Il mondo che vorrei di Akane (/viewuser.php?uid=27)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Incontro sul pulmino ***
Capitolo 2: *** Scontro in istituto ***
Capitolo 3: *** Scoperte in mensa ***
Capitolo 4: *** Un bacio nella notte ***
Capitolo 5: *** Riflessioni nella mattina ***
Capitolo 6: *** Corpo a corpo nel pomeriggio ***
Capitolo 7: *** Esperimenti sotto la doccia ***
Capitolo 8: *** Aiuto nello spogliatoio ***
Capitolo 9: *** Guai per i corridoi ***
Capitolo 10: *** Dimostrazioni in camera ***
Capitolo 11: *** Chiarimenti nell'aula di musica ***
Capitolo 1 *** Incontro sul pulmino ***
AUTORE:
Akane
TITOLO: Il
mondo che vorrei
SERIE: Capitan
Tsubasa
TIPO: AU, slash
GENERE:
generale, drammatico, sentimentale
RATING: giallo
PERSONAGGI:
Kojiro, Jun, Genzo, qua Karl è marginale ma nella seconda serie sarà
uno dei protagonisti principali! Ah, dimenticavo Hikaru Matsuyama!
DISCLAMAIRS: i
personaggi non sono miei ma del loro creatore, però l’ambientazione è
di mia invenzione!
NOTE: storia
per il contest sull’AU indetto da Endless Field. A lungo sono stata
fortemente indecisa su quale ambientazione fare, alla fine ne ho
iniziate e cambiate tre o quattro, ma questa sembra quella definitiva.
Viene da un sogno che ho fatto, naturalmente l’ho rielaborato. Uso come
sempre i personaggi che più mi piacciono e chi mi legge sa quanto io
per questo manga prediliga unicamente lo Yaoi, quindi questa è la mia
storia!
Dunque, devo
avvertire che ho dovuto concluderla prima di quel che pensavo e che per
questo ci sarà il seguito obbligatorio, io per prima voglio scriverlo
perché ci sono molte cose che non sono riuscita a mettere e che ho
dovuto tagliare, mi conoscete: quando inizio una alternativa su questo
manga mi faccio prendere la mano e parto per la luna! Solo che il
concorso aveva il limite di 20000 parole, quindi non ho potuto scrivere
di più in questo.
Pazienza.
Ci sono inoltre
un paio di ulteriori noticine:
- Mikami è
diventato il nome mentre il cognome è Wakabayashi per esigenze di
copione che poi capirete.
- Ci sono altri
cambiamenti di parentele rispetto l’originale, ma essendo un AU ci
stanno!
- Anche la
differenza d’età di qualcuno è stata leggermente modificata.
- Il titolo
questa volta è un omaggio a Vasco, anche il seguito che ci sarà avrà il
titolo di una canzone di Vasco.
- Ad ogni
capitolo c’è una canzone che fa da sfondo alla scena principale e
rispecchia il genere del protagonista del pezzo.
- La storia è
ambientata in un istituto che non so quanto sia conforme alla realtà,
però mi prendo la libertà di far di esso ciò che voglio spacciandolo
per vero. È comunque solo una storia.
Detto tutto
spero vi piaccia!
Buona lettura.
Baci Akane
IL MONDO CHE VORREI
CAPITOLO I:
INCONTRO SUL
PULMINO
/Cinderella
man - Eminem/
Come
diavolo ci era finito in quella situazione di merda?
A chiederselo
non riusciva a trovare risposta eppure non riusciva a pensare che a
quello.
Proprio una
gran situazione del cazzo!
Eppure quando
era cominciato tutto?
Non poteva
dirlo con esattezza, da che aveva ricordi era sempre stato l’inferno e
non è che fosse molto grande, ora. Aveva solo quattordici anni, in
fondo.
In effetti era
iniziato tutto con la sua dannata nascita. Lo pensava sempre, non
sarebbe dovuto venire al mondo, tutto lì; però c’era e non poteva certo
tornare indietro, cosa snervante, così come lo era non avere il
coraggio di farla finita per smettere di passare momenti terribili.
Però in un modo
o nell’altro ne era uscito, quella volta… o forse era solo finito dalla
padella alla brace!
Quando
l’assistente sociale si era decisa a fare qualcosa aveva pensato fosse
uno stupido scherzo, ma poi era stato effettivamente portato via dal
postaccio in cui era -certo, perché si rifiutava di chiamarla famiglia
adottiva o casa, un luogo del genere!- e l’avevano messo su quel
dannato pulmino diretto in un istituto.
Uno sciocco
istituto dove si dormiva, si mangiava, si studiava e si conoscevano un
sacco di altra gente… cosa che sicuramente non avrebbe mai fatto lui,
selvatico e pericoloso com’era. Se lo diceva da solo, era un animale
feroce cresciuto a suon di calci e pugni da perfetti sconosciuti, come
poteva essere venuto su bene?
Aveva imparato
solo la violenza e con quella lui comunicava col mondo.
L’istruzione
era stata un lusso che non si era potuto permettere così come degli
amici ed una normale vita sociale!
Sospirò… tanto
a quel punto qualunque posto sarebbe stato migliore di quello, è solo
che non aveva davvero idea di dove stesse andando.
Aveva
unicamente una serie di carte in mano. Una indicava il nome e
l’indirizzo del posto, un’altra era la lettera dell’assistente per il
direttore con conseguente dichiarazione d’ammissione. Poi c’erano tutti
i suoi documenti, l’atto di nascita, d’adozione e di separazione, o
qualunque nome avesse quella cosa che poi era successa.
Però avrebbero
almeno potuto accompagnarlo. Certo che se la sapeva cavare e che non
era più un bambino, ma in fondo lo stavano trasferendo!
Grattandosi a
disagio la nuca e passandosi nervoso più volte le mani fra i capelli
neri che gli coprivano selvaggi il collo, guardava sbuffando fuori dai
finestrini. Lo sguardo più infastidito e feroce che avesse mai avuto.
- E’ la prima
volta, vero? - Una voce distinta e gentile lo distrasse dai suoi
pensieri turbinanti e si girò di scatto verso il suo proprietario. Era
un giovane all’incirca grande come lui, si capiva perfettamente essere
un pesce fuor d’acqua. Uno così era ovvio viaggiasse sempre in auto,
accompagnato da qualcuno.
Era uno di
razza, lo capì al primo colpo e le iridi nere si assottigliarono
accusatorie.
- Che viaggi in
pulmino intendo… - Si affrettò a spiegare cordiale il ragazzo. - Per me
lo è. Non mi sento molto a mio agio, infatti. - Lo fissò ancora come
fosse una minaccia, scrutò a fondo i suoi lineamenti regolari, perfetti
e quasi delicati, la sua bellezza angelica ma con un che di supponente
e superiore, forse l’espressione che dietro quella gentilezza
nascondeva il suo rango di certo alto. Gli occhi però parevano sinceri.
Buoni davvero. Un castano caldo come i suoi capelli ordinati e corti,
con una morbida frangetta e nemmeno un filo fuori posto. Vestito
incredibilmente bene per essere su un pulmino pidocchioso.
Sì, quello era
ricco sfondato ed era finito per sbaglio in mezzo agli sfigati!
Ma
istintivamente gli piacque che si fosse messo in gioco per primo
notando la sua posizione ostile.
- Si nota! -
Grugnì distogliendo lo sguardo e tornando a fissare fuori, il paesaggio
scorreva come non lo aveva mai visto e ne sarebbe rimasto anche
affascinato se non fosse stato incattivito da tutto quel che aveva
vissuto. Non aveva mai potuto vedere cosa c’era fuori dalla catapecchia
in cui era stato rinchiuso, però ora che poteva non riusciva a
goderselo e non riusciva proprio a capirne il motivo.
- Che non sono
a mio agio? - Lo chiese con stupore e curiosità, come se non ci
credesse, infatti tornò a guardarlo e si affrettò addirittura a
specificare, seccato per doverlo fare e ancor di più perché lo stava
facendo anche se non gli importava:
- No, che non è
il tuo ambiente! - Mica quello dimostrava disagio…
Tornò a fissare
fuori intravedendo appena un’espressione indecifrabile simile al
compiacimento. Che ne poteva sapere lui di quel che passava per la
mente degli altri?
- Piacere, sono
Jun Misugi. - La voce dell’altro tornò gentile e caparbia, quindi
notando la mano tesa si voltò per l’ennesima volta e guardando il viso
sorridente e luminoso, ma allo stesso tempo con un che di adulto e
diverso, quasi triste -ma in fondo, molto in fondo agli occhi-, gli
prese la mano chiedendosi perché mai si dovesse fare un gesto tanto
idiota per conoscersi!
- Kojiro Hyuga!
- Grugnì ancora non sapendo che altro dire.
La sua mano era
liscia e morbida, ma anche sottile e fredda, al contrario della sua che
era più grande, rovinata e calda.
Quando si
sciolse ebbe l’impressione di avere davanti una persona sfuggente, con
un grande segreto dentro, proprio come lui. Ma fu solo un momento. Si
ricordò subito della loro abissale differenza: quello era qualcuno, lui
no.
- Allora, dove
vai? - Chiese per fare conversazione, capì che non lo faceva per
impicciarsi, ma solo per cortesia e cercare di metterlo a suo agio.
‘A farmi i
cazzi miei!’ avrebbe voluto rispondere, ma si limitò -e non capì
proprio come fu possibile visto che voleva solo passare in santa pace
il resto del viaggio- a dire la verità, seppure con monosillabi
ringhianti. Disse il nome dell’istituto, il Toho, e il giovane si
illuminò dando segno di conoscerlo e prima che se ne accorgesse, glielo
stava già chiedendo…
- Sai com’è? -
Certo non poteva essere che anche lui ci andasse, visto che sicuramente
una famiglia ce l’aveva ed anche benestante.
Lo chiese
guardandolo con una certa ansia, come se, nonostante non volesse farlo
vedere per nessun motivo, in realtà ci tenesse molto a sapere dove
diavolo stava finendo quella volta.
Jun con un
costante sorriso gentile che nascondeva qualcosa, questa volta non di
triste ma di indecifrabile e basta, rispose esauriente mostrando una
proprietà di linguaggio che non era per uno della sua età.
Era istruito ed
anche bene!
Kojiro si sentì
sempre più una merda, accanto a lui, ma era anche l’unico che l’aveva
calcolato e che era gentile.
- Certo. È un
buon istituto. Si trattengono per lo più persone che non hanno una
famiglia e che quindi non sono state adottate, solitamente sono lì di
transito ma capita anche che vengano perché sono impossibilitate a
stare a casa o per una opzione dei genitori. -
Sembrava
conoscerlo bene, quasi che ci fosse dentro anche lui, però fu un
pensiero così folle che Kojiro allontanò subito schernendosi. Figurarsi
se uno come quello poteva avere problemi di quel tipo!
- Gli
insegnanti sono competenti, così come gli assistenti. Alcuni studenti
sono un po’ pesanti, però sono gestibili. È un ottimo ambiente, vedrai
che ti troverai a tuo agio anche tu. - Previsione di chi non lo
conosceva affatto.
Al moretto
venne spontaneo ridere amaro, Jun si fermò dal discorrere e lo fissò
con curiosità alzando le sopracciglia in segno interrogativo. L’altro
smise e scosse la testa:
- Si vede che
non mi conosci! -
- Perché? -
- Perché sono
il piantagrane per eccellenza! Verrò cacciato dopo una settimana! -
Notò il suo tatto nel non chiedere come mai ci andasse, probabilmente
era chiaro come il sole che era un orfano la cui adozione era andata
male.
Si sentì però
profondamente osservato e riprese a fissare a disagio e infastidito
fuori dal finestrino.
- Magari
rimarrai stupito! - Disse allora Jun con tranquillità. Kojiro alzò un
sopracciglio scettico e puntò i suoi occhi neri affilati come quelli di
una tigre, su quelli da principe del giovane dai capelli castani che
continuò. - Non pensi che forse quello possa essere il tuo posto, prima
di prendere la tua strada da solo? - Lesse una specie di sfida fra le
righe, a lui piacevano le sfide e lo sguardo selvatico si illuminò con
fare accattivante:
- La mia vita è
solo un mare di merda, tutte le tappe in cui inciampo sono solo cessi
di scarico, tutto qui! - Una risposta oltre che maleducata e sgraziata,
davvero rivelatrice.
Con questo Jun
riuscì ad avere un quadro di Kojiro più completo di quel che
quest’ultimo avrebbe mai immaginato, ma si limitò a scoccargli uno di
quei suoi ormai famosi sguardi indecifrabili e a non fargli capire un
emerito nulla.
Tanto non lo
poteva convincere!
- Questa è la
nostra fermata… - Fece Jun scuotendo dai suoi pensieri testardi il
nuovo conoscente. Alla muta domanda scettica, rispose senza fargli
capire nulla più di prima: - Sì, scendo anche io qua. - Però non gli
aveva ancora detto dove diavolo andava lui, invece, e soprattutto se
veniva per caso -assurdo- al suo stesso istituto.
Quando si
alzarono in perfetto silenzio, Kojiro gli diede le spalle per prendere
il proprio ridicolo bagaglio; quando si girò, Jun Misugi era sparito.
“Poteva
anche aspettarmi, che cazzo!”
Ma prima che se
ne rendesse conto, il pensiero insolito l’aveva già avuto e anche se si
corresse subito, non servì a nulla visto che ormai l’aveva pensato.
“Ma
poi che diavolo me ne fotte!”
Più un auto
convincersi che un crederlo davvero.
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Capitolo 2 *** Scontro in istituto ***
*Ecco
qua il secondo capitolo, continuiamo a vedere cosa combina Kojiro che
qua farà nuove conoscenze, alcune buone altre meno!
Sono contenta che come inizio incuriosisca, spero che continui così!
Grazie per le recensioni ricevute ed anche a chi ha solo letto. Buona
lettura. Baci Akane*
CAPITOLO II:
SCONTRO IN
ISTITUTO
/So
bad - Eminem/
Non
gli ci volle molto per capire quale fosse l’istituto Toho, insegna a
parte.
Poco più avanti
rispetto alla fermata del pulmino dal quale erano scesi un paio di
altri giovani, c’era un enorme caseggiato a più piani, molto lungo ed
esteso circondato da un ampio giardino recintato.
Il giardino era
provvisto di campetto da calcio, da basket e da pallavolo, oltre che di
alberi, panchine e alcuni spiazzi verdi liberi. Sul retro intravedeva
un altro edificio, probabilmente la palestra.
Sospirò.
Ormai c’era e
anche a voler scappare se la sarebbe vista di certo peggio, tanto
bastava farsi valere!
Si fece avanti
infilandosi nel cancello aperto dove altri ragazzi stavano facendo
altrettanto, questi si fermarono a guardarlo e con uno sguardo di
scherno cominciarono a parlottare fra di loro. Non udì le parole
precise, ma non ci volle un genio per capire che ce l’avevano con lui
perché appariva uno straccione o qualcosa del genere.
- Ehi! -
Ringhiò ad alta voce in loro direzione. Questi affrettarono il passo
ignorandolo ma lui li chiamò più forte: - EHI, VOI IDIOTI! - A questo
finalmente si girarono a guardarlo con fare da finti innocenti, li
stava sbranando con lo sguardo e un’espressione da tigre feroce
ingabbiata, liberata e quindi incattivita il triplo del normale.
Come una bomba
ad orologeria che non aspettava altro di poter esplodere e fare un po’
di strage.
- SE AVETE
QUALCOSA CON ME DITEMELO IN FACCIA, ODIO I CACASOTTO! -
Tutti nel
raggio di poco lo udirono e lo guardarono stupiti, increduli,
incuriositi e intimoriti. Quello era un piantagrane non da poco, ma chi
poteva dire se era anche uno che passava alle vie di fatto oppure uno
come gli altri che abbaiavano ma non mordevano?
I ragazzi
destinatari di tanto astio, lo fissarono quasi con pietà, come per dire
che era solo un povero sciocco, quindi si girarono proseguendo il
cammino verso l’edificio.
In quello
qualcosa lo urtò con fare deciso e poco prima di girarsi come un caccia
a vedere cosa fosse, gli parve di intravedere al volo una nuca di
ordinati capelli castano autunno entrare nell’istituto, a un paio di
metri da lui, ma fu un flash che registrò in seguito.
Quando vide che
a spingerlo -e di proposito per di più!- era stato un ragazzo che lo
fissava di sbieco per istigarlo, non ci vide più e non tenne in
considerazione il portamento fiero, gli abiti firmati e l’età. Si
vedeva al volo che era più grande di lui e che era anch’egli di razza,
uno importante, insomma.
Lo prese subito
per il braccio, lo strattonò costringendolo a guardarlo in faccia e
scaricando un insulto a casaccio lo colpì con un pugno.
Ci riuscì solo
perché lo prese di sorpresa, ma non gli provocò un gran dolore
nonostante avesse un ottimo destro per essere un quattordicenne. Lo
capì perché né cadde né indietreggiò, anzi, caricò subito un altro
pugno di risposta che lo colpì dritto all’occhio sinistro.
Nemmeno si
sprecò ad insultarlo, ma prima che potessero proseguire nel loro
scambio primitivo, due mani bianche ed una presa evidentemente ferrea
allontanarono svelte quello più grande.
- Genzo,
smettila! - Una voce quasi metallica. Kojiro non perse nemmeno tempo a
massaggiarsi la parte lesa, ne aveva ricevuti di peggiori dal suo
patrigno.
Il sangue però
pompava furioso nelle vene ed il cuore sembrava volergli uscire dal
petto. Di nuovo quella sensazione di essere calpestato, per cosa, poi?
Per la sua diversità? Perché era povero, sfigato, orfano e cos’altro?
Nessuno poteva
mettergli le mani addosso, guardarlo come un poveraccio, provocarlo,
parlare male di lui. Nessuno.
La rabbia
continuava ad ingigantire minuto dopo minuto anche se nessuno lo
toccava più, però due occhi di ghiaccio lo placarono istantaneamente.
Solo due occhi
azzurri, affilati e neutri.
Il proprietario
di quei ghiacciai era quello che era intervenuto. Era anch’egli più
grande di qualche anno, aveva i capelli biondi, lisci ed ordinati,
alto, fisico sportivo, lineamenti nordici spigolosi e duri. Era uno
straniero.
Quello che
invece era stato chiamato Genzo e che l’aveva colpito, era altrettanto
alto, non molto più di lui in realtà, capelli neri, mossi ed in
disordine, occhi come la pece pieni di una sfida ed una supponenza
insopportabile, viso accattivante, fisico anch’egli atletico.
Il suo occhio
gonfio confermava, la forza ce l’aveva, ma anche lui gli aveva lasciato
un bel ricordo sullo zigomo sinistro!
Quando lo vide
ghignò calmandosi. Sicuramente non ci sarebbe stata una seconda volta,
per lo meno così lui credeva.
Dopo uno
scambio penetrante, come a voler continuare il round, i due sconosciuti
si voltarono e se ne andarono senza presentarsi o dire nulla,
precedendolo all’interno dell’istituto.
“Che
inizio di merda!”
