Da qui di Sognatrice85 (/viewuser.php?uid=68773)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Prologo Da qui
Non
ho molto da dire, anzi direi assolutamente niente.
Solo
che la voglia di scrivere è talmente tanta che a volte non riesco a staccarmi
da word, mentre ci sono dei giorni che entro totalmente in crisi e mi vien da
piangere, perché vorrei sfogarmi in qualche modo, ma non ci riesco.
Questa
piccola storia nasce come un’ OS, poi ci ho ricamato un po’ su. Risale all’estate
scorsa, solo ieri però mi sono ritrovata il file davanti agli occhi e ho
trovato le parole giuste per poter metter in piedi il prologo. Ed ora eccolo a
voi…
Grazie
anticipatamente a chi sprecherà un po’ del suo tempo, per leggermi…<3
Prologo
Se
la vita ti dona un sogno, coglilo al volo e vivilo fino infondo…
Ci
sono momenti in cui potrai voltarti indietro e sorridere di quel ricordo felice
che ancora ti scalda il cuore. Nonostante i turbamenti e i dolori siano
permeanti nella tua esistenza, ci sarà sempre quella persona in grado di farti
sentire felice, anche se il tempo passa…
Questo
Matilde lo sapeva bene.
Erano
trascorsi diversi anni da quando Matilde aveva vissuto la sua adolescenza a
Malubre, un piccolo paesino toscano a picco sul Mare Tirreno. La sua vita era
stata sempre serena fin quando c’era sta sua madre, con la sua morte le cose
erano peggiorate e oggi ne viveva ancora le conseguenze.
Quella
mattina si era alzata più stanca del solito, era una settimana che la febbre la
costringeva a stare lontana dall’ufficio. Un lavoro che non avrebbe dovuto mai
fare, ma anche quella era una conseguenza delle sue scelte. Scelte che aveva
preso col tempo, con la giusta dose di riflessione. Non poteva negare che
l’amore l’aveva influenzata parecchio, ma non se ne pentiva. No, non poteva,
perché era serena quando aveva deciso del suo futuro.
Si
diresse in cucina, estrasse un pentolino dall’armadietto beige e lo riempì
d’acqua poggiandolo poi sul fuoco. Si sarebbe preparata un the caldo con un
pezzo di limone, magari questo l’avrebbe aiutata a rinfrancasi la gola arsa. Si
portò stancamente una mano sulla fronte: era bollente! Odiava sentirsi così
fragile, lei che si era mostrata sempre determinata e forte, non poteva
abbattersi in quel modo per una semplice influenza. Ma si sa: il corpo non lo
comandiamo noi!
Matilde
era testarda, la cocciutaggine era la caratteristica che l’aveva sempre distinta
dal resto della famiglia, anche se era brava a nasconderlo sotto la sua
infinita dolcezza. Si, perché era una persona deliziosa, buona e solare.
L’amica ideale. Sua madre le diceva sempre che aveva tanto desiderato da
giovane, un’amica come lei, ma non era mai stata capace di averne una, un po’
per il suo carattere introverso, un po’ perché le sue frequentazioni non erano
mai frutto di una libera scelta, bensì di quella dei suoi genitori. Forse era questo che
più di tutto tormentava sua madre e il pensiero di non averlo capito prima, le
metteva tristezza. Matilde sospirò pensando ai suoi genitori, in particolare a
suo padre. Chiuse gli occhi sentendoli lucidi e doloranti. L’acqua nel
pentolino bollì richiamando la sua attenzione, preparò la tazza con la bustina
di the e vi versò dentro il liquido bollente. Un cucchiaio e mezzo di zucchero,
uno spicchio di limone e il the era pronto. Sorrise e si diresse sul divano del
piccolo soggiorno della casa dove viveva da un anno. L’indipendenza l’aveva
sempre elettrizzata, a differenza di molte sue coetanee ventenni, non aveva
avuto un minimo di paura nel prendere la decisione di lasciare la casa paterna.
Non l’aveva fatto solamente per la voglia di farsi una vita propria, ma anche
perché non poteva sottostare al volere del padre, non alle condizioni che le
erano state imposte.
Sorseggiava
tranquilla il suo the, quando il suo sguardo si posò sulla libreria di fronte a
lei, i suoi occhi sfiorarono i numerosi libri sulle mensole, senza in realtà
soffermarsi a guardarli, ciò che però attirò più di tutti la sua attenzione, fu
quella copertina blu, nascosta appena da un portafoto d’argento, regalo di
qualche lontano zio, messo lì apposta per coprirlo. Si guardò le mani per
qualche istante, incurante del loro tremolio appena accennato, poi rassegnata
si alzò, poggiò la tazza sul tavolino di vetro e si diresse verso la libreria,
tirò fuori l’album delle foto e si riaccomodò sul divano, avvolgendosi nella
coperta di plaid.
Stavolta
il tremore del suo corpo non era dovuto soltanto all’influenza…
Con
le dita accarezzò la copertina di velluto, seguendo il percorso delle pieghe,
poi con il dito indice sollevò la prima pagina e si immerse nel suo passato. Un
passato piuttosto recente...
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Capitolo 2 *** Capitolo 1 ***
Capitolo 1
A quanto pare è periodo di aggiornamenti per me.
Stamane mi sono svegliata con questa storia nella testa e sono riuscita a terminare il primo capitolo.
Non so quanto riuscirò a scrivere il secondo.
Ormai sono costretta a correre dietro alla mia ispirazione vacillante!
Mi aspettate?
Emmetti: ti ringrazio per le tue parole. Spero che questo primo capitolo ti possa piacere. Attendo di sapere cosa ne pensi.
