Ordinary Day

di Mile
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La Pavia Universitaria, la Fiat in Ritardo, la Sveglia Muta ***
Capitolo 2: *** La Stazione Fatiscente, La Panchina Imbrattata, Gli Ormoni Impazziti ***
Capitolo 3: *** La parola sbagliata, Le ragazze di Marco, Il treno per Pavia. ***
Capitolo 4: *** I Dettagli Importanti, Le Brevi Confessioni, I Piccoli regali ***



Capitolo 1
*** La Pavia Universitaria, la Fiat in Ritardo, la Sveglia Muta ***


Un Giorno Normale

La Pavia Universitaria, la Fiat in Ritardo, la Sveglia Muta

 

 

Le prime note di una canzone la risvegliarono bruscamente dal sonno.

Nel giro di un frammento di secondo ebbe tutto il tempo e la lucidità per stupirsi che fossero proprio quelle note ad averla svegliata.

E con altrettanta lucidità e rapidità afferrò il cellulare per controllare.

La Bionda le aveva fatto il solito squillo mattutino. Alle 7.04. Tutto normale quindi.

Solo che…

Sette e zero quattro?

«Porcapputtana! Porcapputtana! Porcaputtana

Dannata, maledettissima, inutile sveglia!

«Sei in ritardo tesoro?»La voce di sua mamma arrivò chiara dal piano di sotto.

«Devo vedere Marco!» Strillò mentre rovistava nei vestiti alla ricerca di qualcosa di decente da mettere. Qualcosa che non la facesse sembrare una mongolfiera, e che la rendesse vagamente carina. Aveva puntato la sveglia un’ora prima per aver il tempo di scegliere qualcosa che la snellisse, per stirarci i capelli, mangiare con calma e truccarsi. Fottuta sveglia.

«A che ora?»

«Cinque minuti fa»

Afferrò un paio di pantaloni grigio perla e si chiuse in bagno.

 

*

 

Faceva un freddo impressionante, e rimpianse di non aver preso la sua giacca di pelle. Con la sua felpina leggera e una borsa a tracolla di pelle bianca salì sulla vecchia Fiat di Marco, che era arrivato provvidenzialmente in ritardo.

Aveva battuto ogni record. Lavata e stirata in dieci minuti aveva corso trionfante lungo il vialetto di casa, e avrebbe anche avuto il coraggio di rinfacciare a Marco il ritardo… se solo non fosse stato Marco.

Sorrise radiosa , nascondendo anche all’occhio più esperto di essersi alzata da soli dieci minuti.

«Ciao Amy, tutto bene?»

«Sono distrutta, mi sono svegliata dieci minuti fa e ho dovuto fare tutto di corsa, menomale che eri in ritardo»Sorrise allacciandosi la cintura, e prendendo coscienza che non avrebbe smesso di farlo molto presto. Anzi, come ogni volta sarebbe tornata a casa con le guance e gli addominali doloranti per il troppo ridere.

«A che ora sei andata a letto ieri?» Domandò lui.

E solo allora Amelia si concesse di osservarlo con attenzione.

L’immancabile felpa di Abercrombie, una sciarpa a quadri di diverse tonalità di blu, la stessa con cui aveva avuto il coraggio di presentarsi a metà luglio all’esame di Stato, e una cuffia calata sulla fronte da cui spuntavano i suoi capelli mossi che era solito portare scompigliati, ma con stile.

Gli occhi color cioccolato erano puntati sulla strada, incorniciati da folte ciglia. Il naso perfettamente diritto era una linea precisa che conduceva lo sguardo direttamente alle labbra morbide e carnose. A cuore, le definiva lei.

«Alle due…» rispose la ragazza.

«Complimenti» sorrise lui.

«Perché tu a che ora sei andato a letto?» domandò lei, sogghignando in anticipo per la sua battuta.

«Alle undici...»

«e a che ora hai finito con Kate?»

Marco scosse la testa lentamente, a metà tra il divertito ed il lusingato.

«Ma che Kate…»

Amelia tirò giù lo specchietto, dalla parte del passeggero. Ignorò le inutili e false scuse del suo amico. «Tesoro, potresti anche pulirlo ogni tanto sto specchietto» Cambiò discorso alitandoci sopra e lucidandolo, per poi ricontrollare il trucco fatto velocemente.

