari, con la speranza di vedere
tornare i loro compagni, fratelli, padri, zii e figli, ma spesso
dovevano tornare a casa, senza una risposta. Altre volte, i messaggi
che ricevevano erano i peggiori, ed ero costretto a sentire urla
strazianti e pianti interrotti, scene crudeli da vedere. Rare volte,
invece, avevano la fortuna di vederli tornare, un po’
malandati, feriti nell’animo e nel fisico, ma almeno erano a
casa.
E, tra queste donne,
c’era ovviamente anche la mia Sophie.
Lei veniva ogni giorno
alla stazione, pur sapendo che non poteva vederlo tornare tanto presto.
Quella che si prospettava una guerra corta e rapida, risultò
essere col tempo, molto lunga e colma di imprevisti. La follia umana
arrivò ai massimi livelli, commettendo anche le scene
più orride e indescrivibili. Io stesso, un essere capace di
uccidere facilmente una vittima, restavo inorridito alle storie che
giungevano anche lì, in quel paese sconosciuto ai
più.
Di fronte a quella
follia, a quel clima di disperazione, c’era lei, che con la
sua speranza e la voglia di credere a un mondo migliore, cercava di
allietarmi, come io cercavo a mia volta di allietare lei.
Veniva sempre. Si
fermava al primo binario e osservava per ore ed ore l’arrivo
di un treno, che spesso non arrivava. Poi si fermava con me a parlare:
di lei, di lui, del loro piccolo che nel giro di pochi mesi sarebbe
arrivato. E spesso sorrideva, immaginando e descrivendo un futuro,
fatto di sola gioia e tanta felicità; certo ci sarebbero
stati degli alti e anche dei bassi, ma con un po’ di forza e
buona volontà tutto sarebbe andato per il meglio. Amava
sognare la mia Sophie, ed io adoravo anche questo suo aspetto.
Dopo ore trascorse
insieme, si recava presso gli uffici della stazione a chiedere
informazioni di Daniel, ma il più delle volte si ritrovava a
sospirare e tornare a casa senza una risposta, senza il suo amato.
Solo una settimana
mancò.
In quella settimana
diede alla luce un piccolo, dai riccioli biondo-castani e grandi occhi
blu, come suo padre. Lo chiamò Christopher, come Daniel
avrebbe voluto e, troppo stanca per muoversi e dovendosi occupare per
bene di lui, non venne alla stazione, seppure sentissi che era una cosa
che le costava molto.
Dopo qualche tempo
tuttavia tornò: portò con sé il
piccolo, per farmelo vedere. Guardò il binario per qualche
minuto, ma poi venne da me, mostrandomi il pargolo.
« Guarda
Zefiro, questo è mio figlio, o meglio il figlio mio e di
Daniel. Non lo trovi bellissimo? » mi chiese, sorridendomi,
seppure i suoi occhi non mostrassero la consueta allegria che sempre la
caratterizzava.
« Piccolino
mio, lui è il mio più caro amico, e quando
crescerai imparerai ad apprezzarlo ed amarlo come faccio io e come ha
imparato a fare anche tuo padre. Sai piccino, presto il tuo
papà tornerà, e saremo tutti e tre felici.
» adorava parlare con il piccolo.
Ma anche in
quell’occasione non ci furono notizie di Daniel.
Passarono i mesi e pian
piano si avvicinava la fine della guerra. Il piccolo Christopher
cresceva, e passati tre anni ancora non si sapeva nulla del padre; fino
a quando, infine, tornò a casa uno dei soldati, un cittadino
del paese, che volle parlare con la mia Sophie.
Lei, che si trovava
proprio alla stazione, gli chiese di dirle tutto davanti a me, il suo
amico e come sempre attento spettatore e sostenitore.
«
Sophie… Daniel ha sempre avuto degli ottimi ideali. Amava
molto la nostra patria e in un primo momento accettò di
combattere per difenderla, e proteggere te e tuo figlio, come ben sai.
»
Lei annuì,
non dicendo parola alcuna. Il soldato, quindi, riprese « ma,
nel momento in cui gli fu commissionato di uccidere un
pover’uomo incapace di difendersi, solo perché
diverso da noi e non appartenesse alla razza superiore tanto decantata,
lui si rifiutò. Il rifiuto va contro le regole. Fu accusato
di essere un traditore, un incapace, di non seguire le regole del
nostro capo, di quel… dittatore da strapazzo. » al
sol chiamarlo così, storse le labbra in una smorfia di puro
disprezzo e rabbia… « e, è
stato… ucciso, per dar mostra a tutti di cosa succede ai
traditori. Mi dispiace Sophie, e so che questo mio pensiero non
servirà ad alleviare la sofferenza che ora potrai provare
ma: Daniel era un grande uomo, e tu dovresti esserne sempre orgogliosa.
