Il mondo che vorrei

di Akane
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Incontro sul pulmino ***
Capitolo 2: *** Scontro in istituto ***
Capitolo 3: *** Scoperte in mensa ***
Capitolo 4: *** Un bacio nella notte ***
Capitolo 5: *** Riflessioni nella mattina ***
Capitolo 6: *** Corpo a corpo nel pomeriggio ***
Capitolo 7: *** Esperimenti sotto la doccia ***
Capitolo 8: *** Aiuto nello spogliatoio ***
Capitolo 9: *** Guai per i corridoi ***
Capitolo 10: *** Dimostrazioni in camera ***
Capitolo 11: *** Chiarimenti nell'aula di musica ***



Capitolo 1
*** Incontro sul pulmino ***


AUTORE: Akane
TITOLO: Il mondo che vorrei
SERIE: Capitan Tsubasa
TIPO: AU, slash
GENERE: generale, drammatico, sentimentale
RATING: giallo
PERSONAGGI: Kojiro, Jun, Genzo, qua Karl è marginale ma nella seconda serie sarà uno dei protagonisti principali! Ah, dimenticavo Hikaru Matsuyama!
DISCLAMAIRS: i personaggi non sono miei ma del loro creatore, però l’ambientazione è di mia invenzione!
NOTE: storia per il contest sull’AU indetto da Endless Field. A lungo sono stata fortemente indecisa su quale ambientazione fare, alla fine ne ho iniziate e cambiate tre o quattro, ma questa sembra quella definitiva. Viene da un sogno che ho fatto, naturalmente l’ho rielaborato. Uso come sempre i personaggi che più mi piacciono e chi mi legge sa quanto io per questo manga prediliga unicamente lo Yaoi, quindi questa è la mia storia!
Dunque, devo avvertire che ho dovuto concluderla prima di quel che pensavo e che per questo ci sarà il seguito obbligatorio, io per prima voglio scriverlo perché ci sono molte cose che non sono riuscita a mettere e che ho dovuto tagliare, mi conoscete: quando inizio una alternativa su questo manga mi faccio prendere la mano e parto per la luna! Solo che il concorso aveva il limite di 20000 parole, quindi non ho potuto scrivere di più in questo.
Pazienza.
Ci sono inoltre un paio di ulteriori noticine:
- Mikami è diventato il nome mentre il cognome è Wakabayashi per esigenze di copione che poi capirete.
- Ci sono altri cambiamenti di parentele rispetto l’originale, ma essendo un AU ci stanno!
- Anche la differenza d’età di qualcuno è stata leggermente modificata.
- Il titolo questa volta è un omaggio a Vasco, anche il seguito che ci sarà avrà il titolo di una canzone di Vasco.
- Ad ogni capitolo c’è una canzone che fa da sfondo alla scena principale e rispecchia il genere del protagonista del pezzo.
- La storia è ambientata in un istituto che non so quanto sia conforme alla realtà, però mi prendo la libertà di far di esso ciò che voglio spacciandolo per vero. È comunque solo una storia.
Detto tutto spero vi piaccia!
Buona lettura.
Baci Akane
IL MONDO CHE VORREI

CAPITOLO I:
INCONTRO SUL PULMINO

/Cinderella man - Eminem/
Come diavolo ci era finito in quella situazione di merda?
A chiederselo non riusciva a trovare risposta eppure non riusciva a pensare che a quello.
Proprio una gran situazione del cazzo!
Eppure quando era cominciato tutto?
Non poteva dirlo con esattezza, da che aveva ricordi era sempre stato l’inferno e non è che fosse molto grande, ora. Aveva solo quattordici anni, in fondo.
In effetti era iniziato tutto con la sua dannata nascita. Lo pensava sempre, non sarebbe dovuto venire al mondo, tutto lì; però c’era e non poteva certo tornare indietro, cosa snervante, così come lo era non avere il coraggio di farla finita per smettere di passare momenti terribili.
Però in un modo o nell’altro ne era uscito, quella volta… o forse era solo finito dalla padella alla brace!
Quando l’assistente sociale si era decisa a fare qualcosa aveva pensato fosse uno stupido scherzo, ma poi era stato effettivamente portato via dal postaccio in cui era -certo, perché si rifiutava di chiamarla famiglia adottiva o casa, un luogo del genere!- e l’avevano messo su quel dannato pulmino diretto in un istituto.
Uno sciocco istituto dove si dormiva, si mangiava, si studiava e si conoscevano un sacco di altra gente… cosa che sicuramente non avrebbe mai fatto lui, selvatico e pericoloso com’era. Se lo diceva da solo, era un animale feroce cresciuto a suon di calci e pugni da perfetti sconosciuti, come poteva essere venuto su bene?
Aveva imparato solo la violenza e con quella lui comunicava col mondo.
L’istruzione era stata un lusso che non si era potuto permettere così come degli amici ed una normale vita sociale!
Sospirò… tanto a quel punto qualunque posto sarebbe stato migliore di quello, è solo che non aveva davvero idea di dove stesse andando.
Aveva unicamente una serie di carte in mano. Una indicava il nome e l’indirizzo del posto, un’altra era la lettera dell’assistente per il direttore con conseguente dichiarazione d’ammissione. Poi c’erano tutti i suoi documenti, l’atto di nascita, d’adozione e di separazione, o qualunque nome avesse quella cosa che poi era successa.
Però avrebbero almeno potuto accompagnarlo. Certo che se la sapeva cavare e che non era più un bambino, ma in fondo lo stavano trasferendo!
Grattandosi a disagio la nuca e passandosi nervoso più volte le mani fra i capelli neri che gli coprivano selvaggi il collo, guardava sbuffando fuori dai finestrini. Lo sguardo più infastidito e feroce che avesse mai avuto.
- E’ la prima volta, vero? - Una voce distinta e gentile lo distrasse dai suoi pensieri turbinanti e si girò di scatto verso il suo proprietario. Era un giovane all’incirca grande come lui, si capiva perfettamente essere un pesce fuor d’acqua. Uno così era ovvio viaggiasse sempre in auto, accompagnato da qualcuno.
Era uno di razza, lo capì al primo colpo e le iridi nere si assottigliarono accusatorie.
- Che viaggi in pulmino intendo… - Si affrettò a spiegare cordiale il ragazzo. - Per me lo è. Non mi sento molto a mio agio, infatti. - Lo fissò ancora come fosse una minaccia, scrutò a fondo i suoi lineamenti regolari, perfetti e quasi delicati, la sua bellezza angelica ma con un che di supponente e superiore, forse l’espressione che dietro quella gentilezza nascondeva il suo rango di certo alto. Gli occhi però parevano sinceri. Buoni davvero. Un castano caldo come i suoi capelli ordinati e corti, con una morbida frangetta e nemmeno un filo fuori posto. Vestito incredibilmente bene per essere su un pulmino pidocchioso.
Sì, quello era ricco sfondato ed era finito per sbaglio in mezzo agli sfigati!
Ma istintivamente gli piacque che si fosse messo in gioco per primo notando la sua posizione ostile.
- Si nota! - Grugnì distogliendo lo sguardo e tornando a fissare fuori, il paesaggio scorreva come non lo aveva mai visto e ne sarebbe rimasto anche affascinato se non fosse stato incattivito da tutto quel che aveva vissuto. Non aveva mai potuto vedere cosa c’era fuori dalla catapecchia in cui era stato rinchiuso, però ora che poteva non riusciva a goderselo e non riusciva proprio a capirne il motivo.
- Che non sono a mio agio? - Lo chiese con stupore e curiosità, come se non ci credesse, infatti tornò a guardarlo e si affrettò addirittura a specificare, seccato per doverlo fare e ancor di più perché lo stava facendo anche se non gli importava:
- No, che non è il tuo ambiente! - Mica quello dimostrava disagio…
Tornò a fissare fuori intravedendo appena un’espressione indecifrabile simile al compiacimento. Che ne poteva sapere lui di quel che passava per la mente degli altri?
- Piacere, sono Jun Misugi. - La voce dell’altro tornò gentile e caparbia, quindi notando la mano tesa si voltò per l’ennesima volta e guardando il viso sorridente e luminoso, ma allo stesso tempo con un che di adulto e diverso, quasi triste -ma in fondo, molto in fondo agli occhi-, gli prese la mano chiedendosi perché mai si dovesse fare un gesto tanto idiota per conoscersi!
- Kojiro Hyuga! - Grugnì ancora non sapendo che altro dire.
La sua mano era liscia e morbida, ma anche sottile e fredda, al contrario della sua che era più grande, rovinata e calda.
Quando si sciolse ebbe l’impressione di avere davanti una persona sfuggente, con un grande segreto dentro, proprio come lui. Ma fu solo un momento. Si ricordò subito della loro abissale differenza: quello era qualcuno, lui no.
- Allora, dove vai? - Chiese per fare conversazione, capì che non lo faceva per impicciarsi, ma solo per cortesia e cercare di metterlo a suo agio.
‘A farmi i cazzi miei!’ avrebbe voluto rispondere, ma si limitò -e non capì proprio come fu possibile visto che voleva solo passare in santa pace il resto del viaggio- a dire la verità, seppure con monosillabi ringhianti. Disse il nome dell’istituto, il Toho, e il giovane si illuminò dando segno di conoscerlo e prima che se ne accorgesse, glielo stava già chiedendo…
- Sai com’è? - Certo non poteva essere che anche lui ci andasse, visto che sicuramente una famiglia ce l’aveva ed anche benestante.
Lo chiese guardandolo con una certa ansia, come se, nonostante non volesse farlo vedere per nessun motivo, in realtà ci tenesse molto a sapere dove diavolo stava finendo quella volta.
Jun con un costante sorriso gentile che nascondeva qualcosa, questa volta non di triste ma di indecifrabile e basta, rispose esauriente mostrando una proprietà di linguaggio che non era per uno della sua età.
Era istruito ed anche bene!
Kojiro si sentì sempre più una merda, accanto a lui, ma era anche l’unico che l’aveva calcolato e che era gentile.
- Certo. È un buon istituto. Si trattengono per lo più persone che non hanno una famiglia e che quindi non sono state adottate, solitamente sono lì di transito ma capita anche che vengano perché sono impossibilitate a stare a casa o per una opzione dei genitori. -
Sembrava conoscerlo bene, quasi che ci fosse dentro anche lui, però fu un pensiero così folle che Kojiro allontanò subito schernendosi. Figurarsi se uno come quello poteva avere problemi di quel tipo!
- Gli insegnanti sono competenti, così come gli assistenti. Alcuni studenti sono un po’ pesanti, però sono gestibili. È un ottimo ambiente, vedrai che ti troverai a tuo agio anche tu. - Previsione di chi non lo conosceva affatto.
Al moretto venne spontaneo ridere amaro, Jun si fermò dal discorrere e lo fissò con curiosità alzando le sopracciglia in segno interrogativo. L’altro smise e scosse la testa:
- Si vede che non mi conosci! -
- Perché? -
- Perché sono il piantagrane per eccellenza! Verrò cacciato dopo una settimana! - Notò il suo tatto nel non chiedere come mai ci andasse, probabilmente era chiaro come il sole che era un orfano la cui adozione era andata male.
Si sentì però profondamente osservato e riprese a fissare a disagio e infastidito fuori dal finestrino.
- Magari rimarrai stupito! - Disse allora Jun con tranquillità. Kojiro alzò un sopracciglio scettico e puntò i suoi occhi neri affilati come quelli di una tigre, su quelli da principe del giovane dai capelli castani che continuò. - Non pensi che forse quello possa essere il tuo posto, prima di prendere la tua strada da solo? - Lesse una specie di sfida fra le righe, a lui piacevano le sfide e lo sguardo selvatico si illuminò con fare accattivante:
- La mia vita è solo un mare di merda, tutte le tappe in cui inciampo sono solo cessi di scarico, tutto qui! - Una risposta oltre che maleducata e sgraziata, davvero rivelatrice.
Con questo Jun riuscì ad avere un quadro di Kojiro più completo di quel che quest’ultimo avrebbe mai immaginato, ma si limitò a scoccargli uno di quei suoi ormai famosi sguardi indecifrabili e a non fargli capire un emerito nulla.
Tanto non lo poteva convincere!
- Questa è la nostra fermata… - Fece Jun scuotendo dai suoi pensieri testardi il nuovo conoscente. Alla muta domanda scettica, rispose senza fargli capire nulla più di prima: - Sì, scendo anche io qua. - Però non gli aveva ancora detto dove diavolo andava lui, invece, e soprattutto se veniva per caso -assurdo- al suo stesso istituto.
Quando si alzarono in perfetto silenzio, Kojiro gli diede le spalle per prendere il proprio ridicolo bagaglio; quando si girò, Jun Misugi era sparito.
“Poteva anche aspettarmi, che cazzo!”
Ma prima che se ne rendesse conto, il pensiero insolito l’aveva già avuto e anche se si corresse subito, non servì a nulla visto che ormai l’aveva pensato.
“Ma poi che diavolo me ne fotte!”
Più un auto convincersi che un crederlo davvero.


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Capitolo 2
*** Scontro in istituto ***


*Ecco qua il secondo capitolo, continuiamo a vedere cosa combina Kojiro che qua farà nuove conoscenze, alcune buone altre meno!
Sono contenta che come inizio incuriosisca, spero che continui così! Grazie per le recensioni ricevute ed anche a chi ha solo letto. Buona lettura. Baci Akane*

CAPITOLO II:

SCONTRO IN ISTITUTO

/So bad - Eminem/
Non gli ci volle molto per capire quale fosse l’istituto Toho, insegna a parte.
Poco più avanti rispetto alla fermata del pulmino dal quale erano scesi un paio di altri giovani, c’era un enorme caseggiato a più piani, molto lungo ed esteso circondato da un ampio giardino recintato.
Il giardino era provvisto di campetto da calcio, da basket e da pallavolo, oltre che di alberi, panchine e alcuni spiazzi verdi liberi. Sul retro intravedeva un altro edificio, probabilmente la palestra.
Sospirò.
Ormai c’era e anche a voler scappare se la sarebbe vista di certo peggio, tanto bastava farsi valere!
Si fece avanti infilandosi nel cancello aperto dove altri ragazzi stavano facendo altrettanto, questi si fermarono a guardarlo e con uno sguardo di scherno cominciarono a parlottare fra di loro. Non udì le parole precise, ma non ci volle un genio per capire che ce l’avevano con lui perché appariva uno straccione o qualcosa del genere.
- Ehi! - Ringhiò ad alta voce in loro direzione. Questi affrettarono il passo ignorandolo ma lui li chiamò più forte: - EHI, VOI IDIOTI! - A questo finalmente si girarono a guardarlo con fare da finti innocenti, li stava sbranando con lo sguardo e un’espressione da tigre feroce ingabbiata, liberata e quindi incattivita il triplo del normale.
Come una bomba ad orologeria che non aspettava altro di poter esplodere e fare un po’ di strage.
- SE AVETE QUALCOSA CON ME DITEMELO IN FACCIA, ODIO I CACASOTTO! -
Tutti nel raggio di poco lo udirono e lo guardarono stupiti, increduli, incuriositi e intimoriti. Quello era un piantagrane non da poco, ma chi poteva dire se era anche uno che passava alle vie di fatto oppure uno come gli altri che abbaiavano ma non mordevano?
I ragazzi destinatari di tanto astio, lo fissarono quasi con pietà, come per dire che era solo un povero sciocco, quindi si girarono proseguendo il cammino verso l’edificio.
In quello qualcosa lo urtò con fare deciso e poco prima di girarsi come un caccia a vedere cosa fosse, gli parve di intravedere al volo una nuca di ordinati capelli castano autunno entrare nell’istituto, a un paio di metri da lui, ma fu un flash che registrò in seguito.
Quando vide che a spingerlo -e di proposito per di più!- era stato un ragazzo che lo fissava di sbieco per istigarlo, non ci vide più e non tenne in considerazione il portamento fiero, gli abiti firmati e l’età. Si vedeva al volo che era più grande di lui e che era anch’egli di razza, uno importante, insomma.
Lo prese subito per il braccio, lo strattonò costringendolo a guardarlo in faccia e scaricando un insulto a casaccio lo colpì con un pugno.
Ci riuscì solo perché lo prese di sorpresa, ma non gli provocò un gran dolore nonostante avesse un ottimo destro per essere un quattordicenne. Lo capì perché né cadde né indietreggiò, anzi, caricò subito un altro pugno di risposta che lo colpì dritto all’occhio sinistro.
Nemmeno si sprecò ad insultarlo, ma prima che potessero proseguire nel loro scambio primitivo, due mani bianche ed una presa evidentemente ferrea allontanarono svelte quello più grande.
- Genzo, smettila! - Una voce quasi metallica. Kojiro non perse nemmeno tempo a massaggiarsi la parte lesa, ne aveva ricevuti di peggiori dal suo patrigno.
Il sangue però pompava furioso nelle vene ed il cuore sembrava volergli uscire dal petto. Di nuovo quella sensazione di essere calpestato, per cosa, poi? Per la sua diversità? Perché era povero, sfigato, orfano e cos’altro?
Nessuno poteva mettergli le mani addosso, guardarlo come un poveraccio, provocarlo, parlare male di lui. Nessuno.
La rabbia continuava ad ingigantire minuto dopo minuto anche se nessuno lo toccava più, però due occhi di ghiaccio lo placarono istantaneamente.
Solo due occhi azzurri, affilati e neutri.
Il proprietario di quei ghiacciai era quello che era intervenuto. Era anch’egli più grande di qualche anno, aveva i capelli biondi, lisci ed ordinati, alto, fisico sportivo, lineamenti nordici spigolosi e duri. Era uno straniero.
Quello che invece era stato chiamato Genzo e che l’aveva colpito, era altrettanto alto, non molto più di lui in realtà, capelli neri, mossi ed in disordine, occhi come la pece pieni di una sfida ed una supponenza insopportabile, viso accattivante, fisico anch’egli atletico.
Il suo occhio gonfio confermava, la forza ce l’aveva, ma anche lui gli aveva lasciato un bel ricordo sullo zigomo sinistro!
Quando lo vide ghignò calmandosi. Sicuramente non ci sarebbe stata una seconda volta, per lo meno così lui credeva.
Dopo uno scambio penetrante, come a voler continuare il round, i due sconosciuti si voltarono e se ne andarono senza presentarsi o dire nulla, precedendolo all’interno dell’istituto.
“Che inizio di merda!”
Pensò seccato e stufo spintonando a sua volta tutti quelli che capitavano disgraziatamente sul suo cammino. Non aveva certo avuto dubbi che potesse essere diverso.

