Ending Lands: Respiro di Drago di Shockwave (/viewuser.php?uid=110698)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Atto I: Nemetona Boganaste ***
Capitolo 2: *** Atto II: Cena con sorpresa ***
Capitolo 3: *** Atto III: I figli dei Draghi ***
Capitolo 4: *** Atto IV: Leureve ***
Capitolo 5: *** Atto V: Capobranco di Mangravia ***
Capitolo 6: *** Atto VI: Sig'Randa - Fuori le mura ***
Capitolo 1 *** Atto I: Nemetona Boganaste ***
fic1
1
Ilena non aveva mai
visto uno
Skylean prima di allora. Certo, aveva si e no venti primavere dieci
delle quali passate rinchiusa nella grande magione di suo padre, ma
s'era continuata ad aggiustare e pettinare i lunghi capelli ramati per
ore frustrando profondamente la serva di turno, giungendo infine ad
optare per una morbida treccia ordinata col capo ornato di nastri
azzurri come il delicato vestito che indossava.
Ad ogni modo non fu per
niente preparata per ciò che vide.
Era primo pomeriggio e
vedeva
già all'orizzonte la carrozza avvicinarsi; trepidante si
contorceva le delicate manine, al fianco dell'austero e canuto padre e
con alle spalle l'intera schiera della servitù. Le giovani
sguattere del maniero sembravano ansiose almeno quanto lei di mettere
gli occhi su di uno Skylean in carne ed ossa, i portatori della grande
invenzione degli archibugi. Si sentiva importante come mai in quel
momento, emozionata e tesa; la carrozza aveva oramai imboccato il
vialone principale superando la cancellata e si ritrovò a
mordersi freneticamente le belle labbra, tentando di ricordare tutto
ciò che era riuscita a leggere riguardo gli Skylean: la
gente
delle nuvole, con capelli bianchi come neve ed occhi color dell'oro,
spesso col viso ed il corpo completamente dipinti. Ma non aveva idea di
come si comportassero, se fossero ostili o meno, nulla di nulla.
Mentre si perdeva nelle
sue fantasie
suo padre la riportò alla realtà compiendo un
passo in
avanti, così da poterle far notare che la carrozza era
infine
giunta.
Il cocchiere scese con
un balzo ed
andò ad aprire il modeto sportello della modesta carrozza ed
Ilena (così come tutta la servitù)
trasalì
portando una mano alle labbra. Infine a nulla erano valsi gli
accorgimenti di suo padre e le sue raccomandazioni in merito al
mostrarsi riservata, tenendo lo sguardo basso se necessario. Ilena
l'aveva visto chiaramente però, persino sulla schena del suo
severo padre era corso un brivido.
Lo Skylean era alto,
con i capelli
legati che arrivavano poco oltre la nuca e gettati su di una spalla,
con occhi di oro puro e, e... Terribilmente affascinante. Da una parte
trovò quasi banale che una creatura così avvolta
dal
mistero possedesse anche un fascino tale, ma poi dovette ammettere a
sè stessa che non stonava, che non era eccessivo o altro,
era..
Era uno Skylean, tutto lì.
Gli osservò
attentamente le
orecchie appuntite ma non allungate come quelle degli elfi ed i segni
che portava dipinti sul viso: al centro della pallida fronte
troneggiava un occhio in rosso, così come le righe verticali
che
scendevano giù dai suoi occhi come se fossero lacrime,
spesse
lacrime.
Indossava una
semplicissima blusa
bianca, un gilet blu di quella che sembrava essere pelle di animale,
pantaloni neri dal tessuto leggero che andavano ad infilarsi in pesanti
stivaloni di pelle; portava allacciate alla cintola due fodere con
piccoli archibugi ed uno molto più grande allacciato dietro
la
schiena, senza fodera. Gli archibugi erano per metà in legno
e
per metà di un metallo liscio e luccicante; nelle parate e
nelle
onorificenze le era capitato soltanto un paio di volte di sentire
l'assordante fragore dei loro spari ed immaginò che
bisognasse
essere davvero molto abili per padroneggiare un'arte simile.
Suo padre era ancora
lì ad
annoiare lo Skylean con i suoi boriosi discorsi sulla
fragilità
del loro paese e sul quanto fosse onorato di accogliere un esperto come
lui proveniente direttamente da Mégat, la Capitale dei
mercenari, nella sua umile dimora. La servitù era tornata
alle
proprie mansioni ed erano rimasti soltanto loro tre sull'uscio di casa.
Attese pazientemente
sino a quando
suo padre non si voltò verso di lei, porgendole una mano ed
invitandola ad avvicinarsi così da poterla introdurre
all'altro.
"Ed ora permettetemi di
presentarvi mia figlia, Ilena."
"Incantato, Mia
Signora" rispose lo
Skylean, prendendo con fermezza la piccola manina di lei da quella di
suo padre ed esibendosi in un galante baciamano.
Lei si
inchinò,
aggraziatamente ma senza riuscire a togliergli gli occhi di dosso. "il
piacere è mio, Ser..?" lasciò la frase in
sospeso, mentre
le guance le si colorivano appena.
"Nemetona, Mia Signora"
Nemetona Boganaste."
Uno scioglilingua,
insomma. Buffo.
Si astenne dal dirlo onde creare situazioni anomale o imbarazzanti, ma
continuò a pensarlo durante tutto il tragitto dall'entrata
principale al gran salone, stracolmo di quadri, vasi antichi e
sconfinate polverose librerie. lei stava indietro per rispetto, in
teoria, ma in pratica poteva così lanciare qualche
disinibita
occhiatina anche al "lato b" dello Skylean passando inosservata; la
mano destra, nel punto in cui quell'uomo l'aveva baciata, ardeva di un
fuoco tutt'altro che nocivo.
Quando l'aveva fatto,
lei aveva
intravisto un lieve balenìo di canini affilati e fuori
misura,
però perfettamente nascosti alla vista dalle belle labbra
sottili. Provò ad immaginare che cosa avrebbe provato, se
Nemetona l'avesse morsa.
La sorprese vedere
quanto
attentamente seguisse le oltremodo noiose lezioni di storia di suo
padre, si sorbì per intero la genealogia di loro Gisante,
sin
dai padri dei loro padri fondatori, bla, bla, bla.. Stava quasi per
addormentarsi all'impiedi quando da una porticina laterale seminascosta
da un arazzo sbucò fuori il loro personale fabbro di
fiducia,
con aria affannata e forse allarmata.
"Mio Signore! Mio
Signore, in fucina c'è anco-"
Alla vista dello
Skylean in loro
compagnia, il quale aveva voltato il capo in quella direzione con aria
interrogativa, zittì immediatamente. Ad Ilena non piacque
per
nulla l'intenso sguardo misto fra curioso ed affascinato che si
scambiarono e ne provò un intimo moto di gelosia.
Il loro fabbro, Ferona,
era la nana
più abile che avesse mai visto; era capace di fabbricare
solide
armi per i soldati di suo padre, ed il gioarno dopo di lavorare per lei
una delicata pettinessa in avorio, intarsiata d'oro e rubini. Non era
esattamente bella con le sue guance paffute, le braccia muscolose e le
mani rovinate, tantomeno poteva essere definita femminile, nonostante
ciò era molto più graziosa e proporzionata
rispetto a
molte della sua razza. Non era nè snella nè
tozza,
portava i lunghi capelli neri sciolti, neri come i due profondi pozzi
che erano le sue iridi, contornate da folte sopracciglia e pelle color
mogano.
Questa, ovviamente, era
una
oggettiva descrizione di Ferona, dato che per Ilena non era altro che
un basso e sporco mostriciattolo abitante delle buie caverne della
fucina, in quel momento più che mai, buono solo a fare e
riparare cose.
Suo padre invece, che
aveva una
stima ben più alta di lei, la invitò con un
benevolo
cenno della mano ad unirsi alla conversazione.
"Ferona cara,
calmatevi. Con calma, ditemi, che cosa è successo?"
"S-Signore" si
avvicinò,
inchinandosi lievemente in direzione dello Skylean, il quale le rispose
con un lieve sorriso. Tentò vanamente di ignorare il rossore
che
doveva certamente averle colorato le guance e tornò a
rivolgersi
al padrone di casa "Mio Signore, nella fucina c'è nuovamente
Ser
Gerald. Lui mi.. Interrompe, non riuscirò a terminare le
lance
per la vostra parata, Mio Signore.."
"E così sei
corsa da
paparino, si?" commentò aspramente (e sgarbatamente) Ilena;
il
severo sguardo di rimprovero di suo padre e quello sinceramente
infastidito dello Skylean non fecero altro che farla arrabbiare ancora
di più.
Ferona si
limitò ad abbassare lo sguardo, mortificata.
"Provvederò
immantinente a
placare le ire di Ser Gerald di persona, non preoccupatevi. Vogliate
scusarmi" s'avviò, per poi voltarsi con un sorriso bonario
in
volto "Nemetona, cercate di non fare alcun'altra preda durante la mia
assenza, va bene..?"
"Mio Signore, sono le
donne che cacciano me, posso garantirvelo." rispose l'interpellato,
ridacchiante.
Una volta che il
padrone di casa fu
nel passaggio per la fucina dal quale era sbucata la nana, ci fu un
intenso scambio di sguardi generale, lì nel gran salone.
Nemetona sembrava essere l'unico a divertirsi, mentre osservava lo
sguardo truce di Ilena. "Ho fame." annunciò infine.
La figlia del nobile
Gisante
voltò il capo dai lunghi capelli ramati, ammorbidendo
l'espressione ed il tono della voce "Ma certo.. Vogliate seguirmi verso
le cucine, i nostri servi per la cena di questa sera si sono cimentati
in più leccornie in vostro onore, Ser."
"Bene, bene!" rispose
lo Skylean,
incamminandosi al seguito di lei; quando però poco
più
avanti si rese conto che Ferona non li stesse seguendo
arrestò
di colpo il passo voltandosi verso di lei "Voi non venite?"
La nana gli rivolse uno
sguardo a
metà fra lo stupefatto e l'ammirato. Stava per replicare,
quando
nuovamente Ilena s'intromise nel discorso. "No, vedete. Ferona pranza e
cena nella fucina.. E' sempre stato così, non esce mai da
lì dentro."
"Ed a giudicare dalla
sua
espressione direi che è molto, molto noioso! E' il mio
banchetto
di benvenuto, no? Suvvia Ferona, siate cortese e presenziate anche
voi." terminò, sghignazzando in un modo che non sarebbe
riuscito
a risultare fastidioso neanche se l'avesse voluto.
Gli occhi di Ferona si
illuminarono
mentre si avviava per raggiungerli, quelli di Ilena invece si
appannarono per via della rabbia che sarebbe stata costretta a
reprimere in quel momento e nelle ore successive.
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Capitolo 2 *** Atto II: Cena con sorpresa ***
EndingLands2
2
"La più promettente Sciamana del Paese, ho capito bene?"
"Benissimo." rispose il Presidente, con aria insopportabilmente
indispettita per chissà quale motivo. Vecchi rancori con la
sua
razza? Poteva darsi, dopotutto era risaputo che la guerra
più
aspra di tutte era stata quella fra draconici ed umani. Con
la
conseguente sconfitta di questi ultimi.
Talon non era mai stato particolarmente amante del genere umano, seppur
riconoscesse in loro una certa caparbietà e
solidità
sociale. Eppure era lì, sotto forma di scorta per
un'antipatica
Sciamana dai potenti poteri e precaria salute: aveva superato il
quinquennale esame del Consiglio di Meiren (quale adorabile Presidente
sedeva in quel momento di fronte a lui) con un superbo cocktail
allucinogeno, in grado di guidare alla Stasi per più di due
ore;
un'arte ancora in evoluzione ma già fenomenalmente utile di
suo.
Si diceva che in Stasi si smettesse di esistere, e durante la pratica
lo Sciamano avrebbe potuto guarire praticamente qualunque ferita. Il
tutto velocemente, senza dolore alcuno anche nei casi più
gravi,
a patto che la pratica avvenisse in tempo. L'effetto collaterale della
Stasi però si diceva fosse il Vuoto: se lo Sciamano non era
abbastanza bravo, o sbagliava qualcosa nel mix di ingredienti, avrebbe
anche potuto sperdere l'anima del paziente per sempre negli abissi.
Era per quel motivo che Talon s'era da subito abituato al dolore, per
puro terrore della stasi sciamanica. Aveva assistito con i suoi occhi
ad una perdita di sè stessi, ad un Vuoto, ed era sicuro che
non
sarebbe riuscito a dimenticarlo per il resto dei suoi giorni.
Fece schioccare rumorosamente la lunga coda uncinata, distese le grosse
placche squamose all'altezza della schiena e si rassegnò
placidamente a dover attendere ancora, sotto viperini sguardi
dell'altro, la capricciosa Sciamana.
Correva, svoltava tutto ad un tratto, sbuffava senza mai guardarsi
indietro: sorpassò di corsa un grosso cinghiale arrosto,
saltò oltre un'insalatiera ed ignorò palesemente
la voce
del Fratello che lo chiamava insistentemente, quasi piangendo dal
ridere. Sentiva ridere anche una voce femminile, mentre una terza era
invece furiosa. Ancora una volta saltò oltre una decorata
brocca, sfuggì a diverse mani che tentavano di acchiapparlo,
ne
morse persino una sbuffando minacciosamente del fumo dalle nari e
lanciando versi striduli; una volta appurato che non avrebbe potuto
fare altro che correre, senza poter consumanre un tranquillo pasto,
diede di sfuggita qualche morso al cinghiale di prima e
schizzò
a nascondersi della tasca della blusa del Fratello, sporgendo solo la
parte anteriore del muso e soffiando in un modo molto simile ad uno
sghignazzo.