Aveva cercato di coprire le occhiaia con un po’ di fondotinta e cerchiato gli occhi verdi con la matita nera e con un mascara da quattro soldi, un leggero strato di ombretto argentato.

Il ciuffo castano le ricadeva sul lato sinistro del volto ed i capelli lunghi erano un po’ troppo mossi per i suoi gusti, ma profumati di Ralph Lauren, il suo profumo da donna preferito.

«Quindi cosa dobbiamo fare?» Gli domandò.

«Andiamo a chiedere informazioni su Giurisprudenza»

Era tutta l’estate che Marco cambiava idea sulla facoltà a cui iscriversi. Era un andirivieni da casa loro all’università di Pavia, Che non era proprio dietro l’angolo, ma era la meta più ambita da tutti i maturandi della loro zona.
Città universitaria, non troppo grande, non troppo incasinata, eppure piena, strapiena, di ragazzi, feste e divertimenti. Che poi  fosse anche un’eccellente centro universitario era solo un dettaglio.

Per questo Amelia cercava a tutti i costi di convincere il suo migliore amico ad iscriversi lì con lei.

E giurisprudenza era l’ultima possibilità dopo un’intera estate che oscillava tra scelte improbabili che variavano dalle professioni sanitarie di vario genere, all’ingegneria, e da giurisprudenza a economia. Il tutto condito da un profondo desiderio di diventare un attore di fama internazionale, o perlomeno un modello di Abercrombie. Marco non sapeva volare basso.

Le loro gite a Pavia iniziavano di mattina presto, alle sette o alle otto, in modo da poter arrivare in tempo per l’apertura degli uffici dell’università, fare una domanda idiota, la cui risposta era sempre “Andate sul sito e leggete” e perdere l’intera mattinata tra parcheggi o stazioni.

Però non dispiaceva a nessuno dei due, e avevano così occasione di farsi lunghe chiacchierate.

«Quindi ti iscrivi a Giurisprudenza?» Domandò lei fingendosi disinteressata.

Lui aggrotò la fronte e serrò le labbra per una attimo prima di iniziare a parlare. Mister Indecisione. «Diciamo che se mi colpisce, particolarmente potrei iscrivermi»

«Se no economia, in quel buco dietro casa»

«Esatto, così mio padre è contento di non spendere soldi per l’alloggio»

«Niente ragazze, niente feste, niente locali, solite facce…» Amelia lo fissava con quell’espressione che esprimeva tutto il suo disprezzo per quella scelta.

«Giurisprudenza non mi piace» Si interruppe un attimo, sistemandosi un ricciolo sulla fronte «Vorrei fare Economia a Pavia, ma sono arrivato tardi alle iscrizioni»

Amelia gettò lo sguardo oltre le risaie su un orizzonte perennemente sfocato e nebbioso. Lì aveva passato tutta la sua vita. In mezzo alle zanzare, all’afa estiva e al freddo polare d’inverno.
In mezzo a quella nebbia pesante che la faceva sentire immersa in acqua stagnante.

«Pavia è Pavia. Io per arrivare in tempo ho fatto i salti mortali»

«Io invece prima odiavo stare da noi. Ora invece mi piace»
La ragazza ridacchiò «Certo… Ora ci pensa Kate a tirarti su!»

«Smettila di dire cazzate e trovami un parcheggio»

 

*

 

Continua…

 

 

Note di Mile:

 

Torna Amelia e il suo migliore amico.

Voglio raccontare una giornata assolutamente normale e tranquilla.

Niente drammi, niente angoscia, niente dolore.

 

Amelia sta crescendo e in questo giorno raccontato a puntate ( che spero di riuscire a scrivere tutte :P) esprime la sua voglia di cambiare.

 

Questa volta la dedico a una persona speciale.

Una persona che forse non si è neanche accorta di quanto mi abbia sostenuto, eppure io le sono totalmente riconoscente.

Non so neanche usare parole adatte per ringraziarla.

So solo che l’ultimo commento che mi ha lasciato mi ha fatto commuovere (sì lo so che sono patetica). È una presenza silenziosa che mi ha regalato momenti di conforto.