Angyr88: grazie perchè
segui anche questa mia storia. Scusa se non stacco troppo le frasi, ma
non mi piace come viene. Però giuro che mi sono impegnata a
farlo, ma non credo di esserci riuscita XD. Bacio.
Lady Jadis: le tue recensioni
mi sanno sempre incantare. Le tue parole mi entrano dentro e non se ne
vanno. Grazie perchè tu credi veramente in me e so che con la
mia decisione, ti ho delusa. Vorrei davvero essere così brava
come dici...chissà forse un giorno imparerò a credere in
me stessa. Ti voglio bene e grazie di cuore.
Vampieratta Cullen: io ti
devo delle scuse per ieri. So che ti ho fatto star male. Quello che mi
hai detto è vero e spero che saprai perdonarmi. Il tuo sostegno
mi dà forza sai? Si tanta...grazie principessa. Ti voglio bene.
Grazie a chi mi sostiene.
A chi mi legge.
A chi recensisce.
A mi chi sopporta.
GRAZIE!
Capitolo 1
Quando
la sua nobile famiglia l’aveva trascinata in quel paese, Matilde aveva poco più
di tre anni e già all’epoca, era una bambina dall’aspetto aggraziato ed
elegante e attirava gli sguardi degli adulti. Ogni qualvolta sua madre,
Patrizia, la portava in giro, gli anziani di Malubre amavano fermala e
chiacchierare con lei, complimentandosi per la bellezza eterea della sua
bambina: carnagione chiara, occhi di un verde così intenso da non sembrare veri
e morbidi boccoli d’oro fasciavano il suo viso paffuto.
Era la copia esatta di
suo padre, ma gli occhi erano profondi come quelli della madre.
Patrizia
era di origine nobile, suo padre, Adriano Della Valle, era un Conte dell’alta
Toscana e prima ancora che nascesse, l’aveva promessa in sposa al figlio del
suo più fidato amico, nonché Conte anch’egli, Savio Martines. Suo figlio,
Lucio, aveva appena due anni e non poteva certo immaginare, che quel grazioso
rigonfiamento sul ventre della Contessa Della Valle, racchiudesse la donna che
in un futuro non lontano, sarebbe diventata sua moglie.
Strano
che queste cose accadessero ancora negli anni Ottanta, nessuno opponeva
resistenza, le poche famiglie nobili rimaste, infondo, non infastidivano
nessuno, vivevano la propria vita, non dando mai nell’occhio, anzi avevano
piacere a mescolarsi tra la gente comune e relazionarsi con loro.
Era rimasto
davvero ben poco, della diffidenza e della superiorità della vecchia classe
nobiliare.
Patrizia
era una donna molto bella: alta, capelli lisci, bruna, carnagione scura e non
aveva mai osato disubbidire ai genitori, anzi di buon grado aveva accettato,
all’età di 15 anni, di essere ufficialmente fidanzata con Lucio Martines.
Ricordava ancora il loro primo incontro a scuola, quando i loro rispettivi
genitori, li avevano fatti conoscere; avevano passato tutti quegli anni a
scrutarsi alla lontana, rivolgendosi rare volte la parola; sapevano
perfettamente qual era il loro destino e non lo rinnegavano, i discorsi dei
loro genitori li avevano ascoltati più volte, nascosti dietro l’enorme porta
che dava sul salone di casa Della Valle.
Quando poi a 20 anni erano convolati a
nozze, erano stati felici, la cerimonia tenuta in un casale di proprietà dei
Martines, era stato riservato a pochi intimi e non aveva deluso nessuno,
neanche i due giovani neosposi. Il viaggio di nozze, durato più di 20 giorni,
era stato delizioso: erano volati di città in città, scoprendo le bellezze
artistiche racchiuse in ogni piccolo angolo del mondo e la loro prima notte di
nozze, a parte l’imbarazzo iniziale, era stata perfetta. E proprio quella notte
era stata concepita, la piccola Matilde.
Ella
nacque una splendida mattina del mese di maggio, dopo un travaglio durato ben 3
ore. Erano le 10:00, quando il pianto di una bambina irruppe nella sala parto
della clinica privata di Malubre e le urla di dolore di Patrizia s’erano
placate; Lucio era rimasto accanto a lei, aveva assistito al parto, non
abbandonando neanche per un secondo la sua mano.
Una dimostrazione d’amore che
pochi uomini erano in grado ancora di fare.
Gli
anni erano passati e la piccola Matilde era cresciuta, mai una volta i suoi
genitori le avevano impedito di frequentare i ragazzi del paese, nobili o meno
non importava, ma suo padre voleva che seguisse le tradizioni di famiglia e che
accettasse di essere promessa sposa ad un ragazzo che, a tempo debito, avrebbe
deciso per lei. Fino ad allora però, Patrizia si era opposta, voleva che la
figlia fosse libera di fare le sue scelte e siccome Lucio credeva molto nella
moglie, lasciò cadere l’argomento.
Purtroppo
però, qualche mese dopo, Patrizia fu colpita da un malore; con i dovuti
accertamenti, la famiglia Martines scoprì che la donna era malata di cuore da
bambina e che ormai non c’era più nulla da fare se non attendere che le cure
potessero fare effetto. Nonostante la giovane età (Patrizia aveva astento 33
anni), il suo cuore sembrava averne molti più.
La notizia sconvolse tutto il
paese, Lucio non si dava pace, aveva costruito tutta la sua vita attorno al
rapporto con sua moglie e ora che c’era il rischio che potesse andarsene via
per sempre, non sapeva più cosa fare. Sette mesi più tardi, esattamente a dicembre,
Patrizia spirò, lasciando un gran vuoto attorno a sé. Quella morta generò tutta
una serie di conseguenze che si riversarono soprattutto sulla piccola Matilde,
all’epoca tredicenne.
