Conversations avant d'un mariage

di Kokato
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La proposition, la famille, l'amour perdu et le témoin absent. ***
Capitolo 2: *** L'autorisation et la nuit dernière ***



Capitolo 1
*** La proposition, la famille, l'amour perdu et le témoin absent. ***


La proposition

“Eh?”.

Per un attimo il boccone che aveva ingoiato gli parve un masso. Di quelli che immagineresti in un castello, che rotolano e rotolano su una superficie inclinata dietro di te, e tutto quello che puoi fare è scappare e urlare come un forsennato.

Roy non risponde, alza il mento e sbuffa un po’dal naso. Da dietro la sua scrivania, -il ricettacolo del suo potere e della sua incrollabile fede di sé- sembra un cavallo a cui sia stato impedito di uscire dal maneggio.

Edward, che parla e sbraita ogni cosa con la facilità con cui uscirebbe il dentifricio da un tubetto pieno, rimane in silenzio, con la bocca invasa dalle briciole che, di certo, non gli danno l’aria dignitosa e virile che avrebbe desiderato per quel momento. Il problema è che sa cosa sia l’entropia, e che il dentifricio uscito dal tubetto non torna mai indietro.

“Ma... lei ...aveva detto che...”

“Lo so cosa avevo detto”

“E lei ...”deglutisce. “... vuole ...”

“Si lo voglio”.

Già a sentirgli dire quelle tre parole se lo immagina, e la cosa non scorre poi così liscia con un vestito bianco e una quarantina d’invitati impettiti e tirati a lucido disposti come le tessere del domino.

Vestito bianco? Cosa diavolo va pensando? Prende un respiro e ci riprova, apre la bocca e la richiude aspettando che quell’immagine corra via dalla sua mente il più in fretta possibile.

“Mi ricordo anche cosa avevi detto tu” aggiunge Roy, ridendo, smettendo gli abiti dell’uomo di potere e vestendo quelli del seduttore. “Precisamente non l’ho mai dimenticato”.

Gli gronda la faccia di briciole di biscotto, di quelli che andrebbero bagnati nel latte e che, sfortunatamente, non adempieranno mai alla loro naturale funzione. Non si sente di chiedere perché proprio quel momento, non ha neanche il fiato per espletare una normale attività respiratoria. Abbassa solo un po’la testa e gli riviene in mente, tutto quanto insieme.

“Lei mi vuole ... sposare?”

Précisément, Messier Rien de sexe jusqu’à le mariage” *

“Ma lei non mi ha mai dato retta!” porge rimostranza, improvvisamente acceso di rosso in volto, il sangue pulsante d’impeto sotto la pelle delle guancie piccole come pesche. “Mai, neanche una volta ... neanche se ero irritato, neanche se ero stanco, neanche se fossi tornato a piedi dall’altra parte della nazione con un cannone di due tonnellate sulla schiena ... lei non rinuncia mai a provarci ... “ e a riuscirci.

Arrossisce ancora di più, ma non si perde d’animo. “Cosa cambierebbe se mi sposasse?”.

Roy sorride, allunga una mano verso di lui.

“Saresti soltanto mio”.

La famille.

Edward rivede sé stesso in un modo che lo spaventa sinceramente, nel modo di sbattere le ciglia di Alphonse quando è perplesso -e forse un po’ intimorito- da quello che sta ascoltando. Tentenna la testa e non parla, poi rilassa i lineamenti del viso e assume un espressione più lieta, più adatta alla notizia di un matrimonio che non sia della prima zia megera del circondario.

“Allora, che ne dici?”. chiede Edward, reso più ansioso dal cambiamento repentino nel volto del fratello. “Ti sembra ridicolo non è vero? È assolutamente chiaro come andrà: gli spaccherò un muro in testa già dalla prima settimana ... quello stupido colonnello. Chi cucinerà? Chi pulirà? Chi darà da mangiare al cane ...?”

“Voi non avete un cane”.

