Kointahti - Stella del mattino

di ForgetMeNot
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - The Undertaker ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - Come Kiss Me Licia ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 - Incontri ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo'

 

Prologo

Helsinki, 2 Settembre 1992

Era triste dover andare via. Era sempre triste lasciare la città in cui si era nati e cresciuti per oltre sedici anni, ma era fondamentale andare via prima che lui se ne accorgesse. Raccolsi una lacrima che, traditrice, era sfuggita al mio controllo e raccolsi i miei abiti, infilandoli velocemente. Infilai fluidamente delle all stars che avevano di sicuro visto tempi migliori e solo allora mi arrischiai a lanciare un'occhiata al ragazzo che dormiva tranquillo, nel letto che aveva solo poche ore prima accolto il loro amore. “Mi spiace” sussurrai accarezzandogli delicatamente il viso, privo di qualunque traccia di barba. “Lo faccio per te. E per noi.”. Gli lasciai un ultimo, leggero, bacio sulle labbra, raccolsi il mio zaino e ne tirai fuori una lettera che lasciai sul letto, certa che, non appena si fosse svegliato, l'avrebbe trovata e letta. Era l'unica concessione che mi ero fatta, sarebbe stato troppo dirgli addio di persona, guardandolo negli occhi mentre gli spezzavo il cuore: il mio, di cuore, non avrebbe retto. Presi le chiavi dello scooter e il casco, abbandonati a terra, e uscii dalla stanza lentamente, cercando di non fare alcun rumore che avrebbe potuto svegliarlo: come avrei potuto spiegare la mia fuga frettolosa? Scossi la testa e decisi di non pensarci, chiudendo la porta delicatamente e non senza un brivido di timore. Sospirai e, mentre percorrevo a passo svelto il corridoio che collegava la stanza alla porta di casa, mi specchiai per sbaglio in un armadio a specchio proprio accanto la porta di casa. Quel che vidi mi fece salire un groppo in gola, mentre silenziose lacrime attraversavano il mio viso: nient'altro che un'adolescente con lunghi ricci scuri arruffati, le labbra carnose, tremolanti e strette a soffocare i singhiozzi, e occhi color dell'oro, colmi di lacrime e dolore. Distolsi lo sguardo e aprii quasi alla cieca la porta dell'appartamento, richiudendola dietro le mie spalle e corsi in strada, partendo poco dopo con lo scooter diretta a casa.

L'areoporto di Helsinki era piuttosto desolato a quell'ora del mattino e mi strinsi nella felpa fin troppo grande per la mia corporatura esile. Inspirai profondamente per darmi coraggio, riuscendoci solo in parte. Guardai per l'ennesima volta un vecchio orologio appeso ad un un muro verniciato di fresco, quasi sperando che il tempo avanzasse più velocemente, per non permettermi ripensamenti. Notai una cabina telefonica, apparentemente in buono stato, e mi ci avvicinai, attirata come una falena dalla luce. Mi resi conto che stavo per chiamarlo solo dopo aver composto la maggior parte del numero e riattaccai, intristita. Ripresi la cornetta e questa volta composi il numero giusto. Una voce stanca e vagamente strascicata mi rispose, riempendomi di nostalgia e tenerezza “Ciao nonna. Sì, sono all'areoporto, sto per partire. Arriverò per pranzo, certo. Grazie, nonna. A presto, allora. Sì, anche io, ciao”. Guardai nuovamente l'orologio: era ora. Mi avvicinai all'ufficio informazioni titubante, trascinandomi dietro una grande valigia piuttosto pesante. La signorina al di là del vetro mi sorrise e riuscii, nonostante tutto, a ricambiarle timidamente. “Buongiorno. Avrei prenotato un biglietto di sola andata per Roma, Italia. Sono Annika Sibelius.”.

Mentre l'aereo si alzava in volo, non potei che dar sfogo a tutte le lacrime, seppur silenziose, che premevano per uscire dai miei occhi: ero sola, in viaggio verso un luogo sconosciuto, un paese decisamente diverso da quello in cui ero vissuta e che avevo amato. All'improvviso dentro di me qualcosa si mosse: era stato un piccolo rimescolio al ventre, quasi impercettibile, ma c'era stato. Sorrisi debolmente e portai la mani sulla pancia, in una leggera e tremolante carezza. “Va tutto bene, piccola. Non sono sola... ho te. Andrà tutto bene, la mamma sarà forte per te”. Guardai al di fuori dell'aereo e, mentre l'ultima stella, la stella del mattino, scompariva pian piano cedendo alla luce del giorno, mi addormentai, spossata dalle lacrime ma con una piccola fiammella di speranza che partiva dal ventre e arrivava al cuore.

Nel frattempo nel cuore di Helsinki, il cuore di un ragazzo appena diciassettenne si spezzò irrimediabilmente.



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Capitolo 2
*** Capitolo 1 - The Undertaker ***


Capitolo 1 – The Undertaker



Roma, 4 luglio 2010

Mi sentii tanto un pacco postale, di quelli col destinatario illeggibile e mittente mancante, tra l'altro. Le mie valigie erano pronte, nella stanza accanto, e gli scatoloni con le mie cose erano imballati da tempo e io ero ancora costretta a star seduta attorno a quel tavolo, mentre degli sconosciuti decidevano della mia vita. In un modo o nell'altro, fino al prossimo anno, non avrei potuto vivere in questa casa, la mia casa. Non mi innervosii, non urlai, non sbuffai impaziente, non piansi. Mi sentivo svuotata, completamente persa nel mio dolore, e guardavo, senza realmente vederle, le persone in quella stanza che discutevano animatamente. Ad un tratto la porta si aprì ed un uomo anziano, completamente vestito di nero, si accomodò sull'ultima sedia rimasta libera, mormorando quelle che sembrarono delle scuse. Mi guardò per un attimo, incuriosito, per poi sorridermi con una strana luce negli occhi scuri. Non risposi al sorriso, né diedi segno di essere incuriosita in qualche modo del suo arrivo: sarà stato il becchino.

Ora che siamo tutti presenti, possiamo iniziare con l'apertura del testamento.” Il notaio sistemò i documenti che aveva davanti a sé e si schiarì la gola. “Io, Helejna Laine in Sibelius, nel pieno possesso delle mie facoltà mentali, nomino mia nipote Kointahti Mikaela Sibelius erede di tutto il mio patrimonio al compimento del diciottesimo anno d'età. Fino a quel momento dispongo che il signor Seppo Vesterinen, mio caro amico d'infanzia, si prenda cura di mia nipote e dei suoi beni nel migliore dei modi, e che la sostenga nella sua ricerca. Allego qui una lettera da consegnare alla suddetta nipote in via strettamente privata, da leggere il prima possibile. Roma, 15 settembre 2004”.

Lo shock fu tale da scuotermi dalla mia iniziale apatia e notai, non senza una certa dose di curiosità, che anche colui che avevo classificato come becchino sembrava piuttosto scosso. Le parole della nonna, anzi bisnonna per essere precisi, ruotavano nella mia testa come impazzite. “Ricerca?” fu l'unica cosa che riuscii a dire, con quella che sembrava più il pigolio di un pulcino che la voce di un essere umano. Nessuno dei presenti rispose alla mia domanda, il notaio mi consegnò una busta bianca, con rifiniture in avorio, che osservai sbigottita e che, con mano tremante, mi accinsi a prendere. Mi alzai e mi diressi in quella che era stata per diciassette anni la mia camera per avere un po' di privacy. Mentre chiudevo la porta della piccola stanzetta, riuscii a percepire le ultime parole del notaio “C'è una lettera anche per lei, signor Vesterinen”. Non volli sentire altro.

 

"Roma, 15 Settembre 2004

Carissima Tahti, se stai leggendo questa lettera, vuol dire che io non ci sono più, ormai. Non piangere, bambina mia, e non chiuderti nella tua apatia come stai facendo in questo momento, da oltre due settimane della morte di tua madre. Lei non vorrebbe che tu stessi così, e nemmeno io lo voglio, bambina mia. Quando tua madre arrivò in questa casa, quasi dieci anni or sono, sperduta e incinta, mi si strinse il cuore e decisi non farle domande, né su tuo padre né della sua fuga frettolosa. Sembrò capire i miei sforzi e mi sorrise dolcemente, portandomi una mano sul suo ventre solo vagamente arrotondato. “E' una femmina e nascerà in gennaio. Saluta la nonna, Kointahti”. Puoi immaginare ben la mia sorpresa quando qualcosa si mosse, al di sotto della mia mano. Piansi, bambina mia, e abbracciai forte tua madre. Sai, Tahti, il tuo nome significa “stella del mattino” e tua madre mi spiegò che aveva scelto così, per te, poiché quella era stata l'ultima cosa che aveva visto della sua città natale, Helsinki, poco dopo che avevi fatto sentire la tua presenza per la prima volta. Non mi disse mai nulla di tuo padre, tranne che l'amava ancora e che lui aveva amato lei incommensurabilmente. Voleva che tu sapessi che eri nata dall'amore, piccola mia, e che eri sempre stata amata. Molti anni più tardi, quando tu avevi poco più di cinque la scoprii scrivere su un piccolo quadernetto nero, con uno strano simbolo sopra. E' questo lo scopo principale di questa mia lettera: nella stanza di tua madre, in fondo all'armadio, ho conservato tutti i suoi quadernetti, sono sicura che lei vorrebbe che li tenessi tu. Poco prima che se ne andasse mi confessò che la situazione era cambiata, per tuo padre, e che lei avrebbe voluto che tu lo conoscessi e che lui fosse messo a conoscenza della tua esistenza. E' qui che devi perdonarmi, bambina mia, perché non posso pensare di lasciarti andare, ora, e rischiare che lui ti porti via da me. Perdona l'egoismo di una vecchia troppo sola e addolorata, che si è vista sopravvivere a sua figlia e a sua nipote. Non posso perdere anche te, proprio ora che mi sei rimasta solo tu al mondo. Spero che un giorno potrai perdonarmi.