Matilde
era una ragazza dal carattere docile e allegro questo fino a quando sua madre
non aveva l’aveva lasciata; gli anni successivi la videro divenire eccessivamente
introversa e troppo spesso s’era sentita fuori posto, soprattutto quando in
comitiva con gli amici, si parlava del proprio futuro.
Se qualcuno le chiedeva:
“Come immagini il tuo ragazzo ideale?” lei tentennava, diceva che non sapeva
ancora bene cosa voleva, ma in realtà conosceva esattamente chi avrebbe
sposato: Christian Roche, figlio dell’imprenditore più importante di Malubre.
Suo padre, Giorgio, dirigeva un’impresa marittima che regolava e controllava i
trasporti in mare di tutto il litorale toscano e si prevedeva un’estensione
anche sul litorale laziale e campano “Tutto costruito per il futuro di questi
due giovani” diceva lui.
Un
pomeriggio caldo e assolato di metà luglio, vide Matilde, ormai sedicenne,
passeggiare nel giardino pubblico che dava sulla spiaggia più grande della
zona. Indossava un abito bianco di stoffa che le lasciava scoperte le gambe
snelle e le braccia e ricadeva delicatamente sul seno con uno scollo a barca.
Nulla di troppo eccessivo, in quel momento non le interessava attirare
l’attenzione di nessuno.
Si soffermò lungo la ringhiera che dava sul porto,
trattenendo il suo sguardo sulle barche che lasciavano la baia e i numerosi
aliscafi che conducevano alle Isole vicine. La brezza portò con sé la salsedine
marina, la ragazza chiuse gli occhi ed inspirò a fondo, inebriandosi di quel
profumo che tanto amava. Quella mattina, suo padre l’aveva portata a casa di
Christian per farli ufficialmente conoscere.
I Roche erano originari del
Trentino Alto Adige, avevano ereditato dal nonno materno l’impresa marittima e
da qualche anno si erano trasferiti ufficialmente a Malubre. In pochi mesi,
tutti in paese ne parlavano, si trattava di bravissime persone e questo bastò a
Lucio per volerli conoscere e per insistere a presentare a Christian, la sua
adorata Matilde.
Lucio credeva che Patrizia avrebbe approvato, si trattava di
un bravo ragazzo, non guastava il fatto che fosse anche bello ed era certo che
come era successo a loro due, anche sua figlia e il giovane Christian si
sarebbero innamorati.
Attratta
da un brusio di gente, Matilde scese giù la spiaggia e lì ci trovò il gruppo di
amici con cui spesso usciva; erano tutti riuniti attorno ad un gozzo trascinato
sulla spiaggia e silenziosi ascoltavano un ragazzo che parlava. Incuriosita, la
ragazza s’avvicinò e s’accostò ad un paletto di legno e muta, ascoltò anch’ella
le parole di quel ragazzo di cui non riusciva a scorgere il volto.
“Beh…questo
è quanto” concluse il ragazzo “Resterai qui per molto?” chiese curiosa
Annabella, lui la fissò e sorrise, facendole mancare il fiato “Non lo so,
dipende da come mi tratterete voi belle pulzelle” e ammiccò malizioso,
procurando un evidente rossore sulle guance della ragazza. Matilde scosse il
capo e roteò gli occhi in cielo, detestava quegli stupidi discorsi da maschio;
proprio in quel momento il ragazzo misterioso si alzò e lei poté finalmente
vederlo: il giovane era alto, carnagione scurissima, nero come la pece, capelli
ricci e folti.
“E’ totalmente diverso da Christian” si
trovò a pensare lei, senza alcun motivo evidente. Christian era alto, pelle
chiara come quella di Matilde, i capelli biondi a spazzola e gli occhi erano
castano scuri.
Il
misterioso ragazzo voltò il suo sguardo di lato e incrociò quello della piccola
Matilde.
Per un momento interminabile si scrutarono, si studiarono: gli
smeraldi di lei annegarono in quelli neri degli occhi di lui.
Matilde non aveva
mai visto degli occhi di un colore così intenso e lui, Giacomo, non s’era mai
accorto di quanto potessero essere stupendi le iridi verdi.
Un’emozione rubò ad
entrambi un battito e fu il vociare degli altri a rompere la bolla di sapone
creatasi attorno a loro
“Matilde che ci fai qui?” gridò Francesco alzando le
mani per salutarla.
Sia Giacomo che la diretta interessata si voltarono verso
di lui che poi corse incontro alla ragazza, arrossita per tutta
quell’attenzione.
“Facevo
un giro e vedendovi tutti qui, mi sono avvicinata” disse timidamente scostandosi
dal palo, facendo qualche passo in avanti e scostando Francesco, il quale,
però, continuava a fissarla con insistenza.
“Sei
qui da molto?” domandò Chiara posizionandosi accanto a lei e sorridendole
felice.
Chiara era l’amica fidata di Matilde, si conoscevano dall’asilo, erano
vicine di casa e condividevano tutto. “No” scosse il capo “Sono appena
arrivata” rispose sorridendole “Sei andata a casa dei Roche?” le mormorò in un
orecchio, Matilde annuì “E?” la incitò Chiara curiosa, tirandola per un braccio
“E niente” sbuffò esasperata “E’ un bel ragazzo, ma niente di particolare”
continuò, parlando piano per non farsi sentire “Per ora dobbiamo solo
conoscerci, ma so già come funzioneranno le cose” bisbigliò, Chiara le prese la
mano e la portò dagli altri, stroncando così, quel discorso.