... chi farà il bucato? Chi farà la spesa? Siamo uomini! Ci scanneremo in men che non si dica, te lo dico io. È così dannatamente chiaro ... “ si prende la testa tra le mani, come a volerle impedire di esplodere in tanti fuochi d’artificio. Alphose, tergiversa un po’, non perché non sappia cosa dire, ma perché non sa in che modo dirlo per farlo capire ad un testone di quel livello. Poi allunga una mano verso di lui, che si fa afferrare, ricordando una mano più grande e più calda protendersi verso di lui.

“Cosa ti saresti aspettato se avessi sposato una donna? Che facesse tutto lei?”

Edward riconosce che c’è da spaventarsi di più per la differenza delle loro saggezze. E quello, in ogni caso, era un punto così irrilevante che lasciava la questione ancora tutta lì, bella da affrontare a mente fredda e senza luoghi comuni per la testa.

“Ma sì, proviamo così!”. sbotta il fratellino, ridendo sotto i baffi. “Qual è la primissima parola che hai pensato quando te l’ha chiesto?”.

“Ne... nessuna ... solo un grande silenzio ...”

“E subito dopo?”.

Si morde le labbra, tiene la bocca aperta come stupito.

“Caffè”

“Caffè?!”. Edward sorride, anche più luminosamente di quanto abbiano fatto gli altri per lui, forse anche un po’in lutto per la sanità perduta del povero pazzo che è ormai diventato.

“I suoi occhi erano di quel colore”.

L’amour perdu.

Si ripete che è necessaria, che non può essere scortese, che gli basterà sorridere e metter su una delle sue migliori facce da poker perché tutto scorra senza intoppi.

Che sia indifesa è una menzogna, benché meno che non abbia mai avuto bieche mire. Ma lui è un uomo adulto, e proverà solo quel sottile fastidio che gli uomini adulti provano quando sono costretti a stare vicino a qualcuno che non sopportano.

Una conversazione civile. Un contegno civile.

Winry Rockbell si ferma e alza gli occhi verso di lui, li assottiglia e stringe meglio la borsetta di paglia sul fianco, neanche si fosse trovata di fronte un ladro -come lo considerasse già il colpevole di un altro furto-. Poi il viso gli si riempie di luce e cinguetta “Buongiorno, Signor Mustang”.

Non riesce a fare altrettanto, fa anche meglio, schiaffandosi in una faccia una delle espressioni più irresistibili mai avvistate da occhio umano. Le prende la mano e la bacia e ribatte: “Buongiorno a te”.

Ma il tutto non dura più che nel lasso di tempo in cui i lineamenti di lei impiegano a scivolare giù, crollati e rovinati a terra insieme ai suoi nervi che, sfortunatamente, non sono d’acciaio come i suoi soliti strumenti di lavoro.

“Stia attento a quello che fa”.

“A cosa si riferisce?”.

“Non faccia finta di non capire...“ lo punzecchia sul petto. “... si sta accollando una grande responsabilità, e non so sé se n’è ancora reso conto, Signor Generale”. Aveva previsto tutto, tranne un avvertimento di quel genere -che non implica minacce fisiche di sorta o chiavi inglesi, per intendersi-. La ragazza aveva sempre rispettato la sua autorità, ma sapeva che c’era troppo in gioco perché tutto si risolvesse con qualche cenno di cortesia e una tazza di tè offerta per obbligo.

“Cosa intendi, signorina?”.

“Mi sembra ovvio“. esala lei, tirandosi indietro. “Quante volte ha temuto per la sua vita in questi anni? Io infinite volte. Quell’idiota non fa che ballare il cancan davanti alla cupa mietitrice. È come un gatto, di quelli che diresti domestici -ma che alla fine reclamano i loro moti di libertà-, mi capirà quindi se voglio accertarmi che siano fidate le mani in cui sto lasciando il mio animaletto domestico”.

Riconosce come familiare la sensazione di fastidio che le da il sorriso che le si è appena dipinto sulla faccia, anche se quel che dice cozza con la sua idea di amori nati tra pantaloncini corti e codini di capelli e nastri colorati. Per la prima volta Winry pretende qualcosa che lui non ha alcuna intenzione di negarle, perciò sorride e le prende la mano, soffiandoci sopra.

