Sparizioni e perfezioni

di LaU_U
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A passeggio per Londra ***
Capitolo 2: *** Iscrizione open all inclusive plus ***
Capitolo 3: *** Mariah Sandy Sparkle Shine Gold ***
Capitolo 4: *** Cose da fare ***
Capitolo 5: *** Atterranti confidenze ***
Capitolo 6: *** Un'occhiata al giornale ***



Capitolo 1
*** A passeggio per Londra ***


Era un pomeriggio piovosa a Londra, ma gli abitanti della grande metropoli erano abituati a vedere la loro città coprirsi di un tetto di nuvoloni scuri che al mattino erano assenti e nessuno di loro si era scordato il fedele ombrello a casa. Li si poteva vedere camminare a passo spedito mentre cercavano di schivare le pozzanghere più grosse senza rallentare minimamente, ma compiendo uno slalom accelerato o qualche balzo fra una pozza e l'altra. Nella folla dei londinesi che si spostavano sui marciapiedi era possibile scorgere un solo uomo senza ombrello che passeggiava più lentamente. Aveva una giacca di pelle scura e teneva il colletto alzato per proteggersi dal vento, le spalle sollevate e le mani in tasca. Gli occhi erano socchiusi per evitare che troppe gocce gli appannassero la vista. Nessun indizio lasciava presagire che fosse uno straniero, ma guardandolo si avrebbero avuti grossi dubbi a credere che vivesse nella capitale. Tutta questione di un-certo-non-so-che.
Passò davanti alle vetrine di molti negozi senza degnare di uno sguardo nessuno di essi finché qualcosa non attirò la sua attenzione e si fermò di colpo. La prima pagina di un giornale esposto in un'edicola parve ipnotizzarlo e l'uomo si avvicinò ad essa in silenzio. Lesse quel che c'era scritto e che era simile a ciò che altri quotidiani riportavano in copertina:


Il mistero della piscina si infittisce.
Nuove sparizioni e nuove apparizioni

«Secondo me sono stati gli alieni.»
Una voce roca attirò l'attenzione dell'uomo, che guardò confuso chi aveva parlato.
«I rapimenti» spiegò l'anziano edicolante dall'interno del baracchino «secondo me li hanno fatti gli extraterrestri.»
«Lei dice?» Sembrava più incuriosito che scettico a proposito dell'affermazione del negoziante.
«Certo! Ne sono più che convinto. Con tutte quelle cose strane che sono successe in quella piscina. Alcuni hanno detto di aver visto fiamme altissime, altri tentacoli, o fantasmi, o mostri.»
«Davvero?»
«Sì, sono stati gli alieni, gliel'assicuro. Io non mi faccio infinocchiare con le storie di allucinazioni collettive per il trauma o scemenze simili. Qui c'è in ballo qualcosa di grosso. E quelli al potere stanno facendo finta che sia tutto sotto controllo e che siamo noi poveri ad essere pazzi. Fesserie!»
Lo straniero prese con una mano un giornale e diede un'altra occhiata all'articolo sulla faccenda in questione. Pare che tutto fosse avvenuto in un posto chiamato Golden Leisure Centre.
«Dove si trova questa piscina?» chiese diretto.
«Su Fann Street, fermata Barbican.»
«Grazie» risposte, posando il quotidiano e andandosene via rapidamente.
«Ehi... ehi... ma non lo compra il giornale?»
La domanda si perse nell'aria poiché lo sconosciuto sparì rapidamente dietro ad un angolo senza aggiungere nulla. L'edicolante si pentì di aver dato tante informazioni all'uomo prima che avesse acquistato, la prossima volta ci avrebbe pensato due volte prima dire la sua.


 

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Questa storia nasce dall'idea di far torturare il povero Nine (se avete letto la mia altra ff Caccia al Tesoro avrete intuito che è una cosa che mi diverte fare) da una Mary Sue. Quindi preparatevi: ci sarà una Sue in questa storia! (Dovrei aggiungere "non per stomaci delicati" forse...)
Presumibilmente la nostra (anti)eroina apparirà già nel prossimo capitolo.
In realtà ci ho preso gusto con questo capitolo e un po' mi scoccia inserire Miss Perfezione nella storia, ma ormai è deciso!
Buona lettura!

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Capitolo 2
*** Iscrizione open all inclusive plus ***


Il Golden Lane Leisure Centre era ben più di una semplice piscina, come già il nome poteva lasciar presagire. Anche solo leggendo i tabelloni posti nell'atrio di ingresso che pubblicizzavano le varie attività si poteva scoprire che erano presenti campi da tennis e spazi dove era possibile praticare arti marziali, yoga, badminton e molto altro. L'uomo dalla giacca di pelle scura si guardò intorno per ambientarsi. Il centro era pieno di clienti che si spostavano trasportando i loro borsoni col cambio e che non sembravano per nulla preoccupati delle sparizioni che avevano avuto luogo in quel posto negli ultimi tempi.
Si avvicinò al bancone dietro cui un paio di ragazze erano impegnate a rispondere al telefono dando informazioni circa alcuni cicli di massaggi terapeutici. L'uomo attese pazientemente continuando ad osservare il viavai dell'atrio.
«Posso aiutarla?»
Una ragazza dai capelli neri aveva riattaccato la cornetta e si era rivolta a lui.
«Salve, vorrei fare un abbonamento per questo centro.»
«Certo. Che tipo di abbonamento aveva in mente?»
L'uomo parve in difficoltà e la giovane gli venne in aiuto.
«Le interessa la piscina? Il tennis? I nostri corsi?...»
«Oh. Tutto, tutto!»
Dallo sguardo che fece la ragazza quella risposta doveva esserle sembrata un po' strana. L'uomo cercò di dare una spiegazione.
«Vorrei rimettermi in sesto. Sa, dopo le feste ho preso qualche chiletto e vorrei fare di tutto per tornare in forma» disse confidenzialmente massaggiandosi all'altezza della pancia.
La giovane, che a quanto diceva il cartellino sulla sua polo bianca si chiamava Paula, sorrise.
«Un abbonamento open va bene?»
«Fantastico! Open all inclusive plus!» esclamò l'uomo rispondendo al sorriso della ragazza con il suo. Lei aggrottò le sopracciglia scettica e aprì un cassetto dal quale estrasse un plico di fogli.
«Il signor?»
«Dottore» disse distrattamente.
«Dottor...?»
L'uomo capì che la giovane voleva i suoi dati per l'iscrizione e che quindi avrebbe dovuto dare qualche ulteriore informazione che apparisse più umana possibile.
«John Smith. Dottor John Smith.» Era un nome sufficientemente terrestre e comune, poteva andare.
Paula annuì e scrisse sul modulo.
«Potrei avere un documento?»
«Certamente.»
Il Dottore estrasse da una tasca della giacca un piccolo oggetto nero, piatto e rettangolare e lo consegnò alla donna che copiò i dati sul foglio di registrazione. Gli consegnò il tutto.
«C'è un questionario da compilare a proposito del suo stato di salute. Serve inoltre un certificato medico di sana e robusta costituzione. Può portarlo la prossima volta o può fissare un appuntamento col nostro dottore.»
Una visita medica? Non poteva farsi fare una visita medica, sarebbe stato disastroso. Il fatto che avesse due cuori non sarebbe passato inosservato neanche all'infermiere più incapace.
«Beh, essendo io Dottore ho già un certificato. Eccolo qua.»
L'uomo si mise in tasca l’oggetto che aveva appena consegnato alla ragazza come documento di identità e lo riestrasse per darglielo nuovamente.
«Oh. Va bene.» Lei non parve accorgersi del trucco. «Faccio una fotocopia.»
Il Dottore non aveva idea di come sarebbe venuta la copia della sua carta psichica e non era certo che avrebbe funzionato. Tuttavia Paula non disse nulla quando gli restituì il fantomatico certificato, quindi il giochetto andò a segno.
Il Signore del Tempo si sedette su una poltroncina nei paraggi e compilò il questionario inserendo dei dati che si sarebbero potuti attribuire ad un uomo inglese di sana e robusta costituzione, poi riconsegnò il plico e attese una qualche conferma con un sorriso.
«Allora... per l'abbonamento open che intende fare lei sono... ottantacinque sterline al mese, più la tessera, altre trenta. Se vuole iniziare col primo mese sono in tutto centoquindici sterline.»
Centoquindici sterline per entrare a curiosare in una piscina? Era una cosa folle! Ora capiva perché c'erano esseri umani che passavano tutto il loro tempo libero nelle palestre. Con tutta la spesa che dovevano ammortizzare.
Per fortuna il Dottore era riuscito a reperire abbastanza banconote britanniche correnti prima di arrivare. Pagò senza fare commenti e poi chiese alla giovane se fosse stato possibile entrare subito.
«Ci tiene proprio a rimettersi in forma!» esclamò Paula. «Le chiamo subito un'istruttrice che le darà qualche informazione e la accompagnerà negli spogliatoi.»
La receptionist si mise a parlare ad un microfono e la sua voce risuonò in tutto la stanza fuoriuscendo dalle casse dell'interfono.
 