“Giacomo,
volevo presentarti la mia migliore amica” esordì “Lei è Matilde” disse
indicandola, la ragazza si accostò alla compagna e guardò il ragazzo “Piacere
di conoscerti” disse gentile, porgendogli la mano “Il piacere è tutto mio”
rispose lui sincero, stringendola.
Di
nuovo i loro petti furono trapassati da una violenta scossa elettrica e i loro
respiri si velocizzarono.
Si
trovarono entrambi a chiedersi cosa stesse succedendo.
Chiara
e Matilde stavano tornando a casa insieme, apparentemente tranquille
chiacchieravano di quello che un giorno sarebbe stato il futuro della piccola
nobile.
“Ma possibile mai che tuo padre sia così
convinto di quello che fa?” sbuffò Chiara innervosita da tutta quella
situazione.
Non
sopportava le costrizioni.
E
quello che Matilde stava vivendo, era proprio una costrizione.
La
giovane nobile si portò le mani alle tempie e se le massaggiò, sforzandosi di
chiudere gli occhi “Cosa posso farci?” chiese, probabilmente più a se stessa. “Mamma
non voleva e papà sembrava averlo accettato, ma da quando c’è lei…” le mancò il
fiato, le si bloccò nel petto, facendola annaspare.
Purtroppo
qualche anno dopo la morte di Patrizia, Lucio aveva conosciuto una donna ad una
festa organizzata in paese da un suo caro amico.
Una
poco di buono, venuta da chissà quale città.
Con
abile astuzia e malizia, aveva raggirato l’uomo, il quale qualche mese dopo,
invaghito, la sposò. Gianna, questo era il suo nome, detestava Matilde, la
mocciosa, come la chiamava lei, desiderava liberarsene.
Sapeva perfettamente
che se fosse convolata a nozze in giovane età con un altro nobile o comunque con
un ragazzo di uno status socio – economico elevato, l’eredità sarebbe rimasta
alla famiglia Della Valle. Almeno così citava il testamento che faceva fede
alle volontà del padre di Lucio. Così non appena lo scoprì, Gianna cominciò a
tessere la sua trappola e dopo diverse manipolazioni, soprattutto di natura
fisica e psichica, aveva convinto Lucio a ritornare alla sua originale idea di
decidere lui stesso, il promesso sposo di Matilde, tra la schiera di giovani
ricchi presenti in Italia.
La
donna sapeva perfettamente come circoscrivere l’uomo.
In paese giravano voci su
una sua presunta vicinanza ad una setta di maghi, infatti spesso Matilde temeva
che tali voci fossero veritiere, perché le era capitato di vedere il padre
dormire troppo a lungo o in preda a crisi di panico, soprattutto quando la
donna si allontanava.
La
figlia più volte aveva provato a convincerlo del pericolo che correva, ma non
c'era stato verso, ormai suo padre era completamente in balia di Gianna e
troppe volte, la piccola Matilde s'era ritrovata a piangere ai piedi della
tomba della mamma disperandosi e invocando il suo aiuto.
Ma
la disperazione non l’aveva di certo aiutata.
Alla
fine aveva dovuto piegare la sua grande forza alla volontà di suo padre,
facendo così il gioco dell’arpia.
“Quindi…”
disse Chiara, fermandosi e voltandosi a guardare l’amica “Dovrai sposare
Christian” soffiò triste. Matilde annuì semplicemente “Non posso fare
altrimenti” ammise rassegnata per il suo destino già deciso “Ma…non succederà
ora, giusto?” chiese ancora l’amica “No, finirò la scuola prima. Poi ci saranno
le nozze” rispose, facendo qualche passo avanti e fermandosi di nuovo “Per mio
padre, l’istruzione è molto importante, ci tiene che io sia acculturata” rise
amara “Che poi a cosa mi servirà, se non potrò neanche lavorare?” sputò acida,
stringendo un pugno.
Chiara
le si avvicinò, fissandola con quei suoi enormi occhi blu, così grandi, da poterci
navigare.
Le prese la mano chiusa a pugno e la strinse nella sua, in un gesto
che voleva trasmetterle quella determinazione che le stava venendo a mancare.
Si
sorrisero.
Un
grazie pronunciato nel silenzio di quella giornata di sole.
Giacomo
era rimasto sulla spiaggia ad aiutare suo nonno Carlo con il gozzo.
“Figliolo,
puoi tornare a casa se vuoi. Io qui ho quasi finito” disse l’uomo con un filo
di voce. Ormai era anziano, ma non si stancava mai di lavorare. Il mare era la
sua casa e quella barca tanto piccola, il suo rifugio da una vita fatta di
solitudine.
L’abbandono
della moglie, lo aveva segnato.
Nonostante
questo aveva tirato su il padre di Giacomo, Rocco, con determinazione, non
facendogli mancare mai nulla. Poi lui aveva trovato l’amore, frequentando
l’università e s’era sposato, non tornando più in paese.
Giacomo
era molto simile a suo nonno, per questo appena raggiunta la maggiore età era
voluto andare nel paese d’origine del padre e vivere un’estate lì, lavorando
affianco a suo nonno.
“No.
Ti do una mano. Tu dovresti rientrare. Mi sembri affaticato” notò Giacomo,
chinandosi per verificare che il gozzo fosse ben poggiato sugli assi di legno.
Carlo
lo fissò attentamente.
Gli
ricordava tanto la sua giovinezza.
Sorrise.
“Giacomo,
non ti permetto di dirmi queste cose!” asserì severo, il giovane alzò lo
sguardo per guardarlo. “Io sono ancora in forze. Siete voi giovani d’oggi che
vi stancate immediatamente senza far nulla” disse, terminando il suo discorso
con una risata gutturale. Giacomo inarcò il sopracciglio, poi scosse la testa e
ridacchiò insieme al nonno.
