Salvami

di Ezrebet
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo Secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo Terzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo Quarto ***
Capitolo 5: *** Capitolo Quinto ***
Capitolo 6: *** Capitolo Sesto ***
Capitolo 7: *** Capitolo Settimo ***
Capitolo 8: *** Capitolo Ottavo ***
Capitolo 9: *** Capitolo Nono ***
Capitolo 10: *** Capitolo Decimo ***
Capitolo 11: *** Capitolo Undicesimo ***
Capitolo 12: *** Capitolo Dodicesimo ***
Capitolo 13: *** Capitolo Tredisecimo ***
Capitolo 14: *** Capitolo Quattordicesimo ***
Capitolo 15: *** Capitolo Quindicesimo ***
Capitolo 16: *** Capitolo Sedicesimo ***
Capitolo 17: *** Capitolo Diciassettesimo ***
Capitolo 18: *** Capitolo Diciottesimo ***
Capitolo 19: *** Capitolo Diciannovesimo ***
Capitolo 20: *** Capitolo Ventesimo ***
Capitolo 21: *** Capitolo Ventunesimo ***
Capitolo 22: *** Capitolo Ventiduesimo ***
Capitolo 23: *** Capitolo Ventitreesimo ***
Capitolo 24: *** Capitolo Ventiquattresimo ***
Capitolo 25: *** Capitolo Venticinquesimo ***
Capitolo 26: *** Capitolo Ventiseisimo ***
Capitolo 27: *** Capitolo Ventisettesimo ***
Capitolo 28: *** Capitolo Ventottesimo ***
Capitolo 29: *** Capitolo Ventinovesimo ***
Capitolo 30: *** Capitolo Trentesimo ***
Capitolo 31: *** Capitolo Trentunesimo ***
Capitolo 32: *** Capitolo Trentaduesimo ***
Capitolo 33: *** Capitolo Trentatreesimo ***
Capitolo 34: *** Capitolo Trentaquattresimo ***
Capitolo 35: *** Capitolo Trentacinquesimo ***
Capitolo 36: *** Capitolo Trentaseiesimo ***
Capitolo 37: *** Capitolo Trentasettesimo ***
Capitolo 38: *** Capitolo Trentottesimo ***
Capitolo 39: *** Capitolo Trentanovesimo ***



Capitolo 1
*** Capitolo Primo ***


La porta si aprì improvvisamente, lasciando entrare un po’ di luce. Sulla soglia c’era suo padre, che la fissava con aria grave. Emma alzò il mento, in un tentativo di sfida che s’infranse subito quando lui disse “Quello che hai fatto è imperdonabile. Tua madre ha avuto un collasso quando ha letto il biglietto che hai lasciato. E per che cosa, poi? Per quell’americano senza arte né parte” la fulminò con lo sguardo “ Tutta questa confusione che hai messo su non servirà a niente. Il fidanzamento si farà e tu dimostrerai un po’ di buonsenso e di lealtà verso la tua famiglia”.

La ragazza strinse la mascella e mormorò “Non intendo sposare quel Moore”.

“Oh, mia cara, tu lo farai. Lo farai a settembre, come è stato deciso, e ti fidanzerai con lui domenica prossima, durante la festa che tua madre ha preparato per te” ribadì scandendo bene le parole. Poi, si voltò per uscire e prima di chiudersi la porta alle spalle, fece “Fino ad allora, non uscirai da questa casa”.

Rimasta di nuovo sola, Emma chiuse gli occhi, tentando di non piangere. Non l’aveva ancora fatto, neanche quando i carabinieri avevano sorpreso lei e Tyler nel motel vicino all’autostrada, riportandoli indietro. Le proteste di lui e le sue urla non erano servite a convincerli. Li avevano caricati sulla volante e li avevano scortati in caserma, dove  i rispettivi genitori li avevano prelevati e portati a casa.

Era successo tutto solo due ore prima e sapeva che rivedere Tyler sarebbe stato impossibile chissà per quanto tempo. Il tentativo di fuga era stata un’idea pazza, certo, e disperata ma l’unica che erano riusciti ad elaborare in poco tempo. La festa di fidanzamento si avvicinava e per allora, se tutto fosse andato per il verso giusto, sarebbe stati lontani, liberi di stare insieme..

Si rannicchiò sul letto, stringendosi le ginocchia al petto e affondando la testa nelle braccia con l’immagine di Tyler che inondava ancora i suoi pensieri. Lui era la sua ancora di salvezza, lui solo avrebbe potuto salvarla portandola via.

Ma ora l’avevano strappato dal suo abbraccio e la piccola Emma era di nuovo sola e disperata, scagliata a cento all’ora verso un destino che non si era scelta e al quale non si sarebbe mai e poi mai piegata.

 

La mattina dopo, quando la cameriera aprì la porta del bagno per iniziare le pulizie, dovette reggersi allo stipite della porta per non cadere alla scempio che si trovò davanti. Emma giaceva nell’acqua ormai fredda e completamente rossa del sangue che fuoriusciva dai suoi esili polsi, su cui spiccavano profondi tagli irregolari.

 

“La ragazza si riprenderà presto. Abbiamo effettuato la trasfusione e suturato le ferite. Col tempo, le cicatrici spariranno. Emma ha bisogno di riposo e di tranquillità e dovrà essere seguita da uno specialista. In questi casi, la psicoterapia è obbligatoria”.

Il giovane medico scrutava il gruppetto di persone che aveva davanti. Erano tutti evidentemente scioccati ed esausti per le ore trascorse in ospedale ad aspettare. Aveva abbastanza esperienza clinica per affermare con un certo margine di sicurezza che il conflitto che aveva portato Emma a quel gesto disperato aveva radici profonde in lei e che non le sarebbe stato facile superarlo.

Tuttavia, tenne per sé quelle considerazioni e si limitò ad informarli della prognosi.

“Potrà essere dimessa nei prossimi giorni, se reagirà bene alle cure”.

 

Emma sedeva per ore nel giardino di casa. Se ne stava all’ombra del pergolato e leggeva, lasciando che il tempo scivolasse. Matilde le portava da mangiare e lei sbocconcellava senza appetito qualcosa, ma il più delle volte non mangiava per niente e la donna riportava in cucina il vassoio intatto.

Si alzava da lì al tramonto e rientrava in camera, dove, con la supervisione della governante, prendeva le pastiglie che il medico le aveva prescritto. Erano piccole e ovali e le permettevano di addormentarsi senza sogni fino al mattino successivo.

Nessuno aveva più parlato dell’episodio. La festa di fidanzamento era stata rimandata a data da destinarsi e il mese di luglio trascorse lento e caldo, la casa immersa in un’atmosfera di silenzio quasi irreale, che sembrava tuttavia aiutare Emma.

 

Ciao a tutti!

Questa è la prima ff originale che scrivo. Una storia triste e romantica.. Spero vi piaccia. Se volete, commentare, accetterò critiche e suggerimenti..

Ezrebet

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Capitolo 2
*** Capitolo Secondo ***


“Che cosa vuol dire che non intendi fidanzarti con Emma Altieri?”.

Il tono di James inchiodò il ragazzo alla sedia. Si era aspettato una reazione del genere, ma adesso che aveva suo fratello arrabbiato davanti tutti i suoi preparativi erano andati in fumo. Deglutì, fissandolo. I suoi occhi azzurri viravano al grigio acciaio, in quel momento, e, con le mani appoggiate al bordo della scrivania, si sporgeva verso di lui, minaccioso. Non aveva nemmeno bisogno di alzare la voce per incutere timore. Daniel sentì di avere le mani fradice.

“Ho pronti i contratti per la fusione nel cassetto di questa scrivania ed intendo firmarli con Altieri il giorno del tuo matrimonio con sua figlia” riprese continuando a fissarlo “Sono mesi di lavoro, Daniel. Non intendo buttare tutto all’aria perché tu hai cambiato idea”.

Il ragazzo respirò a fondo, cercando dentro di sé un po’ di coraggio, poi si schiarì la voce e disse “Mi.. mi dispiace, James. Ma non.. non credo che quella del matrimonio sia una buona idea”.

Gli occhi di James si ridussero a due fessure. Daniel non voleva lasciarsi spaventare, tuttavia dovette fare un certo sforzo per non scappare di corsa. Lo guardò prendere un respiro e chiedere “E si può sapere la ragione della tua improvvisa rinuncia?”.

“Beh.. Voglio frequentare l’università, fare un dottorato e sposarmi tra molti anni.. se mai conoscerò qualche ragazza interessante” disse tutto in un fiato “Non siamo nell’ottocento e credo che possiate concludere l’affare anche senza un matrimonio combinato..” azzardò.

James aspettò un momento, poi fece “Non si tratta di un matrimonio combinato. Tu hai conosciuto Emma e ti è sempre piaciuta. Diamine, a nove anni vi siete fidanzati!”.

“Eravamo due bambini..” obiettò lui, ripensando a quella meravigliosa estate di qualche anno prima, trascorsa al mare in Sicilia.

“Si, ma c’è stato un accordo” insisté l’altro “Le nostre famiglie si sarebbero unite, fondendo le due società.. e ora che gli Altieri sono in difficoltà, questo è il momento”.

“Si, ma è roba d’altri tempi, James” scosse la testa, alzandosi in piedi “Sono maggiorenne e sono libero di decidere del mio futuro. E nel mio futuro non c’è un matrimonio a settembre con Emma, per quanto io le voglia bene”.

Dove avesse trovato tutto quel coraggio, Daniel proprio non lo sapeva. Ma tenne testa al fratello, continuando ad obiettare, finché, stanco di quella storia, si voltò dirigendosi a grandi passi verso la porta “Basta così. Me ne vado. E non cercarmi più per parlare di questa faccenda. Per me, il discorso è chiuso”.

Rimasto solo, James Moore rimase a fissare la porta per almeno un minuto, prima di lasciarsi cadere esausto sulla poltrona. Si prese la testa fra le mani, tentando di ritrovare la calma, perché soltanto con un po’ di calma, avrebbe pensato lucidamente ad una via d’uscita.

Costringere Daniel era fuori questione. Non c’era modo di convincerlo a sposarsi se non voleva farlo e in fondo poteva anche capirlo. Aveva vent’anni e voleva studiare.. Sospirò, appoggiandosi allo schienale della sedia imbottita. Chiuse gli occhi, sospirando. Eppure, qualcosa doveva fare.

Il patto fra le famiglie risaliva a molti anni prima. E ora che gli Altieri stavano per fallire, era necessario procedere alla fusione delle due società e al matrimonio, prima che la situazione fosse totalmente compromessa.

Che cosa doveva dire a Filippo Altieri?

La telefonata dall’Italia giunse nel pomeriggio. Era proprio Filippo Altieri che con voce seria gli annunciava che la festa di fidanzamento prevista per la domenica successiva era annullata. Davanti al suo stupore, l’uomo cercò di essere evasivo, ma quando James lo mise alle strette, disse che Emma non stava molto bene e doveva trascorrere un certo periodo di riabilitazione.

“Che cosa le è successo?” chiese lui, ricordando la bimba magra e timida che correva sulla spiaggia insieme a Daniel soltanto pochi anni prima.

“Un piccolo incidente.. ma si è spaventata e così il dottore ha consigliato riposo assoluto” mentì l’uomo sperando di essere creduto.

“E per la fusione prevista per settembre?” lo incalzò, insospettito per quella vaghezza.

“Credo si sarà ripresa, per allora”.

Quando la comunicazione si interruppe, James, sebbene sospettoso, si rese conto di aver appena guadagnato un po’ di tempo per trovare una soluzione.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo Terzo ***


Il dottore la guardava con l’espressione seria e comprensiva che conosceva. Di solito, non parlava molto, non faceva domande, né dava spiegazioni. Aspettava pazientemente che fosse lei a dire qualcosa e lasciava che gli dicesse tutto ciò che le passava per la mente. A volte si trattava del menù del pranzo del giorno prima, altre volte delle sue letture nei lunghi pomeriggi estivi, altre dei suoi progetti per settembre. Emma diceva di voler finire il liceo e di iscriversi all’università, di fare le vacanze con le compagne di corso, di raccogliere le fotografie in grandi album e conservarli per i figli che avrebbe avuto.. Non parlava mai del tentativo di suicidio, né di Tyler e del fatto che fosse scomparso dalla sua vita, né della semi reclusione in cui viveva. Sapeva, nel suo profondo, che non erano quelli gli argomenti da trattare, ma il dottore non la spingeva mai a cambiare discorso. Forse era contento di vederla sorridere, o forse semplicemente aspettava che lei fosse pronta a parlarne..

A casa nessuno le chiedeva mai che cosa avvenisse nello studio del dottore. In realtà, nessuno le chiedeva mai niente. Si limitavano a guardarla con quello sguardo di commiserazione che aveva imparato a tollerare. Sua madre e suo padre, due ombre che le volteggiavano intorno senza rivolgerle mai la parola, per rabbia, per timidezza o forse per paura della sua reazione.. Aveva smesso di fare congetture. L’unica era Matilde, che si rivolgeva a lei con quel tono dolce che si riserva normalmente ai bambini, solo per vederla mangiare qualcosa o per vederle spuntare un accenno di sorriso sulle labbra tirate o per sentire la sua voce. E tuttavia Matilde non sapeva niente. Nessuno sapeva che cosa ci fosse dentro la piccola Emma, che avrebbe compiuto diciotto anni alla fine di agosto e che ne dimostrava quindici..

“Il matrimonio si farà. Si deve fare” disse Altieri alla moglie, che lo fissava seria “Non possiamo esitare. Voglio vendere l’azienda quando vale ancora qualcosa e l’annuncio delle nozze ci eviterà il crollo”. La donna annuì, prendendo a giocherellare col vistoso anello di diamante che faceva bella mostra di sé all’anulare “Ma Moore non vorrà sposarla nelle condizioni in cui si trova. E se venisse a sapere del tentativo di..”. L’uomo le fece un cenno con la mano “Non occorre che lui sappia niente.. Emma ha superato quel.. quel momento e sta meglio..” sospirò “Non dobbiamo più parlarne tra noi. Né con nessun altro. Non dobbiamo più parlarne” si voltò verso la finestra e guardò Emma, seduta sotto il pergolato “Sposerà Daniel Moore a settembre e io firmerò la fusione e salverò la mia azienda”.

Il venticinque di agosto Matilde trascorse tutta la mattina in cucina a preparare gli arancini e la millefoglie alle fragole che Emma da sempre adorava e li servì a pranzo, sperando di vedere Emma mangiare. Ma lei, come al solito, ne assaggiò un pezzettino e poi si dimenticò degli arancini e successivamente della millefoglie, puntando lo sguardo sulla tovaglia candida, in attesa di potersi finalmente alzare.

 

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Capitolo 4
*** Capitolo Quarto ***


L’aereo atterrò a Punta Raisi alle diciassette, come previsto. Ad attendere James c’era l’autista di Altieri, che lo accompagnò alla tenuta. Il padrone di casa lo accolse nel suo studio, offrendogli un bicchierino di limoncino, che James rifiutò gentilmente. Senza aspettare, appoggiò la ventiquattr’ore sul tavolo e l’aprì, estraendo una cartellina.

“Questi sono i documenti che io e i miei collaboratori abbiamo preparato per la fusione. Glieli lascio, così potrà visionarli. Non sono molto diversi da quelli che abbiamo discusso quest’inverno, tuttavia preferirei che lei li leggesse attentamente, non voglio che sorgano controversie all’ultimo momento. E possiamo annunciare il fidanzamento e la data delle nozze”.

L’uomo annuì “Certo. Ma dov’è Daniel? Credevo che sarebbe venuto..”.

James alzò la testa dalle carte e disse senza cambiare espressione “Non è lui che sposerà sua figlia. Sarò io a farlo”.

Lo stupore si disegnò sul volto di Altieri.

“Se per lei, ovviamente, questa variazione non costituisce un ostacolo” riprese James, stringendo lievemente gli occhi alla reazione del suo interlocutore.

“No. Certo. Solo che pensavo che, dal momento che Daniel ed Emma si conoscono da qualche anno ed avevano avuto un.. innamoramento infantile..”.

“Ho conosciuto Emma anch’io, Altieri. Avrò cura di lei, come ne avrebbe avuta mio fratello” lo interruppe in tono cortese, ma fermo “Ma se per lei questo costituisce un problema..”.

“No, ovviamente no” s’affrettò a dire l’altro “So benissimo che lo farà”.

James aveva deciso di non fermarsi. Sarebbe rientrato a Londra quella sera stessa e così un’ora più tardi stava uscendo dalla tenuta sul sedile posteriore dell’auto con cui era arrivato, immerso in un’importante telefonata d’affari.

Non si accorse della figuretta che l’aveva seguito entrare ed uscire dalla casa e salire in macchina. Una figuretta esile e quasi immobile, sotto il pergolato del giardino. Emma aveva sentito che suo padre aspettava una visita. Così, quando il rumore del motore l’aveva raggiunta distogliendola dalla lettura, aveva guardato all’ingresso ed aveva visto l’uomo. Alto, dai capelli castani, elegante e serio. Camminava di fretta e non si guardava intorno.. L’aveva visto arrivare e ripartire e mai, nemmeno una volta, aveva girato la testa.. Le ricordava qualcuno, ma era un’immagine confusa nella memoria, che affiorava a tratti..

La sua attenzione tornò ben presto sulla storia che stava leggendo.

A cena, suo padre le annunciò, senza alzare gli occhi dalla bistecca, che l’indomani avrebbe annunciato il fidanzamento con James Moore e il successivo matrimonio, fissato per domenica, venti settembre.

Emma non disse nulla. Che fosse Daniel o James Moore, non cambiava quasi niente. Si sentiva come una biglia in un piano inclinato, rotolava e rotolava verso il fondo, dove finalmente si sarebbe fermata..

 

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Capitolo 5
*** Capitolo Quinto ***


“Congratulazioni, mister Moore”. La segretaria gli sorrideva, porgendogli una tazza di caffè. James la fissò senza capire, poi vide il giornale aperto sulla scrivania e capì “Grazie..”.

Il fidanzamento annunciato in Italia aveva ben presto fatto il giro d’Europa. Non perché la notizia avesse qualche importanza per il gossip, ma piuttosto per la pagina economica dei principali giornali del settore. Un annuncio come quello significava fusione tra due imperi finanziari. James fu compiaciuto e lesse tutti gli articoli che riguardavano l’argomento. In alcuni di essi, si dava per certo un boom delle azioni del Gruppo Altieri e della Moore&Moore da subito e lui si trovò a gongolare, addirittura. Si appoggiò soddisfatto allo schienale della poltrona, godendosi il primo successo di quell’affare.

Altieri chiamò verso mezzogiorno, dichiarando di essere più che felice delle reazioni all’annuncio e ricordandogli la data delle nozze. Gli disse che la sua presenza era necessaria alcuni giorni prima del matrimonio, perché, come era tradizione, doveva scegliere le bomboniere insieme alla sposa e il menù del pranzo.

James sospirò “Altieri, la ringrazio di queste premure, ma non sono sinceramente interessato ai dettagli della cerimonia. Credo che possiate fare tutto senza di me”.

“Ma non vuole incontrare Emma? Sono anni che non vi vedete..”.

Di nuovo, ripescò tra i suoi ricordi l’immagine di una bambina esile che, in costumino rosso, correva sorridente sulla spiaggia dietro a Daniel. Ricordò una massa di capelli scuri e due enormi occhi neri e sorridenti. A quel tempo, lui frequentava il college ad Oxford e aveva trascorso qualche giorno a Palermo in vacanza con suo padre e Daniel..

“Avremo modo di salutarci, Altieri. Arriverò alla tenuta sabato nel primo pomeriggio e la incontrerò. Ma per ora, è impossibile che io mi muova da Londra. Mi dispiace, ma la notizia del matrimonio e della fusione, come può immaginare, ha riempito la mia agenda di impegni” ribadì in tono gentile “Si senta libero di chiamare quando crede. Se avete bisogno di qualsiasi cosa..”.

Daniel fece irruzione nel suo ufficio qualche ora più tardi. Sbatté forte la porta e lo fissò in cagnesco. Dal canto suo, James smise quanto stava facendo, guardandolo “Buongiorno, Daniel” disse ironico.

“Che cos’è questa storia?” esclamò minaccioso “Questo.. fidanzamento con Emma Altieri”.

“Quello che sembra” alzò le spalle “La Moore&Moore acquisirà il capitale del Gruppo Altieri ed aprirà così un nuovo mercato nell’area mediterranea”.

“E per farlo, c’è bisogno di fidanzarsi con Emma?”.

James appoggiò le mani sul tavolo e in tono calmo tentò di spiegare “C’è bisogno di un fidanzamento e di un successivo matrimonio per alzare le quotazioni in borsa e acquisire un’azienda in salute, non una che sta fallendo”.

Il ragazzo scosse la testa “Non posso crederci! Neanche la conosci, Emma!”.

“Non è questo il punto” fece lui “Ho cercato di riparare al guaio che stavi per combinare. Per colpa del tuo improvviso ripensamento, molte persone stavano per rimanere senza lavoro e il Gruppo Altieri stava per affondare” si alzò per fronteggiarlo “Stamattina, grazie all’annuncio delle nozze, la situazione è già cambiata. Le borse ci premieranno”.

“..ma non puoi legare te stesso e quella ragazzina in un matrimonio.. di questo genere!” la sua espressione mostrava tutto il disgusto che provava “Che razza di vita farà.. e farai!”.

“Oh, beh, sicuramente tutti ci troveremo con molti più soldi ed investimenti di livello” fece sarcastico senza distogliere lo sguardo dal fratello “La tua amica Emma vivrà come una principessa.. come ha sempre fatto, se non di più”.

“Ma che ne sai tu di Emma” lo rimproverò scuotendo la testa “Non le hai mai parlato.. che ne sai di lei”.

James rimase in silenzio. Non voleva discutere ancora col fratello dell’argomento. Forse lui poteva essere idealista e credere all’amore e ad altre favole del genere, ma lui no. Un uomo d’affari come James Moore non poteva soffermarsi su certe sciocchezze. Sapeva sempre che cosa fare e come risolvere le situazioni più intricate e l’aveva fatto anche stavolta. Il matrimonio con Emma Altieri stava dando i suoi frutti ancora prima di essere celebrato e questo era un fatto che non poteva essere sottovalutato.

Così, dopo una breve occhiata a Daniel, tornò a sedersi e a dedicarsi alle sue carte, ignorandolo.

Daniel conosceva bene i modi di James. Non provò neanche a dire altro. Girò sui tacchi ed uscì, passando davanti ad una segretaria esterrefatta.

 

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Capitolo 6
*** Capitolo Sesto ***


Lo specchio le rimandava l’immagine di una ragazza troppo magra e dalla carnagione spenta inguainata in un abito bianco e vaporoso; una grottesca parodia di una promessa sposa.

Eppure, le persone che le si affaccendavano intorno sembravano entusiaste. Le stringevano il corpetto, le raccoglievano i capelli sotto il velo candido, le infilavano scarpe dal tacco alto sprecandosi in complimenti.

Ma non vedono? Si domandava stupita. Non vedono che cosa sono?

Lei non diceva mai niente, lasciandosi manipolare come una bambola, sotto lo sguardo di Matilde, l’unico sguardo onesto che si posava su Emma. Era dolente, Matilde, mentre fissava quella bambina troppo magra e triste per essere una sposa alla vigilia del matrimonio.

Quando la prova finiva, Matilde accompagnava Emma in centro a fare una breve passeggiata. La portava in gelateria, sperando che lei prendesse un gelato, che la vista delle leccornie in vetrina le facesse venire appetito, ma questo non accadeva mai. Così, camminavano, con Emma che la ascoltava parlare della bella festa che l’attendeva e delle meraviglie della vita da sposata ad un uomo buono e ricco.. Emma sentiva chiaro lo sforzo che faceva Matilde, per questo non l’aveva mai contraddetta. Stava in silenzio e lasciava che le sue parole le scivolassero addosso, mentre lei ripensava a Tyler ed all’occasione perduta..

Le bomboniere erano bellissimi fazzolettini di pizzo e macramè fermati da un cristallo di Swarosky, che sarebbero stati sistemati in un enorme cesto tra petali di rose, e i fiori che avrebbero ornato la chiesa erano tulipani e gigli, bianchi come la neve. Emma aveva guardato sua madre scegliere l’addobbo, facendo distratti cenni col capo, perché era proprio questo che tutti si aspettavano da lei.

Pochi invitati, una ventina di persone selezionate, tutte a pranzo alla tenuta, sotto il gazebo del giardino, dove aveva trascorso tutta l’estate.. Erano già arrivati i tavoli rotondi, le sedie, e le stoviglie di porcellana e qualcuno aveva fatto montare la pedana per i musicisti.

Sua madre agiva da regista perfetto e suo padre firmava assegni senza fiatare. Emma li guardava come da dietro un vetro, incapace di credere che quel giorno sarebbe arrivato. Sapeva che non si trattava di un film, tuttavia stentava ad immaginare quel set animato. Era tutto così bianco, candido, perfetto..

Le partecipazioni furono recapitate ed arrivarono preziosi regali. Vasi di cristallo, preziosa biancheria, quadri di grande valore. Le cameriere sistemarono tutto in bella vista in sala, in modo che chiunque fosse entrato, avrebbe potuto vedere il valore dei regali e quindi del matrimonio.

La stessa Emma guardò a lungo quegli oggetti preziosi. Rimase un intero pomeriggio ferma in sala, a guardare e sfiorare i regali, con espressione assorta. Matilde le aveva detto chi aveva mandato quelle cose, cercando di interessarla.. Non sembrava tuttavia che Emma la seguisse, era come se il suo sguardo fosse perso ed appannato. Che cosa vedeva in realtà?.. Ma quella domanda rimaneva senza risposta.

Il giorno prima del matrimonio Emma si accorse che stavano aspettando qualcuno. Suo padre era chiuso nello studio dalla mattina presto ed aveva fatto sapere che non voleva essere disturbato, sua madre aveva dato ordine di preparare una cena faraonica e di apparecchiare col servizio più prezioso che c’era in casa e Matilde.. Matilde la seguiva con un’ombra, dicendole che avrebbe dovuto prepararsi per la sera, indossando quel bell’abito rosa che giaceva da tempo nell’armadio.

La aiutò a farlo, e le raccolse i capelli in una coda fissata sulla nuca da un fermaglio di madreperla. La guardò nello specchio “Sei così magra, bambina” le mormorò, triste. Poi le appoggiò le mani sulle spalle fragili “..devi riprenderti..sei giovane. Devi riprenderti” le disse abbozzando un sorriso.

Un momento dopo, sentirono il rumore dell’automobile che si fermava sulla ghiaia all’ingresso.

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Capitolo 7
*** Capitolo Settimo ***


Mentre Altieri lo conduceva nello studio, James si guardò intorno. Il salone era bellissimo, ampie vetrate davano un’ampia visuale sul giardino inondato di fiori, e i divani, di un elegante color salmone, poggiavano su preziosi tappeti persiani. Alle pareti, stampe e quadri di grande valore. Il suo sguardo si posò sul tavolo dove si trovavano i regali di nozze, anch’essi di valore.

Una volta nello studio, Altieri prese la penna e cominciò a firmare le carte che James aveva estratto dalla borsa. Una dopo l’altra.. La fusione era un dato di fatto. I due uomini si strinsero la mano attraverso il tavolo.

Poco dopo, James lo seguì in sala. Ad attenderli la moglie, che, col sorriso sulle labbra, lo condusse al tavolo dove stavano per servire la cena, e qui vide Emma.

Era in piedi davanti alla finestra. Il vestito rosa, per quanto alla moda e di ottimo taglio, le pendeva dalle spalle magre e i capelli, tirati nella coda, mostravano in modo impietoso le guance scavate e pallide. Gli occhi neri erano fissi nei suoi, seri, impenetrabili.

