Ending Lands: Respiro di Drago

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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Atto I: Nemetona Boganaste ***
Capitolo 2: *** Atto II: Cena con sorpresa ***
Capitolo 3: *** Atto III: I figli dei Draghi ***
Capitolo 4: *** Atto IV: Leureve ***
Capitolo 5: *** Atto V: Capobranco di Mangravia ***
Capitolo 6: *** Atto VI: Sig'Randa - Fuori le mura ***



Capitolo 1
*** Atto I: Nemetona Boganaste ***


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1

Ilena non aveva mai visto uno Skylean prima di allora. Certo, aveva si e no venti primavere dieci delle quali passate rinchiusa nella grande magione di suo padre, ma s'era continuata ad aggiustare e pettinare i lunghi capelli ramati per ore frustrando profondamente la serva di turno, giungendo infine ad optare per una morbida treccia ordinata col capo ornato di nastri azzurri come il delicato vestito che indossava.
Ad ogni modo non fu per niente preparata per ciò che vide.
Era primo pomeriggio e vedeva già all'orizzonte la carrozza avvicinarsi; trepidante si contorceva le delicate manine, al fianco dell'austero e canuto padre e con alle spalle l'intera schiera della servitù. Le giovani sguattere del maniero sembravano ansiose almeno quanto lei di mettere gli occhi su di uno Skylean in carne ed ossa, i portatori della grande invenzione degli archibugi. Si sentiva importante come mai in quel momento, emozionata e tesa; la carrozza aveva oramai imboccato il vialone principale superando la cancellata e si ritrovò a mordersi freneticamente le belle labbra, tentando di ricordare tutto ciò che era riuscita a leggere riguardo gli Skylean: la gente delle nuvole, con capelli bianchi come neve ed occhi color dell'oro, spesso col viso ed il corpo completamente dipinti. Ma non aveva idea di come si comportassero, se fossero ostili o meno, nulla di nulla.
Mentre si perdeva nelle sue fantasie suo padre la riportò alla realtà compiendo un passo in avanti, così da poterle far notare che la carrozza era infine giunta.
Il cocchiere scese con un balzo ed andò ad aprire il modeto sportello della modesta carrozza ed Ilena (così come tutta la servitù) trasalì portando una mano alle labbra. Infine a nulla erano valsi gli accorgimenti di suo padre e le sue raccomandazioni in merito al mostrarsi riservata, tenendo lo sguardo basso se necessario. Ilena l'aveva visto chiaramente però, persino sulla schena del suo severo padre era corso un brivido.
Lo Skylean era alto, con i capelli legati che arrivavano poco oltre la nuca e gettati su di una spalla, con occhi di oro puro e, e... Terribilmente affascinante. Da una parte trovò quasi banale che una creatura così avvolta dal mistero possedesse anche un fascino tale, ma poi dovette ammettere a sè stessa che non stonava, che non era eccessivo o altro, era.. Era uno Skylean, tutto lì.
Gli osservò attentamente le orecchie appuntite ma non allungate come quelle degli elfi ed i segni che portava dipinti sul viso: al centro della pallida fronte troneggiava un occhio in rosso, così come le righe verticali che scendevano giù dai suoi occhi come se fossero lacrime, spesse lacrime.
Indossava una semplicissima blusa bianca, un gilet blu di quella che sembrava essere pelle di animale, pantaloni neri dal tessuto leggero che andavano ad infilarsi in pesanti stivaloni di pelle; portava allacciate alla cintola due fodere con piccoli archibugi ed uno molto più grande allacciato dietro la schiena, senza fodera. Gli archibugi erano per metà in legno e per metà di un metallo liscio e luccicante; nelle parate e nelle onorificenze le era capitato soltanto un paio di volte di sentire l'assordante fragore dei loro spari ed immaginò che bisognasse essere davvero molto abili per padroneggiare un'arte simile.
Suo padre era ancora lì ad annoiare lo Skylean con i suoi boriosi discorsi sulla fragilità del loro paese e sul quanto fosse onorato di accogliere un esperto come lui proveniente direttamente da Mégat, la Capitale dei mercenari, nella sua umile dimora. La servitù era tornata alle proprie mansioni ed erano rimasti soltanto loro tre sull'uscio di casa.
Attese pazientemente sino a quando suo padre non si voltò verso di lei, porgendole una mano ed invitandola ad avvicinarsi così da poterla introdurre all'altro.
"Ed ora permettetemi di presentarvi mia figlia, Ilena."
"Incantato, Mia Signora" rispose lo Skylean, prendendo con fermezza la piccola manina di lei da quella di suo padre ed esibendosi in un galante baciamano.
Lei si inchinò, aggraziatamente ma senza riuscire a togliergli gli occhi di dosso. "il piacere è mio, Ser..?" lasciò la frase in sospeso, mentre le guance le si colorivano appena.
"Nemetona, Mia Signora" Nemetona Boganaste."
Uno scioglilingua, insomma. Buffo. Si astenne dal dirlo onde creare situazioni anomale o imbarazzanti, ma continuò a pensarlo durante tutto il tragitto dall'entrata principale al gran salone, stracolmo di quadri, vasi antichi e sconfinate polverose librerie. lei stava indietro per rispetto, in teoria, ma in pratica poteva così lanciare qualche disinibita occhiatina anche al "lato b" dello Skylean passando inosservata; la mano destra, nel punto in cui quell'uomo l'aveva baciata, ardeva di un fuoco tutt'altro che nocivo.
Quando l'aveva fatto, lei aveva intravisto un lieve balenìo di canini affilati e fuori misura, però perfettamente nascosti alla vista dalle belle labbra sottili. Provò ad immaginare che cosa avrebbe provato, se Nemetona l'avesse morsa.
La sorprese vedere quanto attentamente seguisse le oltremodo noiose lezioni di storia di suo padre, si sorbì per intero la genealogia di loro Gisante, sin dai padri dei loro padri fondatori, bla, bla, bla.. Stava quasi per addormentarsi all'impiedi quando da una porticina laterale seminascosta da un arazzo sbucò fuori il loro personale fabbro di fiducia, con aria affannata e forse allarmata.
"Mio Signore! Mio Signore, in fucina c'è anco-"
Alla vista dello Skylean in loro compagnia, il quale aveva voltato il capo in quella direzione con aria interrogativa, zittì immediatamente. Ad Ilena non piacque per nulla l'intenso sguardo misto fra curioso ed affascinato che si scambiarono e ne provò un intimo moto di gelosia.
Il loro fabbro, Ferona, era la nana più abile che avesse mai visto; era capace di fabbricare solide armi per i soldati di suo padre, ed il gioarno dopo di lavorare per lei una delicata pettinessa in avorio, intarsiata d'oro e rubini. Non era esattamente bella con le sue guance paffute, le braccia muscolose e le mani rovinate, tantomeno poteva essere definita femminile, nonostante ciò era molto più graziosa e proporzionata rispetto a molte della sua razza. Non era nè snella nè tozza, portava i lunghi capelli neri sciolti, neri come i due profondi pozzi che erano le sue iridi, contornate da folte sopracciglia e pelle color mogano.
Questa, ovviamente, era una oggettiva descrizione di Ferona, dato che per Ilena non era altro che un basso e sporco mostriciattolo abitante delle buie caverne della fucina, in quel momento più che mai, buono solo a fare e riparare cose.
Suo padre invece, che aveva una stima ben più alta di lei, la invitò con un benevolo cenno della mano ad unirsi alla conversazione.
"Ferona cara, calmatevi. Con calma, ditemi, che cosa è successo?"
"S-Signore" si avvicinò, inchinandosi lievemente in direzione dello Skylean, il quale le rispose con un lieve sorriso. Tentò vanamente di ignorare il rossore che doveva certamente averle colorato le guance e tornò a rivolgersi al padrone di casa "Mio Signore, nella fucina c'è nuovamente Ser Gerald. Lui mi.. Interrompe, non riuscirò a terminare le lance per la vostra parata, Mio Signore.."
"E così sei corsa da paparino, si?" commentò aspramente (e sgarbatamente) Ilena; il severo sguardo di rimprovero di suo padre e quello sinceramente infastidito dello Skylean non fecero altro che farla arrabbiare ancora di più.
Ferona si limitò ad abbassare lo sguardo, mortificata.
"Provvederò immantinente a placare le ire di Ser Gerald di persona, non preoccupatevi. Vogliate scusarmi" s'avviò, per poi voltarsi con un sorriso bonario in volto "Nemetona, cercate di non fare alcun'altra preda durante la mia assenza, va bene..?"
"Mio Signore, sono le donne che cacciano me, posso garantirvelo." rispose l'interpellato, ridacchiante.
Una volta che il padrone di casa fu nel passaggio per la fucina dal quale era sbucata la nana, ci fu un intenso scambio di sguardi generale, lì nel gran salone. Nemetona sembrava essere l'unico a divertirsi, mentre osservava lo sguardo truce di Ilena. "Ho fame." annunciò infine.
La figlia del nobile Gisante voltò il capo dai lunghi capelli ramati, ammorbidendo l'espressione ed il tono della voce "Ma certo.. Vogliate seguirmi verso le cucine, i nostri servi per la cena di questa sera si sono cimentati in più leccornie in vostro onore, Ser."
"Bene, bene!" rispose lo Skylean, incamminandosi al seguito di lei; quando però poco più avanti si rese conto che Ferona non li stesse seguendo arrestò di colpo il passo voltandosi verso di lei "Voi non venite?"
La nana gli rivolse uno sguardo a metà fra lo stupefatto e l'ammirato. Stava per replicare, quando nuovamente Ilena s'intromise nel discorso. "No, vedete. Ferona pranza e cena nella fucina.. E' sempre stato così, non esce mai da lì dentro."
"Ed a giudicare dalla sua espressione direi che è molto, molto noioso! E' il mio banchetto di benvenuto, no? Suvvia Ferona, siate cortese e presenziate anche voi." terminò, sghignazzando in un modo che non sarebbe riuscito a risultare fastidioso neanche se l'avesse voluto.
Gli occhi di Ferona si illuminarono mentre si avviava per raggiungerli, quelli di Ilena invece si appannarono per via della rabbia che sarebbe stata costretta a reprimere in quel momento e nelle ore successive.

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Capitolo 2
*** Atto II: Cena con sorpresa ***


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2

"La più promettente Sciamana del Paese, ho capito bene?"
"Benissimo." rispose il Presidente, con aria insopportabilmente indispettita per chissà quale motivo. Vecchi rancori con la sua razza? Poteva darsi, dopotutto era risaputo che la guerra più aspra di tutte era stata quella fra draconici ed  umani. Con la conseguente sconfitta di questi ultimi.
Talon non era mai stato particolarmente amante del genere umano, seppur riconoscesse in loro una certa caparbietà e solidità sociale. Eppure era lì, sotto forma di scorta per un'antipatica Sciamana dai potenti poteri e precaria salute: aveva superato il quinquennale esame del Consiglio di Meiren (quale adorabile Presidente sedeva in quel momento di fronte a lui) con un superbo cocktail allucinogeno, in grado di guidare alla Stasi per più di due ore; un'arte ancora in evoluzione ma già fenomenalmente utile di suo.
Si diceva che in Stasi si smettesse di esistere, e durante la pratica lo Sciamano avrebbe potuto guarire praticamente qualunque ferita. Il tutto velocemente, senza dolore alcuno anche nei casi più gravi, a patto che la pratica avvenisse in tempo. L'effetto collaterale della Stasi però si diceva fosse il Vuoto: se lo Sciamano non era abbastanza bravo, o sbagliava qualcosa nel mix di ingredienti, avrebbe anche potuto sperdere l'anima del paziente per sempre negli abissi.
Era per quel motivo che Talon s'era da subito abituato al dolore, per puro terrore della stasi sciamanica. Aveva assistito con i suoi occhi ad una perdita di sè stessi, ad un Vuoto, ed era sicuro che non sarebbe riuscito a dimenticarlo per il resto dei suoi giorni.
Fece schioccare rumorosamente la lunga coda uncinata, distese le grosse placche squamose all'altezza della schiena e si rassegnò placidamente a dover attendere ancora, sotto viperini sguardi dell'altro, la capricciosa Sciamana.