Ho ripreso i contatti con un vecchio amico di famiglia, il signor Vesterinen, che veglierà su di te e ti aiuterà a trovare tuo padre, se lo vorrai. Lui è finlandese, come tua madre, e ha molte conoscenze nel campo musicale e tuo padre, a detta di Annika, ha avuto un grande successo con una band finlandese di un gruppo di cui non so il nome, purtroppo, ma che dovrebbe comunque essere scritto negli ultimi quadernetti di tua madre.

Sappi che ti ho voluto bene, bambina mia, e che sei stata per me, come per tua madre, una fiammella che ha riscaldato i nostri cuori e illuminato le nostre vite.

Con immenso affetto,

Nonna Helejna"

 

La stanza vorticava furiosa intorno a me, le parole della lettera che stringevo fra le mani si accavallavano le une sulle altre, rendendole irriconoscibili e illeggibili. Presi quindi un grosso respiro e, mentre la stanza riprendeva la sua normale staticità, rilessi velocemente quella breve, brevissima, lettera. Non ero arrabbiata con la nonna, né con mia madre né col mondo intero, a dir la verità: il ronzio che occupava la mia mente e assordava le mie orecchie non mi permetteva di provare nulla. Cercai di riscuotermi, concentrandomi su quei quadernetti, dei diari, che la nonna aveva conservato – o nascosto? – nell'armadio della camera della mamma. Non mi accorsi di essermi alzata dal letto, sul quale mi ero distesa a leggere quelle poche righe qualche minuto prima, finché non sentii richiudere dietro di me la porta della mia stanza. I miei piedi si mossero da soli, attirati come da una calamita dalla stanza in fondo al corridoio, quella che era stata di mia madre. Entrai piano, pronta a essere sommersa dai ricordi legati a quella stanza, che puntualmente arrivarono forti, sotto forma di una potente ondata di nostalgia e malinconia. Accarezzai con lo sguardo l'intera stanza: il letto perfettamente rifatto, le pareti chiare e i mobili di legno scuro, una gigantografia di Helsinki appesa al muro, qualche ninnolo infantile, i miei primi regali di natale, lavoretti della scuola. Era tutto rimasto come sei anni prima, tutto come il giorno in cui se n'era andata a causa di una polmonite fin troppo aggressiva. La nonna aveva voluto così, aveva eretto la camera a santuario della mamma, e ci si rinchiudeva spesso anche per ore, a riflettere. Helejna Sibelius, a dispetto della sua origine nordica, era stata la persona più calorosa del mondo: aveva accolto nipote e pronipote in casa sua, aveva donato loro tutto l'amore di una madre, ampiamente ricambiato, e gliel'aveva dimostrato ogni giorno. La morte prematura della nipote l'aveva scossa profondamente e non c'era stato giorno in cui non avesse fatto visita alla camera della defunta con e senza la nipotina.

Riemersi dai miei pensieri, non senza un malinconico sorriso, e mi avvicinai ad un'anta dell'armadio, indecisa se aprirla o meno. “Al diavolo!” mormorai e aprii di scatto, socchiudendo gli occhi. Non so cosa di speciale mi aspettavo che capitasse, qualcosa tipo un'esplosione di suoni, di colori o generale, fatto sta che nulla di tutto ciò accadde, ovviamente, e se fossi stata anche solo un minimo più lucida me ne sarei resa conto da sola. L'armadio era solo un semplice armadio, piuttosto vuoto a dir la verità: oltre alla famosa scatola, c'era soltanto una vecchia felpa nera piuttosto grande. La presi e, con un un gesto un po' insensato, la portai al viso per annusarla. Una lacrima sgorgò dai miei occhi senza che potessi fare nulla per impedirlo: possibile che ci fosse ancora il suo profumo dopo tutti questi anni? O era solo una mia suggestione?

Un leggero bussare alla porta mi distrasse. Presi la scatola a la poggiai a terra, guardandone il contenuto. “Avanti” mormorai, prendendo il primo quadernetto della piccola pila. Alzai lo sguardo quando la porta si aprì e non potei nascondere la mia sorpresa quando apparve la scura figura del becchino. “Mi dispiace disturbarti, ma avrei bisogno di parlarti, prima di partire” mormorò un po' a disagio, con un accento familiare. Immediatamente m'innervosii “Lei, signor becchino, è un avvoltoio! E' venuto qui a chiedere dei soldi, vero? Non ne ho, non ha sentito il notaio? Vada dal signor Vesterinen, e mi lasci in pace!” Le mie guance, solitamente pallide, si colorarono di rosso per la rabbia e la foga con cui avevo risposto. L'uomo sembrò sbigottito più di quanto lo ero stata io quando era apparso alla soglia della stanza “Becchino?” disse, confuso. Ancora quello strano accento, di cui però non riuscivo a ricordare il quando l'avessi mai sentito. “Becchino, sì. Beccaio, beccamorto, hautausurakoitsija, the undertaker. Come lo vuole chiamare?” sbuffai spazientita. Contro ogni mia aspettativa, l'uomo rise. Rise forte, e sembrava non riuscire a smettere. Aspettai svariati secondi, perplessa, che si calmasse, ma l'uomo non accennava a smettere. Mi guardai attorno preoccupata: che fosse un folle? Purtroppo, le uniche uscite erano la porta, occupata in gran parte da quell'uomo, e la finestra. Il fatto che fossimo al terzo piano, però, mi portava a scartare la seconda proposta. Mi feci prendere dal panico e, mentre la mia mente elaborava piani di fuga sempre più improbabili e fantasiosi – uno dei quali mi vedeva lanciarmi fuori la finestra con un doppio salto mortale e atterrare su una moto fiammante e già in moto, in una specie di incrocio fra Lara Croft e Mission Impossible –, l'uomo smise di ridere. “Hai proprio un bel caratterino, sai? Tutta tua nonna” e col sorriso ancora sulle labbra, mi allungò una mano “Io sono Seppo Vesterinen, Kointathi. E sono il tuo tutore legale”. Ah. Era finlandese, amico della nonna. Ecco perché il suo accento mi sembrava familiare.

Molte ore più tardi, dopo aver impacchettato le mie cose e dato ordine di inviarle all'indirizzo che il signor Vesterinen aveva fornito e una corsa all'areoporto, mi ritrovai seduta in una poltroncina di prima classe di un aereo diretto ad Helsinki, seduta accanto al signo Vesterinen. Le cose erano accadute così velocemente che non c'era stato il tempo di pensare: dopo essermi scusata per la magra figura che avevo fatto con il signor Vesterinen, egli mi aveva avvisato che non poteva rimanere in Italia per più di qualche ora, a causa di certi impegni di lavoro. Da lì, mi ero ritrovata catapultata in una marea di cose da organizzare, preparare e spedire ed avevo avuto giusto il tempo di agguantare l'enorme felpa di mia madre, i suoi diari e di chiudere casa. Non ero riuscita ad avvertire nemmeno Ilaria, la mia migliore nonché unica amica, se non poco prima che l'aereo decollasse. Ero sempre stata una persona piuttosto riservata, che non aveva particolare interesse negli altri, e che credeva fermamente nel detto “pochi ma buoni”. Nel mio caso i ''pochi'' si riducevano ad uno. Ilaria, scherzando, spesso mi diceva che ero al limite fra la disadattata e l'asociale. E a me andava più che bene così.

Mi addormentai, comunque, non appena poggiai la testa sul morbido poggiatesta della poltroncina e non mi risvegliai che a un'oretta dall'arrivo, infastidita dal russare di qualcuno seduto dietro di me. Anche l'uomo seduto accanto a me sembrò infastidito dall'insistente russare, ma continuò a leggere il suo giornale, concentrato. Presi il mio bagaglio a mano, un piccolo zainetto colorato e pieno di scritte mie e di Ilaria, di spille e ciondoli, e ci frugai dentro, leggermente emozionata. Afferrando il diario di mia madre, il primo secondo la data che vi era impressa sulla copertina, l'emozione mi fece tremare le mani. Inspirai profondamente e lo aprii: 8 agosto 1996, Caro diario...

 

Non potevo crederci. Guardai sbigottita quelle lettere chiare, un po' spigolose, classiche della calligrafia di mia madre e dovetti rileggerle, per essere sicura di aver inteso bene. Dopo averle rilette per la terza volta il significato non cambiò e decisi di chiudere il diario e posarlo sulle mie ginocchia, per riflettere. Alcune di quelle frasi sfrecciavano nella mia mente come impazzite 'Mai, mai scommettere contro Annika Sibelius'. Scossi la testa come per scacciare via una mosca piuttosto insistente. '...spero capirai che era la cosa giusta da fare per te, per noi, e che mi perdonerai', e ancora 'Hanno chiamato il gruppo H.I.M., acronimo per solo Dio sa cosa'

Anche tu sei una fan degli H.I.M?”. Mi distrasse la voce di Seppo Vesterinen che, seduto accanto a me, aveva appena ripiegato il giornale. “Come, signor Vesterinen?” chiesi, con voce strozzata, credendo di aver pensato a voce alta. “Ti prego, bambina, chiamami Seppo. Sennò mi fai sentire vecchio!” rise brevemente. “Comunque mi riferivo all'heartagram su quel quaderno” sorrise, indicando con lo sguardo la copertina del diario. Ma certo, gli H.I.M.. Quello strano simbolo deve appartenere a loro. In fondo, mia madre era pur sempre una loro fan. Lo fissai dritto negli occhi scuri, ma non lo vidi veramente, persa com'ero nei miei pensieri e, con le emozioni in tumulto, emisi un risolino isterico “No, in realtà no, Seppo”. Mi guardò confuso. “Ma pare che io sia la figlia di uno di loro.” riuscii a concludere, atona. Seppo sbiancò, somigliando ancora di più al becchino che avevo ipotizzato fosse all'inizio. Seppo, the Undertaker.