Pensò seccato e
stufo spintonando a sua volta tutti quelli che capitavano
disgraziatamente sul suo cammino. Non aveva certo avuto dubbi che
potesse essere diverso.
Il direttore
era un certo signor Mikami Wakabayashi, era distinto, sulla quarantina,
ben tenuto e gentile.
Non dimostrò né
amicizia né astio, semplicemente dopo avergli spiegato tutto lo mandò
nella sua stanza.
I dormitori
maschili erano nell’ala est, mentre quelli femminili nell’ala ovest,
separati in mezzo da quella centrale che comprendeva le aule delle
lezioni, gli uffici, la mensa e la biblioteca.
Al piano terra
c’erano le cucine, le cantine e i magazzini.
La sua stanza
era la numero diciassette, altro numero di merda, si disse con
disappunto. Se era fortunato sarebbe stato solo ma leggendo sulla
targhetta ben altri due nomi, capì che tanto per cambiare era sfigato e
che aveva due compagni, di certo dei rompipalle colossali.
Takeshi Sawada
e Ken Wakashimatsu.
Sotto c’era lo
spazio per un terzo, lui.
Senza la minima
intenzione di bussare visto che quella ormai era anche la sua di camera
e che aveva le chiavi, non avendo mai ricevuto le buone maniere, fece
per aprire quando si sentì rimbeccare da dietro le spalle.
- Sarebbe
carino bussare! - Alzò gli occhi al cielo esasperato. Si erano messi
tutti d’accordo per rompergli le palle dal primo momento? L’unico che
non l’aveva fatto era quel tipo sul pulmino… chissà dov’era andato,
alla fine…
Un pensiero
sfuggevole prima di voltarsi di scatto e fumante. Era un giovane della
sua età, alto circa come lui, aria sul selvatico andante, sguardo
deciso e pronto a rispondere per le rime a chiunque. Capelli neri,
corti, lasciati un po’ come meglio volevano, la fortuna era che non gli
stavano male.
- Che cazzo
vuoi, tu? Sei uno di questi due? - Chiese sgarbato pronto a spaccargli
il naso dritto.
- No, sono il
vicino di camera, Hikaru Matsuyama. Tu sei nuovo, vero? Ti sembra
quello il modo di entrare? -
- Perché,
stanno facendo sesso? - Lo sparò senza pensarlo davvero, di sicuro non
era quello il problema e poi anche se fosse stato, lui stava arrivando,
si sarebbero adattati!
Hikaru
ridacchiò soppesando l’idea di farci a pugni come capitava con
qualcuno, oppure chiudere lo screzio in partenza ed instaurare un buon
rapporto.
Decise di
vedere come sarebbe andata.
- Non li ho mai
colti sul fatto ma si dice che Sawada sia gay mentre Wakashimatsu lo
sodomizzi solo per combattere la noia di questo posto! - Anche lui lo
disse con una certa luce d’ironia negli occhi, semi serio, Kojiro
quindi non capì se lo diceva davvero ma non gli importò saperlo. Era
comunque una risposta degna e l’esame poteva dire di averlo passato.
- Sono Kojiro
Hyuga. - Questo sancì la tregua e l’inizio della loro amicizia.
Hikaru in
quello gli sorrise di sbieco e lanciandogli uno sguardo divertito,
infilò il braccio e bussò al suo posto. Udendo le voci dall’interno,
parlò:
- Ragazzi,
avete il terzo inquilino! - Sentì un gran caos all’interno, come di un
riordinare sbrigativo, quindi Hikaru ridacchiò malizioso fissandolo
dritto negli occhi neri; non si sentì a disagio, lo capì subito.
Quello era
simile a lui, lo comprese al volo.
- Un attimo… -
Gridarono i due con voce tremolante mentre sbattevano armadi, cassetti
e correvano saltellando da un lato all’altro. Dopo tutto aveva fatto
bene a non entrare improvviso.
- Di chi è quel
ricordo? - Chiese deciso Hikaru rivolto all’occhio nero senza il timore
di ricevere un ‘fatti i cazzi tuoi’. L’audacia fu premiata visto che
Kojiro l’aveva già messo fra le sue amicizie, quindi gli rispose:
- Uno stronzo!
- Risposta esauriente!
- Il mondo ne è
pieno! - Fece allora l’altro ghignando.
- Questo era di
qualche anno più grande, moro, vestito firmato. Aveva l’aria da re
degli stronzi e girava con un biondino che invece sembrava il re dei
ghiacci! - Quella risposta, invece, fu decisamente illuminante, infatti
Hikaru capì subito di chi si trattava e mostrandosi stupito e ammirato
proseguì:
- Non dirmi che
hai ricambiato! -
- Ovvio,
figurati! Sono stato io ad iniziare… certo, lui mi aveva spinto,
quindi… - Lo vide ridacchiare ancora, poi lo illuminò:
- Hai avuto
fegato, nessuno si mette contro di lui… è Genzo Wakabayashi, il figlio
del direttore. È attaccabrighe solo con chi decide, non so che criteri
usa. Intanto è già molto che ti abbia notato! Gira sempre con Karl
Hainz Schneider, sono inseparabili. Molti sono convinti stiano insieme
ma Genzo si fa tutti quelli che capita, maschi e femmine
indistintamente, quindi non penso proprio che stia con lui, ma in
questo istituto nulla è detto! Hanno diciassette anni. Se per
avvicinare Wakabayashi basta sfidarlo a qualcosa, avvicinare Schneider
è proprio impossibile. Nessuno arriva a lui. Il resto dei dettagli
chiedili a Sawada, conosce tutti i gossip del Toho! -
Finito di
ascoltarlo, Kojiro capì che quel posto era più strano di quel che
avrebbe detto, chissà quanti altri segreti nascondeva!
E per la prima
volta si rese conto di star pensando a cazzate, cose frivole insomma…
nulla che gli servisse per sopravvivere. Sconcertato, mentre la porta
si apriva, comprendeva che era possibile perché non era più in
pericolo, si era finalmente rilassato, non c’era nessuna spada pronta a
staccargli la testa dal collo. Istintivamente l’aveva percepito.
Il suo incubo
era davvero finito.
Gli vennero sul
momento in mente le parole di quel Misugi… chissà che dopo tutto non
avesse ragione.
Magari poteva
trovarsi bene, magari poteva essere il suo posto prima di intraprendere
la propria strada, qualunque essa fosse stata un giorno.
Con queste
sorprese nell’animo, ben nascoste in profondità, osservò un piccoletto
bruttino con due grandi occhi e il viso tutto rosso, aprirgli la porta.
Lo sentì presentarsi come Takeshi Sawada, lo vide sorridere solare ed
allegro nonché gentile.
Dentro, invece,
vide steso su uno dei tre letti un altro ragazzo di corporatura più
forte, con lunghi capelli neri che gli coprivano metà volto, le mani
allacciate dietro la testa, le gambe incrociate, faceva finta di
dormicchiare. Nemmeno il minimo imbarazzo da parte sua, invece. Anche
se era chiaro che erano stati beccati in pieno!
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Capitolo 3 *** Scoperte in mensa ***
il mondo che vorrei3
*Finalmente si scoprono
alcuni misteri riguardo Jun Misugi che Kojiro ha incontrato sul
pulmino. C'è anche spazio, naturalmente, per una nuova poco originale
comunicazione non verbale fra lui e Genzo... Grazie ancora a tutti
quelli che continuano a leggere e che sono sempre più incuriositi da
questa fic. Buona lettura. Baci Akane*
CAPITOLO III:
SCOPERTE IN MENSA
/Furious
- Ja Rule feat. Vita/
Kojiro si rese conto di
essere libero
il giorno successivo all inizio delle lezioni al Toho.
Lo scoprì
concretamente quando per la stanchezza accumulata e la tensione
sciolta non sentì la sveglia e rimase addormentato; non gli era mai
capitato e se per caso succedeva di far tardi a qualcosa, poi
riceveva punizioni sonore dai genitori adottivi. Quella volta nessuno
lo picchiò per essere arrivato alla fine delle colazioni in mensa,
così come nessuno lo chiuse in una cantina coi ratti per essere
entrato dopo gli altri in classe. Fu allora, quando non ricevette
nemmeno un ammonimento verbale, che il giovane quattordicenne che
andava per i quindici, capì che ormai era libero di fare tutto quel
che voleva senza l'alito gelido della paura ben impregnata addosso.
Fu per questo che divenne ancor più incontrollabile.
Quando un
compagno di classe osò riprenderlo per un atteggiamento discutibile,
dicendo che non poteva farlo, lui rispose aggressivo prendendolo per
il colletto della maglia e, scuotendolo violento, disse che faceva quel
diavolo che gli pareva, poiché non era più schiavo di nessuno. In
pochi udirono quella frase che non ripeté più per una serie di
motivi fra i quali la propria vergogna nel far sapere che era stato
praticamente schiavizzato dalla sua famiglia precedente. Se non
avesse avuto quel carattere forte, ribelle ed aggressivo la sua mente
non ce l'avrebbe mai fatta ed anche se ora sembrava un grande
difetto quel suo essere maleducato e antipatico, in realtà era un
grande pregio visto che era sopravvissuto grazie ad esso.
Quei
pochi, comunque, cominciarono a guardarlo con timore e rispetto al
contempo. Uno che passa certe cose e che le vince, sicuramente non è
pane per i denti di nessuno!
Quel giorno, in mensa, ebbe il
primo contrasto serio.
Accompagnato dagli unici tre ragazzi che
osavano stargli vicino, Ken, Takeshi e Hikaru, si diresse a prendere
posto in uno dei tavoli liberi. Camminava guardando dritto, evitando
con cura ogni altro essere vivente, lo sguardo truce di natura e
l'aria di chi non aveva sfogato la rabbia ancora per nulla. Che
l'avesse notato o meno non fu chiaro, però certo era che anche
l'altro camminava senza calcolare il mondo circostante. Lo scontro
fisico non fu grave, non rovesciarono i vassoi l'uno addosso
all'altro né fecero cadere i piatti. Caddero solo le bottigliette
d'acqua che comunque erano chiuse, ma questo bastò visto che
probabilmente di malumore entrambi per un motivo diverso, non avevano
atteso altro di poter scaricare un po di bassi istinti.
- EHI,
IDIOTA, GUARDA DOVE VAI! - Ringhiarono insieme guardandosi male. Nel
giro di un istante l'attenzione di tutti fu puntata su loro due.
Kojiro e Genzo si affrontavano pubblicamente davanti a tutta la
scuola riunita a pranzo. Il nuovo arrivato contro uno dei più
popolari, i due attaccabrighe per eccellenza al momento.
- MA
VAFFANCULO! - Anche il secondo complimento arrivò in concomitanza da
entrambi, i loro sguardi furenti divennero sempre più accesi di
odio, come se istintivamente sapessero sin dall'inizio che non
avrebbero mai potuto andare d accordo. Quella fu l'ultima cosa che
si dissero, poi insieme spinsero il vassoio distrattamente nelle mani
dei compagni accanto e con un primo spintone vicendevole, iniziarono
a strattonarsi con l'intento di buttarsi a terra. Siccome entrambi
avevano un'ottima resistenza nonché forza fisica, capirono che si
sarebbe giocato tutto sui riflessi e senza nemmeno guardarsi negli
occhi scuri simili a quelli dei felini, il primo a tentare con un
pugno fu Kojiro. Rimase quasi inebetito nel guardare quel damerino
del cavolo schivare il suo colpo diretto e veloce e ricambiare con
una prontezza e decisione che non aveva mai visto a nessuno, e lui a
botte ne aveva fatte!
Non perse comunque tempo con le sorprese
ed ignorando il dolore, indietreggiato solo di un passo, si riprese e
caricò furioso un altro pugno ancora in pieno viso. Questa volta lo
colpì anche se non proprio dove aveva mirato, l'aveva quasi
schivato di nuovo!
Kojiro aveva trovato pane per i suoi denti e
stordito non capì cosa fosse quello strano senso di gioia interiore.
Per la prima volta facendo a pugni con qualcuno si sentiva contento.
Non gli seccava riceverne tanti quanti ne dava, non gli importava
vedere che l'altro fosse in gamba e all'altezza della situazione,
non gli importava nulla se poteva fare una sana rissa senza scrupoli,
senza doversi trattenere, senza pensare alle conseguenze, senza
rischiare di mandare l'altro nell'aldilà. Poteva sfogarsi a pieno
dando il suo massimo e comunque confrontarsi ad armi pari, fu davvero
la prima volta che se lo disse, non era male. Del resto non gli era
mai capitato. O era sempre stato il migliore in assoluto o il
peggiore. Di norma l'unico contro cui aveva perso di continuo era
stato solo il patrigno, un gran pezzo di merda per i suoi gusti.
Contro gli altri, gente che incontrava nelle sue rare uscite, non
aveva trovato soddisfazione perché non erano mai riusciti a stargli
dietro.
Ben presto furono circondati dal resto degli studenti
entusiasti dello spettacolo nonché profondamente stupiti di trovare
qualcuno che teneva coraggiosamente testa a Genzo, li incitavano,
battevano le mani e li guardavano assetati di novità e divertimento.
Qualcosa di comunque alquanto macabro!
L unico che si era scostato
dal gruppo era stato proprio Karl, l'amico straniero dai capelli
biondi e gli
occhi azzurri di Genzo che aveva ricevuto il suo vassoio col pranzo.
Senza dire nulla, nemmeno guardarlo con disapprovazione, si era
limitato a sedersi ad uno dei tavoli vuoti e ad iniziare a mangiare
con la più totale tranquillità. Non era il baby sitter di Genzo,
del resto!
- Ken, fermalo o lo ridurrà in poltiglia! - Stava dicendo
Sawada allarmato tirando per la manica lil compagno che guardava la
scena
con un certo interesse come gli altri, ma senza la minima intenzione
di intervenire.
- Chi ridurrà in poltiglia chi? - Chiese con ironia
senza distogliere lo sguardo attento che sembrava esperto nel settore
dei corpo a corpo.
- Come? - Sawada però non capiva.
- Takeshi, non
vedi che se la cavano benissimo entrambi? Chi riesce a fermarli? -
Eppure non sembrava per nulla preoccupato.
Il piccoletto allora lo
fissò strabiliato:
- Ma tu hai fatto karate, potresti fermarli in un
attimo! - Era vero, ma c'era anche da dire che per farlo ci voleva
la volontà e Ken al momento, per quanto valido fosse, non aveva la
minima voglia di alzare un dito e prendersi probabilmente un pugno in
faccia.
- Vero, ma si stanno divertendo! - Di chi parlasse non era
ben chiaro, ma in effetti si stavano divertendo tutti, a parte Karl
che nemmeno assisteva e Sawada che sembrava un anima in pena.
Anche
Kojiro che Genzo sembravano animati più che da un fuoco di odio o
rabbia come all inizio, da quello dell'interesse. I primi a cui
piaceva picchiarsi a quel modo erano proprio loro due!
No, nessuno
sarebbe intervenuto.
Nessuno ad eccezione di uno che invece in mezzo
ci si mise.
Uno che non fu nemmeno sfiorato, funse da calmante, come
se avesse staccato loro la spina.
Pietrificati in pose d'attacco, i
due animali feroci non mossero più nemmeno un muscolo guardando il
ragazzo che si era messo in mezzo con una tale tranquillità da farlo
sembrare irreale.
Lui, elegante, aggraziato, dritto, le mani ai
fianchi, la testa alta, lo sguardo fisso e superiore, quasi di sfida.
I suoi occhi castano caldo sembravano dire 'colpiscimi se ne hai il
coraggio' ed erano fissi proprio in Genzo, colui che era famoso per
non aver paura di nessuno e per accettare tutte le sfide del mondo.
Quel ragazzo non disse nulla, ma rimase immobile fra Genzo e Kojiro
con uno strano sorriso enigmatico, senza battere ciglio, fra due
pugni che lo sfioravano pronti a colpirlo.
Il primo ad abbassare il
braccio fu il più grande che incupendosi divenne tenebroso in un
batter d occhio.
- Cazzo, Jun, è pericoloso! Potevamo colpirti! -
Grugnì seccato mentre si sistemava i vestiti, si ravvivava i capelli
mossi e si puliva il rivoletto di sangue all'angolo della bocca.
Anche se non l'avesse chiamato per nome, Kojiro l'avrebbe
riconosciuto lo stesso nonostante lo vedesse da dietro.
Inconfondibili capelli ordinati e posa aristocratica.
Sgranando gli
occhi incredulo per il suo arrivo e per la scena in sé, capì di
avere davanti il ragazzo del pulmino, Jun Misugi.
Abbassando il pugno
e lasciando perdere il sangue che gli usciva dal sopracciglio,
mormorò senza rendersene conto:
- ...tu?! - Fu allora che lo vide
spostarsi con un movimento fluido, apparve quasi come un passo di
danza. Si voltò e allargando le braccia verso entrambi, dopo averli
accarezzati col suo sguardo adulto e indecifrabile ma quasi saccente,
disse estremamente calmo e pacato:
- Genzo Wakabayashi ti presento
Kojiro Hyuga, Kojiro Hyuga ti presento Genzo Wakabayashi. Immagino
non avrete fatto una vera e propria conoscenza. Penso che con un po
di buona volontà possiate diventare amici. -
- Amici? Puah! - Si
lamentò scettico Genzo. - Non mi interessa un cazzo chi diavolo è
lui! Non mi deve rompere i coglioni! - Detto ciò si fece largo fra
la folla cercando Karl che trovò al tavolo a mangiare da solo
indifferente a tutto. Gli lanciò un'occhiata di fuoco e senza
aggiungere nulla uscì dalla mensa con le mani nelle tasche ed una
camminata seccata.
Una cosa Kojiro capì al volo a quel punto: quel
Jun Misugi era davvero qualcuno di importante per aver sedato con la
sua sola presenza una rissa di quel calibro e nella fattispecie, era
uno di cui quel Genzo strafottente aveva rispetto e anche qualcos
altro. Come...
"Soggezione? Paura di colpirlo?
Possibile? Uno così
che fa di chiunque ciò che vuole, da quanto mi hanno raccontato, ha
paura di colpire quel Jun?" A quel punto sorse spontanea la
domanda
successiva: "Chi diavolo è, allora?"
Una domanda che presto avrebbe
trovato risposta con suo grande sgomento.
- Vorrei indirizzarti verso
un corso di lotta libera. Qua se ne svolgono molti di ogni tipologia,
da quelli sportivi, a quelli artistici, a quelli corporei. Notando il
bisogno di sfogo fisico, credo che fra quelli di lotta troverai ciò
che ti aggrada. In segreteria troverai tutte le informazioni ed
eventualmente potrai iscriverti. Se continui su questa
linea passerai dei seri guai, il regolamento non permette questo
genere di comportamento violento. - Lo disse con la sua solita
diplomatica gentilezza, sorridendo pacato e con quell'aria da
principe spiazzandolo ulteriormente mentre si perdeva fra le sue
parole, i suoi modi, il suo linguaggio ed ogni altro dettaglio. Le
domande che continuavano a nascergli non avevano fine.