»
Guardai Sophie, e lessi
nel suo sguardo una tale sofferenza da struggermi l’animo.
Anch’io soffrivo, perché col tempo avevo imparato
ad amare quell’uomo, e ora, sapendo ciò che aveva
fatto, ne ero orgoglioso come del resto potevo ben capire che lo fosse
lei. Annuì e ringraziò il soldato, per poi
ritirarsi in solitudine. La vidi sollevare lo sguardo verso il cielo e,
mentre le lacrime scorrevano sul suo viso, un sorriso lo accese. Era
orgogliosa di lui, nonostante la solitudine e la sofferenza che
invadevano il suo cuore.
________________________________________
Prima
di passare ai ringraziamenti e alle risposte alle recensioni, devo fare
una premessa: il capitolo che ho inviato al contest non era proprio
così. L'ultima parte in "corsivo" l'avevo inserita nel
capitolo successivo, ma dopo il giudizio di Eylis e rileggendo il tutto
con più attenzione, ho optato per riportarlo qui (per tal
ragione quindi il capitolo è più lungo).
Il passaggio al passato è puramente voluto. Sono pensieri
passati del drago che troveranno poi riscontro nell'ultimo capitolo,
che posterò nei prossimi giorni. Ho notato anche degli
errori e ho cercato di correggerli, sperando di non averne lasciati
altri xD
Spero che vi possa piacere :)
Per chi volesse sapere com'è la storia originale inviata per
il contest, può andare qui
. (Il sito creato da Eylis per gli Original Concorsi da lei
creati. Quella è la mia pagina con la storia! )
Sachi
Mitsuki : ti
ringrazio per il nuovo commento :) Non sai che gioia nel leggere che ti
piace ciò che ho scritto. Sono d'accordo con te per il nome.
Secondo me non averne uno è davvero terribile. E' un
qualcosa di tuo, che ti appartiene, che ti identifica... non so se
riesco a farmi capire.
Sì, ho deciso di descrivere tutta la storia degli umani (in
particolare Sophie) attraverso i pensieri di Zefiro. Non è
stato facilissimo, ma per il contest è venuta fuori questa
ispirazione e l'ho subito riportata sulla "carta".
Per quanto riguarda i bambini piccoli, in effetti io conosco un bambino
di cinque anni che sfortunatamente non parla bene, parla quasi come mia
nipote di due anni. Quindi ci sono bambini che ci mettono
più tempo a imparare. Poi non so.
Grazie mille per i complimenti, spero che ti possa piacere anche questo
capitolo. ;)
WingsofCrow : Il
tuo commento mi fa davvero piacere *.* Ti ringrazio tantissimo per le
tue parole, e sono contenta di essere riuscita a caratterizzare il
"carattere" del drago solo con i suoi pensieri. Sono altresì
felice di vedere che anche a te è piaciuta moltissimo la
scena del nome. Come dicevo prima, lo ritengo molto molto importante
per ogni essere vivente. Io poi devo mettere un nome a qualsiasi cosa xD
Grazie infinite per aver inserito questa storia tra le preferite, e
anche per i complimenti. :)
Spero che questo capitolo potrà piacerti.
E infine, i ringraziamenti:
Grazie a chi la legge semplicemente;
a WingsofCrow
che l'ha inserita tra le Preferite;
e a - AhiUnPoDiLui
e - Sachi
Mitsuki che l'hanno inserita tra le Seguite!
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Capitolo 4 *** Il Drago e La Vecchia ***
Il
Drago e la Vecchia
Ora sono
passati troppi anni da quel fatidico giorno. La guerra è
finita, ma altre cose sono accadute. Non m’interessa
raccontarle. Io faccio parte di questa stazione e di Sophie, solo loro
sono importanti.
I segni del
tempo però ci hanno mutato violentemente.
Ho sempre
pensato che la vecchiaia non potesse colpirmi, che la pietra di cui
sono fatto, non potesse essere scalfita, che potessi rimanere in questa
stazione, sopra quella colonna di marmo bianco, per sempre allo stesso
modo eppure, anche un drago può sbagliare.
Troppi anni
sono passati, quasi ne ho perso il conto. Cinquanta o forse sessanta?
Mi sembra veramente di sentirmi vecchio, anche mentalmente. Forse ho
pensato troppo, forse ho osservato troppo, forse i cambiamenti mi hanno
scombussolato, facendomi invecchiare precocemente.
