Burn, skin, burn

di Claa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo ***
Capitolo 2: *** Capitolo ***
Capitolo 3: *** Capitolo ***



Capitolo 1
*** Capitolo ***


Burn, skin, burn

L'amore molte volte rifiuta se stesso, perché ha bisogno di bruciare e riprender vita come fa la fenice leggendaria.
E come la fenice è leggenda, similmente l'amore è spessissimo illusione d'animo. [Cit.]


1^ Capitolo

I can’t tell you what it really is, I can only tell you what it feels like.
And right now there’s a steel knife in my windpipe.
I can’t breathe.


Succede che un giorno ci si sveglia e si ripensa al passato. Ci si rende conto di ciò che è stato perso lungo la strada e che non può essere recuperato.
Succede a molti, e, tra quei molti, vi è anche Riza Hawkeye. Ha trent’anni e la sua vita procede; procede come non aveva previsto. Il tempo le scorre addosso, inesorabile, piatto, silenzioso, e scivola via dalle sue mani prima che riesca a toccarlo. E’ una sensazione che a lei non piace per niente: l’impotenza. Frerich le ripete spesso di non preoccuparsi, che è troppo ansiosa e, ogni volta che glielo dice, le massaggia le spalle, sporgendosi subito dopo per posare le labbra fini sulle sue.
Frerich è tutto quello che qualsiasi donna potrebbe desiderare. Ciò che basta per vivere una vita tranquilla, senza problemi, senza fantasmi, in quell’intimità che nasce soltanto da una relazione pura e genuina.
Ciò che basta per essere felici. A Riza capita frequentemente di chiedersi perché non lo sia. Non le manca nulla: ha un lavoro, uno stipendio, un compagno invidiabile ed un cane in piena salute, malgrado l’età.
La felicità; può puntare così in alto?
E’ una fresca mattina d’aprile e la camera da letto è permeata dal delicato e appena percettibile profumo di fiori che fa della primavera una delle stagioni più belle.

Quando cammina per strada, le sembra che le persone siano sospese in una bolla d’aria, limpida e trasparente. Immerse nella più totale e piacevole solitudine.
Apre gli occhi, lentamente, e fissa il soffitto. Il cinguettio degli uccelli, il fruscio delle lunghe tende bianche smosse dal vento e l’abbaiare acuto ed implacabile di Hayate. In lontananza i rumori della città già al lavoro e le campane della chiesa dietro l’angolo. Suonano alle sette in punto.
Il cane salta sul letto, come è stato abituato a fare da Frerich, ma invece di dirigersi da lui, facendosi strada cautamente tra le lenzuola disfatte, va verso la sua padrona. Delicatamente, spinge il naso umido contro la guancia di lei, invitandola ad alzarsi; lieve gesto d’affetto che strappa a Riza un sorriso. Lo accarezza per minuti, fino a farlo sdraiare accanto a sé.
Il suo corpo rifiuta di muoversi. Lasciare quel materasso le sembra stancante, fisicamente. Riza non è mai stanca.
Con un minimo di sforzo in più si siede, indossa le pantofole e, prima di ritirarsi in bagno, posa lo sguardo sull’uomo dormiente, solo per un attimo.
Si volta, esce e chiude la porta, piano.

