L'odore del passato

di manymany
(/viewuser.php?uid=100648)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sms dal passato ***
Capitolo 2: *** La ferita si è riaperta ***
Capitolo 3: *** Ripicche & Rimorsi ***
Capitolo 4: *** Gelosia? ***
Capitolo 5: *** Sbalzi d'umore ***
Capitolo 6: *** Si parte! ***
Capitolo 7: *** Invadenti & Assenti ***
Capitolo 8: *** A che servon le parole? ***
Capitolo 9: *** Kisses&Remorses ***
Capitolo 10: *** La quiete dopo la tempesta ***
Capitolo 11: *** Let's go to the party! ***
Capitolo 12: *** La descrizione di un attimo ***
Capitolo 13: *** In vino veritas ***
Capitolo 14: *** Sorpresa! ***
Capitolo 15: *** Brontolo ***
Capitolo 16: *** Incantesimo ***
Capitolo 17: *** Fuochi d'artificio! ***
Capitolo 18: *** Partenza. ***
Capitolo 19: *** Fantasmi, fantasmi e ancora fantasmi! ***
Capitolo 20: *** Jazz&Rock ***
Capitolo 21: *** Maledette Farfalle! ***
Capitolo 22: *** Che confusione! ***
Capitolo 23: *** La resa dei conti ***
Capitolo 24: *** La verità ***
Capitolo 25: *** Buonanotte! ***
Capitolo 26: *** Gioia? ***
Capitolo 27: *** Gli uomini preferiscono le Bionde? ***
Capitolo 28: *** The first date ***
Capitolo 29: *** Quando tutto va bene... ***
Capitolo 30: *** Di nuovo ***
Capitolo 31: *** Lontano dagli occhi... ***
Capitolo 32: *** Per me è importante.. ***
Capitolo 33: *** Spiegazioni ***
Capitolo 34: *** L'odore del futuro!(the end) ***



Capitolo 1
*** Sms dal passato ***


salve a tutti! ho deciso di iniziare una nuova avventura. non ho intenzione di lasciare la storia che è già in corso ma ho deciso di dedicarmi anche ad altro visto che non ho abbastanza da fare XD
spero che vi piaccia.
è tutto ancora all'inizio e non so nemmeno come si svilipperà la cosa. vedremo. fatemi sapere.
a presto manymany


Image and video hosting by TinyPic>
CAPITOLO I:  SMS DAL PASSATO

Beep beep.
Viola fece un balzo quando quel suono inaspettato ruppe il silenzio assoluto che la circondava, se ne stava appoggiata scompostamente alla scrivania dell’ufficio. Erano le sei di lunedì pomeriggio e avrebbe dovuto essere a casa da almeno mezzora ma il tempo diluviava e lei non riusciva a trovare il coraggio di gettarsi sotto la pioggia per raggiungere la stazione della metro che distava almeno duecento metri.
Sospirò e guardò fuori dalla finestra, il cielo era scuro come se fosse mezzanotte, nonostante fosse quasi estate, e il mal tempo non accennava a fare un attimo di pausa. Voleva andare a casa maledizione, concedersi un lunghissimo bagno profumato, mettersi uno dei suoi pigiamoni extralarge e poi leggere per tutta la serata il nuovo manoscritto che doveva recensire e che l’aveva colpita da subito. Svogliatamente afferrò il blackberry.
Chi poteva essere? I suoi genitori non erano tipi da sms, nonostante fossero abbastanza giovani non amavano molto quel modo di comunicare e preferivano le classiche chiamate, le sue sorelle erano in pieno idillio amoroso e figurarsi se avessero pensato a lei, suo fratello in quel periodo era totalmente immerso in un nuovo lavoro e non la cercava molto spesso, e le sue tre uniche amiche erano all’estero per gli studi, si sentivano solo via computer. Quindi non poteva essere nessuno di veramente importante.
Sospirò annoiata, pronta a leggere le notizie di gossip che ogni tanto il suo operatore telefonico gli propinava gratuitamente.
Ma non era il gossip.
Era Carla.
Un nome che non compariva sul suo schermo da… da cinque anni ormai. Aveva il numero ancora in rubrica solo perché era sempre stata una che conservava tutto. Una vecchia compagna di liceo. Che diavolo poteva volere? Forse aveva solo sbagliato numero.
Aprì il messaggio.
“ Ciao a tutti bella gente. Forse non ve lo ricordate ma sabato sarà il quinto anniversario dal nostro ultimo giorno di liceo. Ho organizzato tutto, ok forse un po’ all’ultimo momento ma ormai ogni cosa è pronta. Rullo di tamburi: La III f del liceo classico Alighieri si riunirà sabato e domenica all’Hotel Belvedere in pieno stile americano. Sabato sera ci sarà la cena di benvenuto. Domenica mattina per le donne sedute al centro benessere dell’hotel e per gli uomini torneo di calcetto. Per pranzo un picnic nel parco antistante l’hotel con pranzo a buffet e la sera gran finale con l’elezione di Mister & Miss III F…5 anni dopo!  Impossibile mancare! So già che Melissa, Arianna e Bianca non potranno partecipare per motivi di studio. Tutti gli altri non hanno scuse. Ovviamente, mariti, moglie e figli saranno i benvenuti, per questi ultimi l’hotel ha predisposto un servizio adeguato in modo che non possiamo spassarcela ugualmente. La quota è di 300euro a persona, non fate i taccagni e partecipate. A sabato.”
Un nodo le serrò la gola leggendo quel poema. Non poteva, non voleva.
Strinse freneticamente le dita attorno al blackberry e tanto vecchi quanto dolorosi ricordi la travolsero.
Si aggrappò al bordo della scrivania. Erano passati cinque anni. Doveva essere tutto rimosso, no? Lo credeva, fino a due minuti prima. Anzi fino a due minuti prima non ci pensava nemmeno più. Non ci pensava da così tanto tempo che quel messaggio l’aveva stravolta più del dovuto.
Un colpo alla porta le fece fare un salto sulla sedia.
- Disturbo?- chiese Ben.
Non lo tollerava. Lavorava in quell’ufficio dallo stesso giorno in cui era stata assunta lei e sin da subito lui aveva cercato di prevalere in tutti i modi, ma il modo che preferiva era la seduzione. Era indubbiamente un bel ragazzo anche se in un modo fin troppo scontato, ma il fatto che usasse la sua avvenenza per far colpo sulla direttrice glielo rendeva ancora più antipatico.
- Tu disturbi sempre!- di solito cercava di essere più tollerante ma dopo quel messaggio e dopo il modo in cui l’aveva fatta sobbalzare era meno disposta a essere accomodante.
- Oh che accoglienza calorosa, cara!- lui si appoggiò alla porta incrociando le braccia.
Viola si pentì immediatamente di essere stata tanto brusca. Si alzò, scostandosi i  capelli che le erano scivolati sul viso e gli voltò le spalle guardando fuori dalla finestra per riprendere il controllo di sé stessa. Fuori continuava a piovere senza sosta.
- Scusami è che mi hai spaventata, ti serviva qualcosa?
- Ho solo bussato, ora so che non dovrò mai farti qualche stupido scherzo, rischierei il linciaggio.- le sorrise ed entrò nella stanza sedendosi sul bordo della scrivania.
- Allora, dimmi.- si voltò verso di lui e per un momento fu consapevole della sua bellezza.
“ La smetti? Non ti è mai piaciuto. Il fatto che adesso lo trovi bello è perché sei sconvolta per il messaggio di Carla, perché vuoi auto-convincerti che hai superato quella fase. Ma a conti fatti non è così. Maledizione non è per niente così. Non te la saresti presa con lui, sebbene sia irritante, se tutto fosse a posto.”
Un ondata di tristezza la assalì e dovette farsi forza per non scoppiare in lacrime.
- Che ti prende stasera Viola? Il ghiaccio si scioglie? Prima mi incenerisci con la tua rabbia e poi sei sul punto di piangere? Non è da te. - il suo tono non era derisorio come sempre, era… interessato e questo la fece scuotere.
Perché gli importava? Voleva sfruttare la sua debolezza?
Non era mai stata un tipo che si fidava ciecamente, ma con il tempo aveva imparato ad essere proprio diffidente se non addirittura scostante.
- Veramente Ben, non ho nulla e adesso per favore dimmi cosa sei venuto a fare. Non ci sono mai stati rapporti amichevoli tra di noi, non abbiamo mai “ conversato piacevolmente” dopo l’orario di ufficio. Quindi ci deve essere un motivo se sei qui.- gli disse perdendo nuovamente la pazienza.
Lui sorrise e si rizzò in piedi volgendosi verso l’uscita.
- Oh ecco il tuo caro vecchio sarcasmo, quasi quasi non ti riconoscevo senza. Non c’era nessun motivo, mi sono accorto della luce accesa e visto il temporale che c’è ho pensato che avessi bisogno di un passaggio. Non tutti fanno qualcosa per uno scopo Viola.- le disse in tono severo.
Lei allibì. Cioè lo diceva lui? Lui che andava a letto con la direttrice per fare carriera. Rimase a guardarlo per qualche secondo poi scoppiò a ridere.
Ben la guardò perplesso. Doveva sembrargli proprio matta, ma non riuscì a trattenersi.
-  Tu! Tu parli di gente che non fa qualcosa per un motivo ben preciso? Tu che da subito hai sfruttato il tuo essere uomo, un bell’uomo, per carità, per fare carriera, per prevaricarmi, per metterti in risalto agli occhi  della Rossi? Tu non fai tutto per uno scopo? Scusami tanto, Ben,  ma mi fa proprio ridere.
Lui la ascoltò impassibile, poi si voltò ed uscì.
Viola rimase sola nella stanza. Il sorriso le morì sulle labbra.
“Maledetta, maledetta linguaccia! Sei una stupida Viola. Una stupida.”
Scacciando le lacrime che minacciano di scendere giù prese le sue cose e decise di andare via. A quel punto non le interessava nemmeno di bagnarsi. Se la sarebbe anche meritata una bella influenza.
Era sempre la solita. Bastava che qualcosa andasse storto per farle perdere la bussola.
Scese la rampa di scale e si fermò sulla soglia del portone. La pioggerella si era trasformata in un vero e proprio acquazzone. Si sistemò il trench sulla testa per cercare di difendersi dall’acqua ma sapeva già che era tutto inutile, poteva anche cercare di correre sui tacchi ma sapeva che niente le avrebbe impedito di inzupparsi fino all’osso.
Si fece coraggio e  uscì dal riparo del lussuoso androne, iniziando a correre. I suoi tacchi ticchettavano sul marciapiede dissestato, la pioggia era talmente fitta da renderle difficile vedere cosa si trovasse anche solo ad un palmo del suo naso. Spiccò un salto per oltrepassare una grossa pozzanghera ma l’atterraggio non fu come se l’era aspettato, il tacco della scarpa destra ormai zuppo cedette improvvisamente e la caviglia le si storse facendola finire a terra, distesa nella pozzanghera che aveva cercato di superare.
Rimase ferma per qualche secondo, ormai zuppa e sporca come più non si poteva, cercando di assorbire la botta. Il piede le faceva un male cane. Se lo tastò cercando di capire se ci fosse qualcosa di rotto. Il dolore era intenso ma non sembrava niente di troppo grave, così provò ad alzarsi. Più volte ricadde indietro, seduta, il fondo della pozzanghera era melmoso e rimettersi in piedi fu difficile. Si guardò il pantalone che un tempo era sta di un bel verde e trasalì: oltre ad essere intriso d’acqua si era “naturalmente” tinto di marrone. Per non parlare della scarpa, totalmente scorticata e ormai da buttare. Se la sfilò e iniziò a zoppicare verso la stazione della metro che era comunque ancora troppo lontana. Correre non aveva senso ormai, non poteva bagnarsi più di così e inoltre il piede le faceva davvero male.
Stava  per attraversare la strada quando una macchina uscita da un parcheggio lì vicino le arrivò praticamente addosso, frenando appena in tempo. Viola rimase impietrita, la paura le aveva impedito di scansarsi e se l’automobilista non si fosse fermato in tempo l’avrebbe certamente travolta.
Vide lo sportello aprirsi, ne uscì a furia Ben.
- Stai bene? Sei stravolta!- disse notando il suo viso pallidissimo, i vestiti infangati e i piedi nudi.
- Tu! Ancora tu! Sei un pazzo! Potevi uccidermi! L’hai fatto a posta, ammettilo.- lo aggredì.
- Cosa??? Sei apparsa dal nulla! Ti ho vista all’ultimo secondo e devi ringraziare i miei riflessi più che pronti altrimenti a quest’ora staresti spiaccicata sull’asfalto.- urlò per sovrastare il rumore della pioggia che continuava a venir giù, implacabile.
- Io.. Io.. Io ti odio!! Lasciami in pace!-
Quella non era decisamente la sua giornata. Scoppiò a piangere e scappò via, per quanto il piede dolorante glielo consentisse. Quasi subito sentì una mano afferrargli il polso. Stanca di parlare si lasciò condurre in auto,  non riuscendo a smettere di singhiozzare come un’idiota. Lui le aprì lo sportello e l’aiutò a salire. Intanto dietro si era formata una lunga coda, i clacson impazzavano e addirittura c‘era qualcuno che urlava imbufalito. Ben fece un gesto di scusa e salì sull’auto anche lui, partendo immediatamente.
Viola intanto continuava a piangere silenziosamente, lui si limitava a guidare, senza parlare e lei lo apprezzò. Era stata odiosa con lui e non si meritava il passaggio, non meritava nemmeno il suo silenzio.
Tutto per uno stupido messaggio, per una stupida rimpatriata con dei compagni di liceo.
Pian piano le lacrime smisero di scendere e lei trovò il coraggio di voltarsi verso di lui.
- Grazie Ben. So che…
- Tu non sai niente! Stai zitta!
Non si aspettava la sua reazione inferocita. Ok forse se lo meritava anche, ma aveva scambiato il suo silenzio per comprensione non per rabbia.
Si voltò dall’altro lato guardando le luci sfocate della città che passavano dal finestrino. Non sapeva dove stessero andando e non le interessava nemmeno.
- Dammi l’indirizzo di casa tua.
- Cosa? - lei era totalmente immersa nei suoi pensieri che la sua voce l’aveva fatta sobbalzare.
- Come ti spaventi facilmente! Non ho detto nulla di male adesso.- si giustificò lui.
- No, lo so, lo so! Non sono così suscettibile in genere. Non siamo mai stati amici ma devi riconoscere che non mi ero mai comportata così. Ti chiedo scusa.- disse abbassando lo sguardo.
- Oh che onore. Sono contento di sentire che ammetti i tuoi sbagli. Ma quelle cose le pensavi sul serio, no?- disse dopo essere rimasto in silenzio per qualche secondo.
- Che mi sei venuto addosso con la macchina di proposito? Ovviamente no! Non credo che tu…
- Non quello!- disse lui ingranando la marcia nervosamente.- Che uso il mio corpo per fare carriera. Sii sincera.
Ecco.. Cosa doveva dire? La verità? Si, lo pensava. Ma gli aveva appena chiesto scusa, non voleva ricominciare nuovamente con le liti.
Non avrebbero dovuto dirglielo, non avrebbe dovuto trattarlo così male, ma comunque lo pensava davvero.
Lei era lì quando guardava Mirella Rossi, la direttrice della Casa Editrice per cui lavoravano con quello sguardo caldo e sexy, era lì quando lei, ormai cinquantenne e con due divorzi alle spalle ricambiava le occhiate ammiccando maliziosamente. Era lì e non poteva negare di aver visto.
- Si lo penso. O perlomeno penso che tra te e Mirella ci sia qualcosa.- disse preparandosi mentalmente a farsi la strada di ritorno a piedi, perché certamente dopo quella ammissione lui non l’avrebbe più accompagnata a casa. Ed infatti lui rallentò e accostò sul ciglio del marciapiede.
Lei rimase in silenzio per qualche minuto, poi si voltò verso di lui, pronta ad attaccare se necessario. Ma lui non la guardava nemmeno, lo sguardo in avanti, le mani strette al volante.
- Ben.. Ben! Senti mi hai chiesto tu di essere sincera.- provò a dire lei.
- Beh ti sbagli Viola. - le disse guardandola negli occhi.- ti sbagli in pieno.- rimase per qualche altro secondo in silenzio.- Allora me lo dai l’indirizzo? Vaghiamo da mezzora e vorrei tornare a casa prima del mattino.- le disse brusco.
Lei gli diede l’indirizzo e poi tornò a guardare fuori dal finestrino. Dovevano essersi allontanati molto perché quella zona le era del tutto sconosciuta. Non che conoscesse bene la città. Ci viveva da meno di un anno. Attraversarono zone talmente squallide che lei pensò di trovarsi nel Bronx, c’erano cassonetti che bruciavano e gruppi di ragazzi che ballavano in una piazzola incuranti della pioggia scrosciante. L’auto rallentò fino a fermarsi ad un semaforo e impaurita lei abbassò la sicura del suo sportello, sperando di passare inosservata, ma lui lo notò lo stesso.
- Che c’è, principessina, i bassifondi ti sconvolgono?- le chiese in tono di scherno.
- No, sono solo previdente.- gli disse difendendosi.
- Se vuoi essere “previdente” al cento per cento metti una barriera anche tra di noi. Io sono cresciuto in questo quartiere e sebbene non ci viva più da anni ormai, sono sempre un appartenente a questa zona. Che ne dici adesso? Vuoi scendere e chiamare la limousine, madame?- il suo tono non era più di scherno ma di vero e proprio disprezzo.
Lei si passò una mano tra i capelli. Possibile mai che qualsiasi cosa facesse o dicesse non andasse mai bene?
- Senti- iniziò a dire ma lui la interruppe.
- No! Per stasera ne ho abbastanza delle tue spiegazioni Viola! Qualsiasi cosa ti sia successa non ti autorizza a trattare tutti dall’alto in basso. Casa tua dista solo altri dieci minuti. Strano come sia così vicina ai bassifondi vero? Ti consiglio di cambiare zona e di chiedere il pedigree a chi ti voglia offrire un passaggio. Non tutti potrebbero appartenere al tuo bel paese delle meraviglie.
Era troppo, si era detta di non rispondere, che per quella sera aveva fatto e detto abbastanza ma quella fu la classica goccia che fece traboccare il vaso.
- Ma che ne sai tu del mio mondo? Che ne sai di come e di dove sono cresciuta?- gli chiese rabbiosa.
- Non lo so, ma mi basta avvertire la tua puzza sotto il naso per capire che sei solo una bambina capricciosa che quando ha un problema se la prende con tutti, anche con chi voleva essere solo gentile. Non mi importa sapere chi eri Viola, io so chi sei. Sei una snob!
Con quelle ultime parole lui accostò davanti al suo portone, non gli era certo sfuggito che si trattava di un palazzo indubbiamente signorile.
- Se sua altezza vuole scendere siamo arrivati al castello. Mi stupisco che non venga ad accoglierla il portiere in livrea.- le disse in tono tagliente.
Lei aprì lo sportello e fece per scendere ma si voltò di nuovo verso di lui.
- Tu non sai niente!- poi scese e sbatté violentemente lo sportello.
Nonostante Ben fosse accecato dalla rabbia aspettò che lei si fosse chiusa il portone alle spalle prima di ripartire.






<
Image and video hosting by TinyPic VESTITI DI VIOLA

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** La ferita si è riaperta ***



Image and video hosting by TinyPic>CAPITOLO II : La ferita si è riaperta.

Si chiuse la porta alle spalle vi si appoggiò contro, sospirando. Che giornata tremenda. Chiuse gli occhi ripensando a quel messaggio e a tutto quello che c’era dietro e un brivido le percorse il corpo.
Era il freddo o quel doloroso ricordo?
Decisa a non cadere di nuovo nella commiserazione, si staccò dalla porta e iniziò a togliersi i vestiti, li mise in una busta per portarli in lavanderia, erano talmente sporchi che non avrebbe potuto lavarli in casa. Le scarpe, le sue adorate scarpe di Fendi, invece, finirono direttamente nell’immondizia, per loro non c‘era più niente da fare, purtroppo. Andò a riempire la vasca versandoci un dose generosa di bagnoschiuma alle rose,  si immerse nell’acqua calda con un sospiro e chiuse gli occhi. Finalmente un po’ di relax, ma non durò a lungo. Scivolò in un sonno popolato da avvenimenti realmente accaduti … cinque anni prima.

Amiche per la pelle o meglio sorelle. Era questo il modo in cui Viola definiva il suo rapporto con lei. Si conoscevano da cinque anni ormai, era l’ultimo anno di scuola. Marta era allegra ed esuberante e loro due vivevano ormai in simbiosi. Erano l’una il prolungamento dell’altra, dove c’era una c’era l’altra. Quando una stava male l’altra le restava al fianco. Tanto che tutti le chiamavano gemelle diverse.
Viola si fidava ciecamente di lei. Eppure dovevano accadere tante di quelle cose, cose che lei non si sarebbe mai aspettata.
Erano gli ultimi giorni di scuola e Marta stava male. Viola era preoccupata, gli esami erano alle porte e lei non faceva che rimettere, era sempre stata troppo magra ma lei temeva che l’amica stesse cadendo nel tunnel dell’anoressia ed era terrorizzata. Sapeva tutto di quella malattia e i sintomi corrispondevano. Perdita di appetito, vomito, tristezza. Era talmente terrorizzata dall’idea di poter perdere la migliore amica che non aveva pensato ad altro.
Lei era tutta la sua vita, oltre alla sua famiglia e a Paolo.
Paolo era un loro compagno di classe.
Viola era diventata sua amica da subito. Lui era un ragazzo insicuro, che viveva con la madre separata e un fratellino di tre anni. Era arrivato in classe loro al terzo anno, si era trasferito da poco ed era spaesato. In quel periodo Marta era a casa con il morbillo, così lei si era seduta con lui per aiutarlo ad ambientarsi. Nonostante fossero entrambi timidi erano riusciti a trovare un’intesa ed erano diventati amici. Quando Marta era tornata a scuola lo aveva subito preso in antipatia vedendo il loro rapporto così stretto.
- Ma che? Sei gelosa?- le aveva chiesto scherzando.
- Embè? Si, sono gelosa! Non posso nemmeno mancare per due settimane che trovo al mio posto un pinco pallino che non solo mi ha fregato il banco ma anche la migliore amica. Non va bene così!- aveva protestato lei, scherzando ma non troppo.
- Ti prometto che tu resterai sempre la mia best friend… lui magari…- disse allusiva.
- Eh no! No! Non me lo dire! Ti piace! Cioè ti piace quel sottaceto!- aveva replicato l’amica oltraggiata.
- Ma dai! Non urlare Marta e poi cavolo, che ha di sbagliato? E’ carino!
- Si, come no! Ha il sex appeal di una carota.
- Non puoi essere semplicemente contenta per me? E poi non ho detto che ci sto insieme, figurarsi, mi tratta come un maschio, mi parla di pallone.
Nella ricreazione Paolo le si avvicinò e lei le presentò Marta, nemmeno lui parve particolarmente colpito da lei. Possibile mai che le due persone a cui teneva di più non riuscissero ad andare d’accordo?
Era andata così per due anni.
Marta lo insultava apertamente e Paolo le dava dell’acida.
Nemmeno il suo rapporto con lui si era sbloccato. Lui continuava a vederla come un’amica. Le parlava del rapporto conflittuale con il padre, della madre che aveva continue crisi di ansia in seguito alla separazione e del fratellino Matteo di cui doveva occuparsi sempre lui e poi del calcio, la sua passione. Lei non si esponeva, gli faceva da spalla, lo consolava quando era triste e gli teneva il fratellino quando lui aveva impegni. Non gli era mai passato per la testa che lui la potesse sfruttare, lui le stava vicino a modo suo e ne era talmente innamorata da non vedere altro.
Marta la spronava a chiudere quella situazione e cercava di mettere Paolo in cattiva luce ai suoi occhi e il loro rapporto, prima sempre pacifico fu animato da continui litigi.
Mancavano pochi mesi dalla fine della scuola e Viola progettava la sua vita futura, l’università e immaginava già di confessare il suo amore a Paolo che nei suoi sogni le dichiarava amore eterno a sua volta.
Ma i piani non vanno mai per come devono.
Il rapporto tra Paolo e Marta era migliorato dopo che Viola aveva praticamente implorato l’amica di tagliare le ostilità.
Poi era successo il fattaccio.
Marta stava sempre male e anche Paolo era strano.
L’ultimo giorno di scuola lei era uscita dal bagno delle donne dove aveva lasciato Marta a vomitare e si era seduta a terra sconsolata.
Tutti si rincorrevano felici e lei si sentiva triste, il suo mondo si stava sgretolando ma non ne capiva il motivo.
Marta stava male, Paolo le parlava a stento.
Aveva sentito dei passi avvicinarsi e lo vide lì vicino, in piedi. Si sedette accanto a lei.
- Marta sta ancora male?- le chiese.
Lei non gliene aveva mai parlato, ma lui era un acuto osservatore e doveva averlo intuito.
- Si.
Lui era rimasto in silenzio per qualche minuto.
- Senti, ho giurato che non ne avrei parlato nemmeno con te, ma tu sei amica mia e anche sua. Insomma credo che alla fine capirà…- prese a tormentarsi i capelli come faceva sempre in quei momenti. Ormai conosceva ogni suo più piccolo gesto.
Un nodo le aveva stretto lo stomaco sebbene non avesse ancora capito il motivo.
- Non ti seguo.- gli disse con un filo di voce, confusa.
- Lo so. Io ho sbagliato nei tuoi confronti e anche Marta.
- Che c’entra Marta? Che c’entrate tu e Marta?- il suo cervello si rifiutava di capire.
- Io e Marta andiamo a letto insieme da qualche mese, cioè io mi sono innamorato e lei ricambia, credo. Spero.- aveva detto imbarazzato.
Lei rimase in silenzio,ma dentro di sé avvertì un rumore assordante, come di un’esplosione, il suo cuore uno specchio in frantumi. Le forze l’abbandonarono e rimase lì con lo sguardo perso.
- So come ti senti, io e lei siamo i tuoi migliori amici. Io te lo avrei anche detto ma lei ha detto che non era ancora il momento, non ha mai voluto nemmeno accennare il discorso, non capisco il perché. Ma adesso ho bisogno di parlarne con qualcuno e tu sei la mia migliore amica Viola. Marta è incinta.
Il rumore si fece ancora più assordante e lei scattò in piedi pronta a scappare, convinta che stesse per crollare il palazzo.
Paolo la guardò allibito e fece per alzarsi. Nello stesso momento la porta del bagno si aprì, Marta uscì ancora pallida.
Vide Paolo confuso e Viola con lo sguardo stravolto.
- Glielo hai detto?- urlò rivolta al ragazzo.
Paolo sembrava caduto dalle nuvole, non capiva il perché di tanta agitazione da tonto qual era. Annuì.
Viola iniziò ad allontanarsi. Doveva andare via. Era un sogno. Si sarebbe svegliata. Non poteva essere vero.
- Aspetta! Lasciami spiegare Viola. E’ successo all’improvviso. Non volevo che accadesse e soprattutto non volevo che lo sapessi così. Ti prego…- la afferrò per la mano.
Viola era sempre stata una ragazza calma, ma sentendo quella stretta si voltò e le piantò uno schiaffo in pieno viso con tutta la forza che aveva.
Paolo accorse subito e sorresse quella che ormai era la sua ragazza. Vederli così, abbracciati, fu il colpo decisivo.  Il rumore crebbe ancora di intensità e la mura sembravano volteggiarle intorno, perse i sensi e cadde lunga distesa sul pavimento.
Quando si svegliò vide intorno a sé tutti i suoi compagni. Marta e Paolo se ne stavano abbracciati in disparte e il resto della classe non ci mise molto a fare due più due.
Viola amava Paolo che amava Marta che amava Paolo e che quindi non amava Viola.
I giorni seguenti furono un inferno.
Marta provava a parlarle ma Viola non voleva sentirla, per lei era morta. Si era innamorata di Paolo e in un certo senso poteva pure capirlo ma l’aveva ingannata per mesi. Marta aspettava un figlio da Paolo.
Si gettò anima e corpo nello studio. Aveva tagliato i ponti con tutti i compagni eccetto tre ragazze con cui aveva da tempo un rapporto stretto. Negli occhi di tutti gli altri aveva visto quegli sguardi, un po’ dispiaciuti e un po’ divertiti al pensiero del triangolo amoroso alla Beautiful che si era creato nella loro classe.
In un colpo solo aveva perso Marta, la sorella, l’amica di sempre, Paolo, il primo ragazzo di cui si fosse seriamente innamorata e quasi tutti gli altri amici.
Le uniche a starle vicino furono le compagne Arianna, Melissa e Bianca. Aveva un ottimo rapporto con loro, ma non si poteva certo paragonare al legame viscerale che l’aveva unita a Marta, per quanto si sforzassero non potevano in nessun modo alleviare la sua disperazione.
Per due mesi visse in uno stato di depressione, limitandosi a dormire e a studiare per il test d’ammissione che doveva sostenere. Quando anche quell’ostacolo fu superato si sentì perduta.
Improvvisamente tutto sembrava aver perso significato. Non le interessava più nulla. Inseguiva le mete che si era prefissa ma senza entusiasmo, senza gioia.
Le lezioni erano iniziate, non aveva più scuse, quindi, per restare rinchiusa nella sua stanza, doveva uscire e continuare a vivere.
Proprio quando il dolore sembrava essersi alleviato li vide: Marta e Paolo, proprio di fronte a lei,  mano nella mano, lei visibilmente incinta. Dalle sue amiche aveva saputo che erano vicini al matrimonio.
Anche loro la scorsero e si fermarono di botto. Paolo distolse lo sguardo ma Marta fece un passo verso di lei.
Viola non voleva dar loro importanza e aveva deciso di ignorarli ma quando la vide avvicinarsi, alzò una mano per fermarla e cambiò direzione. Erano morti, per lei non esistevano più.
Sapeva che molto probabilmente il suo comportamento era esagerato, erano cose che capitavano di continuo, ma la gente andava avanti, le superava. Per lei era inconcepibile. Marta sapeva, sapeva del suo amore per Paolo e l’aveva sempre detestato. Aveva finto? Gli era piaciuto sin da subito o era stata una cosa improvvisa davvero? Non le importava. Non più. Non poteva passarci sopra, era inconcepibile.
Era certa che lei non avrebbe mai e poi mai fatto a lei una cosa simile.


Viola si svegliò di colpo, con il cuore che batteva all’impazzata. Era solo un sogno, per un secondo aveva creduto di essere tornata indietro nel tempo, di star rivivendo quei momenti tremendi.
Il dolore che quei ricordi le avevano procurato era troppo intenso, vivo.
Marta e Paolo non facevano più parte della sua vita. Anche a distanza di anni a volte era difficile da capire. Da accettare.
Erano sposati e avevano avuto un bambino, Marco.
L’acqua era ormai gelida e lei uscì avvolgendosi in un morbido accappatoio, si gettò sul letto riaddormentandosi immediatamente, sognando ancora e ancora il suo rapporto con loro, i ricordi belli seguiti sempre, immancabilmente da quelli brutti. La ferita si era riaperta.


Ringrazio la mia prima ma spero non ultima commentatrice J
Dolcissima77: allora diciamo che dal primo capitolo è normale che tu non abbia capito molto. La mia intenzione infatti era incuriosire non rivelare J In questo capitolo verranno spiegate molte cose, molte invece si vedranno man mano che la storia procederà.


Non so che lunghezza avrà ancora il tutto, perché ho scritto solo quattro capitoli ancora. Spero di postare in fretta e che la fantasia non mi abbandoni. Spero anche che vorrete farmi sapere se vi piace e se vale la pena continuare a postare, ho sempre sostenuto che io scrivo sempre e solo per mio piacere e se la storia non vi piace posso evitare di propinarvela J spero comunque che la vorrete leggere. Ora chiariamo un ultimo dubbio.
Viola

Image and video hosting by TinyPic>


Ben

Image and video hosting by TinyPic>

I personaggi di Marta e Paolo li inserirò quando li incontreremo alla riunione con gli ex compagni. A presto. Manymany

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Ripicche & Rimorsi ***


Image and video hosting by TinyPic

CAPITOLO III: Ripicche & Rimorsi

Alzarsi per andare al lavoro fu un’impresa quella mattina. Si era addormentata con l’accappatoio umido e sebbene il clima fosse mite ormai, si sentiva infreddolita e ammaccata, come se uno schiacciasassi l’avesse pestata e ripestata, in più il piede continuava a farle male. Indossò un paio di pantaloni stretti, neri, non voleva replicare l’esperienza della sera prima, sopra mise una maglia di cotone grigia, impreziosita da un grosso fiocco nero di lato, non volendo sforzare inutilmente il piede ci abbinò un paio di ballerine anch’esse grigie con un fiocco nero sul davanti, scelse gli accessori ed era pronta.
I capelli ricci erano indomabili e rinunciò a fare qualsiasi cosa. Uscì di casa zoppicando, non aveva calcolato la sua lentezza e perse la metro, come se non bastasse quella successiva aveva avuto un guasto e quindi arrivò in ufficio in ritardo.
Se è vero che il buongiorno si vede dal mattino anche quella si prospettava una giornatina con i fiocchi.
Appese la borsa al bordo della sedia e prese il libro che doveva recensire. Aveva progettato di leggerlo a casa, ma con tutto quello che era successo le era sfuggito di mente e doveva sbrigarsi se non voleva mancare il termine della consegna.
Come aveva immaginato leggendo le prime pagine, il racconto era davvero avvincente e si immerse totalmente nella lettura. Con la coda dell’occhio scorse un movimento sul ciglio della sua porta che aveva dimenticato aperta.
- Posso entrare o mi lanci addosso il fermacarte?- le chiese Ben, sebbene le sue parole facessero pensare ad una battuta, il tono, così come l’espressione del viso, era molto serio.
- Prego.- disse evitando di aggiungere il commento acido che gli era salito spontaneo.
Lui le gettò con poco garbo il blackberry sulla scrivania.
- Ti è caduto in macchina ieri e non ha fatto che squillare. Era una certa Carla.
Sentendo quel nome sobbalzò.
- Non mi ero accorta di averlo persa. Ti ringrazio.
Doveva iniziare a cercare una buona scusa per declinare l’invito, certamente Carla avrebbe richiamato a breve.
- Ah un’altra cosa. Ho dovuto rispondere a quella signorina perché non faceva che chiamare. Mi ha chiesto se confermavi per sabato e gli ho detto di si. Spero che non sia un problema.- le disse divertito.
- Co…cosa hai fatto???- chiese furibonda.
- Si da il caso che erano le undici e mezza di sera e che avrei voluto dormire in pace, ma quella non faceva che chiamare, ho pensato che non sarebbe stato un problema rispondere, né dirle di si. Non credo che tu abbia poi molti impegni. Ti farebbe bene vedere un po’ di gente.- le disse con quel tono di scherno che la mandava in bestia.
Viola chiuse gli occhi sforzandosi di contenere il suo istinto omicida.
- Che c’è? Il pensiero di stare in mezzo alla gente ti ha mandato in tilt?- la prese in giro malignamente.
- Tu! Non sai nemmeno quello che hai fatto. Non posso tornare nella mia città, non voglio. Avevo intenzione di rifiutare, maledizione. Dovrò chiamare e fare la figura della stupida.- disse affranta, sedendosi di nuovo con le mani tra i capelli.
- Ahm.. Ecco, credo che adesso sarai ancora più arrabbiata. Mi ha detto che avrebbe avuto un convegno di non so cosa fino a sabato, non avrebbe potuto rispondere al telefono.- il suo viso adesso era decisamente più divertito.
Ancora una volta lui le sorrise con quel ghigno malefico. Era un sadico. Un mostro. L’aveva cacciata in un guaio enorme. Cosa poteva fare ora? Semplicemente non presentarsi? Avrebbe fatto decisamente la figura della stupida immatura. Aveva intenzione di inventare un viaggio di lavoro, ma se lui aveva già confermato… sentì il desiderio di urlare. Di urlare e di uccidere a mani nude Ben Stolfi.
- Ti ringrazio, se hai finito vorrei che te ne andassi e che non ti facessi vedere per almeno due o tre secoli.
- Uhm. Credo di si.. Anzi no! La donna deve avere uno spiccato senso dell’umorismo perché quando ho risposto deve avermi scambiato per il tuo fidanzato e mi ha chiesto di partecipare. Le ho detto di si.
Era troppo, lei si alzò e lo guardò con sguardo omicida.
- Cosa?- urlò, ormai fuori di sé.
- Non ho intenzione di venire con te, tranquilla, non sono così masochista, ma sono certo che, visto il tuo carattere dolce e amorevole, avrai di sicuro un ragazzo da portare con te.- aggiunse malevolo.
- Fuori!- gli gridò saltando in piedi.
Lui preferì non sfidare ancora la sorte, aveva rischiato la pelle anche troppo per quel giorno e si eclissò.
Svuotata, Viola si accasciò di nuovo sulla sedia, nascondendosi il viso con le mani.
Maledizione! Perché tutte a lei?
Non solo quell’idiota aveva confermato, ma aveva detto che sarebbe andata con un fidanzato. Dove lo avrebbe beccato uno disposto ad accompagnarla, adesso?
Un senso di panico la invase, ma si scosse subito.
“ Basta Viola! Una soluzione si troverà. Sei una donna e non una ragazzina ormai. Andrai a testa alta. Non hai nessun motivo per farti prendere dall’ansia.”
Ma nonostante cercasse di rassicurarsi sapeva che era troppo per lei. Troppo affrontare tutto quello da sola. Se fosse stata davvero fidanzata o se solo fosse stata certa di aver superato tutto allora non si sarebbe sentita così sperduta. Tremava al pensiero di vedere tutti, di vedere i loro sguardi carichi di compassione e derisione. Viola, la ragazza presa in giro dalla migliore amica che le aveva soffiato l’amato e che a distanza di anni era ancora sola. Ancora, come allora, nessuno se la filava.
Sapeva che lo avrebbero pensato e lo pensava anche lei. Non era cambiato nulla da allora. Si sentiva ancora tradita e disperatamente sola. Con la differenza che almeno a quel tempo era una ragazzina immatura adesso era una donna, una donna che nessuno voleva.
Non si sentiva particolarmente bella ma nemmeno particolarmente brutta. In passato era stata un fagotto, ma con il tempo aveva preso a curare maggiormente il suo aspetto diventando longilinea.
Era piuttosto alta con una massa di capelli ricci castani, gli occhi a mandorla verdi e una figura slanciata, sebbene avesse un filo di pancetta che non riusciva a debellare in nessun modo.
Sicuramente tutti l’avrebbero trovata cambiata in positivo, esteticamente. Era internamente che si sentiva brutta. Brutta e vuota.
Era diventata troppo acida e disillusa. Non si aspettava molto dalla gente e con tutti, tranne che con le amiche, era fredda e scostante. Non permetteva a nessun uomo di avvicinarsi tanto, per non innamorarsi. Aveva qualche rara avventura e le bastava, o almeno fingeva che le bastasse. I rappresentanti del sesso opposto la trovavano eccitante, ma mai interessante al punto di voler restare il mattino dopo. Tutti volevano solo qualche ora con lei e sebbene lei non fosse una sciupa uomini, ogni tanto qualche avventura se la concedeva. Nessuna relazione stabile dunque, nessun uomo che la potesse accompagnare per salvarle la faccia.
Doveva andarci e cosa ancora più grave, doveva farlo da sola.
Perse tutto l’interesse per il manoscritto e quando la direttrice entrò nella sua stanza, per chiederle il lavoro, lei dovette dirle che non era ancora pronto e sorbirsi una lavata di capo. Era la prima che riceveva e si sentì umiliata. Il suo lavoro era l’unica cosa che sapeva di far bene. Aveva fatto tanto per ottenere quel posto, aveva studiato come una pazza per laurearsi in tempo e con il massimo dei voti.
Rimase fino a tardi per completare il lavoro e quando ebbe stampato la recensione che sarebbe stata inserita nel retro del libro prese il foglio e lo portò nella stanza della direttrice. Naturalmente lei era andata via da diverse ore ormai. Lo sistemò in bella vista sulla scrivania in modo che lei lo vedesse al mattino, appena arrivata.
Raccolse le sue cose e ancora zoppicando uscì dall’ufficio. Fortunatamente quella sera non pioveva, il cielo era ancora chiaro e la temperatura era gradevole. Camminò lentamente verso la metro, pensando al terribile week end che l’aspettava.
Avrebbe dovuto chiamare la madre e dirle che sarebbe tornata in città sabato mattina. Poteva stare poco con la famiglia visto che le giornate di sabato e domenica erano interamente organizzate. Forse sarebbe stato meglio chiedere anche una giornata di permesso per lunedì in modo da rientrare con calma e da avere il tempo di riprendersi dai quei due giorni che l’avrebbero certamente distrutta.
Era convinta che la sua corazza fosse abbastanza resistente ed invece era crollata sotto la spinta di un venticello, adesso sarebbe stata totalmente esposta all’uragano che si stava avvicinando.
La stazione della metro era affollata e salire sul treno fu un impresa, così come scendere alla sua fermata. Forse avrebbe dovuto accettare l’offerta dei suoi di farsi regalare un’auto ma lei aveva giurato a sé stessa di sostenersi con le sue sole risorse. Le ritornarono in mente le parole di Ben. Aveva vissuto, sì, negli agi da bambina, ma non si sentiva una snob, non aveva mai considerato la gente per i suoi soldi. Non si era mai nemmeno soffermato a pensare se chi le stava intorno potesse essere ricco o no.
Lui non sapeva niente di lei, ma d’altronde che importanza aveva? Non dovevano diventare amici. Si detestavano e le cose che lui avevano detto a Carla ne erano la prova. Lui doveva aver intuito che il motivo del suo nervosismo era imputabile a quell’appuntamento per sabato e aveva fatto di tutto per complicarle la vita.
Nuovamente si sentì infliggere dalla tristezza che l’aveva perseguitata la sera prima, ma si rifiutò di lasciarsi andare ai piagnistei.
Era una donna forte.
Okay, la sua corazza era caduta ma ne avrebbe costruito un’altra, più resistente. Non avrebbe permesso a nessuno di farla soffrire ancora, né a Paolo e Marta, né al resto dei suoi vecchi compagni, né a Ben.
Doveva ignorare totalmente il collega, sapeva che lui voleva solo irritarla e fargliela pagare per il modo brusco in cui si era comportata, ma se pensava che lei ci cascasse ancora si sbagliava di grosso. Era pronta a rindossare la sua maschera di donna controllata e senza emozioni, niente l’avrebbe più turbata.
Con quei pensieri lei aveva raggiunto il suo palazzo e stava per entrare quando si sentì chiamare. Era Ben.
Troppo stupita per ricordarsi di quello che aveva appena stabilito lo aggredì.
- Si può sapere che diavolo ci fai qui, adesso?
- Devo dire che l’accoglienza è sempre il tuo forte, come fai a sentire a proprio agio gli ospiti tu non ci riesce nessun altro. Davvero complimenti.- le disse ironico.
- Senti, ora hai…
- Fammi parlare, prima che me ne passi la voglia. Mi sono reso conto di avere esagerato oggi e sono venuto per dirti che mi dispiace.- sembrava sincero.
- Vuoi dire che non hai detto quelle cose a Carla?- gli chiese in tono speranzoso.
- Beh non proprio, vuol dire che mi dispiace avergliele dette, non dovevo farmi i fatti tuoi, dovevo spegnere il cellulare e basta, ma un diavoletto mi ha spinto a farti un dispetto. Mi avevi fatto veramente infuriare.- disse con un sorrisetto.
Non era cambiato niente. Per un momento aveva sperato che potesse esserci una via d’uscita e invece niente.
- Capisco. Ormai è andata. Farò in qualche modo… credo!- disse in tono incerto distogliendo lo sguardo dal suo e abbassandolo sulle sue mani che si stringevano convulsamente.
- E’ così grave? Non saltare alle conclusioni sbagliate, non mi sto facendo ancora gli affari tuoi, voglio sapere solo se l’ho fatta grossa.
- Beh è una rimpatriata con i compagni di liceo ma…
- Allora non può essere così terribile! - disse in tono leggero.- Io mi diverto sempre come un matto in quelle occasioni.
- Tu dici? Ormai è andata Ben, è vero, non dovevi farti gli affari miei ma io non dovevo prendermela con te per cose in cui tu non c’entravi, anche se sei bravissimo a farmi perdere le staffe e a travisare tutto.
- Perché non ci sediamo al bar e ne parliamo con calma? Mi è venuta una certa fame.
Lei rimase in dubbio per qualche momento ma poi decise di accettare, in fin dei conti che male c’era? Stavano parlando come due persone civili, finalmente.
Lo seguì all’interno del bar che si trovava proprio di fronte e a casa sua, si sistemarono in un tavolo d’angolo e ordinarono dei panini e qualcosa da bere.
- Dicevamo?-le chiese lui mentre aspettavano le ordinazioni.
- Che sei bravo a farmi perdere le staffe.
- Anche tu sei brava a farle perdere a me. - replicò lui.
- Urrà abbiamo in comune qualcosa!- disse lei sarcastica.
- Non abbiamo solo questo in comune.
- E che altro?
- Diverse cose in realtà, per prima cosa, visto il lavoro che facciamo, amiamo leggere e anche scrivere. Poi siamo testardi e abbiamo una buona dose di sarcasmo. Non mi sembra poco.
- Neanche molto.- replicò, scrollando le spalle.
- Visto che praticamente non ci conosciamo è tanto invece, chissà quanto altro c’è ancora.- le disse quasi sussurrando.
Viola rimase a guardarlo per qualche secondo, interdetta.
- Cioè scusami, ci stai provando?- gli chiese improvvisamente lei.
- Che? No è inutile, sei pazza! -disse ridendo.
Voleva dire di no? Non ci stava provando? E perché rideva? Era talmente assurdo che uno come lui potesse provarci con una come lei?
In quel momento arrivarono le loro ordinazioni.
Lui divorò il suo panino restando in silenzio, ogni tanto la guardava ma sembrava che volesse evitarla. Era offeso per quella stupida domanda?
- Stavo scherzando guarda… non intendevo… cioè non credevo che tu ci stessi provando davvero.
- No?- le chiese guardandola, finalmente. - Perché non vuoi andare alla rimpatriata con i tuoi compagni?- le chiese poi a bruciapelo, cambiando abilmente discorso.
A Viola era quasi passato di mente e il pensiero le bloccò completamente la fame. Appoggiò il panino quasi intatto sul vassoio e si tirò indietro, appoggiandosi allo schienale rigido della sedia.
Che dire? La storia era lunga ed era sicura che lui non potesse capire, aveva un’aria così determinata, sembrava così sicuro di sé stesso. Certamente nessuna donna lo aveva mai respinto. Cosa poteva saperne di cosa si provava a sentirsi umiliati e sconfitti? No, non avrebbe certamente capito.
Voltò lo sguardo da un’altra parte per non dargli a vedere quanto la cosa la turbasse e fece un cenno con un mano, come per scacciare una mosca fastidiosa.
- Non è così importante. E’ solo che non andavamo molto d’accordo.
Incrociò le braccia e iniziò a studiare attentamente un poster sbiadito, appeso alla parete a fianco.
Lui non replicò subito. Aveva notato ancora una volta il luccichio addolorato dei suoi occhi e voleva saperne di più. Cosa poteva esserci di così terribile?
- Beh forse parlarne ti aiuterebbe…- le disse piegandosi in avanti e cercando il suo sguardo.
Lei si ostinò a studiare la vecchia immagine di un giovane con le rasta e una chitarra.
Non intendeva parlarne. Certamente non con lui. Se le sue amiche fossero state nei paraggi allora ne avrebbe parlato con loro, ma Ben era escluso, praticamente non lo conosceva.
- Ne ho parlato anche troppo, le mie amiche ormai ne sono stufe.
- Un parere maschile magari potrebbe servire.
Stava diventando davvero insistente, si voltò a guardarlo con le braccia incrociate e il viso imbronciato. Possibile che non sapesse cosa fosse la discrezione? Era palese che non desiderava parlarne! Cosa doveva fare? Appendere i manifesti? Mandare messaggi di fumo?
- Uhm, non credo. Ma perché ti interessa tanto? Sei a caccia di particolari piccanti da usare contro di me in futuro?- gli chiese sulla difensiva, ma se ne pentì subito immaginando e azzeccando subito la sua replica.
- Uh uh! Questo vuol dire che ce ne sono!- disse sorridendo e ammiccando.
- Non ho detto questo. E’ solo che…ma perché devi sempre fraintendere tutto?- era davvero esasperata. Non sapeva mai come comportarsi con lui.
- Non entrare nel pallone, Viola! Stavo scherzando! Ogni volta che tocchiamo l’argomento diventi schizzata. Ok schizzata lo sei sempre, ma diciamo più del solito. Volevo solo sapere se c’era un modo per risolvere la cosa. Tutto qui. Davvero.- allungò la mano verso la sua, la sfiorò e la ritrasse. Quel semplice gesto la sconvolse. Non era niente di speciale, l’aveva fatto d’istinto per enfatizzare le sue parole, ma in qualche modo la stupì. Forse non era lo stupido presuntuoso che sembrava.
Sospirò e lo guardò negli occhi.
- Fino a ieri, prima del messaggio, pensavo che fosse tutto chiuso. Insomma ho il lavoro che ho sempre voluto, sono all’inizio ok, ma sono brava e so che ce la farò a fare carriera…
- Modesta…- la prese in giro lui, sorridendo.
- Io sono molto modesta per tutto tranne che per il mio lavoro. In quello so di non averne bisogno. Sono dannatamente brava e tu lo sai. Dicevo: non pensavo più a quel periodo della mia vita. Ma il messaggio di Carla, il pensiero di rivedere “tutti” mi ha turbato. Non me la sentivo di affrontarli. Le ferite che credevo ormai rimarginate da anni si sono riaperte e fanno male.
Non gli aveva detto molto ma comunque si era esposta troppo per i suoi gusti. Adesso lui l’avrebbe presa per una pazza paranoica. Ma rimase stupita.
- Lo capisco. Deve esserci qualcosa, ma io penso piuttosto qualcuno, che ti ha fatto del male e non vorresti rivedere la tua classe per non rivivere quella sofferenza ma il mio “intervento” te l’ha impedito.- disse in tono neutro.
- Precisamente. Non avevo intenzione di andarci ma adesso non posso più tirarmi indietro. Devo andarci e portare un “ fidanzato”…
- E non ce l’hai?- le chiese incuriosito.
- No!
- Uhm mi chiedo come mai…- le disse ridendo.
Lei non se la prese, non era stato un commento cattivo, l’aveva fatto apposta per farla ridere e il modo in cui iniziasse a sentirsi a suo agio la stupì. Non ci era abituata. Con gli uomini di solito era tesa, non riusciva ad essere sé stessa.
- Stupido.- disse unendosi alla sua risata e lanciandogli un tovagliolino appallottolato.
Lui rimase a guardarla per qualche secondo, con uno sguardo pensieroso, poi si chinò verso di lei con uno strano sorriso.
- Questa sera mi sento molto gentile e visto che ho combinato io il danno ti propongo un affare.
- Che affare?
- Io risolvo il tuo problema e tu… e tu, diciamo che mi porterai il caffè tutte le mattine per due settimane, voglio anche essere generoso. Non il caffè della macchinetta, del bar ovviamente: lungo, macchiato e senza zucchero.
- E come hai intenzione di rimediare al danno che hai fatto? Facendo chiudere l’Hotel in cui si riuniranno? Rapendo tutti i partecipanti? - gli chiese scettica.
- No, non proprio, ho in mente di qualcosa di più semplice ma più efficace: verrò con te e mi sacrificherò facendo la parte del tuo fidanzato!- disse sorridendo soddisfatto come se avesse annunciato di aver trovato la cura per una gravissima malattia.
- Tu sei matto! Invece di sistemare le cose finiremmo per aggravarle. Non siamo credibili come fidanzati, ci scanneremmo ogni tre secondi!- protestò lei. Era sicura che da quel cervello bacato non potesse uscire niente di buono.
- Sono bravo a recitare! Ho fatto teatro durante il liceo e l’università, ho vinto anche qualche premio.
- Naa! Non può funzionare!- si alzò e lo guardò torva.
Lui lasciò i soldi sul tavolo e la seguì fuori.
- Perché no? Che hai da perdere? Devi andarci comunque e presentandoti con un fidanzato, soprattutto se bello ed intelligente come me, faresti sicuramente un figurone e faresti credere al tipo di cui sei innamorata di averlo dimenticato.
Lei stava attraversando la strada quando quelle parole la bloccarono. Si voltò verso di lui di botto, proprio in mezzo alla corsia. Sentì un clacson troppo vicino e una mano la trascinò indietro.
- Stupida! Devi fermarti proprio in mezzo alla strada?- le urlò l’automobilista passandole accanto.
Si era a malapena resa conto di aver rischiato il secondo investimento in due giorni, ma era pienamente consapevole di essere tra le braccia di Ben. Un polso stretto tra le sue dita, un braccio muscoloso che le circondava la vita e la teneva vicina, troppo vicina, al suo corpo possente.
Gli occhi nei suoi occhi.
Un ondata di calore la invase e si divincolò salendo sul marciapiedi, il respiro affannato.
- Che diavolo fai???- urlò, evitando di guardarlo per non fargli vedere le sue guance arrossate.
- Ti salvo la vita? -Suggerì lui- Credo che tu ambisca a morire spiaccicata sull’asfalto.
- Oh sta’ zitto! E poi che ne sai che non voglio andare alla rimpatriata con i miei compagni a causa di un uomo?
- Perché non è così? - le chiese
- No! Cioè… non proprio. Oh è così complicato.
- Ho un cervello molto recettivo sai?- la prese giro dandole un colpetto sulla spalla.
- Ma và? Non l’avrei mai detto!- ci pesò un attimo su, poi decise di dirlo. Ormai il danno era fatto.-  Va bene, hai ragione. E’ per un uomo. La mia migliore amica si è messa con il ragazzo di cui ero innamorata, io l’ho saputo per sbaglio quando lei è rimasta incinta. Ora sono sposati e Marco ha cinque anni. - disse tutto d’un fiato per poi abbassare lo sguardo sulle sue scarpe.
Ben la guardò per qualche secondo, cercando le parole.
- Però! Niente male. Mi dispiace, Viola.
Ancora una volta il suo tono le parve sincero, come se non bastasse si avvicinò a toccarle una mano.
Non stava ridendo. Non la prendeva in giro.
- E’ passato. O almeno lo credevo. - disse lei scrollando le spalle.
- Vorrei davvero che tu accettassi la mia proposta, sono stato io a metterti nei guai e vorrei aiutarti.
- Non lo so Ben. Dammi tempo per pensarci.
- E solo martedì e l’appuntamento è per sabato sera, c’è tanto tempo. Me lo farai sapere in ufficio. Adesso vado, si è fatto veramente tardi.
- Buonanotte e…Ben? Grazie.- lei aprì il portone ed entrò.
- Buonanotte.- si limitò a replicare lui.