8 agosto 1996

Caro diario,

ce l'hanno fatta! Ce l'hanno fatta! Lo sapevo, lo sapevo che ce l'avrebbero fatta! Ah, Migè mi deve una birra, e una di quelle buone tra l'altro. Mai, mai scommettere contro Annika Sibelius, lei VINCE! E ben presto conquisteranno il mondo, e lì altro che birra, Migè Amour, o come diavolo ti fai chiamare ora Paananen! Fortunatamente la nonna si fa sempre arrivare il giornale, l'Helisingin Sanomat, direttamente da casa, e così ho potuto sapere la notizia relativamente presto! Hanno chiamato il gruppo H.I.M., acronimo per solo Dio sa cosa, e Ville ha disegnato l'heartagram. E' davvero, davvero, perfetto. Ero sicura che quella testa dura, se solo si fosse impegnata, avrebbe fatto cose straordinarie! Glielo diceva sempre anche Linde.

Mi mancano. Sono passati quattro anni ormai e mi mancano terribilmente. Kointahti è sempre più bella, con quei folti capelli scuri e gli occhioni azzurri, sempre spalancati a cercare di guardare quanto più mondo le è possibile, e fra qualche mese compirà quattro anni. Ora dorme, la nonna dice che è praticamente la mia fotocopia. A prima vista è vero, potrebbe sembrarlo, ma io ti rivedo in ogni smorfia del suo viso, nelle fossette del suo sorriso, in ogni sfumatura dei suoi incredibili occhi.

Un giorno spero capirai che era la cosa giusta da fare per te, per noi, e che mi perdonerai. Non era quello che volevi, non era ciò che ti avrebbe fatto felice, dover badare ad un figlio, abbandonare la musica per garantirgli un futuro. Se tu l'avessi saputo, se te l'avessi detto, probabilmente mi avresti convinta a non andarmene, avresti abbandonato tutto, ma io non potevo permettertelo. Non saresti stato felice, quello di cui avevi, e hai tutt'ora, bisogno è la tua musica. Non ho potuto permetterti di veder crescere tua figlia, e questo sarà il mio unico rimpianto, ma ogni evento importante della sua vita è documentato da centinaia di foto, e di filmati, che un giorno spero di poterti far vedere. Ma sono dovuta andare via da te, per la tua felicità, perché ti amavo. E ti amo ancora, Mikko ''Linde'' Lindstrom.







Angolo Non-Ti-Scordar-di-Me

Eh già, proprio il nostro Linde.. ve lo aspettavate? ^____^

Grazie mille a chi legge soltanto, e infinite grazie a chi ha recensito, mi avete riempito il cuore di gioia ^_______^

TheResurrection: Grazie mille, spero ti piacerà anche questo capitolo! =)

Villina92: Grazie mille, ma spero che non vorrai mettermi alla gogna dopo questo capitolo.. che intendevi con ''a posto?'' ^^

Alla prossima!

ForgetMeNot - Myosotis

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 - Come Kiss Me Licia ***


Capitolo 2 – Come Kiss Me Licia

 

In volo, 5 luglio 2010

 

Era evidente che certe cose non accadevano solo nei film. Seppo era ancora ammutolito dallo stupore, così gli passai il diario di mia madre, titubante. Anche se non l'avrei creduto possibile, lo vidi impallidire ancora di più, prendendo una vaga sfumatura verdastra che non mi rassicurava per niente, tant'è che chiesi alla hostess di portarmi qualcosa per farlo riprendere un po'. Quando la hostess gli portò un po' d'acqua, Seppo sembrò riscuotersi, ma mi guardò comunque con occhi piuttosto allucinati “Sei la figlia di Linde?” biascicò sorpreso. Io annuii, ricordando che mia madre, nel suo diario, lo aveva chiamato anche così. “Ma proprio Linde, il chitarrista degli HIM?”. Ci pensai un po' su: mia madre non aveva accennato a chitarristi o simili. “In realtà, Seppo, non ne ho la più pallida idea se sia il chitarrista o meno. Mamma ha scritto solo Mikko Lindstrom, degli Him. Penso anche che abbia nominato un certo 'Ville' e un certo 'Mikko Paananen', nient'altro” continuai io, ormai non troppo turbata. Non conoscevo nessuno degli Him, quindi che mio padre fosse un cantante, un chitarrista o un trombettiere per me non faceva nessuna differenza. Seppo annuì, perso nei sui pensieri, e mi restituì il diario di mia madre, che provvidi a chiudere nello zaino. Nel momento in cui mi girai, però, per chiedere qualche spiegazione in più a Seppo, ci informarono di allacciare le cinture per l'atterraggio e non ci fu più il tempo di parlare: eravamo arrivati ad Helsinki.

 

Non so cosa mi aspettassi, forse la neve o una città priva di colori, ma rimasi abbagliata: Helsinki era luminosa e rigogliosa di vita. La luce del mattino donava alla città un soffuso candore, grazie al quale i colori risplendevano come non mai, dall'azzurro del cielo, al blu del mare, al verde dei parchi e delle cupole dei monumenti: Helsinki sembrava il paradiso terrestre. Al contrario di ogni mia aspettativa, di nuovo, non faceva freddo anche se di certo non era come il luglio di Roma, era più simile ad una tiepida primavera. Il mio clima ideale! Sorrisi e non potei fare a meno di notare come anche il mio tutore, una volta messo piede sulla terra natia, avesse gli occhi che brillavano e un sorriso leggero sul volto pallido. Arrossii vagamente quando ricordai di averlo scambiato per il becchino e distolsi lo sguardo da lui per riportarlo all'azzurro di Helsinki. Un brivido di pura gioia mi attraversò la schiena e mi sentii in pace col mondo intero: era questo, per caso, l'amore a prima vista? Non avevo mai sentito parlare di colpo di fulmine per un luogo, ma infondo io non ero mai stata una ragazza convenzionale: in 17 anni di vita a Roma ero riuscita non solo a non imparare nemmeno una parola di dialetto, ma anche a non assorbirne la cadenza. In compenso, però, conoscevo piuttosto bene il finlandese, lingua di mia madre e di mia nonna, e l'inglese, colpevole la mia amica Ilaria e la sua passione per l'Inghilterra. Il pensiero di Ilaria mi riscosse: mi avrebbe ammazzata! L'avevo avvisata solo tramite sms, non un granché in effetti, senza darle la possibilità di una spiegazione. E no, non avrebbe capito l'urgenza della situazione. Mentre mi accingevo ad accendere il cellulare che per sicurezza avevo dovuto tenere spento in aereo, mi accorsi che Seppo si era allontanato di qualche passo e mi faceva segno di raggiungerlo indicando una grossa auto nera, coi vetri oscurati. Possibile che fosse così famoso? Decisi di non pensarci per il momento e lo aiutai a infilare la mia valigia nel bagagliaio dell'auto, per poi accomodarmi poco dopo sul sedile posteriore dell'auto diretta a casa. Un attimo, ragionai, casa mia era a Roma. “Seppo... dove stiamo andando?”. Seppo si girò verso di me quel tanto che gli permetteva il sedile del passeggero e la cintura allacciata. “A casa mia” rispose tranquillamente. Gelai: avrei dovuto dormire con uno sconosciuto, in una casa sconosciuta di un paese sconosciuto? Tutti quegli ''sconosciuti'' mi provocarono un po' di panico e probabilmente lo si lesse chiaramente sul mio viso, perché Seppo sorrise cordialmente e mi rassicurò dicendomi che lui aveva del lavoro da sbrigare e quindi sarebbe stato a casa per davvero poche ore. Il viaggio in auto non durò moltissimo e Seppo era una compagnia rassicurante e di un'allegria contagiosa, tant'è che più volte mi ritrovai a sorridergli apertamente. Mi raccontò del suo lavoro di manager (“E' un po' come fare il babysitter della musica! Sono una babysitter stra-pagata!”) di alcune band piuttosto famose e lì scoprii con sorpresa che era anche il manager degli Him, la band di mio padre. Fui piuttosto sorpresa ma in quel momento soltanto riuscii a spiegarmi la reazione quasi catatonica che aveva avuto in aereo. Poi realizzai: che colpo di fortuna! Avrei potuto presto conoscere mio padre, l'uomo che la mamma aveva tanto amato e poi abbandonato per consentirgli di diventare un musicista famoso! Non stavo più nella pelle e, quando arrivammo a casa di Seppo, non riuscii nemmeno a stupirmi della grandezza della villa o del suo arredamento minimal, ma lussuoso. Improvvisamente com'era arrivata, però, l'eccitazione si trasformò in qualcosa di più amaro. Mio padre non mi conosceva, non sapeva nemmeno della mia esistenza: come avrei mai potuto sperare che mi credesse? Ero molto simile a mia madre, vero, ma erano pur sempre passati diciassette lunghi anni, anni in cui mio padre aveva conosciuto fama, donne, successo. E se pure mi avesse creduto, chi mi diceva che mi avrebbe voluta? Fui riscossa da questi pensieri da Seppo che mi indicò la mia nuova camera, almeno tre volte più grande di quella che avevo a Roma, e mi disse di rinfrescarmi un po' mentre lui preparava il pranzo. Sorrisi mestamente e ringraziai, iniziando a disfare la valigia e prendendo l'occorrente per una doccia veloce, l'ideale per rimettermi un po' in sesto dopo il lungo viaggio in aereo e la giornata allucinante che avevo avuto.