Diviene galante, e la bacia.

“Non si preoccupi signorina, il suo gatto miagolerà ancora a lungo. Molto a lungo”.

Le témoin absent

Per una volta Edward vuole fare le cose per bene. Non è mai stato né un suo motto né una prerogativa, ma vuole cominciare quel cammino col piede giusto, assicurarsi di poter arrivare alla meta senza stancarsi o di poter camminare per sempre.

Non irromperà con un blitz armato, non si creerà una porta alternativa da cui fare il suo ingresso trionfale. Vuole attendere sulla porta principale, pulirsi le scarpe sul tappeto, chiedere educatamente il permesso di entrare.

“Mi scusi... è che non sapevo a chi chiedere la sua mano”.

La lapide di Maes Hughes è pulita e candida come la coscienza dell’uomo che sta a ricordare. Perciò dovrà essere altrettanto candido, confessare anche ciò di cui lui stesso non è a conoscenza, riportare i fatti in un rapporto ordinato e marziale. S’inginocchia e giunge le mani come quando fa una trasmutazione, ma non ha l’effetto ipotizzato ed opta per tenerle in grembo. Prova a credere che ci sarà davvero qualcuno ad ascoltarlo e che le parole che dirà non faranno parte di un monologo pietoso.

“Forse... Innanzitutto, dovrei spiegarle perché ...”.

Perché? Non lo sa nemmeno lui, tutto era cascato loro addosso, lo scandalo che aveva sconvolto lui e tutti quelli che gli stavano vicino così velocemente da non lasciargli neanche il tempo di chiedersi perché. O forse i fatti si erano svolti, sviluppati e districati sotto il suo naso mentre rivolgeva la sua attenzione ad altro. Ma questo confonde le acque, e suonano tanto come giustificazioni neanche troppo scaltre. Il vento fa muovere i suoi capelli e le foglie dei cipressi poco più in là, poi respira e ci riprova, magari tornando al principio.

Il principio di tutto.

“La prima cosa che ricordo di lui è un’ombra. Non vedevo altro che ombre, perciò col senno di poi posso facilmente dedurre che tra quelle dovesse esserci anche la sua. Non riuscivo a chiudere gli occhi e vivevo in uno stato di trans dove tutto era nell’ombra, ma forse riconobbi la sua da una... vibrazione. Forse sto solo cercando qualcosa in lui che giustifichi tutto questo, che dia una ragione alla probabile catastrofe che stiamo per compiere... non c’era niente di speciale in lui che non avesse espresso con le parole -parole dure, parole che mi fecero svegliare-.

È dura da ammettere, ma senza di lui probabilmente non avrei mai più riaperto gli occhi. Lo trovai immediatamente insopportabile, ammettere anche solo uno dei suoi meriti mi era impossibile, e non so se sposarlo sia un modo per punirlo per il suo essere insopportabile o premiarlo. Ma sto divagando, mi sembra ...”. si passa una mano tra i capelli, sentendosi terribilmente stupido. Gli è ancora troppo difficile pensare che ci sia davvero qualcuno ad ascoltarlo nelle grande vastità del mondo o nel luogo che la gente chiamerebbe paradiso. Ma c’è una cosa che deve fare, ovvero venire a capo del ‘problema Roy Mustang’, anche se il suo interlocutore di certo non lo aiuta. Si ferma a pensare e a discutere col nulla... e allora parla all’ombra di Hughes dentro di lui. È semplice e poetica psicologia, e può crederci almeno per un po’. Diviene tutto più semplice, anche la spiegazione del più grande mistero della sua vita e del motivo per cui si trova lì.

“Le persone simili si comprendono bene no? Eppure, allo stesso tempo, si sentono reciprocamente usurpate di qualcosa -non essere testardo quanto me, non sentirti colpevole quanto me, non desiderare la morte quanto la desidero io-. Per questo l’odiavo, lui era esattamente come me, un povero illuso che aveva tentato di far andare le cose come voleva che andassero, ma che alla fine era stato costretto a rendersi conto della propria follia. Aveva fatto solo un passo in più -aveva capito come porre rimedio al suo errore-, ma mi guardava come un bambinetto borioso che a malapena poteva sperare di sfiorarlo con la punta delle dita. Mi mandava in bestia.

