CHARMING DAMNATION

di Suicidal_Love
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo : The beginning ***
Capitolo 2: *** Buon Compleanno ***



Capitolo 1
*** Prologo : The beginning ***


Titolo: Charming Damnation

 

Titolo: Charming Damnation

Autrice: Suicidal_love

Beta: Shannara_810

Paring: Arthur/Merlin and other.

Avvertimenti: Slash- AU . LongFic

N.A.: Questa storia nasce dalla mia mente malata.

Tutti i luoghi sono stati inventati e i personaggi principali appartengono al Telefilm “Merlin” i cui diritti vanno alla BBC.

Questa fan fiction non si basa sui fatti avvenuti nel telefilm o altro, ma sono inventati da me medesima ù__ù ergo non ho copiato *-*.

Per ora il rating è verde, ma più in là lo potrei cambiare.

La dedico alla my lady Shannara come sempre che mi segue negli scleri ù__ù ti regalerò Cas cara XD.

 

CHARMING DAMNATION

 

 

 

Il rintocco della mezzanotte risuonò tetro e mortale per il piccolo villaggio di Aubrey, mentre oscure ombre strisciavano oleose per la strada accompagnate dal solo gracchiare di un corvo solitario.

L’animale fendeva l’aria immobile con fare silenzioso, scendendo sulla cittadella con un’espressione a dir poco bramosa. Sì, bramosa se questo fosse stato possibile sul becco aguzzo di un volatile.

Bramoso di mietere qualche ignara anima che il gelo avrebbe portato via con sé, lasciando come macabro testimone del suo passaggio solo un piccolo corpicino privo di vita.

Il corvo era affamato.

Il corvo desiderava spiriti puri ed incontaminati.

Perché era questo che piaceva a Pierrot, o almeno era così che lo chiamavano gli abitanti di Aubrey:

Pierrot, il mietitore d'anime.

Era ormai norma che ogni mese, quando la luna sorgeva alta nel cielo ed il suo spicchio dava un poco di luce, che qualche orfano scomparisse nel nulla senza lasciare alcuna traccia.

Un orfano se il villaggio era fortunato. O peggio qualche bambino ricco e paffuto con la sua intera famiglia.

Perché, sapete, Pierrot amava sceglierle con cura le sue piccole vittime.

Preferiva bambini graziosi, forse anche troppo, dallo sguardo grande e sincero; troppo ingenui per capire di avere davanti ad un demone che si sarebbe cibato di loro.

Molti sciocchi erano morti prima che i Vecchi di Aubrey si rendessero conto delle preferenze del mostro che si aggirava nel buio delle loro strade, ma non c’era voluto molto prima che anche quegli insignificanti bacucchi iniziassero a prendere provvedimenti.

Ora solo orfani o ladruncoli erano lasciati alla mercé del corvo, poiché i bravi e preziosi bambini ricchi erano rinchiusi in casa, al sicuro nelle loro stanze benedette dal parroco del paese ogni mese per impedire a Pierrot di entrare e cibarsi di quelle fragili creature.

Il corvo sorvolò i vicoli vuoti, gracchiando alla luna quasi fosse un lupo affamato.

Era una serata di magra: non c’era nessuno in giro… nemmeno qualche barbone dall’animo intirizzito dal peccato. Con la fame che aveva, si sarebbe accontentato persino del più derelitto dei reietti.

Cibo, cibo, cibo. Non riusciva a pensare ad altro. Era un’ossessione! Un’ossessione così potente che per un attimo non ci fece quasi caso.

C’era un bambino appoggiato sulle gradinate della piazza, o meglio doveva essere già un ragazzino, ma era così piccolo ed infreddolito da non dimostrare la sua vera età. Normalmente non ci avrebbe pensato due volte a nutrirsi e fuggire, però questa volta la curiosità lo spinse a planare sullo steccato di una piccola casa borghese ed osservare la sua preda con attenzione. C’era qualcosa di stranamente affascinante nel pasto di quella sera.

I capelli erano di un castano così comune, tuttavia avevano una sfumatura particolare come non ne aveva mai visti in quella cittadina fuori Londra. E le ciglia… oh, le ciglia! Così lunghe e nere che conferivano a quel visetto candido un'aria angelica. Ciononostante niente attrasse di più il mietitore d'anime che quelle labbra, di un viola quasi cadaverico sotto il severo manto del gelo invernale, ma che lasciavano intendere che al caldo sarebbero potute divenire piene e rosse come petali di rosa sanguinea.