Il pranzo, se tale si poteva chiamare una pizza surgelata a testa, era trascorso piuttosto silenziosamente e serenamente. Sparecchiai velocemente e, dopo aver non poco insistito, lavai le poche stoviglie che avevamo utilizzato e Seppo tirò fuori il pacchetto di sigarette che aveva in tasca e iniziò a giocherellarci. Dopo aver sbrigato le poche faccende, lo raggiunsi intorno al tavolo della cucina, pronta a ricevere altre informazioni su mio padre e sul suo gruppo, ma ben presto mi accorsi che Seppo sembrava nervoso e continuava a giocherellare con le sigarette. Sospirò forte, guardandomi finalmente negli occhi, e si decise a parlare “Dovremmo affrontare seriamente la questione di tuo padre, Kointahti. Posso capire che tu non veda l'ora di vederlo ma ci sono cose che devi sapere, prima, e poi dobbiamo vedere come... come regolarci, ecco”. Annuii, consapevole, e Seppo parve rincuorarsi, iniziando a raccontare speditamente. Mi raccontò della band da quando l'aveva presa lui in gestione, del carattere introverso di mio padre, della passione per le sue chitarre e del periodo piuttosto buio del cantante della band, Ville, che aveva avuto ripercussioni un po' su tutti. Quando mi raccontò di Manna e di Olivia sentii una piccola stretta allo stomaco: saremmo potute essere io e la mamma, se le cose fossero andate diversamente, e io non sarei stata in questa situazione piuttosto delicata. In quell'istante realizzai che la mia era, effettivamente, una situazione delicata: mio padre aveva una famiglia, una figlia di sette anni troppo piccola per capire appieno, che avrebbe anche potuto pensare che io volessi rubarle suo padre. Nostro padre. Mi vennero i brividi al pensiero della mia sorellastra, io che ero sempre stata sola, ma erano brividi di felicità: avevo sempre desiderato avere una famiglia numerosa, probabilmente perché ero cresciuta sola con nonna Helejna. “...rientreranno la prossima settimana e resteranno qui ad Helsinki fino ad agosto, con solo qualche leggero impegno”. Riemersi dai miei pensieri giusto in tempo per vedere quegli occhi scuri fissarsi nei miei, talmente penetranti da scavarmi dentro e arrivare a guardare l'anima. Non resistetti a quell'indagine intrusiva e abbassai lo sguardo sul pacchetto di sigarette che giaceva immobile sul tavolo e con la cosa dell'occhio intravidi Seppo fare un mezzo sorriso. “Sarai stanca. Vai a riposare, abbiamo ancora una settimana di tempo per pensare a quello che fare”. Annuii, effettivamente stanca e mi ritirai nella camera che mi era stata assegnata, ancora piuttosto spoglia. Stavo per posarmi stancamente sul letto quando un flebile quanto allegro motivetto mi ricordò dell'effettiva esistenza del mio cellulare. Sudai freddo quando mi ricordai della mancata telefonata ad Ilaria e, cautamente, risposi alla chiamata “Ehi, Lili. Ti giuro, posso spiegar...” “Pensi di poter spiegare il fatto che non ti sento da oltre ventiquattro ore e che mi hai lasciato su scritto un messaggio che diceva 'sono in areoporto, sto partendo. Ci sentiamo presto'?”. La voce vibrante d'ira di Ilaria arrivò forte e chiara e io mi sentii arrossire. “Ecco, vedi... io... io...” incespicai nelle parole e sentii uno sbuffo divertito all'altro capo del telefono “Spara dai, Koko, prima che decida seriamente di farti la pelle”. Sorrisi e sbuffai per quel ridicolo soprannome e iniziai a raccontare.

 

Helsinki, 11 luglio 2010

 

In sei giorni io e Seppo eravamo riusciti a costruirci una certa routine che di familiare, comunque, aveva ben poco: la mattina presto Seppo usciva di casa per tornare, poi, per l'ora di pranzo giusto in tempo per “gustarsi del buon cibo italiano”; dopo due giorni di cibi precotti e pizze surgelate, infatti, mi ero decisa a prendere in mano le redini della cucina e, pur non essendo una gran cuoca, un buon piatto di spaghetti sapevo prepararlo e Seppo sembrava stesse aspettando solo quello per dire definitivamente addio a quello che solo con molta immaginazione poteva ritenersi 'cibo'. Non molto tempo dopo pranzo, comunque, Seppo spariva di nuovo fino a sera e io ne approfittavo per leggere i diari della mamma e per fare lunghe passeggiate per Helsinki, senza allontanarmi eccessivamente dall'abitazione – anche se è meglio definirla maestosa villa – del mio simpatico tutore.

Avevo imparato ad amare quella città ospitale metro a metro che la percorrevo e ad apprezzare la discrezione e l'affabilità dei suoi abitanti, rispolverando il mio finlandese un po' arrugginito e chiacchierando allegra con alcuni negozianti. Continuai a passeggiare, sovrappensiero, con la busta della spesa che dondolava a tempo con la mia andatura. Alla fine, dopo una lunghissima discussione un po' agitata, io e Seppo avevamo trovato un compromesso sulla questione 'padre'. Avevamo deciso o meglio, lui aveva deciso, che a causa della delicata situazione di mio padre, con Manna e Olivia, avremmo aspettato un po' di tempo prima di rivelargli che io fossi, in definitiva, sua figlia. Avremmo semplicemente detto una parte di verità, cioè che lui mi aveva praticamente 'ereditato' dalla sua vecchia amica di infanzia, nonna Helejna, e che sarei stata con lui fino al compimento dei diciott'anni, in Dicembre. Io non ero d'accordo, ovviamente, ma dovetti sottostare alla ragionevolezza del suo discorso. Per contro, però, io volevo comunque conoscerlo, stargli accanto, permettergli di conoscermi e di conoscerlo. Ero stata così determinata che Seppo si era trovato d'accordo con me e mi aveva assicurato che ci avrebbe pensato lui. Ancora con le sue parole in mente, girai svelta l'angolo della strada e andai a sbattere violentemente contro qualcuno che mi fece volare gambe all'aria. Persi la presa sulla busta della spesa che si riversò in strada “Ahi! Dannazione, stia più attento!” affermai, cercando di rimettermi in piedi. “Potrei dirti la stessa cosa, sai, ragazzina?”. Alzai lo sguardo sull'uomo su cui ero andata a sbattere: un bel ragazzo, alto, bruno e con due penetranti occhi verdi. I jeans stretti gli fasciavano le gambe snelle, una t-shirt nera e un cappello scuro in testa. Di lana. Repressi una risata divertita e mi accinsi a radunare la spesa che, fortunatamente non consisteva in uova o qualcosa di estremamente fragile. Sbuffai quando mi accorsi che lo sconosciuto non muoveva un dito per aiutarmi. Irritata, sbottai “Puoi almeno darmi una mano a raccogliere tutta questa roba?”. Lo sconosciuto sembrò trasalire e iniziò a raccogliere la spesa, scoccandomi di tanto in tanto qualche occhiata incuriosita. Finii di raccogliere la spesa e fu troppo tardi quando mi accorsi che mancava qualcosa. Una risatina imbarazzata alle mie spalle, mi gelò “Hai le 'tue cose', darling?”. Mi girai e con orrore notai che quello sconosciuto aveva in mano un pacco di assorbenti intimi. I miei assorbenti. Arrossii e iniziai a imprecargli contro, mischiando nel flusso di parole anche un po' di italiano e di inglese. L'uomo ghignò e mi si avvicinò, mettendo gli assorbenti nella busta della spesa che tenevo in mano. Inaspettatamente, invece di allontanarsi, mi si avvicinò ancora di più, portando una mano lunga, sottile, al mio volto, avvicinandolo al suo. “Non dovresti arrabbiarti, darling. Una ragazza così carina non dovrebbe arrabbiarsi in questo modo”. Rimasi impietrita da tanta audacia, e dal suo volto così vicino. Tuttavia, la sorpresa durò solo pochi secondi e la mia mano scattò veloce, prima di qualunque pensiero logico. Fissai sbalordita il segno rosso che andava accentuandosi sulla guancia dello sconosciuto davanti a me, la sua espressione sbalordita e la mia mano, che ancora pulsava per l'impatto. Biascicai qualche scusa più o meno comprensibile e fuggii letteralmente via, lasciandolo ancora stupefatto a massaggiarsi la guancia.

Non appena arrivai a casa, un po' affannata dalla corsa, realizzai pienamente quello che avevo fatto e scoppiai a ridere. Così mi trovò Seppo, tornato dal lavoro un po' prima che mi guardò confuso, ma contento della mia spensieratezza.”Ho una tale fame che mangerei anche te, Tahti” mi disse sorridendo sbilenco, mettendo i denti in bella vista come per mordermi, gli occhi scuri che brillavano. Mi ripresi velocemente, ridendo ancora, e iniziai a preparare la cena mentre Seppo mi guardava fra l'affamato e il divertito. D'un tratto, come un veloce flash della mente, apparve davanti ai miei occhi una scena di un famoso cartone animato che in Italia aveva avuto piuttosto successo quando ero bambina e mi stupii per la precisione con cui erano avvenuti i fatti. Ci mancava solo che lo sconosciuto fosse il cantante di una band abbastanza famosa e poi mi sarei potuta considerare la protagonista di Kiss Me Licia e lo sconosciuto sarebbe stato la versione dark di Mirko. Scossi la testa per l'assurdità della scena e mi concentrai sul cibo.

Andai presto a letto, dopo cena, l'indomani mio padre e gli Him sarebbero tornati ad Helsinki e finalmente avrei potuto conoscerlo.

 

 

 

Angolo Non-Ti-Scordar-di-Me

 

Ma salve bella gente! Finalmente, anche se con un po' di ritardo, sono riuscita ad avere un po' di tempo per scrivere e per pubblicare questo capitolo!

Piccolo appunto: io adoro Kiss Me Licia e devo dire che, inizialmente, proprio non mi ero resa conto di aver reso la scena così simile a quella del cartone animato ma, una volta scritta, ci sono diverse somiglianze fra Mirko e Ville, no? Ehm.. no, eh? xD

Vabbè, passiamo ai ringraziamenti. Vorrei ringraziare di cuore jester248, TheResurrection e _diable_ per aver inserito la mia storia fra i seguiti: mi avete riempito di gioia!

