Carry me through your mind di Unsub (/viewuser.php?uid=105195)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo I. The hole in my mind ***
Capitolo 3: *** Capitolo II. It's hard to comeback ***
Capitolo 4: *** Capitolo III: Who am I? ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV. The clothes make the man (or the woman) ***
Capitolo 6: *** Capitolo V. Old me, new me ***
Capitolo 7: *** Capitolo VI. Something more ***
Capitolo 8: *** Capitolo VII. BFF ***
Capitolo 9: *** Capitolo VIII. Me and who? ***
Capitolo 10: *** Capitolo IX. The man behind the man ***
Capitolo 11: *** Capitolo X. You are the best! ***
Capitolo 12: *** Capitolo XI. Check mate ***
Capitolo 13: *** Capitolo XII. Desire ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIII. Darkness out the door ***
Capitolo 15: *** Capitolo XIV. Can I hold you? ***
Capitolo 16: *** Capitolo XV. Changes ***
Capitolo 17: *** Capitolo XVI. Without control ***
Capitolo 18: *** Capitolo XVII. Decision ***
Capitolo 19: *** Capitolo XVIII. Long way home ***
Capitolo 20: *** Capitolo XIX. A little riddle: you and I ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Prologo
AUTORE: Unsub
TITOLO: Carry me through your mind
RATING: Arancione
GENERE: sentimentale, introspettivo, erotico.
AVVERTIMENTI: LongFic, Spoiler 5^ stagione
PERSONAGGI: squadra BAU, nuovo personaggio
DISCLAIMER: I personaggi non mi appartengono(tranne quelli da me
inventati), sono di Jeff Davis. Criminal minds appartiene alla CBS.
Questa storia non è a scopo di lucro.
NOTE: in corsivo sono narrati i pensieri dei personaggi.
Prologo
Non so neanche io cosa mi ha spinto a
venire al funerale della ex-moglie dell’agente Hotchner. Vedo il
team della B.A.U. stringersi intorno a lui e li osservo cercando di
nascondermi dietro un albero. Una volta quella era la mia squadra, ma
ora per me sono semplici estranei.
Sentivo che era giusto venire qui e
presentare le mie condoglianze, ma ora non sono più tanto sicura
di riuscire a guardarli in volto. E se a loro non facesse piacere
vedermi? Mi sento una bambina impaurita di fronte a loro. Probabilmente
neanche si ricordano di me, in fin dei conti eravamo solo colleghi.
Ascolto l’elogio funebre e mi
commuovo mio malgrado. Non conoscevo Haley ma Hotchner ha fatto il
quadro di una persona eccezionale, di una persona indimenticabile. Se
fossi morta io chi avrebbe fatto il mio elogio funebre? Chi sarebbe
venuto al mio funerale? I miei ex colleghi avrebbero avuto lo stesso
sguardo pieno di dolore?
Mi sento più sola che mai.
Haley aveva una famiglia che le voleva bene, io non ho nessuno. Voglio
tornare all’unità, lo voglio con tutta me stessa. Lo
psicologo che mi ha seguito finora mi aveva assicurato che tornare
lì e ricominciare a lavorare potrebbe aiutarmi. Dovevo cercare
di tornare ad una vita il più normale possibile. E poi,
chissà, con il tempo… nessuno sembra in grado di dirlo.
Mi soffermo sui volti del resto del
team. Mi ero procurata le loro schede, anche se nessuno di loro
sospettava di essere osservato. Non avevo cattive intenzioni,
solo… non volevo farmi trovare impreparata. In fin dei conti
erano loro in vantaggio su di me, non il contrario. L’agente
supervisore Morgan poteva decidere di non volermi più in squadra
e di rendermi la vita impossibile. Scruto il bel ragazzo di colore.
E’ veramente attraente, capisco perché molte stagiste e
molte agenti perdono la testa per lui e arrivano a corteggiarlo
spudoratamente.
Il mio sguardo si posa su una bionda
ragazza in lacrime, l’agente Jareau. Sembra molto partecipe del
dolore del suo capo, sembra una persona dolce. Accanto a lei il suo
compagno, Will qualcosa, tiene in braccio il loro bambino. Sembrano una
bella famiglia.