Il corvo gracchiò ancora e scomparve, lasciando che una piuma nera s’infrangesse al suolo, cosicché una scarpa nera e tirata a lucido potesse prenderne il posto su quegli antichi blocchi di pietra.

Passi eleganti si avvicinarono al ragazzino ed una mano guantata di bianco cuoio gli toccò i capelli piano piano, facendogli spalancare gli occhi mentre le iridi brillavano di un blu oltremare.

L'uomo inconsciamente lasciò che le labbra gli si piegassero in un'espressione compiaciuta, quasi un sorriso.

Il ragazzino era sorpreso, però non sembrava per nulla spaventato. Bene, bene, bene.

My lord?” Sussurrò il giovane con voce stanca, stroncata poi da uno sbadiglio. Prese a strofinarsi le braccia, tentando di riscaldarsi almeno un pochino. Chissà per quanto era rimasto lì.

Pierrot si tolse il mantello caldo e lo avvolse intorno al corpo del ragazzo. Il suo pasto continuava ad affascinarlo senza sosta. Non era da lui essere così gentile con quegli esseri infimi, ma quella sera sembrava proprio piena di novità.

“Qual è il tuo nome?” Domandò lo straniero con voce calda e roca tanto che il più giovane rabbrividì, stavolta non certo per il freddo.

My lord, il mio nome è Merlino” Replicò l’altro, ricevendo per risposta una breve risata di scherno.

“Bene, Merlino. Il mio nome è Arthur.” Sibilò Pierrot, anzi no Arthur, con un ghigno tanto crudele quanto affascinante.

Merlino, Merlino, Merlino. E chi si sarebbe mai aspettato tanto coraggio in un corpicino così piccolo?

Il secondo rintoccò del campanile infranse l'aria stagnante della notte mentre l'uomo continuò a studiare il ragazzino, mostrando il suo volto per la prima volta.

Era un viso giovane ed etereo, tuttavia Merlino lo osservò con una certa inquietudine.

Lo sguardo di quell’uomo era tanto limpido quanto oscuro. C’era qualcosa di strano che si agitava in esso e per un attimo il ragazzino provò ad allontanarsi, fermato prontamente dal mietitore.

Una mano marmorea gli si posò sulla spalla, privandolo di qualsiasi energia.

“Non avere paura Merlino, oggi la tua anima è al sicuro.” Diceva cose così strane, quell’Arthur. Voleva fuggire lontano Merlino, eppure una parte di lui voleva rimanere lì ad ascoltare quello straniero per sempre.

“Perché sei in strada ad un’ora tanto tarda?” Gli domandò ancora, senza mai allentare la presa.

Il fanciullo dalla chioma corvina occhieggiò incerto alcuni ciuffi color oro ricadere sfrontati lungo la fronte di Arthur e lasciò che le labbra gli si piegassero in un leggero broncio. “Ho litigato con il mio tutore.” Disse accigliato, il volto contorto in un’espressione buffa su un viso così giovane. L’espressione di uno che ha ricevuto chissà quale affronto. Avrebbe voluto continuare nel suo racconto ma questo venne stroncato subito dalla risata dell'uomo.

“E quale torto hanno potuto farti, mio giovane amico. Quale imperdonabile oltraggio per un fanciullo tanto giovane?” Bisbigliò il biondo, carezzandogli i capelli gentilmente.

Quella mano gelata prese a scivolare nella sua chioma corvina, prima di scendere ipnotica su di una guancia arrossata dal gelo notturno e su un collo bianco e sottile… perfetto.

Perfetto se non fosse stato per quella piccola voglia a forma di quadrifoglio proprio lì, sotto l’orecchio.

Arthur provava l’inspiegabile desiderio di tenerlo stretto a sé quel corpicino infreddolito, e per una volta non era spinto dalla fame. Una fame completamente dimenticata.

Merlino si morse il labbro. “Non sono un fanciullo. Ho già dodici anni, my lord”. Ribatté tra l’imbarazzo e la stizza.

Per tutta risposta, Arthur rise ancora. “Come ho già detto, sei davvero troppo piccolo ...”