Quella visione lo lasciò interdetto. La ragazza che aveva di fronte non ricordava per nulla la bambina piena di vita che aveva visto anni prima, abbronzata e felice in riva al mare. Era un uomo d’affari ed in quanto tale riuscì a mascherare le sue sensazioni come faceva sempre, andandole incontro col sorriso sulle labbra.

“Ciao Emma” la salutò. Si piegò lievemente e le baciò le guance. Lei ricambiò il sorriso, ma James capì che si stava sforzando di essere gentile. Le sfiorò con gentilezza un braccio e poi si rivolse alla padrona di casa, che indicò i posti a sedere.

Durante la cena, la donna spiegò a James l’organizzazione della cerimonia e raccontò qualche dettaglio circa i preparativi. Lui ascoltava, senza intervenire, lanciando ogni tanto un’occhiata ad Emma, che non sembrava partecipare. Gli pareva assente, persa nei suoi pensieri. E notò che non aveva mangiato niente.

Raggiungendo l’albergo, un paio d’ore dopo, si rese conto che la ragazza non aveva detto una parola.

Una volta al Grand Hotel, accese il portatile e terminò alcune relazioni che inviò per mail, poi guardò l’agenda del lunedì successivo, che prevedeva un incontro importante alla sede centrale di Londra. Infine, lasciò un messaggio nella segreteria di un suo collaboratore in cui gli ricordava di portare alcuni appunti alla riunione di lunedì.

Si tolse i vestiti e andò a dormire nudo, come faceva di solito. Si accese una sigaretta e si trovò a pensare a Emma. Troppo magra e troppo silenziosa.. Si chiese se qualcuno in quella casa si fosse accorto del suo stato. Gli era bastata un’occhiata per capire che quel vestito non l’aveva comprato lei, perché di certo non l’aveva provato e, nonostante le chiacchiere della moglie di Altieri, si era reso conto che la ragazza non aveva mangiato niente.

Pensieroso, spense la sigaretta nel posacenere ed affondò nei cuscini, addormentandosi quasi subito.

 

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Capitolo 8
*** Capitolo Ottavo ***


La cerimonia si tenne nella cappella del paese in cui si trovava la tenuta. Una piccola chiesa, che fu riempita dagli invitati. James attese la sposa accanto all’altare, e quando la vide arrivare immersa in una nuvola di tulle, si domandò chi diavolo le avesse scelto quell’abito.. Qualcuno che voleva farla scomparire.. Quando l’ebbe accanto, le prese una mano e la baciò sorridendo, evitando di guardarla. Sapeva che sarebbe stata a disagio. Istintivamente, seppe che non doveva in alcun modo forzare la situazione. Era sicuro che Emma in quel momento avrebbe desiderato essere a mille miglia da lì, nonostante i sorrisi e le congratulazioni che provenivano da tutte le parti.

Finita la cerimonia, gli sposi salirono sulla Mercedes.

Durante il tragitto verso la tenuta, Emma non si voltò un momento verso James, e non disse una parola. Lui decise di rispettare il suo silenzio e si limitò a guardare il paesaggio che scorreva fuori dal finestrino, lanciandole ogni tanto un’occhiata.

La serata scivolò via facilmente. Tra brindisi e balli, arrivò in fretta l’ora del congedo da parte degli sposi, che si ritrovarono in automobile, alla volta del Grand Hotel. Fu a questo punto che James si sentì di dire “Emma.. non preoccuparti per stanotte”.

Lei voltò la testa di scatto e puntò gli occhi nei suoi. Aveva catturato la sua attenzione, alla fine.

“La suite che occupo ha due camere e due bagni” sussurrò “Starai comoda, vedrai”.

Una volta in camera, le mostrò il suo letto. Appoggiò la sua piccola valigia sul divano e le diede la buonanotte.

Rimase sveglio a lungo, a fumare sul terrazzo. La giornata era stata lunga e la moglie di Altieri veramente fastidiosa. La sua risata era stata la colonna sonora della festa e quando li aveva costretti a ballare, beh, quello era stato troppo. Emma non sapeva ballare e lui aveva dovuto trascinarla nel più orribile valzer che avesse mai provato. Lei era un fuscello tra le sue braccia e l’aveva fissato per tutto il tempo con l’espressione di un cucciolo in trappola..

Un rumore lo fece voltare. Emma, in vestaglia, era sulla soglia della camera. Reggeva un bicchiere in mano.

“Devo.. devo prendere le mie medicine” sussurrò e finalmente James sentì la sua voce.

Le andò vicino “..hai bisogno d’aiuto?”.

“Devi solo stare con me finché non le ho inghiottite. Di solito lo faccio con Matilde, ma lei non c’è.. Sei disposto?”.

“Certo” rispose subito lui. La guardò mettersi in bocca due minuscole pastiglie ovali e poi bere un po’ d’acqua. Un istante dopo la sentì dire “Grazie”.

“Hai bisogno di altro..?” le domandò mentre si dirigeva alla porta.

“No. Sto bene. Buonanotte” mormorò, chiudendosi la porta alle spalle.

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Capitolo 9
*** Capitolo Nono ***


Emma s’infilò la gonna bianca e la maglietta azzurra che Matilde le aveva messo in valigia. Poi, indossò i sandali blu e raccolse i capelli in una coda. Non si guardò nemmeno allo specchio, di solito lo faceva per Matilde, ma lei non c’era, stamattina.

Uscì dalla camera qualche minuto dopo e lo incontrò nel corridoio. Indossava i jeans ed una camicia. Sembrava più giovane di quanto le fosse sembrato il giorno prima, nel vestito da cerimonia. Le stava sorridendo e lei si sentì in dovere di ricambiare.

Scesero a fare colazione nella veranda dell’hotel. Le servì il caffè, una fetta di torta e del succo di frutta. Emma lo lasciò fare e poi lo guardò servirsi.

“Non ti piace niente di quel che hai nel piatto?” le domandò ad un tratto “Se vuoi, posso ordinarti brioche e cappuccino”.

“Di solito non faccio colazione” gli disse prendendo la tazza di caffè e cominciando a sorseggiarlo.

“Noi inglesi, invece, adoriamo fare colazione” le sorrise “Mangiamo uova, bacon, pane.. Insomma, facciamo il pieno di energia”.

Emma appoggiò i gomiti sul tavolo e lo fissò “Parli bene l’italiano”.

“L’ho studiato a scuola e ora ho spesso a che fare con l’Italia, per lavoro” la guardò “E tu? Hai studiato l’inglese?”.

“Un po’. Ma non ho finito l’anno..” giocherellò con il tovagliolo.

“Puoi finirlo, se vuoi” le disse “Vivremo qui. Puoi continuare la scuola”.

Emma non disse niente. Si limitò a distogliere lo sguardo e a puntarlo sulla porzione di mare che si vedeva dalla veranda.

Qualche minuto dopo, salirono sulla Mercedes che li attendeva all’entrata.

“Adesso, andremo a casa” le disse quando furono seduti sul sedile posteriore “Non devi preoccuparti delle tue cose. Tua madre ha detto che si occuperà lei di tutto”.

Il viaggio durò una mezz’ora, durante la quale James parlò ininterrottamente al telefono in inglese con qualcuno a Londra. Parlava di riunioni, appunti, scadenze da rispettare ed altro che Emma non riuscì a capire. Colse soltanto che sarebbe partito in giornata.

L’automobile si fermò davanti ad una villa bianca, con un grande portico di sasso, circondata da un parco enorme, dominato da una piscina e un campo da tennis. Lo guardò uscire e girare intorno alla macchina per aprirle la portiera “Eccoci. Ti piace?”.

La condusse dentro mostrandole il salone col caminetto e i divani di pelle bianca, la grande cucina attrezzata e salì le scale, entrando in ogni singola camera arredata con gusto. Da ognuna di esse si godeva una meravigliosa vista sul mare.

“Scegli la camera che ti piace di più” le disse sorridendo “Il personale l’ho già assunto, ma ovviamente sei libera di prendere decisioni in merito”.

Guardò il ragazzo che stava appoggiando la sua valigia a terra “A me va bene questa..” fece James spalancando la finestra “Mi faccio una doccia e mi preparo. Devo essere all’aeroporto tra un’ora al massimo” stava per entrare in bagno, quando, come ricordandosi qualcosa, si voltò e disse “..devo andare a Londra. Mi aspettano per una riunione. Ma sarò di ritorno appena possibile..”.

Rimasta sola, Emma fece qualche nel corridoio, incerta. Non aveva idea di che cosa James si aspettasse da lei.. quello che riuscì a fare in quel momento fu cercare una camera, una camera qualsiasi, e chiudersi dentro per dormire. Dormire finché qualcuno non fosse venuto a svegliarla.

Lo fece. Una stanza tutta di legno scuro, con un comodo letto dalle lenzuola bianche e soffici tende azzurre.. Qui fece appoggiare la piccola valigia con cui aveva lasciato la casa di suo padre e chiuse la porta. Solo allora, si tolse le scarpe e si lasciò cadere sulle coperte, esausta.

Sentiva dei rumori provenire da fuori, forse dal piano di sotto, ma non se ne preoccupò più di tanto. Chiuse gli occhi e lasciò vagare la mente a poche settimane prima, quando insieme a Tyler progettava la fuga dall’ Italia ed il loro futuro insieme.

Non si accorse neppure che James era entrato. Fermo sulla soglia la guardava. Lei si sollevò su un gomito. Si era cambiato. Giacca, camicia, cravatta, ventiquattr’ore.. Riconobbe l’uomo che qualche giorno prima era venuto a trovare suo padre. Le sorrise “Non volevo disturbarti. Riposati.. Io vado. Hai a disposizione una cuoca, una cameriera e un ragazzo per il giardino e la macchina. Prima di sera ti porteranno tutta la tua roba.. Ci vediamo fra qualche giorno” le fece un cenno con la mano ed uscì, chiudendosi la porta alle spalle.

Ci fu ancora un po’ di trambusto da sotto, poi il rumore di un’automobile che si allontanava.

Emma si sdraiò di nuovo e tornò a pensare a Tyler e ai progetti che avevano condiviso.

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Capitolo 10
*** Capitolo Decimo ***


Matilde la aiutò a sistemare i vestiti nell’armadio, assicurandola che l’indomani avrebbe portato le altre cose. Poi, riempì l’armadietto del bagno con le medicine, lasciandole il promemoria per l’assunzione delle pillole attaccato allo sportello. Infine, scese in cucina a parlare con il personale. Raccomandò loro di cucinare sempre, anche se Emma avesse detto di non farlo. Spiegò che la signora qualche volta “dimenticava” di mangiare, e questo non era un bene per lei data la sua fragile costituzione. Dallo sguardo delle donne, comprese che avevano intuito quale fosse il reale problema di Emma, ma discretamente annuirono senza commentare.

Emma seguì Matilde sul portico quando ormai il sole stava tramontando. La sentì dire “Stasera mangerai, vero, piccola?” le sorrise accarezzandole una guancia “E prenderai le medicine”.

Lei annuì. Matilde era molto preoccupata. Emma era sola, in una casa nuova, senza nessuno che la controllasse. Le si strinse il cuore al pensiero della notte solitaria che avrebbe trascorso.

La lasciò poco dopo.

La ragazza guardò la macchina allontanarsi e abbassò gli occhi soltanto quando fu un puntino impossibile da distinguere. Rientrò in casa e vide subito la tavola apparecchiata sontuosamente soltanto per lei. Si sedette e lasciò che le servissero arrosto e patate. Rimase a guardare il piatto per un po’, poi cominciò a tagliare minuziosamente la carne e a pasticciare le patate, rendendole simile ad un purè. Infine, portò alla bocca alcuni pezzetti d’arrosto e bevve un intero bicchiere d’acqua. Non volle dolce né frutta.

Si alzò quindici minuti dopo e si diresse al piano di sopra, sotto lo sguardo perplesso della giovane cameriera.

Quando fu in bagno, si guardò a lungo allo specchio. Poi, dal beauty case ancora pieno estrasse un lungo ferro, di quelli che Matilde usava per confezionare guanti e sciarpe e se lo infilò in bocca con mosse esperte. Aspettò, finché cominciò a sentire la familiare sensazione dei conati di vomito che risalivano dallo stomaco. Un istante dopo, iniziò a rigettare nel water, lasciandosi cadere sulle piastrelle fredde.

Era già buio quando inghiottì le pastiglie, bevendo subito un po’ d’acqua.

 

A svegliarla, fu la voce di Matilde che dava ordini alle cameriere. Si stirò tra le lenzuola, immaginando che si trattasse della seconda parte del trasloco. Infatti, di lì a poco la donna entrò in camera e dopo averla salutata, aprì una valigia e cominciò a svuotarla.

Continuò così per tutto il giorno e quello successivo, finché l’armadio di Emma non fu riempito e così i suoi cassetti e la sua scarpiera. Matilde parlava a raffica, raccontandole i commenti positivi degli ospiti al matrimonio e mostrandole la bella foto degli sposi che era uscita sul giornale. Vide così sé stessa in una nuvola di tulle stretta al braccio di James.. Era bello, James, ma non era Tyler. Né Daniel, il ragazzino inglese che le aveva giurato amore eterno un’estate di tanti anni prima.

Sua madre non venne a trovarla. La chiamò una sera, la quarta nella sua nuova casa, dicendole che Matilde l’avrebbe aiutata ancora per un po’ ad ambientarsi e a sistemare ogni cosa. Le riportò anche lei alcuni commenti sulla festa di nozze. Emma, tuttavia, ascoltava sua madre distrattamente. La sua voce vuota non le arrivava dentro, scivolava sulla sua anima come acqua piovana.. La donna parlava e parlava senza aspettarsi alcuna risposta da lei e Emma faceva quello che da lei tutti si aspettavano, non rispondeva.

Parlò del matrimonio al dottore, quella settimana. Gli disse della nuova casa, della piscina e del campo da tennis, cercando di ignorare lo sguardo particolarmente indagatore del medico. I suoi occhi sembravano trafiggerla e lei sentiva, da qualche parte dentro di sé, che questa volta le avrebbe chiesto qualcosa. Perciò, parlava senza prendere fiato, nella speranza ci rinunciasse.

“Com’è James?”.

La domanda, invece, arrivò. Si guardò le mani dalle unghie curate, guardò la fede all’anulare sinistro, poi sospirò “..è bello”.

“Hai un bel marito” ripeté il dottore “E ti trovi bene con lui?”.

Per tutta risposta alzò le spalle. Poi “Lui non c’è”.

“Che cosa intendi?” si sporse un poco, sorridendo.

“Che non c’è. E’ andato a Londra, per lavoro” spiegò, realizzando in quel preciso momento che non l’aveva più sentito dal giorno della partenza.

“E tu gli vuoi bene?”.

Emma alzò le sopracciglia “Si suppone che dovrebbe essere così, visto che l’ho sposato”.

L’uomo annuì “Certo. Ognuno di noi vuole sposare la persona che ama, che la fa sentire bene, la persona cui sente di appartenere..” la studiò attentamente “Ed è stato così anche per te?”.

Il cenno noncurante della ragazza pose fine al dialogo. Il medico decise di fermarsi, sapendo che spingersi troppo oltre su quel terreno minato era pericoloso. La notizia delle nozze lampo di Emma gli era arrivata come una doccia fredda. La vedeva ogni settimana, dal giorno del tentativo di suicidio, e sapeva che Emma non era pronta al matrimonio, alla vicinanza affettiva e fisica con qualcuno che questo implicava. Santo cielo, stavano facendo i primi passi nella comprensione del suo problema.. Emma Altieri era anoressica ed era profondamente isolata. La sua anima galleggiava dentro una bolla che la distanziava da chiunque e il rifiuto del cibo non era altro che il sintomo esterno di questa solitudine esistenziale.

Era ovvio che era un’unione dettata da esigenze economiche, che poco aveva a che fare con l’amore o l’affetto. Emma stava inconsapevolmente giocando col fuoco, recitando una parte, quella della giovane sposa, che non era in grado di sostenere.

 

Quando uscì dallo studio del medico, si fece portare dall'autista alla gelateria dove di solito andava con Matilde. Mangiò in un fiato una banana split enorme, sotto lo sguardo stupito della commessa. Poi, tornò a casa e, chiusa in bagno, rigettò tutto, cadendo infine a terra quasi priva di sensi.

Si accorse che erano passati dieci giorni dal matrimonio guardando il calendario che usava per l’assunzione delle medicine. Nove da quando aveva visto o sentito James. Altrettanti da quando aveva visto i suoi genitori e quasi una settimana da quando aveva incontrato Matilde l’ultima volta. Se non fosse stato per il dottore, avrebbe dimenticato il suono della propria voce..

Chiuse l’anta dell’armadietto ed ingoiò le pastiglie, questa volta senz’acqua.

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Capitolo 11
*** Capitolo Undicesimo ***


Anche quella sera, fu l’ultimo ad uscire dall’ufficio. Mentre raggiungeva l’ascensore, ripensò a Daniel. L’aveva chiamato da Oxford, per chiedergli del matrimonio. Per la verità, l’aveva insultato per tutta la durata della telefonata, dicendogli che razza di uomo senza cuore e manipolatore fosse e dell’inferno cui aveva condannato sé stesso ed una ragazzina senza colpe.

All’inizio aveva cercato di ribattere, poi aveva rinunciato. Aveva scostato la cornetta e l’aveva lasciato sbraitare, finché, a Dio piacendo, il credito di Daniel si era esaurito e la linea era caduta.

Leyla lo aspettava al bar dove si solito si incontravano ed aveva già ordinato per lui un gin tonic. Lasciò che si sedesse sullo sgabello vicino, poi si sporse ed incontrò le sue labbra, notando la sua aria abbattuta. Gli si strinse contro “E’ successo qualcosa?”.

La voce vellutata della bionda gli accarezzò l’anima. Si voltò e le sorrise stanco “Niente che non possa affrontare..” bevve un sorso del cocktail “Anche se qualche volta vorrei avere meno pensieri per la testa ed andare a letto tranquillo..”.

“A quello ci penso io, tesoro” gli sussurrò allusiva, baciandolo sulla guancia.

James si abbandonò alle sue tenerezze, cercando di non pensare a Daniel ed alla conversazione di poco prima. Mezz’ora dopo, salì in macchina con Leyla e attraversò la città fino al suo appartamento. Aveva comprato l’attico in Kensinghton sei anni prima, quando aveva capito che avrebbe passato a Londra la maggior parte del suo tempo. Daniel studiava ancora e dopo la morte di suo padre, aveva dovuto prendere in mano la Moore&Moore.. e da allora, la sua vita aveva preso quella routine. Ufficio, Leyla, ufficio, viaggio di lavoro, cena con Daniel, ufficio, Leyla..

E mentre lasciava che lei lo baciasse, cominciando a sfilargli la cravatta e la camicia, gli passò per la mente l’immagine di Emma, troppo magra e silenziosa, nella enorme casa che le aveva regalato. Ma fu un momento, prima che Leyla, ridendo, lo facesse cadere all’indietro sul letto di camera sua.

 

La sveglia suonò alle sette. Leyla era già uscita. Si sollevò faticosamente e quasi ad occhi chiusi entrò in bagno ed accese l’acqua nella doccia. Fece in fretta, dal momento che doveva essere al lavoro per le otto e doveva affrontare il traffico. Si vestì con il solito completo grigio, un po’ di gel tra i capelli, per tenere a bada i riccioli, ed uscì, decidendo di bere un caffè in ufficio.

Controllò il cellulare, ma non c’erano chiamate.

Una volta al suo tavolo, lesse soddisfatto l’ ulteriore impennata delle azioni in borsa della Moore&Moore e subito comunicò ai suoi collaboratori le mosse da fare in giornata. La fusione con il Gruppo Altieri non aveva deluso le aspettative; oltre all’aumento del valore in borsa, si era avviato immediatamente un tavolo di lavoro per l’apertura degli affari nell’area del Mediterraneo e l’ampliamento di quelli con il fronte asiatico. Poteva ritenersi estremamente soddisfatto delle decisioni prese e della tempistica perfetta.

Stava ancora gongolando, godendosi il caffè, quando la segretaria gli annunciò una telefonata dall’ Italia. Corrugando la fronte, prese la linea e dall’altra parte sentì la voce di Altieri. Il suo tono era strano.. come soffocato. Si rizzò sulla poltrona mentre l’uomo gli diceva, in tono grave, che Emma era stata ricoverata all’ospedale meno di un’ora prima.

James sentì un’ondata gelida assalirlo. Si trovò a stringere freneticamente il ricevitore e a dire, in tono il più possibile controllato “Che cosa le è successo..?”.

“Ha ingerito una grande quantità di farmaci” sussurrò l’uomo.

“..quelle pillole che prende per dormire?” ricordò la sera del matrimonio, quando gli aveva domandato di aiutarla a prenderle.

“Si. Dal momento che non si svegliava.. i domestici hanno chiamato un’ambulanza e..”.

Dieci minuti dopo, James era diretto a Heathrow, su un’automobile dell’azienda, con volo prenotato per Palermo alle undici.

Non sapeva esattamente che cosa fosse accaduto, ma qualunque cosa fosse, non l’avrebbe permessa. Non adesso che tutto sembrava filare liscio come l’olio.

Si appoggiò allo schienale del morbido sedile in pelle e guardò fuori, sperando di arrivare prima possibile a Palermo.

 

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Capitolo 12
*** Capitolo Dodicesimo ***


Tyler la guardava sorridendo. Le tendeva una mano invitandola a seguirlo in acqua. Era un’acqua cristallina, baciata dal sole estivo e lei s’immerse. Volteggiarono per un po’, schizzandosi e ridendo. Le piaceva la sensazione delle sue braccia che la stringevano a sé e della sua voce che le ripeteva quanto l’amava.. Poi, improvvisamente, si trovò al largo, sola, nell’acqua calma della sera. Il riflesso era rosso, come il tramonto che stava inondando ogni cosa intorno a lei. Cominciò a nuotare, dove pensava fosse la riva, ma all’orizzonte c’era solo mare, infinito mare ad accoglierla.. Le braccia le dolevano e così le gambe.. Si distese a fior d’acqua e galleggiò, la stanchezza prese il sopravvento e le si chiusero gli occhi.. Piano piano smise di muoversi, poi di respirare.. Ah, pensò, allora è questa la morte.. Questo dolce arrendersi alla stanchezza.. scusami, Matilde, se non ce la faccio.. scusatemi mamma e papà, se galleggiare è diventato così difficile.. e scusami Tyler, se ti ho perduto tra i flutti.. ma è così bello lasciarsi andare a questa pace che trascina..

 

Una voce giungeva come da dietro un muro. Era una voce aspra.

“E’ inammissibile.. nessuno mi ha detto.. non esiste giustificazione..”.

La voce si faceva sempre più vicina. Quando Emma sollevò le palpebre, invece della luce accecante del sole al tramonto, fu investita dalla luce fredda dei neon. Sbatté gli occhi per mettere a fuoco l’immagine. Un lampadario al neon, una parete verde e bianca.. e la voce. Le voci, che si accavallavano..

“Stai tranquilla, bambina. Adesso che sei sveglia, tutto andrà bene”.

Matilde le pose una mano sulla guancia, il viso rosso e gonfio di chi ha pianto molto e a lungo, le dita calde e callose. Emma si strofinò leggermente, a cercare calore.

Un momento dopo, il dottore. La guardava calmo, i suoi occhi la scrutavano, come sempre.

“Non provare a muoverti, Emma. Sei ancora intorpidita. Abbi pazienza”.

Si fidava del dottore. Obbedì, rimase ferma, la mano di Matilde sulla gota. E poi di nuovo la voce.

“Si è svegliata?” domandava burbera. Qualcuno disse qualcosa, e di nuovo “Se è sveglia, voglio parlarle”.

Un momento dopo, James entrò nel suo raggio visivo. In fondo al letto, le mani strette sul metallo, gli occhi nei suoi. Adesso, sembrava non aver più niente da dire. Solo, la fissava. Emma vide che era spettinato, la sua cravatta pendeva storta, aveva gli occhi stanchi. Rimase lì fermo qualche minuto, poi sparì di nuovo dal suo campo visivo.

Il dottore le prese la mano “Hai una flebo, Emma. Ti nutriamo con una soluzione fisiologica. Sei un po’ debilitata, per quello che ti è successo. Te lo spiegherò più tardi, quando avrai recuperato le forze. Va bene?”.

Emma voleva rispondergli che si, andava bene, che si fidava. Ma non riusciva a parlare o a muoversi. Era dispiaciuta. Sperò che gli occhi parlassero per lei, e forse fu così, perché il dottore annuì “Siamo d’accordo. Adesso riposa ancora. Ti lascio qui Matilde”.

E come se avesse obbedito ad un ordine ipnotico, si addormentò dolcemente, cullata dalle parole di Matilde, che adesso non avevano più alcun significato. Solo una dolce ninna nanna per farla riposare.

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Capitolo 13
*** Capitolo Tredisecimo ***


Il dottore osservava James, seduto dall’altra parte del tavolo. Aveva ascoltato senza interrompere, con un’espressione indecifrabile sul volto stanco.

Il marito di Emma era un bell’uomo, su questo Emma aveva ragione, ed era elegante come solo un uomo d’affari e di successo può essere. Più vecchio di lei di almeno quindici anni, non si era mosso mentre gli spiegava la situazione clinica della moglie.

La parte facile, ovviamente. Che era quella relativa a quanto accaduto quella stessa notte. Il pronto intervento del 118, la lavanda gastrica, l’inserimento della flebo per combattere la disidratazione.

Poi, il neurologo aveva aperto la cartella clinica davanti ai suoi occhi, mostrandogli i dettagli del ricovero di Emma avvenuto pochi mesi prima, a giugno, per la precisione. Aveva mostrato le foto scattate ai suoi polsi martoriati, la prognosi, il verbale della polizia allegato.

“Non si era accorto delle cicatrici?” gli domandò stringendo gli occhi “Sono ancora evidenti. E lo saranno per un bel po’”.

James si era mosso appena sulla sedia e si era schiarito la voce “No”.

“Eppure sono evidenti” aveva insistito il medico, senza ottenere un’altra risposta.

“Sua moglie soffre di un disturbo dell’alimentazione che noi denominiamo anoressia di origine depressiva” lo informò allora, chiudendo con uno scatto la cartella “La sto incontrando una volta a settimana da giugno. Di questo era a conoscenza?”.

Il suo silenzio fu esaustivo. Il medico riprese “I cambiamenti che ci sono stati in così poco tempo hanno alterato il fragile equilibrio di Emma. Portandola a due tentativi di suicidio nel giro di poco tempo.. E’ stata presa per i capelli, signor Moore. Entrambe le volte” lo guardò dritto negli occhi “Emma non può stare sola. E non può stare con la sua famiglia d’origine, dove si annida il problema”.

James sbottò “Che genere di problema..!”.

Capiva la reazione dell’uomo. Non era facile affrontare un male insidioso come quello da cui era affetta sua moglie. Sapeva che il loro rapporto non era un rapporto d’amore, l’aveva capito subito ed Emma l’aveva confermato con il suo comportamento nell’ultimo incontro in studio, tuttavia considerò che quest’uomo era una chance per la ragazza. In qualche modo, poteva aiutarla. Se non altro, a fuggire da lì.

“Lei sa che Emma ha tentato di scappare da casa, nei mesi scorsi?” la domanda era retorica. Era certo che lui non lo sapesse, Tuttavia, doveva sentirglielo dire.

Scosse la testa “No” sospirò, appoggiandosi meglio alla poltrona.

