Lo Strano Caso dell'Ispettore Lawliet e di Mr Birthday

di Fe85
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** First Crime-Lucifer ***
Capitolo 3: *** Second Crime-The Beginning ***
Capitolo 4: *** Third Crime-The Meeting ***
Capitolo 5: *** Fourth Crime-Exchange ***
Capitolo 6: *** Fifth Crime-The Second Victim ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Le strade di Londra erano bagnate e scivolose a causa della pioggia battente caduta durante il pomeriggio, che aveva poi lasciato spazio ad un cielo plumbeo e deprimente. Inoltre, le industrie con i loro fumi neri contribuivano a rendere la città una tra le più inquinate e buie di tutto l'arcipelago britannico, ed era proprio lì che adulti e bambini trascorrevano gran parte delle loro giornate, sfruttati barbaramente dai proprietari, senza potersi ribellare. Al contrario, i nobili, apparentemente ligi al dovere, facevano del gioco e delle donne le loro ragioni di vita, organizzando riunioni nelle loro sfarzose abitazioni, dove naturalmente l'oppio circolava in enormi quantità. Questa era Londra: da una parte ricca e sfavillante, dall'altra povera e piena di pericoli, benché i vigilanti sorvegliassero continuamente la metropoli. Una pungente umidità aveva costretto i signori e le dame che passeggiavano a stringersi rispettivamente nei loro cappotti di stoffa e negli scialle di lana in quella serata di fine ottobre che avrebbe visto il debutto al Globe Theatre di Misa Amane, un'attrice emergente proveniente da Oxford. Lei e la sua compagnia, composta da dieci persone, avrebbero messo in scena l'Otello, una tra le opere più famose di William Shakespeare, autore molto apprezzato e conosciuto nei secoli precedenti. Avevano lavorato duramente per fare in modo che tutto fosse perfetto e che la loro performance potesse piacere al pubblico: ore e ore dedicate alle prove e alla costruzione delle scenografie, ma alla fine i loro sforzi vennero premiati con il conseguimento del permesso di utilizzo del rinomato teatro. Numerose carrozze stazionavano davanti all'imponente struttura, nel frattempo i cocchieri aspettavano il ritorno dei loro padroni, sbadigliando di tanto in tanto e crogiolandosi nell'ozio.

«Guardate, è tutto pieno!» esclamò Meg, la migliore amica e confidente di Misa, compiaciuta, dopo aver dato una sbirciatina dal sipario. Meg era senza dubbio la colonna portante del gruppo, e con la sua esperienza sapeva «sedare» l'entusiasmo e l'impulsività della sua collega più giovane. Lei e Misa si erano conosciute al mercato, e nonostante una certa ostilità iniziale, successivamente avevano instaurato una salda amicizia, basata sul rispetto e la lealtà.

«Non vedo l'ora di cominciare!» urlò Misa contentissima e al tempo stesso impaziente, sentendo il brusio del pubblico in sala crescere. Indossava l'abito di scena che lasciava scoperto il generoso decolletè, e i capelli biondi le cadevano morbidi sulle spalle; tra le mani stringeva nervosamente il copione, ripetendo mnemonicamente la sua parte.

«Mi raccomando, Desdemona, contiamo su di te!» replicò Meg, strizzando l'occhio in direzione di Misa che fece un leggero inchino. Quest'ultima osservò incantata il palcoscenico che si estendeva direttamente verso gli spettatori. Accomodati sulle raffinate poltrone di velluto rosso, vi erano parecchi esponenti di spicco dei salotti della Londra benestante, riconoscibili dal loro portamento impeccabile e dall'abbigliamento lussuoso: forse un medico, un notaio o un avvocato sarebbe rimasto folgorato dalla sua bellezza, e l'avrebbe chiesta in sposa (poco le importava delle donne ingioiellate che si sventolavano annoiate con i loro ventagli di pizzo). O ancora, uno stimato scrittore avrebbe fatto di lei la sua Musa ispiratrice. Fin dall'infanzia, Misa era un'inguaribile sognatrice, e si divertiva spesso a fantasticare sul suo futuro: le sarebbe piaciuto avere un bel marito, che godesse possibilmente di una buona posizione sociale e che accontentasse ogni suo capriccio, e chissà, a completare quel quadretto incantevole, avrebbero potuto esserci tre o quattro pargoli. Dopotutto, desiderare di essere felici non era certo un reato. Tutte le eroine che aveva interpretato erano andate incontro ad un tragico destino, ma lei era certa che l'avvenire le avrebbe portato tante belle cose, tra cui l'amore.

                                                                                           ***

Dall'altra parte della città, un uomo sulla trentina si stava addentrando coraggiosamente  in uno dei pub più malfamati di Whitechapel, quartiere frequentato dai criminali più pericolosi e ricercati dalle forze dell'ordine. Il suo nome era Raye Penber e si era appena trasferito a Londra insieme alla sua fidanzata, Naomi, in seguito ad una meritata e attesa promozione. I suoi amici di Edimburgo si erano congratulati sinceramente con lui, augurandogli una brillante carriera; l'unica a non essere completamente soddisfatta di quell'improvviso spostamento era proprio Naomi, che era stata costretta ad allontanarsi dai suoi genitori, ma alla fine non se l'era sentita di lasciarlo partire da solo e aveva capitolato. Il vicecomandante Raye Penber,  figlio del maggiore John Penber che aveva prestato sevizio nell'esercito per numerosi anni, era rinomato per la sua ferrea morale e per la sua insaziabile sete di giustizia. Come se non bastasse, aveva giurato a se stesso che avrebbe dato una svolta al caso del serial killer che terrorizzava i cittadini londinesi da qualche tempo.

Le informazioni in possesso della polizia erano poche e frammentarie: nessuno aveva mai visto in faccia l'assassino che si divertiva a deturpare orribilmente le sue vittime; non si sapeva nemmeno se agisse solitario o con l'aiuto di qualche complice. Gli indizi pressoché impossibili da decifrare che lasciava sui cadaveri delle sue prede erano gli unici segni del suo passaggio.

Tuttavia, Scotland Yard non poteva permettersi di perdere prestigio e credibilità agli occhi dei cittadini che avevano iniziato a nutrire dei dubbi sull'efficienza dei poliziotti. I superiori di Penber avevano deciso di appellarsi a Lawliet, il celebre ispettore che aveva risolto brillantemente tutti gli enigmi che gli erano stati affidati. Così come l'omicida, neanche lui aveva un volto, dato che preferiva mantenere il massimo riserbo sulla sua identità; correva voce che fosse Watari, il suo maggiordomo, il contatto tra lui e il mondo esterno. Raye, però, aveva voluto fare un estremo tentativo e aveva pensato che il luogo migliore per raccogliere dati utili ai fini delle indagini fosse proprio l'apice della malavita, l'Old Bridge.

I suoi occhi di ghiaccio si soffermarono qualche istante sull'insegna in legno scuro che riportava il nome della locanda a caratteri gotici e su un paio di individui che accendevano i lampioni tramite dei bastoni sulle cui estremità vi era del fuoco: quando aveva scelto di intraprendere la carriera del poliziotto, a seguito della perdita della madre in una rapina, era a conoscenza dei rischi e dei pericoli in cui sarebbe potuto incorrere; era consapevole di aver consacrato la sua esistenza al distintivo che gli avevano consegnato in occasione del suo primo giorno di lavoro. Alla fine, però, i suoi ideali lo avevano continuamente spronato a cercare di costruire un mondo migliore, privo di corruzione e violenza. Naomi gli aveva promesso che  quando avrebbe portato a termine quel caso e assicurato il colpevole alla giustizia, si sarebbero sposati: sicuramente quello rappresentava un incentivo in più per portare a casa la pelle.

In lontananza, si udirono i rintocchi del Big Bang che segnava le nove di sera, mentre cinque giovanissimi spazzacamini si divertivano a saltare sulle ombre degli austeri edifici della zona, proiettate davanti a loro. Senza indugiare oltre, Penber varcò la soglia del pub, non accorgendosi di un ragazzo dai capelli rossicci, appostato dietro ad un muro, che lo osservava sospettoso, quasi come se volesse studiare le sue mosse.

Che razza di posto commentò il poliziotto tra sé e sé, guardandosi in giro e procedendo spedito verso il bancone: un odore sgradevole di fumo, alcool e sudore lo investì in pieno, portandolo a coprirsi il naso con un fazzoletto. Passò in mezzo ad un gruppo di ubriaconi, pronti a scolarsi altri boccali di birra in compagnia di alcune prostitute che aspettavano il momento opportuno per derubarli; invece, nel lato sinistro del locale, lievemente più nascosto, alcuni spacciatori cercavano di procurarsi le migliori droghe in circolazione all'epoca. E, per concludere, sul soppalco, seduti su degli scomodi sgabelli, vi erano dei truffatori che trattavano con i loro clienti la data e il luogo per un ipotetico scambio delle merci. Raye sospirò pesantemente, accantonando l'idea di un arresto di massa; doveva agire in gran segreto e mostrarsi come uno di loro, altrimenti addio copertura. Si sistemò velocemente l'impermeabile, attirando l'attenzione dell'oste, voltato di spalle e intento ad asciugare un piatto, con un colpo di tosse.

«Uno scotch, per favore» gli ordinò secco e perentorio, notando la gran quantità di vetri a terra; probabilmente in una precedente rissa, eventi assai frequenti in posti del genere, erano state rotte delle bottiglie.

Accidenti  imprecò Raye mentalmente, constatando quanto fosse appiccicoso il bancone e quante cartacce vi fossero sopra di esso;  giunse alla conclusione che la pulizia non era di certo contemplata in quel luogo sudicio e squallido. Anche il locandiere si adattava perfettamente a quella cornice grottesca: aveva l'aspetto trasandato e sciupato (la maglietta bianca e sgualcita che indossava parlava da sè), era difficile dargli un'età, tuttavia, a prima vista sembrava un ragazzo poco più che ventenne. I capelli neri e disordinati gli oscuravano gli occhi, e la schiena incurvata lasciava quasi intuire che fosse gobbo.

«Ecco a lei, signore» proclamò l'altro con voce spenta, posando davanti a Penber un bicchiere colmo di liquido ambrato e cubetti di ghiaccio. Le sue mani scheletriche riposero con una lentezza esasperante la stoviglia in una credenza, dopodiché se le sciacquò rapidamente in un lavabo.

«Vorrei farti alcune domande, ragazzo»

 

 

Note:

Il Globe Theatre è il teatro in cui Shakespeare ha messo in scena molte delle sue opere.

Otello  celebre opera di Shakespeare, ambientata a Venezia e in Turchia.

Whitechapel  quartiere malfamato in cui si muoveva Jack Lo Squartatore ( ci tengo a precisare che, benchè possano sembrare simili, Beyond non è da associare a quest'ultimo nella mia storia. Vedetelo come il Beyond Birthday di  «Another Note» trasportato nell'Inghilterra vittoriana)

 

 

 

Ciao a tutti,

questa è la mia prima long fic nel fandom di Death Note, e devo dire che sono piuttosto emozionata, anche se questo è solamente il prologo^^''

E' da parecchio tempo che è in cantiere, ma ho preferito rileggerla più volte per presentarvela al meglio>__<

Ho deciso di ambientare la storia nella Londra ottocentesca, e purtroppo, non  essendo mai stata nella bellissima capitale inglese, ho cercato di documentarmi il più possibile (chiedo scusa fin da ora per eventuali imprecisioni, anzi, invito chiunque trovi delle incongruenze a segnalarmele) con i miei vecchi testi di letteratura inglese, Wikipedia e…Kuroshitsuji ( diciamo che ho guardato qualche episodio per immergermi nelle atmosfere vittoriane). Il titolo è liberamente ispirato al celebre romanzo di Robert Louis Stevenson ( avrete sicuramente notato il mio omaggio all'autore quando ho citato Edimburgo, la sua città natale), « Lo Strano Caso del Dottor Jekyll e Mr Hide», anche il tema del bene contrapposto al male è tratto da esso.

Inoltre, cercherò di restare il più fedele possibile ai caratteri originali dei personaggi, avete il permesso di bacchettarmi qualora non lo facessi XD

Passando a parlare dei pairings, diciamo che c'è un po' di tutto: etero, shonen-ai, amore non corrisposto. Le coppie sono una vera sfida per me, perché a parte una, non ho mai scritto qualcosa riguardo a loro, e se volete seguirmi in quest'avventura, sarò più che felice XD

Mi farebbe tantissimo piacere ricevere un vostro commento in merito, e ringrazio chiunque lascerà un segno del suo passaggio, ma anche chi leggerà soltanto^^ Accetto critiche (costruttive), suggerimenti, consigli e quant'altro.

Grazie e a presto

Fe

CREDITS:

© Tutti i personaggi di Death Note appartengono a Tsugumi Ohba e Takeshi Obata

© Robert Louis Stevenson, Lo Strano Caso del Dottor Jekyll e Mr Hyde

© William Shakespeare, Otello

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Capitolo 2
*** First Crime-Lucifer ***


Ciò che fa l'originalità di un uomo,

è che egli vede una cosa che tutti gli altri non vedono

(Friedrich Nietzsche)

 

 

«Vorrei farti alcune domande, ragazzo» la voce risoluta di Penber soverchiò il chiacchiericcio che animava il pub, e sembrò sorprendere il diretto interessato che smise per un attimo di occuparsi delle stoviglie.

Proprio in quel momento, un malvivente rovesciò un tavolo, adirato per aver perso una partita a carte, e un gruppo di ladri mascherati fece il suo ingresso nel locale, vantandosi del loro ultimo colpo e mostrando a tutti il bottino appena rubato, quasi sicuramente dalla sfarzosa abitazione di qualche nobile. Candelabri, quadri, orologi e gioielli di inestimabile valore vennero sparpagliati a terra, originando l'ennesima lotta della serata.

Penber, solitamente calmo e pacato, sentì il sangue ribollirgli nelle vene, soprattutto quando qualcuno dei nuovi arrivati osò denigrare l'operato della polizia cittadina;  probabilmente, solo la sua rettitudine e la sua forza di volontà gli impedirono di alzarsi e di mettere le manette a quei tizi decisamente sgradevoli. Ormai, la criminalità si era espansa a macchia d'olio come la tempera sulla tela bianca di un pittore, e molte volte, le forze dell'ordine non erano sufficienti ad arginarla, dato che i malfattori si erano fatti via via più scaltri e arguti. Eppure quella era l'epoca che vantava il maggior numero di rivoluzioni, perché nessuno prendeva in considerazione l'idea di porre fine a quella violenza inaudita? Perché Londra non accennava ad una rivolta? Semplice, l'omertà e la paura frenavano qualsiasi iniziativa dei cittadini che, impotenti, assistevano (e involontariamente partecipavano) a quel gioco del massacro. Era come se fossero le pedine di un progetto più grande di loro. Nemmeno la Chiesa, troppo occupata a sperperare i suoi averi, riusciva a fornire il giusto conforto a quelle anime tormentate.