Quelle parole di beffa, però, scatenarono una reazione imprevista nella sua "vittima", che lo guardò rabbioso… furente.

“Non sono piccolo, razza di asino!” Esclamò il “l’indifeso Merlino”, lasciando basito il suo biondo aggressore il quale, forse per la prima volta nella sua lunghissima esistenza, si sentì preso in contropiede.

Accadde tutto in un attimo, un battito di ciglia, ma fu un’esperienza così catartica da lasciarlo senza fiato.

Poteva sentirle, Arthur. Sentire le ombre che si agitavano dentro di lui ruggire come mai prima d’ora.

Il buio di una notte senza luna. Avidità. Paura. Fame. Nere ondate di lussuria. Zanne.

Ogni più piccola sfumatura di peccato e depravazione gli riempì i sensi, lasciandolo quasi tramortito.

Tramortito… e vivo. Così incredibilmente vivo come mai prima d’ora.

Dovette fare uno sforzo enorme per riprendere il controllo di sé e domare quel turbinio improvviso che, come una tempesta, si stavano abbattendo sul suo autocontrollo, rispecchiandosi in pieno nelle sue iridi celesti che ora s’erano dipinte dell’ebano più oscuro.

Respirò a fondo, lasciando che la sua maschera di freddo cinismo calasse ancora una volta. Picchiettò la fronte del suo giovane amico con scherno, riprendendo il loro gioco. “Ah no, piccolo idiota? Per ora lo sei, quindi ti consiglio di andare subito a casa, Merlino. Sì dal caso che d’orai n poi tu sarai mio e verrà presto il giorno in cui tornerò a prenderti.

Arthur si chinò a lasciargli un leggero bacio sulla fronte, prima di scomparire nel nulla così com’era comparso.

Merlino si alzò in piedi, stringendosi in quel mantello caldo e profumato. Fu in quel momento che si accorse di quella strana collana in oro brillargli sul suo petto, dove un ciondolo di drago con gli occhi adornati da preziosi rubini pareva fissarlo di vita propria.

Lo tenne stretto fra le mani, cercando con lo sguardo quell’Arthur per restituirgli un dono così prezioso, ma dello straniero non vi era traccia. Solo un corvo sorvolò quel vicolo spoglio gracchiando nella notte.

Il verso dell’animale scosse Merlino dai suoi pensieri. Corse lesto verso modesta dimora del medico di Aubrey, Gaius, memore dell’avvertimento ricevuto.

Vedendo scomparire il suo giovane amico oltre quella soglia sicura, il corvo posò le zampe al suolo lasciando il posto alla figura di Arthur. Lo straniero si appoggiò all'albero sentendo un sorriso di gioia increspargli le labbra. Lentamente una pallida nebbia lo avvolse, mentre lesta e letale una sinuosa forma di donna andava formandosi da quella foschia, il volto di bambola illuminato da un’aria maliziosa.

“Arthur, ne sei sicuro?” Gli chiese la nuova arrivata in un sussurro sottile, sistemandosi con cura la pelliccia bianca sulle spalle.

“Sì ... ha il segno sul collo, l'ho visto. Inoltre la collana di Kilgharra non ha tentato di ucciderlo quando gliel’ho fatto scivolare indosso. Rispose tranquillo il bell’Arthur, osservando la donna portarsi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

“Perché non l'hai preso stanotte? Che differenza c’è se è ancora un bambino?” Lo rimproverò, ricevendo in cambio un'occhiataccia di sbieco.

“Morgana ... non voglio avere un moccioso come sposa! Poi chi la sente tua sorella?” La rimbeccò divertito, lasciando scappare alla mora uno sbuffo seccato.

Quanto ancora dovremo aspettare prima di riaverla con noi?” Sospirò lei affranta, lasciando che le sue iridi di zaffiro si tingessero di sangue. “Hai sentito Morgause...” Continuò prima che un'altra voce, questa volta maschile, la interrompesse.

“Solo quando i due eredi verranno riuniti, la grande madre tornerà negli Inferi”.

Morgana rise. “Bravo Lancillotto, ormai sai a memoria la profezia”.

“Quella profezia è la bibbia del mondo demoniaco.” Il nuovo arrivato era gelido nei modi, ma la donna non fece una piega.