L’ho raggiunto, talvolta superato. Non abbiamo mai ottenuto ciò che desideravamo per come lo volevamo all’inizio, ma è nato questo desiderio comune e non posso semplicemente concludere che sia un caso. Il potere di cambiare le cose e la realtà... non c’interessa più.

Il mondo è stato cancellato e ripristinato quanto basta per essere adatto a noi”.

Sorride, ha la presunzione di credere di essersi spiegato abbastanza bene. Batte un po’le mani, perché non si ricorda più come si prega, e allora si limita ad abbassare il capo promettendo di tornare presto con le foto del matrimonio... a cui Elicia è ovviamente invitata.

*Signor Niente sesso fino al matrimonio. Non chiedetemi perché in francese XD fa più faigoh.

 

 

 

NOTE DELL’AUTRICE.

Buon RoyEd marriage a tutte XD Eh sì, oggi in Giappone si celebra questo evento e non potevo semplicemente farmelo scappare. Solo che... Si è consumato un dramma a proposito di questa fanfic.

In pratica era bella e finita, solo che passandola su pennetta ho sbagliato e ho sostituito il file parziale che avevo salvato una volta e che era sulla pennetta con quello completo che stava sul computer. In pratica, più di metà fic persa per un nonnulla. Sono riuscita a riscrivere solo fino a questo punto col tempo che mi rimaneva, mancano le conversazioni tra Roy, Alphonse e Hohenheim e la parte finale con Roy e Ed. Ma volevo assolutamente pubblicare oggi, così sono costretta a dividerla a capitoli... spero mi perdonerete. Ma è già un successo che non mi sia suicidata così su due piedi quando è successo il fattaccio.

Quindi perdonatemi §_§

Comunque... AUGURIIIIIIII!

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Capitolo 2
*** L'autorisation et la nuit dernière ***


L’autorisation

Roy Mustang deglutisce, intrecciando le dita in maniera nervosa senza azzardarsi ad alzare lo sguardo. Lui che è un uomo di politica, un comandante, un guidatore di eserciti, non è riuscito a mantenere un secondo di più il cipiglio irreprensibile che si era ripromesso di mantenere.

“Io vorrei che mi concedeste la mano di vostro figlio”.

Quattro paia di occhi dorati, che ti scandagliano sin nei più reconditi accessi dello spirito, sono troppo da sopportare anche per lui. Non servono i comizi, non servono promesse pompose, non servono piani finanziari pieni di numeri e di economia spicciola. Hohenheim lo fissa con espressione neutra, un po’ curvo, con la schiena non del tutto adagiata sullo schienale della poltrona.

Roy Mustang si ritrova a pendere dalle sue labbra, e la sensazione è così strana che non sa come gestirla dato che, di solito, sono gli altri a pendere dalle sue labbra. Si sente sospeso, come se quell’uomo avesse potuto tirarlo con dei fili da un momento all’altro e gettarlo via, in un’altra vita. Solo un’altra persona gli aveva fatto provare quella sensazione di qualcosa che pende, e oscilla, oscilla, oscilla e si ferma. Si ferma quando una parola viene pronunciata, quella agognata, quella sperata. Quella persona aveva occhi ugualmente dorati.

Alla fine Hohenheim sorride, tira indietro la schiena piegando una gamba sull’altra. “Mi fido di te, sei un brav’uomo. Non ho nulla in contrario”.

Roy non si rilassa, alza lo sguardo solo per spostarlo ed incrociarne uno nuovo, opaco, fisso e più autoritario di quello che aveva dovuto affrontare prima. Si sente come il principe venuto a riprendere la principessa dalle grinfie di un drago, ed un drago particolarmente esigente.