Correva, svoltava tutto ad un tratto, sbuffava senza mai guardarsi indietro: sorpassò di corsa un grosso cinghiale arrosto, saltò oltre un'insalatiera ed ignorò palesemente la voce del Fratello che lo chiamava insistentemente, quasi piangendo dal ridere. Sentiva ridere anche una voce femminile, mentre una terza era invece furiosa. Ancora una volta saltò oltre una decorata brocca, sfuggì a diverse mani che tentavano di acchiapparlo, ne morse persino una sbuffando minacciosamente del fumo dalle nari e lanciando versi striduli; una volta appurato che non avrebbe potuto fare altro che correre, senza poter consumanre un tranquillo pasto, diede di sfuggita qualche morso al cinghiale di prima e schizzò a nascondersi della tasca della blusa del Fratello, sporgendo solo la parte anteriore del muso e soffiando in un modo molto simile ad uno sghignazzo.
-
"Chiedo umilmente perdono" fece Nemetona, ancora con gli occhi umidi e la voce tremula per le risate "Ma il mio caro amico non è proprio riuscito a trattenersi davanti a visioni tanto appetitose!"
Ilena, livida di collera e con in suo bell'abito sporco di salsa di frutti scacciò brutalmente la servitù impegnata sino a pochi istanti prima a tentare di catturare l'impunita bestiola; Ferona invece guardava con ancora una volta occhi colmi di ammirazione il piccolo musetto rettile che faceva pigramente capolino, mezzo dormiente e poggiato sulle pieghe della tasca della blusa che indossava lo Skylean. Aveva letto di quelle magiche creaturine soltanto nei più antichi tomi di fiabe di Ilena, quando lei se ne era stancata e decideva di potersene liberare ma mai, mai aveva anche solo sperato di vederne una, ritenendolo impossibile.
"Perdonatemi" mormorò quasi verso il possessore di quell'esserino tanto particolare, abituata a rivolgersi verso altri con un tono particolarmente sommesso "Ma quella è proprio una Viverna..?"
Probabilmente Nemetona riuscì ad udirla soltanto perchè lo schiamazzo provocato dal suo amichetto squamoso era terminato; voltò il capo verso di lei, sorridendole cordialmente. "E' la seconda volta che mi sorprendete oggi, Ferona. Si, è proprio una Viverna. Proprio come quelle delle fiabe."
"E quando.. Sarebbe stata la prima volta che vi ho sorpreso?"
"Beh" ridacchiò lui "Sino a quest'oggi, non avevo idea che un'esponente del gentil sesso nanico potesse essere così graziosa."
Avvertì chiaramente il viso andare a fuoco in una singola vampata, mentre riportava fulmineamente lo sguardo al grosso tavolone ancora imbandito. "Oh."
Ilena, avendo terminato di sfogarsi con la servitù, diresse il suo furore altrove scegliendo come bersaglio lo Skylean, il proprietario della bestiaccia che le aveva rovinato il vestito. "E voi! Tenere quella schifosa lucertola libera come l'aria, a tavola, fra di noi!"
Ferona stentò a credere ai propri occhi quando la piccola Viverna, verdissima con qualche squama blu sul dorso sbuffare fumo dalle narici, facendo rumorosamente saettare la lingua producendo suoni simili a pernacchie. Vide Nemetona ricominciare a ridere e dovette fare del proprio meglio per trattenersi.
La figlia del padrone di casa allora esplose in un vero e proprio roboante boato, voltando loro le spalle e correndo via con le mani fra i capelli.
Ferona non aveva desiderato altro che poter assistere ad uno spettacolo del genere per tutte le volte che era stata costretta a subire in silenzio ed a testa bassa tutto il veleno che era grado di sputare quell'orrenda vipera su tutto e tutti, specialmente lei, perciò non potè fare altro che gioire intimamente, con un sorrisetto soddisfatto che le si espanse pian piano sul simpatico facciotto.
Anche Nemetona sorrideva, ancora seduto accanto a lei, e mentre la osservava persa nei suoi pensieri le parole fluirono da sole dalle labbra. "Odiate stare qui, non è vero?"
"Oh, cosa darei per poter.." rispose lei, senza pensarci; un attimo dopo scosse il capo risvegliandosi dalle sue fantasie "No! No, il mio posto è qui, nelle fucine del Padrone, e..!"
"Il vostro posto è in mezzo agli altri, Ferona.. Non rinchiusa in una fucina di un sedicente Signore di come quelli dei tempi antichi."
"Ma.. Il Padrone, lui.."
"Ascoltatemi" fece allora lo Skylean, sporgendosi e poggiandole le mani su entrambe le spalle. "Sostenete che il vostro Padrone vi voglia bene. Ma vi fà mai uscire dalle fucine? Vi fà mai sedere al suo stesso tavolo, vi fà mai mangiare il suo stesso cibo? Svegliatevi mia dolce, ingenua Ferona. Il vostro Padrone vi tratta esattamente come vi tratta la sua adorata strega travestita da graziosa primogenita. E' solo che Ilena è ancora troppo giovane per riuscire a mascherare il suo disprezzo con falsi sorrisi e carezze sul capo."
Ferona aprì la bocca per rispondergli, senza però effettivamente sapere cosa dire.
Se lui aveva ragione, il motivo per cui aveva sempre sopportato svaniva miseramente, crollava il suo unico punto fermo nella sua intera vita, sin da quando il suo povero padre era stato costretto a venderla con la speranza di poterla rivedere viva ed in salute, un giorno. Mentre già il panico s'impadroniva di lei nel pensare a cosa avrebbe fatto, dove sarebbe potuta andare e dove avrebbero potuto eventualmente accettarla, Nemetona Boganaste le offrì la soluzione ad ogni suo problema con una semplicità estrema.
"Venite con me."
Ferona gli rivolse uno sguardo meravigliato, traboccante di lacrime e confusione. "Co-cosa? Ma il Padrone non lo permetterebbe mai!"
"Ed allora stanotte fuggiremo."
"..I-il vostro incarico.."
"Oh, sapeste quanto è più importante e prezioso di qualunque tintinnante moneta quello a cui dò la caccia!" rispose allora Nemetona, con voce entusiasta "Significa che verrete..?"
L'abile fabbro del Maniero Gisante allora gli dedicò uno sguardo intenso, sorridendo mentre un senso di pace le invadeva l'animo al solo guardare quegli occhi d'oro vivo.

La stasi del pettirosso durò si e no qualche minuto; la Sciamana aveva voluto per forza arrestare il loro cammino, volendo a tutti i costi curare quel piccolo uccellino con l'ala destra spezzata. Anche Talon s'era spezzato più di una volta una delle due ali, una volta persino entrambe, ricordando bene la sofferenza enorme dei medicamenti e del periodo di guarigione; ed invece in pochi attimi il pettirosso fu nuovamente libero di spiccare il volo, con solo il brutto ricordo del dolore provato.
"Mi auguro non abbiate intenzione di fermarvi a soccorrere ogni creatura ferita o in difficoltà che incontreremo durante il percorso, Sciamana." l'apostrofò aspramente, mentre la osservava raccogliere da terra il bastone che utilizzava come se fossero stati i suoi occhi e la cascata di sottili capelli di un bizarro viola purpureo tornavano a solleticarle la schiena sin fra le scapole.
Sioni, dal canto suo, gli si rivolse con un tono molto severo. "E' proprio da un guerriero che ci si aspetta la compassione di fronte al dolore, Talon. Se le vostre paure non vi annebbiassero la mente, mi chiamereste per nome e vi lascereste condurre da me alla Stasi."
Il Draconico portò all'istante una mano artigliata al fianco sinistro, una vecchia ferita di guerra che lo tormentava oramai da anni, senza voler neanche immaginare come facesse lei a saperlo. Fece guizzare un paio di volte la lingua biforcuta, innervosito. "Ho visto amici cadere nel Vuoto. Maledetti voi Sciamani e le vostre arti proibite. Un vero guerriero lo sopporta il dolore."
Lei ascoltò silenziosamente i rumori della sua amata foresta di Meiren, ruotando gli occhi vitrei verso l'alto per poi voltarsi in direzione del suo interlocutore. "Un vero guerriero desidera sopra ogni altra cosa essere sempre pronto a difendere sè stesso e gli altri, ed il dolore o la paura di provarlo fanno si che molti si tirino indietro. Ora non è più così."
"Non fate propaganda con me, Sciamana. Voi umani mandate in guerra stupidi ragazzini viziati, convinti che questa nuova faccenda della Stasi possa risolvere tutto. Non mi pare che funzioni con un corpo senza testa, o con uno infilzato su di una lancia, o con braccia o gambe tranciate via."
Lei sospirò, pesantemente. "Il vostro accanimento verso la mia razza è degno della vostra, Talon."
"Non osare!" esplose allora lui, colpendo con la coda uncinata il tronco di un albero lì accanto.
Umani.
Sempre pronti a rivangare avvenimenti passati. Soprattutto guerre che li aveva visti perdenti.
Quando Sioni scrollò le spalle, riprendendo il cammino in modo totalmente autonomo la seguì, con addosso la fastidiosissima sensazione di aver comunque fatto la figura del cretino.

-
..yay! Capitolo due terminato! Bene bene, e la storia prosegue, qualcosa viene spiegato, altre cose no, altre cosette si aggiungono e pian piano comincia a venir fuori qualcosa. Che succederà nel prossimo capitolo?
Grazie a Bryluen per la recensione e a tutti coloro che hanno almeno una volta sfogliato o che sfoglieranno!

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Capitolo 3
*** Atto III: I figli dei Draghi ***


EndingLands3
3

"Dunque. Ho ideato un piano perfetto mia Cara, ora voglio che stiate a sentire molto attentamente. Non distraetevi neanche per un istante."
Già bella che distratta da ben altro che la sua voce, Ferona s'accostò maggiormente allo Skylean con fare complice, vagamente nervoso: erano nel bel mezzo del corridoio del primo piano del Maniero, nel buio quasi totale della notte inoltrata.
"Vi ascolto."
"Ora, io e voi correremo fuori di qui, correte all'impazzata e non voltatevi mai indietro."
Lei attese trepidante (e vanamente) altri dettagli, dettagli che non arrivarono da parte dell'altro. Tutto li? Sarebbe stato quello il grande piano?
"E le guardie?"
"Guardie, quali guardie."
Non poté fare a meno di strabuzzare gli occhi. "Oh per l'amor del cielo Nemetona, le guardie del Padrone, le stesse che vi hanno accolto questo pomeriggio!"
"Ah."
No. No, doveva essere una specie di scherzo, un crudele scherzo da parte di un più che convincente burlone. "Sarebbe questo il vostro piano perfetto..?" chiese con lieve esitazione, come qualcuno che chiede aspettandosi una determinata risposta.
Nemetona la guardò e sorrise. Il suo sorriso, nonostante portasse per ornamenti affilati canini, le diede un senso di pace che fino ad allora era stata in grado di provare soltanto qualche volta nelle fucine, totalmente da sola, a notte fonda, sprofondata nel silenzio. Lei aveva deciso in un solo pomeriggio di stravolgere la sua intera vita fuggendo con lui, e lui aveva ripagato la sua fiducia con uno dei piani più incredibilmente semplicistici e difficili a realizzarsi di tutti i tempi.
Insomma, scappare? Correre contro i cancelli principali, dove sapeva sentinelle armate fossero appostate per i turni di guardia notturna?
No, davvero non le sembrava una buona idea.
Eppure, con lo Skylean al suo fianco non riusciva ad avere paura. Sapeva che lui, con i suoi archibugi, sarebbe riuscito a superare gli ostacoli ed a scappare con lei. Non sapeva come ci sarebbe riuscito, ma sapeva di sapere e tanto le bastava. Aveva sonno, era stanca e le bruciavano gli occhi, ma voleva assolutamente andare via da li, la prospettiva di una nuova vita fatta di mille avventure al fianco di un fascinoso uomo dai capelli bianchi ed il sorriso disarmante era troppo, troppo allettante.
Quando Nemetona le prese la mano, stringendo dolcemente e mezzo curvo, lo seguì nella sua folle corsa contro gente armata sino ad i denti che per adempiere al suo dovere avrebbe certamente attaccato i trasgressori, o in quel caso, i fuggitivi.