Arthur scosse il capo, oramai abituato ai loro battibecchi. Iniziavano davvero a stancarlo. Perché diavolo continuava a sopportarli? “Ancora qualche anno e verrò a riprendermi quel piccolo idiota, non ha scampo. Sapete, ha osato chiamarmi asino.” Era rimasto sul serio offeso da quel commento e stavolta Morgana non poté trattenersi dallo scoppiare in una fragorosa risata, sinceramente divertita.

“Oh, Arthur! Allora il tuo moccioso ha capito in pieno la tua vera natura al primo appuntamento!” Rise ancora la donna, prima di scomparire nel nulla assieme a Lancillotto, lasciandosi alle spalle solo due occhi color cielo che brillavano nel buio in una tacita promessa.

 “Il giorno del tuo diciottesimo compleanno verrò a prenderti, aspettami Merlino.”

 

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Capitolo 2
*** Buon Compleanno ***


Ehm ok. Sono sempre io la vostra Sui e.e

Sì. Sto aggiornando TUTTE le fanfic. Spero che questo capitolo vi piaccia e che vi introduca pian piano nella storia. Scusate il ritardo ma ho avuto un blocco da cui non riuscivo ad uscire.

Ora grazie a: Edian – Agito – mindyxx – Rhys89 – Aleinad - _AZRAEL_ - Fenis79 – elfin emrys – soniacristina1989 – Shannara_810

 

BUON COMPLEANNO

 

La seconda stanza da letto era piccola e spoglia: un letto di ferro, un tappeto fatto con strisce di stoffa intrecciate, un quadro raffigurante un paesaggio marittimo e nessun materasso.

Merlino si poggiò contro lo stipite della porta ed avvicinò al viso una piccola tazza fumante. Il giovane vi soffiò sopra ed il suo sguardo corse fuori alla finestra. Dei fiocchi di neve cadevano dal cielo andando a posarsi soffici sul terreno creando un manto d’avorio.

Fece un passo indietro e sbadigliando andò alla camera seguente; i materassi squarciati occupavano lo spazio di quella che un tempo era stata la camera riservata ai pazienti di quel piccolo centro costruito tanti anni addietro.

Finalmente, dopo varie lotte e proteste al sindaco del villaggio, Gaius, aveva ottenuto una struttura più grande, anche grazie al gemellaggio fatto con il paese vicino.

Il medico, infatti, unitosi con il collega aveva progettato lui stesso il nuovo impianto ospedaliero in cui i pazienti sarebbero stati curati con più mezzi e più diligenza, nonché avrebbero potuto restare all’interno della struttura per tutto il tempo della convalescenza.

Merlino ne era particolarmente felice, soprattutto perché fin da quando ne aveva memoria non aveva mai avuto una camera propria per più di una settimana. Invece, da quello stesso giorno non solo avrebbe avuto una camera sua, ma anche una piccola ala adibita ad appartamento nel quale avrebbe convissuto con il suo ragazzo, Gwaine Green.

Il fidanzato era di cinque anni più grande ed il loro incontro era stato del tutto inaspettato.

Merlino all’età di sedici anni era uscito di nascosto per incontrarsi con i suoi due migliori amici, William e Freya, con i quali aveva in progetto di passare la notte di Samhain nella vecchia “Aubrey House  ove si narrava che all’interno vi fosse ancora lo spirito della padrona di casa, Elizabeth Borley, che il giorno delle celebrazioni del Samhain scoprì il marito a letto con la figlia.

La donna rimase talmente sconvolta che in un raptus di rabbia si era scagliata su entrambi uccidendo il marito e in seguito la figlia maledicendoli; solo qualche giorno dopo si tolse la vita lasciando però nella casa un alone di morte e disperazione che ad Ognissanti si scatenava facendo rivivere alla donna, per punizione, l’episodio.

Il ragazzo rabbrividì visibilmente e la sua mente tornò a quel giorno.

 

*FLASHBACK*

 

 Il nome di Elizabeth Borley e la data della sua morte erano incisi su una semplice croce in legno accanto alla quale vi era un vasetto con un paio di steli essiccati che un tempo dovevano essere stati fiori.