«Lei è scozzese?» gli chiese l'altro fiaccamente, ignorando volutamente il quesito postogli in precedenza.

Si riscosse dai suoi pensieri, e osservò un po’ perplesso il suo interlocutore, che aveva intuito brillantemente la sua provenienza; eppure lui  aveva mascherato abilmente il suo accento, e nessuno avrebbe dovuto accorgersene.

«Sì, come hai fatto a capirlo?»

«Perché ha ordinato dello scotch. Questo liquore è prodotto in Scozia, e nella maggior parte dei casi sono gli scozzesi a farne richiesta» fu la risposta breve e concisa dell'oste che aveva iniziato a sistemare delle bottiglie di rum su una mensola, già affollata di contenitori di svariate dimensioni.

«Complimenti, si vede che te ne intendi nonostante la tua giovane età!» Raye fece una pausa, sorseggiando il suo scotch e avvertendo un lieve bruciore alla gola. Successivamente, posò il bicchiere vuoto sul bancone, facendo tintinnare i cubetti di ghiaccio contro il vetro «sei in grado di fornirmi qualche informazione sull'assassino che deturpa crudelmente i suoi bersagli? Sono sicuro che, lavorando in questo posto, ti saranno giunte delle notizie che lo riguardano» lo inchiodò con lo sguardo, proprio come quando interrogava un fuorilegge, evitando così che fuggisse.

L'espressione del giovane rimase impassibile, come se la cosa non lo interessasse minimamente. Alzò di poco gli occhi, osservando qualcosa che gravitava vorticosamente sopra la testa di Penber: lettere e numeri dapprima incomprensibili, che divennero velocemente chiari nella sua mente.

«Ho sentito dire che questa notte colpirà ancora, nei pressi del Tamigi, se non ricordo male» gli annunciò telegraficamente, portandosi un dito sulle labbra.

Raye ringraziò sorridente quello strambo locandiere: inizialmente l'aveva giudicato male, ma dopo le sue rivelazioni, dovette completamente ricredersi . Il suo aiuto sarebbe stato determinante per la risoluzione di quel caso ingarbugliato.

Finalmente qualcuno ha il coraggio di parlare, finalmente qualcuno ha rotto questo silenzio opprimente

Penber non poteva certo sapere che aveva appena commesso un errore che gli sarebbe costato la vita.

Si allacciò l'impermeabile, lasciando una lauta mancia all'oste e dirigendosi verso la sua nuova destinazione: era sicuro che l'incubo del serial killer senza nome avrebbe finito di tormentare il sonno della metropoli anglofona.

«Matt, tieniti pronto ad agire. L'ho vista»

«A tua disposizione» annuì obbediente lo stesso ragazzo dai capelli rossicci che aveva pedinato il poliziotto in precedenza. Spense la sigaretta che aveva tra le labbra e scavalcò con noncuranza il cadavere privo di arti del vero proprietario del pub, riverso nel retrobottega.

                                                                                                                      ***

Il Tamigi si trovava dall'altra parte della città rispetto all'Old Bridge, e il vicecomandante Penber dovette «esplorare» numerosi viottoli prima di potervi accedere. Poté rendersi conto personalmente del degrado dei bassifondi londinesi: si era messo a contare tutti i tentativi di depredamento di oggetti personali  in cui era incappato, arrivando a ventitré.

L'avevano aggredito degli inesperti quanto goffi pick pockets che avevano miseramente fallito la loro missione, ma anche dei borseggiatori più abili che seguirono la sorte dei loro predecessori, grazie ad una serie di calci piazzati di Raye che non aveva lasciato loro alcuna possibilità di movimento, benché fossero armati.

Per il momento il mio portafoglio è salvo, almeno fino al prossimo angolo…

Quell'episodio gli aveva fatto ricordare il periodo di addestramento ad Edimburgo, durante il quale aveva conosciuto Naomi. Gli era stata presentata da suo padre che gli aveva riferito che entrambi i genitori della ragazza erano assidui frequentatori dei migliori salotti scozzesi. Effettivamente, Naomi aveva un portamento elegante e una raffinatezza innata che la rendevano una dama assai contesa, ma Raye aveva avuto la meglio su tutti i suoi numerosi pretendenti, strappando addirittura un sorriso dal volto austero della dama. Tuttavia, il loro primo appuntamento non si poteva certo definire romantico: si trovarono coinvolti per caso in un sequestro di persona che rischiava di finire in tragedia, se non fosse intervenuto tempestivamente Penber. Chissà, magari era stato proprio quell'atto di coraggio a colpire la sua compagna, e a concedergli una seconda opportunità: si recarono in uno dei parchi che vantava uno tra i più bei panorami scozzesi, dove il poliziotto le dichiarò i suoi sentimenti. Oltre alla grazia e alle sue buone maniere, lo colpì principalmente lo spirito di emancipazione di Naomi; sotto questo aspetto era differente dalle nobildonne di quei tempi, costantemente sottomesse ai mariti. Senza ombra di dubbio, non era la classica dama avvezza al cucito; lei preferiva di gran lunga tirare di spada o esercitarsi con una pistola, tutto sotto la supervisione di Raye.

Dopo aver camminato per alcune miglia, raggiunse il presunto luogo del prossimo omicidio dell'assassino: dagli argini poteva vedere scorrere impetuosamente il Tamigi, che aveva allagato alcuni punti della città a causa delle massicce piogge cadute nelle ore precedenti. Inoltre, il buio rendeva scure e inquietanti le sue acque, oltre che pericolose, quasi come se al loro interno si celasse un terribile mostro pronto ad uscire allo scoperto.

« Benvenuto, signor Raye Penber» lo salutò un'ombra che spuntava da dietro un muro di pietra.

L'ufficiale trasalii impercettibilmente, cercando di associare un volto a quella voce che gli sembrava nota. Come era venuto a conoscenza del suo nome?

«Fatti avanti» lo intimò, preparandosi ad estrarre la sua arma e a puntarla contro di lui.

L'altro batté le mani teatralmente, avanzando a piccoli passi verso di lui: la luna, che aveva appena vinto una sofferta battaglia contro le nuvole che sovrastavano il cielo della capitale dell'arcipelago inglese, illuminò debolmente la faccia del misterioso individuo.

Capelli neri e spettinati.

Maglietta bianca e logora.

Particolari inediti e agghiaccianti si unirono a quelli memorizzati al suo ingresso nel locale: un ghigno sarcastico e degli occhi rossi completavano il profilo dell'oste del pub di Whitechapel.  Da quegli occhi trasudavano pazzia, cinismo e crudeltà portate agli estremi.

«Quindi eri tu, e…» con una mossa fulminea, il ragazzo si era portato alle spalle di Penber, puntandogli un coltello alla gola, e impedendogli di aggiungere altro.

«Esatto, ma mi lasci almeno il piacere di spiegare» esordì ridacchiando e leccando ripetutamente la lama del coltello, come se si stesse preparando ad eseguire un rituale.

«Ha istintivamente colto il fatto di essere lei la mia prossima vittima, stavolta sono io a dovermi congratulare per la sua brillante deduzione. Non è da tutti rimanere lucidi in un momento del genere» lo stava implicitamente prendendo in giro, causando una repentina contrattura dei muscoli di Raye.

Che mente deviata pensò il poliziotto, dalla cui fronte colarono delle gocce di sudore freddo. Il respiro affannoso e mozzato accompagnato dal battere incessante del suo cuore e da una leggera brezza notturna erano gli unici rumori udibili nelle vicinanze.

Il giovane appoggiò la testa sulla parte sinistra del petto di Penber che rimase immobile come una statua da giardino, incapace di architettare un modo per sfuggire al controllo del suo assalitore.

«Lo sente come batte? Sta scandendo i suoi ultimi attimi di vita» il fiato intriso di marmellata alle fragole sfiorava gelidamente il collo dell'agente di polizia che si rifiutò categoricamente di implorare la libertà a quel vile assassino. Dopotutto, aveva anche lui un orgoglio da difendere ed era convinto che in futuro qualcuno l'avrebbe vendicato, e avrebbe messo dietro alle sbarre il colpevole di tutti quegli efferati delitti.

Mi dispiace, Naomi non potrò mantenere la mia promessa…

«Addio, Raye Penber» con la precisione degna di un chirurgo, il killer recise l'aorta del vicecomandante, il cui sangue schizzò copiosamente sulla sua maglietta e sulle sue guance, tingendole dello stesso colore dei suoi occhi che brillavano spasmodicamente.

L'uomo boccheggiò per qualche istante in cerca di aria, spirando subito dopo.

«Matt, mi raccomando, fai sparire quel corpo senza lasciare tracce» ordinò Beyond Birthday, mentre si lavava le mani e il volto sporchi di sangue nel fiume e faceva affondare il coltello dentro di esso.

«D'accordo, capo!» Matt uscì dal suo nascondiglio, un canneto, e osservò il suo mentore con sguardo indecifrabile.

«Che c'è?»

«Niente, mi chiedevo da quanto tempo camminassi a piedi scalzi» si inventò lì per lì il suo collaboratore,  mostrandosi indifferente, ed evitando di metterlo al corrente del reale motivo per cui lo stava fissando con tanto interesse «e pensavo che la tua cattiveria non ha limiti»

Beyond si fece pensieroso, e voltò meccanicamente il capo verso di lui.

«Da quando un escremento di cane è rimasto attaccato alla suola delle mie scarpe. E ricorda, Matt. Come scrisse Marlowe, better to reign in hell than serve in heaven» detto questo, una risata sinistra squarciò l'immobilità della notte.

La voce tetra strideva palesemente con la prima frase, però si legava bene alla seconda , lasciando ben intenderne il concetto.

Il solito esibizionista

Matt roteò gli occhi, rinunciando definitivamente a discutere con Beyond: nemmeno il più quotato medico di Londra sarebbe riuscito ad analizzare la sua psiche contorta.

«Matt, vorrei che recapitassi anche un messaggio ad una certa persona» aggiunse apaticamente, guardandolo perquisire il morto che sostava davanti a loro.

«Certo, e nel frattempo credo di aver trovato qualcosa di interessante» lo informò Matt sorridente.

Beyond Birthday ripulì con il dorso della mano l'ultimo rivolo di sangue che gli colava dalla guancia, e scrutò con fare indagatore il suo complice.

«Sono tutto orecchie» un sorriso inquietante adornava il suo pallido viso.

 

 

 

FE SCRIVE...

Ciao a tutti, e ben ritrovati :D Prima di ringraziare le persone che hanno recensito, mi soffermo un attimo a spiegare un paio di cose. Inizialmente, questo capitolo non doveva

essere affatto così, diciamo che è come se Penber avesse preso vita e si fosse mosse da solo all'interno della storiaXD

-La citazione di Nietzsche che apre il capitolo e la frase di Beyond in corsivo (L'ho vista) fanno riferimento alla sua capacità di vedere la durata delle persone;

-i pickpocktes, ho preferito lasciare il termine inglese, sono delle specie di taccheggiatori, se proprio vogliamo trovare l'equivalente italianoXD;

-l'altra frase pronunciata da Beyond, better to reign in hell than serve in heaven, appartiene alla celebre opera di Christopher Marlowe, Paradise Lost, opera che io amo incondizionatamente,

soprattutto la figura di Lucifero (avete notato il titolo del capitolo?), che, a tratti, mi viene da associare a Beyond^^

Dopo questa piccola digressione, volo a ringraziare le persone che hanno commentato il prologo*__*

Lirin Lawliet: ciao, mi fa davvero piacere che il prologo di questa mia long fiction ti abbia colpito positivamente; l'epoca vittoriana è misteriosa e affascinante e, calandomi nei

personaggi, è come se la esplorassi poco a poco "personalmente". Raye, purtroppo, ci ha lasciati, ma cercherò di descrivere al meglio Naomi, che nella mia visione, è una donna

emancipata^^ ti ringrazio tantissimo per i complimenti, un bacio!

redseapearl: ciao, no, non sono una fan di Kuroshitsuji, mi sono limitata a seguirne qualche puntata per immergermi nell'atmosfera della Londra ottocentescaXD Posso dire che i

personaggi che mi hanno colpito in qualche modo sono Drocell, Pluto e Will, ma i primi due sono morti, ahimè, è destino che i personaggi che mi piacciono, muoianoXD Da fan delle

MelloxNear quale sono, non poteva mancare un tributo a questa coppia, e sono curiosa di sentire la tua sui ruoli che ho affidato loro, ma compariranno più avanti^^ sono felice di

sapere che il prologo ti ha incuriosita, grazie mille e un bacio!

Nuit: ciao, effettivamente alcuni dei pairings che ho scelto sono un pò insoliti, ma come ho detto nelle scorse note, questa storia per me è una sfida e voglio provare a cimentarmi

con "nuove coppie", ovviamente spero di risultare convincente, ma questo sarete voi a dirmeloXD Grazie, e un bacio!

Un grazie grandissimo a Lirin Lawliet, redseapearl, Nuit e Ninive Shiyal per aver inserito la storia tra le seguite e a Marmalade Girl per averla inserita tra le preferite, e ovviamente grazie

anche alle oltre cento persone che hanno letto soltanto^^

Se vorrete farmi sapere la vostra opinione o muovermi delle critiche (costruttive), sarei più che felice :D

Alla prossima!

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Capitolo 3
*** Second Crime-The Beginning ***


Il giorno successivo l'omicidio di Raye Penber, Beyond e Matt avevano ripreso a condurre le loro solite vite: il primo era uscito di casa (inappropriato definirla tale, dato che non avevano mai una dimora fissa per non farsi catturare dalle forze dell'ordine. Quando il killer sceglieva un'abitazione che si prestava ad essere un valido nascondiglio, toglieva di mezzo i proprietari senza remore e vi si installava insieme al suo compare) per andare a seguire sotto mentite spoglie delle lezioni di anatomia presiedute da un illustre luminare, mentre il secondo si stava dedicando alla pulizia degli «strumenti di tortura» utilizzati dal suo capo nel corso delle loro «missioni». Tramite una brocca di porcellana aveva riempito d'acqua un catino, e vi stava sciacquando con cura tre coltelli sporchi di sangue, segno che erano stati utilizzati di recente. Quando ebbe terminato, scese le scale di legno, scricchiolanti e fragili quanto un ponte sospeso sopra ad un burrone, che portavano in cantina per rimetterli al proprio posto e venne investito da un tanfo nauseante, provocato dalla carne di un cadavere in decomposizione.