Dopo un paio di minuti arrivò una scattante donnetta tondeggiante che indossava una tuta con il nome del centro sulla schiena. Fu lieta di scoprire che il signor John Smith aveva sottoscritto un abbonamento open all inclusive plus, come le aveva riferito divertita Paula. Allegramente si presentò con una forte stretta di mano e trascinò con sé il Dottore complimentandosi per i suoi buoni propositi sul mantenersi in salute e inondandolo poi di notizie sulla piscina e tutto il resto.
«Abbiamo un sacco di corsi interessanti: yoga, fit-boxe, judo, aquagym... Fra dieci minuti inizia una fantastica lezione di aquagag, dovresti provarla.»
A sentire la parola aqua l'uomo si innervosì. Nuotare non era esattamente il suo forte.
«No, grazie, oggi vorrei solo dare un'occhiata» rispose cordialmente.
«Ma sì, ma sì. Un omone come te non può tirarsi indietro adesso. Ormai ti sei iscritto, vieni con me.»
«Grazie, ma veramente...»
«Non c'è storia. Tu adesso mi segui e...»
«Mi piacerebbe davvero, ma non ho il costume...»
«Ne abbiamo noi!» Esclamò euforica. «Ogni tanto i clienti lo dimenticano e noi li mettiamo da parte per queste evenienze.»
Avrebbe dovuto mettersi il costume di un altro?
«Non ti preoccupare li abbiamo lavati» aggiunse giovialmente la donna rotondetta, mentre tirava per il braccio il Dottore senza permettergli di tirarsi indietro.
 
Raggiunse l’ampio spazio della piscina in uno stato di emozioni contraddittorie. Da un lato si sentiva imbarazzatissimo per il micro slip arancione che l’istruttrice folle gli aveva rifilato e che lo faceva a sentire tutt’altro che a suo agio, dall’altra era decisamente arrabbiato con quella donnetta che mai e poi mai avrebbe perdonato.
«Sottospecie di Slitheen nano!» mugugnò nervoso mentre camminava con le mani davanti al costume il più distante possibile dal bordo della piscina.
Lo Slitheen in tuta apparve con la sua aria allegra.
«Oh, ma che bel fusto! Vieni con me. Andiamo a rassodare queste belle natiche» esclamò tirando una pacca sul sedere a colui che ormai la riteneva sua acerrima nemica.
«Ti faccio conoscere la ragazza che ti farà fare aquagag. Si chiama Mariah, l’adorerai.»
Tirandolo per un braccio lo condusse rapidamente dall’altra parte della piscina dove un gruppetto di uomini e donne di varie età erano riuniti in attesa. Un paio di volte il Dottore rischiò di scivolare sul pavimento umido, anche perché le  infradito che gli erano stati prestati erano più o meno di otto misure più piccole del suo piede. Oltre al fatto che erano rosa a fiori e la cosa non gli permetteva di camminare normalmente senza osservarli con disgusto.
«Eccoci qui. Ti lascio in compagnia dei tuoi compagni di lezione. Buon divertimento! »
L’ultima esclamazione fu accompagnata da una seconda pacca sui glutei. Alla terza avrebbe rinunciato a farsi chiamare il Dottore per ripiegare su il Pazzo con l’accetta.
Era troppo furente per socializzare con chiunque, quindi rimase in silenzio guardando gli altri di sottecchi, mentre valutava se impegnarsi a rimanere nervoso tutto il tempo o cercare di rilassarsi un po’.
Ad un tratto tutti si girarono verso la porta d’ingresso, come rapiti. Gli sguardi affascinati, le bocche aperte. Il Dottore si voltò per capire cosa avesse attirato la loro attenzione così prepotentemente e scorse una bellissima ragazza che era appena entrata e che lentamente si stava avvicinando a loro.

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Capitolo 3
*** Mariah Sandy Sparkle Shine Gold ***