Il mio sguardo corre febbrile, voglio osservare ognuno di loro prima di dover abbandonare la mia postazione.
Ecco Penelope Garcia. Il ragazzo che
le posa una mano sulla spalla deve essere il suo fidanzato.
L’avevo intravisto qualche volta nel parcheggio
dell’accademia. Kevin Lynch, mi pare… tecnico informatico
anche lui.
Emily Prentiss, bella ragazza mora.
So che sua madre è una diplomatica al momento senza incarico, so
che a causa del lavoro di sua madre era cresciuta in giro per il mondo.
Di lei non so nient’altro.
David Rossi, uno dei fondatori
dell’unità. Dopo l’abbandono di Jason Gideon era
tornato per aiutare la squadra e quella che sembrava una soluzione
provvisoria si era trasformata in una sistemazione definitiva. La
squadra è fortunata ad avere un profiler con la sua esperienza.
E per finire… il mio sguardo
corre su e giù in mezzo a quelle figure. Eccolo! Spencer Reid,
anzi il Dr. Spencer Reid. Lui più di tutti sembrava sconvolto
dalla bara che ha davanti. E’un tipo strano, indecifrabile.
Probabilmente questo è dovuto al suo essere un genio, chi
può sapere come funzionava il suo cervello? Poi improvvisamente
lui alza gli occhi e i nostri sguardi si incontrarono per un momento.
Mi nascondo ancora meglio dietro l’albero. Possibile che mi abbia
vista? Poi mi rimprovero mentalmente. E anche se fosse? Che problema
c’era se ero venuta a porgere le mie condoglianze?
Mi affaccio nuovamente dal mio
rifugio sicuro. Lui è tornato a guardare la bara. Forse mi ero
solo immaginata tutto, lui non guardava me. Non mi ha visto o
forse… non gli importa che io sia qui.
Già, il mio problema
fondamentale era sempre lo stesso. Come avrebbero preso il fatto che
tornavo al lavoro? Ma soprattutto quelle voci che avevo sentito in
accademia erano vere? Ho paura di scoprire che quello che si dice sia
vero, ma ho ancora più paura di scoprire che per loro sono solo
una collega che è tornata dopo tanto tempo. E se mi vedessero
come un’intrusa nella loro “famiglia”?
In amore non può esserci
tranquillità, perché il vantaggio conquistato non
è che un nuovo punto di partenza per nuovi desideri.
Marcel Proust
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Capitolo 2 *** Capitolo I. The hole in my mind ***
capitolo I
Capitolo I: The hole in my mind
Si specchiò di nuovo. Non si poteva dire che assomigliasse ad un
agente federale vestita in quel modo. Ma mettersi un tailleur le
sembrava cosi pretenzioso… Il suo completo per il primo giorno
di lavoro era al quanto stravagante visto il posto che avrebbe
occupato. Ma almeno la faceva sentire a suo agio. Scarpe da ginnastica,
jeans, una maglietta con le maniche lunghe e per finire una camicia
sportiva verde militare con le maniche arrotolate lasciata sbottonata.
Aveva deciso di legarsi i capelli in una coda, tenerli sciolti le
sembrava troppo da ragazzina…
Sospirò rumorosamente e si mise a sedere sul bordo del letto.
Nove anni… aveva perso nove anni di vita. Il suo psicologo
l’aveva definita l’emotività di una diciassettenne
nel corpo di una ventiseienne. Non aveva tutti i torti. L’ultimo
ricordo coerente che aveva era il ritorno a casa dopo il funerale del
padre. Aveva deciso di salire in soffitta per cominciare a mettere un
po’ d’ordine. Doveva decidere cosa buttare e cosa tenere.
Ricordava di aver tirato giù la scala della soffitta e poi il
buio. Aveva altri ricordi frammentari di conversazioni con persone che
non ricordava. La cosa che la turbava di più è che quelle
conversazioni erano aperte a più interpretazioni.
Un brivido le percorse la spina dorsale. I pettegolezzi trovavano
riscontro in quelle conversazioni, ma… e se il senso fosse stato
un altro? Fuori dal loro contesto quelle frasi le sembravano cosi
strane e senza senso. Non poteva credere di essere diventata quel tipo
di persona.