La stazione
è stata modificata. Non è più quella
semplice e sobria costruzione in mattoni di un tempo. Il nostro paese
è stato accorpato a una città vicina e, le idee
innovative degli uomini e le nuove tecnologie hanno portato molti
cambiamenti. Quasi non la riconosco. Ora il ferro e altri materiali a
me sconosciuti e di difficile comprensione hanno occupato il posto di
quei semplici mattoni rossi. Tutto qui è più
veloce, i treni stessi. Tutto è stato modificato, eccetto la
colonna che mi sostiene. Essa c’è ancora, come un
ricordo intangibile dei tempi andati. Come il simbolo, quasi, del paese
ormai mutato.
Eppure,
anch’io sono mutato.
La statua
splendida che ero un tempo ha subito i segni del tempo: la coda risulta
essere spezzata alla sua fine e anche le ali hanno perso dei pezzi.
Fossi un essere reale, avrei provato un estremo dolore, anche se
l’ho comunque provato mentalmente. È come perdere
realmente qualcosa di sé.
Al centro
del paese, un’altra statua ha preso comunque più
considerazione: una statua di un uomo, che commemora il sacrificio dei
caduti per la guerra. Quella statua ha di certo più
importanza di me. Ma c’è sempre lei a non
dimenticarmi.
No, lei non
si è mai allontanata da me e, con lei, spesso mi viene a
trovare suo figlio. Un uomo ormai, che ha messo su famiglia,
rallegrando sua madre anche con l’arrivo di splendidi
nipotini.
Lei non si
è mai risposata. Amava troppo Daniel e sapeva bene che non
sarebbe stata capace di amare più nessuno. Con lui era
cresciuta. Si conoscevano sin da bambini, avevano trascorso
l’adolescenza insieme, imparando ad amarsi allora, e poi il
loro amore aveva dato un frutto splendido: il loro bambino.
No, lei non
voleva altri.
Con la sua
grande forza è riuscita ad andare avanti. Ma anche in lei i
segni del tempo l’hanno profondamente cambiata: sembra essere
più bassa, forse un poco curva. I biondi capelli ora sono
completamente bianchi. Una serie di rughe solcano il suo viso, i cui
tratti però riescono sempre ad esprimere una dolcezza
infinita. Il suo corpo è più magro e
più fragile. Si tiene a stento con un bastone. A volte
vorrei spingerla a non venire più da me da sola. Ma lei
è testarda e viene ogni giorno, a meno che non stia troppo
male per alzarsi. L’unica cosa che è rimasta
immutata sono i suoi grandi occhi azzurri, che continuano a guardarmi
con amore.
Mi raggiunge
e si siede su una panchina, costruita da pochi anni proprio nei pressi
della colonna in cui poso. Fa un profondo respiro, che le costa anche
un poco di fatica, ed osserva il binario davanti a sé,
sembra quasi che ancora attenda il suo amore.
Poi torna a
guardarmi e prende parola.
«
Sai Zefiro. Penso di essere proprio arrivata alla fine dei miei giorni,
ma sono felice della mia vita, di tutto ciò che ho fatto,
delle persone che ho conosciuto, di quel che è successo.
Certo, i segni della guerra mi hanno profondamente colpita, la ferita
nel mio cuore non si è mai completamente sanata. Daniel mi
manca, non ho mai smesso di amarlo, di pensare a lui, di sognare una
vita con lui. Ma è andata così e non si
può tornare indietro. Lui è stato un uomo
stupendo. Sono sempre stata così orgogliosa di lui e, anche
se il mio Christopher non l’ha mai veramente conosciuto, sono
contenta che, grazie alle mie parole e ai miei racconti, sia riuscito
ad amarlo quasi quanto lo amo io. È così
orgoglioso di lui, e gli somiglia così tanto. È
come se il mio Daniel fosse tornato in Christopher. Lui è
sempre vicino a me sai? Tu la senti la sua presenza? Mi è
vicino come lo sei sempre stato tu. Il mio amico Daco. »
cerca di sorridere, ma poi si ritrova a tossire più volte, e
solo quando si calma, torna a parlare. « ti ho adorato sin
dalla più tenera età. Non ero capace ancora di
parlare bene, eppure non facevo altro che stare qui con te e
raccontarti tutto. Poi sono cresciuta, e tu mano a mano hai visto tutti
i momenti della mia vita. Ero solo una ragazzina quando mi sono
innamorata di lui. Poi sono diventata donna, ed ora, guardami. Sono
orrenda eh? »
Vorrei dirle
di no, che per me è sempre la mia piccola Sophie ma lei,
ancora una volta, sembra capirlo.