Cadeva, precipitava in un baratro senza apparentemente un fondo; le sue ali erano torte in un'orrenda posa innaturale, come intrecciate fra loro similmente a dei rami di vite, con la delicata membrana recisa e forata in più punti. Le lunghe corna ricurve strusciarono su qualcosa che non fece neanche in tempo ad identificare, non urlava ma le scaglie sparse per il suo corpo gli prudevano, rammentandogli una sensazione che non provava da tempo.
Paura.
Ne era invaso, completamente, lo paralizzava anche solo l'idea di poter provare di nuovo il cieco terrore che aveva provato durante le Guerre di Solantes, anche se al tempo stesso era consapevole di star provando proprio quella paura terrificante ed annichilente.
Si svegliò di soprassalto al suono del proprio schianto contro il suolo, ruggendo e dispiegando le ali mentre balzava all'in piedi sulle forti zampe arcuate e squamate; voltò il muso verso destra e verso sinistra, col respiro veloce e la mente fortemente inquieta. Tutto ciò che poté individuare fu la Sciamana, poco distante dal focolare, che teneva il capo voltato verso di lui con aria visibilmente spaventata.
L'idea di averla spaventata lo dispiacque e l'istante dopo lo imbarazzò fortemente, mentre già tornava seduto parzialmente padrone di sè.
"Non una parola, Sciamana. Non una parola a riguardo."
Sioni si limitò ad assumere un'espressione preoccupata, ma non commentò. Talon invece, più che convinto che lei già sapesse ogni cosa, continuò ad ignorarla come l'aveva ignorata per quasi l'intero tempo del viaggio. Erano ancora molto lontani dalla loro meta e quegli incubi cominciavano a farsi fastidiosi, un vero e proprio intralcio maledettissimo che rischiava di minare la sua concentrazione. Sedette accanto al focolare quasi totalmente consumato, di fronte la sua compagna di viaggio, con lo sguardo basso ed i nervi a fior di squame; i suoi occhi verdi da rettile saettarono fra le ceneri e la brace, poi riaprì le fauci per parlarle nuovamente, stavolta con tono meno brusco. "Non volevo spaventarti. Mi dispiace."
"Non importa" replicò lei; per la prima volta accennò in sua direzione un sorriso sincero, non distorto da opinioni contrastanti e da guerre passate che non appartenevano ad entrambi, un semplice sorriso, niente di più niente di meno. Il draconico trovò quantomeno da deviati sorridere a quel modo, quasi con dolcezza, ad un figlio dei Draghi come lui ma, diamine, affar suo. Tornò a concentrarsi sui suoi incubi, sul perché avessero deciso di tormentarlo proprio adesso, e su quanta intensità erano capaci di manifestare, impedendogli quasi completamente di riposare. Notte dopo notte erano seguite senza sosta terrificanti visioni delle sue ali spezzate e di se stesso che precipitava nel vuoto, con le fauci prive di saliva e la voce spettrale che di solito lo caratterizzava totalmente assente.
"..Ma dovreste seriamente fare qualcosa per quella ferita."
Sibilò, un suono che gli umani avrebbero potuto identificare in uno sbuffo, e catturò nuovamente con lo sguardo l'esile figurina della Sciamana: non sorrideva più e stava radunando le sue cose sparse li in giro, unguenti ed erbe di vario genere legate con lacci di cuoio a strane pietre colorate e luminescenti. Sembrava che sapesse sempre dove allungare la manina ossuta, quando saltare, quando schivare, quando fermarsi. Un paio di volte aveva persino dubitato che fosse davvero priva della vista.
"È una storia vecchia. La ferita si è chiusa anni fa."
"Ripetetemi ancora una volta, Talon.. Perché state venendo con me, se mi odiate tanto?"
"Io non ti odio, Sciamana" rispose il Draconico, sbuffando fumo nerastro dalle nari "ma non mi piace che si sappia di me più di quanto io voglia far sapere."
Sioni si rialzò, nel medesimo istante in cui il primo raggio di sole poté fare breccia dalla linea dell'orizzonte.
Fu terribile.
Talon si ritrovò ancora una volta, anche se soltanto per qualche istante, davanti ad una parte di se che oramai credeva annegata nell'oblio della sua mente distorta dalla mutazione. Si ritrovò a pensare nuovamente come un uomo, ricordando che un tempo aveva vissuto come umano, aveva combattuto come un umano, aveva amato come un umano. E Sioni, sempre e solo per qualche istante, inondata di soffusa luce dorata divenne la cosa più bella che avesse mai visto, o desiderato.
Divenne perfetta, più di Eletshut in persona. Ed ancora una volta ebbe paura.

"Eletshut. Chi è Eletshut?"
Nemetona rigirò cautamente la piccola lepre che era riuscito a catturare anche da ferito, arrostendola come se il processo richiedesse chissà quale elevato grado d'impegno. "È la Dea dei figli dei Draghi, mia cara" spiegò con un tono di scontatezza che fece sentire Ferona proveniente da un altro pianeta "Vedete, è un po' complessa come leggenda. come mai vi è tornato alla mente questo nome?"
La nana, seduta accanto a lui ed intenta col medesimo suo impegno a cambiargli il bendaggio impregnato di sangue coagulato, scrollò le spalle. "Mi sembra di aver letto qualcosa a riguardo in un libro di fiabe di Ilena, uno che non voleva più perché "troppo grande per tali bubbole". Purtroppo non ricordo molto altro."
Lui le sorrise caldamente, almeno apparentemente per nulla toccato dal grosso squarcio, superficiale ma dall'aria ugualmente dolorosa che gli si apriva su di un fianco. "Oh, ma io invece si. Vi piacerebbe ascoltarla?"
Ferona lo fissò per un lungo istante, gli fissò gli occhi dorati al riverbero delle fiamme divoratrici di legno al centro del piccolo giaciglio improvvisato per la notte e poi annuì, facendo ondeggiare i bei capelli corvini. "Volentieri."
"Bene! Allora inizierò col raccontarvi di come sono nati i Draconici, i figli dei Draghi. Vedete mia cara, bisogna innanzitutto distinguere due categorie di draconici: gli eletti ed i prescelti. Sebbene possano sembrare due parole del medesimo significato, fan riferimento a due ben differenti classi. Gli eletti, riconoscibili per la loro incredibile stazza e le poderose solo al vedersi scaglie blu cobalto e nero pece, sono coloro che secondo la leggenda nacquero dall'unione del Drago Antico Mabarath e l'antica Dea delle Vergini, Eletshut. Fra indicibili tormenti e patendo atroci dolori la Dea perì, dando però vita a due gemelli metà uomini e metà draghi, Leth e Bereth. Si dice che da uno schianto della saettante ed irrequieta coda di Leth, utilizzata da essa come una frusta, un giorno sia nato il Passo del Drago come lo conosciamo noi oggi, mentre invece Bereth col suo alito di fuoco abbia aperto fra le montagne le Cave di Diamanti, poco prima del territorio degli Orchi. Si narra poi che Mabarath, ancora sconvolto dal dolore e rivedendo in sua figlia Leth forse qualcosa della perduta amata Eletshut la prese con la forza, ed essa prima di perdere la ragione diede a sua volta alla luce una creatura mostruosa, per tre quarti drago ed il restante umano: Whuliat, la Bestia degli Abissi."
Ferona annuiva ogni tanto, con gli occhi colmi dell'emozione di una bambina che ascolta ed immagina al tempo stesso. "Whuliat? La creatura che diede agli Sciamani la saggezza della Stasi?"
Lo Skylean Nemetona le sorrise nuovamente mentre toglieva la lepre dal fuoco, piacevolmente sorpreso. "Esattamente." Fece a metà la creaturina cotta, pergendole la sua parte e proseguendo fra un boccone e l'altro "Vedete mia cara, in questi luoghi tutti combattono tutti, eppure le loro leggende sono fittamente legate fra loro. Si, fu proprio Whuliat ad insegnare al Primo Sciamano Tseoner la saggezza della Stasi dopo che venne esiliato per la sua mostruosità da Beleth nelle profondità delle foreste di Meiren. È anche per questo che molti temono gli Sciamani e la Stasi, credendo che queste arti proibite servano soltanto a dare le anime dei feriti in pasto al famelico Whuliat, ancora nascosto nei più reconditi angoli della foresta, in attesa di aver acquisito abbastanza potere da poter compiere la sua vendetta."
Con gli occhi sfavillanti come due gemme nere, la nana incassò la testa fra le spalle. "E voi ci credete, Nemetona?"
"Mia cara" ridacchiò lui, "naturalmente si. I Draconici esistono, così come voi stessa oggi avete potuto constatare che esistono le Viverne, creature di cui avevate soltanto letto in un vecchio libro di fiabe. Se son vere le Viverne allora deve esserlo anche tutto il resto, i Draconici, i Centauri, le Sirene.. Ogni cosa. Non ne convenite?"
"Oh si, si. E ditemi, voi avete mai incontrato una di queste creature durante le vostre avventure?"
"Ma quanta curiosità, mia simpatica amica. Magari vi narrerò di me in un'altra occasione, anche se in genere lo faccio al di sotto di un paio di lenzuola di seta. ..Oh non guardatemi così, stavo scherzando." aggiunse poi ridacchiante nel vedere lo sguardo imbarazzato di Ferona. "Dunque, dov'ero.. Ah si, Whuliat. Bene, dopo che Whuliat venne esiliato da Bereth, egli si rivolse con rabbia al padre Mabarath, chiedendogli come avesse potuto fare una cosa simile alla sua stessa figlia, alla sua amata sorella. Ingaggiarono una sanguinosa lotta dalla quale emerse vincitore Bereth, il quale tentò poi di far rinsavire la sorella Leth; ebbe con lei diversi figli, ma presto anche Leth morì, reduce del dolore provato nel vedere esiliata la sua creatura, sebbene fosse un mostro. Semplicemente, il suo cuore non riuscì a sopportare oltre, e fu allora che Bereth scoprì per caso, mentre era in procinto di uccidere una preda umana precedentemente ferita coi denti, che poteva letteralmente "infettare" altri esseri umani così da poter ottenere nuovi figli dei Draghi, seppur non di stirpe come la sua diretta discendenza. E non solo, una volta creato un vero e proprio esercito, fu il suo generale Lion a scoprire di poter ingravidare donne umane ed ottenere i medesimi risultati di un contagio; sposando la celebre Aislinn, la donna delle Ere e dei Cieli, diede vita alla razza dei prescelti, cioè figli di coloro che a loro volta erano state scelte per condividere il sangue di drago del loro primo signore, Mabarath. Col tempo, gli effetti del contagio svanirono ed i figli dei Draghi dovettero rifarsi solo al rapimento o al consensuale concepimento di figli da parte di donne umane particolarmente forti nel corpo e nella mente, pronte a non crollare di fronte la vista del loro bebè squamato e con la coda e le corna. I prescelti, a differenza degli eletti, hanno squame verdi e lucide come il più puro degli smeraldi, sono di dimensioni inferiori ed hanno le simboliche corna ricurve, e non ritte come gli eletti, che starebbero a simboleggiare la non totale purezza del loro sangue."
Quando lo Skylean terminò la sua esaustiva spiegazione, Ferona, rimasta perdutamente affascinata da ogni singola parola riprese a medicarlo con mille altri quesiti per la testa ma che non osò porre per non sembrare tediosa ed asfissiante. Ora voleva assolutamente vedere un Draconico o figlio dei Draghi, eletto o prescelto che fosse, voleva leggere di Mabarath ed Eletshut, di Leth e Bereth, della guerra fra padre e figlio, dell'esilio di Whuliat, della Stasi, di Tseoner, di Lion ed Aislinn, di tutti. Era.. Era semplicemente troppo affascinante, anche il solo pensare a quanto ci fosse li fuori in un mondo che non aveva mai conosciuto ed aveva rischiato di non conoscere mai se non avesse accettato di scappare con Nemetona soltanto qualche ora prima.
Un sorriso le nacque spontaneamente sulle labbra, mentre stringeva delicatamente l'ultimo strato di bende fresche, profumate d'erba bagnata. "Sapete tanto su queste leggende, non è vero?"
"Conosco qualcosina" ammise Nemetona "Ma ci sono intere collezioni di testi che potrebbero raccontarvi questa storia con mille e più interessanti dettagli, mia cara. Ed anche mille e mille altre storie diverse da questa." strinse un occhio sobbalzando appena quando la nana terminò la fasciatura con un nodo abbastanza stretto.
"Oh, perdonatemi" ridacchiò, a disagio "Mani di fabbro."
"Non esattamente. Sono graziose mani di fabbro, non mani di fabbro qualunque." replicò lui, con quel suo sghignazzo strano "va bene così, vi ringrazio."
Ferona accennò ad un secondo sorriso, ben più imbarazzato, prima di poggiare un dito sulla testa di Wibbly e grattarle sotto le scaglie; la piccola Viverna (quello era il suo buffo nome) non aveva fatto altro che dormirle in grembo per tutto il tempo, da quando si erano appostati poco lontano dalle mura di cinta attorno al fossato del maniero dal quale erano fuggiti. Aveva notato già tempo prima, con rinnovata sorpresa, che pur essendo così vicini al suo vecchio Padrone non aveva mai temuto neanche un istante di essere trovata e ricondotta al maniero, o peggio ancora uccisa.
"In realtà" ingiunse poi, dopo qualche minuto di silenzio "dovrei essere io a ringraziare voi. Neanche mi conoscete, e mi salvate da una vita che neanche io riuscivo ancora a vedere nella prospettiva giusta. Avete ragione, sapete? Non credo che mi mancherà nulla di quel posto."
"Non c'è di che, mia cara."
"Mi domando ancora il perchè l'abbiate fatto, però."
"Perchè, perché" canzonò allora lui, stiracchiandosi e cadendo poi disteso sulla schiena, col viso tatuato o forse dipinto verso il cielo "Non c'è bisogno sempre di un perché. È così che doveva essere e così è stato, mia cara. Non fermatevi a chiedervi il perché di qualcosa che è già passato, nel mentre potreste esservi già persa qualcos'altro."
Provando un leggero tepore ogni qualvolta lo Skylean la chiamava a quel modo, Ferona si disse ancora una volta di aver fatto la scelta giusta, quella notte. "Nemetona.. Voi siete un mercenario, non è così?"
"Oh beh, si fa quel che si può."
"E.. Mi porterete con voi?"
"Se lo vorrete, Ferona. A pochi giorni di cammino da qui c'è un piccolo paesino dove potremo comprare da mangiare e magari anche fare un bagno caldo, poi la scelta spetterà a voi. Ora però" si rialzò seduto, prendendole gentilmente Wibbly dal grembo e portandolo accanto al suo giaciglio per la notte "sarebbe meglio riposare."
"Si, avete ragione. Allora.. Buonanotte, Nemetona."
Lo Skylean le sorrise un'ultima volta, ora con aria visibilmente assonnata, mentre poggiava il capo niveo su di un improvvisato cuscino di erbaccia. "Buonanotte, mia cara. Che Miliath'Sefer vegli sul vostro sonno."
Quando poco dopo si sentì scivolare nel sonno, Ferona aveva già in mente la prossima storia che si sarebbe fatta raccontare dal suo attraente salvatore.