Dopo un momento, il medico disse “La porti via da qui” fermò con la mano il suo tentativo d’interromperlo “So che il vostro matrimonio non è..” cercò le parole “..canonico. So che Emma non è una vera moglie per lei, in realtà ora come ora non potrebbe neanche esserlo..” lo fissò “Ma la porti via da qui”.

James lo guardò un momento, poi si passò lentamente una mano sugli occhi, mentre sentiva l’uomo dire “Le darò il nome di un bravo specialista a Londra”.

Gli occhi dei genitori di sua moglie non lo mollarono un attimo quando uscì dallo studio del neurologo. Lo guardarono fare una veloce telefonata e sostare sulla soglia della camera di Emma, ancora profondamente addormentata.

“Partiremo non appena sarà dimessa. La porto con me a Londra. Devo stare là per il lavoro ed, evidentemente, lei non può stare qui da sola” lanciò loro un’occhiata gelida “Vi chiedo soltanto di impacchettare la roba che è rimasta alla tenuta e spedirla al mio indirizzo di Londra. Al più presto, cosicché lei si possa ambientare velocemente” si passò una mano sul collo e si appoggiò alla parete.

Altieri annuì “Forse farle cambiare aria è la soluzione migliore”.

James non rispose e strinse la mascella, tornando con lo sguardo sul letto di Emma. Tentava di mostrarsi sicuro, ma era in pieno marasma. C’erano tante decisioni da prendere e cose da fare ed era ancora troppo scosso per poter agire al meglio, come era abituato, tuttavia l’ultima cosa che voleva era farsi vedere in difficoltà.

Sospirò e si diresse all’uscita del reparto. Doveva fare delle telefonate e voleva farle in pace.

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Capitolo 14
*** Capitolo Quattordicesimo ***


Il dottore era seduto accanto al letto e la guardava. Aveva insistito perché gli raccontasse quanto aveva sognato mentre dormiva in ospedale e lei l’aveva accontentato.

“E come ti sentivi, galleggiando tra le onde?” le domandò ad un certo punto.

“Mi sentivo bene” disse dopo averci pensato su “Cioè.. sapevo che stavo per morire, perché avevo dolori in tutto il corpo e non vedevo la riva, ma mi piaceva la sensazione della corrente che mi trascinava” sospirò “Mi sentivo in pace”.

Un lungo silenzio seguì le ultime parole di Emma. Il dottore sembrava immerso nei suoi pensieri e la ragazza nelle immagini del sogno.

Entrambi sapevano che fuori dalla porta c’era una piccola folla di persone ansiosa di vedere e parlare alla paziente in via di guarigione, tuttavia quel momento di pace, nella luce fredda dei neon, sembrava irrinunciabile. Per Emma era la sensazione di essere accolta senza riserve, per il medico era la convinzione di aver imboccato una strada, ancora buia e contorta, che avrebbe condotto alla fine del personale inferno della ragazza.

“L’idea di allontanarti, in balia della corrente, ti dava pace?” le chiese accennando un sorriso.

Emma alzò le spalle “Si. Ero così stanca di lottare per stare a galla o per ritrovare la riva..” si sistemò meglio sui cuscini “Credo di aver pensato che qualsiasi cosa fosse meglio di tutto quel dolore e tutta quella fatica..”.

“Hai preso una decisione” sintetizzò l’uomo.

Lei non rispose. Così, il medico riprese “Una buona decisione, secondo me” si alzò dalla sedia “Vedi, certe volte lasciarsi andare alla corrente non è sbagliato. Se avessi continuato a lottare per stare a galla avresti sprecato le forze rimanenti senza trovare la riva, avresti avuto più crampi ed indolenzimento. Invece, lasciandoti guidare dalla corrente, rinunciando al controllo, beh.. forse saresti riuscita ad arrivare, da qualche parte. In salvo” la scrutò “Credo che il sogno ci abbia indicato una via, Emma”.

“Ma il sogno si è interrotto” borbottò lei.

“Non ha importanza. Era solo un sogno” s’infilò le mani nelle tasche del camice “Prova a riflettere su quanto ci siamo detti oggi. Per riprendere il controllo e stare bene, qualche volta occorre lasciarsi trascinare”.

 

James ritornò in ospedale alcune ore dopo, quando fu ben sicuro di non trovare nessun altro. L’orario di visita stava terminando e dalla soglia della stanza scorse Emma, intenta a leggere un libro. Entrò, schiarendosi la voce ed attirando la sua attenzione.

Lo sguardo che gli rivolse lo tranquillizzò. Sembrava rilassata, non aveva segni di stanchezza, anche se non c’era un’ombra di sorriso sul suo volto.

“Sono passato a vedere come stai” disse “Stamattina non sembravi ancora in grado di parlare”.

Lei annuì, appoggiando il libro aperto sulle lenzuola “Mi hanno dato qualcosa per rilassarmi.. e così.. mi sono assopita”.

“Il dottore mi ha detto che se continui così, tra un paio di giorni potrai essere dimessa” sussurrò, avvicinandosi al letto.

Al suo silenzio, continuò “C’è una cosa.. una cosa che devo dirti” si accomodò sulla sedia. Emma poté vedere che indossava gli stessi vestiti della mattina, la giacca era tutta gualcita e così i pantaloni.. Lo guardò bene in faccia, vide i segni della stanchezza e i capelli, spettinati..

“Andremo a vivere a Londra” la fissò, assumendo un’aria dura, di chi si prepara ad una battaglia “Il mio appartamento è grande abbastanza e se non sarà sufficiente, ne comprerò uno più comodo. Ma io devo stare là, per seguire i miei affari, e voglio che tu sia lì con me”.

La ragazza annuì smontando immediatamente la tensione e lasciandolo sbalordito. Si era aspettato tutto un altro genere di reazione, una qualche forma di resistenza, almeno verbale.. Invece, lei accettava la sua decisione. Aveva creduto di doverla convincere od imporsi..

La guardò un lungo istante, alla fine disse “Allora, partiamo non appena sarai fuori di qui”.

Emma ricambiò il suo sguardo “Forse Matilde può preparare le mie cose.. io non credo di..”.

La fermò con un cenno della mano “Siamo già d’accordo con i tuoi genitori. Porteremo a Londra tutto quanto”.

In quel momento, entrò un’infermiera che si rivolse a James “L’orario di visita è terminato, signore. Deve accomodarsi fuori”.

Lui annuì, poi tornò a guardare Emma “Allora.. passerò domattina a vedere come stai..” si alzò e dopo un momento di esitazione si chinò per sfiorarle la guancia con le dita “Buonanotte”.

Le labbra pallide di lei si stesero in quello che voleva essere un sorriso. E un attimo dopo, era di nuovo sola.

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Capitolo 15
*** Capitolo Quindicesimo ***


“Voglio che mettiate sbarre alle finestre in tutto l’appartamento e voglio che questo lavoro sia fatto entro domani, al massimo dopo domani” parlava al telefono in modo rapido, sbirciando gli appunti sul tavolo “Dovete svuotare l’armadio nella camera degli ospiti e riempirlo con ciò che sta arrivando da Palermo, subito. Voglio che sia tutto pronto al mio arrivo”.

Ascoltò brevemente quanto gli veniva detto dall’altro capo del filo, poi riprese “No. E’ questa la priorità. Voglio che sia fatto tutto in fretta. E cominciate a cercare del personale.. qualcuno in grado di maneggiare farmaci.. un’infermiera, o qualcosa del genere.. No” disse deciso “Non voglio che Daniel sia informato. Nel caso, sarò io a farlo”.

Due tentativi di suicidio erano sufficienti. Non voleva in alcun modo che Emma ci riprovasse, creando così uno scandalo le cui conseguenze potevano essere incontrollabili. Se avesse saputo ciò che era accaduto qualche mese prima, avrebbe provveduto a tutte le cautele, ma nessuno l’aveva avvisato..

Represse un moto di rabbia e si massaggiò le tempie. Quando aveva incontrato la ragazza aveva visto che qualcosa non andava, ma non aveva certo pensato ad un’eventualità del genere. Se gliel’avessero detto.. Sospirò. Ma chi voleva prendere in giro? Non si sarebbe fermato ma forse avrebbe agito diversamente, mettendole alle costole una guardia del corpo o un’infermiera o una dama di compagnia.. insomma, qualcuno che la tenesse d’occhio ventiquattr’ore su ventiquattro. Esattamente quello che stava per fare a Londra, sotto la propria, diretta, supervisione.

Solo per un secondo pensò a Daniel, che, stravolto dalla rabbia, gli gridava contro “Non conosci nemmeno quella ragazzina..”. Ma si riprese subito. Non era fatto per i rimpianti o i ripensamenti, ma per affrontare i problemi, di qualsiasi genere essi fossero. E questo non era diverso dagli altri.

Si alzò dalla scrivania ed uscì in giardino. Si appoggiò al muretto del portico e si accese una sigaretta, puntando lo sguardo sull’acqua azzurra della piscina. Aveva creduto che una villa bella e lussuosa come quella, vicino alla tenuta dov’era cresciuta, avrebbe consentito ad Emma di vivere bene. Non aveva mai pensato di dividere la casa con lei.. per Dio, aveva pensato di non immischiare quell’affare con la sua vita. Lui stava a Londra ed aveva la sua routine, Emma stava a Palermo e faceva una vita agiata, circondata dalla sua famiglia.. Quello era un affare e così avrebbe voluto gestirlo..

In un moto d’impazienza, gettò a terra la sigaretta e la spense sotto la scarpa.

Doveva decidere che cosa fare della villa. Forse avrebbe dovuto venderla, o affittarla. O tenerla per le volte che sarebbero venuti a Palermo per la famiglia di lei. Un pensiero lo colpì, magari Emma sarebbe stata meglio fra qualche tempo e sarebbe potuta venire qui a vivere, realizzando il suo progetto.

L’idea lo tranquillizzò. Certo, uno stato depressivo poteva essere curato e quando lei fosse stata pronta, sarebbe tornata a Palermo.

Rientrò in casa e si distese a letto, senza tuttavia riuscire a chiudere occhio.

Si alzò alle sette e neanche la doccia riuscì a rimetterlo in sesto. La tensione non lo mollava. Tentò di recuperare il suo solito aspetto autorevole vestendosi come se dovesse presiedere  una riunione d’affari, tirò i capelli con una grande quantità di gel e guardandosi allo specchio decise che poteva andare. Nessuno, guardandolo, avrebbe immaginato il nervosismo che lo pervadeva. Sarebbe apparso il solito, glaciale James Moore III, che niente riusciva a scalfire.

Quando giunse in ospedale, vedendo che nella camera di Emma c’erano i suoi genitori, decise di non entrare. Tornò sui suoi passi e scese al bar, a fare colazione. Non intendeva incontrarli più del necessario. Non sopportava la madre di lei, troppo petulante per i suoi gusti, né tollerava Altieri, già dimenticato dopo la firma del contratto di fusione. E poco importava che si trattasse della famiglia di sua moglie. Una volta che fossero arrivati a Londra, avrebbe cercato di dimenticarsi di loro. Non aveva idea di che cosa pensasse e volesse Emma rispetto ai suoi genitori, ma per il momento, si sarebbe dovuta adattare alle sue decisioni.

Uscì dal bar e, rientrando nell’ospedale, vide il negozio di fiori. Comprò un piccolo bouquet di roselline bianche e gialle e salì con l’ascensore. Un mazzo di fiori era una buona mossa, Emma avrebbe apprezzato l’attenzione, come tutte le ragazze. Forse non era un pensiero spontaneo e disinteressato, ma rientrava nella sua intenzione di rendere le cose più facili ed accettabili. E poi, voleva che la governante, Matilde, smettesse di fissarlo con quella fastidiosa espressione di diffidenza. Aveva visto lo stretto legame che c’era tra la donna ed Emma e voleva che Matilde non gli mettesse i bastoni tra le ruote.. Sapeva che Emma parlava con lei e magari si lasciava consigliare..

Ma dovette cambiare subito idea, quando vide l’anziana domestica uscire dalla camera con le lacrime agli occhi. Quasi lo scontrò.

“Mi dispiace, signor Moore. Ma Emma..” scuoteva la testa, tamponandosi gli occhi con una fazzoletto “Santo cielo, sapevo che l’avrebbe rifatto.. ma..”.

James le si sedette accanto, nella sala d’aspetto “Sapeva che c’era quest’eventualità?”.

“Ma si, si, chiunque l’avrebbe visto.. chiunque tranne i suoi genitori” fece sconsolata “Mi rendo conto che non dovrei dire queste cose, ma sento che è la verità. Emma non mangiava né parlava più.. credevano che la novità dal fidanzamento e del matrimonio l’avrebbe aiutata.. ma dopo la fuga con quel ragazzo.. era evidente che le cose erano destinate a peggiorare”.

“Emma è fuggita con un ragazzo?”.

“Quel Tyler Greenwood. Dicevano di essere innamorati, e così un giorno sono scappati insieme, senza andare molto lontano..” sospirò appoggiandosi allo schienale della sedia “La separazione forzata da lui, beh..”.

“Pensa che sia stato il matrimonio a provocare.. questo?” la fissò in attesa sperando che la tensione non affiorasse nella sua espressione. L’idea che in qualche modo Daniel avesse avuto ragione lo infastidiva anche troppo..

Ma la donna disse “No. Emma sta male da così tanto tempo” un sorriso triste passò sul suo viso “Forse andare via da qui la aiuterà” lo fissò “Le raccomando la mia bambina, signor Moore. Se anche non.. ci sono sentimenti tra voi, le raccomando Emma ugualmente..”.

James raddrizzò la schiena, distogliendo lo sguardo. Non sapeva realmente che cosa dirle. Di certo, avrebbe badato alla ragazza, perché uno scandalo avrebbe annullato ogni effetto positivo provocato alla fusione tra le due aziende. Poi rifletté che per il momento quell’intenzione poteva essere più che sufficiente per Matilde, al di là delle sue motivazioni.

Così, si ritrovò a mormorare “Non deve preoccuparsi per Emma. Penserò io a lei”.

La donna annuì, seria “Sono contenta di sentirglielo dire, signore, perché non sa quanto quella bambina abbia bisogno di qualcuno che si curi di lei”.

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Capitolo 16
*** Capitolo Sedicesimo ***


Emma si accorse a malapena di essere salita su un aereo al fianco di James e di aver trascorso due intere ore seduta accanto a lui. In realtà, era ancora immersa in una strana sensazione soporifera, dovuta alla debolezza fisica, che le impediva di rendersi perfettamente conto di quanto le succedeva intorno. Sentiva il braccio indolenzito, a causa dell’ago della flebo che le avevano appena sfilato, e le gambe molli, dal momento che era rimasta sdraiata a letto almeno una settimana.

Era certa soltanto della presenza di James perché ne riconosceva il profumo, che strano. L’aveva incontrato solo al matrimonio e poi durante le brevi visite in ospedale e tuttavia riusciva a riconoscere il suo profumo, acqua di colonia, fumo, forse, una miscela diversa da quello di chiunque altro avesse mai incontrato. Pensò a Tyler, e le si strinse il cuore. Lui sapeva di salsedine, perché avevano passato così tante ore in spiaggia, sapeva di menta, perché era goloso delle granite del chiosco..

Chiuse gli occhi, voltando la testa verso il finestrino.

Nonostante il torpore, sapeva dove stava andando. A Londra, in una casa nuova, in una città di cui a malapena conosceva la lingua. C’era James, certo, ma non conosceva nemmeno lui.. La cosa non la spaventava più di tanto. Era una vita che era sola.

Salì sulla macchina nera che li aspettava fuori dall’aeroporto tenendo ben stretta la mano di lui. La gente le sfrecciava intorno senza riguardo, qualcuno l’aveva anche spinta.. Così, quando si ritrovò seduta sul sedile posteriore dell’auto, si sentì al sicuro. Vide James dare alcune istruzioni all’autista e poi rilassarsi a sua volta. Ricambiò il suo sguardo, abbozzando un sorriso.

“Hai fame? Possiamo fermarci da qualche parte”.

Ma lei scosse la testa “No. Sto bene”.

Allora, lui annuì “Splendido. Quando saremo a casa, potrai iniziare a sistemarti nella tua camera, vedrai che sarà di tuo gradimento e se ti verrà fame..” la scrutò “Ho fatto riempire il frigorifero..”.

“Grazie” disse Emma “Ma credo di aver solo bisogno di una doccia e di un po’ di riposo”.

L’ascensore le parve immenso, con un grande specchio in cui vide sé stessa, piccola e magra, e James, che la sovrastava, serio ed elegante come sempre. Guardò i propri vestiti, i jeans chiari e la giacca rosa che Matilde le aveva cucito l’anno precedente.. Abbassò gli occhi, concentrandosi sulle scarpe. Lei indossava un vecchio paio di comode nike, lui scarpe lucide e di ottimo taglio.

Ma che cosa ci faccio qui. Il pensiero di essere nel posto sbagliato con la persona sbagliata le attraversò la mente, mettendola subito a disagio. Perché doveva sentirsi sempre così, a disagio? Era questa una sensazione che la seguiva continuamente, che la invischiava, che la costringeva a sentirsi così. Inadeguata. Sbagliata. Inutile.

Le porte dell’ascensore si spalancarono su un grande salone, inondato da una strana luce lunare. Le finestre infatti non avevano scuri ma sbarre di ferro. Guardandosi intorno, Emma vide che c’erano ad ogni vetro, dalla cucina alle camere, ai bagni. Seguiva James che le mostrava l’appartamento e notava le sbarre. Pensò di essere in prigione.. ma quell’idea l’abbandonò come era venuta. No. Non qui. La prigione è un’altra cosa.

“La tua camera” disse lui. Ed Emma vide il letto, enorme, l’armadio, già pieno dei suoi vestiti, la scrivania, il computer, il piccolo bagno attiguo. Tutto bello, lussuoso, lucido.

Si sedette sul materasso e lo guardò “La tua casa è bella”.

James sorrise “Beh.. è anche casa tua” appoggiò la sua valigia sulla poltrona “Voglio che tu ti senta a tuo agio”.

Lo fissò. Ecco, una parola che non era nel suo dizionario. Ricambiò il suo sorriso “Grazie”.

 

Fece la doccia, velocemente, s’infilò la camicia da notte e la vestaglia e prese le pastiglie. Uscì dalla camera e trovò James seduto al computer, al buio. Gli andò vicino e solo allora lui mostrò di accorgersi della sua presenza.

Guardò il bicchiere e le pillole. Si alzò “Ok, starò a guardare”.

Un minuto dopo, Emma tornò in camera e si mise sotto le coperte, addormentandosi subito. Il suo sonno senza sogni non fu disturbato da James, che entrò silenziosamente e rimase a guardarla un bel po’, prima di voltare le spalle e dirigersi alla propria stanza, lasciando tutte le porte aperte.

Come aveva ordinato, qualsiasi tipo di chiave era già scomparsa.

 

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Capitolo 17
*** Capitolo Diciassettesimo ***


Quando entrò in cucina, vide James seduto al tavolo. Leggeva il giornale ed intanto faceva colazione. Notò la marmellata, il burro, la padella con uova e bacon. Quando si accorse di lei la salutò e le diede il buongiorno. Emma ubbidì ma rimase ferma, sentendo lo stomaco chiuso in una morsa. Lo guardò versarle un po’ di uova e del succo di frutta. Mentre lo faceva, le raccontava allegramente di come gli inglesi adorassero le colazioni sostanziose e la pancetta.

“Vedrai che ti piacerà” la incoraggiò. Sotto il suo sguardo, ingoiò un cucchiaio di uova e un sorso si succo, poi disse “Credo.. credo che dovrò abituarmi..” appoggiò la forchetta.

“Certo. Ma se vuoi, posso prepararti un cappuccino” fece per alzarsi, ma lo fermò “No, grazie. Va bene così”.

Sorseggiando il caffè, le annunciò che stava per arrivare la domestica che si sarebbe occupata della casa. Le disse che non ne aveva mai avuto bisogno, perché prima qui ci viveva da solo, ma adesso, le cose erano cambiate. Emma ascoltava tutto, senza intervenire. Come sempre, come al solito.

La donna arrivò qualche minuto più tardi. James le disse che cosa si aspettava da lei, ma Emma sentì lo sguardo della nuova venuta su di sé per tutto il tempo. E capì. Capì che la donna di nome Jenny non era lì per la casa, era lì solo ed esclusivamente per la piccola Emma, per seguire i suoi passi, per evitare che tentasse di tagliarsi i polsi o di prendere troppe medicine. O di buttarsi dalla finestra. Si voltò di scatto verso le vetrate e finalmente ebbe chiara la ragione delle sbarre.

Il suo sguardo corse a James, che continuava a dare istruzioni alla donna. Perché lo stava facendo? Pensava davvero che avrebbe di nuovo provato a..?

Abbassò la testa, chiedendosi poi la ragione per cui non dovesse davvero pensarlo..

“Io devo andare”.

La voce di lui la scosse. Si stava già infilando la giacca e si dirigeva alla porta “Ci vediamo più tardi”.

Jenny la aiutò a finire di sistemare le sue cose e le preparò il pranzo, a base di pastasciutta ed insalata mista. La guardò, mentre ingoiava qualche boccone e poi allontanava il piatto, alzandosi per andare in camera. Si chiuse in bagno, esausta degli occhi della donna su di sé.. Si appoggiò alla parete, riprendendo fiato prima di estrasse il ferro da maglia dal beauty case. Le ci vollero pochi secondi per provocare i conati e vomitare quanto aveva ingerito poco prima. Fece piano, per non farsi sentire dal mastino che James le aveva messo alle calcagna.

“Sta bene, signora?”.

La voce della donna proveniva da dietro la porta. Lei alzò di scatto la testa e disse, con voce un po’ tremante “Bene.. Grazie.. Sto uscendo”. Si guardò rapidamente allo specchio. Aprì il rubinetto dell’acqua e si rinfrescò il viso.

Uscì poco dopo e trovò Jenny intenta a infilare i piatti nella lavastoviglie. Quando la vide disse “Deve prendere le pastiglie, signora”.

Lei annuì, seguendola in camera.

 

Il rumore dell’ascensore le annunciò l’arrivo di James. Dalla sua camera, lo sentì aggirarsi per il soggiorno per qualche minuto, poi sentì i suoi passi nel corridoio. Era fermo davanti alla sua porta. La aprì.

“Sei ancora sveglia” sussurrò stupito. Emma vide che si era slacciato la camicia e tolto la cravatta. Vide che era stanco. Beh, era uscito alle otto e rientrato adesso, alle undici passate.

“..le medicine non sembrano fare effetto, stasera” disse lei sollevandosi un poco.

Lui avanzò nella camera e la osservò un momento prima di dire “Qualche pensiero..?”.

Al suo diniego, riprese “Se vuoi, posso prepararti una camomilla”.

“Non occorre. Sono sicura che fra due minuti sarò addormentata” abbozzò un sorriso.

“Va bene. Allora.. buonanotte” e si avviò all’uscita. Lasciò la porta socchiusa e dopo un momento di esitazione tornò in soggiorno. Si avvicinò al bar e si versò del bourbon. Sedette in poltrona, chiuse gli occhi ed appoggiò la testa allo schienale morbido.

Il rumore dell’ascensore che scendeva lo svegliò di soprassalto. Non si era accorto di essersi assopito. Sospirando, si sollevò e si diresse verso le camere. Aprì quella di Emma e vide che dormiva. Allora, lasciandola spalancata, si decise ad andare a letto.

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Capitolo 18
*** Capitolo Diciottesimo ***


Quelle prime settimane a Londra trascorse abbastanza tranquille. Emma usciva spesso con Jenny a conoscere la città, a fare spese o solamente a passeggiare. Periodicamente, riceveva una telefonata da sua madre, che la informava di quanto accadeva a casa e, qualche volta, le chiedeva notizie sulla sua salute.

Aveva inoltre iniziato ad incontrare un altro medico, Robert. Era diverso dal dottore di Palermo. Era più vecchio, con buffi occhialetti tondi che gli donavano un’aria retrò e gilet dai colori più incredibili, di cui, con ogni evidenza, possedeva un’intera collezione.

Si era trovata bene con lui. Non le faceva domande, ma aspettava che fosse lei ad iniziare il discorso, come aveva sempre fatto il medico precedente. Di solito, Emma gli parlava delle cose che faceva con Jenny, dei suoi discorsi con James, che comunque incontrava pochissimo a causa del suo lavoro, dei suoi progetti per il futuro..

Parlava spesso della possibilità di finire gli studi e diplomarsi. Gentilmente, Robert le consigliò di chiedere aiuto a James.

E lei lo fece.

Una sera James era rientrato prima delle nove e l’aveva trovata seduta davanti alla televisione. Emma non aveva aspettato e glielo aveva chiesto. Come poteva fare a diplomarsi, a Londra?..

L’uomo annuì sedendole davanti “Non so esattamente quale sia la trafila, ma posso informarmi..” la guardò sorridendo “Sono contento che ti sia decisa”.

“Ho molto tempo e non vorrei sprecare gli anni del liceo” disse guardandosi nervosamente le mani “Ero una brava studentessa”.

“Ne sono sicuro” fece lui alzandosi “.. hai già mangiato?” la sbirciò da sopra la spalla.

“Si”.

Non poteva sapere che Jenny l’aveva informato dell’esiguità dei suoi pasti. Jenny, inoltre, gli aveva detto che sospettava fortemente che Emma si chiudesse in bagno a vomitare ogni volta che inghiottiva qualcosa.

“Che ne dici di prendere un po’ di gelato insieme a me?”.

E cinque minuti dopo le aveva riempito una tazza di cioccolato e crema. Mentre lui gustava il dessert, lei ne assaggiò un po’ e poi, come faceva sempre, appoggiò il cucchiaio e si alzò, dicendo che aveva bisogno del bagno.

Una volta sola, estrasse velocemente il ferro e cominciò a provocarsi i conati. Per poco non cadde a terra quando sentì la voce di James proprio dietro la porta “Che cosa stai facendo?”.

Non c’era nemmeno l’ombra della gentilezza di poco prima. Stava bussando forte ed il suo tono era teso. Emma tentò di nascondere il ferro, ma, a causa dell’ansia che l’aveva colta, i suoi movimenti erano scoordinati e le cadde a terra, rotolando ai piedi della parete.

Quando alzò lo sguardo, vide James fermo sulla soglia, che la fissava furioso.

“Dunque è proprio così” le passò accanto e raccolse da terra il ferro, girandolo tra le mani “Ti provochi il vomito.. Per Dio, stentavo a crederci quando Jenny me l’ha detto. Pensavo che quella donna fosse pazza”.

Il suo sguardo scivolò dal ferro al volto di lei, congelato dall’angoscia. Non aveva paura, si sentiva.. scoperta.. tradita..

“Ma che cosa vuoi fare? Morire di fame e sete? Qui, in casa mia?” le urlò, scagliando di nuovo a terra l’oggetto.

Emma lo guardò, recuperando un po’ di controllo e notò che i suoi occhi azzurri erano più scuri, adesso, erano pozzi impenetrabili. Riconosceva la furia, quando l’incontrava.

“Non sono affari tuoi” gli disse alzando il mento “Non lo sono mai stati e non lo saranno mai”.

Lo vide respirare a fondo. Immaginò che se avesse avuto di fronte un uomo, l’avrebbe di certo colpito. Evidentemente, non era abituato ad essere contraddetto.

Con voce tagliente, scandì bene “Non sono affari tuoi”.

Per tutta risposta, James prese di nuovo il ferro ed uscì dal bagno. Lei lo seguì e vide che apriva veloce la cassaforte e lo gettava dentro, richiudendola con un colpo secco.

“Di questo puoi fare a meno” disse, voltandosi a guardarla.