 

Un ringraziamento specialissimo a chi commenta, quindi grazie a:

jester248 grazie mille, spero che continuerà ad essere interessante anche dopo questo capitolo! ^.^

TheResurrection un po' di malinconia era necessaria e infondo nessuna storia né è completamente priva! Per Linde.. bè, è ancora presto per dirlo, come puoi notare da questo capitolo. Tahti e Seppo hanno pensato al bene della sua famiglia prima di tutto, con metodi che forse qualcuno troverà un po' discutibili! Ho soddisfatto la tua curiosità? =P

Villina92 Grazie mille! La morte di Annika anche se, a dir la verità, ha scosso anche me è servita perchè gli avvenimenti accadessero senza intaccare troppi equilibri: pensa un po' Linde diviso fra Annika e Manna.. sarebbe stata una situazione piuttosto scomoda! ^.^

 

Alla prossima!

ForgetMeNot - Myosotis

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 - Incontri ***


12 luglio 2010

 

Mi ero svegliato presto, quella mattina, in una casa stranamente silenziosa che, invece, solitamente era tutt'altro che tranquilla: Linde, Migè, Burton e Gas la utilizzavano ormai come seconda casa, se non proprio come prima. Era incredibile quanto baccano riuscissero a fare di prima mattina senza preoccuparsi minimamente del padrone di casa e delle abitudini del suddetto di dormire fino a tardi. Anche questo, in effetti, era stato un elemento piuttosto insolito nella mia quotidianità casalinga, quando riuscivo ad averne una: invece, infatti, di dormire fino ad orario di pranzo, mi ero svegliato alle nove del mattino, pimpante quanto un bambino il giorno di natale. Io, colui che nemmeno dopo aver dormito 15 ore riusciva a rinsavire dallo stato catatonico del sonno in cui era caduto.

L'appuntamento con Seppo allo studio di registrazione era fissato per il pomeriggio, come era giusto che fosse per permettermi di partecipare almeno fisicamente alle riunioni, per parlarci dei prossimi impegni e delle, come le aveva chiamate lui, ultime novità. Che 'ultime novità' ci fossero in un paio di settimane appena di assenza non sapevo ancora spiegarmelo. Tuttavia ora sorgeva un problema ben più grave, per quanto mi riguardava, ed era l'occupare il tempo che solitamente occupavo dormendo, la mattina. Uscire era fuori discussione, dopo quello che era successo ieri. Mi passai distrattamente la mano sulla guancia e mi parve di sentire ancora qualche vaga fitta di dolore: lo schiaffo era stato piuttosto forte per essere quello di una ragazzina! Scossi la testa, fra il divertito e l'irritato: avevo fatto una battuta infelice, vero, ma avevo cercato di farmi perdonare nell'unico modo che sapevo funzionasse con le ragazze e cioè cercare di incantarla con il fascino che sapevo di avere. Qualcosa, invece, doveva essere andato storto questa volta perché non solo non l'avevo incantata ma ci avevo anche guadagnato un ceffone! E pensare che sarei dovuto tornare ad Helsinki

solo oggi! Invece mi ero intestardito ed ero voluto tornare un giorno prima per fare un giro per la mia amata città tranquillamente, senza fan appostati ad ogni angolo. Helsinki era splendida in quel periodo dell'anno e stavo giusto godendomi i pallidi raggi del sole quando mi ero scontrato con quella ragazza, sbucata all'improvviso. 'Hai parlato troppo presto, Ville!' una vocetta saccente, che assomigliava fin troppo a quella di Migè, mi era rimbombata nella testa per qualche istante. I miei occhi, invece, avevano subito registrato una figura sottile che indossava abiti piuttosto colorati e dei semplici jeans. Una parte della mia mente registrò che difficilmente poteva essere una nostra fan, che vestivano sempre di scuro e possibilmente gotico. Quando la ragazza aveva lo sguardo mi ero ritrovato a fissare due grandi occhi azzurri, stranamente familiari, e un viso già conosciuto, troppi anni addietro. Per un momento, come un flash, mi ero ritrovato guardato dallo stesso viso con profondi occhi color dell'oro.

Così come era arrivato il flash era scomparso, ma mi aveva lasciato la sensazione di aver tralasciato qualcosa di importante. Ancora turbato, buttai uno sguardo alla valigia lasciata semi aperta a terra e agli abiti sparsi un po' ovunque per la camera, come se invece di un essere umano ci fosse passato un ciclone, e sospirai, iniziando a riporli con cura nell'armadio e nei cassetti. Ben presto però mi annoiai e iniziai a riporre alla rinfusa e di malagrazia i restanti abiti sparsi in giro, rendendo il mio armadio più simile a quello di Dr. Jekyll e Mr. Hyde che a quello di una persona sana di mente. Una risatina auto ironica partì dalle mie labbra al pensiero dei miei amici che mi avrebbero risposto che, effettivamente, di sano di mente avevo ben poco, io. Controllai l'orologio e mi accorsi con rassegnazione che era passata solo una mezz'oretta da quando aveva iniziato e che quindi mancavano diverse ore all'appuntamento con Seppo e all'arrivo degli altri. Che fare? Feci vagare lo sguardo per la stanza, alla ricerca di qualcosa di stimolante da fare. La chitarra attira il mio sguardo come se lo calamitasse e un sorriso sornione mi si aprì in viso quando l'afferrai e me la posai sulle ginocchia: potevo pur sempre pensare ad una nuova canzone, no?

 

Diverse ore dopo, in ritardo, entrai come una furia, e con un diavolo per capello, nella sala riunioni in cui ero stato convocato insieme alla band. Non me ne era andata bene una: la canzone che avevo tentato di scrivere non era uscita bene, una corda della chitarra che usavo si era spezzata inspiegabilmente, avevo rovesciato sui miei vestiti preferiti la tazza di caffè che mi ero preparato prima di uscire di casa, il taxi che avevo chiamato era arrivato con mezz'ora di ritardo e, come se non bastasse, aveva bucato una ruota. Tutto questo, ovviamente, aveva fatto sì che io arrivassi con quasi un'ora di ritardo all'appuntamento, vibrante come una corda di violino e sbuffante come una pentola a pressione. Entrai nella sala in cui ero aspettato e salutai con un grugnito poco educato, ma non riuscii a fare di meglio con tutta quella tensione che avevo accumulato. I ragazzi capirono, abituati ai miei momenti no, e non commentarono mentre Seppo mi rivolse un sorriso strano, che non riuscii a decifrare. Salutai anche lui con un mezzo grugnito e sprofondai in una delle poltrone posizionate vicino al muro, ancora coi nervi a fior di pelle.

Ora che ci siamo finalmente tutti, possiamo iniziare”.

Mi distrassi all'istante, come sempre succedeva in quelle occasioni, e mi limitai a guardare fuori la finestra, tentando di attenuare l'arrabbiatura e di rilassarmi, così come riusciva tanto bene a Linde o almeno di passarci sopra con un sorriso come faceva Migè. Quando l'uomo che stava parlando si congedò, lasciando soli noi della band e Seppo, i miei nervi erano sufficientemente distesi, tanto che raccontai a tutti le mie disavventure della giornata e riuscii addirittura a sorriderne, per qualche secondo, e a non irritarmi per la risata generale e plateale che avevano scaturito nei miei amici. Va bene, forse solo per qualche attimo avevo avuto l'istinto di strozzarli. D'accordo, stavo ancora maledicendomi di quell'attacco di sincerità che mi aveva colpito e stavo giusto per soffocare Linde con uno dei suoi amati dread per vedere se poi avrebbe avuto ancora fiato per ridere, quando mi si immobilizzò fra le braccia e spalancò gli occhi, come se avesse visto un fantasma.

Ehi, amico, guarda che anche se soffocandoti non avrei più intorno una seccante e saccente presenza, non potrei mai liberarmi del mio adoratissimo chitarrista, ti pare?”

Non mi guardò nemmeno e non diede segno di essersi accorto che avevo parlato, si avvicinò però di scatto alla finestra che dava sul corridoio della casa discografica e mormorò, con voce sommessa ma sufficientemente chiara da sovrastare il mormorio della sala riunioni, qualcosa che aveva il sapore di un passato ormai lontano e parzialmente dimenticato.

Annika”

Annika. Mi irrigidii e non molto diversa fu la reazione di Migè: da oltre diciassette anni quel nome era diventato un tabù per noi e soprattutto per Linde che al minimo accenno a lei diventava ombroso, taciturno e intrattabile. Non c'era da stupirsi, quindi, che fossimo a dir poco sorpresi, se non addirittura scioccati, quando Linde esordì con quel nome – con quella espressione, poi! – per la prima volta dopo diciott'anni. Mi ripresi velocemente e mi avvicinai anche io alla finestra da cui stava guardando Linde: non c'era nessuno. Mi accigliai, guardando interrogativo Linde che aveva ancora gli occhi fissi nel vetro.

C'era, Ville. C'era. Io l'ho vista” mormorò puntando i suoi occhi azzurri, sgranati, nei miei. Una strana sensazione di deja-vù mi colse alla sprovvista: stesso sguardo, stessi occhi, ma dalla forma decisamente più femminile. Mi riscossi, scuotendo impercettibilmente la testa.

Sei sicuro? Cioè... ” mi bloccai, non sapendo che dire. Linde contraccambiò il mio sguardo confuso con uno un po' perplesso, decisamente insicuro. Improvvisamente qualcosa cambiò in Linde, prese un respiro profondo e i suoi occhi, quando mi rivolse di nuovo lo sguardo, erano diventati impenetrabili come al solito, si staccò lentamente dalla finestra e andò a sedersi sul divanetto che aveva occupato in precedenza, tutto in religioso silenzio.