Il Dottore fissò la ragazza che stava facendo il suo ingresso in quel momento, calamitando l’interesse di tutti. Aveva dei lunghi capelli mossi e biondi, sui quali le luci al neon della piscina proiettavano dei riflessi azzurri e violacei che richiamavano alla mente dei rapiti osservatori l’immagine di una meravigliosa sirena, regina delle profondità marine. La chioma era la prima cosa che attirava l’attenzione su di lei, ma di certo non quella su cui essa finiva per focalizzarsi. La capigliatura ondeggiava morbidamente ad ogni passo, sottolineando l’andatura aggraziata e seducente allo stesso tempo di quella giovane donna. Il viso era splendido e completamente proporzionato. Due luccicanti occhi verdi erano circondati da lunghe ciglia scure che rendevano lo sguardo ancora più affascinante. Le labbra rosee sembravano pronte per chiedere cento baci ed altri mille ancora e non era difficile credere che fossero stati in molti ad agognare di dar loro ciò che desideravano.
Era molto alta, sicuramente più della gran parte delle giovani della sua età, anche se non era chiaro quale essa fosse. Aveva un fisico sviluppato da donna, ma nel suo passo era visibile l’innocenza di un’adolescente ai tempi delle prime cotte. Il corpo sembrava perfetto; il Dottore ebbe come l’impressione che l’unico modo per descrivere quello che vedeva sarebbe stato dire che aveva le curve al punto giusto. Rimase dubbioso circa quel suo pensiero: non era facile trovare delle persone con le curve al punto sbagliato. Bene o male, nonostante fossero più o meno seducenti, le curve erano sempre negli stessi posti. Anche ripensando ai numerosi alieni che aveva incontrato, un Sontaran o un Klepton ad esempio, per quanto le curve fossero diverse erano sempre là dove era richiesto loro di stare. Le gambe lunghissime ed abbronzate sembravano muoversi a rallentatore e quella camminata fu come se durasse una vita; era come se le persone che l’osservavano sentissero il bisogno di non perdere un istante di quel momento e di succhiare il midollo della bellezza tramite il semplice guardare cotale dea dall’aspetto esotico ed etereo. Indossava un bikini giallo acceso. Il pezzo sopra allacciato dietro il collo e gli slip con dei laccetti che sfoggiavano delle perline viola cangianti.
 
Arrivò in mezzo al gruppo che la stava fissando e attendendo con bramosia. Sfoggiò uno spensierato sorriso e parlò.
«Qualcuno ha bisogno di una cuffietta?»
La voce acuta risvegliò il Dottore dall’incantamento, ma ciò parve non accadere con gli altri presenti. Che si mostrarono piuttosto abbattuti per il fatto di avere tutti la cuffia già in testa o fra le mani.
«Oh, vedo che tu sei senza. Tieni, eccola qui.» E così dicendo la infilò in testa al Dottore con forza. Il Signore del tempo sentì i corti capelli tirati dalla membrana di plastica e strizzò gli occhi per il dolore.
«Perfetto. Sei carinissimo!»
Non aveva alcuna intenzione di essere carino e dubitava profondamente che un oggetto del genere, che sicuramente gli faceva risaltare le orecchie a sventola e il naso non proprio alla francese, potessero renderlo tale. Il Dottore notò degli sguardi di sfida da parte degli altri uomini presenti. E anche di qualche donna, a dire il vero.
«Oh, ma che sciocca, non mi sono ancora presentata. Io sono Mariah Sandy Sparkle Shine Gold, ma chiamatemi Mariah. Da oggi sono la vostra istruttrice di nuoto. E non preoccupatevi: anche se sono giovane sono molto brava nel mio lavoro. Ho sempre avuto una grande predisposizione per tutte le attività che concernono l’acqua.»
Quali erano le numerose attività che concernevano l’acqua oltre al nuoto? Lavare la vasca dei pesci e far bollire la pasta?
«Allora. Adesso buttiamoci tutti in acqua!» esclamò euforica.
Il gruppo cominciò ad avviarsi verso la scaletta, facendo a gara per entrare il prima possibile. Il Dottore si tenne in disparte nella speranza di essere lasciato in pace e all’asciutto.
«Ehi, carino, che fai lì? Vieni con noi!»
Lei gli prese un braccio e lo condusse dolcemente verso la scaletta, poi entrò ancheggiando. Un ragazzo biondo, di bell’aspetto, attorno ai vent’anni, era in piedi accanto a lui e lo guardò minacciosamente coi suoi occhi di ghiaccio.
«Ho capito cosa vuoi fare» gli sussurrò faccia a faccia. «Reciti la parte del coccolone per impietosirla. Beh, non attaccherà: lei sarà mia. Ti tengo d’occhio!»
Quella situazione stava diventando assurda. Fissò incredulo il biondo, credendo stesse scherzando, ma apparve molto serio. Ti tengo d’occhio? Ma dove era finito? In un film per liceali americani?
Entrò nella vasca e si piazzò in fondo, il più lontano possibile dal giovane platinato e da tutti gli altri. Seguì la lezione con disinteresse, muovendosi il meno possibile, mentre tutti gli altri sembravano intenzionati a spiccare dei balzi fuori dall’acqua come i delfini per impressionare la bella istruttrice.

Quando l’ora finì partì un caldo applauso nei confronti di Mariah, che reagì arrossendo e sorridendo imbarazzata. Pian piano tutti uscirono dalla piscina e si avviarono verso le docce. Il Dottore fece lo stesso: salì la scaletta, rimise le ciabattine a fiori e si incamminò. Accanto a lui vedeva il fondo della vasca allontanarsi e l’acqua diventare sempre più profonda. Forse sarebbe stato meglio fare qualche passo più in là per evitare di finirci dentro. Fu nell’istante in cui gli passarono quei pensieri per la testa che sentì la voce sgradevole del biondo e ricevette da lui una forte spallata da dietro.
«Oh, attento a dove cammini.»
Fu colto alla sprovvista e scivolò dritto in acqua, senza poter fare nulla per evitarlo. La piscina era troppo profonda e i piedi non toccavano. Cominciò ad annaspare, a muovere velocemente e in maniera scombinata le braccia sperando di stare a galla e avvicinarsi al bordo, ma senza successo. Si sentì affondare, impotente.
Poi sentì un rumore accanto a lui e le braccia calde di una persona che lo afferravano e lo riportavano in superficie e poi verso il bordo. Si aggrappò e si tirò fuori il più rapidamente possibile, tossendo per sputare l’acqua che aveva ingoiato. Ansimando guardò per capire chi l’avesse salvato: era stata Mariah. Scorse il sorriso del ragazzo che l’aveva spinto tramutarsi in un grugno di nervosismo. Poi il giovane se ne andò.
«Tutto bene? Come stai?»
Si alzò in piedi, ancora confuso e rispose alla ragazza: «Sì, sì. Sto bene. Grazie.» Un ringraziamento era dovuto.
«Dovevi dirmi che non sai nuotare. Ti avrei tenuto d’occhio meglio.»
Era una mania quella di tenerlo d’occhio?
«Non importa. È tutto a posto.» Fece un cenno di saluto e qualche passo verso le docce.
«Sembravi un grosso gattone annaspante, sai?»
«Cosa?» Si voltò di scatto. Aveva sicuramente capito male.
«Prima, nell’acqua, quando ti agitavi. Sembravi un gattone spaventato. Eri molto carino.»
In pratica lei gli stava dicendo che nell’istante prima, quando stava per morire in una stupida piscina in maniera goffa e imbarazzante, lei si era concentrata sul fatto che era carino. E aveva pensato che quello fosse il momento più adatto per riferirglielo; all’apice della sua vergogna. Si limitò ad annuire e ad andarsene a passo svelto.
Doveva risolvere il mistero della piscina al più presto se voleva stare il meno possibile in quella gabbia di matti.