Benché lavorasse con Beyond da diverso tempo, Matt non si era ancora abituato a quell'odore.

Eppure, anche Beyond era impregnato di quell'olezzo, ma indubbiamente su di lui creava un altro effetto.  Su di lui la morte pareva un profumo, un aroma reso dolce dalla marmellata di fragole, cibo che egli consumava in grandi quantità.

Ciò che recideva le vite delle sue vittime era il suo sguardo, ipnotico quanto il ticchettio di un orologio. Gli bastava dare un'occhiata sopra la testa delle persone per venire a conoscenza della loro durata vitale ed emettere così il suo «verdetto», proprio come un giudice. Secondo lui erano proprio quei numeri a scandire l'esistenza di un individuo.

Lo stesso B, come lo chiamava Matt abitudinariamente, non sapeva da dove derivasse quello strano potere che gli era stato concesso fin dalla nascita ed eliminava solo gente già destinata a perire; amava definirsi un semplice traghettatore di anime, piuttosto che un banale omicida.

«Secondo te come dovrei comportarmi?» esordì il ragazzo, non ottenendo alcuna risposta da parte del suo interlocutore. Si sfregò il naso contro una manica della sua maglia a righe bianche e nere, soffermandosi poi ad osservare le sue mani, rovinate dai tagli e piene di calli.

Prima di conoscere l'assassino, Matt lavorava quattordici ore al giorno in una fabbrica manifatturiera con dei padroni che lo sfruttavano in maniera a dir poco sdegnosa. Avendo perso i genitori in tenera età, a causa delle malattie che mietevano in continuazione vittime negli strati più bassi della società e delle scarse condizioni igieniche in cui riversava la città, si era dovuto rimboccare le maniche per guadagnarsi un tozzo di pane quotidiano.

Il livello di stress a cui venivano sottoposti i lavoratori era disumano, tanto che Matt non aveva più nemmeno la forza per nutrirsi. Una sera, sulla via del ritorno incontrò Beyond, intento ad uccidere una prostituta. In realtà, non avrebbe dovuto assistere a quella scena, e, sveglio com'era, si aspettava di seguire la donna all'altro mondo.

Impossibile per lui dimenticare i suoi occhi dilatarsi quando incrociò quelli di B: erano di un rosso acceso, lo stesso colore di un bel tramonto, seppur letale.

Tre

Nel momento in cui Beyond si avvicinò a lui, Matt deglutì, mentre gocce di sudore freddo gli imperlavano la fronte. Pareva che quell'uomo si alimentasse della paura altrui.

Due

Con una mano toccò i suoi occhiali da aviatore sistemati sul suo capo: erano un regalo di sua madre e vi era molto affezionato.

Se esiste un aldilà, credo che tra poco ci rivedremo, mamma.

Uno

«Mail Jeevas» lo chiamò il killer apaticamente, giocherellando con il coltello che teneva tra le mani.

«Come fai a sapere il mio nome?» Matt fu sorpreso di quanto decisa e ferma risuonò la sua voce, nonostante la paura che albergava nel suo animo.

Beyond lo studiò per qualche istante, gironzolandogli intorno con fare circospetto.

«Lo vedo, tutto qui. Potresti diventare il mio assistente, se non sei troppo intimidito da me» lo sfidò con un sorrisetto sarcastico stampato sul volto «lascia che ti illustri brevemente ciò a cui andrai incontro qualora volessi tirarti indietro: non ti concederò un minuto di tregua e renderò il tempo che ti resta un Inferno. Ovviamente, questa è solo una delle tante ipotesi» detto questo, scoppiò a ridere sinistramente.

Il suo era un invito o un obbligo? Quella che lui gli offriva era una nuova vita o una fine lenta e colma di agonia?

Tuttavia, Matt decise di accettare, se non altro per continuare a vivere almeno fino a quando B non si sarebbe stancato di lui. Da quel giorno diventò la sua ombra, e si occupò di occultare i corpi privi di vita massacrati dal suo mentore che lo battezzò «Matt» come misura cautelare nei confronti della polizia.

A dispetto della sua aria poco rassicurante, Beyond era un ottimo maestro, e avendo intravisto in Matt un potenziale «successore», gli aveva trasmesso tutta la sua esperienza. Aveva provveduto a fornirgli un'istruzione al di sopra della media, accorgendosi di quanto velocemente imparasse il suo allievo.

Ore e ore passate sui libri a studiare la letteratura e la matematica.

Ore e ore dedicate all'apprendimento delle tecniche fondamentali di combattimento e alla memorizzazione di tutti i vicoli di Londra.

Ore e ore trascorse accanto a lui, a Beyond Birthday.

Il suo salvatore o il suo futuro esecutore? Il suo sogno o il suo incubo?

«Amleto, ormai non posso più nascondere ciò che provo. Persino eliminare qualcuno è più facile che dichiararsi a lui» continuò Matt, accendendosi una sigaretta e voltandosi verso l'interpellato. Amleto era un teschio umano di medie dimensioni, al quale Beyond era stranamente legato e con il quale lui intavolava delle vere e proprie conversazioni .

Si spostò di qualche metro fino a raggiungere il cosiddetto «laboratorio di Beyond». In quello spazio angusto, il suo maestro sperimentava nuovi modi per uccidere; arti, organi, muscoli e quant'altro erano disseminati un po’ ovunque insieme a diverse enciclopedie di medicina. B amava in modo viscerale l'anatomia umana, ed era in grado di elencare ogni singolo osso di uno scheletro, anche il più piccolo ed insignificante.

Matt non sapeva nulla del passato di B: quest'ultimo era piuttosto restio nel parlarne, e quindi non avevano mai approfondito l'argomento, anche se a lui interessava scoprire come mai Beyond avesse votato la sua vita al crimine.

Chissà se prova dei rimorsi nel momento in cui stermina qualcuno. Chi era prima di trasformarsi in uno spietato killer?

Aspirò il fumo, lasciando entrare nelle sue narici l'essenza del tabacco.

«Come cavolo reagirà quando glielo dirò?» stava pensando ad alta voce, e nel frattempo si era appoggiato vicino al camino dentro al quale stava ardendo della legna, che in qualche modo contribuiva ad intensificare l'odore di marcio di cui l'ambiente era pressoché saturo.

«Cosa devi dirmi, Matt?»

La voce pacata di B fece sobbalzare il ragazzo che si affrettò a inventare una scusa credibile. Non si era nemmeno accorto del suo arrivo, tanto era preso dai suoi tormenti sentimentali; probabilmente la conferenza del professor Smith era finita in anticipo.

«Ehm, volevo dirti che i capelli legati in quel modo e gli abiti da aristocratico ti rendono…buffo» gli rivelò, cercando di essere il più naturale possibile.

Beyond si portò un dito sulle labbra, rimirandosi in uno specchio incastonato in una credenza: indossava un completo beige, una camicia bianca e i capelli erano tenuti insieme da un nastro marrone, formando un piccolo codino.

«Effettivamente hai ragione» si spogliò velocemente e gettò senza troppi complimenti i vestiti nel camino, così come aveva fatto con gli abitanti della casa, guardandoli bruciare lentamente. La venatura rossa delle fiamme si era mischiata a quella dei suoi occhi, dando vita ad uno spettacolo surreale e grottesco.

Sembrava che il Male si fosse manifestato tramite B.

«Hai consegnato ciò che ti avevo ordinato, Matt?» gli domandò, mentre recuperava un barattolo di marmellata di fragole e ne leccava avidamente l'interno.

Matt impiegò qualche secondo prima di rispondergli, troppo occupato a fissare il corpo nudo del suo capo e a lottare contro il suo istinto che lo invitava ad approfittarne.

Fortunatamente per lui, Beyond gli aveva insegnato anche l'arte dell'autocontrollo, e prima di compiere qualche azione di cui avrebbe potuto pentirsi, Matt contò almeno fino a cento, riacquistando infine la consueta calma.

B era divenuto indispensabile tanto quanto le sue inseparabili sigarette.

B lo aveva catturato nella sua morsa.

B lo stava inconsapevolmente perseguitando.

«Certo, è tutto a posto»

Sentendo quelle parole, Beyond sorrise trionfante, preparandosi ad attuare la seconda parte del suo piano: la sua sfida con Lawliet era appena iniziata.

 

 

 

 

 

FE SCRIVE…

Salve a tutti, eccomi di ritorno con un nuovo aggiornamento de “Lo Strano Caso” ^^ chiedo venia se ho impiegato tanto tempo ad aggiornare, ma è periodo denso di impegni e vengo da una settimana non proprio bella, comunque spero vivamente che queste pagine siano all'altezza delle vostre aspettative>__<

Dunque, questi primi capitoli saranno puramente introduttivi, ma servono per farvi inquadrare bene i personaggi. Stavolta Matt ci ha svelato qualcosina sul suo passato e su B, non mi sono soffermata più di tanto su questi aspetti per poterne parlare più avanti: mi piace svelare le cose man mano, per cui questo è solo un antipasto^^

Soprattutto per quanto riguarda il rapporto tra Matt e B verrà specificato in un determinato momento.

Ah, il nome del teschio "Amleto" è un'opera alla famosissima opera di Shakespeare^^

Passo subito a ringraziare coloro che hanno recensito*___*

Nuit: l'omicidio di Penber non è collegato a Light, non avevo proprio pensato che anche in quell'occasione avesse visto il suo assassino in faccia XD  spero che tu possa apprezzare la storia in sé, al di là dei pairings ;)  grazie, e un bacio!

redseapearl: per la comparsa di Mello e Near ci sarà da aspettare ancora un pochino, abbi fede XD mi fa piacere che il mio stile ti piaccia, lo sto adattando il più possibile all'epoca per conferire quel tono «vittoriano» alla storia^^ Inoltre, ci tenevo particolarmente a ringraziarti per aver commentato la mia fic «Tornado», ormai avrai intuito che ho una particolare predilezione per Beyond Birthday e mi diverto ad immaginare quale fosse il suo rapporto con A (seppur non sia mai stato descritto dall'autore del romanzo o dai due autori di Death Note). Non lo so, ma me li immagino un po’ come il giorno e la notte, ecco XD

Ti ringrazio ancora tanto, e posso dirti che tornerei a Barcellona anche domani se potessi XD Un bacio!

Aya Lawliet: che bello, una nuova lettrice!*___* sono felice che la storia sia di tuo gradimento (grazie per averla inserita tra le seguite) e posso anticiparti che tra due capitoli ci sarà il fatidico incontro tra L e Misa, ho già pianificato tutto *risata alla Kira* sto cercando di rendere l'ambientazione il più realistica possibile e di mantenere i caratteri dei personaggi fedeli agli originali^^ Grazie, e un bacio! Forse mi sbaglio, ma tu sei la stessa  persona che ha indetto il contest riguardante le citazioni prese dai libri di Faletti?^.^

Un mega grazie anche a chi a letto soltanto, spero che la storia vi appassioni^^Eventuali commenti (sia positivi che negativi), segnalazioni di errori o quant'altro sono sempre ben accetti.

Prima di salutarvi, una piccolo «coming soon»: nel prossimo capitolo l'incontro tra Light ed L!

A presto

 

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Capitolo 4
*** Third Crime-The Meeting ***


“The Albatross fell off, and sank

Like lead into the sea.”[1]

Dopo aver scandito ad alta voce quelle ultime righe, partorite dalla mente di uno dei suoi scrittori preferiti, Naomi Misora chiuse con decisione il tomo dalla copertina dorata che aveva tra le mani, colta da una certa inquietudine. Per ingannare il tempo, si era tuffata nella lettura, non accorgendosi della luce del sole che filtrava attraverso le imposte verde pistacchio della camera.

A dire il vero, ogni qualvolta Raye doveva affrontare una missione particolarmente pericolosa, lei non poteva fare a meno di preoccuparsi per il suo fidanzato e di restare sveglia tutta la notte. Al suo ritorno, si faceva sempre raccontare tutti i dettagli, degli incarichi che gli venivano assegnati. Persino quelli più insignificanti.

Purtroppo, lei non aveva molte occasioni per uscire, perché, secondo le – a suo parere ingiuste- convenzioni dell’epoca, le donne dovevano dedicarsi unicamente al focolare o alla vita mondana, che lei disdegnava cordialmente. Di sicuro la vita da “soprammobile” non faceva per lei, che era sempre alla ricerca di un modo per mettere alla prova se stessa.

Ai balli in maschera o ai pettegolezzi dei salotti aristocratici, lei preferiva l’azione, i duelli e la lotta contro il crimine in generale. Così come il suo futuro marito, anche lei credeva fermamente nella Giustizia, e sperava ardentemente che il killer che aveva insanguinato le strade di Londra finisse presto in prigione, come meritava.

Stufa di quell’attesa logorante, appoggiò il libro su un comodino in mogano, situato alla destra del letto matrimoniale dove era sdraiata, dopodiché si alzò in piedi e si rimirò per qualche secondo allo specchio.

Cercò di ripassare mentalmente i precetti di suo padre, un comandante di marina che nella sua carriera militare poteva vantare numerosi successi e medaglie, che le aveva insegnato ad anteporre la ragione ai sentimenti. Era già successo, in passato, che Raye trascorresse la notte in commissariato ad indagare, e tornasse la mattina seguente.

Tuttavia, le parole di Coleridge le vorticavano ancora in testa come un mantra, quando all’improvviso, uno scampanellio attirò la sua attenzione.

C’è qualcuno… pensò la donna, aprendo velocemente un cassetto del mobile dedicato alla toilette ed estraendone un piccolo pugnale, che si infilò prontamente sotto il tulle. Si soffermò un attimo a guardare il carillon che le aveva regalato la madre, un oggetto che nella sua famiglia si tramandava di generazione in generazione, e si sentì quasi colpevole, nel constatare che aveva infranto la promessa che aveva fatto alla sua genitrice.

Mi raccomando, Naomi quando sarai a Londra, niente più armi, intesi? Devi occuparti di Raye come si addice ad una signora dell’alta società.