- Chi diavolo
sei tu? Potevi dirmi che stavi anche tu qua! E che cazzo, potevi
anche aspettarmi ed entrare con me visto che ti piace tanto fare il
buon samaritano! - Sbottò sgarbato sul piede di guerra avvicinandosi
e sovrastandolo di qualche centimetro in statura. - E poi anche
quello stronzo ha fatto la sua parte, perché dici queste cazzate del
regolamento solo a me? -
Jun non parve turbarsi:
- Lui le conosce già
ma probabilmente pensa di essere superiore a tutte le norme vigenti
in questo loco. - Kojiro fece una smorfia per la fatica a capire
quelle parole così elaborate e poco da quattordicenne.
- Come
diavolo parli? - Disse infatti spontaneo. Jun sorrise ma non rispose.
Non rispose né a questo né all'interrogazione di prima, si limitò
a fargli un cenno di saluto e ad uscire anch'egli dalla mensa, fra
gli occhi sbigottiti e ammirati di tutti i presenti, che non erano
pochi. Karl se n era già andato. Appurato che lo spettacolo ormai
era concluso, anche gli altri studenti smisero di assistere e si
dileguarono. Rimasero solo Hikaru, Ken e Takeshi che avvicinati gli
diedero delle pacche (due di complimenti, uno di preoccupazione).
-
Che coraggio! - Dissero ammirati, il moro non li ascoltava.
- Perché
non l'ha colpito? Aveva dei riguardi verso di lui, era chiaro...
chi diavolo è quel Misugi? - Era così misterioso, strano, diverso
da tutti, qualcosa non gli tornava, ma cosa?
- Sono fratelli! - A
questa risposta l'altro per poco non si strozzò con la saliva,
fissò Hikaru come avesse bestemmiato e questi senza bisogno di farlo
parlare capì cosa intendeva: - Sì, non si somigliano per niente né
fisicamente né caratterialmente... forse solo nei modi da ricchi,
si somigliano! -
- Ma non hanno lo stesso cognome! E poi perché
stanno qua? - Di norma non era un tipo curioso ma con loro, non
sapeva proprio come mai, non riusciva a farne a meno e non era
comunque abituato a riflettere.
- E' una storia un po complicata...
- Iniziò Sawada con pazienza dirigendosi al tavolo per iniziare il
loro sacrosanto pranzo. Una volta che furono tutti seduti, iniziò
con loquacità e disponibilità a spiegare: - Hanno la stessa madre,
ma i padri sono diversi. Il padre di Jun è morto quando lui non era
ancora nato, lei poco dopo si è risposata con Mikami Wakabayashi che
aveva Genzo, un bambino di tre anni più grande. Lei e il signor
Wakabayashi, che da tutti si fa chiamare Mikami per essere meno
distante dagli alunni, erano stati amanti e da quella relazione
clandestina era nato Genzo che però era rimasto col padre per
insabbiare tutto. Si dice che al marito lei avesse fatto credere di
aver perso il figlio, pur di mantenere la facciata di brava persona
fedele. Ad ogni modo le circostanze in cui il padre di Jun, il signor
Misugi, morì, sono misteriose. C è chi ci fantastica sopra dicendo
che è stato Mikami per riprendersi l'amata, chi che sia stata
proprio lei per vivere con la persona che amava davvero... mah, chi
lo sa. Comunque poi è morta anche lei in un brutto incidente e
Jun è rimasto con Mikami e Genzo. Sono cresciuti insieme come
fossero fratelli dello stesso padre, oltre che della stessa madre, ed
anche se hanno cognomi diversi si sentono consanguinei al cento per
cento e non solo al cinquanta. Siccome Mikami ha questo istituto da un
sacco di tempo, una
volta rimasto vedovo si è buttato nel lavoro anima e corpo
preferendo vivere qua durante l'anno accademico, per essere più
vicino ai suoi studenti. I figli pare non abbiano avuto scelta che
seguirlo, però è un buon posto tutto sommato e loro possono anche
non seguire le regole del Toho visto che non sono qua di loro
volontà e che sono i figli del direttore! - Più che una storia reale
sembrava una soap opera
americana!
Kojiro si grattò il capo assimilando le
informazioni, capendo che nonostante tutto non avevano avuto una vita
facilissima, specie quel Jun. Certo nulla di paragonabile alla
propria!
Poi gli tornò in mente il momento in cui Jun si era messo
in mezzo e Genzo gli aveva detto che era stato pericoloso. Fu allora
che quel qualcosa che ancora non gli tornava uscì prima che potesse
rendersene conto, come se fosse estremamente importante per lui
sapere tutto quello che c era da sapere su quel giovane misterioso
con una specie di maschera sempre piantata in faccia. Cosa
nascondeva?
- Sono fratelli, io avrei colpito mio fratello se si
fosse intromesso in una mia rissa! - Sbottò infatti.
- Fortuna che
non ne hai! - Scherzò ironico Hikaru mentre Ken stesso ridacchiava
all'uscita; Kojiro non lo calcolò, fissava intensamente e caparbio
Takeshi costringendolo a rispondergli e finalmente lo fece:
- Jun
soffre di cuore da quando è nato, la malattia cardiaca si è
manifestata con un attacco quando sua madre è morta. Nessuno lo
colpirebbe, specie suo fratello! - La sensazione che Kojiro provò,
fu quella di essere stato pietrificato e non ne capì assolutamente
il motivo.
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Capitolo 4 *** Un bacio nella notte ***
il mondo che vorrei4
*In questo nuovo
capitolo, Kojiro scopre ancora qualcosa che per lui è decisamente più
importante e sconvolgente degli affari di Jun. Scopre la propria
sessualità.
Ringrazio sentitamente tutti quelli che continuano a seguire e
commentare, sono contenta che la fic piaccia così tanto. Buona lettura.
Baci Akane*
CAPITOLO IV:
UN BACIO NELLA
NOTTE
/Swan
Lake - Tchaikovsky/
Non è che quella notte
fosse magica
o che, anzi... Kojiro si svegliò di soprassalto col cuore in gola
che batteva come un dannato, madido di sudore e ansimante.
Da quando
se ne era andato da quella casa infernale, aveva iniziato ogni
maledetta notte a fare quegli incubi e quando si svegliava di
soprassalto alle due, ancora gli pareva di essere laggiù, con quelle
persone terribili che lo maltrattavano.
Nel periodo in cui era stato là, al
contrario, si era ritrovato a sognare di andarsene ed ora che ci era
riuscito non poteva smettere di rivivere quei giorni da panico con
incubi persistenti. Lo trovava fastidiosamente ironico, come se qualche
idiota si prendesse beffe di lui, cosa insopportabile!
Quando succedeva, non riusciva più a dormire e
per lui era una tortura rimanere sveglio cinque ore, poiché riviveva
anche ad occhi aperti i suoi tragici quattordici anni di vita.
Si
alzò a sedere, gli altri due dormivano della grossa e maledì sé
stesso per non avere mai acquistato la passione per la lettura.
Pensando scocciato a cosa potesse fare per insonnolirsi e tornare a
dormire, fu allora che sentì qualcosa.
Inizialmente era confuso e
lontano, ma drizzando le orecchie si rese conto che non lo era poi
molto. Guardò il pavimento. Veniva dal basso. Dopo un paio di minuti
si rese conto di cosa si trattava: un pianoforte che suonava.
Quasi
sospirò sollevato costatando che era SOLO un pianoforte che alle due
della notte emetteva melodie!
Ora, una persona normale avrebbe come
minimo pensato a qualche fantasma o giù di lì, rimanendo nel letto
a tremare come una foglia. Kojiro naturalmente non era normale visto
che vide quella come l'occasione perfetta per fare qualcosa contro
l'insonnia. Senza pensarci un istante di più si infilò le ciabatte
e silenzioso sgusciò fuori dalla stanza. Non era un tipo curioso,
tendeva a farsi i fatti propri, ma giacché non riusciva a dormire e
che quel suono arrivava proprio da sotto la sua camera, gli sembrava
legittimo andare a vedere chi fosse quell'idiota che gli rompeva le
palle, come se i suoi incubi fossero generati da ciò!
Sceso al piano
di sotto sentì la melodia sempre più forte e seguendola non si
accorse di cadere via via come in trance. Le note si delineavano
sempre meglio e la malinconia struggente di quella composizione gli
penetrava il cuore.
Giunse davanti all'aula di musica. La sua camera
era esattamente sopra. In tutto il resto del piano c'erano le aule
ricreative composte da quella di musica
e artistica, sullo stesso piano c'era la biblioteca e la sala video.
Entrò quasi trattenendo il fiato e si fermò, vide che a suonare
nella penombra di quell'enorme aula c'era Jun Misugi e staccò i
contatti.
Quella canzone era la più triste che avesse mai sentito -non che ne
avesse sentite molte in effetti-,
ripeteva il motivetto all'infinito, come non ne avesse mai
abbastanza, e lo faceva con un tale trasporto da catturare lui stesso,
analfabeta di musica di qualunque genere, specie quello classico, e
catapultarlo di nuovo indietro nel tempo, a qualche giorno prima, in
quel postaccio con persone che lo maltrattavano,
lo punivano duramente per ogni cosa, lo picchiavano come se fosse l
unica ragione per cui fosse venuto al mondo. Rivisse con dolore i
momenti peggiori della sua breve vita, ricordandosi perché conosceva
solo l'odio e la violenza, perché non si era mai concesso nemmeno
un piacere, perché non conoscesse i propri gusti, non avesse amici,
non facesse le cose che fanno i suoi coetanei...
Che colpa si
poteva avere a nascere?
I suoi genitori non l'avevano voluto mentre
quelli che l'avevano adottato l'avevano trattato come uno schiavo o
peggio.
Fu quando urtò qualcosa che si rese conto di aver camminato
fino al pianoforte, rimase in quella specie di catalessi, come
ipnotizzato dalla musica lenta, triste ed intensa. Sembrava proprio
la morte di qualcosa di meraviglioso. Da lì lo vide bene. J
un
vestiva con una maglia nera dalla stoffa leggerissima che scivolava
morbida e liscia sul suo corpo, i pantaloni erano dello stesso tipo.
I capelli anche in quell'occasione erano perfetti, come non fosse
nemmeno andato a dormire. Suonava con gli occhi chiusi ma le sue
guance erano bagnate, calde lacrime trasparenti brillavano alla
flebile luce che c'era, finivano sui tasti bianchi e neri.
A cosa
pensava mentre suonava a quel modo, piangendo?
Cosa stava rivivendo?
Magari la morte di sua madre, il suo infarto, la notizia della
malattia al cuore, quella di non essere il vero figlio di Mikami
Wakabayashi... cosa aveva dentro, quel giovane che all'apparenza
sembrava perfetto ed il più fortunato del mondo? Certo peggio di lui
non poteva averla avuta, ma sicuramente non era stata una
passeggiata.
Alla luce di queste affermazioni, si ritrovò
addirittura seduto accanto a lui, davanti al pianoforte a coda. Con
una remota parte di cervello si diceva se non fosse impazzito, ma con
tutto il resto, la gran parte in effetti, faceva quel che voleva
senza ragionarci minimamente.
Solo perché voleva e sentiva e
provava.
Ed era libero, dannazione!
Finalmente lo era, poteva fare
veramente tutto quel che gli passava per la testa senza nemmeno
ragionare, non c'erano conseguenze come la cintura data sulle gambe
o sulla schiena, nemmeno la cantina buia, puzzolente e piena di
ratti. Non c erano nemmeno dei calci che gli massacravano gli organi
e la ragione!
Fu allora che Jun finalmente si accorse di avere un
ospite e alzò le dita dalla tastiera, facendo calare un improvviso
silenzio che presto divenne pesante.
Kojiro lo guardò con rimprovero
istintivo, come aveva osato smettere? Era così bravo...
Come la
musica cessò, i suoi ricordi orrendi vennero annullati tornando ben
chiusi dentro di sé. Fino alla prossima notte non li avrebbe
rivissuti.
Però anche se la musica e il passato non c erano più,
non per il momento, lui restava come ipnotizzato dall'atmosfera o
forse da quegli occhi castano autunno non molto lontani che lo
fissavano lucidi, seri e quasi confusi. Se ci fosse stata più luce
avrebbe notato che il colore caldo delle iridi, quando lui piangeva,
diventava quasi rosso ma in quel momento si limitò a realizzare
che era semplicemente il più bel tipo che avesse mai visto, fino ad
ora. Non che ne avesse visti molti, in effetti... ma non si poteva
negare che lui lo fosse.
Non gli era mai capitata una cosa simile,
nella sua breve vita burrascosa non aveva avuto tempo di vivere la
propria sessualità o notare il bello o il brutto. Tante cose gli
erano state negate, cose che viveva ora per la prima volta e spesso
bruscamente, improvvisamente e assai intensamente.
- Ciao... -
Mormorò Jun educato. La sua voce era roca ma gentile, talmente
sfumata e debole.
Stava male?
- Cosa fai? - Gli fece una domanda
stupida, ma se ne rese conto solo dopo averla fatta, eppure si sentì
ebbro per non dover temere le conseguenze.
- Suonavo... - Jun
avrebbe sorriso ironico in condizioni normali, però lì si capiva
che non lo era quindi rimase serio e aggiunse con un notevole sforzo,
solo perché era stato cresciuto in un certo modo: - Non volevo
disturbarti, ma in questa notte io suono sempre fino all'alba. -
Perché? Avrebbe voluto chiedergli, invece con sua grande sorpresa
si limitò a: - Cos era? -
Come se gliene importasse davvero.
- Il
lago dei cigni di Tchaikovsky. - Si guardavano senza essere capaci di
smettere, le spalle si toccavano e Kojiro indossava solo una
canottiera intima con dei pantaloncini, era anche tutto spettinato
con alcune ciocche lunghe che gli coprivano un po il viso dai
lineamenti selvatici e stupiti. Non era imbronciato, arrabbiato o
seccato, sembrava un altro.
- Perché? - Ma la sensazione di riguardo
svanì, voleva saperlo e basta. Vide Jun soppesare la sua risposta,
esitare e poi -chissà perché vista la sua riservatezza- rispondere
piano: - E' l'anniversario della morte di mia madre. Adorava questa
opera, ce la suonava sempre. - E poi, anche se per caso avesse voluto
-cosa improbabile- non avrebbe avuto più il tempo di aggiungere
altro. Le labbra di Kojiro calarono veloci e impulsive sulle sue
premendosi e impedendogli di muoversi.
Stette fermo immobile così,
senza toccarlo né violare la sua bocca oltre, gli rimase la
curiosità di assaggiare il suo sapore così come quella di provare
che sensazione gli avrebbe dato la lingua sulla sua.
Dopo aver agito
d'impulso come ormai aveva preso gusto a fare, era andato in tilt
dimenticandosi di ogni cosa, specie di pensare.
Quelle labbra ben
disegnate erano morbide ma fredde, chissà se almeno un po gliele
stava scaldando...
Fu una domanda fugace che ebbe prima di avere l'impressione di essere
nel posto più bello dell'universo.
Non aveva
mai baciato nessuno e nessuno aveva baciato lui. Gli era capitato di
vedere una volta un paio di pubblicità alla televisione dove due lo
facevano e pensava di aver capito più o meno come funzionava, ma non
aveva mai avuto ben chiaro tutti i passaggi. aveva pensato che una
volta iniziato il resto sarebbe nato spontaneo, ma lì di spontaneo
fu solo il blocco più totale, il panico e lo scioglimento di ogni
argine, un fiume in piena che straripava, la scoperta di un mondo
intero che prima aveva immaginato, certo, ma non così grande, vario
ed incredibile.
Kojiro, con sorpresa, shock e meraviglia, aveva
appena scoperto la propria sessualità.
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Capitolo 5 *** Riflessioni nella mattina ***
Kojiro
cerca di capire cosa significa essere gay e intanto le sue scoperte non
sono ancora finite!
Ringrazio
sentitamente chi mi sta leggendo e commentando nonostante magari non
abbiano la mia stessa visione dei personaggi... Volevo solo dire che,
ad ogni modo, tutto questo prende il punto di vista di Kojiro e che
quindi certe cose sono sue, soggettive e non oggettive. Il personaggio
compie un suo percorso all'interno della storia e spero che proseguendo
sia sempre più chiaro. Ah, volevo anche dire che le sue somme sfighe
d'infanzia sono colpa (oltre del fatto che Kojiro soffre tanto bene),
anche del sogno che feci prima di iniziare la fic... l'orfano, nel mio
sogno, era davvero così sfigato come lui, a livello di vita vissuta
fino a quel momento... Ok, ora vi lascio leggere. Buona lettura. Baci
Akane
CAPITOLO V:
RIFLESSIONI
NELLA MATTINA
/Miscomunication
- Timbaland, Hilson & Sebastian/
Quando
si staccarono per bisogno di riprendere fiato, il tempo scorreva ancora
molto lentamente, sembrava tutto sospeso in una dimensione a parte,
alla penombra, davanti ad un pianoforte, con ancora un’atmosfera strana
creata da qualche nota malinconica ed un bellissimo ragazzo.
Solo dopo un
paio di secondi in cui Kojiro era rimasto a fissare Jun perso ed
inebetito per quel che aveva appena fatto e provato, si rese conto che
l’altro non aveva risposto ma non l’aveva nemmeno respinto.
Poi Jun chiese:
- Sei gay? - Il
suo tono era delicato e non accusatorio, il ragazzo dai capelli mori
non si sentì in imbarazzo nonostante avrebbe dovuto, quindi pensandoci
non trovò risposta:
- Lo sono? -
Sperò quasi che l’altro sapesse anche quello.
- Ti è piaciuto
il bacio? - Fece allora Jun con calma e quasi dolcezza, continuando a
guardarlo negli occhi neri confusi e stupiti.
- Sì…
- Era vero.
- Lo rifaresti?
-
- Sì e anche
meglio! - Anche questo era vero.
- Allora lo
sei. - Semplice, terribilmente semplice. Come aveva fatto a non
arrivarci prima da solo?
- Ed è male? -
Però non capiva se doveva preoccuparsi o meno, non si sentiva
sbagliato, fuori posto o anormale ma con un angolino della sua mente
sapeva che forse avrebbe dovuto.
- Dipende dai
punti di vista… - Non aveva mai una risposta definitiva ed oggettiva.
- Dal tuo? - A
Kojiro premeva comunque conoscere il suo.
- No. - Si
sentì sollevato e si sentì anche stupido.
- Ma lo sei
anche tu? - Quasi convinto che fosse così, o forse solo sperandolo.
- No. - Gelo.
- No? - Aveva
sentito male?
- No. - No…
aveva sentito bene. Purtroppo.
Il gelo divenne
fuoco e lo sentì sulle sue guance e dentro al petto.
“Che
idiota che sono…”
Pensò amaro,
poi senza aggiungere nulla, provando finalmente quello che forse
avrebbe dovuto provare prima, una vergogna martellante, si alzò e se ne
andò veloce come una folata di vento.
Scoprire di
essere gay, di essere attratto da un ragazzo nello specifico, avere a
che fare improvvisamente con la propria sessualità e compiere stupide
smancerie non da lui, ma che aveva sempre sognato quando era chiuso da
solo in una sporca cantina ad immaginare il suo mondo ideale. Poi
scontrarsi con la dura realtà.