Emma strinse la mascella schiacciandosi contro la parete. Si sfidarono con gli occhi per alcuni secondi, la tensione si tagliava col coltello. La voce di lui suonò chiara “I tuoi sotterfugi non servono con me, Emma. Non c’è un secondo del giorno e della notte in cui non sei sotto controllo e ora, che ho scoperto il tuo piccolo segreto, la sorveglianza sarà ancora più stretta” incrociò le mani sul petto e fece un ghigno “Lascerai la porta della tua camera aperta, tutta la notte..”.

Non le disse che accadeva già, a sua insaputa.

L’espressione di Emma non cambiò. Camminando lungo la parete, imboccò il corridoio e quasi corse in camera, sbattendo la porta.

Un momento dopo, James riaprì la porta e la spalancò bene “Questa rimane così” e dopo un’ultima occhiata, tornò in sala. Dove si versò una generosa dose di alcool.

 

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Capitolo 19
*** Capitolo Diciannovesimo ***


Evitare James non era così facile. Non esistevano chiavi nell’appartamento e Emma non conosceva i suoi orari; lui compariva senza che lei se ne accorgesse. Certe mattine pensava che fosse già uscito, ed invece le passava davanti mentre faceva colazione, alcune sere rientrava per l’ora di cena, costringendola a mangiare con lui. Non parlavano più come prima. James si limitava ad osservare, la parola giusta era controllare, che lei mangiasse, che prendesse le medicine, che non chiudesse le porte..

L’orario di lavoro di Jenny era aumentato. Adesso, era lei che le dava le pastiglie, la sera, per poi chiuderle nell’armadietto, a cui James aveva applicato un lucchetto. Le cui chiavi ovviamente teneva Jenny.

Emma non aveva protestato. D’altronde, non aveva mai fatto altro in tutta la sua vita che accettare ciò che qualcuno decideva per lei.

Una mattina trovò sul tavolo del soggiorno una cartellina con tutte le informazioni per prendere il diploma in Inghilterra.. James l’aveva lasciata per lei. Da quel che aveva letto, aveva capito di doversi iscrivere ad una scuola privata dove seguire i corsi integrativi e fare gli esami da privatista.

Glielo disse quella stessa sera. Lo trovò davanti al computer, al buio. Si fermò accanto al tavolo ed incontrò i suoi occhi severi.

“Domani andrò al British Institute per l’iscrizione ai corsi” lo informò seria. Lui annuì “Bene. Vi manderò la macchina in mattinata..”.

Emma ebbe l’impressione che stesse per aggiungere qualcosa, ma lui non lo fece e lei si voltò per dirigersi in camera, rossa in viso. Era ancora così vivo il ricordo della sfuriata di qualche sera prima che le era impossibile guardarlo più a lungo di così.

 

Daniel entrò nell’ufficio di James senza bussare, come faceva spesso. James lo guardò sedersi davanti a lui e sospirare.

“Allora, come va il matrimonio?” sollevò il sopracciglio con aria sarcastica.

“.. non sono in vena di giochetti, stamattina” lo avvisò tornando a leggere i documenti aperti sul tavolo “Puoi prendere un appuntamento, se vuoi”.

“Guai in paradiso, dunque” continuò l’altro con lo stesso tono.

“Daniel, dico sul serio” sospirò senza guardarlo “Ho molto da fare e sarò felice di parlare con te dietro appuntamento”.

“E invece, io voglio parlarti adesso” s’impuntò il ragazzo “Per una cosa veloce, in verità” strinse gli occhi “Voglio incontrare la piccola Emma.. che tieni chiusa nel tuo lussuoso appartamento..”.

James alzò finalmente la testa e lo fissò “..perché?”.

“Come, perché? Perché è tua moglie, mia cognata, e sono anni che non la vedo.. da quand’era alta più o meno così” e fece un cenno della mano alla propria destra “Vorrei anche farmi perdonare per non aver tenuto fede alla promessa di amore eterno che c’eravamo scambiati vari anni fa”.

“Oh, per l’amor del cielo!” sbottò James, scattando in piedi “Smettila con queste sciocchezze. Se vuoi venire a cena, vieni. Quando ti pare..” gli diede le spalle, guardando fuori dalla vetrata ed infilando le mani in tasca “Non c’è alcun problema, solo finiscila con queste stupidaggini”.

Il tono usato dal fratello colpì Daniel che, alzandosi a sua volta, mormorò “Va bene stasera?”.

Voltandosi a guardarlo, annuì sospirando stancamente “Certo. Vieni stasera. Alle nove”.

Rimasto solo, James si passò una mano sul viso, sentendosi stanco e nervoso. Tutto ciò che stava accadendo era molto difficile da gestire, Emma, era difficile da gestire.

Dalla sera in cui l’aveva beccata a vomitare, a stento gli rivolgeva la parola, lo evitava quanto poteva, sembrava essersi spenta.. Aveva creduto di vederla scattare, sbraitare, incazzarsi per il suo atteggiamento, invece lei, dopo quel primo tentativo di resistenza, si era piegata. E aveva continuato a mangiare come un uccellino, anche senza correre in bagno a rigettare.

In certi momenti, si rimproverava per quella sfuriata. Oh, Dio, Emma non era una bambina e lui non era suo padre.. tuttavia, il pensiero che lei potesse auto distruggersi in casa sua, davanti ai suoi occhi, gli aveva fatto vedere rosso.. L’avrebbe anche colpita se non fosse stata così esile ed indifesa..

 

Leyla gli massaggiò le spalle, seduta sul letto dietro di lui. E James si godeva quelle attenzioni che normalmente riuscivano a sciogliere la tensione che accumulava.. Tuttavia, stavolta l’abile tocco della ragazza sembrava non ottenere l’effetto desiderato. La mente di lui indugiava sull’immagine di Emma che evitava il suo sguardo, che vagava per l’appartamento senza parlare per giorni interi, che dormiva solo perché sotto l’effetto delle pastiglie.. Strofinandosi nervosamente la fronte, sospirò, poi appoggiò le proprie mani su quelle di lei e la fermò. La tirò davanti a sé. La guardò sorridendo “Credo che me ne andrò..”.

Leyla mise il broncio “Ma sei appena arrivato..”.

Le baciò la guancia “Lo so. Ma devo proprio andare”.

Si infilò la camicia, aggiustò la cravatta e si diresse alla porta. Doveva uscire da lì e schiarirsi le idee. Non poteva continuare a rimproverarsi per quel che era accaduto e per aver creato un’atmosfera invivibile in casa. Beh, non poteva né doveva, probabilmente, ma lo faceva.

Si diresse all’appartamento. Emma e Jenny non erano ancora tornate, così iniziò a preparare la cena per Daniel. Si tolse la giacca, arrotolò le maniche della camicia e si chiuse in cucina. Scongelò l’arrosto, pelò le patate, pulì accuratamente l’insalata e mise nella gelatiera tutti gli ingredienti per preparare il gelato alla crema.

Non si rese conto del tempo che passava, così fu stupito di sentire l’ascensore aprirsi e la voce di Jenny.

Uscì solo allora dalla cucina.

Emma rimase immobile, vedendolo, mentre Jenny si toglieva il cappotto. James la fermò, dicendole che poteva andare, per quel giorno.

Pochi minuti dopo, erano rimasti soli.

“Questa sera viene Daniel a cenare con noi” le disse imbarazzato “Ti ricordi di mio fratello? Veniva in vacanza a Palermo”.

Emma fece un cenno con la testa, poi si voltò per andare in camera, ma lui la richiamò “Vorresti aiutarmi ad apparecchiare la tavola?”.

Lei esitò un momento, poi si girò ancora e si avvicinò al comò dove c’erano le tovaglie pulite. Ne prese una e cominciò a sistemarla sul tavolo di cristallo. James prese piatti e bicchieri e infine le posate. Tutto avvenne rapidamente ed in perfetto silenzio. Un perfetto silenzio assordante per lui, che, ad un tratto, sospirò e la guardò “Senti, Emma” vedendo che lei non l’ascoltava continuando a sistemare le posate, alzò la voce “Emma”.

Il suo tono richiamò l’attenzione della ragazza. Lo guardò e James odiò l’espressione che le lesse in viso. Dolente, forse, o vuota.. e chi lo sapeva.. Riprese “Mi dispiace per aver perso il controllo, l’altra sera. Mi dispiace. Ma.. ero sconvolto, scioccato..” la scrutava cercando le parole giuste “Io.. mi sono seriamente preoccupato per te.. e.. ho perso il controllo” ripeté sentendosi improvvisamente sciocco. Lei lo fissava in silenzio, le labbra strette, le braccia abbandonate lungo i fianchi.

La sentì dire “Non importa, James. Va tutto bene. Davvero. So che ti preoccupi per me”.

James spalancò gli occhi. La sua voce era suonata gentile, certo, ma piatta e lontana. Capì che lei, in realtà, si stava nascondendo. Non gli avrebbe permesso di scalfire la corazza invisibile che la circondava difendendola dal mondo esterno.

Rassegnato e tuttavia deciso a spezzare quell’atmosfera tetra, annuì “Va bene.. quindi.. siamo a posto?” la fissò in attesa di un qualsiasi cenno, e fu accontentato. Emma abbozzò un sorriso tirato “Certo” mormorò.

 

Daniel guardò un lungo momento Emma, poi le andò vicino e le prese una mano. Se la portò alle labbra “Ciao, ragazzina” la salutò chiamandola nel modo in cui la chiamava allora. Lo sguardo di lei si accese per un momento, gli sorrise “Ciao, Daniel”.

Si sedettero e James portò in tavola l’arrosto. Daniel non smise un attimo di guardarla, mentre raccontava alcuni episodi divertenti capitati all’università col preciso intento di mantenere la conversazione su toni superficiali. James si rese perfettamente conto che volutamente non aveva sfiorato l’argomento del loro passato di fidanzatini e gli fu silenziosamente grato.

“Ti sei diplomata?” le domandò, mentre prendevano il caffè “Ricordo che eri una secchiona..” scherzò facendole l’occhiolino.

“Non ancora. Ma intendo farlo qui, da privatista. Proprio oggi sono andata ad iscrivermi ai corsi..” lanciò un’occhiata a James “Frequento letteratura inglese, letteratura italiana e arte, per questo semestre”.

“Ma allora potrei aiutarti a studiare!” propose Daniel “Che ne dici?” poi guardò il fratello “Credi che si possa fare?”.

Emma annuì “Sarebbe gentile da parte tua..” le brillarono gli occhi. James rimase senza fiato, in tutte quelle settimane non aveva mai visto quella luce negli occhi di lei. Beh, forse la sera della sfuriata, per un istante.. Una scintilla di vita che aveva squarciato il vuoto e la tristezza di sempre…

Le portò le medicine in camera, più tardi. La guardò inghiottirle, poi sussurrò “Non hai mangiato quasi niente stasera”. Lei strinse le labbra senza rispondere. James disse esitante “Ho paura che tu possa sentirti male sul serio. Basterebbe che  assaggiassi qualcosa..” la fissò.

Emma ricambiò lo sguardo ed annuì “Tenterò”.

“Okay” sospirò lui, guardandola infilarsi sotto le coperte.

 

Ciao a tutti. Un piccolo ps per ringraziare chi legge e chi commenta. Sono contenta che la storia di Emma vi piaccia e vi commuova. Grazie.

Ezrebet

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Capitolo 20
*** Capitolo Ventesimo ***


In certi momenti, le pareva di essere tornata ragazzina, tra i banchi di scuola. Daniel apriva il libro e leggeva per lei, poi insieme discutevano e fissavano i punti più importanti sottolineando e ripetendo le parti a memoria. Le piacevano i pomeriggi di studio con lui.

Ogni tanto, le raccontava di ciò che succedeva all’università e faceva l’imitazione dei professori e dei compagni di corso, facendola sorridere. Emma pensava che quelle ore fossero le più serene della sua vita. La facevano sentire bene, come l’ora settimanale da Robert, il suo dottore. Erano come parentesi brillanti nel grigiore della sua esistenza..

Un pomeriggio, invece di studiare, Daniel la portò ad Hyde Park, le offrì un muffin e lo gustò con lei seduto su una panchina, incurante del freddo. Novembre stava finendo e ben presto avrebbe nevicato..

“Non ti piace molto mangiare, non è così? Dio, in questo momento potrei ritirare quel che ho appena detto!” le pulì il mento dalle briciole del dolcetto.

Emma si irrigidì per un istante, poi alzò le spalle “E’ vero.. semplicemente, non sento la fame”.

“Com’è possibile!” allargò le braccia stupito “Io ho bisogno di milioni di calorie al giorno per sopravvivere.. qual è il tuo segreto?”.

Lei rise “.. non lo so. Mi si chiude lo stomaco e non riesco a mandare giù niente.. devo vomitare..” divenne seria, rendendosi conto di averlo ammesso per la prima volta.

Daniel le accarezzò il viso teneramente “Spero che tu riesca a stare meglio. A stare come stai ora, in questo momento..” la guardò un attimo, poi si alzò in piedi “Che ne dici di andare a trovare James?”.

“Ma.. lui sta lavorando..non so se..” obbiettò.

“Sarà contento di fare una pausa” la prese saldamente per mano e si diresse alla metropolitana.

 

La segretaria li guardò entrare sbalordita. Il trambusto che provocarono costrinse James ad uscire dall’ufficio. Stava per brontolare quando ciò che vide lo bloccò. Emma aveva le guance in fiamme, gli occhi luminosi e i capelli scuri le uscivano sbarazzini dal grosso cappello, incorniciandole l’ovale del viso. Sorrideva felice, autenticamente felice, ed aveva un baffetto di cioccolato proprio sul mento.

Il suo cuore dette un balzo, lasciandolo turbato più del necessario.

“Ciao, fratello. Guarda chi ti ho portato!” fece Daniel spingendo Emma verso di lui. La ragazza si fermò e smise di ridere, guardandolo. La luce nei suoi occhi neri non si era spenta. Gli parve eccitata.. “Non è che hai qualcosa di caldo per noi? Un thè o un caffè.. tanto per mandare giù il muffin?”  Daniel gli fece dondolare davanti al naso il sacchetto della pasticceria “Non preoccuparti, ce n’è uno anche per te!”.

Incantato dalla versione di Emma che aveva davanti agli occhi, James riuscì ad annuire con un cenno della testa. Poi, lentamente, si voltò e rientrò in ufficio, lasciandoli passare.

La ragazza si guardò intorno. L’ufficio di James era come se l’era immaginato. Una scrivania di legno scuro, sedie imbottite, mensole piene di libri e documenti.. Tornò con lo sguardo su di lui e vide che non le staccava gli occhi di dosso. Gli sorrise, togliendosi il cappello “Daniel ha detto che non ti avremmo disturbato..”.

“Infatti. Non stavo facendo niente di importante”.

Si accomodarono sui divanetti, mentre la segretaria portava le tazze di thè.

“Eravamo stanchi di studiare” alzò le spalle Daniel “E abbiamo fatto una passeggiata..”.

“Ed è stato divertente?” chiese James guardando Emma. Lei annuì “Non ero mai stata a Hyde Park”.

Rimasero in ufficio un’altra mezz’oretta durante la quale Daniel ed Emma gli raccontarono dei loro studi e dell’intenzione che avevano di visitare il British Museum al più presto.

Una volta solo, James rimase a lungo seduto sul divano, rivedendo all’infinito l’immagine di Emma quando era entrata. La parola che gli veniva in mente era “viva”. L’aveva turbato profondamente e, come un ragazzetto, non era riuscito a toglierle gli occhi di dosso. Improvvisamente, capì di non conoscere minimamente la ragazza che aveva sposato, nonostante il controllo che esercitava su di lei.

La segretaria entrò per portare via le tazze e gli sorrise “Sua moglie è davvero deliziosa, mister Moore” gli disse.

Lui ricambiò il sorriso, senza risponderle.

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Capitolo 21
*** Capitolo Ventunesimo ***


Robert versò un po’ di thè nelle tazze e ne diede una ad Emma. Lei la strinse tra le mani, godendo della sensazione di calore che la pervase. Lo guardò appoggiarsi alla scrivania proprio di fianco a lei. Le sorrise “Studiare, qualche volta, è una medicina molto efficace. Soprattutto se si studia in compagnia”.

La ragazza assaggiò il thè, pensierosa. Poi disse “Mi piace studiare, imparare a memoria poesia e passi di prosa. Mi ero dimenticata quanto mi piace, in realtà. E poi, Daniel” sospirò “Ha una pazienza infinita. Ed è divertente”.

“Sembra che tu abbia trovato un amico”.

Emma alzò di scatto la testa. Ecco un’altra parola che mancava da un po’ nel suo vocabolario. Anzi.. non ricordava proprio l’ultima volta che aveva potuto identificare qualcuno come suo amico. Forse, ai tempi delle elementari. Notando la sua espressione, Robert rise “Una parola davvero spaventosa”.

“.. se intende qualcuno disponibile, affettuoso, che vuole aiutare.. beh, si, Daniel è mio amico”. Era stupita della facilità con cui stava assimilando il concetto. La definizione che stava dando di amico calzava a pennello a Daniel e il tipo di rapporto che avevano era certamente definibile amicizia.

Robert girò intorno al tavolo e si sedette in poltrona, con aria pensosa. La guardò “E invece, la tua relazione con James?”.

Emma puntò gli occhi in quelli del medico “E’ mio marito”.

“Certo. Ma di che cosa è fatta, la vostra relazione?.. E’ divertente? Affettuosa?..” la fissò “Riesci a definirla?”.

“Mi controlla” disse lei precipitosamente “Ha paura che io possa.. stare male..” balbettò, appoggiando la tazza sul tavolo davanti a sé “E’ molto buono”.

Lo sguardo di Robert non la lasciò. L’uomo non disse niente, sapeva che Emma non aveva ancora finito. Infatti, pochi istanti dopo, la sentì mormorare “Si preoccupa per me. Tiene alla larga da me i pericoli” prese a torturarsi la fede al dito.

Robert sussurrò dolcemente “Come definiresti dunque la vostra relazione?”.

Gli occhi di lei saettarono per la stanza, prima di tornare a fissare l’anello al dito “..non so definirla, dottore”.

“Allora, come ti senti quando sei con lui” la incalzò appena.

Lei si mosse sulla poltrona, nel tentativo apparente di mettersi più comoda, ma il medico sapeva che era nervosa, in grande difficoltà, perché capiva benissimo come si sentiva rispetto a James, ma non voleva dirlo.

Perciò la sua ammissione lo stupì molto. In tono appena percepibile, sussurrò “Mi sento in trappola”.

Robert guardò i suoi occhi pieni di lacrime ed attese, perché forse c’era dell’altro. Ed infatti, lei riprese “Mi sento in colpa perché non dovrei sentirmi in trappola.. perché lui pensa a me in ogni modo e dovrei ringraziarlo ma..” adesso le lacrime scendevano libere sulle sue guance “..ma mi sembra di vivere in una prigione, e non vorrei sentirmi così”.

Un momento dopo, Robert si sporse un poco e le tese un fazzoletto, rimanendo a guardarla in silenzio.

 

Entrando in casa, si rese conto che James era già arrivato. Sentì chiaramente l’acqua scrosciare nella doccia. Guardò Jenny che appoggiava le borse della spesa in cucina e che la salutava. Si trovò così sola nel soggiorno. Si tolse le scarpe, si sedette in poltrona e chiuse gli occhi. Aveva pianto così tanto dal medico che aveva dovuto rifugiarsi in bagno e rimettere a posto il trucco. E tuttavia, gli occhi erano ancora rossi. Jenny non le aveva chiesto la ragione del suo aspetto sconvolto, ma d’altra parte Jenny non le chiedeva mai niente. Sembrava sempre così sicura di quello che fosse giusto fare in ogni momento e non sembrava interessata troppo a lei.. Oh, certo, le interessava che prendesse le medicine, che non vomitasse, che non si tagliasse le vene..

“Sembri stanca”.

La voce di James la riportò alla realtà. Sollevò le palpebre e lo vide in piedi davanti a sé, con i jeans e senza maglietta. I suoi capelli erano ancora umidi e riccioli ribelli gli cadevano sulla fronte. Non l’aveva mai visto così e le ricordò Daniel ai tempi della loro vacanza al mare.

“E’ così” gli rispose, alzandosi dalla poltrona “Credo che andrò a cambiarmi..” si diresse in camera.

“Ho ordinato la pizza” le disse “Spero ti piaccia”.

Quindici minuti dopo erano seduti in cucina davanti a due enormi pizze grondanti mozzarella. James aveva subito attaccato la sua, versandosi un’abbondante birra nel boccale, mentre Emma aveva iniziato ad attorcigliare la mozzarella con la forchetta, come se si trattasse di un piatto di spaghetti. Non aveva voglia di mangiarla, ma non voleva che James iniziasse i suoi soliti discorsi.. Se ne portò alle labbra un pezzetto, poi appoggiò le posate e bevve un po’ d’acqua.

Ad un tratto, lui ruppe il silenzio, dicendo, in tono leggero “Venerdì sera c’è una cena con il consiglio d’amministrazione della Moore&Moore. Tutti si aspettano di conoscere la moglie del presidente” la guardò “..non credo possiamo deluderli”.

Emma aprì la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse subito, tornando a fissare il proprio piatto. In realtà non sapeva che cosa dire. Non le stava chiedendo se voleva andare,  lo stava ordinando. E non c’era modo di sottrarsi.

“Non sarà una cosa troppo formale né pesante. Di solito non dura più di un paio d’ore” aggiunse lui “Si parla d’affari.. e quelle cose lì. Niente di drammatico” le sorrise.

“Non ho vestiti da sera” fece lei.

“Dirò a Jenny di portarti nelle migliori boutique di Londra” esclamò “E tu potrai svuotarle..”.

Lo sguardo che lei gli rivolse turbò James. Gli era sembrata una buona idea proporle un’uscita.. Forse, tutto quello che aveva voluto era rivederle sul viso l’espressione che l’aveva lasciato senza fiato in ufficio.. Aveva pensato che una cena elegante e vestiti nuovi potessero costituire una buona occasione.. Ma ciò che vedeva in quel momento erano gli occhi di una preda in trappola..

Corrugò la fronte “.. che cosa c’è?” le domandò scrutandola “..non ti piace l’idea..?”.

Emma strinse i denti, sentendo il cuore che le saltava nel petto. Lui se n’era accorto! Si era accorto del suo stato d’animo..! Spaventata, scosse la testa, stendendo le labbra in quello che voleva apparire un sorriso e sussurrò “No. Sono molto felice”.

Ma James non si lasciò ingannare. Aveva capito e quel suo patetico tentativo lo annientò. Era frustrato, per non essere in grado di scatenare un po’ di entusiasmo in una ragazzina diciottenne come sembrava saper fare Daniel, ed era frustrato anche dalla situazione che diventava ogni giorno più difficile..

Si alzò dalla sedia, per non farle vedere la propria espressione e cominciò a sparecchiare “Ma non è necessario che tu venga, se non ti senti..” sbatteva piatti e posate nella lavastoviglie senza riguardo, arrabbiato con sé stesso.

Emma spalancò gli occhi mordendosi le labbra talmente forte da far uscire un po’ di sangue, il cui gusto inondò la sua bocca, nauseandola. Lo fissò, quando finalmente James si appoggiò al lavandino calmandosi e dandole le spalle.

Il silenzio cadde come un macigno fra loro. Lei avrebbe voluto scappare, ma le gambe erano molli e sembravano incollate al pavimento mentre aspettava che James si voltasse o dicesse almeno qualcosa.

Quando lui si mosse, Emma fece un passo indietro, e si stupì di vedere che stava sorridendo. Un sorriso stanco e tirato, certo, ma comunque un sorriso. La fissò un momento, poi disse “Forse posso andarci da solo, alla cena.. La presentazione ufficiale della moglie del presidente può essere rimandata”.

Si guardarono un momento. Emma tentò di normalizzare il proprio respiro, poi vide che James si sporgeva in avanti con aria preoccupata. Lo vide tendere una mano e sfiorarle le labbra.

Aveva le dita macchiate di sangue.

“Oh, Dio, questo cos’è?” sussurrò guardando alternativamente le dita e lei.

“Niente” fece scuotendo la testa “Mi sono.. mi sono inavvertitamente morsa le labbra..” prese veloce il tovagliolo dalla tavola e tamponò la ferita “Ma non è niente. Non è niente...”.

Lui prese il proprio tovagliolo, lo bagnò con un po’ d’acqua e, allontanando le mani di lei, lo appoggiò sul labbro ferito, pulendolo attentamente ed in assoluto silenzio.

Una volta che ebbe fatto, si voltò di nuovo e le disse “.. finisco di riordinare e poi.. ho da lavorare.. buonanotte, Emma”.

Sbigottita, lei rimase ferma a guardarlo qualche istante, poi uscì dalla cucina e corse in camera.

 

Lo sentì entrare molto dopo. Le andò vicino, si sedette sul materasso e bisbigliò “Le pastiglie..”.

Emma si sollevò appena, prese le pillole e il bicchiere.

Un attimo dopo, lo sentì sussurrare “Non importa sai, per quella cena. Era un’idea sciocca, la mia..” sentì la sua mano lisciare la coperta “Ma se vuoi andare a svuotare le boutique, puoi farlo..” le fece un sorriso e poi si allontanò.

Lo guardò scivolare fuori dalla stanza e accostare la porta, senza chiuderla.

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Capitolo 22
*** Capitolo Ventiduesimo ***


Matilde la chiamò verso la metà del mese. Le raccontò alcuni pettegolezzi e le chiese com’era la vita a Londra. Emma si trovò a raccontarle con tono allegro degli studi, di Hyde Park e dei musei. Sapeva che in quel modo avrebbe reso felice la sua governante.. Poi, la donna le passò sua madre, la quale la investì dicendole di prepararsi bene per il Natale a Londra, che sarebbe stato il primo lontano da casa e con la famiglia di suo marito.. In realtà, James non le aveva ancora detto niente delle feste che si stavano avvicinando. Né pareva intenzionato ad addobbare la casa.

“E’ arrivato in città anche quel tuo amico, Tyler qualcosa..” aggiunse ad un tratto quasi distrattamente “E’ venuto con una ragazza. Dicono che sia la sua fidanzata americana.. Cara, meno male che l’hai lasciato perdere.. non è una persona seria..”.

Ma ormai Emma era persa. La sua mente aveva reagito subito alle parole della donna.

Tyler.. ragazza.. fidanzata..Ma sono io, io, sono io la sua fidanzata..! Abbiamo progettato di andare a New York e sposarci ed avere molti bambini.. Non si accorse di stringere il ricevitore così forte da avere le dita bianche ed indolenzite per lo sforzo e non si accorse nemmeno che la madre aveva riattaccato dopo averla rapidamente salutata.. Se ne rimase lì in piedi, a sentire il suono ripetitivo del telefono muto..

Jenny non si rese conto dello stato d’animo della ragazza. La guardò sedersi in poltrona e rannicchiarsi davanti alla televisione.. non capì che Emma non guardava le immagini, ma rivedeva la notte della fuga, le parole rassicuranti ed appassionate di Tyler.. non capì che l’unico filo che la teneva ancorata al mondo si stava spezzando..

Non lo capì nemmeno James, che giunse qualche tempo dopo. La vide ferma sul divano a guardare la televisione e non si soffermò troppo. Quando la invitò a tavola a mangiare, lei obbedì, come ogni sera, e mangiò, sotto lo sguardo perplesso ma sollevato di suo marito. Mangiò l’insalata e la cotoletta, tutto quanto era nel piatto, mentre da lontano sentiva il rumore della televisione e della voce di lui che si confondevano insieme..