Se avesse saputo che occasionalmente tirava di spada o si esercitava con la pistola di ordinanza di Penber, le sarebbe venuto un infarto.

Senza perdere tempo, ed evitando di naufragare nel mare dei suoi ricordi, si diresse al piano inferiore, scendendo le scale con qualche difficoltà a causa del lungo abito color antracite che indossava dalla sera precedente. Tramite lo spioncino cercò di guardare chi si celasse al di là della porta, ma non vedendo nessuno, sbloccò la serratura e si affacciò sull’uscio.

Accucciato su un gradino, vi era un ragazzo, di qualche anno più giovane di lei, con i capelli legati in un codino e gli occhi di un rosso intenso, a dispetto dell’espressione vuota che aleggiava sul suo volto emaciato.

«Good morning, Miss Misora. Il comandante Yagami mi ha incaricato di riferirle che un’ora fa è stato ritrovato il cadavere del suo fidanzato, Raye Penber, in un vecchio zuccherificio in disuso. Pare sia opera del famigerato serial killer.»

“The Albatross fell off, and sank

Like lead into the sea.”

Non riusciva, o meglio, non voleva crederci.

Raye era morto.

Non avrebbero più potuto sposarsi e passare il resto della loro vita felici, magari con qualche pargolo ad allietare le loro giornate, come una vera famiglia. Per un attimo nella sua mente si materializzò il volto dell’ormai defunto compagno che le sorrideva pacatamente.

Non sarebbe più tornato. Mai più.

Naomi fu costretta ad appoggiarsi allo stipite della porta per non scivolare a terra; quella notizia inaspettata creò in lei uno strano miscuglio di sensazioni: angoscia, tristezza, dolore che, in un secondo tempo, vennero soppiantate dalla rabbia.

Un paio di lacrime sfuggirono al suo controllo e le bagnarono gli zigomi, ma l’integerrima Misora se le asciugò prontamente, determinata a non soccombere alla disperazione. L’omicidio di Raye non doveva restare impunito e doveva essere vendicato.

«Come ti chiami, ragazzo?» la voce le tremava leggermente, nonostante lei tentasse di controllarsi e di mantenere un certo rigore.

Il ragazzo si portò un pollice sulle labbra, mordicchiandolo, e inclinò la testa di lato in modo talmente innaturale da sembrare un pupazzo rotto.

«Io sono B, miss Misora

Naomi lo esaminò piuttosto scettica, indecisa sul da farsi: dopotutto, rimaneva pur sempre uno sconosciuto, e la sua indole sospettosa la portava ad esibire una certa diffidenza nei confronti del prossimo.

Senza contare che quel B era inquietante tanto quanto il mostro di Loch Ness, decantato nelle leggende della sua amata Scozia.

Lo avrebbe tenuto d’occhio e lo avrebbe usato per ottenere informazioni riservate solo ai membri della polizia.

Sì, quel piano poteva funzionare, e quel B pareva una pedina abbastanza plasmabile, vista la sua aria poco sveglia.

«Devo chiederti una cosa, B.» gli occhi di Naomi acquistarono una nuova luce, che non sfuggì al serial killer che le stava di fronte.

                                  

                                                                                                           *

« Non vedo l’ora di riabbracciare Nate!» squittì la contessa Linda Middleford[2], congiungendosi le mani e beccandosi un’occhiataccia da Mrs Cohen, la sua severa precettrice che sedeva di fianco a lei nella carrozza.

Linda sbuffò e si concentrò sui dolci declivi del Devonshire che si stagliavano all’orizzonte: quel panorama mozzafiato riusciva sovente a trasmetterle buonumore e a farle dimenticare i problemi che la assillavano quotidianamente.

Il fidanzamento che le era stato imposto dai suoi genitori adottivi incombeva prepotentemente tra i suoi pensieri, e per questo aveva deciso repentinamente di andare a fare visita al duca River, colui che amava sin dalla più tenera età.

Lo scalpiccio degli zoccoli dei cavalli e gli incitamenti di Mr Johnson, il vecchio cocchiere, erano gli unici elementi di disturbo in quel posto così tranquillo. Passarono sopra ad un piccolo torrente che scorreva placidamente e raggiunsero il sentiero sterrato di un bosco.

Spero che Nate gradisca il mio regalo pensò la ragazzina, rigirandosi tra le mani un pacchetto bianco, chiuso da un fiocco azzurro. Aveva passato ore e ore nell’emporio di suo zio a scegliere un regalo adatto a Nate, e infine aveva optato per un nuovo gioco chiamato “domino”, importato dalla Cina.

Benché avesse diciannove anni, il duca River aveva conservato una singolare infantilità e un attaccamento smodato verso i giocattoli, di cui amava circondarsi.

Il nitrito dei puledri accompagnato dalle urla di Mr Johnson che cercava, invano, di tranquillizzarli, e il conseguente sbandamento della carrozza, distolse Linda dalle sue riflessioni.

Non fece nemmeno in tempo a comprendere ciò che stava accadendo, che si ritrovarono circondati da una banda di briganti.

Uno di loro, presumibilmente il capo, avanzò verso il finestrino e la scandagliò con i suoi occhi freddi e ostili.

Crack.

Il rumore di una tavoletta di cioccolata fondente che si infrangeva fu l’inizio dell’incubo di Linda.


 


[1] Strofe della celebre ballata “The Rime Of The Ancient Mariner” (1798) di Samuel Taylor Coleridge. Riporto qui di seguito la traduzione: “L’albatross precipitò, e affondò come piombo nel mare”.

[2] Cognome di Elizabeth Middleford dell’anime Kuroshitsuji. Se non ricordo male, anche lei in un episodio va a trovare Ciel in carrozza, in occasione del suo compleanno, se non erro.

 

FE SCRIVE...

Sono imperdonabile, lo so.

Chiedo scusa per il ritardo mostruoso con cui posto questo capitolo, che ho scritto e riscritto non so quante volte, modificando addirittura gli eventi che avvengono in esso. Vorrei specificare che ho volutamente tralasciato di descrivere i comportamenti di alcuni personaggi, perchè vorrei farveli conoscere man mano.

Ringrazio tantissimo chi ha recensito lo scorso capitolo:

redseapearl: non ho mai visto Jack lo Squartatore perchè sono una fifona cronica^^" spero che tu abbia gradito il riferimento a chi compare nel finale e che l'evolversi della storia possa in qualche modo incuriosirti^^

Ninive Shyal: ti ringrazio, cerco sempre di mantenere IC i personaggi, per la comparsa di L dovrai pazientare ancora un pochino^^

Feel Good Inc: ammetto di avere una certa predilizione per i crack pairing e Matt e B mi piacciono tanto insieme, benchè sarà un amore a senso unico^^

Irene Kirsh: uh, uh anche Amleto ha una fanXD mi auguro che la storia sia sempre gradevole^^

DANYDHALIA: ti dirò, nemmeno io sono mai stata a Londra, ahimè^^" la storia è solo vagamente ispirata al celebre romanzo di Stevenson ;)

Ringrazio chiunque vorrà lasciare una traccia del suo passaggio (le vostre recensioni mi fanno sempre un piacere immenso <3) e mi scuso nuovamente per il ritardo dell'aggiornamento *inchin* e grazie anche a chi legge soltanto^^

Ci si legge tra le pagine di "Turning Point"

Fe

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Capitolo 5
*** Fourth Crime-Exchange ***


Erano le dieci e un minuto quando Light Yagami, giovane e avvenente avvocato dalla parlantina ammaliante, mise piede nella rinomata coffee house di Old Bond Street. Il suo fascino orientale, che si discostava parecchio dai canoni inglesi dell’epoca, catturò subito l’attenzione di tutte le dame presenti nella sala, che, nascoste dietro ai loro ventagli commentavano con malizia l’entrata in scena del ragazzo.

Light, avvezzo a quel genere di attenzioni, si limitò ad esibire uno dei suoi sorrisi “pre-confezionati” (ottenendo come risposta dei sospiri estasiati) e ad accomodarsi su uno sgabello in legno, adiacente al bancone del locale. Il fruscio degli abiti eleganti delle nobildonne, ingioiellate fino alla punta dei capelli, le loro risatine composte e mai eccessive, l’odore di inchiostro proveniente dai quotidiani che stavano sfogliando i gentiluomini accompagnato dall’invitante aroma del caffè erano elementi peculiari che caratterizzavano quel posto raffinato, frequentato dalla maggior parte dell’aristocrazia londinese. Era un vero e proprio circolo culturale e letterario, dove le persone si scambiavano idee o instauravano discussioni riguardo agli argomenti più “caldi” del momento.

Non sopporto quelle bisbetiche pensò tra sé e sé il rampollo della famiglia Yagami, già obbligato dalla madre a frequentare i più rinomati salotti della capitale anglosassone e, indirettamente, a sorbirsi le avances delle figlie dei proprietari di casa.

Light faceva parte della cosiddetta middle class, una classe sociale che soverchiava le convenzioni adottate fino a quel tempo e portatrice di cambiamenti in quell’epoca statica. Egli era un fervente fautore della teoria dell’evoluzione della specie ideata da un famoso biologo britannico che promulgava la sopravvivenza degli individui maggiormente sviluppati (only the fittest[1]).

E Light si considerava tale, uno dei pochi eletti a poter ambire a una posizione di successo, dove non vi era spazio per nient’altro, oltre al proprio mestiere.

Lui voleva vincere ad ogni costo e con ogni mezzo.

Era semplicemente perfetto, ed ogni sua mossa, ogni sua parola, ogni suo gesto era calcolato in base a colui o colei che si trovava di fronte; la sua specialità era infatti quella di studiare le sue “prede”, e di affondarle con garbo e astuzia, raggiungendo livelli di meschinità non indifferenti. Si era sempre rivelata una strategia vincente che, però, l’aveva portato a farsi nemici, soprattutto nel suo campo, che non vedevano l’ora di potersi vendicare delle onte subite.

Alcuni gli avevano addirittura affibbiato il nomignolo di “Iago”, celebre personaggio shakespeariano, noto per la sua infamia.

Cosa si celava dietro a quell’eccellenza? Era un mero specchio per le allodole o era quello il suo vero carattere?

Nessuno aveva mai potuto approfondire questo aspetto, in quanto Light era piuttosto restio a mostrarsi per quello che era al prossimo; così come nessuno era al corrente dei motivi per cui la sua famiglia si era trasferita in Inghilterra dal Sol Levante.

Si vociferava che la causa fosse l’improvviso malore di una prozia della mamma di Light, rimasta sola al mondo e bisognosa di cure che Sachiko si era offerta di prestarle.

Ormai era trascorso un anno dal loro arrivo a Londra, e dall’insediamento di Soichiro Yagami come comandante della polizia cittadina. Nel frattempo, il figlio aveva aperto un piccolo ufficio, dove esercitava la sua professione. Inizialmente, i cittadini erano un po’ restii ad affidarsi a uno sconosciuto, principalmente per un fattore di inesperienza dovuta all’età. Tuttavia, dovettero ricredersi vedendo Light all’opera in un’aula di tribunale: la sua scioltezza e la sua impeccabile dialettica erano diventate l’incubo degli avvocati rivali.

Light sosteneva fermamente che era stata l’inadeguatezza dei suoi concorrenti a conferirgli il monopolio della città.

Ad un tratto, un ragazzo dai lunghi capelli neri si sedette accanto a Yagami, intento a sorseggiare del caffè appena servitogli da un’avvenente cameriera. Teru Mikami era un ex delinquente, di cui Light aveva preso le difese sei mesi prima, e lui, per dimostrargli la sua riconoscenza, gli faceva da informatore.

«Mi dispiace, non ho notizie di vostra sorella.» si scusò questi, sistemandosi gli occhiali ripetute volte, quasi come se fosse un tic nervoso.

Razza di incapace.

«Non importa, grazie lo stesso, Mr.Mikami.» ribatté Light telegrafico, alzandosi e domandando al proprietario di preparargli un sacchetto di croissant freschi alla marmellata di albicocche. Dopo qualche minuto, pagò sia le brioches che la sua spia, abbandonando poi il locale.

Non ho altra scelta…devo rivolgermi ad L.

                                                                                                                           *

Nel frattempo, al numero venticinque di Kensington Road, L Lawliet stava degustando in una pregiata tazzina un nuovo tipo di tè importato direttamente dalle Indie, l’Honey Cream Tea. La panna e il miele mischiati al tè creavano un connubio delizioso, specialmente se addolciti ulteriormente da una manciata di zollette di zucchero. Accucciato sulla sua poltrona preferita, il detective più famoso dell’intero arcipelago inglese (e non solo) stava scorrendo il giornale che riportava in prima pagina, a caratteri cubitali, l’omicidio del poliziotto Raye Penber.

«Ecco qui i tuoi scones[2], L.» proclamò Watari, il suo maggiordomo tuttofare, servendogli i dolcetti su un vassoio d’argento. Quillsh Wammy, soprannominato “Watari”, era un poliedrico inventore che aveva contribuito alla progettazione del filatoio idraulico, una scoperta che non favorì solamente il campo tessile, bensì promulgò innovazioni in tutto il settore industriale, procurando lavoro ai più bisognosi.

Quel distinto signore aveva persino preso sotto la sua ala protettrice L, rimasto orfano in tenera età, intravedendo in lui un enorme potenziale.

Una volta diventato il suo tutore, iniziò ad istruire il suo pupillo che possedeva già un elevato quoziente intellettivo: ogni qualvolta risolveva i casi che lui stesso gli sottoponeva, lo premiava con una caramella, un pasticcino o un pezzo di torta, scoprendo così la passione del bambino per i dolci, di cui ora L non poteva più fare a meno.

Dichiarava sovente che i dolci lo aiutavano nelle sue indagini, così come la postura tutt’altro che corretta che assumeva per la maggior parte del tempo.

L era diventato come un figlio per lui, e sebbene il detective fosse tendenzialmente refrattario a mostrare i suoi sentimenti, sapeva che il suo affetto era ricambiato.

Quel ragazzo era una sorpresa continua e Watari non si stancava mai di vederlo all’opera, circondato da scartoffie e libri di ogni sorta, utili per le sue ricerche. Infatti, la loro biblioteca vantava un’enorme quantità di testi, provenienti da tutto il mondo,e tra di essi ve ne erano taluni di difficile reperimento addirittura per i collezionisti o gli intellettuali.

«Ti ringrazio, Watari. C’è dell’altro?» gli domandò con voce smorta, prendendo tra l’indice e il pollice uno scone, per poi esaminarlo minuziosamente.