“Se
volevo poltrire, restavo a casa con papà e mamma” disse poi “Ma son venuto per
lavorare con te” confessò, imbarazzandosi un po’.
Giacomo
non era il tipico ragazzo che ammetteva ciò che provava.
Tutt’altro.
Faceva
lo spavaldo, lo spaccone.
Un
buffone che faceva ridere i suoi amici.
Un
ragazzo che amava la vita e voleva divertirsi.
Nessun
impegno, nessun obiettivo per il futuro.
Viveva
giorno dopo giorno, non aspettandosi niente da nessuno. Tanto meno da se
stesso.
“Nipote!”
lo richiamò il nonno, lanciandogli una fune che lui afferrò con prontezza.
Si
sorrisero.
Un
sorriso di sfida.
“Attacca
il gozzo. Poi raggiungimi a casa” proferì Carlo.
Giacomo
si limitò ad annuire e guardò il nonno allontanarsi.
Scosse
la testa e fece come gli aveva ordinato.
Fatto
si voltò un’ultima volta verso il mare.
Inspirò
l’aria intrisa di salsedine chiudendo gli occhi e sorrise liberatorio.
Amava
il mare.
Vivendo
in città, aveva sempre poche occasioni di poterlo vedere. Fortunatamente
essendo suo padre originario di paese marino, lo portava spesso sulla costa e
insieme godevano di quella meravigliosa e infinita bellezza.
Avevano
quell’unico amore in comune.
Suo
padre avrebbe voluto che seguisse la sua strada e divenisse avvocato, ma
Giacomo non ne aveva voluto sapere niente.
Il
ragazzo aprì gli occhi e si voltò per andarsene, ma in quel movimento incrociò
un palo. Quel palo dove s’era fermata quella ragazza.
Matilde.
Era
rimasto colpito dalla sua espressione.
Sembrava
così triste, ma quegli occhi gli avevano trasmesso, allo stesso tempo, una
strana voglia di vivere.
Una
determinazione che non aveva mai visto in nessuno
Perché
poi ci stava pensando?
Scrollò
le spalle e corse verso casa.
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Capitolo 3 *** Capitolo 2 ***
Capitolo 2
A quanto pare, questo è periodo di aggiornamenti per me :).
Portate pazienza!
Grazie a chi mi segue sempre, a chi legge, a chi recensisce. A chi si ferma anche solo per pochi secondi sulle mie storie.
E un grazie speciale va a Shinalia che ha commentato sia il prologo che il primo capitolo. Mi fa piacere che ti piaccia questa storia un pò particolare.
Spero di essere in grado di portarla avanti. -.-'.
Sono un vero disastro!
Capitolo 2
Quel
terzo anno di liceo classico fu per Matilde il più difficile da affrontare,
troppi pensieri le affollavano la testa, non dandole pace.
Detestava
sentirsi così frustrata.
Si!
Era decisamente frustrata all’idea di dover abbandonare i suoi sogni.
Lei
voleva studiare giornalismo, voleva iscriversi a Scienze della comunicazione e
inseguire la sua strada.
Nonostante
la giovane età, Matilde aveva le idee chiare ormai da tempo, ma quel matrimonio
combinato aveva infranto ogni sua aspettativa.
Era
venerdì ed era a scuola.
Lezione
di greco.
La
professoressa Rossi spiegava in modo concitato Socrate, pretendendo il silenzio
assoluto e l’attenzione di tutti. Ma Matilde quel giorno, non riusciva a stare
attenta.
La
sera prima aveva discusso nuovamente con suo padre e non le piaceva affatto
litigare con lui. Nonostante lei avesse ragione, Lucio aveva la straordinaria
capacità di farla sentire in colpa e questo la innervosiva.
Non
riuscire a controllare le sue emozioni la irritava.
In
questo somigliava a sua madre. Il suo ricordo la colpì come una secchiata
d’acqua gelida. E fu così che si estraniò completamente dal resto della classe
ripercorrendo a ritroso, la discussione della serata precedente.
<< “Sabato tu uscirai
con Christian” aveva annunciato suo padre, mentre portava alla bocca un
bicchiere colmo di vino rosso.
Erano a tavola.
Una cena apparentemente
tranquilla. Il motivo? L’assenza della matrigna, questo stava a significare che
Matilde avrebbe potuto parlare tranquillamente con suo padre.
Una boccata d’aria fresca in
quella casa chiusa al mondo.
E invece no! L’influenza di
quella megera influiva anche a distanza di chilometri.
“Che poi” pensò Matilde tra sé
“Ha detto che sarebbe andata a Torino a trovare i suoi genitori. Io però non
credo ad una sola parola di quello che dice” sentenziò la giovane stringendo
tra le dita la forchetta.
“Per forza?” chiese la
ragazza, fissando il padre e implorandolo con gli occhi.
Nel suo cuore continuava a
sperare che lui cambiasse idea.
Lucio la fulminò con gli
occhi. Un terremoto si scatenò, quando le sue mani batterono violente sul
tavolo della sala da pranzo.
Il cuore di Matilde sobbalzò
per lo spavento e per la prima volta ebbe paura di suo padre.
“Tu. Uscirai con Christian!”
sibilò, scandendo tra i denti, parola dopo parola. “Ci siamo intesi?” aggiunse
dopo con un tono di voce duro e inflessibile, fissando sua figlia con severità.
Matilde annuì, nascondendo le
lacrime.
Le sembrò quasi che le pareti
di quella casa vibrassero per quanto Lucio avesse alzato la voce.