In sostanza…
Questa è per Miss Dark…

 


Grazie a chi sarà così gentile da recesirmi (anche negativamente dato che io sono la prima a farlo :P)

Un bacio

 

Mile






 

 

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Capitolo 2
*** La Stazione Fatiscente, La Panchina Imbrattata, Gli Ormoni Impazziti ***


La Stazione Fatiscente, La Panchina Imbrattata, Gli Ormoni Impazziti

 

 

«Due biglietti per Pavia»

L’impiegato, un individuo anziano con un pancia rotonda sulla quale il tessuto della camicia era teso ed i bottoni sembravano sul punto di staccarsi, consegnò loro due enormi biglietti della Trenitalia.

«9 euro e 40» Disse guardando in un’altra direzione.

Amelia gli passò prontamente una banconota da dieci sorridendo, conscia di essere osservata da un Marco molto contrariato.

Prese i biglietti e li obliterò.

«Al ritorno pago io» Disse Marco.

«Neanche per idea, tu mi scarrozzi in giro»

Dopo aver consultato il tabellone con gli orari scesero nel sottopasso per raggiungere il binario 4.

La minuscola stazione era desolata. Aleggiava un clima da film horror, accentuato dalla luce grigia della mattina e da una foschia biancastra.

L’intera struttura era vecchia e squallida. C’era da stupirsi che fosse ancora in funzione. Ma nei dintorni più o meno tutte le stazioni erano così.

«Come è andata con» Amelia si fermò un attimo a pensare. Ultimamente faceva fatica a ricordare tutti i nomi delle ragazze di Marco. Erano veramente tante « Valentina?»

Marco la guardò stranito «Valeria» specificò «Ma sì ci siamo visti venerdì scorso»

Si sedette su una panchina in cemento, completamente ricoperta di scritte idiote fatte con qualche pennarello indelebile nero.

Appoggiò il biglietto del treno di fianco a un gigantesco omaggio alla sessualità maschile senza aggiungere altro. Così Amelia decise di incitare il racconto con uno sguardo molto insistente e il suo tipico sogghigno storto «E…?».

«E…» Marco esitò un attimo prima di iniziare a parlare. Faceva sempre così, ma Amelia era ben conscia che in realtà non aspettava altro. Nonostante le sue insistenti dichiarazioni di timidezza e modestia, Marco era fondamentalmente un egocentrico, fottutamente sicuro di sé e amante dei riflettori.

E i riflettori in quel caso non erano altro che gli occhi nocciola di Amelia, che lo scrutavano attentamente, ironici e beffardi, già certi di ciò che avrebbe detto il loro migliore amico.
Amelia sapeva che Marco si sarebbe sistemato i riccioli sulla fronte, si sarebbe appoggiato alternativamente alle proprie ginocchia e allo schienale della panchina, avrebbe sospirato e raccontato per prima cosa un fatto del tutto irrilevante, per poi saltare direttamente al punto della situazione.

Infatti il ragazzo, come da programma, si appiattì i capelli sulla fronte fino a coprirsi parzialmente gli occhi di velluto, guardò un punto al di là del binario. Sospirò appoggiando i gomiti alle proprie ginocchia e finalmente, dopo questo rituale, iniziò a raccontare.

«Sono andata a prenderla alle cinque, e c’era un traffico della Madonna» disse «Al Cristo praticamente si stava fermi, infatti mi sono incazzato»

Si ritrasse e appoggiò la schiena alla panchina allungando leggermente le gambe in avanti mettendo in mostra le Converse nere.

«Insomma, già devo prendere io la macchina e pagare la benzina, in più devo perdere un sacco di tempo perché c’è traffico?»

Domandò retoricamente. Ogni tanto faceva ragionamenti simili. Un po’ idioti effettivamente.

«Comunque alla fine ci siamo baciati» dichiarò infine tornando ad appoggiare i gomiti sulle ginocchia.

Era riuscito a battere ogni record. Nel giro di una settimana se ne era fatte quattro. E bravo il futuro attore.

«Quello era implicito, se no non te lo chiedevo» Rise la sua amica «volevo sapere com’è andata»

E, come Amelia già sapeva, lui raddrizzò la schiena, guardò dalla parte opposta alla sua interlocutrice come in un inconscio istinto che lo portava a controllare di non essere osservato.

Poi tornò a guardare di fronte a se umettandosi le labbra perfettamente disegnate. E solo infine si morse il labbro inferiore e guardò l’espressione curiosa e sorniona di Amy.

«Kate…» mormorò «Kate mi dà più soddisfazioni»

Amelia scoppiò in una delle sue risate più genuine, che guarda caso le sgorgavano dalla gola solo in presenza del donnaiolo che le sedeva accanto.