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Bon, fine terzo capitolo. Quanto mi piace inventare di sana pianta storie e leggende varie! Grazie alla Bry e a tutti coloro che passano anche solo per dare una sbirciatina, a presto!

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Capitolo 4
*** Atto IV: Leureve ***


Ending Lands 4
4

Il piccolo paesino di Leureve era poco distante dal Maniero, nonostante il paesaggio fosse cambiato radicalmente: dalle lunghe lande verdi che circondavano le mura di cinta si era rapidamente ritrovata fra grigie distese di terra morta, con qui e lì qualche eccezione di qualche campo coltivato. Vi arrivarono due giorni dopo la loro fuga e Ferona poté così sperimentare per la prima volta in vita sua cosa volesse dire stare nella folla da mercato; fra spintonate e strattoni aveva persino incontrato un altro nano, un mercante di sete pregiate, il quale le aveva rivelato l’arcano segreto sul come superare la marmaglia, ovvero con poderosi spintoni e moderate dosi di "vogliate perdonarmi".
Nemetona si era separato da lei prima che entrasse nella zona del mercato, dicendo di non essere amante dei luoghi affollati e che si sarebbero rivisti a sera nell’unica locanda del paese. Mentre la nana si chiedeva perché avesse preferito infilarsi in vicoletti secondari anziché stare fra gli altri (cosa che lei trovava assolutamente meravigliosa), sbucò proprio nel mezzo del perché stesso.
In un grosso spiazzo stava una carovana ridicolmente colorata come quegli assurdi abiti di Ilena e davanti a questa un crocchio di persone osservava un nerboruto ed urlante omaccione su di un palchetto rialzato. Parlava accoratamente di stucchevole beltà e totale mansuetudine tirando una catena dorata che Ferona non riusciva a vedere dove fosse attaccata; spostandosi più in avanti con altre gomitate, "vogliate perdonarmi" e spintoni sbucò d’un tratto in prima fila, di fronte al palchetto ed avvertì chiaramente il respiro mozzarsi in gola.
Che quel tipaccio stesse parlando di schiavi le era sembrato quasi subito ovvio, ma mai avrebbe immaginato che si trattasse di schiavi Skylean.
Forse umani per la manovalanza, elfi per la grazia, nani come lei per i lavori più umili, ma non Skylean. Bianchi come fiocchi di neve erano allineati in un’unica riga, tenuti coi polsi legati e con un collare attaccato ad uno dei tanti anelli della catena che tirava l’omone, sbraitando quanto fossero bravi e belli. Molti piangevano, altri si lamentavano, alcuni tentavano di sciogliersi i polsi.
Osservò a bocca aperta gli stessi occhi d’oro di Nemetona, gli stessi capelli bianchi, gli stessi canini appuntiti, le orecchie affilate, alcuni dipinti sul corpo e sul viso nello stesso stile del suo mercenario seppur non ne vide neanche uno col rosso. Molte erano donne di una bellezza strabiliante, che fossero giovanissime o già adulte, e quando il mercante terminò il suo discorso fu letteralmente sommersa da gente che urlava ed alzava la mano proponendo cifre così alte da lasciarla a bocca aperta.
La più combattuta era una giovane Skylean, bella come nulla che Ferona avesse mai visto, con delicate decorazioni floreali e color del cielo limpido sulla parte destra del viso, le quali scendevano poi sul rispettivo lato del collo, sulla spalla e fin giù chissà dove nascoste sotto la logora tunica che indossava. Le parve di udire dall’omone che si chiamasse Lèleri ma non riuscì ad udire molto altro. Vide però che lei era l’unica donna a non piangere, limitandosi a fissare con astio chiunque incrociasse il suo sguardo.
Le diede l’impressione di uno di quei meravigliosi fiori bianchi di cui aveva letto in un vecchio libro, le Floresirene, che al minimo soffio di vento attiravano ignari passanti col fruscio dei loro petali, simile a canto, per poi avvelenarli in pochi istanti qualora venissero anche solo sfiorate.

"Priccio, vuoi scendere si o no?"
"Ma stanno vendendo gli schiavi, Meheron! Devo fare la guardia si o no? Inoltre, è divertente!"
"Divertente, come può essere divertente una cosa del genere?"
"Oh, dovresti vedere come diamine si tirano i capelli e le vesti per sbaragliarsi l’un l’altro!"
Meheron alzò gli occhi al cielo. "Lèleri è già stata venduta?"
"No, non ancora" saltò giù dall’albero dal quale stava osservando lo spiazzo affollato "se adesso rimango qui giù, però, come faremo a sapere chi la comprerà?"
"Quando si disperderà la folla, allora daremo un’occhiata. Dubito che Lèleri possa passare inosservata. Potrebbero persino tentare di assassinare il suo compratore ed allora il nostro lavoro sarà stato ancora più facile."
Priccio, una fatina di si e no una decina di centimetri e con trillanti ali colorate gli guizzò di fronte per osservarlo coi grandi occhioni rosa e poi parlargli con tono marcatamente ironico "La sai una cosa? Sei un genio. L’idea di andare in giro a far finta di vendere Lèleri per poi andarcela a riprendere poteva venire in mente solo ad un genio."
L’altro, Meheron Erith Shebeniath, un umano con un occhio sempre chiuso e l’aria sempre arrabbiata sbuffò così forte da spingere Priccio all’indietro con la folata del suo respiro.
"Smettila di volare. Mi stai riempiendo le vesti di polvere di fata ed il trillo mi dà fastidio."
La fatina gli fece una smorfia col facciotto tondissimo e gli si andò ad accovacciare su di una spalla, mentre Meheron si dirigeva a passi lenti verso lo spiazzo confusionario, ammantato e dall’aria cupa come sempre.
Aveva trovato Lèleri in fin di vita sul Passo del Drago, ben lontana dalla sua Torre Skylean, la roccaforte della sua razza situata in mezzo al Mare di Filgea, probabilmente abbandonata dal suo precedente padrone dopo essere rimasta ferita in qualche modo. L’aveva portata con sé, curata, nutrita, vestita; Priccio (che era stata con lui sin dalla sua nascita) l’aveva aiutato per quanto riguardasse gli aspetti più delicati ed imbarazzanti ma erano insieme riusciti a salvarle la vita.
"Meheron, è proprio necessario..?"
"Che cosa?"
"Tutto questo. La povera Lèleri legata e strattonata così ogni volta. E’ proprio necessario?"
Lui si morse nervosamente un labbro, stringendo le spalle. "E come altro vorresti mangiare le tue adorate focaccine di patate, se non con il denaro che estorciamo o ci prendiamo dai cadaveri dei nuovi proprietari della Skylean? Te lo sei dimenticato che il mio braccio sinistro è nello stomaco di un dannato Drago?"
"Pfft. Antipatico."
"Inoltre, non ha mai protestato al riguardo."
Il tono di Priccio quella volta si addolcì notevolmente. "Oh, lo sappiamo bene entrambi perché non ha mai protestato."
Già. E lui continuava a non capire perché la donna più bella che avesse mai visto si ostinasse a seguirlo come un’ombra, nutrendo sentimenti che lui aveva dimenticato da tempo. Per giunta portava la pessima nominata di Meheron il visionario, dato che nessuno aveva voluto credere alla sua versione dei fatti; Besheuse non era stata rasa al suolo da un’incursione di orchi, due settimane prima, ma da un maledetto Drago, e nessuno credeva che lui questo Drago l’avesse visto. Il fatto era che non l’aveva soltanto visto, ma era stato anche privato di un braccio e sfregiato in viso da una sferzata della punta uncinata della sua coda mentre era intento a fuggire disperatamente, cosa che si era rivelata non del tutto inutile solo ed unicamente grazie al provvidenziale aiuto di Priccio. Senza di lei probabilmente, anzi certamente a quell’ora sarebbe stato per intero nello stomaco del dannato Drago, ne era certo.
Giunti infine allo spiazzo l’unico occhio azzurro rimastogli funzionante scorse rapidamente la fila di Skylean che ancora giaceva legata inerme, sebbene molto meno numerosa, nel piazzale, dietro un grassoccio uomo dall’aria poco pulita ma non riuscì a scorgere Lèleri.
Ordinò brutalmente a Priccio ancora accovacciata sulla sua spalla di sorvolare la zona, ma ancora nulla; la fatina tornò affaticata e con le alucce tremanti. "Non la vedo!"
"Calmati" le rispose l’umano, pizzicandole con due dita la tunichetta gialla e riconducendola sulla sua spalla sinistra "non può essere lontana."
"Meheron, senti.. Volando, ho sentito qualcuno dire che gli sembrava di aver visto Boganaste, qui a Leureve. Forse lui, se fosse davvero qui.."
"Hah!" la interruppe, assumendo un’aria altamente irritata "Mi credi così disperato? Non affiderei mai Lèleri a Boganaste, non proprio a lui."
"Perché le vuoi bene?"
"Perché la rovinerebbe."
Priccio gonfiò le guance, incredula. "Tu, brutto orrido..!"
Meheron sbuffò, continuando però a guardarsi intorno. Attirò la sua attenzione una nana, con lunghi e lucidi capelli neri e che in quel momento gli dava le spalle, probabilmente troppo impegnata a fissare gli schiavi; era forse vestita peggio di alcuni di loro e quando le fu immediatamente dietro dapprima pensò di parlarle, ma poi con la coda dell’occhio catturò una lunghissima treccia bianca che conosceva fin troppo bene.
Nello stesso istante, Priccio si mise a gridare. "Meheron guarda, ecco Lèleri, la portano via!"
Era ricominciato il trambusto forse causa la vendita di un altro schiavo, scorse Lèleri gridare mentre due uomini nerboruti e con facce da delinquenti la spingevano lontano dalla folla e quando si rese conto che non sarebbe riuscito a raggiungerli prima che l’avessero seminato, perse il controllo: alzando l’unico braccio rimastogli e con l’aiuto di Priccio castò un incantesimo di paralisi elementare, indirizzandolo verso i "compratori"; una scintillante patina azzurrognola, coma la pioggia si vede colare giù dai vetri, ricoprì interamente i due, i quali smisero all’istante di muoversi. La calca si aprì a metà come se ci fosse stato un orco fra loro, scappando terrorizzati tutti e gridando che le arti dei demoni erano lì fra loro.
In realtà erano arti di fata, ma di certo Meheron non si sarebbe preso la briga di mettersi a spiegare la differenza ad una folla urlante di contadini ignoranti; si confuse fra la folla, afferrò un polso della inerme e spaventatissima Lèleri e corse via, verso dei vicoli secondari, lontano dalla folla in piena crisi di panico.
Quando furono abbastanza lontani dapprima rallentò, fermandosi poi qualche passo dopo. Lasciò la presa sulla Skylean e si voltò verso di lei. "Stai bene?"
Lèleri annuì, respirando pesantemente, quasi piegata a metà per la fatica. "Si.. Si, sto bene.."
"Perfetto, allora partiamo subito."
"Partiamo!?" sbraitò Priccio in un suo orecchio "E dove andiamo!?"
"A Sig'Randa."
"La Capitale Lucente?" s’inserì Lèleri, torturandosi la lunga treccia bianca gettata su di una spalla "Davvero mi porterete lì, Meheron?"
L’uomo annuì, sebbene non condividesse per nulla l’entusiasmo che percepì nella sua voce. "Possediamo al momento abbastanza denaro per un viaggio diretto, ma dovremo far scorta di diverse cose."
Priccio fece trillare le alucce, emozionata "Non sono mai stata nella Capitale, è possibile che ci siano altre fatine come me?"
"Ne dubito, Priccio" rispose Meheron "sai bene che le terre della Capitale sono grigie ed aride come questa oramai, le poche aree ancora utilizzabili sono strettamente riservate alla coltivazione e non a fiori ed erbacce. Forse l’unico posto dove potresti trovare qualche fata è nella ancora rigogliosa foresta di Meiren."
Si incamminarono tutti e tre (per amor del vero, Priccio si limitò a sedersi nuovamente sulla spalla di Meheron con aria piuttosto delusa) verso il loro piccolo accampamento improvvisato ai limiti del villaggio, attirando non pochi sguardi da parte dei passanti.