“Non ho intenzione di fare una
pessima figura davanti ai Roche, per colpa tua. Quindi tratta bene quel ragazzo
e abituati all’idea che lo vedrai spesso!” furono le sue ultime parole prima di
sparire e di andare a chiudersi in stanza.
Matilde restò seduta al tavolo
non riuscendo a non pensare all’accaduto. Ma cosa ne era stato del padre dolce
e amorevole che l’aveva cresciuta?
Di quella voce tenera in grado
di avvolgerla quasi come fosse una carezza?
Quando quell’uomo s’era
impossessato dell’animo gentile di suo padre?
E soprattutto: perché la madre
da lassù, aveva permesso tutto questo?
Con la mano tremante, portò
alla bocca l’ultima forchettata di spaghetti. Nella sala s’udiva soltanto il
rumore delle posate e un leggero scroscio di lacrime.
D’improvviso scattò in piedi,
provando un senso di soffocamento, come se le mura le si stessero stringendo
attorno. Scappò in stanza, sperando che almeno lì potesse ritrovare la
tranquillità perduta.
Quella notte, però, Matilde si addormentò piangendo. >>
Chiara
scrutava l’amica.
Il
volto stanco, evidenti occhiaie violacee le cerchiavano gli occhi, impedendo a
quelle splendide pupille verdi, di brillare.
Era
preoccupata. Matilde si stava sciupando ogni giorno di più.
Di
quella birbante bambina dai boccoli d’oro, sempre sorridente e allegra, restava
solo un lontano ricordo.
Eppure,
la giovane nobile non mancava mai di donare un sorriso a chiunque le rivolgesse
una semplicissima occhiata. Chiara sapeva che infondo, la vecchia Matilde era
ancora racchiusa dentro di lei.
Chiara
aveva tre anni quando aveva visto Matilde per la prima volta.
Lei
e la sua famiglia si erano da poco trasferiti a Malubre e la loro casa era poco
distante dalla villa dei Martines. I suoi ricordi erano sfocati per via della
tenera età, però sua madre, Maria, aveva sempre raccontato a lei e Matilde il
primo giorno in cui si erano incontrate.
Diceva
che le piaceva rievocare quel momento perché aveva segnato le loro vite,
legandole.
La
madre di Matilde, Patrizia si era presentata alla loro porta con in mano un pacco.
“Salve.
Sono la Signora Patrizia.
La vostra vicina di casa e questi sono mio marito Lucio e mia figlia Matilde”
aveva detto accompagnando il suo discorso con un sorriso radioso, mentre il
marito le cingeva la vita con un braccio e la bambina si nascondeva dietro la
sua gonna.
La
piccola Chiara, curiosa per natura, era corsa alla porta per vedere chi fosse e
quando s’era trovata davanti una bimbetta della sua altezza, l’aveva fissata
con interesse, poi le aveva sorriso dicendole:”Vieni a giocare con me?”.
Matilde essendo timida era rimasta immobile, poi la madre s’era chinata alla
sua altezza e le aveva sussurrato all’orecchio: “E’ maleducato non rispondere
ad un invito porto con tanta gentilezza” la piccola aveva alzato lo sguardo
quasi mortificata “Non aver paura, vai pure a giocare”.
A
quel punto, Matilde aveva annuito con gioia e Chiara tutta contenta l’ aveva
presa per mano e l’aveva condotta nella sua stanza.
Da
quel giorno non si erano più separate.
Matilde
era la più saggia tra le due, semplicemente per il carattere che si ritrovava.
Chiara
era una ragazza estroversa e birichina, ma anch’ella aveva la testa sulle
spalle.
Il
suo problema più grande era il peso.
Si
sentiva grassa, ma non lo faceva pesare a nessuno. Cercava di viverlo bene,
senza crearsi inutili e dannose paranoie. Eppure spesso si era ritrovata a
piangere davanti allo specchio e invidiava chi poteva permettersi magliette più
corte e pantaloni a vita bassa.
Solo
Matilde conosceva il suo incubo: il cibo. E solo lei sapeva come prenderla
quando si lasciava andare alla tristezza.
Chiara
voleva poter fare qualcosa di più per l’amica, ma si sentiva impotente.
D’altronde non poteva fare molto di fronte alla decisione del padre. L’ultima
carta che poteva giocare era provare a parlare con Lucio, lui le voleva molto
bene.
Patrizia
e suo marito l’avevano sempre trattata come fosse figlia loro e non c’era mai
stato un giorno in cui non s’era sentita parte di quella famiglia. Mai fuori
posto. Nonostante la nobiltà, i Signori Martines non l’avevano mai ostentata, a
differenza di quanto stava accadendo ultimamente.
Gianna
non nascondeva di certo le ricchezze che grazie a Lucio, possedeva, anzi amava
renderle pubbliche. Girava per la città tutt’agghindata e non s’accorgeva che
tutti la prendevano in giro.
In
paese, ogni abitante aveva amato la Signora
Patrizia e ora tutti la rimpiangevano. C’era chi compativa
Lucio e sperava rinsavisse, chi invece, non perdeva tempo a criticarlo.
“Oggi
hai proprio la testa tra le nuvole” sussurrò Chiara all’orecchio di Matilde, la
quale sobbalzò per lo spavento.
“Scusa”
mormorò solamente “Oggi non so proprio cosa mi prenda. Non sono di compagnia”
disse con un sorriso tirato.
“Ti
va di dirmi cos’è successo?” provò a chiederle l’amica.
Matilde
evitò il suo sguardo, spostando la sua attenzione al parco fuori dalla
finestra.
“Magari
dopo. Ora non mi va, scusami” sussurrò monocorde. “Non ti preoccupare” rispose
Chiara, più preoccupata di prima.