-
"Chiedo umilmente perdono" fece Nemetona, ancora con gli occhi umidi e
la voce tremula per le risate "Ma il mio caro amico non è
proprio riuscito a trattenersi davanti a visioni tanto appetitose!"
Ilena, livida di collera e con in suo bell'abito sporco di salsa di
frutti scacciò brutalmente la servitù impegnata
sino a
pochi istanti prima a tentare di catturare l'impunita bestiola; Ferona
invece guardava con ancora una volta occhi colmi di ammirazione il
piccolo musetto rettile che faceva pigramente capolino, mezzo dormiente
e poggiato sulle pieghe della tasca della blusa che indossava lo
Skylean. Aveva letto di quelle magiche creaturine soltanto nei
più antichi tomi di fiabe di Ilena, quando lei se ne era
stancata e decideva di potersene liberare ma mai, mai aveva anche solo
sperato di vederne una, ritenendolo impossibile.
"Perdonatemi" mormorò quasi verso il possessore di
quell'esserino tanto particolare, abituata a rivolgersi verso altri con
un tono particolarmente sommesso "Ma quella è proprio una
Viverna..?"
Probabilmente Nemetona riuscì ad udirla soltanto
perchè
lo schiamazzo provocato dal suo amichetto squamoso era terminato;
voltò il capo verso di lei, sorridendole cordialmente. "E'
la
seconda volta che mi sorprendete oggi, Ferona. Si, è proprio
una
Viverna. Proprio come quelle delle fiabe."
"E quando.. Sarebbe stata la prima volta che vi ho sorpreso?"
"Beh" ridacchiò lui "Sino a quest'oggi, non avevo idea che
un'esponente del gentil sesso nanico potesse essere così
graziosa."
Avvertì chiaramente il viso andare a fuoco in una singola
vampata, mentre riportava fulmineamente lo sguardo al grosso tavolone
ancora imbandito. "Oh."
Ilena, avendo terminato di sfogarsi con la servitù, diresse
il
suo furore altrove scegliendo come bersaglio lo Skylean, il
proprietario della bestiaccia che le aveva rovinato il vestito. "E voi!
Tenere quella schifosa lucertola libera come l'aria, a tavola, fra di
noi!"
Ferona stentò a credere ai propri occhi quando la piccola
Viverna, verdissima con qualche squama blu sul dorso sbuffare fumo
dalle narici, facendo rumorosamente saettare la lingua producendo suoni
simili a pernacchie. Vide Nemetona ricominciare a ridere e dovette fare
del proprio meglio per trattenersi.
La figlia del padrone di casa allora esplose in un vero e proprio
roboante boato, voltando loro le spalle e correndo via con le mani fra
i capelli.
Ferona non aveva desiderato altro che poter assistere ad uno spettacolo
del genere per tutte le volte che era stata costretta a subire in
silenzio ed a testa bassa tutto il veleno che era grado di sputare
quell'orrenda vipera su tutto e tutti, specialmente lei,
perciò
non potè fare altro che gioire intimamente, con un
sorrisetto
soddisfatto che le si espanse pian piano sul simpatico facciotto.
Anche Nemetona sorrideva, ancora seduto accanto a lei, e mentre la
osservava persa nei suoi pensieri le parole fluirono da sole dalle
labbra. "Odiate stare qui, non è vero?"
"Oh, cosa darei per poter.." rispose lei, senza pensarci; un attimo
dopo scosse il capo risvegliandosi dalle sue fantasie "No! No, il mio
posto è qui, nelle fucine del Padrone, e..!"
"Il vostro posto è in mezzo agli altri, Ferona.. Non
rinchiusa
in una fucina di un sedicente Signore di come quelli dei tempi antichi."
"Ma.. Il Padrone, lui.."
"Ascoltatemi" fece allora lo Skylean, sporgendosi e poggiandole le mani
su entrambe le spalle. "Sostenete che il vostro Padrone vi voglia bene.
Ma vi fà mai uscire dalle fucine? Vi fà mai
sedere al suo
stesso tavolo, vi fà mai mangiare il suo stesso cibo?
Svegliatevi mia dolce, ingenua Ferona. Il vostro Padrone vi tratta
esattamente come vi tratta la sua adorata strega travestita da graziosa
primogenita. E' solo che Ilena è ancora troppo giovane per
riuscire a mascherare il suo disprezzo con falsi sorrisi e carezze sul
capo."
Ferona aprì la bocca per rispondergli, senza però
effettivamente sapere cosa dire.
Se lui aveva ragione, il motivo per cui aveva sempre sopportato svaniva
miseramente, crollava il suo unico punto fermo nella sua intera vita,
sin da quando il suo povero padre era stato costretto a venderla con la
speranza di poterla rivedere viva ed in salute, un giorno. Mentre
già il panico s'impadroniva di lei nel pensare a cosa
avrebbe
fatto, dove sarebbe potuta andare e dove avrebbero potuto eventualmente
accettarla, Nemetona Boganaste le offrì la soluzione ad ogni
suo
problema con una semplicità estrema.
"Venite con me."
Ferona gli rivolse uno sguardo meravigliato, traboccante di lacrime e
confusione. "Co-cosa? Ma il Padrone non lo permetterebbe mai!"
"Ed allora stanotte fuggiremo."
"..I-il vostro incarico.."
"Oh, sapeste quanto è più importante e prezioso
di
qualunque tintinnante moneta quello a cui dò la caccia!"
rispose
allora Nemetona, con voce entusiasta "Significa che verrete..?"
L'abile fabbro del Maniero Gisante allora gli dedicò uno
sguardo
intenso, sorridendo mentre un senso di pace le invadeva l'animo al solo
guardare quegli occhi d'oro vivo.
La stasi del pettirosso durò si e no qualche minuto; la
Sciamana
aveva voluto per forza arrestare il loro cammino, volendo a tutti i
costi curare quel piccolo uccellino con l'ala destra spezzata. Anche
Talon s'era spezzato più di una volta una delle due ali, una
volta persino entrambe, ricordando bene la sofferenza enorme dei
medicamenti e del periodo di guarigione; ed invece in pochi attimi il
pettirosso fu nuovamente libero di spiccare il volo, con solo il brutto
ricordo del dolore provato.
"Mi auguro non abbiate intenzione di fermarvi a soccorrere ogni
creatura ferita o in difficoltà che incontreremo durante il
percorso, Sciamana." l'apostrofò aspramente, mentre la
osservava
raccogliere da terra il bastone che utilizzava come se fossero stati i
suoi occhi e la cascata di sottili capelli di un bizarro viola purpureo
tornavano a solleticarle la schiena sin fra le scapole.
Sioni, dal canto suo, gli si rivolse con un tono molto severo. "E'
proprio da un guerriero che ci si aspetta la compassione di fronte al
dolore, Talon. Se le vostre paure non vi annebbiassero la mente, mi
chiamereste per nome e vi lascereste condurre da me alla Stasi."
Il Draconico portò all'istante una mano artigliata al fianco
sinistro, una vecchia ferita di guerra che lo tormentava oramai da
anni, senza voler neanche immaginare come facesse lei a saperlo. Fece
guizzare un paio di volte la lingua biforcuta, innervosito. "Ho visto
amici cadere nel Vuoto. Maledetti voi Sciamani e le vostre arti
proibite. Un vero guerriero lo sopporta il dolore."
Lei ascoltò silenziosamente i rumori della sua amata foresta
di
Meiren, ruotando gli occhi vitrei verso l'alto per poi voltarsi in
direzione del suo interlocutore. "Un vero guerriero desidera sopra ogni
altra cosa essere sempre pronto a difendere sè stesso e gli
altri, ed il dolore o la paura di provarlo fanno si che molti si tirino
indietro. Ora non è più così."
"Non fate propaganda con me, Sciamana. Voi umani mandate in guerra
stupidi ragazzini viziati, convinti che questa nuova faccenda della
Stasi possa risolvere tutto. Non mi pare che funzioni con un corpo
senza testa, o con uno infilzato su di una lancia, o con braccia o
gambe tranciate via."
Lei sospirò, pesantemente. "Il vostro accanimento verso la mia
razza è degno della vostra, Talon."
"Non osare!" esplose allora lui, colpendo con la coda uncinata il
tronco di un albero lì accanto.
Umani.
Sempre pronti a rivangare avvenimenti passati. Soprattutto guerre che
li aveva visti perdenti.
Quando Sioni scrollò le spalle, riprendendo il cammino in
modo
totalmente autonomo la seguì, con addosso la fastidiosissima
sensazione di aver comunque fatto la figura del cretino.
-
..yay! Capitolo due
terminato!
Bene bene, e la storia prosegue, qualcosa viene spiegato, altre cose
no, altre cosette si aggiungono e pian piano comincia a venir fuori
qualcosa. Che succederà nel prossimo capitolo?
Grazie a Bryluen
per la recensione e a tutti coloro che hanno almeno una volta sfogliato
o che
sfoglieranno!
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Capitolo 3 *** Atto III: I figli dei Draghi ***
EndingLands3
3
"Dunque. Ho ideato un piano perfetto mia Cara, ora voglio che stiate a
sentire molto attentamente. Non distraetevi neanche per un istante."
Già bella che distratta da ben altro che la sua voce, Ferona
s'accostò maggiormente allo Skylean con fare complice,
vagamente
nervoso: erano nel bel mezzo del corridoio del primo piano del Maniero,
nel buio quasi totale della notte inoltrata.
"Vi ascolto."
"Ora, io e voi correremo fuori di qui, correte all'impazzata e non
voltatevi mai indietro."
Lei attese trepidante (e vanamente) altri dettagli, dettagli che non
arrivarono da parte dell'altro. Tutto li? Sarebbe stato quello il
grande piano?
"E le guardie?"
"Guardie, quali guardie."
Non poté fare a meno di strabuzzare gli occhi. "Oh per
l'amor
del cielo Nemetona, le guardie del Padrone, le stesse che vi hanno
accolto questo pomeriggio!"
"Ah."
No. No, doveva essere una specie di scherzo, un crudele scherzo da
parte di un più che convincente burlone. "Sarebbe questo il
vostro piano perfetto..?" chiese con lieve esitazione, come qualcuno
che chiede aspettandosi una determinata risposta.
Nemetona la guardò e sorrise. Il suo sorriso, nonostante
portasse per ornamenti affilati canini, le diede un senso di pace che
fino ad allora era stata in grado di provare soltanto qualche volta
nelle fucine, totalmente da sola, a notte fonda, sprofondata nel
silenzio. Lei aveva deciso in un solo pomeriggio di stravolgere la sua
intera vita fuggendo con lui, e lui aveva ripagato la sua fiducia con
uno dei piani più incredibilmente semplicistici e difficili
a
realizzarsi di tutti i tempi.
Insomma, scappare? Correre contro i cancelli principali, dove sapeva
sentinelle armate fossero appostate per i turni di guardia notturna?
No, davvero non le sembrava una buona idea.
Eppure, con lo Skylean al suo fianco non riusciva ad avere paura.
Sapeva che lui, con i suoi archibugi, sarebbe riuscito a superare gli
ostacoli ed a scappare con lei. Non sapeva come ci sarebbe riuscito, ma
sapeva di sapere e tanto le bastava. Aveva sonno, era stanca e le
bruciavano gli occhi, ma voleva assolutamente andare via da li, la
prospettiva di una nuova vita fatta di mille avventure al fianco di un
fascinoso uomo dai capelli bianchi ed il sorriso disarmante era troppo,
troppo allettante.
Quando Nemetona le prese la mano, stringendo dolcemente e mezzo curvo,
lo seguì nella sua folle corsa contro gente armata sino ad i
denti che per adempiere al suo dovere avrebbe certamente attaccato i
trasgressori, o in quel caso, i fuggitivi.
Cadeva, precipitava in un baratro senza apparentemente un fondo; le sue
ali erano torte in un'orrenda posa innaturale, come intrecciate fra
loro similmente a dei rami di vite, con la delicata membrana recisa e
forata in più punti. Le lunghe corna ricurve strusciarono su
qualcosa che non fece neanche in tempo ad identificare, non urlava ma
le scaglie sparse per il suo corpo gli prudevano, rammentandogli una
sensazione che non provava da tempo.
Paura.
Ne era invaso, completamente, lo paralizzava anche solo l'idea di poter
provare di nuovo il cieco terrore che aveva provato durante le Guerre
di Solantes, anche se al tempo stesso era consapevole di star provando
proprio quella paura terrificante ed annichilente.
Si svegliò di soprassalto al suono del proprio schianto
contro
il suolo, ruggendo e dispiegando le ali mentre balzava all'in piedi
sulle forti zampe arcuate e squamate; voltò il muso verso
destra
e verso sinistra, col respiro veloce e la mente fortemente inquieta.
Tutto ciò che poté individuare fu la Sciamana,
poco
distante dal focolare, che teneva il capo voltato verso di lui con aria
visibilmente spaventata.