«Sì, stanotte qualcuno deve aver lasciato questo biglietto nella nostra cassetta delle lettere.» gli spiegò il maggiordomo, passandogli il pezzo di carta in questione che L afferrò prontamente, una volta ingurgitato il dolcetto. Inclinò la testa a destra e sinistra con un movimento talmente meccanico da sembrare un pupazzo animato.

«Deduco che è stato scritto con del sangue, ed esaminando ad occhio nudo il suo stato di secchezza, posso stimare che la vittima sia stata uccisa non più di dieci ore fa. Inoltre, c’è l’85% di possibilità che sia proprio di Raye Penber. Vorrei che in seguito lo analizzassi con maggiore accuratezza per verificare la presenza di altri indizi, grazie.»

L rimase in silenzio qualche istante, con lo sguardo perso nel vuoto. In realtà, egli era già a conoscenza del nome dell’assassino.

L’ideale di Giustizia che perseguiva Lawliet e che lo rendeva ineccepibile di fronte al popolo londinese, doveva trionfare anche in quel caso.

Anche se vi era implicato il suo “migliore amico”.

Con il passare degli anni, L aveva imparato che nel suo mestiere non c’era spazio né per le emozioni, né tantomeno per l’amore o frivolezze del genere; solamente la freddezza e la lucidità consentivano alla ragione di operare efficientemente.

«Tuttavia» continuò il giovane Lawliet, sfoggiando un sorrisetto enigmatico «ciò che mi ha colpito sono le parole di questo messaggio.»

Il giudizio finale sta per essere emesso. Nessuno può emendarsi dal peccato che scorre nelle vene.[3]

Gli venne istantaneo scrutare un dipinto appeso sopra ad un camino, dove il fuoco crepitava vivacemente.

Quel quadro raccontava parte del suo passato.

Un passato non troppo lontano.

                                                                                                                       *

                                                                                                          Two days later, Devonshire.

«Ehi, voi! Lasciatemi uscire subito!» sbraitò Linda, dando un poco elegante calcio contro la porta in ferro battuto della prigione in cui era stata rinchiusa. Quel ragazzo biondo, di cui ignorava ancora il nome, l’aveva letteralmente trascinata giù dalla sua carrozza e l’aveva bendata per impedirle di vedere dov’erano diretti, e, successivamente, l’aveva persino legata come un salame.

Chissà come stanno Mr Johnson e Mrs Cohen, spero che non abbiano fatto loro del male, dato che, a quanto pare, il loro obiettivo ero io.

Linda si alzò sulle punte dei piedi, cercando invano di dare una sbirciata oltre la finestra con le sbarre che stava qualche metro sopra di lei. A parte le rozze risate della banda e al suono sgraziato di un’armonica, non si udiva nient’altro di interessante.

La contessa si rannicchiò al centro di quella stanza spoglia, sentendo improvvisamente delle lacrime pizzicarle gli angoli degli occhi. Era spaventata e l’idea di essere lontana da casa sua, in mano a dei perfetti estranei, la rendeva tremendamente inquieta.

Cosa potevano volere da lei? Un riscatto dalla sua famiglia adottiva?

Quanto avrebbe voluto che Nate fosse lì, a farle coraggio, o a trarla in salvo.

Era conscia del fatto che il suo fidanzato non era un principe azzurro, e che per lui, lei valeva meno dei suoi adorati giocattoli. Non doveva farsi troppe illusioni sul suo conto, però sperava che si fosse almeno accorto della sua repentina scomparsa.

Voleva essere ottimista e credere che Nate si fosse rivolto alla polizia e avesse denunciato il suo rapimento.

Sì, Nate sarebbe accorso in suo aiuto.

Ad un tratto, il cigolio della porta la strappò dalle sue riflessioni. Si asciugò rapidamente le lacrime con il fazzoletto di pizzo che soleva portare nella tasca destra del suo vestito: conservava ancora il suo inesauribile orgoglio che le vietava di mostrarsi debole davanti a chicchessia.

«Buonasera, Miss Middleford.» la salutò una ragazza che all’apparenza sembrava più giovane di lei. Fece un leggero inchino e appoggiò un piatto di minestra e un cucchiaio sul pavimento. Portava i capelli color nocciola legati in un fiocco rosa confetto, e a giudicare dalla sua aria sbarazzina, non era minimamente preoccupata di vivere insieme a quel branco di cialtroni. «Vi conviene consumarla in fretta, altrimenti si raffredderà. Oh, che sciocca…mi sono dimenticata di slegarVi, provvedo subito.»

Visto il suo portamento e il suo modo di parlare, questa ragazza deve aver ricevuto un’educazione rigida. pensò Linda, mentre l’altra la privava delle corde.

La contessa si massaggiò i polsi e fissò la zuppa, indecisa sul da farsi: per quanto ne sapeva, poteva anche essere avvelenata, ma un ostaggio morto non avrebbe fatto comodo ai banditi. Infine, si decise a prendere il cucchiaio e ad assaggiarne un po’; non era paragonabile alla minestra che le preparava la sua cuoca personale, comunque era passabile.

«L’avete preparata Voi?»

«Sì, immagino che non sia un granchè…Mello e gli altri mi dicono sempre che, essendo tendenzialmente sbadata, non sono portata per la cucina e le faccende domestiche. Ah, io sono Sayu, molto lieta di fare la Vostra conoscenza.»

«Suppongo di non avere bisogno di presentazioni.» controbatté Linda, ridacchiando. Era ironico che riuscisse a scherzare in una situazione tanto pericolosa. Probabilmente, quella presenza femminile l’aveva in qualche modo rassicurata e tranquillizzata. «Sayu, siete stata rapita anche Voi?»

«No, affatto. Io…» temporeggiò l’interpellata, abbassando il capo per poi rialzarlo dopo qualche istante. «sono scappata di casa.»

«E come mai, se non sono indiscreta?»

Le labbra di Sayu si incresparono in un meraviglioso sorriso, e solo in quel momento Linda comprese il perché di quel folle gesto.

«Perché sono una donna innamorata. Proprio come Voi, Linda

                                                                                                                           *

«Dobbiamo agire alla svelta! La vostra fidanzata corre un grave pericolo!» asserì Stephen Gevanni con tono cupo, volgendosi verso il suo padrone e fissandolo stranito «signorino Nate, mi state ascoltando?»

Chiunque avesse visto il duca River per la prima volta, non gli avrebbe dato più di dodici anni: benché ne avesse ormai diciannove, i lineamenti del suo volto conservavano ancora i tratti tipici della fanciullezza e nemmeno la sua statura lo aiutava ad essere considerato adulto.

Come se non bastasse, amava circondarsi di giocattoli, e questo suo atteggiamento lo rendeva in tutto e per tutto simile ad un bambino cresciuto. Eppure dietro questo suo aspetto ingannevole, si celava un ragazzo autoritario che racchiudeva in sé le doti di un leader.

Nate ricambiò lo sguardo del suo capo-maggiordomo con poco interesse, trovando più stimolante rimirare i giri ellittici che stava compiendo la sua trottola.

«Near, se mi permetti, sono d’accordo con Gevanni. Sono già trascorsi due giorni dalla scomparsa di Miss Middleford.» Anthony Lester, il suo tutore legale, si schiarì la voce prima di esporre la sua opinione. Era l’unico che si rivolgeva a lui in maniera confidenziale, in quanto si era occupato di lui fin dalla sua nascita.

Near era un soprannome che gli aveva affibbiato proprio lui, ed era l’acronimo degli elementi distintivi che componevano il suo carattere.

Neat. Geniale. Fin da piccolo, il duca aveva dato prova di possedere delle spiccate capacità nella sfera della logica e della deduzione. Un genio non era solamente colui in grado di risolvere con prontezza dei calcoli matematici complessi; no, un genio era molto di più: era una persona in grado di rendere speciali anche le cose ovvie.

Eccentric. Eccentrico. Solitamente, coloro che si distinguevano per particolari abilità venivano etichettati come individui stravaganti, e Nate non era certo un’eccezione. La sua smisurata passione per i giocattoli o per i lavori manuali con la carta era una prova tangibile. Tutti si chiedevano come quel ragazzino potesse amministrare con solerzia l’ industria dolciaria “River”, famosa in tutta la Gran Bretagna. Eppure, il duca detestava i dolci.

Apathetic. Apatico. Nate era semplicemente indifferente a tutto ciò che accadeva intorno a lui; si limitava a dare disposizioni riguardo alla sua fabbrica, e si disinteressava completamente del resto. Questo lato della sua personalità tendeva ad isolarlo dagli altri nobili della zona che, ottenendo solo rifiuti agli inviti ai balli che davano nelle loro sontuose abitazioni signorili, non l’avevano più contattato. Il duca non aveva legami con il mondo esterno, a parte qualche sporadica visita della sua fidanzata, ma lui pareva non sentire la necessità di instaurare alcun tipo di rapporto con gli altri.

Restless. Senza riposo. Era pressoché raro scorgerlo appisolato e tra i suoi servitori si mormorava che dormisse poche ore al mese.

Quando la trottola si bloccò, Near abbandonò la sua postazione e, tramite l’ausilio di una brocca, verso dell’acqua fresca di sorgente in un catino, ubicato vicino al suo letto a due piazze. Si sciacquò fiaccamente il volto niveo, asciugandoselo poi con la stessa lentezza.

«Sto aspettando.» esclamò con voce priva di inflessioni, arricciandosi una ciocca di capelli intorno all’indice.

«Che cosa state aspettando? E’ nostro dovere avvertire le forze dell’ordine, vi rammento che…» Gevanni non fece in tempo a terminare la frase che la porta della stanza del duca si spalancò, o meglio, venne scardinata da uno degli stivali di un inatteso visitatore.

Mihael Keehl, noto ai più come “Mello”, si era fatto strada a modo suo, ovvero tramite l’arroganza che lo contraddistingueva e con le armi che tanto amava, nella tenuta dei River. Implacabile come un carro armato, Mello metteva sempre se stesso in prima linea e non si arrestava dinnanzi a nessuno.

«Dovresti addestrare meglio i tuoi cani da guardia, duca.» sibilò l’ultima parola con cattiveria e riservò al nobile uno sguardo colmo d’odio. Finché il Signore gli avesse concesso anche un solo briciolo di vita, lui avrebbe portato avanti la sua causa.

Lo aveva giurato sulla tomba dei suoi famigliari.

«Come osi rivolgerti in questo modo irriguardoso al duca?! Chi sei?» gli domandò Gevanni che, spalleggiato da Rester, cercò di bloccare la sua avanzata verso il loro protetto.

«Fermatevi.» ordinò Nate con voce monocorde, mentre puntava le sue iridi nere come l’inchiostro in quelle azzurre di Mello. I due servitori si bloccarono all’istante e rimasero in attesa di una mossa da parte di Near.

«Immaginavo che sareste venuto qui, anzi, a dire il vero, Vi stavo proprio aspettando.» esordì il duca pacatamente. Quella dannata calma ostentata dal suo nemico faceva ribollire il sangue nelle vene a Mello che, a differenza del giovane River, aveva un temperamento decisamente più irruento. «Dovrete pagarmi i danni arrecati alla porta.»

Mello strinse con forza l’involucro della tavoletta di cioccolata che aveva terminato poco prima: quel bastardo si stava divertendo a prenderlo in giro, o ancora peggio, a metterlo alla prova. Era come se l’altro lo sottovalutasse, ed era questo ciò che lo faceva maggiormente arrabbiare.

«Non fare lo spiritoso!» tuonò Mello intimidatorio, estraendo la sua fedele pistola dalla cintura e puntandogliela contro «sono venuto fin qui per proporti uno scambio. Lascerò libera la ragazza, se tu prenderai il suo posto…allora, duca cosa ne pensi?»

 


[1] “solo i più adatti” http://en.wikipedia.org/wiki/Survival_of_the_fittest

[2] http://it.wikipedia.org/wiki/Scones

[3] Frasi in italiano cantate dal coro dell’opening dell'anime «Umineko». Se volete ascoltarla: http://www.youtube.com/watch?v=A0BbSBUTgLQ

 

FE SCRIVE:

Rieccomi prima del previsto!^^

Allora cosa ne pensate di questo capitolo? Ammetto che l’ho curato più del solito e spero che non l’abbiate trovato noioso e pesante>__<

Sicuramente, le parti più difficili da scrivere sono state quella di Mello e Near e quella di L (spero di averli mantenuti IC) , perché per me sono personaggi difficili da destreggiare.

L’altra volta mi sono dimenticata di specificare una cosa importante, e mi auguro di non avervi confuso: ciò che sta avvenendo a Londra e ciò che sta accadendo nel Devonshire sono due cose ben distinte. Mello non è un complice o una spia di B, ma agisce per conto proprio. Ecco, volevo che questa cosa fosse chiara, onde evitare possibili fraintendimenti XD E  non temete, anche Mello avrà il suo momento^^

Come dicevo prima, per scrivere la parte di Near mi sono concentrata più del solito e ho messo il suo theme come sottofondo musicale, e devo dire che mi ha fornito parecchia ispirazione!XD Inoltre, ho immaginato Gevanni nei panni di Sebastian e ammetto che sarebbe fortissimo sentirlo dire. “Yes, my Lord” oppure “sono un diavolo di maggiordomo” XD Ok, scusate, forse sto un po’ delirando^^”

Senza perdere altro tempo, passo subito a ringraziare le persone che hanno recensito lo scorso capitolo. Un mega grazie anche a chi legge soltanto, spero che anche voi gradiate la mia storia^^

FeelGoodInc: grazie per tutti questi complimenti, sono davvero felice che la mia fic ti piaccia! Cerco sempre di dare il meglio in ogni capitolo, e quando vedo un lettore entusiasta, faccio i salti di gioia perché vuol dire che sono riuscita nel mio intento XD Spero che l’entrata in scena di L, Mello e Near ti piaccia^^

redseapearl: ebbene sì, ci hai azzeccato, complimenti per la tua capacità deduttiva!XD Però, attenzione! Non posso dire altro :P spero che questo aggiornamento “polposo” possa risultare in qualche modo avvincente.