Si sentiva troppo bene con lui, e lui lo sapeva bene.

«di tipo sessuale?» domandò Amelia

Marco arrossì leggermente e scoppiò a ridere.

«Ma va’, praticamente neanche mi ricordo come si fa» disse appoggiando nuovamente la schiena alla panchina e guardando chissà cosa sotto alla tettoia.

«Che cavaliere, non vieni neanche a vantarti»

«Perché non c’è niente da vantare»

Amelia rise e lo guardò con uno sguardo che rivolgeva spesso al suo amico e che diceva “è inutile che neghi tanto io ho sempre ragione”

«L’altro giorno» disse Marco «Kate ha detto che sono diverso»

Amelia non riuscì a trattenersi e scoppiò a ridere «Ma ti ha dato del gay!» Strillò

Anche Marco iniziò a ridere e finirono entrambi a sghignazzare, lui gettando la testa all’indietro, e lei premendosi una mano sulle labbra e una sulla pancia.

«È quello che ho detto io!» Esclamò il ragazzo ridendo. Aveva un sorriso favoloso, anche se a lui non piaceva. Scioglieva Amelia come ghiaccio in estate. Trasmetteva gioia di vivere.

«Lei ha riso e ha detto che lo ero» continuò a raccontare «E allora mi sono avvicinato» La guardò negli occhi «E le ho detto “sono gay?” e continuavo ad avvicinarmi così» e si avvicinò gradualmente al viso di Amelia.

Fu il panico.

Lei non riuscì più a comprendere se il proprio cuore si fosse fermato o se avesse accelerato la propria corsa.

«…le ripetevo “sono gay? Eh? Sono gay secondo te?”» Stava sussurrando ora.

Mentre Marco si avvicinava lentamente, Amelia sentiva l’eccitazione scorrerle nelle vene insieme a ormoni e adrenalina. E quando questo accadeva, la sua mente, inconsciamente, lasciava scorrere via tutte le bugie che servivano a proteggere la propria sanità mentale.

Perché se lei fosse stata certa di avere anche solo una possibilità con Marco, sarebbe stata in grado di mollare baracca e burattini, e avventarsi su quelle labbra a cuore.

Se non ci fosse stato Giorcelli… Ma quale Giorcelli. Il suo fidanzato diventava un vago ricordo quando passava un po’ di tempo con Marco.

Quindici centimetri e lei era allo stremo del proprio autocontrollo.

Altri cinque centimetri e non ce l’avrebbe fatta.

«Proprio così» e i centimetri divennero dieci.

«E poi alla fine» otto.

 «Ci siamo» sei centimetri

«Baciati».

 

*

 

Quando si allontanò Amelia si accorse di aver trattenuto il fiato per tutto il tempo. Si passò una mano sulla frangetta per smaltire la tensione.

La regola era che fra loro non ci fosse alcun contatto. Se no addio amicizia, addio Giorcelli, addio sanità mentale e soprattutto addio vestiti.

E infatti il contatto non c’era stato. Purtroppo loro riuscivano a mandarsi gli ormoni in palla vicendevolmente anche senza toccarsi. Ed è noto quanto una cosa proibita ecciti ancora di più.

Si stampò in faccia la sua solita espressione sorniona cercando in tutti i modi di calmarsi.

«Non mi avvicino di più se no ti bacio» disse Marco.

«A proposito, sei arrossita»

Amelia ridacchiò e distolse lo sguardo guardando nella direzione opposta a lui

«Arriva il treno, finocchio»

 

*

 

 

 

Continua…

 

 

Note di Mile:

 

Che dire… non ho resistito a pubblicare un secondo capitolo, anche se c’è stata magra di recensioni.

Spero che questo piacerà più del precedente e che molti saranno così gentili da recensire.

Come al solito vi prego di farmi avere un commento anche se negativo.

Grazie

 

Un bacio

Mile

 

 

 

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Capitolo 3
*** La parola sbagliata, Le ragazze di Marco, Il treno per Pavia. ***


La parola sbagliata, Le ragazze di Marco, Il treno per Pavia.

 

 

Si sedettero uno di fronte all’altro, sfasati, in modo da avere di fronte a sé un sedile vuoto, su cui a volte puntellavano i piedi per essere più comodi.

Erano a inizio vagone.