L'idea di averla spaventata lo dispiacque e l'istante dopo lo
imbarazzò fortemente, mentre già tornava seduto
parzialmente padrone di sè.
"Non una parola, Sciamana. Non una parola a riguardo."
Sioni si limitò ad assumere un'espressione preoccupata, ma
non
commentò. Talon invece, più che convinto che lei
già sapesse ogni cosa, continuò ad ignorarla come
l'aveva
ignorata per quasi l'intero tempo del viaggio. Erano ancora molto
lontani dalla loro meta e quegli incubi cominciavano a farsi
fastidiosi,
un vero e proprio intralcio maledettissimo che rischiava di minare la
sua concentrazione. Sedette accanto al focolare quasi totalmente
consumato, di fronte la sua compagna di viaggio, con lo sguardo basso
ed i nervi a fior di squame; i suoi occhi verdi da rettile saettarono
fra le ceneri e la brace, poi riaprì le fauci per parlarle
nuovamente, stavolta con tono meno brusco. "Non volevo spaventarti. Mi
dispiace."
"Non importa" replicò lei; per la prima volta
accennò in
sua direzione un sorriso sincero, non distorto da
opinioni contrastanti e da guerre passate che non
appartenevano ad entrambi, un
semplice sorriso, niente di più niente di meno. Il draconico
trovò quantomeno da deviati sorridere a quel modo, quasi con
dolcezza, ad un figlio dei Draghi come lui ma, diamine, affar suo.
Tornò a concentrarsi sui suoi incubi, sul perché
avessero
deciso di tormentarlo proprio adesso, e su quanta intensità
erano capaci di manifestare, impedendogli quasi completamente di
riposare. Notte dopo notte erano seguite senza sosta terrificanti
visioni delle sue ali spezzate e di se stesso che precipitava nel
vuoto, con le fauci prive di saliva e la voce spettrale che di solito
lo caratterizzava totalmente assente.
"..Ma dovreste seriamente fare qualcosa per quella ferita."
Sibilò, un suono che gli umani avrebbero potuto identificare
in
uno sbuffo, e catturò nuovamente con lo sguardo l'esile
figurina
della Sciamana: non sorrideva più e stava radunando le sue
cose
sparse li in giro, unguenti ed erbe di vario genere legate con lacci di
cuoio a strane pietre colorate e luminescenti. Sembrava che sapesse
sempre dove allungare la manina ossuta, quando saltare, quando
schivare, quando fermarsi. Un paio di volte aveva persino dubitato che
fosse davvero priva della vista.
"È una storia vecchia. La ferita si è chiusa anni
fa."
"Ripetetemi ancora una volta, Talon.. Perché state venendo
con me, se mi odiate tanto?"
"Io non ti odio, Sciamana" rispose il Draconico, sbuffando fumo
nerastro dalle nari "ma non mi piace che si sappia di me più
di
quanto io voglia far sapere."
Sioni si rialzò, nel medesimo istante in cui il primo raggio
di sole poté fare breccia dalla linea dell'orizzonte.
Fu terribile.
Talon si ritrovò ancora una volta, anche se soltanto per
qualche
istante, davanti ad una parte di se che oramai credeva annegata
nell'oblio della sua mente distorta dalla mutazione. Si
ritrovò
a pensare nuovamente come un uomo, ricordando che un tempo aveva
vissuto come umano, aveva combattuto come un umano, aveva amato come un
umano. E Sioni, sempre e solo per qualche istante, inondata di soffusa
luce dorata
divenne la cosa più bella che avesse mai visto, o desiderato.
Divenne perfetta, più di Eletshut in persona. Ed ancora una
volta ebbe paura.
"Eletshut. Chi è Eletshut?"
Nemetona rigirò cautamente la piccola lepre che era riuscito
a
catturare anche da ferito, arrostendola come se il processo richiedesse
chissà quale elevato grado d'impegno. "È la Dea
dei figli
dei Draghi, mia cara" spiegò con un tono di scontatezza che
fece
sentire Ferona proveniente da un altro pianeta "Vedete, è un
po'
complessa come leggenda. come mai vi è tornato alla mente
questo
nome?"
La nana, seduta accanto a lui ed intenta col medesimo suo impegno a
cambiargli il bendaggio impregnato di sangue coagulato,
scrollò
le spalle. "Mi sembra di aver letto qualcosa a riguardo in un libro di
fiabe di Ilena, uno che non voleva più perché "troppo
grande per tali bubbole". Purtroppo non ricordo molto
altro."
Lui le sorrise caldamente, almeno apparentemente per nulla toccato dal
grosso squarcio, superficiale ma dall'aria ugualmente dolorosa che gli
si apriva su di un fianco. "Oh, ma io invece si. Vi piacerebbe
ascoltarla?"
Ferona lo fissò per un lungo istante, gli fissò
gli occhi
dorati al riverbero delle fiamme divoratrici di legno al centro del
piccolo giaciglio improvvisato per la notte e poi annuì,
facendo
ondeggiare i bei capelli corvini. "Volentieri."
"Bene! Allora inizierò col raccontarvi di come sono nati i
Draconici, i figli dei Draghi. Vedete mia cara, bisogna innanzitutto
distinguere due categorie di draconici: gli eletti ed i prescelti.
Sebbene possano sembrare due parole del medesimo significato, fan
riferimento a due
ben differenti classi. Gli eletti, riconoscibili per la loro
incredibile stazza e le poderose solo al vedersi scaglie blu cobalto e
nero pece, sono coloro che secondo la leggenda nacquero dall'unione del
Drago Antico Mabarath e l'antica Dea delle Vergini, Eletshut. Fra
indicibili tormenti e patendo atroci dolori la Dea perì,
dando
però vita a due gemelli metà uomini e
metà draghi,
Leth e Bereth. Si dice che da uno schianto della saettante ed
irrequieta coda di Leth, utilizzata da essa come una frusta, un giorno
sia nato il Passo del Drago come lo conosciamo noi oggi, mentre invece
Bereth col suo alito di fuoco abbia aperto fra le montagne le Cave di
Diamanti, poco prima del territorio degli Orchi. Si narra poi che
Mabarath, ancora sconvolto dal dolore e rivedendo in sua figlia Leth
forse qualcosa della perduta amata Eletshut la prese con la forza, ed
essa prima di perdere la ragione diede a sua volta alla luce una
creatura mostruosa, per tre quarti drago ed il restante umano: Whuliat,
la Bestia degli Abissi."
Ferona annuiva ogni tanto, con gli occhi colmi dell'emozione di una
bambina che ascolta ed immagina al tempo stesso. "Whuliat? La creatura
che diede agli Sciamani la saggezza della Stasi?"
Lo Skylean Nemetona le sorrise nuovamente mentre toglieva la lepre dal
fuoco, piacevolmente sorpreso. "Esattamente." Fece a metà la
creaturina cotta, pergendole la sua parte e proseguendo fra un boccone
e l'altro "Vedete mia cara, in questi luoghi tutti combattono tutti,
eppure le loro leggende sono fittamente legate fra loro. Si, fu proprio
Whuliat ad insegnare al Primo Sciamano Tseoner la saggezza della Stasi
dopo che venne esiliato per la sua mostruosità da Beleth
nelle
profondità delle foreste di Meiren. È anche per
questo
che molti temono gli Sciamani e la Stasi, credendo che queste arti
proibite servano soltanto a dare le anime dei feriti in pasto al
famelico Whuliat, ancora nascosto nei più reconditi angoli
della
foresta, in attesa di aver acquisito abbastanza potere da poter
compiere la sua vendetta."
Con gli occhi sfavillanti come due gemme nere, la nana
incassò la testa fra le spalle. "E voi ci credete, Nemetona?"
"Mia cara" ridacchiò lui, "naturalmente si. I Draconici
esistono, così come voi stessa oggi avete potuto constatare
che
esistono le Viverne, creature di cui avevate soltanto letto in un
vecchio libro di fiabe. Se son vere le Viverne allora deve esserlo
anche tutto il resto, i Draconici, i Centauri, le Sirene.. Ogni cosa.
Non ne convenite?"
"Oh si, si. E ditemi, voi avete mai incontrato una di queste creature
durante le vostre avventure?"
"Ma quanta curiosità, mia simpatica amica. Magari vi
narrerò di me in un'altra occasione, anche se in genere lo
faccio al di sotto di un paio di lenzuola di seta. ..Oh non guardatemi
così, stavo scherzando." aggiunse poi ridacchiante nel
vedere lo
sguardo imbarazzato di Ferona. "Dunque, dov'ero.. Ah si, Whuliat. Bene,
dopo che Whuliat venne esiliato da Bereth, egli si rivolse con rabbia
al padre Mabarath, chiedendogli come avesse potuto fare una cosa simile
alla sua stessa figlia, alla sua amata sorella. Ingaggiarono una
sanguinosa lotta dalla quale emerse vincitore Bereth, il quale
tentò poi di far rinsavire la sorella Leth; ebbe con lei
diversi
figli, ma presto anche Leth morì, reduce del dolore provato
nel
vedere esiliata la sua creatura, sebbene fosse un mostro.
Semplicemente, il suo cuore non riuscì a sopportare oltre, e
fu
allora che Bereth scoprì per caso, mentre era in procinto di
uccidere una preda umana precedentemente ferita coi denti, che poteva
letteralmente "infettare" altri esseri umani così da poter
ottenere nuovi figli dei Draghi, seppur non di stirpe come la sua
diretta discendenza. E non solo, una volta creato un vero e proprio
esercito, fu il
suo generale Lion a scoprire di poter ingravidare donne umane ed
ottenere i medesimi risultati di un contagio; sposando la celebre
Aislinn, la donna delle Ere e dei Cieli, diede vita alla razza dei
prescelti, cioè figli di coloro che a loro volta erano state
scelte per condividere il sangue di drago del loro primo signore,
Mabarath. Col tempo, gli effetti del contagio svanirono ed i figli dei
Draghi dovettero rifarsi solo al rapimento o al consensuale
concepimento di figli da parte di donne umane particolarmente forti nel
corpo e nella mente, pronte a non crollare di fronte la vista del loro
bebè squamato e con la coda e le corna. I prescelti, a
differenza degli eletti, hanno squame verdi e lucide come il
più
puro degli smeraldi, sono di dimensioni inferiori ed hanno le
simboliche corna ricurve, e non ritte come gli eletti, che starebbero a
simboleggiare la non totale purezza del loro sangue."
Quando lo Skylean terminò la sua esaustiva spiegazione,
Ferona,
rimasta perdutamente affascinata da ogni singola parola riprese a
medicarlo con mille altri quesiti per la testa ma che non
osò
porre per non sembrare tediosa ed asfissiante. Ora voleva assolutamente
vedere un Draconico o figlio dei Draghi, eletto o prescelto che fosse,
voleva leggere di Mabarath ed Eletshut, di Leth e Bereth, della guerra
fra padre e figlio, dell'esilio di Whuliat, della Stasi, di Tseoner, di
Lion ed Aislinn, di tutti. Era.. Era semplicemente troppo affascinante,
anche il solo pensare a quanto ci fosse li fuori in un mondo che non
aveva mai conosciuto ed aveva rischiato di non conoscere mai se non
avesse accettato di scappare con Nemetona soltanto qualche ora prima.
Un sorriso le nacque spontaneamente sulle labbra, mentre stringeva
delicatamente l'ultimo strato di bende fresche, profumate d'erba
bagnata. "Sapete tanto su queste leggende, non è vero?"
"Conosco qualcosina" ammise Nemetona "Ma ci sono intere collezioni di
testi che potrebbero raccontarvi questa storia con mille e
più
interessanti dettagli, mia cara. Ed anche mille e mille altre storie
diverse da questa." strinse un occhio sobbalzando appena quando la nana
terminò la fasciatura con un nodo abbastanza stretto.
"Oh, perdonatemi" ridacchiò, a disagio "Mani di fabbro."
"Non esattamente. Sono graziose
mani di fabbro, non mani di fabbro
qualunque." replicò lui, con quel suo sghignazzo strano "va
bene
così, vi ringrazio."
Ferona accennò ad un secondo sorriso, ben più
imbarazzato, prima di poggiare un dito sulla testa di Wibbly e
grattarle sotto le scaglie; la piccola Viverna (quello era il suo buffo
nome) non aveva fatto altro
che dormirle in grembo per tutto il tempo, da quando si erano appostati
poco lontano dalle mura di cinta attorno al fossato del maniero dal
quale erano fuggiti. Aveva notato già tempo prima, con
rinnovata
sorpresa, che pur essendo così vicini al suo vecchio Padrone
non
aveva mai temuto neanche un istante di essere trovata e ricondotta al
maniero, o peggio ancora uccisa.
"In realtà" ingiunse poi, dopo qualche minuto di silenzio
"dovrei essere io a ringraziare voi. Neanche mi conoscete, e mi salvate
da una vita che neanche io riuscivo ancora a vedere nella prospettiva
giusta. Avete ragione, sapete? Non credo che mi mancherà
nulla
di quel posto."
"Non c'è di che, mia cara."
"Mi domando ancora il perchè l'abbiate fatto,
però."
"Perchè, perché" canzonò allora lui,
stiracchiandosi e cadendo poi disteso sulla schiena, col viso tatuato o
forse dipinto verso il cielo "Non c'è bisogno sempre di un
perché. È così che doveva essere e
così
è stato, mia cara. Non fermatevi a chiedervi il
perché di
qualcosa che è già passato, nel mentre potreste
esservi
già persa qualcos'altro."