 

 

Salve a tutti!!!!!!!

devo dire che la storia non sta avendo il successo che speravo. Ma comunque ho fiducia: la storia mi piace e prima o poi conquisterà anche voi! Fatemi sapere che ne pensate. Inserisco le foto degli abiti che indossava Viola. Giusto per farci un po' gli occhi. :)

 


Image and video hosting by TinyPic

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Gelosia? ***


 

Image and video hosting by TinyPic

 

CAPITOLO IV: Gelosia?

“Il miglior futuro è basato sul passato dimenticato, non puoi andare bene nella vita prima di lasciare andare i tuoi fallimenti passati e i tuoi dolori”.

Si era svegliata con quella frase di Martin Luther King in testa. Non ci pensava da anni, ma adesso ricordava quando l’aveva sentita, anni prima, al liceo. In tempi ancora non sospetti quella frase l’aveva colpita tanto da scriverla ovunque. Sui diari, sul muro della sua stanzetta, sul cellulare, su face book. Non sapeva ancora che quella sarebbe diventato il punto fermo della sua vita.
Con la storia di Paolo e Marta ancora in testa non poteva certo andare molto avanti nella sua vita privata. Non avrebbe mai potuto fidarsi di un uomo, non avrebbe permesso a nessuno  di avvicinarsi troppo e non si riferiva solo ai rappresentanti del sesso opposto, ma anche alle sue amiche.
Le adorava senza dubbio, ma nei loro confronti sentiva un freno. Come qualcosa che le impediva di stabilire con loro un rapporto troppo stretto. Temeva di soffrire ancora. La prova stava nel fatto che non aveva mai voluto presentare  gli uomini con cui si era vista, molto rari a dir la verità, ad Arianna, Melissa e Bianca.
- Sono una complessata!- esclamò a voce alta, premendosi il cuscino sulla faccia.
Le era rimasta come una cicatrice ma l’avrebbe debellata. Era ora di vivere.
Nel weekend avrebbe affrontato le sue paure, si sarebbe fatta forza e sarebbe andata avanti, davvero. Non sapeva ancora se accettare o meno la proposta di Ben, ma come le aveva detto lui c’era tempo.
Tutto sarebbe andato bene.
Rinfrancata da quella prospettiva si alzò ballando e cantando, si fece la doccia e uscì, di buon umore.
Tutto sembrava filare liscio, la caviglia non le faceva per niente male, il sole splendeva e faceva quasi caldo. Lei adorava il caldo.
Si recò alla stazione della metro, stranamente non era affollata.
A voler essere precisi… era deserta!
C’era qualcosa che non andava, si avvicinò al botteghino e vide un foglio A4 appeso al vetro. CHIUSO PER SCIOPERO.
-  Cavolo! E’ vero, oggi è 5 giugno, ne parlano da giorni. Stupida, stupida testa vuota! E ora?- improvvisamente tutto il buon umore minacciò di andarsi a fare benedire. Ma si rifiutò di cedere. C’erano pur sempre i taxi, no?
Uscì dalla stazione e cercò di fermarne qualcuno, ma tutti erano immancabilmente pieni e sfrecciavano via senza nemmeno rallentare. Provò a chiamare il numero dei taxi ma la voce melodiosa, registrata, la invitava ad aspettare propinandole poi una musichetta di Vivaldi.
Era in attesa da così tanto tempo che ormai conosceva ogni singola nota ed era pronta a giurare che avrebbe potuto suonarla anche con la batteria.
Il suo buon umore fece silenziosamente le valige e si dileguò, deciso a non ritornare mai più.
La linea cadde e gettò il blackberry nella borsa,guardandosi le scarpe.
Quel giorno era vestita in total Guess, se c’era una cosa che amava e a cui purtroppo non poteva rinunciare erano i vestiti e gli accessori. Una passione fin troppo costosa, sebbene non avesse solo vestiti di marca ma spesso comprava anche nei mercatini. L’unico problema era che comprava..molto.
Continuò a fissarsi le scarpe, erano bellissime, ma sicuramente non il massimo per camminare. Ma ormai non poteva cambiarsi. Decise di incamminarsi verso l’ufficio. Era lontano, troppo lontano, ma poteva sempre provare a chiamare i taxi sperando che qualcuno si liberasse. Non aveva altra scelta.
Era in marcia da mezzora e la musichetta di Vivaldi non cessava. Maledicendo tutti i taxi e tutta la musica classica che di solito non le dispiaceva, fece per attraversare la strada ma per la terza volta in tre giorni rischiò di finire sotto una macchina.
E ancora una volta era Ben.
“ No, non era possibile! Di nuovo!”
Lui la guardò stralunato, attraverso il parabrezza. Poi le fece segno di salire mentre i clacson inferociti iniziavano a farsi sentire. Lei salì velocemente sbattendosi dietro lo sportello.
- Va bene che non c’è due senza tre ma ora stai proprio esagerando.- la accolse lui.
- E tu corri sempre come un matto!
- Come no! Dovresti fare un controllo alla vista, oppure hai tendenze suicide? Ma dove stai andando a piedi?- le chiese poi.
- A lavoro! C’è sciopero dei mezzi e i taxi sono tutti occupati.
- Allora sono una manna dal cielo.- la prese in giro.
- Una manna che rischia di uccidermi.- gli disse sarcastica.
- Ma che alla fine ti salva sempre! - scrollò le sue bellissime spalle.-Dovresti comprarti un’auto.
- Non me la posso permettere.
- Davvero? Non mi sembra che te la passi poi male.
- Giusto per chiarire questo punto: sono i miei genitori ad essere ricchi. Io vivo del mio stipendio che guarda caso è uguale al tuo, o almeno dovrebbe.-  aggiunse poi mordendosi la lingua.
- Perché questa allusione? - la guardò stupito.- Ahhhh! Adesso capisco.- frenò di botto e un uomo sullo scooter li superò suonando e facendo gestacci.
- Adesso stai proprio esagerando, ragazzina. Il mio stipendio è uguale al tuo! Non faccio nessuno “ straordinario” con il capo per avere degli extra! Che sia chiaro! E se ti azzardi a dirlo un’altra volta giuro che ti lascio a piedi!- diede una manata sul volante e ripartì.
Viola lo guardò in silenzio. Tutta la complicità della sera prima era sparita, era di nuovo due estranei, anzi due nemici.
E la colpa era solo sua, non riusciva mai a stare zitta.
Sospirò e si concentrò sulla strada, lui andava davvero veloce adesso, non voleva che il prezzo per averlo fatto innervosire fosse l’osso del collo rotto. Si aggrappò alla maniglia decisa a non lamentarsi, ma lui dovette accorgersi del suo terrore perché rallentò e la guardò scuotendo la testa.
- Mi manderai al manicomio.- le disse.
Lei non commentò e continuò a guardarsi intorno. Arrivati  all’ufficio lui parcheggiò e salirono la rampa di scale in silenzio.
- Allora grazie per il passaggio e scusa per…- gli disse entrando nella sua stanza, ma lui la interruppe
- Non scusarti, non sei sincera! E’ la seconda volta che lo dici, quindi lo pensi. Quando e se capirai che non è vero allora mi farai le tue scuse.Adesso non le accetto.
Senza aggiungere altro si voltò ed entrò nella sua stanza che era appena più avanti della sua, sbattendole praticamente la porta in faccia.
La giornata trascorreva lenta. Sistemò delle pratiche e corresse delle bozze, durante la pausa si collegò ad internet e videochiamò le sue amiche, sperando di trovarle.
Aveva quasi perso le speranze quando vide il bel volto di Arianna.
- Tesoro ciao! Non sai quanto ci manchi! Ci hai beccato per caso! A te come va? Sei a lavoro? Ti senti sola?- la accolse cominciando a parlare a raffica.
- Ehi frena, frena!- disse lei ridendo. - Si sono a lavoro e sento terribilmente la vostra mancanza. Ma dove sono le altre?
- Aspetto che le chiamo! Bià! Melì! C’è Viò in linea!!!
Lei sorrise, quanto le mancavano!
Arianna era una pazza, urlava e abbreviava tutti i nomi, sembrava una forza della natura,ma dentro di sé aveva un animo quasi insicuro.
Bianca era più riservata, timida e studiosa.
Melissa era uno spasso. Riusciva sempre a farla ridere. In qualsiasi situazione, anche nelle più terribili.
Le erano di vitale importanza, senza di loro sarebbe certamente impazzita.
Bianca doveva essere appena uscita dalla doccia perché aveva una asciugamano a mo’ di turbante avvolto sulla testa, Melissa invece aveva una felpa larghissima e lo sguardo ancora addormentato.
Tutte iniziarono a parlare contemporaneamente e a ridere. Si stavano divertendo molto in Inghilterra e le raccontarono molti particolari strappandole la promessa che sarebbe andata a trovarle appena avesse avuto un po’ di tempo.
- Uhm.. Avete sentito Carla vero?- chiese infine.
- Si, ci ha mandato un sms ma le abbiamo fatto sapere che siamo qui. Tu non andrai nemmeno, immagino.- disse Bianca.
- Ehm.. Non lo so ancora.- disse incerta.
- Così ti voglio, vuol dire che finalmente l’hai superata.- urlò Arianna.
- Ti sbagli, purtroppo. Da quando ho ricevuto quel messaggio sono entrata in crisi. Ho realizzato che non mi è affatto passata.
- Quindi?- intervenne Melissa.
Brevemente le raccontò tutta la vicenda, del cellulare dimenticato, della conferma di Ben e della sua proposta di accompagnarla per rimediare.
Quando finì vide le sue  amiche che la guardavano con la faccia  tra le mani e lo sguardo perso.
- Ohhh che romantico questo Ben!- fece Bianca sospirando.
- Cioè avete sentito??? Devo andare là, davanti a loro, con uno che mi detesta e che detesto e che di sicuro finirà per inguaiarmi ancora di più. Per non parlare del fatto che tremo al pensiero di vederli, loro due e.. e il bambino!- si nascose il volto tra le mani e sospirò.
Le amiche rimasero in silenzio per un po’ poi cercarono di consolarla.
Quanto avrebbe dato per averle vicine. Ma non si poteva. Doveva farcela da sola. Aveva contato su di loro anche troppo, opprimendole a volte con quella storia, ma loro non si erano mai lamentate, sempre pronte a capire, ad ascoltare e a darla consigli, ma questa volta loro erano lontane, poteva parlargliene ma avevano molti impegni, troppe cose da fare.
- Vi farò sicuramente sapere cosa deciderò. Adesso torniamo a voi…
Rimasero online ancora un po’.
Al momento di andare tutte e tre le consigliarono di accettare la proposta di Ben. Doveva andarci e mostrarsi superiore. Poteva farcela.
Finita la conversazione si dedicò ancora al lavoro, sforzandosi di non pensare a niente, non voleva  sorbirsi un’altra lavata di capo dalla direttrice.
Alle cinque sentì un colpo alla porta.
- Avanti!
- Sto andando via! Se vuoi un passaggio faresti meglio a sbrigarti, devo essere a casa presto. Ho un appuntamento stasera.- le disse sbrigativo, per poi uscire e lasciarla sola, sbalordita.
Sbuffò e prese le sue cose. Era tentata di rifiutare. Che modi erano? Ma poi si ricordò dello sciopero. I taxi poi a quell’ora dovevano essere di nuovo tutti occupati. Doveva accettare se non voleva farsi tutta quella strada a piedi. Lo raggiunse nell’atrio e lo superò, fino ad andarsi a parare davanti allo sportello aspettando che lui facesse scattare la chiusura automatica.
In macchina non si rivolsero la parola fino a quando non arrivarono sotto casa sua.
- Grazie, per il passaggio. Te ne sarò eternamente grata.- gli disse ironica, scendendo.
- Per così poco, mia cara. Sono al tuo servizio.- ribatté con lo stesso tono.
- A proposito di questo. Ho deciso di accettare la tua proposta per sabato.- disse senza riflettere, si sentiva infastidita e non sapeva perché, sentiva che non era solo per la sufficienza con cui l’aveva trattata prima. Doveva esserci dell’altro.
- Sei sicura?
Lei non ci aveva pensato poi molto, ma alla fine non aveva senso perderci il sonno. Sarebbero andati e basta.
- No, ma va bene comunque. Sempre se non hai altri impegni.- disse poi acida.
Ecco il suo problema! Cioè. Era gelosa. Era gelosa perché lui aveva detto di avere un appuntamento. Si diede della stupida e della pazza.
Era ancora in crisi per Paolo ed era gelosa di Ben? Come poteva essere possibile?
- Allora è deciso. Adesso scusami ma rischio davvero di far tardi.- disse guardando l’orologio.
- Oh non sia mai!- scese dall’auto e sbatté lo sportello. Arrabbiata con lui e con sé stessa. Stava perdendo l’uso della ragione!


 

Vestiti Viola

 

Image and video hosting by TinyPic

Arianna

Image and video hosting by TinyPic

 

Bianca

Image and video hosting by TinyPic

 

Melissa

Image and video hosting by TinyPic

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Sbalzi d'umore ***


Image and video hosting by TinyPic

CAPITOLO V:  Sbalzi d’umore!

Era venerdì ed era arrivata in ufficio nervosa. Quella mattina aveva deciso di iniziare a fare la valigia, ma si era accorta che niente di quello che possedeva le piaceva, tanto per cambiare.
Lo shopping era la sua passione e nelle situazioni di stress la sua mania di comprare diventava un vero e proprio bisogno fisiologico.
La rata del mutuo per quel mese era stata pagata, le bollette anche, forse qualche piccola pazzia poteva anche farla.
Nella pausa decise di uscire, solo per guardare le vetrine, si disse, ma inevitabilmente non riuscì a resistere e iniziò a provarsi tutto quello che le piaceva.
Naturalmente finì per comprare tutto e ritornò in ufficio carica di pacchi e di pacchetti, sentendosi molto meglio ma molto, molto più leggera economicamente. Aveva fatto fuori quasi tutti i suoi risparmi. Ma si impose di non pensarci. In quella occasione doveva dare il meglio di sé, non poteva fare cattive figure.
Stava salendo le scale dell’ufficio quando le sfuggì una busta e iniziò a ruzzolare giù. Tornò indietro per afferrarla ma gliene sfuggì un’altra. Stava impazzendo per cercare di acciuffare tutte le buste quando sentì qualcuno ridere.
- E’ divertente?- chiese arrabbiata. Si voltò e vide Ben.- Dovevo immaginarlo che fossi tu!
- Si devo dire che è molto divertente. Dovresti vederti. Tutta elegante e curata a cercare di acciuffare tutte queste buste. Avevo ragione quando dicevo che non te la passi male.
- E’ un’eccezione questa. E’ per il viaggio di domani.  Non avevo nulla di adatto.
- Si immagino.- disse brusco. Le tolse le buste dalle mani e iniziò a salire. Quando lei arrivò nella sua stanza lui aveva già depositato tutto sulla scrivania e stava per uscire. Lo bloccò sulla porta.
- Ma si può sapere che hai? Prima ridi, poi ti arrabbi e scappi come una furia!
- Non ho nulla! Adesso lasciami andare, ho molto da fare, devo pure tornare a casa presto per scegliere con cura cosa mettere in valigia. Non posso certo farti sfigurare.- le disse ironico.- Ci vediamo domattina come stabilito.
La scansò ed uscì. Più tempo passava meno lo capiva. Un attimo era gentile e quello dopo antipatico.
“Vai a capirli gli uomini.”- pensò sospirando e scuotendo la testa.
 A casa sistemò con cura gli abiti in valigia e andò a letto.
La aspettavano due giorni di fuoco. Sarebbero partiti l’indomani presto con l’auto di Ben, visto che lei non ne possedeva una e sarebbero arrivati a casa dei suoi per pranzo. Avrebbero passato il pomeriggio con la sua famiglia e poi sarebbero andati alla rimpatriata. Pregò di avere la forza di affrontare tutto e tutti.
C’era un’altra cosa che la preoccupava: doveva mentire alla sua famiglia.
Non aveva portato mai un ragazzo a casa ed era normale che vedendo Ben avrebbero fatto due più due. Sbagliando. Non c’era niente tra lei e Ben.
Okay, qualche giorno prima aveva avvertito un po’ di gelosia ma non era stato niente, lo invidiava perché lui aveva una vita sociale e lei no. Tutti qui, no?
Si voltò dall’altro lato cercando di dormire, ma i fantasmi del passato che purtroppo presto sarebbero diventati reali tornarono a tormentarla e finì per chiudere gli occhi all’alba.

 

 

Capitolo molto più corto dei precedenti. Nel prossimo Ben e Viola partiranno per la rimpatriata.

aspetto con ansia i vostri commenti, ringrazio tutti quelli che hanno aggiunto la storia alle preferite e alle seguite e ovviamente anche chi ha commentato questi quattro primi capitoli. spero che sarete ancora di più e che la storia vi appassioni.

Aggiungo al solito i vestiti di Viola. A presto. Manymany

 

VESTITI VIOLA:

 

 

Image and video hosting by TinyPic



 


Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Si parte! ***


Salve a tutti!!! Ecco qui un altro capitolo, so che sono un poco incostante nella pubblicazione ma ho avuto vari problemi quindi non so darvi un’indicazione su quando pubblicherò. Vedo che la storia pian piano viene letta di più anche se i commenti si fanno desiderare. Mi scuso per non aver risposto alle recensioni fino ad ora ma ho pubblicato sempre un po’ di corsa. Quindi ringrazio tutti quelli che hanno recensito. In particolar modo Dolcissima77 Chicca923 e PolvereDiLuna. Grazie per l’incoraggiamento, sono contenta che la storia vi piaccia *.* Ah voglio dire a Dolcissima77 che si i vestiti a mio parere sono molto belli..io ho preso le foto su internet di alcuni c’è anche la marca di altri no…credo che si si possano comprare ma non o dirti un negozio preciso. Spero che leggerete anche questo capitolo. Se volete commentare sappiate che ne sarei felicissima, anche qualche suggerimento sarebbe ben accetto, la storia non è ancora ben definita, ho solo qualche linea tracciata in mente ma di solito scrivo di getto senza pensarci molto. Ringrazio anche chi non commenta e chi ha aggiunto la storia tra le preferite e le seguite. Credo di aver capito che tra i lettori si nasconde anche una persona che scrive qui su efp e che ammiro molto…credo che tu abbia capito…ti ringrazio per l’attenzione, ripetendo che le mie cosucce sicuramente non sono all’altezza delle tue Storie… Un bacione a tutti Manymany

 



Image and video hosting by TinyPic   CAPITOLO VI:   Si parte!!!

Dliiin Dliiiin.
Ma cos’era quel rumore infernale? Si avviluppò ancora nelle lenzuola cercando di tapparsi le orecchie. Non si voleva svegliare. Era troppo bello quello che stava sognando.
Un immenso prato fiorito, di un verde abbagliante, fiori da tutte le parti, quella sensazione di pace e di benessere, poi quel dliiinn dliiin si era intrufolata nel sogno annerendo i colori fino a svegliarla. Srotolò il braccio da quella morsa in cui si era avvolta e schiacciò il pulsante della sveglia. Socchiuse gli occhi, decidendo di concedersi altri cinque minuti di riposo prima di iniziare la giornata di lavoro. Ma un campanello, questa volta nella sua testa svegliò il suo cervello ancora addormentato. Era sabato, non doveva lavorare. Quella prospettiva che di solito la rallegrava, la mandò in panico.
Doveva andare a quella maledetta rimpatriata. Si mise a sedere di scatto, spalancando gli occhi come quando nei film il personaggio si sveglia da un incubo, peccato che quello non fosse solo un brutto sogno , ma la realtà.
:- Ok! Niente paura! E’ tutto pronto, devi solo farti la doccia e vestirti, Ben sarà qui tra..- si interruppe per guardare la sveglia.- Maledizione, sarà qui tra mezzora!
Si catapultò fuori dal letto, rischiando di finire a terra perché il lenzuolo le aveva circondato la caviglia come un polpo gigante. Quando il campanello squillò trentacinque minuti dopo, però, non era ancora pronta.
:- Oh, cavolo!- afferrò il citofono mentre passava di corsa nel corridoio ancora avvolta nell’accappatoio.
:- Sei tu Ben? - chiese a corto di fiato.
:- Aspettavi qualcun altro?- la sua voce ironica era riconoscibilissima anche attraverso la cornetta.
:- Ah- ah-ah!- replicò con lo stesso tono.
:- Hai intenzione di scendere o di continuare questa piacevole conversazione ancora per molto? Lei si morse il labbro superiore, guardandosi i piedi nudi e riflettendo.
:- Ti dispiace salire un attimo?
:- Wow! E’ una proposta? Hai deciso di lasciare perdere la rimpatriata e di fare una festa privata?- la prese in giro.
:- Puoi benissimo restare giù allora.- disse mettendo la cornetta al suo posto.
Subito dopo lui citofonò di nuovo, per un attimo fu tentata di non rispondere ma il suo tentennamento fu ripagato da un altro, lungo trillo. Non poteva certo continuare a sentire quel suono insistente.
:- Si?- chiese gelida.
:- Su non mi diventare un ghiacciolo, stavo scherzando, a volte il tuo senso dell’umorismo si concede qualche lunga vacanza. Mi apri?
Lei non replicò ma schiacciò il pulsante dell’apertura. Poi si fermò di nuovo a guardare l’accappatoio chiedendosi se doveva mettersi qualcos’altro addosso. Ma i colpi alla porta la scossero. Cos’era volava? Si guardò velocemente al grande specchio dell’entrata, parti essenziali erano abbondantemente coperte. Aprì il portoncino e lui se ne stava appoggiato con una spalla alla stipite e una mano affondata nella tasca dei jeans scuri, la stoffa della camicia azzurra si tendeva sulle spalle, i piedi infilati in scarpe di pelle scura accavallati, una mano teneva la giacca scura appoggiata con nonchalance sulla spalla sinistra. Era una posa studiata o gli veniva naturale essere così affascinante? Rimase a guardarlo per qualche secondo, poi aprì ancora di più la porta per farlo passare. Ma lui non si mosse, facendo scorrere lo sguardo dalla punta dei piedi nudi fino ai capelli ribelli, facendola avvampare e stringersi la spugna bianca ancora di più al corpo.
:- E io che mi sono preparato con cura! Il tuo stile è così informale..- le disse sorridendo ed inarcando un sopracciglio.
Lei decise di non commentare, troppo turbata per rispondere adeguatamente alla provocazione.
:- Mi vado a vestire, siediti pure.
:- Che peccato, ti stava così bene questo completo.
:- Prevedo già un successone per il nostro piano.- disse tra l’ironico e il disperato.
Ritornò nella stanza da letto. I vestiti erano già messi in fila sul letto e se li infilò velocemente, prese la maniglia del trolley, guardandosi attorno per controllare se si fosse dimenticata qualcosa. Ogni volta che partiva aveva il terrore di dimenticare qualcosa, qualcosa che poi si sarebbe certamente rivelata indispensabile. Aprì velocemente l’armadio e il cassettone ripassando a mente la lista che aveva fatto. Non aveva dimenticato niente.
Rientrò nel soggiorno trascinandosi dietro la valigia e lo vide curiosare in giro.
:- Se hai finito di spulciare la mia libreria, possiamo andare.- disse ironica, era talmente preso che non l’aveva vista arrivare e sobbalzò sentendo la sua voce.
:- Certo. Hai dei volumi molto interessanti.
:- Non per niente faccio l’editrice no?
In macchina il silenzio si faceva sempre più pesante. Viola era molto agitata, erano in marcia da mezzora e già si sentiva impazzire. Non tornava a casa da diversi mesi ma invece di essere felice si sentiva in preda al panico. Ancora due ore e mezza e la farsa avrebbe avuto inizio. Ben guidava ma ogni tanto le lanciava qualche sguardo di sottocchio. Se ne stava seduta rigida, con la testa bassa e le mani strette l’una dentro l’altra.
:- Hai intenzione di giocare al gioco del silenzio ancora per molto?- le chiese ironico.
:- Si! Ma tu hai parlato e quindi devi pagare pegno!- gli rispose a tono.
:- Sono disposto a tutto! Dimmi pure…- disse maliziosamente, stringendosi nelle spalle.
:- Per favore fai il serio Ben! Sono in preda ad una crisi di panico.- era davvero esasperata.
:- Lo so, ed è per questo che ho cercato di distrarti. Cosa ti preoccupa?
:- Cosa mi preoccupa? Mi chiedi cosa mi preoccupa??? Sto andando ad affrontare i fantasmi del mio passato e tu mi chiedi cosa mi preoccupa?- chiese con la voce strozzata dall’ansia.
:- Beh hai qui il tuo ghostbuster personale, cosa hai da temere?
:- Ti sembrerà strano ma la tua presenza invece di rassicurarmi mi agita ancora di più. Non saremo credibili, si accorgeranno che è tutta una farsa e farò la figura della perfetta idiota, quale sono! Ma come ho fatto a cacciarmi in un simile pasticcio? - si chiese esasperata.- Ah già lo so, mi ci hai cacciato tu!- concluse incenerendolo con lo sguardo.
:- Mi pare che questo punto lo avessimo già chiarito e che io sia qui proprio per rimediare. Quindi non ha senso rivangare, concentriamoci per far funzionare la cosa.- le disse calmo ma risoluto.
:- La fai facile tu! E poi non sappiamo niente l’una dell’altro. Forse posso riuscire ad ingannare i miei vecchi compagni che non sanno più nulla di me da anni, ma come posso fare con la mia famiglia? Senza contare che sono davvero invadenti e ci sottoporranno al terzo grado.
:- Bravissima, non ci avevo pensato. Basterà creare una storia comune, primo incontro, primo appuntamento, primo bacio ecc.. ecc.. non dovrebbe essere poi molto difficile, ovviamente dovremmo anche cercare di conoscerci meglio.
:- In due ore? Come possiamo dirci tutto in due ore e creare anche una storia comune?- boccheggiò.
:- Intanto iniziamo, calmati, respira e dimmi il giorno del tuo compleanno.
:- Sono nata il 13 Gennaio del 1989.
:- Continua, parlami della tua famiglia.
:- I miei genitori di chiamano Giorgio e Matilde, ho due sorelle Rosa e Margherita, evita le battute, i miei erano fissati con i fiori, e un fratello che per fortuna è nato prima del loro periodo floreale e ha un nome normale, si chiama Daniele. Ho una cagnolina che adesso ha sette anni e si chiama Stella. Mi è rimasta una sola nonna, Benedetta che ha 86 anni e si ostina a vivere da sola. Ho tanti zii e cugini e sono affezionata molto a loro. Che altro devo dire? - chiese ancora nervosa.
:- Hobby? Amici? Che lavoro fanno i tuoi?
:- Allora, mi piace il calcio, vederlo non giocarlo ovviamente e..- iniziò ma lui la interruppe subito.
:- Sul serio?- chiese sbalordito, voltandosi a guardarla per un secondo.
:- Si, perché?
:- Non ho mai conosciuto una donna a cui piacesse il calcio.- disse sorridendo divertito.
:- Beh a me piace, non sarà molto femminile ma mi piace. Andavo sempre allo stadio con mio fratello da ragazzina e prima di decidere che volevo fare la redattrice ero stata sfiorata dall’idea di fare la giornalista sportiva.- gli disse convinta. Ben cercò di far combaciare l’immagine della donna fashion con quella della tifosa sfegatata che cantava i cori nelle curve o a bordo campo a fare la telecronaca. Sorrise immaginandosela.
:- Poi?
:- Le mie migliori amiche sono Arianna, Bianca e Melissa che per ora sono in Inghilterra Arianna e Bianca sono laureate in lingue e stanno facendo un corso di perfezionamento, Bianca è laureata in farmacia e sta facendo uno stage in una casa farmaceutica. Poi..- si morse ancora il labbro superiore, riflettendo.- Ah i miei genitori non sono ricchi di nascita, i miei nonni erano contadini, mio padre ha aperto un piccolo ristorante e piano piano si è ingrandito. Credo che sia tutto. Tu?
Lo vide irrigidirsi e stringere le mani sul volante.
:- Credo che sia più importante quello che io so di te!- provò a sviare il discorso lui.
:- Ti sbagli! Sarai tu al centro dell’attenzione, vorranno sapere tutto di te e ti assicuro che non molleranno finché non ci saranno riusciti.- lo contraddisse lei, maledicendo mentalmente l’invadenza della sua famiglia e sé stessa per essersi cacciata in quel guaio che le stava togliendo dieci anni di salute.
:- Perfetto!- ringhiò tra i denti, sembrava arrabbiato o ferito, non riusciva a capirlo.
:- Allora?- gli chiese gentilmente.
:- Non c’è molto da dire…
:- Meglio, almeno finiamo prima e possiamo pensare alla storia del nostro “amore”. Lì si che ce ne vorrà fantasia.- lo incoraggiò lei.
Lui parve riflettere per qualche secondo, stringendo ancora di più le mani attorno al volante. Poi si decise a parlare, con riluttanza, come se stesse masticando veleno.
:- Non ho una famiglia, credo, sono cresciuto in un orfanotrofio in quel quartiere che ti ha tanto impressionato quella sera in cui ti ho accompagnato a casa per la prima volta. Ho vissuto in istituto fino a diciotto anni quando mi sono diplomato. Poi ho iniziato a lavorare, ho preso in affitto una topaia e mi sono mantenuto all’università. Fine. Non credo che i tuoi resteranno troppo soddisfatti da questo punto di vista.- disse stringendo i denti, gli era costato molto parlare del suo passato, non lo faceva mai e non aveva previsto di doverlo fare in quell‘occasione.
:- Non gli importerà.- lo rassicurò lei, leggendo la tensione nei suoi occhi.- e poi non…
:- E poi non è importante perché è solo una farsa, finirà presto e non dovranno temere che la loro preziosa figlia si mescoli con la plebe.- disse acido.
Lei rimase a guardarlo interdetta, non riusciva ancora ad abituarsi a quegli sbalzi d’umore. Gli era sembrato triste un secondo prima e voleva dirgli solo che se anche alla sua famiglia fosse importato, non sarebbe importato a lei. Invece lui era saltato alle conclusioni sbagliate, aggredendola.
:- Non era quello che volevo dire Ben, volevo solo...- ma avvertendo ancora quella tensione preferì cambiare argomento- I tuoi hobby?
Lo vide distendersi chiaramente.
:- Anche io amo il calcio, come qualsiasi uomo e vedo anche qualche donna, e tutti gli sport in generale. Faccio nuoto almeno tre volte alla settimana, il mio migliore amico si chiama Matteo ed è un mio vecchio compagno di orfanotrofio, abbiamo vissuto insieme in quella famosa topaia, lui è avvocato adesso, abito da solo da qualche anno in via Mazzini. Mi pare che non ci sia altro, possiamo pensare alla fase due del piano: La nostra storia. Adesso si che la cosa si fa divertente.- disse rilassandosi del tutto e lanciandole un sorriso sghembo.
:- Ok, che proponi?- chiese avvampando e sentendosi stranamente imbarazzata.
:- Non usciamo fuori dalla realtà, condiamola solo con particolari inventati. Siamo colleghi e ti ho dato un passaggio una sera che pioveva e da lì abbiamo iniziato a frequentarci, abbiamo capito di piacerci e ci siamo messi insieme.
:- Non ho resistito al tuo incredibile fascino?- chiese ironica. :- Proprio così. Nessuno resiste al mio fascino. - lui continuava a sorridere ormai del tutto a suo agio.
Viola pensava che prenderla in giro fosse davvero rilassante per lui e fu tentata di ribattere acidamente ma ripensando alla tristezza che gli aveva letto negli occhi poco prima preferì passarci sopra. In fondo, a modo suo stava tentando di aiutarla.
:- Vorranno sapere quando è successo.
:- Diciamo… due mesi fa. Il 5 Aprile che tra l’altro è il giorno del mio compleanno, almeno sarà facile ricordarlo.
:- Di che anno sei?
:- Del 1986.
:- Che altro devo sapere?- chiese nervosa.
Il tempo era passato e mancavano pochi chilometri alla casa di lei.
:- Credo che non ci sia altro, per il resto, improvvisa.- disse lui sorridendo.
Il momento di nervosismo che lo aveva colto quando avevano parlato del suo passato era definitivamente sparito ed era di nuovo il ritratto della spensieratezza e della sicurezza in sé stesso. Lo invidiava da morire. Lo guidò in direzione della casa dei suoi genitori, sempre di più in preda all’ansia.
:- Sei sicura di ricordare la strada di casa Lassie? Come mai siamo in aperta campagna?- chiese un po’ spaesato.
:- Certo che me la ricordo, abitiamo in una casa in campagna, per questo siamo qui.
:- Wow! Mi sarei aspettata un attico moderno in centro!
:- Questo spiega quanto poco tu sappia di noi, di me. Ti ho detto che i miei nonni erano contadini e siamo tutti molto legati alla terra. Svolta a destra, poi prosegui dritto e siamo arrivati.
La villa che si parò davanti agli occhi di Ben era meravigliosa, sembrava appena uscita dalle pagine di una rivista di case, non era affatto moderna, ma era un autentica meraviglia.

VESTITI VIOLA
Image and video hosting by TinyPic

VILLA DAI GENITORI DI VIOLA

Image and video hosting by TinyPic
 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Invadenti & Assenti ***


Salve a tutti!!!
questa volta sto aggiornando presto perchè da lunedì si inizia con le lezioni all'università e non so quando potrò aggiornare di nuovo...spero presto!!!
riangrazio tutti quelli che hanno letto in silenzio ma soprattutto i due angeli che hanno commentato...spero che il capitolo vi piaccia e che mi facciate sapere le vostre opinioni, ci tengo tantissimo...anche a quelle degli altri, se vorrete commentare ne sarei felice ma se vorrete solo leggere in silenzio mi fa piacere lo stesso perchè devo dire che all'inizio questa storia era partita a rilento e invece vedo che adesso inizia ad essere seguita...sono contenta e onorata. A presto. Manymany
Image and video hosting by TinyPic

CAPITOLO VI: Invadenti & Assenti

Ben inchiodò e spalancò la bocca.
- E’ un posto stupendo!
- Già. Era il maniero presso il quale lavoravano i miei nonni. Appena ne ha avuto la possibilità mio padre lo ha comprato.
- Un riscatto sociale?- chiese incrociando le braccia sopra il volante e sporgendosi in avanti per vedere meglio la torretta che saliva verso l’alto.
- Più che altro l’amore per il posto in cui era cresciuto e che stava andando in rovina a causa dell’incompetenza degli eredi. Il vecchio padrone, presso il quale lavorava mio nonno era un vero signore, i due andavano molto d’accordo e aveva promesso a mio nonno che alla sua morte gli avrebbe lasciato le vecchie scuderie in modo che lui potesse ristrutturarle e viverci, ma morì all’improvviso, prima che potesse mettere per iscritto le sue parole. Mio nonno ha sempre parlato con rimpianto di quelle vecchie scuderie così appena mio padre ha potuto ha comprato tutto e ha ristrutturato così mio nonno ha potuto vivere i suoi ultimi anni in quelle scuderie che desiderava tanto, adesso le uso io quando sono qui.
- Capisco. Beh è una bellissima proprietà.
Varcarono il cancello e fermò l’auto nello spiazzale, voltandosi verso di lei.
- Sei pronta?
- No! Sono in preda al panico.- gli disse fissando i suoi occhi in quelli color muschio di lui.
- Andrà bene! Devi solo stare tranquilla, essere naturale, non... -con la coda dell’occhio lui vide la porta aprirsi e si interruppe.- Sta arrivando qualcuno.
- E adesso?- disse spalancando gli occhi, terrorizzata, trattenendo il respiro.
- Rilassati. - lui le si avvicinò e le appoggiò un mano sulla guancia. Continuando a guardare con la coda degli occhi la persona che si sta avvicinando.- E’ una ragazza. Sarà una delle tue sorelle.
Viola sentiva il cuore batterle nel petto e nelle orecchie, lo guardava negli occhi e la guancia a contatto con il suo palmo stava bruciando. Più che essere preoccupata per quello che sarebbe successo con la sua famiglia era Ben che la confondeva, già non sapeva come comportarsi normalmente, come poteva pretendere che lei fosse lucida se lui la stava trascinando tra le sue spire, ammaliandola con il suo sguardo, il calore del suo corpo e il profumo di menta del suo respiro?
 Non poteva essere lucida.
- Che fa?- chiese con un filo di voce, cercando di concentrarsi sul problema reale. C’era tempo per affrontare, con calma i suoi scompensi ormonali.
- Si sta avvicinando. Adesso respira, sorridi e apri lo sportello.
Lei sospirò e chiuse gli occhi. Poi fece come aveva detto lui.
Il viso sorridente di Rosa entrò nel suo campo visivo, ed entrambi scesero dall’auto. L’aria fresca servì a schiarirle un po’ le idee, ma evidentemente non abbastanza.
- Viola!!! Che bello vederti, lui deve essere Ben, la mamma ci ha invitati tutti a pranzo. E’ un evento unico che tu ti sia finalmente fidanzata, ormai ci avevamo perso le speranze!
Viola ebbe un attimo di esitazione, dimenticando per un secondo di essere felice di rivedere la sorella, ma Ben prese in pugno la situazione, fece il giro intorno alla macchina e le andò accanto circondandole la vita con un braccio, porgendo la mano alla ragazza.
- Piacere, io sono Ben. Mi fa piacere sapere che il nostro fidanzamento meriti addirittura una festa. Tu sei Rosa o Margherita?- disse con il suo sorriso affascinante.
- Io sono Rosa, molto piacere. - disse la ragazza, evidentemente colpita dalla sua bellezza.-Prego entrate. Viola ma che hai? Mi sembri imbambolata.
La stretta di Ben si accentuò intorno alla sua vita, scuotendola.
- No scusami sono solo stanca per il viaggio. Va tutto bene.
Entrarono all’interno e si diressero in un salone immenso, illuminato da ampie portefinestre. Tutto il resto della famiglia se ne stava seduta sugli ampi divani, vedendoli entrare tutti si alzarono e iniziarono a parlare contemporaneamente.
Il padre di Viola era un omone alto e muscoloso, con i capelli cortissimi e dei lineamenti regolari, doveva essere stato molto bello da giovane.
La madre di Viola invece era una donna bionda e minuta che al fianco del marito sarebbe certamente sparita se non ci fosse la bellezza e quella luce determinata negli occhi a valorizzarla.
Poi c’era il fratello Daniele con la moglie Alice. Entrambi erano mori e molto belli. E infine Margherita, a differenza del fratello e delle sorelle che somigliavano più al padre, lei aveva i colori chiari della madre ed era anche lei molto carina. Entrambe le ragazze dissero che i loro fidanzati sarebbero arrivati da lì a pochi minuti.
Ben non aveva mai vissuto in una famiglia e quell’impatto lo toccò. Non sapeva cosa significasse essere amato dai propri genitori né avere dei fratelli. Guardava Viola passare da un abbraccio all’altro, tutti ridevano e lui se ne stava in disparte per la prima volta a disagio. Aveva cercato di rassicurare lei per tutto il tempo ma non aveva previsto quel senso di smarrimento, di essere fuori posto, che lo aveva invaso.
Finiti gli abbracci Viola si ricordò di lui, lo guardò negli occhi e gli porse la mano. Lui si avvicinò e intrecciò le dita di lei alle sue.
- Mamma, papà lui è Ben…il mio.. Il mio fidanzato.- disse deglutendo e aumentando la  stretta.
Anche lui fu accolto con abbracci e risate che lo lasciarono ancora più sconvolto.
Come Viola aveva previsto, la famiglia fu curiosa di sapere come si erano conosciuti ma la parte più difficile fu quando le domande si spostarono unicamente su Ben.
- Allora visto che il vostro rapporto sembra così affiatato credo sia il caso di invitare a cena i tuoi genitori, uno di questi giorni, Ben.- disse Giorgio Perni.
- Non ancora papà. L’ho portato a casa con me, ma i patti erano che non ci avreste stressato molto. Adesso se avete finito con gli interrogatori vorrei fargli fare un giro della casa, da soli. - disse brusca, si voltò e stringendo la mano in quella di lui lo guidò verso l’uscita.
Non voleva essere così brusca con la sua famiglia anche perché non li vedeva da tanto tempo, ma non voleva nemmeno che tutti quei discorsi sulla famiglia turbassero di nuovo Ben, avevano una giornata molto dura e molto lunga da affrontare e lui doveva dare il meglio di sé. Lo guidò per le stanze facendogli fare un rapido tour poi fu la volta della depandance. Del suo regno.
L’appartamento era molto spazioso, con il parquet a posto delle mattonelle e ampie finestre che illuminavano l’ambiente. In tutto c’erano un salottino, un angolo cottura, due bagni, una stanza da letto con una grande cabina armadio che era la gioia di Viola.

Ben non era abituato a vivere nel lusso e sebbene la villa gli piacesse molto non invidiava nulla a quella famiglia più dell’amore che sentiva scorrere tra di loro.
Niente di tutti quei bei mobili, quei bei quadri poteva valere l’abbraccio e il sorriso che si erano scambiati poco prima. Lui si sforzò di essere sorridente e spiritoso mentre facevano il giro della casa ma era arrivato all’età di ventotto anni senza sapere con certezza cosa volesse dire la parola famiglia e nonostante tutte le belle cose, la piscina che vedeva proprio fuori dalla finestra e che era sempre stato il sogno della sua vita, l’unica cosa che invidiava a Viola erano quegli abbracci e quei sorrisi.
Niente, nemmeno tutto l’oro del mondo lo avrebbero mai potuto ripagare dalla vita di solitudine che aveva vissuto.
L’unica sua idea di famiglia era legata a Matteo, il compagno che era cresciuto con lui in orfanotrofio, ma era certo che niente potesse essere paragonato al rapporto di sangue che lega i componenti di una famiglia.

Viola avvertiva nei suoi occhi di nuovo quella tensione e sapeva che era legata al fatto che lui non aveva mai avuto una famiglia. Forse l’impatto era stato troppo forte. Forse era stata un’egoista, sebbene non sapesse del passato di Ben. Improvvisamente si sentì una stupida a parlare di depandance e piscina. Lui doveva pensare ad altro ma non sapeva nemmeno cosa dire, se cercare di consolarlo o semplicemente chiedergli qualcosa, tra loro il rapporto non era tanto stretto e sebbene avrebbe fatto qualsiasi cosa per cancellargli quella espressione dal viso non sapeva proprio come comportarsi.
Non era brava con le parole, magari a scrivere si, ma sempre degli altri, ma parlare di sé o di sentimenti non gli era mai riuscito facile. Era raro che riuscisse a comunicare il suo affetto anche ai propri familiari o alle sue amiche. Come gestire quella situazione? Cosa fare per cancellare quell’espressione da quel viso che era passato in così poco tempo da virile ad infantile?
- Ben..- non sapeva nemmeno lei cosa dire. Ma non poteva nemmeno restare in silenzio a guardarlo mentre lui se ne stava appoggiato allo stipite fissando, senza vederla veramente, la piscina.
- Si?- le chiese scuotendosi.
“E adesso? Che dico? E se se la prende?”
- Non ti avrei coinvolto se avessi saputo. So come puoi sentirti e..
- No, non lo sai Viola, ma non è colpa tua.- lui si spostò dalla finestra e le si avvicinò. - Mi hai detto che prima che tutta questa faccenda iniziasse credevi che fosse tutto dimenticato, quel ragazzo, la tua amica. Ricordi?
Lei era confusa, si era aspettata un tono brusco o comunque un cambio di discorso, insomma tutto tranne che quella voce bassa e dolce, quello sguardo intenso e incerto.
Lei si limitò ad annuire.
- Vedi, è lo stesso per me. Credevo che fosse tutto…- si fermò un attimo per cercare le parole- se non dimenticato, quantomeno accettato e magari lo è davvero, solo che l’impatto non è facile. Non te lo so nemmeno spiegare, perché tu Viola, per tua fortuna, non lo puoi capire.
Lei rimase in silenzio, riflettendo. Poi gli si avvicinò e appoggiò una mano sulla sua.
- Hai ragione, non posso capire, ma posso ascoltare se hai bisogno di parlarne. In fondo… stiamo diventando amici, no?- leggendo l’espressione scettica sul suo viso si affrettò a correggersi.- O quanto meno non siamo più nemici. Siamo alleati. Giusto?
- Giusto.- disse lui abbozzando un sorriso e spostando la mano da sotto la sua.- Non c’è altro da dire e se per te non è un problema, vorrei proprio farmi un paio di vasche in quella meraviglia.- il suo viso si distese in un sorriso, sebbene una nota di tensione fosse ancora visibile nel suo sguardo.
- Ma certo! Qui si usa pranzare tardi, abbiamo almeno un’ ora di tempo.
- Il plurale implica che mi farai compagnia?- le chiese con una nota maliziosa e all’improvviso stare mezza nuda con lui mezzo nudo accanto non le parve più una buona idea.
- Ver..veramente io avevo pensato di sistemare alcune cose per stasera.- tentò di allontanarsi per non fargli leggere l’imbarazzo che le aveva colorato il viso. Ma lui la raggiunse e la trattenne per un polso, tenendola vicina.
- Su, non farti pregare.- le disse sfoderando il suo sorriso storto.
-Io.. Io devo..
-Cambiati.- le ordinò brusco lasciandola andare, prese il suo bagaglio ed entrò in uno dei due bagni, per poi urlarle attraverso la porta chiusa. - Sappi che se appena uscirò non sarai pronta vorrà dire che hai bisogno d’aiuto e chissà che io non possa essere così gentile da aiutarti?
Viola si precipitò a cercare il suo costume maledicendo Ben che passava con tanta rapidità da uno stato d’animo ad un altro e sé stessa che non riusciva più a tenergli testa.
Si stava rammollendo o si stava affezionando?
Scacciando dalla mente le due opzioni, si sbrigò ad infilarsi il bikini prima che a quel pazzo venissero strane idee.