Prese le medicine e andò a letto subito.. scivolando in un sonno pieno di incubi, questa volta…

 

Si svegliò prima di James. A piedi nudi, andò nel bagno e socchiuse la porta. S’infilò due dita in gola più e più volte, cercando di non fare rumore, e lo fece finché non sentì il crampo che precedeva i conati, finché non dovette piegarsi sul water e vomitare.. Poi, si rinfrescò il viso e tornò a letto.

 

Robert ascoltò tutto. Emma raccontava la telefonata con la madre come se raccontasse un film. Era distaccata ed esausta. Il medico sapeva che in qualche modo aveva già affrontato la questione e che aveva riacquistato l’autocontrollo. E sapeva come aveva fatto.

Poteva addirittura vederla, mentre si alzava nella notte e si dirigeva di soppiatto nel bagno, dove rigettava tutto quanto si era depositato nel suo stomaco.

Ma non glielo disse. Ascoltò il triste racconto della fine del suo sogno, lasciando che uscisse proprio come il vomito aveva fatto. Senza freni.

Quando gli parve giunta alla fine, le sussurrò “E ora, che cosa senti?”.

Gli occhi di lei si puntarono in quelli del dottore “Non sento niente” disse subito.

“E’ stata una notizia dolorosa. Il dolore lo senti..” continuò lui, forzandola un po’.

Emma annuì “Si. Ma il dolore..” sembrò cercare le parole “Il dolore è dentro di me. E’ familiare”.

Robert annuì “..e non vuoi sentire qualcos’altro, Emma?” le sorrise “Sentire, come senti il caldo del sole o il gelo della neve.. non vorresti?”.

La ragazza strinse le labbra, abbassando lo sguardo.

“Sai, gli esseri umani si nutrono di sensazioni. Le cercano, incessantemente, e le vogliono, anche se fanno paura. Forse, lo fanno perché ne vale fondamentalmente la pena. Perché sentire qualcosa, oltre il dolore che ci portiamo dentro, ci serve per vivere..” la scrutò, sperando che le sue parole potessero innescare in lei una qualche forma di riflessione.

 

Daniel si fermò un momento e la guardò “Che cosa c’è?”.

Aveva notato che Emma non sembrava seguirlo nella lettura da qualche minuto. Gli sembrava, assente.. E stanca.

Lei ricambiò lo sguardo “Niente” tornò sul libro “..continua..”.

“Emma” la richiamò “E’ successo qualcosa?”.

Lei sospirò, chiedendosi fino a che punto poteva confidarsi con Daniel. E’ vero, era il suo amico, il suo unico amico, tuttavia parlare con lui di Tyler.. una fitta allo stomaco accompagnò quel pensiero, parlare di Tyler non sarebbe stato corretto. Daniel era pur sempre il fratello di suo marito.

Si trovò a domandargli “Hai mai amato qualcuno?”.

“Vuoi dire.. sul serio?” sollevò le sopracciglia.

Alzò le spalle “Non so quanti modi esistano per farlo”.

Daniel sorrise “..vuoi proprio affrontare il discorso, eh?..” si mise comodo sulla sedia “Non lo so. Forse l’ho fatto, ma non abbastanza da decidere di fermarmi.”.

“A me avevi giurato amore eterno” lo fissò con occhi brillanti.

“E tu ti sei sposata con mio fratello” scherzò lui di rimando.

Emma arrossì.

“..a parte tutto. Credo che si dovrebbe sentire una sensazione di appartenenza.. di voler essere dove si è, con la persona che ci è accanto..” considerò il ragazzo e ad Emma vennero in mente le parole del suo dottore a Palermo.

“Non so se provo questo. Se l’ho mai provato” considerò ad alta voce.

Daniel la guardò serio “Per James? Beh.. avete avuto così poco tempo..” ma lei lo interruppe “No, dico, in generale.. Oltre al dolore.. non so se ho mai provato altro qui dentro..” s’indicò il petto.

Il ragazzo si sentì improvvisamente commosso. Si alzò e la raggiunse, chinandosi sulle ginocchia davanti a lei. Le prese una mano “.. mi dispiace, Emma. Ma credo che riuscirai a sentire, prima o poi.. sei dolce e hai un animo gentile.. sotto a tutto il dolore che provi.. riuscirai a sentire qualunque cosa tu vorrai..”.

Emma non disse altro, di nuovo perdendosi nei suoi pensieri. E Daniel maledì di nuovo suo fratello per averla messa in una situazione del genere.

 

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Capitolo 23
*** Capitolo Ventitreesimo ***


La sensazione che fosse cambiato qualcosa gli esplose addosso il pomeriggio in cui, rientrando a casa, Emma lo accolse con un mezzo sorriso. Lo guardava dal centro della stanza.

“Ehi, ciao” la salutò appoggiando la valigetta a terra “Dov’è Jenny?”.

In quel momento la donna uscì dalla cucina già pronta per andarsene. Appoggiò sul tavolo una scatola di cartone colorata e poi salutò entrando nell’ascensore.

“Di che si tratta?” domandò curioso. Si avvicinò e sbirciò, poi la guardò sorpreso “Decorazioni natalizie?”.

“Si. Fra pochi giorni è Natale.. Mi chiedevo.. mi chiedevo se fossi d’accordo di fare l’albero..” balbettò.

James aprì la bocca per dire qualcosa, ma non lo fece. La vista di lei così agitata lo turbò. Non riusciva a decifrare le sue espressioni, tuttavia sentiva che Emma era trepidante.. e non avrebbe mai pensato di vederla così..

“Ma se non ti piace l’idea..” la sentì aggiungere.

“No” la fermò subito “..insomma, fai pure.. Non l’ho mai fatto per mancanza di tempo.. ma.. è un’ottima idea..”.

Immediatamente, Emma abbozzò un sorriso “Allora, va bene se domani.. preparo tutto?..”.

“Sicuro” le disse, guardandola prendere la scatola e portarla verso la sua camera.

Rimasto solo, si allentò la cravatta e si diresse al bar, versandosi qualcosa da bere. Non ricordava nemmeno l’ultima volta che aveva festeggiato il Natale. Quando era ragazzino, forse. Negli ultimi anni il 25 di dicembre non era che un altro giorno pieno di lavoro per lui.

Ingoiò tutto il contenuto del bicchiere e poi si avviò nel corridoio. Passando davanti alla camera di Emma, la vide seduta per terra, la schiena appoggiata al letto, con una penna ed un piccolo taccuino tra le mani. Sembrava assorta.

Quando si accorse della sua presenza sembrò imbarazzata “E’ una lista. Ho paura che mi scorderò ogni cosa se non preparo un promemoria”.

Lui annuì “..molto logico.. Scusami se non ho pensato prima a questa.. questa faccenda del Natale..” poi la scrutò “Credo di aver pensato che avresti voluto andare dai tuoi genitori”.

Gli occhi di Emma si abbassarono istantaneamente e con voce piatta disse “No. Non ci ho mai pensato”.

James corrugò la fronte, perplesso. Che cos’era stato quello...? Si passò una mano sul retro del collo “Beh.. scusa.. non intendevo.. farti arrabbiare” tornò a fissarla “Sei arrabbiata?”.

“No” sussurrò lei, accennando un sorriso. Freddo, osservò subito James, guardandolo. Forzato, finto.

“Okay” disse infine, non volendo approfondire. Nemmeno a lui sarebbe piaciuto incontrare di nuovo gli Altieri.

Jenny gli aveva fatto sapere che Emma aveva mangiato thè con abbondanti biscotti nel pomeriggio, quindi non si preoccupò troppo quando, a cena, lasciò le porzioni nel piatto intatte.

“Come vanno gli studi con Daniel?” le domandò, stanco del silenzio che li avvolgeva.

“Bene. Credo che a febbraio riuscirò a dare quegli esami” disse in tono inespressivo.

“Vorresti iscriverti all’università, a settembre?” riprese lui.

Emma alzò le spalle “Non lo so. Non so ancora..” gli lanciò un’occhiata.

Istintivamente, James aveva capito la ragione di quella vaghezza. Emma si stava chiedendo dove sarebbe stata, in realtà, il prossimo settembre. Era chiaro che tutti i cambiamenti di quest’estate la rendevano insicura.. e poi quel loro matrimonio vuoto di significato.. Si trovò a pensare che Emma, forse, una volta guarita dal suo disturbo, avrebbe voluto tornare a casa sua, o divorziare, perché si sarebbe innamorata.. Era tutto possibile..

Si schiarì la voce “Hai tanto tempo ancora, per decidere” fece alzandosi in piedi e dirigendosi verso il lavello col piatto in mano.

Beh, l’idea dell’appartamento vuoto lo aveva colpito come un fulmine. Nonostante i conflitti ed i silenzi, Emma era una presenza reale, che occupava uno spazio reale tra quelle mura.. Se si guardava intorno, poteva scorgere i segni di lei nella sua casa. Le ciabattine, l’ombrello accanto alla porta, le custodie dei suoi cd aperti sul mobile.. Piccoli segni, ma pur sempre tracce di un’altra presenza, oltre alla sua.. Fu sorpreso di questa presa di coscienza così improvvisa.

Si voltò ed incontrò i suoi occhi tristi “..farai tutto da sola, domani?” al suo sguardo confuso, proseguì “Intendo, l’albero, le decorazioni..”.

“Penso che Daniel verrà ad aiutare” lo informò.

“Molto bene..” sussurrò, sorridendo. Represse a fatica la proposta di affiancarli.. stava per farlo, quando gli era venuto in mente che forse Emma, con lui intorno, non sarebbe stata a suo agio.. la sua presenza, in qualche modo, l’avrebbe bloccata.. Imprecò mentalmente. Che cos’era questo, adesso?

Si voltò di scatto e ricominciò a mettere in ordine.

 

La sera dopo trovò un enorme abete decorato di rosso e di verde davanti alle finestre della sala. Le luci dorate si accendevano e spegnevano a tempo, creando un’atmosfera decisamente natalizia. Rimase fermo in mezzo alla stanza, mentre lasciava vagare lo sguardo intorno, notando le decorazioni colorate che pendevano dal lampadario e facevano mostra di sé ogni ripiano. Vide una grande quantità di candele sparse intorno, perfino in cucina, e la cosa lo divertì. In qualche modo, gli ricordavano le feste natalizie di quando era piccolo.

Sentì delle voci provenire dal corridoio e subito, sbucarono Emma e Daniel che, ridendo, trasportavano un vaso di stelle di natale. James notò le gote rosse di lei e lo sguardo acceso. Li guardò appoggiare il vaso a terra ed osservarlo con aria critica.

“Secondo te, qui va bene?” domandò lei a Daniel, e la sua voce suonò così serena da scioccare James. Non l’aveva mai sentita parlare in quel modo..

“Perfetto, cara” le rispose lui.

A quel punto, James tossicchiò e i due si voltarono sorpresi. Daniel spalancò gli occhi “Non posso crederci! Sei arrivato prima delle nove?.. C’era l’ufficio in fiamme, o cosa?”.

Lui sorrise di rimando “O cosa..” sospirò “Mi sono liberato un po’ prima..” guardò Emma “Che bel lavoro avete fatto”.

Lei abbassò la testa “..grazie..”.

“Ehi.. ho lavorato come un mulo.. e la ragazza, qui, mi ha invitato alla grande cena della vigilia..” le posò un braccio sulle spalle “Non è fantastico? La famiglia si riunisce a Natale!”.

James era sbalordito. Lanciò un’occhiata ad Emma, che continuava a fissare il pavimento. Era contento che lei avesse deciso di festeggiare tutti insieme, ma non se l’era aspettato e, cosa più importante, si chiedeva per quale ragione non gli avesse detto ieri sera delle sue intenzioni, dal momento che ne stavano parlando.. Per la prima volta, si chiese se fosse proprio lui stesso uno dei problemi di Emma.. perché, evidentemente, Daniel aveva bucato la barriera che la separava dal resto del mondo..

Mangiarono insieme l’insalata di pollo che Jenny aveva lasciato pronta. Emma l’assaggiò appena, ma James decise di non dirle nulla. L’atmosfera era rilassata e piacevole, non voleva rovinarla. Rimasero a chiacchierare fino a mezzanotte, poi Daniel si congedò.

“Devo prendere le medicine” gli disse mentre lui si accendeva una sigaretta, intento ad osservare l’albero decorato. Al suono della sua voce, si voltò a guardarla “Si..” lo vide andare velocemente verso la scrivania e tirare fuori una piccola chiave “Prendi pure le pastiglie”.

Emma rigirò la piccola chiave tra le mani, incredula. Le aveva chiesto di aprire l’armadietto da sola.. Sospirando, incapace di maneggiare l’ondata di sollievo che la investì, si girò e corse in bagno. Quasi le cadde il lucchetto a terra mentre apriva e prendeva le pillole dal flaconcino. Tornò in soggiorno, dove James aveva già preparato un bicchiere d’acqua.

Dopo che le ebbe inghiottite, gli riconsegnò la chiave.

Lui se l’infilò in tasca, posando nuovamente gli occhi sull’albero.

“Buonanotte” gli disse.

James fece un cenno con la testa, senza girarsi.

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Capitolo 24
*** Capitolo Ventiquattresimo ***


Daniel era seduto in cucina e stava pelando le patate, mentre Emma stava riempiendo dei cannoli con la tasca da pasticcere. Seguendo la ricetta trovata su internet, era riuscita a preparate la pasta e la crema per i cannoli alla siciliana, insieme alle tagliatelle al ragù e all’arrosto al vino bianco.

Mentre lavoravano, Daniel le avevo riempito la testa degli ultimi gossip provenienti dall’università, facendole nome e cognome di gente a lei sconosciuta che aveva animato le chiacchiere degli studenti negli ultimi giorni. E lei aveva riso per quel suo modo di raccontare, imitando le voci dei diretti interessati.

Il pomeriggio era letteralmente volato e quando ebbero finito di apparecchiare erano davvero stanchi.

Emma guardò la sveglia e vide che erano le sette. Si tolse il grembiule e disse “Devo andare a prepararmi.. vuoi farti la doccia qui?..”.

“Oh, no, mia cara. Andrò a casa a cambiarmi.. vedrai che schianto..” e lanciandole un bacio, uscì.

Per la prima volta da quando era arrivata a Londra, era da sola nell’appartamento. Si guardò intorno, stupita. La tavola pronta, l’albero che splendeva, i pacchetti infiocchettati.. Era tutto più piccolo, rispetto alla festa di Natale che viveva a Palermo ogni anno, tuttavia.. per qualche misterioso motivo si sentiva bene.. Aveva persino paura di dirla, quella parola che era fuori dal suo vocabolario. Stava bene, si sentiva a suo agio.. Spalancò gli occhi, impietrita. Non era preparata a questo e ciò nonostante, lasciò che la sensazione la pervadesse, entrasse fin dentro le pieghe più nascoste della sua anima, che le mescolasse lo stomaco e le facesse tremare le mani.

Le lacrime le punsero gli occhi e, sgomenta, si accorse che non si trattava di dolore, come quello che Tyler le aveva provocato, né della tristezza che l’accompagnava da anni, no. Fu onesta con sé stessa, perché non aveva mai voluto crogiolarsi nell’autocommiserazione. Si trattava di lacrime di sollievo e di serenità.. perché parlare di felicità.. beh, la felicità era qualcosa di così lontano che forse neanche esisteva..

Pensò a Robert, che il giorno prima le aveva detto che la decisione di festeggiare il Natale in quel modo era proprio una brillante idea. Nonostante tutto, era stata scettica, ma adesso.. La paura era svanita, portandosi via il disagio.. Magari, la cena sarebbe stata un fallimento, magari James l’avrebbe rimproverata e anche Daniel.. eppure, in quel preciso momento, sentì di aver centrato il suo obbiettivo.. Stava davvero festeggiando il Natale.

 

Seduto a capotavola, James sorrise alla battuta di Daniel sulla supposta “integrità” dei professori universitari, seguendo con la coda dell’occhio Emma che mangiava portandosi il cibo alla bocca con estrema lentezza. Assaggiava qualcosa, poi lasciava lì, ma gli andava bene, perché era più di quello che aveva sperato. Non voleva certo rovinarle la serata. Da che era entrato, trovandola intenta ad accendere tutte le candele stretta nel suo vestitino bianco e rosso, aveva cercato di controllare ogni sua parola, ogni suo gesto, perché non voleva rovinare proprio niente.

Se non avesse saputo con chi aveva a che fare, avrebbe giurato che Emma fosse felice. Gli occhi accesi, il sorriso sulle labbra, l’energia con cui andava e veniva dalla cucina.. gli pareva un’altra persona. E poi a mezzanotte gli aveva dato il regalo. L’aveva guardato scartare il pacco ed estrarre il morbido maglione di cashmere azzurro che Daniel le aveva consigliato di comprare per lui. Le aveva baciato la guancia, in segno di ringraziamento e si era reso conto di non averlo più fatto, da quella prima volta a casa dei suoi genitori. Aveva visto il suo stupore quando aveva aperto il suo, di regalo. James le aveva comprato un braccialetto d’oro e di perle, che l’aveva lasciata senza fiato. Volle subito metterlo e lui l’aiutò. Mentre lo faceva, la vide.  Non l' aveva mai vista fino a quel momento.. Sul polso spiccava una linea marrone, più scura della pelle dorata di lei, dai contorni irregolari. La cicatrice.. prima di allacciarle il braccialetto, vi passò un dito, turbato, incredulo. Si, perché quel tentativo di suicidio, che gli era stato raccontato, era stato per lui niente più che questo, un racconto.. ma adesso.. Come riscuotendosi dal trance, alzò lo sguardo su Emma, che parve non essersi accorta del suo choc. Sorrideva, Emma, quella stessa ragazza che aveva voluto strapparsi via la vita prima recidendo le vene, poi ingoiando troppe pillole per non svegliarsi più.. Le chiuse la sicura ed appoggiò la sua mano sul tavolo, tenendola ancora un momento sotto la propria, cercando di tornare alla realtà..

 

Daniel lasciò l’appartamento alle due e mezza, dopo aver finito l’ultimo cannolo ed aver bevuto il suo quarto bicchierino di bourbon. Per fortuna, aveva un taxi che lo attendeva in strada..

Vedendo che Emma iniziava a raccogliere i piatti, la fermò con un cenno della mano “Lascia.. faremo insieme, domattina..”.

Lei si voltò a guardarlo “Sarai a casa..?”.

“Ho deciso di prendermi un giorno di ferie” le sorrise, socchiudendo gli occhi “Ti aiuterò con questa confusione”.

Emma annuì, incerta, mentre James si accendeva una sigaretta. Si guardavano, da un capo all’altro della sala. Lui, in piedi accanto alla finestra, lei vicino alla porta della cucina.

“E’ stata una festa magnifica” le sussurrò, scrutandola attraverso la nuvola di fumo “Era tanto tempo che qui.. ma che dico.. qui non si è mai festeggiato niente”.

Lo ascoltava, indecisa su che cosa fare. Non gli aveva mai sentito usare quel tono, così tranquillo e rilassato. Non le pareva nemmeno lo stesso James iper controllante di cui parlava a Robert.

“Io e Daniel non passavamo un natale insieme da.. dieci e più anni..” sospirò “E devo ringraziare te, per questa occasione”.

Dopo un momento di esitazione, lei disse “Sono felice, per voi due”.

L’uomo le rivolse uno sguardo indecifrabile. Poi, lo vide sollevarsi un po’ e spegnere attentamente la sigaretta nel portacenere, prima di sussurrare “..sei felice..”.

Per qualche ragione, il tono in cui lo disse le fece rizzare i peli del collo. Era paura, forse? Improvvisamente, qualcosa di fermò in fondo alla sua gola, impedendole di respirare.. ma non era paura, perché lui non la stava minacciando.. anzi, si era creata quest’atmosfera.. quasi di confidenza..

Lo vide alzarsi ed andarle vicino. La camicia aperta, la cravatta allentata, gli occhi, di solito di un limpido azzurro, adesso quasi neri alla luce delle candele.

Emma si schiacciò contro la parete, il fiato corto.. ma sapeva.. sapeva di non aver paura di lui, nonostante il suo modo di controllarle la vita..

La mano di James la raggiunse e le accarezzò i capelli, scendendo lungo il braccio e trovandole le dita, le strinse, attirandola leggermente a sé. Si trovò così appoggiata a lui, la testa piegata nel tentativo di mantenere il contatto visivo.. Non erano mai stati così vicini..

Sentì un brivido attraversarle il corpo e fu incapace di dare un nome a ciò che le stava succedendo, così improvvisamente. Un braccio di James le cinse la vita, l’altra mano scattò in alto, a sostenerle il collo, mentre la attirava di più, sollevandola quasi da terra. E, dopo averla guardata negli occhi un istante, si chinò per baciarla. Un bacio lieve, breve, una carezza sulle sue labbra tremanti..

Un momento dopo, la lasciò andare. Lo guardò darle le spalle ed imboccare il corridoio, in direzione della sua camera.

Confusa, guardò il punto dove lui era sparito per almeno cinque minuti, prima di scivolare lungo la parete ed andarsi a sedere sulla poltrona. Aveva il fiato corto e si sentiva del tutto incapace di stare in piedi sulle proprie gambe. Alla fine, era stato solo un bacio, casto ed innocente.. Socchiuse gli occhi, pensando che non c’era niente di innocente nel modo in cui James l’aveva stretta. Il suo corpo se n’era accorto prima della sua mente. Ricordò i brividi di anticipazione.. Nascose la testa tra i cuscini, sospirando. Era sconvolta. Il pensiero di affrontarlo l’indomani la schiacciò, come diavolo avrebbe potuto farlo..?

“Le medicine”.

La voce di lui la fece sussultare. Si sollevò di scatto e lo guardò appoggiare le pastiglie sul tavolo. Prima che lei potesse dire o fare qualsiasi cosa, riprese “Buonanotte..” e senza guardarla, si voltò per tornare in camera.

Emma si inumidì le labbra, sospirando. Forse era questo il modo giusto di affrontare quanto accaduto, ignorarlo.

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Capitolo 25
*** Capitolo Venticinquesimo ***


La mattina dopo, entrando in soggiorno, si rese conto che James si era svegliato presto ed aveva riordinato tutto. La lavastoviglie era in funzione, la sala ripulita, le luci dell’albero accese. Notò che le aveva apparecchiato la tavola in cucina con succo e biscotti. Li fissò per alcuni secondi, poi uscì dirigendosi in camera. Si bloccò sulla soglia quando lo vide sbucare dalla sua stanza, in jeans e maglione. Le stava sorridendo “Ehi.. buongiorno e buon Natale” le disse “Preparati che usciamo”.

“Ma.. come..” tentò di obbiettare, ma lui la interruppe subito “Ha smesso di nevicare, guarda, c’è addirittura un po’ di sole, e noi andremo a fare una passeggiata” le batté lievemente una mano sulla spalla “Vai a cambiarti..”.

Dopo un momento di smarrimento, Emma entrò in bagno, si fece una doccia veloce e si vestì, infilandosi gli scarponcini adatti alla neve che la sera prima le aveva regalato Daniel. Li trovò molti comodi. Indossò il cappotto e tornò in soggiorno, dove James stava finendo di bere il caffè. La guardò “Andiamo..” e lei fu stupita che non le chiedesse se aveva fatto colazione o meno. Ma era meglio così, non aveva proprio voglia di discutere..

Lo seguì in ascensore e poi per strada. Lui cominciò a camminare strascinandosela dietro. Le stringeva la mano, raccomandandole ogni tanto di mettere un piede avanti all’altro con attenzione, altrimenti sarebbe scivolata sulla neve e sul ghiaccio che si era formato durante la notte.

Emma seguiva i suoi consigli ed ascoltava, mentre le parlava di voler andare a vedere Hyde Park ricoperto dalla neve e di quanti anni erano che non lo faceva.. Era confusa da quell’atteggiamento.. Ma non protestò, questo James le piaceva molto di più del solito..

Arrivarono al parco, già invaso di mamme e bambini intenti a fare pupazzi di neve o a giocare e si sentivano strilli e risate provenire da tutte le direzioni. James si fermò tirandola più vicino “..eccoci qua..” la guardò “Stanca..?”.

Lei scosse la testa, incantata da quel che vedeva. Tutte le luci decorative erano accese, nonostante fosse soltanto mattina, e qua e là c’erano gruppetti di uomini giovani e vecchi che suonavano la cornamusa.

“Non è uno spettacolo fantastico?” le domandò guardandosi intorno. Emma era d’accordo. E quando si rese conto dell’aria rapita sul volto di lui, ebbe un tuffo al cuore. In quel preciso momento, le pareva un bambino impaziente ed estasiato, non un duro uomo d’affari..

Si riscosse dai quei pensieri quando sentì che le afferrava la mano e la conduceva verso un locale poco lontano.

“Se non ricordo male, lì fanno delle ottime crepes..” le svelò. In un momento, Emma si ritrovò al caldo, in un ambiente dominato da un grande camino acceso e decorato alle pareti con piccole lanterne natalizie. James le appoggiò la mano sulla schiena e la spinse verso un tavolino appartato e la fece sedere, accomodandosi poi a sua volta nella sedia accanto. Lo guardò togliersi guanti e cappotto e sospirare “Mio Dio, mi rendo conto solo adesso che la temperatura fuori è proprio bassa..” si sfregò le mani sorridendole “Che cosa prendiamo?”.

Slacciandosi la giacca, Emma mormorò “Non lo so.. Un thè?” azzardò.

“Certo.. e una crepes alla marmellata.. Che ne dici?” si voltò verso la cameriera ed ordinò, senza lasciarle il tempo di rispondere.

Poi, tornando con lo sguardo su di lei, le disse che si era svegliato prestissimo e che siccome l’aveva vista dormire tranquillamente, non l’aveva chiamata e aveva pulito in casa, aspettando il suo risveglio. Emma tentò di dirgli che avrebbe fatto bene a svegliarla per aiutarlo, ma lui non l’ascoltò nemmeno, iniziando ad elogiare i cannoli alla siciliana che aveva preparato il giorno prima…

La crepes era enorme. Arrotolata intorno ad un succoso ripieno di marmellata di amarene, era circondata da uno spesso strato di zucchero al velo e scagliette di amaretto.

“Ricordavo qualcosa di questo genere” fece subito James, prendendo la forchetta ed iniziando a mangiare.

Lei strinse le labbra, incerta. Non voleva mangiare la crepes e nello stesso tempo non voleva rovinare quel momento così sereno tra di loro.. ma sapeva che se si fosse forzata, poi sarebbe dovuta correre in bagno e vomitare..

“James.. io” iniziò, incapace di sopportare oltre il marasma che l’aveva assalita, ma ciò che vide, quando alzò lo sguardo, la lasciò senza fiato. James teneva sospesa la forchetta davanti alla sua bocca e sorrideva “Assaggia.. solo questo”. Le accarezzò le labbra con il pezzetto di crepes costringendola ad aprirle e ad afferrarlo con i denti.

La sorpresa le aveva impedito di opporsi. Inghiottì e lui ripeté il gesto, in silenzio.

Emma si sentì strana. La sensazione che provava era così simile a quella provata la notte precedente da confonderla.. eppure, non stava facendo niente di speciale.. stava assaggiando una crepes..

Lo guardò appoggiare la forchetta al piatto e sussurrare “Non pretendo che mangi tutto. Deve sembrarti un’impresa impossibile” accentuò il sorriso “Ma ho pensato che valesse la pena farti assaggiare questa meraviglia..”.

Uscirono poco dopo e passeggiarono in silenzio, concentrati ciascuno nei propri passi. Senza rendersene conto, arrivarono davanti alla scuola di Emma. Si fermarono a guardare l’edificio, austero e deserto. Poi, lui sussurrò “Penso che dovresti iscriverti all’università” si voltò a fissarla “Daniel dice che sei davvero in gamba.. e io gli credo. Non gli interessa la nostra azienda di famiglia e tutto ciò che concerne l’economia e gli affari, ma è veramente bravo nelle sue materie..”.