Ora basta! Ora fai la brava, prendi un bel respiro e vai in ufficio! Non vorrai arrivare tardi il primo giorno di lavoro, vero?
Si alzò dal letto e si diresse verso la porta. Una parte di lei
avrebbe voluto rimanere al sicuro nel suo vecchio appartamento,
un’altra voce nella sua testa le diceva che doveva tornare
all’unità, anche solo per sapere la verità su se
stessa.
Avrebbe dovuto affrontarli quella mattina. Come avrebbero reagito? E
cosa avrebbe detto Morgan? Si decise ad aprire la porta e se la
richiuse con decisione alle spalle. Prendere il toro per le corna, ecco
cosa doveva fare.
Se l’agente supervisore avesse deciso di rimandarla a casa non
ritenendola idonea, beh pazienza… almeno ci aveva provato a
tornare alla sua vecchia vita. Si diresse all’ascensore con passo
sicuro.
Aveva posato le sue cose sopra la scrivania che le avevano indicato e
poi si era avviata all’ufficio del capo sezione. Avrebbe voluto
che la tortura dell’attesa finisse subito, ma non si sentiva
pronta ad affrontarli. Era andata al funerale, ma alla fine non era
riuscita ad andare da Hotchner per presentare le proprie condoglianze.
La squadra era tutta intorno a lui e al suo bambino. Non voleva
affrontarli li, tutti insieme. Era sciocco da parte sua, ma aveva la
sensazione di dover affrontare un lupo famelico. La
“potenza” del branco, sarebbe bastato che uno solo di loro
l’attaccasse perché gli altri lo seguissero a ruota.
Conosceva quel genere di meccanica sociale. Era un genio cresciuta
troppo in fretta. Si era diplomata a soli 13 anni, quando era andata al
college aveva pensato che i ragazzi più grandi avessero un altro
modo di interagire. Si sbagliava, le dinamiche rimanevano invariate. Se
il capo branco decideva di prenderla di mira, i suoi fedeli accoliti
gli sarebbero andati dietro.
Cominciò a riflettere. Chi era il capo-branco del team?
Sicuramente prima era Hotchner, ma ora il capo era Morgan. Anche se
pensava che la situazione si sarebbe invertita di nuovo appena il loro
vecchio capo avesse ripreso in mano le redini della propria vita.
Doveva affrontare Morgan per primo e possibilmente da solo. Non doveva
mostrare il fianco, ne rendere vulnerabile la gola. Sentiva che non
avrebbe fatto piacere a nessuno il suo ritorno. Di nuovo i pettegolezzi
rimbombarono nella sua mente. Se c’era qualcosa di vero (e vista
l’insistenza delle voci, qualcosa di vero doveva esserci) il team
le sarebbe stato ostile.
Mentre bussava alla porta dell’ufficio, si chiese per
l’ennesima volta perché desiderava tanto tornare a fare la
profiler. Cosa c’era di cosi bello? Perché sentiva che era
quella la sua strada?
Morgan si fiondò alla scrivania della segretaria del capo
sezione. Era visibilmente alterato e chiese di vedere la Strauss con
fare perentorio. La segretaria gli rispose con un sorriso.
- La stavo giusto per chiamare, agente Morgan. La
capo sezione l’ha convocata nel suo ufficio. Può entrare
la sta aspettando.
Derek fu colto alla sprovvista. Di solito non era cosi facile essere
ricevuti da quella strega. Ma poi pensò che probabilmente lei si
era aspettata una qualche reazione visto che stava per sostituire
Collins.
Bussò ed entrò senza attendere la risposta. La Strauss
era seduta dietro la scrivania con gli occhiali in mano. Aveva una
cartellina davanti a se e l’atteggiamento di chi si aspettava
un’entrata del genere.
- Buongiorno agente supervisore Morgan. La stavo
aspettando. Si sieda prego – gli disse indicando una delle sedie
di fronte a lei.
- Quindi immagino che lei sappia perché sono venuto qui – rispose lui mettendosi a sedere.