Il proprietario della locanda era un bell’elfo, con grosse orecchie allungate e vivaci occhi color nocciola, che le offrì cordialmente un boccale di birra ed un rialzo in legno per lo sgabello, informandola poi di quale stanza avesse scelto per la notte il suo compagno di viaggio.
Salì una rampa di scricchiolanti scalini in legno, ritrovandosi in un lungo corridoio con diverse porte situate su entrambi i lati. Si diresse verso la terza porta alla sua destra, la oltrepassò e la richiuse.
Osservò la stanza: piccola e spoglia, con un tavolinetto dove Nemetona aveva poggiato i suoi archibugi ed un unico letto. Lui era lì, sdraiato con le braccia incrociate dietro la nuca, le gambe accavallate fra loro, gli occhi chiusi ed un’espressione arrabbiata che la lasciò intristita e colpevole, con la sensazione di avergli fatto un torto nel vedere quegli schiavi al mercato, quel pomeriggio.
"Sembra che dovremo dividere il letto" esordì, accompagnandosi con una nervosa risatina.
"No. Io dormirò per terra, aspettavo solo che rientraste." rispose lo Skylean, schiudendo gli occhi. Le lanciò quello che a Ferona parve proprio uno sguardo arrabbiato, prima di alzarsi e dirigersi verso un angolo della stanza dove in terra era stata stesa una coperta.
La nana, perplessa, avanzò verso il suo giaciglio d’improvvisazione anziché il letto, accovacciandosi sulle ginocchia. Nemetona teneva ostinatamente il viso corrucciato e voltato altrove.
"Ho.. Fatto o detto qualcosa che non và?"
"I vostri occhi."
"I.. I miei..?"
"Sono colmi di pietà. Per me, per la mia razza, per come veniamo in genere considerati. E si, per rispondere alla vostra prossima domanda, so che li avete visti ed è per questo che non sono venuto con voi al mercato, oggi."
"Io.." iniziò Ferona, mortificata "Mi dispiace tanto, non volevo di certo offendervi.. Forse la vostra razza non sarà delle più rispettate, come la mia d’altro canto, ma voi siete ancora il mio eroe, colui che mi ha salvata da una vita di servitù che io vedevo come un’occasione ben al di sopra delle mie possibilità. Non tenetemi il broncio, ve ne prego."
Nemetona ascoltò in silenzio, esibendosi infine in uno sbuffo che gli fece sollevare qualche ciocca bianca dalla fronte. "Perdonatemi, mia Cara. Sono.. Soltanto un po’ stanco, ecco tutto."
E permaloso come qualunque altro esponente di una razza sottovalutata.
Anche quello Ferona sapeva bene cosa volesse dire.
Gli sorrise, scuotendo il capo. "Non preoccupatevene più. Capisco."
"Vi ringrazio."
"Ora, posso farvi una domanda che mi assilla?"
Lui annuì, dirigendo lo sguardo dorato su di lei. "Naturalmente."
"Beh, vedete.." fece vagare lo sguardo per la stanza ".. Mi piacerebbe sapere dove siamo diretti, oh e anche che cos è quello a cui state dando la caccia."
Lo Skylean colse immediatamente il motivo della sua vaga titubanza, ma le sorrise tornando quello di sempre. "Siamo? Dunque proseguirete con me. Questo posto non vi piace?"
"N-no, è molto bello!" ci tenne a precisare lei, assumendo un’aria stupita "davvero molto bello!"
"Allora verrete perché volete restare con me?"
"Ecco, si! V-Voglio dire no! Voglio dire si, anche, principalmente! I-io, ooh!"
Cadde seduta in terra con un piccolo tonfo, scivolando su di un fianco, incrociando le braccia al petto rossa in viso ed imbronciata. La regina delle gaffe, ecco cos’era. La regina indiscussa delle figure miserine.
La risata che sentì scoppiare da lui al suo fianco non aiutò di certo la sua già misera autostima, ma Nemetona non era affatto intenzionato a farsi beffe di lei e della sua maestria nel relazionarsi con altri.
"Oh, mia Cara mia Cara, sapeste quanto siete adorabile. Dunque, di cosa stavamo..? Ah si, la nostra destinazione. Domattina proseguiremo per Sig'Randa, la Capitale Lucente, dove sosteremo per qualche giorno a caccia di notizie fresche e magari anche di qualche lavoretto semplice per rimpolpare la mia sacca dei denari. Poi, partiremo per il Passo del Drago."
"Il Passo del Drago? Nella Gola di Confine? E perché dovremmo..?"
"Andremo a Besheuse, mia Cara. O quel che ne resta. Questa storia non mi convince."
Ferona lo osservò con occhi pieni di interesse, anche se vagamente intimorita "Persino al Maniero è giunta voce di Besheuse. Un branco d’orchi."
Nemetona sbuffò. "Belama-shagat. Baggianate, baggianatissime."
"Come fate a dirlo?"
"Ci sono già stato, mia Cara. Partendo da Mégat non ho potuto farne a meno."
"E dite che non è stato un branco di orchi?" chiese la nana, facendosi più sotto con la sua solita espressione incuriosita.
"Affatto."
Un grido dal piano di sotto, seguito a ruota da altri più lontani ed echeggianti, interruppe la loro conversazione; Ferona ruotò di scatto il capo verso la porta, impaurita, mentre Nemetona con un balzo fu in piedi, intento ad allacciare le cinghie dei suoi archibugi.
"Sotto il letto, svelta."
"Ma..!"
"Presto!"
Obbedì, terrorizzata dalle grida che riecheggiavano oramai per tutto il paese e l’ultima cosa che vide fu lo Skylean spegnere la candela della loro stanza, per poi udirlo far le scale di corsa nell’oscurità più totale.
Quando avvertì un guizzo accanto a lei seppe che la piccola Viverna Wibbly l'aveva raggiunta, allora la coprì col palmo di una mano attirandola vicina a sé ed attese.

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...Whoo! E siamo al quarto. GIURO che nel prossimo ci sarà azione, un sacco di azione! xD Ma ci tenevo ad inquadrare prima per bene i personaggi, caratterizzarli a dovere prima che gli eventi prendano una piega più ritmica dove ci sarà certamente meno posto per tanti dialoghi.
Duuuunque, passiamo ai recensori!
Bryluen: Sono sempre più contenta che questa storia coi suoi personaggi (ed il sex-appeal di Nemetona ù_ù) ti intrighi, come ho detto su prometto che d'ora in poi ci sarà molta più azione ed un dipanarsi della trama sicuramente più consistente ù_ù
DreaminOn_felix: Hey, ti ringrazio delle recensioni e dei consigli solo ora in questo nuovo capitolo, spero di essere riuscita a stare più attenta ai benedetti accenti! :) In realtà si, Ilena l'ho presentata come una pseudo protagonista perché avrà un ruolo più vasto in futuro, ma per ora l'attenzione volevo incentrarla proprio su Ferona. Grazie ancora e ci sentiamo al prossimo!

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Capitolo 5
*** Atto V: Capobranco di Mangravia ***


EL5
5


Se c'era una cosa che sia Nemetona che Meheron trovassero ancora più disgustosa di un orco, questi era un Capobranco di Mangravia, la loro brulla e desolata terra dalla quale si vociferava fosse partita quella specie di infezione, la quale privava la terra di ogni traccia di verde e fertilità.
Lo Skylean e l'umano non avevano neanche avuto il tempo di chiedersi a vicenda perché fossero lì a Leureve che si erano ritrovati spalla a spalla per collaborare contro il potente nemico, col suo tanfo rancido che faceva girare la testa ed annebbiava parzialmente la vista. Nel momento stesso in cui Nemetona era apparso ai piedi della rampa di scale, con entrambi gli archibugi più piccoli carichi e fra le mani, l'orrenda bestiaccia aveva lanciato un grido così acuto ed innaturale per una creatura della sua stazza che i restanti avventori rimasti nascosti erano saltati in piedi urlando e spintonandosi per uscire per primi.
L'orco aveva già ucciso diverse persone innocenti ma ora sembrava aver focalizzato la sua attenzione solo sul bianco e sul monco, come la sua scarsa intelligenza era riuscita a malapena a classificarli.
Nemetona gli sparò mentre era intento a lanciargli contro una sedia, parandosi così di fronte a Meheron e dandogli il tempo di formare con l'immancabile aiuto della fatina Priccio una sfera infuocata che esplose proprio sul grugno del mostro. Questi, accecato dall'ira e dal bagliore dell'incantesimo scagliò alla cieca entrambe le braccia possenti e verdognole, sfondando il bancone in legno massiccio e metà parete della piccola locanda sul lato opposto.
Gettando il capo all'indietro emise un gorgogliante gemito, quello che i due uomini e la fata identificarono come una sorta di richiamo; Priccio lo sorvolò e lo oltrepassò, attirando poi con la magia e veementemente la sedia che Meheron aveva sollevato con l'unica mano, dirigendola verso l'orco.
Per qualche istante volarono schegge di legno e schizzi di sangue nero e grumoso, quanto bastò perché Nemetona ricaricasse i suoi archibugi: sparò ancora in direzione del cranio del Capobranco, il quale però schivò abbassandosi all'ultimo istante. Il sordo sparo dello Skylean abbatté definitivamente l'arcata della porta formando un grosso cratere che Priccio osservò esterrefatta mentre faceva trillare forte le sue alucce: aveva sentito parlare della straordinaria potenza degli archibugi Skylean, ma vederlo con i propri occhi era tutt'altra storia.
Per poco la sua distrazione non le risultò fatale ed un attimo prima che l'orco la acciuffasse guizzò via, appena fuori della sua portata; la bestia dalle oramai vaghe sembianze umane gridò ancora ed in quel momento qualcosa di incredibilmente veloce entrò dal centro del foro nella pietra causato in precedenza dallo sparo, colpendo in pieno e trascinando con se in picchiata la fatina.
"Priccio!" gridò Meheron, facendosi largo fra pezzi di legno e scavalcando sedie; urlò quasi distrattamente allo Skylean di distrarre l'orco almeno fino al suo sincerarsi delle condizioni della sua fatina. Vedeva in lontananza, dietro diversi tavoli ammonticchiati in un angolo, il bagliore delle ali di Priccio aumentare e diminuire in continuazione mentre evidentemente lottava contro quel qualcosa che l'aveva assalita.
"Shebeniath, attento!"
Non ebbe neanche il tempo di voltare il capo verso la direzione dell'ammonimento, però, che uno sgabello lo colpì in pieno viso, facendolo ruzzolare all'indietro. Vide il proprio sangue imbrattare il terreno sul quale rovinò qualche secondo dopo, riverso su di un fianco.
Priccio strillò con quanto fiato avesse in gola, tentando disperatamente di sfuggire alle beccate di un corvo rosso di Mangravia, i fidati compagni di viaggio di qualunque Capobranco orchesco: la maledetta bestiaccia le aveva già strappato parte della tunica e ferito una gambetta con l'appuntito becco ad uncino, mirando talvolta alle ali che la fatina aveva protetto sino a quel momento a suon di morsi sulle zampacce nere e dagli artigli ricurvi.
Doveva liberarsi di quello stupido uccellaccio ed aiutare prima Meheron e poi Boganaste con l'orco; spari quasi continui e ruggiti l'assordavano e le facevano salire le lacrime agli occhi per lo spavento mentre su di lei il corvo rosso insisteva a volerle strappare le ali.
Dal canto suo, Nemetona era malmesso ad un braccio e la ferita al fianco si era riaperta, ma resisteva fronteggiando il grosso e sanguinolento bestione che arrancava ancora verso di lui, anche dopo diversi spari al centro del torace; il piede sinistro dell'orco era praticamente ridotto ad un putrido ammasso di carne già in via di decomposizione ma tenacemente esso continuava a stancarlo tirandogli contro qualunque cosa gli capitasse sotto le grosse mani tozze.
"Boganaste! Boganaste, aiutami ti prego!"
E quella vocina? Oh già, la fata!
Scartò di lato all'ennesimo tentativo del Capobranco di afferrargli una gamba e schiacciargli le ossa con la sola stretta poderosa di cui era capace, scavalcando le macerie e lasciandolo indietro a trascinarsi sulle braccia dopo avergli fatto saltare in aria anche il secondo piede; buttò in terra i due archibugi ed iniziò a spostare i tavoli che erano stati spinti di lato quanto bastava per infilare almeno un braccio. Guardando alle sue spalle vide con la coda dell'occhio l'orco ancora lontano e riprese a spostare legno.
Infilò un braccio sino alla spalla, non potendo entrare oltre in quella specie di foresta di schegge, strappandosi la blusa e ferendosi in più punti il braccio, ma afferrò qualcosa di morbido, caldo e coperto di piume che certamente non poteva essere la fata. Allora strinse, strinse così forte il pugno che bastarono una manciata di secondi perché la creatura smettesse di ribellarsi e lottare per la propria vita.
Estrasse il braccio sanguinante con ancora stretta in mano la carcassa del corvo rosso di Mangravia e nel vedere ciò l'orco sempre più vicino lanciò un ruggito agghiacciante, ritrovando forza nella propria furia ed arrancando molto più velocemente verso i tre, feriti e stanchi.
"Non molli, eh dannazione!?"
"Boganaste! Priccio!"
La fatina balzò via dall'apertura che Nemetona aveva usato per salvarla stritolando il corvo, atterrando su di una spalla dello Skylean. "Meheron!"
L'uomo, perdendo copiosamente sangue da un sopracciglio, indicò loro l'orco quasi su di loro. "Priccio, usa l'Arcanum Rios!"
"Ma sei impazzito, salteremo in aria tutti così!" protestò lei, guardando però con orrore il gigantesco orco avvicinarsi.
Nemetona portò una mano dietro la propria schiena dopo aver gettato da parte il corvo morto, tirando in avanti il più grande dei suoi archibugi con la canna rivolta verso il mostro urlante.
"Ah si, bella idea!" gemette Priccio.
Meheron si mise in piedi, traballando, e poggiandosi con la mano ad un tavolo non completamente schiantato. "Boganaste ha ragione, Priccio. Sicuramente è meglio della mia idea."
Nemetona sbuffò su di una ciocca insanguinata sulla propria fronte, col dito sul grilletto. "Più vicino.."
Gli altri due gli lanciarono uno sguardo allarmato. Più vicino di così?
"Ma che diavolo fai, spara!"
"Spara Boganaste, arriva!"
Niente. Meheron vide persino balenare un ghigno sul volto di quel folle, un attimo prima che l'orco fosse loro addosso. Priccio volò sulla sua spalla e si parò le manine sugli occhi accucciandoglisi dietro un orecchio, lo assordò quasi con le sue grida quando il Capobranco sollevò grugnendo forte un braccio per schiacciarli in una sola volta e poi vide tutto bianco.
Fu sbalzato prepotentemente all'indietro da un'esplosione di calibro smisurato persino per la potenza dell'arma di Boganaste e senza aver ancora capito che cosa fosse accaduto con esattezza si ritrovò con la schiena nuovamente contro il duro e freddo pavimento, con la vista appannata e ricoperto di sangue di orco.
La fatina già libratasi in aria per osservare la scena strillò nuovamente, questa volta però per l'orrore.
"Per la buona Dea, c'è orco dappertutto! Oh, oh, ora rimetto, ora rimetto..!"
Erith Shebeniath si rimise a sedere, passandosi il braccio sul viso e togliendone via parte di quello che non osava neanche immaginare cosa potesse essere, vista la carcassa fatta a pezzi in terra. Era come se fosse esplosa dall'interno, oramai totalmente irriconoscibile persino per essere stata un orco; probabilmente, immaginò, quel maledetto pazzo di Boganaste avesse caricato quel dannato coso con qualche polvere particolare e che lo tenesse in serbo per le occasioni dannatamente serie come quella.
Con rinnovata sorpresa trovò proprio Boganaste seduto accanto a lui, intento ad affaccendarsi rapidamente nel darsi una ripulita e raccogliere le sue cose.
"Ed ora dove diavolo vai."
Lo Skylean, ferito sanguinante e gocciolante sangue nerastro dal tanfo indescrivibile, alzò il capo verso di lui. "Me ne vado, Meheron, e dovreste farlo anche tu e la fatina. Leureve sarà stata già rasa al suolo, a quest'ora."
"Chi diavolo può aver portato fin qui un branco di orchi?" s'inserì Priccio, riprendendo a tremare.
Nemetona scosse il capo, rinfoderando i due archibugi più piccoli dopo aver dato loro una sommaria ripulita. "Non lo so, davvero. So solo, a questo punto, che la Capitale sia l'opzione migliore. Le mura di Sig'Randa non può sfondarle neanche un branco di Orchi."
Meheron sbuffò, scettico. "Ed un Drago?"
Sia Priccio che Nemetona gli dedicarono un intenso sguardo, la prima terrorizzata, il secondo incuriosito.
"Drago, hai detto?"
"Tsk, non è il momento adatto per discuterne, adesso" l'ammonì l'uomo, sebbene fosse stato il primo a lanciare quell'interrogativo "hai ragione. Dobbiamo spostarci."
"E Lèleri, Meheron?"
"Lèleri è fuori pericolo, Priccio. Ci starà aspettando ai confini del paesino, se è rimasta nascosta gli orchi non l'avranno trovata."
Si alzò, tentando vanamente di togliersi di dosso l'appiccicoso sangue d'orco. "A quanto ne ho capito anche tu sei diretto alla Capitale, Boganaste. Forse dovremmo unire le forze, per questa volta."
"Concordo" rispose Nemetona, alzandosi in piedi a sua volta "Vado di sopra a chiamare gli altri, poi andremo."
Fece nuovamente di corsa la rampa di scale sotto gli occhi degli altri due, finquando scomparve al piano di sopra lasciando dietro di se solo impronte di stivali insanguinate e puzzolenti.