Il direttore era un certo signor Mikami Wakabayashi, era distinto, sulla quarantina, ben tenuto e gentile.
Non dimostrò né amicizia né astio, semplicemente dopo avergli spiegato tutto lo mandò nella sua stanza.
I dormitori maschili erano nell’ala est, mentre quelli femminili nell’ala ovest, separati in mezzo da quella centrale che comprendeva le aule delle lezioni, gli uffici, la mensa e la biblioteca.
Al piano terra c’erano le cucine, le cantine e i magazzini.
La sua stanza era la numero diciassette, altro numero di merda, si disse con disappunto. Se era fortunato sarebbe stato solo ma leggendo sulla targhetta ben altri due nomi, capì che tanto per cambiare era sfigato e che aveva due compagni, di certo dei rompipalle colossali.
Takeshi Sawada e Ken Wakashimatsu.
Sotto c’era lo spazio per un terzo, lui.
Senza la minima intenzione di bussare visto che quella ormai era anche la sua di camera e che aveva le chiavi, non avendo mai ricevuto le buone maniere, fece per aprire quando si sentì rimbeccare da dietro le spalle.
- Sarebbe carino bussare! - Alzò gli occhi al cielo esasperato. Si erano messi tutti d’accordo per rompergli le palle dal primo momento? L’unico che non l’aveva fatto era quel tipo sul pulmino… chissà dov’era andato, alla fine…
Un pensiero sfuggevole prima di voltarsi di scatto e fumante. Era un giovane della sua età, alto circa come lui, aria sul selvatico andante, sguardo deciso e pronto a rispondere per le rime a chiunque. Capelli neri, corti, lasciati un po’ come meglio volevano, la fortuna era che non gli stavano male.
- Che cazzo vuoi, tu? Sei uno di questi due? - Chiese sgarbato pronto a spaccargli il naso dritto.
- No, sono il vicino di camera, Hikaru Matsuyama. Tu sei nuovo, vero? Ti sembra quello il modo di entrare? -
- Perché, stanno facendo sesso? - Lo sparò senza pensarlo davvero, di sicuro non era quello il problema e poi anche se fosse stato, lui stava arrivando, si sarebbero adattati!
Hikaru ridacchiò soppesando l’idea di farci a pugni come capitava con qualcuno, oppure chiudere lo screzio in partenza ed instaurare un buon rapporto.
Decise di vedere come sarebbe andata.
- Non li ho mai colti sul fatto ma si dice che Sawada sia gay mentre Wakashimatsu lo sodomizzi solo per combattere la noia di questo posto! - Anche lui lo disse con una certa luce d’ironia negli occhi, semi serio, Kojiro quindi non capì se lo diceva davvero ma non gli importò saperlo. Era comunque una risposta degna e l’esame poteva dire di averlo passato.
- Sono Kojiro Hyuga. - Questo sancì la tregua e l’inizio della loro amicizia.
Hikaru in quello gli sorrise di sbieco e lanciandogli uno sguardo divertito, infilò il braccio e bussò al suo posto. Udendo le voci dall’interno, parlò:
- Ragazzi, avete il terzo inquilino! - Sentì un gran caos all’interno, come di un riordinare sbrigativo, quindi Hikaru ridacchiò malizioso fissandolo dritto negli occhi neri; non si sentì a disagio, lo capì subito.
Quello era simile a lui, lo comprese al volo.
- Un attimo… - Gridarono i due con voce tremolante mentre sbattevano armadi, cassetti e correvano saltellando da un lato all’altro. Dopo tutto aveva fatto bene a non entrare improvviso.
- Di chi è quel ricordo? - Chiese deciso Hikaru rivolto all’occhio nero senza il timore di ricevere un ‘fatti i cazzi tuoi’. L’audacia fu premiata visto che Kojiro l’aveva già messo fra le sue amicizie, quindi gli rispose:
- Uno stronzo! - Risposta esauriente!
- Il mondo ne è pieno! - Fece allora l’altro ghignando.
- Questo era di qualche anno più grande, moro, vestito firmato. Aveva l’aria da re degli stronzi e girava con un biondino che invece sembrava il re dei ghiacci! - Quella risposta, invece, fu decisamente illuminante, infatti Hikaru capì subito di chi si trattava e mostrandosi stupito e ammirato proseguì:
- Non dirmi che hai ricambiato! -
- Ovvio, figurati! Sono stato io ad iniziare… certo, lui mi aveva spinto, quindi… - Lo vide ridacchiare ancora, poi lo illuminò:
- Hai avuto fegato, nessuno si mette contro di lui… è Genzo Wakabayashi, il figlio del direttore. È attaccabrighe solo con chi decide, non so che criteri usa. Intanto è già molto che ti abbia notato! Gira sempre con Karl Hainz Schneider, sono inseparabili. Molti sono convinti stiano insieme ma Genzo si fa tutti quelli che capita, maschi e femmine indistintamente, quindi non penso proprio che stia con lui, ma in questo istituto nulla è detto! Hanno diciassette anni. Se per avvicinare Wakabayashi basta sfidarlo a qualcosa, avvicinare Schneider è proprio impossibile. Nessuno arriva a lui. Il resto dei dettagli chiedili a Sawada, conosce tutti i gossip del Toho! -
Finito di ascoltarlo, Kojiro capì che quel posto era più strano di quel che avrebbe detto, chissà quanti altri segreti nascondeva!
E per la prima volta si rese conto di star pensando a cazzate, cose frivole insomma… nulla che gli servisse per sopravvivere. Sconcertato, mentre la porta si apriva, comprendeva che era possibile perché non era più in pericolo, si era finalmente rilassato, non c’era nessuna spada pronta a staccargli la testa dal collo. Istintivamente l’aveva percepito.
Il suo incubo era davvero finito.
Gli vennero sul momento in mente le parole di quel Misugi… chissà che dopo tutto non avesse ragione.
Magari poteva trovarsi bene, magari poteva essere il suo posto prima di intraprendere la propria strada, qualunque essa fosse stata un giorno.
Con queste sorprese nell’animo, ben nascoste in profondità, osservò un piccoletto bruttino con due grandi occhi e il viso tutto rosso, aprirgli la porta. Lo sentì presentarsi come Takeshi Sawada, lo vide sorridere solare ed allegro nonché gentile.
Dentro, invece, vide steso su uno dei tre letti un altro ragazzo di corporatura più forte, con lunghi capelli neri che gli coprivano metà volto, le mani allacciate dietro la testa, le gambe incrociate, faceva finta di dormicchiare. Nemmeno il minimo imbarazzo da parte sua, invece. Anche se era chiaro che erano stati beccati in pieno!

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Capitolo 3
*** Scoperte in mensa ***


il mondo che vorrei3 *Finalmente si scoprono alcuni misteri riguardo Jun Misugi che Kojiro ha incontrato sul pulmino. C'è anche spazio, naturalmente, per una nuova poco originale comunicazione non verbale fra lui e Genzo... Grazie ancora a tutti quelli che continuano a leggere e che sono sempre più incuriositi da questa fic. Buona lettura. Baci Akane*

CAPITOLO III:

SCOPERTE IN MENSA

/Furious - Ja Rule feat. Vita/
Kojiro si rese conto di essere libero il giorno successivo all inizio delle lezioni al Toho.
Lo scoprì concretamente quando per la stanchezza accumulata e la tensione sciolta non sentì la sveglia e rimase addormentato; non gli era mai capitato e se per caso succedeva di far tardi a qualcosa, poi riceveva punizioni sonore dai genitori adottivi. Quella volta nessuno lo picchiò per essere arrivato alla fine delle colazioni in mensa, così come nessuno lo chiuse in una cantina coi ratti per essere entrato dopo gli altri in classe. Fu allora, quando non ricevette nemmeno un ammonimento verbale, che il giovane quattordicenne che andava per i quindici, capì che ormai era libero di fare tutto quel che voleva senza l'alito gelido della paura ben impregnata addosso.
Fu per questo che divenne ancor più incontrollabile.
Quando un compagno di classe osò riprenderlo per un atteggiamento discutibile, dicendo che non poteva farlo, lui rispose aggressivo prendendolo per il colletto della maglia e, scuotendolo violento, disse che faceva quel diavolo che gli pareva, poiché non era più schiavo di nessuno. In pochi udirono quella frase che non ripeté più per una serie di motivi fra i quali la propria vergogna nel far sapere che era stato praticamente schiavizzato dalla sua famiglia precedente. Se non avesse avuto quel carattere forte, ribelle ed aggressivo la sua mente non ce l'avrebbe mai fatta ed anche se ora sembrava un grande difetto quel suo essere maleducato e antipatico, in realtà era un grande pregio visto che era sopravvissuto grazie ad esso.
Quei pochi, comunque, cominciarono a guardarlo con timore e rispetto al contempo. Uno che passa certe cose e che le vince, sicuramente non è pane per i denti di nessuno!
Quel giorno, in mensa, ebbe il primo contrasto serio.
Accompagnato dagli unici tre ragazzi che osavano stargli vicino, Ken, Takeshi e Hikaru, si diresse a prendere posto in uno dei tavoli liberi. Camminava guardando dritto, evitando con cura ogni altro essere vivente, lo sguardo truce di natura e l'aria di chi non aveva sfogato la rabbia ancora per nulla. Che l'avesse notato o meno non fu chiaro, però certo era che anche l'altro camminava senza calcolare il mondo circostante. Lo scontro fisico non fu grave, non rovesciarono i vassoi l'uno addosso all'altro né fecero cadere i piatti. Caddero solo le bottigliette d'acqua che comunque erano chiuse, ma questo bastò visto che probabilmente di malumore entrambi per un motivo diverso, non avevano atteso altro di poter scaricare un po di bassi istinti.
- EHI, IDIOTA, GUARDA DOVE VAI! - Ringhiarono insieme guardandosi male. Nel giro di un istante l'attenzione di tutti fu puntata su loro due. Kojiro e Genzo si affrontavano pubblicamente davanti a tutta la scuola riunita a pranzo. Il nuovo arrivato contro uno dei più popolari, i due attaccabrighe per eccellenza al momento.
- MA VAFFANCULO! - Anche il secondo complimento arrivò in concomitanza da entrambi, i loro sguardi furenti divennero sempre più accesi di odio, come se istintivamente sapessero sin dall'inizio che non avrebbero mai potuto andare d accordo. Quella fu l'ultima cosa che si dissero, poi insieme spinsero il vassoio distrattamente nelle mani dei compagni accanto e con un primo spintone vicendevole, iniziarono a strattonarsi con l'intento di buttarsi a terra. Siccome entrambi avevano un'ottima resistenza nonché forza fisica, capirono che si sarebbe giocato tutto sui riflessi e senza nemmeno guardarsi negli occhi scuri simili a quelli dei felini, il primo a tentare con un pugno fu Kojiro. Rimase quasi inebetito nel guardare quel damerino del cavolo schivare il suo colpo diretto e veloce e ricambiare con una prontezza e decisione che non aveva mai visto a nessuno, e lui a botte ne aveva fatte!
Non perse comunque tempo con le sorprese ed ignorando il dolore, indietreggiato solo di un passo, si riprese e caricò furioso un altro pugno ancora in pieno viso. Questa volta lo colpì anche se non proprio dove aveva mirato, l'aveva quasi schivato di nuovo!
Kojiro aveva trovato pane per i suoi denti e stordito non capì cosa fosse quello strano senso di gioia interiore. Per la prima volta facendo a pugni con qualcuno si sentiva contento. Non gli seccava riceverne tanti quanti ne dava, non gli importava vedere che l'altro fosse in gamba e all'altezza della situazione, non gli importava nulla se poteva fare una sana rissa senza scrupoli, senza doversi trattenere, senza pensare alle conseguenze, senza rischiare di mandare l'altro nell'aldilà. Poteva sfogarsi a pieno dando il suo massimo e comunque confrontarsi ad armi pari, fu davvero la prima volta che se lo disse, non era male. Del resto non gli era mai capitato. O era sempre stato il migliore in assoluto o il peggiore. Di norma l'unico contro cui aveva perso di continuo era stato solo il patrigno, un gran pezzo di merda per i suoi gusti. Contro gli altri, gente che incontrava nelle sue rare uscite, non aveva trovato soddisfazione perché non erano mai riusciti a stargli dietro.
Ben presto furono circondati dal resto degli studenti entusiasti dello spettacolo nonché profondamente stupiti di trovare qualcuno che teneva coraggiosamente testa a Genzo, li incitavano, battevano le mani e li guardavano assetati di novità e divertimento. Qualcosa di comunque alquanto macabro!
L unico che si era scostato dal gruppo era stato proprio Karl, l'amico straniero dai capelli biondi e gli occhi azzurri di Genzo che aveva ricevuto il suo vassoio col pranzo. Senza dire nulla, nemmeno guardarlo con disapprovazione, si era limitato a sedersi ad uno dei tavoli vuoti e ad iniziare a mangiare con la più totale tranquillità. Non era il baby sitter di Genzo, del resto!
- Ken, fermalo o lo ridurrà in poltiglia! - Stava dicendo Sawada allarmato tirando per la manica lil compagno che guardava la scena con un certo interesse come gli altri, ma senza la minima intenzione di intervenire.
- Chi ridurrà in poltiglia chi? - Chiese con ironia senza distogliere lo sguardo attento che sembrava esperto nel settore dei corpo a corpo.
- Come? - Sawada però non capiva.
- Takeshi, non vedi che se la cavano benissimo entrambi? Chi riesce a fermarli? - Eppure non sembrava per nulla preoccupato.
Il piccoletto allora lo fissò strabiliato:
- Ma tu hai fatto karate, potresti fermarli in un attimo! - Era vero, ma c'era anche da dire che per farlo ci voleva la volontà e Ken al momento, per quanto valido fosse, non aveva la minima voglia di alzare un dito e prendersi probabilmente un pugno in faccia.
- Vero, ma si stanno divertendo! - Di chi parlasse non era ben chiaro, ma in effetti si stavano divertendo tutti, a parte Karl che nemmeno assisteva e Sawada che sembrava un anima in pena.
Anche Kojiro che Genzo sembravano animati più che da un fuoco di odio o rabbia come all inizio, da quello dell'interesse. I primi a cui piaceva picchiarsi a quel modo erano proprio loro due!
No, nessuno sarebbe intervenuto.
Nessuno ad eccezione di uno che invece in mezzo ci si mise.
Uno che non fu nemmeno sfiorato, funse da calmante, come se avesse staccato loro la spina.
Pietrificati in pose d'attacco, i due animali feroci non mossero più nemmeno un muscolo guardando il ragazzo che si era messo in mezzo con una tale tranquillità da farlo sembrare irreale.
Lui, elegante, aggraziato, dritto, le mani ai fianchi, la testa alta, lo sguardo fisso e superiore, quasi di sfida. I suoi occhi castano caldo sembravano dire 'colpiscimi se ne hai il coraggio' ed erano fissi proprio in Genzo, colui che era famoso per non aver paura di nessuno e per accettare tutte le sfide del mondo.
Quel ragazzo non disse nulla, ma rimase immobile fra Genzo e Kojiro con uno strano sorriso enigmatico, senza battere ciglio, fra due pugni che lo sfioravano pronti a colpirlo.
Il primo ad abbassare il braccio fu il più grande che incupendosi divenne tenebroso in un batter d occhio.
- Cazzo, Jun, è pericoloso! Potevamo colpirti! - Grugnì seccato mentre si sistemava i vestiti, si ravvivava i capelli mossi e si puliva il rivoletto di sangue all'angolo della bocca. Anche se non l'avesse chiamato per nome, Kojiro l'avrebbe riconosciuto lo stesso nonostante lo vedesse da dietro. Inconfondibili capelli ordinati e posa aristocratica.
Sgranando gli occhi incredulo per il suo arrivo e per la scena in sé, capì di avere davanti il ragazzo del pulmino, Jun Misugi.
Abbassando il pugno e lasciando perdere il sangue che gli usciva dal sopracciglio, mormorò senza rendersene conto:
- ...tu?! - Fu allora che lo vide spostarsi con un movimento fluido, apparve quasi come un passo di danza. Si voltò e allargando le braccia verso entrambi, dopo averli accarezzati col suo sguardo adulto e indecifrabile ma quasi saccente, disse estremamente calmo e pacato:
- Genzo Wakabayashi ti presento Kojiro Hyuga, Kojiro Hyuga ti presento Genzo Wakabayashi. Immagino non avrete fatto una vera e propria conoscenza. Penso che con un po di buona volontà possiate diventare amici. -
- Amici? Puah! - Si lamentò scettico Genzo. - Non mi interessa un cazzo chi diavolo è lui! Non mi deve rompere i coglioni! - Detto ciò si fece largo fra la folla cercando Karl che trovò al tavolo a mangiare da solo indifferente a tutto. Gli lanciò un'occhiata di fuoco e senza aggiungere nulla uscì dalla mensa con le mani nelle tasche ed una camminata seccata.
Una cosa Kojiro capì al volo a quel punto: quel Jun Misugi era davvero qualcuno di importante per aver sedato con la sua sola presenza una rissa di quel calibro e nella fattispecie, era uno di cui quel Genzo strafottente aveva rispetto e anche qualcos altro. Come...
"Soggezione? Paura di colpirlo? Possibile? Uno così che fa di chiunque ciò che vuole, da quanto mi hanno raccontato, ha paura di colpire quel Jun?" A quel punto sorse spontanea la domanda successiva: "Chi diavolo è, allora?"
Una domanda che presto avrebbe trovato risposta con suo grande sgomento.
- Vorrei indirizzarti verso un corso di lotta libera. Qua se ne svolgono molti di ogni tipologia, da quelli sportivi, a quelli artistici, a quelli corporei. Notando il bisogno di sfogo fisico, credo che fra quelli di lotta troverai ciò che ti aggrada. In segreteria troverai tutte le informazioni ed eventualmente potrai iscriverti. Se continui su questa linea passerai dei seri guai, il regolamento non permette questo genere di comportamento violento. - Lo disse con la sua solita diplomatica gentilezza, sorridendo pacato e con quell'aria da principe spiazzandolo ulteriormente mentre si perdeva fra le sue parole, i suoi modi, il suo linguaggio ed ogni altro dettaglio. Le domande che continuavano a nascergli non avevano fine.
- Chi diavolo sei tu? Potevi dirmi che stavi anche tu qua! E che cazzo, potevi anche aspettarmi ed entrare con me visto che ti piace tanto fare il buon samaritano! - Sbottò sgarbato sul piede di guerra avvicinandosi e sovrastandolo di qualche centimetro in statura. - E poi anche quello stronzo ha fatto la sua parte, perché dici queste cazzate del regolamento solo a me? -
Jun non parve turbarsi:
- Lui le conosce già ma probabilmente pensa di essere superiore a tutte le norme vigenti in questo loco. - Kojiro fece una smorfia per la fatica a capire quelle parole così elaborate e poco da quattordicenne.
- Come diavolo parli? - Disse infatti spontaneo. Jun sorrise ma non rispose. Non rispose né a questo né all'interrogazione di prima, si limitò a fargli un cenno di saluto e ad uscire anch'egli dalla mensa, fra gli occhi sbigottiti e ammirati di tutti i presenti, che non erano pochi. Karl se n era già andato. Appurato che lo spettacolo ormai era concluso, anche gli altri studenti smisero di assistere e si dileguarono. Rimasero solo Hikaru, Ken e Takeshi che avvicinati gli diedero delle pacche (due di complimenti, uno di preoccupazione).
- Che coraggio! - Dissero ammirati, il moro non li ascoltava.
- Perché non l'ha colpito? Aveva dei riguardi verso di lui, era chiaro... chi diavolo è quel Misugi? - Era così misterioso, strano, diverso da tutti, qualcosa non gli tornava, ma cosa?
- Sono fratelli! - A questa risposta l'altro per poco non si strozzò con la saliva, fissò Hikaru come avesse bestemmiato e questi senza bisogno di farlo parlare capì cosa intendeva: - Sì, non si somigliano per niente né fisicamente né caratterialmente... forse solo nei modi da ricchi, si somigliano! -
- Ma non hanno lo stesso cognome! E poi perché stanno qua? - Di norma non era un tipo curioso ma con loro, non sapeva proprio come mai, non riusciva a farne a meno e non era comunque abituato a riflettere.
- E' una storia un po complicata... - Iniziò Sawada con pazienza dirigendosi al tavolo per iniziare il loro sacrosanto pranzo. Una volta che furono tutti seduti, iniziò con loquacità e disponibilità a spiegare: - Hanno la stessa madre, ma i padri sono diversi. Il padre di Jun è morto quando lui non era ancora nato, lei poco dopo si è risposata con Mikami Wakabayashi che aveva Genzo, un bambino di tre anni più grande. Lei e il signor Wakabayashi, che da tutti si fa chiamare Mikami per essere meno distante dagli alunni, erano stati amanti e da quella relazione clandestina era nato Genzo che però era rimasto col padre per insabbiare tutto. Si dice che al marito lei avesse fatto credere di aver perso il figlio, pur di mantenere la facciata di brava persona fedele. Ad ogni modo le circostanze in cui il padre di Jun, il signor Misugi, morì, sono misteriose. C è chi ci fantastica sopra dicendo che è stato Mikami per riprendersi l'amata, chi che sia stata proprio lei per vivere con la persona che amava davvero... mah, chi lo sa. Comunque poi è morta anche lei in un brutto incidente e Jun è rimasto con Mikami e Genzo. Sono cresciuti insieme come fossero fratelli dello stesso padre, oltre che della stessa madre, ed anche se hanno cognomi diversi si sentono consanguinei al cento per cento e non solo al cinquanta. Siccome Mikami ha questo istituto da un sacco di tempo, una volta rimasto vedovo si è buttato nel lavoro anima e corpo preferendo vivere qua durante l'anno accademico, per essere più vicino ai suoi studenti. I figli pare non abbiano avuto scelta che seguirlo, però è un buon posto tutto sommato e loro possono anche non seguire le regole del Toho visto che non sono qua di loro volontà e che sono i figli del direttore! - Più che una storia reale sembrava una soap opera americana!
Kojiro si grattò il capo assimilando le informazioni, capendo che nonostante tutto non avevano avuto una vita facilissima, specie quel Jun. Certo nulla di paragonabile alla propria!
Poi gli tornò in mente il momento in cui Jun si era messo in mezzo e Genzo gli aveva detto che era stato pericoloso. Fu allora che quel qualcosa che ancora non gli tornava uscì prima che potesse rendersene conto, come se fosse estremamente importante per lui sapere tutto quello che c era da sapere su quel giovane misterioso con una specie di maschera sempre piantata in faccia. Cosa nascondeva?
- Sono fratelli, io avrei colpito mio fratello se si fosse intromesso in una mia rissa! - Sbottò infatti.
- Fortuna che non ne hai! - Scherzò ironico Hikaru mentre Ken stesso ridacchiava all'uscita; Kojiro non lo calcolò, fissava intensamente e caparbio Takeshi costringendolo a rispondergli e finalmente lo fece:
- Jun soffre di cuore da quando è nato, la malattia cardiaca si è manifestata con un attacco quando sua madre è morta. Nessuno lo colpirebbe, specie suo fratello! - La sensazione che Kojiro provò, fu quella di essere stato pietrificato e non ne capì assolutamente il motivo.