 

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Mi ci è voluto un po' a scrivere questo capitolo, per vari motivi. Innanzitutto inserire una Sue è stato pittosto impegnativo: non è il genere di personaggio di cui parlo di solito, anche perchè generalmente parto dai difetti coi miei OC. E anche con Nine, insomma. Farlo arrabbiare non mostra certo la sua perfezione.
Non è stato facile neanche descrivere fisicamente la Sue. Non descrivo spesso e non leggo moltissimo, quindi non sono esperta. inoltre le descrizioni classiche delle Sue sono molto stringate e non volevo che lo fosse anche la mia. Ho deciso di fare una descrizione apparentemente seria e relativamente approfondita.
E poi volevo una frase ad effetto. Volevo che le prime parole della Sue dicessero quanto fosse frivola. Purtroppo non ho trovato nulla che funzionasse, quindi mi sono limitata a "Qualcuno ha bisogno di una cuffietta?".
Ho inserito qualche cosa classica delle storie con le Sue, spero siano apprezzate. Se avete consigli per migliorarmi  e rendere la Sue più Suesca ditemi pure...

Detto questo: ringrazio moltissimo le ragazze che hanno commentato i primi due capitoli, mi hanno fatto molto piacere. :)

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Capitolo 4
*** Cose da fare ***


Prima cosa da fare
Rivestirsi. Completamente. Mettersi dei guanti e un cappello magari. Aveva già fatto vedere troppo di sé nelle ultime due ore.
Seconda cosa da fare
Dare un’occhiata in giro. Magari ascoltare qualche conversazione dei clienti del centro; inserirsi innocentemente nelle loro chiacchiere.
Terza cosa da fare
Stare alla larga dai responsabili della piscina.
Quarta cosa da fare
In futuro evitare di iscriversi a qualsiasi altra palestra dell’universo. Limitarsi ad utilizzare la carta psichica per fingere di essere un detective o un investigatore, un fattorino, un lavavetri, eccetera.
Quinta cosa da fare
Stare alla larga dai responsabili della piscina.

 

Il Dottore era in un piccolo spogliatoio e si stava togliendo il costume arancione per rituffarsi dentro i suoi vestiti. La sua giacca! Se la sarebbe cucita addosso per evitare che qualche gaia donnetta lo costringesse a toglierla nuovamente.
Lasciò slip, ciabattine e cuffietta sulla panca nello stanzino e socchiudendo la porta diede un’occhiata all’esterno per controllare la situazione. Via libera. Sgusciò fuori e richiuse la porta accostandola con attenzione affinché non facesse rumore.
«Oh, eccolo qua!»
Riconobbe la voce e si voltò di scatto, appoggiando la schiena alla porta. Non avrebbe permesso allo Slitheen nano di toccargli un'altra volta il posteriore.
La sua lista di cose da fare era andata in fumo dopo solo mezzo passo, stava perdendo colpi.
«Allora? Come è andata la tua lezione? È brava Mariah, vero?» chiese in tono allusivo.
«Oh, sì. Molto in gamba.»
«È davvero una ragazza speciale. I suoi allievi l’adorano» disse sospirando, come se si fosse lasciata trasportare da bellissimi pensieri.
«Già» rispose vago. Quella Mariah sembrava attirare le attenzioni di tutti.
«E perché non dovrebbero?!» aggiunse lei con una grossa risata
«Già… Perché no?»
Quella donna lo stava turbando. Quando si sarebbe decisa a lasciarlo stare?
«Ma che simpatico che sei.» Gli afferrò una guancia tra le dita e la tirò avanti e indietro, come fosse una sua vecchia zia impegnata a torturare il nipotino. Possibile che dovesse per forza toccarlo da qualche parte, quell’esagitata?
«Allora ci vediamo dopodomani alla seconda lezione?»
«Sicuramente» concluse lui con un sorriso tirato, mentre la donnetta lo salutò e finalmente si allontanò.

 

 Da capo.
 
Prima cosa da fare
Tornare nel TARDIS e recuperare una borsa con una tuta e delle scarpe da ginnastica per mimetizzarsi tra la gente negli spogliatoi.
Seconda cosa da fare
Dare un’occhiata in giro. Magari ascoltare qualche conversazione dei clienti del centro; inserirsi innocentemente nelle loro chiacchiere.
Terza cosa da fare
Stare alla larga dai responsabili della piscina.
Quarta cosa da fare
In futuro evitare di iscriversi a qualsiasi altra palestra dell’universo. Limitarsi ad utilizzare la carta psichica per fingere di essere un detective o un investigatore, o un fattorino, eccetera.
Quinta cosa da fare
Stare alla larga dai responsabili della piscina.

 

Uscì dalla sua cabina telefonica e ritornò nell’edificio. Camminando circospetto raggiunse il corridoio degli spogliatoi. Oltre a quelli individuali, come quello che aveva utilizzato prima, ce n’erano alcuni piuttosto grossi in cui erano presenti più persone, tutte intente a cambiarsi. Entrò in uno pieno di uomini e si sedette su una panca, per poi iniziare a svestirsi, così da non dare nell’occhio. C’era in corso una conversazione fra tre di loro, uomini attorno ai quarant’anni che avevano l’aria di essere tutti avvocati o agenti di borsa appena usciti dal lavoro. Si stavano togliendo le camicie e discutevano animatamente.
«Te l’ho detto, era gigantesco, non ho mai visto niente di simile.» Il più agitato era di media statura, faccia grossa e corti capelli biondo cenere.
«Ma non è possibile!» disse un uomo robusto dall’espressione gioviale
«Te l’assicuro, Ed. Era l’essere più grosso che abbia mai visto. Faceva paura.»
«Andiamo, Hank, sei sempre esagerato» rispose scettico un uomo con degli occhiali tondi e dei capelli castani che gli cadevano con due ciuffetti sulla fronte.
«Ma no, vi dico. Era alto almeno due metri e mezzo!»
«Un metro e novantotto.»
«Cosa?» chiese Hank all’uomo che aveva fatto la domanda e che era stato in silenzio fino ad allora. Non sembrava rientrare nella sua cerchia di amici.
«È alto un metro e novantotto. L’ho letto sui giornali.»
«Ha ragione, Hank. Anche io avevo letto qualcosa di simile. Ti sarai sbagliato» disse Ed.
«Ma no, sono sicuro che è molto più grosso di così, io l’ho visto coi miei occhi.»
«Non ti farai mica spaventare da quello lì. Tutto fumo e niente arrosto.»
«Non è che mi abbia spaventato…» cercò di discolparsi l’uomo chiamato Hank «… solo che vorrei vedere voi mentre gestite le azioni di Gal Crane. Un calciatore di quella stazza! Sono vip, quelli. Non li perdonano mica, gli errori.»
Il discorso si chiuse e per un minuto nessuno disse più nulla, fino a che Hank riattaccò bottone: «Ma che fine ha fatto Stuart? È da una settimana che non viene al corso, quella talpa.»
Gli altri del gruppetto alzarono le spalle.
«Stuart Tate?» chiese l’uomo che aveva rivelato l’altezza del calciatore poco prima.
I presenti lo guardarono un po’ preoccupati.
«Sì, perché?»
«Non avete sentito?» L’espressione dell’uomo era molto seria. «È uno degli scomparsi.»
Tutti increduli fissarono il vuoto. Non lo sapevano e non se l’aspettavano.
«Quando è sparito?»
Fu il Dottore a porre la domanda.
«Una decina di giorni fa, mi sembra. E dopo di lui è scomparsa quella signora di colore, Lavida…Lavina… Livina Bates!»
«Sono spariti qui? Nessuno ha visto niente?»
«No. O meglio, pare di sì.»
Faticavano a capire cosa intendesse quell’uomo e lo guardarono tutti in attesa che continuasse a parlare e a chiarire la situazione.
«Quella sera, quando è sparito Stuart Tate, ero appena uscito dalla palestra. Era sera, stavano per chiudere. Aspettavo davanti all’ingresso che mia moglie passasse a prendermi. E poi una donna è uscita di tutta fretta, sembrava spaventata, molto spaventata. Diceva di aver visto un…»
Fece una pausa, come se raccontare lo turbasse.
«…un lupo mannaro.»
«Un lupo mannaro?» chiese a gran voce il signore con gli occhiali.
«Così ha detto lei» rispose l’uomo alzando le spalle e guardando verso il pavimento.
Un lupo mannaro. Quell’affermazione riprendeva un po’ ciò che aveva detto l’edicolante sul fatto che dei testimoni avevano raccontato di mostri e tentacoli.
«Hai parlato di questa cosa alla polizia?»
«Ma sì, gliel’ho detto, ma mi hanno liquidato subito. Non so se non ci credono o se vogliono far finta di niente.»
Ci fu un altro momento di silenzio. Gli uomini avevano smesso di vestirsi, presi com’erano dalla discussione.
«Lo so io chi è stato!» esclamò convinto ad un certo punto Ed. Tutti gli occhi, compresi quelli del Dottore, erano su di lui.
«Non può esserci che un colpevole, se ci pensate bene.»
«Chi?»
«Chi? Chi, se non quell’energumeno pericolossissimo alto tre metri di Gal Crane!»
All’uomo sfuggì un sorriso beffardo, mentre Hank e tutti, sconosciuti compresi, gli rivolgevano epiteti non troppo amichevoli per essere stati presi in giro. L’atmosfera si distese e il gruppo tornò all’operazione di vestizione.
 