Nel mondo reale
le cose continuavano a non andare come voleva e a lui non rimaneva
altro che accettarle.
O combattere
per cambiare ciò che gli stava a cuore.
Il giorno dopo
l’avrebbe deciso.
Kojiro viaggiò
su un altro pianeta per tutta la mattina successiva, come se fosse
approdato sulla luna ed i suoi movimenti fossero rallentati. In realtà
appariva più pensieroso che mai e la verità era che non sapeva che
pesci prendere, nella maniera più assoluta.
Era gay?
Sì, pensava di
esserlo, dopo tutto aveva baciato un ragazzo… sempre che quello si
potesse considerare un bacio. Sicuramente avrebbe dovuto fare anche
qualcos’altro, ma non gli era venuto su altro sul momento, aveva solo
agito d’istinto.
Come ci si
sentiva ad essere gay?
Inizialmente
gli parve che tutti lo sapessero ma non capiva se dovesse essere un
male o meno… Jun non gli aveva dato una risposta specifica a tal
proposito e lui la sua infanzia l’aveva vissuta da recluso: più che un
bambino era stato uno schiavo, quindi la sua conoscenza del mondo e
delle cose era davvero limitata.
Non vedeva
comunque perché agli altri dovesse interessare se a lui piacevano i
maschi o le femmine… quindi lo stato ‘sul chi vive’ aveva subito
lasciato spazio a quello della scoperta e della ricerca.
Ricerca di ciò
che gli piaceva davvero, come e perché.
Gli piacevano
tutti i ragazzi?
In che misura?
Che istinti
basici gli provocavano e quali tipologie di persone lo stimolavano?
Oppure era
stato solo Jun Misugi l’eccezione?
Cominciò ad
osservare tutti i ragazzi, da quelli brutti a quelli decenti a quelli
più popolari e corteggiati, riconosceva le loro ‘categorie’
d’appartenenza e perché uno fosse bello ed un altro invece no.
Ma questo cosa
significava?
Mica avrebbe
voluto baciarli tutti…
C’era anche da
dire che con tutti quelli lui non ci aveva nemmeno mai parlato, forse
doveva scambiarci quattro chiacchiere per sentire la voglia di farci
qualcosa.
Dopo un paio
d’ore passate così, il cervello gli fumava e la confusione ingigantiva
come non mai, seccato per questo aveva deciso di mandare tutti al
diavolo e di vivere la vita così come gli veniva, continuando a
scoprire sé stesso e i propri gusti che per quattordici anni aveva
soppresso per sopravvivenza.
Ora poteva fare
tutto quel che desiderava ma prima di quello doveva scoprire cos’era
che effettivamente voleva fare.
La sua ricerca
di sé stesso e del mondo che voleva era appena all’inizio, ma ad ora di
pranzo subì una brusca fermata violenta che lo costrinse a giungere
momentaneamente alla fase della rabbia.
L’aveva sempre
cercato, ma non l’aveva mai trovato a pranzare con loro in mensa. Vero
era anche che lui, Hikaru, Ken e Takeshi arrivavano sempre tardi
rispetto a tutti gli altri, quindi probabilmente non beccava mai Jun
perché quello era sicuramente in anticipo.
Quel giorno
arrivarono piuttosto presto, i tavolini erano quasi tutti vuoti e c’era
una vasta scelta di piatti; nonostante i lati positivi, Kojiro dopo
sarebbe arrivato sempre tardi di proposito.
Gli venne quasi
un colpo quando lo vide andare a sedersi con il proprio vassoio in
mano. Rimase inebetito come un idiota, fermo, a fissarlo sorpreso
riscoprendo la sensazione di quella notte, ritrovandosi catapultato in
quell’atmosfera malinconica e surreale. Quasi gli parve di rivedere e
risentire il pianoforte nero a coda. Rivisse il contatto delle loro
labbra che gli era piaciuto, provò la voglia di rifarlo meglio, magari
toccandolo ed essendo più intraprendente.
Lì capì che
tutte le ore della mattina passate a cercare di capire cosa significava
essere gay, erano state inutili perché comunque quella stretta che
sentiva dentro alla bocca dello stomaco la provava solo in presenza di
Jun.
Era lui, non
tutti i ragazzi. Lui.
Magari
conoscendo qualcun altro che rispondeva ai suoi ancora inesplorati
gusti sarebbe potuto succedere altrettanto, chi poteva dirlo, però ora
come ora la sua prima cotta seria era decisamente per quel ragazzo che
gli aveva rivolto la parola per la prima volta.
Quanto idiota
si sentiva…
Da lì al gelo
fu un attimo.
Lo vide
sistemarsi su un tavolo, poi girarsi e prendere il vassoio della
ragazza che aveva dietro, quindi metterlo davanti al suo, prenderle la
mano e posarle un dolce e delicato bacio sulle labbra.
Rimase immobile
per un lungo attimo, non se ne rese nemmeno conto, si sentiva solo un
perfetto imbecille di attimo in attimo.
Dunque era per
quello che non aveva ricambiato, che non gli era piaciuto, che non
aveva reagito.
- Wow, ci sono
addirittura Jun Misugi e Yayoi Aoba! Che onore! - Sentì vagamente la
voce di Hikaru ironizzare.
- E’ come
parlare di due altezze reali! - Continuò Sawada ma senza scherzare,
profondamente ammirato e quasi sognante.
- Due fra le
altezze reali, vorrai dire… non sono gli unici ad essere dei pezzi
grossi! - Lo corresse Ken con meno interesse, proseguendo il percorso
del cibo.
- Sì, ma sono
quelli più amati! - Proseguì il piccoletto incurante del moto di
gelosia che Ken stava mascherando egregiamente.
Hikaru vedendo
lo sbigottimento di Kojiro che ancora li fissava spudorato, gli spiegò
con la sua solita ironia, divertito dalle diverse reazioni dei suoi due
amici:
- Gente come
Genzo Wakabayashi e Karl Hainz Schneider sono popolari e di una certa
importanza per la loro provenienza e la bravura con cui fanno certe
cose, ce ne sono un paio come loro. Ammirati ed in vista. Ma Jun Misugi
e Yayoi Aoba sono come il re e la regina, la coppia perfetta, quelli
più invidiati, ammirati, rispettati ed amati. Tutto quello che fanno
gli riesce bene e la storia del cuore di lui aggiunge un velo di
romanticismo in più alla coppia. Per molti vederli è come essere in
paradiso! Stanno insieme da molti anni e sono tutti sicuri che quando
si diplomano si sposeranno! - Lui non le pensava realmente quelle cose,
era ovvio, ma la maggior parte delle persone dell’istituto sì, quindi
era come una sorta di verità assoluta.
Kojiro rimase a
fissare quella bella ragazza elegante, distinta e dall’aria molto
dolce, dai capelli rossi che ricadevano morbidamente sulle spalle, gli
occhi verdi ed un fisico perfetto.
Su una cosa
Hikaru aveva ragione… l’invidia c’era, ma solo verso di lei.
Se avesse
potuto l’avrebbe cancellata dalla faccia della terra!
La rabbia
l’assalì prepotente e velenosa mentre lo divorava, la stessa che
l’aveva mantenuto in vita fino al giorno in cui l’assistente sociale
l’aveva portato via da quelle persone. Un’ira sorda alla quale si
trattenne con fatica, una voglia di prendere a pugni Jun che non gli
aveva detto che era fidanzato e che l’aveva quindi preso in giro.
Non l’aveva
fatto davvero ma a lui parve di sì e buttando il vassoio a terra,
ancora vuoto, creando un fragore che rimbombò per tutta l’ampia sala
mensa, facendo girare tutti i presenti stupiti, uscì infuriato
cominciando a scaraventare calci a tutti gli ostacoli sul suo cammino.
Solo Genzo,
alla fine, si rivelò utile poiché fu l’unico a rispondergli per le rime
e a proporgli un valido sfogo a suon di pugni che servì solo a
scaricarlo e a lasciarlo più arrabbiato di prima.
Con Jun aveva
chiuso!
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Capitolo 6 *** Corpo a corpo nel pomeriggio ***
*Ecco
qua un altro capitolo di questa fic... spero che continui ad
incuriosire e stuzzicare, qua si inserisce una nuova situazione, o per
lo meno nuova lo sarà dal prossimo capitolo ma forse qua si può capire
dove andrò a parare! Kojiro reagisce alla delusione per Jun e lo fa a
modo suo. Dai commenti vedo che il misterioso Jun crea molte reazioni
poiché è quello che si capisce di meno. Perché agisce come agisce? E'
poco chiaro e su questo non si discute, ma perché? Eh, per trovare le
risposte su di lui, dovrete aspettare ancora un po'! Finché non sarà
Kojiro a capirlo, nessuno potrà visto che noi seguiamo il bel tigrotto!
Grazie dei commenti che mi lasciate, sono felice che la fic piaccia.
Alla prossima. Buona lettura. Baci Akane*
CAPITOLO VI:
CORPO A CORPO
NEL POMERIGGIO
/Fake
it - Seether/
Di
bassi istinti da sfogare ne aveva accumulati a bizzeffe, ormai, e
sebbene quello fosse un suggerimento di Jun, realizzò che non c’era
nulla di meglio per scaricarli una volta per tutte.
L’idea di poter
fare qualche libero corpo a corpo lo allettava, non sarebbe stato
interrotto da seccatori e magari avrebbe anche trovato qualcuno di
degno con cui confrontarsi.
Gli bruciava in
effetti seguire il suo consiglio, ma alla luce dei nuovi eventi che
l’avevano reso più rabbioso ed intrattabile che mai, non pensava di
avere scelta: o un club di lotta o sarebbe impazzito!
Il pomeriggio
in cui si diresse nelle palestre, sembrava stesse andando ad un
funerale, la sua espressione era tetra e lugubre più di sempre. Aveva
anche quasi litigato con Hikaru… certo il ragazzo non era uno stinco di
Santo, ma c’era da dire che Kojiro aveva un gran bisogno di prendere a
pugni qualcuno.
Da quando si
era scoperto gay non aveva ancora capito bene cosa quello significasse
e soprattutto come avrebbe dovuto comportarsi, ma prima che potesse
comprendere bene ogni cosa aveva già ricevuto la sua prima delusione
sentimentale.
Era quello che
si provava, dunque… bè, si era detto subito, se era così provare
sentimenti che poi venivano pietosamente non corrisposti ed anzi
respinti, allora era meglio non lasciarli liberi!
Questa fu alla
fine la sua conclusione rabbiosa, ma ciò gli portò solo un ulteriore
accumulo di insofferenza.
Sbattendo la
porta, fece il suo ingresso nella palestra attrezzata per gli esercizi
fisici dove c‘era un ring per ogni genere di lotta, se non altro i più
popolari.
Nonostante
fossero discipline diverse, tutti si allenavano insieme e dedusse che
l’allenatore fosse anche lo stesso.
Un sacco di
ragazzi si esercitavano, chi ai macchinari, chi ai corpo a corpo delle
svariate tipologie di combattimento. Quello che catturò la sua
attenzione fu il ring da boxe. Come vide due ragazzi col caschetto
prendersi a pugni di sana pianta, i suoi occhi si illuminarono
istantaneamente. L’unica nota positiva, magari, sarebbe stata proprio
quella anche se era stata suggerita proprio da Jun!
Ricordandolo
fece una smorfia e seccato cercò l’uomo che comandava in mezzo a quella
gentaglia di muscoli in via di formazione per alcuni e già formati per
altri. Lo trovò, stava fermo fra i tappeti ad osservare alcune lotte,
aveva gli occhiali da sole pur essendo al chiuso, i capelli castani
ricci e corti, un po’ di barba sul viso serio e concentrato ed una
postura dritta, impettita e imponente a modo suo. Vestiva con dei jeans
chiari e una maglia nera attillata dalle maniche arrotolate, si capiva
aveva un bel fisico ma probabilmente era straniero.
Li individuava
subito quelli stranieri, pur non ne avesse mai avuto a che fare in vita
sua. O avevano dei colori inconfondibili, come nel caso del tedesco
Karl Hainz Schnaider, o avevano dei lineamenti del tutto diversi, come
nel caso di questo signore giovanile che ad occhio sarebbe dovuto
essere sui trent’anni.
Si fece avanti
senza il minimo timore, solo con la voglia di menar le mani senza
essere rimproverato e fermato, quindi lo chiamò.
Quando ebbe la
sua attenzione, lo vide avvicinarsi senza fare una piega, con pacatezza
e tranquillità, senza nemmeno sciogliere le braccia conserte.
- Sì? - Chiese
cordiale.
- Sono un nuovo
iscritto… mi chiamo Kojiro Hyuga. Da cosa comincio? -
L’altro rimase
perfettamente imperturbabile, quindi rispose:
- Ciao, io sono
Roberto Hongo, sono l’allenatore di tutti quelli che vedi qua. Inizia
col dirmi la disciplina specifica che vorresti fare. - Era quasi
freddo, in un certo senso, ma non lo si poteva proprio definire così
perché era comunque gentile e calmo. Però era distante, questo sì.
- Io… non ne ho
la più pallida idea! - Sbottò dopo averci pensato un nano secondo.
Questo fece fare una piega all’espressione controllata di Roberto che
però non si tolse gli occhiali, si limitò a sciogliere le braccia e a
puntare le mani ai fianchi.
- Non hai mai
praticato prima? -
- No! - Ringhiò
sulla difensiva come se lo accusasse chissà di quale grave mancanza.
- Bene,
scopriremo per cosa sei portato. Perché ti sei iscritto, comunque? -
Domande normali per un allenatore che si ritrova un nuovo membro nel
gruppo, questo però lo prese come un’intrusione inutile, come per dire
‘che diavolo sei venuto a fare qua, allora?’ e rispondendogli sempre
più sgarbato, disse gesticolando coi pugni pronti ad essere sparati
persino ad un adulto che gestiva i club di lotta.
- Perché ho un
po’ di rabbia da sfogare, ti dispiace? Non posso continuare ad usare
chi mi capita in corridoio come pungiball! - La rispostaccia
evidentemente piacque a Roberto che da dietro le lenti scure fece
brillare i suoi occhi verdi. Un tipo interessante, con personalità,
focoso e senza paura di nessuno, specie delle autorità.
- Perfetto. Ho
un’idea di cosa potrebbe fare per te… - Disse quindi senza la minima
turba riguardo l’atteggiamento astioso e maleducato del ragazzo. Questi
si sorprese di non essere ripreso, quindi rimase senza parole: -
Cambiati, mettiti comodo e leggero, poi ti daremo le divise adatte.
Scaldati un po’ velocemente e sali sul ring, ti faccio provare col
nostro esperto boxista. - Stupito di averlo sentito parlare tanto,
percepì un forte odore di sigaretta ma non gli interessò.
Attaccando come
faceva sempre, invece di essere respinto era stato accettato.
Sentì come un
moto di gioia, dentro di sé, e si sentì stupido per quello ma non
riuscì a farne a meno.
Giorno dopo
giorno, qualunque cosa provasse, sia bella che brutta, gli permetteva
di capire cosa fosse la vera vita, quella di cui era stato privato per
tutti quegli anni.
Tutto quel che
viveva, anche le delusioni e le arrabbiature, erano degne di essere
vissute, dopo tutto.
Erano libertà.
Pensando che
quel tipo non era poi male, anzi, forse era il più decente in assoluto
fra gli adulti incontrati fino a quel momento, andò a prepararsi negli
spogliatoi, mettendosi con dei comodi pantaloni corti ed una
canottiera.
Sapeva che
avrebbe sudato e non chiedeva di meglio.
Dopo un
riscaldamento veloce, si diresse al ring, come gli aveva detto
l’allenatore, e prendendo il caschetto protettivo in gommapiuma, il
paradenti ed essersi fatto sistemare le mani coi guantoni e tutto il
necessario, salì sopra infilandosi fra le corde spesse.
Già il gesto di
fare quelle cose gli provocò una certa emozione che di nuovo lo fece
sentire idiota ma felice.
Provare certe
cose non era da lui e quasi quasi si era dimenticato il motivo per cui
era venuto in quella palestra del Toho.
- Allora, non
ti spiegherò ancora nessuna regola. Combatti liberamente ad istinto,
fai quello che ti viene sul momento e non preoccuparti, hai davanti
quasi un professionista che comunque ha solo tre anni più di te. Avrà i
dovuti riguardi. Dobbiamo capire se la boxe fa per te. - Sentì ancora
una volta Roberto parlare più di quel che si potesse immaginare, ma
rimase serio anche se con quella luce strana negli occhi, nascosti
ancora dalle lenti scuri.
Il giovane che
stava già sul ring davanti a lui non era molto più alto di lui, era
solo coi pantaloncini corti, per il resto era nudo. I guantoni rossi
sulle mani e il caschetto protettivo in testa. Quell’aggeggio lo
copriva abbastanza da non fargli vedere bene il viso ma guardandolo
ebbe subito l’impressione di conoscerlo.
“Certo
non sarà Jun che soffre di cuore!”
Si disse
schernendosi per stendere i nervi.
Era ancora
emozionato ma impaziente di cominciare.
Quando
sentirono il via, lo vide saltellare con un certo ritmo incalzante che
andava via via in crescendo. Senza rendersene conto si mise a fare
altrettanto. Non lo imitava di proposito, però alla fine lo fece ed
anche se gli venne naturale, dimostrò una capacità di adattamento verso
uno sport che non aveva mai praticato che fu rivelatrice per Roberto.
Anche la posa
del corpo la prese alla perfezione e in pochi istanti sembrava che lo
facesse già da tempo.
Certo andava
sistemato, si vedeva che non sapeva effettivamente come doveva mettersi
davvero e cosa dovesse fare, però erano cose che si mettevano a posto
in fretta.
All’esortazione
dell’allenatore di attaccare, Kojiro non ci pensò un attimo e cominciò
caricando il primo colpo come il classico dilettante. Fu schivato
velocemente, ma quello che stupì tutti, partner e allenatore, fu la
forza che ci aveva messo. Così, grezzamente, senza un allenamento
mirato, senza una spiegazione di come si tiravano i pugni per renderli
efficaci, non era per niente male.
Si capì subito
che era abituato a menar le mani.
Avendo ricevuto
dei trattamenti brutali sin da piccolo, aveva imparato ad imitarli alla
perfezione. I suoi erano pugni disperati, di rabbia e di difesa, in un
certo senso; nulla di ragionato e professionale. Roba vera al cento per
cento, c’era differenza fra quello e la boxe.
Paradossalmente
Kojiro non combatteva con metodo e quindi era meno efficace, però lo
faceva con crudezza. Erano colpi reali, quelli che lanciava, non
diretti finti fatti solo per una disciplina di lotta.
Guardandolo
così Roberto capì perfettamente il tipo di vita che doveva aver vissuto
e cosa gli dovesse essere successo e ne rimase doppiamente colpito.