La tomba vicina aveva invece una lapide in marmo nero, con le lettere incise palesemente da un marmista:

 

MARY JOANNA BORLEY

Figlia adorata di Bill Borley

Deceduta il 31 ottobre alla tenera età di 22 anni

 

Merlino si era avvicinato all’ultima tomba. Un’altra lapide di graniglia, grigiastra questa volta, su cui le lettere dell’iscrizione erano state scavate molto profondamente e riempite d’oro: “Lasciate un fiore per colei che mai troverà pace”.

Il sole era ormai tramontato in fretta e poco dopo le sei i tre amici erano già in casa, con le imposte chiuse, a preparare i sacchi a pelo per la notte.

“Ragazzi io non sono sicura che sia una buona idea” mormorò Freya tirando fuori dallo zaino una piccola lanterna che accese velocemente facendo parzialmente luce al luogo.

“Oh dai donna” la apostrofò Will con un sorriso malandrino che contagiò il viso di Merlino. “Hai paura di una vecchia leggenda?” finì sedendosi sul suo materasso improvvisato.

La ragazza arricciò le labbra ad un broncio e si sistemò la coda facendogli la linguaccia. “Non è una leggenda, come non lo è il Pierrot” esclamò lei saccente toccandosi distrattamente la piccola croce che portava al collo.

“Io credo siano solo stupidate fini a far spaventare noi ragazzi” concluse il ragazzo accendendosi una sigaretta. “Tu che pensi Merlino?”.

Il diretto interessato fece spallucce e si strinse nella pesante felpa che indossava.  “Credo che ci sia sempre una mezza verità dietro una menzogna” rispose stringendo la mano all’amica che gli sorrise imbarazzata.

“Cazzate” elargì Will alzandosi dal suo giaciglio iniziando a vagare per la piccola casa. “Io vado ad esplorare la spaventosa Aubrey House”.

Le ore passarono e quando la lancetta della mezzanotte scoccò, i tre ragazzi già dormivano.

Solo Merlino sentì il suo nome e come in un sogno si alzò dal suo sacco a pelo salendo le scale che portavano al piano di sopra.

Davanti ad una porta vi era una donna, una donna bellissima che con sguardo stanco lo aveva osservato prima di entrare nella stanza.

Ci furono delle urla, oggetti che caddero a terra e quando il ragazzo vi entrò sgranò gli occhi.

La donna teneva fra le mani un ferro e stava per calare il colpo sul capo di un uomo che proteggeva con il corpo una giovane piangente.

“NO!” aveva esclamato il moro lasciando che la donna sgranasse gli occhi.

“Perdonami, ti prego concedimi il perdono” aveva sussurrato questa con le braccia sollevate e tremanti pronte a colpire.

Merlino era indietreggiato d’istinto e stranamente aveva sorriso con dolcezza osservando i tre prima di esordire con un “vi perdono”.

Le tre anime, dopo un piccolo grazie, sparirono ed una piccola luce bianca inglobò la stanza prima che questa tornasse nell’oscurità, spazzata via da un piccolo raggio lunare che da un vano della finestra tentava di far luce. Il moro era avanzato nella stanza ed aveva spalancato l’imposta lasciando che il suo viso venisse bagnato dai raggi lunari.

Solo pochi minuti dopo aveva visto un ragazzo con in mano una bottiglia vuota di birra osservarlo dal cancello della casa. Merlino aveva sorriso timidamente e questi aveva alzato il braccio in un cenno di saluto prima di vomitare.

Il sedicenne aveva riso e quando si era girato gli parve di vedere quell’uomo che tanti anni fa gli aveva regalato quella collana che da allora non si era mai più tolto.

Aveva sbattuto più volte le palpebre ma quando ritornò a quel punto in cui l’aveva visto, del Lord nessuna traccia.

 

*FINE FLASHBACK*

 

Erano passati quasi tre anni da quella piccola gita e da allora lui e Gwaine facevano coppia fissa.

Freya in principio non era stata entusiasta di quel ragazzo che di serio non pareva avere nulla. Era un assiduo frequentatore di bar ed aveva un debole per il gioco e l’alcol, ma in compenso era un uomo d’onore e straordinariamente intelligente.

Merlino si era innamorato di lui, però, a causa del suo carattere da buffone che lo distingueva da tutti.

Gwaine era unico, pensò avanzando per la vecchia clinica sorseggiando di tanto in tanto quel tè che da parecchio tempo era rimasto intoccato dal giovane perso nei ricordi prima che davanti a lui comparisse la sua migliore amica seguita dal fidanzato, nonché migliore amico, Will.