MADRE DI VIOLA
Image and video hosting by TinyPic
PADRE DI VIOLA
Image and video hosting by TinyPic
ROSA
Image and video hosting by TinyPic
MARGHERITA
Image and video hosting by TinyPic 
DANIELE E ALICE
Image and video hosting by TinyPic
DEPANDANCE E PISCINA
Image and video hosting by TinyPic

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** A che servon le parole? ***


Image and video hosting by TinyPic



Ciao a tutti miei carissimi! So che vi ho abbandonato per tantissimo tempo, spero che non vi siati dimenticati di Viola e Ben...vi lascio un capitolo breve ma...intenso! Spero vi piaccia! a presto spero!!!  Buona lettura



Come Viola aveva temuto, Ben era stato velocissimo a cambiarsi e a bussare alla porta del suo bagno.

- Hai bisogno di una mano?- le chiese con tono provocatorio.

- Come no!!! Non vedo l’ora!- rispose lei a tono. - Inizia ad andare, ti raggiungo subito o non sai nuotare e hai paura di affogare’

- Beh… una respirazione bocca a bocca può fare miracoli alle volte, sai?

Non si diede nemmeno la pena di rispondere e dopo qualche secondo lo sentì ridacchiare e allontanarsi.

Ma da quando in qua si prendeva certe libertà? Non l’aveva mai nemmeno guardata e adesso tutte queste battute velate?Senza dubbio lui aveva capito il suo imbarazzo e si divertiva a giocarci su. Bene, gli avrebbe tolto lo spasso facendosi vedere intimidita e imbarazzata, anzi gli avrebbe reso pan per focaccia.

Dopo una breve occhiata fugace allo specchio per controllare che tutto fosse al proprio posto, uscì a passo di marcia dal bagno.

Attraverso l’ampia porta vetrata lo vide disteso a pancia in su, su una delle tante sdraio allineate a bordo piscina, aveva le braccia piegate dietro la testa e gli occhi chiusi. Sembrava un gatto che prendeva, beato, il sole. Più che gatto una pantera o un ghepardo, si corresse mentalmente. Intenta ad ammirare quel corpo praticamente perfetto inciampò sulla soglia e irruppe sulla scena a testa bassa lottando per mantenere l’equilibrio.

“ Proprio una bomba sexy, sicura di sé, Viola! Non cambierai mai, ragazza, mai! Anche con dieci chili in meno resti sempre la solita, goffa, ragazzetta di un tempo.”- si rimproverò mentalmente.

Sentendo il trambusto lui si mise a sedere e la guardò con un occhio socchiuso.

- Siamo pronti per la gara?- le chiese sorridendo.

- Quale gara? Non mi pare di aver parlato di gara..

- Che c’è? Hai paura eh?- la prese in giro.

- Di te? Ts! Ti batto quando voglio, vecchio mio, il primo che tocca la sponda opposta ha vinto!- senza aspettare risposta si tuffò in acqua e iniziò a nuotare furiosamente. Avvertì nitidamente il tonfo del corpo di Ben contro l’acqua e accelerò. Lo sentiva proprio dietro di lei, aumentò il ritmo, bracciato dopo bracciata, non poteva perdere, poi finalmente allungò la mano davanti a sè e avvertì il bordo della piscina. Ce l’aveva fatta. Si voltò verso di lui raggiante e se lo vide praticamente addosso.

L’urto le fece tremare i denti.

- Ehi, è finita già? Scusami ti ho fatto male?- appoggiò le mani al muretto dietro di lei chiudendola tra le sue braccia, ma non c’era malizia nei suoi occhi, solo preoccupazione.

- No, no è tutto ok. Mi hai solo spappolato un braccio e il ginocchio ma credo che sopravvivrò. - disse, poi sorrise, raggiante.- Ho vinto! Te lo avevo detto. Nessuno mi batte nel nuoto vecchio mio!

- Si, come no! Ti ho fatta vincere!

- Ma smettila, ti ho dato un buon distacco.

- Ti sei tuffata prima di me.

- Tu sei un uomo. Dovevi recuperare il vantaggio senza sforzo.

- Ed eccola la solita scusa, avete voluto la parità? Non nascondetevi sempre dietro questa cosa!

- Maschilista!- lo apostrofò lei, socchiudendo gli occhi per la stizza.- Ricominciamo! Sono sicura che ti batterò comunque!

Fece per scansarlo ma il cerchio delle sue braccia si strinse, imprigionandola.

- Ne dubito.- rispose a bassa voce.

Lei provò ancora a scansarlo, ma lui era sempre più vicino. I suoi occhi avevano un colore che ricordava il muschio del presepe, il suo solito sorriso storto era sparito.

Guardarlo negli occhi fu uno sbaglio. Avvertì come una fitta allo stomaco e le si asciugò la gola.

Perché aveva iniziato a farle quell’effetto? Da quando lui era così affascinante? Lo era sempre stato? Perché non se ne era mai accorta?

Non si accorse nemmeno di aver appoggiato le mani sulle sue braccia, né di fissarlo con gli occhi immensi e le labbra socchiuse. Dimentica del fatto che si detestavano, che lui era lì con lei per aiutarla in una sceneggiata. Non esisteva niente. Niente all’infuori si quelle braccia che la circondavano, di quegli occhi che la confondevano. Poi le labbra contro le labbra, insaziabili.


“Un passo indietro ed ora tu, tu non ridi più

e tra le mani aria stringi

e non trovi le parole

e ci riprovi ancora a muovermi il sole

Ancora un passo un altro ancora

Un passo avanti ed ora io, io non parlo più

e tra le mani, mani stringo

a che servon le parole? "

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Kisses&Remorses ***


Saaalveeeeeee!!! So benissimo che molti di voi si saranno dimenticati di me e di Viola, Ben e il resto della truppa ma sono mesi troppo impegnativi. Questa vita mi distrugge : ) lascio il capitolo numero 9 sperando che a qualcuno interessi ancora… a presto!!!



Image and video hosting by TinyPic

CAPITOLO IX : Kisses&Remorses



- Scusami! - Viola staccò le labbra dalle sue. Cosa le era passato per la testa? Cosa stava facendo?

- Viola…- iniziò lui con la voce roca, restringendo il cerchio delle braccia per trattenerla.

- No, no davvero scusami.- gli appoggiò una mano sul petto e lo spinse via. Si voltò e si issò sul bordo della piscina per poi allontanarsi in fretta.

“ Cosa hai fatto Viola? Perché? Adesso ti prenderà per una stupida, per un’assatanata. Sei un’idiota!”

Si chiuse la porta del bagno a doppia mandata dietro le spalle e si sedette sul pavimento con mille pensieri, nessuno troppo lusinghiero sul suo comportamento. L’aveva baciato. Lei. Ok lui l’aveva circondata con le braccia, l’aveva guardata in quel modo… con quegli occhi che le avevano mandato in pappa il cervello. Ma era stata lei a gettarsi sulle sue labbra, lei che lo aveva stretto con foga come se temesse di affogare.

Dopo qualche secondo sussultò sentendo un colpetto alla porta.

- Viola per favore esci!- Ben aveva un tono secco, infastidito.

Cosa doveva fare adesso? Perché si sentiva così in imbarazzo? Non era certo la prima volta che baciava un uomo. Non era nemmeno una ragazza eccessivamente timida, allora perché sentendo la sua voce la pelle le si era accapponata e avrebbe voluto trovarsi a mille miglia da lui?

- Non mi piacciono questi giochetti, esci e parliamone da persone adulte. Vieni fuori! - un altro colpo alla porta, più brusco, che la fece sussultare.

Non poteva nascondersi per sempre e soprattutto non poteva fare ancora di più la figura della sciocca, doveva uscire, a testa alta. Si mise in piedi sospirando, afferrò l’accappatoio di spugna bianco che era appeso dietro la porta e se lo legò strettamente alla vita.

Lui se ne stava di spalle, a piedi nudi, le mani affondate nelle tasche di un accappatoio blu notte. Sentendo il rumore dei suoi passi si voltò.

- Ti sei decisa! Pensavo di dover abbattere la porta.- disse con lo stesso tono secco di prima.

Lei scrollò le spalle restando in silenzio e lui  non fece nessun tentativo per continuare. Aspettava che fosse lei a parlare, lo stronzo. Aveva un’espressione sorniona, da gatto soddisfatto e non voleva, non poteva dargliela vinta.

- Il sole deve avermi fuso il cervello. Ti ho già detto che mi dispiace, non so cosa mi sia passato per la testa.- gli disse in tono altero, distaccato.

Non sapeva nemmeno dove aveva preso la forza per simulare una tale indifferenza visto che dentro si sentiva traballante come un budino.

Lui la studiò ancora per qualche secondo, arricciando le labbra, quelle labbra sulle quali lei si era fiondata pochi minuti prima, in un sorrisetto.

- Non capisco perché tu…

Lei non lo lasciò nemmeno finire. La infastidiva. Aveva già detto che si scusava? Cos’altro voleva? Una confessione firmata sul fatto che si, maledizione, lo trovava affascinante, troppo affascinante?

- Mi pare di essermi già scusata. Se adesso permetti, vado a farmi la doccia.

- Lasciami finire. Non capisco perché tu sia scappata così.

Era questo quello che voleva sapere. Non perché lo aveva baciato ma perché se n’era andata. Che doveva dirgli? Che si era resa conto di aver fatto la figura dell’idiota? Di una povera disperata che bacia il primo che capita solo perché è carino e la guarda in un modo che la confonde?

- Io…io mi sono resa conto di aver sbagliato…- balbettò impreparata ad affrontare l’argomento.

- Scuse? Sbagli? Non mi hai fatto lo sgambetto accidentalmente Viola. Ci siamo baciati.- il suo tono era basso, troppo basso.- Ok, forse sei stata tu a fare il primo passo, ma non mi pare di essermi tirato indietro, né che mi sia dispiaciuto.

Adesso era troppo vicino. La sua presenza la confondeva, perché si ostinava a piantare quei maledetti occhi verdi nei suoi? Provò ad arretrare ma lui la trattenne afferrandole un polso.

“ Ragiona Viola. Cosa vuoi? E soprattutto cosa vuole lui da te? Ragiona, ragiona”.

- Te l’ho detto, ho capito di aver…

- Balle Viola! Sono solo balle.- adesso la sua voce era un sussurro, le parole dette a un millimetro dalla sua bocca e poi non ci fu nemmeno quello. Adesso era lui che la stringeva, lui che la baciava e le scompigliava i capelli con le mani. Lui.

Erano due estranei. Si detestavano fino a pochi giorni prima, ma niente di tutto ciò le balenò in mente. Niente le disse che era sbagliato, insensato, illogico. Niente e nessuno poteva farla fuggire ancora da quelle braccia. Nessuno..eccetto Daniele.

- Ehi ehi! Ragazzino vacci piano! E’ pur sempre la mia sorellina, sai?- le parole dette con tono scherzoso li fecero sobbalzare come due adolescenti colti sul fatto.

- Daniele! - esclamò lei, imbarazzata, districando le mani dai suoi capelli.- Potevi anche bussare sai?- lo attaccò, come faceva sempre quando si sentiva in imbarazzo.

- Ci ho provato. Ma eravate troppo impegnati, temo.- continuò il fratello ridendo.

- Dan…

- So come mi chiamo sorellina. Come sei suscettibile, sto solo scherzando! Sono venuto solo a  dirvi che il pranzo sarà servito tra un quarto d’ora. Fareste meglio a prepararvi e a rimandare queste,ehm, dimostrazioni d’affetto a dopo. E,ragazzo- disse guardando Ben- ti tengo d’occhio. - ammiccò e si allontanò ridendo.

Rimasti soli fu di nuovo complicato guardarlo in faccia. Così si diresse verso la stanza da letto.

- Non farci caso, Daniele è così, crede di essere simpatico. Si è sempre divertito a prendere in giro i ragazzi che sono entrati in questa casa.

- E sono stati molti?- le chiese lui seguendola.

- Cosa?

- I ragazzi che sono entrati in questa casa. Sono tanti?

- Rosa e Margherita hanno avuto diversi “amici”in questi anni e sono venuti spesso qui…

- E tu? Hai portato mai dei ragazzi a casa?

- Io… ecco… Paolo veniva sempre ma noi, ecco noi … non stavamo insieme.

- Paolo è il ragazzo che sta con la tua ex amica?

- Già.

Paolo.

Viola prese a trafficare con la valigia, fingendo di cercare qualcosa. In che razza di guaio si stava cacciando? Fino a pochi minuti prima stava baciando Ben e quindi perché quel tonfo allo stomaco al pensiero di Paolo in quella casa e che tra poche ore se lo sarebbe trovato di fronte? Si chiuse in bagno con la scusa che doveva ancora prepararsi e che avrebbero rischiato di far tardi per il pranzo.

Affrontare la sua famiglia al completo non era mai facile, erano tanti, rumorosi e ficcanaso ma li adorava e di solito riusciva a sopportarli senza troppo sforzo. In quelle condizioni però non fu facile. Domande su domande sulla sua vita in un’altra città, sul suo lavoro, sul suo rapporto con Ben. Quando però l’argomento cadde sulla rimpatriata dovette trattenersi dallo scappare via a gambe levate.

- Ci saranno anche Paolo e Marta, immagino.- disse Margherita.

Viola rischiò di cadere dalla sedia per lo shock.

Tutti sapevano di quanto era successo anni prima ma nessuno si era mai azzardato a fare commenti. Paolo e Marta erano stati assidui frequentatori di quella casa ma dopo che lei aveva spiegato brevemente il motivo per cui non si sarebbero visti più nessuno aveva  fatto domande. Perché quindi proprio ora?

Lei annuì e cercò di sviare l’argomento chiedendo al padre dei suoi affari. Ma Rosa intervenne a dare manforte a Margherita. Era una congiura!

- Adesso che ti vedranno con Ben finalmente i tuoi compagni smetteranno di credere che quei due siano ancora il centro del tuo universo. Ogni volta che li incontro mi chiedono di te con quell’aria afflitta. Soprattutto quella faccia tosta di Marta.

- Non credo sia il caso di parlarne ancora…- protestò lei, sempre più nervosa, agitandosi sulla sedia.

- Hai raccontato a Ben di Paolo vero?- continuò la sorella imperterrita.

- Adesso ne ho abbastanza. Ho detto basta.

Gettò il tovagliolo sul tavolo e si allontanò di corsa.

Ben si era limitato ad osservare la scena in silenzio ma vedendola allontanarsi si scusò e la seguì.

- Sei consapevole di avere un brutto carattere vero?- le chiese sorridendo, trovandola sdraiata sul letto della depandance con la faccia seppellita nel cuscino.

- Lo so!- mugugnò lei.

- E che tutti sono rimasti sconvolti dalla tua sfuriata?

- Lo so!

- E che scappando non risolverai mai nulla?

Lei si mise seduta e lo guardò confusa.

- Tu scappi Viola. Sei scappata da quella situazione cinque anni fa, sei scappata da me dopo che mi hai baciato, poi di nuovo quando ti ho baciato io e adesso sei fuggita dalle parole di Rosa e Margherita.

- Non è vero, io non…

Lui si sedette accanto a lei.

- No? - continuò lui ma con un tono dolce- Non sei scappata da questa città dopo aver saputo di loro due? Andartene era già nei tuoi piani? Non ti sei chiusa in bagno e poi hai finto di cercare chissà cosa in valigia per non guardarmi in faccia dopo i nostri baci? Non hai lasciato il pranzo in tuo onore perché le tue sorelle stavano parlando di qualcosa che non sai affrontare?

- Si ma… ma è tutto così complicato. Ci sei tu, c’è Paolo. Io sono stata bene prima, lo sai, l’ho voluto io, ma sarei disonesta a non dirtelo. Non ha senso, non so nemmeno il perché ma Paolo c’è. Ricordarmi di lui in questa casa, sentire le parole di Rosa e Margherita, il pensiero che stasera lo rivedrò, con il suo bambino che è di colei che consideravo la mia terza sorella… è troppo per me! Non dovevo venirci. Dovevo fregarmene di tutto e starmene a casa mia.- si premette di nuovo il cuscino sulla faccia, per non guardarlo, per non leggere il disgusto in quegli occhi che la facevano impazzire.

- Ed è qui che sbagli. E’ giusto così. Per una volta non stai scappando. Stai affrontando la situazione. Fa male ed è difficile, è normale. Ma non stai scappando. Solo così forse arriverai ad un punto Viola. Se non ti volti a guardare indietro non saprai mai che è passato. E per quanto riguarda me, non ti ho chiesto nulla. Adesso per favore togliti questo dannato cuscino dalla faccia prima di morire soffocata e rendere vane tutte queste mie perle di saggezza!

Lei ubbidì e lo guardò sorridendo.

Forse lo aveva sempre sottovalutato.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** La quiete dopo la tempesta ***




Image and video hosting by TinyPic
CAPITOLO X: La quiete dopo la tempesta.


“Scrivere è la mia droga, la mia passione, il mio amore. La droga, la passione, l’amore, in maniera diversa,consumano e ti avvelenano la vita. Scrivere è la mia condanna. Scrivere è la mia ossessione. Scrivere è la mia vita.”

Non sapeva nemmeno perché aveva messo in valigia il manoscritto che stava correggendo, lo aveva portato senza convinzione, certa che non sarebbe riuscita a dedicarci nemmeno un minuto e invece dopo la sfuriata con Rosa, dopo le belle parole di Ben, insomma dopo tutta quella confusione, fare qualcosa di ordinario l’aveva aiutata a calmarsi e a ritrovare l’equilibrio. Si fermò a pensare a quelle parole che la giovane scrittrice aveva usato per introdurre il suo libro. Una storia forte, fatta di disagi, di solitudine e di violenza. Anche lei amava scrivere, non avrebbe certo parlato della sua passione per la scrittura in quei termini, e all’inizio aveva bollato le parole dell’autrice come un voler enfatizzare a tutti i costi il suo lavoro ma riflettendoci era giunta alla conclusione che c’era un fondo di verità.
La scrittura poteva diventare un’ossessione, una sete insaziabile, un bisogno fisiologico, una parte di te. Bastava a pensare a chi, come Roberto Saviano per esempio, aveva fatto dello scrivere una missione. Una missione che lo aveva portato a vivere sotto scorta eppure non ne aveva potuto fare a meno. Ripensò a tutti le storie che aveva scritto e che restavano nascoste nella memoria del suo computer, lei scriveva sempre, per sé stessa, nessuno aveva mai letto i suoi lavori e sebbene fosse una editor non le era mai passato per la mente che potesse pubblicare qualcosa di suo un giorno. Non si riteneva abbastanza brava.
Un’altra cosa l’aveva colpita, la ragazza diceva che l’amore consuma e avvelena la vita. Parole sante. La prima cosa che viene in mente alla gente parlando d’amore è la felicità, la spensieratezza, i cuoricini, il sentirsi a un passo dal cielo. A lei parlando d’amore veniva in mente la sofferenza, la solitudine.
Di nuovo il volto di Paolo le balenò in mente.
“ Basta Viola! Cazzo! Hai 24 anni! Non sei più una ragazzina che può permettersi di fissarsi e di farsi i film. Paolo è un uomo sposato, ha un bambino ed è un capitolo chiuso. Morto. Sepolto. Archiviato. Insomma smettila di fare la ragazzina e toglitelo dalla testa. Non verrà mai da te e se anche lo facesse a te non interessa, non lo vorresti più. E’ così. E’ così?”
Non ne era per niente sicura ma decise di non pensarci. Gettò il libro nel trolley aperto si infilò il costume ed uscì in giardino.
Ben aveva detto che sarebbe stato in piscina ancora per un po’ prima di iniziare a prepararsi per la serata e infatti era lì. Erano tutti lì. Mancava solo lei. I suoi genitori sonnecchiavano sdraiati sulle poltroncine mentre gli altri si godevano la frescura della piscina. La giornata era davvero troppo calda. Cercò Ben con lo sguardo e lo vide immerso nell’acqua, con le braccia appoggiate al bordo della piscina e il viso disteso, parlava e rideva con Daniele, Davide e Carlo, i ragazzi di Rosa e Margherita, sembrava perfettamente a proprio agio. Nessuna traccia della tensione di qualche ora prima. Le ragazze se ne stavano in disparte e parlavano a bassa voce, vide l’espressione triste di Rosa e capì di aver proprio esagerato. Sua sorella era stata invadente ma non aveva parlato per farle del male. Non poteva certo sapere della confusione e dello smarrimento che c’era ancora dentro di lei a causa di Paolo e l’aveva nominato con leggerezza, come si fa con i ricordi. Si fermò a guardare la scena dalla soglia ed ebbe un attimo di nostalgia. Ben aveva ragione: se ne era andata da casa per voltare pagina e dimenticare Paolo e Marta. Chissà quante cose le aveva fatto perdere quella decisione. Quanti ricordi della sua famiglia non la riguardavano. Era pur vero che prima o poi bisogna lasciare il nido ma lei non si era limitata a cambiare città, aveva permesso che i rapporti si allentassero, aveva fatto di tutto per tornare a casa il meno possibile, l’aveva voluto lei. Stava per voltarsi e tornare dentro, travolta dalla tristezza, quando sentì uno sguardo su di sé. Si voltò e vide Ben che la fissava. Le fece cenno di avvicinarsi. Lei rimase incerta per qualche secondo, poi lui sorrise e le fece di nuovo cenno di raggiungerlo, così lei cedette e gli si avvicinò entrando in acqua. Intuendo che avevano bisogno di parlare i ragazzi si allontanarono lasciandoli soli.
- Finalmente ti sei decisa ad uscire. Pensavo che volessi trascorrere tutto il pomeriggio lavorando. Te lo hanno mai detto che sei una stacanovista?- le chiese sorridendo.
- Si, ed è un complimento che ho sempre accettato di buon grado. Vedo che hai fatto amicizia con Daniele e gli altri.
- Si anche se tuo fratello ha giurato di estirparmi una zona abbastanza intima della mia anatomia se dovessi farti soffrire, prima di iniziare a darmi pacche sulle spalle e chiamarmi “amico” invece di “ragazzino”. Davide e Carlo dicono che non è male ma io spero che dirai che ci siamo lasciati bene, anzi che mi hai lasciato tu con il cuore infranto, quando tutto questo finirà. Ci tengo ad avere una discendenza un giorno.
Quelle parole furono un’altra doccia gelata. L’ennesima della giornata. Sarebbe finita. Era una sceneggiata. Ben sarebbe tornato il collega\nemico, l’estraneo che era fino a pochi giorni prima. Si stava talmente abituando alla sua presenza da dimenticare che era tutta una farsa.  Ed ecco la solita contraddizione: si tormentava per Paolo ma non voleva dire addio a Ben.
- Ehi, tutto ok?
- Si, si certo. Comunque ti ho già detto di non prendere Daniele troppo sul serio, è il fratello maggiore e si sente in dovere e in diritto di proteggerci. Non dice davvero. Comunque, inventerò una buona scusa. Tranquillo. Dirò che ti ho lasciato io, stravedono per te e gli sembrerà talmente una cosa idiota l’averti lasciato che ci crederanno subito.
- Come fai a sapere che stravedono per me?- le chiese stupito.
- Dalla naturalezza con cui ti hanno accolto. Ti assicuro che Davide, Matteo e perfino Alice hanno dovuto faticare per farsi accettare, so che non lo diresti visto che adesso sono parte della famiglia a tutti gli effetti ma ti assicuro che è così. Siamo davvero molto uniti e molto selettivi sulla gente che entra a far parte della nostra vita.
- Detta così sembrate un clan mafioso.- la prese in giro.
- In effetti. Comunque credo che tu abbia capito.- rispose lei ridendo. - Vado a scusarmi con le mie sorelle prima di andarmi a preparare. Manca poco.
Lui annuì e la guardò avvicinarsi alle ragazze, dire qualcosa e poi abbracciarle ridendo.
Soddisfatto si concesse un’altra nuotata. Quella famiglia rischiava davvero di entrargli nel cuore.


Buonasera a tutti!!!!!!!
Intanto ringrazio la mia carissima buzzy, si sono tornata e aggiorno anche presto! Questo è davvero l’ultimo capitolo prima dell’inizio della rimpatriata, in cui tanti nodi verranno al pettine…spero di aggiornare presto! Baci e buona lettura!!! manymany

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Let's go to the party! ***




Image and video hosting by TinyPic

Buona Lettura!!!


CAPITOLO XI: Let’s go to the party!


“ Ci siamo. Viola Perni è il tuo momento. Adesso la smetti di fissarti allo specchio, ti volti, afferri il trolley ed esci da questa stanza. Uno due tre.. Avanti! Viola! Cammina!”
 Niente, i suoi piedi si rifiutavano di muoversi, se li fissò e li vide rinchiusi nei sandali argento dal tacco vertiginoso che aveva scelto. Per fortuna che Ben era un colosso di quasi un metro e novanta. Lei era alta un metro e sessantacinque ma con quei trampoli raggiungeva quasi il metro e ottanta. Eppure le sue gambe si rifiutavano di muoversi. Si era preparata con cura in largo anticipo per poi restare immobile davanti allo specchio. Terrorizzata. Non voleva andarci.Sentendo dei passi dietro di sè, rialzò lo sguardo e vide riflessa la figura di Ben. Che lo trovasse affascinante si era abbondantemente capito, ma non era preparata all’effetto che poteva farle in smoking scuro con tanto di farfallino nero.
- Caspita ragazza se si mangerà le mani per la rabbia quel citrullo questa sera!
“Caspita ragazzo se si mangeranno le mani per l'invidia tutte le donne presenti questa sera.”- gli fece eco lei tra sé e sé.
Eppure il commento velato su Paolo, come sempre la fece rabbrividire per l’ansia.
- Non penso! Ha la sua bella famiglia da Mulino Bianco. - disse acida. -E anche se fosse non mi riguarda.- aggiunse, mentendo spudoratamente.
Lui incrociò le braccia e si appoggiò alla porta con il solito sguardo strafottente e il sorriso storto.
- Una vecchia favola che tutti i bambini del mondo conoscono racconta che le bugie hanno le gambe corte o il naso lungo. Le tue gambe a quanto posso vedere- disse facendo scorrere lo sguardo dalla punta dei piedi fino alle ginocchia lasciate scoperte dal vestito di seta- sono molto ben proporzionate e il tuo naso è perfetto. Quindi sei la classica eccezione che conferma la regola, mia bella signorina. Allora, sei pronta?
Ignorando il suo commento annuì e finalmente i suoi piedi decisero di reagire all’impulso mandato dal cervello e di muoversi. Ben le prese in trolley e lo depositò insieme al suo nel bagagliaio. Non c’era più niente da fare, nessuno motivo per rimandare l’inevitabile. Doveva andare. Sospirò e salì in macchina, mentre Ben ormai calato nella parte del perfetto gentiluomo le apriva lo sportello.
Tesa contro lo schienale gli diede le indicazioni per raggiungere l’hotel.
Dopo qualche minuto di silenzio, Ben decise che ne aveva abbastanza.
- Come vuoi essere chiamata? Cara? Uhm no, fa molto film americano anni ‘50. Dolcezza? Molto film mafioso, sempre americano e sempre anni ’50. Certo che questi americani usano nomignoli osceni. Che ne dici di baby?
- Viola andrà benissimo.- rispose secca.
- Non avrai creduto davvero che intendessi chiamarti baby? Dimmi di no per favore, offendi la mia intelligenza! Hai un muso lungo da qui a New York, sempre per restare nell'ambito americano, ora posso capire che non sia esattamente la festa dell’anno per te, ma si suppone che tu sia follemente innamorata e non di uno qualunque “baby”. Ma di me. Me! Cioè mi vedi? Nemmeno come pinguino sono male! Nessuna donna o pinguina, che dir si voglia, vista con me ha mai avuto un broncio simile. Quindi sorridi, gioisci della prestante , seppur pinguinesca compagnia e pensa che quasi sicuramente ci sarà l’open bar!
 Nonostante l’umore nero riuscì a strapparle una risata. Era un matto.
- Tu hai qualche rotella fuori posto. Ne sei consapevole?
- Se serve a farti ridere…- si voltò brevemente verso di lei per farle l’occhiolino.
Erano arrivati. Parcheggiarono ed entrarono nell’hotel che era davvero stupendo. Appena varcata la soglia accorsero due fattorini che presero in consegna i loro bagagli. Dissero il cognome di Viola all’impiegato della reception che prima registrò la loro permanenza in hotel, poi indicò la sala in cui si sarebbe svolto il ricevimento ed infine consegnò loro la scheda elettronica della camera augurando un “gioioso soggiorno” . Un’altra pugnalata nel cuore per Viola vedendo l’unica chiave dell’unica stanza.
Avrebbero diviso una matrimoniale. Come aveva fatto a non pensarci? Era ovvio! E in ogni caso non avrebbe potuto richiedere due singole. Non sarebbe stato credibile. Seguirono i fattorini che mostrarono loro la stanza al primo piano. Bellissima, lussuosissima e con un solo, seppur enorme, giaciglio.
- C’è qualcosa che non ti quadra, ormai riconosco quello sguardo da cane bastonato. Che c’è ancora?- le chiese Ben dopo che i due fattorini si eclissarono, impazienti di dividersi  la mancia.
- Quello!- disse puntando il dito contro il letto.
- Che ha che non va? Sembra comodo.- si sedette e prese a saltellarci sopra.- Si si è decisamente perfetto, nè troppo duro, nè troppo morbido.
- E’ uno!!!- specificò lei.
- Si ma il fatto che sia così grande vuol dire che ci possono dormire due persone.- disse con il tono che si usa per spiegare le cose ai bambini molto piccoli e nemmeno particolarmente svegli.
- Ah-Ah-Ah! Ben Stolfi la tua simpatia alle volte tocca livelli stratosferici. Dovresti fare il comico.- fece sarcastica, guardandolo storto.
- Lo so, ma per tua sfortuna credo che continuerò a fare l'editor. Comunque non possiamo chiedere un’altra stanza. Non saremmo credibili e sinceramente una donna che non fa i salti di gioia alla prospettiva di dividere il letto con me non mi era mai capitata, quindi devi essere felice che non ti obblighi a dormire nella vasca da bagno per aver oltraggiato il mio buon nome.
- Alla faccia della galanteria.
- Su non fare l’offesa che se la vasca è all’altezza di questa stanza deve essere delle dimensioni della mia camera da letto e ci staresti benissimo. Adesso sarà meglio scendere, la festa sarà iniziata, siamo in ritardo di mezzora, anche se è vero che le persone importanti si fanno attendere. Let’s go to the party, baby!
Si lasciò trascinare fuori dalla stanza e giù per la rampa di scale fino alla soglia della sala in cui si teneva la festa.
In effetti c’era già la musica e sentì il chiacchiericcio di diverse persone. Prima di entrare Ben le prese la mano e la guardò con un sorriso.
- Pronta?
Lei chiuse gli occhi, sospirò e poi annuì.
Quello che l’aspettava dentro la lasciò sbigottita. Era peggio di quanto pensasse.



Ciao a tutti!!!

Allora vi ho incuriositi almeno un po’??? Spero proprio di si! Ancora tanti grazie alla mia buzzy che mi segue attentamente. A prestissimo!

Image and video hosting by TinyPic VESTITO DI VIOLA PER LA SERATA

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** La descrizione di un attimo ***





Image and video hosting by TinyPic

Buona lettura!


CAPITOLO XII: La descrizione  di un attimo.




Palloncini argentati e dorati, sparsi ovunque, svolazzanti, appesi alle pareti e perfino sistemati ad arco di trionfo. Il “trionfo del buongusto”. Ma quei poveri, innocui pezzi di lattice riempiti di elio erano niente, nulla in confronto alle sagome ad altezza naturale delle loro foto ai tempi della scuola. La prima che vide fu Carla, poi Bianca, Melissa con una bellissima maglia azzurra di paperino e i capelli per aria.
-No, no, no ti prego dimmi che non è vero! Dimmi che si sono dimenticati la mia, che hanno smarrito la foto, che l’hanno presa gli alieni, i Sioux, i russi, i marines. Dimmi che non c’è la mia foto ad altezza naturale!!!- disse chiudendo gli occhi e stritolando la mano di Ben nella sua.
- Ehm, se vuoi posso dirti che gli alieni avevano già proiettato il raggio trasportatore anti materia ma è andata via la corrente , che i Sioux hanno finito le frecce, i russi hanno finito la vodka e i marines sono rimasti senza carburante. Insomma ci hanno provato eh, si sono impegnati ma non ci sono riusciti. Dai non è così male. Forse sei solo poco fotogenica.- la schernì.
Finalmente aprì gli occhi e la vide. Orribile. Capelli ricci e crespi con un taglio che li rendeva ancora più gonfi. Maglia larga e informe di un verde mela acceso, jeans banalissimi e scarpe da ginnastica grigie. Una meraviglia. Un capolavoro di grazia ed eleganza.
- Odio tutto questo.
- Su, un po’ di autoironia non guasta mai. Prendila con filosofia. Che c’è ora?- le chiese sentendola sussultare.
- Paolo.- seguì il suo sguardo e vide la foto di un ragazzo con i capelli biondastri e ricci, il volto abbassato, intimidito.
- E’ questo?
Lei annuì.
- Uhm… mi aspettavo di meglio.
- Viola!!! Tesoro! Non ti si vede da una vita! Quando Carla mi ha detto che saresti venuta non ci ho creduto. Non ti sei mai presentata alle riunioni degli altri anni!- Beatrice. La riconobbe subito. Stessa frangetta vaporosa, stesso tono mieloso.
- Eh si, dovevo tornare in città e ho pensato che sarebbe stato carino. - disse a disagio.
- Ma non mi presenti la tua amica?- intervenne in suo soccorso Ben, avvertendo la sua difficoltà.
- Certo! Scusami. Ben lei è Beatrice. Beatrice lui è Ben, il mio… il mio…
- Fidanzato! - concluse lui.- Molto piacere.
- Piacere mio.- disse la compagna accorgendosi di Ben, arrossendo e portandosi una mano ai capelli.
- Viola! Sei venuta davvero! Ho parlato con un ragazzo che mi ha confermato la tua presenza ma non volevamo crederci. Che piacere rivederti!- Carla, stessi capelli rosso fuoco, la strinse in un abbraccio stritolatore che le tolse il fiato.
A differenza di Beatrice con cui non aveva mai avuto un rapporto troppo stretto, c’era stato un periodo in cui era stata molto legata a Carla, solo che lei aveva preferito Marta dopo la loro rottura e le loro strade si erano divise, in ogni caso le fece piacere rivederla. Non serbava nessun rancore alla compagna.
Ad ogni scelta corrisponde una perdita. È la vita.
Salutò altri compagni e a tutti presentò Ben. Ad ogni minuto che passava sentiva crescere l’ansia. Prima o poi li avrebbe visti. Prima o poi avrebbe dovuto salutarli. Non poteva ignorarli. Doveva mostrarsi matura. Superiore.
- Respira. Stai diventando viola, non solo di nome. - le sussurrò Ben all’orecchio.
Si voltò verso di lui e fu in quel momento che li vide. Entravano nella sala sorridendo, la mano di lui le cingeva la vita. Erano assolutamente perfetti come due attori che sfilavano sulla passerella. Marta si girò a salutare Carla. Gli occhi di lui vagarono per la sala scivolarono su di lei, per poi tornare a fissarla, sorpreso. Occhi negli occhi a cinque anni di distanza.
La descrizione di un attimo
Le convinzioni che cambiano
E crolla la fortezza del mio debole per te
Anche se non sei più solo perché solo non sai stare
E credi che dividersi la vita sia normale
Ma la mia memoria scivola
Mi ricordo limpida la trasmissione dei pensieri
La sensazione che in un attimo
Qualunque cosa pensassimo potesse succedere
E poi cos’è successo
Aspettami oppure dimenticami
Ci rivediamo adesso
Dopo quasi cinque anni
E come sempre sei la descrizione di un attimo per me
E come sempre sei un’emozione fortissima


Ci siamo. La tanto attesa rimpatriata ha inizio. Vi lascio con il primo scambio di sguardo tra Viola e Paolo.Ringrazio quanti mi hanno letto. Sono lusingata e in particolare ringrazio chi ha deciso di dedicarmi un attimo di tempo per recensire. In primis la mia buzzy, e poi annina_the best, blein e dragon19. Un grazie immenso. A prestissimo. Manymany
Ah per chi ancora non avesse capito chi rappresentano vi lascio un’altra foto di Paolo e Marta.
Image and video hosting by TinyPic

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** In vino veritas ***


Image and video hosting by TinyPic
Buona Lettura!




CAPITOLO XIII: In vino veritas


Occhi negli occhi.
“Marta è incinta..incinta.. incinta… Io mi sono innamorato… innamorato.. Sei la mia migliore amica. È incinta. Marta è incinta. Paolo.”

Inspira, espira. Inspira, espira. Inspira, espira.

 Respiro mozzato. Cuore accelerato. Stomaco ingarbugliato. Sguardo annebbiato. Mani sudate. Gambe deboli.
Inspira, espira. Inspira, espira. Inspira espira.

- Viola! - la voce di Ben la riportò alla realtà. Distolse lo sguardo da quegli occhi per voltarsi verso di lui. La mano di lui strinse la sua in una morsa e la trascinò via, attraverso una porta-finestra in una terrazza.
- Sono arrivati. - bisbigliò agitata.
- Me ne sono accorto. - le rispose in tono asciutto. - Sapevamo che sarebbero venuti. Siamo qui anche per questo.
- Si, ma … - provò a dire.
- Lo so! Cerca solo di assumere un colorito normale, di non spalancare gli occhi come se avessi visto un fantasma e di non far fare a me e a te la figura degli idioti.- continuò con un tono secco che la fece tornare brutalmente con in piedi per terra.
Perché quel tono ostile? Perché quelle parole crudeli? Le belle ore passate insieme furono spazzate via come le nuvole in una giornata di vento. Ecco il Ben freddo, il Ben che cambiava umore in un secondo. Un Ben che non conosceva e che non capiva.
- Ma come ti permetti?- iniziò furibonda piantando gli occhi nei suoi.
- Si da il caso che io sia qui per fare questa pagliacciata..
- Devo ricordarti che l’hai voluto tu? Che io non ti ho chiesto nulla?
- Lo so, lo so! Ma non per questo ci tengo a fare la figura dello stupido! Io sarei il tuo “fidanzato”. Hai presente? Tu che sbavi vedendo arrivare quel coso che credibilità dà alle nostra bella recita?
- Non stavo affatto sbavando e in ogni caso non accetto i tuoi ordini. E’ della mia vita che stiamo parlando. Tu non hai niente da perdere, quindi non fingere di prendertela tanto a cuore.- sussurrò inviperita.- Adesso rientriamo.- concluse superandolo per varcare la porta-finestra.
Non fece nemmeno in tempo a rientrare che se li trovò davanti.
- Viola!- fece Marta, incerta, Paolo si limitò a fissarla ancora, in silenzio.
- Marta, Paolo. Ciao. - fece lei sforzandosi di modulare la voce.
- Ciao Viola.- si decise a dire Paolo.
- Come va?- le costava una fatica immane restare lì, simulando indifferenza, quando avrebbe voluto essere a chilometri e chilometri. Era ancora peggio di quanto avesse temuto.
- Bene. Tu che ci racconti? Come va? So che sei arrivata a fare quello che volevi. Sono contenta per te. -  disse Marta con un sorriso.
Quel sorriso un tempo lo conosceva meglio di chiunque altro. Quel sorriso era il suo mondo. Eppure c’era qualcosa che non tornava. Era una sensazione strana. Era come se la conoscesse da sempre e allo stesso tempo come se non l’avesse conosciuta mai. La guardava negli occhi e non sapeva cosa vedeva.
Evitava di guardare Paolo ma sentiva i suoi occhi su di sé. Lui sembrava davvero diverso dall‘ultima volta che l’aveva visto. Più sicuro, quasi sfrontato, come se cercasse a tutti i costi il suo sguardo.
Sussultò sentendo una mano appoggiarsi sul suo stomaco. Ben. Si era quasi dimenticata di lui. Doveva essere rimasto ancora qualche secondo in terrazza. Lo sentì appoggiarsi a lei.
- Salve. Scusatemi non volevo interrompervi.
- Ciao, piacere io sono Marta e lui è mio marito Paolo. Siamo ex compagni di Viola. Tu sei..?-
Due cose innervosirono Viola. Il modo in cui Marta si rivolse a Ben, il tono, il modo di muoversi. E poi la parola “marito” ma si sforzò di non pensarci, di non badarci.
“ Ricordati Viola, la superiorità. Non ti tocca, non ti tocca. Non esiste. Superiorità Viola, superiorità!”
- Eravate una classe numerosa eh! Molto piacere. Io sono Ben. Il fidanzato di Viola.- disse lui con tono gioviale. Lo vide stringere la mano prima all’una e poi all’altro. Con sicurezza. L’altra mano sempre sul suo stomaco. I loro corpi sempre attaccati e finalmente fu contenta di averlo accanto, nonostante le parole di prima, nonostante non sapesse ancora bene chi e come fosse davvero in quel momento gli fu  grata. Appoggiò la mano sulla sua. Lui si voltò a guardarla e premette le labbra contro la sua tempia, brevemente. Lo sguardo di Paolo era sempre là, il cuore le batteva sempre forte ma Ben le faceva un effetto che la stupiva e la confondeva.
- Come vi siete conosciuti?- sentì Marta chiedere a Ben.
- Lavoriamo nello stessa casa editrice e sai com’è quando si sta a stretto contatto.. Anche per voi è stato così, no? Da compagni di scuola a compagni di vita..- rispose lui in tono allusivo.
Marta ebbe il buongusto di mostrarsi quantomeno imbarazzata.
- Beh si, ma non l’avevamo previsto.. Cioè è capitato..
- Oh certo, come no..-disse lei sarcastica.
Sentì il gelo piombare su di loro. Vide Marta sbiancare, Paolo sussultare e Ben fissarla con un misto di stupore e divertimento.
L’aveva detto sul serio? Aveva parlato davvero? Era convinta di averlo solo pensato e invece la tensione le aveva giocato un brutto scherzo. Che fare adesso?
Venne salvata in calcio d’angolo  dalla voce di Carla che invitava tutti ad accomodarsi ai tavoli. La cena stava per essere servita.
- Se ci volete scusare noi andiamo a prendere posto. - disse Ben, poi mano nella mano si allontanarono.
Viola lo seguì in silenzio, si sedette dove lui disse di sedersi, prese automaticamente il tovagliolo e se lo sistemò sulle gambe, ignorando i tentativi dei compagni seduti accanto a loro di intavolare una conversazione adducendo la scusa di un improvviso quanto atroce mal di testa. Con la coda dell’occhio scorse Marta e Paolo di spalle, in un tavolo non lontano dal loro, erano seduti praticamente attaccati eppure nella loro postura rigida c’era qualcosa che non andava, muovevano le mani e la testa di scatto. Sembrava che stessero discutendo.
- Hai intenzione di fare il gioco del silenzio per il resto della serata o c’è la probabilità che ti ritorni il dono della parola? - le chiese Ben.
Viola svuotò il bicchiere di vino bianco in un colpo solo e il cameriere pronto lo riempì di nuovo.
- Sono un’idiota.- dichiarò.
Giù l’altro bicchiere di vino. Ancora il pieno.
- No, dai è stato simpatico osservare la faccia di quei due.
- Come no! Adesso sarò lo zimbello di tutti di nuovo, faranno due più due e capiranno che non è vero che sono superiore. Che mi frega. Mi frega moltissimo.- frignò.
Terzo bicchiere svuotato, quarto riempito, svuotato e riempito di nuovo.
- Su, ora non andare in paranoia e non farti troppi problemi. Ormai è andata e secondo me hai fatto bene a dirglielo.
- Parli bene tu. So che ti stai divertendo come un matto e che quando tutto questo sarà finito ti divertirai ancora di più a tormentarmi.
Sparì anche il quinto bicchiere.
C’è da dire che Viola era capace di ubriacarsi anche con quel sorso di spumante  che beveva ai compleanni o per capodanno quindi per lei il limite era passato e di molto anche. Intuendolo Ben fece cenno al cameriere di non riempirle più il bicchiere.
- L’alta considerazione che hai me mi commuove. Davvero.- le disse in tono sarcastico.
- Come se la tua opinione su di me fosse positiva.
- Certamente lo era di più quando eri sobria. Non urlare altrimenti si che diventeresti lo zimbello. La pazza alcolizzata.- le disse sorridendo.
- Non sono ubriaca.- protestò vivacemente.
- Ed io non sono sordo. Davvero Viola, abbassa la voce o davvero finiresti per pentirtene e sicuramente per incolpare me, domani.
Con l’ultimo briciolo di buonsenso lei decise di ritornare a chiudersi nel silenzio e Ben ne fu sollevato.
Quella situazione gli stava sfuggendo di mano.
Terminata la cena le coppie si alzarono per ballare. Loro rimasero al tavolo con una Viola di nuovo ammutolita e quasi sonnecchiante.
- Su alzati “signorina non sono ubriaca” , balliamo. Rischi di addormentanti da un momento all’altro.
La fece alzare e le circondò la vita con le braccia. Lei gli appoggiò la testa sul petto.
- Viola.- le sussurrò all’orecchio.
- Mmmm- farfugliò lei in risposta.
- Sei sveglia?
- Mmmm.
La musica era lenta e Ben si limitava a muoversi lentamente. Forse era davvero il caso di portarla in camera, non si reggeva in piedi. Si maledisse per averla lasciata bere, anche se non immaginava che le avrebbe fatto tutto quell’effetto.
- E’ meglio andare Viola.
- Non sono ubriaca.- biascicò lei, puntando i piedi per terra.
- Certo che no. - l’assecondò.
- Altri cinque minuti.-sussurrò con voce imbronciata ma più passava il tempo più doveva tenerla stretta per evitare che scivolasse a terra.
- Andiamo a letto.- disse alla fine, deciso. La condusse fuori dalla sala fino alla loro stanza, dove sempre tenendola per la vita la fece sdraiare sul letto. Provò a liberarsi dalle sue braccia ma la stretta si fece ferrea.
- Paolo. - la sentì sussurrare.
Con uno strattone più deciso si liberò della sua stretta e la coprì con il piumone.
- Paolo io ti amo..



Salve a tutti. Mamma che faticaccia scrivere questo capitolo e sinceramente il risultato non mi piace per niente. Scrivere di questa rimpatriata si è rivelato più difficile di quanto credessi. Forse non ho reso come avrei dovuto i sentimenti di Viola rivedendo i suoi due fantasmi. Spero di fare meglio nel prossimo.
A presto. Manymany.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Sorpresa! ***


Image and video hosting by TinyPic

Buona Lettura!


CAPITOLO XIV: Sorpresa!


Un raggio di sole fece capolino nella stanza, si intrufolò attraverso le sue ciglia penetrandole nell'occhio e mandandole una pugnalata al cervello.
- Mmmmmm! - si coprì il viso con la trapunta.
Buio. Oscuro, riposante, buio.
- Non hai scampo. Devi alzarti.
- Mmmm.- protestò.
Ma due mani energiche le strapparono la coperta dalla faccia, così lei provò a recuperare un cuscino che però raggiunse il pavimento in un nanosecondo.
- Alzati. - le ordinò lui.
- No!- si rifiutò secca lei. Coprendosi gli occhi con le mani. La luce le perforava gli occhi.
Buio, buio.
Sentì due braccia che la afferrarono e la misero a sedere.
- Bevi!-le ordinó appoggiandole un bicchiere alla bocca.
Trangugiò l'aspirina e socchiuse un occhio.
- Maleeee!- piagnucolò richiudendolo immediatamente.
- Così impari a non ubriacarti.
- Deduco già che hai fatto colazione. Yogurt rancido al limone?- gli chiese.
- A proposito, mangia. Avere lo stomaco pieno ti aiuterà a smaltire la sbornia. Meno male che non eri ubriaca.
- Si mi aiuterà a rimettere prima.
Le mise davanti un vassoio con la colazione. Frugó sul piano e trovó una brioche che addentó con poca convinzione, ma effettivamente mangiare la aiutò. Sentiva la testa girarle sempre meno e la morsa che le stringeva le meningi attenuarsi.
-Tra mezzora dobbiamo essere giù. Devi sbrigarti. Non capisco perché voi donne possiate rilassarvi con una seduta di massaggi e noi uomini dobbiamo correre dietro una palla.
- Non eri un patito dello sport tu?-gli chiese ironica.
- Certo! Ma anche un patito dei massaggi, se è per questo. Vado a vestirmi in bagno così poi ti lascio il campo libero.
Solo allora lei si decise ad aprire gli occhi e  vide che era in accappatoio.
- Ma dove hai dormito tu?-chiese folgorata da un pensiero improvviso.
- Nella vasca da bagno!- fece ironico.- Non ci ho pensato neanche per un secondo. Quello lì è il famoso letto per due ricordi?
- Uhm..e ho fatto qualcosa di strano?-gli domandó imbarazzata.
- Mi stai chiedendo se mi sei saltata addosso?- le chiese in tono di scherno.
- Ero ubriaca, non pazza.- rispose lei piccata.- Intendo scalciare, parlare, cose così.
- Eri così sbronza che non ti sei praticamente mossa. Per quanto riguarda il parlare...- disse misterioso.
Lei si mise a sedere attenta.
" Ommioddio Viola! Non hai detto che lo trovi affascinante? Non l'hai detto?? Ok l'hai baciato ma arrivare a dirlo.. Ommioddio voglio sparire!"
- Che ti ho detto? Sappi che qualsiasi cosa io ti abbia detto.. Cioè lo hai detto anche tu prima..ero ubriaca, non ero in me.
- Mmm... quindi non è vero che sei innamorata di Paolo?- le chiese appoggiandosi alla porta del bagno e incrociando le braccia sul petto. Un sopracciglio alzato.
- Ho.. Ho detto questo?
- Già.
- Io.. Io..- farfugliò confusa.
- Lo ami, si era capito. Comunque, resterà un nostro piccolo segreto, non ho intenzione di spifferarlo alla moglie e mettere fine ad un matrimonio. E tu?
Stava scherzando o era serio? Non riusciva a capirlo.
- Dove vuoi andare a parare Ben?
- Io? Da nessuna parte. Tu dove vuoi andare a parare?- le chiese provocatorio.
- Non ti capisco e sinceramente rinuncio a farlo. Entri in bagno o devo andare prima io?
- Io credo che tu invece capisca benissimo, ma come mi hai, giustamente, fatto notare ieri sera, è la tua vita. Io sono qui per aiutarti non per farti da grillo parlante. Vado.- disse chiudendosi in bagno.
Si lasciò andare sul letto. Ci mancava solo la morale. Non era una sfascia famiglie e non aveva intenzione di diventarlo. Ok era innamorata di Paolo ma non sarebbe mai stata la causa di una eventuale rottura tra lui e Marta, soprattutto visto che c'era di mezzo un bambino.