Di fianco a una porta difettosa. Rimaneva aperta ogni volta che passava qualcuno e non la sbatteva con abbastanza violenza.

Marco gli diede l’ennesimo colpo in modo da interrompere l’assordante rumore che proveniva al di là di essa. Sbuffò.

Tolse la sciarpa e la posò sul sedile di fronte a sé.
Amelia si perse per un attimo nelle pieghe blu di quella stoffa.

Quando rialzò gli occhi e incrociò lo sguardo profondo di Marco provò una fitta dolorosa allo stomaco.

La ragazza fece per l’ennesima volta il suo sorriso sghembo.

«Allora» domandò «Kate?»

«Kate mi piace un sacco» esclamò il ragazzo «Mi piace un sacco come mi bacia, ci mette proprio la passione» il suo entusiasmo era tale che accompagnava ogni virgola con un largo gesto delle mani. Le dita lunghe erano distese come a sorreggere una palla. «Ci ha messo più lingua lei in tre pomeriggi, che Sabrina in tre mesi che siamo stati insieme!» lasciò ricadere le braccia con rassegnazione e gettò la testa all’indietro.

«Una volta mi ha detto che bacio dolcemente»

Amelia sorrise leggermente già sapendo come sarebbe finita la storia.

«Subito dopo ho smesso di essere dolce» Dichiarò infine con un’aria estremamente soddisfatta. C.v.d.
Come volevasi dimostrare.

«è fantastica! Se le altre non fossero così carine, potrei anche decidere di lasciarle perdere per stare solo con lei.»

Amelia ridacchiò leggermente pensando alle quattro ignare ragazze. Poveracce.

«Oh ma te l’ho detto della festa della Banfi? Che le regalo?»

La battuta era pronta, già fatta, pensata, incartata e pronta all’uso «Fatti trovare nudo in camera sua in mezzo a petali di rosa»

Marco roteò gli occhi fingendosi infastidito, ma si fece tradire da un sorrisino affettuoso.

La Banfi era la figlia dell’imprenditore più ricco della città. Aveva organizzato una mega festa. Il suo compleanno rischiava di essere l’evento dell’anno. Ovviamente il nome di Amelia non figurava nell’elenco degli invitati. Quello di Marco invece sì. Tuttavia il problema più grosso era rappresentato dal regalo. Cosa regalare a una ricca viziata che usa le scarpe di Prada per fare jogging?

Amelia perse di nuovo il filo dei suoi pensieri. Questa volta si era incantata a guardare gli occhi del suo carissimo amico.
Sul volto manteneva quell’espressione ebete. Gli angoli della bocca rosa inclinati leggermente verso il cielo e gli occhi puntati fuori dal finestrino.

Scorrevano sul paesaggio al di fuori del treno. Su pali della luce, case, edifici, alberi. E mentre lui vedeva fluire quel nastro di colori, forse focalizzando alcuni dettagli, lei era ipnotizzata dal movimento velocissimo delle sue pupille che scandagliavano l’esterno. Se ne meravigliava sempre, quando notava questa peculiarità del corpo umano, quel movimento fulmineo e involontario degli occhi, che nessuno si accorgeva di compiere ma che negli altri, talvolta, si poteva osservare con evidenza.

Un po’ come quando uno si innamora” pensò “i diretti interessati non lo capiscono mai, ma da fuori è così palese”. Sorrise tra sé e sé di quella sciocca considerazione.

«Che c’è?» Si accorse solo allora di aver continuato a fissarlo per tutto il tempo ed ora anche lei aveva un sorriso idiota stampato in faccia. Avvampò senza un vero motivo e per nascondere l’imbarazzo ampliò il proprio sorriso adottando un’espressione innocente. «No niente, mi sono incantata». Si morse l’interno delle guance con decisione subito dopo aver pronunciato quelle parole. Incredibile come una leggera sfumatura potesse cambiare l’intero significato di una frase. Di solito ci stava attenta, ma questa volta non ci aveva pensato.

Cazzo, sarebbe stato di troppo peso dire “imbambolata” invece di “incantata”?

Una vocina dietro all’orecchio le suggerì che, sì, sarebbe stato di troppo peso.

In una frazione di secondo ebbe il tempo di delineare una sequenza di pensiero ben precisa. Le capitava solamente in casi di emergenza di avere una mente così lucida. Anzi, solo in pochi fortunati casi di estrema emergenza.