- Sono passati otto mesi dal caso Brunet. Le
conseguenze sono state… beh le conosciamo bene entrambi e
entrambi sappiamo che è stato un periodo difficile per la
squadra.
- Prima di sostituire Collins, non crede che ne dovrebbe parlare con me?
La Strauss lo guardò con stupore e poi un lampo di comprensione le passo negli occhi.
- E’ questo che crede? Che io stia per sostituire Collins?
- Sulla scrivania di sua nipote c’è una
borsa da viaggio e una scatola per gli effetti personali. Immagino che
siano del nuovo arrivato. Ora, se non vuole sostituirla perché
dare al pivellino proprio quella scrivania? Noi sappiamo che
c’è ancora speranza per Sarah.
- Agente Morgan… per il futuro gradirei che
lei la chiamasse per cognome. Il dottore ha detto chiaramente che non
deve sforzare la memoria in nessun modo. Quindi esigo che tutta
l’unità si comporti come se fosse una collega e nessuno si
azzardi a riferire cose del passato, almeno finché la situazione
non si sia stabilizzata. Mi riferisco specialmente al dr Reid.
- Perché mi fa questo discorso?
La Strauss chiuse gli occhi e sorrise.
- Crede veramente che io voglia sostituirla? Io sono
la prima a sperare che ne esca il prima possibile – detto questo
gettò la cartellina aperta sulla scrivania.
Derek vi posò gli occhi sopra svogliatamente. Poi capì. Quella era la cartellina dell’agente Sarah Collins.
- Il dottore le ha dato il permesso di tornare al
lavoro. Negli ultimi due mesi ha seguito un corso intensivo di
profiling. Non è più un’esperta in comunicazione
non verbale, ma forse questo renderà le cose più facili
ad ognuno di voi.
Reid uscì trafelato dall’ufficio di Morgan. Il ragazzo di
colore l’afferrò per un braccio e lo costrinse a voltarsi.
- Ascoltami! So cosa stai provando, ma è per il suo bene.
- Devo fare finta di niente? – il dolore che
trapelava dagli occhi di Spencer costrinse l’altro ad abbassare
lo sguardo – E’ questo che mi state chiedendo? Lavorare
fianco a fianco e fare finta che per me lei sia solo una collega?
Morgan trasse un respiro e poi lo afferrò per le spalle.
- Reid, è per il suo bene! Sei stato tu a
riferirci quello che ti aveva detto il dottore quattro mesi fa quando
hai cercato di vederla l’ultima volta. Non deve sforzare la
memoria e sapere di voi due potrebbe portarla a fare l’esatto
contrario. Vorrebbe sapere, ma non è ancora pronta. Se la ami
devi cercare di capire.
Spencer abbassò gli occhi. Era vero, non poteva essere egoista e
cercare di forzare la sua memoria. Ma gli risultava inconcepibile fare
finta di niente e non cercare di riavvicinarsi a lei.
- Per una volta vedi il lato positivo, no?
- E quale sarebbe?
- Non dirle niente e cerca di riconquistarla. Hai la
possibilità di rivivere tutto da capo. Si è innamorata di
te una volta, cosa ti dice che non succederà di nuovo?
Spencer stava rimuginando su quelle parole quando sentì le mani
di Morgan abbandonare le sue spalle. Alzò lo sguardo verso di
lui con fare interrogativo. Derek stava guardando qualcosa alle sue
spalle e aveva la mascella contratta. Lui capì e si girò
di scatto.
Non era lei, non poteva essere lei! Aveva immaginato di rivederla
bellissima come la ricordava stretta in uno dei suoi tailleur e invece
si trovava davanti una ragazzina in jeans e scarpe da ginnastica.
Quella pistola agganciata ai pantaloni le dava l’aria di essere
una bambina che giocava all’agente federale. Il viso era
struccato e ciuffi di capelli neri le pendevano intorno al volto.
No, quella non era decisamente la ragazza sofisticata che lui
ricordava. Era cosi diversa. Anche se quella ragazza assomigliava molto
alla “sua Sarah” non lo era.
- Ora è meglio che tu vada dagli altri e riferisca il messaggio. Mi raccomando, conto su tutti voi.