Alphonse sorride come al solito, con i lineamenti distesi in un espressione di calma benevolenza, che eppure non lo rilassa affatto. Poi il suo volto diventa neutro e lo esamina ancora, ancor più a fondo, facendo scorrere quasi un brivido lungo tutta la sua schiena. Il drago lancia fiamme, e quasi gli viene da pensare che, alla fine, dovrà riporre la spada e gettarsi contro di lui, rischiando quella sua vita che oscilla e che tintinna, precaria. Hohenheim fa spallucce, lavandosene le mani.

“Vuole la mano di mio fratello?”, chiede, retoricamente.

Roy annuisce senza neanche accorgersene, dandosi dell’idiota subito dopo. L’immagine nella sua mente si rafforza, con tanto di Edward in vestito lungo, con i capelli raccolti in un’acconciatura di rose. Ma rilassarsi -e mettersi a guardare il vuoto con espressione vuota e sognante- è un errore, ora.

Alla fine Alphonse sospira.

Si protende in avanti appoggiando i gomiti sulle ginocchia, in una posizione decisamente adulta per lui, quasi artificiosa. “Ho solo una condizione”.

Edward sorride tra le rose nella sua mente.

Hohenheim si volta dall’altra parte, come se cercasse di allontanarsi dal momento del verdetto.

Roy sente solo la sua esistenza oscillare, oscillare, oscillare.

Nemmeno lui stesso riesce a capire come mai ma quella risposta ha persino più importanza di quella che ha già ottenuto.

“Vorrei solo che la smettesse di dargli della moglie. Sa, i suoi vaneggiamenti stanno diventando fastidiosi!”.

Oscilla e si ferma.

Roy si rilassa, ritorna il Comandante Supremo di Amestris che non deve chiedere più nulla. A nessuno.

“Mh, ci proverò”.

La nuit dernière

Edward ha sempre un odore da disinfettante da laboratorio quando torna a casa, che Roy odia a morte. Di solito apre la porta della camera da letto facendola cigolare, togliendosi la giacca e parlando nello stesso momento, di esperimenti, e di viaggi che vorrebbe fare, e di teorie che vorrebbe brevettare.

Ma, stavolta, la porta è silenziosa e lui anche. Trova Roy seduto sul materasso e gli si siede accanto, come se chiedesse un resoconto solo tramite quel semplice cambio di abitudine.

“È andata bene”, risponde soltanto, voltandosi a guardarlo perché, per tutto il tempo, non aveva desiderato di fare altro. Edward ha le guancie un po’ arrossate e gli occhi più grandi e umidi a causa della stanchezza, e domani si dovrà sposare. Come lui, del resto.

Aveva chiesto il permesso all’ultimo secondo perché Edward gli aveva detto di non preoccuparsi, che tutti avrebbero semplicemente approvato perché li volevano… felici, ecco. Eppure Roy è ancora tirato come una corda di violino e le guancie umide di Edward sono sospette, a loro modo.

Intuisce, ma non chiede niente.

“Lui ti ha detto qualcosa?”, chiede Roy.

“Uhm, nulla di che. Solo che è felice perché finalmente hai messo la testa apposto… e tu? Cosa ha fatto quel disgraziato di mio padre per spaventarti tanto?”.

Sembra stupito da quella domanda, non si era accorto di sembrare spaventato, o turbato in qualsiasi maniera. “Più che tuo padre mi faceva paura Alphonse. Ma io sono Roy Mustang, no? Non avevo neanche bisogno di chiedere”. Edward risponde all’ostentato atteggiamento di dominio -con tanto di petto in avanti e pugni sui fianchi-, con un colpo ben assestato sulla testa corvina.

“Idiota. Le cose vanno fatte bene… almeno per stavolta”.

Anche se ciò richiede che quel bastardo di mio padre pensi di poter decidere della mia vita, aggiunse nella sua testa. Oh beh, perlomeno si è ricordato di invitarlo alla cerimonia -Roy si è ricordato, ma questi sono dettagli-.