Qualche ora più tardi dopo aver salutato freddamente Ben si era rinchiusa nel centro benessere dell'hotel con le compagne, facendosi coccolare dalla massaggiatrice come non avveniva da un secolo e spettegolando dei vecchi tempi. Poi il discorso tornò al presente.
- Allora Viola dove hai acciuffato quel bel tenebroso che ti porti dietro?- le chiese Marzia in tono malizioso mentre stavano uscendo dal centro benessere per ritornare in camera a cambiarsi per il picknick.
- Già, niente male.- le fecero eco le altre.
- E' un mio collega di lavoro e..
- E lavora qui, lavora lì... abbiamo capito. E brava Viola!davvero una bella scelta.
Tutte scoppiarono a ridere al commento di Carla. Anche lei si unì alla risata. La sua però era una risata amara. Se solo avessero saputo... Anche Marta era nel gruppo ma non sorrideva.  
- Vi siete divertite ragazze?- Ben sbucò alle loro spalle, con il resto degli uomini e Viola si meravigliò di come riuscisse ad ambientarsi e a fare conoscenza così in fretta. A casa sua aveva conquistato tutti e anche lì sembrava già far gruppo con gli uomini.
- Alla grande. E voi?
- Sicuramente la nostra mattinata è stata più stancante, ma altrettanto divertente.- le si avvicinò circondandole la schiena con un braccio per poi stamparle con naturalezza un bacio sulle labbra. Una luce furba gli brillava negli occhi. Voleva metterla in imbarazzo e ci sarebbe anche riuscito se solo la pressione di quelle labbra sulle sue non avesse avuto il potere di farle dimenticare il perfino il suo nome. Non riusciva a capire come fosse possibile essere turbata da Ben ed innamorata di Paolo allo stesso tempo.
Paolo. Si voltò lievemente, sentì il suo sguardo su di sé e si sentì davvero a disagio. Come un'idiota. Lui era sposato aveva un figlio, perché lei doveva sentirsi in colpa? Non c'era nessun motivo. Proprio nessuno.
Circondò la vita di Ben con le braccia e ricambiò il bacio.
- Ehi ehi ehi! E' una festa per coppie o anche una "povera" single come me, può farci parte?
Ma quella era.. Era la voce di..
- Melissa!- mollò Ben per gettarsi tra le braccia della sua migliore amica.
- Oh che calorosa accoglienza, mi fa piacere, ma che non ti salti in mente di dedicarmi lo stesso trattamento che stavi riservando a quel fustacchione!- disse lei ridendo per poi aggiungere sottovoce.- Deduco che sia Ben. Ti lascio titubante e ti ritrovo attaccata a polpo su di lui. Ma brava!
- Oh sapessi! Ma che ci fai tu qui?
- Avevo un po' di tempo libero e ho pensato di venire a darti una mano, mi eri sembrata disperata e invece scopro che Ben ti sta dando una lingua.. Cioè una mano, scusa.
Melissa, la solita mattacchiona. Era la sua discepola, mentre lei la chiamava guida: due nomignoli che si erano date in quinta ginnasio e di cui nessuna delle due ricordava l'origine.
Melissa che c'era sempre e sapeva farla ridere anche nei momenti più impensabili. Melissa che sosteneva che una risata poteva guarire tutto..o quasi e proprio per  questo stava studiando farmacia, per guarire anche quello che con la risata non riusciva a lenire.
Melissa!
La strinse ancora nel suo abbraccio stritolatore.
- Guida, vorrei sopravvivere, mi erano mancati i tuoi modi delicati, avrò tremila lividi!
- Uhh come sei esagerata! Sei una farmacista, avrai di sicuro qualche unguento miracoloso.
- Appunto sono una "quasi" farmacista, mica mago Merlino!
Gli altri si fecero avanti per salutarla. Passata la ressa le presentò Ben.
- Ben lei è Melissa la mia migliore amica. Melissa lui è Ben.
Si salutarono poi lui decise di salire in camera a farsi la doccia in modo da lasciarle poi il bagno libero.
- Beh, cara la mia guida, io e te non abbiamo mai avuto gli stessi gusti in fatto di uomini- disse guardando Ben salire le scale di corsa.- Ma lui è l'eccezione che conferma la regola. Carino.
- Già.
- Perché questo tono mogio?
- Paolo.- piagnucolò sottovoce.
- Ho notato che più che a una carota adesso somiglia ad un sedano. Era verdognolo. Forse ha qualche virus intestinale, potrei dargli qualcosa..
- Il problema è serio Mel.- sospirò Viola.
- Lo so, lo so! - rispose l'amica in tono grave.
- Vabbè ci sarà tempo per piangermi addosso, adesso andiamoci a preparare per il picknick o faremo tardi.
- Uh non sto nella pelle. Insetti sul cibo e marmocchi urlanti. Che divertimento!- disse ironica entrando nella sua stanza che era poco distante da quella che lei divideva con Ben.
- Su che ci faremo quattro risate. Giocheremo a pallavolo.
- Uhhh!- disse Mel sempre più "entusiasta".
Viola entrò nella sua stanza sghignazzando.
Meno male che era ritornata Melissa.



Ciao a tutti! Vi lascio il capitolo numero 14 ringraziando infinitamente quanti hanno letto il capitolo precedente. Sono davvero davvero mooolto felice! Vi adoro.
Ringrazio di cuore la dolcissima (di nome e di fatto) dolcissima77 che con le sue recensioni mi fa sempre ridere. Sono davvero contenta che la storia ti piaccia! Tranquilla recensisci quando e se puoi, a me fa piacere sapere il vostro parere ma è normale che ognuno abbia i propri impegni quindi tranquilla!
Un grazie immenso anche a Blein, sono contenta che la storia ti abbia coinvolta.
E poi un grazie anche alla mia carissima consulente Buzzy...troppo gentile!

A proposito di questo voglio dedicare questo capitolo alla mia discepola, senza fare nomi. Sei quello che ho scritto qui e molto molto di più. Ti voglio bene. : )
La tua guida.

A presto. Manymany.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Brontolo ***


Image and video hosting by TinyPic

Buona Lettura!




CAPITOLO XV: Brontolo




Ma che fine aveva fatto Melissa? Erano nel parco da mezzora e lei non si era ancora vista. Anche Ben era sparito. Come aveva notato poco prima si era ambientato benissimo ed era andato chissà dove con Flavio, il ragazzo di Carla, lasciandola sola. Così lei si lasciò andare sul pile che aveva steso sul tappeto di erba e si calò gli occhiali da sole sul naso, assorbendo ogni raggio. Se ne stava sdraiata, beata, aspettando che la sua migliore amica e il suo “fidanzato” la degnassero della loro presenza, quando sentì un qualcosa di duro atterrarle sulla pancia facendole mancare il fiato.
- Ma che..?- chiese stupita, mettendosi a sedere.
Era un pallone. La palla colorata con i personaggi di Toy Story le rotolò giù dallo stomaco.
- Scusa. Non l’ho fatto apposta!- si voltò a guardare il proprietario di quella vocetta con una strana sensazione confermata poi dai capelli biondi e ricci e dagli occhi scurissimi.
- Fa niente.- gli porse la palla sorridendo e lo guardò scappare via dopo aver biascicato un “grazie” .
Stava per rimettersi sdraiata quando un’altra voce la distrasse e le fece salire il cuore in gola.
- Vedo che hai conosciuto Marco. Spero che non ti abbia fatto male.
- Paolo. No, no assolutamente, mi ha solo fatto prendere un accidente, non l’avevo visto. E’ molto carino, complimenti. - disse a disagio.
- Si molto carino e molto, molto, molto movimentato. Te lo assicuro.- le disse sorridendo.
- Beh, è normale, credo. Insomma è un bambino.
Dire che era a disagio era poco. Si sentiva un’idiota. Non sapeva che dire. Eppure c’era stato un tempo in cui parlare con lui era naturale, come respirare.
- Posso sedermi?- le chiese indicando il pile steso per terra.
- Certo.- disse con un filo di voce, sempre più in imbarazzo.
- Allora? E’ da un bel po’ che non ci vediamo..
- Già. Da cinque anni.
- Che mi racconti di te? A quanto ho capito sei arrivata dove volevi…
- Si, cioè quasi. Sono all’inizio, ma c’è tempo. Lavoro in una casa editrice importante da un anno quasi e collaboro con alcuni giornali, sto prendendo il patentino per diventare giornalista pubblicista. Mi do da fare.
- Sono molto contento. Noi abbiamo perso i contatti da tempo ma sono felice per te. Eravamo amici un tempo.- adesso era lui a sembrare a disagio.
- Si, lo eravamo.- doveva cambiare argomento, il passato era un campo minato.- Tu che mi racconti? Che lavoro fai?
- Nell’azienda di mio.. Del padre di Marta. Ma faccio anche praticantato in uno studio legale. Mi sono laureato da qualche mese. Sai con il bambino, non è stato facile conciliare le due cose.
- Posso immaginare. - si strinse le gambe contro il petto, volgendo lo sguardo altrove. Non era facile, non lo era per niente. Neanche un po’.
- A proposito di questo.. Ci tenevo a dirti che mi dispiace.
Lei aggrottò le sopracciglia. Non capiva di cosa stesse parlando.
- Per quello che è accaduto il nostro ultimo giorno di scuola. Mi dispiace.. Se avessi saputo avrei.. - disse lui chiaramente a disagio.
- No! No, guarda fa niente. E’ tutto passato. Superato. Non ha senso parlarne ancora.- mentì come una ladra, arrossendo fino alla punta delle orecchie, per fortuna che gli occhiali a mascherina le coprivano gran parte del viso.
- Bene, volevo solo dirtelo. Io..
Ma  non finì la frase perché Ben si buttò a corpo morto accanto a lei.
- Ciao tesoro, ciao Paolo. Ricordavate i bei tempi?- chiese in tono allegro.
- Già.- disse lui.
- Io ho fatto una partita a ping pong con Flavio e l’ho stracciato. Perché non andiamo a fare una passeggiata, è una  così bella giornata. O vi ho forse interrotto? - la guardò con il suo finto sguardo innocente.
- Ma certo! Andiamo a vedere che fine ha fatto Melissa, non vorrei che si fosse persa da qualche parte qui intorno.
Lui scattò in piedi e la tirò su trattenendole poi una mano nella sua.
- Paolo ti unisci a noi?- gli chiese Ben in tono educato.
- No, preferisco riposarmi un po’, prevedo che mio figlio non mi darà tregua per tutto il pomeriggio con quella palla.
- A dopo allora.- lo salutarono.
Lui si voltò e la trascinò via con sé.
- Sei contenta che sia venuto a salvarti mia bella principessa o non volevi essere salvata?- le chiese ironico.
- Adesso basta con questa storia Ben! Non sei divertente!- disse guardandolo negli occhi con decisione.
Lui le fece una linguaccia e le schiacciò il naso con un dito.
- Quando ti arrabbi sei davvero molto, molto buffa Viola! - le disse ridendo.
- Mi prenderai sul serio qualche volta?- protestò esasperata.
- Uhm, forse, prima o poi. Certo che se ti vesti da ragazzina non puoi pretendere che io scatti sull’attenti.- la prese in giro.
- Che ho che non va? E’ una giornata all’aperto, mi sono vestita sportiva.
- No, no stai molto bene. Devo dire che tutta questa passione per Brontolo la capisco. Siete per caso parenti? Due gocce d’acqua.
- Scemo! - rise picchiandolo su un braccio.
- Ah bene, sei anche manesca eh. Ti faccio vedere io.
Iniziò a farle il solletico.
- No, Ben, Ben! Ti prego. Muoio.- disse tra le risate.
Lui la lasciò andare e lei si lasciò cadere sull’erba.
- Adesso somigli meno a Brontolo. Dovresti ridere di più.
- Preferirei ridere senza forzature.- lo rimproverò con un sorriso.
- A mali estremi, estremi rimedi. Avevi una faccia da funerale dopo il dialogo con “coso”.
- Andiamo a cercare Melissa.- questa volta fu lei ad alzarsi e a cercare di tirarlo su ma lui oppose resistenza e la sbilanciò in avanti facendola finire tra le sue braccia.
- Io ti prendo sul serio, Viola. Forse anche troppo.
Non rideva più e lei lo guardò negli occhi cercando di capire cosa volesse dire, a cosa si riferisse.
- Co..?
- Andiamo a cercare la tua amica.- disse alzandosi e porgendole la mano. Lei la afferrò e lo seguì.
Capire Ben Stolfi si stava rivelando davvero un’impresa.



Ed eccoci al capitolo numero 15. Ringrazio di cuore tutti quelli che hanno letto. : )
Andiamo alle recensioni.
Blein: Su Melissa sono pienamente d’accordo. Devo dire che questi siparietti seguiti da scontri piacciono anche a me…miracolo…mi piace qualcosa che faccio : ) Grazie mille di dedicarmi un po’ del tuo tempo a ogni capitolo. Baci, a presto.
Buzzy: grazie anche a te… io ci provo! Spero di riuscirci sempre!
Dragon19: come ti ho già detto il comportamento di Viola sembra insensato ma sarà spiegato tutto, con il tempo.

Spero che mi facciate sapere ancora una volta cosa ve ne pare. A presto. Manymany!
P. S: vi lascio i Vestiti di Viola.
Image and video hosting by TinyPic

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Incantesimo ***


Image and video hosting by TinyPic

Buona Lettura!


CAPITOLO XVI: Incantesimo.

 


Melissa non era sparita per fortuna. Era seduta nella hall dell’albergo e parlava con un ragazzo. Lui era di spalle e non riusciva a capire chi fosse. Si avvicinò sempre con Ben a fianco.
- Mel.- chiamò.
Il ragazzo si voltò e lo riconobbe subito.
- Giorgio!!!- esclamò stupita.
Era  cambiato molto ma non faticò per niente a riconoscerlo. Giorgio era un altro dei suoi compagni e studiava medicina in America. Non lo vedeva da tanto tempo. Avevano avuto un rapporto molto stretto ai tempi della scuola, poi le loro strade si erano divise, entrambi impegnati a inseguire le proprie mete.
- Viola!!! Che piacere vederti. Ti trovo benissimo.- si alzò e la stritolò in un abbraccio. Nonostante fosse diventato più robusto e in un certo senso più uomo aveva la stessa identica voce squillante- Devo raccontarti tante cose. Perché ci siamo persi? Dobbiamo recuperare il tempo perduto. Ti invito a cena. Scegli un giorno. Vieni con me a salutare i nostri “amati” compagni . Non sto nella pelle.
Anche la parlantina a macchinetta era la stessa.
- Aspetta.- lo frenò ridendo. - Devo presentarti una persona. - si voltò verso Ben.- Giorgio questo è Ben, il mio fidanzato. Ben lui è Giorgio, un altro mio compagno di classe.
- Molto piacere.
I due uomini si strinsero la mano.
- Non vedo l’ora di vedere i nostri compagni.- disse ironico.- Non so nemmeno io perché sono venuto anche se mi fa piacere rivedere voi due. - Strinse Viola e Melissa in un altro abbraccio stritolatore e le due amiche si guardarono divertite e rassegnate.- Ho pensato che un tuffo nel passato non sarebbe stato male. Giusto per vedere che effetto fa.
Viola e Melissa capivano cosa voleva dire. Nei primi anni di liceo Giorgio non aveva avuto buoni rapporti con il resto della classe a parte loro due ed aveva reagito chiudendosi in una corazza di disprezzo e quasi di superiorità, ma loro sapevano che lo faceva solo per proteggersi. Lui aveva un carattere solare, spigliato, sempre pronto a fare macello e per le persone a cui teneva davvero si sarebbe fatto tagliare in due.
Viola poi si sentì molto toccata dalle sue parole. Anche lei era lì per quello, sebbene non l’avesse proprio deciso lei.
Raggiunsero il resto dei compagni e fu divertente ascoltare per tutta la mattinata i commenti “ maligni” di Giorgio. No, decisamente non era cambiato. Era più alto, più muscoloso, più sicuro di se stesso ma era sempre lui. Giorgio.
- E’ sempre cotto di te. - le disse Melissa, appena furono sole, assestandole una gomitata tra le costole.
- Ma dai! Stiamo recuperando il tempo perso. Siamo  stati sempre e solo amici, lo sai.
- Lo so, lo so. Ma non puoi negare che lui a suo tempo e a suo modo ci provasse.- ridacchiò lei.
Viola fece un gesto con la mano come a voler scacciare quelle parole. Giorgio era un amico e sarebbe stato sempre e solo quello ne era più che certa.
- Ah ah, signorina, un altro spasimante?- Ben piombò alle loro spalle facendole sussultare.
- Origliare i discorsi degli altri non è buona educazione.- disse Viola seccata.
- Ma io non stavo origliando. Mi hanno mandato a chiedervi se volete partecipare alla partita di pallavolo.
- Uhmmm, non sto nella pelle. Attendevo questo momento da ieri sera .- fece Melissa con lo stesso entusiasmo di un paziente che si siede sulla poltrona di un dentista.
- Su ragazze non siate pigre.- protestò Ben spingendole verso il campetto.
Nonostante la reticenza si divertirono. Molte volte incrociò lo sguardo e il sorriso di Paolo, che giocava nella squadra avversaria, e ogni volta sentiva una sensazione strana allo stomaco.
“ Non pensare a lui Viola. Lo vedi? Ha un bambino. E’ sposato. Basta.”
Ma i monologhi con la sua mente avevano sempre l’effetto opposto a quello che lei desiderava.
Lo vide avvicinarsi alla linea di battuta, colpire la palla che volteggiò nell’aria fino ad atterrare di fronte a lei.
Si era imbambolata.
Le urla di protesta di Melissa e Giorgio che giocavano nella sua squadra la riportarono alla realtà.
- Sveglia  bella addormentata nel bosco! Sono una schiappa a giocare ma quella l’avrei presa anch’io. - la rimproverò l’amica.
- Scusatemi, farò più attenzione.- si voltò in avanti e incrociò lo sguardo contrariato di Ben che era proprio davanti a lei. Non doveva essergli sfuggito il motivo della sua distrazione.
Finita la partita che persero vergognosamente Ben era sparito di nuovo con Flavio senza degnarla di uno sguardo. Morta di sete si avvicinò ai tavoli che i camerieri dell’hotel avevano appena finto di sistemare per il pranzo a buffet. Fece per prendere un bicchiere di aperitivo da un vassoio, quando la sua mano si scontrò con quella di un altro “assetato”.
- Prego.- Paolo le porse il bicchiere con un sorriso e nel prenderlo le loro dita si sfiorarono.
Era impressione sua o lui aveva sussultato? Era impressione sua o le sue dita non accennavano a spostarsi? Era impressione sua o la stava guardando in un modo strano? Era impressione sua o stava per essere colpita da un infarto fulminante?
Il cuore le batteva forte nel petto, lo sentiva premerle con forza contro la gabbia toracica. Quegli occhi scurissimi incatenarono i suoi fermando il tempo.
- Ah sei qui!- la voce squillante di Giorgio la fece sussultare. Paolo le lasciò il bicchiere e si voltò dall’altro lato. L’incantesimo si era rotto.



Salveee! Incomincio ringraziando al solito tutti coloro che leggono la mia storia e chi soprattutto impiega del tempo facendomi sapere cosa ne pensa. Grazie mille.
: ) Ho risposto alle recensioni singolarmente e quindi vi do appuntamento al prossimo capitolo che sarà dedicato alla sera finale della rimpatriata in cui accadrà qualcosa.. : ) So già che con questo capitolo molti di voi mi odieranno visto che da quanto ho capito tutte tifate per Ben.
Mancano ancora molti intensissimi capitoli e la storia non finirà con la rimpatriata. Penso di aggiornare presto quindi non mi morite di curiosità XD. A presto. Manymany.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Fuochi d'artificio! ***


Image and video hosting by TinyPic

Buona lettura!



CAPITOLO XVII: Fuochi d'artificio!

 
L’acqua calda le correva lungo il viso, lavando via il sudore della giornata trascorsa all’aperto ma non la sua coscienza sporca.
Si sentiva in colpa. Verso Marta, verso Ben, verso se stessa.
Era certa di quello che aveva provato, era certa di aver interpretato bene lo sguardo di Paolo.
Cosa doveva fare? Come doveva comportarsi? Doveva assecondare ciò che  il cuore( ma assolutamente non la testa) le diceva di fare?
“ No! No! Mai! Io non sono così. Non posso essere la causa della fine di un matrimonio, non posso. Ma voglio. Maledizione! Voglio che lui mi guardi ancora in quel modo. Sono un’idiota. Sono un’idiota!”
Le lacrime si aggiunsero all’acqua, scorrendole lungo le guance.
Era una cosa impossibile. Insensata. Lo sapeva, ne era perfettamente consapevole, ma non poteva farci niente. Non poteva combattere contro se stessa, contro quello che era più forte di lei.
- Viola! Hai intenzione di sbrigarti??- un colpo alla porta la fece sussultare.
- Dammi cinque minuti. - urlò in risposta.
Girò la manopola della doccia arrestando il flusso dell’acqua ma non quello dei suoi pensieri.
Ben era un altro problema. Non sapeva cosa provava per lui. Aveva il potere di farle battere il cuore  a mille e certe volte sembrava capirla ancor prima di lei. Ma c’era Paolo.
Sospirò avvolgendosi nell’accappatoio.
- Ti sei decisa!  Stavo già chiamando una squadra di sommozzatori.
Lei si limitò a rispondere con una scrollata di spalle.
- Che hai?- le  chiese lui con malcelata indifferenza.
- Solo un po’ di stanchezza.- provò a glissare lei, ma come aveva pensato proprio poco prima Ben era molto perspicace.
- Immagino che lanciarsi sguardi intensi con un uomo sposato di cui non si sa più nulla da anni sia molto faticoso.- le disse in tono aggressivo.
Viola incassò il colpo che la lasciò all’inizio senza fiato per poi farle montare dentro una rabbia incontenibile.
- Ma che ne sai tu? Come ti permetti di giudicarmi? Non mi conosci, non sai quello che sto passando… Non…- urlò.
- Io ti conosco meglio di quanto tu creda!- la interruppe lei con la stessa foga. - C’è un’unica differenza tra quello che pensavo all’inizio di te e quello che penso adesso. Ti credevo una donna frivola attaccata solo alle apparenze, una snob, come ti dissi. Beh sei molto peggio. Sei sì frivola, superficiale, ma anche disposta a tutto pur di ottenere quello che vuoi. Non ti fermi davanti a niente e a nessuno e sei meschina. Pronta a far pagare, con gli interessi il torto che Marta ha fatto cinque anni ad una ragazzina.
Le parole furono interrotte dal suono secco della mano di Viola sulla guancia di Ben.
Il silenzio si fece pesante.
Ben la guardava con gli occhi spalancati e furenti.
- Sc..scusami. Non volevo!- Viola appoggiò una mano sul suo braccio, voleva scusarsi. Quello che aveva fatto non era da lei ed era imperdonabile. Lui si allontanò bruscamente ed entrò in bagno.

Di male in peggio. Tutto era un immenso macello. Tutto. La sua vita si stava srotolando a causa di una stupida rimpatriata, a causa di un'ossessione del passato e a causa di un uomo che non conosceva ma che forse conosceva lei.
Prese le sue cose ed uscì nel corridoio per poi bussare in lacrime alla porta di Melissa.
- San Crispino! Che ti prende?- le chiese l’amica stupita con una delle sue esclamazioni preferite.
- E’ che sono una stupida! Una stupida, stupidissima idiota!
- Oh quanta autostima. Perché non mi racconti tutto dall’inizio e non smetti di allagarmi la stanza?
Sorrise, grata all’amica che riusciva sempre a tirarla su.
Le disse di Paolo, delle parole di Ben e di come si sentisse confusa e in colpa.
- Cosa devo fare Mel?- le chiese disperata.
- Io non posso dirti cosa fare Viola. E’ la tua vita e devi viverla come vuoi, senza lasciarti influenzare da niente e da nessuno. Posso solo consigliarti di non essere impulsiva, di capire davvero cosa vuoi.
- Io non so cosa voglio. Non lo so. O meglio io posso dirti che per Paolo sento qualcosa. Ma se fosse davvero un desiderio di riscatto? Se fosse solo questo? Ma in ogni caso come potrei guardarmi allo specchio sapendo di aver distrutto una famiglia? Per quanto io possa amare Paolo arriverei ad odiarmi. Non c’è soluzione.
- Se è questo che credi cerca di mantenere questa linea, sii onesta con te stessa prima di tutto. Adesso vado a farmi la doccia o non riuscirò mai ad essere pronta in tempo.
Rimasta sola Viola iniziò a prepararsi con ancor meno entusiasmo di prima.

Seduta accanto a Ben per tutta la durata della cena. Lui non la guardava mai negli occhi, rivolgendole a stento la parola. Guardandolo di sottecchi vide un segno rosso sulla sua guancia sinistra. Un piccolo graffio causato molto probabilmente dal suo anello e abbassò gli occhi. Vergognandosi di se stessa.
Giorgio che era seduto di fronte a lei la distrasse con le sue chiacchiere.
- Ma visto che io e Melissa abbiamo qualche giorno libero ti dispiacerebbe se venissimo a farti compagnia nella tua metropoli per qualche giorno?
- Questa è l’idea migliore che tu abbia avuto negli ultimi ventiquattro anni Giorgio! - disse lei con entusiasmo.- Certo che potete! Anzi dovete!
- Sicuro? Non è che disturbiamo i due piccioncini?- insistette lui in tono malizioso.
Non aveva ancora pensato a come spiegare la fine del rapporto con Ben.
- Nessun disturbo -si limitò a dire.
La voce di Carla squillò per tutta la sala. Annunciando l’inizio della serata danzante. Il dj piazzò la prima traccia degli anni in cui erano in classe insieme.

“ Quante  cose che non sai di me,
 quante cose che non puoi sapere,
   quante cose da portare nel viaggio insieme”

Quella era una delle due canzoni che la riportavano a quei momenti di cinque anni prima. Alla sua “storia” con Paolo. Giorgio la invitò a ballare. Poi si passò ai balli dance e tutti si scatenarono in pista. Ben però non si vedeva da nessuna parte. Dov’era finito? Perché il loro rapporto si era rovinato così? Il giorno prima aveva creduto che tra di loro ci fosse sintonia, quasi affetto e invece era stata solo un’illusione. Un evento sporadico. Si sentì toccare il braccio.
- Balli con me?- come materializzato dai suoi pensieri lui le si parò di fronte.
- Certo.
Lui la prese tra le braccia e iniziarono a muoversi lentamente, a ritmo di How To Save A Life dei The Frey.
- Mi dispiace per oggi Ben, davvero.- disse dispiaciuta.
- Non parliamone più.- tagliò corto lui.- Abbiamo esagerato entrambi.

- Bene ragazzi! Il momento tanto atteso è arrivato. E’ ora di eleggere Mister e Miss III F, Cinque Anni Dopo!Ai vostri posti troverete una busta in cui scrivere i nomi dei due compagni, un uomo e una donna, che sono “invecchiati” meglio. Ai vincitori, lo scettro e la corona della vittoria!- proclamò Carla.
 Finite le "operazioni di voto" la compagna risalì sul palchetto per proclamare i vincitori. Lei rimase seduta, poco interessata a quelle banalità. Voleva parlare con Ben, cercare di capire se fosse possibile ristabilire un rapporto civile.
- Allora, devo dire che i risultati sono quasi unanimi. Una vittoria schiacciante sia per gli uomini, sia per le donne. Rullo di tamburi Dj! Mister III F cinque anni dopo è………. Paolo Giunti! Vieni sul palco Paolo!- proruppe Carla festante.
La sua attenzione fu catapultata su quanto stava avvenendo alle sue spalle. Vide un Paolo imbarazzato raggiungere Carla, la mano alzata a tormentarsi i capelli in quel gesto che lei conosceva bene e che sapeva voler dire nervosismo. Era certa che a breve l’avrebbe raggiunto Marta. Erano proprio una bella coppia, lo sapeva. tornò a guardare altrove.
- E adesso prima di procedere all’incoronazione, diamo a questo re una regina. Anche qui il voto è stato abbastanza unanime. Miss III F Cinque Anni Dopo è...... Rullo di tamburi..... Viola Perni!
Lei sussultò restando però inchiodata al suo posto. Aveva sentito bene? Aveva detto il suo nome?
- Raggiungi il tuo re Viola.- le disse Ben secco, seduto accanto a lei, lo sguardo fisso in avanti.
- Su Viola non fare la timida. Sali sul palco. - urlò la campagna al microfono.
Si alzò e raggiunse Carla e Paolo, morta di vergogna.
- Bene cari compagni, la sera giunge al termine. E’ stato un piacere per me rivedervi tutti, o quasi, dopo cinque anni. Devo dire che è stato molto divertente. Spero che ci rivedremo tutti presto. Adesso bando alle ciance! Procediamo all’incoronazione dei due più belli della classe e poi lasciamogli ballare l’ultimo ballo. Al termine del quale vi invito ad uscire nei vari terrazzini, per l’ultima sorpresa.
Carla mise una enorme corona di plastica sulla testa di Paolo e gli consegnò uno scettro tempestato di gemme di plastica poi fece lo stesso con lei.
La musica iniziò a fuoriuscire dalle casse provocandole un crampo allo stomaco. Non quella, non proprio quella.
Paolo la guardò con un sorriso e le fece cenno di scendere dal palco. Lei ubbidì come un automa.
Si risvegliò solo sentendo le mani di lui appoggiarsi sulla sua schiena e stringerla contro di lui.
Ancora una  volta i loro occhi si fusero.

"E ti scorderai di me
Quando piove i profili e le case ricordano te
E sarà bellissimo
Perché gioia e dolore han lo stesso sapore con te
Vorrei soltanto che la notte ora velocemente andasse
E tutto ciò che hai di me di colpo non tornasse
E voglio amore e tutte le attenzioni che sai dare
E voglio indifferenza se mai mi vorrai ferire
Non basta più il ricordo
Ora voglio il tuo ritorno..
E sarà bellissimo
Perché gioia e dolore han lo stesso sapore con te"


Quante volte aveva ascoltato quella canzone pensando a lui? Quante? Non si potevano contare.
La canzone finì, Viola cercò di dissimulare lo sconcerto, cercando di mettere più distanza tra loro. Vide i suoi compagni uscire nella grande terrazza in cui era stata la sera prima con Ben e si voltò per raggiungerli. Ma la mano di lui la trattenne.
- Usciamo da questo lato. - disse.
Lei lo seguì, la mano nella sua.
Arrivati in balcone lei si voltò per non guardarlo, era a disagio. Ancora più dei precedenti incontri non sapeva come comportarsi, conscia dell’atmosfera strana che si era creata e soprattutto dei propositi che aveva fatto.
- Viola..- sussurrò lui.
Si voltò a guardarlo, incerta. Magari si era solo sbagliata. Era tutto normale.
- Viola.. - ripetè guardandola con intensità e appoggiandole una mano sulla guancia.
Come se si fosse scottata lei fece un passo indietro.
- Cosa vuoi Paolo?- il tono le era uscito più freddo di quanto volesse.
- So che sei confusa Viola, lo sono anche io ma non puoi negare che tra di noi..
- Tra noi niente Paolo. Assolutamente niente!- si affrettò a negare.
Lo vide avvicinarsi ancora di più e rimettere la mano sulla sua guancia.
- Non mentire Viola, non ne sei capace. Sai benissimo anche tu cosa voglio dire.
- No, no che non lo so. Non mettermi in posizioni in cui non posso e non voglio stare. Non va bene. Non lo accetterei mai!- protestò con forza.
Provò di nuovo a ritrarsi ma lui la trattenne.
- Tra me e Marta è finita Viola, da molto tempo. Subito dopo la nascita di Marco ci siamo accorti che i motivi per cui litigavamo quando ci siamo conosciuti erano sempre là.  Ma abbiamo cercato di andare avanti, per il bambino. Solo che più aventi si andava e peggio era. Così abbiamo deciso di lasciarci.
Lei rimase in silenzio soppesando quelle parole. Doveva crederci? E in ogni caso cosa cambiavano quelle parole? Lui dovette intuire il suo scetticismo.
- E’ davvero così Viola, abbiamo avviato le pratiche della separazione poco tempo fa. Adesso Marco ha l’età per capire.
- E questo cosa vuol dire?
- Vuol dire che rivederti è stata un’emozione forte per me, che voglio capire a cosa potrebbe portarci questo, che voglio sapere come sei diventata, che voglio vedere se avevi ragione tu cinque anni fa, se è giusto stare insieme.
- Tu sei arrivato a tutto questo in due giorni! E secondo te io dovrei essere qui a fare i salti di gioia e dirti "si Paolo, fa niente, ti ho sempre aspettato". E’ questo che vuoi?- gli chiese arrabbiata, distogliendo gli occhi dai suoi. Non poteva reggere quello sguardo. Quello era il “finale” perfetto che aveva ipotizzato cinque anni prima. Ma ora era quello che voleva ancora?
- Io voglio che tu faccia quello che ti senti di fare Viola, solo questo. Io voglio provarci. Dammi questa possibilità.- sussurrò lui costringerla ancora una volta a guardarlo. Poi mentre i primi fuochi d’artificio scoppiavano nel cielo illuminando la notte Paolo la baciò. Stringendola a sè. Lei ricambiò il bacio, stordita dal suo profumo. Il profumo che lui aveva anche cinque anni prima. Quello era l’odore del passato.




Ciao a tutti?!!!Mi uccidete??? No dai.. La storia è tutt’altro che finita! Non date niente per scontato ci sono ancora troppi fili da sciogliere. Anche questo capitolo è stato abbastanza difficoltoso. Credo che mi sia venuto fuori un po’ troppo melenso ma non so in che altro modo descriverlo.. Allora che ve ne pare? Ringrazio tutti coloro che hanno letto, hanno aggiunto la storia tra le seguite, le preferite e chi ha aggiunto ME( ne sono onoratissima) tra gli autori preferiti. Non credo davvero di meritare le vostre attenzioni ma cavolo se non fanno piacere!!! Un grazie immenso anche a chi ha recensito. Vi do appuntamento al prossimo capitolo. Sperando che decidiate di seguirmi ancora. A presto. manymany

IL VESTITO DI VIOLA PER LA SERATA
Image and video hosting by TinyPic

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Partenza. ***


Image and video hosting by TinyPic

Buona Lettura!



CAPITOLO XVIII: Partenza.



Dove diavolo era finita Viola? L’aveva cercata per tutta la terrazza e poi nella sala e perfino nel bagno delle donne. Non c’era da nessuna parte.
Stava per salire in camera per cercarla lì quando la brezza spostò la tenda di un balcone laterale. E la vide. Anzi li vide.
Senza dire una parola si voltò dall’altra parte e salì in camera.
Il suo compito era finito, doveva togliere il disturbo.


Viola se ne stava ancora tra le braccia di Paolo. I fuochi d’artificio erano finiti ma lei sentiva ancora l’eco rimbombarle nelle orecchie.
- Vedrai che non ti deluderò. Ti saprò fare felice, come meriti.- le sussurrò lui nell’orecchio. Lei sorrise, strusciando il naso sul suo collo. Poteva starsene lì per ore, il suo odore era qualcosa di meraviglioso.
Stava per rispondergli che non vedeva l’ora quando un rumore di passi li interruppe.
Marta scostò le tende e uscì sul balcone.
- Bene, bene, bene! Sei riuscita in quello che volevi da anni Viola. Mi fa piacere.- Marta incrociò le braccia e le parlò con disprezzo.
- Senti Mar..- iniziò Paolo.
- Sta zitto tu! Sto parlando con lei.
- La vostra storia è finita Marta, non dare a me colpe che non ho.
- No? Non hai colpe? Tu sei una stronza! Noi stiamo attraversando un momento difficile e tu ne hai subito approfittato per riprenderti un sogno di ragazzina. Che ne sai tu di lui? Che ne sai di come è davvero? Sei solo una povera illusa. Una bambina immatura.- le urlò in faccia.
- Io posso capire come ti senti ma…
- No! Non osare dirmi che sai cosa provo. Tu non hai idea di cosa voglia dire stare tutti i giorni per cinque anni con una persona e poi assistere a un fallimento così. Tu non sai niente!- biascicò con odio.
Marta era fuori di sé, Viola non voleva litigare. Era una questione che dovevano affrontare Paolo e Marta. Lei era arrivata dopo la loro rottura.
- Non voglio entrare nelle vostre cose..
- No? Guarda mi fai pena. Sei anche codarda. Non vuoi affrontare l’argomento oggi, così come non hai voluto cinque anni fa.
Il riferimento a quanto era accaduto in passato le fece perdere definitivamente la calma.
- Non ho affrontato l’argomento perché non c’era più niente da dire. Sai benissimo cosa pensavo di te e cosa penso ancora oggi. Cinque anni fa io e te eravamo amiche e tu sapevi benissimo cosa provavo per lui. Con che coraggio mi ascoltavi parlare di lui quanto te l’eri appena portato a letto? Se c’è qualcuno che può farmi la morale non sei certo tu Marta. Se hai qualcosa da chiarire chiariscila con lui. Io non c’entro niente con la vostra separazione.
- Hai ragione, io mi sono comportata da stronza. Ma la differenza tra me e te qual è Viola?- le disse sarcastica.
- Marta..- riprovò a dire Paolo.
- Non osare metterti in mezzo.- biascicò inviperita Marta.
- La differenza tra me e te è che  io e te non siamo più amiche. Che io non ti ho raccontato balle per mesi. Non ti devo scuse anche perché io non te lo sto portando via. Detto questo io me ne vado.
- Viola, aspetta.
- Credo che tu abbia qualcosa da chiarire con tua moglie. Ci sentiamo dopo.
Viola entrò nella sala con un sospiro.
“Che fatica”.


Salì in camera con la consapevolezza di dover affrontare Ben.
Aprì la porta e lo trovò intento a sistemare le sue cose in valigia.
- Cosa stai facendo?- chiese sorpresa.
- Non ti è chiaro?- chiese alzando a stento lo sguardo dalla poltrona su cui aveva appoggiato la valigia.
- Ho capito che te ne stai andando. Non capisco il perché.
- Non ti è chiaro nemmeno questo?- le chiese ironico.
- Perché non la finiamo con gli indovinelli e non mi dici chiaramente a cosa ti riferisci?
- Senti davvero non mi va di stare a discutere ancora. Sono venuto con te e ho cercato di aiutarti, il mio “compito” è finito. Me ne torno a casa.
- Non capisco, ma se vuoi andartene non posso certo trattenerti.
- Già.- Poi lo vide frugare ne portafogli e lasciare delle banconote sul comò.
- Cosa stai facendo?- gli chiese stupita.
- Lascio la mia quota.- prese il trolley e si guardò intorno per controllare di non aver dimenticato nulla.
- Non c’è bisogno, sei venuto  per aiutare me e pago io.
- Non mi serve elemosina Viola, non sarò ricco ma posso benissimo pagarmi una stanza. Sono venuto per aiutarti, di mia spontanea iniziativa. Non sono un gigolò che va pagato alla fine.
 - Ma…
- Niente  ma!-  Fece per uscire dalla porta ma lei lo bloccò.
- Senti Ben, davvero. Non possiamo parlarne con calma?
- Di cosa dobbiamo parlare? Non c’è niente da dire! La “recita” è finita, non vedo perché devo continuare a perdere il mio tempo qui e non vedo perché adesso ti preme tanto capire cosa penso io quando mi hai fatto capire chiaramente che il mio giudizio non è importante.
- Voglio solo capire perché adesso ti stai comportando così. Se è per lo schiaffo di oggi ti ripeto che mi dispiace e che sono stata davvero imperdonabile.
- Non è per quello. Ti ho visto con Paolo, ti faccio le mie congratulazioni anche se non approvo il tuo comportamento ma abbiamo già stabilito che questo è irrilevante.
- Ah è per questo, io..
- Non mi interessa Viola, non mi strapperò i capelli per questo. Non sono il tuo tutore se vuoi rovinarti la vita sono problemi tuoi.
- Non è come credi, lui e Marta si sono separati.
- Bene, allora doppie congratulazioni, hai realizzato “il sogno della tua vita”.
- Non è come credi tu, Ben. Io lo amo..- protestò timidamente lei.
Lui la guardò negli occhi in silenzio, poi afferrò il trolley e aprì la porta.
- Io forse sono il meno indicato per dare lezioni sull’amore ma sono certo di una cosa: si dice amore quando ami una persona così com’è, non per come potrebbe essere. Ciao Viola e tanti auguri.
Chiuse la porta alle sue spalle lasciandola sola in camera.




Ciao a tutti!!! scusate per il ritardo ma in mia discolpa posso dire che sono influenzata morta e che mi sto riprendendo un po' solo oggi... Grazie a tutti per aver letto il capitolo precedente. Ho risposto alle recensioni singolarmente ma ne approfitto per ringraziare ancora le mie care sostenitrici :)
Andiamo a questo capitolo. Che ve ne pare? Aspetto come sempre i vostri preziosissimi pareri. A presto! baci. Manymany

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Fantasmi, fantasmi e ancora fantasmi! ***


Image and video hosting by TinyPic

Buona Lettura!



CAPITOLO XIX: Fantasmi, fantasmi e ancora fantasmi!




Viola si lasciò cadere sul letto, esausta. Quei due giorni erano stati interminabili. In poche parole le erano successe più cose in quelle quarantotto ore che in cinque anni.
Sospirò e si raggomitolò sul letto abbracciandosi le ginocchia.
“Paolo”.
Se avesse potuto guardarsi allo specchio era certa che avrebbe visto i suoi occhi trasformarsi in due enormi cuoricini fucsia come quelli dei cartoni animati.
Per quanto tempo aveva pensato a lui. In sostanza erano ormai otto anni. Otto. Un terzo della sua vita. Adesso conosceva il sapore delle sue labbra, l’intensità dei suoi abbracci e l’odore della sua pelle era ancora su lei. Se il risultato era quello, se si poteva ottenere la perfezione, valeva la pena aspettare tutto quel tempo, soffrire tanto. Si? Non ne era del tutto convinta, aveva passato dei momenti davvero orrendi.
“ Basta con i pensieri negativi Viola. Adesso hai quello che volevi, hai l’uomo che ami e devi vivertelo senza rancori, senza i fantasmi del passato. Tu ami Paolo. Ben sbaglia, lui pensa di conoscerti ma a conti fatti non è così! In fondo da quanto vi parlate? Cinque giorni? Una settimana? Quei baci a casa dei tuoi non sono stati nulla, si ok lui è carino, eri attratta da lui e  ti sentivi sola ma è Paolo l’uomo che ami. E‘ lui.”
Qualcuno bussò alla porta e per un momento la sfiorò l’idea che potesse essere Ben. Non sapeva il perché le fosse venuto in mente proprio lui. Era partito da un’ora e doveva essere ormai per strada. Si alzò ed aprì la porta. Ed infatti non era Ben. Era Paolo.
- Ciao.- le disse sorridendo. Sembrava aver perso un po’ della sua spavalderia e la guardava con quello sguardo dal basso verso l’alto che l’aveva sempre intenerita.
- Tutto ok? Pensavo che Marta ti avesse azzannato.- gli rispose in tono forse un po' troppo acido.
“Prima regola del buon rapporto con Paolo, non rivangare il passato. Seconda regola del buon rapporto con Paolo, non essere acida nei confronti di quella che a conti  fatti è ancora sua moglie. Selfcontrol Viola. Questa è la nuova parola d’ordine.”
- L’ho temuto anch’io.- lui fece una pausa iniziando a tormentarsi i capelli.-  So che non posso chiederti di capirla, né di metterti nei suoi panni ma.. Sta soffrendo. La fine di una storia porta sempre sofferenza. Io non la amo più ma è e sarà sempre la madre di mio figlio.
“Ricorda la seconda regola, Viola. La seconda. E.. Viola. Selfcontrol. Non scordarti di respirare e selfcontrol. S-e-l-f-c-o-n-t-r-o-l!”
- Lo so! Non è mia intenzione fare la guerra. Forse però sarebbe il caso affrontare l’argomento una volta per tutte.- disse con rassegnazione.
- Non potremmo parlare d’altro?- le disse avvicinandosi e circondandole la vita con le braccia.
- Uhm e di cosa vorresti parlare?- gli chiese sorridendo come un'idiota.
- Del fatto che sei bella. - le disse baciandola- Del fatto che abbiamo tanto tempo da recuperare...
- A proposito. Non credo che si debba recuperare tutto il tempo perso adesso. Dobbiamo imparare a conoscerci di nuovo. Io non sono più quella di cinque anni fa e sono certa che anche tu sei cambiato.- disse staccandosi da lui.
- No, io sono sempre lo stesso.- disse provando a baciarla di nuovo.
Viola avvertì una sensazione di fastidio.
- Sono seria Paolo.
- Anche io! C’è tempo per parlare.
La sua pazienza stava per finire davvero.
Per anni aveva sognato quel momento, per anni aveva immaginato come potesse essere stare con lui e allora perché c’era qualcosa che la infastidiva? Come una zanzara che ti ronza in un orecchio e ti risveglia da un bel sogno.
- Io voglio parlarne adesso Paolo. Prima di qualsiasi altra cosa voglio conoscerti di nuovo.
Lui la guardò stranito.
- Ci conosciamo da otto anni. - replicò lui imperterrito.
Si scostò da lui passandosi una mano tra i capelli.
Era sempre così. Sempre. Quando le capitava una cosa bella doveva esserci sempre qualcosa che la rovinava. Era lei il problema o il suo disagio era reale? Perché lui le sembrava totalmente disinteressato a conoscerla davvero? Perché le sembrava uno dei tanti che volevano passare qualche ora in compagnia di una donna. Non vedeva nei suoi occhi un reale interesse. Se lo stava immaginando? Era solo il riflesso delle sue paure o semplicemente era quello che aveva sempre pensato di sé stessa? Che non sapeva godersi il presente? Che voleva sempre troppo, quel troppo che non esisteva. Forse aveva vissuto davvero nei sogni per troppo tempo.
Si voltò a guardarlo di nuovo.
- Credo che dovremmo parlarne con calma Paolo, non è che così che voglio che inizino le cose tra di noi. Voglio chiarezza.
- Sono stato chiaro. Voglio provare a stare con te.- le ripeté con lo stesso tono impaziente di prima.
- Con me in che senso?
- In tutti i sensi. Non capisco cosa ti prende. Pensavo lo volessi anche tu. Hai lasciato anche il tuo ragazzo per me no?
- Si.- adesso era lei quella impaziente. possibile che non capisse?- Ma come ti ho detto prima in terrazza non puoi pretendere che le cose si mettano a posto così in un niente, ci vuole pazienza, dobbiamo vedere se è possibile stare insieme e non ho intenzione di dividere questa stanza, né un’altra, con te prima di averlo capito.
Lo aveva detto. Ci era riuscita.
- Bene, non c’è bisogno di scaldarsi tanto.- lui sembrava risentito ma le sorrise- Posso darti il bacio della buonanotte o non mi è concesso nemmeno questo?
Lei gli si avvicinò sorridendo e si strinse contro di lui.
- Devi darmi tempo Paolo.- il naso affondato nel suo collo e tutto perdeva senso di nuovo. Perché stava facendo tutte queste scene? Non poteva lasciarsi andare e basta?
“Ricordati che vuoi di più. Non ti puoi accontentare. Lui è Paolo, non è uno dei tanti. O tutto o niente.”
La sua voce interiore, che di solito le creava solo scompiglio, per una volta le portò un barlume di lucidità.
- Va bene.- disse lui piano.
Sospirò e si staccò da lui.
- Io domani devo ritornare nella mia città.
Un’altra cosa a cui non aveva pensato. La distanza.
- Ti accompagno io.
- Puoi?
- Posso. - disse con un sorriso- Voglio che questa cosa funzioni Viola.- Lui la baciò ancora e poi indietreggiò. - Vado adesso.


Viola si girava e rigirava nel letto. Era felice assolutamente. Lo era no? Ovvio!  Ma perché allora sentiva dentro di sé quel fastidio? Quella sensazione che qualcosa fosse fuoriposto.
“Si dice amore quando ami una persona così com’è non per come potrebbe essere!”
Le parole di Ben bussarono alla porta del suo cervello.
Lì per lì non ci aveva dato molto peso, convinta di quello che sentiva.
- E infatti io voglio conoscerlo di nuovo, Ben Stolfi! Lasciami in pace.- disse a voce alta.
Si rigirò nel letto. Ma Ben non la lasciava in pace. In pochi, pochissimi giorni lui le aveva dato il tormento, avevano litigato, era arrivata perfino a colpirlo, ma non poteva negare che lui le era stato accanto e le aveva dato molto forza. Sperò che con il tempo riuscisse a stabilire con lui un rapporto di amicizia.
Ma subito dopo aver formulato quel pensiero si disse che era una sciocchezza.
Lei e Ben non sarebbero mai stati davvero amici ma non riusciva a dare una spiegazione logica a quella sua convinzione.
Si addormentò facendo strani sogni popolati da fantasmi del passato e fantasmi del presente.