«Allora? La lezione sta per cominciare! Fate in fretta!»
La voce acuta e amichevole di una ragazza irruppe nello spogliatoio assieme alla testa della sua proprietaria, che apparve sulla soglia per dare una mossa a tutti loro. La reazione generale fu di coprirsi rapidamente la parte del corpo ancora nuda con gli indumenti più a portata di mano. Cosa ci faceva Mariah nello spogliatoio degli uomini?
«Cinque minuti e si comincia! Oh, ci sei anche tu, Carino? Ti aspetto qui fuori.»
L’aveva scorto. L’aveva riconosciuto. L’avrebbe accalappiato un’altra volta.
Le espressioni dei presenti nei suoi confronti erano un misto di incredulità e preoccupazione. Probabilmente si stavano chiedendo perché una ragazzina chiamasse con quel nomignolo un uomo tanto più grande di lei. Il Dottore si sentì un po’ in imbarazzo, ma allo stesso tempo sollevato perché sembrava che là dentro nessuno fosse succube del fascino della giovinetta. Fece finta di niente e lasciò la stanza, per evitare di essere ancora osservato. Aveva indossato una tuta nera con qualche occasionale striscia bianca. Decise di mettere sopra la felpa la sua giacca. Si sarebbe sentito più a suo agio con quella.
«Ciao!»
Lei era davvero davanti alla porta ad attenderlo.
«Oggi vuoi proprio darci dentro con l’allenamento. Bravo!»
Era indeciso se tentare di svicolare o seguire la lezione, che gli avrebbe permesso di scambiare due ulteriori parole con gli uomini dello spogliatoio per scoprire qualcosa. La libertà di scelta non era comunque una cosa che gli era stata concessa quel giorno.
«Vieni. Adesso dobbiamo andare in questa sala.» Lo prese per il braccio e lo trascinò.
«Ti divertirai un sacco. Seguimi.»

 

 Prendere appunti.
 
Prima cosa da fare
Stare alla larga dai responsabili della piscina.
Seconda cosa da fare
Stare alla larga dai responsabili della piscina.
Terza cosa da fare
Stare alla larga dai responsabili della piscina.
Quarta cosa da fare
Stare alla larga dai responsabili della piscina.
Quinta cosa da fare
Stare alla larga dai responsabili della piscina.


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Ringrazio ancora i miei lettori e commentatori. Pian pianino la storia procede. Buona lettura!

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Capitolo 5
*** Atterranti confidenze ***