Amico?” lo fissai preoccupato del repentino cambio d'umore e atteggiamento. Evidentemente la preoccupazione dovette trasparire dalla mia voce perché mi guardò con viso imperscrutabile, per poi aprirsi ad un mezzo sorriso rassicurante a cui risposi con un'occhiata piuttosto dubbiosa. Il rumore di una sedia che si spostava, però, mi riscosse, ricordandomi che non eravamo soli in quella sala e cercai delle plausibili spiegazioni a ciò che era successo senza dover per forza tirare in ballo il passato che aveva tanto fatto soffrire Linde. In fondo, se Linde aveva voluto che nessuno ne fosse a conoscenza, non sarei stato io a parlarne di certo. Gettai un'occhiata di soccorso a Migè che però non mi fu di nessun aiuto, continuando a guardarmi indeciso su cosa fare, allarmato; riportai allora il mio sguardo su Linde che però non sembrava intenzionato a dire nemmeno una parola, più silenzioso di quanto solitamente fosse. 'Fantastico, questo sì che era d'aiuto' pensai sconsolato. Mi azzardai a dare un'occhiata a Burton e Gas, ma i due sembravano solo un po' confusi dal nostro atteggiamento un po' particolare ma non eccessivamente curiosi. Feci cenno loro di non preoccuparsi e loro scrollarono le spalle, riprendendo a parlottare fra loro della riunione appena avvenuta. Tirai un sospiro di sollievo, anche se sapevo che la discussione era solo rimandata e che presto avrebbero voluto delle spiegazioni: speravo solo che quando quel momento sarebbe arrivato, Linde avrebbe preso in mano la situazione. All'improvviso ricordai che nella stanza era ancora presente il nostro manager, che di sicuro aveva assistito a tutta la scena: non sarebbe stato facile convincerlo che non ci fosse nulla di cui preoccuparsi. Quando mi girai verso di lui, però, fui io a sorprendermi: Seppo era pallido – più del solito, almeno – e sembrava turbato quasi più di Linde, con gli occhi scuri fissi nel vuoto. Lo osservai per qualche istante sconcertato: era improbabile che Seppo avesse conosciuto Annika, quindi qualunque cosa lo avesse turbato non doveva avere nulla a che fare con quello che era successo e, con un po' di fortuna, non avrebbe chiesto nulla. Tirai un silenzioso sospiro di sollievo, meno parlavo, meglio era: non ero mai stato un granché nelle spiegazioni, soprattutto se riguardavano questioni personali.

Quindi, Seppo, quali erano queste novità per cui ci hai fatto assistere a questa noiosissima riunione?” La voce un po' strascicata di Gas fece rinsavire il nostro manager che, all'improvviso, si alzò, estrasse il cellulare dalla tasca dei pantaloni e iniziò a comporre velocemente un numero. Mormorò delle parole di scuse, liquidando i nostri sguardi perplessi con un gesto della mano, e si portò l'apparecchio all'orecchio. Una suoneria non troppo lontana, un jingle di qualche cartone animato per bambini, risuonò per qualche istante nel corridoio della casa discografica, ma non ci prestai troppa attenzione, continuando a condividere sguardi perplessi col resto della band. Neanche Seppo diede segno di accorgersene e, quando evidentemente la chiamata si attivò, prese a parlare in modo concitato in una lingua che non conoscevo – italiano, forse, o spagnolo – e l'unica parola, abbastanza frequente, che riuscivo a capire era ''tahti''. Stella? Possibile che il vecchio manager si interessasse di astronomia ora? Tornai a fissarlo, sconcertato.

Che significa che hai sentito la mia voce e stai per entrare? Ragazzina, non vorrai farlo sul serio! Tahti! Tahti!” Nell'agitazione della telefonata, Seppo era passato al finlandese, probabilmente senza rendersene conto e dubitai che la ragazzina avesse compreso qualcosa di quel che aveva detto. La maniglia della porta che si abbassava mi distrasse e voltai il viso, non prima, però, di aver notato lo sguardo sconsolato di Seppo. La porta si aprì con forza, quasi sbattendo contro il muro.

Cosa vuol dire, diavolo di un becchino, che forse non è il caso e di tornare a casa? Sai da quanto tempo aspetto il momento di vedere mio...” La voce si affievolì incontrando troppi sguardi su di sé. Quando incontrai i suoi occhi, di un azzurro chiarissimo, spalancammo entrambi la bocca.

Ma tu sei quello che ieri ha cercato di baciarmi!”

Ma tu sei quella che ieri mi ha preso a schiaffi!”

 

 

Seppo mi aveva dato un appuntamento per le cinque alla casa discografica e mi aveva lasciato i soldi per prendere un taksi dato che non era poi così vicina casa. Soltanto che, alle tre e mezza, ero già pronta e stavo esaurendo le commissioni da fare: avevo già messo in ordine tre volte la mia camera, pulito la cucina e pensato alla cena di questa sera, mandato qualche messaggio ad Ilaria, ancora un po' arrabbiata per la mia improvvisa partenza, e letto qualche pagina del diario della mamma ma avevo dovuto interrompere presto, troppo commossa. Avevo allora deciso di andare a piedi alla casa discografica, pensando di distrarmi con una lunga passeggiata per le strade di Helsinki, inondate di sole, prendendo un gelato e guardando le vetrine dei negozi per quella che mi sembrò un'eternità. Evidentemente avevo calcolato male i tempi perché quando arrivai davanti la casa discografica era passata solo un'ora ed ero, quindi, comunque in anticipo. Sbuffai, scocciata, e non sapendo che altro fare, mi decisi allora ad entrare. Chiesi informazioni ad una signorina con un tailleur verde mela e dall'aria simpatica che, quando avevo detto il mio nome mi aveva rivolto un sorriso aperto e splendente che mi ero trovata a ricambiare all'istante. Kirsti – così si chiamava la donnina verde mela – mi spiegò che lei era una giovanissima produttrice e che Seppo mi aveva affidata a lei nel caso non fosse riuscito a liberarsi in tempo e di accompagnarmi allo studio in cui si trovava che, però, al momento era ancora occupato in una riunione.

Sai Tahti, posso chiamarti così, vero? Sì, dicevo, queste riunioni sono una noia mortale e non credo che ti farebbe molto piacere assistere, sempre a parlare di contratti e percentuali! Fanno a pezzi la musica, sono dei veri e propri squali! Tu sei qui per un provino? Oppure il tuo tutore – si, Seppo me l'ha detto – ti ha chiesto di venire a trovarlo? Un comportamento così tenero per un uomo così ombroso come lui! Bé, non importa. Perché non vai a fare un giro da quelle parti, così ti trovi già lì? Lo studio si trova al quinto piano” Kirsti le sorrise, complice, e le indicò gli ascensori “credo che passerai molto tempo da queste e spero che diventeremo amiche!” Ancora sommersa da quel fiume di parole e dalla vulcanicità di Kirsti, riuscii soltanto ad annuire e sorridere, incerta. Mi sorrise ancora più apertamente, mi schioccò un bacio sulla guancia e se ne andò con passo rapido verso l'entrata, il tailleur verde mela che la rendeva riconoscibile anche a diversi metri di distanza. Passai diversi minuti imbambolata, fissando il punto in cui quella forza della natura era scomparsa, ancora piuttosto basita. Sbattei le palpebre più volte per riprendere il contatto con la realtà e finalmente mi incamminai verso gli ascensori diretta al quinto piano mentre un sorriso vagamente allucinato, ma divertito, si formava sul mio viso, sorriso che poi si trasformò una risata quando, dopo aver premuto il bottone del piano, mi osservai nello specchio dell'ascensore e sulla mia guancia spiccava un rosso quanto perfetto segno di un bacio.

Una volta risolto alla buona il problema 'marchio' – Kirsti utilizzava forse rossetti indelebili? – mi accorsi che ormai erano le cinque e finalmente era arrivata l'ora di incontrare mio padre. Come avrei fatto a riconoscerlo? Avrei riconosciuto in lui, forse, qualche cosa di me? Il mio naso, forse, o i miei occhi, o magari quella voglia così particolare sulla gamba... Cercai di scacciare via questi pensieri: sapevo benissimo di essere molto simile a mia madre, fisicamente, nonna me lo ripeteva continuamente, e che avevo il classico carattere dei finlandesi. Anzi, per quanto diceva lei, degli anziani e burberi finlandesi che sotto sotto hanno il cuore tenero come i dolci ciobar. Ancora con un mezzo sorriso sulle labbra uscii dal bagno in cui mi ero rifugiata mentre un gruppetto di uomini in giacca e cravatta usciva da uno degli studi. Li vidi incamminarsi dal lato opposto da dov'ero io e mi sorse in mente il dubbio che fossero gli ''squali'' con cui Seppo era in riunione e decisi di raggiungerli per chiedere: in fondo meglio che bussare ad una porta in cui c'erano degli sconosciuti, no? Quando gli uomini svoltarono l'angolo, però, mi resi conto di aver perso troppo tempo nei miei pensieri e affrettai il passo nella speranza di raggiungerli prima di perderli del tutto. Passai davanti ad una finestra oscurata, di quelle che sembravano provenissero dritte dritte dalle sale degli interrogatori della polizia, e cercai di sbirciarci attraverso, ovviamente senza risultato, ma sentii delle risate provenire dalla stanza che ad un certo punto si interruppero. Affrettai ancora di più il passo, pensando di essere stata scoperta e riuscii a raggiungere uno degli uomini in giacca e cravatta non appena svoltai l'angolo. In realtà, più che raggiungerlo ci andai a sbattere contro, prendendo una bella botta al naso che mi fece lacrimare. L'uomo – che piuttosto era poco più che un ragazzo – si scusò almeno dieci volte prima che riuscissi anche solo a dire 'sto bene', mi fece sedere su una sediolina di plastica che prima non avevo visto, mi fece promettere solennemente di rimanere ferma lì e si allontanò velocemente. Lo seguii con lo sguardo, ancora un po' stordita dalla botta, e dopo un paio di minuti tornò portando con sé una lattina di tè alla pesca.

E' la cosa più fredda che ho trovato, mettila sul naso e vedi che smetterà subito di far male” mi sorrise, un sorriso contagioso che mi fece battere il cuore un po' più forte. L'intontimento della botta era ormai passato e con la lattina premuta sul viso potei permettermi di osservarlo: era alto, questo lo avevo constatato da subito dato che ero andata a sbattergli col viso in pieno torace, ed era bello, con con i capelli di un biondo chiarissimo che gli ricadevano in ciocche disordinati su due stupefacenti occhi grigi che, mi accorsi solo dopo averlo fissato troppo a lungo, mi guardavano preoccupati. Arrossii, sperimentando anche nuove gradazioni di rosso fino ad allora inesistenti, e distolsi lo sguardo maledicendomi mentalmente per la mia solita sbadataggine.