Così pensò che forse non avrebbe notato la differenza.

Ma se invece l’avesse notata allora doveva ricorrere alla sua naturale abitudine alla malizia e allo scherzo. In questo momento preciso il suo cervello fece un breve appunto tra parentesi sul fatto che era molto più facile per loro mascherare tutto nello scherzo, così non si illudevano e non rovinavano la loro amicizia. O almeno “lei” non si illudeva.
E se lui non avesse notato nulla?

Meglio sembrare ridicoli che farsi umiliare.

“Perché è sempre così umiliante per te parlare di sentimenti?”
Lasciò cadere la domanda nel fondo della sua scatola cranica.

Osservò con attenzione i lineamenti di Marco tingersi di un lieve imbarazzo unito alla lusinga. Se ne era accorto. Anche lui pesava le parole con cura. Specie quelle degli altri.

La squadrò con una tale intensità che un brivido le corse lungo la schiena. Erano quelle sensazioni strane che a loro tempo le avevano comunicato che per una possibile storia con lui non c’era posto. Sarebbe sempre stata in un certo qual modo a disagio se lui mai le avesse riservato certe attenzioni. Tipo quello sguardo.

Si dipinse un’espressone maliziosa sul volto. Sbatté inconsapevolmente le palpebre una paio di volte caricando lo sguardo di molti sottointesi e altrettante battutine.

Piegò l’angolo sinistro della bocca dando l’impressione che stesse per dire qualcosa. E con una bravura, affinata dall’esperienza, fece l’Espressione. Quella che Marco capiva e non capiva. Quella in cui sembrava incerta tra il parlare e il sorridere.

Diede un impercettibile scatto alle sopracciglia sottili. Era stato lui a battezzarla “L’Espressione”.

L’Espressione, aveva ripetuto dubbiosa Amelia.

Sì. L’Espressione che gli diceva che aveva tante prese per il culo che le rimbalzavano tra la bocca e gli occhi e che lei non vedeva l’ora di dirgli.

Il colpo delle sopracciglia, come previsto, fece rilassare l’amico che strinse leggermente le labbra in una smorfia rassegnata. «Che c’è?» Domandò esasperato, fingendo che il commento che Amelia si sarebbe apprestata a fare sarebbe stato un fastidio.

Amelia ridacchiò tra sé pensando a quanto fossero strane le loro discussioni.

«No no niente…» finse di voler deviare il discorso.

«Dimmelo subito» ordinò rizzando la schiena.

«Mio dio che gnocca quella!» Esclamò lei «Quella ha due tette che me la farei perfino io!»

Marco non riuscì a fare a meno di girarsi e scoprì che Amelia aveva ragione. Una ragazza bionda con tratti chiaramente nordici stava per salire sul treno. Aveva un fisico da fotomodella e dalla scollatura della camicetta esibiva un decolté meraviglioso.

Rimasero a osservarla per tutto il tempo che rimase lì ad aspettare.

Amelia pensò che era davvero stupenda. Troppo perfino per Marco.

Arrivò ad associarla ad un angelo, per via degli occhi azzurri e il nasino all’insù. E poi per qualche strano motivo le venne in mente un compito di italiano di anni prima, sulla donna-angelo di Petrarca. Di certo era così la donna a cui lui pensava.

Bella, angelica e contemporaneamente sensuale fino all’osceno.

Un piccolo desiderio si fece spazio in lei. Un sogno nel cassetto che si esprimeva tutto nell’invidia che provava verso quella sconosciuta. Avrebbe dato oro per far voltare sguardi ammirati e donne invidiose. Ma Amelia non era certo il tipo che faceva perdere la testa.

Quando sparì dalla loro visuale Amelia trattenne un sospiro sconsolato ed esclamò: «A proposito di tette» Marco parve risvegliarsi da un torpore, e Amelia per la prima volta avrebbe voluto non leggere così chiaramente i pensieri del ragazzo «Che fine ha fatto Sonia? Dopo martedì intendo»

Sonia era l’unica delle ragazze di Marco che Amelia conoscesse.

Si erano presentate in corridoio a scuola. Non aveva la più pallida idea di che faccia avesse. Ma le sue tette le avrebbe riconosciute ovunque. Due satelliti.

«Mi ha un po’ deluso» rispose lui «mi ha fatto venire il torcicollo».