Irene Kirsh: non scusarti assolutamente del ritardo, cara; anche io sono molto occupata in questo periodo, e credo che da lunedì lo sarò ancora di più, ma prometto che recensirò le cose che mi sono lasciata indietro>__<  il momento di Near è giunto, goditelo!XD

DANYDHALIA: non scusarti del ritardo e non mi hai affatto annoiato, anzi è bello interagire con i propri lettori>__< come ho detto sopra, Mello non c’entra niente con B, anzi vive da tutt’altra parte :P Volevo, inoltre, rassicurarti di una cosa: Linda non morirà, per cui puoi stare tranquilla XD Terrò presenti i tuoi suggerimenti, al momento per Mello ho altri piani, ma non si può mai sapere…visto che la trama della storia è in continua evoluzione^^

Thank you anche a chi ha inserito la storia in una delle tre liste e grazie anche a KiaElle per avermi inserito tra gli autori preferiti>//<

Last but not least, un ringraziamento speciale va a Daniela, una delle mie “allieve”, che mi ha permesso quest’ampio ripasso della letteratura inglese. Se dovessero esserci delle inesattezze, segnalatamele pure, vi dico che alcune sono state rese tali ai fini della trama^^

See you soon!

 

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Capitolo 6
*** Fifth Crime-The Second Victim ***


 

 

«I ricordi hanno una loro vita e una loro forza che spesso supera la nostra stessa volontà. Siamo noi ad appartenere ai nostri ricordi, più che loro ad appartenere a noi: ci divorano.»  (M. Eisenberg)

 

Beyond Birthday osservava la donna che aveva di fronte ad occhi spalancati.

Non era così che doveva andare.

A lui piaceva crogiolarsi nel dolore altrui, arrecare sofferenza al prossimo ed ergersi a simbolo del male, tuttavia Naomi Misora pareva non essersi “piegata” al suo tacito volere. Quando poco prima le aveva fatto visita e le aveva comunicato personalmente del ritrovamento del cadavere del suo fidanzato, Raye Penber, la nobildonna non era scoppiata a piangere come una fontana (com’erano invece solite fare le altre rappresentanti del gentil sesso quando, ad esempio, perdevano il proprio uomo in guerra o si spezzavano un’unghia), bensì aveva mantenuto un portamento composto e fiero, degno di qualsiasi statua del periodo ellenico.

Probabilmente era stata educata in quel modo dai genitori, oppure era lei stessa a non voler sbandierare pubblicamente la propria sofferenza. Il dolore è un sentimento molto intimo e a volte si radica nell’animo come un’edera difficile da estirpare, così come ci sono diversi modi di manifestarlo, e B aveva optato per quello più cruento. Inizialmente, un flebile senso di colpa nei confronti delle sue vittime fungeva da campanello d’allarme, suggerendogli di smettere di compiere quelle atrocità, poi però era stato surclassato dall’odio e dal rancore che dettavano ogni sua azione. Veder scorrere sangue non lo aveva mai deliziato come in quel periodo; il sapore acre e metallico di quel liquido rosso lo mandava in estasi come una di quelle creature immaginarie chiamate “vampiri”, partorite dalla mente di qualche scrittore sotto l’influsso dell’oppio.

Beyond era quello che i medici dell’epoca denominavano “malato mentale”.

Tuttavia,  non era sempre stato così.

 C’era stato un tempo, ormai remoto, in cui aveva provato un sentimento simile all’amicizia.

C’era stato un tempo in cui una persona riusciva a calmarlo e a farlo desistere dai suoi propositi al limite della moralità.

C’era stato un tempo in cui poteva affermare di aver vissuto dignitosamente.

Da quando si era trasformato in un pazzo omicida che si diverte a sperimentare nuovi metodi per torturare e uccidere degli innocenti?

Il suo cervello altamente sviluppato elaborò in pochi istanti la risposta: da quando A era morto, o meglio, da quando L aveva mandato A incontro a morte certa.

La scomparsa di A era stata come una sorta di blackout: aveva perso l’unica persona che si preoccupasse davvero di lui. L’unico che sapesse come placare la sua furia e che lo avesse accettato per quello che era.

Da tempo immemore Beyond aveva perso la fiducia nel genere umano, forse perché non aveva mai avuto una famiglia vera e propria. O forse perché lo considerava terribilmente imperfetto, a differenza di lui che amava la perfezione, specialmente quella insita nell’arte che tanto lo affascinava. E cercava di rendere tali anche i suoi omicidi: unici ed ineccepibili come delle opere d’arte, nonostante lui stesso fosse difettoso come la feccia che tanto detestava.

 Il direttore dell’orfanotrofio in cui era stato, suo malgrado, costretto a crescere gli aveva riferito che era nato da una relazione extra coniugale di sua madre, un’esponente dell’aristocrazia di Londra, con un panettiere.

Watari, questo il nome del direttore dell’istituto in questione, gli aveva anche raccontato che il suo vero padre, una volta venuto a conoscenza dell’accaduto, aveva ucciso entrambi gli adulteri, accecato dalla rabbia.

Beyond non si reputava nient’altro che un bastardo, nato da uno sporco tradimento, ed erede della follia di suo padre. Anche la mancanza di un senso di appartenenza a qualcuno o a qualcosa aveva giocato un ruolo importante nella sua crescita.

Spesso gli era capitato di sentirsi solo o incompreso, ma non aveva mai fatto parola con nessuno di tutto ciò, temendo di passare per debole o, peggio ancora, di ricevere la compassione altrui. Ormai era troppo occupato nella sua battaglia personale contro L per perdere tempo prezioso in quelli che lui aveva catalogato come sciocchi “sentimentalismi”.

Improvvisamente, il viaggio nel suo subconscio venne interrotto dalla signorina Misora che aveva assunto un’espressione severa.

«Mister B, Le ho chiesto di aiutarmi nelle indagini, non di fissarmi imbambolato.»

Beyond inclinò la testa di lato, mordicchiandosi un pollice.

«Mi scusi, stavo riflettendo circa il movente che avrebbe potuto spingere l’assassino a compiere il delitto.»

«Semplicemente perché si diverte ad uccidere. Raye è stato ingiustamente coinvolto nello stupido gioco di quel pazzo.» controbatté lei con fare accusatorio, stringendosi nelle spalle e restando in silenzio per qualche attimo.

Uno “stupido gioco”? Birthday non aveva gradito il modo in cui la donna aveva qualificato il suo piano, che non si limitava ad essere un banale passatempo, ma una sfida lanciata in grande stile al geniale detective di Kensington Road.

«Miss Misora, il suo compagno avrebbe dovuto essermi grato per avergli assegnato un ruolo nella mia lotta contro L.»

 «Non voglio che il ricordo di Raye sbiadisca, per cui vendicherò la sua morte.» fino a quel momento quell’idea era sostata solo nella sua mente, sospesa tanto quanto il London Bridge sul Tamigi, e pronunciandola desiderava che acquistasse concretezza.

«D’accordo, Miss Misora. Le darò una mano a stanare il colpevole, se Lei me lo permette.»

«Io…non posso accedere direttamente alle informazioni della polizia; sicuramente il comandante Yagami mi vieterebbe di prendere parte alle loro ricerche, per cui tu dovrai essere i miei occhi e le mie orecchie, B. Mi riferirai tutto ciò che i poliziotti scoprono, e in seguito ne discuteremo insieme.» il suo tono di voce era deciso e perentorio come quello di un insegnante che sgrida i suoi alunni.

Lei sembrava diversa. Miss Misora era diversa da tutte le donne con cui si era rapportato in precedenza (e che non avevano visto mai più il sole sorgere). Le altre dame erano frivole, esuberanti e terribilmente ignoranti, anche se quando si trattava di soldi, divenivano scaltre come volpi. Si vantavano di possedere cose futili o di scalare la gerarchia sociale con il loro suadente fascino, mentre Miss Misora voleva entrare in un mondo pericoloso e senza scrupoli, che raramente concede una seconda possibilità.

Quello era il suo mondo.

Tuttavia, Naomi Misora era un elemento senza dubbio interessante e meritevole di attenzione, soprattutto perché non aveva reagito nel modo in cui lui si aspettava.

E dovette ammettere a se stesso che ciò lo aveva infastidito non poco; però anche gli imprevisti possedevano la loro attrattiva.

«Come desidera.» la sua frase venne accompagnata da un sorriso storto, che la donna non mancò di notare.

La caccia aveva avuto inizio.

                                                                       ***

«Buongiorno, Lawliet. Come state?» gli domandò Light Yagami, indossando un sorriso cordiale sul volto, non appena il detective gli aprì la porta. L odiava essere disturbato nel bel mezzo delle sue indagini, ma vista l’assenza di Watari, che si sarebbe prolungata fino a tarda sera, doveva svolgere il compito di padrone di casa.

Lawliet era sempre abituato a stare per conto proprio, o al massimo con il suo maggiordomo, quindi per lui anche le più piccole cose, quali ad esempio l’accoglienza di un ospite, rappresentavano una sorta di “problema” da affrontare. La sua attenzione venne immediatamente catturata dal sacchetto che Light teneva nella mano destra: a giudicare dal nome stampato su di esso, quei croissant dovevano provenire dalla coffee house di Old Bond Street.

Un posto da intenditori, degno del rampollo di casa Yagami.

«Bene, grazie. Sono per me?» con un dito indicò fiaccamente i croissant che, senza dubbio, gli interessavano più di Light.

«Sì, esatto. Sono all’albicocca e, correggetemi se sbaglio, dovrebbero essere i vostri preferiti.» rispose l’altro, edulcorando le sue parole con un tono di voce ammaliante.

L recuperò le brioche senza tanti complimenti e, dopo averne presa una tra le mani, la addentò avidamente. A differenza del giovane avvocato, egli era un tipo diretto che esponeva i suoi pensieri senza mezzi termini; per questo motivo, talvolta risultava antipatico o sconveniente agli occhi delle persone.

E’ risaputo che la verità è scomoda per chiunque e capace di bruciare tanto quanto una ferita.

«Con me puoi toglierti la maschera, Light. Di cosa hai bisogno?»

Light studiò l’investigatore compiaciuto: il loro era uno strano rapporto, non erano amici, ma uno necessitava dell’aiuto dell’altro. Mesi addietro, lui gli aveva procurato delle informazioni molto importanti, sfruttando suo padre che, involontariamente, si confidava con lui riguardo le sue indagini.

Ora i ruoli si erano invertiti ed era lui ad aver bisogno dell’appoggio di Lawliet. Yagami si divertiva a paragonarlo ai solitari samurai, valorosi guerrieri che secoli prima avevano popolato la sua terra natia, il Giappone.

«Si tratta di mia sorella Sayu. E’ scappata di casa e non riusciamo più a rintracciarla.» affermò Light, consultando il suo orologio da taschino e risistemandoselo poi nel doppiopetto. In un primo momento, Soichiro aveva avanzato l’ipotesi del rapimento, ma essendo trascorse delle settimane e non avendo ricevuto richieste di riscatto, quella certezza aveva iniziato a vacillare e a cedere il posto ad altre supposizioni.

«Problemi in famiglia? Con un fratello arrivista come te, non mi stupirei del contrario.» lo punzecchiò il detective, spremendo la marmellata fuori dall’impasto e leccandola.

«Siete sempre molto…» temporeggiò qualche istante alla ricerca di un termine adatto che potesse definire il suo interlocutore «…sagace, L. Mi dispiace deludervi, ma ho sempre avuto un ottimo rapporto con mia sorella. Non le sono stati imposti matrimoni e ha sempre goduto di una certa libertà, quindi non riesco a trovare un motivo logico alla sua scomparsa.»

«Tuo padre gode della posizione di comandante di Scotland Yard, non ha avvisato o mobilitato le forze dell’ordine dei paesi o delle contee antistanti Londra?»

«Sì, senza ottenere risultati tangibili. Io ho assoldato una spia, anzi non è corretto affibbiargli una tale qualifica…diciamo piuttosto un informatore che avrebbe dovuto compiere delle verifiche, però ha fallito su tutta la linea.» specificò l’erede di casa Yagami stancamente «vorrei che foste Voi ad occuparvi del ritrovamento di Sayu. Provvederò a fornirvi quanti più dettagli possibili sul suo conto per semplificare il vostro lavoro, senza tralasciare il compenso. In dolci, ovviamente.»

«Dovresti sapere che accetto solo incarichi che destano la mia curiosità, e al momento il caso del serial killer assorbe completamente il mio tempo.» mentì prontamente L. Ormai era diventato talmente bravo a mentire che era difficile capire se stesse bluffando o dicendo la verità: era ben cosciente del fatto che procrastinare il suo arresto avrebbe designato la perdita di altri innocenti, e questo non poteva permetterlo.

«Già, ha assassinato persino un dipendente di mio padre, Raye Penber. Inoltre, mi è giunta voce che persino Sherlock Holmes[1] di Baker Street stia tentando di acciuffarlo; avete un rivale, L.» gli fece notare ironicamente Light, ignorando il fatto che le sfide stimolassero in modo positivo l’intelletto di Lawliet. Non si preoccupò di celare la delusione che aleggiava sul suo volto perfetto nell’apprendere che L non si sarebbe prodigato per la sorella.

L era testardo e capriccioso come un infante, ed era difficile (o pressoché impossibile) che cambiasse idea riguardo a qualcosa.

«La cosa mi lascia del tutto indifferente.» proclamò l’altro, dondolando la testa su di un lato e ricordando quasi un gufo.

«Se siete così sicuro di Voi, è perché vi siete già fatto un’idea su chi sia il colpevole.»

«Io so chi è l’assassino, Light.» gli occhi di L, spenti e vuoti fino a quel momento, mostravano una decisione e un vigore tali da sorprendere Yagami, basito di fronte a quell’esclamazione tanto ardita.

Quest’ultimo restò in silenzio una manciata di minuti, come se volesse accertarsi di non aver travisato la dichiarazione di Lawliet. Ostentava sicurezza o si sentiva semplicemente il fiato di Holmes sul collo?

«E come mai non lo avete ancora catturato, se è lecito saperlo?» le domande fuoriuscivano dalla bocca del giovane come un fiume in piena, tanto bramava conoscere il motivo che aveva condotto L a compiere una simile leggerezza.

Quindi, anche lui, come ogni altro essere umano, sbagliava di tanto in tanto. Anche per L Lawliet era contemplata la cosiddetta percentuale di sbaglio dello 0, 01%.

L evitò di rispondere al suo giovane ospite, concentrandosi nuovamente sul dipinto che sostava sopra il camino: ritraeva tre adolescenti, due di loro quasi identici se non fosse stato per il colore degli occhi, il taglio di capelli e i vestiti. Basil Hallward[2], il pittore a cui era stata commissionata l’opera, sosteneva di aver catturato le loro essenze in quel quadro.