Se qualcuno le chiedesse ‘Lo ami?’, la risposta sarebbe irrevocabilmente ‘Sì’. D’altra parte, è la verità. Lei ama Frerich. Lo conosce da un anno e lo frequenta da sei mesi. L’aveva incontrato in un bar qualunque, una sera qualunque, grazie ad un tentativo di abbordaggio scontato. Le aveva offerto da bere, elogiando la sua bellezza; erano entrambi un po’ ubriachi e Riza ricorda poco e niente. Probabilmente anche per questo si era concessa con facilità ad un uomo di cui a malapena conosceva il nome. Fatto sta che il destino li aveva fatti inciampare nella vita dell’altro, non troppi giorni dopo, da sobri. Andavano d’accordo, così avevano deciso di prendere un vero e proprio appuntamento in un ristorante costoso, al lume di candela, in una notte buia e serena. Era andata bene e si erano ritrovati di nuovo in un letto. Quello di lei, questa volta.
Frerich è un tipo sveglio, intelligente, preciso nelle sue cose e poco invadente. Riza aveva compreso velocemente che non sarebbe stata in grado di separarsi da lui. E’ come se sia intrappolata in un campo magnetico di una calamita.
Conoscendolo più a fondo, però, esce in superficie il suo lato egoista, pretenzioso ed egocentrico. Anche con Riza lo è, ed è per questo che discutono, solitamente, oltre ai normali problemi di coppia. Rebecca glielo aveva detto: ‘I banchieri son tutti così: portati geneticamente a non vedere altro che se stessi e la propria fortuna’. Lei non le aveva dato retta.
Ci sono quei momenti in cui vorrebbe sposarlo, per quant’è straordinario. Quando sono a casa, da soli, creano i ricordi a cui Riza tiene di più.
Se è stanca e non riesce a dormire lui le prepara una camomilla. Si siede accanto a lei, sul divano, si accerta che la beva tutta e solo allora le permette di appoggiarsi alla sua spalla. E resta lì, ore, ad accarezzarle i capelli, finché non la sa nel mondo dei sogni. Quando è lui, ad essere stanco, Riza gli legge un libro. Dopo una lite, aspetta che arrivino le cinque del pomeriggio del giorno seguente per inviarle un mazzo di fiori al quartier generale. Un bouquet sempre diverso dal precedente. Alle cinque del pomeriggio perché sa che è lì per l’ora del tè. Quel che non sa è che a Roy Mustang non piace. Non gli piace vedere quei fiori, né la segretaria che li porta, né – ancor di meno – Riza che li tiene stretti tra le mani. Tuttavia, gli piace vederla sporgersi appena per annusarli, con una grazia e una compostezza che paiono appartenerle dalla nascita. Frerich non è mai andato a genio all’Alchimista di fuoco. Riza era stata costretta a presentali, data l’insistenza di Mustang. Successivamente, in privato, Roy le aveva confidato che gli ricordava se stesso e che, appunto per questo, non lo sopportava. Non ne hanno più parlato.
Riza ama Frerich, sì, ma ogni qualvolta le capiti di dirlo omette un particolare non poco rilevante: ‘Sì, ma amo più un altro’.

La divisa indosso, la mano sulla maniglia dorata: apre la porta dell’ufficio irradiato dal sole. E’ abbagliante.
Fa un passo nell’ampia stanza. Le ciglia bionde sbattono ripetutamente per abituare gli occhi: nei corridoi non filtra nemmeno un terzo di quella luce. Davanti a lei si materializzano uno ad uno mobili costosi, quadri di valore ed una ricca libreria: tutto in quella camera grida ‘lusso’ e ‘militare’, a causa del marchio stampato ovunque, perfino sul portacenere.
Vede Roy seduto alla scrivania in mogano, sulla sinistra, e ne è sollevata. Ottenuto il titolo di Comandante Supremo, Roy Mustang si è deciso – o, per meglio dire, è stato costretto – ad apportare determinati cambiamenti al suo caotico stile di vita. Non può più permettersi di ritardare o accumulare pile di fogli, sgattaiolando fuori in punta di piedi. Lui è il vertice più alto dell’esercito, un esempio. Non c’è più tempo per giocare e Riza è contenta che gli sia entrato in testa.
L’uomo dai capelli corvini la guarda, sorride. “Riza”. Può chiamarla per nome, e lo fa.
“Buongiorno, Comandante”, ricambia il benvenuto, incrocia i suoi occhi, richiude la porta.
Chiunque direbbe che ha dimenticato il saluto militare. Non è vero: Roy non vuole lo faccia. Lo trova seccante ed eccessivamente formale, per loro due. Dopo tutto quello che hanno passato… Figurarsi se gli importa di certi convenevoli.
Riza si muove verso il tavolino in legno scuro, al lato della vetrata. Adora quel tipo di colore: un marrone forte, acceso, che si avvicina al rosso, ma che non lo sarà mai. Si ferma e si china per prendere il servizio di tazze da tè cinese riposto sul piano inferiore.
Da tempo hanno iniziato a bere due tè al giorno, insieme, ed è finita per diventare una routine alla quale non vogliono rinunciare.
Roy rimane a fissarla dalla sua postazione. Non lasciando cadere la penna – il cui rumore richiamerebbe l’attenzione di Riza –, intreccia le dita e ci appoggia sopra il mento ben rasato. Usa farlo soprattutto quando i raggi del sole le sfiorano il profilo perfetto ed i capelli chiari sorretti dal fermaglio, illuminandoli.
Ha tagliato i capelli, fino a farli tornare della stessa lunghezza dei lontani giorni di Ishbar, per poi lasciarli ricrescere. Roy non sa il motivo di ambedue le scelte. Non gliel’ha domandato, e lei non gliel’ha detto. Ora le arrivano alle spalle. Potrebbe lasciarli sciolti, volendo, ma non vuole, forse per abitudine, forse per rispetto di regole che nessuno segue alla lettera. Nessuno, tranne lei.