Un sopracciglio della ragazza schizzò automaticamente verso l’alto mentre un lampo le balenò negli occhi. E bastò quello a far intuire il suo primo pensiero a Marco che si lasciò andare in una fragorosa risata.

«Sei una ninfomane! Possibile che pensi solo a quello?»

Questa volta fu lei a fingersi infastidita. In realtà sapeva benissimo che lui non voleva offenderla «Tesoro, guarda che io non ho detto niente! Hai fatto tutto da solo» .

Dopo un breve silenzio la mente di Amelia fu attraversata da un pensiero.

Scoppiò a ridere da sola nello sconcerto di Marco.

«Che c’è?» Domandò allarmato «Che hai? Dimmi che c’è!» Esclamò allarmato.

Amelia cercò di riprendere fiato.

«Alla festa della Banfi» Disse tra una risata e l’altra «Potrai portare solo una ragazza!»

E Marco capì che questo era un problema.

 

 

*

 

 

Note di Mile:

 

Innanzitutto chiedo scusa se non aggiorno con regolarità, e se non rispondo alle vostre recensioni.

Purtroppo sto per trasferirmi e quindi il tempo disponibile è un po’ poco.


In ogni caso vi ringrazio di cuore.

Spero che anche questo capitolo vi piaccia anche se è meno brillante dei precedenti.

 

Prometto che il prossimo sarà più emozionante J

 

Un commento è sempre gradito, anche se negativo.

Grazie di cuore

 

Mile

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Capitolo 4
*** I Dettagli Importanti, Le Brevi Confessioni, I Piccoli regali ***


I Dettagli Importanti, Le Brevi Confessioni, I Piccoli regali

 

 

La porta del vagone era rimasta di nuovo spalancata.
Marco si guardò intorno con aria cospiratrice e, constatando che nessuno stava per avvicinarsi, la chiuse con uno scatto deciso. Il fracasso dei binari giunse più attutito e con un sorrisetto soddisfatto si abbandonò al sedile annuendo leggermente come ad approvare sé stesso.

Amelia trattenne con fatica un sorriso che stava nascendo incontrollato.

Tirò fuori dalla borsetta un burro cacao alla pesca e se lo spalmò sulla bocca guardando il paesaggio sovrappensiero. Premette il labbro superiore su quello inferiore per omogeneizzare lo strato del burro cacao.

 «Hai sempre le labbra screpolate?» disse Marco. Amelia non era del tutto certa che fosse una domanda. Probabilmente era una delle sue solite considerazioni. Lui era una persona molto attenta ai dettagli, specie se questi riguardavano una donna. Molte volte, come tutti gli uomini, non aveva piena facoltà di comprensione degli atteggiamenti delle donne. Ma questo non significava che gli sfuggissero.
Era attento ad un sussurro come ad un urlo, ad una pausa troppo lunga come ad un boato, al tic di una mano come ad un gesto plateale.

Marco era quel genere di uomo che a letto percepiva ogni reazione del corpo di una donna, e ad esso si adattava, traducendo dei semplici brividi e vibrazioni involontarie in indicazioni precise che gli spiegavano con esattezza come compiacere la sua amante.
E di questo Amelia era sicura, non solo perché l’aveva sempre intuito, ma anche per testimonianza diretta delle sue donne. Donne prese da tutto il liceo, di ogni genere. Bionde o more. Alte o basse. Formose o Magrissime. Donne che Amelia stessa aveva spinto verso il suo amichetto.

 «Sì» disse con un sorriso non proprio spontaneo «Ma metto sempre il labello. Per labbra da baciare» rise e lo guardò con occhi scherzosi.

Marco si limitò ad alzare un sopracciglio e a piegare in su gli angoli della bocca. Poi fece una domanda che non centrava niente. Ogni tanto lo faceva.
Amelia era certa che quando accadeva era perché la domanda da un bel po’gli rimbalzava tra la bocca e gli occhi. Per usare l’espressione che usava lui.

«come va con Giorcelli

Brutto argomento.

Amelia sentì la propria faccia trasfigurarsi. Era sempre lei, con gli angoli della bocca tesi leggermente verso l’alto e gli occhi leggermente stretti, ma non c’era più nulla di scherzoso sul suo viso. Forse un solo muscolo in più si era teso, o rilassato. Forse la luce era leggermente cambiata, e batteva sulle iridi in modo diverso. Forse una contrattura minima della fronte. Qualcosa di impercettibile mutava la sua espressione, in modo che se si fossero sovrapposte due istantanee della sua faccia, l’una precedente e l’altra successiva al mutamento, tutti i tratti del volto si sarebbero sovrapposti perfettamente immutati nella loro posizione.