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Capitolo 4
*** Un bacio nella notte ***


il mondo che vorrei4 *In questo nuovo capitolo, Kojiro scopre ancora qualcosa che per lui è decisamente più importante e sconvolgente degli affari di Jun. Scopre la propria sessualità.
Ringrazio sentitamente tutti quelli che continuano a seguire e commentare, sono contenta che la fic piaccia così tanto. Buona lettura. Baci Akane*

CAPITOLO IV:

UN BACIO NELLA NOTTE

/Swan Lake - Tchaikovsky/
Non è che quella notte fosse magica o che, anzi... Kojiro si svegliò di soprassalto col cuore in gola che batteva come un dannato, madido di sudore e ansimante.
Da quando se ne era andato da quella casa infernale, aveva iniziato ogni maledetta notte a fare quegli incubi e quando si svegliava di soprassalto alle due, ancora gli pareva di essere laggiù, con quelle persone terribili che lo maltrattavano.
Nel periodo in cui era stato là, al contrario, si era ritrovato a sognare di andarsene ed ora che ci era riuscito non poteva smettere di rivivere quei giorni da panico con incubi persistenti. Lo trovava fastidiosamente ironico, come se qualche idiota si prendesse beffe di lui, cosa insopportabile!
Quando succedeva, non riusciva più a dormire e per lui era una tortura rimanere sveglio cinque ore, poiché riviveva anche ad occhi aperti i suoi tragici quattordici anni di vita.
Si alzò a sedere, gli altri due dormivano della grossa e maledì sé stesso per non avere mai acquistato la passione per la lettura.
Pensando scocciato a cosa potesse fare per insonnolirsi e tornare a dormire, fu allora che sentì qualcosa.
Inizialmente era confuso e lontano, ma drizzando le orecchie si rese conto che non lo era poi molto. Guardò il pavimento. Veniva dal basso. Dopo un paio di minuti si rese conto di cosa si trattava: un pianoforte che suonava.
Quasi sospirò sollevato costatando che era SOLO un pianoforte che alle due della notte emetteva melodie!
Ora, una persona normale avrebbe come minimo pensato a qualche fantasma o giù di lì, rimanendo nel letto a tremare come una foglia. Kojiro naturalmente non era normale visto che vide quella come l'occasione perfetta per fare qualcosa contro l'insonnia. Senza pensarci un istante di più si infilò le ciabatte e silenzioso sgusciò fuori dalla stanza. Non era un tipo curioso, tendeva a farsi i fatti propri, ma giacché non riusciva a dormire e che quel suono arrivava proprio da sotto la sua camera, gli sembrava legittimo andare a vedere chi fosse quell'idiota che gli rompeva le palle, come se i suoi incubi fossero generati da ciò!
Sceso al piano di sotto sentì la melodia sempre più forte e seguendola non si accorse di cadere via via come in trance. Le note si delineavano sempre meglio e la malinconia struggente di quella composizione gli penetrava il cuore.
Giunse davanti all'aula di musica. La sua camera era esattamente sopra. In tutto il resto del piano c'erano le aule ricreative composte da quella di musica e artistica, sullo stesso piano c'era la biblioteca e la sala video. Entrò quasi trattenendo il fiato e si fermò, vide che a suonare nella penombra di quell'enorme aula c'era Jun Misugi e staccò i contatti.
Quella canzone era la più triste che avesse mai sentito -non che ne avesse sentite molte in effetti-, ripeteva il motivetto all'infinito, come non ne avesse mai abbastanza, e lo faceva con un tale trasporto da catturare lui stesso, analfabeta di musica di qualunque genere, specie quello classico, e catapultarlo di nuovo indietro nel tempo, a qualche giorno prima, in quel postaccio con persone che lo maltrattavano, lo punivano duramente per ogni cosa, lo picchiavano come se fosse l unica ragione per cui fosse venuto al mondo. Rivisse con dolore i momenti peggiori della sua breve vita, ricordandosi perché conosceva solo l'odio e la violenza, perché non si era mai concesso nemmeno un piacere, perché non conoscesse i propri gusti, non avesse amici, non facesse le cose che fanno i suoi coetanei...
Che colpa si poteva avere a nascere?
I suoi genitori non l'avevano voluto mentre quelli che l'avevano adottato l'avevano trattato come uno schiavo o peggio.
Fu quando urtò qualcosa che si rese conto di aver camminato fino al pianoforte, rimase in quella specie di catalessi, come ipnotizzato dalla musica lenta, triste ed intensa. Sembrava proprio la morte di qualcosa di meraviglioso. Da lì lo vide bene. J
un vestiva con una maglia nera dalla stoffa leggerissima che scivolava morbida e liscia sul suo corpo, i pantaloni erano dello stesso tipo. I capelli anche in quell'occasione erano perfetti, come non fosse nemmeno andato a dormire. Suonava con gli occhi chiusi ma le sue guance erano bagnate, calde lacrime trasparenti brillavano alla flebile luce che c'era, finivano sui tasti bianchi e neri.
A cosa pensava mentre suonava a quel modo, piangendo?
Cosa stava rivivendo?
Magari la morte di sua madre, il suo infarto, la notizia della malattia al cuore, quella di non essere il vero figlio di Mikami Wakabayashi... cosa aveva dentro, quel giovane che all'apparenza sembrava perfetto ed il più fortunato del mondo? Certo peggio di lui non poteva averla avuta, ma sicuramente non era stata una passeggiata.
Alla luce di queste affermazioni, si ritrovò addirittura seduto accanto a lui, davanti al pianoforte a coda. Con una remota parte di cervello si diceva se non fosse impazzito, ma con tutto il resto, la gran parte in effetti, faceva quel che voleva senza ragionarci minimamente.
Solo perché voleva e sentiva e provava.
Ed era libero, dannazione!
Finalmente lo era, poteva fare veramente tutto quel che gli passava per la testa senza nemmeno ragionare, non c'erano conseguenze come la cintura data sulle gambe o sulla schiena, nemmeno la cantina buia, puzzolente e piena di ratti. Non c erano nemmeno dei calci che gli massacravano gli organi e la ragione!
Fu allora che Jun finalmente si accorse di avere un ospite e alzò le dita dalla tastiera, facendo calare un improvviso silenzio che presto divenne pesante.
Kojiro lo guardò con rimprovero istintivo, come aveva osato smettere? Era così bravo...
Come la musica cessò, i suoi ricordi orrendi vennero annullati tornando ben chiusi dentro di sé. Fino alla prossima notte non li avrebbe rivissuti.
Però anche se la musica e il passato non c erano più, non per il momento, lui restava come ipnotizzato dall'atmosfera o forse da quegli occhi castano autunno non molto lontani che lo fissavano lucidi, seri e quasi confusi. Se ci fosse stata più luce avrebbe notato che il colore caldo delle iridi, quando lui piangeva, diventava quasi rosso ma in quel momento si limitò a realizzare che era semplicemente il più bel tipo che avesse mai visto, fino ad ora. Non che ne avesse visti molti, in effetti... ma non si poteva negare che lui lo fosse.
Non gli era mai capitata una cosa simile, nella sua breve vita burrascosa non aveva avuto tempo di vivere la propria sessualità o notare il bello o il brutto. Tante cose gli erano state negate, cose che viveva ora per la prima volta e spesso bruscamente, improvvisamente e assai intensamente.
- Ciao... - Mormorò Jun educato. La sua voce era roca ma gentile, talmente sfumata e debole.
Stava male?
- Cosa fai? - Gli fece una domanda stupida, ma se ne rese conto solo dopo averla fatta, eppure si sentì ebbro per non dover temere le conseguenze.
- Suonavo... - Jun avrebbe sorriso ironico in condizioni normali, però lì si capiva che non lo era quindi rimase serio e aggiunse con un notevole sforzo, solo perché era stato cresciuto in un certo modo: - Non volevo disturbarti, ma in questa notte io suono sempre fino all'alba. -
Perché? Avrebbe voluto chiedergli, invece con sua grande sorpresa si limitò a: - Cos era? -
Come se gliene importasse davvero.
- Il lago dei cigni di Tchaikovsky. - Si guardavano senza essere capaci di smettere, le spalle si toccavano e Kojiro indossava solo una canottiera intima con dei pantaloncini, era anche tutto spettinato con alcune ciocche lunghe che gli coprivano un po il viso dai lineamenti selvatici e stupiti. Non era imbronciato, arrabbiato o seccato, sembrava un altro.
- Perché? - Ma la sensazione di riguardo svanì, voleva saperlo e basta. Vide Jun soppesare la sua risposta, esitare e poi -chissà perché vista la sua riservatezza- rispondere piano: - E' l'anniversario della morte di mia madre. Adorava questa opera, ce la suonava sempre. - E poi, anche se per caso avesse voluto -cosa improbabile- non avrebbe avuto più il tempo di aggiungere altro. Le labbra di Kojiro calarono veloci e impulsive sulle sue premendosi e impedendogli di muoversi.
Stette fermo immobile così, senza toccarlo né violare la sua bocca oltre, gli rimase la curiosità di assaggiare il suo sapore così come quella di provare che sensazione gli avrebbe dato la lingua sulla sua.
Dopo aver agito d'impulso come ormai aveva preso gusto a fare, era andato in tilt dimenticandosi di ogni cosa, specie di pensare.
Quelle labbra ben disegnate erano morbide ma fredde, chissà se almeno un po gliele stava scaldando...
Fu una domanda fugace che ebbe prima di avere l'impressione di essere nel posto più bello dell'universo.
Non aveva mai baciato nessuno e nessuno aveva baciato lui. Gli era capitato di vedere una volta un paio di pubblicità alla televisione dove due lo facevano e pensava di aver capito più o meno come funzionava, ma non aveva mai avuto ben chiaro tutti i passaggi. aveva pensato che una volta iniziato il resto sarebbe nato spontaneo, ma lì di spontaneo fu solo il blocco più totale, il panico e lo scioglimento di ogni argine, un fiume in piena che straripava, la scoperta di un mondo intero che prima aveva immaginato, certo, ma non così grande, vario ed incredibile.
Kojiro, con sorpresa, shock e meraviglia, aveva appena scoperto la propria sessualità.

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Capitolo 5
*** Riflessioni nella mattina ***


Kojiro cerca di capire cosa significa essere gay e intanto le sue scoperte non sono ancora finite!
Ringrazio sentitamente chi mi sta leggendo e commentando nonostante magari non abbiano la mia stessa visione dei personaggi... Volevo solo dire che, ad ogni modo, tutto questo prende il punto di vista di Kojiro e che quindi certe cose sono sue, soggettive e non oggettive. Il personaggio compie un suo percorso all'interno della storia e spero che proseguendo sia sempre più chiaro. Ah, volevo anche dire che le sue somme sfighe d'infanzia sono colpa (oltre del fatto che Kojiro soffre tanto bene), anche del sogno che feci prima di iniziare la fic... l'orfano, nel mio sogno, era davvero così sfigato come lui, a livello di vita vissuta fino a quel momento... Ok, ora vi lascio leggere. Buona lettura. Baci Akane

CAPITOLO V:
RIFLESSIONI NELLA MATTINA

/Miscomunication - Timbaland, Hilson & Sebastian/
Quando si staccarono per bisogno di riprendere fiato, il tempo scorreva ancora molto lentamente, sembrava tutto sospeso in una dimensione a parte, alla penombra, davanti ad un pianoforte, con ancora un’atmosfera strana creata da qualche nota malinconica ed un bellissimo ragazzo.
Solo dopo un paio di secondi in cui Kojiro era rimasto a fissare Jun perso ed inebetito per quel che aveva appena fatto e provato, si rese conto che l’altro non aveva risposto ma non l’aveva nemmeno respinto.
Poi Jun chiese:
- Sei gay? - Il suo tono era delicato e non accusatorio, il ragazzo dai capelli mori non si sentì in imbarazzo nonostante avrebbe dovuto, quindi pensandoci non trovò risposta:
- Lo sono? - Sperò quasi che l’altro sapesse anche quello.
- Ti è piaciuto il bacio? - Fece allora Jun con calma e quasi dolcezza, continuando a guardarlo negli occhi neri confusi e stupiti.
- Sì… -  Era vero.
- Lo rifaresti? -
- Sì e anche meglio! - Anche questo era vero.
- Allora lo sei. - Semplice, terribilmente semplice. Come aveva fatto a non arrivarci prima da solo?
- Ed è male? - Però non capiva se doveva preoccuparsi o meno, non si sentiva sbagliato, fuori posto o anormale ma con un angolino della sua mente sapeva che forse avrebbe dovuto.
- Dipende dai punti di vista… - Non aveva mai una risposta definitiva ed oggettiva.
- Dal tuo? - A Kojiro premeva comunque conoscere il suo.
- No. - Si sentì sollevato e si sentì anche stupido.
- Ma lo sei anche tu? - Quasi convinto che fosse così, o forse solo sperandolo.
- No. - Gelo.
- No? - Aveva sentito male?
- No. - No… aveva sentito bene. Purtroppo.
Il gelo divenne fuoco e lo sentì sulle sue guance e dentro al petto.
“Che idiota che sono…”
Pensò amaro, poi senza aggiungere nulla, provando finalmente quello che forse avrebbe dovuto provare prima, una vergogna martellante, si alzò e se ne andò veloce come una folata di vento.
Scoprire di essere gay, di essere attratto da un ragazzo nello specifico, avere a che fare improvvisamente con la propria sessualità e compiere stupide smancerie non da lui, ma che aveva sempre sognato quando era chiuso da solo in una sporca cantina ad immaginare il suo mondo ideale. Poi scontrarsi con la dura realtà.
Nel mondo reale le cose continuavano a non andare come voleva e a lui non rimaneva altro che accettarle.
O combattere per cambiare ciò che gli stava a cuore.
Il giorno dopo l’avrebbe deciso.