Provando un leggero tepore ogni qualvolta lo Skylean la chiamava a quel
modo, Ferona si disse ancora una volta di aver fatto la scelta giusta,
quella notte. "Nemetona.. Voi siete un mercenario, non è
così?"
"Oh beh, si fa quel che si può."
"E.. Mi porterete con voi?"
"Se lo vorrete, Ferona. A pochi giorni di cammino da qui c'è
un
piccolo paesino dove potremo comprare da mangiare e magari anche fare
un bagno caldo, poi la scelta spetterà a voi. Ora
però"
si rialzò seduto, prendendole gentilmente Wibbly dal grembo
e
portandolo accanto al suo giaciglio per la notte "sarebbe meglio
riposare."
"Si, avete ragione. Allora.. Buonanotte, Nemetona."
Lo Skylean le sorrise un'ultima volta, ora con aria visibilmente
assonnata, mentre poggiava il capo niveo su di un improvvisato cuscino
di erbaccia. "Buonanotte, mia cara. Che Miliath'Sefer vegli sul vostro
sonno."
Quando poco dopo si sentì scivolare nel sonno, Ferona aveva
già in mente la prossima storia che si sarebbe fatta
raccontare
dal suo attraente salvatore.
-
Bon, fine terzo
capitolo. Quanto mi piace inventare di sana pianta storie e leggende
varie! Grazie alla Bry e a tutti coloro che passano anche solo per dare
una sbirciatina, a presto!
|
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Capitolo 4 *** Atto IV: Leureve ***
Ending Lands 4
4
Il piccolo paesino di Leureve era poco distante dal Maniero, nonostante
il paesaggio fosse cambiato radicalmente: dalle lunghe lande verdi che
circondavano le mura di cinta si era rapidamente ritrovata fra grigie
distese di terra morta, con qui e lì qualche eccezione di
qualche campo coltivato. Vi arrivarono due giorni dopo la loro fuga e
Ferona poté così sperimentare per la prima volta
in vita sua cosa volesse dire stare nella folla da mercato; fra
spintonate e strattoni aveva persino incontrato un altro nano, un
mercante di sete pregiate, il quale le aveva rivelato
l’arcano segreto sul come superare la marmaglia, ovvero con
poderosi spintoni e moderate dosi di "vogliate perdonarmi".
Nemetona si era separato da lei prima che entrasse nella zona del
mercato, dicendo di non essere amante dei luoghi affollati e che si
sarebbero rivisti a sera nell’unica locanda del paese. Mentre
la nana si chiedeva perché avesse preferito infilarsi in
vicoletti secondari anziché stare fra gli altri (cosa che
lei trovava assolutamente meravigliosa), sbucò proprio nel
mezzo del perché stesso.
In un grosso spiazzo stava una carovana ridicolmente colorata come
quegli assurdi abiti di Ilena e davanti a questa un crocchio di persone
osservava un nerboruto ed urlante omaccione su di un palchetto
rialzato. Parlava accoratamente di stucchevole beltà e
totale mansuetudine tirando una catena dorata che Ferona non riusciva a
vedere dove fosse attaccata; spostandosi più in avanti con
altre gomitate, "vogliate perdonarmi" e spintoni sbucò
d’un tratto in prima fila, di fronte al palchetto ed
avvertì chiaramente il respiro mozzarsi in gola.
Che quel tipaccio stesse parlando di schiavi le era sembrato quasi
subito ovvio, ma mai avrebbe immaginato che si trattasse di schiavi
Skylean.
Forse umani per la manovalanza, elfi per la grazia, nani come lei per i
lavori più umili, ma non Skylean. Bianchi come fiocchi di
neve erano allineati in un’unica riga, tenuti coi polsi
legati e con un collare attaccato ad uno dei tanti anelli della catena
che tirava l’omone, sbraitando quanto fossero bravi e belli.
Molti piangevano, altri si lamentavano, alcuni tentavano di sciogliersi
i polsi.
Osservò a bocca aperta gli stessi occhi d’oro di
Nemetona, gli stessi capelli bianchi, gli stessi canini appuntiti, le
orecchie affilate, alcuni dipinti sul corpo e sul viso nello stesso
stile del suo mercenario seppur non ne vide neanche uno col rosso.
Molte erano donne di una bellezza strabiliante, che fossero
giovanissime o già adulte, e quando il mercante
terminò il suo discorso fu letteralmente sommersa da gente
che urlava ed alzava la mano proponendo cifre così alte da
lasciarla a bocca aperta.
La più combattuta era una giovane Skylean, bella come nulla
che Ferona avesse mai visto, con delicate decorazioni floreali e color
del cielo limpido sulla parte destra del viso, le quali scendevano poi
sul rispettivo lato del collo, sulla spalla e fin giù
chissà dove nascoste sotto la logora tunica che indossava.
Le parve di udire dall’omone che si chiamasse
Lèleri ma non riuscì ad udire molto altro. Vide
però che lei era l’unica donna a non piangere,
limitandosi a fissare con astio chiunque incrociasse il suo sguardo.
Le diede l’impressione di uno di quei meravigliosi fiori
bianchi di cui aveva letto in un vecchio libro, le Floresirene, che al
minimo soffio di vento attiravano ignari passanti col fruscio dei loro
petali, simile a canto, per poi avvelenarli in pochi istanti qualora
venissero anche solo sfiorate.
"Priccio, vuoi scendere si o no?"
"Ma stanno vendendo gli schiavi, Meheron! Devo fare la guardia si o no?
Inoltre, è divertente!"
"Divertente, come può essere divertente una cosa del genere?"
"Oh, dovresti vedere come diamine si tirano i capelli e le vesti per
sbaragliarsi l’un l’altro!"
Meheron alzò gli occhi al cielo. "Lèleri
è già stata venduta?"
"No, non ancora" saltò giù dall’albero
dal quale stava osservando lo spiazzo affollato "se adesso rimango qui
giù, però, come faremo a sapere chi la
comprerà?"
"Quando si disperderà la folla, allora daremo
un’occhiata. Dubito che Lèleri possa passare
inosservata. Potrebbero persino tentare di assassinare il suo
compratore ed allora il nostro lavoro sarà stato ancora
più facile."
Priccio, una fatina di si e no una decina di centimetri e con trillanti
ali colorate gli guizzò di fronte per osservarlo coi grandi
occhioni rosa e poi parlargli con tono marcatamente ironico "La sai una
cosa? Sei un genio. L’idea di andare in giro a far finta di
vendere Lèleri per poi andarcela a riprendere poteva venire
in mente solo ad un genio."
L’altro, Meheron Erith Shebeniath, un umano con un occhio
sempre chiuso e l’aria sempre arrabbiata sbuffò
così forte da spingere Priccio all’indietro con la
folata del suo respiro.
"Smettila di volare. Mi stai riempiendo le vesti di polvere di fata ed
il trillo mi dà fastidio."
La fatina gli fece una smorfia col facciotto tondissimo e gli si
andò ad accovacciare su di una spalla, mentre Meheron si
dirigeva a passi lenti verso lo spiazzo confusionario, ammantato e
dall’aria cupa come sempre.
Aveva trovato Lèleri in fin di vita sul Passo del Drago, ben
lontana dalla sua Torre Skylean, la roccaforte della sua razza situata
in mezzo al Mare di Filgea, probabilmente abbandonata dal suo
precedente padrone dopo essere rimasta ferita in qualche modo.
L’aveva portata con sé, curata, nutrita, vestita;
Priccio (che era stata con lui sin dalla sua nascita) l’aveva
aiutato per quanto riguardasse gli aspetti più delicati ed
imbarazzanti ma erano insieme riusciti a salvarle la vita.
"Meheron, è proprio necessario..?"
"Che cosa?"
"Tutto questo. La povera Lèleri legata e strattonata
così ogni volta. E’ proprio necessario?"
Lui si morse nervosamente un labbro, stringendo le spalle. "E come
altro vorresti mangiare le tue adorate focaccine di patate, se non con
il denaro che estorciamo o ci prendiamo dai cadaveri dei nuovi
proprietari della Skylean? Te lo sei dimenticato che il mio braccio
sinistro è nello stomaco di un dannato Drago?"
"Pfft.
Antipatico."
"Inoltre, non ha mai protestato al riguardo."
Il tono di Priccio quella volta si addolcì notevolmente.
"Oh, lo sappiamo bene entrambi perché non ha mai protestato."
Già. E lui continuava a non capire perché la
donna più bella che avesse mai visto si ostinasse a seguirlo
come un’ombra, nutrendo sentimenti che lui aveva dimenticato
da tempo. Per giunta portava la pessima nominata di Meheron il
visionario, dato che nessuno aveva voluto credere alla sua versione dei
fatti; Besheuse non era stata rasa al suolo da un’incursione
di orchi, due settimane prima, ma da un maledetto Drago, e nessuno
credeva che lui questo Drago l’avesse visto. Il fatto era che
non l’aveva soltanto visto, ma era stato anche privato di un
braccio e sfregiato in viso da una sferzata della punta uncinata della
sua coda mentre era intento a fuggire disperatamente, cosa che si era
rivelata non del tutto inutile solo ed unicamente grazie al
provvidenziale aiuto di Priccio. Senza di lei probabilmente, anzi
certamente a quell’ora sarebbe stato per intero nello stomaco
del dannato Drago, ne era certo.
Giunti infine allo spiazzo l’unico occhio azzurro rimastogli
funzionante scorse rapidamente la fila di Skylean che ancora giaceva
legata inerme, sebbene molto meno numerosa, nel piazzale, dietro un
grassoccio uomo dall’aria poco pulita ma non
riuscì a scorgere Lèleri.
Ordinò brutalmente a Priccio ancora accovacciata sulla sua
spalla di sorvolare la zona, ma ancora nulla; la fatina
tornò affaticata e con le alucce tremanti. "Non la vedo!"
"Calmati" le rispose l’umano, pizzicandole con due dita la
tunichetta gialla e riconducendola sulla sua spalla sinistra "non
può essere lontana."
"Meheron, senti.. Volando, ho sentito qualcuno dire che gli sembrava di
aver visto Boganaste, qui a Leureve. Forse lui, se fosse davvero qui.."
"Hah!" la interruppe, assumendo un’aria altamente irritata
"Mi credi così disperato? Non affiderei mai
Lèleri a Boganaste, non proprio a lui."
"Perché le vuoi bene?"
"Perché la rovinerebbe."
Priccio gonfiò le guance, incredula. "Tu, brutto orrido..!"
Meheron sbuffò, continuando però a guardarsi
intorno. Attirò la sua attenzione una nana, con lunghi e
lucidi capelli neri e che in quel momento gli dava le spalle,
probabilmente troppo impegnata a fissare gli schiavi; era forse vestita
peggio di alcuni di loro e quando le fu immediatamente dietro dapprima
pensò di parlarle, ma poi con la coda dell’occhio
catturò una lunghissima treccia bianca che conosceva fin
troppo bene.
Nello stesso istante, Priccio si mise a gridare. "Meheron guarda, ecco
Lèleri, la portano via!"
Era ricominciato il trambusto forse causa la vendita di un altro
schiavo, scorse Lèleri gridare mentre due uomini nerboruti e
con facce da delinquenti la spingevano lontano dalla folla e quando si
rese conto che non sarebbe riuscito a raggiungerli prima che
l’avessero seminato, perse il controllo: alzando
l’unico braccio rimastogli e con l’aiuto di Priccio
castò un incantesimo di paralisi elementare, indirizzandolo
verso i "compratori"; una scintillante patina azzurrognola, coma la
pioggia si vede colare giù dai vetri, ricoprì
interamente i due, i quali smisero all’istante di muoversi.
La calca si aprì a metà come se ci fosse stato un
orco fra loro, scappando terrorizzati tutti e gridando che le arti dei
demoni erano lì fra loro.
In realtà erano arti di fata, ma di certo Meheron non si
sarebbe preso la briga di mettersi a spiegare la differenza ad una
folla urlante di contadini ignoranti; si confuse fra la folla,
afferrò un polso della inerme e spaventatissima
Lèleri e corse via, verso dei vicoli secondari, lontano
dalla folla in piena crisi di panico.
Quando furono abbastanza lontani dapprima rallentò,
fermandosi poi qualche passo dopo. Lasciò la presa sulla
Skylean e si voltò verso di lei. "Stai bene?"
Lèleri annuì, respirando pesantemente, quasi
piegata a metà per la fatica. "Si.. Si, sto bene.."
"Perfetto, allora partiamo subito."
"Partiamo!?" sbraitò Priccio in un suo orecchio "E dove
andiamo!?"
"A Sig'Randa."
"La Capitale Lucente?" s’inserì Lèleri,
torturandosi la lunga treccia bianca gettata su di una spalla "Davvero
mi porterete lì, Meheron?"
L’uomo annuì, sebbene non condividesse per nulla
l’entusiasmo che percepì nella sua voce.
"Possediamo al momento abbastanza denaro per un viaggio diretto, ma
dovremo far scorta di diverse cose."
Priccio fece trillare le alucce, emozionata "Non sono mai stata nella
Capitale, è possibile che ci siano altre fatine come me?"