Kojiro dal
canto suo si stupì e si indignò di non essere riuscito a mettere a
fondo nemmeno un colpo, ma fu peggio vedere che l’altro si limitava a
schivare e che non ricambiava. Certamente si credeva troppo bravo per
lui.
Con stizza
cominciò a fissarlo più male che mai ed espressivo com’era, presto il
partner capì che il moretto ce l’aveva con lui perché non faceva
seriamente.
- Non
prendertela, ma se ti colpisco sul serio ti fracasso! - Disse con
ironia cercando di rabbonirlo e alleggerire la situazione. Fece
solamente peggio.
“Dove
diavolo l’ho già sentita questa voce del cazzo?”
Si chiese
Kojiro continuando come un carro armato; all’ennesimo nulla in
risposta, sbottò:
- Non
preoccuparti di me, pezzo di merda! Fai quello che fai con tutti! -
Essere trattato con riguardo per lui equivaleva ad un umiliazione
grandissima e sarebbe stata la tortura peggiore, di quella nuova vita.
A quelle parole
l’altro fu come se lo riconoscesse e fu esattamente per quello che il
riguardo che effettivamente aveva, lo mandò completamente nel cesso
dicendosi che a sapere di chi si trattava, l’avrebbe reso in poltiglia
molto prima.
Capendo però
con un angolino minuscolo del suo cervello che lo sbruffoncello che
aveva davanti era un pivello, lì sul ring, nel mondo della boxe, si
limitò ad un solo pugno ben piazzato che gli lasciò un gran bel segno.
Stordito Kojiro
indietreggiò rendendosi conto in un secondo momento di essere stato
colpito davvero.
Questo invece
di calmarlo o placarlo, lo montò ulteriormente e come non sentisse
minimamente il dolore, ringhiò:
- Questo non
era niente confronto a quelli che ho ricevuto in vita mia! - E così
dicendo caricò con una tale velocità e rabbia che lo resero quasi
irriconoscibile.
Di sicuro
dietro a quel caschetto qualcuno ci aveva visto, ma non un giovane
sconosciuto, bensì un uomo adulto che l’aveva cresciuto a suon di calci.
Immaginando di
poter ritornare tutto il dovuto, Kojiro colpì l’altro con una tale
forza, velocità e precisione da lasciare tutta la palestra in silenzio.
Tutti si
fermarono guardando esterrefatti la scena.
Fare a pugni
nei corridoi era una cosa, riuscire a colpire il loro campione di boxe
sul ring era decisamente un’altra.
Non cadde,
rimase perfettamente saldo sulle gambe, ma si trovò stordito per il
fatto in sé di essere stato colpito da un pivello quando lui invece era
calato nella parte del pugile serio.
Quando era
fuori da quella palestra non era un campione di nessuna disciplina di
lotta, ma solo un ragazzo che se provocato faceva qualche rissa di poco
conto con chi, per puro caso, riusciva a colpirlo. Non si impegnava
nelle risse, se l’avesse fatto sarebbe stato troppo letale, per questo
aveva imparato a separare totalmente il campione di boxe dal ragazzo
comune.
Però quando era
su quel ring, col caschetto e i guantoni, lì diventava il letale pugile
impossibile da colpire.
Quel giorno
ogni sua convinzione fu mandata nel cesso dall’ultimo arrivato, ma il
sapore del suo pugno fu come se glielo avesse fatto riconoscere.
All’ok di
Roberto, un Roberto straordinariamente sorridente, anche se non in
maniera eccezionale, il campione si tolse di scatto il caschetto e lo
guardò male sputando a terra il paradenti.
Rivelò
finalmente i suoi capelli corti, mossi, spettinati e neri, i suoi occhi
altrettanto scuri ora si vedevano meglio come i lineamenti tenebrosi ed
imbronciati.
Genzo
Wakabayashi era davanti a lui e Kojiro, sorpreso di avere proprio lui,
si tolse a sua volta il caschetto rivelando la propria identità.
Si guardarono
fermi, fissi in cagnesco, come a sbranarsi.
- Se avessi
saputo che eri tu ci sarei andato giù ancora più pesante! - Sentenziò
acido Genzo con ancora i muscoli tesi dove le goccioline di sudore
correvano delineando il suo fisico sportivo e ben allenato.
- E’ per questo
che ti sei deciso a colpirmi, alla fine. Perché mi hai riconosciuto! -
Sbottò Kojiro sicuro di sé avvicinandosi all’altro pericolosamente.
Pochi centimetri li separavano ed anche quest’ultimo aveva un gran bel
corpo, considerando che non si era mai allenato in vita sua e che aveva
solo quattordici anni.
- Certo. - Fece
l’altro incisivo senza la minima paura. Un scintillio quasi sensuale
nello sguardo acceso e prepotente.
Kojiro avrebbe
voluto cancellarlo, eppure non poté negare lì su due piedi che la
situazione tutto sommato non gli dispiaceva.
Fu quello che
decretò la definitiva conferma riguardo i propri gusti sessuali: Kojiro
Hyuga era innegabilmente gay!
Questo però non
toglieva che anche se era attratto dai ragazzi e nella fattispecie da
alcuni in particolare, non potesse anche odiarli.
- Ragazzi,
riprendete ad allenarvi! - La voce di Roberto si alzò sopra tutte
riportando gli altri ai propri doveri, fra cui anche un certo biondo
tedesco dall’aria glaciale che faceva judo. - Kojiro, Genzo, venite
qua. - Dopo uno scambio severo a vicenda, i due si decisero a
raggiungere l’allenatore che, senza pietà, continuò esponendo la sua
idea crudele: - Visto che vi conoscete già e che Genzo è il nostro
esperto fuoriclasse di boxe, sarà lui a seguirti, Kojiro, e insegnarti
le basi che non hai. Ti metterai presto in pari con gli altri. Sei
portato per questa disciplina e nelle sue mani esperte farai faville. -
Roberto non
immaginava quanto.
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Capitolo 7 *** Esperimenti sotto la doccia ***
*Arriva
un nuovo capitolo di questa fic, ed io non vedevo l'ora di metterlo on
line questo, leggendo capirete perché. Protagonisti Genzo e Kojiro,
naturalmente. Immagino che in molti si siano chiesti che combineranno
ora che Genzo fa il sensei a Kojiro... se ne vedranno delle belle. Bè,
godetevi questo capitolo. Grazie a tutti quelli che leggono e
commentano, sono felicissima che la fic continui a piacere. Buona
lettura. Baci Akane*
CAPITOLO VII:
ESPERIMENTI
SOTTO LA DOCCIA
/Feeling
good - Muse/
Una
volta che Roberto si fu diretto dagli altri lasciandoli soli, Genzo
l’aveva guardato assorto profondamente cupo pensando probabilmente
peste e corna dell’allenatore, poi però uno strano pensiero gli si era
formato improvviso nella mente e mano a mano che prendeva aspetto
guardando le forme promettenti di quel giovane selvatico, il suo volto
subiva un netto e pericoloso cambiamento. Un sorriso sbieco, uno
sguardo sadico, un’aria di chi aveva avuto l’idea del secolo e che
questa idea non fosse poi molto pulita.
Kojiro si sentì
immediatamente a disagio davanti a quell’espressione, quindi di rimando
divenne più feroce di prima mentre lo insultava con gli occhi affilati
come rasoi.
“Cosa
diavolo ha in mente questo stronzo?”
Pensò senza
capire perché mai sorridesse a quel modo risultando, suo malgrado,
tremendamente sensuale!
- Ora sei nelle
mie mani! -
Finalmente si
decise a parlare e l’allievo credendo di aver capito male, disse
spontaneo un: - Eh? - strozzato.
- Sono il tuo
generale, farai tutto quello che ti dico, se vuoi imparare a boxare
come si deve! - Lo disse cercando intenzionalmente di pizzicare il suo
orgoglio e ci riuscì pienamente visto che la pelle abbronzata di natura
aveva subito un violento cambiamento in rosso vivo per la rabbia.
Eppure solo per
quella?
Non è che
magari Genzo aveva sparato quella frase come fosse una proposta
indecente e quindi Kojiro aveva delle semplici eccitazioni alle parti
bassi?
Qualunque cosa
fosse, senza ragionarci e per mascherarla il prima possibile, il
ragazzo più simile ad una tigre che altro, l’attaccò con un pugno
velocissimo che però fu scansato con i soliti prontissimi riflessi.
- Non così
caro! - Disse ammiccando maligno: - Queste mosse da rissaiolo
dimenticale quando sei qui dentro. Il pugilato è ben altra cosa! -
Kojiro rimase
imbambolato ad ascoltarlo, ma sempre infuriato. Avrebbe voluto dire che
l’aveva notato poiché c’era una differenza abissale da quando si era
picchiato con lui nei corridoi o in mensa, che sul ring gli era parso
completamente diverso. Gli avrebbe voluto chiedere come mai cambiava
così drasticamente e poi se gli avrebbe insegnato a fare le stesse
cose, ma pensando che così si sarebbe montato troppo la testa -più di
quanto già non l‘avesse era difficile- evitò limitandosi ad accusarlo:
- Non dovevi
avere riguardi quando ci siamo scontrati le altre volte! Solo perché
sono più piccolo e mi credevi inferiore non significa che tu debba
avere pietà! - La pensava così anche se, dentro di sé -molto dentro-
sapeva che non era vero.
Genzo sorrise
di scherno aspettandosi una cosa simile, quindi asciugandosi i
rivoletti di sudore dal viso con l’avambraccio in un gesto
inconsapevolmente sensuale, rispose con la sua perenne aria superiore:
- Non è una
questione di pietà ma solo di responsabilità. Se fuori di qua picchio
gli idioti come fossi sul ring, li distruggerei. Non è per questo che
faccio boxe. - Tuttavia percepì una certa serietà nelle sue parole,
Kojiro cominciò a sentirsi sempre più incuriosito da quel tipo
particolare anche se odioso.
- Comunque non
voglio che tu ne abbia più! Non voglio favoritismi del cazzo! -
Concluse con disprezzo forzato.
La verità era
che qualcosa si stava muovendo in lui.
Sfilandosi un
guantone, il più giovane prese il colletto della canottiera nera che
indossava e si pulì alla meglio il viso sudato, suscitando l’attenzione
dell’altro che già un paio di idee su cosa fare con lui gli giravano in
mente.
Quando finì, si
rese conto di essere guardato da Genzo con uno sguardo a dir poco
divoratore, quindi di nuovo la sensazione di disagio di prima lo colse
facendolo arrossire. Per mascherarlo gli avrebbe tirato un altro pugno
se non avesse saputo che sarebbe stato inutile. Si trattenne
limitandosi ad una smorfia, quindi grugnì uno sbrigativo: - Cominciamo?
- che non distrasse poi molto l’altro dalle sue riflessioni poco caste.
Kojiro si
accorse che evidentemente stava pensando qualcosa di sconcio su di lui
e si ricordò le parole di Takeshi sul suo conto: un maniaco che fa
sesso di continuo con chiunque, maschi e femmine.
Allora era
vero, realizzò.
Loro malgrado
l’allenamento iniziò e dovendo fare da insegnante, Genzo ci godette non
poco a fare il cattivo, insopportabile e saccente. Kojiro per poco non
gli tirò tutti gli attrezzi.
Definirli cani
e gatto era dire poco.
I litigi e gli
insulti non si sprecarono, ma il nuovo arrivato eseguì tutti gli
esercizi che il suo insegnante gli faceva fare, bevendosi e assorbendo
ogni insegnamento riguardo il pugilato. Voleva imparare tutto il prima
possibile per poterselo scrollare di dosso e non sentire più i suoi
fastidiosissimi ordini odiosi!
Le ore
pomeridiane di allenamenti finalmente terminarono, terminarono anche
quelle supplementari che Roberto aveva imposto a Genzo e Kojiro e i due
si ritrovarono a sera da soli negli spogliatoi.
Erano ormai
andati tutti via, allenatore, manager e compagni. Anche Karl se ne era
andato senza aspettare il suo amico, senza nemmeno dirgli nulla.
Non l’aveva
guardato un solo attimo alle prese con il nuovo arrivato, non aveva
dimostrato il minimo interesse per i suoi affari.
Probabilmente
non sarebbe cambiato niente, si disse Genzo apprestandosi a fare quel
che gli era girovagato per la testolina bacata per tutto il pomeriggio,
ma anche quello era un tentativo che valeva la pena fare.
Inoltre quella
tigre graziosa sembrava da svezzare. Tante risse per sfogare l’eccesso
che aveva dentro, di qualunque genere fosse, sicuramente rabbia ma non
solo. Ebbene c’era anche un altro sfogo che doveva imparare il moretto…
uno meno doloroso e decisamente più piacevole!
“Chissà
se è vergine…”
Si chiese
vagamente cancellando momentaneamente Karl dalla sua mente, senza porsi
l’eventuale problema del: ‘è gay o no?’
Infilò le dita
nell’elastico dei pantaloncini e con essi si tolse anche i boxer
attillati che portava. In un attimo si ritrovò candidamente nudo e
Kojiro catapultò ogni sua attenzione su di lui, come se al mondo non
esistesse altro che Genzo, il suo corpo nudo e le sue parti intime
belle in mostra.
Inghiottì di
nascosto trattenendosi quanto più poté dal fissarlo come un imbecille,
ma non era facile. Aveva il corpo più bello che avesse mai visto… anche
se doveva ammettere di non averne visti molti.
Con occhi di
brace lo vide entrare disinvolto in doccia e, prima di sparire
all’interno, ammiccargli limpidamente come lo invitasse a seguirlo.
Non lo
conosceva molto da dirlo, ma se ciò che tutti dicevano di lui era vero,
anche quello era da lui… prima trattare male una persona e poi farci
sesso.
Sesso… rimase
scollegato per un attimo a pensare a quella parola.
Non ci aveva
mai pensato, sapeva solo vagamente che erano cose da grandi, che era
piacevole e che si facevano i figli.
Uomini e donne.
Aveva beccato i
suoi genitori adottivi farlo un paio di volte, sapeva tecnicamente come
si faceva e probabilmente fra due uomini era più o meno uguale. Non
importava, avrebbe improvvisato.
E poco
importava se quello era l’odioso Genzo… quell’odioso Genzo aveva un
corpo divino, era esperto in quel settore e per imparare un po’ poteva
essere l’ideale.
Improvvisamente
l’idea gli parve decisamente buona e non si rese conto che da quando
era entrato in palestra quel pomeriggio, non aveva più pensato a Jun e
alle fottutissime delusioni amorose.
Riscuotendosi
si sfilò da sopra la canottiera incollata al corpo per il sudore, poi i
pantaloncini insieme ai boxer, quindi entrò in doccia.
Nella stessa
dell’altro.
- Ce ne hai
messo… - Borbottò Genzo con voce roca guardandolo nudo. Ci aveva visto
giusto, per essere uno di quattordici anni era davvero ben fatto!
Del resto lui
stesso ne aveva solo diciassette, in fondo, eppure il suo fisico
sembrava quello di uno di diciotto anni se non più grande!
In fondo
allenarsi ogni giorno come faceva lui sin dalla tenera età aveva dato i
suoi frutti anche in quel senso, presto anche Kojiro avrebbe messo su
ulteriore massa muscolare che l’avrebbe resto più perfetto e piacevole.
Lì però non si lamentò.
Era alto,
ugualmente atletico, la carnagione scura di natura e l’aria da tigre
selvaggia.
Gli piaceva
anche quel genere, però il ghiaccio per lui era impareggiabile.
Un giorno
sarebbe riuscito ad averlo.
Quando lo prese
per il polso, lo strattonò prepotente spingendolo sotto il getto della
doccia e contro le piastrelle del muretto.
Kojiro provò un
moto di ribellione a quel gesto di comando, ma la sua sicurezza gli
piacque. Come prima volta uno così ci poteva stare però lo sapeva bene
che a lungo andare non gli sarebbe più andato a genio. Il desiderio di
prevalere era grande in lui ma aveva bisogno di imparare.
Lo sentì
premersi a lui per dietro, il petto sulla schiena, le mani sulle sue,
il bacino sul sedere, il membro ancora morbido che però andava via via
sempre più indurendosi.
L’aveva
bloccato e si schiacciava addosso in quel modo, scivolando su e giù
sulla sua pelle resa liscia e lucida dall’acqua che cadeva sopra di
loro, bagnandoli entrambi, scaldandoli più di quanto già non lo fossero.
Poi la sua
bocca sul collo libero dai capelli neri, la lingua che beveva da quel
punto, che assaggiava facendogli rizzare tutti i peli del corpo. Quelle
sensazioni erano nuove e si chiese cosa mai avesse aspettato a
provarle.
Da quando la
sua schiavitù era finita aveva cominciato a scoprire una miriade di
cose e di giorno in giorno aumentavano vertiginosamente, nel giro di
pochissimo si era scoperto gay, innamorato, aveva ricevuto la prima
delusione d’amore -o quello che per lui era tale- e stava scoprendo le
gioie del sesso fine a sé stesso.
Che fosse
troppo presto per tutto non era contemplato.
Lui aveva fame
di vita e prendeva tutto quello che gli si presentava senza pensarci
minimamente.
Appoggiò la
fronte alla parete scivolosa, fra le sue mani coperte da quelle
dell’altro che gli leccava e baciava il collo audace. Poi le sentì
scendere lungo le braccia e arrivare sul suo petto, le dita si
serrarono sui capezzoli e dopo averli tormentati, glieli irrigidì.
Scesero sul ventre teso, sull’inguine sensibile, sul membro facilmente
eccitabile. La sua lingua invece risaliva soffermandosi sull’orecchio,
riservandogli un curioso e quanto più interessante trattamento.
Kojiro spostò
la testa tendendosi verso di lui in modo da dargli un miglior accesso.
Ormai chi gli
stava facendo quelle cose terribilmente piacevoli, non era più l’odioso
Genzo ma l’eccitante Genzo.
La mano serrata
nelle sue parti intime aumentava il ritmo del massaggio e insieme ad
essa i suoi respiri si facevano via via più corti e affannati. Si
mordeva il labbro pensando che… bè, che non sarebbe stato male fare la
stessa cosa a qualcun altro… qualcuno sempre composto ed elegante.
Fu la prima
volta che gli venne in mente Jun da quando era arrivato al club e
l’ondata di piacere che ebbe fu impareggiabile, la sua eccitazione
crebbe violentemente e con uno scatto incontrollato spinse la testa
all’indietro, premendo la nuca sulla spalla di Genzo che accolse il
gesto come un voler di più.
L’accontentò
girandogli il viso, quando l’ebbe verso di lui, senza smettere di
muoversi sulle sue parti basse che erano al limite, si impossessò anche
delle labbra mostrandogli com’era un autentico bacio vero.
Nel giro di un
istante Kojiro si trovò con la bocca invasa dalla sua lingua e capì che
intrecciandole insieme si creava qualcosa di altamente erotico e
piacevole.
Dunque erano
quelli i baci, si disse. Interessante.
Davvero molto
interessante.
Chiuse gli
occhi e capì che forse se quella sera avesse fatto così, magari Jun
avrebbe reagito diversamente e al pensiero di fare a lui quelle cose,
l’ondata l’investì definitivamente facendogli raggiungere il culmine
fra le mani di Genzo che, stupito, ebbe la conferma che quella per
Kojiro era proprio la prima volta.