“Conosce Shakespeare a memoria” lo informò.

James alzò le sopracciglia “Forse dovrebbe fare l’attore”.

Questo la fece sorridere.

“Credo che vorrebbe insegnarlo.Vuole insegnare all’università”.

Incontrando i suoi occhi, vide che la fissava pensieroso. Pensò che forse non conosceva i progetti di Daniel e la notizia l’aveva lasciato esterrefatto.. e magari adesso si sarebbe anche arrabbiato..

“Andrai all’università?” le ripeté invece, serio.

Sollevata, alzò le spalle “Oh, non lo so. Può darsi..” calciò un mucchietto di neve “Ma per adesso, non faccio progetti.. chissà dove sarò l’anno prossimo..”.

Le sue parole rimasero sospese tra loro. Perché si, era così, per la velocità con cui cambiava l’indirizzo della sua vita, era logico che Emma avesse quei dubbi.

“Puoi frequentare l’università dove vuoi.. qui o a Palermo..” mormorò James “Capisci che cosa intendo?”.

Emma lo fissò. Certo che capiva. Le stava dicendo che poteva andare a casa quando voleva, che non c’era niente di reale che la legava a Londra e a lui.. beh, sì un contratto di matrimonio vuoto di significato..

Accennò col capo e riprese a camminare “Vedremo..” disse soltanto.

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Capitolo 26
*** Capitolo Ventiseisimo ***


Una volta rientrati, James si era messo a lavorare al computer, mentre lei era filata in camera e si era sdraiata sul letto. Non sapeva per quale ragione, ma il buon umore della mattinata le era scivolato via di dosso. Adesso, quel che voleva più di tutto era prendere un paio di pastiglie e dormire fino alla mattina successiva, quando questa stupida storia del Natale fosse finita. Il pensiero corse a Tyler, che stava trascorrendo le feste a Palermo con la sua fidanzata, e le lacrime le offuscarono gli occhi. Ecco, sì, certo, questo era un ottimo pensiero per farla soffrire, arrabbiare, rimpiangere.. Si voltò di lato, chiudendo gli occhi e rivedendo sé stessa stesa sulla spiaggia, accanto a lui, infiammata dalla voglia di scappare da lì e non rimetterci mai più piede.. Via, a costruire una vita con Tyler da qualche parte lontano da sua madre…

Scattò a sedere, ignorando le lacrime che avevano iniziato a rotolarle sul viso. Si alzò e si diresse in bagno. Accostò la porta e si guardò allo specchio. Vide l’espressione spaventosa che aveva stampata in viso, come quella di un animale arrabbiato che non poteva colpire.. né fuggire.. Eppure, James le aveva fatto capire che poteva andare quando voleva.

S’infilò lentamente un dito in gola, cercando il crampo e i conati, mentre l’immagine nello specchio assumeva contorni sfuocati.. Di nuovo le lacrime.. Si odiò, odiò se stessa per la propria debolezza, per la propria immobilità, per la mancanza di coraggio..

Stava per chinarsi sul water, quando sentì due forti braccia fermarla. Si sentì quasi sollevare da terra e trasportare fuori dal bagno. Un attimo dopo, era sul divano del soggiorno, senza sapere esattamente come ci era arrivata.

Tentò di calmare il fiatone. Alzò gli occhi su James, che era piantato davanti a lei, gli occhi che la fulminavano.. Oh, Dio, no, un’altra sfuriata! Si appoggiò ai cuscini, esausta.

“Dunque, il vizio non l’hai perso” il suo tono era duro e tagliente.

Lei scosse la testa “Lasciami stare.. non ora..”.

Ma lui non sembrò averla sentita.

“Che cos’è successo, stavolta? Si tratta della crepes?.. era troppa, forse? O del fatto che ieri hai passato una bella serata e questo non si addice alla povera ragazzina sperduta che sei?”.

Il sarcasmo la colpì in pieno petto, facendole sbarrare gli occhi. L’unica cosa cui riuscì a pensare che quest’uomo non aveva alcun diritto di parlarle in quel modo, lui che se la sarebbe tolta di torno non appena possibile per rispedirla al mittente.. che non era assolutamente niente per lei, come non lo erano tutti gli altri..

Si alzò in piedi e lo fronteggiò “Non parlarmi così” fece.

James ghignò “E come si deve parlare ad una bambina che fa i capricci?”.

“Tu.. tu non sai nemmeno chi sono!” sbottò lei, urlando isterica “Tu non lo sai! Sei solo un carceriere.. che tra poco mi darà il benservito!” sputò quelle parole con una violenza inaudita, che fece indietreggiare James “Che cavolo t’importa di me! Hai avuto quel che volevi.. tutti l’avete avuto.. lasciatemi in pace!”.

D’un tratto, tutta la forza uscì da lei, lasciandola spossata. Le spalle le scivolarono in basso, le gambe cedettero.. e si ritrovò seduta sul divano, il viso nelle mani, in preda ai  singhiozzi.

 

James ci mise alcuni secondi a riprendersi. Il pianto di lei gli perforava le orecchie, sembrava provenire dalle sue viscere, tanto era profondo.. Non aveva sentito mai nessuno piangere così.. Il senso di colpa per aver di nuovo perso il controllo l’aveva assalito quasi subito ma non era riuscito a frenare la lingua. L’aveva ferita.. non voleva farlo, in realtà, voleva scuoterla, farle vedere l’assurdità delle sue azioni..

La fissò, chinata sul divano, persa in quel pianto atroce che pareva non dover finire. Esitante, le si sedette accanto e le appoggiò, improvvisamente impacciato, una mano sulla spalla.

“Basta piangere.. Emma, su, adesso basta..” le sussurrò, sperando che lo sentisse tra i singhiozzi disperati.

La ragazza scuoteva piano la testa senza probabilmente capirlo, così ci riprovò “Mi dispiace. Mi dispiace tanto. Non volevo rovinare questa giornata perfetta..” e James pensava davvero quanto stava dicendo. Era arrabbiato con sé stesso per la propria reazione.

Senza guardarlo, lei gli si appoggiò contro, seppellendo la testa nel suo petto e senza alcuna ragione plausibile, James capì di non essere lui la causa dei quelle lacrime, né dei suoi tentativi di vomitare. O per lo meno non l'unica nè la più importante.  La certezza di questo lo colpì per la prima volta e fu subito assoluta.

C’era dell’altro e così profondo da non poter essere sfiorato.

Le passò le braccia intorno al corpo e la strinse, tentando di confortarla. Rimasero così, a lungo, finché non la sollevò e la portò a letto, rimboccandole le coperte.

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Capitolo 27
*** Capitolo Ventisettesimo ***


La guardò ferma sulla soglia. Gli sembrava così giovane, con i capelli sciolti sulle spalle e in la camicia da notte di pizzo bianco. Era, giovane. Le guardò le gambe magre, il seno appena accennato, poi le fissò gli occhi. Non riusciva a decifrare l’espressione che aveva.

Non sapeva che cosa dirle. Era entrata nella stanza nel cuore della notte e ora stava lì in silenzio.

“Non ti senti bene?” provò a chiederle, sollevandosi sui cuscini e tenendo ben stretto il lenzuolo. In quel momento, avrebbe preferito non avere l’abitudine di dormire completamente nudo.

“Io..” mormorò lei “Io.. vorrei dormire con te” e mentre lo diceva, i suoi occhi si allargarono tanto da sembrare enormi nel viso così affilato.

James rimase senza fiato. La scrutò, per quanto riusciva alla luce della luna.

“Ho bisogno di..” capì che le lacrime le impedivano di parlare in modo scorrevole. Vide che sollevava le braccia e le incrociava sotto il seno “Ho bisogno di sentire.. “.

Le sue parole rimasero sospese tra loro. Erano troppi i significati che James poteva attribuire a quella frase lasciata a metà e dall’espressione di Emma gli era impossibile prendere una decisione. La guardò avvicinarsi e sedersi sul bordo del letto. Lo fissava, incapace di dire altro.

Non voleva veramente farlo. Non voleva che la specie di rapporto che aveva con lei prendesse una piega così coinvolgente. Aveva pensato di esserci riuscito, quando l’aveva accusato di essere nient’altro che il suo carceriere, nell’unica manifestazione emotiva che aveva avuto da che era a Londra.. Da che la conosceva, in verità. Ma a quanto pareva, aveva fallito.

Pensò solo questo mentre allungava le braccia e gentilmente l’attirava vicino, abbracciandola. Era rigida ed in imbarazzo, ma nello stesso tempo, lo capì subito, era sollevata che lui non si fosse tirato indietro. Così, le prese le braccia e se le mise intorno al collo. Appoggiò la guancia a quella di lei “Emma.. ascoltami..” tentò di dire, ma le sue dita sulle labbra lo zittirono. Uno sguardo, e poi si trovò la sua bocca sulla propria, la testa lievemente piegata, le mani che gli sfioravano i capelli. Con un movimento aggraziato, si sedette su di lui, imprigionandolo tra le gambe e stringendosi di più. James si staccò leggermente cercando i suoi occhi. Voleva vedere ed essere sicuro di quel che vedeva.. e poi magari respingerla con gentilezza, spiegarle che.. Ma lei aveva la palpebre abbassate e si muoveva piano sul suo grembo, scagliandolo oltre. Sentì la gola secca e i brividi, sentì la reazione del suo corpo. Improvvisamente, la vide, o meglio, la sentì per ciò che veramente era.. una ragazza che lo voleva, che gli stava chiedendo di volerla.

Le mise le mani intorno alla vita, la sollevò appena ed entrò in lei, lentamente, affondandole il viso nella spalla. Emma si fermò un momento, senza fiato. Poi, dopo quella che parve un’eternità, cominciò a muoversi piano su di lui, trascinandoselo dietro.

Solo il loro respiro riempì lo spazio della camera. James rinunciò a cercarle lo sguardo e la schiacciò a sé, mentre la marea li trascinava lontani dalla rassicurante riva della razionalità.

Riemergendo da quella sensazione, con attenzione la fece sdraiare tra le lenzuola. La guardò e questa volta Emma non si sottrasse. Si sdraiò accanto a lei e la tirò a sé. Rimase sveglio finché, dal suo respiro regolare, non capì che si era addormentata.

 

A svegliarlo furono i rumori provenienti dalla cucina. Si rese conto di essere solo.. Si sollevò e s’infilò i pantaloni del pigiama. Nel corridoio si bloccò un momento, pensando a che cosa dire ad Emma.. a che cosa eventualmente risponderle.. Poi si diede dello stupido. Non serviva a niente tergiversare o studiare una strategia. Non ora.

Si affacciò in cucina e si stupì di trovare Jenny che finiva di apparecchiare per la colazione. La donna gli spiegò che Emma era uscita con Daniel molto presto. James annuì, in parte turbato per quella che gli parve una vera e propria fuga, in parte sollevato di non doverla affrontare subito.

Si vestì, fece una veloce colazione ed uscì per andare in ufficio. Nonostante fosse la festa di Santo Stefano, avrebbe lavorato.. Era un buon modo per non pensare alla notte appena trascorsa.

Un aggiornamento - regalo per quelli che seguono questa triste storia.
Un ringraziamento a _rainbow_.
Ezrebet

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Capitolo 28
*** Capitolo Ventottesimo ***


Daniel la portò a vedere il cambio della guardia a Buckingham Palace, poi le offrì un plumcake seduti ad un tavolino senza troppe pretese. Quando Emma l’aveva chiamato, prima delle otto quella mattina, era saltato giù dal letto e l’aveva raggiunta in tutta fretta. Anche se non si era confidata, aveva capito che era successo qualcosa.. Guardandola, si rese conto che era profondamente triste. Continuava a mescolare lo zucchero nel thè senza dire una parola..

“Emma.. che cosa è successo?.. Sembri.. boh, non lo so.. E’ stato James?.. Che ha combinato?” provò a scherzare, ma l’occhiata che gli riservò lo zittì. Sospirando, decise di aspettare che fosse lei a parlare.

E lo fece, qualche minuto più tardi.

“E’ per Tyler” sussurrò guardandolo mangiare la sua fetta di dolce “..ha una fidanzata..”.

Daniel aggrottò la fronte “Tyler? E chi sarebbe?”.

Un momento dopo, Emma gli raccontò la sua storia con Tyler, la fuga di giugno, il loro addio, le sue speranze.. omettendo il tentativo di suicidio.. Non aveva pensato di confidarsi con lui, dal momento che tutta la faccenda era successo proprio nell’estate in cui avrebbero dovuto fidanzarsi, ma ora le cose tra loro erano cambiate. E sentiva che poteva fidarsi di lui.. Era il suo unico amico.

Daniel lasciò che finisse di raccontare, poi le prese una mano attraverso il tavolino e giocherellò con le sue dita “.. e tu lo ami?..”.

La ragazza sospirò alzando le spalle “Io.. l’ho creduto. Sul serio.. ma mi rendo conto che invece per lui.. non era la stessa cosa..”.

“Voleva fuggire con te..” abbozzò un sorriso.

“Forse, voleva solo un’avventura..”.

Lui rise “Può darsi.. E te, da che cosa stavi fuggendo? Dal fidanzamento con un Moore?.. Da me?”.

Gli strinse di più la mano “Non lo so. Mi sentivo in una gabbia.. Non pensavo veramente al fidanzamento, no, sapevo solo di sentirmi in trappola.. Come mi sento ora” sussurrò, abbassando lo sguardo.

Daniel la guardò a lungo, prima di dire “Ti senti così a casa con James?”.

“Mi rendo conto..” balbettò “Mi rendo conto che.. lui fa tutto per farmi stare bene.. ma..” sentì le lacrime salirle agli occhi, mentre rivedeva i conflitti con lui, quel bacio e ciò che era accaduto durante la notte.. “So che anche lui si sente in trappola”.

“Mia cara, questo è impossibile” il tono di Daniel era ironico “Mio fratello non si sente mai in trappola.. lui le costruisce, le trappole!” si appoggiò allo schienale della sedia “Il vostro matrimonio è stata la mossa giusta al momento giusto.. tutto qui.. e siccome io non ero disponibile..” si fermò “Non che io non ti voglia bene, Emma, ma un matrimonio è..”.

Lo bloccò con un cenno della mano “Tu sei il mio unico amico. Va bene così” abbozzò un sorriso.

“Wow” fece lui “.. gli hai detto come ti senti?”.

Emma ripensò a quando gli aveva urlato di considerarlo il suo carceriere e così annuì “..non se lo merita” mormorò “Credo che voglia chiudere questa.. questa unione con me.. Spero che lo faccia presto..”.

Daniel la scrutò attentamente “Lo puoi fare tu.. Non sei obbligata a rimanere qui con lui..”.

Lei non rispose. Ricambiò lo sguardo di Daniel in silenzio.

Rimasero così finché proprio Daniel si alzò “.. continuiamo la nostra passeggiata.. che diamine, è il secondo giorno di Natale!”.

Ed Emma, sorridente, lo seguì.

Camminarono lungo le sponde del Tamigi, tenendosi l’un l’altro per non scivolare sul ghiaccio, facendo commenti spiritosi sui passanti che avevano le loro stesse difficoltà. E piano piano, rientrarono a casa.

Trascorse il pomeriggio in camera, tentando di concentrarsi nella lettura, ma fu quasi impossibile per lei non tornare col pensiero a James, a ciò che aveva davvero sentito tra le sue braccia. Così gli aveva detto, voleva sentire.. Perché Robert le aveva svelato che anche lei avrebbe potuto farlo, sentire oltre quell’infinita tristezza che la teneva in ostaggio, quel senso di disagio che le impediva tutto.

Ed era rimasta travolta dalle sensazioni che il suo corpo le aveva regalato. Ancora adesso, solo ripensandoci, sentiva lo stomaco allargarsi, il fiato corto.. Spalancò gli occhi sbalordita. Era come se il suo corpo reagisse da solo, fuori dal controllo della sua volontà. Il ricordo delle labbra di lui sulle proprie, delle mani che scivolavano lungo il suo corpo, dell’unione che avevano condiviso.. Dovette alzarsi dal letto e mettersi seduta, per riprendere lucidità.

E ora, che cosa sarebbe successo? Come avrebbe reagito davanti a James in carne ed ossa, se solo il pensiero di lui le faceva quell’effetto..?

Lo sentì rientrare molto più tardi. Guardando la sveglia, vide che erano le nove passate. Sentì che salutava Jenny e si toglieva la giacca. Sentì anche il rumore dei bicchieri, e capì che si stava versando da bere.

Il cuore le batteva impazzito, mentre si augurava che non la cercasse..

I passi nel corridoio la avvertirono che stava arrivando. Ed infatti, poco dopo lo vide sulla porta. Aveva tra le mani un bicchiere d’acqua e le pastiglie.

“Ciao” le sorrise, imbarazzato “Qui ci sono le medicine” avanzò nella camera ed appoggiò tutto sulla scrivania “Come.. come hai passato la giornata?..”.

Lei non si mosse dalla sua posizione. Lo fissava, concentrata sulle proprie sensazioni. Imbarazzo e una gran voglia di scappare.. ma nello stesso tempo non riusciva a togliergli gli occhi di dosso.

“.. io.. io sono uscita con Daniel..” balbettò.

James annuì “Bene. Spero ti sia divertita..” s’infilò le mani nelle tasche dei pantaloni “Allora.. tutto okay?”.

“Tutto okay” ripeté lei fissandolo.

Lo guardò voltarsi ed uscire dalla stanza senza aggiungere altro. Lo sentì fare la doccia, girare ancora per casa e poi sentì che aveva acceso il computer.

Dunque, era così. Non c’era molto da dire sulla notte che avevano trascorso insieme.. Mentre si preparava per andare a dormire, Emma pensò che forse era meglio. Era di certo la cosa migliore che James si fosse già dimenticato.

 

Rimase tutta la notte seduto davanti al computer a fumare sigarette e a bere bourbon. Non riusciva a lavorare e l’idea di andare a dormire neanche lo sfiorava. Sapeva di essere un codardo. Avrebbe dovuto iniziare lui il discorso con Emma. Ma era ancora scosso e per la verità non aveva ben chiaro che cosa doveva dirle. Di sicuro, non che era rimasto incantato dalla sua dolcezza, dall’intensità con cui l’aveva stretto, dai suoi occhi mentre la baciava dappertutto. Quasi ringhiò al ricordo. Oh, Dio, l’aveva desiderata e la desiderava e questo lo faceva sentire un mostro. Perché era una ragazza malata, disturbata, aveva bisogno di cure e soprattutto.. aveva bisogno di scegliere la sua vita..

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Capitolo 29
*** Capitolo Ventinovesimo ***


Il medico si pulì lentamente gli occhiali, poi li sistemò sul naso e le sorrise “Una settimana intensa, a quanto sembra”.

La voce di Robert la scosse dai suoi pensieri. Dio, era stato difficile confidargli quanto era successo.. tanto più che ora come ora le pareva solo un sogno. O un incubo, non aveva ancora deciso. Non parlava con James dal giorno di Santo Stefano. Era improvvisamente partito per alcuni affari a Parigi e non si era fatto sentire da allora. Come era accaduto dopo il matrimonio. E lei aveva trascorso le giornate con Daniel a studiare e a passeggiare in mezzo alla neve di Londra.

Aveva anche deciso che sarebbe andata al cenone di San Silvestro con lui e i suoi compagni di corso. Non ricordava nemmeno l’ultima volta che era stata ad una festa.

Robert riprese “Come ti senti rispetto a questo.. cambiamento, con James?”. La domanda così diretta la sorprese, forse perché non aveva una risposta..

“Nonostante tutto il tempo che ho passato a farmi domande e a riflettere..beh, non lo so” disse sinceramente “.. so soltanto come mi sono sentita.. in sua presenza..” abbassò lo sguardo.

“..l’attrazione fisica è molto importante” venne in suo soccorso l’uomo “E’ alla base dell’esperienza sessuale ed affettiva delle persone, maschi e femmine, indistintamente” cercò i suoi occhi “E’ molto bello che ti sia resa conto di questa sensazione nei confronti di tuo marito”.

“Non è un vero marito” obbiettò subito.

“Oh, per la verità, lo è dall’altra sera” fece Robert “Tecnicamente, avete consumato il matrimonio. E’ un termine desueto, ma rende l’idea” appoggiò le mani sulla scrivania “Non significa che ti devi innamorare di lui. E non prendere per il verso sbagliato quel che sto per dirti.. Ma devi accettare questa parte”. Al suo sguardo confuso, lui riprese “La tua parte femminile, che desidera, che cerca un contatto fisico.. Il desiderio, mia cara, è alla base della nostra sopravvivenza. Senza desideri, di qualunque, tipo, non saremmo diversi dai cadaveri..” la scrutò e la sentì dire “Io amo Tyler.. anche se lui…”.

“Ma certo. Il tuo primo amore. E chi potrebbe scordarsi la prima volta che il cuore ha fatto un salto!” le sorrise con aria tenera “Ma adesso lo sai che non è più così. Lo sai, vero, Emma?”.

La ragazza lo guardò. Robert sembrava leggerle dentro, qualche volta.

 

Daniel la riempì di complimenti per tutto il tragitto verso la villa appena fuori città dove si sarebbe tenuta la festa. Le disse che l’abito nero, scollato quanto bastava, e con uno spacco fin sopra il ginocchio, era perfetto per lei. Emma rideva, contenta. Daniel aveva quel modo particolare che la divertiva.. e le faceva dimenticare per un po’ il mal di piedi dovuto ai tacchi e quel certo mal di testa a causa di tutte le forcine che c’erano volute per tenere su i suoi capelli..

La festa si rivelò divertente. Gli amici di Daniel la fecero sentire a suo agio. Spiluzzicò qualche tartina e sorseggiò un po’ di spumante, ma per la maggior parte del tempo chiacchierò e ballò, come non faceva da quando era bambina..

“Quell’orso di mio fratello si pentirà di non aver accettato il mio invito..” borbottò Daniel sull’auto, mentre la riportava indietro. Era quasi l’alba, ma lui non smetteva di parlare. Emma si trovava completamente a suo agio.

“Gli avevo detto che sarebbe stata una bella festa”.

Lo fissò “L’hai invitato?”.

“Ma si, certo.. anche se è un po’ più grande di noi poveri studentelli.. era una buona occasione anche per lui. L’ho sentito ieri..”.

Emma rimase turbata. E poi si chiese perché doveva sentirsi così. Era logico che James chiamasse suo fratello, molto meno logico che chiamasse lei, quando c’era Jenny che lo teneva informato su tutto.

“Mi ha detto di divertirci e mi ha salutato..” si volse a guardarla “Mi pareva contento che tu venissi..” la fissò attentamente “Che cosa c’è?”.

“Niente. Solo.. Non sapevo che avessi invitato anche James” sussurrò abbozzando un sorriso.

“Non te l’ha detto?” spalancò gli occhi.

Lei scosse la testa. Un momento dopo, Daniel fece “Non mi dire che non lo senti da quando è partito..”. Il tono di autentico stupore che il ragazzo usò la fece agitare. Voltò la testa per fissare un punto indistinto fuori dal finestrino.

“..è uno stupido” esclamò lui “Una ragazza come te si meriterebbe maggiore attenzione..” batté nervosamente una mano sul volante.

“Il nostro.. il nostro rapporto non è esattamente…” iniziò a dire lei senza trovare le parole giuste.

“Oh, va bene, questo l’ho capito e mi sembra normale visto come vi siete sposati.. ma per me è assurdo che non ti chiami da una settimana, giorno più giorno meno” ribadì Daniel.

Emma sospirò, chiudendo gli occhi ed appoggiandosi meglio al sedile. Era inutile tentare di spiegargli come lei si sentiva, rispetto a questo, perché non era riuscita a spiegarlo nemmeno a Robert. Era inoltre spaventoso dover ammettere che il pensiero del corpo di James e del suo calore le invadeva i pensieri ogni notte..

Entrando in casa, notò la luce nel corridoio. Improvvisamente agitata, si schiacciò contro le porte chiuse dell’ascensore. C’era James ed era sveglio, alle cinque della mattina. Magari, era di ritorno da qualche ricevimento.. Si tolse piano le scarpe, tentando di non far rumore, e tentò di scivolare in camera senza farsi sentire..

Ma quando alzò gli occhi, vide la sagoma di lui ferma sulla soglia della sua stanza. Aveva indosso soltanto i pantaloni ed era scalzo. Guardandolo meglio, notò l’aria stanca..

“Ciao” la salutò “Dovrei dire.. auguri di buon anno..”.

“.. auguri anche a te” sussurrò.

“La festa, a quanto pare, è stata un successo” disse, appoggiandosi allo stipite della porta.

Lei annuì “Si, abbiamo fatto così tardi..” fece un cenno con la mano ed alzò le spalle.

“..stavo pensando di bere un po’ di spumante.. Ne vuoi un po’?” dicendolo, le passò accanto dirigendosi in sala.

Emma era incerta. Erano le cinque di mattina, aveva sonno.. Oh, Dio, non aveva affatto sonno. Era agitata per James. Quello era il discorso più lungo che stavano facendo da quella notte.. Non sapeva se era davvero pronta ad affrontare qualsiasi cosa le avesse detto..

La chiamò dalla sala e, con un sospiro, lei tornò indietro, raggiungendolo. Vide che aveva versato un po’ di vino nei calici.

“Non hai preso le medicine, non ti farà male..” le sorrise porgendogliene uno.

Ne assaggiò un po’, imbarazzata dal suo sguardo risoluto.

Lo guardò mettersi comodo sul divano e dire “Sono arrivato un’oretta fa e non riesco ad addormentarmi. Troppo rumore da fuori.. la festa sembra non avere mai fine..”. In effetti, i rumori del traffico e della gente che passava a piedi arrivavano nitidi fino all’appartamento. Sembrava di essere in pieno giorno.

Poi, all’improvviso, cambiò tono ed Emma ebbe un sussulto.

“Emma.. per l’altra sera..” cominciò a dire. Lei spalancò gli occhi e li abbassò a terra. Non poteva guardarlo in quel momento.. Non adesso che le immagini le passavano davanti come quelle di un film.. Boccheggiò al ricordo.

“.. non so che cosa mi sia preso.. mi dispiace, non avrei voluto che succedesse.. scusami”.

Le lacrime le salirono agli occhi immediatamente. Forse sarebbe stato meglio il silenzio, almeno non avrebbe dovuto affrontare l’ennesimo rifiuto.. per quanto la piccola Emma si sforzasse, nessuno la voleva abbastanza da tenerla vicino.

Mosse appena la testa, sperando che James si accontentasse di quella risposta. Non poteva guardarlo.. prima, doveva riprendere il controllo di sé.

Lui parlò ancora “Questi giorni mi sono serviti per capire che.. sì, insomma, che ne avremmo dovuto parlare e che ti avrei dovuto fare le mie scuse.. Oh, Dio, non faccio altro che scusarmi con te perché perdo il controllo..” sospirò, appoggiando la testa ai cuscini e chiudendo gli occhi.

Cercando di mantenere il tono fermo, Emma sussurrò “Non occorre che ti scusi. E’ tutto a posto.. Sto bene”.

James alzò la testa di scatto e strinse gli occhi “Stai bene?”.

“Si. Sto bene..” solo allora si permise di guardarlo, abbozzando un sorriso “Lo pensa anche Robert”. Si sforzò di mantenere l’espressione, guardandolo dritto negli occhi.

Lo vide appoggiare il bicchiere sul tavolino e alzarsi in piedi “Beh.. questa è un’ottima notizia..”.

“Si, così potrò tornare a casa presto e lasciare libero l’appartamento” proseguì lei.