Eppure, secondo la sua cognizione, il tempo scorreva più lentamente, le ore e i giorni si trascinavano come un mendicante zoppo che chiede l’elemosina.

La prematura dipartita di A e l’allontanamento di B dal suo mondo erano dei pensieri fissi che tartassavano la sua mente come picchi molesti.

 I colori ad olio della tela cominciarono a mischiarsi ai ricordi del detective, trasportandolo in un luogo impregnato di un aroma alla mandorla.

 

«Non ci provare, Lawliet, è mio!» esordì una voce minacciosa, interrompendo la calma che albergava in una delle aule della Wammy’s House, la struttura che si occupava di offrire agli orfani di Londra una sistemazione e un’istruzione. Un sedicenne dagli occhi cremisi, resi incandescenti dalla rabbia, stava custodendo gelosamente un dolcetto alla zucca da colui che poteva essere definito la sua nemesi; c’era stato anche chi li aveva scambiati, erroneamente, per fratelli gemelli (con suo grande disappunto).

L Lawliet, questo il nome dell’interpellato, studiò il suo coetaneo con fare stralunato. Lui e B erano stati accolti all’orfanotrofio più o meno nello stesso periodo e tra loro si era instaurata da subito un’accesa competizione. Infatti, quel posto non si limitava ad essere una casa per i bambini o gli adolescenti meno abbienti della società, bensì si prodigava a raccogliere sotto lo stesso tetto le menti più promettenti della capitale dell’arcipelago inglese, stimolandone ed incrementandone le potenzialità.

«Oggi è il mio compleanno, dovresti essere meno avaro, B.»

«E allora? Questo non ti autorizza ad avere tutti i dolci per te!»

«Infantile.»

«Adesso ti faccio vedere io chi…»

Beyond stava già per avventarsi su L, quando un terzo ragazzo si avvicinò ai due contendenti e li guardò esasperato. Aveva un anno in meno di loro ed era arrivato alla Wammy’s House qualche mese prima, in seguito alla morte dei genitori in un incendio doloso: il suo vero nome era Abel Aaron Hunt, ma per tutti era semplicemente A.

«Dovreste comportarvi da veri gentiluomini, non da bambini viziati.» li rimproverò, cercando di mostrarsi autoritario. Abel era un tipo piuttosto pacato, affabile e modesto, preferiva ascoltare le persone piuttosto che parlare di sé e, soprattutto, odiava i litigi. Nessuno conosceva dettagli inerenti al suo passato, solo l’accento raffinato ed elegante con cui era solito esprimersi, così come i suoi modi di fare impeccabili,  suggerivano che la sua città natale fosse Oxford, considerata la detentrice della lingua inglese “pura”.

«La tua paternale durerà ancora a lungo, damerino?» lo prese in giro B, sfoggiando un ghigno inquietante come quello di Jack O’Lantern.

A, ormai abituato al carattere irascibile dell’amico, lo ignorò e appoggiò un muffin sul tavolino intarsiato davanti al quale era seduto L, facendo poi gli auguri al festeggiato.

Sebbene esternamente A ostentasse una certa temperanza, nel suo subconscio si agitavano mille contraddizioni e insicurezze. Si sentiva schiacciato dal giudizio altrui e aveva una scarsa autostima, che poteva compromettere la sua futura carriera di investigatore. Abel era molto intelligente, ma non possedeva il sangue freddo e l’intuito di B oppure le straordinarie capacità logico-deduttive e la memoria fotografica di L.

Lui era “troppo” normale e il ruolo di “collante” tra i due geni iniziava a stargli stretto: infatti, nonostante la costante rivalità che li portava spesso a scontrarsi, L e B nutrivano stima e rispetto reciproci.

Se L e B erano il Sole, lui era come la Terra che ruotava attorno allo splendente Astro. Eppure, A non si era reso conto dell’importanza del ruolo che rivestiva e delle conseguenze che la sua assenza avrebbe determinato nella vita di chi gli stava intorno.

 Questo suo disagio interiore era fomentato anche dal segreto che gravava sul suo cuore; per quanto tempo ancora sarebbe stato in grado di mentire ai suoi amici? Ormai, non riusciva più a guardarsi allo specchio e a non provare ribrezzo per se stesso.

«Grazie, A. Tu sì che sei gentile a differenza di qualcun altro.» lo ringraziò L, facendosi volutamente sentire da B che tentò di non calcolarlo.

«Buongiorno.» li salutò Watari, interrompendo così il loro “bisticcio”«dovreste dare il buon esempio ai vostri colleghi più giovani, dimostrando maturità e buon senso.» li rimproverò con fare paterno, ma nascondendo un sorriso sotto i baffi bianchi come la neve. Gli orfani residenti alla Wammy’s House erano praticamente la seconda famiglia del vecchio inventore e animavano le sue giornate, facendolo sentire ancora utile. Nella sua mente si disegnavano costantemente mille progetti per nuove invenzioni, ma in quel momento quello più grande e concreto erano i suoi ragazzi.

  «Questa sera, alle otto, si terrà una prova speciale per testare le vostre abilità, dato che nelle ultime graduatorie vi siete classificati ai primi tre posti: in poche parole, dovrete assicurare alla giustizia la banda della Rosa dei Venti che sta saccheggiando Londra. Ogni metodo è lecito, purché non utilizziate oggetti contundenti. La vostra arma migliore, nonché carta vincente, deve essere il cervello.»

A sussultò impercettibilmente, abbassando il capo ed evitando di guardare i suoi “rivali”. L mangiucchiava il suo muffin senza scomporsi, ma nella sua mente stava già predisponendo una valida strategia per rintracciare i malviventi.

«E come facciamo a sapere dove colpiranno? Abbiamo informazioni su di loro? Nemmeno i giornali si sbilanciano sulla loro identità.» domandò Beyond alquanto scettico, mentre era intento a sistemare il nastro che teneva insieme il suo codino.

«Le uniche indicazioni che  posso darvi sono le seguenti: ogni membro dell’organizzazione possiede un nome in codice, che rimanda ai quattro punti cardinali, e un crocifisso di materiali e pietre differenti.» Watari scrisse su una lavagna un rapido promemoria con le notizie essenziali. Il tempo per rintracciare la banda era poco, ma è proprio quando si è sotto pressione che si dà il meglio di sé.

«Un’ultima cosa: quando avrete terminato il vostro compito, recatevi sul ponte del Tamigi con i crocifissi che avete recuperato. In bocca al lupo, ragazzi.» Watari, ermetico come sempre, si soffermò a fissare i suoi “allievi” per una manciata di secondi, dopodiché abbandonò la stanza, lasciandoli ai loro pensieri.

I tre amici non avevano colto completamente il vero significato di quell’esame: oltre al loro intelletto, sarebbe stato valutato anche il loro modo di approcciarsi ad una situazione tanto delicata.

“Cosa faranno L e B quando si troveranno faccia a faccia con la verità?” pensò Watari tra sé e sé, una volta tornato nel suo ufficio.

 

A era seduto ai piedi del salice piangente che costeggiava il laghetto artificiale, ubicato nel giardino dell’orfanotrofio. Il prato era spruzzato da margherite e lillà che ondeggiavano sospinti da una brezza pungente.

Probabilmente, il loro mentore aveva intuito qualcosa, e lui si sentiva in trappola: doveva continuare a vivere come A oppure avrebbe dovuto svelare a L e B che lui in realtà era Ovest, un misero ladro che rubava per saldare i debiti che suo padre aveva contratto giocando a carte? Sospirò pesantemente, tormentandosi poi un ciuffo di capelli color caramello; tergiversare era inutile e scappare era sinonimo di codardia.

“Che cosa devo fare?” estrasse dalla tasca della sua giacca di velluto un crocifisso in argento, legato ad una catenella, in cui vi erano incastonati tre smeraldi; sul retro, invece, vi era inciso il suo pseudonimo, che sottolineava il senso di appartenenza alla banda della Rosa dei Quattro Venti.

La sua prigionia.

 Era talmente concentrato nelle sue riflessioni che, solo in un secondo momento, si accorse dei passi alle sue spalle. Si affrettò a nascondere l’oggetto, dopodiché si voltò verso il suo “visitatore”.

«Ah, L sei tu. Sono venuto qui perché sono un po’ preoccupato per l’esame di stasera.» farfugliò imbarazzato, sperando che l’altro non si fosse curato del crocifisso.

Lawliet si accucciò accanto a lui e rimase in silenzio, incollando i suoi occhi neri come l’inchiostro in quelli grigi del compagno, quasi a voler sondare il suo animo.

«Cosa ti turba?»

A tacque diversi istanti, rimuginando su una risposta convincente da propinare ad L.

«Non so come comportarmi, temo di fallire.» infarcì la sua frase con l’ombra di un sorriso per attribuirle una certa leggerezza.

«Guarda nel lago e dimmi cosa vedi.» controbatté Lawliet con voce atona.

L’altro obbedì, un po’ sorpreso da quella richiesta singolare, e si sporse leggermente, squadrando l’immagine proiettatagli dall’acqua.

«Bé, vedo…me stesso.»

Un ragazzo esitante e pieno di paure.

Poco dopo L raccolse un sassolino e lo gettò nel punto dove vi era il riflesso di A, “rovinandolo”, mentre al suo posto andavano creandosi dei cerchi concentrici.

«Ognuno di noi ha dei pregi e dei difetti, per cui dobbiamo accettarci per quello che siamo. Possiamo tentare di cambiare completamente, ma a quel punto, il lago ti mostrerebbe un’immagine distorta, proprio com’è successo poco fa. Dunque, saresti un’altra persona.» il tono fiacco di L era come un invito a riflettere sulle sue parole.

 «C’è il 79% di probabilità che, dentro di te, tu conosca già la risposta a ciò che ti assilla. Comunque, hai davvero un buon profumo…sai di mandorla.» asserì  L, annusando A e portandosi poi un dito sulle labbra  «ero venuto ad avvisarti che Mister Hallward ha terminato il nostro dipinto e a me e B farebbe piacere se ci accompagnassi a ritirarlo.»

Era impressionante la velocità con cui L riusciva a cambiare argomento, tuttavia A gli fu molto riconoscente. Grazie al suo discorso aveva capito cosa fare.

Abel, e non A o tantomeno Ovest, doveva prendere in mano le redini della sua vita. Da quel momento iniziava il suo futuro.

«Certo, verrò volentieri. Mia nonna lavorava in una pasticceria, quindi mi ha insegnato le ricette dei suoi dolci; proprio ieri ho provato a preparare dei pasticcini alle mandorle, ma non sono venuti bene.»

I due si alzarono e si diressero verso l’entrata della Wammy’s House, senza accorgersi che la loro conversazione era stata spiata da un terzo individuo: Beyond Birthday.

 

Quella sera la nebbia aveva coperto con il suo manto la città di Londra, rendendola ancora più cupa e tetra del solito. Le strade erano pressoché deserte, eccezion fatta per qualche ubriaco di ritorno dalle taverne o dai pubs e alcuni mendicanti in cerca di elemosina.

Il Big Ben dominava la capitale solitario, mentre i suoi dodici rintocchi annunciavano la mezzanotte.

L Lawliet procedeva a tentoni verso il Tamigi, luogo prefissato per il loro incontro dopo il compimento della missione: scovare e catturare Est, una donna di diciotto anni dai lunghi capelli rossi e gli occhi celesti, non era stato facile, e aveva richiesto più tempo del previsto. Tuttavia, grazie ad un’efficace rete di informazioni e di ragionamenti, aveva trionfato e aveva ottenuto il crocifisso in oro e lapislazzuli della criminale. Quando era giunto ormai in prossimità del ponte, notò una sagoma accovacciata contro di esso.

Prese a camminare più velocemente (cosa assai insolita per uno come lui), colto da una strana sensazione che mischiava angoscia e preoccupazione: era come se il suo sesto senso gli suggerisse che fosse accaduto qualcosa di brutto.

La sua apprensione si palesò del tutto quando si accorse che la persona in questione era A: il suo corpo era scosso da violenti tremiti e un’ampia ferita all’addome colorava di un conturbante rosso il maglione di lana che indossava.

Non appena gli si avvicinò, valutò con rapidità le sue condizioni, usufruendo della fioca luce emessa dalla candela di un lampione lì vicino.

“L’emorragia è estesa, se lo spostassi c’è il rischio che si aggravi ancora di più. Ormai c’è il 5% di probabilità che si salvi.” pensò L, mentre gli sollevava il maglione e tentava, invano, di bloccare la fuoriuscita di sangue con alcuni fazzoletti. Sentendosi venir meno le forze, A si lasciò andare, ma venne prontamente sorretto dal compagno, che lo adagiò delicatamente sull’asfalto.

Nonostante la sua giovane età, Lawliet aveva già risolto parecchi casi e affrontato nemici pericolosi, eppure contro la morte non poteva combattere ad armi pari: lei vinceva sempre e comunque.

«Sai, L sono contento che tu sia qui con me...ho fatto come mi hai detto prima, finalmente sono stato me stesso…» sussurrò A con il respiro affannoso e il dolore che si faceva via via più intenso.

Era la prima volta che L si trovava in un situazione del genere e non sapeva quale fosse la prassi da seguire: doveva confortare Abel, dargli false speranze oppure restare in silenzio e ascoltarlo? Lui e B avevano intuito da tempo la doppia identità del loro amico, ma non gliene avevano mai fatto parola, decidendo di comune accordo di lasciare le cose come stavano: la loro proverbiale incapacità di esprimersi a parole  li portava a compiere gesti impliciti, volti a dimostrare la solidità del legame che li univa.

La solitudine, fidata compagna di L e B, aveva sempre minato i loro rapporti interpersonali, rendendoli quasi schiavi di se stessi. Abel, invece, era riuscito in qualche modo a tirare fuori il meglio da entrambi e a farli “convivere”.

In un certo senso, era stato grazie a lui se erano diventati “amici”. Sì, lui poteva considerare tali sia A che B. Quell’ammissione era costata molto ad L, sempre restio a donare la sua fiducia a chicchessia.

Lawliet coprì A con il suo cappotto, quando sentì la mano dell’altro stringergli debolmente la manica della camicia. Le sue labbra stirate in un sorriso malinconico e la vista annebbiata.

 «Prima di morire, vorrei dirti un paio di cose.»

«Dovresti risparmiare le energie ed evitare di sforzarti.» gli suggerì L, portandosi il dito indice sulle labbra.