"Ne dubito, Priccio" rispose Meheron "sai bene che le terre della
Capitale sono grigie ed aride come questa oramai, le poche aree ancora
utilizzabili sono strettamente riservate alla coltivazione e non a
fiori ed erbacce. Forse l’unico posto dove potresti trovare
qualche fata è nella ancora rigogliosa foresta di Meiren."
Si incamminarono tutti e tre (per amor del vero, Priccio si
limitò a sedersi nuovamente sulla spalla di Meheron con aria
piuttosto delusa) verso il loro piccolo accampamento improvvisato ai
limiti del villaggio, attirando non pochi sguardi da parte dei passanti.
Il proprietario della locanda era un bell’elfo, con grosse
orecchie allungate e vivaci occhi color nocciola, che le
offrì cordialmente un boccale di birra ed un rialzo in legno
per lo sgabello, informandola poi di quale stanza avesse scelto per la
notte il suo compagno di viaggio.
Salì una rampa di scricchiolanti scalini in legno,
ritrovandosi in un lungo corridoio con diverse porte situate su
entrambi i lati. Si diresse verso la terza porta alla sua destra, la
oltrepassò e la richiuse.
Osservò la stanza: piccola e spoglia, con un tavolinetto
dove Nemetona aveva poggiato i suoi archibugi ed un unico letto. Lui
era lì, sdraiato con le braccia incrociate dietro la nuca,
le gambe accavallate fra loro, gli occhi chiusi ed
un’espressione arrabbiata che la lasciò intristita
e colpevole, con la sensazione di avergli fatto un torto nel vedere
quegli schiavi al mercato, quel pomeriggio.
"Sembra che dovremo dividere il letto" esordì,
accompagnandosi con una nervosa risatina.
"No. Io dormirò per terra, aspettavo solo che rientraste."
rispose lo Skylean, schiudendo gli occhi. Le lanciò quello
che a Ferona parve proprio uno sguardo arrabbiato, prima di alzarsi e
dirigersi verso un angolo della stanza dove in terra era stata stesa
una coperta.
La nana, perplessa, avanzò verso il suo giaciglio
d’improvvisazione anziché il letto,
accovacciandosi sulle ginocchia. Nemetona teneva ostinatamente il viso
corrucciato e voltato altrove.
"Ho.. Fatto o detto qualcosa che non và?"
"I vostri occhi."
"I.. I miei..?"
"Sono colmi di pietà. Per me, per la mia razza, per come
veniamo in genere considerati. E si, per rispondere alla vostra
prossima domanda, so che li avete visti ed è per questo che
non sono venuto con voi al mercato, oggi."
"Io.." iniziò Ferona, mortificata "Mi dispiace tanto, non
volevo di certo offendervi.. Forse la vostra razza non sarà
delle più rispettate, come la mia d’altro canto,
ma voi siete ancora il mio eroe, colui che mi ha salvata da una vita di
servitù che io vedevo come un’occasione ben al di
sopra delle mie possibilità. Non tenetemi il broncio, ve ne
prego."
Nemetona ascoltò in silenzio, esibendosi infine in uno
sbuffo che gli fece sollevare qualche ciocca bianca dalla fronte.
"Perdonatemi, mia Cara. Sono.. Soltanto un po’ stanco, ecco
tutto."
E permaloso come
qualunque altro esponente di una razza sottovalutata.
Anche quello Ferona sapeva bene cosa volesse dire.
Gli sorrise, scuotendo il capo. "Non preoccupatevene più.
Capisco."
"Vi ringrazio."
"Ora, posso farvi una domanda che mi assilla?"
Lui annuì, dirigendo lo sguardo dorato su di lei.
"Naturalmente."
"Beh, vedete.." fece vagare lo sguardo per la stanza ".. Mi piacerebbe
sapere dove siamo diretti, oh e anche che cos è quello a cui
state dando la caccia."
Lo Skylean colse immediatamente il motivo della sua vaga titubanza, ma
le sorrise tornando quello di sempre. "Siamo? Dunque
proseguirete con me. Questo posto non vi piace?"
"N-no, è molto bello!" ci tenne a precisare lei, assumendo
un’aria stupita "davvero molto bello!"
"Allora verrete perché volete restare con me?"
"Ecco, si! V-Voglio dire no! Voglio dire si, anche, principalmente!
I-io, ooh!"
Cadde seduta in terra con un piccolo tonfo, scivolando su di un fianco,
incrociando le braccia al petto rossa in viso ed imbronciata. La regina
delle gaffe, ecco cos’era. La regina indiscussa delle figure
miserine.
La risata che sentì scoppiare da lui al suo fianco non
aiutò di certo la sua già misera autostima, ma
Nemetona non era affatto intenzionato a farsi beffe di lei e della sua
maestria nel relazionarsi con altri.
"Oh, mia Cara mia Cara, sapeste quanto siete adorabile. Dunque, di cosa
stavamo..? Ah si, la nostra destinazione. Domattina proseguiremo per
Sig'Randa, la Capitale Lucente, dove sosteremo per qualche giorno a
caccia di notizie fresche e magari anche di qualche lavoretto semplice
per rimpolpare la mia sacca dei denari. Poi, partiremo per il Passo del
Drago."
"Il Passo del Drago? Nella Gola di Confine? E perché
dovremmo..?"
"Andremo a Besheuse, mia Cara. O quel che ne resta. Questa storia non
mi convince."
Ferona lo osservò con occhi pieni di interesse, anche se
vagamente intimorita "Persino al Maniero è giunta voce di
Besheuse. Un branco d’orchi."
Nemetona sbuffò. "Belama-shagat.
Baggianate, baggianatissime."
"Come fate a dirlo?"
"Ci sono già stato, mia Cara. Partendo da Mégat
non ho potuto farne a meno."
"E dite che non è stato un branco di orchi?" chiese la nana,
facendosi più sotto con la sua solita espressione
incuriosita.
"Affatto."
Un grido dal piano di sotto, seguito a ruota da altri più
lontani ed echeggianti, interruppe la loro conversazione; Ferona
ruotò di scatto il capo verso la porta, impaurita, mentre
Nemetona con un balzo fu in piedi, intento ad allacciare le cinghie dei
suoi archibugi.
"Sotto il letto, svelta."
"Ma..!"
"Presto!"
Obbedì, terrorizzata dalle grida che riecheggiavano oramai
per tutto il paese e l’ultima cosa che vide fu lo Skylean
spegnere la candela della loro stanza, per poi udirlo far le scale di
corsa nell’oscurità più totale.
Quando avvertì un guizzo accanto a lei seppe che la piccola
Viverna Wibbly l'aveva raggiunta, allora la coprì col palmo
di una mano attirandola vicina a sé ed attese.
-
...Whoo!
E siamo al quarto. GIURO che nel prossimo ci sarà azione, un
sacco di azione! xD Ma ci tenevo ad inquadrare prima per bene i
personaggi, caratterizzarli a dovere prima che gli eventi prendano una
piega più ritmica dove ci sarà certamente meno
posto per tanti dialoghi.
Duuuunque,
passiamo ai recensori!
Bryluen:
Sono sempre più contenta che questa storia coi suoi
personaggi (ed il sex-appeal di Nemetona ù_ù) ti
intrighi, come ho detto su prometto che d'ora in poi ci sarà
molta più azione ed un dipanarsi della trama sicuramente
più consistente ù_ù
DreaminOn_felix:
Hey, ti ringrazio delle recensioni e dei consigli solo ora in questo
nuovo capitolo, spero di essere riuscita a stare più attenta
ai benedetti accenti! :) In realtà si, Ilena l'ho presentata
come una pseudo protagonista perché avrà un ruolo
più vasto in futuro, ma per ora l'attenzione volevo
incentrarla proprio su Ferona. Grazie ancora e ci sentiamo al prossimo!
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Capitolo 5 *** Atto V: Capobranco di Mangravia ***
EL5
5
Se c'era una cosa che sia Nemetona che Meheron trovassero ancora
più disgustosa di un orco, questi era un Capobranco di
Mangravia, la loro brulla e desolata terra dalla quale si vociferava
fosse partita quella specie di infezione, la quale privava la terra di
ogni traccia di verde e fertilità.
Lo Skylean e l'umano non avevano neanche avuto il tempo di chiedersi a
vicenda perché fossero lì a Leureve che si erano
ritrovati spalla a spalla per collaborare contro il potente nemico, col
suo tanfo rancido che faceva girare la testa ed annebbiava
parzialmente la vista. Nel momento stesso in cui Nemetona era apparso
ai piedi della rampa di scale, con entrambi gli archibugi
più
piccoli carichi e fra le mani, l'orrenda bestiaccia aveva lanciato un
grido così acuto ed innaturale per una creatura della sua
stazza
che i restanti avventori rimasti nascosti erano saltati in piedi
urlando e spintonandosi per uscire per primi.
L'orco aveva già ucciso diverse persone innocenti ma ora
sembrava aver focalizzato la sua attenzione solo sul bianco e sul
monco, come
la sua scarsa intelligenza era riuscita a malapena a
classificarli.
Nemetona gli sparò mentre era intento a lanciargli contro
una
sedia, parandosi così di fronte a Meheron e dandogli il
tempo di
formare con l'immancabile aiuto della fatina Priccio una sfera
infuocata che esplose proprio sul grugno del mostro. Questi, accecato
dall'ira e dal bagliore dell'incantesimo scagliò alla cieca
entrambe le braccia possenti e verdognole, sfondando il bancone in
legno massiccio e metà parete della piccola locanda sul lato
opposto.
Gettando il capo all'indietro emise un gorgogliante gemito, quello che
i due uomini e la fata identificarono come una sorta di richiamo;
Priccio lo sorvolò e lo oltrepassò, attirando poi
con la
magia e veementemente la sedia che Meheron aveva sollevato con l'unica
mano, dirigendola verso l'orco.
Per qualche istante volarono schegge di legno e schizzi di sangue nero
e grumoso, quanto bastò perché Nemetona
ricaricasse i
suoi archibugi: sparò ancora in direzione del cranio del
Capobranco, il quale però schivò abbassandosi
all'ultimo
istante. Il sordo sparo dello Skylean abbatté
definitivamente
l'arcata della porta formando un grosso cratere che Priccio
osservò esterrefatta mentre faceva trillare forte le sue
alucce:
aveva sentito parlare della straordinaria potenza degli archibugi
Skylean, ma vederlo con i propri occhi era tutt'altra storia.
Per poco la sua distrazione non le risultò fatale ed un
attimo
prima che l'orco la acciuffasse guizzò via, appena fuori
della
sua portata; la bestia dalle oramai vaghe sembianze umane
gridò
ancora ed in quel momento qualcosa di incredibilmente veloce
entrò dal centro del foro nella pietra causato in precedenza
dallo sparo, colpendo in pieno e trascinando con se in picchiata
la fatina.
"Priccio!" gridò Meheron, facendosi largo fra pezzi di legno
e
scavalcando sedie; urlò quasi distrattamente allo Skylean di
distrarre l'orco almeno fino al suo sincerarsi delle condizioni della
sua fatina. Vedeva in lontananza, dietro diversi tavoli ammonticchiati
in un angolo, il bagliore delle ali di Priccio aumentare e diminuire in
continuazione mentre evidentemente lottava contro quel qualcosa che
l'aveva assalita.
"Shebeniath, attento!"
Non ebbe neanche il tempo di voltare il capo verso la direzione
dell'ammonimento, però, che uno sgabello lo colpì
in
pieno viso, facendolo ruzzolare all'indietro. Vide il proprio sangue
imbrattare il terreno sul quale rovinò qualche secondo dopo,
riverso su di un fianco.
Priccio strillò con quanto fiato avesse in gola, tentando
disperatamente di sfuggire alle beccate di un corvo rosso di Mangravia,
i fidati compagni di viaggio di qualunque Capobranco orchesco: la
maledetta bestiaccia le aveva già strappato parte della
tunica e
ferito una gambetta con l'appuntito becco ad uncino, mirando talvolta
alle ali che la fatina aveva protetto sino a quel momento a suon di
morsi sulle zampacce nere e dagli artigli ricurvi.
Doveva liberarsi di quello stupido uccellaccio ed aiutare prima Meheron
e poi Boganaste con l'orco; spari quasi continui e ruggiti
l'assordavano e le facevano salire le lacrime agli occhi per lo
spavento mentre su di lei il corvo rosso insisteva a volerle strappare
le ali.
Dal canto suo, Nemetona era malmesso ad un braccio e la ferita al
fianco si era riaperta, ma resisteva fronteggiando il grosso e
sanguinolento bestione che arrancava ancora verso di lui, anche dopo
diversi spari al centro del torace; il piede sinistro dell'orco era
praticamente ridotto ad un putrido ammasso di carne già in
via
di decomposizione ma tenacemente esso continuava a stancarlo tirandogli
contro qualunque cosa gli capitasse sotto le grosse mani tozze.
"Boganaste! Boganaste, aiutami ti prego!"
E quella vocina? Oh già, la fata!
Scartò di lato all'ennesimo tentativo del Capobranco di
afferrargli una gamba e schiacciargli le ossa con la sola stretta
poderosa di cui era capace, scavalcando le macerie e lasciandolo
indietro a trascinarsi sulle braccia dopo avergli fatto saltare in aria
anche il secondo piede; buttò in terra i due archibugi ed
iniziò a spostare i tavoli che erano stati spinti di lato
quanto
bastava per infilare almeno un braccio. Guardando alle sue spalle vide
con la coda dell'occhio l'orco ancora lontano e riprese a spostare
legno.