Eppure il cambiamento d’umore era lampante, se non a tutti, almeno per Marco.

«Come al solito» iniziò «Un secondo sembra tutto perfetto, e il secondo dopo mi tratta come merda»

Marco la ascoltava in religioso silenzio, con quel modo quasi irritante di non intervenire mai fino a quando il suo interlocutore non aveva finito. E il più delle volte anche dopo che aveva finito, con un silenzio tanto insistente da spingerla ad aggiungere qualche dettaglio. Qualcosa che aveva trascurato. O che semplicemente non si sentiva di dire. Il più delle volte era qualcosa di stupido. «Praticamente non mi bacia mai» continuò lei, ripensando a Kate e a quanto appassionatamente doveva baciare Marco per averlo colpito in quel modo «Non mi dice “ti amo” da… San Valentino credo» un sorriso amaro cercava inutilmente di suggerire un certo distacco da quella situazione «e sono tre mesi che mi dice che appena entrerò in università lui mi mollerà perché non crede nei rapporti a distanze»

Marco la fissava in silenzio, aspettando una conclusione che Amelia non pensava di dare. E poi il silenzio fu troppo «Ormai me ne sono fatta una ragione, dopo tre mesi di continue frecciatine e cattiverie uno se la fa per forza».

A quel punto le frasi di circostanza erano d’obbligo.

“Non ti preoccupare” oppure “andrà tutto bene”. Era un rito a cui era difficile sfuggire, e quelle erano frasi che solitamente il confidente si sforzava di dire, e l’interessato fingeva di apprezzare.

I rapporti umani il più delle volte si riducono a pura formalità e a convenzioni sociali.

Ma Amelia e Marco non erano convenzionali.

Sentì la mano del ragazzo avvicinarsi al suo polso.

Durante la sua confessione, Amelia aveva giocherellato tutto il tempo con un elastico nero che portava sempre al braccio. Lo usava per legarsi i capelli in caso di emergenza. Marco lo sfilò dal polso sottile della ragazza facendo attenzione a non toccarla più del necessario.

Amelia lo guardò smarrita.

Lui lo indossò al braccio mettendolo di fianco a una fascia nera che portava avvolta in due giri. La sciolse e la consegnò alla ragazza che non esitò ad indossarla sul polso rimasto nudo.

Di giri ne dovette fare tre e le sembrò troppo spessa e appariscente per il suo braccino bianco. «Ti fa cagare» disse il ragazzo osservando il polsino casareccio.

«No!» esclamò lei, forse con troppo vigore «No davvero, mi piace tanto»

E le piaceva seriamente, perché sapeva benissimo che Marco non si toglieva mai quel polsino. L’aveva da sempre, e mai a nessuno aveva concesso uno scambio di quel genere, nonostante i molti scambi di braccialetti ed elastici che avvenivano con le sue donne.

Quello era una costante di Marco. Era il suo preferito. Qualcosa di solo suo.

Per questo la ragazza si sentì sciogliere di commozione.

Lo guardò con un sorriso tenero.

«Grazie»

«Sei il mio angelo custode… devi stare sempre con me»

«Ok, ora basta, che mi commuovo» Amelia si sporse in avanti e per una volta si concesse di darli un bacio innocente su quella guancia così famigliare.

Pochi secondi dopo il treno si fermò a Pavia.

 

 

Note di Mile:


OOOK, è un po’ breve come capitolo, e in teoria dovrebbe essere uno dei più emozionanti della “giornata” a parte un possibile capitolo di rating rosso verso la fine.

Sto scrivendo un po’  a rilento per via dell’università, anche se vivere da soli ha i suoi vantaggi, ci si ritrova molto meno tempo di quanto si possa immaginare.

 

Come al solito vi invito a lasciare un commentino, anche minimo e anche negativo, e vi ringrazio per il vostro tempo.

Mi dispiace un po’ che ci siano così poche persone che leggono e ancor meno che recensiscono, ma comunque mi hanno fatto molto piacere tutte le recensioni.

 

Grazie di cuore.

Mile

 

 

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