Sorrise
soddisfatto stringendolo fra le braccia per non farlo cadere,
premendolo ulteriormente contro il muro bagnato, dandogli tutto il
tempo che gli serviva.
- Sempre
disponibile per il resto della lezione… - Disse con voce roca piena di
desiderio leccandogli l’orecchio, riferendosi sia alla boxe che al
sesso.
L’altro davanti
a sé registrò con una piccola parte la sua frase e non riuscì a darci
molto peso, anche se si rese conto di aver appena trovato l’America!
|
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Capitolo 8 *** Aiuto nello spogliatoio ***
*In
questo capitolo abbiamo un piccolo approfondimento di Genzo e del suo
rapporto con Karl, però è solo dal punto di vista di Genzo poiché si
imbatte in Kojiro... per sapere cosa diavolo passi per la testa di Karl
dovrete aspettare... (il seguito di questa fic, visto che qua non ho
fatto in tempo ad approfondirlo...). La prima scena, invece, è
distensiva. Ok, ringrazio fortemente tutti quelli che continuano a
leggere la fic e a commentare. So che ne sto torturando un paio con il
non far capire niente di Karl, ma suvvia... questa è la storia di
Kojiro! ^_- Al prossimo capitolo (che dovrebbe farvi ridere...) Buona
lettura. Baci Akane*
CAPITOLO VIII:
AIUTO NELLO
SPOGLIATOIO
/Moment
of surrander - U2/
-
Allora, come è andata la prima prova? - Chiese Hikaru a bruciapelo
appena vide Kojiro. Questi venne immediatamente e bruscamente
catapultato nel pomeriggio del giorno prima, all’allenamento di
pugilato che aveva fatto. E arrossì violentemente, seccandosi per
questo!
- Bene. Faccio
boxe. -
- Come
Wakabayashi! - Esclamò entusiasta Takeshi.
- E’ vero… come
va con lui? - Incalzò allora incuriosito l’altro amico.
Kojiro fece una
grande fatica a non soffocarsi con la propria saliva, suo malgrado
riuscì a rimanere serio e rispose:
- Lo prenderei
a pugni dalla mattina alla sera, ma ha un lato interessante… - Non ci
aveva pensato poi molto alla risposta, gli era venuta spontanea ma alla
conseguente domanda di Hikaru: - Sei gay? - si rese conto di aver detto
qualcosa di troppo e accendendosi attaccò non sapendo quanto in effetti
potesse fidarsi di quei tre che aveva conosciuto da poco:
- Che c’entra!
Apprezzare un lato di un ragazzo non significa essere gay! -
- Ah si? E qual
è questo lato che ti piace di Genzo? - Chiese con malizia il giovane
dai capelli castani. Kojiro ci pensò: non poteva certo dire che era il
sesso!
- Bè, è forte…
- Fece allora vago, insicuro se fosse una risposta adeguata. Quando
sentì Takeshi dire a sua volta con l’aria più sognante di questo mondo:
- Già… - capì che aveva proprio detto qualcosa di sbagliato.
Ken guardò il
proprio compagno più male che mai, mentre Hikaru lanciava vittorioso
un’occhiata eloquente all’amico che si rassegnò e seccato esclamò
esasperato:
- Ok, sono gay,
e allora? Problemi? - Tanto valeva ammetterlo a quel punto, ormai.
L’avevano già capito da soli!
Non era ancora
certo che fosse un male rivelarsi agli altri per quello che era, vedeva
che all’incirca tutti quelli come lui cercavano almeno un po’ di
mascherarlo e non ne capiva il motivo, che male c’era ad essere gay?
Però dedusse che un motivo ci doveva essere e istintivamente si era
trovato a fare altrettanto. O per lo meno a tentare.
Hikaru rise di
gusto mentre Takeshi non si era minimamente accorto dell’accaduto e si
chiedeva come mai Ken lo fissasse come per ucciderlo.
- Dev’essere la
camera… la diciassette ha la fama di essere stata solo di gay! Anche
adesso tre su tre, è anormale! Credo che sia maledetta… - Rincarò
divertito l’unico che stava capendo cosa accadeva.
Kojiro sospirò
spazientito:
- Ma che cagate
dici? E poi che male c’è ad essere gay? - Lui davvero non lo sapeva e
sperava che qualcuno finalmente lo illuminasse.
- Niente. Per
me niente. Sono amico loro… - Indicò i due al loro fianco che cercavano
di comunicare, o per lo meno uno cercava di farlo e l’altro di non
farlo. - Ma purtroppo in molti lo considerano anormale, strano, brutto,
contro natura e tutte queste palle qua! -
- Oh… - Rimase
senza parole la tigre che non si era minimamente aspettato una cosa
simile. Aveva avuto il vago sospetto che potesse essere come diceva
Hikaru, ma averne la conferma gli fece capire che era meglio tenersi i
fatti propri per sé, come aveva sempre fatto in vita sua.
Non chiese come
mai la gente fosse così indietro, era sicuro non ci fossero risposte a
quello.
Esaurito
l’argomento poté sentire Takeshi chiedere preoccupato al proprio
compagno:
- Perché sei
così silenzioso? - Non si era realmente accorto della gelosia del suo
ragazzo che ora guardava a braccia conserte da tutt’altra parte. - E’
per via del club di lotta? Ti manca il karate? - Lo disse probabilmente
così convinto da dimenticarsi che quello era un argomento tabù, infatti
come pronunciò quel nome Ken scattò con lo sguardo verso il piccoletto
e visibilmente irato urlò incontrollato:
- COSA DIAVOLO
C’ENTRA IL KARATE? QUANTE VOLTE TE LO DEVO DIRE CHE NON DEVI PIU’
PARLARNE? - Così sbraitando in una scenata che non era assolutamente da
lui visto quanto calmo, riservato e controllato fosse sempre, se ne
andò via spedito lasciando un dispiaciuto Takeshi a sospirare
contrariato insieme ad uno stranamente serio Hikaru e un annichilito
Kojiro.
Poco dopo il
primo dei tre seguì il proprio compagno sparendo fuori dalla mensa in
cui si trovavano per la colazione.
Gli ultimi due
rimasti soli si guardarono e non servirono le parole per capire che il
moretto voleva capirci qualcosa. Allora l’amico l’illuminò scontento:
- Ken era un
campione di karate, nella sua categoria, ma per un brutto infortunio ha
dovuto mollare. Ora è guarito ma non ha voluto riprendere per paura di
non essere più alla forma di un tempo. Naturalmente questo è il mio
parere, ufficialmente dice di non essersi mai ripreso. - Un’altra
storia, quella, sicuramente interessante che per un momento fece
dimenticare tutto a Kojiro mentre si chiedeva come mai non ci volesse
nemmeno riprovare se ci teneva così tanto da scattare in quel modo.
I suoi pensieri
curiosi furono richiamati da un’altra storia ancora che si stava
sviluppando a qualche tavolo di distanza… anche Genzo stava alzando la
voce insofferente verso Karl che, tanto per cambiare, non reagiva e non
diceva assolutamente nulla.
- QUANDO LO
CAPIRAI CHE E’ COME DICO IO? - Tutti quelli che prima avevano fissato
curiosi Ken e Takeshi, ora si misero a fissare Genzo e Karl. Agli
sguardi di tutti puntati addosso, il biondo si alzò e gelando il moro
in un silenzio perfetto, se ne andò lasciandolo solo. Un istante e
Kojiro vide tutti i muscoli ben formati di Genzo tendersi e gonfiarsi,
vide addirittura le vene pulsare sottopelle e il colorito diventare
pericolosamente rosso. Quindi notò che si mordeva il labbro fino a
farselo sanguinare, contraeva la mascella facendola tremare e
tratteneva il respiro dalla rabbia.
“Ora
spacca tutto!”
Pensarono i
presenti impalliditi davanti a quella scena.
Senza
deluderli, evidentemente avevano già assistito a piazzate simili, Genzo
esplose dopo essersi trattenuto un po’ e con un pugno incrinò di netto
il tavolo che colpì, quindi sgusciò via veloce come un vento furioso.
- Ma che
succede a tutti, oggi? - Fece allora Hikaru costatando che
effettivamente nell’aria sembrava esserci qualcosa di strano.
L’attività di
club quel pomeriggio fu dettata dal malumore di Genzo che limitandosi a
sbraitare a Kojiro di usare gli attrezzi e -testuali parole- ‘non
rompergli i coglioni’, si era occupato del sacco da boxe tutto il tempo
ininterrottamente, furioso, letale, senza un attimo di respiro,
riducendosi ad un fiume di sudore e muscoli tremanti che non ce la
facevano più per lo sforzo immane a cui erano sottoposti.
Nessuno osò
contraddirlo, avvicinarsi o dirgli mezza parola, l’osservavano dal
posto più lontano possibile un po’ ammirati per lo spettacolo
affascinante a modo suo, un po’ allarmati di poter finire al posto del
sacco.
L’unico che non
lo fissava minimamente era Karl che continuava la sua attività di judo
come niente fosse.
Eppure era
chiaro che l’ira di Genzo fosse per lui, dopo che tutti li avevano
visti in mensa. Quali che fossero i loro affari specifici, perché
avessero litigato e cosa ci fosse dietro a quei comportamenti, nessuno
lo sapeva ma tutti avrebbero fatto carte false per venirne a
conoscenza, cosa che non sarebbe mai successa. Il fatto che Genzo si
era vantato con Karl della sua ennesima ‘conquista sessuale’, cioè di
Kojiro, e che il biondo gli aveva detto glaciale che non gliene
importava nulla, nessuno l‘avrebbe saputo. Come nessuno avrebbe mai
saputo che Genzo allora l’aveva accusato per l’ennesima volta di fare
solo finta di fregarsene, per ripicca del fatto che lui si portava a
letto tutti, in realtà era geloso poiché innamorato.
Karl da quel
lato non ci aveva mai sentito, aveva sempre negato con freddezza senza
mai dimostrargli nulla.
Genzo non lo
poteva sopportare.
A Kojiro era
bastato pochissimo per farsi un’idea della situazione fra i due, ma non
si era addentrato più di lì. Era impossibile dire chi dei due avesse
ragione, Karl era impenetrabile.
Affascinato
dalla furia di Genzo e dall’ardore con cui si imponeva sulla persona di
cui era evidentemente perso, vivendo i propri sentimenti a pieno senza
vergognarsi o nasconderli, immaginò che dopo tutto non sarebbe stato
male fare altrettanto.
E gli venne di
nuovo in mente Jun.
Un’idiota ed
infantile cotta per il ragazzo all’apparenza perfetto, in realtà solo
uno stronzo che giocava coi sentimenti degli altri: perché non riusciva
a liberarsene? Non riusciva proprio a capirlo.
Per tutto
l’allenamento pomeridiano Genzo non aveva avuto pietà di sé ed aveva
colpito sempre più forte il sacco. Alla fine delle ore era dovuto
intervenire Roberto a fermarlo e dirgli che aveva concluso e che doveva
andare a lavarsi e a riposare. Non gli aveva detto altro ma aveva
parlato togliendosi gli occhiali scuri, cosa che non faceva mai.
Guardarlo
diretto coi suoi occhi verdi penetranti forse era bastato a scuotere
Genzo e a farlo obbedire, poiché sconfitto si era diretto rabbioso
negli spogliatoi insieme a tutti gli altri ragazzi.
Karl era stato
il primo ad andarsene.
Quando il
giovane dai corti capelli neri tutti sconvolti e appiccicati alla testa
e sulla fronte l’aveva notato, si era fatto cadere stancamente e
pesantemente su una panca, si era preso il viso fra le mani
nascondendolo e aveva appoggiato i gomiti sulle ginocchia. Fermo
immobile, senza quasi respirare, come dormisse o cercasse di passare a
miglior vita.
Nessuno lo
toccò, nessuno gli parlò, tutti lo guardavano curiosi e pieni di timore
di diventare il suo sfogo.
Kojiro
osservava catturato cominciando a capire come si vivesse i propri
sentimenti e le delusioni amorose. Guardandolo stava giungendo alla
conclusione che lui non amava Jun anche se ne era ancora ossessionato
visto che finiva costantemente per pensarci in un modo o nell’altro.
Cosa fosse,
però, ancora non ne aveva proprio idea, ma certo non la stessa cosa che
Genzo provava per Karl.
Quel tipo così
sbruffone, odioso che solitamente trattava male tutti solo per
evidenziare quanto migliore fosse, solo perché viziato, solo perché
gonfio di sé, vederlo così abbattuto e cupo era sconvolgente ed
affascinante.
Kojiro fece
passare di proposito molti minuti al termine dei quali si ritrovò
unicamente con Genzo ancora seduto in quella posa. Non sapeva cosa
voleva fare, semplicemente aveva voluto stare da solo con lui.
Ora poteva, era
libero, niente lo obbligava più a non fare qualcosa!
- Rimarrai qui
tutta la notte? - Disse la prima cosa che gli venne in mente senza che
gli interessasse davvero. Poteva anche farci le radici, negli
spogliatoi.
Genzo non
rispose e ormai Kojiro aveva finito tutto, gli mancava solo di
andarsene e doveva ammettere che provava anche un certo languore allo
stomaco…
- Dovresti
rassegnarti. - Non aveva fatto chiaramente capire la situazione che
stava vivendo con Karl, eppure a Kojiro, uno nemmeno molto sveglio per
certi lati visto come aveva vissuto fino a quel momento, era apparso
chiaro. Forse perché anche lui stava vivendo una delusione, una presa
in giro o quel che poteva essere.
Non era da lui
dire di arrendersi, lui che nella vita non l’aveva mai fatto e che
proprio per quello ora era capace di andare avanti nel modo che voleva,
costruendosi giorno dopo giorno il suo mondo, suo e solo suo.
Non lo era,
però lo disse e forse lo fece solo perché lo trovò patetico in quello
stato, distrutto per uno che non lo calcolava e che non ci pensava
minimamente piantandolo in asso così.
- Io sono al
limite. - Mormorò Genzo lugubre come se Kojiro non avesse detto nulla e
magari non fosse nemmeno lì. La voce bassa e cavernosa giunse
roca all’altro che rabbrividì zittendosi.
Conosceva
quella sensazione. Forse non sapeva esattamente cosa significava amare
come amava Genzo, fino a ridursi in quello stato, però sapeva
perfettamente cosa significava essere al limite. Al vero limite.
E lo vide che
era vero e che non era una frase tanto per dire.
Lui ci era
arrivato per motivi diversi, più gravi, magari, ma non poteva giudicare
se quelli di Genzo fossero cazzate. Come poteva dire se disperarsi per
amore era una stupidaggine confronto al disperarsi per sopravvivere?
Probabilmente
dipendeva da quell’amore. Da quanto grande, vero, sincero, profondo e
totale fosse.
Se diventava
l’unica ragione di vita, magari, si poteva arrivare al fondo.
Kojiro era più
serio che mai e nella mente rivisse tutte le volte che anche lui
l’aveva creduto, l’aveva creduto così fortemente che aveva solo cercato
un modo per farla finita.
Un bambino che
cerca il suicidio.
Oh, se si era
trovato a quel punto… ma se ce l’aveva fatta lui, potevano farcela
tutti.
- Lo credi tu
di esserlo. In realtà ti rimane ancora una forza. Quella di risalire. E
credimi che io sono l’unico che può dirtelo. - Ci fu un attimo di
silenzio durante il quale le sue parole serie echeggiarono fra le
pareti penetrando Genzo che non respirava più. - Ce la farai. -
Concluse così, senza dargli risposte specifiche o soluzioni di alcun
tipo. In fondo non ne aveva.
Sapeva solo
quello.
Che ce
l’avrebbe fatta.
E non era un
augurio o uno sprone.
Era la realtà.
Genzo lo capì
che lo disse non perché lo sperava ma perché lui lo sapeva.
SAPEVA che ce
l’avrebbe fatta.
Quando per una
frazione di secondo la sua mente gli mise da parte Karl e i suoi
problemi, realizzò che quel ragazzino antipatico doveva aver vissuto un
bel po’ di cose terribili per essere così e poi parlare in quel modo.
Alzata la testa
di scatto per vedere la sua espressione -perché improvvisamente ci
teneva mostruosamente a vedere che faccia avesse- lui già se ne era
andato silenzioso, senza nemmeno farsi sentire, veloce, come fosse
stato tutto un sogno.
Eppure la porta
dondolava ancora, il suo profumo era presente, i passi risuonavano nel
corridoio fuori.
Però una volta
solo, Karl tornò prepotente nella sua mente.
Ce l’avrebbe
fatta, ma come?
Non sapeva
davvero più dove sbattere la testa, le aveva provate tutte.
Forse rimaneva
davvero solo arrendersi.
Forse era
arrivato il momento di farlo veramente.
Ma
come?
|
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Capitolo 9 *** Guai per i corridoi ***
*Buongiorno!
Ecco qua tutto per voi un altro capitolo di questa fanfic AU che,
annuncio annuncio, E' ORGOGLIOSAMENTE ARRIVATA SECONDA AL CONTEST A CUI
PARTECIPAVA su ELF... Come sono contenta! Ebbene per leggere i giudizi
(che però contengono spoiler sulla fine della fic) potete andare fra i
commenti in ELF.
(è quello più lungo inserito da Melanto) Dunque dunque
dunque... venendo a noi... quasto è uno dei capitoli che ha fatto più
ridere le giudici, quindi vi avverto che fra una cosa seria e l'altra
c'è spazio per un po' di demenza (non potevate dubitarne...). Non
anticipo altro se non che abbiamo un Genzo che non avete ancora
visto... ne approfitto per ringraziare tutti i commenti ed i
complimenti che mi arrivano per questa fic, sono felice che piaccia
tanto anche questo Genzo, stupita più che altro. Ok, auguro a tutti
buona lettura. Baci Akane*
CAPITOLO IX:
GUAI PER I
CORRIDOI
/
Lullaby - Editors /
Uscito
dal bagno per infilarsi a letto e andare a dormire, Kojiro si trovò ad
assistere ad un alquanto imbarazzante scenetta romantica che per poco
non gli fece venire il diabete.
Ci era andato
con una sorta di disperazione poiché i suoi due compagni di stanza
stavano ancora litigando e ne era uscito più disperato di prima poiché
stavano facendo pace.
Una pace molto
sdolcinata, a suon di baci e chiare intenzioni di andare oltre.
Non l’avrebbero
certamente fatto davanti a lui, ma non volendo metterli alla prova,
senza pensarci un attimo, prese e si defilò fuori dalla stanza così
com’era, in versione notturna, ovvero con dei pantaloncini corti neri
ed una canottiera bianca intima.
Una volta in
corridoio si guardò intorno, era notte anche se non tarda, non c’era
anima viva in giro ed il silenzio regnava.
Cosa fare, ora?