In risposta l’altro gli afferra i capelli, portandoseli alle labbra. Li annusa e se ne bea, così d’improvviso, con il volto disteso in un’espressione sognante che lo fa tremare. È una cascata d’oro, glielo dice spesso, scintillante e vibrante ed emozionante un grammo di più ogni volta che la vede.

Ed ora è sua. Respira a lungo, li solletica appena con la punta delle dita ed ha l’impressione che brillino persino nel buio, ed una risata gli monta alla gola, tanto che qualche ciocca cade dalla sua stretta e Edward chiede: “Perché ridi?”.

Ride, chiedendosi perché la luce non fosse stata accesa.

“Ho dovuto affrontare un drago, una maga, una guerra intera per averti, sai?”. Arrossisce, Roy sa bene che riesce a farlo ancora, anche dopo che, rispondendo alla sua domanda, aveva fermato l’oscillazione dolorosa della sua vita.

“Devi sempre renderla più romantica di quello che è?”.

“Perché, non lo è già abbastanza?”. Edward si gira con le braccia conserte, dandogli le spalle.

“Sicuro di non voler mettere un vestito da sposa, domani?”. Si volta di nuovo verso di lui, con un colpo decisamente più forte del precedente in serbo. “NEANCHE PER SOGNO!”.

“Beh, c’ho provato!”.

Gli scioglie i capelli, ci affonda il viso e respira, ancora. È viscerale e maniacale in una maniera che lo spaventa, come se avesse accettato di affondare in quell’oro per sempre senza più risalire. Il pensiero lo fa vibrare, lo getta in un’estatica contemplazione di ciò che ha ottenuto, di ciò che ha conquistato. Edward lo guarda, facendosi portare sotto di lui quando gli afferra i fianchi e si rassegna al fatto che, la loro prima notte, non può aspettare. Chiude gli occhi e fa come sempre, si adagia ed aspetta, come se non gliene importasse.

Roy si rifugia nell’incavo del suo collo, sfregando il naso sull’oro opulente dell’impero che ha fatto suo. È morbido, è caldo, vibrante. Non c’era nulla che avesse desiderato di più.

Edward sente solo il calore piombare su di lui, e mugola, balbetta dal fondo di un alcova dove tutto si adatta a lui, e tutto è così diverso da schiacciarlo. Roy si toglie la camicia, lo bacia soffermandosi, adulando le sue labbra e respira, così lento che, normalmente, sarebbe esploso dall’impazienza. Lo accoglie tra le sue gambe, e lascia il tempo scorrere, il suo abbraccio chiudersi su di lui ed il mondo sparire, solo per quel momento. Sarà così per molti altri momenti.

Il potere di cambiare le cose e la realtà... non c’interessa più.

Il mondo è stato cancellato e ripristinato quanto basta per essere adatto a noi.

 

NOTE DELL’AUTRICE!

Oibò, è passato un bel po’ di tempo! Ma… alla fine, ce l’ho fatta. Perdonatemi, forse non ha neanche molto senso postare adesso, ma diciamo che nel frattempo sono stata distratta da altre coppie e non avevo proprio l’ispirazione per riscriverla da capo. Alla fine è venuta molto diversa dalla mia stesura che è andata persa, ma, ovviamente, mi ero dimenticata cosa avevo scritto prima XD

Ho anche cambiato l’introduzione, per il fatto che, quella frase, ha un certo significato per me -ed è persino strano, dato che l’ho scritta io-. Una persona che, insieme a te, cambi il mondo, lo conformi a quello che desideri. Solo un poco, solo quanto basta per farti stare bene e per farti accettare quello che ti fa paura, per farti stare tranquillo, quando per tutta la vita non hai fatto altro che stare in tensione, preoccupato, solo.

Beh, è quello che vorrei io e quello che è successo a Roy e Ed, alla fine. Quindi mi è parso giusto metterla come introduzione.

Ah, questa storia fa parte di una serie (non so se ci avete fatto caso), e può essere considerata il seguito di “Love confessions little scenes -RoyEd side-”, ma non è necessario leggerla (se lo faceste, però, mi farebbe piacere).

Bene, ho detto tutto.

Aloha! XD

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