E rieccoci qui con  un nuovo capitolo. Ora so che la mancanza fisica del vostro BENiamino vi porterà ad odiarmi ancora di più. Ma non disperate la presenza di Ben c’è e si fa sentire. Che dire di Viola? Si sta rendendo conto di aver sbagliato o è solo incontentabile? Una che non sa godersi la felicità? Aspetto i vostri pareri.
Grazie a tutti coloro che seguono le mie storie. Siete stupendi. : ) un bacione. A prestissimo. Manu!

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Jazz&Rock ***


CAPITOLO XX:Jazz&Rock



Tic Tic Tic.
La suola delle sue scarpa batteva ritmicamente sul pavimento di marmo della hall. Stavano insieme da nemmeno dodici ore e già Paolo le dava buca? Ma stavano davvero insieme? Beh, si frequentavano o qualcosa di simile!In ogni caso dove era finito?
- Le chiamo un taxi signorina?- la voce melodiosa e inspiegabilmente compiaciuta le fece la stessa domanda per la terza volta nell’ultima mezzora.
- No. La ringrazio “ancora”.- disse calcando sull’ultima parola sperando che la smettesse di essere così insistente. Sarebbe arrivato.
Ma dopo un quarto d’ora lui non si faceva ancora vivo e il cellulare continuava ad essere staccato.
- Le..- iniziò la receptionist.
- Non mi serve il taxi. - urlò quasi in tono strozzato. Afferrò il trolley e uscì dall’hotel tirando fuori il cellulare e componendo un altro numero.
- Pronto?- fece una voce assonnata.
- Mel, stavi dormendo? Sono le dodici e mezza!- disse in tono divertito.
- Uhm giusto un po’! Che è successo?
- Ho bisogno di un favore. Devi venirmi a prendere al Belvedere. Ho bisogno di un passaggio alla stazione e non ho intenzione di dare soddisfazione a questa odiosa signorina e di andare via in taxi- disse in tono irritato.
- Aspè frena, frena! Taxi? E perché devi andare alla stazione? Che ne è stato di Ben?
Improvvisamente si ricordò che non aveva ancora avuto modo di parlare alla sua amica di quanto era accaduto la sera prima. Dopo che Paolo era andato via aveva pensato di chiamare Mel che era tornata a casa dei genitori quella sera stessa e raccontarle tutto ma si sentiva così confusa che aveva preferito rimandare.
- Ah..ehm.. Ben è andato via.
- Via dove? E ti ha mollata lì?
- Si..in un certo senso! Cioè doveva venirmi a prendere Paolo ma..
- Paolo??? E che c’entra ora il sottaceto?- le chiese in tono confuso.- Anzi no, non dirmelo. Sono ancora mezza addormentata e la situazione è già troppo ingarbugliata dammi dieci minuti e sono lì.
Mel arrivò ancora prima dei dieci minuti promessi, con i capelli umidi e scarmigliati.
- Scusami per questa maratona.
- Ahhh.. Non dire cretinate. Ma mi spieghi che è successo? Ben, Paolo! Mi sembra Beautiful la tua vita ultimamente. Avanti Brook svuota il sacco.
- Ohi mi stai dando della pazza sclerata, malata di uomini!- protestò sorridendo.
- Beh in effetti!- continuò lei prendendola in giro.
- Ehi!- disse dandole un colpetto sul braccio.
- E dopo il primo livido della giornata ti decidi a dirmi che è successo??
- Ok. Allora, ieri sera dopo la festa, io e Paolo ci siamo baciati e..- iniziò.
- Che? Ma non dicevi che non volevi metterti tra lui e Marta?- urlò quasi Mel.
- Si, si ma infatti loro si sono lasciati. Fammi finire.
Le raccontò tutto per filo e per segno.
- Azz! Bel quadretto!
- Già. Ma adesso non capisco cosa sia successo! Perché non si è presentato? Ci avrà ripensato. Sono una stupida.
- Ehm..- mugugnò in segno di assenso Melissa.
- Grazie, mi sei davvero di conforto.
- Su su era per sdrammatizzare. Comunque adesso vedremo. Ti accompagno alla stazione, appena riuscirò a liberarmi dai tentacoli dei miei genitori prometto che verrò a trovarti nella tua metropoli. Nel frattempo ci sentiremo spesso, come sempre.
Le tre ore di treno sembrarono non passare mai. Aveva tenuto sempre il cellulare in mano sperando di avere notizie di Paolo ma lui non si faceva sentire e lei aveva deciso di non provare più.
Alla stazione prese un taxi e tornò a casa.
Casa dolce casa. Sembrava essere passato un secolo da quando era partita da lì e invece erano passati solo due giorni. Sospirò e fece le due rampe di scale a piedi ma arrivata davanti a casa sua si accorse che la porta era socchiusa. Il sangue le si gelò nelle vene. Qualcuno si era introdotto nel suo appartamento. Rimase pietrificata per qualche secondo poi si avvicinò al portoncino e lo spinse aprendolo del tutto. L’appartamento era al buio ma vide subito i cuscini del divano del salotto gettati in mezzo alla casa e i libri della libreria sparpagliati un po’ ovunque, fece per avvicinarsi all’interruttore quando un’ombra sbucò da un angolo e la spinse via dalla porta facendola cadere a terra violentemente per poi scavalcarla e fuggire. L’urto contro il pavimento o forse solo la paura le fece perdere i sensi.
Si svegliò rintontita, non riuscendo a ricordare cosa fosse successo. Poi realizzò e si alzò dal pavimento. Tremando. Cosa poteva fare? Non le venne in mente di chiamare i carabinieri ma cercò in rubrica il numero dell’unica persona in quella città a cui si sentiva vicina. Il telefono squillò a lungo a vuoto.
“ Rispondi, maledizione, rispondi!”
Le lacrime iniziarono a pungerle dietro le palpebre. Stava quasi per staccare quando una voce emerse dall’altoparlante del telefono.
- Cosa vuoi Viola?- le chiese in tono brusco.
- Ben ti prego, vieni a casa mia. - iniziò a piangere senza ritegno. Sapeva di stare facendo la figura dell’idiota ma non le interessava. Il suo corpo tremava senza che lei potesse farci niente e si sentiva impotente.
- Che ti è successo?- il suo tono aveva perso la scontrosità e si fece attento.
- E’ entrato qualcuno a casa mia è tutto un casino, stavo entrando e lui è scappato via.
- Ok, sono in macchina e non molto lontano da te. Stai tranquilla, non ci vorranno più di cinque minuti, continuiamo a parlare.
Lei non aveva voglia di parlare, non sapeva che dire, ancora in preda allo shock, ma sentire la sua voce la aiutò a calmarsi un po', poi quando sentì il rumore dei suoi passi nelle scale gli corse corse incontro di nuovo in lacrime e lo abbracciò in cerca di conforto. Lui ricambiò la stretta in silenzio. Aveva i battiti accelerati e lei lo attribuì alle scale fatte di corsa, quel rumore ritmico sotto l’orecchio le fece ritrovare un po’ di autocontrollo e si scostò leggermente da lui.
- Grazie Ben.
- Non dirlo nemmeno per scherzo. Come stai? Questo livido? Ti ha colpita?- le chiese in tono sommesso sfiorandole la tempia.
- No, mi ha spinto e sono caduta. Non mi fa molto male, passerà.
- Hai chiamato i carabinieri?
- No, no. Ero stravolta e non mi è passato in mente niente, ho chiamato solo te.
- Vedi che ti salvo sempre?- le disse scherzoso stringendola ancora a sé.
Lei affondò il viso nella stoffa del suo giubbotto avvertendo l’odore della pelle conciata e ancora il battito del suo cuore. Si sforzò di non scoppiare di nuovo in lacrime, si sentiva già abbastanza patetica ma non le era mai capitata una cosa simile.
Si sentiva indifesa e vulnerabile. La sua casa era il suo mondo. Il luogo in cui era se stessa al cento per cento e in cui si era sempre sentita al sicuro. Ma a conti fatti non era proprio così. E se fosse stata in casa quando quell’uomo era entrato? E se lui non si fosse limitato a spingerla e a scappare via? Rabbrividì stringendosi ancora di più a lui. Avvertì le labbra di lui posarsi sulla sua fronte per poi sussurrarle all'orecchio che andava tutto bene. Sentì una sensazione strana allo stomaco, come se qualcosa le stesse solleticando le viscere e il cuore iniziò a batterle impazzito, si scostò impaurita.
- Che hai?- le chiese lui preoccupato.
- N..niente credo che sia il caso di chiamare qualcuno per sporgere denuncia.
Lui annuì e lei chiamò le forze dell’ordine, poi si sedettero sulle scale, aspettando la pattuglia, le avevano detto di non entrare nell’appartamento.
Mezzora dopo al seguito di un uomo e una donna con la divisa blu notte, bordata di rosso entrarono nel suo appartamento.
Era peggio di quanto immaginasse. I cuscini del divano non erano semplicemente gettati in giro per casa, ma squarciati con un coltello e tutta l’imbottitura sparpagliata sul pavimento, i libri erano strappati e nella stanza da letto era ancora peggio. Il materasso era stato sventrato e gettato in un angolo della stanza, i cassetti svuotati e staccati dal supporto, abbandonati sul pavimento, le ante dell'armadio aperte e tutti i vestiti buttati a mucchio in un altro angolo. Non si accorse di aver ricominciato a piangere se non quando sentì Ben circondarle la vita con un braccio.
- Metteremo tutto apposto.- le disse in tono incerto.
Sapeva che era una cosa idiota da dire, non era uno stupido e aveva capito che il suo pianto non era dovuto a quel macello ma al fatto che una persona estranea si fosse permessa di toccare e distruggere il suo mondo, ma voleva farle coraggio e lei annuì sorridendo.
Fece la denuncia. Non avevano preso poi molto perché teneva poche cose di valore in casa. Rimasti soli Ben prese in mano la situazione. Andò in camera da letto e rimise i cassetti al loro posto. E il materasso sventrato sulla rete, poi si fece dare dei contenitori in cui mettere tutti i vestiti per portarli poi in lavanderia. Lavorarono per ore. Erano quasi mezzanotte quando la casa aveva assunto un aspetto un po’ più ordinato sebbene ancora disastrato.
- Non abbiamo più niente da fare. Il divano e il materasso devono essere cambiati.
- Già. Mi dai un passaggio in un hotel? Non mi va di restare qui.
- Vieni a casa mia, sei ancora scioccata, non voglio che resti sola.
Lei non tentò neppure di rifiutare, in effetti non aveva voglia di passare una notte completamente da sola.
Prese il trolley ancora intatto e lo seguì in macchina.
L’appartamento di Ben era piccolo ma molto carino. Era composto da un salottino separato dall’angolo cottura da un arco con mattoni a vista. La stanza da letto non era molto grande ma comunque accogliente e il bagno piccolo ma funzionale. Ovunque predominava il blu in varie gradazioni. Blu elettrico i mobili moderni della cucina, Blu scuro l’ampio divano con cuscini a righe blu, bianchi e celesti. Blu le pareti della stanza da letto e la trapunta. Incorniciati e appesi in salotto una enorme quantità di dischi in vinile e su un mobiletto in bella vista un autentico grammofono.
- Che meraviglia!- esclamò Viola accarezzando il prezioso oggetto di antiquariato.
- Già e funziona ancora. Vuoi sentire?- le chiese.
Lei annuì e lui mise un disco sulla piattaforma, delle note jazz si sparsero per la stanza.
- Mi concede questo ballo signorina?- le chiese Ben facendo un inchino.
- Ma certo mio cavaliere.- rispose lei abbassando il capo e tenendosi con la mano un vestito inesistente.
Lui la prese tra le braccia e iniziò a muoversi piano al ritmo della musica. Di nuovo Viola avvertì quella sensazione strana allo stomaco e lo guardò confusa. Lui agganciò il suo sguardo e le rivolse un mezzo sorriso imbarazzato, continuando a ballare lentamente. Poi una suono molto moderno interruppe la magia.
I Nickelback iniziarono a cantare Far Away dall’altoparlante del suo cellulare formando uno strano miscuglio musicale di rock con il jazz che fuoriusciva del grammofono.
This time, this place,
Misused, mistakes,
Too long, too late,
Who was I to make you wait?
Just one chance,
Just one breath
Just in case there’s just one left
Cause you  know
you know ,you know
That I love you
And I love you all along.*

- Scusami.- disse staccandosi un po’ da lui e estraendo il blackberry dalla tasca posteriore dei jeans.
Vide il nome lampeggiare sullo schermo. Guardò Ben negli occhi e capì che anche lui aveva letto il nome.
Paolo.



Ciao a tutti! Scusate il ritardo ma lo studio ha avuto la priorità in questo periodo. Ecco a voi il capitolo numero venti! Che ve ne pare? Spero che la storia non stia diventando troppo banale o scontata, purtroppo non so fare di meglio. Aspetto con piacere i vostri pareri e ringrazio tutti coloro che seguono la mia storia e chi ogni volta mi fa sapere cosa ne pensa. Un bacione enorme a tutti. Di seguito vi lascio la traduzione di Far Away canzone che io amo. .  Ne approfitto per farmi un po’ di pubblicità. Questa notte ho iniziato un’altra storia. Si chiama: Non tutti i mali vengono per nuocere? Se avete un po’ di tempo da perdere e soprattutto se vi va mi piacerebbe sapere cosa ve ne pare. È tutto ancora molto incerto ma spero di riuscire a fare qualcosa di buono. Vi lascio con un bacio. A presto! Baci, Manu!
TRADUZIONE FAR AWAY:
*Questo tempo, questo luogo,
Maltrattato, errori
Troppo a lungo, troppo tardi
Chi ero io per farti attendere?
Giusto un’altra opportunità
Giusto un altro respiro
Giusto qualora ci sia un’altra via
Perché tu sai
Tu sai, tu sai
Che ti amo
Che ti ho amato tutto il tempo

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Maledette Farfalle! ***


Image and video hosting by TinyPic

CAPITOLO XXI: Maledette farfalle.



- Devo rispondere!- sussurrò.
- Non avevo dubbi.- disse lui scostandosi definitivamente da lei.
- Ben io..- Viola provò a trattenerlo.
- Fai pure, vado a farmi la doccia.
Si chiuse in bagno e lei tornò a fissare il cellulare. Adesso allo stomaco avvertiva una strana sensazione di vuoto. Premette il tasto verde del blackberry e i Nickelback smisero di cantare.
- Piccola!
- Paolo.- rispose lei con voce infastidita. Perché diavolo era sparito per tutto il giorno? Perché la chiamava con quel nomignolo eccessivamente confidenziale e odioso?
- Senti so che sei arrabbiata ma lasciami spiegare. Questa notte mio figlio si è sentito male. Lo hanno dovuto operare d’urgenza all’appendicite.
- Come sta adesso?- gli chiese con voce meno brusca.
- Molto meglio. Mi dispiace di non aver..
- Non ti dispiace, non è vero. Io capisco che fossi preoccupato per tuo figlio, è normale e giustissimo. Ma mandare un sms non era  questo gran sforzo, giusto per non lasciarmi ore ad aspettarti in pensiero, avevi anche il telefono staccato.
- Lo so, lo so. Hai ragione. Ho spento il cellulare ieri mattina perché continuavano a chiamarmi ed ero nervoso poi l’ho dimenticato. Scusami. Sei a casa?
- Si, in un certo senso.
- Che vuoi dire?
- Che sono a casa di Ben. In casa mia sono entrati i ladri e..
- Passerai la notte a casa del tuo ex? Non potevi andare in albergo?- le disse in tono polemico.
- Senti, ho passato una giornata d’inferno! Mi hanno distrutto la casa, ho un bernoccolo enorme in fronte, sei sparito per quasi ventiquattro ore, mi chiami all’una di notte e mi vieni a fare la morale? Se non ti spiace, ho sonno e domani mattina lavoro. Ciao.
Spense il cellulare e si lasciò cadere sul divano con la faccia nascosta nelle mani. Era sempre più convinta che ci fosse qualcosa che non andava in lei. Ricacciò indietro le lacrime, rimpiangendo la sua vita di qualche settimana prima. Forse era vuota e monotona, ma tranquilla. Adesso era tutto un immenso caos. Aveva pensato a Paolo per anni, credendolo l’uomo della sua vita e adesso che ci stava insieme, che il suo sogno si era avverato, che non c’erano più ostacoli tra di loro perché si sentiva così? Il sentimento che aveva provato per lui era davvero frutto di idealizzazione?
“L’amore è quando ami una persona così com’è non per come potrebbe essere.”
Le parole che Ben le aveva detto quella sera fecero di nuovo capolino nella sua testa.
- Tutto ok?- la sua voce, reale, non frutto di un ricordo la riportò alla realtà. Alzò lo sguardo su di lui e ancora una volta il suo cuore perse un battito. Ecco un altro mattone, un enorme mattone del suo caos.
- Si, cioè no. Ma va bene lo stesso.
- “Coso” non aveva belle notizie?
- No, no è solo che..- si interruppe incerta. Doveva parlargliene? Si sarebbe fatto due risate, in fondo sapeva già cosa ne pensava lui del suo rapporto con Paolo.
- E’ solo che..?- la spronò lui a continuare.
- Niente, non so se ho fatto bene, non so se questa “ cosa” con Paolo sia giusta.
- Per sua moglie?- lui le si sedette accanto, sospirando. Si vedeva chiaramente che non era entusiasta di parlarne, ma lei apprezzò lo sforzo. Forse allora un po’ ci teneva a lei sebbene avesse respinto con decisione l’eventualità che potessero diventare amici. La doveva trovare davvero insopportabile e forse non aveva tutti i torti.
- No, non per Marta. La loro storia è finita. O almeno così dice e non ho motivo per non credergli. Sono io che mi sento- cercò la parola giusta da dire- strana.- aggiunse alla fine.
- Uhm, non capisco sinceramente. Eri così entusiasta ieri sera. - disse lui grattandosi la barba ormai lunga a quell’ora della notte.
- Si ma lo so, lo so. Solo che.. Ti ricordi quella cosa che mi hai detto ieri sera prima di andartene?
- Quale delle tante?
- Che è amore quando ami una persona per com’è realmente.
- Ah.. Beh.. Io davvero sono il meno indicato per parlare d’amore.- disse lui imbarazzato.
- Non so, non conosco abbastanza la tua vita per dirlo. Solo che ho riflettuto su questa cosa e ho capito che è vera. Insomma io conoscevo Paolo, o almeno lo credevo e ammesso che sia vero lui non può essere lo stesso di cinque anni fa. Volevo conoscerlo davvero, di nuovo, prima di… insomma prima di avere una relazione a tutti gli effetti con lui, ma lui sembrava non capire e da allora non so, mi sembra di aver fatto il passo più lungo della gamba. Lui mi sembra superficiale e mi sento infastidita da lui. Non so come altro spiegarlo.
Aveva vuotato il sacco. Si era esposta del tutto e se le avesse dato dell’idiota l’avrebbe capito. In fondo lo era davvero.
Lui si alzò dal divano e si mise davanti al balcone guardando fuori.
- Ti ripeto, non sono la persona migliore a cui chiedere consigli, soprattutto in questo caso. - disse poi.
- Già hai ragione, non dovevo raccontarti tutte queste cretinate. In fondo non siamo amici no?
- No, non lo siamo.
Viola si rifugiò in bagno, fece la doccia e indossò il pigiama, perdendo più tempo possibile. Perché la trattava in quel modo? Perché un attimo era gentile e quello dopo scostante? Possibile che gli fosse così antipatica? Uscì dopo molto tempo, sperando che lui se ne fosse già andato a letto. Lei si sarebbe sistemata sul divano ma lui era ancora lì. Nella stessa identica posizione in cui lo aveva lasciato.
- Senti Viola, mi dispiace, non volevo essere così brusco. E’ che davvero non posso darti un consiglio.
- Si l’ho capito. Ma perché dici di non essere adatto? Mai avuto una relazione?
- Ovvio che si! Ho ventotto anni e non sono un monaco, solo che non sono statew cose serie.
- Un dongiovanni!- perché gli dava talmente fastidio? Scacciò quel pensiero.
- Macché! Non ho trovato quella giusta, o almeno credo. La smettiamo di parlare della mia vita privata?
- E perché? Della mia ne abbiamo parlato fino alla nausea. Sai praticamente tutto di me, la mia famiglia e.. e tutto il resto.
- Perché non c’è nulla da dire. Non ho famiglia e..
- Hai mai pensato di cercare i tuoi genitori?- gli chiese con delicatezza.
- A cosa servirebbe? Se non mi hanno voluto quando avevo pochi mesi perché dovrebbero volermi conoscere adesso?
- Beh magari ne sarebbero felici, magari erano giovani e non avevano soldi..
- Magari, ma di giustificarli non me la sento se permetti. Di loro so solo che hanno voluto che mantenessi il nome che mi avevano dato: Benedetto. Ma ti pare? Benedetto? Un bambino abbandonato come può essere benedetto? Appena ho potuto l’ho abbreviato in Ben. - disse con astio, i pugni stretti.
- Se vuoi posso aiutarti, magari qualcosa riusciamo a capire.
- E come?
- Andremo all’istituto dove sei cresciuto. Facciamo qualche domanda, insomma in qualche modo faremo.
- Non lo so, non credo che possa servire a qualcosa. - Sospirò passandosi una mano sugli occhi.
- Va bene, pensaci. - infilò una mano nella sua e la strinse.
Voleva incoraggiarlo, dimostrargli che gli era vicino. Ricordava ancora la reazione che aveva avuto a casa sua. Certo non pensava che ritrovare i suoi genitori potesse fargli dimenticare tutto, ma almeno poteva sapere qualcosa su di loro, scoprire il suo passato.
Lui le accarezzò una guancia sorridendo, poi si alzò.
- Andiamo a dormire! Dono le due!- si incamminò verso la stanza da letto.- Non vieni?
- Nella stessa stanza?- gli domandò stupita.
- Abbiamo già dormito insieme. Dai non costringermi a dormire sul divano è troppo corto.
- Ci dormo io. - si offrì.
- Ma è scomodo, dai non fare la scema. Non ho intenzione di molestarti.- la prese in giro.
Sospirò e lo seguì.
Sdraiata a pancia in sù si mise a guardare il soffitto, inquieta, con quella strana sensazione allo stomaco. Stava diventando proprio pazza. Provò a chiudere gli occhi, ma non riusciva proprio a dormire, lo sentiva respirare accanto a lei.
- Che hai? - le chiese.
- Niente, niente. Dormire in un letto che non è il mio è sempre complicato. Buonanotte.- si voltò dall’altra parte e provò a non pensare a niente ma quella sensazione allo stomaco non la smetteva di tormentarla.
Maledette farfalle.
Poi, finalmente, sfinita dalla giornata terribile si addormentò.




Ciao a tutti! Questo era il capitolo 21! Che ve ne pare? Troppo smielato?  Al solito vi ringrazio per le belle parole delle recensioni e ringrazio tutti quelli che leggono. Vi ricordo la mia nuova storia " Non tutti i mali vengono per nuocere?"
Vi lascio in fretta questa sera perchè sono un po' di fretta. un bacio. Manu.

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Che confusione! ***


Image and video hosting by TinyPic

CAPITOLO XXII: Che confusione!



Svegliarsi e sentire una presenza accanto non era una cosa molto comune nella vita di Viola. Forse stava ancora dormendo e rimase con gli occhi chiusi, ma non poteva essere un sogno perché tutto era ormai nero. Se non era un sogno allora..allora doveva essere la realtà!
Aprì gli occhi faticosamente e la prima cosa che vide fu una mano a un millimetro dalla sua, il palmo all’insù e le dita rilassate. Percorse il braccio, lasciato scoperto dalla maglia blu fino al suo viso. Ben.
Per un secondo, ancora smarrita dal sonno, non si era ricordata di essere a casa sua ma fu subito consapevole, ancor prima di aprire gli occhi, che era lui a dormirle accanto.
La testa scura spiccava sulle lenzuola di un celeste pallido, gli occhi chiusi erano celati da ciglia lunghe e scurissime, non ci aveva mai fatto caso, le labbra leggermente socchiuse, in un’espressione beata. Rimase a guardarlo a lungo.
Perché doveva essere così bello?
All’improvviso i suoi occhi si spalancarono e la sorpresero a guardarlo.
Le farfalle o meglio gli elicotteri ripresero vita nella pancia di Viola che per qualche secondo fu incapace di fare qualsiasi cosa.
- Buongiorno- disse lui sorridendo.
- A te. - si limitò a dire lei.
- Hai dormito bene?
- Si, grazie.- mentì, in realtà aveva dormito molto poco, la sua presenza la agitava.- Tu?
- Da favola.- disse lui stiracchiandosi.
Viola lo invidiò e lo odiò nello stesso momento. Invidiò per quell’aria riposata e odiò per la sua notte pacifica. Se gli fosse interessato di lei non avrebbe dormito poi molto, non avrebbe trovato pace nemmeno lui. Ma del resto lo sapeva già.
- Sono contenta per te. - il tono le era uscito più secco e amaro di quanto avesse voluto. Fece per alzarsi ma lui la bloccò per un polso.
- E’ ancora presto. - il suo tono dolce quasi implorante la convinse a rimettersi giù. Il volto a poco centimetri dal suo. La salivazione si azzerò.
Perché doveva sentirsi così? Perché si era dimenticata così velocemente del sentimento che provava per Paolo?
Era inutile non pensarci, sforzarsi di concentrarsi su altro.
Sapeva che il suo comportamento era da pazzi, in fondo non erano passati nemmeno due giorni da quella domenica sera in cui era pronta a giurare di essere innamorata di Paolo. Non doveva pensarci, non doveva pensarci.
Distolse gli occhi dai suoi prendendo a guardare il soffitto.
- Qualcosa non va?- le chiese in tono incerto.- Sei ancora sconvolta per ieri sera?
- Uhm, si un po’.
- Vedrai che non accadrà più. Se vuoi posso accompagnarti da un mio amico che installa sistemi d’allarme e poi aiutarti a scegliere un divano nuovo.
- Grazie ma non vorrei disturbarti.
- Se te l’ho proposto vuol dire che non mi disturbi.- ribatté lui con il suo ormai famoso sorriso storto che le arrivava dritto al cuore.
Non seppe resistere all’impulso e quasi senza rendersene conto la sua mano si spinse fino alla sua guancia, accarezzandola.
I loro sguardi si intrecciarono e come sempre lei perse il dono della ragione. Vide il suo sguardo spostarsi per un secondo sulle sue labbra ma ancora una volta fu lei ad avvicinarsi, ad appoggiare la bocca sulla sua.

Ben spalancò gli occhi sorpreso. Che cosa passava nella mente di quella ragazza? Era incostante, incoerente e incredibilmente pazza. Ma tra i due forse il più pazzo era lui. Anzi lo era senza dubbio. Ricambiò il bacio senza pensare a nulla.


Occhi dentro occhi e prova a dirmi se
un po' mi riconosci o in fondo un altro c'è sulla faccia mia
che non pensi possa assomigliarmi un po'

mani dentro mani e prova a stringere
tutto quello che non trovi
negli altri ma in me
quasi per magia
sembra riaffiorare tra le dita mie

potessi trattenere il fiato prima di parlare
avessi le parole quelle giuste per poterti raccontare
qualcosa che di me poi non somigli a te

potessi trattenere il fiato prima di pensare
avessi le paorle quelle grandi
per poterti circondare
e quello che di me
bellezza in fondo poi non è

bocca dentro bocca e non chiederti perchè
tutto poi ritorna
in quel posto che non c'è dove per magia
tu respiri dalla stessa pancia mia

potresti raccontarmi un gusto nuovo per mangiare giorni
avresti la certezza che di me in fondo poi ti vuoi fidare
quel posto che non c'è
ha ingoiato tutti tranne me

dovresti disegnarmi un volto nuovo e occhi per guardarmi
avresti la certezza che non è di me che poi ti vuoi fidare
in quel posto che non c'è
hai mandato solo me
solo me solo me solo me solo me..

(Quel posto che non c'è- Negramaro)


I suono del campanello li fece sobbalzare.
Lei rimase confusa per qualche secondo, immobile, con le labbra ancora sulle sue ma Ben tornò subito in sé, forse anche troppo, sentì la rabbia risalire lungo lo stomaco, come un conato di vomito. Rabbia verso sé stesso, verso la sua debolezza, verso lei e quella faccia sconvolta.
Cos’era esattamente Viola? Chi era? Come poteva giocare un po’ qua e un po’ là? Come poteva tenere il piede in due scarpe? Forse credeva di impressionarlo con il discorso confuso che gli aveva fatto la sera prima sulla sua relazione con l’ex compagno di classe.
- Non sono Paolo, Viola. Forse sei ancora nel mondo dei sogni.- il suo tono era crudo, spietato e lei rimase senza parole.
Si alzò ed andò ad aprire.
- Oh ce ne hai messo di tempo! Credevo stessi ancora dormendo o che fossi in giro a spupazzarti qualche bella pulzella.
- Matteo, entra.
- Oh che è questo tono?  Non sei contento di vedere il tuo migliore amico? Non ti fai vivo da una settimana e non era mai successo, vorrei sapere che ti succede.
- Oh niente, un po’ di casini..
- Scusate, prendo le mie cose e vi lascio parlare in pace.
Viola era rimasta nella stanza in silenzio, ascoltando le parole di quel Matteo che Ben gli aveva descritto come la sua idea di famiglia e non volendo farsi i fatti loro decise di prendere gli abiti e iniziare a prepararsi per andare al lavoro.
- E lei?- chiese Matteo sorpreso.
- Io sono Viola, una sua collega. Piacere. Vado a prepararmi.- disse per poi rifugiarsi in bagno.
- E’ lei l’origine dei casini?- chiese l’amico.
Ben si voltò a guardare la porta del bagno in cui Viola si era rinchiusa e si lasciò cadere sul divano, stancamente, aveva passato una notte d’inferno, nonostante le avesse detto il contrario.
- Si. - rispose.
- Ma non era nemmeno una settimana fa quando mi hai detto che dovevi vederti con una certa Gioia e che lei ti piaceva?
- Ho detto che era una bella ragazza e lo è ma..
- Ma ci sei caduto con tutte scarpe!- gli disse Matteo con un sorriso e una pacca sulle spalle.
- No!- protestò.
- Negarlo non servirà, ma se ti fa piacere crederlo fa pure, prima o poi dovrai ammetterlo.
- Ah Matteo te ne vai a lavoro per piacere?- gli chiese scherzando ma non troppo.
- Ok, ok amico, ma sono certo che verrai a chiedermi consiglio strisciando! Avevo portati due cornetti sperando in un’accoglienza meno da stronzo ma li cedo volentieri a te e alla pulzella , chissà che un po’ di dolcezza non vi aiuti a ..
- A niente! A niente. Vai?
Ben si chiuse la porta alle spalle e sospirò.
Poco dopo Viola uscì dal bagno e lui fece per andare a fare la doccia.
- Ben, io credo che dovremmo parlare.
Non sapeva nemmeno lei cosa dire ma non si poteva andare avanti così non potevano continuare a giocare. Dovevano affrontare quella situazione e capire cosa stava accadendo.
- Non c’è niente da dire. Fai colazione, Matteo ha portato i cornetti. Io sarà pronto in un quarto d’ora, siamo già in ritardo.- e se ne andò senza degnarsi di guardarla negli occhi.
Viola sospirò rassegnata.
- Ci ho pensato..- iniziò a dire Ben mentre erano in macchina.
Il cuore di Viola schizzò dritto in gola.
A cosa? Alla loro situazione?
- Voglio provare a cercare i miei genitori.- chiarì lui.
Viola rimase qualche secondo in silenzio cercando di assorbire la delusione ma era comunque contenta che lui si fosse deciso.
- Credo che tu abbia fatto la scelta giusta. Se vuoi posso darti una mano.
- Ok.
Il silenzio calò di nuovo nell’abitacolo tanto che una volta parcheggiato sotto l’ufficio Viola fu contenta di scendere e ancora di più di salutare Ben sulla porta.
- Allora dopo il lavoro se non hai da fare potremmo andare all’istituto.- disse lui sempre con tono freddo e distaccato.
- Certo! A dopo allora.
Concentrarsi sul lavoro dopo tre giorni di pausa e con la confusione che le regnava in testa non fu proprio una passeggiata ma alla fine fu un bene avere qualcosa con cui distrarsi.
A poco però servirono tutte le sue rassicurazioni mentali, i centoventitre messaggi di Melissa che la incoraggiava e la sosteneva dicendole che no, non era pazza, forse un tantino toccata di cervello ma che prima o poi avrebbe fatto chiarezza, doveva darsi un po’ di tempo, quando rivide Ben alle sei fuori dall’ufficio si sentiva nervosa.
Non sapeva cosa aspettarsi da lui ma non sapeva nemmeno cosa aspettarsi da sé stessa.
- Sei pronta? Non possiamo fare troppo tardi altrimenti non vorranno riceverci.
- Si andiamo.
Lo seguì lungo le scale e poi fino alla macchina, stava per aprire lo sportello quando si sentì chiamare, non c’era nemmeno bisogno di voltarsi per riconoscere la voce di Paolo.
Istintivamente cercò lo sguardo di Ben ma lui non la guardò nemmeno in viso, salì in macchina e andò via.


Ciao!!! Anche se i giochi vi sembrano fatti dovete aspettare ancora un po' perchè la storia prevede ancora qualche capitolo in cui niente è scontato, davvero. Spero che come sempre abbiate la pazienza di aspettare un po'... Vorrei finirla presto perchè tra un po' si ricomincia con la solita vita universitaria e non avrei molto tempo da dedicarci. Che ve ne pare?
Mi piacerebbe moltissimo che mi faceste sapere cosa ne pensate dell'altra mia storia "Non tutti i mali vengono per nuocere?" . Se vi va e avete tempo Maya, Tommaso, Nick, Licia, Marco e tanti altri vi aspettano! Un bacio e a presto!
Ah ecco a voi Matteo, l'ho presentato un po' troppo velocemente ma conto di dargli un po' più di peso in uno dei prossimi capitoli, vedrete perchè!

MATTEO
Image and video hosting by TinyPic

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** La resa dei conti ***


Image and video hosting by TinyPic

CAPITOLO XXIII: La resa dei conti.


Viola chiuse gli occhi per qualche secondo e sospirò.
La macchina di Ben sparì dietro l’angolo della strada e lei si voltò verso la voce che l’aveva chiamata.
- Come fai a sapere il posto in cui lavoro?
- Avevi detto il nome della casa editrice a Carla e ho cercato l’indirizzo su internet. Non sei contenta di vedermi?
No, non lo era, non lo era affatto.
Ma sapeva di dovergli delle spiegazioni perché ormai ne era certa: non poteva stare con lui.
Si era resa conto di come avesse idealizzato una loro possibile storia e quando questa era diventata realtà aveva capito che era stata tutta un’ immensa nube.
Non lo amava e non era solo per quella sensazione strana che provava per Ben.
 Quello era un altro problema. Un’altra cosa da analizzare. Non poteva più comportarsi con leggerezza, si era resa conto che il suo dolore non poteva giustificare quello degli altri.
Era ora di prendersi le proprie responsabilità e crescere.
- Dobbiamo parlare!- disse senza mezzi termini.
- Perché ho impressione che quello che vuoi dirmi non mi piacerà?- chiese lui iniziando a tormentarsi i capelli.
- E’ la verità e si sa che la verità non sempre piace.- si limitò a dire laconicamente.
- Andiamo a casa tua?- le chiese lui ma lei gli ricordò che casa sua era in stato pietoso e suggerì di sedersi in macchina.
- Senti Paolo, mi dispiace che tu sia arrivato fin qui. Mi dispiace davvero ma in ogni caso credo che parlarne per telefono non sarebbe stato il massimo.
- Non c’è bisogno, dimmi quello che devi.
Sospirò e si fece coraggio sperando di non pentirsene un giorno ma era consapevole che non sarebbe successo. Era chiaro, Paolo non faceva per lei ed era il momento della resa dei conti.
- Io ero sincera domenica sera, credevo davvero che fosse giusto così, credevo di essere davvero innamorata di te. Cinque anni fa ci tenevo davvero tanto a te, ero pronta a tutto ma adesso, adesso mi sono resa conto di averti idealizzato. Cosa so io di te? Cosa amo di te? Non mi so dare una risposta. - disse  tormentandosi le mani- Quando ti ho rivisto, quando ci siamo baciati ho sentito dentro di me un’emozione forte, reale in un certo senso. Tu sei stato importante per me, sei stato la prima persona che mi abbia fatto battere il cuore e il primo che mi ha fatto piangere come una fontana. Non rimpiango niente di quanto è accaduto, nonostante tutto è anche grazie e per colpa di quello che è successo che io adesso sono così.
- Io credo che tu sia solo confusa Viola, magari sei ancora arrabbiata per il fatto che ieri sia sparito ma..
- No Paolo, no. So che non è così. Io non ti amo e nonostante mi sforzassi e cercassi di convincermi del contrario non era vero nemmeno prima. Ho creduto che tu fossi la persona per me per troppi anni e per rendermi conto di sbagliare ho dovuto mettere in mezzo troppe persone. Te, Ben e anche Marta. Sebbene il mio rapporto con lei sia andato distrutto per colpa sua e sebbene io non voglia avere più niente a che fare con lei quella sera ha detto qualcosa di profondamente vero. Io non so niente di te, non so come sei davvero. Lei vive con te da anni e ti ama. Su questo non ho dubbi. Si è comportata male con me, ha tradito la mia amicizia, ma oggi con serenità posso dire che lo ha fatto perché ti ama davvero e io ti consiglierei di pensare bene al vostro rapporto prima di chiuderlo per sempre.- lo aveva detto davvero? Aveva “giustificato” Marta? Non poteva crederci? Forse era cambiata davvero allora.
- Cioè mi stai consigliando di tornare con Marta?- Paolo era confuso e arrabbiato al tempo stesso e lei lo capiva anche, non si era comportata in maniera coerente, lo sapeva.
- Si, non avrei mai pensato che fosse possibile una cosa simile, ma si. Tra noi non funzionerebbe, ti ripeto, non ti amo e non sono nemmeno interessata a conoscerti di nuovo. Sei una parte importante del mio passato che dovevo chiudere definitivamente, ma dovevo farlo da sola, mi dispiace davvero averti messo  in mezzo.  Non credevo che sarebbe finita così. Credimi.
Paolo distolse gli occhi dai suoi e si concentrò su un lampione lì accanto. I secondi passavano lenti, per poi diventare minuti ma Viola non aveva il coraggio di parlargli ancora. Aveva detto tutto quello che doveva e che sentiva e si sentiva stranamente vuota. Forse aveva fatto un’enorme cavolata, forse se ne sarebbe pentita a vita ma era certa che fosse giusto così. Non si poteva vivere di illusioni. Era il momento di affrontare la realtà. Davvero.
- Va bene Viola, finisce tutto ancor prima di iniziare. - disse lui alla fine, sconsolato.


Paolo se ne era andato e lei si era diretta alla stazione della metro. L’ora di punta era passata e il treno non era molto affollato. Si avvicinò al portone per scendere alla sua fermata ma poi guardò l’orologio. Erano ancora le sei e mezza. Decise di tornare a sedersi, non sarebbe tornata a casa. Aveva promesso a Ben di aiutarlo nella ricerca dei suoi genitori e l’avrebbe fatto.

Suonò al campanello, agitata. Il cuore le batteva forte nel petto. Sapeva che molto probabilmente lui non l’avrebbe accolta bene e infatti la sua accoglienza non fu delle più calorose, ma lei era decisa a non discutere con lui. Non più.
- Cosa vuoi ancora?- le disse freddo, visibilmente seccato.
- Dovevamo andare in istituto ma mi hai lasciato a piedi e quindi sono venuta io.- disse con leggerezza, sorridendogli.
- Ti.. Ti ho lasciata a piedi?- le chiese infuriato.
Lei non aveva intenzione di discutere ma a quanto pare lui si.
- Potremmo non scannarci? Andiamo all’istituto prima che si faccia tardi.
- Senti, davvero Viola, tornatene a casa. Viviti la tua bella e spensierata vita e lasciami in pace.
Ok, progetto di non discutere non andato in porto.
- Io sono qui. Non voglio andare a casa, sto vivendo la mia bella e spensierata vita e ti sto dicendo di andare in questo cazzo di istituto. Ne ho le scatole piene di sentirti darmi ordini, di sentire questo tono di disprezzo e questo vittimismo del cavolo. Quindi prendi quelle maledette chiavi di quella maledetta macchina e andiamo.- urlò.
Lui la guardò con gli occhi fuori dalle orbite e per un secondo temette di aver esagerato, ma poi lo sentì sospirare e voltarsi a prendere le chiavi sul mobiletto dell‘ingresso.
In macchina il silenzio era pesante e lei faceva di tutto per allentare la tensione ma Ben sembrava un muro di gomma. Si limitava a rispondere a monosillabi o a non rispondere per niente.
Parcheggiarono davanti alla porta dell’istituto e Ben citofonò, ma i secondi passavano e nessuno apriva.
- Forse non sono in casa..- disse esitante.
- Le suore sono sempre in casa! Dove vuoi che vadano? A fare shopping?- chiese lui. Era stato pungente e polemico ma almeno aveva prodotto una frase di senso compiuto dopo il suo monologo e lei si limitò a sorridergli in risposta.
Lui si girò dall’altro lato scuotendo la testa.
Finalmente il portone si aprì leggermente.
- Si?- chiese una voce incerta.
- Sono Ben Stolfi, sono cresciuto in questo istituto e vorrei parlare con la direttrice. E’ ancora Suor Paolina no?
Il portone fu spalancato e comparve una suora piccola e rugosa, con un sorriso timido.
- Ma certo. Non ti ricordi di me Benedetto? Sono suor Monica.
- Ma si!- Ben in uno  slancio d’affetto si chinò sulla vecchina e la strinse in un abbraccio.- Certo che mi ricordo di lei.
- Sei diventato un ragazzone! Entra, anzi entrate. Hai portato anche tua moglie? Bravo!
- No, io non..- iniziò Viola imbarazzatissima.
- Non è mia moglie.- precisò lui.
- Oh! Non sarete conviventi? - chiese la vecchina oltraggiata da quel pensiero.
- No, no. Può accompagnarci da Suor Paolina, non sono certo di ricordarmi la strada.- disse lui sviando il discorso.


Tutto era come dieci anni prima. Saloni ampi e gelidi anche d’estate, odore di chiuso.
Odore di tristezza. Diciotto anni là dentro erano stati un inferno.
Suor Monica e le altre suore si erano sempre presi cura di lui, ma non potevano certo dargli l’amore e l’affetto di una famiglia vera.


I primi anni non li ricordava con dolore, avendo vissuto sempre lì non poteva sapere che al mondo esistevano bambini che avevano una stanza tutta loro, una madre e un padre, dei giocattoli propri e tanto altro ancora. Era stato poco prima di compire cinque anni che aveva capitolo che la sua non era una vita normale.
Ricordava ancora il giorno in cui aveva preso coscienza della sua solitudine, nonostante i numerosi compagni. Mancavano pochi giorni a Natale e la direttrice aveva deciso di portare tutti al cinema. Ricordava ancora la sua eccitazione, era la prima volta che ci andava ma il suo entusiasmo si era spento presto, subito dopo essere sceso dal pulmino dell’istituto.
C’erano tanti bambini, accompagnati da uomini e donne che li tenevano per mano, li accarezzavano. Fu quel giorno che imparò due vocaboli che lui non aveva mai pronunciato. “Mamma”, “Papà”.
Dopo quella sera iniziò a ripeterseli pian piano a fior di labbra, assaporandone il suono dolce e nuovo. Perché lui non pronunciava mai quelle due parole? Dov’era quella signora allegra, che le doveva accarezzare i capelli e quell’uomo che doveva portarlo sulle spalle, sorridendo, come facevano quelle persone che aveva visto al cinema? Perché lui e i suoi compagni non avevano quelle persone? A spiegarglielo fu proprio Suor Monica. Gli disse che loro erano bimbi speciali, che avevano tante mamme che si curavano di loro ma quel discorso non lo aveva convinto. Per niente. Così iniziò a progettare la fuga e ci riuscì più volte, solo che ogni volta lo riportavano indietro, ogni volta tentava loro di spiegare che voleva trovare la sua mamma e il suo papà ma loro erano sordi e lo tenevano lì. Poi gli anni erano passati ma la solitudine era ancora più fitta, l’inferno ancora più nero, neri anche i lividi che i ragazzi più grandi  lasciavano sul suo corpo. Si era chiuso nel suo mondo, l’unico a entrarci era Matteo che soffriva quanto lui. Con la differenza che lui aveva avuto dei genitori, morti quando lui aveva sei anni in un incidente, aveva ancora le loro foto sul comodino. Lui non sapeva niente di loro.


- Ben!- Viola gli toccò il braccio, scuotendolo leggermente e lui tornò al presente.- Stai bene? La suora è andata ad annunciare la nostra visita alla direttrice.
- Si scusami, io..
Sentì la mano di lei scivolare nella sua.
- Non sei solo..- sussurrò lei, lievemente imbarazzata.
Era come se gli avesse letto nel pensiero e un grumo di emozione gli strinse la gola.
Strinse forte quella mano e sospirò.
In quel momento la porta si aprì e suor Monica li fece passare.
Era il momento della resa dei conti.


Ciao! Eccoci qui. Viola ha mollato il sottaceto e Ben fa i conti con il proprio di passato. E’ stato un capitolo molto difficile da scrivere. Molto. Spero di non essere caduta nelle banalità, io fortunatamente non sono cresciuta in un orfanotrofio e posso solo provare a immaginare con superficialità come si debba sentire un bambino che vive in quel modo. Ho deciso di inserire questo capitolo sia per introdurre la ricerca dei genitori di Ben e anche per scavare un po’ più approfonditamente nel suo passato. Per conoscerlo meglio. Che ve ne pare?
Al solito aspetto i vostri parevi e vi segnalo ancora l’altra mia storia: “ Non tutti i mali vengono per nuocere?”. Una bacione, a presto. Manu!

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** La verità ***


Image and video hosting by TinyPic

CAPITOLO XXIV : La verità.


 Nemmeno quella stanza aveva subito modifiche, le stesse pareti azzurre, le stesse finestre di legno, gli stessi armadi scuri in cui, si diceva che la preside rinchiudesse i bambini per punizionie Aveva avuto il terrore di entrare in quella stanza da piccolo, sorrise rivedendoli. Era certo che la direttrice fosse meno severa di quanto si credesse. Alla stessa imponente scrivania di mogano sedeva suor Paolina. Il tempo sembrava non averla scalfita. La guardava con le labbra sottili atteggiate a un mezzo sorriso, gli occhi azzurri nascosti sotto le sopracciglia cispose.
- Prego entrate.- disse indicando con un gesto della mano le poltrone sbiadite sistemate di fronte alla scrivania.- Allora Benedetto cosa ti ha spinto a tornare a trovarci dopo tanto tempo?
- Sono solo Ben adesso. C’è un motivo ben preciso se sono qui, madre. Vorrei avere informazioni sui miei genitori.
La suora lo guardò a lungo con sguardo enigmatico per poi rilassarsi contro lo schienale.
- Lo immaginavo. - sospirò.- Prima che te andassi, dieci anni fa ormai, ti ho lasciato intendere che avresti potuto sapere qualcosa. Perché allora no e adesso si?
Ben guardò le cornici appese dietro di lei e si riconobbe in un bambino magrissimo con il grembiule blu sporco sul davanti. Non doveva essere stato facile per le suore stargli dietro. In un senso di rivalsa e quasi di odio contro quella gente che lo teneva separato dalla sua famiglia aveva fatto di tutto per farle disperare, per fargliela pagare. Solo con il tempo aveva capito che se era lì non colpa delle suore che lo trattenevano ma dei suoi genitori che non lo aveva voluto. Era stato terribile. Prendersela con altri aveva in qualche modo attenuato il suo dolore, viveva con la speranza che prima o poi i suoi genitori lo avrebbero salvato, ma prendere coscienza che non era così, che lo avevano abbandonato era stato durissimo da affrontare. Poteva prendersela solo con sé stesso. Doveva avere qualcosa che non andava se non lo avevano voluto.
- Non ero pronto. Non avevo la serenità per cercarli, per incontrarli.
- E cosa ti fa pensare che adesso tu lo sia?- gli chiese la suora con lo stesso sguardo indecifrabile.
- Sono cresciuto. All’epoca ero un ragazzino spaesato, mi trovavo solo, dovevo badare a me stesso, dovevo lavorare e mantenermi anche per inseguire i miei sogni. Adesso sono un uomo, ho una buona posizione, persone che mi hanno fatto capire che sapere da dove si viene è importante. - disse guardando brevemente Viola che sussultò.
- Capisco.- la suora sembrava indugiare, ma poi si alzò risoluta.- Vado a prendere il tuo fascicolo. La storia è lunga e complicata e non vorrei commettere errori e leggerezze. Aspettatemi qui, non so quanto ci metterò.
Non appena la suora si fu allontanata Ben s avvicinò di più alla cornice che lo aveva colpito prima.
- Ho davvero reso la vita difficile a queste poverette.- disse con un sorriso.- Hai presente il film su quel bambino tremendo che viveva in orfanotrofio e quando veniva adottato e quindi andava via, le suore e i bambini organizzavano una festa incredibile? Beh quando sono andato via avevo diciotto anni ma credo che quella festa l’abbiano fatta lo stesso. Ero insopportabile.- concluse sorridendo.
- Non sei cambiato molto.-gli rispose lei ridendo.
- Lo so. Non sono abituato a condividere io, è questo il problema, non sono abituato a condividere emozioni, pensieri, sentimenti.- disse calcando sull’ultima parola- Non sono abituato a condividere una donna con un altro uomo- aggiunse con un’occhiata maliziosa a Viola che temette di svenire- Non sono abituato a condividere tante cose e risulto insopportabile. Da bambino ho dovuto condividere tutto e pian piano sono diventato egoista forse. Ho bisogno che qualcuno mi insegni di nuovo a condividere.
Viola rimase senza fiato. Era la cosa più vicina ad una dichiarazione che lui le avesse mai detto. Era serio? Si riferiva a lei o stava solo generalizzando?
- Posso darti ripetizioni.- disse alzando lo sguardo su di lui.
- E le dai anche a Paolo?
Ben le si era avvicinato.
Sapevano che non aveva più senso rimanere nascosti ad aspettare. Entrambi avevano deciso di affrontare il passato che era la cosa che temevano di più ed era giusto pensare anche al presente.
- Paolo è un capitolo chiuso. Un capitolo che ho sbagliato ad aprire ma che è servito a farmi capire altre cose Ben.
I loro occhi incollati si scrutavano, cercando gli uni negli altri una risposta.
Il rientro della suora con il fascicolo di cartone amaranto in mano, li costrinse a tornare a concentrarsi sul motivo per cui erano lì.
Ben tornò al suo posto sospirando.
- Bene. - disse la donna con un sorriso appoggiando il raccoglitore polveroso sul piano della scrivania.
Lui avrebbe voluto afferrarlo e leggere, ne aveva abbastanza di chiacchiere. Voleva sapere e basta.
- Allora?- chiese cercando di mascherare l’impazienza. Sentì la mano di Viola appoggiarsi sul suo ginocchio che si muoveva ritmicamente per il nervosismo. Intrecciò le dita alle sue.
- So che anni fa tu hai assistito a un discorso tra due suore. Sai che sei stato abbandonato qua fuori ma ci sono altre cose che non sai. Dopo qualche mese qualcuno è tornato.
Ben non riuscì a proferire parola, il respiro sparì, lasciandolo interdetto.
- Quella persona era tua madre. Ma gli assistenti sociali le hanno impedito di vederti. Era una prostituta tossicodipendente, aveva avuto seri disturbi psichici, depressione, tendenze suicide.- continuò la suora con tono dolce e comprensivo.- So che è difficile per te Benedetto, Ben. Lei non era in grado di occuparsi di te. Ti rivoleva ma il giudice le aveva tolto ogni diritto su di te. Noi avevamo compassione di lei, aveva all’incirca vent’anni , provò a fare qualsiasi cosa per guarire, smise di drogarsi, iniziò a lavorare, solo che la gente con cui aveva a che fare non si rassegnavano a lasciarla andare, ogni volta in qualche modo la ritrovavano e lei aveva paura per te. Venne a trovarti fino a quando avevi circa tre anni poi decise di lasciarti andare. Noi abbiamo fatto di tutto Ben, l’abbiamo ospitata qui ma non ci fu verso. Da un giorno all’altro sparì, lasciandoci solo questa lettera.
Gli porse un foglio a quadri ingiallito e riempito con una grafia piccola e arrotondata.