"Au."
"Oh, non fate il bambino."
Intenta per la seconda volta a fasciare la stessa ferita, Ferona cercò d'usare più cautela rispetto la volta precedente mentre fermava le bende con un nodo. "E' stata una fortuita coincidenza che voi ed il vostro amico vi siate ritrovati alla taverna, altrimenti l'orco ci avrebbe certamente uccisi tutti.."
Nemetona fece una buffa smorfia di disapprovazione. "Amico? Shebeniath non è mio amico."
"Beh forse dovreste essergli un po' più riconoscente" rispose lei, passando alla ferita sul braccio; poco distante da loro la bella Skylean che aveva visto al mercato era impegnata nella sua stessa mansione, ossia medicare il suo salvatore, un burbero uomo con folti capelli neri ed un'aura particolarmente negativa. "Se non fosse stato lì per unire le forze con voi sarebbe potuta andare molto peggio, non credete?"
"Può darsi, au!" le concesse lo Skylean lanciando uno sguardo scettico verso Meheron, il quale a sua insaputa si stava lamentando esattamente come lui. Non era completamente d'accordo, la parola fine al combattimento ce l'aveva messa lui, ma lasciò correre. Tornò a guardare Ferona, impegnata a tamponargli dolcemente lo squarcio sul braccio con un panno imbevuto d'acqua. "Ma voi, mia Cara? Vi siete spaventata molto?"
Annuì, prendendo altre bende. "Oh, ero terrorizzata. Ho temuto per la vostra vita."
Lo Skylean le sorrise, prendendole una ciocca fra due dita, lisciando i setosi e lucenti capelli corvini. "E' molto dolce da parte vostra."
"B-beh sì, ma con queste ferite sarebbe saggio farvi visitare da un medico.." sviò lei, imbarazzatissima seppur affatto contraria a quel piccolo gesto che trovò carico di un inaspettato affetto.
Anche lei si era affezionata molto al mercenario anche se in così poco tempo e l'idea che conducesse una vita tanto spericolata aveva iniziato a spaventarla un po'; mai avrebbe messo in dubbio la forza ed il coraggio dimostrati da Nemetona, ma non poteva far a meno di avvertire l'amaro in bocca al pensarlo morto in qualche fosso, o sanguinare copiosamente con aria sofferente.
Poco distante da loro invece c'erano Meheron, Lèleri e Priccio: la Skylean si era prima occupata della fatina sminuzzando erbe mediche sulle sue ferite, bagnandole con gocce di rugiada e bendandole con qualche filo d'erba pulita, poi era passata all'uomo che per lei era ogni cosa e che avrebbe potuto seguire fin in capo al mondo; sorrise pazientemente alle sue lamentele da ragazzino ma non smise di prendersi cura di lui, proprio come lui aveva fatto con lei.
L'avevano raggiunta nella piccola radura appena fuori quello che una volta era stato il villaggio di Leureve, erano rimasti nascosti fra l'erba appena più alta che cresceva lungo il corso di un piccolo torrente fin quando gli orchi non erano andati via ed ora tentavano di prepararsi il più velocemente possibile a lasciare quel posto.
Trasalì quando Meheron la chiamò, scostandole la mano intenta a medicargli il sopracciglio rotto.
"Sì, Meheron?"
"Ho una domanda da farti."
"Chiedete pure."
L'uomo spostò prima lo sguardo su Priccio, dormiente ed accovacciata su di una sua spalla, poi tornò su di lei. "Perché di tutti gli Skylean che ho visto, soltanto Boganaste ha il viso pitturato di rosso?"
Lèleri sembrò essere presa alla sprovvista dalla domanda, poiché trasalì nuovamente. "Ecco, vedete.. Nella Nave delle Nuvole, la nostra prima vera casa, ed ora nella Torre Skylean vige una regola molto crudele: qualunque donna partorisca un figlio con sangue non puro è considerato un disonore per l'intera comunità e va immediatamente estirpato, come un'erbaccia in un campo di fiori."
Meheron storse il naso. "Sangue non puro? Mi stai dicendo che Boganaste è mezzo.. Qualcos'altro?"
Lei annuì, facendo dondolare la treccia nivea. "Sì."
"Aspetta, aspetta. Ma nella Torre Skylean non ci vivono soltanto Skylean? Siete lì da almeno quattrocento anni secondo i registri della Capitale, com'è possibile?"
Quella volta, Lèleri sollevò le spalle. "Non saprei. Ma per rispondere alla vostra domanda il viso tinto di rosso è una distinzione dei non puri, l'unica differenza è che quelli di Nemetona sono segni indelebili al contrario di quelli miei o di qualunque altro Skylean. Lo stesso termine Boganaste vuol dire figlio di qualcun altro, gli Skylean non portano cognomi."
Meheron storse nuovamente il naso, ancora più scettico. "E allora perché non è morto? E cosa vogliono dire i suoi disegni?"
"Perché non glielo chiedete voi?" suggerì allora lei, imbevendo nel torrente un altro straccio e passandoglielo su di un'altra ferita sul collo. A ben vedere anche quello fu un gesto carico d'affetto, forse anche di desiderio, che la Skylean non si curò affatto di nascondere. Indugiò qualche attimo sulla curva della mascella e sin giù quasi alla spalla, facendo pressione non solo col panno umido ma anche con le proprie dita.
"No" rispose Meheron, non curandosene a sua volta "non ho intenzione di parlargli."
"Perché?"
"Non deve interessarti."
Lèleri tacque, ferita, chinando il viso; terminò di ripulirgli e medicargli alla meglio tutti i tagli, i graffi ed i lividi per poi posare lo straccio fra l'erba. "Partiremo domattina?"
"Si, cerca di riposare."
"E voi?"
"Io starò sveglio a fare la guardia, Boganaste mi darà il cambio a metà nottata. Ora dormi." fece Meheron, col suo solito tono brusco. Priccio sulla sua spalla si stiracchiò voltandosi ed avvolgendosi in un lembo del suo mantello, ma non si svegliò.
La Skylean lanciò uno sguardo dietro di se, verso gli altri: dormivano di già.
Si morse un labbro, nervosamente, strappando qualche ciuffetto d'erba senza muoversi da dove si trovasse. Quando l'assalì un altro di quei turbolenti scossoni, di quelle tempeste nel cuore che si provano soltanto in presenza della persona amata, non riuscì a trattenersi oltre.
"Io vi amo." esordì, ma senza la forza sufficiente a permetterle di sollevare lo sguardo.
Meheron Erith Shebeniath, con lo sguardo verso l'orizzonte di macerie ed ancora qualche fiamma che avviluppava uno o due edifici, non ne sembrò affatto sorpreso. "Si, lo so."
"Ho.. Ho accettato di aiutarvi a guadagnare del denaro fingendomi vostra schiava, ma.." strinse forte la propria tunica all'altezza delle ginocchia, incassando il capo fra le spalle "Ma è davvero così che mi vedete, voi? Sono soltanto la vostra schiava?"
"Tu non sei mai stata mia schiava, Lèleri" ribatté l'uomo "saresti libera di andare, se tu lo volessi."
Lei strinse gli occhi dorati, continuando con voce tremula "E' dunque solo questo che avete da dirmi?"
"Cos è che vorresti sentirmi dire, Lèleri?" finalmente voltò il capo per guardarla "Sai bene che ciò che ho perso, lì a Besheuse, non può ridarmelo nessuno."
La donna avvertiva la propria gola bruciare per i singhiozzi mal trattenuti e gli occhi colmi di lacrime scottanti. "Vorrei tanto poter fare qualcosa.."
Meheron scosse il capo "Ma non puoi. Su, ora va a dormire."
"S-si.." convenì lei, alzandosi. Che altro avrebbe potuto fare, o dire? La situazione era chiara, quell'uomo non avrebbe mai corrisposto i suoi sentimenti, nè era interessato al tenerla accanto o guardarla partire. Per lei, lui era tutto. Per lui, lei non era niente.
Meheron, intanto, rifletteva. Avrebbero dovuto lasciare quell'accampamento molto presto, viaggiando veloci sino alla Capitale. Lì avrebbero avuto il tempo di fare provviste a dovere e ripartire per le Cave di Diamanti, oltre il Passo del Drago e guadagnare finalmente quello che gli sarebbe servito a mettersi l'anima in pace una volta e per tutte, senza dover più combattere anche solo per un tozzo di pane. Avrebbe finalmente sciolto Priccio dalla promessa di proteggerlo; da quando sua madre prima di morire gli aveva donato il fiore magico dal quale era nata la fatina erano passati tanti e tanti anni e lui sapeva che il più grande desiderio di Priccio fosse andare a vivere nella foresta di Meiren ed andare in cerca di altre fate, ma per ora aveva bisogno di lei.
Per quanto riguardava Lèleri.. Non sapeva bene che cosa dover pensare.
Sapeva di comportarsi crudelmente nei suoi riguardi respingendola a quel modo brutale ma era sua intenzione anche riportarla alla sua Torre Skylean, fra la sua gente, una volta depredate a dovere le Cave di Diamanti: lì Lèleri avrebbe trovato uno Skylean come lei e l'avrebbe sposato, conducendo una vita più degna e felice di quella che avrebbe mai potuto condurre alle sue calcagna.
Quanto a lui, si sarebbe fatto bastare il denaro. Checché se ne dicesse il contrario lui era intenzionato a comprarsi la propria felicità, per quanto possibile, con grossi diamanti dal taglio grezzo. Lo credeva possibile eccome e se proprio Boganaste gli era capitato fra i piedi una seconda volta, al contrario della prima l'avrebbe utilizzato per arrivare alla sua meta il più presto possibile, dannato Drago o non dannato Drago.