«
No? Sei sempre stato un adulatore! Comunque sono felice di averti
conosciuto e di avere avuto sempre te come il mio fido amico e custode
di tutti i miei segreti. Ti voglio tanto bene Zefiro e
chissà, magari anche da lassù riusciremo ad
incontrarci di nuovo. Saremo io, Daniel e tu. Ne sono certa. »
Fa un altro
respiro, un altro sforzo estremo, e poi la guardo chinar il capo sulla
spalla. La mia Sophie sembra essersi addormentata. La guardo attento e
vorrei davvero sfiorarla, ma so che lei sa già quanto bene
le voglio. Lei è sempre riuscita a capirmi così
bene…
Le ore
passano, eppure lei non si sveglia. Osservo il suo viso e poi il suo
corpo. Sembra essere diventata come me, una statua immobile, incapace
anche di respirare.
Ma gli umani
devono respirare per vivere.
E
lei…
…non
respira.
Solo in
quell’attimo la consapevolezza della sua mancanza di respiro
mi prende. No. Non Sophie. Non ora.
Ho ancora
bisogno della mia unica amica.
Non ho mai
pensato al giorno in cui sarebbe morta, forse perché la
consideravo immortale.
Ma lei
è mortale. E ora giace immobile in quella panchina, inerme,
senza vita.
Vorrei
gridare, vorrei muovermi, vorrei far qualcosa. Ma è tutto
inutile.
Lei ha
deciso di seguire il suo Daniel e forse dovrei essere felice di vederli
di nuovo insieme.
Eppure mi
accorgo che l’unica cosa che vorrei fare ora, è
piangere. Ma non posso…
In quel
momento, dal cielo s’ode un rumore sordo di un tuono. Le
nuvole hanno coperto tutto, nuvole scure, che minacciano pioggia. Che
anche il cielo pianga la sua morte? Anche lui può farlo, ed
io no.
Mi sento un
miserabile.
Sophie…
Ma poi una
prima goccia cade dal cielo, seguita da altre. Una di queste mi
colpisce in pieno il muso e sembra scorrere dal mio occhio, piccolo
rubino rosso, e poi un’altra si posa sull’altro,
scivolando verso il basso.
E
così, alla fine, anche un drago di pietra può
provare sentimenti. Può pensare, e può piangere
la sua unica vera grande amica, che non potrà mai
dimenticare.
_________________________
Ecco qui l'ultimo capitolo della storia. Spero di non aver
deluso le aspettative di chi legge, ma sentivo che era giusto che
finisse così.
Sperando che vi sia piaciuta, rinnovo i miei ringraziamenti a chi
legge, ma soprattutto a Sachi
Mitsuki e WingsofCrow
che l'hanno inserita tra le Preferite, e
hanno sempre lasciato dei commenti che mi hanno scaldato il cuore e
risollevato un poco la mia scarsa autostima :P Mi
spiace per chi l'ha tolta dalle seguite, ma ognuno deve agire come
meglio crede. Probabilmente non sono riuscita a farvela piacere,
pazienza :)
Risposte alle
Recensioni
Sachi Mitsuki:
Sì, diciamo che Zefiro è una sorta di angelo
custode e un amico e confidente di Sophie. Tra loro si è
instaurato un rapporto magico, come se si comprendessero. E' solo
fantasia, e Sophie può apparire matta nel parlare con una
Statua, eppure ho voluto far nascere questa sorta di amicizia tra loro,
e far capire tutta la sua vita attraverso i pensieri di una statua, un
oggetto che non può parlare, nè muoversi e che
non ha vita, nella realtà.
Comunque ti ringrazio tantissimo per le tue parole. Come già
detto sopra, mi hanno scaldato il cuore. Fa sempre piacere a un
"autore" ricevere recensioni, soprattutto se sono così
positive e se la propria storia riesce a trasmettere qualcosa anche
agli altri.
WingsofCrow: Fai vivere i personaggi, li
rendi reali...e io che leggo, lo sento, lo provo.
Queste
tue parole mi hanno davvero commossa; ho avuto gli occhi lucidi quando
le ho lette, e non scherzo. Sono fortemente sensibile, e il sapere che
ci sono persone cui le mie storie piacciono e suscitano sentimenti o
sensazioni, mi riempie il cuore di gioia. Sono anche fortemente critica
di me stessa e a ciò si unisce l'avere un autostima quasi
pari a 0. Quindi leggere certi commenti così positivi,
seppur pochi, mi fa stare bene. Davvero. Ti ringrazio di cuore. Spero
che il finale sia anche di tuo gradimento. :)
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