Detto questo si avvicinò alla ragazza che rimaneva lì in corridoio imbambolata.
- Agente Collins, prego si accomodi nel mio ufficio
– cercò di usare il suo tono più professionale.
Lei annuì e lo precedette all’interno della stanza, aveva
uno sguardo smarrito dipinto sul volto. Sembrava non rendersi bene
conto di dove si trovava. Si mise a sedere composta e rigida su una
delle sedie.
- Allora, Collins – cominciò Derek mentre si accomodava – finalmente è tornata.
Lei lo guardò, non sapeva bene come rispondere. Poi si rese conto che non era una domanda.
Il contatto visivo! Non perdere il
contatto visivo e non mostrare paura! Non provare a provocarlo e non
dargli appigli. Cerca di essere decisa ma sottomessa.
Tutti buoni consigli che non era sicura di riuscire a seguire. Era
letteralmente terrorizzata. Cosa le avrebbe detto? Come l’avrebbe
trattata?
- So che per lei è stato un brutto periodo. Ho
letto le lettere degli insegnati dell’accademia. Ha superato
egregiamente il corso intensivo. Certo, l’esperienza ha molta
importanza nel nostro lavoro. Non si preoccupi, non ci aspettiamo che
torni subito sul campo o che le sue cognizioni siano approfondite come
prima del… dell’incidente – Morgan si sentiva su un
territorio minato e non sapeva bene dove mettere i piedi.
- Il medico dice che… la memoria potrebbe
anche tornare, non sono sicuri. Però si è raccomandato di
non farmi troppe illusioni. Tornare al lavoro potrebbe essere un primo
passo. Se… se non mi reputa all’altezza, se non mi vuole
nella sua squadra, io… capirò, non si preoccupi.
Morgan soffocò il desiderio di alzarsi e andarla ad abbracciare.
Voleva consolare la sua amica, che sembrava cosi vulnerabile in quel
momento, ma non poteva. Per il bene di Sarah doveva sembrare
professionale e distaccato. Con il tempo i loro rapporti sarebbero
potuti tornare alla normalità, ma ora aveva paura di fare un
passo valso. Di rivelarle qualcosa del suo passato.
- Le hanno già assegnato una scrivania. Per il
momento vediamo come va e poi decideremo come procedere. Non voglio che
si senta sotto pressione. Se ha bisogno di qualsiasi cosa la mia porta
è sempre aperta, anche solo per parlare. Ora venga le…
ripresenterò tutta la squadra. Non si preoccupi sono a
conoscenza della sua amnesia.
- Grazie, agente Morgan.
Sentirla usare quel tono cosi freddo e distaccato con lui faceva male
al cuore. E lui era solo il suo migliore amico, come avrebbe reagito
Reid? Che conseguenze ci sarebbero state per la squadra?
Continua…
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Capitolo 3 *** Capitolo II. It's hard to comeback ***
capitolo II
Capitolo II: It’s hard to come back
Sono tutti in sala riunioni.
All’appello manca solo Hotchner che è ancora in permesso
per motivi di famiglia. L’agente Morgan mi precede e io mi sforzo
di seguirlo stando al passo. La gamba destra mi fa ancora male. Come
dice sempre Frank, il mio fisioterapista, l’immobilità da
coma per tre mesi non si supera dalla sera alla mattina. Il mio corpo
è ancora in via di guarigione e io me ne devo prendere cura. Ma
ora non posso mostrare al resto del team che non sono ancora
fisicamente pronta. Devo farmi forza e stringere i denti. Non posso
aspettare per rientrare nell’unità. Se l’attesa
dovesse protrarsi rischierei di perdere il posto. Mi assegnerebbero ad
un’altra squadra e io perderei la possibilità di scoprire
qualcosa del mio passato.
Ho notato come il mio nuovo capo stia
cercando di glissare sulla sparatoria e sul coma… ha parlato di
“incidente”, bell’eufemismo! Sembra che non voglia
approfondire il discorso. Certo mia zia deve averli informati delle
direttive dei dottori, ma…
Forse è meglio, almeno non mi
attaccheranno subito con recriminazioni e astio per quello che posso
aver combinato. Meglio di niente. Prima o poi troverò
l’anello debole della catena e allora saprò.