A Riza non serve voltarsi per poterlo vedere. Sa che la sta guardando, avverte i suoi occhi su di sé. “Riprenda a firmare”.
Roy sorride ancora, tira su la schiena, schiarendosi la voce, e torna a dedicarsi ai moduli.

Sei minuti ed il tè è pronto. Riza poggia le due tazze su un vassoio, facendo attenzione a non scottarsi. Cammina lentamente: il liquido caldo è sul punto di traboccare.
L’uomo mette via i documenti facendo spazio sul tavolo, permettendole di posare il tutto. Fatto questo, la donna si siede di fronte a lui. Il rivestimento della sedia è comodo, soffice. Sente le ossa ed i muscoli abbandonare la tensione ed ammorbidirsi. ‘Sei rigida’, le sussurrava Frerich.

Roy manda giù un sorso e allontana la ceramica dalle proprie labbra. Prende a studiare Riza, l’analizza, anche i movimenti che non compie. Non impiega molto a notare i suoi occhi sfuggenti e bassi quando inizia a bere. Si conoscono troppo bene per potersi fingere ciechi dinanzi ai segnali inviati dall’altro. Eppure è così che funziona. Lui ha capito, lei lo sa. A lui dispiace, sa pure questo, ma tace e l’ignora. E’ questo che deve fare.
“E’ stato carino da parte sua invitare anche Selim e l’ex-signora Bradley alla festa di stasera”.

Roy si stringe nelle spalle dopo un istante d’incertezza. “Ho visto l’opportunità di prendere due piccioni con una fava. Sarà un modo per far divertire Selim e per ricordare alla signora Bradley…”.
“Ex”, lo corregge.
“Ex”, ride sommessamente. “…che continuo a sostenerla e ad esserle vicino”.
“E’ carino”.
“Non è carino, è ammirevole”, le sorride, vedendola fare lo stesso, ed i loro occhi si incontrano per la seconda volta. Roy ama il sorriso di Riza, a maggior ragione quand’è divertita e ammutolisce davanti alla sua eterna infantilità. Il sorriso che sottintende un ‘Non c’è nulla da fare, con te’, che sa di malinconia, di casa. Quando lo vede è sereno, e triste, perché ha come la sensazione che si faccia sempre più lieve la possibilità di ritrovarlo.



 

Note:

Bonsoir, bonsoir, bonsoir! E' un piacere tornare a scrivere dopo mesi (sono mesi? non ricordo). Certo, l'ispirazione ed io non andiamo molto d'accordo ultimamente, ma, insomma, sapete com'è, ci si arrangia! Dunque sono tornata all'attacco con un'altra RoyAi, saltata fuori nella mia mente grazie ad un'immagine trovata accidentalmente, che ora lascerò qui per i più curiosi: http://i52.tinypic.com/2quupet.jpg (anche se alla fine ho deciso di intraprendere un altro percorso)
Scrivere le note finali è una novità per me, quindi scusatemi se ho poco e niente da dire :-P
Come al solito, un solenne ringraziamento ed un grande inchino vanno a quella donna che sparisce ogni qualvolta ne abbia l'occasione, nonché
la Sore
, Elisa, che ha gentilmente corretto la mia fanfiction (ed ora è tutt'altra cosa, posso assicurarlo!). C'ha perso tempo, e forse anche qualche neurone, quindi thank you di cuore.
Per quanto riguarda la storia... si svolge dopo la fine del manga, è suddivisa in tre capitoli e, be', io sinceramente la trovo un po' strana, magari perché è la più lunga che abbia mai scritto su loro due (ed io non sono brava a scrivere troppo, è appurato), ma spero l'apprezzerete ugualmente. La canzone che ho scelto è ovviamente Love the way you lie di Eminem e Rihanna. La citazione all'inizio non chiedetemelo, perché non lo ricordo.
Bene, ho finito gli argomenti. Ah, sì, auguro a Flà di portare a termine il piano accuratamente studiato, per la gioia sua e delle figliole.
Detto questo, credo aggiornerò ogni due settimane, ma vi avverto: non so se riuscirò ad aspettare tanto. Sono piuttosto impaziente, io!