Per la prima volta in quindici anni, A disobbedì a qualcuno e continuò a parlare, mosso da un coraggio inaspettato. Era assurdo che la Nera Signora avesse voluto concedergli quel “regalo” estremo nei suoi ultimi attimi di vita.

 «Vorrei che ti occupassi di B, tende spesso a cacciarsi nei guai. E poi…è stato Nord…lui…» purtroppo Abel non fece in tempo a finire la frase, dato che il suo cuore cessò di battere. L stette immobile a guardarlo, impassibile e marmoreo, dopodiché giurò sul suo cadavere che avrebbe punito il suo assassino.

“Occhio per occhio, dente per dente.”  

Questa era la filosofia di L Lawliet.

«Dunque è stato Nord a colpirlo a tradimento e  a rubargli il crocifisso che ho visto oggi pomeriggio...» dedusse dopo aver notato l’assenza dell’oggetto sia dalle tasche che dal collo del compagno.

Le sue ipotesi vennero troncate dall’arrivo di un Beyond Birthday trafelato: tra le mani un crocifisso in bronzo con dei diamanti (appartenuto presumibilmente a Sud, l’ultimo membro della banda) e sul viso un’espressione distrutta dopo aver visto il corpo di A inerme. Si portò le mani in faccia, rischiando di staccarsi le guance con le unghie, tanto era forte la sua presa. Abel, sfuggevole come il vento, non c’era più ed era stato proprio L ad incitarlo ad andare incontro al suo triste fato: se qualche ora prima lui non gli avesse fatto quel discorso e non lo avesse spronato a cambiare, A sarebbe stato ancora vivo, pronto a sgridarlo per la sua impulsività.

Aveva perso per sempre la sua bussola, la sua guida.

Piangere non lo avrebbe di certo riportato da lui, ma la vendetta avrebbe alimentato quotidianamente le sue giornate, ricordandogli il motivo per cui doveva vivere.

«Sappi che non ti perdonerò mai. Da questo momento noi saremo nemici, Lawliet.» sibilò B, scrutandolo per diversi attimi. Avrebbe smesso di credere nella giustizia, l’ideale che veniva tanto decantato alla Wammy’s House, e si sarebbe schierato dalla parte del Male, ovvero dalla parte dei vincenti.

Fu in quella notte che Beyond Birthday gridò contro ad L, diventato involontariamente il carnefice di Abel Aaron Hunt, tutto il suo odio e il suo dolore.

Eppure L, mostrando la sua consueta espressione indifferente, si fece carico della sofferenza collettiva, anche a costo di essere ripudiato dal suo migliore amico.

L Lawliet decise di rimanere dalla parte dei “perdenti”, perché lui aveva fiducia nella Giustizia.

                                                                       ***

Misa Amane picchiettava i tacchi sul pavimento di una locanda, spazientita.

Meg le aveva promesso che quella sera avrebbero provato fino a tardi, dato che l’indomani si sarebbero esibiti al Royal Court Theatre[3] con l’Amleto: Shakespeare e Othello avevano portato fortuna alla loro compagnia, per cui avevano deciso di comune accordo di riproporre un’altra opera del decantato drammaturgo per cercare di incontrare nuovamente il favore del pubblico. Lei avrebbe interpretato Gertrude, la madre di Amleto, nonché regina di Danimarca (un ruolo che ben si adattava al suo ego vanitoso), invece Meg avrebbe vestito i panni di Ofelia, la fidanzata dello sfortunato principe.

«La prossima volta, però, scegliamo una commedia, almeno ci facciamo quattro risate!» si lamentò Misa sbuffando, mentre era intenta a spazzolarsi i lunghi capelli biondi davanti allo specchio.

«Si dice che è più difficile far ridere la gente, piuttosto che commuoverla. E noi dobbiamo badare a ciò che piace al pubblico.» le aveva ricordato Meg gentile, ma decisa. Sapeva che se avesse mostrato il minimo tentennamento, Misa ne avrebbe sicuramente approfittato per ribadire la sua teoria.

«Uffa, Meg sei la solita rompiscatole!» detto questo, le aveva lanciato contro un cuscino e avevano spettegolato tutto il pomeriggio riguardo ai rampanti aristocratici londinesi, arrivando addirittura a stilare una classifica sui più appetibili.

Mentre attendeva la sua amica davanti ad un bicchiere di limonata, ripensò alla serata precedente e le sfuggì un sorriso: nonostante fosse burbero e taciturno, il dottor Watson[4] si era dimostrato un ottimo compagno di letto. Ampiamente soddisfatta dalle coccole e dalle suadenti frasi sussurratele a fior di labbra dall’uomo, che l’aveva letteralmente trattata come una principessa, sorseggiò la sua bevanda, mostrando un’espressione sognante.

Le aveva perfino regalato un abito in raso che lei non aveva tardato ad inaugurare durante la loro prima notte insieme. John l’avrebbe davvero resa felice? Il loro era un incontro clandestino oppure tutto ciò avrebbe avuto un seguito che, in un futuro non molto lontano, sarebbe sfociato nel matrimonio?

Sfortunatamente, l’animo estremamente romantico e ingenuo della ragazza non le permetteva di distinguere con razionalità una semplice cotta da un amore vero.

Forse perché lei stessa era innamorata dell’Amore.

Due operai, coperti di macchie d’olio e di sudore, la fissavano insistentemente, cercando di attirare la sua attenzione per offrirle qualcosa da bere. Non appena si rese conto di essere osservata, diede loro le spalle, segno che non gradiva compagnia.

Adorava essere corteggiata, però con classe; era esigente anche sotto quel punto di vista.

«Mi dispiace, cocchi ma ho standard più elevati. Certo che non è da Meg ritardare in questo modo…è quasi un’ora che la aspetto. Mi conviene andare a casa sua, tanto non è molto distante da qui. »

La giovane abbandonò la sua postazione (e i suoi sfortunati spasimanti) e lasciò quattro penny sul bancone, imboccando poi l’uscita di quello squallido locale. Fuori si era fatto buio e la prospettiva di dover girare da sola, seppur per un breve tragitto, non la allettava particolarmente.

Imboccò un viottolo dove un gruppetto di bambini stava calciando un pallone di stoffa; sebbene indossassero degli stracci parevano felici e spensierati e le ricordarono istantaneamente lei e suo fratello minore.

Da piccoli giocavano spesso insieme, fino a quando, in seguito ad una violenta litigata con il padre, lui se ne andò di casa, senza fare più ritorno. Misa lo aveva cercato a lungo, nelle campagne e nei paesi vicino ad Oxford, fino a quando i genitori non glielo proibirono categoricamente. Che sapessero qualcosa di cui lei era all’oscuro?

Il suo sogno di intraprendere la carriera di attrice le aveva fatto un po’ dimenticare la questione di suo fratello, dato che in quel periodo le sparizioni o i rapimenti di persona erano all’ordine del giorno, nonostante il desiderio di ritrovarlo non si fosse mai estinto completamente in lei. Percorse ancora qualche passo a piedi, dopodiché giunse finalmente nel quartiere in cui abitava l’amica e salì con una certa premura le ripide scale che conducevano al suo appartamento.

«Meg, sono Misa!» il suono squillante della sua voce accompagnò quello grave del batacchio che sbatteva contro la porta. Non ottenendo alcuna risposta da parte dell’amica, sospinse leggermente la porta, accorgendosi che era aperta.

“E’ strano, di solito Meg è molto prudente e chiude sempre a chiave…”

«Meg! Meg!» la giovane Amane esplorò la cucina, dove trovò soltanto una teiera che sbuffava inviperita. La tolse dal bollitore, iniziando a preoccuparsi sul serio e a pensare che qualcuno si fosse introdotto furtivamente in casa.

Era risaputo che la miseria che aleggiava a Londra portava la gente più povera a commettere furti e rapine per sfamarsi.

Si guardò intorno con circospezione, cercando un oggetto che avrebbe potuto esserle utile per difendersi in caso di un probabile assalto. Optò, infine, per un vaso di porcellana (contenente delle camelie) che non avrebbe tardato ad usare se si fosse trovata faccia a faccia con il malvivente.

«Meg…» la sua voce non era cristallina come poco prima, risultava invece tesa e spaventata come quella di un bambino che si perde in mezzo ad una folla «se è uno scherzo, non è divertente!» Misa non brillava certo per coraggio; infatti detestava tutte le leggende, tipiche del folklore inglese, in cui venivano nominati fantasmi, folletti o creature magiche.

In quel momento avrebbe desiderato ardentemente avere John al suo fianco e godere della sua protezione.

“Perché gli uomini non ci sono mai quando servono?” sbuffò stizzita, controllando poi la camera e la sala, anch’esse vuote e perfettamente in ordine. Se si fosse trattato di un furto, un ladro avrebbe creato disordine e scompiglio, ma lei non era certo un detective e in quei frangenti la sua lucidità pareva essersi eclissata, così come la sua amica Meg.

“Il bagno… mi manca solo il bagno.” non appena iniziò a camminare lungo il corridoio del bagno, le si inumidirono le scarpe di velluto, cosa che la infastidì ulteriormente. Chissà come mai ogni volta che acquistava qualcosa di nuovo, questi doveva necessariamente rompersi o rovinarsi.

«Ci mancava anche questa!» con lo sguardo seguì la scia d’acqua che sembrava provenire da sotto la porta e lo sciabordio che si percepiva dietro di essa.

Il cuore le batteva a mille e la sua gola era diventata arida quanto il deserto del Sahara. Una vocina dentro di sé la intimava a scappare e un’altra a rimanere e a cercare Meg.

Dopo aver dato fondo a tutta la sua audacia, ruotò la maniglia e chiuse gli occhi, addentrandosi sulla soglia della stanza. Quando li riaprì subito dopo, pensò di essere stata catapultata in un sogno: la vasca da bagno, colma d’acqua e con la manopola in ottone aperta, ospitava il corpo senza vita di Meg.

Della sua migliore amica Meg.

La riconobbe dalla camicia da notte in raso che lei stessa le aveva regalato per il suo ultimo compleanno. Gli occhi castani spalancati e vitrei, le mani sollevate e i palmi aperti, i capelli che fluttuavano nella sua “tomba”, le labbra secche semi socchiuse; la sua posa ricordava molto quella di Ofelia ritratta nel quadro del pittore Millais[5]. Possibile che Meg avesse deciso di suicidarsi come l’eroina che avrebbe dovuto impersonare nel loro sceneggiato? Misa sussultò, accorgendosi solo in quel frangente della realtà dei fatti.

Meg era morta.

Un grido disperato e un pianto altrettanto angosciato squarciarono la tranquillità del quartiere e disturbarono il lavoro di due spazzacamini che stavano pulendo senza troppa convinzione la canna fumaria di un tetto.

«Tsk, quante storie. Quella gallina non ha mai visto un cadavere?» mormorò Beyond Birthday, sfilandosi con i denti dei guanti sporchi di sangue e privandosi poi anche del resto del travestimento.

Matt, poco distante da lui, lo osservava con fare assorto, sorreggendo una scopa: forse non era il momento giusto per confessargli ciò che provava nei suoi confronti, ma dopo aver ucciso qualcuno il suo capo pareva sentirsi meglio, e quindi perché non fare un tentativo? Anche se quella sera l’assassino aveva qualcosa di diverso.

Sembrava lontano.

Sembrava essere con qualcun altro.

«Basta incertezze, altrimenti non mi prenderà sul serio.» deglutì un paio di volte e cercò di ricordarsi di tutte le volte che aveva provato ad utilizzare il teschio Amleto come cavia per le sue dichiarazioni.

«Beyond, devo dirti una cosa.» esordì lui, cercando di mostrarsi risoluto. Aveva persino sollevato i suoi occhiali da aviatore sulla testa per poter guardare Beyond direttamente negli occhi.

L’altro si girò lentamente, portandosi le mani nelle tasche dei pantaloni e squadrando il suo assistente con aria annoiata.

«Che c’è? Ti sono finite le sigarette per caso?» ribatté ironicamente.

«No, si tratta di te. Ma anche di me, cioè…» iniziò a farfugliare e a dimenticare il discorso che si era preparato con tanta cura dopo diverse settimane di esercitazioni. Come se non bastasse, venne interrotto dal rumore di una porta che sbatteva, segno che quasi certamente Misa Amane fosse scappata via.

«Che sfortuna. Lo spettacolo è già finito. Torniamo a casa, Matt.» 

«Amleto, da domani si ricomincia daccapo…» pensò Matt tra sé e sé, sospirando abbattuto e seguendo il killer.

Camminarono in silenzio per parecchi minuti, fino a quando Beyond non si fermò e si voltò verso Matt. 

«A proposito, non dovevi dirmi qualcosa?»

Matt si irrigidì tanto quanto il cadavere della donna che stava nella vasca da bagno, mentre una goccia di sudore gli scese dalla fronte.

«Ah, s-sì, ecco…» temporeggiò, pur sapendo quanto l’assassino odiasse le pause in un discorso «volevo dirti che la prossima volta, al posto di utilizzare il sangue per scrivere messaggi, potresti ripiegare sulla marmellata di fragole, che ne pensi?»

«Idiota.»

 

 

 

 

 


[1] Sherlock Holmes: il celebre detective nato dalla penna di Sir Arthur Conan Doyle.

[2] Basil Hallward: personaggio di «Dorian Gray» del famoso Oscar Wilde.

[3] Importante teatro di Londra, esistente tuttora.

[4] Aiutante di Sherlock Holmes e personaggio di Arthur Conan Doyle.

[5] “Ofelia”(1852) di John Everett Millais. Qui potete vedere il quadro a cui ho fatto riferimento: http://www.daneel59.altervista.org/nnophelia.htm

 

 

 

FE SCRIVE...

Ciao a tutti,

come state?

Mi scuso ancora una volta per la mia assenza prolungata, ma ho diversi problemi in questo periodo, piuttosto seri, quindi mi dedico alla scrittura solo nei ritagli di tempo, ahimè. Ci tengo a precisare una cosa: non ho abbandonato nessuna delle mie fanfic, ma aggiornerò lentamente.

Ringrazio tantissimo tutte le persone che hanno recensito lo scorso capitolo, che hanno inserito la storia in una delle tre liste e la mia amica Robby-chan per l'immagine che apre il capitolo. Chiunque voglia commentare con consigli, critiche e quant'altro, mi renderà felicissima*___*

Scusate se sono stata un pò stringata, ma vado un pò di fretta>___<

Fe

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