Mi dispiace infinitamente per prima. Non guardavo dove andavo, stavo cercando di raggiungere quegli squali che sono usciti da quello studio prima e...” mi interruppi, portandomi una mano alla bocca, mentre il ragazzo scoppiava a ridere di cuore. Arrossii ancora per la magra figura che avevo fatto: anche lui era uno di quegli 'squali' di cui mi aveva parlato Kirsti.

Curiosa scelta di termini. In effetti, un po' squali lo siamo, noi burocrati ma solitamente abbiamo un nome” si interruppe un attimo per guardarmi negli occhi e allungò una mano, divertito “Io sono Aleksis Niemi. Ma puoi chiamarmi Alek”

I-io...” mi schiarii la gola “Sono Kointahti Sibelius. Tahti” aggiunsi stringendo la sua mano, morbida ma fredda, che mi procurò un brivido. Alek spalancò leggermente gli occhi.

Sibelius? Come il famoso compositore di Finlandia Jean Sibelius?”

Annuii. “Era il mio bisnonno” Sorrisi della reazione davvero poco elegante che suscitò la mia ammissione su Alek: bocca spalancata e sguardo da pesce bollito. Non potei fare a meno di ridacchiare e, al suono della mia risata, Alek si riscosse richiudendo la bocca e riprendendo un certo contegno, sorridendomi. La risata mi morì in gola e mi sentii arrossire nuovamente, come una bambina alla prima cotta. Cotta? Potevo davvero essermi presa una cotta per un semi sconosciuto?

Credo che sia il tuo cellulare, a meno che la tua tasca non sappia cantare 'Hakuna Matata'” mi rivolse un sorrisetto piuttosto bastardo.

La tasca? Oh no! Santo cielo, l'appuntamento con Seppo!” Con qualche difficoltà riuscii a estrarre il cellulare dalla tasca e rivolsi un ultimo sguardo di scuse ad Alek, risposi.

Seppo? Scusami ho avuto un piccolo contrattempo ma sono, credo, nel corridoio dove ti trovi tu” In quel momento mi illuminai e, tenendo una mano davanti al microfono del cellulare, mi rivolsi ad Alek che mi guardava un po' sorpreso un po' divertito.

C'era Seppo Vesterinen nello studio in cui ti trovavi, vero?” sussurrai. Lui annuii e io gli sorrisi riconoscente. Mi focalizzai, quindi, sulle parole di Seppo.

Tahti, ecco, proprio di questo volevo parlarti. I ragazzi sono stanchi e non so... Vedi Tahti...” la voce di Seppo era allarmata, ma non me ne preoccupai in quel momento. Iniziai ad arrabbiarmi.

Perché parli in italiano? E che significa che i ragazzi sono stanchi?” senza rendermene conto passai anche io all'italiano, sotto lo sguardo stupito di Alek “Cosa staresti cercando di dirmi? Non vorrai rimandare, spero!

Vedi, Tahti, non è così semplice. Ci sono stati dei problemi...” Salutai Alek al volo, bisbigliando una frettolosa scusa e la promessa di ricontrarci e mi incamminai verso il corridoio che mi aveva indicato “... Forse non è il caso, oggi, ed è meglio che torni a casa e organizziamo un'altra volta, con più calma...” Nel silenzio del corridoio sentii la voce di Seppo arrivare ovattata dallo studio da cui erano usciti precedentemente gli uomini in giacca e cravatta.

Ho sentito la tua voce attraverso la porta. Sto per entrare” attaccai il telefono e mi avvicinai velocemente alla porta. Qualche attimo prima di aprire la porta sentii la voce di Seppo chiamare il mio nome, agitato, e la cosa, non so bene il perché, mi irritò particolarmente tanto che spalancai la porta veementemente.

Cosa vuol dire, diavolo di un becchino, che forse non è il caso e di tornare a casa? Sai da quanto tempo aspetto il momento di vedere mio...” La voce mi morì in gola: davanti a me non c'era solo Seppo come mi aspettavo, ma anche cinque ragazzi che mi fissavano sbalorditi. In realtà, solo tre mi guardavano sbalorditi, uno sbiancò leggermente come se avesse visto un fantasma e un altro... Incontrai dei brillanti occhi verdi che mi fissavano scioccati e spalancai la bocca, scioccata anche io.

Ma tu sei quello che ieri ha cercato di baciarmi!”

Ma tu sei quella che ieri mi ha preso a schiaffi!”

Mi accigliai. “A parte il fatto che lo schiaffo era uno... ma certo che ti ho preso a schiaffi, hai cercato di baciarmi! Che dovevo fare, regalarti un fiore?” Mi guardò in cagnesco e ricambiai con uno sguardo altrettanto iroso.

Ma mi hai fatto male!” Sbottò lui. Sentii un rumore, come di risate soffocate, ma non ci badai.

Se volevo farti bene, ti avrei regalato cinque euro” replicai sdegnata. Un coro di risate, ora non più trattenute, interruppe la nostra discussione e in quel momento ricordai la presenza di tutte quelle persone. Mi morsi il labbro inferiore e puntai, quindi, gli occhi in quelli scuri di Seppo.

Vedo che hai già conosciuto Ville, Tahti. Anche se davvero non capisco quando. Ah, e ti pregherei di evitare di chiamarmi 'diavolo di un becchino', è davvero un nomignolo terribile” Sorrise, un po' nervoso, ma non riuscii a ricambiare. Aveva detto che quella persona irritante davanti a me si chiamava Ville. Possibile...

Ville? Seppo, vuoi dire che loro sono...” la voce mi si strozzò in gola, mentre lasciavo vagare lo sguardo su volti di quei ragazzi. Seppo annuì.

Gli HIM, già. Ora vieni qui vicino a me che te li presento. E sì, ora spiegherò a tutti voi le novità per cui siete stati tutti chiamati qui, Gas” Sospirò e aggiunse poi, in italiano “Non potevi proprio aspettare eh, Tahti?” Gelai. Fra quei cinque ragazzoni c'era mio padre e io avevo rischiato di dirglielo tranquillamente e senza accorgermene. Un solo segreto avrei dovuto mantenere e avevo rischiato di svelarlo pochi secondi dopo aver incontrato mio padre. Volevo sotterrarmi. “Scusa, Seppo. Sono un impiastro” Seppo sorrise divertito e, quando fui vicino a lui, mi schioccò un bacio sulla testa, paterno. Gli sorrisi, intimidita e nervosa e lo ringraziai debolmente per il supporto.

Bene. Allora, Tahti, quel ragazzone lì in fondo è Gas, il nostro batterista” sorrisi e Gas alzò una mano in segno di saluto e un ghignetto divertito “Bella quella dei cinque euro” e mi fece l'occhiolino. Di rimando, ghignai anche io un poco. “Il ragazzo coi capelli lunghi è Burton, il nostro tastierista” Salutai anche lui, poi mi rivolsi a Seppo in italiano “Non ricordo di aver letto di loro nei diari di mamma” Seppo scrollò le spalle e mi fece intendere che più tardi avrei avuto tutte le spiegazioni del caso, ma che in quel momento non fosse proprio il caso. Tornai a prestare attenzione ai ragazzi che guardavano me e Seppo un po' straniti.

Da quando sai l'italiano – perché è italiano, vero? – eh Seppo? Si può sapere che ci fa lei qui?” Che voce irritante.

L'italiano lo conosco da anni e lei fa parte delle novità di cui vi accennavo. Comunque lui è Ville Valo, il cantante e frontman del gruppo, anche se credo che ormai non servano presentazioni, vero?” Guardai sconvolta Seppo.

Questo qui è il cantante? Con quella voce irritante? E poi va in giro a cercare di baciare le minorenni!” mi accalorai. Non era proprio possibile che quel tipo fosse il frontman di una band famosa, la band di mio padre!

Ehi tu! Io non vado a baciare le minorenni, come ti è venuto in mente?” Sembrava perplesso, oltre che irritato.

Ehi tu!” gli feci il verso. Gas ridacchiò. “E io cosa sarei, secondo te? E poi ho detto 'cercato' di baciare, non baciato. E per fortuna, direi” Sbiancò leggermente e io mi accigliai. Che gli era preso, adesso?

Tu sei.. minorenne?” Annuii e inarcai il sopracciglio, scettica, nel modo in cui Ilaria mi aveva detto desse più sui nervi alla gente, lei compresa.

Certo che sono minorenne. E' anche per questo che sono finita qui, sai?” affermai, vagamente irritata. Seppo mi mise una mano sulla spalla per riportarmi all'ordine e, allo stesso tempo, per consolarmi. “Mi spiace Seppo. Se fossi davvero maggiorenne non avresti dovuto accollarti la mia custodia” sussurrai in italiano perché solo Seppo capisse. “Tranquilla, ragazzina” mi guardò con quei suoi occhi neri e un moto di affetto mi sorse nei confronti di quell'atipico vecchietto “Ora, se avete finito col punzecchiarvi, finiamo le presentazioni e poi vi spiegherò tutto. Tahti, cara, quell'omaccione barbuto laggiù è il nostro amatissimo bassista, Migè Amour” poi si accostò più vicino al mio orecchio, come per sussurrarmi qualcosa “Anche se sembra un orco, è buono come il pane” Sghignazzai e Migè prima alzò gli occhi al cielo, divertito, poi mi fissò con più attenzione, pensieroso. Distolsi lo sguardo, sapevo cosa cercava in me Migè e non volli scoprirmi prima del tempo, sarebbe bastato il mio cognome a farlo dopo, e lo rivolsi all'ultima persona della sala che ancora non mi era stato presentata: Linde, mio padre. Sentii il mio cuore battere così forte che pensai che tutti potessero sentire il rumore assordante, il respiro mi si bloccò in gola, strozzato da un magone difficile da mandar giù, quando incontrai i suoi occhi, e fu come riflettersi in uno specchio. Gli occhi mi si inumidirono quando lessi nei suoi un turbamento profondo: era evidente che aveva amato mia madre e non ero sicura che sapesse cosa le era successo, ma sperai di non doverglielo dire io.