Andò davanti
alla camera accanto e bussò nella speranza che Hikaru non dormisse. I
suoi due compagni, tali Tsubasa Ozora e Taro Misaki, non gli andavano
molto a genio, si trattava di due che probabilmente, tanto per
cambiare, stavano insieme e spesso anche il suo amico aveva lo stesso
problema di fare il terzo incomodo, così era capitato che i due
andassero in piena notte a fare una passeggiata per la scuola a cercare
qualche guaio in cui cacciarsi.
Ne avevano
fatti un paio, ma nulla di serio.
Quando non
rispose nessuno pensò che probabilmente dormiva: quando era nel mondo
dei sogni nemmeno le cannonate lo svegliavano!
Sbuffò non
avendo idea di che ora fosse, si grattò il capo girandosi e guardando
il corridoio deserto si chiese seccato che diavolo potesse fare e
quanto tempo Ken e Takeshi ci avrebbero messo per fare le loro porcate.
“Potrei andare ad esplorare le
cantine… “ Quella era stata una delle incursioni notturne
che aveva fatto con Hikaru, si era divertito a vedere tutte le cose che
avevano sequestrato agli studenti e che per regolamento non potevano
starci. Si erano sorpresi a ritrovarsi in mano oggetti sessuali di
molti generi. Quelli più normali erano stati i vibratori e scatole di
preservativi a mille gusti, però poi c’erano stati anche cose come
frustini e manette.
Possibile mai
che la gente si facesse beccare dagli assistenti con quelle cose?
Non aveva mai
riso tanto.
In
quell’occasione Kojiro se ne era candidamente uscito con: ‘bè, anche
senza frusta si può fare lo stesso con la cintura!’. Hikaru lo aveva
guardato strano, come avesse intuito che si trattasse di esperienza
personale, ma non aveva detto nulla e l’altro era stato attento a non
fare più accenni simili.
Scese le scale
diretto ai sotterranei e giunto al piano terra si fermò sentendo dei
rumori di passi strascicati.
Si nascose
istintivamente nella rampa superiore in cui si trovava, accucciandosi,
quindi si sporse per vedere chi fosse e quando lo mise a fuoco nella
poca luce che c’era, rimase interdetto credendo di avere le visioni.
Ad esibirsi in
buffi passi di un qualcosa che non poteva certo definirsi danza, c’era
niente meno che un Genzo irriconoscibile entrato dalla porta d’ingresso
come niente fosse.
Guardò
l’orologio appeso sopra il banco di accoglienza e vide che era
mezzanotte, il coprifuoco era passato da un pezzo ma poi si ricordò che
lui era il figlio del direttore e che sicuramente poteva rientrare
quando voleva.
Tornò a
guardarlo e notò che aveva una bottiglia di qualche alcolico in mano e
da come si muoveva pesante, goffo e barcollante, capì che doveva essere
ubriaco fradicio.
“E
adesso che diavolo dovrei fare? Quello è uno stronzo, se mi becca in
giro a quest’ora potrebbe anche dirlo al suo paparino e farmi dare
un’altra punizione… ma se lo lascio così sveglierà tutta la scuola e mi
beccheranno in giro lo stesso!”
Ci pensò un
po’, poi nonostante gli pesasse non poco ammise che l’unica cosa logica
sarebbe stato afferrarlo, tappargli la bocca e portarlo di peso da suo
fratello.
Jun Misugi.
Vederlo di
notte sarebbe stato di nuovo sconvolgente, forse, ma non poteva negare
che anche se non era convinto, dall’altra era contento di avere una
scusa per irrompere in camera sua.
Sospirando si
alzò e scese le scale rivelandosi.
Quando Genzo lo
vide per poco non gridò il suo nome ai quattro venti: Kojiro fu un
fulmine ad arrivare per primo alla sua bocca e a impedirgli di farlo,
quindi tappandogliela deciso gli afferrò il braccio e iniziò a
trascinarlo con forza verso il primo piano.
Sapeva
perfettamente dove stava Jun.
Genzo provò
debolmente a divincolarsi, ma senza successo visto che non aveva forze
fra l’allenamento estenuante di quel pomeriggio e l’alcool che
circolava a litri nel suo corpo.
Mugolò mentre
lo trascinava, quindi affaticato per dover usare una sola mano per
reggerlo visto che l’altra doveva chiudergli la ciabatta che aveva al
posto della bocca, disse guardingo:
- Se non emetti
nemmeno una stupidissima sillaba, ti tolgo la mano, ma se urli, parli,
fai casino o mi aliti in faccia ti tolgo da questo mondo staccandoti la
testa a morsi! - Una minaccia efficace e simpatica che fece la sua
figura.
Genzo lo guardò
con un velo annebbiato davanti agli occhi oscuri, gli parve di essere
fra le braccia di una tigre feroce quindi decise di non ribattere e
annuì come un cucciolo innocente.
Liberatagli la
bocca, la prima cosa che sentì fu la puzza di alcool e si accorse che
stringeva ancora la bottiglia di vodka bianca mezza vuota solo quando
continuò a scolarsela.
- Pezzo
d’idiota! Smettila o chi ti regge più? - Effettivamente era quasi a
peso morto fra le sue braccia, non era molto leggero.
Con una certa
fatica pregò di arrivare presto nella camera di Jun, prima di uccidere
Genzo, ma proprio mentre lo faceva sentì le sue mani infilarsi sotto i
suoi pantaloncini e i boxer, giungendo direttamente al fondoschiena
sodo, modellato anche dagli allenamenti severi a cui si sottoponeva a
boxe.
- Mmm… è
migliorato da quella sera… - Biascicò con un tono non molto basso.
C’era del comico in quella situazione, specie nell’espressione di
pietra di Kojiro.
Normalmente non
gli sarebbe dispiaciuto essere preda del lato maniaco del bel tenebroso
stronzo, dopo tutto aveva un corpo da favola e ci sapeva fare con
quelli degli altri, ma lì era decisamente tutt’altra cosa.
- Non sono un
baby sitter, chi cazzo me lo fa fare di trascinare questo imbecille per
i corridoi? Dovrei piazzarlo davanti alla porta di suo padre, cazzo! -
Borbottò fra sé e sé mentre l’altro continuava ad esplorarlo cercando
di infilarsi con le dita più in profondità.
Camminare in
quelle condizioni non era facile ma ringraziò il Cielo quando raggiunse
la camera di Jun e bussando pregò di essere sentito.
Quando la bocca
libera e puzzolente di vodka di Genzo si chiuse sul collo sotto sforzo
di Kojiro che cercava di reggerlo e al contempo di non urlare, e in
contemporanea anche l’altra mano del suddetto, quella non impegnata col
suo didietro, si infilava nei pantaloni per avanti a raggiungere le
sensibili parti basse del giovane, la porta si aprì rivelando uno che
pareva più un fantasma che altro.
A Kojiro prese
provvisoriamente un colpo pensando di avere effettivamente davanti un
morto, mentre a Jun venne un principio d’infarto a trovarsi due ragazzi
che pomiciavano in maniera spinta davanti alla sua porta -e che
l’avevano addirittura chiamato per assistere alle loro maialate!-
- Ma che… -
Mormorò non capendo, poi Kojiro implorò spontaneo senza pensarci,
dimenticandosi che quello che aveva ad un metro era Jun, JUN, e non uno
qualunque:
- Ti prego,
aiutami… - Fu allora che li riconobbe e interdetto si riprese senza
comunque capire che succedesse.
Guardò calmo
l’ora:
- Ma è
mezzanotte passata… -
- Me ne sono
accorto! Prendilo, è tuo fratello! - Sbottò brusco muovendosi per
entrare anche se non era ancora stato invitato a farlo.
- Me ne sono
accorto… - Rispose alla stessa maniera ironico, quindi lo prese per le
spalle da dietro e lo tirò verso di sé.
Genzo a quello
si sciolse da Kojiro e come se col solo tocco delle sue mani delicate
capisse che si trattava di suo fratello, si girò aggrappandosi a peso
morto al suo collo non molto forte.
Jun si piegò
non aspettandosi tutto il suo dolce peso e non cadde solo grazie a
Kojiro che prontamente lo afferrò raddrizzandolo con forza.
- A-aiutami… -
Gli disse a fatica.
Fu un contatto
breve e scomodo che però gli diede mille scariche elettriche e gli fece
brutalmente rendere conto in che cosa si stava ficcando!
Imprecò
volgarmente e Jun credette lo facesse per Genzo. Uno per braccio, lo
trascinarono dentro nel letto del fratello che aveva una bella camera
tutta per sé.
Tirarono un
sospiro di sollievo una volta che si furono liberati di lui e il
proprietario della stanza una volta di nuovo in possesso di sé stesso,
chiuse la porta con un Kojiro dentro che sgranava gli occhi scuri,
fissandolo come se fosse impazzito.
Rimasero
entrambi in piedi a guardarsi in imbarazzo ed in silenzio, per lo meno
il moro pensò che anche Jun lo fosse quanto lui ma a vederlo uno non
poteva esserne sicuro visto che non faceva mezza piega.
- Ehm… ti va di
spiegarmi? -
Gli chiese
titubante. Il ragazzo chiamato in causa si scosse e spostò l’attenzione
su un Genzo ancora sveglio che cercava di scolarsi il resto della
bottiglia, quando Jun se ne accorse si fiondò a strappargliela di mano,
quindi una volta che l’ebbe consegnata all’altro in piedi dietro di lui
si sentì afferrare dal fratello che lo tirò giù nel letto. In un attimo
si ritrovò steso con l’esperto boxista ubriaco che lo abbracciava con
braccia e gambe, proprio come un koala.
- G-Genzo, che
hai? - Certo non si riferiva all’evidente fatto che fosse completamente
bevuto, ma al motivo.
Teneva il viso
nascosto sul suo petto avvolto dalla maglia sottile, morbida e liscia
di colore nero che Kojiro gli aveva visto addosso quella sera.
“Ma
in che situazione di merda mi sono cacciato?”
Pensò
rendendosi conto che quello stupido poteva anche sbandierare ai quattro
venti che avevano avuto un’avventura sessuale negli spogliatoi.
- Scusami… -
Biascicò allora sulla sua maglia, Jun gli mise una mano sulla fronte e
lo staccò dal suo petto per guardarlo in viso e ascoltarlo. Era
stralunato.
- Cosa? -
Chiese
dolcemente mentre lo circondava fraterno a sua volta, carezzandolo
appoggiato di lato sul gomito.
Gli scostava le
ciocche nere sudate dalla fronte, gli asciugava le goccioline che
cadevano furtive sul viso incupito, sembrava quello di un bambino
imbronciato.
Kojiro rimase
colpito da quell’atteggiamento e da quella scena, erano fratelli solo
da parte di madre ma lo sembravano anche da parte di padre. Non li
aveva mai visti particolarmente legati eppure lì erano un tutt’uno e
non solo… erano davvero belli, nonostante uno fosse ubriaco e l’altro
sembrasse un fantasma.
Era quella una
famiglia?
Se lo chiese
shockato mentre immobile in piedi davanti a loro li fissava sbalordito.
- Scusa… per
averti trascurato per quel pezzo di merda… non te lo meritavi… tu mi
sei sempre stato vicino, mi hai coperto con papà in tutte le mie
cazzate. Nell’unica cosa a cui tenevi, io ti ho voltato le spalle. So
che la mamma voleva che la ricordassimo con te che suonavi la sua
canzone ed io che ti ascoltavo, ma quella notte ho preferito cercare di
entrare nelle gambe di Karl, senza poi riuscirci. Ti ho deluso. E anche
dopo, ho preferito cercare di far ingelosire il gelatino con quella
tigre del cazzo piuttosto che ascoltarti. Tu mi hai sempre dato buoni
consigli, mi hai sempre ascoltato, mi hai sempre detto di non fare il
coglione, ma io ho sempre fatto di testa mia ed ora mi vergognavo a
venire di nuovo da te a chiederti ancora aiuto, a dirti che non sapevo
come venirne fuori, dove sbattere la testa, come dimenticarlo. Però
eccomi qua e non so andarmene perché ho ancora bisogno di te, anche se
so che non ti merito e che sono uno stronzo egoista. Non ti sono mai
stato vicino anche se tu c’eri e ci sei ancora. Sono un peso per te. Ma
io ti voglio bene. Sei la mia parte pulita. Non lasciarmi mai perdere.
Potrai mai perdonarmi? -
Il lungo
monologo confuso e biascicato penetrò Kojiro come un pugno allo stomaco
mentre Jun si limitò a sorridere dolcemente. Non l’aveva mai visto così
comprensivo, protettivo, così… fratello…
Più lo
conosceva, più gli piaceva e più questo accadeva, più si sentiva male.
Lui stava con
un’altra, non lo ricambiava.
Ma non poteva
proprio staccargli gli occhi di dosso o evitare di ascoltarli.
Erano belli in
un certo senso.
Ricordava
quando suo padre adottivo tornava ubriaco e picchiava tutti. Non
chiedeva mica scusa per le sue mancanze e la moglie non l’accarezzava
dolcemente, ma gli gridava dietro.
Invidiava
questi due.
- Non devi
scusarti, fra fratelli non serve. Lo so che ne sei innamorato e che non
è facile accettare di non essere ricambiati, so anche che prima di
arrendersi le si prova tutte. Mi piaci per questo, perché non sai darti
per vinto mai. So che ci sarai sempre e la mamma è più contenta quando
vede che vieni ogni volta da me a chiedere aiuto, piuttosto che quando
l’accontenti nei suoi desideri del passato. Stai tranquillo, dormi e
vedrai che supererai anche questo. Ti aiuterò io. -
Quelle parole
dolci e calde funsero da ninna nanna e cullarono Genzo verso un
tormentato e doloroso sonno.
Quando fu
addormentato, Jun scivolò giù dal letto silenzioso e sospirando rimase
ad osservarlo un po’ dispiaciuto immaginando cosa dovesse essere
successo, dopo si sistemò con le mani i capelli e il pigiama leggero
che indossava e si girò ritrovandosi davanti un Kojiro più cupo che mai
di cui si era totalmente dimenticato la presenza!
Saltò per la
sorpresa, quindi si ricompose e sorprendendo tutti, sé stesso per
primo, lo invitò a sedersi e a spiegargli tutto.
Per un momento
il giovane dai capelli neri e selvaggi pensò che intendesse di quel che
provava, solo in un secondo momento si ricordò che Genzo gli aveva,
come temeva, spiattellato di aver ‘fatto ingelosire il gelatino con
quella tigre del cazzo’.
Ingoiò il
macigno che gli si era formato in gola e diventando di mille colori che
concludevano col rosso intenso, si rese conto di essere in una gran
brutta situazione.
Specie perché
al posto di parlare di cose imbarazzanti, avrebbe voluto saltargli
addosso!
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Capitolo 10 *** Dimostrazioni in camera ***
*Capisco
che il capitolo odierno sia cortino ma abbiate pazienza, li faccio in
base alle scene. Allora... qua abbiamo Kojiro e Jun e forse nella
situazione in cui sono la nostra tigre può riuscire a capire un po' di
più il bel principe. O magari no! Ringrazio tutti quelli che leggono e
commentano ma anche quelli che mi hanno fatto i complimenti per il
secondo posto. Sono contentissima anche io per la posizione al contest.
Vi avverto che questo è il penultimo capitolo. Dopo Il mondo che
vorrei, ci sarà Ad ogni costo, il seguito che prende il punto di vista
anche di tutti gli altri personaggi, compreso il tanto sospirato
Karl!!! Buona lettura. Baci Akane*
CAPITOLO X:
DIMOSTRAZIONI
IN CAMERA
/
Notturno - Chopen /
Kojiro
cominciò a sentirsi come uno scolaro messo sotto torchio
dall’insegnante. Lo scolaro in questione, però, nonostante avesse
studiato, non ricordava un emerito nulla grazie all’ansia che gli
metteva addosso il suddetto insegnante!
Non gli piacque
e come difesa si mise in posa d’attacco con un’espressione aggressiva
ben stampata in faccia, che però non mise per nulla a disagio Jun,
seduto composto davanti a lui.
Siccome aveva
la camera a sua completa disposizione, c’era solo un letto e al posto
degli altri due aveva fatto mettere due poltroncine comode vicine e un
tavolino basso.
Erano seduti lì
e si guardavano. Uno sempre con il suo solito fare gentile ma
enigmatico, l’altro col suo solito fare guardingo ma selvatico.
- Allora, a
cosa alludeva prima mio fratello? - Chiese calmo, quasi con un sorriso
suadente sul viso.
- E che ne so
io, mica gli leggo nella mente! - Rispose acido intenzionato a non
farsi gestire da lui.
Però lo
guardava lo stesso e più lo faceva, più si sentiva come sotto
incantesimo.
Fra tutti i
ragazzi che aveva visto lì dentro, lui era padrone della bellezza che
preferiva di più in assoluto… o forse era semplicemente Jun e basta,
quello che preferiva, a prescindere dalla bellezza!
L’altro sorrise
pacato.
- Ha accennato
ad una frase che mi ha lasciato interdetto… ha detto di aver fatto
ingelosire Karl con una certa tigre… - Cercava di domare il suo
linguaggio solitamente troppo elaborato e Kojiro lo notò dal momento
che finalmente riusciva a capire ciò che diceva. Circa.
- E chi sarà
mai? - Lo chiese con ironia marcata sebbene avesse cercato di essere
definitivo e convincente. Lo scrutò meglio. No, non ci aveva creduto
per nulla.
- L’unico che
mi viene in mente sei tu! - Rispose con un pizzico di altrettanta
ironia. Un’ondata di calore gli salì violenta dal basso, osservandolo
con quell’espressione maliziosa.
Si rendeva
conto dell’effetto che aveva sugli altri, o magari solo su di lui?
Forse sì e,
forse, si comportava in quel modo equivoco -per i suoi gusti- proprio
perché sapeva di piacere.
Era stronzo?
Chi poteva
dirlo, era così criptico e strano!
Nascondeva
tutto di sé talmente bene…
- Perché io? -
Chiese per metterlo alla prova e sondare il terreno. Insomma, cosa
pensava di lui?
Jun non si
perse d’animo e tirando su i piedi e abbracciando le ginocchia in una
posa estremamente non da lui ma con un tocco di eleganza comunque,
rispose senza il minimo problema:
- Perché tu sei
l’unica tigre che conosco. E che lui definirebbe ‘del cazzo’. - Quella
parolaccia sulla sua bocca suonò strana e quasi male, capì perché usava
quel tipo di linguaggio: non gli sarebbe mai stato bene ‘addosso’.
Riprese
lentamente ad incantarsi, compiaciuto di essere visto in quel modo.
- Sono una
tigre? - Voleva farlo parlare ancora. Di sé.
- Sì… - E Jun
parve ben intenzionato a farlo. Mantenendo quell’aria tranquilla e
gentile, a modo, parlò col tono caldo e sfumato di prima anche se senza
quell’inclinazione dolce: - si capisce che hai passato qualcosa di
brutto nella vita che ti ha indurito e reso aggressivo. Attacchi tutti
per primo, per non essere attaccato. La tua non è altro che una difesa.