Suor Paolina,
le lascio il mio bambino, questa volta per sempre. So che le ho chiesto di rimandare le pratiche di adozione ma adesso mi rendo conto che ho sbagliato, lui merita una famiglia vera. Io non sono in grado di dargliela nonostante io mi sforzi non ci riesco, è impossibile, il passato è inciso sulla mia pelle come un tatuaggio che è impossibile da cancellare e mio figlio pagherebbe il peso dei miei errori più di quanto non stia già facendo, non c’è sicurezza che io possa dargli, suo padre era il mio protettore, un uomo senza scrupoli, morto per un regolamento di conti quando io ero ancora incinta. Non c’è stato amore nella mia vita e voglio che la sua ne sia piena. Voglio che abbia tutto quello che io non ho avuto. So che le sembrerà strano e che non può capirlo, so che non lo capirà nemmeno lui, ma lasciarlo andare è il gesto d’amore più grande che io possa fare. Spero che Benedetto sia felice. Ho scelto questo nome perché spero che qualcuno da lassù lo protegga e gli dia la forza per vivere una vita che non è stato facile nemmeno da neonato. Le lascio la cosa più cara che ho. L’unica cosa di valore che io abbia mai avuto. Addio. Giada.


- Il suo nome era Giada Stolfi, ti avevamo detto che il tuo cognome era casuale ma era il suo. Mi dispiace darti quest’altra brutta notizia ma è morta qualche anno dopo a causa di un brutto male, la vita non è stata generosa con lei, tu sei stato la sua unica cosa buona. Mi dispiace.- disse addolorata.- Io vado, potete stare quanto volete.  
Rimasti soli Viola si avvicinò a Ben e lo abbracciò stretto.
Da quanto tempo non piangeva? Non lo ricordava ma era passato davvero molto tempo ed era sicuro di non avere più di dieci anni l’ultima volta, eppure sentiva chiaramente la scia umida che gli correva lungo le guance.
- Mi sento un idiota. - disse infine asciugando le lacrime con un sorriso.
- Lo sei meno del solito fidati.- sapeva che era una cosa stupida da dire ma voleva sdrammatizzare, vederlo soffrire le procurava un dolore al petto che non riusciva a controllare e che forse non aveva mai provato. Un senso di impotenza che non sapeva come affrontare.
Lui le accarezzò il viso.
- Grazie.- sussurrò.
- Di cosa? Non credo di aver avuto questa grande idea. Non avrei voluto che tu soffrissi.
- Era inevitabile Viola, ero preparato. Affrontare i fantasmi del passato fa sempre male, lo sa anche tu.
- Non mi sembra esattamente la stessa cosa. Mi sembra di aver dato peso solo a delle sciocchezze nella mia vita.
- Non è vero. Ognuno ha i suoi dolori e se i tuoi sono stati superati non posso che esserne felice. Sono contento di aver trovato la forza di sapere. Adesso so che a modo suo lasciarmi voleva dire amarmi e proteggermi ed è solo merito tuo se sono qui.- Si avvicinò e senza avviso la baciò lasciandola senza fiato.- Andiamocene da qui, ci ho passato fin troppo tempo.
Con la mano nella sua lo seguì fuori.




Rieccomi. Ennesimo capitolo strappalacrime. Troppo?? Che ne dite?
Manca ancora qualche capitolo, gli ultimi nodi al pettine, eh si ancora ce n’è qualcuno. Questi due non hanno vita facile
 : )

Al solito ringrazio tutti quelli che mi hanno prestato attenzione.
Vi ricordo ancora Non tutti i mali vengono per nuocere?
A prestoo! Baci Manu!

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Buonanotte! ***


Image and video hosting by TinyPic

CAPITOLO XXV: Buonanotte!



Più guardava Ben guidare con gesti sicuri, più ammirava le sue mani muoversi svelte dal volante al cambio, più sentiva il suo profumo che riempiva l’abitacolo più quel calore allo stomaco saliva dritto dritto verso il cuore.
Fermi ad un semaforo, con la coda dell’occhio lui raccolse il suo sguardo.
- Credo di non averti ringraziato abbastanza.- disse piano.
- Lo hai fatto e non ce n’è davvero bisogno.- scosse il capo guardando fuori dal finestrino incapace di guardarlo negli occhi senza desiderare di stringersi a lui e placare in qualche modo la sua sofferenza.
Sentì la mano di lui appoggiarsi al suo ginocchio. Si voltò a guardarlo e quei meravigliosi occhi verdi come sempre la incantarono. Avrebbe fatto qualsiasi cosa, qualsiasi, purché lui continuasse a guardarla in quel modo, la gola si prosciugò e il cervello si svuotò.
- Tu sei molt..-poi si interruppe infastidito.
Perché non aveva spento il cellulare? Perché non lo aveva gettato del tutto? Stupido, inutile, odioso aggeggio urlante che rovinava sempre i momenti più belli! Davvero reputava Far Away una delle sue canzoni preferite? Al momento la trovava la cosa più odiosa che le sue orecchie avessero mai udito. Cosa voleva dirle???
Il semaforo diventò verde, un clacson costrinse Ben a scostare lo sguardo dal suo e a concentrarsi sulla guida e la musica sempre più assordante costrinse lei a rispondere. Un numero che non conosceva.
- Pronto?- chiese esitante.
- Ah bona! Ma che fine hai fatto? Ti aspettiamo sotto casa da una vita!- le urlò Giorgio all’orecchio, stordendola.
- Oh cavolo! Siete da me?- chiese agitata, guadagnandosi uno sguardo perplesso da Ben.
- Si! Volevamo farti una sorpresa. Ma forse abbiamo scelto un brutto momento.- continuò l’amico senza più entusiasmo.
- Si, ma non per il motivo che credi, sono da voi tra qualche minuto e vi spiego tutto.
Agganciò guardando Ben, non voleva salutarlo, non voleva che se ne andasse.
- Devi tornare a casa. - disse in tono piatto.
- Si, ci sono Giorgio e Melissa, ti ricordi che avevano detto che sarebbero venuti a trovarmi per qualche giorno? Solo che la casa è un disastro e..- “ e vorrei restare a casa tua, con te”, aggiunse tra sé e sé, nonostante lui si fosse scoperto un po’ con lei, non aveva ancora il coraggio di lasciarsi andare del tutto, non voleva rischiare di aver frainteso, ne sarebbe morta.
- Potete venire a cena da me e poi pensiamo a qualcosa per stanotte, domani se vuoi, possiamo andare a scegliere il divano e il letto e  finire di sistemare casa tua.
- Certo! Grazie Ben.- e non seppe resistere a posare la mano sulla sua, stretta alla leva del cambio.
Lui la guardò con un mezzo sorriso.
- Tu sei molto importante, Viola.- disse finendo la frase che stava dicendo poco prima.
Un nodo le serrò la gola, voleva ribattere, dire che anche lui era importante, indispensabile, ma quel groppo le impediva di parlare, di respirare. Lo fissò per qualche secondo non riuscendo a pensare a niente. La sua scatola cranica era un deserto desolato in cui roteavano arbusti e granelli di sabbia spinti dal vento.
La macchina si fermò e così anche il suo cuore. Perché non riusciva a parlare?
“ Anche tu”, non era difficile da dire, due paroline!
Un colpo al finestrino la fece sobbalzare. Il viso sorridente di Giorgio comparve nel suo campo visivo. Un istinto omicida si fece largo dentro di lei.
Poi si scosse. Quelli erano i suoi amici e lei era felice di vederli, era contenta di passare del tempo con loro.
Scese accogliendoli con un abbraccio e un sorriso.
Ben le fu subito dietro, scambiandosi pacche con Giorgio e salutando Melissa con un abbraccio e una tiratina ai capelli. Si conoscevano da poco eppure avevano già legato molto. Era felice e non avvertiva nessun fastidio, nessuna gelosia, si fidava di Melissa e stranamente anche di Ben. Voleva che andassero d’accordo, voleva che diventassero amici perché era certa di volere lui nella sua vita.
- Allora? Che è successo? Giorgio mi ha detto che eri strana al telefono.- chiese l’amica preoccupata.
- Sono entrati i ladri in casa mia e me l’hanno praticamente distrutta.
- Che? Quando?- chiese Melissa allarmata.
- Ieri, appena sono rientrata ho trovato la porta aperta, sono entrata e il ladro è uscito.
- Ma ti ha fatto del male?- adesso il tono di Melissa si era fatto ancora più acuto.
- No, no stai tranquilla, solo un bernoccolo che sta già andando via. Stanotte ho dormito da Ben ma da lui non c’è posto per voi..
- No ma ritorniamo a casa, se avessimo saputo non saremmo venuti.- disse l’amica con tono di rimprovero. In effetti avrebbe dovuto avvisarla, solo che era così sconvolta la sera prima e poi la confusione per Ben. Insomma le era passato del tutto di mente, doveva ammetterlo.
- Non esiste! Siete qui e qui resterete!- disse lei risoluta.- Ben ci ha invitati tutti a cena e poi ci cerchiamo un hotel per stanotte, domani finiamo di mettere a posto casa e potrete restare quanto volete.
- Signorsì signor capitano!  Allora perché non vieni in macchina con me? Lasciamo i due maschietti a socializzare.- disse l’amica facendole l’occhiolino.
Lei seguì Melissa in auto e guardò Ben che rideva con Giorgio. Come faceva a essere così spigliato con gente che conosceva appena?
Come previsto l’interrogatorio iniziò non appena si fu chiusa la portiera alle spalle.
- Allora che ci facevi con lui? Dove eravate? Hai dormito a casa sua? Che avete fatto? Oh vecchia volpe!
Lei le raccontò velocemente del “salvataggio” della sera prima e del passato di Ben.
Melissa rimase impressionata dalla vicenda.
- Certo che è una cosa delicata, se ti ha reso partecipe della sua vita è perché ci tiene.
- Si o almeno credo, prima in macchina ha detto che sono importante per lui.- disse non riuscendo a trattenere un sorriso idiota.
- E tu che pensi?
- Penso che non mi ero mai sentita così. Solo che non voglio sbagliarmi, non voglio rischiare di fraintendere le sue intenzioni ma soprattutto non voglio precipitare le cose, soprattutto visto che pochi giorni fa ero convinta di essere innamorata di Paolo.
- Fai bene! Prenditi il tempo che ti serve.
Arrivati a casa di Ben lui si offrì di preparare la cena mentre Giorgio ammirava la la collezione  di dischi e Melissa curiosava qua e là.
- Vuoi una mano?- gli chiese.
- No, tranquilla, ho quasi finito, ho fatto un sugo molto semplice. Se vuoi puoi apparecchiare.- disse indicandole dove erano riposte le stoviglie.
Il campanello suonò.
- Melissa puoi aprire per favore?- le chiese Ben.
Lei annuì e spalancò la porta trovandosi davanti un ragazzo molto carino.
- Ora che Ben sia uno sciupa femmine ci sta ma due donne in un giorno sono troppe perfino per lui.- disse con tono sfrontato- O sono ammattito e ho sbagliato porta?
- No, no. E’ casa di Ben, tu sei?
- La smetti di fare l’idiota Matteo? Entra!- urlò Ben dalla cucina.
- Certo che per essere il mio migliore amico sei sempre molto affettuoso! Oggi ti ho portato i cornetti e mi hai trattato di schifo. Stasera ti porto una delle bottiglie di vino migliori che tu abbia mai bevuto e mi accogli così! Sto davvero pensando di cambiare migliore amico.
- Finite le sceneggiate? Vieni che ti presento. Loro sono Giorgio e Melissa, degli amici di Viola che già conosci. Lui è Matteo e per mia sfortuna è davvero il mio migliore amico e mi gioco la testa che vorrà scroccarci la cena. - disse con un sorriso che lasciava immaginare quanto fosse forte il legame tra i due.
- Puoi scommetterci.- gli rispose l‘amico.
Viola non dubitava che Ben lo considerasse davvero un fratello, nei loro sguardi, nei loro modi di fare traspariva il forte affetto e la complicità che li legava ed era felice che lui ci fosse stato nei suoi momenti di solitudine, che lo avesse consolato.
La cena fu uno spasso, Matteo e Ben erano una coppia di comici, ma ciò che colpì Viola furono gli sguardi che la sua migliore amica e il migliore amico di Ben si lanciavano di continuo.
Ma che, quei due si piacevano?
Matteo era molto, molto carino ed era proprio quello non la convinceva.
Da sempre lei e Melissa avevano “gusti” totalmente opposti. Se lei trovava carino un ragazzo per lei era orrendo e viceversa.
Mentre i tre uomini chiacchieravano di macchine, lei fece un cenno all’amica e la aspettò nell’angolo cottura con la scusa di preparare il caffè.
- Ti piace?
- Shhh! Ma possibile che devi gridare sempre?- la rimproverò Melissa.
- Ok, allora ti piace? Va bene così? - sussurrò.
- Si.
- Si che ti piace o si che va bene così?
- Si a entrambe le cose! Ma credo che lui pensi che io stia con Giorgio.- disse in tono sconsolato.
- Uhm… ho un piano!- sghignazzò sadica.
- No, no aspetta, non mi piacciono i tuoi piani!- protestò Melissa.
Ma Viola non la ascoltò e portò il caffè in tavola.
- Allora Giorgio. Come sta Jenny?- chiese lanciandole uno sguardo ammiccante, sperando che lui cogliesse.
- Jenny?- chiese l’amico in tono stupito. Non aveva colto.
- Ma certo, Jenny, la tua fidanzata! Te ne sei già dimenticato?
- Ah.. Ehm, no. Sta bene. Molto bene.- rispose lui in tono poco convincente, almeno però aveva colto.
Matteo guardò prima lei, poi Giorgio e infine Melissa. Sorridendo.
- E’ meglio cercare un posto in cui andare a dormire. Si sta facendo molto tardi.- propose poi Giorgio ancora confuso sulla sua “ragazza immaginaria”-
- Se volete vi posso portare in un bed and breakfast vicino casa mia, sono amico del proprietario.
Melissa, Giorgio e Matteo salutarono Ben e iniziarono a scendere, lei perse tempo, prendendo le sue cose in camera da letto. Era strana quella sensazione che provava, ci aveva passato solo una notte in quella casa eppure la sentiva un po’ sua, le dispiaceva andarsene.
- Hai bisogno di una mano?- le chiese lui appoggiandosi allo stipite della porta.
- No. Ho preso tutto. Credo.- disse guardandosi intorno.
Si avvicinò alla porta ma lui non si mosse.
- Mi aspettano.- disse piano.
- Ti vengo a prendere domattina?
- Se non ti dispiace.
- E’ deciso allora.
Ma non accennava a spostarsi dalla porta per farla passare.
- Io allora… vado.- disse facendo qualche passo in avanti, si sentiva stranamente in imbarazzo.
Invece di spostarsi lui le passò le mani intorno ai fianchi per poi unirle dietro alla sua schiena, imprigionandola. I loro occhi di nuovo fusi.
- Vorrei che non andassi.- dichiarò Ben infine.
- Vorrei non dover andare.- sussurrò Viola.
Le labbra di Ben si posarono sulla sua tempia, sospirando, per poi scendere sulle sue.
-  Buonanotte!- disse poi staccandosi da lei e lasciandola passare.
Sarebbe stata una notte molto lunga ma certamente non buona.



Ciao!!! Siamo al capitolo 25! Che ve ne pare? Io so che stiamo andando sempre più sullo zuccheroso! Problemi di diabete? Spero proprio di no altrimenti qui salirebbe alle stelle! Ma in fondo che male c’è? E’ così bello ogni tanto “zuccherarsi” un po’! Ringrazio tutti quelli che hanno letto e le meraviglie che hanno commentato. Vi lascio un bacio “zuccheroso” dandovi appuntamento al prossimo capitolo e ricordandovi l’altra mia storia Non tutti i mali vengono per nuocere?
A presto! Manu

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Gioia? ***


Image and video hosting by TinyPic

CAPITOLO XXVI: Gioia?



La pioggia batteva sui vetri senza sosta, Viola guardava le gocce schiantarsi contro la finestra e colare giù, illuminate dalla luce dei lampioni. La pioggia era iniziata a cadere subito dopo essere usciti da casa di Ben.
Melissa si mosse nel letto mormorando qualcosa di incomprensibile e arrotolandosi nelle lenzuola fino a tirarsi anche la sua parte.
Viola sorrise e sprimacciò il cuscino cambiando posizione. A pancia in giù guardò l’orologio digitale sistemato sul comodino della stanza del B&B in cui li aveva accompagnati Matteo.
02:23.
Non c’era verso di trovare pace, i suoi pensieri correvano sempre in un determinato posto, verso una determinata persona.
Ben.
Stava dormendo? Stava pensando a lei? Gli mancava? Era felice di essersela tolta di torno?
Mille dubbi le frullavano per la testa ma più cercava di essere razionale, più cercava di ridimensionare la cosa più quel sentimento si faceva spazio dentro di lei.
“ Non ha senso Viola, non sei credibile. Non eri tu quella che giurava amore a Paolo qualche giorno fa? Come puoi essere così presa da lui adesso?”
Sapeva che era insensato e ne aveva paura. Da morire.
Paura di soffrire e paura di far soffrire lui, se il suo interesse era reale.
Lo aveva sentito così vicino quel pomeriggio, si era sentita così impotente di fronte alla sua sofferenza, avrebbe fatto di tutto, qualsiasi cosa, per riuscire a consolarlo, per trovare le parole, quelle giuste, per farlo star meglio.
L’unica cosa che era stata in grado di fare era stringerlo a sé.
Sentiva ancora nei palmi quel pizzico, quel desiderio di infilare le mani nelle sue. Il bisogno di guardarlo negli occhi, per rassicurarlo e rassicurarsi. Perché poteva avere tremila dubbi, quattromila paure, cinquemila insicurezze e un miliardo di angosce ma quando fissava gli occhi nei suoi tutto spariva.

- Maaa la nootte so che pensi a mee amooreee! Nel buio cerchi sempreeeee le mie maniii!
 Viola aprì un occhio e vide Melissa trotterellare per la stanza in pigiama, canticchiando a bassa voce.
- Come mai così di buon umore di primo mattino? Il tuo buongiorno è un grugnito di solito.- disse Viola tra uno sbadiglio e l’altro.
- E’ una bella giornata, il sole splende, non devo fare un cavolo per tutto il giorno e sono felice.
- E visto che non devi fare un cavolo perché non sei ancora in letargo?
- Ma che sei oggi? Miss Contraddizione?- la prese in giro l’amica facendole una linguaccia.
- Si, si! Io credo che il tuo buonumore sia dovuto a un bel fustacchione dai meravigliosi occhi verdi!-
- Oh senti da che pulpito viene la predica! Hai ancora gli occhi a  cuoricino per un fustacchione con gli occhi verdi! E sei tu quella che aspetta il principe azzurro che viene a prenderla a momenti sulla sua sgargiante auto nera. Non io!
Dopo aver elargito uno scappellotto, il primo ma non ultimo della giornata, a Melissa, Viola si chiuse in bagno.
Avrebbe visto Ben tra pochi minuti. Il solito sorriso idiota le si disegnò sul viso e si fece la doccia velocemente. Non voleva farlo aspettare.
Aveva appena finito di prepararsi quando lo schermo del suo cellulare si illuminò.
Un messaggio.

Ben:
Ti aspetto giù
!

Salutò Melissa che bighellonava ancora con il suo pigiama azzurro esibendosi in una sorta di concerto mattutino e che la informò che sarebbe andata in giro con Giorgio per la città.
La macchina scura di Ben era ferma proprio dietro quella di Melissa e non appena lo vide chinato in avanti a cercare il suo sguardo il cuore le mancò un colpo. Come doveva comportarsi? Cosa doveva dirgli?
Ma poi quanto era bello? Aveva ventiquattro anni ma si sentiva in preda a una crisi adolescenziale.
Aprì lo sportello e si accomodò sul sedile, leggermente a disagio.
- Buongiorno.- l’accolse lui con un sorriso.
- Buongiorno. Hai dormito bene?- gli chiese.
Si voltò a guardarlo e lesse nei suoi occhi uno sguardo strano, furbo.
- Si grazie.- disse infine.
Il tragitto in macchina fu silenzioso.
Viola si faceva film su film. Si era già pentito? La complicità del giorno prima era già svanita? Forse lui era solo confuso, forse aveva cercato in lei una valvola di sfogo.
“Ah che complicato! Tutto è sempre tremendamente complicato nella tua vita Viola Perni!”
La macchina si fermò davanti all’ufficio, tra di loro aleggiava ancora quello strano silenzio imbarazzato.
Ad avvicinarsi fu lui.
Appena prima di varcare il portone si sentì afferrare da dietro per la vita, il cuore perse qualche battito per poi ricominciare a galoppare prepotente nel suo petto.
La fece voltare verso di sé, le mani ancora sui suoi fianchi, il suo sguardo magnetico e quel sorrisino storto e stranamente incerto.
- Tu mi farai impazzire. Lo sai?- sussurrò.
- Non ho fatto nulla!- si difese lei.
- Appunto! Non so mai come ti comporterai! Mi baci quando non me lo aspetto e quando me lo aspetto mi guardi come se temessi che io possa azzannarti. Mi farai capire mai cosa ti passa per la testa?- le chiese a voce bassa.
Lei passò le braccia dietro la sua schiena, sentendosi un po’ più tranquilla, nonostante lo scompenso cardiaco che le provocava a ogni sguardo.
- Quando e se lo capirò te lo farò sapere.- disse con un sorriso.
Vide il viso di lui farsi sempre più vicino al suo e le mani iniziarono a sudarle. Ogni bacio era come il primo. Ogni volta sentiva come se il cuore potesse battere tanto fino a fermarsi del tutto.
- Ma state sempre a tubare voi due?
Entrambi sobbalzarono sentendo la voce di Matteo.
- Ma si può sapere perché non lavori mai tu? Il tuo capo si è accorto che sei un buono a nulla e ti ha lasciato a spasso?- Ben si sforzò di scherzare ma Viola avvertì una nota di fastidio e per qualche secondo accentuò la stretta intorno alla sua vita.
Lo sguardo verde si posò di nuovo nel suo, cupo, fino a schiarirsi nuovamente.
- Io vado. A dopo Ben , ciao Matteo.
- Ciao Viola!- ricambiò l’intruso.
Appena la ragazza sparì dentro il portone l’amico tornò all’attacco.
- E osi anche dirmi che non è vero che ci sei cascato con tutte le scarpe!
- Ma gli affari tuoi mai, vero?
- Questi sono affari miei. - protestò l’amico allibito.
Ben si rese conto di essere stato troppo brusco e si passò un mano sulla faccia.
Era stanco.
- Scusa Matteo, sono uno stronzo lo so. Sai che non sono bravo a parlare di queste cose. Ma non so con lei mi sento bene, è una sensazione strana. Nuova.- rimase qualche secondo in silenzio per poi continuare.- Ieri sono tornato in istituto.
- Dalle pinguine???- chiese l’amico stupito.- Non avevi giurato di non metterci più piede?
- Già. Sono davvero cambiate un sacco di cose. Ho provato a cercare i miei, ma non è andato bene.- gli raccontò di sua madre, della lettera che lei aveva scritto e che lui aveva nel portafogli.- Sta di fatto che averla accanto mi ha fatto bene, non ti so dire come, né perché proprio lei. E’ solo che è più forte di me. Non riesco a resistere.
- E perché dovresti?- chiese Matteo scrollando le spalle.- Ti piace, le piaci. Non c’è niente di male.
Ben si appoggiò al cofano della macchina incrociando le caviglie e massaggiandosi il collo con una mano.
- Fino a pochi giorni fa si diceva innamorata di un altro!- disse infine.
- Di quel Giorgio?- chiese Matteo interessato.
- Giorgio? No, no. Sono solo amici.
- Ah, allora Giorgio sta con Melissa.
Sbagliava o aveva colto un tono fin troppo interessato in Matteo?
- No, a quanto ne so lei non sta con nessuno. Perché ti interessa?
- No così.. - disse vago. - Vabbè mio amicone innamorato, io vado a lavoro prima che il mio capo si accorga davvero che sono un buono a nulla! Non farti troppi problemi. Fai quello che senti. Io non la conosco bene ma a me sembra sincera. Ci vediamo.


Viola si sforzava di concentrarsi sul manoscritto. Se ne stava seduta alla scrivania tentando di leggere la stessa frase da un paio di minuti.
Un tempo dava il massimo nel suo lavoro. Un tempo.
Prima che Carla la invitasse a quella stupida rimpatriata, prima che Ben le sconvolgesse la vita, quando lui era solo un collega, un collega odioso a dire la verità, il lavoro era stato il suo unico pensiero. Il suo unico obiettivo.
Ultimamente però concentrarsi diventava sempre più una fatica, non lasciar correre i pensieri uno sforzo sempre più grande.
Una spinta leggera alla sua porta socchiusa e l’oggetto dei suoi pensieri si materializzò davanti a lei.
Senza dire nulla si chiuse la porta alle spalle. Avvicinandosi con il solito sorriso indolente.
- Hai bisogno di qualcosa?- chiese lei, con il cuore in gola.
Ben raggiunse la scrivania, appoggiò le mani sul piano di legno e si sporse verso di lei.
- Solo di questo.- mormorò contro le sue labbra dopo qualche minuto. Tornò alla porta e prima di chiudersela alle spalle la invitò a pranzo.- Potremmo andare a scegliere il divano e il letto.
- Ci sto.- disse sorridendo.
Sarebbe andata ovunque pur di stare con lui. Lo guardò sparire e sospirò sognante. Era diventata una rammollita. Un tempo si prendeva gioco di quelli che si comportavano come lei in quel momento.
Ma era così piacevole, così bello sorridere e guardare il mondo con le lenti rosa.
Non si poteva sempre lottare, difendersi sempre dal mondo e dai sentimenti.
Era ora di arrendersi e prendere la vita per come veniva. O almeno credeva.


Camminare mano nella mano con Ben per il negozio di mobili del centro commerciale le faceva uno strano effetto. Primo perché non era abituata a camminare mano nella mano con qualcuno, ma quando lui aveva incastrato le dita nelle sue in un gesto così naturale e straordinario al tempo stesso non aveva saputo resistere, in secondo luogo scegliere i vari modelli, discutere sul colore e la stoffa le dava un senso di intimità che le faceva piacere, lo faceva entrare a tutti gli effetti nel suo mondo. Si sorprendeva a sorridere come una perfetta idiota, senza nessun motivo reale, ma solo perché era felice e basta. Senza se, ma, forse. Niente. Felice.
Una ragazzina alla prima cotta. Ma era sempre più certa che quella fosse qualcosa di più di una cotta, aveva paura di dargli un nome ancora, ma escludeva categoricamente la possibilità che fosse “solo” una cotta.
- Io voto per quello nero di pelle.- ripeté Ben per la trentesima volta.
- Ma il nero non c’entra nel mio salotto.
- Ma è bello!- protestò.
- Non mi convince. Io sarei per quello rosso, ci abbino dei cuscini bianchi ed è perfetto.
- Ma il tuo divano era bianco con i cuscini rossi! Sai che cambiamento!!
- Appunto perché nel mio salotto stanno bene il bianco e il rosso!
- Che noia che sei!- la prese in giro.
- Senti chi parla! Hai la casa in tutte le gradazioni del blu! - rispose lei a tono.
Una volta stabilito per il divano rosso, diedero l’indirizzo al proprietario che vista l’urgenza, ma forse più per la mancia generosa che Viola gli aveva promesso, si disse disponibile a consegnare divano e materasso quel pomeriggio stesso.
Stavano uscendo ancora punzecchiandosi e ancora tenendosi per mano quando una ragazza corse verso di loro, abbarbicandosi a Ben, che per la sorpresa sciolse le dita dalle sue,e stampandogli un bacio sulle labbra.
- Tesoro ma che fine hai fatto! Aspetto la tua chiamata da una settimana.
Viola sbiancò, assistendo a quel bacio.
Fulminò la ragazza dai lunghi e setosi capelli biondi, i luminosi occhi azzurri e le labbra piene atteggiate a un broncio, che però sembrava non fare assolutamente caso alla sua presenza.
Credeva di essere irresistibile?
Beh si magari lo era. Ma non era quello il punto.
Cosa voleva? Come si permetteva di stritolarlo in quel modo? Ma soprattutto come si permetteva di baciarlo? E lui perché non si spostava?
Se solo avesse avuto la capacità di incenerire la gente con lo sguardo, realmente e non solo metaforicamente, era certa che quella bambolotta sexy si sarebbe già ridotta a un mucchietto di cenere sul pavimento.
- Gioia!- pronunciò lui.
Gioia?
Perché Ben la chiamava in quel modo? Chi era quella ragazza per lui? Perché tanta confidenza? Che le sue parole fossero solo una menzogna o che lei ci avesse dato troppa importanza.
Viola tu sei molto importante” aveva detto.
Molto importante? Ma quanto esattamente? Come? Anche quella ragazza che lui addirittura chiamava gioia era importante? Doveva dedurre di si visto la confidenza che avevano, c’era tra di loro, nel modo sicuro in cui lei lo aveva abbracciato e baciato, una sorta di complicità, di intimità, questo era il termine esatto che non lasciva presagire nulla di buono.



Ciao a tutti. Eccoci al capitolo 26. Che dite? Ormai non vi chiedo più se è troppo melenso. In fondo siamo nel romantico e romantico deve pur essere no? Ah volevo farvi una comunicazione, siccome ho visto che il pezzo sulla madre è piaciuto molto(devo dire che è piaciuto molto anche a me) ho intenzione di scrivere un missing moment su di lei in questi giorni! Spero che lo leggerete e soprattutto spero di riuscire a fare qualcosa di carino. Mi sono anche accorta di averla chiamata Marta e una Marta in questa storia basta e avanza, quindi ho cambiato il suo nome in Giada. 
Vi ricordo l'altra mia storia "Non tutti i mali vengono per nuocere?".
Intanto vi do la buonanotte. Baci, Manu!

Al solito ringrazio davvero di cuore tutti quelli che seguono la storia e la commentano! 

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Gli uomini preferiscono le Bionde? ***


Image and video hosting by TinyPic

Capitolo XXVII: Gli uomini preferiscono le Bionde?



- L’hai chiamata gioia!- esclamò Viola.
- Perché si chiama Gioia!- replicò lui tranquillo, provò a riprenderle la mano ma lei lo scansò.
- L’hai baciata!- ribatté, gonfiando le guance e soffiando, imbronciata.
- “Mi” ha baciato.- provò ancora a catturare la sua mano ma lei incrociò le braccia al petto e iniziò a camminare verso la macchina.
La biondina era andata via da qualche minuto, dispensando sorrisi e frasi mielose, non l’aveva nemmeno guardata in viso, mai, come se lei non ci fosse, come se non si fosse accorta delle loro mani strette. Oca, odiosa e stupida oca!
- Si e tu non hai potuto reagire, con quel sorrisetto idiota. Tipico di voi maschietti con gli ormoni impazziti. Vedete una bionda e perdete il dono della ragione.
- Si sa che gli uomini preferiscono le bionde.- disse lui  alludendo a un celebre film e facendole l’occhiolino.
Viola sentì gli occhi che stavano per uscirle dalle orbite. Non era divertente.
- E quindi perché non vai da lei? Posso  benissimo prendere un taxi.
Sorpassò l’auto di Ben e iniziò a camminare verso la fermata poco distante. La risata di lui ebbe il potere di farle perdere ancora di più la ragione. Attraversò la strada senza guardare e una macchina le sfrecciò vicino, troppo vicino, lo specchietto la colpì al braccio facendola sbilanciare, cadde all’indietro, finendo con il sedere sull’asfalto. Ancora una volta. Per fortuna non aveva piovuto e non si inzuppò i pantaloni come la volta precedente, ma  l’urto le tolse il fiato per qualche istante. Sentì la macchina inchiodare poco più avanti e i passi di Ben avvicinarsi di corsa.
- Viola! Stai  bene?- gli chiese preoccupato, chinandosi sui talloni e mettendosi davanti a lei.
- Si, si, niente di rotto, credo.- fece per alzarsi ma lui la precedette, la afferrò per i fianchi e la mise in piedi.
L’uomo di mezza età che guidava la macchina si avvicinò trafelato, si era spaventato più di lei e fu contento di vederla in piedi, si profuse in scuse, sembrava non volerla smettere più anche se Viola era consapevole di essere l’unica responsabile. Forse Ben aveva ragione, aspirava a morire spiaccicata sull’asfalto.
Quando l’uomo si fu allontanato, finalmente, si controllò il braccio, nel punto in cui lo specchietto l’aveva colpita si stava formando un ematoma. Lo sfiorò e sussultò leggermente ma Ben se ne accorse.
- Che c’è? Ti fa male?- le prese il braccio e controllò il livido.
- Non molto, passerà presto.
- Sicura di non voler andare a fare un controllo all’ospedale?- le chiese con una luce strana negli occhi.
- No, no, davvero, non è successo niente.- disse scrollando le spalle e liberandosi dalla sua stretta.
- Ma poteva succedere! E tutto perché sei gelosa!- la provocò lui, cogliendo nel segno.
Si voltò verso di lui furente.
- Io non sono gelosa!- biascicò scandendo ogni parola.
- Uhm! No dici? Io invece dico che sei gelosa fradicia!- lui le si parò davanti sostenendo il suo sguardo, con il suo solito sorriso storto e indolente.
- No!
- E allora perché sei scappata via?
- Non sono scappata, mi sono allontanata, non volevo certo importi la mia presenza se volevi andare da lei.
- Uhm oltre che gelosa sei anche bugiarda.- la provocò ancora Ben.- Che male c’è ad ammetterlo?
- Non ci sarebbe niente di male, se solo fosse vero.
Lui le si avvicinò e la imprigionò tra le braccia, bloccandole le mani. Sorridendo si avvicinò sempre di più appoggiando la fronte sulla sua. I suoi occhi così verdi erano troppo vicini, proprio come il serpente del “Re delle Giungla” stava iniziando ad ammaliarla, la stordiva e la confondeva fino a farla arrendere al suo volere.
Era un mago. Un bellissimo e affascinantissimo stregone che in qualche modo le aveva fatto un incantesimo che le aveva tolto il dono della ragione.
Le labbra si avvicinarono alle sue e in un barlume di lucidità scansò il viso per ricevere il bacio sulla guancia.
- Non credere di farla franca solo perché sono scossa per aver rischiato di farmi schiacciare da una macchina in corsa. Non ho intenzione di baciarti, non dopo che hai baciato lei.- disse piccata, provando a divincolarsi.
- Tecnicamente è stata lei a…- iniziò Ben
- Si, si, questo lo avevamo già appurato ma non cambiano le cose. Perché sei ancora qua visto che muori dalla voglia di andare da lei.
- Io questo non l’ho mai detto. Ho detto che gli uomini preferiscono le bionde ma dovresti sapere che sposano sempre, o quasi, le more. - disse lui divertito.
Lei rimase in silenzio per qualche secondo, imponendosi di non guardarlo negli occhi, non riusciva mai a essere razionale se la guardava in quel modo e in quel momento doveva essere lucida.
- Ci stai insieme?- chiese a bruciapelo.
- Che??? E poi dici che non sei gelosa! Ma no, certo che no! Ci siamo visti qualche volta, la settimana scorsa, prima di partire per la tua città.
Lei ricordò quel giorno in cui le aveva detto di essere di fretta perché aveva da fare, il giorno che lei aveva accettato di farsi accompagnare da lui alla rimpatriata. Già allora aveva sentito una morsa nello stomaco, ma era niente in confronto a quello che stava provando in quel momento. Si era gelosa, gelosa fradicia, gelosa da morire, gelosa fino al midollo. Ma non lo avrebbe mai confessato, non gliel’avrebbe data vinta dopo aver baciato quell’oca. Ok forse era vero che era stata lei a saltargli addosso ma  questo non cambiava  le cose. Il bacio c’era stato.
- Torniamo in ufficio. Si è fatto tardi.- disse lei liberandosi dalla sua stretta.
In auto Ben canticchiava sorridendo “ Gelosia, più la scacci e più l’avrai” , mentre lei ribolliva. Evitava di guardarlo, se solo gli avesse visto quel sorrisetto odioso ancora sulle labbra, avrebbe fatto di tutto per farglielo passare. Stupidi uomini.
 


Ciao a tutti! Ecco il capitolo 26, un capitolo leggero e simpatico. Giusto per dare un po' di respiro. La cosa che mi preme dirvi  è che ho inserito una missing Moment sulla madre di Ben, si chiama "Somewhere over the rainbow", se vorrete darci un'occhiata mi farebbe piacere altrimenti fa niente. VI lascio con un bacio e ringrazio tutti quelli che leggono e che recensiscono, risponderò presto alle vostre recensioni.
Vi ricordo anche l'altra mia storia" Non tutti i mali vengono per nuocere?" Anche per questa se vi va passate a  dare un'occhiata.  Baci Manu!

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** The first date ***


Image and video hosting by TinyPic

CAPITOLO XXVIII: The first date


Melissa e Giorgio passeggiavano per il parco, avevano visitato un po’ la città e ammirato i monumenti principali e avevano deciso di mangiare un panino godendo della frescura degli alberi di pino.
- Così Viola è innamorata.- disse Giorgio.
- Mmm, non so, lei non si sbilancia ma a mio parere c’è molto vicina.- annuì Melissa, guardando con intenzione un chioschetto di gelati.
- Ok, ok ho capito. Ti offro un cono. - disse l’amico ridendo.
Qualche minuto dopo sdraiati sull’erba ripresero il discorso.
- Quindi mi sono sbagliato a pensare che durante la rimpatriata lei si fosse avvicinata di nuovo a Paolo.
Melissa pensò un momento a cosa rispondere, era un argomento delicato. Viola avrebbe voluto che ne parlasse con Giorgio? Poi si disse che si, lui era una persona fidata e non aveva senso farsi paranoie.
- No, hai ragione. Ma si è accorta subito di aver sbagliato ed è tornata sui suoi passi, capendo l’importanza di Ben.
Sul rapporto che legava l’amica al collega non aveva intenzione di rivelare nulla, se lei lo aveva presentato come il suo fidanzato così sarebbe rimasto, anche per Giorgio.
- Quel Paolo non l’ho mai sopportato. Con quella sua espressione perennemente afflitta, come se tutto il mondo gravasse su di lui.
- Già. Ormai è passata.- replicò lei scrollando le spalle.
La canzone Grace Kelly  iniziò a fuoriuscire dal cellulare di Giorgio.
- Sei ancora fissato con Mika?? - gli chiese Melissa riconoscendo la musica.
- Certo!- rispose scandalizzato dal fatto che lei potesse pensare il contrario.- Ricordi quante volte lo abbiamo cantato a squarciagola nella mia macchina dopo scuola?
Lei sorrise e aspettò che Giorgio terminasse la chiamata.
- Ma non si può fare tra qualche giorno? - lo sentì dire infastidito, e capì che qualcosa non andava.- Va bene, va bene. Si, si entro stasera sarò lì. Ciao.
- Che succede? - gli chiese preoccupata.
- Ah mia sorella rompe! Devo tornare il prima possibile, deve fare il trasloco e ha bisogno di una mano e siccome è una rompiscatole di proporzioni cosmiche deve iniziarlo necessariamente domani mattina all‘alba!- rispose lui decisamente contrariato.
- Su, su. Non te la prendere che vuoi farci? Passiamo al bed & breakfast a prendere le nostre cose, salutiamo Viola e...
- Ma no! No assolutamente, “io” devo tornare, non tu!- la interruppe.
- Ma siamo venuti insieme e..- provò a ribattere.
- Non voglio sentire ragioni. Sei qui per poco tempo e devi stare più tempo che puoi con Viola, tu che puoi.- aggiunse con un po’ di rimpianto. - Torno a piedi al B&B, la stazione è a due passi, tu resta qui, salutami Viola e dille che la chiamerò presto.
- Beh, se sei proprio sicuro, ciao!- disse lei salutandolo.
Rimasta sola la ragazza si sdraiò sotto un pino e chiuse gli occhi.
- Melissa!- la chiamò una voce con tono incerto, una voce che però riconobbe subito.
- Matteo!- rispose lei con stupore.
- Che ci fai qui?- le chiese sedendosi accanto a lei.
- La turista!- rispose lei scrollando le spalle.- E tu? Fai jogging in giacca e cravatta?
- No, no! Ho l’ufficio qua di fronte.- le rispose indicando un palazzo al di fuori della recinzione del parco.- Dopo pranzo non riesco a resistere alla tentazione di prendere un gelato al chiosco. Giorgio?
- E’ appena andato via, doveva rientrare nella nostra città per dei piccoli “impicci” familiari.
- Capisco. Siete ancora al B&B?
- Si ma da stasera torniamo a casa di Viola.
- Uhm, io volevo invitarti a cena. - disse lui non nonchalance.
Melissa lo guardò spalancando gli occhi.
- Che??- chiese strozzandosi con la sua stessa saliva.
- Sembra che ti abbia proposto di arrivare a nuoto in America!- disse con un sorriso.- E’ una cena innocua!
- No, beh non volevo dire, cioè certo, sarebbe, insomma ok. - farfugliò.
- Uhm! Non credo di aver afferrato il tuo discorso. E’ un si?
- Si. - confermò preferendo non aggiungere altro visto il disastro di poco prima.
- Ok, almeno lasciamo un po’ di privacy a quei due piccioncini che non fanno che tubare. Dovevi vederli stamattina sotto l’ufficio, li ho interrotti sul più bello, Ben mi ucciderà prima o poi. E’ cotto marcio!- le disse con una risata.
Si alzò, si spolverò i pantaloni e le porse una mano per aiutarla a mettersi in piedi.
- Allora a stasera Melissa.- la salutò sfiorandole una guancia con un bacio.
Sembrava a disagio ed inutile dire che le guance di lei avevano assunto un colorito fucsia tendente a rosso.
- A stasera.- bisbigliò.
Lo guardò allontanarsi con passo sicuro attirando l’attenzione di diverse fanciulle.


Erano quasi le cinque, Viola spense il pc e sistemò dei fogli a cui stava lavorando nel cassetto. Si guardò allo specchietto, passandosi un po’ di burrocacao rosa sulle labbra e cancellandosi con un dito le sbavature della matita dagli occhi.
La porta del suo ufficio si spalancò sbattendo contro il muro e Viola sussultò talmente tanto che temette di toccare con la testa il soffitto. Melissa entrò a  passo di marcia e a corto di fiato.
- Ma sei impazzita? Mi hai fatto prendere un colpo!- poi vedendo il suo sguardo strano si preoccupò.- Dov’è Giorgio?
Melissa si lasciò cadere sulla poltroncina aspettando di riprendersi un po’.
- E’ tornato a casa. Sua sorella aveva bisogno di una mano per il trasloco, non preoccuparti.
- Allora perché sei così agitata.
- E’ successo un cataclisma!- disse affranta.
- Cioè? Ti decidi a parlare?
- Oggi ho pranzato con Giorgio al parco, poi lui è andato via e io sono rimasta ancora un po’ e..
- E? Allora? Che vuoi un rullo di tamburi?
- Uhm, non sarebbe male!- prese tempo in un misto di divertimento e agitazione, poi vedendo l’amica iniziare ad alterarsi si sbrigò a finire.- Ho visto Matteo!
- Matteo? “Quel” Matteo?- le chiese stupita.
- Certo! Quanti Matteo credi che conosca in questa città?- le chiese ironica.
Viola guardò l’amica, era palesemente agitata e con il viso color porpora. Non l’aveva mai vista in quelle condizioni. Da quando la conosceva lei non si era interessata che a un ragazzo, un suo vicino di casa, con cui purtroppo non era andata bene e di cui aveva sempre parlato poco. Vederla in quel modo, in pieno “delirio amoroso” la fece intenerire.
- Che ti ha detto? Avete parlato?
- Peggio! Mi ha invitata a cena stasera! Sono nei guai!- disse poi  accasciandosi sul bordo della scrivania.
- Ma tu sei pazza?? Chissà che credevo! E’ fantastico!- Viola si entusiasmò e iniziò a saltellare per la stanza.
- Ehm, potresti contenere il tuo entusiasmo da bambina dell’asilo a cui è stato detto che la mamma è andata a prenderla e valutare la gravità della cosa, per favore?
- No, ma tu non sei normale Melissa! Un ragazzo che ti piace ti invita a cena è una tragedia?
- Tu vedi il mondo con le lenti rosa! Sei innamorata come una tortora e credi che tutti debbano esserla, non sei obiettiva.- protestò l’amica.
- No, sei tu che sei spaventata come un  macaco e non capisci che è una cosa positiva. - la rimbrottò lei.- Adesso alza il tuo posteriore rosso e andiamo a comprare qualcosa di adatto.
- Ah, no io ecco..
C’erano due cose che Melissa odiava oltre ogni dire, la prima erano i serpenti e rettili simili, la seconda era lo shopping. Le faceva schifo quasi quanto quegli animali striscianti e sibilanti, cosa che lasciava Viola letteralmente senza parole.
- Ho detto muoviti. Subito. Avanti!- le disse in tono perentorio, spingendola verso la porta.
- Ma perché mi ostino a restare tua amica! Sei manesca e ami lo shopping! Chiedo il divorzio!
- Non ti libererai di me e questa è una minaccia. Su!
Viola si chiuse la porta alle spalle continuando a spingere l’amica verso l’uscita quando Ben uscì dal suo ufficio e la chiamò.
- Ciao Ben, ti aspetto sotto Hitler!- disse dirigendosi verso le scale.
- Se ti azzardi a fuggire sappi che ti ritroverò e ti farò molto male.- ammonì l’amica scandendo ogni parola.
Ben la guidò nel suo ufficio e chiuse la porta rimanendo però in silenzio.
- Allora?- chiese poi vedendo che lui sembrava intento a studiare un poster sulla fiera del libro.
- Pensavo che ci saremmo visti dopo il lavoro.- disse finalmente lui.
- Non ne abbiamo più parlato e poi devo andare a fare compere con Mel. Ha un appuntamento.- gli disse in tono cospiratorio.
- Mmm con Giorgio? Stanno insieme io ho detto a Matteo di no..- disse lui pensieroso.
- No, no. Giorgio ha avuto un problema ed è dovuto rientrare nella nostra città.
- E allora con chi? E’ qui da così poco, come..- poi intercettando il suo sguardo malizioso capì. - No! Matteo! Mi era sembrato interessato ma mi aveva  detto che.. Che stronzo!
- Io vado o la mia amica sii darà davvero alla fuga e andrà alla cena in tuta!
Ben la catturò mentre lei stava per uscire e le stampò un bacio sulle labbra.
- Io ho sempre preferito le more, ricce e lunatiche. Non te lo dimenticare. Appena finisci di giocare alla stilista chiamami e ci vediamo da te, dovrebbero consegnarti il divano verso le sette.
Lei annuì e uscì dalla stanza, era quasi certa che i suoi piedi non stessero toccando il pavimento tanto si sentiva felice.

- Io lo odio lo shopping.
Viola sbuffò, quante volte lo aveva ripetuto nell’ultima ora? Almeno un centinaio e lei era sempre più tentata da colpirla in fronte con la scarpa dal tacco dodici che teneva in mano. Peccato che quella poteva essere considerata un’arma e lei non aveva intenzione di finire i suoi giorni in una cella.
- Questo non ti risparmierà di provare questa. E‘ perfetta con il vestito che abbiamo preso. - disse porgendole il sandaletto blu.
- Ah no, ti sbagli. Io non la proverò, non infilerò il mio piede lì dentro! Quella è una trappola, una morsa! E poi ha un fiore! Un grosso fiore! Ti sbagli, non lo farò mai.
Un quarto d’ora dopo uscirono dal negozio con una busta di carta che conteneva le scarpe e una pochette da abbinarci.