A quelle parole, James piegò leggermente di lato la testa, concentrandosi “.. che significa?”.

“Se starò meglio, potrò tornare a casa e lasciarti in pace” continuò la ragazza, che stupiva sé stessa per la logica di quanto gli stava dicendo. Ma certo, sarebbe guarita,  e siccome la fusione era avvenuta, non sarebbe più servito quel matrimonio.. James sarebbe stato libero.

L’espressione confusa di lui bloccò quanto stava per dire. Lo guardò seria, cercando di ignorare il magone che sentiva dentro allo stomaco. Era un crampo. Uno di quei crampi che precedevano il vomito.. lo riconosceva.. si, certo, era così..

Lo vide muoversi verso di lei e dire “Non intendevo affatto questo”. Le si fermò davanti, le appoggiò cautamente le mani sulle spalle e sembrò cercare le parole.. Il contatto sulla pelle riportò Emma a qualche notte prima, quando aveva sentito quelle stesse mani ovunque, su di sé.. Un brivido la scosse da capo a piedi e la costrinse ad allontanarsi. Gli occhi di lui scattarono nei suoi, senza mollare la presa. Vide che improvvisamente cambiavano espressione, un bagliore li attraversò, facendoli apparire quasi neri.. Come quando era furioso e le urlava contro..

Emma capì. Capì che James aveva visto qualcosa nel suo sguardo e ne era rimasto sbalordito. Adesso, lei doveva agire, allontanarlo da sé e correre via, prima che lui chiarisse maggiormente il suo rifiuto, annientandola.. Lo guardò ancora e per la prima volta vide il colore incredibile nei suoi occhi, blu, con dei riflessi d’argento che facevano brillare l’iride anche al buio.. Fu allora che lo fece. Si avventò su di lui, prendendogli il viso tra le mani e cercando frenetica le sue labbra. Schiantò le proprie sulla sua bocca, sentendo che si feriva con i denti, ma non vi badò, il dolore non era mai stato un problema per lei. All’inizio, James rimase fermo, poi la avvinghiò a sé, circondandole la vita con le braccia e sollevandola nella foga. Le invase la bocca, proprio come lei aveva fatto con lui, come se il suo unico desiderio fosse mangiarla.. Si staccarono quando ebbero entrambi bisogno di prendere fiato. Emma nascose la testa nella sua spalla, incapace di guardarlo, sommersa dal pudore, dalla frenesia, dall’urgenza.. e lasciò che lui la portasse via dalla sala, nel corridoio, nella sua camera, sul suo letto.

Lo guardò toglierle il vestito e fermarsi a studiarla, tracciare una lunga carezza sul suo fianco e poi guardarla ancora. Si abbassò e cercò ancora le sue labbra, in un bacio dolce e lento, per poi scendere sul collo, sul seno, sul ventre.

Emma strinse le lenzuola quando sentì che la baciava sulle cosce e con mani esperte, raggiungeva le sue parti più nascoste, facendola boccheggiare..

Poi trovò ancora le sue labbra e cercò le sue mani, adagiandosi su di lei. Aprendo gli occhi, lo fissò incapace di dire qualsiasi cosa. Fu lui a sussurrare “Oh, Emma..Emma.”.

Quando lo sentì dentro di sé, si morse le labbra ed affondò il viso nella sua spalla, avvinghiandosi ancora di più, lasciandosi andare a quella sensazione sconosciuta e famigliare nello stesso tempo che andava sciogliendosi nel suo ventre.

Lo tenne stretto a sé finché lui non crollò su di lei, rinchiudendola nelle proprie braccia.

Emma ebbe paura perfino di respirare.

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Capitolo 30
*** Capitolo Trentesimo ***


Il suono del cellulare riempì la stanza, svegliandola. Spalancò gli occhi, ricordando immediatamente di trovarsi nel letto di James. Mentre cercava il coraggio di voltarsi, sentì la sua voce assonnata.

“Si, Parker, sono al corrente. Sì, ci vediamo tra un’ora in ufficio..”.

Quando riuscì a voltarsi, lo scoprì girato su un fianco, intento a guardarla. Ricambiò quello sguardo serio per un po’, poi, imbarazzata fece per sollevarsi, tirandosi il lenzuolo sotto il mento.

Era completamente nuda e il suo bell’abito da sera giaceva a terra, ai piedi del letto. Sospirò pensando a come raggiungerlo..

“Tieni”. Si girò e prese ciò che James le tendeva. Si rese conto che era una delle sue camicie “..buongiorno” sussurrò poi.

Emma fece un cenno con la testa, imbarazzata, poi gli diede le spalle ed s’infilò l’indumento. Sentì che lui si alzava ed attese un momento prima di girarsi. Lo trovò con indosso i pantaloni del pigiama, che si passava una mano tra i ricci ribelli.

“Devo uscire. Mi aspettano per una cosa urgente in ufficio..” le disse “Rientrerò per cena, credo..”.

Lei annuì, alzandosi a sua volta “Si..” raccolse velocemente il vestito e la biancheria, rimanendo lì ferma, con tutta quella stoffa stretta al petto “..allora.. ci vediamo più tardi..”.

“Si, più tardi” e si diresse in bagno.

Un attimo dopo, era nella sua camera, che freneticamente cercava di infilarsi qualcosa addosso. Un paio di jeans, una maglietta, le prime cose che riuscì a trovare nell’armadio. Poi, si sedette sul letto, ancora immersa nella sensazione delle braccia di James attorno a sé. Era incredibile.. era una sensazione tattile.. come se lui fosse lì e la stesse stringendo, baciando, ripetendo il suo nome all’infinito, come aveva fatto qualche ora prima..

Sentì il rumore della doccia, lo sentì vestirsi e poi i passi che si fermavano davanti a camera sua. Alzò gli occhi e incontrò i suoi. Che cosa avrebbe fatto, adesso, James?

Ebbe un sussulto quando lo vide avvicinarsi e piegarsi su di lei, sfiorandole le labbra con le proprie. Le sorrise “Ci vediamo più tardi” disse soltanto, prima di uscire.

Era stato così semplice.. tutto così semplice.. Lui che entrava, le sorrideva, le dava un bacio lieve.. Sospirò forte, mentre di nuovo le lacrime la assalivano.. perché questo doveva finire? Perché Dio, o chi per lui, l’aveva fatto così imperfetta da non essere mai abbastanza?..

Si rannicchiò sul letto ed affondò il viso arrossato nel cuscino, cercando di resistere dallo scoppiare in un pianto dirotto.

 

Jenny arrivò un’ora dopo. La guardò prendere le medicine, poi infornò le lasagne e riordinò la sala. Le disse che sarebbe rimasta fino alle sei del pomeriggio, come le aveva telefonato James. E così fece, lasciandola sola ad aspettare lui..

Non sapeva bene come comportarsi. Che cosa si aspettava James da lei? Forse un caldo benvenuto, un bacio, come aveva fatto lui quella mattina, o forse indifferenza, per fare come sempre, ignorare? Certo, questa sarebbe stata la tattica migliore in previsione della fine..

Quando se lo trovò davanti, rimase ferma dov’era, seduta sul divano, un cuscino stretto tra le braccia, la musica a volume alto. Lui la guardò un momento, poi si avvicinò allo stereo ed abbassò. Tornò a guardarla, mentre si toglieva il cappotto e la giacca e si allentava la cravatta. Emma capì che stava studiando la situazione, stava cercando di capire che cosa fare.. Distolse lo sguardo, sentendosi improvvisamente indiscreta. Si alzò dal divano e si diresse in cucina “La cena è quasi pronta..” gli disse prendendo la tovaglia “Jenny ha preparato le lasagne”.

Lui annuì “Bene.. allora stappo una bottiglia di vino” e lo vide affaccendarsi al mobile bar, dopo aver arrotolato al gomito le maniche della camicia. Mentre preparava i piatti, Emma pensò che poteva andare bene anche così. Non parlarne..

Una volta a tavola, James mangiò rapidamente, senza guardare nemmeno una volta Emma, senza controllare che lei rimanesse digiuna o meno.. Lei ingoiò metà della sua porzione, senza staccare lo sguardo dal piatto.

Sobbalzò quando lo sentì schiarirsi la voce e dire “Vorrei che tu.. pensassi seriamente all’università..”.

Lo fissò mentre continuava “.. alla possibilità di frequentarla qui.. a Londra”.

Lei annuì “Ci penserò..”.

Rimasero seduti ancora un po’, mentre il cuore di Emma si allargava..

 

Seduto davanti al computer, James lanciava ogni tanto un’occhiata ad Emma, che stava leggendo qualcosa semi sdraiata sul divano. Dopo lo strano risveglio della mattina, aveva pensato per tutto il giorno a come affrontare la serata con lei ma le cose erano filate molto più lisce di quanto aveva creduto. Emma era tranquilla ed aveva anche mangiato qualcosa.. Adesso si stava chiedendo che cosa si aspettasse da lui.. Forse avrebbe dovuto seguire il proprio istinto, alzarsi, abbracciarla e portarla in camera.. O chiederle semplicemente di dormire con lui, di trasferirsi da lui.. Perché, santo cielo, aveva adorato fare l’amore con lei e sentirla vicino tutta la notte, appoggiata alla sua spalla, rilassata nel sonno.. Si sentì eccitato al solo pensiero delle sue mani sul corpo, dello sguardo che gli aveva regalato prima di addormentarsi, della stretta in cui l’aveva chiuso, come se avesse temuto di vederlo scomparire.

Invece, la sbirciava da dietro il computer, sperando che Emma non se ne andasse dopo gli esami di maggio, che stesse meglio e che decidesse di provarci, almeno provarci, con lui.

Come fosse successo, non riusciva a spiegarselo.. ma nonostante i conflitti, le sfuriate e le lacrime, Emma aveva riempito il suo appartamento vuoto da anni e così aveva fatto con i suoi pensieri. Si era ritrovato a Parigi più e più volte fermo davanti al telefono incerto se chiamarla o meno.. Non l’aveva fatto ma solo perché improvvisamente aveva avuto paura. Paura di lasciarsi andare a quell’attrazione e sbagliare tutto. Emma era giovane, instabile, piena di problemi..

Sospirò, appoggiandosi meglio alla poltrona. Emma si voltò a guardarlo ed incontrò i suoi occhi.. Anche adesso, sentiva che la cosa migliore che potesse fare era alzarsi e correre da lei, abbracciarla e tenersela vicino..

Invece prese dal cassetto la chiave dell’armadietto del bagno e gliela porse “Forse è meglio che tu prenda le medicine”.

Lei si alzò, prese la chiave e sparì nel corridoio.

James si domandò se non fosse il momento di far sparire quel lucchetto.

E così quando gli fu davanti col bicchiere e le pastiglie, le disse “Credo.. credo che tu possa prenderle da sola, le tue medicine..”.

Davanti al suo sguardo stupito, rise “Beh.. spero tu sia d’accordo..”.

Rimase letteralmente senza fiato quando Emma si avvicinò e lo abbracciò. Lo tenne stretto a sé, premendogli la testa sul seno, le mani che gli accarezzavano i capelli. Lui era come gelato, incredulo, non voleva muoversi per paura che lo lasciasse andare.

Invece, Emma si staccò appena per sedersi sulle sue gambe e guardarlo negli occhi. Nel suo sguardo c’era una muta richiesta e lui l’accontentò. Le catturò le labbra in un bacio lento, che le invase la bocca, mentre le accarezzava la schiena e le braccia.

Quando ripresero fiato, si guardarono un istante, poi James la sollevò in braccio e si diresse in camera, mentre lei si abbandonava sul suo petto, chiudendo gli occhi.

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Capitolo 31
*** Capitolo Trentunesimo ***


Svegliandosi, aveva trovato un vassoio appoggiato sulle coperte e aveva visto la brioche ed il cappuccino. Poi, alzando lo sguardo, aveva scorto James con addosso soltanto i jeans seduto in fondo al letto, che le sorrideva.

“Facciamo colazione?”. Aveva versato un po’ di zucchero nel latte dicendo “Credo che potremmo dividerci tutto..”.

Emma aveva lasciato che lui la imboccasse, ridendo se qualche schizzo di caffè finiva sulle lenzuola o se le briciole della brioche rotolavano giù. L’atmosfera serena l’aveva avvolta, facendole dimenticare il senso di angoscia che l’aveva assalita al risveglio quando si era chiesta che cosa sarebbe successo, d’ora in avanti, perché era certa che niente sarebbe stato più come prima.. Non sapeva proprio come James avrebbe affrontato quanto era di nuovo accaduto fra loro ed era sinceramente troppo occupata a capire le proprie, di sensazioni.. Si perché erano sensazioni forti ed assolute quelle che l’avevano assalita. Come Robert le aveva spiegato, era di questo che doveva essere piena la vita di una persona..

Come se le avesse letto dentro, James disse “Credo che.. che se pensi di poterti accontentare di mezzo armadio e mezzo letto.. potresti trasferirti qui..” e mentre lo diceva, la guardava con occhi scintillanti. Emma ricambiò quello sguardo intenso, prima di rispondere “Si, posso farlo”.

Lui sembrò prendere fiato. Spostò il vassoio sul comodino e la raggiunse, abbracciandola. Le labbra di Emma si distesero in un sorriso, mentre si perdeva in quel momento completamente inaspettato.

 

Era andato in ufficio, come tutte le mattine, dicendole che l’aspettava per pranzo. Emma non aveva fatto altro che annuire,  frastornata, mentre lui la baciava ancora prima di uscire. Così, verso mezzogiorno era uscita insieme a Jenny che l’aveva lasciata davanti alla Moore&Moore.

Mentre saliva all’ultimo piano, aveva incontrato molte persone e tutte l’avevano salutata con un sorriso gentile e un “Buongiorno, signora Moore” che l’aveva lasciata ogni volta sbigottita. La segretaria le era andata incontro con un bel sorriso stampato in faccia e l’aveva aiutata a togliersi il cappotto, accompagnandola in una saletta attigua all’ufficio di James.

“Il dottor Moore è in riunione. La raggiungerà fra qualche minuto”, aveva detto lasciandola sola. Emma si era guardata intorno ed aveva visto eleganti divani color salmone, stampe di pittori impressionisti alle pareti, tappeti preziosi e colorati.. Si era seduta nervosa, chiedendosi se la gonnellina di lana rossa ed il maglioncino nero erano abbastanza adeguati ad un ambiente simile.

Ma i suoi dubbi sparirono non appena James fece il suo ingresso. La guardò, chiuse la porta velocemente e la raggiunse, stringendola subito in un caloroso abbraccio. Emma si sentì sopraffatta. Lui si scostò appena per sussurrarle “Non ho pensato ad altro per tutta la mattina” le sfiorò le labbra con le proprie “Stavo diventando matto”.

Lei rise, timidamente, e si lasciò trascinare fuori, verso l’ascensore. E, senza lasciarle la mano, James la condusse alla sua automobile, la aiutò ad entrare e disse “Ti porto in un posto speciale..”.

Lo guardava estasiata, mentre con sicurezza guidava lasciandosi alle spalle il centro e dirigendosi verso la campagna. Guardò il suo profilo concentrato nella guida, le sue mani, sicure sul volante, e lo sguardo che le riservava ogni tanto, durante il viaggio. L’ormai famigliare sensazione allo stomaco non la lasciava un istante e le impediva di formulare un pensiero coerente.

L’auto su fermò davanti ad un edificio d’epoca, circondato da un giardino completamente sommerso dalla neve. Emma lo sentì dire “Mangiamo qui.. noi due soli”.

Ed in effetti l’enorme salone del ristorante era vuoto. L’unico tavolo apparecchiato per due era quello accanto al camino acceso. Il maitre che li accolse li condusse là e consegnò loro i menù.

“Scegli quello che vuoi. Divideremo tutto..” la fissò con un sorriso “Così va bene?”.

In realtà, non sapeva che cosa rispondergli. Non sapeva neanche se sarebbe riuscita a mangiare qualcosa.. Lo stomaco sembrava chiuso in una morsa.. ma stavolta, non sentiva i crampi del vomito..

Mentre aspettavano le ordinazioni, una bistecca per due, un’insalata per due, James le prese una mano attraverso il tavolo dicendo “Voglio che tu stia bene, Emma. Lo voglio sul serio” le accarezzò col pollice la cicatrice sul polso “E tu dovrai dirmi ogni cosa che sbaglio con te”.

Lei annuì, incapace di distogliere lo sguardo.

Il cuoco aveva già diviso a metà la bistecca e preparato due mini porzioni d’insalata. Emma mangiò alcuni pezzetti di carne e parte dell’insalata sotto lo sguardo rilassato di James, che non disse niente. Quand’ebbero finito, ordinò una fetta di torta di mele, spegnendo sul nascere le sue proteste “Beh.. potremmo dividerla in quarti e tu ne mangerai uno solo..” rise accarezzandole i capelli. Rise anche lei, persa nei suoi occhi azzurri.

Quand’ebbero finito, tornarono alla macchina, ma prima di partire, la prese tra le braccia e la baciò a lungo, stringendola forte. Emma aveva il cuore impazzito, incapace di credere a quanto le stava succedendo..

“A che ora arriva Daniel per le lezioni?” le domandò col viso affondato tra i suoi capelli.

“Temo che mi stia già aspettando” confessò lei.

James scoppiò a ridere. La lasciò a malincuore e mise in moto “E allora è meglio andare, prima che mi infligga una delle sue ramanzine”.

 

Daniel era nella hall del palazzo. Vide arrivare l’automobile di James, e un momento dopo, salutò Emma. Notò lo sguardo acceso della ragazza, per non parlare di quello che lo stesso James le aveva rivolto salutandola.

Le chiese “Beh.. dunque?”.

Emma lo guardò “Dunque? Dunque cosa?”.

“Che cosa avete, voi due?” aggrottò la fronte, seguendola sull’ascensore.

Emma si appoggiò allo parete, con aria turbata “Non lo so, Daniel, non lo so proprio”.

E il ragazzo rimase a fissarla, senza aggiungere altro.

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Capitolo 32
*** Capitolo Trentaduesimo ***


Robert le versò come al solito un po’ di the mentre ascoltava il racconto della settimana appena trascorsa da Emma, che, imbarazzata, teneva gli occhi bassi. Il medico pensò che fosse adorabile, così timida ed educata, mentre gli diceva dell’attrazione fisica che sentiva per suo marito e dell’improvvisa passione che era scoppiata tra di loro. Naturalmente, raccontava a modo suo, senza scendere in particolari che lei riteneva “sconvenienti”, ma la sua espressione era inequivocabile. Per la prima volta, in tutti quei mesi, Emma gli pareva.. una normale ragazza di vent’anni, innamorata.

Non aveva più vomitato, e, la trovata di James di dividersi tutte le portate, l’aveva spinta a mangiare un po’ di più.. Il medico rise tra sé.. sapeva benissimo che l’innamoramento poteva avere una verietà di effetti diversi sulle persone..

“Quando sono insieme a James mi sento.. elettrizzata” disse torcendosi le dita nervosa “Mi fa sentire bene, come se.. se ogni volta dovesse capitare qualcosa di nuovo e bello e..” guardò Robert “Mi piace molto, fisicamente, intendo”.

“Come ho già avuto modo di dirti, questa è una cosa positiva” le sorrise “..e tutte queste sensazioni nuove? Ti piacciono? Le gestisci?” strinse gli occhi osservandola.

“Si, mi piacciono, non so dirle se le gestisco.. in questo momento, vorrei soltanto stare con James..” disse sinceramente.

 

“Miss Smith, faccia prima possibile. Devo correre a casa”.

James sollecitò per l’ennesima volta la segretaria perché gli portasse i documenti da firmare. Erano quasi le otto e non voleva arrivare troppo tardi. La cena con Emma era diventato il momento più importante di tutta la giornata e non intendeva rinunciarci..

La segretaria entrò trafelata qualche minuto dopo, appoggiò i fogli sul tavolo ed attese che James li firmasse, poi, uscendo, gli disse, stupita nel vederlo già con indosso il cappotto “Per il viaggio a Roma..”.

Lui si fermò e la fissò “Quale viaggio?”.

“La prossima settimana ha due importanti riunioni a Roma con i vertici dell’ex Gruppo Altieri. E’ in calendario da ottobre. Sarà impegnato qualche giorno”.

Solo allora James si ricordò della scadenza. Finì di abbottonarsi e disse “Si.. per favore, prenoti il volo per due”.

In macchina, mentre guidava verso casa, si sentì eccitato all’idea di portare con sé Emma. Sarebbero stati insieme qualche giorno lontano da Londra e dall’appartamento.. Sorrise tra sé, pensando che avrebbero potuto allungare il soggiorno, magari prenotando in Grecia o in Sardegna, per una luna di miele.

Non riusciva davvero a credere che i loro rapporti si fossero evoluti in quel modo e vederla così serena ed allegra gli riempiva sempre il cuore di gioia. Il suo viso aveva un colorito più sano  e le medicine per dormire erano solo un ricordo, ormai. Lui ed Emma condividevano il letto, da qualche settimana, e non c’era niente di più bello di svegliarsi accanto a lei ogni mattina.. Non sapeva ancora dare un nome al sentimento che provava per lei, ma si conosceva abbastanza bene per capire che non si trattava solo di attrazione sessuale.

La trovò intenta a condire l’insalata. Le baciò la guancia, slacciandosi la cravatta ed i primi bottoni della camicia. Era così bello rientrare in una casa piena di luci, con la tavola apparecchiata ed una ragazza che lo fissava adorante. Emma lo guardava sempre così, come se fosse la cosa più preziosa del mondo e quando si stringeva a lui, si sentiva accolto come mai gli era successo.

Mangiarono velocemente  e poi si rifugiarono uno nelle braccia dell’altro sul divano, davanti al camino scoppiettante.

Fu in quel momento che le disse del viaggio in Italia. Nel suo entusiasmo, notò a malapena che lei non stava sorridendo. Si era leggermente staccata dall’abbraccio e lo guardava con una strana espressione.

Si accorse del suo cambiamento d’umore quando non sentì più le sue braccia attorno al collo.

“Che succede..?” le domandò perplesso.

Emma distolse lo sguardo, e dopo un lungo silenzio, mormorò “Immagino che dovrò incontrare i miei genitori”.

“Beh.. penso che almeno tuo padre sarà presente al primo consiglio d’amministrazione dopo la fusione.. e forse tua madre lo seguirà proprio per vederti” la scrutò “Non li vuoi incontrare?”.

La ragazza sospirò, alzandosi in piedi “Non lo so” evitò il suo sguardo.

James la raggiunse e la costrinse a guardarlo, prendendola per le braccia e sussurrò “So che.. che i vostri rapporti non sono mai stati facili. Lo so..” la attirò a sé, dandole un bacio tra i capelli “Ma tu non sei più la ragazzina che li ha lasciati mesi fa” la consolò “.. è tua, la decisione..”.

Emma nascose il viso nel suo petto, trattenendo le lacrime.

 

Si svegliò di soprassalto. Sbarrò gli occhi trovandosi a fissare il vuoto. Senza fiato, voltò appena la testa e scorse James, addormentato, affondato nei cuscini, un braccio appoggiato sul suo stomaco.

Riprese a respirare normalmente qualche secondo dopo, appoggiando una mano su quella di lui.

Non ricordava l’incubo, ma la sensazione che provava era assoluta. Nausea, ansia, frenesia.. Non sapeva definirla, ma la sentiva bene stringerle lo stomaco e su, fino all’esofago.

Con estreme attenzione, guidò la mano di James sulle coperte e scivolò fuori dal letto. Si guardò a lungo nello specchio del bagno, all’impietosa luce artificiale che le scavava le guance rendendola più emaciata che mai.. Lo spasmo la colse improvviso.. la costrinse a piegarsi sul lavandino, in preda ai conati.. Vomitò. Stremata, cercò a tentoni la salvietta e si asciugò il viso, chiudendo gli occhi. Non l’aveva voluto, non l’aveva cercato.. Ma forse, qualcosa dentro di lei, aveva agito in sua vece..

Tornò a letto e si rannicchiò contro la schiena di James, ancora profondamente addormentato.

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Capitolo 33
*** Capitolo Trentatreesimo ***


Filippo Altieri abbracciò la figlia col sorriso sulle labbra. Emma rimase rigida, nonostante volesse mostrarsi affettuosa. Ma lo sguardo che il padre le rivolse le fece capire che non se ne era accorto. Le stava facendo i complimenti per il suo aspetto e per la sua eleganza, un’espressione tranquilla e padrona della situazione stampata sul viso.. Un momento dopo, la sua attenzione era totalmente rivolta a James e al motivo dell’incontro. Emma lasciò che il sorriso aleggiasse sul suo volto per tutta la durata dell’incontro e si sentì sollevata quando vide i due uomini sparire dietro la porta della sala riunioni.

Rimasta sola, si lasciò cadere sul divano e chiuse gli occhi, esausta. Da un lato, la notizia che la madre non era a Roma per precedenti impegni l’aveva tranquillizzata, dall’altro lato l’idea che neanche Matilde era venuta ad incontrarla, l’aveva intristita. Era così tanto tempo che non l’incontrava. Le brevi chiacchierate al telefono non potevano sostituire l’intimità tra loro.. Voltò lo sguardo alla finestra e guardò il cielo luminoso della primavera romana. Aveva voglia di uscire e fare una passeggiata.. Ne avrebbe parlato con James, l’avrebbe convinto a portarla un po’ in giro..
 

Ma il pomeriggio trascorse veloce. La porta della sala riunioni si riaprì alcune ore dopo, quando fuori era ormai buio ed Emma si era appisolata da un po’. Sentì a malapena le voci sussurrate, sentì le braccia di James sollevarla e fece appena in tempo a rendersi conto di essere in automobile prima di scivolare di nuovo nel sonno.
 
A svegliarla fu la voce di James impegnato in una conversazione telefonica. Emma si stirò tra le lenzuola e occhieggiò intorno, notando il marito appoggiato alla finestra, in pantaloni del pigiama, assorto. Una telefonata di lavoro.
Il rumore delle coperte, tuttavia, lo fece voltare. Incontrando i suoi occhi, le sorrise e lei ricambiò, sollevandosi. Discese dal letto e si diresse in bagno, infilandosi sotto la doccia. Lasciò che l’acqua tiepida le scorresse addosso a lungo e quando tornò in camera, James stava leggendo il giornale davanti ad una tazza di caffè.
“C’è mezza brioche anche per te” le disse guardandola. Un attimo dopo aggiunse “Mi dispiace molto per ieri. La riunione si è dilungata senza che me ne rendessi conto..”.
Lei scosse la testa, sedendosi al tavolo “Non importa. Credo di aver dormito.. per tutto il tempo..” sorseggiò il caffè.
“Tuo padre mi è parso più rilassato dell’ultima volta. E contento di vederti” la scrutò.
Emma fece un cenno col capo, assaggiando la brioche.
“Dal momento che anche stamattina ho una riunione, pensavo che avresti potuto uscire.. Potremmo pranzare insieme, più tardi..”.
Gli rivolse uno sguardo smarrito “Da sola..?”.
James alzò le sopracciglia “Beh, si.. con l’autista, s’intende. Ti porterà dove vorrai..” le prese una mano attraverso il tavolo “Ma se preferisci venire con me ed aspettarmi..”.
Lei gli rivolse un sorriso “..non voglio esserti d’impiccio.. Andrò a fare una passeggiata” lo rassicurò, mentre lo stomaco le si restringeva immediatamente. L’entità di quella reazione la lasciò confusa, ma ben determinata a non lasciarla trasparire, confermò “Starò bene”.
L’uomo la guardò un momento, poi si sollevò e le andò vicino. La prese tra le braccia, baciandola dolcemente sulla fronte “So che lo farai..” le accarezzò i capelli “..aspetterò con ansia il nostro pranzo..”.
Emma si crogiolò in quell’abbraccio, il cuore che martellava nel petto, la testa piena di pensieri impossibili da mettere in fila.. E quando si trovò da sola nella stanza, decise che avrebbe disertato la città e si sarebbe fatta portare al mare. Era così tanto tempo che non vedeva il mare.
 