"Però. Che divertente senso del gusto, questi paesani."
Sioni fece nuovamente roteare gli occhi, sospirando. "Lo trovate divertente, Talon?"
"Puoi dirlo forte, Sciamana."
Un altro grosso sospirone. "Beh, questo è un problema. Avremmo dovuto rifornirci e rifocillarci in questo paesino, ma sembra che siamo arrivati troppo tardi."
Si incamminò fra le macerie, con piedi nudi sulla pietra, su pezzi di carbone ardenti e cocci di vetro senza batter ciglio; il Draconico fece una smorfia d'orrore e la seguì guardandosi attorno: Leureve era stata praticamente annientata ed a giudicare dal tanfo putrescente che aleggiava nell'aria era deducibile che fossero stati gli orchi.
Sorpassarono un grosso caseggiato dal basso soffitto ancora avvolto fra pigre fiammelle giallognole e per poco non rovinò addosso alla Sciamana quando senza preavviso alcuno cadde sulle ginocchia con un tonfo, a capo chino, singhiozzando col viso fra i palmi delle mani.
"Ed ora che ti prende?"
"Morte.. Ce n'è così tanta, Talon, non riuscite ad avvertirla?" rispose lei, tremante "questa notte sono morti così tanti innocenti, strappati ingiustamente alla vita!"
"Insomma vuoi pregare" ribatté Talon "Ne sei proprio sicura? Ne avresti per tutto il giorno."
Quando quell'ultima frase gli risuonò nella testa ammise con candore a se stesso di aver appena detto una cattiveria incredibile e non se ne sorprese quando Sioni voltò il capo in sua direzione con aria tanto incredula quanto arrabbiata.
"Cosa?"
"No, niente. Niente."
La lasciò lì in ginocchio a pregare, prendendo a girovagare fra le carcasse beccate da alcuni corvi neri e scheletri di edifici divorati dalle fiamme. Stupidi umani e le loro case di legno.
Camminò senza sosta fra le macerie per diverso tempo, fin quando giunse in un largo benché piccolo piazzale: lì il tanfo di carne bruciata era quasi insopportabile e gli faceva lacrimare gli occhi, ma notò immediatamente che un solo edificio era rimasto perfettamente illeso. Era dalle mura di pietra bianca, con alle spalle un alto campanile.
Una chiesa, una chiesa degli umani, quello che lui classificò come uno pseudo tempio pieno di campane e vetrate.
Affascinato da queste ultime s'avvicinò maggiormente per osservare i decori allo stipite della porta in legno grigio e sui tre piccoli gradini che la precedevano; un grosso arco a volta sorreggeva l'intera struttura, piuttosto piccola in realtà, ma appariscente.
"E perché proprio la chiesa? Stupidi umani e le loro coincidenze."
Estrasse la spada mentre varcava la soglia, più per abitudine che per altro, ma lo fece ugualmente. Alzando il muso osservò le ampie vetrate che partivano sin da terra, rialzate dal pavimento da basi di soltanto qualche centimetro in pietra per poi innalzarsi sin al soffitto: raffiguravano strane immagini di uomini inscatolati nelle loro armature, in sella ai loro destrieri, che cavalcavano dritti dritti nella gigante bocca nera e rossa di un qualcosa di mostruoso. Pian piano riconobbe la storia della guerra contro Whuliat, spostandosi lungo le mura della chiesa e decifrando i disegni sulle altre vetrate. Per qualche motivo erano raffigurati anche Lion ed Aislinn, lui con grosse e lucenti squame e lei con un'eterea chioma color del cielo che andava a congiungersi assieme ai lembi della sua veste bianca e viola sin al soffitto.
Talon non aveva mai visto prima di allora niente di così grandioso e da qualche angolino buio della sua mente emerse il ricordo di vetrate simili, ma che al tempo stesso non ricordava di aver mai visto.
Sbuffò fumo dalle narici e fece dietrofront, uscendo.
Il puzzo nello spiazzo lo colpì con una zaffata così forte da farlo tossire e lacrimare; non ricordava di aver respirato la stessa puzza lì nella chiesa, ma qualcosa gli diceva che se fosse rientrato non avrebbe percepito di nuovo la stessa sensazione.
Fece la strada all'inverso e trovò la Sciamana dove l'aveva lasciata. Il colore dei suoi capelli gli ricordò quello della tunica purpurea di Aislinn e dopo qualche istante di iniziale esitazione le si avvicinò, chinandosi e poggiandole una mano artigliata e squamata su di una spalla, distraendola dalle sue preghiere.
"Sioni. Dobbiamo andare."
Gli fece strano chiamarla per nome, ma soprattutto si chiese se l'avesse fatto per farsi perdonare la battuta infelice di prima. Ad ogni modo era andata, perciò non vi spese su altri pensieri.
La giovane donna rialzò il viso, lentamente, senza fretta. "Sì."
"Dove vuoi andare, adesso?"
"Proseguiremo, Talon. Non importa, proseguiremo fino a quando incontreremo un altro villaggio abbastanza grande. Non possiamo indugiare oltre."
Il Draconico annuì, oramai convinto che in un qualche modo lei potesse percepirlo, seguendola verso la loro prossima destinazione.
Solo una volta si girò per osservare il campanile distante, bianco ed intoccato, e si chiese se fosse davvero solo stata una sciocca coincidenza da umani.

-

E via col quinto. Se non mi sbaglio sarà venuto un po' più lungo del precedente, ma amen! ò_ò E c'è l'azione! xD
Grazie ai miei due affezionati lettori ed anche solo a chi sfoglia, alla prossima! ^_^

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Capitolo 6
*** Atto VI: Sig'Randa - Fuori le mura ***


EndingLands6
6


Quando il quinto corriere arrivò con le devastanti notizie su Leureve, Pavel diede di matto: lanciò contro il malcapitato di turno un pesante libro rosso rilegato in lamine d'oro puro, ordinandogli bruscamente di togliersi dai piedi; lo sapeva bene che cosa fosse successo a quel villaggio, senza che altri morti di fame gli venissero a raccontare qualche cruento dettaglio in più per un tozzo di pane raffermo.
Era da quella notte che continuavano a giungere profughi in cerca di un riparo e naturalmente tutti erano andati a cercarlo da lui. Eppure suo padre gli aveva assicurato che sarebbe stato facile governare la Capitale in sua assenza, gli aveva assicurato che in quel posto sonnacchioso non era mai accaduto nulla che il Capitano delle Guardie, il vero protettore della città, non potesse gestire.
Ed invece, sorpresa!
Lo stesso Capitano era venuto di corsa al Palazzo, senza sapere che cosa poter fare e dove poter mettere a dormire almeno un centinaio di fuggiaschi.
Pavel si massaggiò le tempie pulsanti e doloranti, ora solo nella stanza del Consiglio della Capitale, quantomeno tentando di farsi venire un'idea. Non erano state sufficienti le allarmanti notizie di sempre più terra morta ed impossibile da coltivare, ora ci si dovevano mettere anche gli orchi; sapeva che le mura della Capitale fossero troppo spesse per far anche soltanto passare i cancelli o per essere sfondate da massicci attacchi, ma temeva che quella particolarità avrebbe finito con l'attrarre qualunque cittadino del paese in grado di poter correre per andargli a chiedere rifugio. Di quel passo, la Capitale sarebbe implosa dall'interno, un sovrappopolamento era l'ultima cosa di cui avevano bisogno.
Si alzò, andando nervosamente su e giù per la stanza. Suo padre era in quel momento in una delle sue tenute a caccia di cervi e sottane, lui invece era intrappolato in quell'incubo senza la benchè minima idea, ne competenza, per poter rimediare a quel disastro.