Uscite
da scuola, Matilde era rimasta muta, Chiara non se la sentiva di insistere, ma
allo stesso tempo, avvertiva un’opprimente sensazione di rabbia per quel
malessere vissuto dalla sua amica, per tale motivo, proprio qualche passo prima
di giungere a casa, la fermò, afferrandola per un polso e la costrinse a
guardarla.
“Ora
basta!” urlò esasperata. “Non mi piace quando ti chiudi. Odio non poter sapere
cosa ti succede. Accidenti Matilde, sono la tua migliore amica e se non ne
parli con me, con chi lo fai? Tenerti tutto dentro non ti aiuterà di certo!” esclamò
intenerendosi di fronte allo sguardo spaurito dell’amica.
“Scusami
non volevo essere dura, però mi conosci…” si giustificò.
Matilde
scosse il capo “No, hai perfettamente ragione. È che mi sembra di dirti sempre
le stesse cose” sbuffò passandosi una mano tra i capelli. “Ieri sera ho
discusso con mio padre. Vuole che sabato esca con Christian. Me lo ha
praticamente ordinato” Chiara strinse un pugno per il nervoso.
Le
imposizioni non le erano mai piaciute.
“E tu che gli hai risposto?” chiese “Cosa
potevo dirgli? Ho cercato di protestare, ma lui s’è messo ad urlare, ormai è
completamente in potere di Gianna. Non conta più ciò che sento, lui ha
dimenticato sia me che la mamma” ammise affranta.
“Ci
parlo io con tuo padre!” Matilde alzò la testa di scatto e fissò smarrita
l’amica.
“A
me non dirà di no” sorrise Chiara “Gli diciamo che questo sabato avevi già un
impegno con me e gli altri del nostro gruppo. Magari se proprio tuo padre
insiste, diremo che Christian può venire con noi, ma almeno non sarai da sola.”
ammiccò.
“Pensi
che funzionerà? E Christian accetterà di uscire con persone che non conosce?”
sospirò Matilde, guardando con disperazione l’amica.
“Non
lo so, ma dobbiamo provarci. E poi scusa. Christian ha più o meno la nostra
età, vedrai che si divertirà” insisté Chiara, abbozzando un sorriso.
“Si,
forse hai ragione. Però conosci mio padre. Quando si mette in testa una cosa, è
difficile poi fargli cambiare idea. Se non uscirò con Christian da sola questo
sabato, sarò costretta a farlo il prossimo.” disse con una nota di tristezza.
“Ne
sono convinta anche io” rispose l’amica “Ma vedi il lato positivo: prima di
tutto avrai maggiore tempo per prepararti psicologicamente. Secondo, potrai conoscere come Christian si
comporta con gli altri, magari è anche simpatico e questo ti aiuterebbe ad affrontare meglio la
vostra uscita come coppia!” esclamò Chiara, eccitata per l’intuizione avuta.
Matilde
non sembrava convinta. A quel punto, l’amica le prese la mano e gliela strinse
“Matilde, hai bisogno di distrarti e divertirti ed io so come aiutarti in
questo!” disse energicamente Chiara.
“Va
bene. Spero solo che mio padre non si arrabbi troppo” disse prima di entrare in
casa seguita da Chiara.
“Fidati
di me” le bisbigliò l’amica all’orecchio. Matilde annuì.
“Bentornata
Signorina” disse la governante aprendo la porta dell’enorme villa Martines.
“Grazie
Signora Rita. Papà è in casa?” domandò Matilde entrando a passo di danza in
salotto. “Si, è nel suo studio” rispose prontamente la donna, rimanendo sulla
porta.
“Salve
Signora” Chiara sorrise alla governante “Salve a Lei, Signorina. Datemi pure i
Vostri zaini. Pranza qui, Signorina Chiara?” chiese in modo professionale la
donna, avvicinandosi alle due ragazza.
“No,
La ringrazio. Mia madre mi starà sicuramente aspettando”.
La
governante annuì con la testa poi chiese permesso e si recò altrove.
Fatto
ciò le due ragazze si diressero a passo spedito verso lo studio del Signor
Martines, entrambe agitate.
Bussarono.
“Avanti!”
disse Lucio.
Matilde
deglutì rumorosamente e Chiara le fece segno di calmarsi. Ma le gambe di
Matilde continuavano a tremare.
“Signor
Lucio” esordì Chiara entrando. Lucio alzò la testa dalla scrivania, depositando
i fogli che stava attentamente leggendo e sorrise cordialmente alla ragazza.
“Ciao
Chiara. Mi fa piacere rivederti. È da un po’ che non vieni a trovarci” disse
alzandosi e andandole incontro.
“Si
e mi dispiace. Spero mi perdonerà per la mia intrusione, ma volevo parlarLe”
rispose con voce ferma e determinata.
“Certamente.
Accomodati.” Lucio le indicò la sedia con la mano e si accomodò nuovamente al
suo posto, dall’altro lato della scrivania.
Matilde
era rimasta ferma accanto alla porta. Il padre non l’aveva degnata di uno
sguardo e questo non faceva che ferirla maggiormente. Trattenne le lacrime,
mordendosi il labbro inferiore.
Rivoleva
indietro il suo papà!
“So
che sabato Matilde è già impegnata, ma in verità noi avevamo già un impegno col
testo del gruppo” vedendo che Lucio non parlava, Chiara continuò la sua arringa
“L’idea era quella di andare in pizzeria tutti insieme, inaugurando l’inizio
dell’anno scolastico. Come sa, è un rito che si ripete da quando siamo alle
scuola superiori, ci teniamo tutti moltissimo e sarebbe un vero peccato se
qualcuno di noi mancasse.”