Kojiro viaggiò su un altro pianeta per tutta la mattina successiva, come se fosse approdato sulla luna ed i suoi movimenti fossero rallentati. In realtà appariva più pensieroso che mai e la verità era che non sapeva che pesci prendere, nella maniera più assoluta.
Era gay?
Sì, pensava di esserlo, dopo tutto aveva baciato un ragazzo… sempre che quello si potesse considerare un bacio. Sicuramente avrebbe dovuto fare anche qualcos’altro, ma non gli era venuto su altro sul momento, aveva solo agito d’istinto.
Come ci si sentiva ad essere gay?
Inizialmente gli parve che tutti lo sapessero ma non capiva se dovesse essere un male o meno… Jun non gli aveva dato una risposta specifica a tal proposito e lui la sua infanzia l’aveva vissuta da recluso: più che un bambino era stato uno schiavo, quindi la sua conoscenza del mondo e delle cose era davvero limitata.
Non vedeva comunque perché agli altri dovesse interessare se a lui piacevano i maschi o le femmine… quindi lo stato ‘sul chi vive’ aveva subito lasciato spazio a quello della scoperta e della ricerca.
Ricerca di ciò che gli piaceva davvero, come e perché.
Gli piacevano tutti i ragazzi?
In che misura?
Che istinti basici gli provocavano e quali tipologie di persone lo stimolavano?
Oppure era stato solo Jun Misugi l’eccezione?
Cominciò ad osservare tutti i ragazzi, da quelli brutti a quelli decenti a quelli più popolari e corteggiati, riconosceva le loro ‘categorie’ d’appartenenza e perché uno fosse bello ed un altro invece no.
Ma questo cosa significava?
Mica avrebbe voluto baciarli tutti…
C’era anche da dire che con tutti quelli lui non ci aveva nemmeno mai parlato, forse doveva scambiarci quattro chiacchiere per sentire la voglia di farci qualcosa.
Dopo un paio d’ore passate così, il cervello gli fumava e la confusione ingigantiva come non mai, seccato per questo aveva deciso di mandare tutti al diavolo e di vivere la vita così come gli veniva, continuando a scoprire sé stesso e i propri gusti che per quattordici anni aveva soppresso per sopravvivenza.
Ora poteva fare tutto quel che desiderava ma prima di quello doveva scoprire cos’era che effettivamente voleva fare.
La sua ricerca di sé stesso e del mondo che voleva era appena all’inizio, ma ad ora di pranzo subì una brusca fermata violenta che lo costrinse a giungere momentaneamente alla fase della rabbia.
L’aveva sempre cercato, ma non l’aveva mai trovato a pranzare con loro in mensa. Vero era anche che lui, Hikaru, Ken e Takeshi arrivavano sempre tardi rispetto a tutti gli altri, quindi probabilmente non beccava mai Jun perché quello era sicuramente in anticipo.
Quel giorno arrivarono piuttosto presto, i tavolini erano quasi tutti vuoti e c’era una vasta scelta di piatti; nonostante i lati positivi, Kojiro dopo sarebbe arrivato sempre tardi di proposito.
Gli venne quasi un colpo quando lo vide andare a sedersi con il proprio vassoio in mano. Rimase inebetito come un idiota, fermo, a fissarlo sorpreso riscoprendo la sensazione di quella notte, ritrovandosi catapultato in quell’atmosfera malinconica e surreale. Quasi gli parve di rivedere e risentire il pianoforte nero a coda. Rivisse il contatto delle loro labbra che gli era piaciuto, provò la voglia di rifarlo meglio, magari toccandolo ed essendo più intraprendente.
Lì capì che tutte le ore della mattina passate a cercare di capire cosa significava essere gay, erano state inutili perché comunque quella stretta che sentiva dentro alla bocca dello stomaco la provava solo in presenza di Jun.
Era lui, non tutti i ragazzi. Lui.
Magari conoscendo qualcun altro che rispondeva ai suoi ancora inesplorati gusti sarebbe potuto succedere altrettanto, chi poteva dirlo, però ora come ora la sua prima cotta seria era decisamente per quel ragazzo che gli aveva rivolto la parola per la prima volta.
Quanto idiota si sentiva…
Da lì al gelo fu un attimo.
Lo vide sistemarsi su un tavolo, poi girarsi e prendere il vassoio della ragazza che aveva dietro, quindi metterlo davanti al suo, prenderle la mano e posarle un dolce e delicato bacio sulle labbra.
Rimase immobile per un lungo attimo, non se ne rese nemmeno conto, si sentiva solo un perfetto imbecille di attimo in attimo.
Dunque era per quello che non aveva ricambiato, che non gli era piaciuto, che non aveva reagito.
- Wow, ci sono addirittura Jun Misugi e Yayoi Aoba! Che onore! - Sentì vagamente la voce di Hikaru ironizzare.
- E’ come parlare di due altezze reali! - Continuò Sawada ma senza scherzare, profondamente ammirato e quasi sognante.
- Due fra le altezze reali, vorrai dire… non sono gli unici ad essere dei pezzi grossi! - Lo corresse Ken con meno interesse, proseguendo il percorso del cibo.
- Sì, ma sono quelli più amati! - Proseguì il piccoletto incurante del moto di gelosia che Ken stava mascherando egregiamente.
Hikaru vedendo lo sbigottimento di Kojiro che ancora li fissava spudorato, gli spiegò con la sua solita ironia, divertito dalle diverse reazioni dei suoi due amici:
- Gente come Genzo Wakabayashi e Karl Hainz Schneider sono popolari e di una certa importanza per la loro provenienza e la bravura con cui fanno certe cose, ce ne sono un paio come loro. Ammirati ed in vista. Ma Jun Misugi e Yayoi Aoba sono come il re e la regina, la coppia perfetta, quelli più invidiati, ammirati, rispettati ed amati. Tutto quello che fanno gli riesce bene e la storia del cuore di lui aggiunge un velo di romanticismo in più alla coppia. Per molti vederli è come essere in paradiso! Stanno insieme da molti anni e sono tutti sicuri che quando si diplomano si sposeranno! - Lui non le pensava realmente quelle cose, era ovvio, ma la maggior parte delle persone dell’istituto sì, quindi era come una sorta di verità assoluta.
Kojiro rimase a fissare quella bella ragazza elegante, distinta e dall’aria molto dolce, dai capelli rossi che ricadevano morbidamente sulle spalle, gli occhi verdi ed un fisico perfetto.
Su una cosa Hikaru aveva ragione… l’invidia c’era, ma solo verso di lei.
Se avesse potuto l’avrebbe cancellata dalla faccia della terra!
La rabbia l’assalì prepotente e velenosa mentre lo divorava, la stessa che l’aveva mantenuto in vita fino al giorno in cui l’assistente sociale l’aveva portato via da quelle persone. Un’ira sorda alla quale si trattenne con fatica, una voglia di prendere a pugni Jun che non gli aveva detto che era fidanzato e che l’aveva quindi preso in giro.
Non l’aveva fatto davvero ma a lui parve di sì e buttando il vassoio a terra, ancora vuoto, creando un fragore che rimbombò per tutta l’ampia sala mensa, facendo girare tutti i presenti stupiti, uscì infuriato cominciando a scaraventare calci a tutti gli ostacoli sul suo cammino.
Solo Genzo, alla fine, si rivelò utile poiché fu l’unico a rispondergli per le rime e a proporgli un valido sfogo a suon di pugni che servì solo a scaricarlo e a lasciarlo più arrabbiato di prima.
Con Jun aveva chiuso!

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Capitolo 6
*** Corpo a corpo nel pomeriggio ***


*Ecco qua un altro capitolo di questa fic... spero che continui ad incuriosire e stuzzicare, qua si inserisce una nuova situazione, o per lo meno nuova lo sarà dal prossimo capitolo ma forse qua si può capire dove andrò a parare! Kojiro reagisce alla delusione per Jun e lo fa a modo suo. Dai commenti vedo che il misterioso Jun crea molte reazioni poiché è quello che si capisce di meno. Perché agisce come agisce? E' poco chiaro e su questo non si discute, ma perché? Eh, per trovare le risposte su di lui, dovrete aspettare ancora un po'! Finché non sarà Kojiro a capirlo, nessuno potrà visto che noi seguiamo il bel tigrotto! Grazie dei commenti che mi lasciate, sono felice che la fic piaccia. Alla prossima. Buona lettura. Baci Akane*

CAPITOLO VI:

CORPO A CORPO NEL POMERIGGIO

/Fake it - Seether/
Di bassi istinti da sfogare ne aveva accumulati a bizzeffe, ormai, e sebbene quello fosse un suggerimento di Jun, realizzò che non c’era nulla di meglio per scaricarli una volta per tutte.
L’idea di poter fare qualche libero corpo a corpo lo allettava, non sarebbe stato interrotto da seccatori e magari avrebbe anche trovato qualcuno di degno con cui confrontarsi.
Gli bruciava in effetti seguire il suo consiglio, ma alla luce dei nuovi eventi che l’avevano reso più rabbioso ed intrattabile che mai, non pensava di avere scelta: o un club di lotta o sarebbe impazzito!
Il pomeriggio in cui si diresse nelle palestre, sembrava stesse andando ad un funerale, la sua espressione era tetra e lugubre più di sempre. Aveva anche quasi litigato con Hikaru… certo il ragazzo non era uno stinco di Santo, ma c’era da dire che Kojiro aveva un gran bisogno di prendere a pugni qualcuno.
Da quando si era scoperto gay non aveva ancora capito bene cosa quello significasse e soprattutto come avrebbe dovuto comportarsi, ma prima che potesse comprendere bene ogni cosa aveva già ricevuto la sua prima delusione sentimentale.
Era quello che si provava, dunque… bè, si era detto subito, se era così provare sentimenti che poi venivano pietosamente non corrisposti ed anzi respinti, allora era meglio non lasciarli liberi!
Questa fu alla fine la sua conclusione rabbiosa, ma ciò gli portò solo un ulteriore accumulo di insofferenza.
Sbattendo la porta, fece il suo ingresso nella palestra attrezzata per gli esercizi fisici dove c‘era un ring per ogni genere di lotta, se non altro i più popolari.
Nonostante fossero discipline diverse, tutti si allenavano insieme e dedusse che l’allenatore fosse anche lo stesso.
Un sacco di ragazzi si esercitavano, chi ai macchinari, chi ai corpo a corpo delle svariate tipologie di combattimento. Quello che catturò la sua attenzione fu il ring da boxe. Come vide due ragazzi col caschetto prendersi a pugni di sana pianta, i suoi occhi si illuminarono istantaneamente. L’unica nota positiva, magari, sarebbe stata proprio quella anche se era stata suggerita proprio da Jun!
Ricordandolo fece una smorfia e seccato cercò l’uomo che comandava in mezzo a quella gentaglia di muscoli in via di formazione per alcuni e già formati per altri. Lo trovò, stava fermo fra i tappeti ad osservare alcune lotte, aveva gli occhiali da sole pur essendo al chiuso, i capelli castani ricci e corti, un po’ di barba sul viso serio e concentrato ed una postura dritta, impettita e imponente a modo suo. Vestiva con dei jeans chiari e una maglia nera attillata dalle maniche arrotolate, si capiva aveva un bel fisico ma probabilmente era straniero.
Li individuava subito quelli stranieri, pur non ne avesse mai avuto a che fare in vita sua. O avevano dei colori inconfondibili, come nel caso del tedesco Karl Hainz Schnaider, o avevano dei lineamenti del tutto diversi, come nel caso di questo signore giovanile che ad occhio sarebbe dovuto essere sui trent’anni.
Si fece avanti senza il minimo timore, solo con la voglia di menar le mani senza essere rimproverato e fermato, quindi lo chiamò.
Quando ebbe la sua attenzione, lo vide avvicinarsi senza fare una piega, con pacatezza e tranquillità, senza nemmeno sciogliere le braccia conserte.
- Sì? - Chiese cordiale.
- Sono un nuovo iscritto… mi chiamo Kojiro Hyuga. Da cosa comincio? -
L’altro rimase perfettamente imperturbabile, quindi rispose:
- Ciao, io sono Roberto Hongo, sono l’allenatore di tutti quelli che vedi qua. Inizia col dirmi la disciplina specifica che vorresti fare. - Era quasi freddo, in un certo senso, ma non lo si poteva proprio definire così perché era comunque gentile e calmo. Però era distante, questo sì.
- Io… non ne ho la più pallida idea! - Sbottò dopo averci pensato un nano secondo. Questo fece fare una piega all’espressione controllata di Roberto che però non si tolse gli occhiali, si limitò a sciogliere le braccia e a puntare le mani ai fianchi.
- Non hai mai praticato prima? -
- No! - Ringhiò sulla difensiva come se lo accusasse chissà di quale grave mancanza.
- Bene, scopriremo per cosa sei portato. Perché ti sei iscritto, comunque? - Domande normali per un allenatore che si ritrova un nuovo membro nel gruppo, questo però lo prese come un’intrusione inutile, come per dire ‘che diavolo sei venuto a fare qua, allora?’ e rispondendogli sempre più sgarbato, disse gesticolando coi pugni pronti ad essere sparati persino ad un adulto che gestiva i club di lotta.
- Perché ho un po’ di rabbia da sfogare, ti dispiace? Non posso continuare ad usare chi mi capita in corridoio come pungiball! - La rispostaccia evidentemente piacque a Roberto che da dietro le lenti scure fece brillare i suoi occhi verdi. Un tipo interessante, con personalità, focoso e senza paura di nessuno, specie delle autorità.
- Perfetto. Ho un’idea di cosa potrebbe fare per te… - Disse quindi senza la minima turba riguardo l’atteggiamento astioso e maleducato del ragazzo. Questi si sorprese di non essere ripreso, quindi rimase senza parole: - Cambiati, mettiti comodo e leggero, poi ti daremo le divise adatte. Scaldati un po’ velocemente e sali sul ring, ti faccio provare col nostro esperto boxista. - Stupito di averlo sentito parlare tanto, percepì un forte odore di sigaretta ma non gli interessò.
Attaccando come faceva sempre, invece di essere respinto era stato accettato.
Sentì come un moto di gioia, dentro di sé, e si sentì stupido per quello ma non riuscì a farne a meno.
Giorno dopo giorno, qualunque cosa provasse, sia bella che brutta, gli permetteva di capire cosa fosse la vera vita, quella di cui era stato privato per tutti quegli anni.
Tutto quel che viveva, anche le delusioni e le arrabbiature, erano degne di essere vissute, dopo tutto.
Erano libertà.
Pensando che quel tipo non era poi male, anzi, forse era il più decente in assoluto fra gli adulti incontrati fino a quel momento, andò a prepararsi negli spogliatoi, mettendosi con dei comodi pantaloni corti ed una canottiera.
Sapeva che avrebbe sudato e non chiedeva di meglio.
Dopo un riscaldamento veloce, si diresse al ring, come gli aveva detto l’allenatore, e prendendo il caschetto protettivo in gommapiuma, il paradenti ed essersi fatto sistemare le mani coi guantoni e tutto il necessario, salì sopra infilandosi fra le corde spesse.
Già il gesto di fare quelle cose gli provocò una certa emozione che di nuovo lo fece sentire idiota ma felice.
Provare certe cose non era da lui e quasi quasi si era dimenticato il motivo per cui era venuto in quella palestra del Toho.
- Allora, non ti spiegherò ancora nessuna regola. Combatti liberamente ad istinto, fai quello che ti viene sul momento e non preoccuparti, hai davanti quasi un professionista che comunque ha solo tre anni più di te. Avrà i dovuti riguardi. Dobbiamo capire se la boxe fa per te. - Sentì ancora una volta Roberto parlare più di quel che si potesse immaginare, ma rimase serio anche se con quella luce strana negli occhi, nascosti ancora dalle lenti scuri.
Il giovane che stava già sul ring davanti a lui non era molto più alto di lui, era solo coi pantaloncini corti, per il resto era nudo. I guantoni rossi sulle mani e il caschetto protettivo in testa. Quell’aggeggio lo copriva abbastanza da non fargli vedere bene il viso ma guardandolo ebbe subito l’impressione di conoscerlo.
“Certo non sarà Jun che soffre di cuore!”
Si disse schernendosi per stendere i nervi.
Era ancora emozionato ma impaziente di cominciare.
Quando sentirono il via, lo vide saltellare con un certo ritmo incalzante che andava via via in crescendo. Senza rendersene conto si mise a fare altrettanto. Non lo imitava di proposito, però alla fine lo fece ed anche se gli venne naturale, dimostrò una capacità di adattamento verso uno sport che non aveva mai praticato che fu rivelatrice per Roberto.
Anche la posa del corpo la prese alla perfezione e in pochi istanti sembrava che lo facesse già da tempo.
Certo andava sistemato, si vedeva che non sapeva effettivamente come doveva mettersi davvero e cosa dovesse fare, però erano cose che si mettevano a posto in fretta.
All’esortazione dell’allenatore di attaccare, Kojiro non ci pensò un attimo e cominciò caricando il primo colpo come il classico dilettante. Fu schivato velocemente, ma quello che stupì tutti, partner e allenatore, fu la forza che ci aveva messo. Così, grezzamente, senza un allenamento mirato, senza una spiegazione di come si tiravano i pugni per renderli efficaci, non era per niente male.
Si capì subito che era abituato a menar le mani.
Avendo ricevuto dei trattamenti brutali sin da piccolo, aveva imparato ad imitarli alla perfezione. I suoi erano pugni disperati, di rabbia e di difesa, in un certo senso; nulla di ragionato e professionale. Roba vera al cento per cento, c’era differenza fra quello e la boxe.
Paradossalmente Kojiro non combatteva con metodo e quindi era meno efficace, però lo faceva con crudezza. Erano colpi reali, quelli che lanciava, non diretti finti fatti solo per una disciplina di lotta.
Guardandolo così Roberto capì perfettamente il tipo di vita che doveva aver vissuto e cosa gli dovesse essere successo e ne rimase doppiamente colpito.
Kojiro dal canto suo si stupì e si indignò di non essere riuscito a mettere a fondo nemmeno un colpo, ma fu peggio vedere che l’altro si limitava a schivare e che non ricambiava. Certamente si credeva troppo bravo per lui.
Con stizza cominciò a fissarlo più male che mai ed espressivo com’era, presto il partner capì che il moretto ce l’aveva con lui perché non faceva seriamente.
- Non prendertela, ma se ti colpisco sul serio ti fracasso! - Disse con ironia cercando di rabbonirlo e alleggerire la situazione. Fece solamente peggio.
“Dove diavolo l’ho già sentita questa voce del cazzo?”
Si chiese Kojiro continuando come un carro armato; all’ennesimo nulla in risposta, sbottò:
- Non preoccuparti di me, pezzo di merda! Fai quello che fai con tutti! - Essere trattato con riguardo per lui equivaleva ad un umiliazione grandissima e sarebbe stata la tortura peggiore, di quella nuova vita.
A quelle parole l’altro fu come se lo riconoscesse e fu esattamente per quello che il riguardo che effettivamente aveva, lo mandò completamente nel cesso dicendosi che a sapere di chi si trattava, l’avrebbe reso in poltiglia molto prima.
Capendo però con un angolino minuscolo del suo cervello che lo sbruffoncello che aveva davanti era un pivello, lì sul ring, nel mondo della boxe, si limitò ad un solo pugno ben piazzato che gli lasciò un gran bel segno.
Stordito Kojiro indietreggiò rendendosi conto in un secondo momento di essere stato colpito davvero.
Questo invece di calmarlo o placarlo, lo montò ulteriormente e come non sentisse minimamente il dolore, ringhiò:
- Questo non era niente confronto a quelli che ho ricevuto in vita mia! - E così dicendo caricò con una tale velocità e rabbia che lo resero quasi irriconoscibile.
Di sicuro dietro a quel caschetto qualcuno ci aveva visto, ma non un giovane sconosciuto, bensì un uomo adulto che l’aveva cresciuto a suon di calci.
Immaginando di poter ritornare tutto il dovuto, Kojiro colpì l’altro con una tale forza, velocità e precisione da lasciare tutta la palestra in silenzio.
Tutti si fermarono guardando esterrefatti la scena.
Fare a pugni nei corridoi era una cosa, riuscire a colpire il loro campione di boxe sul ring era decisamente un’altra.
Non cadde, rimase perfettamente saldo sulle gambe, ma si trovò stordito per il fatto in sé di essere stato colpito da un pivello quando lui invece era calato nella parte del pugile serio.
Quando era fuori da quella palestra non era un campione di nessuna disciplina di lotta, ma solo un ragazzo che se provocato faceva qualche rissa di poco conto con chi, per puro caso, riusciva a colpirlo. Non si impegnava nelle risse, se l’avesse fatto sarebbe stato troppo letale, per questo aveva imparato a separare totalmente il campione di boxe dal ragazzo comune.
Però quando era su quel ring, col caschetto e i guantoni, lì diventava il letale pugile impossibile da colpire.
Quel giorno ogni sua convinzione fu mandata nel cesso dall’ultimo arrivato, ma il sapore del suo pugno fu come se glielo avesse fatto riconoscere.
All’ok di Roberto, un Roberto straordinariamente sorridente, anche se non in maniera eccezionale, il campione si tolse di scatto il caschetto e lo guardò male sputando a terra il paradenti.
Rivelò finalmente i suoi capelli corti, mossi, spettinati e neri, i suoi occhi altrettanto scuri ora si vedevano meglio come i lineamenti tenebrosi ed imbronciati.
Genzo Wakabayashi era davanti a lui e Kojiro, sorpreso di avere proprio lui, si tolse a sua volta il caschetto rivelando la propria identità.
Si guardarono fermi, fissi in cagnesco, come a sbranarsi.
- Se avessi saputo che eri tu ci sarei andato giù ancora più pesante! - Sentenziò acido Genzo con ancora i muscoli tesi dove le goccioline di sudore correvano delineando il suo fisico sportivo e ben allenato.
- E’ per questo che ti sei deciso a colpirmi, alla fine. Perché mi hai riconosciuto! - Sbottò Kojiro sicuro di sé avvicinandosi all’altro pericolosamente. Pochi centimetri li separavano ed anche quest’ultimo aveva un gran bel corpo, considerando che non si era mai allenato in vita sua e che aveva solo quattordici anni.
- Certo. - Fece l’altro incisivo senza la minima paura. Un scintillio quasi sensuale nello sguardo acceso e prepotente.
Kojiro avrebbe voluto cancellarlo, eppure non poté negare lì su due piedi che la situazione tutto sommato non gli dispiaceva.
Fu quello che decretò la definitiva conferma riguardo i propri gusti sessuali: Kojiro Hyuga era innegabilmente gay!
Questo però non toglieva che anche se era attratto dai ragazzi e nella fattispecie da alcuni in particolare, non potesse anche odiarli.
- Ragazzi, riprendete ad allenarvi! - La voce di Roberto si alzò sopra tutte riportando gli altri ai propri doveri, fra cui anche un certo biondo tedesco dall’aria glaciale che faceva judo. - Kojiro, Genzo, venite qua. - Dopo uno scambio severo a vicenda, i due si decisero a raggiungere l’allenatore che, senza pietà, continuò esponendo la sua idea crudele: - Visto che vi conoscete già e che Genzo è il nostro esperto fuoriclasse di boxe, sarà lui a seguirti, Kojiro, e insegnarti le basi che non hai. Ti metterai presto in pari con gli altri. Sei portato per questa disciplina e nelle sue mani esperte farai faville. -
Roberto non immaginava quanto.