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Capitolo 2
*** Capitolo ***


Breve premessa: le citazioni non appartengono a me, ma a quella mucca che è Hiromu Arakawa. Precisato ciò, buona lettura!



2^ Capitolo



Quel pomeriggio odora di pioggia. Le nuvole hanno fatto capolino nella volta celeste indisturbate, calme, senza fretta. Si raggruppano, si uniscono, per poi separarsi di nuovo.
Riza guarda dalla finestra quei processi che potrebbero continuare all’infinito, ed aspetta. Aspetta che quel tu-tu-tu estenuante smetta, sostituendosi alla voce labile di Frerich. E’ la terza volta che prova a chiamarlo, inutilmente. Essendo quello uno dei pochi giorni in cui le telefonate private sono consentite, ne ha approfittato, ma forse non è stata una buona idea. Picchietta nervosa le unghie sulla plastica e prende a fissare il vuoto. Tutt’intorno ogni cosa tace. Di tanto in tanto un ufficiale attraversa quel breve tratto di corridoio, come un’ombra indistinta che nasce dalla semioscurità: invisibile.
Sta per mettere giù il ricevitore quando si accorge di un qualcosa che la porta a risollevarlo rapidamente e ad avvicinarlo all’orecchio.
“…nto? Pronto?”.
“Frerich, sono io”.
Lo stupore dell’uomo è palpabile. “Perché questa telefonata?”. Le dita si fermano, cala il silenzio.
“Ci sarai, alla cerimonia?”.
Pausa. “Certamente”.
“E’ importante”.
“Lo so, piccola. Ho detto che verrò”. Altra pausa, bisbigli in sottofondo. “Ci vediamo più tardi. Alle otto, sbaglio?”.
“Otto e mezza”.
“Hai ragione. Sarò in orario. Ti bacio, a dopo”.
Riza lo sente riagganciare. “A dopo”, sussurra. Con estrema lentezza ripone il trasmettitore, e rimane così, a lungo. Non sa dire per quanto. Le nuvole solcano il cielo e, a turno, impediscono alla luce il passaggio. L’aria si è fatta umida, opprimente. Il tempo le crolla addosso, senza toccarla. Ed eccola, quella sgradevole sensazione d’impotenza che invece la sommerge completamente. Ci annega dentro. Chiude gli occhi e consente alle memorie ammuffite ed infette di riaffiorare. C’è tanta polvere – o cenere? – nociva in quegli angoli dimenticati del cuore.

Just gonna stand there and watch me burn.
But that’s alright,
because I like the way it hurts.


Brucia. Brucia come fuoco l’ossigeno saturo di cenere, terra e sangue, mentre penetra nei polmoni e li lacera. Ha il sapore della morte. I morti bruciano, anche loro. Non c’è via di scampo per nessuno quando gli uomini giocano a fare gli dei ed il mondo si tramuta nel nuovo aldilà. Le viscere si rivoltano: quell’odore nauseante è così forte. E’ ovunque. Arde il sole sulla fronte di una donna stanca di lottare, di uccidere per gli ideali sbagliati. Come ha fatto a finire lì?

“Mia figlia conosce tutto… Se le dirai che userai la mia alchimia… il mio potere nel modo giusto, allora forse lei potrà svelarti il segreto… Mi dispiace”. “Maestro! Forza! Maestro! Maestro Hawkeye!”. “Roy, mia figlia… Mi raccomando… Ti prego… Ti prego… Ti pre…”. “Aiuto! Qualcuno chiami un dottore! C’è nessuno? … Riza!”.

“Cosa farai adesso?”. “Ci penserò”.

“Non muoia, la prego”. “Ehi, non fare l’uccello del malaugurio… Comunque non posso assicurartelo. In questo lavoro potrei morire in qualsiasi momento e essere lasciato a marcire sul campo di battaglia proprio come della spazzatura. Comunque, se potrò essere utile a questo paese e riuscirò a proteggere la gente con queste mani, allora… credo che ne varrà la pena”. “I suoi sogni sono meravigliosi”.

La lunga giacca ocra le copre le spalle e le scivola sulle ginocchia quando si trova accucciata e pronta a sparare. Dall’ultimo piano della torretta, osserva. Vede tutto. Ha gli occhi di un falco.