Infilò un braccio sino alla spalla, non potendo entrare
oltre in
quella specie di foresta di schegge, strappandosi la blusa e ferendosi
in più punti il braccio, ma afferrò qualcosa di
morbido,
caldo e coperto di piume che certamente non poteva essere la fata.
Allora strinse, strinse così forte il pugno che bastarono
una
manciata di secondi perché la creatura smettesse di
ribellarsi e
lottare per la propria vita.
Estrasse il braccio sanguinante con ancora stretta in mano la carcassa
del corvo rosso di Mangravia e nel vedere ciò l'orco sempre
più vicino lanciò un ruggito agghiacciante,
ritrovando
forza nella propria furia ed arrancando molto più
velocemente
verso i tre, feriti e stanchi.
"Non molli, eh dannazione!?"
"Boganaste! Priccio!"
La fatina balzò via dall'apertura che Nemetona aveva usato
per
salvarla stritolando il corvo, atterrando su di una spalla dello
Skylean. "Meheron!"
L'uomo, perdendo copiosamente sangue da un sopracciglio,
indicò
loro l'orco quasi su di loro. "Priccio, usa l'Arcanum Rios!"
"Ma sei impazzito, salteremo in aria tutti così!"
protestò lei, guardando però con orrore il
gigantesco
orco avvicinarsi.
Nemetona portò una mano dietro la propria schiena dopo aver
gettato da parte il corvo morto, tirando in
avanti il più grande dei suoi archibugi con la canna rivolta
verso il
mostro urlante.
"Ah si, bella idea!" gemette Priccio.
Meheron si mise in piedi, traballando, e poggiandosi con la mano ad un
tavolo non completamente schiantato. "Boganaste ha ragione, Priccio.
Sicuramente è meglio della mia idea."
Nemetona sbuffò su di una ciocca insanguinata sulla propria
fronte, col dito sul grilletto. "Più vicino.."
Gli altri due gli lanciarono uno sguardo allarmato. Più
vicino di così?
"Ma che diavolo fai, spara!"
"Spara Boganaste, arriva!"
Niente. Meheron vide persino balenare un ghigno sul volto di quel
folle, un attimo prima che l'orco fosse loro addosso. Priccio
volò sulla sua spalla e si parò le manine sugli
occhi
accucciandoglisi dietro un orecchio, lo assordò quasi con le
sue
grida quando il Capobranco sollevò grugnendo forte un
braccio
per schiacciarli in una sola volta e poi vide tutto bianco.
Fu sbalzato prepotentemente all'indietro da un'esplosione di calibro
smisurato persino per la potenza dell'arma di Boganaste e senza aver
ancora capito che cosa fosse accaduto con esattezza si
ritrovò
con la schiena nuovamente contro il duro e freddo pavimento, con la
vista appannata e ricoperto di sangue di orco.
La fatina già libratasi in aria per osservare la scena
strillò nuovamente, questa volta però per
l'orrore.
"Per la buona Dea, c'è orco dappertutto! Oh, oh, ora
rimetto, ora rimetto..!"
Erith Shebeniath si rimise a sedere, passandosi il braccio sul viso e
togliendone via parte di quello che non osava neanche immaginare cosa
potesse essere, vista la carcassa fatta a pezzi in terra. Era come se
fosse esplosa dall'interno, oramai totalmente irriconoscibile persino
per essere stata un orco; probabilmente, immaginò, quel
maledetto pazzo di Boganaste avesse caricato quel dannato coso con
qualche polvere particolare e che lo tenesse in serbo per le occasioni
dannatamente serie come quella.
Con rinnovata sorpresa trovò proprio Boganaste seduto
accanto a
lui, intento ad affaccendarsi rapidamente nel darsi una ripulita e
raccogliere le sue cose.
"Ed ora dove diavolo vai."
Lo Skylean, ferito sanguinante e gocciolante sangue nerastro dal tanfo
indescrivibile, alzò il capo verso di lui. "Me ne vado,
Meheron,
e dovreste farlo anche tu e la fatina. Leureve sarà stata
già rasa al suolo, a quest'ora."
"Chi diavolo può aver portato fin qui un branco di orchi?"
s'inserì Priccio, riprendendo a tremare.
Nemetona scosse il capo, rinfoderando i due archibugi più
piccoli dopo aver dato loro una sommaria ripulita. "Non lo so, davvero.
So solo, a questo punto, che la Capitale sia l'opzione migliore. Le
mura di Sig'Randa non può sfondarle neanche un branco di
Orchi."
Meheron sbuffò, scettico. "Ed un Drago?"
Sia Priccio che Nemetona gli dedicarono un intenso sguardo, la prima
terrorizzata, il secondo incuriosito.
"Drago, hai detto?"
"Tsk, non è il momento adatto per discuterne, adesso"
l'ammonì l'uomo, sebbene fosse stato il primo a lanciare
quell'interrogativo "hai ragione. Dobbiamo spostarci."
"E Lèleri, Meheron?"
"Lèleri è fuori pericolo, Priccio. Ci
starà
aspettando ai confini del paesino, se è rimasta nascosta gli
orchi non l'avranno trovata."
Si alzò, tentando vanamente di togliersi di dosso
l'appiccicoso
sangue d'orco. "A quanto ne ho capito anche tu sei diretto alla
Capitale, Boganaste. Forse dovremmo unire le forze, per questa volta."
"Concordo" rispose Nemetona, alzandosi in piedi a sua volta "Vado di
sopra a chiamare gli altri, poi andremo."
Fece nuovamente di corsa la rampa di scale sotto gli occhi degli altri
due, finquando scomparve al piano di sopra lasciando dietro di
se solo impronte di stivali insanguinate e puzzolenti.
"Au."
"Oh, non fate il bambino."
Intenta per la seconda volta a fasciare la stessa ferita, Ferona
cercò d'usare più cautela rispetto la volta
precedente
mentre fermava le bende con un nodo. "E' stata una fortuita coincidenza
che voi ed il vostro amico vi siate ritrovati alla taverna, altrimenti
l'orco ci avrebbe certamente uccisi tutti.."
Nemetona fece una buffa smorfia di disapprovazione. "Amico? Shebeniath
non è mio amico."
"Beh forse dovreste essergli un po' più riconoscente"
rispose
lei, passando alla ferita sul braccio; poco distante da loro la bella
Skylean che aveva visto al mercato era impegnata nella sua stessa
mansione, ossia medicare il suo salvatore, un burbero uomo con folti
capelli neri ed un'aura particolarmente negativa. "Se non fosse stato
lì per unire le forze con voi sarebbe potuta andare molto
peggio, non credete?"
"Può darsi, au!" le concesse lo Skylean lanciando uno
sguardo
scettico verso Meheron, il quale a sua insaputa si stava lamentando
esattamente come lui. Non era completamente d'accordo, la parola fine
al
combattimento ce l'aveva messa lui, ma lasciò correre.
Tornò a guardare Ferona, impegnata a tamponargli dolcemente
lo
squarcio sul braccio con un panno imbevuto d'acqua. "Ma voi, mia Cara?
Vi siete spaventata molto?"
Annuì, prendendo altre bende. "Oh, ero terrorizzata. Ho
temuto per la vostra vita."
Lo Skylean le sorrise, prendendole una ciocca fra due dita, lisciando i
setosi e lucenti capelli corvini. "E' molto dolce da parte vostra."
"B-beh sì, ma con queste ferite sarebbe saggio farvi
visitare da un
medico.." sviò lei, imbarazzatissima seppur affatto
contraria a
quel piccolo gesto che trovò carico di un inaspettato
affetto.
Anche lei si era affezionata molto al mercenario anche se in
così poco tempo e l'idea che conducesse una vita tanto
spericolata aveva iniziato a spaventarla un po'; mai avrebbe messo in
dubbio la forza ed il coraggio dimostrati da Nemetona, ma non poteva
far a meno di avvertire l'amaro in bocca al pensarlo morto in qualche
fosso, o sanguinare copiosamente con aria sofferente.
Poco distante da loro invece c'erano Meheron, Lèleri e
Priccio:
la Skylean si era prima occupata della fatina sminuzzando erbe mediche
sulle sue ferite, bagnandole con gocce di rugiada e bendandole con
qualche filo d'erba pulita, poi era passata all'uomo che per lei era
ogni cosa e che avrebbe potuto seguire fin in capo al mondo; sorrise
pazientemente alle sue lamentele da ragazzino ma non smise di prendersi
cura di lui, proprio come lui aveva fatto con lei.
L'avevano raggiunta nella piccola radura appena fuori quello che una
volta era stato il villaggio di Leureve, erano rimasti nascosti fra
l'erba appena più alta che cresceva lungo il corso di un
piccolo
torrente fin quando gli orchi non erano andati via ed ora tentavano di
prepararsi il più velocemente possibile a lasciare quel
posto.
Trasalì quando Meheron la chiamò, scostandole la
mano intenta a medicargli il sopracciglio rotto.
"Sì, Meheron?"
"Ho una domanda da farti."
"Chiedete pure."
L'uomo spostò prima lo sguardo su Priccio, dormiente ed
accovacciata su di una sua spalla, poi tornò su di lei.
"Perché di tutti gli Skylean che ho visto, soltanto
Boganaste ha
il viso pitturato di rosso?"
Lèleri sembrò essere presa alla sprovvista dalla
domanda,
poiché trasalì nuovamente. "Ecco, vedete.. Nella
Nave
delle Nuvole, la nostra prima vera casa, ed ora nella Torre Skylean
vige una regola molto crudele: qualunque donna partorisca un figlio con
sangue non puro è considerato un disonore per l'intera
comunità e va immediatamente estirpato, come un'erbaccia
in un campo di fiori."
Meheron storse il naso. "Sangue non puro? Mi stai dicendo che Boganaste
è mezzo.. Qualcos'altro?"
Lei annuì, facendo dondolare la treccia nivea.
"Sì."
"Aspetta, aspetta. Ma nella Torre Skylean non ci vivono soltanto
Skylean? Siete lì da almeno quattrocento anni secondo i
registri
della Capitale, com'è possibile?"
Quella volta, Lèleri sollevò le spalle. "Non
saprei. Ma
per rispondere alla vostra domanda il viso tinto di rosso è
una
distinzione dei non puri, l'unica differenza è che quelli di
Nemetona sono segni indelebili al contrario di quelli miei o di
qualunque altro Skylean. Lo stesso termine Boganaste vuol dire figlio di qualcun altro,
gli Skylean non portano cognomi."
Meheron storse nuovamente il naso, ancora più scettico. "E
allora perché non è morto? E cosa vogliono dire i
suoi
disegni?"
"Perché non glielo chiedete voi?" suggerì allora
lei,
imbevendo nel torrente un altro straccio e passandoglielo su di
un'altra ferita sul collo. A ben vedere anche quello fu un gesto carico
d'affetto, forse anche di desiderio, che la Skylean non si
curò
affatto di nascondere. Indugiò qualche attimo sulla curva
della
mascella e sin giù quasi alla spalla, facendo pressione non
solo
col panno umido ma anche con le proprie dita.
"No" rispose Meheron, non curandosene a sua volta "non ho intenzione di
parlargli."
"Perché?"
"Non deve interessarti."
Lèleri tacque, ferita, chinando il viso; terminò
di
ripulirgli e medicargli alla meglio tutti i tagli, i graffi ed i lividi
per poi posare lo straccio fra l'erba. "Partiremo domattina?"
"Si, cerca di riposare."
"E voi?"
"Io starò sveglio a fare la guardia, Boganaste mi
darà il
cambio a metà nottata. Ora dormi." fece Meheron, col suo
solito
tono brusco. Priccio sulla sua spalla si stiracchiò
voltandosi
ed avvolgendosi in un lembo del suo mantello, ma non si
svegliò.
La Skylean lanciò uno sguardo dietro di se, verso gli altri:
dormivano di già.
Si morse un labbro, nervosamente, strappando qualche ciuffetto d'erba
senza muoversi da dove si trovasse. Quando l'assalì un altro
di
quei turbolenti scossoni, di quelle tempeste nel cuore che si provano
soltanto in presenza della persona amata, non riuscì a
trattenersi oltre.
"Io vi amo." esordì, ma senza la forza sufficiente a
permetterle di sollevare lo sguardo.
Meheron Erith Shebeniath, con lo sguardo verso l'orizzonte di macerie
ed ancora qualche fiamma che avviluppava uno o due edifici, non ne
sembrò affatto sorpreso. "Si, lo so."
"Ho.. Ho accettato di aiutarvi a guadagnare del denaro fingendomi
vostra schiava, ma.." strinse forte la propria tunica all'altezza delle
ginocchia, incassando il capo fra le spalle "Ma è davvero
così che mi vedete, voi? Sono soltanto la vostra schiava?"
"Tu non sei mai stata mia schiava, Lèleri"
ribatté l'uomo "saresti libera di andare, se tu lo volessi."
Lei strinse gli occhi dorati, continuando con voce tremula "E' dunque
solo questo che avete da dirmi?"
"Cos è che vorresti sentirmi dire, Lèleri?"
finalmente
voltò il capo per guardarla "Sai bene che ciò che
ho
perso, lì a Besheuse, non può ridarmelo nessuno."
La donna avvertiva la propria gola bruciare per i singhiozzi
mal trattenuti e gli occhi colmi di lacrime scottanti. "Vorrei tanto
poter fare qualcosa.."