«Hop. Hop. Hop. Hop. Hop. Hop.»
Il Dottore stava saltellando da tre quarti d’ora e non ce la faceva più. Mariah dava il ritmo che i suoi allievi dovevano seguire nel tirare i calci al sacco. Lo faceva con un sorriso, come se stesse partecipando all’esperienza più bella del mondo. Quell’espressione di spensieratezza non era sparita dal suo volto una sola volta da quando il Signore del Tempo l’aveva incontrata. Anche durante la sua seconda presentazione agli allievi era stata entusiasta: «Qualcuno di voi già mi conosce, ma per chi non lo sapesse io sono Mariah Sandy Sparkle Shine Gold. Chiamatemi Mariah. Da oggi sono la vostra istruttrice di fit-boxe. Non preoccupatevi: anche se sono giovane sono molto brava nel mio lavoro. Ho sempre avuto una grande predisposizione per le attività fisiche e la lotta.»
Questa ragazza pareva avere una marea di predisposizioni. Il Dottore questa volta si chiese come fosse stata accertata la sua attitudine alla combattimento. Non riusciva ad immaginarla come una di quelle persone che facevano rissa nei locali durante le sere dei fine settimana, né aveva il fisico da boxeur.
«Forza, ancora un ultimo esercizio e poi abbiamo finito. Sceglietevi un compagno.»
Erano dispari, il Dottore lo sapeva. Non sarebbe stato possibile che tutti lavorassero in coppia. Forse si sarebbe potuto riposare mentre gli altri lavoravano.
«Tu, Carino, vieni con me.»
O forse no.
«Adesso tenete le gambe larghe quanto le vostre spalle, piegate le ginocchia e state molleggiati.» Avendola vicina la sua voce sembrava ancora più strillante. «Uno tirerà dei diretti ad altezza del volto e l’altro dovrà schivarli piegando il busto, così.»
Fece vedere a tutti il semplice movimento con cui il tronco si abbassava e ondeggiava a destra e sinistra, come per passare sotto a colpi immaginari. Le coppie cominciarono a fare l’esercizio, mentre il Dottore sbuffando fissò l’istruttrice.
«Sei pronto? Bene, inizia a schivare.»
Mariah cominciò a tendere dei rapidi colpi davanti a sé, costringendo l’uomo ad abbassarsi velocemente per evitarli. Accompagnava ogni pugno con un «Ah! Prendi questo!» o un «Ah! E quest’altro!» e sembrava decisissima a voler far sgobbare il più possibile il suo allievo. Lei, al contrario, non sembrava minimamente stancata da quell’allenamento. Non aveva una goccia di sudore sulla fronte, né sui vestiti, mentre tutte le persone nella stanza grondavano e parevano prossime allo sfinimento. Il Dottore era certo che ogni sua singola cellula epiteliale stesse producendo sudore e intanto lei sembrava Miss Mondo all’apice dello splendore nella sua tutina vellutata e aderente color fuxia.
Fu in un momento di distrazione mentre si guardava intorno che Mariah lo colpì su uno zigomo con una forza inaspettata. Il Dottore si piegò su di sé mettendosi le mani sul volto e trattenendo un lamento di sofferenza.
«Oh. Mi dispiace. Ti ho fatto male?» chiese l’istruttrice preoccupata. Tutti intorno fermarono l’esercizio e si misero a fissarlo. Farsi vedere battuto da una ragazza sarebbe stato abbastanza umiliante, quindi il Dottore si sforzò di nascondere il dolore e si raddrizzò.
«Va tutto bene. Non è niente.»
«Sei sicuro? Se vuoi ti porto in infermeria.»
«Sicuro. Sto bene.»
Finalmente era riuscito a far sparire il sorriso stampato sulla faccia della giovane, ma la sua ultima affermazione bastò a farlo ritornare, più grande di prima.
«Bene. Ora tocca a te tirarmi i pugni.»
Era un po’ scettico; aveva paura di colpirla e magari farle male, ma lei lo fissò con convinzione per indurlo ad attaccare. Sferrò un primo colpo, lento e fiacco.
«Oh, ma cos’era quello? Su, uomo di pastafrolla, tira un bel pugno.»
In fondo darle un cazzotto non gli avrebbe dato così fastidio. Si decise a fare l’esercizio con serietà, mentre lei schivava con movimenti rapidi e la solita aria divertita. Aveva preso un ritmo regolare e lo stava mantenendo con concentrazione. A dirla tutta quell’attività poteva anche dimostrarsi divertente: permetteva di occupare il tempo e potenziare le proprie abilità. Ci stava prendendo gusto.
«Mariah, mi servirebbe un consiglio.»
La voce dello Slitheen nano attirò l’attenzione dell’istruttrice che si voltò di lato per vedere la donna. Il Dottore non riuscì a fermarsi, dato che il suo corpo aveva interiorizzato il ritmo di destri e sinistri. Non poté evitarlo: le sue nocche finirono direttamente sulla mandibola di Mariah, che cadde a terra in un tonfo.

«Tu, razza di omone imbecille!»
Mariah Sandy Sparkle Shine Gold era seduta a terra. Lo Slitheen la reggeva, controllava se stesse bene e insultava il Dottore. Gli occhi dei presenti passavano da lui all’istruttrice con espressioni sconvolte e accusatorie verso l’uno e preoccupate nei confronti dell’altra. La giovane si era lentamente ripresa dalla botta iniziale e sebbene non sembrasse molto stabile aveva già ricominciato a sorridere per rassicurare gli altri.
«Che cosa pensavi di fare? Per quale motivo l’hai picchiata?»
L’uomo prese un respiro profondo per schiarirsi le idee. Ovviamente non l’aveva fatto apposta. Ovviamente se quella donnetta rotonda non fosse arrivata gracchiando durante l’esercizio tutto ciò non sarebbe successo. Ovviamente si sentiva a disagio per quella situazione. Ovviamente non era del tutto dispiaciuto di aver atterrato la biondina.
«È stato un incidente» provò a discolparsi. Solo l’intervento di Mariah stessa tranquillizzò tutti: «Non voleva farmi male. Mi sono distratta mentre stavamo facendo l’esercizio. E poi non è niente. Guardate.»
Si alzò rapida e mise la mani sui fianchi per mostrarsi in salute e senza preoccupazioni.
«Ora la lezione è finita. Ci vediamo la prossima volta. Ciao a tutti!»
Il saluto cordiale spinse la gente ad andarsene, anche se fu lanciata qualche altra occhiata scettica all’omone imbecille. Lo Slitheen lo guardò in cagnesco, ma quando Mariah l’invitò ad andarsene lo fece senza fare storie.
«Mi dispiace. Ti fa molto male?»
Era il caso di scusarsi ora che erano rimasti soli, anche se lei era una persona indigesta. La ragazza fece per rassicurarlo, ma ebbe un mancamento. Si portò la mano sulla fronte in un gesto molto teatrale e perse l’equilibrio. Il Dottore l’afferrò in tempo e la fece sedere a terra, mettendosi accanto a lei e facendole aria con la mano. Dopo un minuto sembrava essersi ripresa, ma aveva un segno rosso sul mento che si sarebbe probabilmente tramutato in un grosso livido.
«Non è niente. Ne ho passate di peggio.»
Cosa poteva voler dire? Era forse già stata picchiata in passato?
«Sai, non è stata una vita facile la mia. Mi è capitata la sventura più grande, quella di non conoscere i miei genitori.»
L’uomo fu colpito da quell’attacco di sincerità e non capì perché gli stesse raccontando la sua storia dato che si conoscevano da circa tre ore.
«Sono stata trovata quando ero ancora in fasce davanti alla porta di un orfanotrofio e sono cresciuta là tutta la vita. Ho sedici anni e non ho mai avuto una famiglia.»
La sua voce era diventata di colpo molto triste, gli occhi luccicavano mentre si riempivano di lacrime.
«È stato così difficile crescere senza una mamma e un papà. E i bambini erano così cattivi con me. Erano invidiosi della mia intelligenza e bellezza e quindi mi prendevano sempre in giro, oppure mi tampinavano per poter giocare tutti con me e io mi sentivo soffocare. Nessuno mi ha mai chiesto con chi volessi stare io. Erano così assillanti.»
Il Dottore era un po’ in imbarazzo. C’era qualcosa di innaturale nel racconto di quella storia. Suonava molto strana ed immodesta la lamentela per essere sempre stata invidiata da tutti. Era difficile credere che si potesse crescere così viziati all’interno di un istituto.
«E poi c’erano tutti quegli incubi. Ogni tanto sognavo dei terribili temporali con tuoni e fulmini ed immaginavo che davanti alla mia finestra apparissero degli uccelli giganteschi con enormi artigli che volevano afferrarmi. Urlavo forte. E i bambini si lamentavano perché li avevo svegliati. Ancora adesso faccio questi sogni, talvolta. Mi chiedo se mai finiranno.»
Concluse il suo discorso mesto e si asciugò gli occhi. Guardò l’uomo che le sedeva accanto, un po’ confuso.
«Ti ho detto questo perché sentivo di potermi fidare di te. Mi ha fatto bene parlarti.»
Forse a quella ragazza avrebbe fatto bene parlare con un terapista, più che altro. Non era chiaro cosa la facesse sentire sicura di confidarsi con un estraneo che non la sopportava e che le aveva appena sferrato un pugno. Non c’era logica in questo. Non c’era logica in nulla di ciò che era accaduto quel pomeriggio. Era il caso di andarsene e tornare il giorno dopo in modo da riprendere fiato e riposare i nervi.
Aiutò Mariah ad alzarsi e si assicurò che fosse stabile.
«Ora è tardi, devo andare.»
«Ci vediamo alla prossima lezione!»
«Sicuramente.» rispose lui cercando di apparire sincero, mentre già si stava allontanando. Sarebbe tornato il giorno seguente, ma avrebbe evitato piscina e fit-boxe come la peste. Doveva continuare ad indagare sulle sparizioni.