Sembri un animale feroce, sia nello sguardo, che nei modi di fare, che
nell’essere. La tigre è la più tremenda e indomabile. Secondo me tu le
somigli molto. - Poi rimase un attimo in silenzio, piegò la testa di
lato come se ascoltasse i propri pensieri e assorto continuò: - però un
segreto c’è. -
Questo colse
contropiede Kojiro che si drizzò e si tese verso di lui per ascoltare
il resto, più che con curiosità, con bramosia. Lui aveva capito
qualcosa di sé importante.
- Cos’è? - Jun
si sporse a sua volta e con un espressione intensa, rispose
immergendosi nei suoi occhi neri come la pece, selvaggi come una tigre
e tormentati come un passato doloroso.
- Il segreto
per arrivare a te. -
- Qual è? - Di
parola in parola si trovarono ad avvicinarsi sempre più senza
accorgersene, solo col bisogno di ascoltare e di penetrare. Cancellando
tutto.
Perché volevano
toccarsi dentro e quello era il momento ed il modo.
- Amarti. -
Quanto erano vicini, ora?
Tanto da avere
i rispettivi respiri sulla pelle.
- Io non so
cosa vuol dire. - Lo disse per la prima volta come lo dicesse a sé
stesso, come chiedesse cosa fosse, come pregasse di amarlo.
Quando Jun si
trovò a dover spiegare, sospesi in quell’atmosfera emotiva e
confidenziale, cosa fosse amare, non trovò nessuna parola adatta. Gli
venne spontaneo solo un modo e quella fu la prima volta che il giovane
agì senza riflettere, solo col puro istinto del momento.
Si sporse
ulteriormente e gli posò le labbra sulle sue. L’accarezzò per un po’
fino ad inumidirgliele con la punta della lingua, dopo di ché gliele
schiuse e si infilò cercandolo. Dopo averlo trovato si intrecciò con
dolcezza e delicatezza, toccandolo solo così, con la sua bocca e la sua
lingua, senza muoversi in nessun altro modo.
Kojiro si trovò
sorpreso a ricevere un bacio proprio da lui quando quella sera glielo
aveva praticamente rifiutato.
Si trovò
sorpreso soprattutto a sentire come lo approfondiva di sua iniziativa.
Ma la sorpresa
durò poco poiché si trovò a rispondere con un certo trasporto, creando
un contatto maggiore lui stesso, proprio come quella notte aveva
desiderato fare ma non aveva osato.
Deciso e
prepotente si alzò dalla poltrona e senza staccarsi dalla sua bocca,
gli tirò giù le gambe, gli prese i polsi, gli aprì le braccia, si
sistemò su di lui a cavalcioni, senza sedersi di peso, e prendendogli
il viso fra le mani con fermezza se lo premette con più trasporto
trasformando un bacio casto in uno più audace e profondo.
Non immaginò
minimamente cosa Jun dovesse provare, cosa volesse, cosa sentisse.
Sapeva quello che provava, voleva e sentiva lui e gli bastava. Non era
stato un abbaglio o una stupida cotta e sebbene fino a quel momento non
avesse saputo dargli un nome, ora che Jun glielo stava ‘spiegando’, gli
appariva tutto chiaro.
Erano quelli i
sentimenti.
Allora, forse,
la vita dopotutto valeva veramente la pena di essere vissuta.
Il momento
magico ebbe fine con le mani di Jun che sospingevano Kojiro posate sul
suo petto fremente coperto solo da una canottiera intima, come quella
notte. Il tocco lo fece sussultare e trapelò il brivido fino all’altro
che, sebbene fosse stralunato e contrariato dell’interruzione, si
accorse di averlo finalmente turbato.
Aveva una
reazione, aveva un’espressione diversa sul suo viso. La confusione era
enorme ed era ancora più bello con quell’aria sperduta.
Provò il
fortissimo desiderio di stringerlo e dirgli che andava tutto bene ma
non sapendo come si facesse una cosa simile, trovandosi idiota a farlo,
si limitò ad alzarsi e ad aspettare che volesse riprendere. Perché per
lui era ovvio che, Genzo o non Genzo ronfante nel letto, avrebbero
ripreso!
Jun non fu
dello stesso avviso, infatti si limitò a rimettere le ginocchia al
petto e ad appoggiarvi il viso sopra, circondando la testa con le
braccia per coprirsi meglio.
Come se si
vergognasse a farsi vedere così o forse per ciò che aveva fatto.
Fu vicino ad
entrargli dentro, aveva iniziato a scoprirsi eppure faceva ancora di
tutto per impedirlo, aveva paura.
Bè, si disse
Kojiro guardandolo in quello stato, in perfetto silenzi ed in chiusura
totale, se Jun ne aveva paura figurarsi lui!
Non era proprio
il più indicato per aiutarlo, su questo ne era certo.
Sospirò
incerto, insofferente e combattuto, quindi udì appena un flebile:
- Devo pensare…
- Che non era un maleducato ‘vattene’, ma sempre quello il concetto
era.
Nessun’altra
spiegazione, nessun’altra parola, nessun’altra delucidazione.
Lui lo baciava
e poi lo invitava gentilmente ad andarsene!
Ma aveva senso?
Per lui no,
quindi ringhiando un qualcosa di incomprensibile persino a sé stesso
-in realtà non sapeva proprio cosa dire poiché non l’avrebbe mai
insultato anche se avrebbe voluto tanto- uscì a passo di carica
sbattendo la porta nel bel mezzo della notte.
Una cosa era
certa.
Dopo che
l’aveva assaggiato, Jun, il sentimento, l’amore o qualunque nome
avesse, dopo che aveva assaggiato quello che poteva chiamare Paradiso,
avrebbe lottato per averlo. E quella volta lottato come si doveva. A
tutti i costi.
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Capitolo 11 *** Chiarimenti nell'aula di musica ***
*TA-DAAAN!
Ecco a voi l'ultimo capitolo! Vi prego, non fatemi i riti woodo... ok,
tranquilli, ci sarà, come già detto mille volte, il seguito che
prenderà i punti di vista degli altri, tipo Genzo e Karl, e sistemerà
le questioni rimaste in sospeso. Si chiamerà 'Ad ogni costo'. Allora...
volevo ringraziare tutti quelli che mi hanno commentato e seguito in
questa fic, sono contenta che sia piaciuta e sorpresa per il successo
che hanno avuto Genzo e Karl così emarginati da me. Rimedierò! Allora,
che dire? Spero che questo ultimo capitolo sia una buona lettura. Alla
prossima che sarà presto. Baci Akane*
CAPITOLO XI:
CHIARIMENTI
NELL’AULA DI MUSICA
/Moonlight
sonata - Beethoven/
Il
caos apocalittico che si scatenò il giorno dopo in mensa fu causato da
due notizie che videro protagonisti due dei più popolari della scuola:
Jun Misugi e Genzo Wakabayashi.
Ebbene il primo
si era lasciato con la morosa ‘storica’, mentre il secondo non stava
più appiccicato a Karl.
Queste di per
sé furono notizie sconvolgenti per tutti, specie per gli impiccioni, e
nel giro di poco tutto l’istituto non parlava d’altro.
- Cosa diavolo
hanno tutti? - Sbraitò di cattivo umore -tanto per cambiare- Kojiro. A
rispondergli fu un sorpreso Hikaru:
- Sei l’unico a
non saperlo ancora! -
- Cosa?! - Il
suo tono era sempre peggiore, ma l’amico non si perse d’animo e lo
sparò come se fosse la cosa più divertente ed insieme drammatica del
mondo:
- Jun Misugi e
Yayoi Aoba si sono lasciati! Anzi, per la precisione la notizia è che
lui ha lasciato lei, ma le motivazioni sono misteriose! -
Kojiro si
strozzò con l’acqua e per poco non morì davvero. Vide alcuni mostruosi
flash della sua infanzia e grazie a quelli tornò al mondo inorridito,
convinto che pur di non vederseli tutti sarebbe stato disposto a vivere
ancora!
- Che cazzo hai
detto? - Non poteva credere a quello che diceva, lo fissava allucinato
ma lo vedeva serio, per quanto quello perennemente ironico potesse
essere serio. Si capiva che diceva davvero.
- Jun ha
lasciato Yayoi! Non si parla d’altro! Oltre che di Genzo Wakabayashi
non più appiccicato a Karl Hainz Schneider! -
A quell’ultima
affermazione Kojiro guardò istintivamente al tavolo del suo sempai di
boxe e lo vide con altri amici, quel tale Ozora con il suo amichetto
Misaki, i compagni di stanza di Hikaru. Normalmente Genzo era sempre e
solo con Karl, ma quella volta del biondino nemmeno l’ombra.
- Era ora! -
Esclamò lasciando intendere che ne sapeva più lui di tutti gli altri. E
a Hikaru parve tanto che quel ’era ora’ fosse rivolto anche a Jun e a
Yayoi.
Per sondare il
terreno con astuzia, lo guardò circospetto, quindi con una malizia
evidente disse:
- Ora hai il
campo libero! -
Kojiro rispose
maligno e compiaciuto cercando Jun con lo sguardo, senza vederlo poiché
non presente:
- E’ stato più
facile di quel che pensassi impossessarmi di Jun! - Come se fosse una
proprietà da acquistare!
A quella frase
fu il turno di Hikaru di vedere la sua infanzia passargli davanti agli
occhi poiché si stava soffocando con il pranzo.
- JUN! MA IO
PENSAVO A GENZO! - Effettivamente Kojiro era stato sorprendentemente
bravo a mascherare il suo interesse per Jun, mentre non aveva fatto
nulla per nascondere l’apprezzamento fisico verso Genzo, motivo per il
quale Hikaru aveva sempre creduto che, in realtà, a piacergli fosse
proprio quello con cui si prendeva sempre a pugni.
Scoprire in
quel modo strano che invece aveva sempre puntato a Jun fu sconvolgente
quanto la notizia in sé che il principe si era lasciato con la
principessa!
Kojiro si rese
conto della gaffe e lo guardò come per divorarlo, fortemente minaccioso
lo convinse a non dire nulla a nessuno senza doverglielo spiegare a
voce!
- Ok ok, sarò
una tomba! - Poi riprese con un sorrisetto accattivante -solo lui si
azzardava a parlargli così ormai- - Ma mi hai stupito… non avrei mai
detto che invece ti piaceva Jun… e poi cosa vuol dire che è stato
facile impossessarsi di lui? Cosa è successo che non so? -
Kojiro a tutte
quelle domande lo guardò seccato smettendo di cercare chi gli
interessava e prendendo il coltello con cui tagliava la carne, glielo
puntò davanti al naso sbottando seccato:
- Qualcosa che
non saprai mai! Ed ora sta zitto e fammi mangiare o ti scotenno! - E in
quel genere di cose era esperto. Fu così che Hikaru si convinse a non
pizzicarlo ancora e a non metterlo alla prova.
Quella sera
subito dopo essersi scannato a volontà a boxe con un cupo e furioso
Genzo che evidentemente non aveva ancora superato del tutto la
questione ‘Karl’, al posto di andare a cena, vedendo che Jun in mensa
non c’era, andò a cercarlo.
L’idea era
naturalmente quella di parlargli e obbligarlo a rivelargli che cavolo
gli passasse per la testa, a qualunque costo, anche picchiandolo se
necessario.
Provato in
camera la trovò vuota, quindi si diresse nell’unico altro luogo in cui
sapeva poteva essere.
L’aula di
musica.
Cosciente che a
quell’ora sarebbe stata vuota, una volta che dall’esterno sentì le note
del pianoforte capì di averci azzeccato e con l’aria più determinata di
quel mondo, entrò intenzionato a farlo parlare. Non poteva fare quel
che voleva e lasciarlo fuori a quel modo.
Se il suo bacio
aveva fatto sì che lasciasse la sua ragazza, qualcosa per lui provava.
Dopo che aveva
saggiato quel che voleva dire provare sentimenti ed essere ricambiato
-o solo l’illusione di un istante- non poteva farne a meno, non poteva
non combattere ancora, non poteva non volerlo più di prima.
Non poteva non
desiderare tutta per sé quella dolcezza che gli aveva visto su Genzo.
Non poteva non
innamorarsi di quelle sue attenzioni con cui capiva tutto di chi aveva
davanti.
Non poteva non
perdersi per Jun ancora di più.
Appena fu
dentro, però, tutta la sua boriosità venne spazzata via da quelle note
malinconiche e tremendamente angosciate.
La drammatica
melodia lo trapassò nella pelle e nelle ossa catapultandolo di nuovo in
un’altra epoca, quasi.
Un’epoca non
molto lontana, dopo tutto.
Si costrinse a
rimanere cosciente, quella volta, e si avvicinò di sua volontà allo
strumento dietro cui era seduto Jun con gli occhi chiusi.
Questa volta lo
sentì e li aprì. Erano velati. Confusi. Colpiti. Ma non si fermò.
Continuò a
suonare ‘Chiaro di luna’ di Beethoven mentre osservava Kojiro serio ed
irriconoscibile sedersi ai piedi del pianoforte nero, accanto a lui.
Lo vide
appoggiare la testa all’indietro e guardare in alto, nel vuoto.
Lo vide e
desiderò di sapere cosa stava rivivendo con quell’espressione cupa e
addolorata.
Non l’aveva mai
visto così.
Del resto
quelle note potevano risvegliare dei gran brutti fantasmi.
Non si erano
parlati e avrebbero dovuto, non si erano spiegati e avrebbero dovuto,
avevano molto da dire, molto da definire, però come se niente fosse
accaduto e tutto fosse normale, sulla musica struggente che si levava
nell’aria, Kojiro parlò con un filo di voce irriconoscibile, tragica,
angosciata.
Non riuscì più
a trattenersi, di nuovo in trance riviveva quello che era stato e
questa volta non poteva fare a meno di esprimerlo, come se volesse
portare con sé la persona che per il momento stava diventando la più
importante. Come se miracolosamente sentisse un forte bisogno di
condividere il suo orrore per provare a superarlo con qualcuno che
forse ne era degno.
- C’era
quest’uomo, quando ero piccolo, che mi rinfacciava ogni secondo di
dovergli essere grato poiché mi aveva preso in casa anche se non ero
loro figlio. Quest’uomo beveva sempre e poi arrivava a casa ubriaco e
furioso e picchiava chi gli capitava a tiro. Spesso mi ha usato come
palla da calcio. Sua moglie gli gridava dietro ma non cercava di
proteggermi. Non faceva niente per me. Erano scenate terribili.
Gridavano come matti, si tiravano oggetti, si colpivano e si ferivano
ma nessuno dei due si fermava, si scusava o curava l’altro. Si
gridavano l’odio reciproco ed io sentivo. Sono cresciuto convinto che
l’odio fosse tutto ciò che si potesse provare. Anche per me lo
provavano, ero un peso per loro. Non so perché mi hanno preso in
affido. Io non ero buono, ero cattivo e li facevo arrabbiare perché non
ero capace di fare bene quello che mi ordinavano. Quando pulivo la casa
rompevo sempre qualcosa senza volerlo, oppure pulivo male. Loro mi
punivano e dopo avermi picchiato, mi rinchiudevano in cantina coi
ratti, al buio, nella puzza, senza mangiare per un giorno intero. Sono
andato avanti così fino a che, non ho proprio idea di come,
un’assistente sociale è entrato e vedendo cosa succedeva mi ha portato
via. Poco dopo sono arrivato qua. Sono arrivato a quattordici anni
sapendo solo odiare, disprezzare, picchiare e attaccare per difendermi.
Non so cosa siano i buoni sentimenti e l’amore. Sto sperimentando in
questo posto cosa sia la libertà di fare quello che voglio, per la
prima volta. Però la notte sogno ancora quei giorni d’orrore, le loro
facce, quella cantina coi ratti. Chissà se prima o poi imparerò davvero
ad amare e a non sognare più quelle cose? Mi libererò mai del mio
passato? Se ogni volta che ascolto canzoni così malinconiche ricordo
sempre tutto, io penso di no. -
Queste parole
agghiaccianti fecero da sfondo alla triste melodia che terminò poco
dopo lasciando un silenzio carico di tutto e di niente.
Jun cercò di
pensare a delle parole adatte, ma non trovò nulla di abbastanza
ragionevole.
Però non poteva
evitare di dire qualcosa.
Non poteva solo
alzarsi e andarsene.
Profondamente
toccato da quello che il ragazzo aveva passato nella sua giovane vita,
provò solo un grande desiderio di sollevarlo, aiutarlo, cancellare
tutto quello che aveva provato, ma tutto ciò che rimaneva invece erano
le sue parole ed un amarezza che solcava la sua anima.
Si inginocchiò
davanti a lui e lo guardò dritto negli occhi stretti e assorti, non
sapeva cosa dire ma aveva bisogno di dirlo, sapeva che era giusto,
sentiva da dentro di doverlo fare.
Così scacciò la
sua logica ed il suo controllo e fece come la notte precedente.
Si limitò ad
agire.
- Forse non lo
dimenticherai mai, ma lo supererai. Arriverà il giorno in cui
ricorderai tutto e non ti farà più male. Ora non sei più là, ora sei
libero e nessuno ti farà più del male. Troverai l‘amore. - La dolcezza
con cui lo disse, fu la stessa che aveva usato con Genzo la notte
precedente e Kojiro che tanto l’aveva voluta per sé, come se in quel
momento si svegliasse, di slancio si aggrappò alle sue braccia e lo
disse:
- Amami tu!
Mettiti con me! Voglio stare con te, è te che voglio. - Non fu capace
di dirlo diversamente, convinto che quello fosse l’unico modo in cui si
potesse dire qualcosa del genere.
Semplicemente
di getto, così com’era.
Jun si trovò
spiazzato e di nuovo dimostrò di non essere pronto ad una cosa simile.
Non si divincolò e non lo allontanò, poi rispose sforzandosi di
rimanere calmo:
- Ho bisogno di
ancora un po’ di tempo per capire cosa provo. -
Kojiro sbottò
infuocandosi:
- Ma se hai
lasciato la tua ragazza per me! - Presuntuoso ma vero.
L’altro strinse
le labbra contrariato, era in difficoltà ma decise che la sincerità a
quel punto era l’unica cosa:
- Non mi sei
indifferente, Kojiro. E non provo la stessa cosa per Yayoi. Ma devo
pensare ancora, non so buttarmi come fai tu e non sono ancora sicuro di
niente. Devi darmi un po’ di tempo. Ti prego. - Quella piccola supplica
ebbe il potere di fargli provare un desiderio ancora più forte di lui,
ma si morse il labbro e si trattenne miracolosamente. In una piccola
parte di sé che ora usciva sapeva che per non perderlo avrebbe dovuto
dargli il suo tempo, ma non l’avrebbe mollato un secondo.
- Va bene. Però
sbrigati! - Concluse borbottando deciso domando a stento l’impulso di
saltargli addosso.
Jun sorrise
grato, contento che avesse capito e che gli avesse concesso quello che
chiedeva.
- Grazie. -
Disse, quindi gli sfiorò la fronte con le labbra e sorridendo
dolcemente si alzò avviandosi all’uscita.
Kojiro imprecò
a mezza voce con un’aria truce.
Sarebbe stata
dannatamente dura, ma quello con Jun era il mondo che voleva per sé.
E l’avrebbe
avuto ad ogni costo.
FINE
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