“Ha cominciato a ricordarsi?”. “Come potrei aver dimenticato?”.

Il tempo è caotico su Ishbar, non fa rumore, per paura di disturbare il sonno immortale dei defunti. Grida strazianti inghiottite dal vento e dal fumo, e c’è ancora chi riesce a ridere. Uccidere non è per niente divertente. Ah, sì? Quando uccidi il tuo nemico puoi giurarmi di non aver mai pensato ‘Bene, l’ho preso!’? Non parli, signorina cecchino? Preghiere non ascoltate. Vecchio, tu sei l’ultimo, c’è qualcosa che vuoi dire? Ti maledico. Bambini con il corpo deturpato dalle pallottole. Tu perché combatti? E’ semplice… non voglio morire. Vorrebbe scappare lontano e non fare ritorno, ma i mormorii gelidi dei fantasmi non la perdoneranno. Non si placheranno. Perché dobbiamo continuare questa guerra? Gli occhi di Mustang le appaiono tremanti, fragili come vetro, quando li guarda. Ricolmi di un dolore colpevole, privi di un’umanità cosciente.

Com’è finita lì?

“Signor Mustang. Quei sogni… Posso affidarle la mia schiena? Posso credere in un futuro dove tutti vivono felicemente?”, posso credere in lei?

Ora ricorda come.

Anche se ha continuato a crederci… Perché sono dovuti arrivare a questo?

Il fiato caldo della città spira tra i palazzi distrutti e le strade desolate. E si ricomincia. Altre esplosioni, i timpani soffrono. Bambini saltano in aria. Questa volta è vicina e la pelle scotta. Le lacrime non hanno il coraggio di uscire allo scoperto. “La prego”, bruci la mia schiena, signor Mustang. “La prego”, con le sue fiamme.

Non è rimasto nient’altro a cui dar fuoco,
qui.






“Sono Riza Hawkeye”. “Alla fine, dopo tutto quello che è successo a Ishbar, hai deciso di percorrere questa strada?”. “Sì, quella di indossare l’uniforme è stata una mia scelta”. “In che settore te la cavi bene?”. “Armi da fuoco”. “Armi da fuoco, bene”. “Diversamente dalle armi bianche, un’arma da fuoco non ti lascia la sensazione di aver ucciso qualcuno con le tue mani”. “E’ un inganno. Hai intenzione di mentire a te stessa continuando a sporcarti le mani?”. “Sì, è così”.

Preme il grilletto della pistola di sua volontà per una persona che deve essere protetta.

“Mi seguirai?”. “Se è questo ciò che desidera, sono pronta a seguirla





sino all’inferno”.






Il ticchettio delle lancette spezza la calma che regna nell’ufficio. Uno sbuffo di disapprovazione, questi permessi non finiscono mai!, la maniglia si piega verso il basso. Roy alza il capo e attende. L’orologio a muro segna le cinque, dove sarà Riza? La segretaria fa il suo ingresso timidamente, “E’ permesso?”, dietro la spalla destra si nasconde qualcosa che crepita come se si tratti di plastica. Lui le fa cenno di entrare. “Dov’è la signorina Hawkeye? Dove posso lasciarli, questi?”.
Roy indica il tavolino di un marrone forte, acceso, che si avvicina al rosso, ma che non lo sarà mai.
La donna vi adagia sopra il bouquet di fiori gialli, blu ed arancioni, e, così com’è entrata, se ne va.