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Ecco l’angolo dedicato a commenti e al dialogo con il pubblico (cavoli, manco fossimo ad un talk-show!)
Nelle ultime recensioni (ancora grazie!!!) era stato scritto questo commento: “L'unica cosa che potrebbe renderla ancora più Mary Sue è qualche terribile, inaspettato, e totalmente improbabile segreto del suo passato. Qualcosa di assurdo, del tipo: "Sono la figlia segreta del Master!" X°D”
Ma certo che la mia Sue ha degli oscuri segreti! Aspettavo solo il momento adatto per rivelare la sua triste storia. Purtroppo Mariah non è la figlia segreta del Master (sarebbe stata una storia splendida, mannaggia, perché non ci ho pensato?!?!), ma qualche mistero l’attende comunque…

Non sono molto soddisfatta di questo capitolo (né del titolo), non so per quale motivo specifico. La mia speranza è che abbiate esultato quando Nine ha colpito la Sue. Basterebbe questo a farmi sapere di aver raggiunto il mio scopo. Se non ce l’ho fatta… I'm sorry. I'm so sorry.

Ho già informato l'interessata, comunque dedico la posizione della Sue quando si alza dopo il pugno "
Si alzò rapida e mise la mani sui fianchi per mostrarsi in salute e senza preoccupazioni." alla ballerina-attrice-cantante-acrobata-fuorilegge
più brava di tutta Nottingham, Cathy. Spesso assume una posizione simile e l'adoro... :)

Per concludere, una domanda: ma le donne in palestra non sudano? Tempo fa frequentavo una palestra e ho fatto qualche lezione di fit-boxe. Possibile che fossi l’unica donna sudante della stanza? Me no capisce…

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Capitolo 6
*** Un'occhiata al giornale ***


La situazione rischiava di diventare drammatica. Il Dottore era appostato in un corridoio buio che non conduceva da nessuna parte. Ogni tanto si sporgeva oltre alla parete che lo nascondeva per controllare se le condizioni fossero migliorate, ma da più di dieci minuti non si era smosso nulla. Era costretto a rimanere nella semioscurità, in ostaggio, nell’attesa che i suoi nemici si distraessero e s’aprisse un varco tra di loro tale da permettergli di sgattaiolare via. Li vedeva lì, a pochi metri, intenti a chiacchierare tra di loro con spensieratezza mentre gli impedivano l’accesso all’unica via di fuga da quell’angolo dell’edificio.
«Quando ritorneranno a lavoro?» si chiese. «Non hanno dei corsi da tenere?»
Mariah e lo Slitheen nano erano in piedi davanti alle macchinette del caffè e ridacchiavano spensierate insieme ad un paio di colleghi. Di quel passo sarebbe dovuto rimanere lì fino all’ora di chiusura e avrebbe comunque corso il rischio che qualcuno gli si avvicinasse per raccattare qualcosa dal piccolo magazzino che aveva appena ispezionato di nascosto.
Era giunto il momento di creare un diversivo. Sfoderò il suo cacciavite sonico e, senza sporgere altro che la mano, lo puntò in direzione del gruppetto di gai istruttori. Si sentì il rumore di una piccola esplosione, partì qualche scintilla e dal distributore automatico cominciò a schizzare caffè in tutte le direzioni. Rapidamente i nemici batterono la ritirata lanciando dei gridolini di sorpresa e spavento. Vittoria!
Appena riuscito a liberare il campo, il Dottore si precipitò fuori dal suo nascondiglio, non senza i dovuti controlli per essere sicuro di non essere scoperto all’ultimo. Scivolando furtivamente per i corridoi con la schiena contro le pareti, l’uomo raggiunse uno degli spogliatoi e vi si introdusse chiudendo la porta dietro di sé e tirando un sospiro di sollievo.
La stanza era vuota, se non per un ometto paffuto che si stava spogliando e che gli lanciò uno sguardo imbarazzato quando lo vide entrare. L’uomo si mise addosso rapidamente un accappatoio per coprirsi, raccattò un beauty case e si diresse verso le docce nel bagno in fondo allo spogliatoio. Il Dottore sperava di ascoltare le conversazioni di qualcuno, ma per il momento il piano era saltato. Forse sarebbe stato meglio cercare dei clienti da interrogare amichevolmente in una delle palestre. Socchiuse la porta per uscire, ma dovette riserrarla immediatamente. Mariah era appostata lì davanti: si asciugava i vestiti con un sorriso e stava parlottando con il ragazzo biondo che l’aveva fatto cadere in piscina il giorno prima e che l’aveva minacciato di tenerlo d’occhio. Quella coppia andava evitata a tutti i costi. Ciò significava dover rimanere ancora in attesa senza poter far niente di utile per le indagini. C’era pur sempre la possibilità di far esplodere qualcos’altro nei paraggi, ma era meglio tenere quell’eventualità come ultima spiaggia.

Il Dottore si sedette su una panchina, accanto alla borsa lasciata dall’ometto che era appena andato a lavarsi. Sbuffò annoiato e con noncuranza cominciò a curiosare nella sacca, dapprima solo con lo sguardo, in seguito rovistando con le mani. Tra la biancheria intima e i vestiti di ricambio, la presenza di un quotidiano attirò la sua attenzione. Lo aprì e andò diretto alla pagina che parlava del caso di cui si stava occupando, nella speranza di saperne qualcosa di più, dato che le sue indagini di persona non stavano procedendo come sperava. Sembrava, tuttavia, che neanche la polizia fosse riuscita a giungere a conclusioni rilevanti, né a qualsiasi conclusione di altro tipo. Leggendo l'articolo scoprì che oltre alle misteriose visioni, le sparizioni avevano in comune il fatto che si fossero verificate tutte attorno alle 21, l’ora di chiusura della palestra e il cervello rapido del Dottore non ci mise che un secondo per notare che erano accadute sempre a distanza di cinque giorni l’una dall’altra. La prima vittima era stato un certo Miles Simms, broker della City di quarantanove anni, seguito da Diana Barrows, una giovane studentessa di filosofia e dai due di cui aveva già sentito parlare: Stuart Tate, avvocato trentacinquenne e infine Livina Bates, ex negoziante appena andata in pensione, scomparsa giusto tre sere prima. Apparentemente sembrava non esserci nulla ad accomunare le vittime: età, origini diverse, titoli di studio differenti, ognuno col suo stile di vita.
Sebbene Scotland Yard stesse facendo di tutto per distogliere l’attenzione generale da ciò, l’aspetto che più catturava l’interesse del pubblico (e dei giornalisti) per l’indagine erano le strane apparizioni. Il Dottore, così come tutti gli altri, non riusciva a capire cosa potesse averle scatenate, ma riteneva che scoprirlo gli avrebbe permesso di avvicinarsi alla soluzione del caso. Era un fatto troppo intrigante per risultare irrilevante.