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Capitolo 7
*** Esperimenti sotto la doccia ***


*Arriva un nuovo capitolo di questa fic, ed io non vedevo l'ora di metterlo on line questo, leggendo capirete perché. Protagonisti Genzo e Kojiro, naturalmente. Immagino che in molti si siano chiesti che combineranno ora che Genzo fa il sensei a Kojiro... se ne vedranno delle belle. Bè, godetevi questo capitolo. Grazie a tutti quelli che leggono e commentano, sono felicissima che la fic continui a piacere. Buona lettura. Baci Akane*

CAPITOLO VII:

ESPERIMENTI SOTTO LA DOCCIA

/Feeling good - Muse/
Una volta che Roberto si fu diretto dagli altri lasciandoli soli, Genzo l’aveva guardato assorto profondamente cupo pensando probabilmente peste e corna dell’allenatore, poi però uno strano pensiero gli si era formato improvviso nella mente e mano a mano che prendeva aspetto guardando le forme promettenti di quel giovane selvatico, il suo volto subiva un netto e pericoloso cambiamento. Un sorriso sbieco, uno sguardo sadico, un’aria di chi aveva avuto l’idea del secolo e che questa idea non fosse poi molto pulita.
Kojiro si sentì immediatamente a disagio davanti a quell’espressione, quindi di rimando divenne più feroce di prima mentre lo insultava con gli occhi affilati come rasoi.
“Cosa diavolo ha in mente questo stronzo?”
Pensò senza capire perché mai sorridesse a quel modo risultando, suo malgrado, tremendamente sensuale!
- Ora sei nelle mie mani! -
Finalmente si decise a parlare e l’allievo credendo di aver capito male, disse spontaneo un: - Eh? - strozzato.
- Sono il tuo generale, farai tutto quello che ti dico, se vuoi imparare a boxare come si deve! - Lo disse cercando intenzionalmente di pizzicare il suo orgoglio e ci riuscì pienamente visto che la pelle abbronzata di natura aveva subito un violento cambiamento in rosso vivo per la rabbia.
Eppure solo per quella?
Non è che magari Genzo aveva sparato quella frase come fosse una proposta indecente e quindi Kojiro aveva delle semplici eccitazioni alle parti bassi?
Qualunque cosa fosse, senza ragionarci e per mascherarla il prima possibile, il ragazzo più simile ad una tigre che altro, l’attaccò con un pugno velocissimo che però fu scansato con i soliti prontissimi riflessi.
- Non così caro! - Disse ammiccando maligno: - Queste mosse da rissaiolo dimenticale quando sei qui dentro. Il pugilato è ben altra cosa! -
Kojiro rimase imbambolato ad ascoltarlo, ma sempre infuriato. Avrebbe voluto dire che l’aveva notato poiché c’era una differenza abissale da quando si era picchiato con lui nei corridoi o in mensa, che sul ring gli era parso completamente diverso. Gli avrebbe voluto chiedere come mai cambiava così drasticamente e poi se gli avrebbe insegnato a fare le stesse cose, ma pensando che così si sarebbe montato troppo la testa -più di quanto già non l‘avesse era difficile- evitò limitandosi ad accusarlo:
- Non dovevi avere riguardi quando ci siamo scontrati le altre volte! Solo perché sono più piccolo e mi credevi inferiore non significa che tu debba avere pietà! - La pensava così anche se, dentro di sé -molto dentro- sapeva che non era vero.
Genzo sorrise di scherno aspettandosi una cosa simile, quindi asciugandosi i rivoletti di sudore dal viso con l’avambraccio in un gesto inconsapevolmente sensuale, rispose con la sua perenne aria superiore:
- Non è una questione di pietà ma solo di responsabilità. Se fuori di qua picchio gli idioti come fossi sul ring, li distruggerei. Non è per questo che faccio boxe. - Tuttavia percepì una certa serietà nelle sue parole, Kojiro cominciò a sentirsi sempre più incuriosito da quel tipo particolare anche se odioso.
- Comunque non voglio che tu ne abbia più! Non voglio favoritismi del cazzo! - Concluse con disprezzo forzato.
La verità era che qualcosa si stava muovendo in lui.
Sfilandosi un guantone, il più giovane prese il colletto della canottiera nera che indossava e si pulì alla meglio il viso sudato, suscitando l’attenzione dell’altro che già un paio di idee su cosa fare con lui gli giravano in mente.
Quando finì, si rese conto di essere guardato da Genzo con uno sguardo a dir poco divoratore, quindi di nuovo la sensazione di disagio di prima lo colse facendolo arrossire. Per mascherarlo gli avrebbe tirato un altro pugno se non avesse saputo che sarebbe stato inutile. Si trattenne limitandosi ad una smorfia, quindi grugnì uno sbrigativo: - Cominciamo? - che non distrasse poi molto l’altro dalle sue riflessioni poco caste.
Kojiro si accorse che evidentemente stava pensando qualcosa di sconcio su di lui e si ricordò le parole di Takeshi sul suo conto: un maniaco che fa sesso di continuo con chiunque, maschi e femmine.
Allora era vero, realizzò.
Loro malgrado l’allenamento iniziò e dovendo fare da insegnante, Genzo ci godette non poco a fare il cattivo, insopportabile e saccente. Kojiro per poco non gli tirò tutti gli attrezzi.
Definirli cani e gatto era dire poco.
I litigi e gli insulti non si sprecarono, ma il nuovo arrivato eseguì tutti gli esercizi che il suo insegnante gli faceva fare, bevendosi e assorbendo ogni insegnamento riguardo il pugilato. Voleva imparare tutto il prima possibile per poterselo scrollare di dosso e non sentire più i suoi fastidiosissimi ordini odiosi!

Le ore pomeridiane di allenamenti finalmente terminarono, terminarono anche quelle supplementari che Roberto aveva imposto a Genzo e Kojiro e i due si ritrovarono a sera da soli negli spogliatoi.
Erano ormai andati tutti via, allenatore, manager e compagni. Anche Karl se ne era andato senza aspettare il suo amico, senza nemmeno dirgli nulla.
Non l’aveva guardato un solo attimo alle prese con il nuovo arrivato, non aveva dimostrato il minimo interesse per i suoi affari.
Probabilmente non sarebbe cambiato niente, si disse Genzo apprestandosi a fare quel che gli era girovagato per la testolina bacata per tutto il pomeriggio, ma anche quello era un tentativo che valeva la pena fare.
Inoltre quella tigre graziosa sembrava da svezzare. Tante risse per sfogare l’eccesso che aveva dentro, di qualunque genere fosse, sicuramente rabbia ma non solo. Ebbene c’era anche un altro sfogo che doveva imparare il moretto… uno meno doloroso e decisamente più piacevole!
“Chissà se è vergine…”
Si chiese vagamente cancellando momentaneamente Karl dalla sua mente, senza porsi l’eventuale problema del: ‘è gay o no?’
Infilò le dita nell’elastico dei pantaloncini e con essi si tolse anche i boxer attillati che portava. In un attimo si ritrovò candidamente nudo e Kojiro catapultò ogni sua attenzione su di lui, come se al mondo non esistesse altro che Genzo, il suo corpo nudo e le sue parti intime belle in mostra.
Inghiottì di nascosto trattenendosi quanto più poté dal fissarlo come un imbecille, ma non era facile. Aveva il corpo più bello che avesse mai visto… anche se doveva ammettere di non averne visti molti.
Con occhi di brace lo vide entrare disinvolto in doccia e, prima di sparire all’interno, ammiccargli limpidamente come lo invitasse a seguirlo.
Non lo conosceva molto da dirlo, ma se ciò che tutti dicevano di lui era vero, anche quello era da lui… prima trattare male una persona e poi farci sesso.
Sesso… rimase scollegato per un attimo a pensare a quella parola.
Non ci aveva mai pensato, sapeva solo vagamente che erano cose da grandi, che era piacevole e che si facevano i figli.
Uomini e donne.
Aveva beccato i suoi genitori adottivi farlo un paio di volte, sapeva tecnicamente come si faceva e probabilmente fra due uomini era più o meno uguale. Non importava, avrebbe improvvisato.
E poco importava se quello era l’odioso Genzo… quell’odioso Genzo aveva un corpo divino, era esperto in quel settore e per imparare un po’ poteva essere l’ideale.
Improvvisamente l’idea gli parve decisamente buona e non si rese conto che da quando era entrato in palestra quel pomeriggio, non aveva più pensato a Jun e alle fottutissime delusioni amorose.
Riscuotendosi si sfilò da sopra la canottiera incollata al corpo per il sudore, poi i pantaloncini insieme ai boxer, quindi entrò in doccia.
Nella stessa dell’altro.
- Ce ne hai messo… - Borbottò Genzo con voce roca guardandolo nudo. Ci aveva visto giusto, per essere uno di quattordici anni era davvero ben fatto!
Del resto lui stesso ne aveva solo diciassette, in fondo, eppure il suo fisico sembrava quello di uno di diciotto anni se non più grande!
In fondo allenarsi ogni giorno come faceva lui sin dalla tenera età aveva dato i suoi frutti anche in quel senso, presto anche Kojiro avrebbe messo su ulteriore massa muscolare che l’avrebbe resto più perfetto e piacevole. Lì però non si lamentò.
Era alto, ugualmente atletico, la carnagione scura di natura e l’aria da tigre selvaggia.
Gli piaceva anche quel genere, però il ghiaccio per lui era impareggiabile.
Un giorno sarebbe riuscito ad averlo.
Quando lo prese per il polso, lo strattonò prepotente spingendolo sotto il getto della doccia e contro le piastrelle del muretto.
Kojiro provò un moto di ribellione a quel gesto di comando, ma la sua sicurezza gli piacque. Come prima volta uno così ci poteva stare però lo sapeva bene che a lungo andare non gli sarebbe più andato a genio. Il desiderio di prevalere era grande in lui ma aveva bisogno di imparare.
Lo sentì premersi a lui per dietro, il petto sulla schiena, le mani sulle sue, il bacino sul sedere, il membro ancora morbido che però andava via via sempre più indurendosi.
L’aveva bloccato e si schiacciava addosso in quel modo, scivolando su e giù sulla sua pelle resa liscia e lucida dall’acqua che cadeva sopra di loro, bagnandoli entrambi, scaldandoli più di quanto già non lo fossero.
Poi la sua bocca sul collo libero dai capelli neri, la lingua che beveva da quel punto, che assaggiava facendogli rizzare tutti i peli del corpo. Quelle sensazioni erano nuove e si chiese cosa mai avesse aspettato a provarle.
Da quando la sua schiavitù era finita aveva cominciato a scoprire una miriade di cose e di giorno in giorno aumentavano vertiginosamente, nel giro di pochissimo si era scoperto gay, innamorato, aveva ricevuto la prima delusione d’amore -o quello che per lui era tale- e stava scoprendo le gioie del sesso fine a sé stesso.
Che fosse troppo presto per tutto non era contemplato.
Lui aveva fame di vita e prendeva tutto quello che gli si presentava senza pensarci minimamente.
Appoggiò la fronte alla parete scivolosa, fra le sue mani coperte da quelle dell’altro che gli leccava e baciava il collo audace. Poi le sentì scendere lungo le braccia e arrivare sul suo petto, le dita si serrarono sui capezzoli e dopo averli tormentati, glieli irrigidì. Scesero sul ventre teso, sull’inguine sensibile, sul membro facilmente eccitabile. La sua lingua invece risaliva soffermandosi sull’orecchio, riservandogli un curioso e quanto più interessante trattamento.
Kojiro spostò la testa tendendosi verso di lui in modo da dargli un miglior accesso.
Ormai chi gli stava facendo quelle cose terribilmente piacevoli, non era più l’odioso Genzo ma l’eccitante Genzo.
La mano serrata nelle sue parti intime aumentava il ritmo del massaggio e insieme ad essa i suoi respiri si facevano via via più corti e affannati. Si mordeva il labbro pensando che… bè, che non sarebbe stato male fare la stessa cosa a qualcun altro… qualcuno sempre composto ed elegante.
Fu la prima volta che gli venne in mente Jun da quando era arrivato al club e l’ondata di piacere che ebbe fu impareggiabile, la sua eccitazione crebbe violentemente e con uno scatto incontrollato spinse la testa all’indietro, premendo la nuca sulla spalla di Genzo che accolse il gesto come un voler di più.
L’accontentò girandogli il viso, quando l’ebbe verso di lui, senza smettere di muoversi sulle sue parti basse che erano al limite, si impossessò anche delle labbra mostrandogli com’era un autentico bacio vero.
Nel giro di un istante Kojiro si trovò con la bocca invasa dalla sua lingua e capì che intrecciandole insieme si creava qualcosa di altamente erotico e piacevole.
Dunque erano quelli i baci, si disse. Interessante.
Davvero molto interessante.
Chiuse gli occhi e capì che forse se quella sera avesse fatto così, magari Jun avrebbe reagito diversamente e al pensiero di fare a lui quelle cose, l’ondata l’investì definitivamente facendogli raggiungere il culmine fra le mani di Genzo che, stupito, ebbe la conferma che quella per Kojiro era proprio la prima volta.
Sorrise soddisfatto stringendolo fra le braccia per non farlo cadere, premendolo ulteriormente contro il muro bagnato, dandogli tutto il tempo che gli serviva.
- Sempre disponibile per il resto della lezione… - Disse con voce roca piena di desiderio leccandogli l’orecchio, riferendosi sia alla boxe che al sesso.
L’altro davanti a sé registrò con una piccola parte la sua frase e non riuscì a darci molto peso, anche se si rese conto di aver appena trovato l’America!