Il
papà di Matilde parve innervosirsi leggermente, fissò di sbieco la figlia sulla
porta “Perché non me l’hai detto subito?” la rimproverò. Matilde abbassò lo
sguardo ferita, senza rispondere.
Chiara
la fissò triste e cercò di intervenire “Non voleva ferirLa. Sa che ci tiene
molto al rapporto con la famiglia Roche, ma penso che se Lei è d’accordo,
Christian potrebbe unirsi a noi. Così potrà stare con Matilde e conoscere anche
il suo gruppo. Siamo tutti brave persone, ci conosce da ragazzi, Signor
Martines. Sono certa che Christian si troverà bene in nostra compagnia”
terminato il suo discorso, sul viso di Chiara comparve un sorriso tirato. Nel
suo profondo temeva di non esser riuscita nel suo intento e che quella sua
folle idea potesse aggravare la situazione della sua amica.
Si
diede mentalmente della stupida.
Lucio
sembrava riflettere. Tamburellava le dita sulla scrivania, segno che era
indeciso.
Alla
fine alzò lo sguardo e fissò prima Matilde, poi Chiara.
“D’accordo”
proferì con voce dura “Il discorso che mi hai fatto è corretto. Non voglio di
certo privare mia figlia dei suoi amici. È cresciuta con voi ed io non
dimentico quanto le vogliate bene” sorrise e Matilde sembrò rivedere in quel
gesto, il suo vecchio papà e il cuore le iniziò a battere forte.
“Se
volete invitare Christian vi sarò grato. È un bravo ragazzo, nonostante sia più
grande di voi di due anni, sono sicuro che si divertirà” e a quelle parole
incrociò gli occhi di sua figlia.
Cos’era
quella strana sensazione che sentiva nascere dentro di se?
Un’emozione
tanto familiare, quanto dolorosa. Legata al suo passato. Alla sua Patrizia.
Doveva
scacciare quel ricordo, prima che lo sopprimesse. Il peso di ciò che era
accaduto, era troppo grande per essere sostenuto.
Lui
era andato avanti, anche se con fatica.
S’era
aggrappato alla vita, grazie a Gianna.
E
si sentiva tremendamente in colpa nei confronti di Matilde.
Lui
l’amava più della sua stessa vita, ma non riusciva più a guardarla come prima,
perché lui stesso non era quello di prima.
“Grazie…papà”
quelle parole sussurrate come melodia, gli giunsero al cuore, prima ancora che
alle orecchie.
I
loro sguardi incatenati.
Un
riconoscersi reciproco.
Un
limbo in cui annegare e a fatica risalire.
Lucio
distolse lo sguardo e lasciò che il cuore di sua figlia mancasse di un battito.
Di
nuovo.
“Non
devi ringraziarmi” disse “Ma è ovvio che dovrai trascorrere il prossimo sabato
da sola con Christian. Voglio che vi conosciate bene. Avrete molte cose di cui
parlare” aveva ritrovato la sua durezza, la sua rigidità di padre severo.
Gianna
gli aveva insegnato come educare sua figlia. Gli diceva che doveva essere
severo, non doveva temere il risentimento di Matilde. Un giorno lei avrebbe
capito. E su questa certezza, era andato avanti con i suoi progetti.
Voleva
che la figlia vivesse una vita felice, economicamente sicura. Certo che avrebbe
vissuto come lui, un amore vero e forte paragonabile a quello tra lui e
Patrizia.
“Ora
andate. Ho delle pratiche da sbrigare”
“La
ringrazio Signor Lucio” disse Chiara, la quale poi corse dall’amica e la
portò fuori da quella stanza.
“Hai
visto ce l’abbiamo fatta!” trillò allegra.
“Si”
sibilò Matilde beccandosi un’occhiataccia truce da Chiara.
“Cosa
c’è?” domandò “E’ che per un attimo mi è sembra che lui potesse leggermi dentro
e comprendere il mio disappunto, la mia tristezza e invece resta fermo sulla
sua decisione. Volente o nolente io dovrò sposarmi con Christian. È deciso
ormai ed è meglio che me ne faccia una ragione” sentenziò rabbiosa.
Chiara
non aggiunse nulla. Dentro di lei si augurava che il tempo aiutasse la sua
amica.
“Sai
che facciamo?” disse d’un tratto mentre scendevano le scale che conducevano al
salone. “Oggi pomeriggio usciamo un po’. Andiamo a fare un po’ di shopping. O
meglio io, perché ho bisogno di qualcosa di elegante. Altrimenti che figura ci
faccio con Christian” e scoccò la lingua sui denti, facendo sorridere Matilde.
“Sciocchina!”
rispose l’amica tirandole un buffetto sulla testa.
“Dai,
dai, mi accompagni?!?” la supplicò Chiara.
“Va
bene, va bene, basta che la smetti di fissarmi a quel modo. Sai che non lo
sopporto!”
“Grazie,
grazie!” Chiara saltellò allegra, girando attorno a Matilde, poi l’abbracciò
forte. Matilde sapeva che quella dello shopping era soltanto una scusa, ma
aveva accettato volentieri, apprezzando il tentativo della sua migliore amica,
di farla distrarre.
Quando
Chiara uscì dalla porta di casa sua, Matilde sospirò. Voltandosi per andare in
stanza, trovò suo padre fermo sulle scale che la fissava.
“Papà…”
disse con una nota di timore nella voce.
“Matilde…”
rispose lui monocorde.
La
ragazza salì le scale, ma vedendo che suo padre non aveva intenzione di dirle
niente, gli passò accanto, senza guardarlo. E proprio nell’attimo in cui le
sembrò di percepire la presenza di sua madre, la risata maligna di Gianna si
frappose tra lei e suo padre, spazzando via il sorriso genuino di Patrizia.
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