La spiaggia di Ostia era così diversa dalla costa cui era abituata. Chilometri e chilometri di spiaggia grigia spazzata da un vento insistente, il mare scuro, agitato, così diverso dalle cristalline profondità dell’acqua della sua infanzia.
Camminava già da qualche minuto, dopo aver lasciato l’autista al parcheggio dello stabilimento ancora chiuso. Si strinse nella giacca e guardò la coppia che le passò accanto, impegnata in una gara di footing. Sospirò, tornando con lo sguardo all’orizzonte, dove grosse nuvole grigie avevano completamente oscurato il sole della mattina.
Si piegò lievemente, attenta a non bagnarsi le scarpe, per toccare l’acqua fredda.. Era davvero gelida.. Mentre si rialzava, corrugò la fronte. Improvvisamente, una fitta dolorosa alla testa la fece barcollare. Spaventata, si rese conto che il suo corpo non l’avrebbe sorretta. Una sgradevole sensazione d’impotenza l’assalì, mentre scivolava sulla sabbia, bagnandosi i pantaloni. Cadde in avanti, le mani affondate nella sabbia, le onde che la ghermivano.. Si trovò sdraiata sulla schiena, lo sguardo perso tra le nuvole, il freddo che penetrava fin dentro le ossa.. Si sentiva stranamente trascinata e leggera. Si accorse che gocce di pioggia le colpivano il viso.. ben presto, il freddo la abbandonò.. Che strano, non sentiva più quel corpo che la faceva soffrire da sempre, non sentiva più nemmeno i rumori del mondo, che spesso non erano stati altro che fonte di angoscia.. Nonostante il gelo, l’ombra di un sorriso piegò le labbra ormai livide di Emma, mentre i flutti la trasportavano rapidamente alla deriva. 

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Capitolo 34
*** Capitolo Trentaquattresimo ***


Inserisco subito un capitoletto. Mi metto nei panni dei lettori..
Ciao, Ezrebet



Sollevò faticosamente le palpebre trovandosi immersa in un’atmosfera ovattata. Non sentiva alcun suono, soltanto un pungente odore di alcool. Aveva caldo. Si sentiva sudata ed aveva sete. Provò ad aprire la bocca, ma aveva le labbra così arse che non riuscì ad articolare alcuna parola. Si mosse appena sul cuscino e nella testa scoppiarono i fuochi artificiali.. Una fitta dolorosa sembrò spaccarle in due il cranio. Strinse i denti, e strinse i pugni quanto poteva…

“Emma”.

Una voce femminile ruppe il silenzio.
 

Matilde.
E la vide, guardarla con occhi amorevoli e stanchi. Provò a rivolgerle un sorriso mentre sentiva che le accarezzava la fronte, lievemente. La callosità di quelle dita la scagliarono indietro nel tempo, a quando era piccola e piangeva e lei la consolava, sempre, sempre, sempre.. la guardò ancora, l’immagine della donna deformata dalle lacrime che le appannavano lo sguardo.
“Bambina. Va tutto bene, sai? Starai benissimo” le sorrise ma la tristezza incupiva quell’espressione così famigliare.
Emma le strinse la mano e quella annuì “Si, è così, starai bene”.
Mentre la donna le parlava, un pensiero attraversò la mente di Emma. E finalmente riuscì a sussurrare “James”.
 
Riemergendo dal sonno, Emma si trovò avvolta nella penombra. Mosse la testa. Non le faceva più tanto male. Si guardò intorno cercando di distinguere qualcosa nel buio. E vide James.
Era seduto sulla poltrona alla destra del letto, le gambe allungate davanti a sé, appoggiato allo schienale, gli occhi socchiusi.. Il sollievo invase Emma. Il cuore le fece quasi male mentre lo guardava. Avrebbe voluto chiamarlo, ma forse era addormentato..
“Sei sveglia?”.
Il tono della sua voce era piatto. Serio. Emma annuì. James non sembrava volersi muovere da dov’era..
“Come ti senti?”.
“Bene..” riuscì a mormorare lei. Una strana sensazione la fece tremare dentro. Non sapeva definirla.. Forse era paura. O forse era la consapevolezza che stava per accadere qualcosa.. Forse la piccola Emma stava per svegliarsi da un sogno durato anche troppo..
“Che è successo, Emma?”.
Lei emise un sospiro, distolse lo sguardo e guardò davanti a sé. La parete, nella penombra, sembrava grigia.. grigia come le nuvole che l’avevano accompagnata in quel sonno così inaspettato e gelido.
“Non lo so” disse “Ero sulla spiaggia e poi ho avuto così freddo” corrugò la fronte, cercando di recuperare qualche dettaglio dalla memoria, ma tutto sembrava immerso in una spessa ed invincibile nebbia.
“Stavi per annegare” fece l’uomo, in tono fermo “Se il mio autista non fosse arrivato, saresti annegata”.
Emma non seppe che cosa rispondere. Come molte altre volte nella sua vita aspettò. Aspettò che lui dicesse, che lui facesse, che lui…
“Volevi farlo? Volevi annegare?” le domandò James, cambiando improvvisamente tono. Sembrava soffocato, come se stesse tentando di controllarsi.
“Oh, no” reagì subito lei, voltandosi a guardarlo “No.. stavo passeggiando e.. e sono svenuta, credo” lo fissò, spaurita, perché non sapeva, non ricordava, ma era certa. Certa di non aver voluto.. di non aver voluto.
Lo vide alzarsi di scatto ed avvicinarsi al letto. Si piegò su di lei e finalmente riuscì a scorgere la sua espressione. Disperata. Non le venne in mente un’altra parola. La fissò un lungo momento, in quel modo, con quell’espressione che stravolgeva i suoi bellissimi lineamenti..
“Se l’hai fatto, Emma.. Dimmelo..” la scrutava e parlava in tono affannato “Perché quando ti ho visto pallida ed esanime..Oh, Dio..” le appoggiò le mani sulle guance e quel calore le attraversò il corpo “..perché tu forse eri..” s’interruppe, incapace di pronunciare quelle parole.
Emma si mosse senza nemmeno rendersene conto. Lasciò che le proprie mani si appoggiassero su quelle di lui e avrebbe voluto parlargli, ma non ci riusciva. Lo fissò, sperando che i suoi occhi parlassero per lei.
James ricambiò il suo sguardo per un lungo momento, poi si sciolse dalla stretta e parve recuperare un po’ di autocontrollo. Si aggiustò la camicia e la cravatta, si passò una mano sul viso e disse “Adesso riposati. Ne riparleremo più tardi”. 

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Capitolo 35
*** Capitolo Trentacinquesimo ***


Daniel ascoltò in silenzio il racconto di quanto era accaduto ad Emma. La voce di James era chiara e forte, nonostante telefonasse da migliaia di chilometri e a quell’ora impossibile. Il telefono aveva squillato alle due di notte, proprio quando aveva preso finalmente sonno.. Un sonno che si era in fretta dissolto mano a mano che James parlava.
 

“Ma sta bene, adesso?” chiese frenetico, sollevandosi tra le coperte.
“E’ ricoverata, ma si. Si. Starà bene” fece l’uomo dall’altro capo del filo.
Il silenzio fu rotto dallo stesso James “Ho creduto di perderla”.
Quelle parole colpirono Daniel come uno schiaffo. Non riceveva una confidenza dal fratello da anni. Da quando, ragazzetto, aveva sussurrato al suo orecchio di fanciullo che si era invaghito di una compagna di classe.. Gli sembrò di rivivere quel momento così lontano nel tempo. Come allora, spalancò gli occhi, senza fiato. Che cosa stava tentando di dirgli..? Forse che qualcosa aveva scalfito quella sua assurda corazza?
“..se fosse successo, Dio, non so che cosa avrei fatto” continuò imperterrito James, scioccandolo sempre di più. Senza fiato, Daniel aspetto e lo sentì riprendere “Non so che cosa stia succedendo, perché tutto avrei pensato meno di farmi coinvolgere da questa storia del matrimonio, ma se lei fosse morta, Daniel, se lei fosse morta..” la voce gli morì in gola.
Daniel ricadde tra i cuscini, il cellulare schiacciato all’orecchio, mille pensieri che gli affollavano la mente. Uno su tutti, che faceva fatica a formulare correttamente, tanto gli pareva impossibile. Ma era quello, era così..
“Tu la ami” sussurrò “La ami, James?”.
Il silenzio parve confermare. Gli sembrò quasi di vederlo, stringere la mascella, chiudere gli occhi, stritolare il telefono in mano.
Alla fine, lo sentì mormorare “Non lo so”.
Ed era più di quanto avesse mai sperato di sentirgli ammettere.


Grazie per le belle recensioni.

Un capitolo piccolo piccolo..
Era doveroso dare a James quel che è di James.
Ezrebet

  

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Capitolo 36
*** Capitolo Trentaseiesimo ***


Matilde rimase con lei per tutta la durata del ricovero. La aiutava a lavarsi, vestirsi e mangiare. Come da sempre succedeva, da quando era bambina. Non commentava il fatto che Emma mangiasse come un uccellino, si limitava a guardarla e parlare, di tutto, di niente. Le leggeva il giornale, le pettinava i capelli, cercando con pazienza di districare i suoi bellissimi ricci scuri, le cambiava giornalmente il pigiama, portandogliene sempre di nuovi.
 

James, da parte sua, passava in ospedale ogni mattina, per salutarla, e nel tardo pomeriggio, quando terminava le riunioni. Qualche volta lo accompagnava Altieri, che si limitava ad accarezzare brevemente il viso della figlia e si informava da Matilde circa le sue condizioni.
Passarono così cinque giorni.
La mattina del sesto, i medici dimisero Emma, che per loro era completamente ristabilita.
Insieme a Matilde, riempì la piccola valigia, s’infilò jeans e camicetta, raccolse i capelli in una coda e raggiunse James alla reception. Salirono insieme in macchina, diretti all’aeroporto.
Matilde li accompagnò fino all’imbarco. Abbracciò Emma “Riguardati, piccola. Hai sentito tua madre?” la scrutò, trattenendole il viso nelle mani “Devi cercare di stare bene..”.
Entrambe rivissero la veloce telefonata della donna, qualche giorno prima, piena di raccomandazioni. Le aveva detto che non poteva raggiungerla, a causa di impegni improrogabili, ma che Matilde avrebbe fatto tutto al suo posto..
Emma annuì, con un sorriso triste “Porta i miei saluti a mio padre” le domandò.
James salutò a sua volta la donna.
 
Il viaggio durò un’ora. Durante il volo, Emma sonnecchiò, esausta, mentre James s’immerse nella lettura di alcuni documenti, ignorandola. Non avevano più riparlato dell'incidente.. In realtà, non avevano più parlato di niente.
Emma riusciva a capirlo. Nelle notti che aveva trascorso da sola in ospedale, aveva pensato e ripensato, ed aveva capito James. Si trovava sposato ad una ragazzina per ragioni che niente avevano a che fare con l’amore, e, nonostante tutti i tentativi, si ritrovava al punto di partenza. La piccola Emma tentava di ammazzarsi.. Nonostante non fosse questa la verità, Emma sapeva che appariva così e che qualsiasi tentativo da parte sua di rimediare, si sarebbe scontrato, d’ora in avanti, contro la sua diffidenza.
Come aveva temuto, fin da quando si era risvegliata nel letto d’ospedale, il bel sogno era terminato.. Sentì che c'era qualcosa di sbagliato nei pensieri che la tormentavano, tentò di focalizzarli ed analizzarli.. ma era troppo stanca, senza energie e triste per soffermarsi su qualcosa che l'avrebbe di certo annientata.
 
In perfetto silenzio, tornarono a casa. Qui, trovarono la cena pronta e un mazzo di fiori, regalo di Daniel. Nel biglietto, prometteva di passare il giorno successivo ed Emma ne fu contenta. Sebbene fossero passati pochi giorni, e fosse capitato di tutto, la sua presenza le era mancata.
Si diresse in camera. James la seguì ed appoggiò le due valigie a terra. Solo allora, sentì la sua voce “Vuoi sdraiarti? Ti porto la cena a letto..”. Era evidentemente stanco. Lei scosse la testa, evitando di guardarlo. Iniziò a togliersi la giacca, lui la raggiunse e l’aiutò.
“Allora, vieni di là?” le domandò, cercando inutilmente il suo sguardo. Al suo diniego, si accigliò “Emma.. che succede? Lo so” fece subito “Sei stanca, sconvolta.. ma..”.
Solo allora lo guardò e James faticò a non indietreggiare di fronte a ciò che gli parve di leggere in quegli occhi segnati. La vide bagnarsi le labbra e abbozzare un sorriso terribile, senza calore..
“Ho sonno. Credo.. credo di aver bisogno di dormire” sussurrò gentilmente.
Senza risponderle, l’uomo uscì dalla stanza, chiuse la porta e vi si appoggiò esausto.
Chiuse gli occhi. Di nuovo quello sguardo.. vuoto, di tanti mesi prima..
Raggiunse il soggiorno e si versò da bere, con gesti rabbiosi. Ingoiò in un sorso tutto il contenuto del bicchiere, poi si appoggiò ai vetri della grande finestra, tentando di calmarsi. Gli passarono davanti le immagini dei momenti con lei, prima della partenza, il suo sorriso, lo sguardo che gli riservava, la sua dolcezza, la passione tra loro, così inaspettata ed assoluta.. Respirò forte, cercando di convincersi che era soltanto sconvolta da quanto accaduto, che soffriva per l’indifferenza dei suoi genitori, che era per il distacco da Matilde.. cercò di convincersi che si era trattato di un maledetto incidente! Si staccò dalla finestra e tornò al mobile bar, versandosi dell’altro wiskey.
Fissò a lungo la porta della camera da letto, sprofondato nel divano. Rimase lì tutta la notte, stordito dall’alcool e dalla spossatezza, incapace di prendere sonno. 

 
Grazie per i vostri commenti. Siete davvero gentili.
A presto, Ezrebet

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Capitolo 37
*** Capitolo Trentasettesimo ***


A svegliarla fu la mano di James che le sfiorava il viso. Non appena lo mise a fuoco, si rese conto che era disfatto. Non aveva dormito, aveva gli occhi arrossati e segnati da profonde occhiaie, aveva indosso gli abiti sgualciti del giorno prima, i capelli erano arruffati.. Eppure, la sua carezza era gentile. La fissava, in silenzio, impegnato in quel gesto così affettuoso.

“James..” sussurrò sospirando, ma lui scosse la testa, ponendole un dito sulle labbra. La fissò, implorante. Emma rimase sconvolta dalla sua espressione. Le parve così infinitamente triste.
“Inizieremo le pratiche del divorzio” mormorò in un tono che non gli aveva mai sentito. Non c’era niente del James autoritario, appassionato, arrabbiato che aveva conosciuto.. Era solo triste.
“Divorzieremo e tu potrai tornare in Italia, o rimanere qui e laurearti..” la sua voce non era che un sussurro “E starai meglio”.
Emma lo fissò un momento, poi scattò a sedere tra le coperte, cercando di coprirsi con le lenzuola. I suoi occhi  parvero studiarlo, poi disse “Non tornerò in Italia. Mi diplomerò e frequenterò qui il college”.
James annuì, distogliendo lo sguardo “Si, una volta divorziati, potrai fare quel che vorrai..” fece per alzarsi, ma la mano di lei scattò e lo fermò. Una presa sorprendentemente forte. Stupito, tornò a guardarla e lei chiese “Hai deciso che vuoi divorziare..? L’hai pensato stanotte? O nei giorni scorsi?”.
Lui si accigliò, confuso. Tentò di liberarsi, ma Emma non mollava il suo braccio “E così, la piccola Emma è di nuovo un intralcio. Anzi, per la verità lo è sempre stata.. solo un piccolo intralcio” fece con voce tagliente, un tremito appena controllato “Basterà toglierla di torno e tutto riprenderà a girare come prima, in modo perfetto.. nel modo che si addice alla tua vita”.
James spalancò gli occhi. Più delle sue parole, lo colpì la sua espressione.. Il mento sollevato in segno di sfida, gli occhi luminosi, le guance arrossate.. per Dio, era arrabbiata! L’aveva vista in tanti modi, ma mai così fredda e nello stesso tempo, pronta a scoppiare come un fuoco d’artificio.. Qualcosa si mosse, dentro di lui. Fu il guizzo di un istante, il cuore stretto, la saliva azzerata.. La scrutò, mettendola a fuoco, mentre lei continuava “Una vita perfetta.. una vita in cui non c’è posto per la piccola, imperfetta Emma.. non vale la pena perdere tempo con lei, non è mai valsa la pena..”.
Vide che stava trattenendo le lacrime, mentre fissava le coperte con sguardo vacuo. E, a dispetto del momento, una lieve speranza si fece largo in lui, risalì dal cuore al cervello, mentre registrava le sue parole e la sua espressione e le metteva insieme, trovando il posto giusto, come in un puzzle.. I pezzi si stavano incastrando senza che lui avesse fatto niente.. Eccola qui, Emma. La sua Emma.
Si mosse e pose una mano su quella di lei, stretta allo spasmo intorno al suo braccio. La guardò piegando leggermente la testa.
“..dimmi che cosa vuoi, Emma” le chiese, cercando di mantenersi calmo. Perché doveva sentirglielo dire, altrimenti.. Vide la guerra, in quegli occhi neri ed arrabbiati e pieni di lacrime represse..
“Emma” la chiamò, stringendole di più la mano.
Il respiro di lei fu così profondo che risuonò anche nel suo stesso petto.
“Voglio te. Voglio che mi tieni qui, voglio che mi vuoi” disse ed il modo in cui scandì le parole gli bucò lo stomaco, penetrò nelle viscere, lo strizzò fino a farlo dolere.
Si schiarì la voce. Doveva chiederglielo, perché questo era forse il momento in cui sarebbe stato vero..
“E’ stato un incidente..vero?”.
Lei annuì, muovendo appena la testa. Non reagì in modo sdegnato, né si mise a piangere, né tentò di sciogliere quel contatto. Semplicemente, lo fissò ed annuì.
Sentì che era così. Sentì che non lo stava compiacendo.. Era scoperta, esattamente come era lui in quel preciso momento. Scoperto, vulnerabile, in pericolo..
“Si” sussurrò James, abbozzando un piccolo sorriso mentre veniva invaso da una sensazione di sollievo che quasi lo soffocò “Ok. Nessun divorzio..” le accarezzò i riccioli scuri, le appoggiò una mano sulla nuca e la attirò dolcemente a sé “Nessun divorzio, amore mio”, lasciò che affondasse il viso nella sua spalla. 

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Capitolo 38
*** Capitolo Trentottesimo ***


Uscendo dallo studio di Robert, Emma ripensò alla loro conversazione ed un sorriso le aleggiò sulle labbra. Robert non aveva messo in dubbio, nemmeno per un secondo, che ciò che le era capitato a Roma fosse stato un incidente. Aveva ascoltato attentamente il suo resoconto e l’aveva rassicurata. Può succedere a tutti uno svenimento, soprattutto di mattina e soprattutto se non si fa una buona colazione.., le aveva detto. Poi, aveva cambiato argomento, lasciandola parlare del chiarimento con James.

L’idea che il dottore non avesse preso nemmeno in considerazione la possibilità di un altro tentativo di suicidio aveva provocato in lei qualcosa di simile all’euforia.. la fiducia del medico era totale.. Nessuna spiegazione, nessuna esitazione.. Le credeva.
Il cuore le martellava ancora nel petto per l’emozione.
 
Daniel entrò nell’ufficio di James senza farsi annunciare. Si avvicinò alla scrivania e si sedette sul tavolo, piegandosi verso il fratello, che lo fissava sbalordito “Allora, come stanno andando le cose?” giocherellò con le preziose penne stilografiche della sua collezione.
Lui si appoggiò allo schienale della poltrona, si tolse gli occhiali da vista, e lo fissò “Devi essere più preciso”.
“Oh, per l’amor del cielo!” scherzò Daniel “Questa tua scenetta ha fatto il suo tempo, ragazzo”.
James annuì, sconfitto “Già..” alzò le spalle “Stiamo andando bene” ammise imbarazzato.
“Ovviamente, quello stiamo, significa che tu ed Emma, state andando bene” si sollevò e raggiunse la sedia “Che bella notizia!”.
L’altro lo fissò “..proprio non capisco che cosa vuoi. Sul serio..” non sapeva se ridere o arrabbiarsi. Nonostante si fossero molto riavvicinati, e questo grazie ad Emma, c’erano alcuni aspetti del suo fratello minore che gli sfuggivano completamente.
Lo guardò alzare le spalle “No, mi chiedevo quand’è che avremmo finito il discorso..”.
“Quale discorso?” lo interruppe.
“Quello che abbiamo iniziato al telefono qualche settimana fa. Quando mi hai buttato giù dal letto ed eri disperato per l’incidente di Emma” lo scrutò.
James ricordò. Ricordò il proprio stato d’animo, il bisogno impellente di parlare a qualcuno, la decisione di chiamare lui.. Sospirò “In verità, il discorso era già terminato” si alzò in piedi, mettendosi le mani in tasca.
“Non proprio. Hai evitato di rispondere ad una mia domanda diretta” lo seguì con lo sguardo “Io ti ho chiesto se amavi Emma e tu hai risposto..”.
Lo fermò con un cenno della mano “So che cosa ti ho risposto”.
“..e adesso? C’è una risposta un tantino più decisa? Perché, vedi, muoio dalla voglia di conoscerla, eventualmente” scherzò, continuando a fissarlo attento.
James chinò il capo e prese ad osservare le proprie scarpe, lucide ed eleganti. Daniel non riusciva a crederci. Mai James era stato così trasparente con lui.. Con chiunque, per la verità. Era evidentemente imbarazzato, indeciso, stava cercando le parole adeguate..
“Credo di si” disse infine.
“Credi di sì, cosa?” insisté Daniel piegandosi in avanti.
“..per l’amor del cielo!” sbottò voltandosi. Un sorriso gli sfuggì, mentre guardava Daniel così intento “Devi proprio tormentarmi in questo modo?”.
Lui sollevò le spalle, senza parlare.
James sospirò “Beh, si. Si, mi sono innamorato di Emma”.
I loro occhi si incontrarono. Da quelli di Daniel era scomparso qualsiasi scherzo. Lo vide annuire ed alzarsi in piedi “E sei sicuro..?”.
Al suo assenso, riprese “Allora, credo che sia un avvenimento da festeggiare..” lo afferrò per un braccio e lo trascinò alla porta, ignorando le sue proteste. La segretaria li vide sfrecciare davanti alla scrivania e sparire rapidamente dentro l’ascensore.
“E’ che Emma mi ha salvato in così tanti modi” sussurrò James appoggiato alla parete dell’ascensore “E’ arrivata e ha messo in discussione tutto di  me, con la sua presenza, con tutto quel che è..” guardò il fratello sospirando “Mi ha salvato”” ripeté di nuovo.
Daniel fece un cenno col capo, troppo commosso per parlare. 

Carissimi, grazie per i vostri commenti. Vi anticipo che siamo quasi all'epilogo.. Spero che la conclusione non vi deluda.
Un abbraccio a tutti

Ezrebet

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Capitolo 39
*** Capitolo Trentanovesimo ***


 

Robert le sorrise, sospirando “L’espressione sul tuo viso non richiede alcuna spiegazione, Emma”.
Lei annuì “..davvero? Non dovrei stupirmi. Lei mi legge come un libro aperto..”.
L’uomo rise forte, appoggiandosi alla poltrona “Oh, magari avessi questo dono..” tornò a fissarla da dietro le lenti tonde “Comunque, in questo momento, sei evidentemente soddisfatta”.
Emma abbassò la testa, fingendo di studiarsi le unghie.
“Non devi essere imbarazzata. E’ giusto mostrarsi contenti quando le cose vanno bene” si sporse un po’ verso di lei “E stanno andando ottimamente, direi”.
Emma si trovò a raccontargli di James e di quel che le aveva detto, l’emozione di quel momento era stata così intensa da rischiare di travolgerla. James l’aveva guardata a lungo, mentre era seduto sul divano del soggiorno, poi aveva sussurrato “Io ti amo, Emma”.
Lei aveva ricambiato quello sguardo. Aveva sorriso, timidamente e si era sentita dire “Anch’io ti amo”. E mai, nella vita, avrebbe dimenticato lo sguardo di lui per quelle poche e semplici parole.
Immaginò che fosse lo sguardo che le leggeva negli occhi Robert e che non richiedeva alcuna spiegazione.
Le domandò, ad un tratto “Hai parlato con i tuoi genitori?”.
Emma si mosse sulla sedia, scuotendo la testa “No”.
“Non agitarti, cara, non occorre. A questo punto, possiamo affrontare la questione con calma. Abbiamo tutto il tempo e molto lavoro da fare..” il dottore versò un po’ di the nelle tazze “Ma vorrei dirti una cosa”.
Emma alzò lo sguardo su di lui, in attesa. Robert sorrise ancora, porgendole le bustine di zucchero “Ad un certo punto, nella vita di ognuno, arriva un momento in cui dobbiamo scegliere” la fissò attentamente “E forse questo è il tuo momento, Emma. Hai trovato una cosa preziosa, che è l’amore. Un sentimento che ricevi e che dai in ugual misura e che ti riempie la vita..” assaggiò il the “..ti sostiene, ti permette di vivere bene.. e forse, potrebbe aiutarti anche a perdonare”.
Sotto lo sguardo del medico, lei si sentì completamente scoperta. Istintivamente, seppe dove lui voleva arrivare. Era come se il suo viaggio nella corrente che la trascinava da anni, ormai, stesse giungendo alla fine, al suo naturale approdo, e questo grazie alla sua capacità ritrovata di sentire, amare, vivere. Perciò, le parole seguenti di Robert non la stupirono, perché le aveva già sentite, dentro di sé, e non una volta sola… nei momenti in cui James la abbracciava, quando Daniel scherzava con lei, quando la vita, così a lungo rifiutata, scorreva nelle sue vene.
“Credo sia giunto il momento di perdonare tua madre e tuo padre, Emma”.
E, stupendo sé stessa per prima, si rilassò nella poltrona, lasciando che il peso sul petto, che ormai era entrato a far parte della sua carne, si staccasse da lei, cadesse a terra, ed andasse in frantumi.. Poté quasi sentirne il rumore.
Non importava che le lacrime stessero appannando i suoi occhi, né che si trovasse, per la prima volta nella sua vita, senza la certezza che da sempre l’aveva tenuta in equilibrio.. Sono sola perché non sono abbastanza per qualcuno..
Eppure, non si sentiva affatto vuota o priva di ormeggi. Sapeva di averli trovati, alla fine.. avevano un volto, bellissimo, ed uno sguardo pieno d’amore.. James. James. James.
 
Un momento dopo, in perfetto silenzio, gustò il the insieme a Robert. 



Ed eccoci alla fine di questo viaggio. Per noi è l'ultimo capitolo, per Emma il primo di una salita.. Ma adesso, può camminare sostenendosi a qualcuno che ama e che la ricambia in modo autentico.

Spero di no avervi deluso. Il lavoro che Emma farà con Robert è ancora lungo e pieno di sofferenza, ma, adesso lo scenario è cambiato e lei è più forte.. Dunque, augurandole buona fortuna, vi saluto con tutto il cuore e vi ringrazio per avermi seguito e per le belle parole che mi avete rivolto..

Un grande abbraccio.
A presto, Ezrebet

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