Entro nella stanza incerta.
Probabilmente penseranno che il mio muovermi lentamente sia
dovuto alla timidezza e non alla paura che il mio corpo mi tradisca.
Faccio un bel respiro e mi butto, non sapendo cosa mi aspetta…
Garcia fremeva sulla sedia e appena Sarah varcò la soglia,
nonostante i buoni propositi, fece quello che sognava da quando aveva
saputo che si era svegliata dal coma. Si precipitò a darle un
bacio sulla guancia stritolandola con uno dei suoi famosi abbracci.
Poi si ricompose un momento senza smettere di sorridere.
- Bentornata S… Collins, sono contenta di
rivederti. Io sono Penelope Garcia, tecnica informatica. Se ti serve
qualcosa non farti problemi!
Sarah rimase interdetta. La bionda frizzante non sembrava avercela con
lei, non si comportava in modo freddo o astioso, sembrava…
felice di rivederla. Allora non aveva solo nemici li dentro. Non doveva
essere la persona spregevole che dipingevano i ragazzi
dell’accademia se qualcuno aveva sentito la sua mancanza…
Pian piano tutti si alzarono dal tavolo e le si fecero incontro.
- David Rossi, agente supervisore – un sorriso
illuminò il volto dell’uomo stringendole la mano –
felice di riaverti a bordo, Collins.
- Io sono Jennifer Jaraeu, ma puoi chiamarmi JJ. Mi
occupo delle comunicazioni della squadra con il mondo esterno –
il volto della bionda era impassibile.
Ohi ohi nemica numero uno!
- Io sono Emily Prentiss – anche la mora
strinse la sua mano ma evitando accuratamente il contatto visivo.
Ecco… lo sapevo troppo bello per essere vero… anche lei non sprizza gioia all’idea che io sia tornata.
Il ragazzo alto e magro stava lì a fissarla senza proferire
parola. Era la terza volta che lo vedeva. Prima al funerale di Haley
Hotchner, poi in corridoio mentre parlava con l’agente Morgan
visibilmente turbato. E ora… la fissava e basta senza neanche
presentarsi.
- Ehm… - intervenne prontamente Morgan
rendendosi conto del silenzio protrattosi – lui è il dr
Spencer Reid, il genio della squadra. La socializzazione non è
fra le sue abilità…
Spencer teneva una mano in tasca e l’altra su un bastone da
passeggio, non sembrava avere la minima intenzione di salutare la nuova
arrivata. Semplicemente si girò e usci dall’altra porta.
- Io ho del lavoro da sbrigare, se vi servo sono alla mia scrivania – disse mentre usciva.
Ok. Ricapitolando: JJ e Prentiss non
mi rivogliono qui. Morgan è distaccato e professionale, anche
lui sicuramente ha qualcosa da rimproverarmi. Ma… il dr Reid,
beh… lui sembra proprio che mi odi. Brava Sarah! Su sei elementi
della squadra solo due sembrano contenti di rivederti. Eri proprio miss
simpatia, vero?
Cominciarono tutti a lasciare la sala dirigendosi alle proprie
postazioni. Rimanevano solo lei, Garcia e Morgan. Quest’ultimo
ruppe il silenzio mentre prendeva delle cartelle da sopra il tavolo.
- Questi sono dossier di casi che abbiamo risolto.
Puoi cominciare a dargli una letta. Sarai sicuramente più comoda
qui che alla tua scrivania. Se ti serve qualcosa sono nel mio ufficio
– e cosi dicendo se ne andò.
Garcia le poggiò una mano sulla spalla.
- Non farci caso. Sono tutti un po’ sottosopra, nessuno ci aveva avvisati del suo ritorno.
Sarah scrollò le spalle.
- Non importa. In fin dei conti siamo colleghi, non amici per la pelle…
Garcia combatté una profonda lotta interiore. Non le piaceva
vedere la solare e combattiva Sarah ridotta ad una ragazza che si
rassegnava ad essere ignorata in quel modo. Avrebbe dovuto fare un
discorsetto ai ragazzi. Vabbene non rivelarle niente del suo passato,
ma trattarla da reietta proprio no!