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Capitolo 8
*** Aiuto nello spogliatoio ***


*In questo capitolo abbiamo un piccolo approfondimento di Genzo e del suo rapporto con Karl, però è solo dal punto di vista di Genzo poiché si imbatte in Kojiro... per sapere cosa diavolo passi per la testa di Karl dovrete aspettare... (il seguito di questa fic, visto che qua non ho fatto in tempo ad approfondirlo...). La prima scena, invece, è distensiva. Ok, ringrazio fortemente tutti quelli che continuano a leggere la fic e a commentare. So che ne sto torturando un paio con il non far capire niente di Karl, ma suvvia... questa è la storia di Kojiro! ^_- Al prossimo capitolo (che dovrebbe farvi ridere...) Buona lettura. Baci Akane*

CAPITOLO VIII:

AIUTO NELLO SPOGLIATOIO

/Moment of surrander - U2/
- Allora, come è andata la prima prova? - Chiese Hikaru a bruciapelo appena vide Kojiro. Questi venne immediatamente e bruscamente catapultato nel pomeriggio del giorno prima, all’allenamento di pugilato che aveva fatto. E arrossì violentemente, seccandosi per questo!
- Bene. Faccio boxe. -
- Come Wakabayashi! - Esclamò entusiasta Takeshi.
- E’ vero… come va con lui? - Incalzò allora incuriosito l’altro amico.
Kojiro fece una grande fatica a non soffocarsi con la propria saliva, suo malgrado riuscì a rimanere serio e rispose:
- Lo prenderei a pugni dalla mattina alla sera, ma ha un lato interessante… - Non ci aveva pensato poi molto alla risposta, gli era venuta spontanea ma alla conseguente domanda di Hikaru: - Sei gay? - si rese conto di aver detto qualcosa di troppo e accendendosi attaccò non sapendo quanto in effetti potesse fidarsi di quei tre che aveva conosciuto da poco:
- Che c’entra! Apprezzare un lato di un ragazzo non significa essere gay! -
- Ah si? E qual è questo lato che ti piace di Genzo? - Chiese con malizia il giovane dai capelli castani. Kojiro ci pensò: non poteva certo dire che era il sesso!
- Bè, è forte… - Fece allora vago, insicuro se fosse una risposta adeguata. Quando sentì Takeshi dire a sua volta con l’aria più sognante di questo mondo: - Già… - capì che aveva proprio detto qualcosa di sbagliato.
Ken guardò il proprio compagno più male che mai, mentre Hikaru lanciava vittorioso un’occhiata eloquente all’amico che si rassegnò e seccato esclamò esasperato:
- Ok, sono gay, e allora? Problemi? - Tanto valeva ammetterlo a quel punto, ormai. L’avevano già capito da soli!
Non era ancora certo che fosse un male rivelarsi agli altri per quello che era, vedeva che all’incirca tutti quelli come lui cercavano almeno un po’ di mascherarlo e non ne capiva il motivo, che male c’era ad essere gay? Però dedusse che un motivo ci doveva essere e istintivamente si era trovato a fare altrettanto. O per lo meno a tentare.
Hikaru rise di gusto mentre Takeshi non si era minimamente accorto dell’accaduto e si chiedeva come mai Ken lo fissasse come per ucciderlo.
- Dev’essere la camera… la diciassette ha la fama di essere stata solo di gay! Anche adesso tre su tre, è anormale! Credo che sia maledetta… - Rincarò divertito l’unico che stava capendo cosa accadeva.
Kojiro sospirò spazientito:
- Ma che cagate dici? E poi che male c’è ad essere gay? - Lui davvero non lo sapeva e sperava che qualcuno finalmente lo illuminasse.
- Niente. Per me niente. Sono amico loro… - Indicò i due al loro fianco che cercavano di comunicare, o per lo meno uno cercava di farlo e l’altro di non farlo. - Ma purtroppo in molti lo considerano anormale, strano, brutto, contro natura e tutte queste palle qua! -
- Oh… - Rimase senza parole la tigre che non si era minimamente aspettato una cosa simile. Aveva avuto il vago sospetto che potesse essere come diceva Hikaru, ma averne la conferma gli fece capire che era meglio tenersi i fatti propri per sé, come aveva sempre fatto in vita sua.
Non chiese come mai la gente fosse così indietro, era sicuro non ci fossero risposte a quello.
Esaurito l’argomento poté sentire Takeshi chiedere preoccupato al proprio compagno:
- Perché sei così silenzioso? - Non si era realmente accorto della gelosia del suo ragazzo che ora guardava a braccia conserte da tutt’altra parte. - E’ per via del club di lotta? Ti manca il karate? - Lo disse probabilmente così convinto da dimenticarsi che quello era un argomento tabù, infatti come pronunciò quel nome Ken scattò con lo sguardo verso il piccoletto e visibilmente irato urlò incontrollato:
- COSA DIAVOLO C’ENTRA IL KARATE? QUANTE VOLTE TE LO DEVO DIRE CHE NON DEVI PIU’ PARLARNE? - Così sbraitando in una scenata che non era assolutamente da lui visto quanto calmo, riservato e controllato fosse sempre, se ne andò via spedito lasciando un dispiaciuto Takeshi a sospirare contrariato insieme ad uno stranamente serio Hikaru e un annichilito Kojiro.
Poco dopo il primo dei tre seguì il proprio compagno sparendo fuori dalla mensa in cui si trovavano per la colazione.
Gli ultimi due rimasti soli si guardarono e non servirono le parole per capire che il moretto voleva capirci qualcosa. Allora l’amico l’illuminò scontento:
- Ken era un campione di karate, nella sua categoria, ma per un brutto infortunio ha dovuto mollare. Ora è guarito ma non ha voluto riprendere per paura di non essere più alla forma di un tempo. Naturalmente questo è il mio parere, ufficialmente dice di non essersi mai ripreso. - Un’altra storia, quella, sicuramente interessante che per un momento fece dimenticare tutto a Kojiro mentre si chiedeva come mai non ci volesse nemmeno riprovare se ci teneva così tanto da scattare in quel modo.
I suoi pensieri curiosi furono richiamati da un’altra storia ancora che si stava sviluppando a qualche tavolo di distanza… anche Genzo stava alzando la voce insofferente verso Karl che, tanto per cambiare, non reagiva e non diceva assolutamente nulla.
- QUANDO LO CAPIRAI CHE E’ COME DICO IO? - Tutti quelli che prima avevano fissato curiosi Ken e Takeshi, ora si misero a fissare Genzo e Karl. Agli sguardi di tutti puntati addosso, il biondo si alzò e gelando il moro in un silenzio perfetto, se ne andò lasciandolo solo. Un istante e Kojiro vide tutti i muscoli ben formati di Genzo tendersi e gonfiarsi, vide addirittura le vene pulsare sottopelle e il colorito diventare pericolosamente rosso. Quindi notò che si mordeva il labbro fino a farselo sanguinare, contraeva la mascella facendola tremare e tratteneva il respiro dalla rabbia.
“Ora spacca tutto!”
Pensarono i presenti impalliditi davanti a quella scena.
Senza deluderli, evidentemente avevano già assistito a piazzate simili, Genzo esplose dopo essersi trattenuto un po’ e con un pugno incrinò di netto il tavolo che colpì, quindi sgusciò via veloce come un vento furioso.
- Ma che succede a tutti, oggi? - Fece allora Hikaru costatando che effettivamente nell’aria sembrava esserci qualcosa di strano.

L’attività di club quel pomeriggio fu dettata dal malumore di Genzo che limitandosi a sbraitare a Kojiro di usare gli attrezzi e -testuali parole- ‘non rompergli i coglioni’, si era occupato del sacco da boxe tutto il tempo ininterrottamente, furioso, letale, senza un attimo di respiro, riducendosi ad un fiume di sudore e muscoli tremanti che non ce la facevano più per lo sforzo immane a cui erano sottoposti.
Nessuno osò contraddirlo, avvicinarsi o dirgli mezza parola, l’osservavano dal posto più lontano possibile un po’ ammirati per lo spettacolo affascinante a modo suo, un po’ allarmati di poter finire al posto del sacco.
L’unico che non lo fissava minimamente era Karl che continuava la sua attività di judo come niente fosse.
Eppure era chiaro che l’ira di Genzo fosse per lui, dopo che tutti li avevano visti in mensa. Quali che fossero i loro affari specifici, perché avessero litigato e cosa ci fosse dietro a quei comportamenti, nessuno lo sapeva ma tutti avrebbero fatto carte false per venirne a conoscenza, cosa che non sarebbe mai successa. Il fatto che Genzo si era vantato con Karl della sua ennesima ‘conquista sessuale’, cioè di Kojiro, e che il biondo gli aveva detto glaciale che non gliene importava nulla, nessuno l‘avrebbe saputo. Come nessuno avrebbe mai saputo che Genzo allora l’aveva accusato per l’ennesima volta di fare solo finta di fregarsene, per ripicca del fatto che lui si portava a letto tutti, in realtà era geloso poiché innamorato.
Karl da quel lato non ci aveva mai sentito, aveva sempre negato con freddezza senza mai dimostrargli nulla.
Genzo non lo poteva sopportare.
A Kojiro era bastato pochissimo per farsi un’idea della situazione fra i due, ma non si era addentrato più di lì. Era impossibile dire chi dei due avesse ragione, Karl era impenetrabile.
Affascinato dalla furia di Genzo e dall’ardore con cui si imponeva sulla persona di cui era evidentemente perso, vivendo i propri sentimenti a pieno senza vergognarsi o nasconderli, immaginò che dopo tutto non sarebbe stato male fare altrettanto.
E gli venne di nuovo in mente Jun.
Un’idiota ed infantile cotta per il ragazzo all’apparenza perfetto, in realtà solo uno stronzo che giocava coi sentimenti degli altri: perché non riusciva a liberarsene? Non riusciva proprio a capirlo.
Per tutto l’allenamento pomeridiano Genzo non aveva avuto pietà di sé ed aveva colpito sempre più forte il sacco. Alla fine delle ore era dovuto intervenire Roberto a fermarlo e dirgli che aveva concluso e che doveva andare a lavarsi e a riposare. Non gli aveva detto altro ma aveva parlato togliendosi gli occhiali scuri, cosa che non faceva mai.
Guardarlo diretto coi suoi occhi verdi penetranti forse era bastato a scuotere Genzo e a farlo obbedire, poiché sconfitto si era diretto rabbioso negli spogliatoi insieme a tutti gli altri ragazzi.
Karl era stato il primo ad andarsene.
Quando il giovane dai corti capelli neri tutti sconvolti e appiccicati alla testa e sulla fronte l’aveva notato, si era fatto cadere stancamente e pesantemente su una panca, si era preso il viso fra le mani nascondendolo e aveva appoggiato i gomiti sulle ginocchia. Fermo immobile, senza quasi respirare, come dormisse o cercasse di passare a miglior vita.
Nessuno lo toccò, nessuno gli parlò, tutti lo guardavano curiosi e pieni di timore di diventare il suo sfogo.
Kojiro osservava catturato cominciando a capire come si vivesse i propri sentimenti e le delusioni amorose. Guardandolo stava giungendo alla conclusione che lui non amava Jun anche se ne era ancora ossessionato visto che finiva costantemente per pensarci in un modo o nell’altro.
Cosa fosse, però, ancora non ne aveva proprio idea, ma certo non la stessa cosa che Genzo provava per Karl.
Quel tipo così sbruffone, odioso che solitamente trattava male tutti solo per evidenziare quanto migliore fosse, solo perché viziato, solo perché gonfio di sé, vederlo così abbattuto e cupo era sconvolgente ed affascinante.
Kojiro fece passare di proposito molti minuti al termine dei quali si ritrovò unicamente con Genzo ancora seduto in quella posa. Non sapeva cosa voleva fare, semplicemente aveva voluto stare da solo con lui.
Ora poteva, era libero, niente lo obbligava più a non fare qualcosa!
- Rimarrai qui tutta la notte? - Disse la prima cosa che gli venne in mente senza che gli interessasse davvero. Poteva anche farci le radici, negli spogliatoi.
Genzo non rispose e ormai Kojiro aveva finito tutto, gli mancava solo di andarsene e doveva ammettere che provava anche un certo languore allo stomaco…
- Dovresti rassegnarti. - Non aveva fatto chiaramente capire la situazione che stava vivendo con Karl, eppure a Kojiro, uno nemmeno molto sveglio per certi lati visto come aveva vissuto fino a quel momento, era apparso chiaro. Forse perché anche lui stava vivendo una delusione, una presa in giro o quel che poteva essere.
Non era da lui dire di arrendersi, lui che nella vita non l’aveva mai fatto e che proprio per quello ora era capace di andare avanti nel modo che voleva, costruendosi giorno dopo giorno il suo mondo, suo e solo suo.
Non lo era, però lo disse e forse lo fece solo perché lo trovò patetico in quello stato, distrutto per uno che non lo calcolava e che non ci pensava minimamente piantandolo in asso così.
- Io sono al limite. - Mormorò Genzo lugubre come se Kojiro non avesse detto nulla e magari non fosse nemmeno lì.  La voce bassa e cavernosa giunse roca all’altro che rabbrividì zittendosi.
Conosceva quella sensazione. Forse non sapeva esattamente cosa significava amare come amava Genzo, fino a ridursi in quello stato, però sapeva perfettamente cosa significava essere al limite. Al vero limite.
E lo vide che era vero e che non era una frase tanto per dire.
Lui ci era arrivato per motivi diversi, più gravi, magari, ma non poteva giudicare se quelli di Genzo fossero cazzate. Come poteva dire se disperarsi per amore era una stupidaggine confronto al disperarsi per sopravvivere?
Probabilmente dipendeva da quell’amore. Da quanto grande, vero, sincero, profondo e totale fosse.
Se diventava l’unica ragione di vita, magari, si poteva arrivare al fondo.
Kojiro era più serio che mai e nella mente rivisse tutte le volte che anche lui l’aveva creduto, l’aveva creduto così fortemente che aveva solo cercato un modo per farla finita.
Un bambino che cerca il suicidio.
Oh, se si era trovato a quel punto… ma se ce l’aveva fatta lui, potevano farcela tutti.
- Lo credi tu di esserlo. In realtà ti rimane ancora una forza. Quella di risalire. E credimi che io sono l’unico che può dirtelo. - Ci fu un attimo di silenzio durante il quale le sue parole serie echeggiarono fra le pareti penetrando Genzo che non respirava più. - Ce la farai. - Concluse così, senza dargli risposte specifiche o soluzioni di alcun tipo. In fondo non ne aveva.
Sapeva solo quello.
Che ce l’avrebbe fatta.
E non era un augurio o uno sprone.
Era la realtà.
Genzo lo capì che lo disse non perché lo sperava ma perché lui lo sapeva.
SAPEVA che ce l’avrebbe fatta.
Quando per una frazione di secondo la sua mente gli mise da parte Karl e i suoi problemi, realizzò che quel ragazzino antipatico doveva aver vissuto un bel po’ di cose terribili per essere così e poi parlare in quel modo.
Alzata la testa di scatto per vedere la sua espressione -perché improvvisamente ci teneva mostruosamente a vedere che faccia avesse- lui già se ne era andato silenzioso, senza nemmeno farsi sentire, veloce, come fosse stato tutto un sogno.
Eppure la porta dondolava ancora, il suo profumo era presente, i passi risuonavano nel corridoio fuori.
Però una volta solo, Karl tornò prepotente nella sua mente.
Ce l’avrebbe fatta, ma come?
Non sapeva davvero più dove sbattere la testa, le aveva provate tutte.
Forse rimaneva davvero solo arrendersi.
Forse era arrivato il momento di farlo veramente.
Ma come? 