E infine c'è il nostro preziosissimo chitarrista, Linde” Abbozzai un sorriso timido che non fu corrisposto e che mi addolorò. Cercai di prestare attenzione alle parole di Seppo, ma continuavo a lanciare di tanto in tanto sguardi a mio padre – mio padre! – che però teneva i suoi fissi su Seppo.

Tahti mi è stata affidata dopo la morte della sua bisnonna. Resterà quindi qui con noi per tutto il prossimo anno almeno, il tempo di diplomarsi e di raggiungere la maggiore età. So che vi starete chiedendo cosa c'entrate voi con tutto ciò, ed è presto detto: Tahti prenderà il mio posto. Temporaneamente, ovviamente” Guardai Seppo come se fosse impazzito improvvisamente e fui sicura che anche le altre persone nella stanza lo guardarono allo stesso modo “Ovviamente non sto lasciando la band nelle mani di una ragazzina, tutte le cose più importanti continuerò a sbrigarle io, ma ormai io sono anziano e non posso seguirvi dappertutto. Diciamo che Tahti sarà la mia assistente” Tutto ciò aveva decisamente più senso e, infondo, io nulla avevo da fare fino all'inizio della scuola, quindi guardai Seppo ammirata per la soluzione che aveva trovato e non mancai di dare un'occhiata a mio padre, che sembrava essersi ancora di più scurito in volto. Fantastico, davvero. Persa nei miei pensieri come fin troppo spesso mi era successo da quando ero arrivata ad Helsinki non mi accorsi che Seppo aveva parlato e quindi, quando mi guardò incoraggiante, mi ritrovai ad arrossire e a farfugliare imbarazzata. Tre persone nella stanza spalancarono gli occhi e io mi resi conto di aver appena fatto una gaffe involontaria. La nonna lo diceva sempre che quando ero in difficoltà e farfugliavo ero identica a mia madre. Grande mossa, davvero, Tahti. Un applauso alla tua idiozia. Presi un respiro profondo per calmarmi e decisi di presentarmi a dovere velocemente perché, come diceva nonna Helejna, via il dente, via il dolore. Un sussurro, che arrivò chiaro alle orecchie di tutti, mi impedì di iniziare il discorso

Annika” Era mio padre e, con stupore, mi accorsi che era la prima volta da quando ero entrata che sentivo la sua voce. Era bassa, leggermente nasale, ma calda e mi si inumidirono gli occhi dall'emozione che quella voce mi aveva trasmesso. Sorrisi tristemente.

No, Linde. Il mio nome è Kointahti Mikaela Sibelius. Annika era mia madre”

Il silenzio che accolse le mie parole era di quanto più assordante avessi sperimentato nella mia breve vita. Giocherellai con la linguetta metallica della lattina di tè che avevo ancora in mano, ricordando che non più di mezz'ora prima avevo avuto una simile discussione con un'altra persona e che anche in quell'episodio il mio nome aveva suscitato un silenzio sorpreso, ma erano due tipi di stupore diversi che creavano due atmosfere contrastanti. Quando la voce di Linde si espanse nello studio, sobbalzai, colta di sorpresa.

Hai detto... era?” Mi maledissi mentalmente, mi ero andata a cacciare da sola in una situazione che avevo sperato con tutto il cuore non mi si presentasse.

Mio malgrado quindi, annuii e cercai i suoi occhi, e li trovai che mi fissavano, imperscrutabili. Non riuscii a reggere oltre il suo sguardo e presi a fissare le mie mani mentre prendevo coraggio e un respiro profondo. “Mia madre è morta di polmonite fulminante circa sette anni fa” Percepii uno spostamento d'aria e sentii la porta aprirsi e poi di nuovo chiudersi violentemente e seppi che mio padre non era più nella stanza. Cercai gli occhi di Seppo e mi morsi il labbro, sia temendo di aver rivelato troppo, sia per evitare che le troppe emozioni di quella giornata culminassero in un pianto isterico, ma li trovai fissi sulla porta, preoccupati.

“Ville puoi...?” indicò con un gesto della mano la porta e Ville annuì, uscendo, un po' più pallido del solito “Torniamo subito”

La porta che si chiuse alle spalle di Ville diede vita ad un altro silenzio, anche se meno teso di prima.

“Tua madre era una nostra amica, quando eravamo ragazzi. Io, Ville e soprattutto Linde le eravamo molto affezionati, quindi scusa la sua reazione, siamo tutti e tre piuttosto sconvolti” Migè mi sorrise e io gli sorrisi di rimando, grata di aver spezzato finalmente il silenzio. Gli altri due ragazzi della band si guardarono confusi, ma poi mi sorrisero anche loro. Iniziammo a chiacchierare e Migè mi pose tantissime domande sul mio passato, dov'ero vissuta con mia madre, cosa studiavo, che musica ascoltavo e un migliaio di altri dettagli piuttosto inutili, ma che mi fecero smettere di pensare per qualche minuto a mio padre, raccontandomi in cambio qualcosa in più di mia madre da ragazzina che mi fecero ridere e sorridere. Inizia a fare domande sulla band, chiesi loro di raccontarmi tutto, ed evidentemente mi presero in parola perché, alternandosi nei racconti e interrompendosi gli uni con gli altri, mi riassunsero in breve più di quindici anni di carriera. Ero stupefatta.

“Ma com'è che tu e Ville vi siete conosciuti? Sembrate emanare scintille d'odio dagli occhi ogni volta che li incrociate!” La domanda, più che sensata, di Gas mi fece ghignare un po' e il racconto dell'incontro del giorno precedente fece nascere un po' in tutti lo stesso ghigno che esplose poi in una risata collettiva alla menzione dello schiaffo.

“Non è per nulla carino parlare male degli assenti, sapete?” La voce irritante di un cantante altrettanto irritante interruppe le nostre risate. Mi girai verso di lui e fui felice di non vederlo da solo: la figura bionda di mio padre mi guardava con un misto di malinconia e turbamento, ma ancora non sorrideva. Mi illuminai comunque e quando risposi a Ville, non ci misi la solita acidità.

“Avevo sperato fossi assente un po' più a lungo, a dirla tutta”. Bé, avevo detto non la solita, non che ne sarei stata priva.

“Prima di ricominciare con questi battibecchi da bambini dell'asilo... Tahti, che c'è per cena, stasera?” chiese Seppo con una faccia angelica e golosa che mi fece ridacchiare.

“Pensavo di preparare i bucatini all'amatriciana, che ne pensi?” Più di uno sguardo si illuminò a quella rivelazione e, constatai contenta, anche quello di mio padre.

“Bene, Tahti. Allora stasera tutti a cena a casa nostra!” I ragazzi esultarono come se fossero allo stadio e, divertita, alzai gli occhi al cielo.

“Ah, questi uomini!” Un coro di risate accompagnò la nostra uscita dallo studio e, finalmente, mi sentii a casa.

 

 

Angolo Non-Ti-Scordar-di-Me

 

Ehm.. già, sono proprio io, la vostra carissima ForgetMeNot che, anche se non se lo meriterebbe granchè, ci terrebbe ancora a vivere... Sono giusto inginocchiata sui fagioli (non c'erano ceci in casa, purtroppo) e richiedo il vostro perdono per il mio immenso ritardo.

Finalmente, direi, Tahti ha conosciuto suo padre e anche tante altre persone che saranno più o meno importanti nel corso della storia. Cosa ne pensate di Kirsti e di Alek? È stato divertente per voi leggerli quanto per me è stato scriverli? Sappiatelo, io adoro Kirsti.

Piccole note per il testo: Jean Sibelius è realmente un noto compositore finlandese che, fra le più importanti delle sue composizioni, ha Finlandia che è davvero bella per chi si interessa di musica classica. Ah, e Alek riconosce Hakuna Matata del cellulare di Tahti perchè il motivetto italiano e quello finlandese sono molto molto simili, e poi chi non conosce Hakuna Matata!!

http://www.youtube.com/watch?v=jCRtE0tCPmQ&feature=related

qui troverete la canzoncina in finlandese ^____^

 

Ringrazio di cuore jester248, TheResurrection e _diable_ per aver inserito la mia storia fra i seguiti: vi adoro.

Ringrazio moltissimo chi legge soltanto, ma un ringraziamento speciale va a chi mi recensisce: grazie mille.

Jester248: Credo tu voglia probabilmente strangolarmi o spezzarmi le ditine una ad una ma ti pregherei di non farlo: dopo scriverei ancora più lentamente! :P

A parte gli scherzi, mi hai fatta emozionare tantissimo quando mi hai scritto di avermi inserito fra gli autori preferiti: sono andata in giro saltellante per tutto il giorno e i miei volevano internarmi in una casa di cura o chiamare la neuro! Per le domande che mi hai rivolto la risposta è sì, i ragazzi hanno tutti la loro età, ma non posso dirti altro per quanto riguarda il resto della storia. L'unica cosa che posso dirti è di non preoccuparti per la storia! Spero ti sia piaciuto questo capitolo! ^.^

A presto!

TheResurrection: Ho soddisfatto la tua curiosità? Kiss Me Licia è stato un cartone che ho adorato e non potevo esimermi dall'inserire una scena, anche se inconsapevolmente, no? Ville ha preso proprio un bello schiaffo ma, a dirla tutta, se lo meritava tutto! Come ti è sembrato questo nuovo capitolo? A presto ^___^

Villina92: Eh già, Tahti ha proprio tirato un bel ceffone a Ville, che se lo meritava tutto! Grande ragazza ma piuttosto goffa: vedi un po' come è andata a finire con Alek! Grazie mille per i complimenti, sono contentissima che la storia ti stia piacendo! A prestissimo! ^.^

 

Alla prossima!

 

Forget Me Not - Myosotis



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