Meheron scosse il capo "Ma non puoi. Su, ora va a dormire."
"S-si.." convenì lei, alzandosi. Che altro avrebbe potuto
fare,
o dire? La situazione era chiara, quell'uomo non avrebbe mai
corrisposto i suoi sentimenti, nè era interessato al tenerla
accanto o guardarla partire. Per lei, lui era tutto. Per lui, lei non
era niente.
Meheron, intanto, rifletteva. Avrebbero dovuto lasciare
quell'accampamento molto presto, viaggiando veloci sino alla Capitale.
Lì avrebbero avuto il tempo di fare provviste a dovere e
ripartire per le Cave di Diamanti, oltre il Passo del Drago e
guadagnare finalmente quello che gli sarebbe servito a mettersi l'anima
in pace una volta e per tutte, senza dover più combattere
anche
solo per un tozzo di pane. Avrebbe finalmente sciolto Priccio dalla
promessa di proteggerlo; da quando sua madre prima di morire gli aveva
donato il fiore magico dal quale era nata la fatina erano passati tanti
e tanti anni e lui sapeva che il più grande desiderio di
Priccio
fosse andare a vivere nella foresta di Meiren ed andare in cerca di
altre fate, ma per ora aveva bisogno di lei.
Per quanto riguardava Lèleri.. Non sapeva bene che cosa
dover pensare.
Sapeva di comportarsi crudelmente nei suoi riguardi respingendola a
quel
modo brutale ma era sua intenzione anche riportarla alla sua Torre
Skylean, fra la sua gente, una volta depredate a dovere le Cave di
Diamanti: lì Lèleri avrebbe trovato uno Skylean
come lei
e l'avrebbe sposato, conducendo una vita più degna e felice
di
quella che avrebbe mai potuto condurre alle sue calcagna.
Quanto a lui, si sarebbe fatto bastare il denaro. Checché se
ne
dicesse il contrario lui era intenzionato a comprarsi la propria
felicità, per quanto possibile, con grossi diamanti dal
taglio
grezzo. Lo credeva possibile eccome e se proprio Boganaste gli era
capitato fra i piedi una seconda volta, al contrario della prima
l'avrebbe utilizzato per arrivare alla sua meta il più
presto
possibile, dannato Drago o non dannato Drago.
"Però. Che divertente senso del gusto, questi paesani."
Sioni fece nuovamente roteare gli occhi, sospirando. "Lo trovate
divertente, Talon?"
"Puoi dirlo forte, Sciamana."
Un altro grosso sospirone. "Beh, questo è un problema.
Avremmo
dovuto rifornirci e rifocillarci in questo paesino, ma sembra che siamo
arrivati troppo tardi."
Si incamminò fra le macerie, con piedi nudi sulla pietra, su
pezzi di carbone ardenti e cocci di vetro senza batter ciglio; il
Draconico fece una smorfia d'orrore e la seguì guardandosi
attorno: Leureve era stata praticamente annientata ed a giudicare dal
tanfo putrescente che aleggiava nell'aria era deducibile che fossero
stati gli orchi.
Sorpassarono un grosso caseggiato dal basso soffitto ancora avvolto fra
pigre fiammelle giallognole e per poco non rovinò addosso
alla
Sciamana quando senza preavviso alcuno cadde sulle ginocchia con un
tonfo, a capo chino, singhiozzando col viso fra i palmi delle mani.
"Ed ora che ti prende?"
"Morte.. Ce n'è così tanta, Talon, non riuscite
ad
avvertirla?" rispose lei, tremante "questa notte sono morti
così
tanti innocenti, strappati ingiustamente alla vita!"
"Insomma vuoi pregare" ribatté Talon "Ne sei proprio sicura?
Ne avresti per tutto il giorno."
Quando quell'ultima frase gli risuonò nella testa ammise con
candore a se stesso di aver appena detto una cattiveria
incredibile e non se ne sorprese quando Sioni voltò il capo
in
sua direzione con aria tanto incredula quanto arrabbiata.
"Cosa?"
"No, niente. Niente."
La lasciò lì in ginocchio a pregare, prendendo a
girovagare fra le carcasse beccate da alcuni corvi neri e scheletri di
edifici divorati dalle fiamme. Stupidi umani e le loro case di legno.
Camminò senza sosta fra le macerie per diverso tempo, fin
quando
giunse in un largo benché piccolo piazzale: lì il
tanfo
di carne bruciata era quasi insopportabile e gli faceva lacrimare gli
occhi, ma notò immediatamente che un solo edificio era
rimasto
perfettamente illeso. Era dalle mura di pietra bianca, con alle spalle
un alto campanile.
Una chiesa, una chiesa degli umani, quello che lui
classificò come uno pseudo tempio pieno di campane e vetrate.
Affascinato da queste ultime s'avvicinò maggiormente per
osservare
i decori allo stipite della porta in legno grigio e sui tre piccoli
gradini che la precedevano; un grosso arco a volta sorreggeva l'intera
struttura, piuttosto piccola in realtà, ma appariscente.
"E perché proprio la chiesa? Stupidi umani e le loro
coincidenze."
Estrasse la spada mentre varcava la soglia, più per
abitudine
che per altro, ma lo fece ugualmente. Alzando il muso
osservò le
ampie vetrate che partivano sin da terra, rialzate dal pavimento da
basi di soltanto qualche centimetro in pietra per poi
innalzarsi
sin al soffitto: raffiguravano strane immagini di uomini inscatolati
nelle loro armature, in sella ai loro destrieri, che cavalcavano dritti
dritti nella gigante bocca nera e rossa di un qualcosa di mostruoso.
Pian piano riconobbe la storia della guerra contro Whuliat, spostandosi
lungo le mura della chiesa e decifrando i disegni sulle altre vetrate.
Per qualche motivo erano raffigurati anche Lion ed Aislinn, lui con
grosse e lucenti squame e lei con un'eterea chioma color del cielo che
andava a congiungersi assieme ai lembi della sua veste bianca e viola
sin al
soffitto.
Talon non aveva mai visto prima di allora niente di così
grandioso e da qualche angolino buio della sua mente emerse il ricordo
di vetrate simili, ma che al tempo stesso non ricordava di aver mai
visto.
Sbuffò fumo dalle narici e fece dietrofront, uscendo.
Il puzzo nello spiazzo lo colpì con una zaffata
così
forte da farlo tossire e lacrimare; non ricordava di aver respirato la
stessa puzza lì nella chiesa, ma qualcosa gli diceva che se
fosse rientrato non avrebbe percepito di nuovo la stessa sensazione.
Fece la strada all'inverso e trovò la Sciamana dove l'aveva
lasciata. Il colore dei suoi capelli gli ricordò quello
della
tunica purpurea di Aislinn e dopo qualche istante di iniziale
esitazione le si avvicinò, chinandosi e poggiandole una mano
artigliata e squamata su di una spalla, distraendola dalle sue
preghiere.
"Sioni. Dobbiamo andare."
Gli fece strano chiamarla per nome, ma soprattutto si chiese se
l'avesse fatto per farsi perdonare la battuta infelice di prima. Ad
ogni modo era andata, perciò non vi spese su altri pensieri.
La giovane donna rialzò il viso, lentamente, senza fretta.
"Sì."
"Dove vuoi andare, adesso?"
"Proseguiremo, Talon. Non importa, proseguiremo fino a quando
incontreremo un altro villaggio abbastanza grande. Non possiamo
indugiare oltre."
Il Draconico annuì, oramai convinto che in un qualche modo
lei
potesse percepirlo, seguendola verso la loro prossima destinazione.
Solo una volta si girò per osservare il campanile distante,
bianco ed intoccato, e si chiese se fosse davvero solo stata una
sciocca coincidenza da umani.
-
E via col quinto.
Se non mi sbaglio sarà venuto un po'
più lungo del precedente, ma amen! ò_ò
E
c'è l'azione! xD
Grazie ai miei due
affezionati lettori ed anche solo a chi sfoglia, alla prossima! ^_^
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Capitolo 6 *** Atto VI: Sig'Randa - Fuori le mura ***
EndingLands6
6
Quando il quinto corriere arrivò con le devastanti notizie
su
Leureve, Pavel diede di matto: lanciò contro il malcapitato
di
turno un pesante libro rosso rilegato in lamine d'oro puro,
ordinandogli bruscamente di togliersi dai piedi; lo sapeva bene che
cosa fosse successo a quel villaggio, senza che altri morti di fame gli
venissero a raccontare qualche cruento dettaglio in più per
un
tozzo di pane raffermo.
Era da quella notte che continuavano a giungere profughi in cerca di un
riparo e naturalmente tutti erano andati a cercarlo da lui. Eppure suo
padre gli aveva assicurato che sarebbe stato facile governare la
Capitale in sua assenza, gli aveva assicurato che in quel posto
sonnacchioso non era mai accaduto nulla che il Capitano delle Guardie,
il vero protettore della città, non potesse gestire.
Ed invece, sorpresa!
Lo stesso Capitano era venuto di corsa al Palazzo, senza sapere che
cosa poter fare e dove poter mettere a dormire almeno un centinaio di
fuggiaschi.
Pavel si massaggiò le tempie pulsanti e doloranti, ora solo
nella stanza del Consiglio della Capitale, quantomeno tentando di farsi
venire un'idea. Non erano state sufficienti le allarmanti notizie di
sempre più terra morta ed impossibile da coltivare, ora ci
si
dovevano mettere anche gli orchi; sapeva che le mura della Capitale
fossero troppo spesse per far anche soltanto passare i cancelli o per
essere sfondate da massicci attacchi, ma temeva che quella
particolarità avrebbe finito con l'attrarre qualunque
cittadino
del paese in grado di poter correre per andargli a chiedere rifugio. Di
quel passo, la Capitale sarebbe implosa dall'interno, un
sovrappopolamento era l'ultima cosa di cui avevano bisogno.
Si alzò, andando nervosamente su e giù per la
stanza. Suo
padre era in quel momento in una delle sue tenute a caccia di cervi e
sottane, lui invece era intrappolato in quell'incubo senza la
benchè minima idea, ne competenza, per poter rimediare a
quel
disastro.
"Il figlio del Consigliere è un idiota" gracchiò
Meheron
"stiamo pur certi che se non ha paparino alle spalle finirà
per
combinare qualche macello."
Priccio, sdraiata sulla sua testa, si rotolò fra i capelli
corvini dell'uomo "Perché non ci fanno entrare nella
Capitale!"
Accampati appena fuori le portentose mura bianche di Sig'Randa erano in
attesa del ritorno di Boganaste, il quale si era offerto di andare a
chiedere alle guardie dei bastioni principali se ci fosse stato "un modo speciale per apparire
davvero speciali e degni di essere considerati speciali",
così aveva detto. Di andare a corrompere qualcuno, insomma.
"Dovranno avere un buon motivo" rispose Lèleri, facendo
debolmente spallucce; accanto a lei, Ferona annuì in
silenzio.
"Ma io ho fame!" protestò la fatina "Perché
Boganaste ci mette così tanto, Meheron?"
"Per la misericordiosa Aislinn, Priccio, che cosa vuoi che ne sappia?"
"Andiamo a cercarlo!"
"Cosa? No. Per quanto mi riguarda preferirei vederlo a faccia in
giù in un fosso."
La nana sollevò di scatto il capo, osservandolo atterrita.
"Perché dite così, che cos è che vi ha
fatto
Nemetona di così grave?"
Meheron sbuffò. "Sono affaracci miei. E di quel maledetto
Skylean."
Priccio gonfiò le guance indispettita e gli tirò
con
forza due ciocche di capelli afferrate saldamente con le manine.
"Antipatico, antipatico, antipatico!"
"Ah! Accidenti Priccio, dannazione smettila!"
Lèleri sollevò gli occhi al cielo lasciando
intuire
quanto fossero consuete ed abituali scene del genere e Ferona
tornò con lo sguardo all'orizzonte, aspettando impaziente di
poter scorgere i capelli bianchi di Nemetona. Erano stati tutti, loro
così come diversi altri gruppi di persone, raggruppati in
una
zona di terra grigia e brulla, delimitata da vecchi recinti lignei che
davano l'idea di essere stati una volta i confini di un campo
coltivabile. Aveva sentito parlare dell'insistente problema delle terre
morte o morenti, l'aveva persino visto prima che Leureve fosse
distrutto, ma trovò bizarro che i campi attorno al Maniero
Gisante fossero ancora verdi e pienamente coltivabili mentre quelli
attorno alla Capitale Lucente versassero in quello stato.
Lèleri sembrò intuire a che cosa stesse pensando.
"Nessuno è ancora riuscito a spiegarsi il perché
di
questo impoverimento del terreno. Le voci dicono di zone verdi oramai
soltanto vicino Meiren." le disse; la sua voce era calmifica, quasi in
grado di cullare l'interlocutore di turno.
La nana sospirò. "Conosco anche un altro posto che.. No, non
fà nulla. Oh, ecco di ritorno Nemetona!"
Si alzò ed agitò un braccio, lo Skylean la vide e
si
avvicinò loro di corsa. Meheron smise di litigare con
Priccio ed
appena Nemetona fu a portata di voce gli si rivolse con la
cordialità di un dragone. "Allora, ti sei reso utile almeno
stavolta?"