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Capitolo 3
*** Capitolo ***


3^ Capitolo


Sono le nove. La festa prosegue da una buona mezz’ora.  
Quella che sente è una conversazione ordinaria, una delle tante che Riza finge di ascoltare. In realtà sta pensando a Frerich, che è arrivato in orario, che non si è smentito. Ora è lì, a dialogare amabilmente con gente  mai vista, con una scioltezza degna di nota. Lei non può raggiungerlo. No, no, potrebbe, ma non sa se vuole. Da sopra la spalla di Mustang lo osserva, muta. Sente il proprio petto gonfiarsi sotto l’influsso di un disprezzo che non le appartiene. La brezza della sera le sfiora le guance e l’accarezza, nel misero tentativo di placare quell’impulso di rabbia inaspettato.
Roy sta ridendo. Ride forte, e a Riza è di nuovo chiaro il motivo della sua presenza. Riporta la sua attenzione in quel breve tratto di vita che appare limpido, e fresco. E’ lei ad essere fuori posto, malgrado sappia non ci sia luogo più adatto di quello. Fissa l’erba da poco annaffiata, poi le scarpe eleganti. Prova a muovere le dita con scarsi risultati, allora inclina i piedi verso l’esterno, prima uno e poi l’altro.
L’uomo al suo fianco non manca di girare il viso verso di lei, volendola rendere partecipe dell’ilarità che l’ha contagiato, ma, quando lo fa, quando la vede davvero, le labbra s’increspano e la mascella s’irrigidisce. Ha smesso di ridere. Riza solleva gli occhi scuri ed incontra i suoi. Sono tristi. Gli occhi di entrambi sono tristi – di una tristezza infinita –, e si fissano, con un’intensità sconcertante, scaraventando lontano il resto del mondo.  
Lui sembra sul punto di dire qualcosa.
“Vado in bagno”, Riza gli porge il bicchiere di champagne e si allontana.

La porta si chiude lentamente alle sue spalle, senza far rumore. Ci sono residui di fango, per terra, sulle mattonelle bianche. Davanti a lei un grande specchio. Poggia le mani sul lavandino che perde, ed è umido: forse qualcuno l’ha utilizzato di recente. Rimane con il capo basso perché non ha proprio la forza di guardarsi, adesso, consapevole di ciò che le sta accadendo. Cercava una crepa, ecco cosa, le sarebbe bastata anche la più modesta incrinatura e ci si sarebbe avventata sopra, come fanno gli avvoltoi con le carcasse degli animali. Aspettava un errore, anche il più piccolo, per poter giustificare i suoi, di sentimenti. Mi trascura, non rispetta gli impegni, è altrove, non c’è fiducia, mi tradisce. Brava, Riza, che ottime intenzioni avevi. Arrivare ad alterarsi, poi, e per cosa? Per un uomo puntuale?
La verità è che non hai scusanti. Prende un respiro profondo. Solleva lo sguardo ed incrocia le iridi marroni di una donna bionda, leggermente truccata, con dei pendenti azzurri alle orecchie nude ed un abito di seta del medesimo colore. “Chi sei, tu?”.
“Roy Mustang”.
Colta di sorpresa, spalanca le palpebre e le sbatte, ripetutamente, ma non si volta: vede il riflesso dell’uomo nello specchio. Tira un sospiro. “Questo lo so”.
“Ehi, sei tu che fai domande scontate”, scherza. Ha un’aria estremamente rilassata. Riza non sa spiegarsi come faccia. Dal vetro vede Roy scostarsi, entrare e accompagnare la porta, anche se non ce n’è bisogno. “Stia attento a non scivolare”.
“Lo stesso vale per te”.
Ma lei c’è già scivolata, dentro a quel buco nero. Non sa se dirlo. Lo dico? Non lo dico? Poi lo dice: “E solo che…”, è un attimo, la voce le trema, si spezza. “E’ così…”. Non continua. Sta per piangere, sì, riesce ad avvertire quel bruciore tipico che infiamma gli occhi pronti a sputare via lacrime ricolme di una sofferenza tenuta oltremodo segreta. La vista si appanna. Li chiude. Non può piangere, non può. Non lì, né da nessun’altra parte, non con lui.
Li riapre soltanto, non si spaventa, non si ritrae, quando le mani di Roy le corrono dai fianchi lungo la vita ed il ventre, fino ad arrivare a stringerla in un abbraccio caldo e autentico. Le forti braccia l’avvolgono e la cullano, dolcemente.
“Ti ho ripetuto mille volte di non-”.
“Lo so, lo so”, mormora in un sospiro e, nel farlo, abbassa il capo. Le bacia la spalla scoperta, proprio sulla bretella. Inspira il suo odore a fondo. L’abito le copre la schiena per proteggere i residui dell’esperienza che li ha uniti e calpestati, senza riguardi.
Riza respira lentamente. Vorrebbe restare così, per sempre. Le mani sono ancora sul bordo del lavandino. Vorrebbe spostarle su quelle di lui, accarezzarle, volgersi e baciarlo. Ma non lo fa. Non lo fa mai, e mai lo farà. Inspira però la forte fragranza emanata dal suo collo, la riconosce e gli spigoli delle labbra si incurvano in un sorriso nostalgico. Era una sera d’inverno, la città emanava luce da ogni angolo. I bambini correvano, giocavano lungo le vie. Musiche come Jingle bells risuonavano nei negozi e si riversavano nelle strade, accompagnate da persone, risate, dallo sbattere di buste di plastica e chiacchiere anonime. Era stata lei a consigliarlo quando erano andati assieme a fare compere; i doni di Natale le trasmettevano una tale gioia! Si erano ridotti all’ultimo, visti i numerosi impegni cui avevano dovuto far fronte, ma era stata un’esperienza piacevole e, per certi versi, esilarante. Vedere Roy provare cappelli da donna, reggiseni ed infilarsi mutande in testa non poteva lasciar indifferenti. Era particolarmente allegro, quei giorni. Lo era per lei, per essere in sua compagnia al di fuori del lavoro, eppure, dicendoglielo, aveva il terrore di spezzare quell’irreale e leggero senso di felicità che contornava i momenti passati l’uno accanto all’altra, distanti dagli obblighi, dalle difficoltà e dal passato. Loro due, e nient’altro. Con un futuro tutto da disegnare, ed abbellire, con colori vivaci, ghirlande e polverine dalle mille sfumature. No. Era solo una mera illusione, un miraggio creato dall’eccessivo calore sprigionato dal cuore. Sono il Comandante Supremo, aveva ripetuto, e non posso permettermi di raggirare le leggi dell’esercito a mio piacimento per, era seguito un ‘noi’, poi Riza aveva smesso di starlo a sentire, intercettando qualche altra parola sfuggente, come ‘etica’ e ‘valori’. Non c’era più un futuro simile, era morto anni addietro, non si sa bene quando, né come, ma era morto, definitivamente. In balia degli eventi, era stato sbattuto qua e là, fino a perdersi nei meandri del tempo e non poter fare ritorno.
“Torniamo dagli ospiti?”, dice Roy, strappandola dai suoi pensieri. Le sta toccando le spalle, le stringe. La donna espira, si guarda nello specchio. Guarda anche lui. Va tutto bene. Può farcela. Fa cenno di sì. Lui sembra sollevato; schiocca un bacio fugace sulla guancia destra della donna, lascia la presa, si allontana ed esce.
Va tutto bene. Prende un respiro profondo, pronta – o forse no – a seguirlo.