- Oh come sono orgogliosa di te! Sei… sei incantevole!- esclamò Viola battendo le mani dopo aver dato l’ultimo tocco al trucco di Melissa.
- Hai la stessa faccia patetica di una mammina che guarda la sua figlioletta muovere i primi passi e il termine incantevole non lo usa più nemmeno mia nonna! - replicò l’amica, acida.- Non mi sono vestita così elegante nemmeno al matrimonio di mio fratello ed ero pure la testimone! Tu sei una malata di shopping. Devi farti aiutare.
- Ahhh ma la pianti di fare la finta dura e ammettere che sei felice come una pasqua e che sei uno schianto da paura? Se non fossi così irrimediabilmente etero ti farei la corte!
- Vai a casa adesso, io resterò qui sul letto, ferma e immobile per almeno un paio d’ore ad aspettare Matteo.
- Sicura che non vuoi venire da me?- le chiese di nuovo.
- No, no. Vai tranquilla, non voglio interrompere il vostro idillio amoroso, a quanto pare accade spesso..
Le raccontò di quanto le aveva raccontato Matteo e sorrise vedendola arrossire.
- Ah guida..- la richiamò Melissa.- Ti voglio bene!
- Idem!- rispose semplicemente.

“ Finito di preparare Cenerentola per il ballo la fata Smemorina si ritira nel suo appartamento. Ti aspetto tra mezzora!”
Inviò il messaggio a Ben appena uscita dalla stanza di Melissa e non appena arrivò in strada sorrise vedendoselo davanti.
- Sono io che ti aspetto “da” mezzora. Ma quanto ci mettete voi donne a prepararvi?
Lei sorrise e si avvicinò, lasciandosi prendere tra le braccia.
- Il giusto! In questo caso però non ci sono limiti di tempo per la preparazione. Il primo appuntamento è fondamentale.
Ben si fece pensieroso, appoggiandosi alla macchina e trascinandola contro di sé.
- Uhm ora che ci penso io e te non abbiamo mai avuto un vero primo appuntamento. Quindi, signorina che ne dice di uscire con me stasera? Dopo aver sistemato il tuo divano, ovviamente.
- Ma certo, mio signore.- acconsentì lei.
Ben le aprì lo sportello e lei salì in macchina.
“ Dopo il buio deve arrivare per forza la luce”, glielo diceva sempre la nonna Daniela, scomparsa quando lei era al secondo anno di università e a cui era molto legata, ed aveva ragione, dopo anni di solitudine per lei e la sua migliore amica forse si stava aprendo un periodo molto luminoso.


Ciao! Eccoci al capitolo 28!  Allora? forse è un po’ più lungo del solito ma oggi mi sentivo inspirata : ) Ringrazio al solito tutti quelli che leggono e recensiscono. Questa storia è sempre di più una soddisfazione! Ricordo, per chi volesse leggerlo, il missing moment sulla madre di Ben: “Somewhere over the rainbow!”
Per chi invece avesse voglia di leggere qualcosa di diverso c’è “ Non tutti i mali vengono per nuocere?”. Se qualcuno invece avesse voglia di mandarmi a quel paese lo capirei anche : )
Vi ringrazio e vi mando tremila baci! A presto. Manu
Ah ecco i vestiti che quella santa di Viola ha scelto per quella peste di Melissa.
Image and video hosting by TinyPic

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** Quando tutto va bene... ***


Image and video hosting by TinyPic

CAPITOLO XXIX: Quando tutto va bene…


“Quando tutto va bene qualcosa andrà male.”
Viola non aveva idea di chi lo avesse detto e sapeva che farsi stupide paranoie non aveva senso, solo che tutto stava andando tutto davvero troppo bene.
Il suo lavoro era una favola, le sue migliori amiche erano felici, i suoi genitori e i suoi fratelli anche e lei, beh lei stava talmente tanto bene che temeva di sognare.
Non poteva che essere un sogno.
Allora perché si sentiva inquieta?
Gli operai del mobilificio avevano depositato il divano nel suo salotto, lei e Ben lo avevano sistemato per poi ammirare soddisfatti il risultato. Anche il materasso era al suo posto, tutto era dove doveva essere.
Melissa era con Matteo e lei aspettava Ben che era andato a prepararsi per il loro primo appuntamento ufficiale.
Si applicò il mascara sulle ciglia ma il tremolio della sua mano le spinse lo spazzolino nell’occhio accecandola quasi.
Inveendo contro se stessa si asciugò le lacrime e ritoccò il trucco. Si infilò il vestito che aveva scelto per la serata, era nero, senza spalline e con lo scollo a cuore fermato sotto il seno da una fascia, il tessuto scendeva morbido e lasciava scoperte le ginocchia.  Era carino ma niente di troppo esagerato. Non aveva avuto molto tempo per decidere ma era abbastanza soddisfatta del risultato. Il citofono annunciò l’arrivo di Ben. Era stato veloce.
- Scendo subito.- disse alla cornetta afferrando la pochette e infilandosi le scarpe.
La serata era tiepida, un magnifico uomo dagli occhi verdi se ne stava appoggiato ad un’auto sportiva nera, con le braccia incrociate e il sorriso più sexy del mondo. Decisamente era un sogno.
- Mmm sarebbe troppo banale se ti dicesse che sei stupenda?- le disse lui avvicinandosi  e tendendo una mano a trovare  la sua.
- Mah, forse un po’. Ma in questo caso la banalità va più che bene.- rispose lei con un piccolo inchino.
Le aprì lo sportello e le fece a sua volta un inchino.
- Prego madamoiselle!
Viola rise e si accomodò in macchina.
Al solito il suo modo di guidare la affascinava, i gesti sicuri e inconsapevoli.
- A che pensi?- le chiese lui notando la sua espressione rapita.
- Al fatto che mi piacerebbe ricominciare a guidare, non lo faccio da così tanto che credo di aver dimenticato come si fa. - improvvisò lei.
- Se ti comporti bene forse prima o poi ti farò guidare. Sempre che tu non beva, se non ricordo male ti viene sonno poi.- replicò asciutto.
- Già e dico sempre cose che non penso e che non sono assolutamente vere da ubriaca.- precisò Viola captando il tono amaro di Ben al ricordo della prima sera della rimpatriata quando a causa del troppo vino bianco gli aveva confessato il suo amore per Paolo.
Le sembrava una follia. Come poteva aver creduto davvero di amarlo? Su quali basi? Scosse la testa per scacciare quei pensieri. Non poteva permettere a niente e a nessuno di rovinare quella serata.
Quella era la loro serata.

- L’importante è smaltire la sbornia.- Ben scrollò le spalle e si concentrò di nuovo sulla guida.
Viola si concentrò sul paesaggio che scorreva fuori dal finestrino. Era buio ed erano usciti fuori dalla città. Poteva vederne le luci in lontananza.
- Dove stiamo andando?- gli chiese.
- Se ti rispondo “sorpresa“?
- Ti darei il tormento fino a che non mi dirai dove siamo diretti.- gli rispose con un sorrisetto.
- Beh allora ti dico che è il ristorante che mi piace di più. Matteo ha festeggiato un compleanno qui qualche anno fa e… Oh cavolo!- disse poi sbattendo una mano sul volante. - Matteo!
Viola lo guardò stralunata.
- Che è successo?
- Matteo esce con Melissa no? - la guardò annuire.- Beh scommetto che saranno qui anche loro.
- Oh ma non preoccuparti, non fa nulla.- lo rassicurò lei.
- Come ho fatto a non pensarci? E’ che è stata una cosa improvvisata, avevo pensato di restare a casa, poi mi sono ricordato che non abbiamo avuto un vero primo appuntamento e allora..
- Davvero Ben, non fa nulla. A me basta stare con te. - disse poi arrossendo fino alla radice dei capelli.
Lo sentì sorridere e rilassarsi.
Il ristorante era davvero carino, una struttura antica da cui si accedeva attraverso una scalinata in pietra, una terrazza immensa con tavoli rotondi apparecchiati di bianco, sistemati in modo da non essere troppo vicini. Candele ovunque e un profumo di lavanda nell’aria.
- Ti piace?- le chiese.
Viola si accorse di aver trattenuto il fiato. Era un posto meraviglioso.
-  E’.. è un posto stupendo Ben, davvero.- bisbigliò intrecciando le dita alle sue.
Il maitre li accolse con un sorriso e li guidò al loro tavolo al limite della terrazza da cui si distinguevano le luci della città in lontananza.
Seduti, da soli, sentì per un attimo una punta di imbarazzo, ripensando a qualche giorno prima, quando Ben era per lei solo una spina nel fianco.
Come potevano cambiare tante cose in così poco tempo?
A qualche tavolo di distanza, alle spalle del suo accompagnatore, scorse una figura bionda molto nota. Melissa parlava e rideva con tranquillità. Anche Matteo sembrava rilassato. Chissà cosa li faceva divertire tanto? Sorrise compiaciuta. Ben se ne accorse e seguendo il suo sguardo vide i loro amici.
- Se quei due finiscono insieme, cosa che io sospetto, ci devono una cena.
- Sono convinta che entrambi non vedono l’ora di offrircela.- replicò lei sorridendo.
Tutto era assolutamente perfetto. A quel pensiero una nuova fitta di ansia le attanagliò lo stomaco.  Guardò Ben negli occhi, vi lesse sicurezza e qualcos’altro che non seppe identificare e si rassicurò.


La cena era finita ed era stato l’appuntamento più bello che avesse mai avuto e non c’entrava nulla il posto meraviglioso, il cibo stupendo e il profumo di lavanda che la stordiva, era tutto merito della persona che le sedeva di fronte, con il suo sguardo caldo che sembrava cogliere ogni sua reazione, con le sue battute che la facevano ridere fino alle lacrime, con il suo sorriso che la mandava in iperventilazione, con i suoi modi schietti e carichi di premure che non nascondevano nessun trucco.
Lui era così ed era stupendo.
Viola e Ben erano in macchina, di ritorno verso la città, quando un bip fuoriuscì dalla sua pochette. Si chiese chi potesse essere a quell’ora e prese il cellulare, preoccupata, ma leggendo il nome sul display sorrise e si diede della stupida. Come aveva fatto a non capirlo subito?
“ Ricordi il discorso che abbiamo fatto pomeriggio sulle tortore? Bene, credo di essere sul punto di tramutarmi in una tortora gigante! Mi aspetto che da un momento all’altro le mie braccia si trasformino in ali, mi crescano le piume ovunque e al posto dei piedi mi spuntino due zampe con tanto di artigli che non sarebbe male visto il male che mi fanno queste pseudo scarpe. Credo che chi le ha inventate non ricordi più che le scarpe nascono per non ferire i piedi, queste fanno l’esatto contrario. Ma pazienza! Amo le tortore!! Cruuu cruuuuu : )”

- Qualcuno di divertente?- le chiese Ben, sbagliava o aveva colto un lampo di gelosia?
- Molto! E’ Melissa! Credo che quella cena ce la offriranno presto.- disse continuando a sorridere, appoggiando una mano sulla sua, stretta alla leva del cambio e guadagnandosi uno di quei sorrisi da far tremare il cuore.
Nel frattempo erano arrivati a casa sua, Ben scese e la accompagnò su.
- Beh spero che tu sia stata bene.
- Benissimo.- rispose lei con un nodo alla gola.
Doveva proprio andarsene? Sarebbe stato troppo sfacciato chiedergli di restare? Dirgli che non riusciva ad immaginare di addormentarsi con il pensiero di lui in testa? Che le stava diventando vitale, come l’aria, come l’acqua, come il sole? Che si sentiva schifosamente e meravigliosamente sdolcinata e che se ne fregava altamente di esserlo? Che voleva stare con lui, quella notte e il giorno dopo e quelli dopo ancora, finché lui avesse voluto, finché le fosse rimasto un respiro nel petto e un battito nel cuore? Si era irrimediabilmente e tremendamente melenso. Ma a chi importava?
- Resta.- sussurrò infine, con le chiavi in mano e lo sguardo basso.
Lo sentì sorridere, le tolse il mazzo dalle mani e la precedette nell’appartamento.

Viola si sentiva in pace con se stessa e con il mondo. Quello stupido proverbio aveva torto: “ Quando tutto va bene continuerà ad andare bene!”




Ed ecco il capitolo 29!
Capitolo che corrisponde a una scorpacciata di dolci per quanto è diabetico, ma pazienza! Vi avevo detto che c’è ancora qualcosa da chiarire che rimandiamo ai capitoli che verranno, per oggi, dopo aver visto Grey’s  Anatomy non mi veniva altro che zucchero e miele… A voi l’ardua sentenza.
Ricordo a chi volesse l'altra mia storia "Non tutti i mali vengono per nuocere?" e per chi ancora non l'avesse letto il missing moment sulla madre di Ben " Somewhere over the rainbow"
Baci, Manu

Ahhh eccovi il vestito di Viola! : )
Image and video hosting by TinyPic

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** Di nuovo ***


Image and video hosting by TinyPic

CAPITOLO XXX: Di nuovo


Dieci.
Se avesse dovuto dare un voto alla sua vita in quel momento non avrebbe avuto dubbi: era un dieci, un pieno, palese e meritato dieci.
Svegliarsi con il viso premuto alla base del collo di Ben, il suo respiro lento e regolare che le scompigliava i capelli e le solleticava la parte alta della tempia, le mani di lui intrecciate dietro la sua schiena in un abbraccio che la rassicurava e la faceva sentire al posto giusto. Il suo posto nel mondo era quello. Semplicemente ed inaspettatamente tra le braccia di una persona che la faceva stare bene, che conosceva i suoi lati belli ma soprattutto quelli brutti, con cui era così facile litigare e assolutamente meraviglioso fare la pace, di cui conosceva lo sguardo triste, arrabbiato, appassionato, dolce, testardo, assonnato. Chissà quante erano le cose di lui che non sapeva ancora, si augurò con tutto il cuore di riuscire a conoscerlo meglio, più di quanto nessun altro avesse mai fatto e che lui volesse la stessa cosa. Era ancora prematuro fare progetti a lungo termine ma era assolutamente palese che svegliarsi la mattina non era mai stato tanto bello. Così come nessuna notte era stata tanto bella quanto quella che aveva appena passato con lui.
Non era lei ad essere troppo mielosa, non c’era da vergognarsi per quella sensazione pura che le accarezzava il cuore e le solleticava lo stomaco ogni volta che la sua mente correva a Ben, ogni volta che i suoi occhi si fissavano nei suoi, ogni volta che le sue orecchie sentivano il suono della sua voce.
Era assolutamente perfetto.
Perfetto per lei.
Era quello che aveva sempre cercato e che era ormai convinta che fosse solo frutto delle mille illusioni che anni e anni di letture e film romantici le avevano lasciato in testa.
Era possibile provare quel senso di appartenenza totale, quella cieca convinzione di essere nel posto giusto, con la persona giusta e che tutto l’universo si muovesse in maniera armonica e musicale. Era un po’ come realizzare che Babbo Natale esisteva davvero, che i topolini avevano davvero soldi con cui barattavano i denti caduti, che     l’Isola Che Non C’è era nascosta veramente in qualche angolo sperduto dell’universo e che era possibile da raggiungere seguendo la famosa seconda stella a destra fino al mattino.
Tutto era possibile.
Chiuse gli occhi riappoggiando il naso sul suo collo e sentendosi una piccola particella felice di un ingranaggio immensamente più grande ma altrettanto felice.
- Dormi ancora mia Bella Addormentata?- la voce ancora assonnata di Ben le fece alzare la testa dal suo “cuscino”.
- No, sono sveglia già da un po’ .- rispose con un sorriso.
Lui si sporse per stamparle un bacio, continuando a guardarla sorridendo.
- Buongiorno! In realtà mi sono accorto che mi spiavi da un po’.- le disse malizioso.
- Uhm si. Hai ragione, ti spiavo. Sai che quando dormi hai una faccia strana? Me ne sono accorta anche l’altra volta solo che..- Viola si interruppe non sapendo come continuare.
“ Solo che quella volta non stavamo insieme e non ti ho detto che ti ho fissato mentre dormivi perché ero e sono tremendamente persa !”
Quelle due parole, stare insieme, le mettevano ansia, soprattutto dopo la storia di Paolo.
Stavano insieme?
- Solo che?- le chiese curioso, interrompendo sul nascere il flusso dei suoi pensieri negativi.
- Niente, solo che non te l’ho detto.- disse scrollando le spalle.
- Allora com’è la mia faccia quando dormo?
- Gonfi le guance. Così. - disse facendogli il verso.
- Si! Ora sono un pesce palla! Tu piuttosto! Lo sai che russi?
La lotta di cuscini e solletico che seguì fu interrotta dallo squillo della sveglia. Erano le otto e dovevano andare a lavoro. Si alzarono sospirando, Ben doveva passare a casa a cambiarsi e lei insistette perché non tornasse a prenderla, andando in metro si sarebbero sicuramente sbrigati prima.
Sulla soglia lui la salutò con un bacio per poi trattenersi a guardarla con la porta aperta e la maniglia stretta nella mano, visibilmente combattuto per qualcosa.
- Perché inizio a pensare che così incasinata come sei mi stai diventando sempre più indispensabile? Non riesco ad andarmene! Chi lo avrebbe mai detto?- mormorò infine più a sé stesso che a lei.
Ancora una volta il respiro le si spezzò, la salivazione si azzerò e ogni pensiero razionale o insensato che fosse abbandonò la sua mente, lasciandola in uno stato di smarrimento e confusione per qualche secondo.
Poi con forza quello che provava e di cui era sempre più certa spazzò via ogni paura e dovette farsi pressione per non confessargli tutto, per non scoprirsi totalmente e definitivamente.
- Chi lo avrebbe detto davvero! Se qualcuno qualche settimana fa mi avesse detto che sarei stata qui, in questo momento, con te e sentire quello che sento, gli avrei riso in faccia.
Il sorriso sparì dalle sue labbra e Viola temette di aver detto comunque troppo.
Per lei era sempre così in tutto o diceva troppo o troppo poco.
I suoi occhi verdi si erano fatti più scuri.
- Perché cosa senti?- le chiese in un sussurro.
- Io sento te. - In quelle tre piccolissime parole c’era tutto quello che provava per lui. Tutto quello che sperava e che desiderava.
Ben chiuse la porta rientrando nell’appartamento.
Sarebbero arrivati tardi al lavoro per una volta.

Un’ora e mezza dopo Viola era seduta sulla panchina della metro con il solito sorriso idiota, convinta che nessuno potesse essere felice come lei. Ma si sbagliava.
Un’altra persona, con lo stesso sorriso idiota le si sedette accanto in maniera scomposta facendola trasalire.
- Ma che fai mi segui?- chiese quando si accorse dell’identità della sua compagna di viaggio.
- Ahh ti piacerebbe! Cos’è quell’aria da pazza che ti ritrovi? Hai lo stesso occhio vitreo e languido del mio pesce rosso da morto.
- Sempre paragoni carini.
- Su, su! Confessa guidolina. Tu non me la conti giusta!
Viola sorrise, il modo in cui Melissa la capiva al volo, senza bisogno di parole la lasciava sempre stupita, le raccontò quanto era successo.
- Sono davvero contenta, lo sai?
- Anche io. In una maniera che mi fa quasi paura.
- Oh non iniziare a farmi il Leopardi della situazione adesso! Sei felice, bene, basta, punto.
- A proposito! Che mi dici del tuo appuntamento di ieri, ho letto il messaggio sulle tortore. Non sapevo che apprezzassi i pennuti.
- Oh, ehm, beh, si cambia idea nella vita, no?- Melissa aveva il capo chino e le guance fucsia, come capitava sempre quando si parlava di lei.
Era palese, cristallino, limpido come l’aria che con Matteo si fosse trovata bene.
- Daii! Canta Tortorella! Dimmi tutto.
- Te l’ho detto! Lui mi piace. E’ presto, lo so. Non lo conosco in pratica. Ma a parte essere un fustacchione da paura mi fa morire dalle risate, non si prende troppo sul serio e certe volte è quasi imbranato, ma un imbranato simpatico, insomma come tipo sembra quello che ho sempre cercato.- disse l’amica abbandonando per un po’ la sua riservatezza cronica a causa del troppo entusiasmo.- Ah e cosa assolutamente fondamentale odia anche lui i rettili! Non potrei mai stare con uno che un giorno mi potrebbe portare a casa un boa come animale da compagnia! Mi ci vedi a fare i grattini sotto il mento a un polpettone simile che invece delle fusa mi sibila soddisfatto in faccia? Brrrrrr.
- Eh già, ti capisco perfettamente. Ma dove vai adesso?
- Mah non so in giro. Non riuscivo a stare al chiuso.
Alla sua fermata salutò l’amica e scese. Sempre più convinta che le cose finalmente andavano per il verso giusto.

Sotto l’ufficio sorrise vedendo la macchina di Ben parcheggiata al solito posto. Aveva fatto presto. Salì le scale di corsa. La porta della stanza di lui era chiusa, bussò ma non ottenne risposta. Dove poteva essere? Controllò nel proprio ufficio, in archivio e in biblioteca poi fece per mettersi a lavoro convinta che fosse uscito per qualche commissione. Passando davanti alla stanza della direttrice però riconobbe la sua voce e si fermò. Non aveva intenzione di origliare ma sentirgli pronunciare il suo nome la bloccò dietro la porta socchiusa.
- Si con Viola Perni.
- Mmm bene. Mi era parso di capire qualcosa, gli stessi giorni di permesso, quelle occhiate.
Il tono della Rossi era di scherno, come se si divertisse un mondo.
Attraverso la porta semichiusa vide Ben massaggiarsi nervosamente la nuca per poi infilare le mani in tasca.
- Già.
- State insieme?
Il respiro di Viola si arrestò.
Che diritto aveva quella donna di chiedere? Che motivo aveva Ben per rispondere a domande che riguardavano tanto la sua vita privata? La “loro” vita privata.
Perché era corso lì per sottoporsi a quell’interrogatorio? Aveva visto gli stessi jeans scuri, la stessa camicia celeste e la stessa giacca nera che indossava la sera prima segno che era andato direttamente lì dopo essere uscito da casa sua.
Un dubbio le attraversò la mente. Ricordò gli sguardi che aveva colto tra i due tempo prima. I dubbi che aveva su di lui si riaffacciarono prepotentemente alla sua mente. Poi il ricordo del suo sguardo addolcito dal sonno, le sue parole sussurrate prima di addormentarsi, il suo respiro che le accarezzava la tempia, il suo sorriso storto e imbarazzato la spinsero a scrollare la testa. Non poteva dubitare di lui. Non dopo quello che lui le aveva dimostrato. Non dopo la serata che avevano trascorso.
- Non sprechiamo tempo a parlare di questo. Sono qui per altro, no? - chiese lui ammiccando.
Per qualche secondo rimase immobile dietro la porta. Poi qualcosa le si strappò dentro. Non valeva la pena parlare di lei. Era lì per altro.
Nella stanza era sceso il silenzio. Si sforzò di guardare dentro. Oramai doveva sapere. Doveva capire.
Lo vide chino sulla scrivania, sporto in avanti, il viso a pochi centimetri da quello della Rossi. Lo stesso gesto che aveva fatto con lei il giorno prima e definitivamente qualcosa si ruppe. Spostò lo sguardo. Era abbastanza, non voleva vedere oltre.

Di nuovo. Di nuovo era l’ultima a sapere. Di nuovo qualcuno si prendeva gioco di lei alla sue spalle.
L’eco di un boato iniziò a fischiarle nelle orecchie e si allontanò prevedendo quello che sarebbe successo. Doveva sedersi ma nello stesso tempo doveva allontanarsi. Non poteva fare di nuovo la stessa figura. Non poteva rendersi ridicola, di nuovo.
Uscì dall’ufficio e raggiunse la stazione della metro, si sedette su una panchina sforzandosi di respirare con regolarità.
Immagini di Paolo, Marta e Ben si alternavano davanti ai suoi occhi. Era destino. Destino che le cose andassero così, che la gente di cui si fidava la tradisse. Che desse importanza e fiducia a chi che non la meritava.
Che si innamorasse sempre della persona sbagliata.
Respirò a fondo ancora una volta, cercando di ritrovare il controllo del suo corpo.  
Era successo di nuovo.
Lo squillo del suo cellulare la scosse.
“Ben”
Il suo nome lampeggiava sullo schermo a tempo di musica.
Decisamente stava iniziando a detestare Far Away. Rifiutò la chiamata e cambiò la suoneria, poi ripensandoci spense del tutto il cellulare e si alzò.
Che pensassero quello che volevano, che la Rossi la licenziasse pure, lei aveva deciso.
Doveva andarsene.
Di nuovo.


Ciao a tutti. Intanto mi scuso per il ritardo ma sono stata in crisi “creativa”. Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Se vi va fatemi sapere. Vi lascio con un bacio. Sono di frettissima. : )
A presto!!! Manu

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** Lontano dagli occhi... ***


Image and video hosting by TinyPic

CAPITOLO XXXI: Lontano dagli occhi..

 
Sapeva che sarebbe successo. Era troppo bello, troppo perfetto e si sa che la perfezione non è di questo mondo. Ben non era come lei aveva creduto. Era un’illusione. E faceva male. Cavolo se faceva male.
Cinque anni prima era stato tremendo, straziante. Arrivare a perdere in un colpo solo la sua migliore amica e il ragazzo che credeva di amare l’aveva distrutta ma questo forse era stato peggio. Ben sapeva delle sue paure, della sua fatica a lasciarsi andare e a fidarsi e non gli era interessato, era riuscito con l’inganno a conquistarsi la sua fiducia e non solo quella.
“ Stupida, stupida! Dovevi saperlo! Dovevi immaginarlo che uno come lui non fosse sincero. Tutte quelle parole erano solo parole”
Eppure il pensiero di quel pomeriggio all’orfanotrofio, l’averlo visto così indifeso, forse non aveva finto tutto il tempo. Forse..
“ No! Nessun me e nessun se! Sei solo un’idiota”
Prima di partire per qualsiasi viaggio, anche il più breve lei aveva l’abitudine di stilare una lista e di programmare tutto, in quel momento però non aveva importanza cosa portava e cosa no. Doveva andarsene. Subito. Non voleva vedere Ben, non in quello stato. Infilò indumenti a caso nella valigia e uscì.
Aveva già chiamato l’aeroporto e aveva trovato un volo per Londra, il suo volo sarebbe partito tra più di tre ore ma non aveva voglia di stare in casa. Sulla metro compose il numero di casa e avvertì che sarebbe andata a trovare Bianca e Arianna.
- Vai con Ben?- le chiese sua madre un po’ stupita, di solito avvisava prima dei suoi spostamenti.
- No, da sola. Ben ha molto da lavorare in questo periodo. -mentì sapendo che lei non ci avrebbe creduto nemmeno per un secondo, ma non aveva voglia di parlarne, non ancora almeno.- Non so ancora quanto mi fermerò.
Il silenzio rimase muto per qualche secondo, poi sua madre si decise a chiedere.
- E’ successo qualcosa Viola?
- No, o meglio niente che non sia già successo. No preoccuparti mammina, davvero. Salutami papà e tutti gli altri. Vi chiamo presto. Promesso.
Sospirò chiudendo la conversazione e cercando un altro numero in rubrica.
- Weilà pazzoide! Come mai mi chiami così presto? Non dovresti lavorare?
- Si in effetti. Parto Melissa, vado da Arianna e Bianca.
- Cosa?- il tono di voce di Melissa perse tutto lo spirito.
- Hai capito. Le ho avvisate. Vado da loro. Ho lasciato il lavoro. - annunciò laconica.
- Ci siamo viste un’ora fa e non avevi questi piani, ne sono sicurissima, non avevi nemmeno questa voce da funerale. Che è successo?
- E’ lunga da spiegare Mel. Ti racconto poi per mail.
Voleva spegnere il telefono e sentiva inoltre le lacrime pizzicarle dietro le palpebre.
- Dove sei?
- In metro, sto andando in aeroporto.
- Bene, ci vediamo lì tra mezzora.
- Si ma Mel, se senti Matteo non dirgli che..
- Non dirlo nemmeno per scherzo! A dopo.
Non fece in tempo a chiudere la comunicazione che il nome di Ben ricominciò a lampeggiare sullo schermo. Lo guardò per qualche secondo. Bastava schiacciare quel piccolo tasto verde a sinistra e avrebbe sentito la sua voce. Solo un tasto.
“ No! No! Spegni quel telefono, mettilo in borsa, buttalo, fa quello che vuoi ma non ascoltarlo. Se solo sentissi la tua voce ti faresti infinocchiare.”
Ubbidì alla sua voce interiore e premette il tasto rosso. Il nome di Ben scomparve dallo schermo. Sarebbe scomparso allo stesso modo dalla sua vita. Nello stesso momento in cui lo pensò capì che non sarebbe stato così  facile. Lei non era dotata di un tasto per cancellare la gente dal suo cuore. Sarebbe stata dura.
 Sarebbe stata sola, di nuovo.
Solo che quella volta ci aveva creduto davvero, aveva davvero pensato che Ben fosse diverso, che fosse quello che stesse cercando.
Le lacrime minacciarono di uscire dagli occhi e scosse la testa.
All’aeroporto si sistemò su una panca di acciaio. Era nervosa. Non era da lei sparire così, mollare tutto e tutti senza preavviso. Aveva mandato una mail all’ufficio prendendosi tutti le ferie arretrate e aveva inviato una lettera di dimissioni. Sapeva che molto probabilmente avrebbe dovuto giustificare meglio la cosa ma non le importava. Era quello di cui aveva bisogno. Non sarebbe riuscita ad andare al lavoro tutti i giorni e guardare negli occhi la Rossi e soprattutto Ben.
- Viola!
La voce della sua migliore amica la fece trasalire.
Si voltò verso di lei con un mezzo sorriso. Un sorriso che le morì sulle labbra riconoscendo l’uomo che si stava avvicinando dietro la sua migliore amica.
Ben.
- Ti avevo chiesto di non dire dov’ero.- ruggì quasi verso Melissa.
La ragazza sobbalzò e si voltò verso di lui.
- Ma io.. Io non l’ho nemmeno visto!- si giustificò lei.
- E’ vero. Sono andata al bed & breakfast per chiederle di te e l’ho vista salire su un autobus, ho immaginato che stesse venendo da te, così l’ho seguita e a quanto pare ho fatto bene.- disse lui infilandosi le mani in  tasca e guardandola negli occhi.- mi spieghi che ti è successo? Perché non mi rispondi al telefono? Dove stai andando?
Viola distolse lo sguardo sentendo la rabbia e la delusione crescerle dentro.
- Io mi metto seduta di là. - intervenne Melissa capendo che era meglio allontanarsi ma non troppo in vista della bufera.
- Allora?- insisté Ben avvicinandosi ancora.
Viola si alzò in piedi. Non sopportava la sua presenza che incombeva su di lei.
- Allora niente, me ne vado.
- Dove? Perché? - chiese appoggiando una mano sul suo braccio per convincerla a guardarlo.
- Non credo che la cosa ti riguardi.- disse facendo un passo indietro liberandosi dalla sua presa.
- Non mi riguarda? Viola guardami in faccia, l’ultima volta che ci siamo visti non credo che tra di noi..
- L’ultima volta che “tu” mi hai visto ci siamo lasciati bene.
Non aveva intenzione di dirgli che lo aveva visto con la Rossi ma non si era riuscita a trattenere.
- Cosa vuoi dire con “Tu”. mi spieghi cosa ti prende per favore? Lo sai che non sopporto i giochetti.
- Non sopporti i giochetti? Oh poverino! Non sopporta i giochetti. Lasciami in pace. - la pazienza si era definitivamente dileguata e il tono di voce si era alzato pericolosamente e cercò di allontanarsi prima di fare qualcosa di cui poi si sarebbe pentita.
Ben la afferrò per un braccio.
- Tu adesso mi dici che hai!
- Io non ho niente! Non voglio perdere tempo con uno come te, non ne vale la pena.
- Come sei giunta a questa brillante intuizione?- le chiese con un tono ironico.- Paolo è tornato alla carica e non sei riuscita a resistergli?
- Tu osi anche nominare la storia con Paolo. Come se non sapessi già tutta la storia.
- Allora che c’è? Come mai questo lampo di genio?
- Perché di uno come te non so che farmene. Perché mi hai fatto la morale per la storia con Paolo quando tu fai di peggio. E avevi anche il coraggio di fare l’offeso. Guarda sei davvero pessimo! Adesso te ne vai per favore?
- A cosa ti riferisci?
- Al siparietto con la Rossi e per favore, per favore, risparmiami scene patetiche. Non ce n’è più bisogno!- le disse amara, ritornando a sedersi.
- A quale siparietto? - le chiese confuso.
- A quello nel vostro ufficio. Vicini, vicini, eravate davvero carini.- lo schernì lei.
- Tu sei pazza!
- Oh si certo, sono pazza! Ovvio! - si fermò un attimo a riprendere fiato, sforzandosi di non scoppiare a piangere.- Non ti voglio vedere più Ben. Mi fai schifo! Tornatene dalla Rossi, da Gioia, torna da chi vuoi ma lasciami in pace.
- Io non so cosa tu abbia visto, ma sono sicurissimo di non aver fatto niente per meritare queste parole. Quindi se la smettessi di comportarti come una bambina potremmo parlarne e..
- Io mi comporto come una bambina??? - urlò Viola.- Devi andartene Ben! Non c’è niente cui discutere, niente!  
- Io credo che ci sia molto da discutere! Se solo ti fossi fermata a parlarne invece di scappare come una ladra! Perché è l’unica cosa che sai fare vero? Scappare! Come hai fatto cinque anni fa e come continui a fare ogni volta che c’è una difficoltà, ma in questo caso non c’è nessuna difficoltà, nessuna! C’è  solo un malinteso che…
- Oh ma certo un malinteso! Come ho fatto a non pensarci prima!
- Basta con questo sarcasmo Viola, discutiamone con calma. Andiamo al bar e ne parliamo.- il suo tono si era addolcito e le aveva preso una mano nella sua.
Quel gesto la mandò ancora di più in bestia.
Adesso avrebbe cercato di convincerla che non era vero, le avrebbe raccontato mille stronzate, certo del suo ascendente su di lei ma lei non era tanto stupida da cascarci. Aveva capito il suo gioco e non sarebbe tornata indietro. Era stanca di mettere sempre la sua felicità in mano a gente che non lo meritava.
Non voleva sentire niente, voleva prendere quell’aereo e stare lontano da lui perché sarebbe stato davvero facile credergli e condannarsi all’infelicità.
Non si fidava di lui.
- Ho un volo da prendere. Vattene. Non ti voglio più vedere.
Afferrò il trolley e si allontanò da lui.
- Scappa! Scappa pure Viola se è l’unica cosa che sai fare! Non vale la pena discutere con te. Sei talmente chiusa nelle tue fissazioni e nelle tue paranoie da vedere solo il male nella gente che ti sta accanto. Sono stanco. Stanco di giustificarmi per qualcosa che non ho fatto. Stanco di sentirmi accusato. Fai quello che vuoi! E’ questo quello che vuoi? Scappare? Chiuderti in te stessa per impedirti di soffrire? E’’ impossibile Viola fattene una ragione! La vita va vissuta! Se scappi non vivi.
- Hai finito con la tua morale? Bene perché è l’ultima che mi fai. Addio.
Si allontanò avvicinandosi al check-in sospirando.
Era finita.
- Viola?
Mel le si avvicinò.
- Ehi.
- Sei sicura?
- So solo che devo andarmene da qua. - disse stancamente.
- Bene allora vai, ma pensaci Viola. Lui non è Paolo, la situazione è diversa.
Lei si passò una mano tra i capelli.
- Basta parlare di Paolo. Qui non si parla di lui. Il problema è Ben e lui non è come vuol far credere. Devo andarmene Melissa. Voglio andarmene.- si asciugò gli occhi con il dorso della mano.
- Ok, vai. Qualche giorno per sistemare le cose qui e vi raggiungo.
-No Mel davvero, il mio casino con Ben non deve rovinare il rapporto con Matteo. Giurami che non parlerete di noi. Che non discuterete per nessun motivo.
- Te lo giuro. Ma tra qualche giorno ti raggiungo lo stesso. Dovevo pur rientrare.
Salutò l’amica e si imbarcò.
La bufera era scoppiata ed era passata su di lei lasciandola senza forze e senza prospettive. Si appoggiò contro lo schienale imbottito e chiuse gli occhi cercando di addormentarsi. Ad occhi chiusi poteva far finta che tutto quello non fosse successo, che Ben non fosse mai entrato nella sua vita. L’aereo iniziò a muoversi e poi il buco allo stomaco le disse che si erano staccati dal suolo.
“Lontano dagli occhi, lontano dal cuore”.
Non credeva molto a quel proverbio ma aggrapparsi a quelle parole fatte era la sua unica speranza.


Ciao! evvo a voi ( prestissimo) un altro capitolo. Siamo davvero alla fine. Ancora un paio di capitoli credo e abbiamo finito. (piangoooooooo). Che ve ne pare di questo? Aspetto i vostri pareri e ringrazio tutti quelli che leggono e recensiscono, purtroppo per ora non ho molto tempo di rispondere. Vi abbraccio tutti. : )
Per chi volesse c'è Non tutti i mali vengono per muocere? che a breve conto di aggiornare. Baci. Manu

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** Per me è importante.. ***


Image and video hosting by TinyPic

CAPITOLO XXXII: Per me è importante

 
I giorni proseguivano lenti a ritmo di una canzone dei Tiromancino che adorava.
Quante volte l’aveva ascoltata? Seduta al computer la fece partire di nuovo, canticchiandola tra sé e sé.

Le incomprensioni sono così strane
Sarebbe meglio evitarle sempre
Per non rischiare di aver ragione
Che la ragione non sempre serve
Domani invece devo ripartire
Mi aspetta un altro viaggio
E sembrerà come senza fine
Ma guarderò il paesaggio..

Sono lontano e mi torni in mente
Ti immagino parlare con la gente

Il mio pensiero vola verso te
Per raggiungere le immagini
Scolpite ormai nella coscienza
Come indelebili emozioni
che non posso più scordare
E il pensiero andrà a cercare
Tutte le volte che ti sentirò distante
Tutte le volte che ti vorrei parlare
Per dirti ancora
Che sei solo tu la cosa
Che per me è importante..

Mi piace raccontarti sempre
Quello che mi succede
Le parole diventano nelle tue mani
Forme nuove colorate
Note profonde mai ascoltate
Di una musica sempre più dolce
O il suono di una sirena
Perduta e lontana

Mi sembrerà di viaggiare io e te
Con la stessa valigia in due
Dividendo tutto sempre
Normalmente.

 
Chi lo aveva detto che in una città come Londra ci si doveva divertire per forza?
Lei non si stava divertendo affatto e non era per niente colpa delle sue amiche.
La responsabile era solo lei. O meglio solo Ben.
Erano passate due settimane dall’ultima volta che lo aveva visto, quindici giorni che non sentiva il suono della sua voce, quindici giorni che non lo toccava, quindici giorni che lo aveva beccato con la Rossi.
Quell’ultima considerazione serviva sempre a riportarla con i piedi per terra.
La sua fievole speranza legata a quel proverbio formulato sull’aereo il giorno della partenza si era del tutto smontata.
Lontano dagli occhi ma ancora di più vicino al cuore.
Razionalmente sapeva che non doveva pensarlo, che doveva dimenticarlo ma non poteva fare a meno di pensare a lui, non riusciva proprio a smettere.
Carla aveva inviato per mail le foto di quella maledetta rimpatriata ed era ferma davanti allo schermo del pc da un’ora a fissare una loro immagine.
Ricordava con precisione quel momento.
“Io ti prendo sul serio Viola. Forse anche troppo.” le aveva detto quella volta.
Erano al parco sdraiati sul prato, lei con la maglietta e le scarpe di Brontolo che lo avevano fatto ridere tanto, le aveva fatto il solletico per farle ritornare il sorriso dopo aver incontrato Paolo con suo figlio e poi quando lei si era alzata e aveva cercato di tirare su anche lui l’aveva fatta sbilanciare in avanti ed era caduta a sedere su di lui.
Le gambe sulle sue, le mani sulle sue spalle, le sue braccia intorno ai suoi fianchi. Gli occhi dentro gli occhi inconsapevoli di essere “spiati” .
Carla aveva colto quel  momento.
Io ti prendo sul serio Viola. Forse anche troppo.”
Accarezzò il suo profilo con la punta del dito, le note della canzone si stavano abbassando, la canzone stava per finire, improvvisamente si riscosse come svegliandosi da un sogno e spostò la mano chiudendo rabbiosamente il pc.
Basta.
Quella mattina prima di uscire Bianca e Arianna l’avevano invitata a raggiungerla all’uscita dal corso ma lei aveva rifiutato, non le andava di vedere gente, non le andava di fare niente. Guardò il quadrante dell’orologio. Erano ancora le quattro e mezza, forse se si fosse sbrigata sarebbe riuscita a raggiungerle e a fare loro una sorpresa. Loro erano splendide. Facevano di tutto per cercare di risollevarla ma lei si era chiusa in sé stessa pensando solo al proprio dolore. Afferrò la borsa e uscì.

Davanti alla palazzina rossiccia c’era una folla di ragazze e ragazzi che parlavano. Conosceva bene l’inglese ma parlavano talmente velocemente che non riusciva a capire molto. Forse era il caso di fare un po’ di pratica e di approfittare di quella “vacanza” per ripassare la lingua. Si guardò intorno cercando di individuare le sue amiche. Quando aveva ormai perso le speranze vide Bianca attraversare la strada di fronte a lei. Stringeva un quaderno arrotolato in una mano e con l’altra la mano di un ragazzo. Rimase a guardarla per qualche secondo stupita. Perché non sapeva dell’esistenza di quel ragazzo?
In quel momento lei la vide e le sorrise sorpresa, salutò brevemente il ragazzo e la raggiunse.
- Ti sei decisa finalmente! Era ora che uscissi di casa!- la salutò sorridendo.
- Tu quando ti saresti decisa a dirmi di quel ragazzo?- le chiese lei un po’ risentita.
Bianca arrossì e si passò una mano tra i capelli.
- Io te lo avrei detto..- iniziò.
- Ma?- la incoraggiò lei.
- Ma è successo da poco, insomma ti avevo detto che c’era un ragazzo del mio corso che mi interessava no?
- Si certo. Francesco mi pare che avevi detto.
- Ecco si lui. Solo che non c’era niente tra di noi. E’ solo una settimana che.. Che ci frequentiamo e con tutta la faccenda di Ben, non volevo..
- Non volevi farmi felice dicendomi che sei felice? Ma tu sei una pazza! - la abbracciò ridendo. - Voglio assolutamente conoscerlo? Di dov’è? Quanti anni ha?
- Hai iniziato il tuo interrogatorio stile giornalista d’assalto? Abita nella tua città, guarda caso. Una volta finito il corso qui mi sa che ti toccherà avermi spesso tra i piedi.
Viola si rabbuiò per qualche secondo.
- Non so se tornerò lì. - poi si scosse. - Devi raccontarmi tutto! Ma dov’è Arianna?
Si guardò intorno alla ricerca dell’amica.
- E’ uscita prima, l’ha chiamata Lorenzo e sai quanto durano le loro telefonate. Ci raggiungerà tra un po’ al bar qui di fronte, dobbiamo vederci con un gruppo di amici ma se non ti va possiamo tornare..
- No, no andiamo. Non ho più voglia di stare a casa.
Prese l’amica sotto braccio e sorrise seguendola al bar.
Era davvero contenta che le cose si stessero mettendo a posto anche per lei. Se lo meritava proprio.
Trascorsero la serata piacevolmente, per qualche ora Viola dimenticò Ben o meglio non ci pensò più in maniera ossessiva e arrivò addirittura a ridere a crepapelle, vide lo sguardo sereno delle amiche e si rilassò.
Stavano facendo davvero molto per lei. Ancora una volta si erano dimostrate delle persone fantastiche. Si augurò di meritare il loro affetto. Faceva abbastanza lei per meritare delle persone così stupende? Bianca, Melissa, Arianna erano davvero uniche.

A casa dopo aver interrogato a dovere Bianca e averle estorto tutti i particolari andarono a letto. Ed era lì che cascava l’asino.
La notte prendere sonno era sempre stato difficile, ma in quel periodo poi era quasi impossibile. Si rigirò nel letto fino a che gli occhi non le si chiusero all’improvviso.

Il giorno dopo ciabattava per l’appartamento aspettando il ritorno delle amiche per fare un giretto di shopping quando il suo cellulare iniziò a squillare.
Era Rosa.
- Ehi sorellina. Come va nel Bel Paese?- rispose sorridendo.
- Bene a parte che mancano due giorni al trentesimo anniversario di matrimonio dei nostri genitori e tu te ne sei completamente dimenticata!- le disse in tono secco la sorella.
- Oh cavolo vero! Vabbè li chiamerò per fargli gli auguri..
- Auguri??? Ti ricordi che avevano parlato di organizzare una festa? Vogliono rinnovare la promessa! Ma dove cavolo vivi?
- In Inghilterra?- le chiese ironica.
In effetti lo aveva dimenticato, erano successe tante cose in quel periodo!
- Non saresti giustificata nemmeno se fossi dispersa nel Sahara figurati a tre ore di volo da qui!
- Senti Rosa..
- No senti tu Viola. Ora tu prendi il tuo bel trolley di Louis Vuitton, che tra l’altro ti ho regalato io, ci infili tutte le tue cianfrusaglie, prenoti un volo, porti le tue chiappe su quell’aereo e torni qui di filata. Altrimenti farò in modo che i nostri genitori ti tolgano dal testamento e che la mia fetta di eredità aumenti. Sono stata chiara?
- Ma..
- Niente ma! Abbiamo una marea di cose da organizzare e tu te ne stai lì a poltrire. Ti voglio qui entro stasera, senza se e senza ma. Muoviti!
Detto ciò agganciò lasciandola a fissare il cellulare a bocca aperta.
Era impazzita. Non le aveva nemmeno dato il tempo di formulare una frase.
Quando le amiche rientrarono lei aveva già predisposto tutto. La valigia era pronta all’ingresso e il suo volo sarebbe partito dopo due ore.
- Che fai vai già via?- chiese Arianna in tono lagnoso.
- Ben si è fatto sentire e torni da lui?- ipotizzò Bianca, in piena visione romantica.
Il suo cuore mancò un battito ma si sforzò di dissimulare.
- Allora, si Ari vado già via, purtroppo, e no Bianca, Ben non si è fatto sentire per fortuna. - disse enfatizzando l’ultima parola.- I miei fanno trent’anni di matrimonio tra due giorni e si era parlato di fare una festa. Io me ne ero totalmente dimenticata così mi ha chiamato Rosa infuriata e mi ha ordinato di tornare per aiutarli con gli ultimi preparativi.
Le amiche si offrirono di accompagnarla all’aeroporto e mandarono a dire a Melissa di farsi sentire, se voleva avere ancora un tetto al suo ritorno in Inghilterra.

L’aereo iniziò la procedura di decollo. Si allacciò la cintura di sicurezza e infilò le cuffie dell’ipod.
Le incomprensioni sono così strane
Sarebbe meglio evitarle sempre..

Sospirò e cambiò canzone guardando la pista dell’aeroporto rimpicciolirsi fino a sparire tra le nuvole.
Quella con Ben non era un’incomprensione, era la fine. Ne era certa.


Ciao! Eccoci al capitolo 32! So che non accade molto, conosciamo meglio Arianna e Bianca ma poco altro. Lo definirei un capitolo di passaggio. Come sapete la storia volge alla fine. Sing sing. Che ve ne pare? Se volete farmi sapere qualcosa ne sarei felice. Grazie mille davvero a chi legge e a chi recensisce. Vi adoro.
Come sempre vi ricordo "Non tutti i mali vengono per nuocere?", al momento l'ho un po' trascurata perchè sono totalmente concentrata sulla fine di questa, ma la riprenderò al più presto e spero che una volta chiusa questa avventura mi seguirete anche in quella. : )
Vi lascio altre due immagini di Bianca e Arianna. Baci, Manu!
Bianca e Francesco

Image and video hosting by TinyPic
Arianna e Lorenzo.

Image and video hosting by TinyPic

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** Spiegazioni ***


Image and video hosting by TinyPic

CAPITOLO XXXIII : Spiegazioni.