Scorse Lèleri rimproverarlo con lo sguardo, emise un basso
gorgoglìo, tornò a Boganaste.
Il quale rispose per le rime. "Al tuo contrario, sì. Ho
guadagnato l'ingresso alla Città, per tutti.."
Si fermò bruscamente ed il resto del gruppo intuì
ci
fosse dell'altro, lanciando sguardi indagatori in sua direzione.
Il mercenario fece spallucce. "Però ho dovuto vendere la
fata.
Hey, un piccolo sacrificio per il bene comune ci vuole ogni tanto, no?"
"TU CHE COSA!?" strillò Priccio, librandosi in volo e
diventando completamente di un rosso vivo, dal bagliore intenso.
Mentre le donne sembravano essere sinceramente scioccate, l'unico che
non ne rimase sorpreso fu proprio Meheron. Si alzò,
fronteggiando Nemetona con la sua imponente stazza. "Hah! Naturalmente,
che cos'altro mi sarei potuto aspettare da un uomo come te, Boganaste?
Priccio non và da nessuna parte."
"Ascolta, Shebeniath" rispose l'altro, cautamente "non c'è
altro
modo. La Città non accoglie più nessuno
già
da due giorni, ho dovuto promettere qualcosa di davvero speciale."
spiegò, sperando sinceramente di riuscire a persuaderlo.
"Perché non la vostra Viverna, allora?" fece
Lèleri
aspra, quasi velenosa; si alzò ed arrivata accanto a Meheron
prese con delicatezza la piccola Priccio fra le mani, che
istantaneamente smise di brillare come il più bello dei
rubini.
"E' speciale,
no?"
Erith Shebeniath le lanciò, forse per la prima volta, un
sincero
sguardo di approvazione, Boganaste invece uno sorpreso e poi adirato;
Wibbly, dalla tasca della sgualcita blusa di Ferona, soffiò
rabbiosa. La nana, osservando la situazione deteriorarsi velocemente,
provò a fare la parte della mediatrice.
"Oh, ehm.. Non potremmo, non saprei, soltanto fingere? Come quando al
mercato.."
"No." tagliò corto Meheron. "Stiamo parlando della Guardia
della Capitale Lucente, nana, non di un paesino."
"Non rivolgerti a lei con quel tono" lo ammonì Nemetona,
compiendo un passo in avanti e stringendo i pugni.
"Ooh, capisco. Sei ancora nella fase entrare nelle grazie, non
è
così? Qual è quella che viene dopo? Entrare nei
calzoni,
mi pare di ricordare."
Vide lo Skylean lanciarglisi addosso con un grido ma lo respinse
facilmente col braccio, facendolo rovinare fra l'erba grigia e secca.
Qualcuno in lontananza rise.
"Signori, vi prego!" gemette Ferona, allarmata, ma quando
alzò
lo sguardo per chiedere supporto a Lèleri la
scoprì
impegnata a non perdersi neanche un istante dello spettacolo,
così come Priccio seduta fra i palmi delle sue mani. Persino
Wibbly sembrava osservare con interesse, immobile.
Nemetona si rialzò soffrendo del grosso archibugio
piantatogli
nella schiena al momento dell'impatto col terreno e con un ruggito si
scaraventò contro il viso di Meheron col pugno ben chiuso:
fu
abbastanza svelto da prenderlo ma vide troppo tardi la ginocchiata che
l'altro aveva già caricato e che gli si abbattè
sull'addome come un martello sull'incudine. Cadde nuovamente a terra,
riverso su di un fianco, le risate in lontananza di qualche curioso
profugo-spettatore si fecero più insistenti.
"Nemetona!" Ferona gli fu accanto in un lampo "Nemetona, state bene?"
Voltandolo si rese conto che le bende e la blusa sul fianco ferito
dello Skylean erano nuovamente imbevute di sangue fresco. Quella volta,
però, Nemetona non si rialzò e fece come se nulla
fosse,
anzi rimase in terra tossendo debolmente. Quando la nana gli
portò una mano alla fronte, lo sentì gelido.
"Oh, oh santo cielo..!"
"Togguarda" fece Meheron, stranamente serafico. "A quanto pare, quella
ferita è troppo profonda per essere trattata solo con dei
bendaggi e qualche impiastro. Se siamo fortunati si è
già
infettata e fra un paio d'ore ce lo saremo definitivamente tolto dai
piedi."
"Meheron.." mormorò Lèleri, mettendo da parte il
suo
atteggiamento ostile "..Meheron, credo che morirà per
davvero se
non facciamo subito qualcosa."
"Beh, perfetto. Neanche mi muovo, guarda."
"Ma come puoi dire una cosa del genere!?" strillò allora
Priccio, saltando via dalle mani della Skylean e volandogli all'altezza
del viso "Sei proprio un gran bastardo!"
Gli diede un ceffone sul naso, che risultò essere per l'uomo
solo un innocuo buffetto, poi volò sulla spalla di Ferona,
quella più vicina al viso del mercenario.
Lei la guardò disperata, col capo dell'uomo fra le mani.
"Puoi aiutarlo, Priccio?"
La fatina gonfiò le guanciotte ancora una volta,
sinceramente offesa. "Ma certo che posso. Pfui, quanto dramma
superfluo."
"Priccio!" fece Meheron, in tono adirato ""ti proibisco di curare
quest'uomo!"
Lèleri gli poggiò una mano sulla spalla
ammantata, quella del braccio troncato. "Shh, Meheron, vi prego
abbassate la voce!"
Lui l'allontanò malamente, avanzando verso Ferona, Priccio e
Boganaste. "Priccio, hai capito? Non osare!"
"La la la, non ti sento!" rispose la fatina, senza neanche guardarlo;
si librò in aria per poi atterrare sul torace dell'uomo
ferito, mettendosi carponi e poggiando le manine sulla sempre
più grande macchia di sangue; oramai avvertiva Boganaste
respirare velocemente ed a fatica, perciò si
concentrò illuminandosi d'azzurro e creando un globo
luminescente attorno a se, il ferito e la soccorritrice.
Lèleri notò ora tutti gli sguardi dei profughi
concentrati su di loro e quando Meheron Erith Shebeniath si mise a
picchiare furiosamente il pugno contro la barriera protettiva innalzata
dalla fata li vide iniziare ad avvicinarsi, creando una folla tutta
intorno.
All'interno del pulsante globo di luce, la nana vide i propri capelli
fluttuare nel vuoto così come quelli di Priccio e del
mercenario steso in terra; poco dopo si accorse che all'esterno
Meheron, Lèleri e gli abitanti di quello che una volta era
stato il paesino di Leureve avevano smesso di muoversi. Forse credendo
si trattasse di uno scherzo della mente chiuse forte gli occhi, ma
quando li riaprì tutto rimase perfettamente immobile.
"Priccio..?"
"Shh." le intimò la fatina, con occhi serrati ed espressione
concentrata.
"Ma questa è..?"
"Stasi, sì. Shh."
Ferona tacque per non distrarla ulteriormente: sentì il peso
di Wibbly, acciambellata dormiente ed immobile nella sua tasca, poi
poggiò una mano sul petto di Nemetona e per qualche istante
il panico l'assalì non avvertendo alcun battito; poi
rammentò di aver letto da qualche parte che durante la Stasi
si smettesse di esistere e che quindi dovesse essere piuttosto normale.
Nonostante ciò, trovò strano che una fatina fosse
in grado di praticare arti sciamaniche.
Accarezzò la fronte tatuata di Nemetona e rimase in attesa,
osservando di tanto in tanto i buffi atteggiamenti nei quali gli altri
si erano fermati all'esterno del globo di luce azzurra: Erith
Shebeniath con l'unico pugno alzato, Lèleri aggrappata al
suo mantello cercando forse di allontanarlo, curiosi paesani sparsi qui
e lì col collo allungato quanto più possibile per
cercare di sbirciare qualcosa.
Rimase inginocchiata fra la terra morta col capo dello Skylean in
grembo per diverso tempo, quando infine si accorse che lentamente il
mondo attorno a lei stava tornando a prendere vita. Priccio si
sollevò in piedi sul petto di Boganaste, il quale aveva
ripreso a respirare regolarmente, e sospirò con aria
affaticata e le alucce tremule.
Lo scudo azzurro sembrò evaporare e Ferona potè
nuovamente udire quella voce familiare in mezzo allo schiamazzo dei
contadini chiusi a cupola su di loro.
"Mia Cara! Devo proprio dirvelo, siete davvero incantevole vista dal
basso. Una visuale quantomai rara la mia, nevvero?"
Priccio sbuffò, ma senza irritazione nella voce. "Boganaste,
la prossima volta che stai per morire potresti gentilmente usare la
cortesia di avvisarci?"
"Oh lo farò mia salvatrice, prometto che lo farò."
Ferona sorrise raggiante, la fata ridacchiò e tutto
sembrò perfetto.
Fino a quando un attimo dopo Meheron Erith Shebeniath fu loro addosso,
furioso. "Priccio! razza di piccola, pestifera pulce delle piante
grasse!"
L'interpellata sfoggiò la sua migliore faccina da schiaffi.
"Oh andiamo, vuoi smetterla di gridare si o no? Tanto oramai l'ho
curato, almeno fà l'uomo ed ingaggia un duello se proprio lo
vuoi ammazzare!"
Lèleri, ancora al fianco del burbero omaccione, scosse il
capo. "No Priccio, Meheron non si riferiva a Boganaste."
lanciò una rapida occhiata attorno a loro "Hai mostrato arti
che non è bene mostrare in pubblico. Credo che qualcuno sia
già corso a chiamare le Guardie."
Priccio sbiancò, curvando verso il basso le orecchiette
appuntite. "Oh.."
"Non farmi "oh",
signorinella!" abbaiò Meheron "Appena usciamo da questo
guaio, te ne farò pentire!"
"No ti prego Meheron, non chiudermi di nuovo nella teiera!
Sarò brava, lo giuro, lo giurissimo!"
"Signorine, Signorine" ridacchiò Nemetona, ancora
comodamente sdraiato per metà in terra e per metà
su Ferona "vi prego di smettere con gli alterchi. Abbiamo compagnia."
Tutti sollevarono lo sguardo verso un drappello di Guardie in
scintillanti armature bianche e lance di diamante che rapidamente si
stavano avvicinando.
"Ooooh" fecero Ferona e Lèleri insieme, profondamente
affascinate.
"Puah,
quanta scena" commentò invece l'uomo ammantato.
La Guardia che stava in testa al gruppo con un movimento del braccio
ordinò ai curiosi di allontanarsi; dopo che questi ebbero
riluttantemente obbedito, si concentrò sul piccolo gruppetto
che si diceva stesse creando tanto trambusto. Il suo elmo al contrario
degli altri aveva in cima una bellissima piuma azzurra e la sua voce
era profonda, ma controllata.
"Salve cittadini, sono il Capitano delle Guardie della Capitale
Lucente. Mi è stato riferito di pratiche ed incanti qui al
di fuori delle mura, ma le notizie erano contrastanti. E' stato fatto
cenno alla pratica degli Sciamani e alle arti dei demoni, io
però qui vedo soltanto una fata."
"Sanno cosa siano demoni, Sciamani e fate?" sussurrò
debolmente Ferona a Nemetona, perplessa.
"Evidentemente non tutte le Guardie passano il proprio tempo libero a
brucare erba, Mia Cara" rispose lo Skylean.
"Devo perciò informarvi" proseguì il Capitano
"che vi verranno adesso confiscate tutte le vostre armi e verrete
scortati alla Sala del Consiglio, così da poter fornire
un'adeguata spiegazione."
Quando Meheron, quello con l'aria più ostile di tutti,
provò ad aprire bocca aggiunse "Il figlio del Consigliere mi
ha autorizzato ad usare la forza, in caso di necessità. Vi
prego di seguirmi senza opporre resistenza."
Una volta privati di ogni avere tranne gli abiti e legati con i polsi
dietro la schiena da salda corda urticante (ed aver chiuso la povera
Priccio in una gabbietta per canarini) vennero condotti verso i
cancelli bianchi di Sig'Randa, la portentosa Capitale Lucente; una
volta varcati vennero presi a bordo assieme al Capitano e alla sua
squadra da un grosso barcone azzurro per attraversare il fiume
Biancolatte, il vero ostacolo che almeno secondo le leggende impedisse
ad un qualunque nemico di raggiungere la vera e propria
Città: si diceva che le acque di un innaturale candore
divenissero corrosive per orchi e creature maligne di ogni tipo e che
impedissero così loro il passaggio.
Osservando le immense mura bianche allontanarsi sempre di
più, Nemetona ridacchiò. "Beh, siamo entrati, no?"
Meheron fece roteare gli occhi. "Boganaste?"
"Sì?"
"Stà zitto."
-
Eeee vai con il
sesto! Few, non aggiornavo da un po'. Dirò, ho iniziato a
scrivere questo capitolo piuttosto dubbiosa.. Alla fine,
però, sono arrivata ad adorarlo xD Penso che sia una cosa
fondamentale, che l'autore abbia a cuore ognuno dei suoi personaggi.
Che dire, spero sempre che a qualcun altro possano piacere i miei
personaggi come li adoro io, ho perso uno dei miei lettori (ç_ç)
ma non mi scoraggio, un abbraccione alla fedele Bryluen ed a tutti
coloro che dovessero decidere di lasciare un commentino! A presto!
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