«Chi sono?»
All’improvviso qualcuno gli coprì gli occhi. La voce acuta e il tono frizzante lo portarono all’unica e inequivocabile soluzione del quesito.
«Mariah?»
«Bravo! Hai indovinato!» esclamò lei sorridente.
La ragazza era riuscita aprire la porta senza far rumore e a coglierlo di sorpresa e non era chiaro perché fosse entrata nello spogliatoio degli uomini. Gli si sedette accanto e lui fece finta di essere troppo concentrato nella lettura per darle corda.
«È davvero una situazione molto triste.»
«Cosa?» chiese scocciato l’uomo.
«Questa storia delle sparizioni. Noi istruttori siamo molto addolorati che stia succedendo questo ai nostri clienti. Se ripenso al povero Stu…»
La vide coprirsi gli occhi con le mani per lo sforzo di trattenere le lacrime. Fosse stato chiunque altro magari avrebbe cercato di consolarlo, ma quella ragazza era troppo impegnativa per star dietro ai suoi sbalzi d'umore. Il Dottore si alzò deciso ad uscire.
«Fisso ancora i suoi occhiali.»
Ma cosa diamine stava dicendo? Arrivato alla porta si voltò per cercare di capire cosa intendesse. Lei incrociò il suo sguardo e si sentì in diritto di continuare il discorso.
«Ogni sera, prima di andare a dormire, sto per quindici minuti esatti a guardare i suoi occhiali e libero la mente.»
“Non deve risultarle troppo difficile pensare al nulla” pensò sarcasticamente il Dottore, che ancora non riusciva a capire cosa stesse farneticando la ragazza.
«Vedi? Questi sono suoi» disse facendo apparire da dietro la schiena un paio di occhiali da vista con la montatura marrone.
“Ma da dove sono usciti? Non ci sono tasche lì” si ritrovò ad osservare fra sé e sé l’uomo.
L’oggetto attirò la sua attenzione e decise di fare un passo verso Mariah per vedere meglio e ascoltare quanto aveva da dire.
«Lo faccio per lui, era un così caro signore. Non è giusto che qui alla palestra nessuno pensi più a lui e così io gli dedico ogni giorno un quarto d’ora. Quando finalmente tutto si sarà risolto e lui sarà di nuovo a casa con la sua famiglia si sentirà molto sollevato nel sapere che io non mi sono scordata di lui e che ho conservato i suoi occhiali con cura dopo che li aveva dimenticati in spogliatoio» concluse con un sorriso affettuoso. Sembrava davvero convinta che a quel tizio sarebbe importato del fatto che lei fissava a vuoto i suoi occhiali da otto giorni, mentre lui era stato rapito da chissà chi. Sempre che non fosse già morto in quel momento, cosa tutt’altro che improbabile.
«Questi occhiali sono davvero un gioiellino. Jack Ice199F. Stu ha davvero buon gusto.»
«Jack Ice?»
Il Dottore non poté trattenere la domanda, non avendo capito, per l'ennesima volta, la frase della giovane..
«Sì, Jack Ice. È una linea dell’anno scorso. Si riconosce per i tre puntini bianchi alla fine della stanghetta» disse mostrando il dettaglio.
«Anche Liv aveva un paio di occhiali splendidi. Dei Bedford Blue 412. Viola, con le vitine dorate e dieci brillantini azzurri. Qualcosa da destare l’invidia di tutti.»
«Cosa sei? Una specie di enciclopedia vivente dell’ottica?»
Mariah scoppiò in una sonoro risata.
«Ma no, sciocchino. È solo che sono una grandissima appassionata di occhiali. Fin da quando ero piccola, in orfanotrofio, ho sempre collezionato tutti i cataloghi che trovavo. Conosco tutti i modelli in commercio negli ultimi dodici anni e credo di essere la più grande esperta dell’Inghilterra, se non del mondo. Di certo le mie doti mi hanno permesso di apprendere con molta facilità.»
Chiunque avesse abbandonato in fasce quella giovane folle iniziava ad avere tutta la comprensione del Dottore. Gettò il giornale sulla panca, accanto a Mariah e fece ancora per uscire, quando la voce di lei lo bloccò nuovamente.
«Gli occhiali di Diana Barrows invece non erano un granché. »
Rimase immobile un paio di secondi mentre gli ingranaggi del suo cervello si mettevano in moto.
«Anche lei portava gli occhiali?»
«Sì, ma non aveva molto buon gusto. Non starò neanche a dirti che cosa si era comprata. Per fortuna non ho dovuto vedere quegli obbrobri di persona, dato che sono arrivata dopo la sua scomparsa. Io tollero tutto, ma non la mancanza di stile.»
Qualcosa iniziò a balenare nella mente del Signore del Tempo. La sua testa stava cominciando a selezionare le informazioni che aveva raccolto facendo emergere quelle più rilevanti sopra le altre. Il tutto cominciava a portarlo verso un’unica soluzione.
«Ma se non l’hai mai incontrata come fai a sapere dei suoi occhiali?»
«Controllo sempre le fototessere sulle cartelle dei clienti per scoprire che montature portano. È la mia passione, lo sai.»
«E il primo? Anche Miles Simms portava gli occhiali?» chiese, cercando di distogliere l'attenzione dall’assurdità di quella passione.
«Non che io sappia. Sulla scheda non si vedevano. Ma magari usava delle lenti a contatto.»
«Già» disse pensoso. Se il broker utilizzava delle lenti tutti i tasselli erano al loro posto: le allucinazioni, i momenti delle sparizioni, la piscina, gli occhiali. Tutto aveva un senso.
«Quand’è stata l’ultima volta che è sparito qualcuno?» chiese l’uomo afferrando rapidamente il quotidiano, per rileggere la notizia.
«Il 19 aprile. Questo significa che…»
Era scomparsa una persona ogni cinque giorni, questo voleva dire che il tutto sarebbe accaduto di nuovo proprio la sera successiva, ma questa volta lui sarebbe stato lì ad impedirlo. Fece un sorriso alla ragazza, che contraccambiò con la sua aria allegra come sempre.
«Domani verrai in palestra, Carino?» gli chiese, mentre lo guardava uscire a passi svelti.
«Sicuramente. Domani non posso proprio mancare.»


 

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E dopo più di tre mesi sono finalmente riuscita a scrivere questo capitolo. Ringrazio sempre coloro che hanno commentato, perché ricevere i vostri pareri mi fa davvero molto piacere. Ormai la soluzione del mistero è vicina; ancora due o tre capitoletti e l'avventura si sarà conclusa.

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