A casa tutto era come sempre. Stesso caos, anzi forse più della normale quotidianità. Come accadeva prima di ogni evento importante in casa Perni c’era il delirio.
Rosa e Margherita andavano a destra e a sinistra progettando mille piccoli, e a suo parere insignificanti, dettagli: il colore delle tovaglie, i fiori con cui addobbare la chiesa e la sala, la lista degli invitati e la loro disposizione ai tavoli. Amava lo shopping e le belle cose ma per quanto riguardava le cerimonie era addirittura minimalista. Se mai si fosse sposata avrebbe voluto una cosa intima, privata, una chiesa piccola, i familiari e gli amici più stretti, un abito semplice, colori tenui. Pregò mentalmente che la lasciassero fuori da quella confusione, ma la sua preghiera non fu esaudita. Un’ora dopo essere ritornata a casa, aver salutato tutti e essersi fatta una doccia la spedirono dal fioraio e dal gioielliere per le fedi, sopportò le liti tra Rosa che voleva gli addobbi color lilla e Margherita che invece si batteva per il porpora. Sua madre che voleva accontentare entrambe, non sapeva come mettere fine a quelle chiacchiere.
- Ma mi spiegate perché tutto questo accanimento? Mamma! Non si possono accontentare tutti  quindi scegli un altro colore.
- Ma per me è uguale.. - iniziò lei.
- No! Basta! Queste sono scemenze, se non vuoi che prendo il primo volo e me ne torno da dove sono venuta scegli un colore e facciamola finita.- disse risoluta.
- Ah ecco allora, io.. Giallo!
- Ma il giallo, è difficile da abbinare a..- iniziò Margherita.
- Ha detto giallo e giallo sia!
I due giorni di preparativi volarono via tra dettagli e piccolezze.
A sera si rifugiò nella depandance stremata. In ventiquattro ore aveva attraversato l’Europa, aveva sedato gli isterismi familiari e fatto tremila giri per tremila insignificanti, ma “fondamentali” a detta delle sue sorelle, particolari.
Chiuse gli occhi decisa  ad addormentarsi in vista della giornata di fuoco che la aspettava ma il viso di Ben  come ogni sera tornò a tormentarla. Sbuffò e si schiacciò il cuscino sulla faccia. Perché non riusciva a capire che non valeva la pena darsi pena per lui, perderci il sonno, l’esistenza?
Forse era passato troppo poco tempo e lei aveva tempi molto lunghi per riprendersi. Ma ormai sapeva che anche le ferite più profonde si rimarginano, magari lasciano cicatrici che se sfiorate possono fare un male atroce, come se la ferita fosse ancora aperta e infetta. Era stato così per Paolo. Aveva creduto che il taglio fosse ancora sanguinante e invece era solo un’impressione. Era convinta però che la situazione con Ben fosse diversa. Il sentimento che provava per lui era più maturo, più consapevole, non era dettato da fantasie adolescenziali ma da una conoscenza del suo essere. Un essere che però si era rivelato un bluff. Aveva creduto che Ben fosse speciale, sensibile e invece era come tutti gli altri, alla ricerca di trofei da esporre nella propria bacheca. Era stata questo per lui. Un gioco. Non c’erano altre spiegazioni.
I ricordi dei giorni passati con lui, la sensazione della mano nella sua, delle labbra sulle sue, quel senso di appartenenza e di sicurezza che provava ogni volte che era con lui la tormentarono per tutta la notte. Quando il primo pallido raggio di sole si intrufolò tra le imposte delle persiane lo accolse come una benedizione, si alzò infilò il bikini e si gettò in piscina. Non c’era niente di meglio di una rinfrescante nuotata per riprendersi dopo una notte disastrosa. Dopo aver fatto diverse vasche si lasciò cullare dall’acqua e si concentrò sul cielo rossiccio del mattino, assaporando la calma che avrebbe preceduto la tempesta. Tra poche ore, con il tipico caos della sua famiglia non avrebbe avuto nemmeno un minuto per se stessa.


La chiesa era affollata, il caldo era opprimente.
Viola si mosse sul banco di legno, il suono dell’organo annunciava l’arrivo della “sposa“.
Avevano pensato proprio a tutto. Guardò sua madre avanzare nel suo tailleur color panna, al braccio di Daniele.
Sentì un rumore al suo fianco e si voltò. Per poco un urlo non le sfuggì dalle labbra.
Ben.
Cuore fermo.
Lo guardò a bocca aperta per qualche secondo. Lui ricambiò lo sguardo. Non sembrava particolarmente felice.
- Cosa ci fai tu qua?- bisbigliò ancora scioccata.
- Sono stato invitato.- rispose secco, spostando lo sguardo altrove.
- Da chi? Perché?
-  Da tua madre.
L’inizio della cerimonia le impedì di continuare la conversazione. Lo guardò ancora per qualche secondo prima di spostare lo sguardo sui suoi genitori.
Possibile che i suoi occhi fossero ancora più verdi? Possibile che il suo profumo fosse ancora più buono? Possibile che fosse ancora più bello di come lo ricordasse?
Sospirò cercando di calmarsi. Non lo vedeva da sedici giorni e ritrovarselo davanti così all’improvviso era stato davvero traumatico. Il suo cuore alternava pause eccessivamente lunghe e galoppate furiose. Il suo stomaco era un immenso nodo. Eppure nonostante tutto lo sconvolgimento che lui le provocava non poteva rinnegare quell’impulso di chiudere gli occhi e abbracciarlo, quell’irrazionale desiderio di dimenticare tutto e lasciarsi andare. Ma riuscì a controllarsi.
Era sbagliato.
Per tutta la messa lei fu un fascio di nervi, consapevole solo della presenza al suo fianco. La stoffa del suo vestito elegante strusciava contro il suo braccio nudo, la sua mano era sparita in quella leggermente ruvida di lui per la consueta stretta di pace durante la liturgia. La mano aveva trattenuta la sua per qualche secondo più del dovuto. Lei aveva deglutito, alzando lo sguardo per trovare il suo che però sciolse la stretta e si girò dall’altra parte.
Quando finalmente la messa finì lei uscì dal banco e si avvicinò ai genitori, fece di tutto per stare lontana da lui. Per ignorare quella sensazione di angoscia mista a gioia ogni volta che lo vedeva, troppo vicino.
Raggiunsero a  piedi la sala che era proprio accanto alla chiesa in cui era stata celebrata la funzione. A tavola  non  avrebbe potuto fuggire.  Scrollò la testa sconsolata. Il cartellino segnaposto accanto al suo non le dava via di fuga e in ogni caso non avrebbe potuto fare niente. Per tutti lui era il suo fidanzato.
- Ciao. - disse sedendosi accanto a lei.
Il tavolo, in cui si sarebbero seduti anche le sue sorelle e suo fratello con i rispettivi partner era ancora vuoto.
- Non mi hai ancora spiegato cosa ci fai qui.- disse in tono secco.
- Te l’ ho detto..
- Intendo dire “davvero”. Potevi rifiutare, dire che avevi un impegno.
- Perché avrei dovuto mentire?
Sembrava aver perso il malumore di prima, era tranquillo, rilassato. A suo agio. Come sempre.
- Perché non hai nessun diritto di stare qui, con la mia famiglia, con me.
Non sapeva nemmeno lei la forza di essere tanto cruda. Diretta.
- Sono stato invitato, ho tutto il diritto di essere qui.- disse lui scrollando le spalle.
- Casomai te ne fossi dimenticato ti hanno invitato solo perché credono che io e te stiamo insieme.
- Ti sbagli. Tua madre mi ha detto di aver capito che tra di noi è successo qualcosa ma ha voluto che fossi qui lo stesso. Non puoi seppellire l’ascia di guerra per la festa dei tuoi?
- No! Tu non puoi fare il bello e il cattivo tempo nella mia vita. Non abbiamo niente da dirci. Non fai più parte della mia vita. Non hai il diritto di essere qui accanto a me, io da te non voglio niente.- sussurrò esasperata. L’ultima cosa che voleva era fare una scenata ma trovarselo davanti aveva mandato per aria il precario equilibrio che aveva iniziato a ricostruirsi.
- Ti calmi per favore? Ci sono due bambini che ci guardano sconvolti.
- Non me ne frega niente! Adesso ti alzi, saluti i miei e te ne vai.- disse risoluta.
- Io non vado da nessuna parte. Fattene una ragione.
Si accomodò meglio sulla sedia con un sorrisetto irritante sulle labbra. Sembrava che prendersi gioco di lei lo divertisse da morire.
Una rabbia incontrollabile le montò dentro e si allontanò prima di fare qualcosa di cui poi si sarebbe pentita.
Fuori dalla sala prese il cellulare e chiamò Melissa.
- Ohi eremita ti fai sentire di nuovo eh!- la rimproverò gentilmente l’amica.
- Scusami sono stata imperdonabile, sono sparita.
- Sei ancora in Inghilterra?
- No, no! Sono nella nostra città. I miei hanno deciso di rinnovare la promessa di matrimonio.
- Mi sembra una bella cosa, perché lo dici con questo tono?
- Perché sono esasperata. Qui qualcuno vuole la mia morte prematura! Hanno invitato Ben. E’ seduto al tavolo accanto a me. Potrei infilargli la forchetta nella trachea senza pensarci due volte.
- No che non lo faresti. Finiresti in carcere e con l’umidità che c’è lì sai che cespuglio avresti per capelli? Non ti conviene!
- Mel!- protestò Viola anche se un sorriso le incurvò le labbra.
- Pfiù guida! Cosa vuoi che ti dica? Che fomenti i tuoi istinti omicidi? Devi sopportarlo.
- Devo? Io non voglio, solo a vederlo io…
- Tu?
- Io non so se strozzarlo o..
- O?
- Oh! La smetti di fare il pappagallo?
- E tu la smetti di parlare a intermittenza? Qual è l’altra opzione?
Viola sbuffò passandosi una mano tra i capelli.
- O non lo so. Sono un caso senza speranze.
- Io direi piuttosto che sei innamorata come una tortora.
- Melissa!
- Che ho detto? E’ la verità Viola! Lo sai anche tu!
- Ma lui.. Con la Rossi, insomma, lo sai quello che ha fatto!
- No Viò, non lo so e non lo sai nemmeno tu. L’hai visto vicino a lei ma non sai se effettivamente si sono baciati o no. Hai lasciato che i tuoi dubbi e le tue paure avessero la meglio.- disse l’amica tutto d’un fiato.
Viola rimase in silenzio per qualche secondo.
- Vabbé devo rientrare. Ci sentiamo. Ciao.
Rientrò in sala e sentì il bip del suo cellulare fuoriuscire dalla pochette.
“ So che te la sei presa, ma se ci pensi con razionalità mi darai ragione. Prova a parlarci. Non dare per scontato nulla. Non permettere a Paolo di continuare a rovinarti la vita. Non ti fidi di Ben, non ti fidi di nessuno. Lasciati andare. Ciao guidolina.”
Ancora Paolo? Possibile che Melissa avesse ragione? Possibile che non fosse obiettiva? Che la sua insicurezza le impedisse di vedere le cose dalla giusta prospettiva?
- Pensavo fossi scappata via di nuovo.- la accolse Ben.
- Oh no, non vado da nessuna parte. - replicò ironica
La festa proseguì per tutta la giornata. Ben le era sempre accanto, parlava con tutti come se fosse un membro a tutti gli effetti di quella famiglia.
A Viola toccò subirsi tutte le lodi che i suoi parenti, soprattutto di sesso femminile decantavano di lui.
“ Sei davvero fortunata Viola” queste erano le parole ricorrenti.
Quando finalmente fu l’ora di tornare a casa era già sera inoltrata.
- Vieni con me?- le chiese Ben tranquillo.
Lei annuì e lo seguì in macchina. Per tutto il tragitto rimasero in silenzio.
- Bene, grazie per il passaggio. Buon rientro a casa. - gli disse con il cuore in subbuglio uno volta che arrivarono davanti alla villa dei suoi genitori.
Era l’ultima volta che lo vedeva. Una volta dentro avrebbe detto ai suoi familiari che con Ben non aveva più niente a che spartire e li avrebbe pregati di non coinvolgerlo più. Si concesse di guardarlo per qualche secondo poi si voltò per aprire lo sportello.
- I tuoi mi hanno invitato a restare qui per qualche giorno. Ho già lasciato qui il mio bagaglio. Mi dispiace deluderti.- lo sentì sorridere e il suo cuore si fermò per qualche secondo.
- Tu cosa?
- Dormo qui.- ripeté lui.
- Ben adesso è davvero troppo.
- No. Lo dico io che è troppo. Vuoi continuare a far finta di niente? Vuoi chiuderla davvero così? Senza aver parlato come le persone civili? Pensavo che in queste due settimane tu avessi avuto modo di pensare e di capire che..
- Di capire cosa?- chiese esasperata.
- Che scappare non è mai una soluzione. Che devi affrontare le cose.
Viola scese dalla macchina ma lui la seguì.
- La smetti per favore Viola? Sono stanco.
- Bene, anche io. Ti ho detto come la penso. Lasciami in pace.
- No! Non ti lascerò in pace fino a che non mi avrai ascoltato. Fino a che non ti sarai resa conto che stai sbagliando. Che ti stai rovinando la vita e non parlo solo della situazione con me. Tu hai in testa ancora la storia di Paolo e Marta.
Le parole di Melissa ricomparvero nella sua mente.
- Come ve lo devo dire? Io Paolo non lo amo, non l’ho amato mai. Sono stufa di sentirmi trattare come un’un idiota. Stufa!
Entrò nella depandance sentendo le lacrime pungere dietro alle palpebre.
- Non mi riferivo a quello. - Ben doveva averla seguita perché la voce proveniva proprio da dietro di lei, sentì la mano catturarle il polso e farla girare verso di lui.
Occhi negli occhi.
- A cosa allora?
- Al fatto che non ti fidi della gente! Cosa hai visto in quell’ufficio?- le chiese delicatamente.
- Ho visto te con la Rossi. Tu la stavi baciando!
- Lo hai visto con i tuoi occhi?
- Ho visto che eri chino su di lei.
- Ma non hai visto un bacio.
- No ma se avessi aspettato…
- Se avessi aspettato avresti visto che non ho fatto niente di male, avresti visto che ero lì per parlare del tuo manoscritto.
- Di cosa?- le chiese confusa.
- Hai presente la prima volta che sono venuto da te e ho frugato tra  le tue cose nella libreria? Ecco ho visto un manoscritto. Non ci ho fatto molto caso ma poi dopo che sono entrati i ladri in casa tua ho approfittato della confusione e l’ho preso.
- Tu cosa?- chiese furiosa.
Come si era permesso di toccare le sue cose? Leggere qualcosa di suo senza avere il permesso? Non permetteva  a nessuno di farlo.
- Lo so, ho sbagliato avrei dovuto dirtelo. Comunque ho letto quella storia e l’ho trovata davvero buona così l’ho segnalata alla Rossi. Quella mattina dopo che ci siamo salutati lei mi ha chiamato per dirmi che voleva parlarmi della pubblicazione. Sono andato subito lì e tu ci avrai visti mentre parlavamo.
-  Tu dovevi parlarmi! Non ti dovevi permettere!
- Lo so e mi dispiace, ma non ne avresti avuto il coraggio, ammettilo.
- Avrei comunque dovuto scegliere io! Ma comunque ciò non toglie che eravate in atteggiamento fin troppo intimo.
- Ok ho sbagliato, avrei dovuto parlartene, convincerti a pubblicare quella storia senza ricorrere a sotterfugi ma non ho mai avuto una storia con la Rossi. Mai.
Viola si passò una mano sugli occhi. Aveva mal di testa, era stanca. La notte scorsa non aveva chiuso occhio.
- Io non lo so Ben, ciò non toglie che non mi fido di te, che hai fatto le cose alle mie spalle e che con lei ho sempre notato una specie di… lasciamo stare. In ogni caso ho già deciso di andare a vivere a Londra, ho già il biglietto. Adesso me ne vado a letto.
Ben si voltò e si sedette sul divano.
- Io ti ho detto quello che dovevo. Hai frainteso, Viola. Adesso fai quello che vuoi.
Lei lo guardò da dietro, le mani strette a pugno e lo sguardo rivolto fuori dalla finestra. Aveva voglia di sedersi accanto a lui, di lasciar perdere quella storia, di strappare il biglietto per Londra. Ma sapeva di dover fare chiarezza dentro di lei.
Lui le aveva dato una spiegazione, adesso era lei a dover trarre le conclusioni e a decidere se fidarsi o meno.
- A domani. - disse prima di dirigersi verso la stanza da letto.





Ciao a tutti! Intanto scusatemi davvero se sono sparita per tutto questo tempo ma a mia discolpa posso dire che ho una brutta congiuntivite che non mi sta dando pace e scrivere questo capitolo è stato faticosissimo. Non so se i risultati siano buoni, a voi la sentenza. A presto per quello che salvo “illuminanti illuminazioni” sarà l’ultimo o il penultimo capitolo con qualche altro colpo di scena. Qui non si sta mai tranquilli devo dire. A presto. Baci. Manu. Ahhh mi sono dimenticata di dirvi che ho in mente un missing moment con il punto di vista di Ben in tutta questa faccenda, sapremo cosa è accaduto quel giorno con la Rossi e come ha affrontato Ben la situazione, si chiamerà Ma quale domani, la inserirò nella serie così la troverete. ciaooo!!

Ritorna all'indice


Capitolo 34
*** L'odore del futuro!(the end) ***


Image and video hosting by TinyPic

CAPITOLO XXXIV: L’odore del futuro!


Ci sono momenti nella vita in cui bisogna rassegnarsi all’evidenza, in cui si deve necessariamente chiudere una porta e aprirne un’altra. È facile dire di voler stare bene, facilissimo, tutti lo dicono. Ma un conto è dirlo, un conto è volerlo davvero.
Viola sapeva che era un paradosso. Chi voleva essere infelice? Nessuno. Razionalmente nessuno dice “ Io voglio essere infelice”. Solo che ci sono dei meccanismi che ti portano a non voler rischiare, perché per essere felici ci vuole coraggio e Viola non ne aveva più. Aveva sentito Ben camminare per la stanza per qualche ora, poi il rumore si era  interrotto. Dormiva? Beato lui. Lei non ci riusciva.
Se con Ben le cose andassero male? Se si fosse trovata di nuovo sola? Se lui l’avesse illusa? Se lui non fosse così meraviglioso come lei credeva? Se le spiegazioni che le aveva dato poco prima fossero solo bugie? Se, se, se. Solo se. Ipotesi che non poteva provare. Si girò nel letto per la milionesima volta.
E se invece lui le avesse detto la verità? Se lui fosse quello giusto e lei stesse rovinando tutto? Si stava facendo condizionare ancora da Paolo e Marta. Ben e Melissa avevano ragione. Anni e anni, andati in fumo. Si sentiva smarrita come il primo giorno. Non amava Paolo, di questo ne era più che certa, era Ben che occupava un posto enorme dentro di lei, solo che aveva paura. Una paura che la paralizzava e la spingeva a comportarsi da idiota. Come poteva pensare di dire a Ben di non volerlo nella sua vita? Come poteva immaginarsi senza di lui? Era impossibile, Ben le era entrato nel sangue in un modo che non le lasciava scampo. Poteva rovinarsi la vita e dirgli che non voleva stare con lui e vivere nel rimpianto e nella sofferenza o poteva crescere e rischiare. Sapeva che i rapporti reali non erano quelli dei film  o delle centinaia di libri che leggeva per passione e per lavoro, la vita vera era diversa. La perfezione non era contemplata. Come sarebbe stato stare con lui?
Ci sarebbero stati giorni brutti, litigate, incomprensioni, ma ci sarebbero state anche giornate di sole e risate, corse nel parco, abbracci, mani nelle mani e magari un giorno anche dei meravigliosi bambini con gli occhi verdi.
Senza di lui tutto era spento, c’era solo il grigio e giorni piatti e vuoti, senza vita.
Quando finalmente riuscì ad addormentarsi, il sole era già spuntato sulla linea dell’orizzonte.
Si svegliò di soprassalto. Aveva sognato che Ben era andato via. Saltò giù dal letto e corse nell’altra stanza. Il divano era vuoto. Era la realtà, se ne era andato. Non c’era più nemmeno la sua valigia scura appoggiata al tavolinetto. Si era stufato di aspettare e se ne era andato. Si sedette sul divano che lui aveva lasciato vuoto, c’era una coperta piegata e appoggiata al bracciolo. La prese e la strinse tra le mani. Aveva ancora il suo odore.
Le lacrime iniziarono ad uscire dagli occhi senza controllo. Se le asciugò con rabbia. Perché era andato via? Cosa doveva fare lei adesso? Accettarlo e continuare a vivere la sua vita? Andare a Londra come aveva già stabilito?
Prese una decisione.
Si infilò un jeans e la prima maglietta che le capitò sotto mano. Poi corse al garage, una delle macchine di suo padre era lì.
Non guidava da tanto tempo ma non poteva esserselo dimenticato no? Non ce la faceva ad aspettare un treno. Doveva andare. Subito.
Inviò un messaggio alle sue sorelle per avvertirle che era andata via e aveva preso la macchina. Girò il quadro e iniziò a muoversi.
Era ora di prendere in mano la sua vita.
Guidava senza pensare a niente, non voleva prepararsi nessun discorso, voleva guardarlo negli occhi e vedere cosa succedeva.
Qualche ora dopo parcheggiò sotto casa di Ben e suonò il campanello.
Nessuna risposta. Si guardò intorno e non vide la sua macchina.
Non c’era!
Dove poteva essere? Prese il cellulare dalla tasca e cercò il suo nome in rubrica.
Doveva chiamarlo? Fece partire la chiamata ma poi ci ripensò. Avrebbe aspettato. Voleva guardarlo negli occhi, aveva fatto tutta quella strada proprio per quello. Salì in macchina e si rassegnò ad aspettare. Ma quando mezzora dopo lui non si fece vivo iniziò a spazientirsi. E se fosse andato in ufficio? Mise in moto e guidò fino alla sede della casa editrice in cui aveva lavorato. La macchina di Ben era lì e anche quella della Rossi. E se..?
“ Niente! Non farti venire paranoie! Vai”.
Salì le scale lentamente, come se stesse andando al patibolo.
In ufficio c’era il solito via vai di gente, la segretaria Moira stava parlando al telefono e la salutò con un cenno della testa e un sorriso. Chissà se sapevano che si era licenziata. Passò avanti fino alla porta del suo ufficio. Era chiuso. Aprì la porta, la stanza era buia, nessuno aveva ancora preso il suo posto. La porta dell'ufficio di Ben era aperta, si affacciò sulla soglia ma lui non c’era.
- Viola! E’ un piacere rivederti. Ben mi aveva detto di sospendere la pubblicazione fino a che non ne avessi parlato con te ma non pensavo che saresti venuta così presto. E’ davvero una bella storia.
La Rossi, in un bel tailleur grigio scuro, parlava tranquillamente e sorrideva, per un secondo Viola si vergognò di aver pensato che tra lei e Ben ci fosse qualcosa, davvero la sua poca fiducia negli altri e in sé stessa aveva rischiato di rovinarle la vita.
- Ecco, io la ringrazio. Se non è un problema ne potremmo parlare un altro giorno?
Oggi è venerdì, quindi se per lei va bene potrei venire lunedì mattina.
- Va bene, come vuoi tu. Ben mi ha detto che hai avuto dei problemi personali e che ti sei licenziata per questo.- le disse la donna comprensiva-  Sei una brava editrice e a quanto pare anche una brava scrittrice e se hai cambiato idea sappi che qui sei sempre la benvenuta.
Viola sentì ancora di più il senso di colpa farsi largo dentro di lei, Ben l’aveva coperta, le aveva lasciato una porta aperta e la Rossi non sembrava affatto arrabbiata per la sua sparizione.
- La ringrazio, davvero. A proposito di Ben, è qui?
- No, si era preso qualche giorno ma sono stata costretta a richiamarlo stamattina presto, c’era un incontro importante con uno scrittore che vuole proporci un altro libro e siccome ha sempre trattato con Ben e Giacomo ha voluto parlare con loro. Sono quasi le cinque, dovrebbero tornare a momenti. Aspettalo pure nel suo ufficio se  vuoi. Io devo andare.
Viola la ringraziò e fece per entrare nell’ufficio di Ben.
- E’ un bravo ragazzo e ci tiene a te. So che non ho il diritto di impicciarmi ma sono una vecchia romantica e ho capito che tra di voi c’è qualche problema.- Mirella Rossi sembrava quasi intimidita, lei che era sempre spigliata e decisa.
- Lo so. Sono qui per questo.- bisbigliò.
La direttrice la salutò e si allontanò.
Rimasta sola Viola si sedette alla scrivania di Ben e ripensò a quello che le stava succedendo. La storia che aveva scritto, una specie di thriller ambientato in un paese lontano in cui una giovane giornalista e un misterioso e bellissimo sconosciuto dovevano combattere con tutta una serie di strane circostanze, stava per essere pubblicata. Ci aveva messo quasi un anno a scriverla e a perfezionarla ed era molto soddisfatta del risultato ma Ben aveva ragione, non avrebbe mai trovato il coraggio di sottoporla a qualcuno per farla pubblicare. Poteva ritornare al suo lavoro, se voleva, e lei voleva tornare là, voleva ricominciare a leggere manoscritti, a scrivere recensioni. Ed infine aveva un uomo meraviglioso nella sua vita, un uomo che la faceva ridere e che la emozionava. O meglio c’era! Ma si rifiutò di lasciarsi scoraggiare, per troppo tempo la paura le aveva impedito di andare avanti ma da quel giorno in poi tutto sarebbe cambiato. Se lo era promesso durante quelle tre ore in macchina.
Era immersa nei propri pensieri e non sentì il rumore dei passi che si avvicinavano.
Entrambi sussultarono vedendosi.
- Viola!
- Ben!
- Che ci fai qui?
- Io sono venuta per parlarti. - disse con la bocca secca. Le mani iniziarono a sudare e non sapeva da che parte iniziare.
- E non potevi aspettare questa sera? Sono salito solo perché ho dimenticato le chiavi della macchina nel cassetto altrimenti sarei partito direttamente!
- Stasera? Partito?- chiese lei aggrottando la fronte.
- Si, sono dovuto venire per un incontro ma sarei tornato a casa dei tuoi questa sera. Non hai letto il mio biglietto?
- Quale biglietto?- chiese sempre più confusa.
- Ti ho lasciato un foglio sul comodino. Non l’hai visto?
- No, io.. No.. Mi sono alzata e ho pensato che…
- Che me ne fossi andato! Non è una “mia” abitudine scappare.
- E’ che.. Mi dispiace.
- Non fa niente. Torniamo dai tuoi?
- No!- si precipitò a dire.
- Come no?- era lui ad essere confuso adesso.
Non voleva tornare in quel caos, voleva parlarne con lui con calma e a casa sua, con l’invadenza dei suoi e tutto il resto era praticamente impossibile.
- No, cioè ormai siamo qui e avevamo detto che avremmo parlato e allora..
- Ok, ok. Andiamo da me faccio una doccia e poi parliamo. Sono distrutto. Quel pazzo di Torre non ha fatto che blaterare di cose assurde. E’ proprio vero che gli scrittori sono tutti pazzi. - disse sorridendo finalmente.
Viola sospirò di sollievo. Le era sembrato accigliato vedendola.
Lo seguì fuori dall’ufficio e gli indicò la sua macchina.
- Wow, hai ripreso a guidare? Sono impressionato.
- Beh ne valeva la pena, passo un attimo da me a cambiarmi e poi ti raggiungo. Ok? - disse lei.
Voleva che quella sera tutto andasse bene ed era partita da casa dei suoi genitori come una pazza, voleva farsi una doccia e mettersi qualcosa di carino.
- Sicuro che non vuoi che ti accompagni? Non mi sento molto sicuro a saperti in giro in macchina!- la prese in giro.
- Ehi! Metti anche in dubbio le mie capacità di guidatrice provetta? Se sono arrivata qui ce la farò benissimo a fare pochi chilometri. Vai tranquillo.
A casa sua scelse con cura cosa indossare poi si lavò e si sistemò i capelli alla meno peggio. Era inutile, erano proprio indomabili.
Era ancora in accappatoio quando il suo cellulare iniziò a squillare.
Melissa.
- Pazza! - esclamò.
- Oh si sono matta, matta da legareeee!- canticchiò l’amica alla cornetta.
- Che ti prende?
- C’è che hai di fronte a te, o meglio dall’altro lato del telefono una donna felicemente fidanzata.
- Ahhh! Che???- iniziò a urlare Viola per la felicità.
- Non mi stordire ti prego. Si! Quel fustacchione di Matteo e io ci siamo messi insieme e sappi solo che sto saltellando su un piede da un’ora per la felicità. Non ti ho chiamata subito solo perché ho dovuto fare le prove per dirlo. Sembra strano anche da dire. Mi sono fidanzata! Io!
- Sono felicissima Mel, da morire.
- Vorrei solo che..- il tono di Melissa si fece più grave.
- Che?
- Che anche per te le cose andassero bene. Noi due abbiamo sempre condiviso gioie e dolori e mi sembra corretto che come abbiamo diviso i momenti brutti adesso potessimo condividere anche questo momento strepitoso.
- Beh chi dice che non sia così?- disse allusiva.
- Hai chiarito con Ben?- urlò l’amica.
- Ehi! Ora sei tu che mi stordisci! Non ancora ma credo che ci siamo vicini, insomma ho capito che devo darmi una mossa se non voglio perderlo e maledizione io non voglio davvero perderlo.
- Bene, benissimo! Allora non ti trattengo. Vai, vai!! In bocca al lupo!
- Crepi.
Sorrise e tornò a prepararsi ma di nuovo fu interrotta. A squillare questa volta fu il campanello. Chi poteva essere? Forse Ben si era sbrigato presto e non aveva voluto aspettare. Andò ad aprire la porta con un sorriso. Un sorriso che le morì sulle labbra.
Non era Ben, era l’ultima persona che si sarebbe aspettata di vedere sulla porta.
Paolo.
Sembrava la sceneggiatura di un film.  
Che ci faceva lì? Cosa voleva?
- Farmi parlare.- proruppe lui intuendo il suo fastidio.
- Cosa vuoi? Eravamo rimasti che non ci saremmo più visti. E’ passato un mese da allora! Perché sei qui?
- Ho bisogno di parlarti.
- Ma a me non interessa quello che vuoi dirmi Paolo.
- Non capisco perché tu sia così aggressiva. Non sono qui per farti proposte strane. Te lo giuro! Mi  fai entrare?
- No Paolo. Devo prepararmi e andare dal mio fidanzato. Puoi avere le migliori intenzioni di questo mondo, davvero ma non mi interessano più.
Gli chiuse la porta in faccia e si preparò velocemente. Con il passato aveva chiuso definitivamente, Paolo era il passato e non aveva nessuna intenzione di dedicargli nemmeno un secondo della sua vita.
Ben era il suo presente e il suo futuro.
Fortunatamente Paolo l’aveva ascoltata e se ne era andato.
Arrivò sotto casa di Ben con il cuore in gola, il portone del palazzo era aperto, salì le scale lentamente cercando di calmarsi un po’.
Suonò al campanello e sospirò.
Ben aprì e lei gli sorrise.
Ma ancora una volta il sorriso le morì sulle labbra.
- Cosa vuoi?- le chiese in tono aggressivo.
Viola fece un passo indietro, stupita.
- Avevamo detto che..
- Pensavo che avessi cambiato idea.  - la interruppe glaciale.
- Cambiato..? Ma che dici? Perché avrei dovuto?- chiese sbalordito.
- Sono venuto a casa tua, stavo per scendere dalla macchina e ho visto Paolo entrare nel palazzo.
- Non ho idea di cosa volesse, l’ho mandato via subito. Credevo che il discorso di Paolo fosse archiviato definitivamente.
- Lo credevo anch’io ma evidentemente mi sbagliavo.
- No! Davvero Ben, non è come pensi. Non voglio nemmeno discutere di questa cosa. Se fossi interessata a lui perché sarei qui?
- Beh non lo so, forse vuoi farlo ingelosire, forse lui non si decide a lasciare la moglie e vuoi spingerlo a darsi una mossa, possono esserci tante spiegazioni..- il suo tono era freddo, distaccato.
- Non è così! E lo sai..
- No, io non so niente Viola. Te l’ho detto ieri sera. Sono stanco. Non ti capisco.
- Si che mi capisci. Sai che sono qui perché ci tengo a te. Non mi sei sembrato dispiaciuto di vedermi prima in ufficio.
- Era prima. Io non so mai cosa aspettarmi da te. Tu hai in testa Paolo e se prima pensavo che fosse solo perché hai paura di lasciarti andare adesso mi rendo conto che non è solo questo. Non ti libererai mai di lui.
- Io mi sono già liberata di lui. Lo sai. Non volevo che venisse, nemmeno lo sapevo!- disse esasperata.
 Possibile che si dovesse sempre tornare a parlare di lui? Possibile che il capitolo Paolo non potesse mai archiviarsi? Cosa aveva fatto di male?
- Certo come no!
- Mi accusi di essere io a scappare! Adesso sei tu che ti chiudi in te stesso e non mi lasci spiegare.
- Io non mi chiudo in me stesso. È la realtà Viola, c’è sempre Paolo in mezzo. Sempre e sei tu che gli permetti di intromettersi.
- Io non gli permetto nulla.- adesso iniziava a scaldarsi anche lei.- Non l’ho nemmeno fatto entrare  in casa e tu non mi ascolti, maledizione. Se non fossi talmente cocciuto capiresti che io ti amo!
Lo aveva detto. Lo aveva detto sul serio. Non era così che immaginava di dirlo, con rabbia urlando, ma ormai era fatta e non era nemmeno così che immaginava che lui avrebbe reagito.
Lo vide scuotere la testa e sorridere amaramente.
- Pensi che venendo qui e dicendo “io ti amo” le cose si mettano a posto magicamente? Che valore ha il tuo ti amo Viola? Qual è l’importanza che ha nella tua vita? Cosa ami di me?
Viola rimase paralizzata, non le credeva.
- Io.. Io..- riuscì a balbettare.
- Sai dire sempre e solo io! Perché non provi ad usare un bel “tu” ogni tanto? "Tu" Ben sei stato usato da me per arrivare a Paolo, “tu” sei stato accusato di avere una relazione con la Rossi solo perché in lei vedevi una sorta di figura materna, perché eri gentile, senza nessuno scopo. “Tu” Ben mi servivi da valvola di sfogo, come consigliere, come aiutante. E’ questo che sono sempre stato per te Viola, hai sempre avuto quel Paolo in testa, e allora adesso tutto questo amore improvviso per me da cosa nasce? Da dove? Come faccio a fidarmi della tua sincerità quando a quella rimpatriata hai detto che lo amavi, che quella sera che dovevamo andare all’orfanotrofio mi hai piantato per parlare con lui e adesso era da te di nuovo! Come faccio a sapere che sei sincera? E se fossi una pedina per arrivare a lui, di nuovo? O forse ti ha piantata ed è tornato davvero dalla mogliettina e ripieghi su di me per non stare sola!
Per qualche secondo Viola rimase zitta e immobile. Quanto veleno aveva sputato? Quante sentenze! Possibile che l’insicura fosse solo lei? Anche lui si faceva mille film! Come poteva dubitare ancora di quanto era successo un mese prima! Le era sembrato di essere stata chiara, come poteva accusarla di essere tanto meschina e ipocrita?
- Ok, usiamolo questo “tu” allora, visto che ci tieni! - disse con rabbia.- "Tu" ,Ben, sei uno stronzo. "Tu" stai osando mettere in discussione non solo i miei sentimenti ma tutta me stessa. Io avrò sbagliato, anzi ho sbagliato, perché ero insicura, perché mi sentivo legata a qualcosa che non esisteva, ad una cotta infantile e ho sbagliato, lo ripeto. Ma tu sei cieco e sordo, oltre che stronzo!
- Oh adesso sono io lo stronzo, benissimo..
- Si che lo sei! Ho sbagliato, ho sbagliato, ho sbagliato a non accorgendomi subito di quello che provavo per te o meglio non sapendogli dare un nome, perché io l’amore non avevo nemmeno idea di cosa fosse…
- Nemmeno io! Ma non per questo ti ho trattato come un cane!
- No? Tutte le volte che cercavo di avvicinarmi tu che facevi? Mi respingevi e mi trattavi malissimo. Io ho sbagliato a pensare quelle cose della Rossi ma tu non puoi negare di avere le tue dosi di responsabilità.
- Oh chissà perché mi comportavo così? Devo ricordarti che il giorno dopo che mi hai baciato in piscina dai tuoi e non perché faceva parte del copione, ma perché lo volevi, hai coronato il tuo sogno d’amore con Paolo? Che quella sera che sei venuta a casa mia per la prima volta dopo che ci eravamo avvicinati mi hai parlato di lui? Come puoi pretendere che io facessi i salti di gioia se non sapevo cosa aspettarmi da te? Ero un piacevole diversivo, quando hai trovato di meglio sono passato in secondo piano e adesso che ti ha scaricata definitivamente riscopri le mie qualità. Ma per favore Viola, cresci!
- E ho sbagliato con quella storia della rimpatriata e non finirò mai di pentirmene e per favore smettila con questa storia che mi ha piantata. L’ho lasciato io quella sera che siamo andati in orfanotrofio, cosa volesse stasera non lo so e non mi interessa nemmeno. Gli ho anche consigliato di tornare con sua moglie quella sera perché è l’unica che può amare un uomo del genere!
- Lo amavi anche tu!- disse lui un po’ più calmo, guardandola negli occhi.
- Ancora? Ma chi amavo Ben? Amavo un sogno, un’idea, un voler restare aggrappata al passato perché avevo paura di voltarmi e guardare avanti.
- E adesso cosa c’è di diverso in quello che provi per me?
- Tutto è diverso! Tu sei diverso! Tu sei vero. Cinque anni fa quando credevo di essere innamorata di Paolo non ho fatto nulla, non ho detto una parola, mi sono rinchiusa in me stessa. Adesso è diverso. Io so che quello che sento è diverso. Anche se sono qui a farmi insultare da te non starò zitta e non mi chiuderò nel silenzio per poi pentirmi a vita di essermi lasciata scappare la cosa migliore che mi sia mai capitata. Vuoi sapere cosa amo di te? Benissimo. Amo il tuo essere idealista, il tuo volere fare bene le cose, la tua lealtà, il tuo essere sempre a tuo agio in ogni situazione, il tuo essere amico di Melissa e il tuo essere entrato splendidamente nella mia famiglia, amo la tua gentilezza, la tua generosità, il tuo essere premuroso, amo la tua fragilità su certe cose, amo la sensazione alla pancia ogni volta che ti vedo e soprattutto ogni volta che mi guardi negli occhi con quegli occhi che amo, amo il modo in cui mi baci, amo il tuo prendermi in giro, il tuo modo di scherzare, il tuo essere deciso, il modo in cui il battito del tuo cuore mi calma quando ho paura, amo quelle rughette intorno agli occhi quando ridi, amo svegliarmi e trovarti addormentato accanto a me. Sono talmente masochista che amo anche il modo in cui mi rimproveri. E tu?
Aveva detto tutto. Si era esposta come mai aveva fatto nella sua vita. Non c’era più niente che lui non sapesse, conosceva ogni più piccolo sentimento che provava. Lo guardò negli occhi, per tutto il suo monologo lui era rimasto con immobile, serio. Lo vide portarsi alla nuca e sorridere.
- E io cosa? Io niente! - disse infine lui voltandosi dall’altra parte.
Un senso di gelo si impossessò di lei. Lui niente! Lui non la amava! Ma certo! Era solo orgoglio ferito il suo, nient’altro! Non c’era più niente da dire, più niente da fare. Era finito tutto e niente le impediva di andarsene, di scappare, questa volta davvero. Con la vita annebbiata dalle lacrime si girò verso la porta abbassò la maniglia e uscì. Doveva andarsene, doveva prendere aria, respirare, le mancava il fiato.
Sentì una mano afferrarle il polso,  Ben la fece rientrare nell’appartamento.
- Tu sei una pazza!- disse infine, sorrideva ancora e Viola si sentiva impazzire. Come poteva essere tanto crudele?
- La smetti di prenderti gioco di me?- disse umiliata. Voleva solo andarsene. Perché la stava trattando in quel modo? Aveva sbagliato ok, ma meritava  una tale punizione?
- Hai detto che ami il modo in cui ti prendo in giro!- le disse sorridendo compiaciuto.
- Ecco su quello forse mi sbagliavo. Posso andarmene? Ti sei vendicato abbastanza? Hai riconquistato il tuo orgoglio ferito distruggendo il mio?- chiese amaramente.
- Che stai dicendo?- le chiese, il sorriso sparì dalle sue labbra e sembrava solo perplesso.
- Hai capito benissimo! Lasciami andare a casa, Ben, lasciami semplicemente in pace!- le lacrime iniziarono a pizzicarle gli occhi, voleva solo sparire prima di umiliarsi totalmente, si avvicinò di nuovo alla porta, pregando che lui non la trattenesse di nuovo.
- Dico che sei pazza  perché come fai a credere anche solo per un secondo che io non ti ami dopo tutto questo macello? Vuoi sentirtelo dire in maniera più chiara? Benissimo.- la afferrò per un polso e la fece girare verso di lui, fissando i suoi meravigliosi occhi verdi nei suoi.- Io ti amo! Amo il tuo sorriso appena sveglia, amo il profumo della tua pelle, amo il tuo sapore e quel piccolo neo sotto l’occhio destro,  amo la tua insicurezza che mi fa venire voglia di proteggerti e scuoterti al tempo stesso, amo il suono del mio nome sulle tue labbra, amo le fossette sulle tue guance, amo la tua famiglia, amo il tuo sarcasmo, amo il suono della tua risata, il tuo sguardo imbronciato, amo il modo in cui ami i tuoi amici, amo il tuo voler risolvere sempre tutto, amo la sua testardaggine e perfino il tuo essere imprevedibile che mi manderà al manicomio prima o poi ma si sa, il cuore ha delle ragioni che la ragione non conosce*. Amo ogni cosa di te, Viola Perni.
Lei rimase pietrificata. Era vero? Non stava scherzando? I suoi occhi erano ancora più verdi e ancora più limpidi del solito. Era sincero.
- Non parli più?- gli chiese infine lui, teso.
Lei scosse la testa. Lui le si avvicinò e spalancò le braccia, risvegliandosi dal torporeViola vi si rifugiò dentro ridendo. Era quello il posto in cui doveva stare.
Quanti giri, quanti pianti, quanta solitudine, quanti sbagli prima di trovare il suo posto nel mondo! Ma non era tempo di rimpianti, né di recriminazioni. Doveva andare così e forse non era poi tanto sbagliato aver sofferto tanto. Era cresciuta tanto e se adesso era così consapevole e così certa del suo amore per Ben lo doveva anche a quello.

Il solito, irrispettoso e dispettoso raggio di sole filtrò attraverso le persiane e andò a svegliare Viola che aprì gli occhi e incontrò quelli di Ben.
- Ci sei ancora!- sussurrò quasi incredula.
- E certo è casa mia!- disse sorridendo dopo il primo bacio del primo vero giorno insieme.
- Non intendevo questo, scemo.- rise assestandogli una gomitata tra le costole.-  pensavo di aver sognato tutto.
- Oh no, è tutto vero. A proposito di casa mia, potrebbe essere anche la tua se lo volessi.- disse mettendosi a guardare il soffitto a pancia in su, di nuovo imbarazzato.
Lei si sdraiò trasversalmente sul letto, con la testa sul suo stomaco.
- Mi stai chiedendo di venire a vivere qui? Con te?
- No che dici? Io vado via!- disse ironico.- Beh si in un certo senso, ma se non vuoi lasciare casa  tua o se vuoi che andiamo a stare da te lo capisco.
- Dopo che è entrato quel ladro non la sento più casa mia e mi sono innamorata di questo appartamento dal primo momento che l’ho visto.
- Ti piace davvero?-  le chiese dubbioso.
- Si, anche se mai quanto il suo proprietario.- rise lei.
Lui le schiacciò il naso e sorrise per poi rabbuiarsi di nuovo.
- E’ una casa modesta, così come il suo proprietario che ha ancora sulle spalle diversi anni di mutuo.
- Ah  ecco un altro argomento che dobbiamo chiarire una volta per tutte. - iniziò, sollevandosi per guardarlo bene negli occhi. - Io amo te Ben e non mi importa del tuo conto in banca, non mi importa se tuo padre era un delinquente, se tua madre era una prostituta, a me importa di te, della persona meravigliosa che sei e sono più che certa che anche la mia famiglia la penserà così, se è questo che ti preoccupa.
Lui la strinse e la baciò di nuovo.
- Sai una cosa? Quasi quasi mi dispiace  di aver cambiato il mio nome da Benedetto in Ben. Era nel mio destino dover incontrare te, ero già benedetto. Mi faccio persino schifo per quanto sono diventato smielato ma non posso farci niente!
Qualche tempo dopo Viola si alzò per cercare il cellulare.
- Devo mandare un messaggio a Melissa. Starà morendo di curiosità. Ah mi sono dimenticata di dirtelo. Ti ricordi quella famosa cena che lei e Matteo avrebbero dovuto offrirci se mai si fossero messi insieme? - lui annuì.- Bene credo che domani sera andrà benissimo. Si sono fidanzati ieri sera.
Ben sorrise compiaciuto. Lei tornò a sedersi sul letto con il cellulare. C’era un messaggio in entrata.
“ Scusami se ieri sera sono passato senza avvisarti. Ero in città per lavoro e ho pensato di approfittarne. Non mi hai nemmeno dato il tempo di spiegarti ma lo capisco. Ho parlato con Marta e mi ha detto che le farebbe piacere incontrarti. Se per te va bene vorrebbe chiarire e cercare di recuperare il vostro rapporto. Se siamo tornati insieme è soprattutto merito tuo.”
Viola porse il cellulare a Ben.
- Mi dispiace essere saltato alle conclusioni sbagliate ieri sera. Ero geloso marcio e ho parlato a sproposito, sai che non le penso quelle cose di te.
- Lo so, abbiamo detto entrambi cose che non pensavamo. Ma l’importante è che siamo qui adesso, no?
- Certo. Cosa hai intenzione di fare con Paolo e Marta? Qualsiasi cosa deciderai sappi che io sono con te.
- Grazie ma credo che non vorrò né vederli e né sentirli. Ho perdonato Marta, non sento più niente verso di loro, nemmeno un briciolo di rancore. Voglio chiudere con il passato e pensare solo a me e a te naturalmente.
Detto questo cancellò il messaggio e il numero di Paolo poi selezionò il nome di Melissa.
“ Domani sera cena a quattro, mia cara tortorella. Io e Ben abbiamo chiarito”.
Abbandonò il cellulare sul comodino e ritornò tra le braccia di Ben, sorridendo. Lo baciò respirando il suo profumo.
Quello, ne era certa, sarebbe stato l’odore del futuro.

The End


Ed eccoci qui, la tanto temuta fine è arrivata. Forse più temuta da me che da voi. Sono mesi che scrivo questa storia e con tutti i suoi difetti la amo profondamente. Anche io come Viola sono cresciuta scrivendo questa storia e finendola(so che sembra strano) è come se perdessi degli amici, dei figli che ho aiutato a crescere e che ora volano via dal nido. Sniff, sniff. Mi mancheranno Viola, Ben, Melissa e tutto gli altri. Mi mancherete tantissimo anche tutti voi. Ok non sto andando dall’altra parte del mondo, sono ancora qui e scriverò ancora ma questa storia è nel mio cuore e chi mi ha supportato nello scriverla anche.
Ah la frase che dice Ben dopo aver dichiarato amore a Viola, ovvero “Il cuore ha delle ragioni che la ragione non conosce”, è del filosofo francese Blaise Pascal ed è a mio parere di una verità disarmante. Possiamo provare in tutti i modi a capire le ragioni del cuore ma non sempre, per non dire mai, è possibile riuscirci.
Ci sono cose che possono essere capite solo usando il cuore, la mente, la nostra parte razionale non potrebbe mai arrivarci.
Dopo questa mia “filosofia fai- da te” vi informo che sto peer pubblicare anche il missing moment su Ben "Ma quale domani" quindi se dopo aver letto questo malloppo siete ancora in forze andate nella serie "L'Odore del passato" e la trovate.
Adesso andiamo ai ringraziamenti.


Vi ringrazio tutti di cuore. E' stata un'avventura durata quasi otto mesi ( un parto quasi, in effetti che faticaccia XD) e ringrazio anche qui tutti quelli che mi hanno sostenuta e aiutata in primis la mia Buzzy che su efp e fuori da efp mi sopporta e mi consiglia, spero che sarà così ancora per moolti mooolti "secoli", perchè l'amicizia, quella vera esiste, io lo so e anche tu lo sai.
Poi un grazie immenso va a Dolcissima77( e al suo caro cervellino) e ad Alessia Killyourself che mi hanno consigliata e lusingata e divertita per tutto il tempo, a Blein che mi segue ovunque( non è una stalker tranquilli ma solo una santa ragazza XD )poi un grazie va alle altre che hanno recensito la storia: Alina81, Dragon19, patapata, Princesa18, annina_thebest, Chicca923, PolvereDiLuna; credo e spero di non aver dimenticato nessuno, in caso scusatemiiii, non l'ho fatto di proposito.
Grazie a chi ha messo la storia tra le preferite: Alessia Killyourself, ania2692, blein, chicca923, cullen taxs, Dolcissima77, LadyD, Marty95, Marty_995, morbidina, tj95p, valespx78,vemarilu, xsemprenoi,ylex98.                     (15)
Grazie a chi ha messo la storia tra le ricordate: GossipGirl _____, Candy_angel, Scema624, Sophia90, _Chiaraa.                                (5)
Grazie a chi ha messo la storia tra le seguite:  alina81, ali_smile, bellabirch06, blein, BlindRainbow, Briciolina, Carocimi, Chicca 923, Choo, DamaEmy, Daphne S, Desiree92, dolce_frafri, dragon19, elepina, emabel, Fantasy_Mary88, farfallina1000, gnappafunky, Gre_Leddy, Harmonia, ila_97, ile_chan, jeiija, June1992, Kalimera2, leonedifuoco, LittleDia, LostGirl, LoVe_PeAcE, mdm11, mery_gio, Miyu, monicamonicamonica, Mony5, ninacri, niny90, patapata, PinkPrincess, pirilla88, PolvereDiLuna, Princesa18, rossy87, roxb, sissi86, So_Elena, Sweet Stella, Talismaa, vaiolata, ValAngel, wilma, YesDidi, ylex98, _UriBlack_                                                                     (54)


Infine grazie a tutti quelli che leggono in silenzio e non hanno aggiunto la storia da nessuna parte ma la seguono lo stesso, grazie a chi ha iniziato la storia ma si è stufato, grazie a chi l'ha aggiunta e poi 
l'ha cancellata, grazie a chi ha pensato che non so scrivere, grazie a chi ha trovato la storia noiosa, grazie a chiunque abbia sfiorato con lo sguardo il titolo di questa storia ma non l'ha aperta.

Grazie a chi è diventato pazzo dietro tutte le paranoie di Viola ma ne ha apprezzato la crescita, grazie a chi si è innamorata di Ben e ha amato la sua dolcezza, grazie a chi ha odiato Paolo e detestato Marta ma ha riso con Melissa, grazie a chi ha adorato Giorgio con le sue canzoni di Mika e ha apprezzato la caotica e frenetica famiglia Perni.

Grazie a chiunque sia entrato in qualsiasi modo in contatto con L'Odore del passato.


 Grazie a Tutti! Bacioni, Manu.


“Il miglior futuro è basato sul passato dimenticato, non puoi andare bene nella vita prima di lasciare andare i tuoi fallimenti passati e i tuoi dolori”. ( Martin Luther King)

 


Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=569707