Succede che un giorno ci si sveglia e si pensa alle opportunità lasciate da parte, alle scelte non fatte, all’uomo che non si ha al proprio fianco. E scatta qualcosa, un ingranaggio arrugginito e rumoroso, che ti ricorda puntualmente della mattina in cui ti è venuto in mente, in cui hai peccato.
Quando è un altro ciò che si desidera ardentemente, e non il proprio, di uomo, quando lo si vorrebbe vicino, ad ogni ora e in ogni momento, costantemente, per esultare con lui delle vittorie e dispiacersi delle sconfitte, per poter ridere benevolmente della gente buffa e degli errori commessi, per potersi confrontare, litigare, amare, imparando a memoria i difetti reciproci, sorreggendosi a vicenda dopo una caduta, disinfettandosi le ferite e curando le piaghe e le ustioni dell’anima…  quando è questo, ciò che si vuole, allora è inutile mentire: non va più tutto bene.

Riza viene accolta da una folata di vento, fresca, rigenerante. Si ferma, i tacchi smettono di far rumore e si arrestano sull’asfalto. Mustang e Frerich sono ancora su lati opposti del cortile, a parlare.  
Lei posa gli occhi sull’uomo dai capelli scuri e lo osserva, finché non la nota ed i loro sguardi si intrecciano, si aggrovigliano, si uniscono. Sorride. Lui ricambia. Ed è tutto lì: la perfezione, in quell’unico istante.
Riza si volta verso Frerich e riprende a camminare nella sua direzione.

La consapevolezza che ci sarà, presto o tardi, un’altra mattina come quella, c’è, e si cerca di tenerla viva per non dimenticare cos’è che si prova quando una persona ti brucia dentro, letteralmente. Non si ha la possibilità di cacciarla, sfrattarla dal proprio interno, e quindi si tace, e si ignora. E’ così che funziona. E’ questo che si deve fare.
Però, alle volte, anche nel caldo inferno, basta un sorriso per stare davvero bene, se è il suo, di sorriso.

Ora sì, può farcela.


All I know is
I love you too much to walk away though.

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