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Capitolo 9
*** Guai per i corridoi ***


*Buongiorno! Ecco qua tutto per voi un altro capitolo di questa fanfic AU che, annuncio annuncio, E' ORGOGLIOSAMENTE ARRIVATA SECONDA AL CONTEST A CUI PARTECIPAVA su ELF... Come sono contenta! Ebbene per leggere i giudizi (che però contengono spoiler sulla fine della fic) potete andare fra i commenti in ELF. (è quello più lungo inserito da Melanto)  Dunque dunque dunque... venendo a noi... quasto è uno dei capitoli che ha fatto più ridere le giudici, quindi vi avverto che fra una cosa seria e l'altra c'è spazio per un po' di demenza (non potevate dubitarne...). Non anticipo altro se non che abbiamo un Genzo che non avete ancora visto... ne approfitto per ringraziare tutti i commenti ed i complimenti che mi arrivano per questa fic, sono felice che piaccia tanto anche questo Genzo, stupita più che altro. Ok, auguro a tutti buona lettura. Baci Akane*

CAPITOLO IX:

GUAI PER I CORRIDOI

/ Lullaby  - Editors  /
Uscito dal bagno per infilarsi a letto e andare a dormire, Kojiro si trovò ad assistere ad un alquanto imbarazzante scenetta romantica che per poco non gli fece venire il diabete.
Ci era andato con una sorta di disperazione poiché i suoi due compagni di stanza stavano ancora litigando e ne era uscito più disperato di prima poiché stavano facendo pace.
Una pace molto sdolcinata, a suon di baci e chiare intenzioni di andare oltre.
Non l’avrebbero certamente fatto davanti a lui, ma non volendo metterli alla prova, senza pensarci un attimo, prese e si defilò fuori dalla stanza così com’era, in versione notturna, ovvero con dei pantaloncini corti neri ed una canottiera bianca intima.
Una volta in corridoio si guardò intorno, era notte anche se non tarda, non c’era anima viva in giro ed il silenzio regnava.
Cosa fare, ora?
Andò davanti alla camera accanto e bussò nella speranza che Hikaru non dormisse. I suoi due compagni, tali Tsubasa Ozora e Taro Misaki, non gli andavano molto a genio, si trattava di due che probabilmente, tanto per cambiare, stavano insieme e spesso anche il suo amico aveva lo stesso problema di fare il terzo incomodo, così era capitato che i due andassero in piena notte a fare una passeggiata per la scuola a cercare qualche guaio in cui cacciarsi.
Ne avevano fatti un paio, ma nulla di serio.
Quando non rispose nessuno pensò che probabilmente dormiva: quando era nel mondo dei sogni nemmeno le cannonate lo svegliavano!
Sbuffò non avendo idea di che ora fosse, si grattò il capo girandosi e guardando il corridoio deserto si chiese seccato che diavolo potesse fare e quanto tempo Ken e Takeshi ci avrebbero messo per fare le loro porcate.
“Potrei andare ad esplorare le cantine… “ Quella era stata una delle incursioni notturne che aveva fatto con Hikaru, si era divertito a vedere tutte le cose che avevano sequestrato agli studenti e che per regolamento non potevano starci. Si erano sorpresi a ritrovarsi in mano oggetti sessuali di molti generi. Quelli più normali erano stati i vibratori e scatole di preservativi a mille gusti, però poi c’erano stati anche cose come frustini e manette.
Possibile mai che la gente si facesse beccare dagli assistenti con quelle cose?
Non aveva mai riso tanto.
In quell’occasione Kojiro se ne era candidamente uscito con: ‘bè, anche senza frusta si può fare lo stesso con la cintura!’. Hikaru lo aveva guardato strano, come avesse intuito che si trattasse di esperienza personale, ma non aveva detto nulla e l’altro era stato attento a non fare più accenni simili.
Scese le scale diretto ai sotterranei e giunto al piano terra si fermò sentendo dei rumori di passi strascicati.
Si nascose istintivamente nella rampa superiore in cui si trovava, accucciandosi, quindi si sporse per vedere chi fosse e quando lo mise a fuoco nella poca luce che c’era, rimase interdetto credendo di avere le visioni.
Ad esibirsi in buffi passi di un qualcosa che non poteva certo definirsi danza, c’era niente meno che un Genzo irriconoscibile entrato dalla porta d’ingresso come niente fosse.
Guardò l’orologio appeso sopra il banco di accoglienza e vide che era mezzanotte, il coprifuoco era passato da un pezzo ma poi si ricordò che lui era il figlio del direttore e che sicuramente poteva rientrare quando voleva.
Tornò a guardarlo e notò che aveva una bottiglia di qualche alcolico in mano e da come si muoveva pesante, goffo e barcollante, capì che doveva essere ubriaco fradicio.
“E adesso che diavolo dovrei fare? Quello è uno stronzo, se mi becca in giro a quest’ora potrebbe anche dirlo al suo paparino e farmi dare un’altra punizione… ma se lo lascio così sveglierà tutta la scuola e mi beccheranno in giro lo stesso!”
Ci pensò un po’, poi nonostante gli pesasse non poco ammise che l’unica cosa logica sarebbe stato afferrarlo, tappargli la bocca e portarlo di peso da suo fratello.
Jun Misugi.
Vederlo di notte sarebbe stato di nuovo sconvolgente, forse, ma non poteva negare che anche se non era convinto, dall’altra era contento di avere una scusa per irrompere in camera sua.
Sospirando si alzò e scese le scale rivelandosi.
Quando Genzo lo vide per poco non gridò il suo nome ai quattro venti: Kojiro fu un fulmine ad arrivare per primo alla sua bocca e a impedirgli di farlo, quindi tappandogliela deciso gli afferrò il braccio e iniziò a trascinarlo con forza verso il primo piano.
Sapeva perfettamente dove stava Jun.
Genzo provò debolmente a divincolarsi, ma senza successo visto che non aveva forze fra l’allenamento estenuante di quel pomeriggio e l’alcool che circolava a litri nel suo corpo.
Mugolò mentre lo trascinava, quindi affaticato per dover usare una sola mano per reggerlo visto che l’altra doveva chiudergli la ciabatta che aveva al posto della bocca, disse guardingo:
- Se non emetti nemmeno una stupidissima sillaba, ti tolgo la mano, ma se urli, parli, fai casino o mi aliti in faccia ti tolgo da questo mondo staccandoti la testa a morsi! - Una minaccia efficace e simpatica che fece la sua figura.
Genzo lo guardò con un velo annebbiato davanti agli occhi oscuri, gli parve di essere fra le braccia di una tigre feroce quindi decise di non ribattere e annuì come un cucciolo innocente.
Liberatagli la bocca, la prima cosa che sentì fu la puzza di alcool e si accorse che stringeva ancora la bottiglia di vodka bianca mezza vuota solo quando continuò a scolarsela.
- Pezzo d’idiota! Smettila o chi ti regge più? - Effettivamente era quasi a peso morto fra le sue braccia, non era molto leggero.
Con una certa fatica pregò di arrivare presto nella camera di Jun, prima di uccidere Genzo, ma proprio mentre lo faceva sentì le sue mani infilarsi sotto i suoi pantaloncini e i boxer, giungendo direttamente al fondoschiena sodo, modellato anche dagli allenamenti severi a cui si sottoponeva a boxe.
- Mmm… è migliorato da quella sera… - Biascicò con un tono non molto basso. C’era del comico in quella situazione, specie nell’espressione di pietra di Kojiro.
Normalmente non gli sarebbe dispiaciuto essere preda del lato maniaco del bel tenebroso stronzo, dopo tutto aveva un corpo da favola e ci sapeva fare con quelli degli altri, ma lì era decisamente tutt’altra cosa.
- Non sono un baby sitter, chi cazzo me lo fa fare di trascinare questo imbecille per i corridoi? Dovrei piazzarlo davanti alla porta di suo padre, cazzo! - Borbottò fra sé e sé mentre l’altro continuava ad esplorarlo cercando di infilarsi con le dita più in profondità.
Camminare in quelle condizioni non era facile ma ringraziò il Cielo quando raggiunse la camera di Jun e bussando pregò di essere sentito.
Quando la bocca libera e puzzolente di vodka di Genzo si chiuse sul collo sotto sforzo di Kojiro che cercava di reggerlo e al contempo di non urlare, e in contemporanea anche l’altra mano del suddetto, quella non impegnata col suo didietro, si infilava nei pantaloni per avanti a raggiungere le sensibili parti basse del giovane, la porta si aprì rivelando uno che pareva più un fantasma che altro.
A Kojiro prese provvisoriamente un colpo pensando di avere effettivamente davanti un morto, mentre a Jun venne un principio d’infarto a trovarsi due ragazzi che pomiciavano in maniera spinta davanti alla sua porta -e che l’avevano addirittura chiamato per assistere alle loro maialate!-
- Ma che… - Mormorò non capendo, poi Kojiro implorò spontaneo senza pensarci, dimenticandosi che quello che aveva ad un metro era Jun, JUN, e non uno qualunque:
- Ti prego, aiutami… - Fu allora che li riconobbe e interdetto si riprese senza comunque capire che succedesse.
Guardò calmo l’ora:
- Ma è mezzanotte passata… -
- Me ne sono accorto! Prendilo, è tuo fratello! - Sbottò brusco muovendosi per entrare anche se non era ancora stato invitato a farlo.
- Me ne sono accorto… - Rispose alla stessa maniera ironico, quindi lo prese per le spalle da dietro e lo tirò verso di sé.
Genzo a quello si sciolse da Kojiro e come se col solo tocco delle sue mani delicate capisse che si trattava di suo fratello, si girò aggrappandosi a peso morto al suo collo non molto forte.
Jun si piegò non aspettandosi tutto il suo dolce peso e non cadde solo grazie a Kojiro che prontamente lo afferrò raddrizzandolo con forza.
- A-aiutami… - Gli disse a fatica.
Fu un contatto breve e scomodo che però gli diede mille scariche elettriche e gli fece brutalmente rendere conto in che cosa si stava ficcando!
Imprecò volgarmente e Jun credette lo facesse per Genzo. Uno per braccio, lo trascinarono dentro nel letto del fratello che aveva una bella camera tutta per sé.
Tirarono un sospiro di sollievo una volta che si furono liberati di lui e il proprietario della stanza una volta di nuovo in possesso di sé stesso, chiuse la porta con un Kojiro dentro che sgranava gli occhi scuri, fissandolo come se fosse impazzito.
Rimasero entrambi in piedi a guardarsi in imbarazzo ed in silenzio, per lo meno il moro pensò che anche Jun lo fosse quanto lui ma a vederlo uno non poteva esserne sicuro visto che non faceva mezza piega.
- Ehm… ti va di spiegarmi? -
Gli chiese titubante. Il ragazzo chiamato in causa si scosse e spostò l’attenzione su un Genzo ancora sveglio che cercava di scolarsi il resto della bottiglia, quando Jun se ne accorse si fiondò a strappargliela di mano, quindi una volta che l’ebbe consegnata all’altro in piedi dietro di lui si sentì afferrare dal fratello che lo tirò giù nel letto. In un attimo si ritrovò steso con l’esperto boxista ubriaco che lo abbracciava con braccia e gambe, proprio come un koala.
- G-Genzo, che hai? - Certo non si riferiva all’evidente fatto che fosse completamente bevuto, ma al motivo.
Teneva il viso nascosto sul suo petto avvolto dalla maglia sottile, morbida e liscia di colore nero che Kojiro gli aveva visto addosso quella sera.
“Ma in che situazione di merda mi sono cacciato?”
Pensò rendendosi conto che quello stupido poteva anche sbandierare ai quattro venti che avevano avuto un’avventura sessuale negli spogliatoi.
- Scusami… - Biascicò allora sulla sua maglia, Jun gli mise una mano sulla fronte e lo staccò dal suo petto per guardarlo in viso e ascoltarlo. Era stralunato.
- Cosa? -
Chiese dolcemente mentre lo circondava fraterno a sua volta, carezzandolo appoggiato di lato sul gomito.
Gli scostava le ciocche nere sudate dalla fronte, gli asciugava le goccioline che cadevano furtive sul viso incupito, sembrava quello di un bambino imbronciato.
Kojiro rimase colpito da quell’atteggiamento e da quella scena, erano fratelli solo da parte di madre ma lo sembravano anche da parte di padre. Non li aveva mai visti particolarmente legati eppure lì erano un tutt’uno e non solo… erano davvero belli, nonostante uno fosse ubriaco e l’altro sembrasse un fantasma.
Era quella una famiglia?
Se lo chiese shockato mentre immobile in piedi davanti a loro li fissava sbalordito.
- Scusa… per averti trascurato per quel pezzo di merda… non te lo meritavi… tu mi sei sempre stato vicino, mi hai coperto con papà in tutte le mie cazzate. Nell’unica cosa a cui tenevi, io ti ho voltato le spalle. So che la mamma voleva che la ricordassimo con te che suonavi la sua canzone ed io che ti ascoltavo, ma quella notte ho preferito cercare di entrare nelle gambe di Karl, senza poi riuscirci. Ti ho deluso. E anche dopo, ho preferito cercare di far ingelosire il gelatino con quella tigre del cazzo piuttosto che ascoltarti. Tu mi hai sempre dato buoni consigli, mi hai sempre ascoltato, mi hai sempre detto di non fare il coglione, ma io ho sempre fatto di testa mia ed ora mi vergognavo a venire di nuovo da te a chiederti ancora aiuto, a dirti che non sapevo come venirne fuori, dove sbattere la testa, come dimenticarlo. Però eccomi qua e non so andarmene perché ho ancora bisogno di te, anche se so che non ti merito e che sono uno stronzo egoista. Non ti sono mai stato vicino anche se tu c’eri e ci sei ancora. Sono un peso per te. Ma io ti voglio bene. Sei la mia parte pulita. Non lasciarmi mai perdere. Potrai mai perdonarmi? -
Il lungo monologo confuso e biascicato penetrò Kojiro come un pugno allo stomaco mentre Jun si limitò a sorridere dolcemente. Non l’aveva mai visto così comprensivo, protettivo, così… fratello…
Più lo conosceva, più gli piaceva e più questo accadeva, più si sentiva male.
Lui stava con un’altra, non lo ricambiava.
Ma non poteva proprio staccargli gli occhi di dosso o evitare di ascoltarli.
Erano belli in un certo senso.
Ricordava quando suo padre adottivo tornava ubriaco e picchiava tutti. Non chiedeva mica scusa per le sue mancanze e la moglie non l’accarezzava dolcemente, ma gli gridava dietro.
Invidiava questi due.
- Non devi scusarti, fra fratelli non serve. Lo so che ne sei innamorato e che non è facile accettare di non essere ricambiati, so anche che prima di arrendersi le si prova tutte. Mi piaci per questo, perché non sai darti per vinto mai. So che ci sarai sempre e la mamma è più contenta quando vede che vieni ogni volta da me a chiedere aiuto, piuttosto che quando l’accontenti nei suoi desideri del passato. Stai tranquillo, dormi e vedrai che supererai anche questo. Ti aiuterò io. -
Quelle parole dolci e calde funsero da ninna nanna e cullarono Genzo verso un tormentato e doloroso sonno.
Quando fu addormentato, Jun scivolò giù dal letto silenzioso e sospirando rimase ad osservarlo un po’ dispiaciuto immaginando cosa dovesse essere successo, dopo si sistemò con le mani i capelli e il pigiama leggero che indossava e si girò ritrovandosi davanti un Kojiro più cupo che mai di cui si era totalmente dimenticato la presenza!
Saltò per la sorpresa, quindi si ricompose e sorprendendo tutti, sé stesso per primo, lo invitò a sedersi e a spiegargli tutto.
Per un momento il giovane dai capelli neri e selvaggi pensò che intendesse di quel che provava, solo in un secondo momento si ricordò che Genzo gli aveva, come temeva, spiattellato di aver ‘fatto ingelosire il gelatino con quella tigre del cazzo’.
Ingoiò il macigno che gli si era formato in gola e diventando di mille colori che concludevano col rosso intenso, si rese conto di essere in una gran brutta situazione.
Specie perché al posto di parlare di cose imbarazzanti, avrebbe voluto saltargli addosso!

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Capitolo 10
*** Dimostrazioni in camera ***


*Capisco che il capitolo odierno sia cortino ma abbiate pazienza, li faccio in base alle scene. Allora... qua abbiamo Kojiro e Jun e forse nella situazione in cui sono la nostra tigre può riuscire a capire un po' di più il bel principe. O magari no! Ringrazio tutti quelli che leggono e commentano ma anche quelli che mi hanno fatto i complimenti per il secondo posto. Sono contentissima anche io per la posizione al contest. Vi avverto che questo è il penultimo capitolo. Dopo Il mondo che vorrei, ci sarà Ad ogni costo, il seguito che prende il punto di vista anche di tutti gli altri personaggi, compreso il tanto sospirato Karl!!! Buona lettura. Baci Akane*

CAPITOLO X:

DIMOSTRAZIONI IN CAMERA

/ Notturno - Chopen /
Kojiro cominciò a sentirsi come uno scolaro messo sotto torchio dall’insegnante. Lo scolaro in questione, però, nonostante avesse studiato, non ricordava un emerito nulla grazie all’ansia che gli metteva addosso il suddetto insegnante!
Non gli piacque e come difesa si mise in posa d’attacco con un’espressione aggressiva ben stampata in faccia, che però non mise per nulla a disagio Jun, seduto composto davanti a lui.
Siccome aveva la camera a sua completa disposizione, c’era solo un letto e al posto degli altri due aveva fatto mettere due poltroncine comode vicine e un tavolino basso.
Erano seduti lì e si guardavano. Uno sempre con il suo solito fare gentile ma enigmatico, l’altro col suo solito fare guardingo ma selvatico.
- Allora, a cosa alludeva prima mio fratello? - Chiese calmo, quasi con un sorriso suadente sul viso.
- E che ne so io, mica gli leggo nella mente! - Rispose acido intenzionato a non farsi gestire da lui.
Però lo guardava lo stesso e più lo faceva, più si sentiva come sotto incantesimo.
Fra tutti i ragazzi che aveva visto lì dentro, lui era padrone della bellezza che preferiva di più in assoluto… o forse era semplicemente Jun e basta, quello che preferiva, a prescindere dalla bellezza!
L’altro sorrise pacato.
- Ha accennato ad una frase che mi ha lasciato interdetto… ha detto di aver fatto ingelosire Karl con una certa tigre… - Cercava di domare il suo linguaggio solitamente troppo elaborato e Kojiro lo notò dal momento che finalmente riusciva a capire ciò che diceva. Circa.
- E chi sarà mai? - Lo chiese con ironia marcata sebbene avesse cercato di essere definitivo e convincente. Lo scrutò meglio. No, non ci aveva creduto per nulla.
- L’unico che mi viene in mente sei tu! - Rispose con un pizzico di altrettanta ironia. Un’ondata di calore gli salì violenta dal basso, osservandolo con quell’espressione maliziosa.
Si rendeva conto dell’effetto che aveva sugli altri, o magari solo su di lui?
Forse sì e, forse, si comportava in quel modo equivoco -per i suoi gusti- proprio perché sapeva di piacere.
Era stronzo?
Chi poteva dirlo, era così criptico e strano!
Nascondeva tutto di sé talmente bene…
- Perché io? - Chiese per metterlo alla prova e sondare il terreno. Insomma, cosa pensava di lui?
Jun non si perse d’animo e tirando su i piedi e abbracciando le ginocchia in una posa estremamente non da lui ma con un tocco di eleganza comunque, rispose senza il minimo problema:
- Perché tu sei l’unica tigre che conosco. E che lui definirebbe ‘del cazzo’. - Quella parolaccia sulla sua bocca suonò strana e quasi male, capì perché usava quel tipo di linguaggio: non gli sarebbe mai stato bene ‘addosso’.
Riprese lentamente ad incantarsi, compiaciuto di essere visto in quel modo.
- Sono una tigre? - Voleva farlo parlare ancora. Di sé.
- Sì… - E Jun parve ben intenzionato a farlo. Mantenendo quell’aria tranquilla e gentile, a modo, parlò col tono caldo e sfumato di prima anche se senza quell’inclinazione dolce: - si capisce che hai passato qualcosa di brutto nella vita che ti ha indurito e reso aggressivo. Attacchi tutti per primo, per non essere attaccato. La tua non è altro che una difesa. Sembri un animale feroce, sia nello sguardo, che nei modi di fare, che nell’essere. La tigre è la più tremenda e indomabile. Secondo me tu le somigli molto. - Poi rimase un attimo in silenzio, piegò la testa di lato come se ascoltasse i propri pensieri e assorto continuò: - però un segreto c’è. -
Questo colse contropiede Kojiro che si drizzò e si tese verso di lui per ascoltare il resto, più che con curiosità, con bramosia. Lui aveva capito qualcosa di sé importante.
- Cos’è? - Jun si sporse a sua volta e con un espressione intensa, rispose immergendosi nei suoi occhi neri come la pece, selvaggi come una tigre e tormentati come un passato doloroso.
- Il segreto per arrivare a te. -
- Qual è? - Di parola in parola si trovarono ad avvicinarsi sempre più senza accorgersene, solo col bisogno di ascoltare e di penetrare. Cancellando tutto.
Perché volevano toccarsi dentro e quello era il momento ed il modo.
- Amarti. - Quanto erano vicini, ora?
Tanto da avere i rispettivi respiri sulla pelle.
- Io non so cosa vuol dire. - Lo disse per la prima volta come lo dicesse a sé stesso, come chiedesse cosa fosse, come pregasse di amarlo.
Quando Jun si trovò a dover spiegare, sospesi in quell’atmosfera emotiva e confidenziale, cosa fosse amare, non trovò nessuna parola adatta. Gli venne spontaneo solo un modo e quella fu la prima volta che il giovane agì senza riflettere, solo col puro istinto del momento.
Si sporse ulteriormente e gli posò le labbra sulle sue. L’accarezzò per un po’ fino ad inumidirgliele con la punta della lingua, dopo di ché gliele schiuse e si infilò cercandolo. Dopo averlo trovato si intrecciò con dolcezza e delicatezza, toccandolo solo così, con la sua bocca e la sua lingua, senza muoversi in nessun altro modo.
Kojiro si trovò sorpreso a ricevere un bacio proprio da lui quando quella sera glielo aveva praticamente rifiutato.
Si trovò sorpreso soprattutto a sentire come lo approfondiva di sua iniziativa.
Ma la sorpresa durò poco poiché si trovò a rispondere con un certo trasporto, creando un contatto maggiore lui stesso, proprio come quella notte aveva desiderato fare ma non aveva osato.
Deciso e prepotente si alzò dalla poltrona e senza staccarsi dalla sua bocca, gli tirò giù le gambe, gli prese i polsi, gli aprì le braccia, si sistemò su di lui a cavalcioni, senza sedersi di peso, e prendendogli il viso fra le mani con fermezza se lo premette con più trasporto trasformando un bacio casto in uno più audace e profondo.
Non immaginò minimamente cosa Jun dovesse provare, cosa volesse, cosa sentisse. Sapeva quello che provava, voleva e sentiva lui e gli bastava. Non era stato un abbaglio o una stupida cotta e sebbene fino a quel momento non avesse saputo dargli un nome, ora che Jun glielo stava ‘spiegando’, gli appariva tutto chiaro.
Erano quelli i sentimenti.
Allora, forse, la vita dopotutto valeva veramente la pena di essere vissuta.
Il momento magico ebbe fine con le mani di Jun che sospingevano Kojiro posate sul suo petto fremente coperto solo da una canottiera intima, come quella notte. Il tocco lo fece sussultare e trapelò il brivido fino all’altro che, sebbene fosse stralunato e contrariato dell’interruzione, si accorse di averlo finalmente turbato.
Aveva una reazione, aveva un’espressione diversa sul suo viso. La confusione era enorme ed era ancora più bello con quell’aria sperduta.
Provò il fortissimo desiderio di stringerlo e dirgli che andava tutto bene ma non sapendo come si facesse una cosa simile, trovandosi idiota a farlo, si limitò ad alzarsi e ad aspettare che volesse riprendere. Perché per lui era ovvio che, Genzo o non Genzo ronfante nel letto, avrebbero ripreso!
Jun non fu dello stesso avviso, infatti si limitò a rimettere le ginocchia al petto e ad appoggiarvi il viso sopra, circondando la testa con le braccia per coprirsi meglio.
Come se si vergognasse a farsi vedere così o forse per ciò che aveva fatto.
Fu vicino ad entrargli dentro, aveva iniziato a scoprirsi eppure faceva ancora di tutto per impedirlo, aveva paura.
Bè, si disse Kojiro guardandolo in quello stato, in perfetto silenzi ed in chiusura totale, se Jun ne aveva paura figurarsi lui!
Non era proprio il più indicato per aiutarlo, su questo ne era certo.
Sospirò incerto, insofferente e combattuto, quindi udì appena un flebile:
- Devo pensare… - Che non era un maleducato ‘vattene’, ma sempre quello il concetto era.
Nessun’altra spiegazione, nessun’altra parola, nessun’altra delucidazione.
Lui lo baciava e poi lo invitava gentilmente ad andarsene!
Ma aveva senso?
Per lui no, quindi ringhiando un qualcosa di incomprensibile persino a sé stesso -in realtà non sapeva proprio cosa dire poiché non l’avrebbe mai insultato anche se avrebbe voluto tanto- uscì a passo di carica sbattendo la porta nel bel mezzo della notte.
Una cosa era certa.
Dopo che l’aveva assaggiato, Jun, il sentimento, l’amore o qualunque nome avesse, dopo che aveva assaggiato quello che poteva chiamare Paradiso, avrebbe lottato per averlo. E quella volta lottato come si doveva. A tutti i costi.

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Capitolo 11
*** Chiarimenti nell'aula di musica ***


*TA-DAAAN! Ecco a voi l'ultimo capitolo! Vi prego, non fatemi i riti woodo... ok, tranquilli, ci sarà, come già detto mille volte, il seguito che prenderà i punti di vista degli altri, tipo Genzo e Karl, e sistemerà le questioni rimaste in sospeso. Si chiamerà 'Ad ogni costo'. Allora... volevo ringraziare tutti quelli che mi hanno commentato e seguito in questa fic, sono contenta che sia piaciuta e sorpresa per il successo che hanno avuto Genzo e Karl così emarginati da me. Rimedierò! Allora, che dire? Spero che questo ultimo capitolo sia una buona lettura. Alla prossima che sarà presto. Baci Akane*

CAPITOLO XI:

CHIARIMENTI NELL’AULA DI MUSICA

/Moonlight sonata - Beethoven/
Il caos apocalittico che si scatenò il giorno dopo in mensa fu causato da due notizie che videro protagonisti due dei più popolari della scuola: Jun Misugi e Genzo Wakabayashi.
Ebbene il primo si era lasciato con la morosa ‘storica’, mentre il secondo non stava più appiccicato a Karl.
Queste di per sé furono notizie sconvolgenti per tutti, specie per gli impiccioni, e nel giro di poco tutto l’istituto non parlava d’altro.
- Cosa diavolo hanno tutti? - Sbraitò di cattivo umore -tanto per cambiare- Kojiro. A rispondergli fu un sorpreso Hikaru:
- Sei l’unico a non saperlo ancora! -
- Cosa?! - Il suo tono era sempre peggiore, ma l’amico non si perse d’animo e lo sparò come se fosse la cosa più divertente ed insieme drammatica del mondo:
- Jun Misugi e Yayoi Aoba si sono lasciati! Anzi, per la precisione la notizia è che lui ha lasciato lei, ma le motivazioni sono misteriose! -
Kojiro si strozzò con l’acqua e per poco non morì davvero. Vide alcuni mostruosi flash della sua infanzia e grazie a quelli tornò al mondo inorridito, convinto che pur di non vederseli tutti sarebbe stato disposto a vivere ancora!
- Che cazzo hai detto? - Non poteva credere a quello che diceva, lo fissava allucinato ma lo vedeva serio, per quanto quello perennemente ironico potesse essere serio. Si capiva che diceva davvero.
- Jun ha lasciato Yayoi! Non si parla d’altro! Oltre che di Genzo Wakabayashi non più appiccicato a Karl Hainz Schneider! -
A quell’ultima affermazione Kojiro guardò istintivamente al tavolo del suo sempai di boxe e lo vide con altri amici, quel tale Ozora con il suo amichetto Misaki, i compagni di stanza di Hikaru. Normalmente Genzo era sempre e solo con Karl, ma quella volta del biondino nemmeno l’ombra.
- Era ora! - Esclamò lasciando intendere che ne sapeva più lui di tutti gli altri. E a Hikaru parve tanto che quel ’era ora’ fosse rivolto anche a Jun e a Yayoi.
Per sondare il terreno con astuzia, lo guardò circospetto, quindi con una malizia evidente disse:
- Ora hai il campo libero! -
Kojiro rispose maligno e compiaciuto cercando Jun con lo sguardo, senza vederlo poiché non presente:
- E’ stato più facile di quel che pensassi impossessarmi di Jun! - Come se fosse una proprietà da acquistare!
A quella frase fu il turno di Hikaru di vedere la sua infanzia passargli davanti agli occhi poiché si stava soffocando con il pranzo.
- JUN! MA IO PENSAVO A GENZO! - Effettivamente Kojiro era stato sorprendentemente bravo a mascherare il suo interesse per Jun, mentre non aveva fatto nulla per nascondere l’apprezzamento fisico verso Genzo, motivo per il quale Hikaru aveva sempre creduto che, in realtà, a piacergli fosse proprio quello con cui si prendeva sempre a pugni.
Scoprire in quel modo strano che invece aveva sempre puntato a Jun fu sconvolgente quanto la notizia in sé che il principe si era lasciato con la principessa!
Kojiro si rese conto della gaffe e lo guardò come per divorarlo, fortemente minaccioso lo convinse a non dire nulla a nessuno senza doverglielo spiegare a voce!
- Ok ok, sarò una tomba! - Poi riprese con un sorrisetto accattivante -solo lui si azzardava a parlargli così ormai- - Ma mi hai stupito… non avrei mai detto che invece ti piaceva Jun… e poi cosa vuol dire che è stato facile impossessarsi di lui? Cosa è successo che non so? -
Kojiro a tutte quelle domande lo guardò seccato smettendo di cercare chi gli interessava e prendendo il coltello con cui tagliava la carne, glielo puntò davanti al naso sbottando seccato:
- Qualcosa che non saprai mai! Ed ora sta zitto e fammi mangiare o ti scotenno! - E in quel genere di cose era esperto. Fu così che Hikaru si convinse a non pizzicarlo ancora e a non metterlo alla prova.

Quella sera subito dopo essersi scannato a volontà a boxe con un cupo e furioso Genzo che evidentemente non aveva ancora superato del tutto la questione ‘Karl’, al posto di andare a cena, vedendo che Jun in mensa non c’era, andò a cercarlo.
L’idea era naturalmente quella di parlargli e obbligarlo a rivelargli che cavolo gli passasse per la testa, a qualunque costo, anche picchiandolo se necessario.
Provato in camera la trovò vuota, quindi si diresse nell’unico altro luogo in cui sapeva poteva essere.
L’aula di musica.
Cosciente che a quell’ora sarebbe stata vuota, una volta che dall’esterno sentì le note del pianoforte capì di averci azzeccato e con l’aria più determinata di quel mondo, entrò intenzionato a farlo parlare. Non poteva fare quel che voleva e lasciarlo fuori a quel modo.
Se il suo bacio aveva fatto sì che lasciasse la sua ragazza, qualcosa per lui provava.
Dopo che aveva saggiato quel che voleva dire provare sentimenti ed essere ricambiato -o solo l’illusione di un istante- non poteva farne a meno, non poteva non combattere ancora, non poteva non volerlo più di prima.
Non poteva non desiderare tutta per sé quella dolcezza che gli aveva visto su Genzo.
Non poteva non innamorarsi di quelle sue attenzioni con cui capiva tutto di chi aveva davanti.
Non poteva non perdersi per Jun ancora di più.
Appena fu dentro, però, tutta la sua boriosità venne spazzata via da quelle note malinconiche e tremendamente angosciate.
La drammatica melodia lo trapassò nella pelle e nelle ossa catapultandolo di nuovo in un’altra epoca, quasi.
Un’epoca non molto lontana, dopo tutto.
Si costrinse a rimanere cosciente, quella volta, e si avvicinò di sua volontà allo strumento dietro cui era seduto Jun con gli occhi chiusi.
Questa volta lo sentì e li aprì. Erano velati. Confusi. Colpiti. Ma non si fermò.
Continuò a suonare ‘Chiaro di luna’ di Beethoven mentre osservava Kojiro serio ed irriconoscibile sedersi ai piedi del pianoforte nero, accanto a lui.
Lo vide appoggiare la testa all’indietro e guardare in alto, nel vuoto.
Lo vide e desiderò di sapere cosa stava rivivendo con quell’espressione cupa e addolorata.
Non l’aveva mai visto così.
Del resto quelle note potevano risvegliare dei gran brutti fantasmi.
Non si erano parlati e avrebbero dovuto, non si erano spiegati e avrebbero dovuto, avevano molto da dire, molto da definire, però come se niente fosse accaduto e tutto fosse normale, sulla musica struggente che si levava nell’aria, Kojiro parlò con un filo di voce irriconoscibile, tragica, angosciata.
Non riuscì più a trattenersi, di nuovo in trance riviveva quello che era stato e questa volta non poteva fare a meno di esprimerlo, come se volesse portare con sé la persona che per il momento stava diventando la più importante. Come se miracolosamente sentisse un forte bisogno di condividere il suo orrore per provare a superarlo con qualcuno che forse ne era degno.
- C’era quest’uomo, quando ero piccolo, che mi rinfacciava ogni secondo di dovergli essere grato poiché mi aveva preso in casa anche se non ero loro figlio. Quest’uomo beveva sempre e poi arrivava a casa ubriaco e furioso e picchiava chi gli capitava a tiro. Spesso mi ha usato come palla da calcio. Sua moglie gli gridava dietro ma non cercava di proteggermi. Non faceva niente per me. Erano scenate terribili. Gridavano come matti, si tiravano oggetti, si colpivano e si ferivano ma nessuno dei due si fermava, si scusava o curava l’altro. Si gridavano l’odio reciproco ed io sentivo. Sono cresciuto convinto che l’odio fosse tutto ciò che si potesse provare. Anche per me lo provavano, ero un peso per loro. Non so perché mi hanno preso in affido. Io non ero buono, ero cattivo e li facevo arrabbiare perché non ero capace di fare bene quello che mi ordinavano. Quando pulivo la casa rompevo sempre qualcosa senza volerlo, oppure pulivo male. Loro mi punivano e dopo avermi picchiato, mi rinchiudevano in cantina coi ratti, al buio, nella puzza, senza mangiare per un giorno intero. Sono andato avanti così fino a che, non ho proprio idea di come, un’assistente sociale è entrato e vedendo cosa succedeva mi ha portato via. Poco dopo sono arrivato qua. Sono arrivato a quattordici anni sapendo solo odiare, disprezzare, picchiare e attaccare per difendermi. Non so cosa siano i buoni sentimenti e l’amore. Sto sperimentando in questo posto cosa sia la libertà di fare quello che voglio, per la prima volta. Però la notte sogno ancora quei giorni d’orrore, le loro facce, quella cantina coi ratti. Chissà se prima o poi imparerò davvero ad amare e a non sognare più quelle cose? Mi libererò mai del mio passato? Se ogni volta che ascolto canzoni così malinconiche ricordo sempre tutto, io penso di no. -
Queste parole agghiaccianti fecero da sfondo alla triste melodia che terminò poco dopo lasciando un silenzio carico di tutto e di niente.
Jun cercò di pensare a delle parole adatte, ma non trovò nulla di abbastanza ragionevole.
Però non poteva evitare di dire qualcosa.
Non poteva solo alzarsi e andarsene.
Profondamente toccato da quello che il ragazzo aveva passato nella sua giovane vita, provò solo un grande desiderio di sollevarlo, aiutarlo, cancellare tutto quello che aveva provato, ma tutto ciò che rimaneva invece erano le sue parole ed un amarezza che solcava la sua anima.
Si inginocchiò davanti a lui e lo guardò dritto negli occhi stretti e assorti, non sapeva cosa dire ma aveva bisogno di dirlo, sapeva che era giusto, sentiva da dentro di doverlo fare.
Così scacciò la sua logica ed il suo controllo e fece come la notte precedente.
Si limitò ad agire.
- Forse non lo dimenticherai mai, ma lo supererai. Arriverà il giorno in cui ricorderai tutto e non ti farà più male. Ora non sei più là, ora sei libero e nessuno ti farà più del male. Troverai l‘amore. - La dolcezza con cui lo disse, fu la stessa che aveva usato con Genzo la notte precedente e Kojiro che tanto l’aveva voluta per sé, come se in quel momento si svegliasse, di slancio si aggrappò alle sue braccia e lo disse:
- Amami tu! Mettiti con me! Voglio stare con te, è te che voglio. - Non fu capace di dirlo diversamente, convinto che quello fosse l’unico modo in cui si potesse dire qualcosa del genere.
Semplicemente di getto, così com’era.
Jun si trovò spiazzato e di nuovo dimostrò di non essere pronto ad una cosa simile. Non si divincolò e non lo allontanò, poi rispose sforzandosi di rimanere calmo:
- Ho bisogno di ancora un po’ di tempo per capire cosa provo. -
Kojiro sbottò infuocandosi:
- Ma se hai lasciato la tua ragazza per me! - Presuntuoso ma vero.
L’altro strinse le labbra contrariato, era in difficoltà ma decise che la sincerità a quel punto era l’unica cosa:
- Non mi sei indifferente, Kojiro. E non provo la stessa cosa per Yayoi. Ma devo pensare ancora, non so buttarmi come fai tu e non sono ancora sicuro di niente. Devi darmi un po’ di tempo. Ti prego. - Quella piccola supplica ebbe il potere di fargli provare un desiderio ancora più forte di lui, ma si morse il labbro e si trattenne miracolosamente. In una piccola parte di sé che ora usciva sapeva che per non perderlo avrebbe dovuto dargli il suo tempo, ma non l’avrebbe mollato un secondo.
- Va bene. Però sbrigati! - Concluse borbottando deciso domando a stento l’impulso di saltargli addosso.
Jun sorrise grato, contento che avesse capito e che gli avesse concesso quello che chiedeva.
- Grazie. - Disse, quindi gli sfiorò la fronte con le labbra e sorridendo dolcemente si alzò avviandosi all’uscita.
Kojiro imprecò a mezza voce con un’aria truce.
Sarebbe stata dannatamente dura, ma quello con Jun era il mondo che voleva per sé.
E l’avrebbe avuto ad ogni costo.

FINE

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