“BUON COMPLEANNO MERLINO!” esclamarono entrambi mostrando una piccola torta al cioccolato con sopra una candelina rappresentante un ‘18’.

Merlino sorrise raggiante e si avvicinò con il viso alla torta soffiando sulla candelina scatenando delle piccole grida eccitate di Freya che teneva fra le mani il dolce.

“Bene bene ora” disse una voce dietro ai due facendosi spazio “sexy fidanzato in arrivo!” finì Gwaine spostando il povero Will che gli diede una pacca sulla schiena stringendo poi la vita della fidanzata.

“Buon compleanno Dumbo” esclamò il castano poggiando le labbra su quelle del giovane che ricambiò il bacio sempre tenendo stretta fra le mani la sua fedele tazza di tè.

“Grazie Gaston” mormorò il moretto osservando gli amici “e grazie anche a voi Bianca e Bernie!” finì con un sorrisone.

“Ormai sei maggiorenne!” esclamò Will saccente “ovvero perseguibile penalmente!”  finì ricevendo dalla ragazza un piccolo coppino.

“E’ una responsabilità Merlino. Non sei più un ragazzino, ma dovrai anche …” Freya non riuscì a finire la frase che i tre ragazzi presenti nella stanza chiusero gli occhi fingendo di russare. “AH AH molto simpatici! Non prendete seriamente il fatto che raggiungere i diciotto anni ti segna!” continuò con l’unico risultato che il russare aumentasse. “Vi odio” borbottò.

“Dai amore, oggi è il suo compleanno non iniziare a tartassarlo con la storia della responsabilità!” proferì Will dandole un bacio sulla gota rossa.

Gwaine ridacchiò e scompigliò i capelli al fidanzato “Stasera grande festa … mi raccomando fatti bello” gli sussurrò all’orecchio “soprattutto fatti bello per il dopo festa” finì scendendo con la mancina sulle natiche di Merlino che sobbalzò arrossendo.

“Maniaco” mugugnò staccandosi da lui e avanzando nel corridoio “che dite? Una bella fetta di torta ci vuole no?”.

I tre annuirono e lo seguirono felici. Sarebbe stata davvero una bella giornata, pensò il festeggiato.

La neve, gli amici ed una festa.

 

 

L’ennesimo boccale di birra si levò nel piccolo bar del paesino e Merlino lo bevve tutto d’un sorso incitato dagli amici che quando anche l’ultima goccia del liquido fu sparita, urlarono chiamando più e più volte il suo nome.

Il neo diciottenne barcollò pericolosamente ed alzò le mani al soffitto unendosi a quelle urla sovrastate di poco dalla musica che da tre ore colorava con le sue note il locale.

Saltò più e più volte e rise sguaiatamente  osservando la folla. Dov’era Gwaine?

Si mosse fra la gente cercandolo, per poi ritrovarsi fuori, sotto la neve con il gelo che lo colpì quasi fosse un padre pronto a punire il figlio per una marachella.

Merlino avanzò alla cieca verso una piccola radura di alberi che si stagliava davanti alla sua vista. Ridacchiò furbescamente prima che un giramento di testa lo facesse quasi finire con la faccia in quella neve; prontamente, però, due braccia lo tennero sollevato ed uno sbuffo si perse nell’aria.

“Non credevo che il nostro incontro sarebbe stato così” esclamò la voce che ricordò al moro un qualcuno che già aveva conosciuto. “Sei proprio un piccolo idiota Merlino” continuò questi sollevandolo come se fosse una piuma.

Il ragazzo si stropicciò gli occhi e due iridi color cielo ed una chioma color grano si presentarono davanti al suo volto. Il sorriso del suo ‘salvatore’ momentaneo si allargò. Un sorriso pregno di sarcasmo che fece venir voglia al diciottenne di prenderlo a schiaffi.

“Chi siete?” mormorò Merlino non capendo il perché gli avesse dato del lei visto che pareva avere non più di venticinque anni.

“Non mi riconosci idiota? Sono tuo marito” esclamò questi posando le labbra sulle sue prima che una piuma nera cadesse nel punto esatto in cui i due stavano pochi secondi prima.

 

To be continued …

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