"Il figlio del Consigliere è un idiota" gracchiò Meheron "stiamo pur certi che se non ha paparino alle spalle finirà per combinare qualche macello."
Priccio, sdraiata sulla sua testa, si rotolò fra i capelli corvini dell'uomo "Perché non ci fanno entrare nella Capitale!"
Accampati appena fuori le portentose mura bianche di Sig'Randa erano in attesa del ritorno di Boganaste, il quale si era offerto di andare a chiedere alle guardie dei bastioni principali se ci fosse stato "un modo speciale per apparire davvero speciali e degni di essere considerati speciali", così aveva detto. Di andare a corrompere qualcuno, insomma.
"Dovranno avere un buon motivo" rispose Lèleri, facendo debolmente spallucce; accanto a lei, Ferona annuì in silenzio.
"Ma io ho fame!" protestò la fatina "Perché Boganaste ci mette così tanto, Meheron?"
"Per la misericordiosa Aislinn, Priccio, che cosa vuoi che ne sappia?"
"Andiamo a cercarlo!"
"Cosa? No. Per quanto mi riguarda preferirei vederlo a faccia in giù in un fosso."
La nana sollevò di scatto il capo, osservandolo atterrita. "Perché dite così, che cos è che vi ha fatto Nemetona di così grave?"
Meheron sbuffò. "Sono affaracci miei. E di quel maledetto Skylean."
Priccio gonfiò le guance indispettita e gli tirò con forza due ciocche di capelli afferrate saldamente con le manine. "Antipatico, antipatico, antipatico!"
"Ah! Accidenti Priccio, dannazione smettila!"
Lèleri sollevò gli occhi al cielo lasciando intuire quanto fossero consuete ed abituali scene del genere e Ferona tornò con lo sguardo all'orizzonte, aspettando impaziente di poter scorgere i capelli bianchi di Nemetona. Erano stati tutti, loro così come diversi altri gruppi di persone, raggruppati in una zona di terra grigia e brulla, delimitata da vecchi recinti lignei che davano l'idea di essere stati una volta i confini di un campo coltivabile. Aveva sentito parlare dell'insistente problema delle terre morte o morenti, l'aveva persino visto prima che Leureve fosse distrutto, ma trovò bizarro che i campi attorno al Maniero Gisante fossero ancora verdi e pienamente coltivabili mentre quelli attorno alla Capitale Lucente versassero in quello stato.
Lèleri sembrò intuire a che cosa stesse pensando. "Nessuno è ancora riuscito a spiegarsi il perché di questo impoverimento del terreno. Le voci dicono di zone verdi oramai soltanto vicino Meiren." le disse; la sua voce era calmifica, quasi in grado di cullare l'interlocutore di turno.
La nana sospirò. "Conosco anche un altro posto che.. No, non fà nulla. Oh, ecco di ritorno Nemetona!"
Si alzò ed agitò un braccio, lo Skylean la vide e si avvicinò loro di corsa. Meheron smise di litigare con Priccio ed appena Nemetona fu a portata di voce gli si rivolse con la cordialità di un dragone. "Allora, ti sei reso utile almeno stavolta?"
Scorse Lèleri rimproverarlo con lo sguardo, emise un basso gorgoglìo, tornò a Boganaste.
Il quale rispose per le rime. "Al tuo contrario, sì. Ho guadagnato l'ingresso alla Città, per tutti.."
Si fermò bruscamente ed il resto del gruppo intuì ci fosse dell'altro, lanciando sguardi indagatori in sua direzione.
Il mercenario fece spallucce. "Però ho dovuto vendere la fata. Hey, un piccolo sacrificio per il bene comune ci vuole ogni tanto, no?"
"TU CHE COSA!?" strillò Priccio, librandosi in volo e diventando completamente di un rosso vivo, dal bagliore intenso.
Mentre le donne sembravano essere sinceramente scioccate, l'unico che non ne rimase sorpreso fu proprio Meheron. Si alzò, fronteggiando Nemetona con la sua imponente stazza. "Hah! Naturalmente, che cos'altro mi sarei potuto aspettare da un uomo come te, Boganaste? Priccio non và da nessuna parte."
"Ascolta, Shebeniath" rispose l'altro, cautamente "non c'è altro modo. La  Città non accoglie più nessuno già da due giorni, ho dovuto promettere qualcosa di davvero speciale." spiegò, sperando sinceramente di riuscire a persuaderlo.
"Perché non la vostra Viverna, allora?" fece Lèleri aspra, quasi velenosa; si alzò ed arrivata accanto a Meheron prese con delicatezza la piccola Priccio fra le mani, che istantaneamente smise di brillare come il più bello dei rubini. "E' speciale, no?"
Erith Shebeniath le lanciò, forse per la prima volta, un sincero sguardo di approvazione, Boganaste invece uno sorpreso e poi adirato; Wibbly, dalla tasca della sgualcita blusa di Ferona, soffiò rabbiosa. La nana, osservando la situazione deteriorarsi velocemente, provò a fare la parte della mediatrice.
"Oh, ehm.. Non potremmo, non saprei, soltanto fingere? Come quando al mercato.."
"No." tagliò corto Meheron. "Stiamo parlando della Guardia della Capitale Lucente, nana, non di un paesino."
"Non rivolgerti a lei con quel tono" lo ammonì Nemetona, compiendo un passo in avanti e stringendo i pugni.
"Ooh, capisco. Sei ancora nella fase entrare nelle grazie, non è così? Qual è quella che viene dopo? Entrare nei calzoni, mi pare di ricordare."
Vide lo Skylean lanciarglisi addosso con un grido ma lo respinse facilmente col braccio, facendolo rovinare fra l'erba grigia e secca. Qualcuno in lontananza rise.
"Signori, vi prego!" gemette Ferona, allarmata, ma quando alzò lo sguardo per chiedere supporto a Lèleri la scoprì impegnata a non perdersi neanche un istante dello spettacolo, così come Priccio seduta fra i palmi delle sue mani. Persino Wibbly sembrava osservare con interesse, immobile.
Nemetona si rialzò soffrendo del grosso archibugio piantatogli nella schiena al momento dell'impatto col terreno e con un ruggito si scaraventò contro il viso di Meheron col pugno ben chiuso: fu abbastanza svelto da prenderlo ma vide troppo tardi la ginocchiata che l'altro aveva già caricato e che gli si abbattè sull'addome come un martello sull'incudine. Cadde nuovamente a terra, riverso su di un fianco, le risate in lontananza di qualche curioso profugo-spettatore si fecero più insistenti.
"Nemetona!" Ferona gli fu accanto in un lampo "Nemetona, state bene?"
Voltandolo si rese conto che le bende e la blusa sul fianco ferito dello Skylean erano nuovamente imbevute di sangue fresco. Quella volta, però, Nemetona non si rialzò e fece come se nulla fosse, anzi rimase in terra tossendo debolmente. Quando la nana gli portò una mano alla fronte, lo sentì gelido.
"Oh, oh santo cielo..!"
"Togguarda" fece Meheron, stranamente serafico. "A quanto pare, quella ferita è troppo profonda per essere trattata solo con dei bendaggi e qualche impiastro. Se siamo fortunati si è già infettata e fra un paio d'ore ce lo saremo definitivamente tolto dai piedi."
"Meheron.." mormorò Lèleri, mettendo da parte il suo atteggiamento ostile "..Meheron, credo che morirà per davvero se non facciamo subito qualcosa."
"Beh, perfetto. Neanche mi muovo, guarda."
"Ma come puoi dire una cosa del genere!?" strillò allora Priccio, saltando via dalle mani della Skylean e volandogli all'altezza del viso "Sei proprio un gran bastardo!"
Gli diede un ceffone sul naso, che risultò essere per l'uomo solo un innocuo buffetto, poi volò sulla spalla di Ferona, quella più vicina al viso del mercenario.
Lei la guardò disperata, col capo dell'uomo fra le mani. "Puoi aiutarlo, Priccio?"
La fatina gonfiò le guanciotte ancora una volta, sinceramente offesa. "Ma certo che posso. Pfui, quanto dramma superfluo."
"Priccio!" fece Meheron, in tono adirato ""ti proibisco di curare quest'uomo!"
Lèleri gli poggiò una mano sulla spalla ammantata, quella del braccio troncato. "Shh, Meheron, vi prego abbassate la voce!"
Lui l'allontanò malamente, avanzando verso Ferona, Priccio e Boganaste. "Priccio, hai capito? Non osare!"
"La la la, non ti sento!" rispose la fatina, senza neanche guardarlo; si librò in aria per poi atterrare sul torace dell'uomo ferito, mettendosi carponi e poggiando le manine sulla sempre più grande macchia di sangue; oramai avvertiva Boganaste respirare velocemente ed a fatica, perciò si concentrò illuminandosi d'azzurro e creando un globo luminescente attorno a se, il ferito e la soccorritrice.
Lèleri notò ora tutti gli sguardi dei profughi concentrati su di loro e quando Meheron Erith Shebeniath si mise a picchiare furiosamente il pugno contro la barriera protettiva innalzata dalla fata li vide iniziare ad avvicinarsi, creando una folla tutta intorno.
All'interno del pulsante globo di luce, la nana vide i propri capelli fluttuare nel vuoto così come quelli di Priccio e del mercenario steso in terra; poco dopo si accorse che all'esterno Meheron, Lèleri e gli abitanti di quello che una volta era stato il paesino di Leureve avevano smesso di muoversi. Forse credendo si trattasse di uno scherzo della mente chiuse forte gli occhi, ma quando li riaprì tutto rimase perfettamente immobile.
"Priccio..?"
"Shh." le intimò la fatina, con occhi serrati ed espressione concentrata.
"Ma questa è..?"
"Stasi, sì. Shh."
Ferona tacque per non distrarla ulteriormente: sentì il peso di Wibbly, acciambellata dormiente ed immobile nella sua tasca, poi poggiò una mano sul petto di Nemetona e per qualche istante il panico l'assalì non avvertendo alcun battito; poi rammentò di aver letto da qualche parte che durante la Stasi si smettesse di esistere e che quindi dovesse essere piuttosto normale. Nonostante ciò, trovò strano che una fatina fosse in grado di praticare arti sciamaniche.
Accarezzò la fronte tatuata di Nemetona e rimase in attesa, osservando di tanto in tanto i buffi atteggiamenti nei quali gli altri si erano fermati all'esterno del globo di luce azzurra: Erith Shebeniath con l'unico pugno alzato, Lèleri aggrappata al suo mantello cercando forse di allontanarlo, curiosi paesani sparsi qui e lì col collo allungato quanto più possibile per cercare di sbirciare qualcosa.
Rimase inginocchiata fra la terra morta col capo dello Skylean in grembo per diverso tempo, quando infine si accorse che lentamente il mondo attorno a lei stava tornando a prendere vita. Priccio si sollevò in piedi sul petto di Boganaste, il quale aveva ripreso a respirare regolarmente, e sospirò con aria affaticata e le alucce tremule.
Lo scudo azzurro sembrò evaporare e Ferona potè nuovamente udire quella voce familiare in mezzo allo schiamazzo dei contadini chiusi a cupola su di loro.
"Mia Cara! Devo proprio dirvelo, siete davvero incantevole vista dal basso. Una visuale quantomai rara la mia, nevvero?"
Priccio sbuffò, ma senza irritazione nella voce. "Boganaste, la prossima volta che stai per morire potresti gentilmente usare la cortesia di avvisarci?"
"Oh lo farò mia salvatrice, prometto che lo farò."
Ferona sorrise raggiante, la fata ridacchiò e tutto sembrò perfetto.
Fino a quando un attimo dopo Meheron Erith Shebeniath fu loro addosso, furioso. "Priccio! razza di piccola, pestifera pulce delle piante grasse!"
L'interpellata sfoggiò la sua migliore faccina da schiaffi. "Oh andiamo, vuoi smetterla di gridare si o no? Tanto oramai l'ho curato, almeno fà l'uomo ed ingaggia un duello se proprio lo vuoi ammazzare!"
Lèleri, ancora al fianco del burbero omaccione, scosse il capo. "No Priccio, Meheron non si riferiva a Boganaste." lanciò una rapida occhiata attorno a loro "Hai mostrato arti che non è bene mostrare in pubblico. Credo che qualcuno sia già corso a chiamare le Guardie."
Priccio sbiancò, curvando verso il basso le orecchiette appuntite. "Oh.."
"Non farmi "oh", signorinella!" abbaiò Meheron "Appena usciamo da questo guaio, te ne farò pentire!"
"No ti prego Meheron, non chiudermi di nuovo nella teiera! Sarò brava, lo giuro, lo giurissimo!"
"Signorine, Signorine" ridacchiò Nemetona, ancora comodamente sdraiato per metà in terra e per metà su Ferona "vi prego di smettere con gli alterchi. Abbiamo compagnia."
Tutti sollevarono lo sguardo verso un drappello di Guardie in scintillanti armature bianche e lance di diamante che rapidamente si stavano avvicinando.
"Ooooh" fecero Ferona e Lèleri insieme, profondamente affascinate.
"Puah, quanta scena" commentò invece l'uomo ammantato.
La Guardia che stava in testa al gruppo con un movimento del braccio ordinò ai curiosi di allontanarsi; dopo che questi ebbero riluttantemente obbedito, si concentrò sul piccolo gruppetto che si diceva stesse creando tanto trambusto. Il suo elmo al contrario degli altri aveva in cima una bellissima piuma azzurra e la sua voce era profonda, ma controllata.
"Salve cittadini, sono il Capitano delle Guardie della Capitale Lucente. Mi è stato riferito di pratiche ed incanti qui al di fuori delle mura, ma le notizie erano contrastanti. E' stato fatto cenno alla pratica degli Sciamani e alle arti dei demoni, io però qui vedo soltanto una fata."
"Sanno cosa siano demoni, Sciamani e fate?" sussurrò debolmente Ferona a Nemetona, perplessa.
"Evidentemente non tutte le Guardie passano il proprio tempo libero a brucare erba, Mia Cara" rispose lo Skylean.
"Devo perciò informarvi" proseguì il Capitano "che vi verranno adesso confiscate tutte le vostre armi e verrete scortati alla Sala del Consiglio, così da poter fornire un'adeguata spiegazione."
Quando Meheron, quello con l'aria più ostile di tutti, provò ad aprire bocca aggiunse "Il figlio del Consigliere mi ha autorizzato ad usare la forza, in caso di necessità. Vi prego di seguirmi senza opporre resistenza."
Una volta privati di ogni avere tranne gli abiti e legati con i polsi dietro la schiena da salda corda urticante (ed aver chiuso la povera Priccio in una gabbietta per canarini) vennero condotti verso i cancelli bianchi di Sig'Randa, la portentosa Capitale Lucente; una volta varcati vennero presi a bordo assieme al Capitano e alla sua squadra da un grosso barcone azzurro per attraversare il fiume Biancolatte, il vero ostacolo che almeno secondo le leggende impedisse ad un qualunque nemico di raggiungere la vera e propria Città: si diceva che le acque di un innaturale candore divenissero corrosive per orchi e creature maligne di ogni tipo e che impedissero così loro il passaggio.
Osservando le immense mura bianche allontanarsi sempre di più, Nemetona ridacchiò. "Beh, siamo entrati, no?"
Meheron fece roteare gli occhi. "Boganaste?"
"Sì?"
"Stà zitto."

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Eeee vai con il sesto! Few, non aggiornavo da un po'. Dirò, ho iniziato a scrivere questo capitolo piuttosto dubbiosa.. Alla fine, però, sono arrivata ad adorarlo xD Penso che sia una cosa fondamentale, che l'autore abbia a cuore ognuno dei suoi personaggi. Che dire, spero sempre che a qualcun altro possano piacere i miei personaggi come li adoro io, ho perso uno dei miei lettori (ç_ç) ma non mi scoraggio, un abbraccione alla fedele Bryluen ed a tutti coloro che dovessero decidere di lasciare un commentino! A presto!

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