Si allontanò diretta all’ufficio di Morgan, il primo che avrebbe assaggiato la sua lingua.
- Garcia?
- Si, zucchero?
- Ero veramente cosi… no niente –
dicendo cosi Sarah si mise a sedere e si concentrò sui fascicoli.
Spencer era seduto alla sua scrivania a rimuginare.
Bravo! Veramente bravo! Morgan ti ha
dato un consiglio giusto, cerca di riconquistarla e tu che fai? Ti
comporti da maleducato e non la saluti neanche! Il prototipo del gran
seduttore!
Scosse la testa. Sapeva perfettamente perché si era comportato
cosi. Se si fosse avvicinato a lei, se l’avesse anche solo
sfiorata, il suo autocontrollo sarebbe andato in mille pezzi. Contro le
raccomandazioni dei dottori, di Morgan, della Strauss, si sarebbe
ritrovato a prenderle il viso fra le mani e a baciarla davanti a tutti.
Non poteva permettersi di fare una cosa del genere. Doveva stare
attento.
Si sentiva più padrone di se stesso e decise di volgere lo
sguardo per vederla. Era china sugli incartamenti che le aveva dato
Morgan ormai da due ore. La vide raddrizzare la schiena e massaggiarsi
il collo. Sorrise ricordando quanto lei odiasse dover rileggere
più volte lo stesso dossier, la riteneva una perdita di tempo.
Come fare ad avvicinarsi a lei ora? Aveva fatto la figura del
maleducato e dell’insensibile. Come poteva spiegarle il suo
atteggiamento senza rivelarle quanto in realtà l’amasse?
Girò lo sguardo verso il cucinino e vide Prentiss uscire di
lì. Forse poteva rimediare… e le avrebbe detto una mezza
verità, non sopportava l’idea di mentirle.
Sarah era presa dalla lettura dei fascicoli. Era una cosa noiosa, ma
Morgan le aveva dato un compito e lei lo avrebbe portato a termine.
Doveva dimostrare di essere in grado di lavorare lì e se il suo
capo riteneva che lei dovesse studiare i vecchi casi per rimettersi al
passo, quello avrebbe fatto.
Moriva dalla voglia di un caffè, ma per andare a prenderlo
avrebbe dovuto attraversare l’openspace e incontrare di nuovo
Prentiss e Reid. Non era sicura di voler ripetere l’esperienza di
sentirsi di troppo o indesiderata. Sospirò.
E poi che ci trovo di strano? Sono
sempre stata trattata come un piccolo mostro dai miei compagni di
scuola e del college. Io ERO di troppo e indesiderata. E allora
perché mi turba cosi tanto che queste persone mi odino? No! Sii
sincera con te stessa, quello che ti turba è che Reid ti odi!
Tornò a pensare al giovane dottore.
Ha degli occhi nocciola cosi
espressivi! I suoi capelli sono cosi fini e il fatto che finiscano con
i boccoli è adorabile! E’… è… CARINO
DA MORIRE.
Ecco lo aveva ammesso. Si sentiva attratta da lui. Ma lui la
disprezzava, l’aveva dimostrato poco prima. Cercò di
tornare a concentrarsi sui fascicoli.
Qualcosa interruppe la sua concentrazione. Una tazza di caffè
bollente era apparsa a mezz’aria davanti a lei. Si girò
per vedere chi gliela porgeva. Due occhi nocciola la fissavano
sorridenti. Sentì il rossore arrivare e fece in tempo a chinare
di nuovo la testa.
- Nero, forte, con molto zucchero, giusto?
Lei annuì senza sollevare lo sguardo, mentre afferrava la tazza con due mani stando attenta a non sfiorare quelle di lui.
- Grazie – riuscì a mormorare tentando disperatamente di non balbettare.
- Figurati – rispose lui sedendole accanto
– io… volevo scusarmi per prima. Sai è stato un
po’ uno shock rivederti cosi, senza preavviso. Mi dispiace di
essere stato scortese. Come ha detto giustamente Morgan non sono molto
bravo nei rapporti sociali. Comunque… ben tornata.
Lei continuava cocciuta a guardare il contenuto della tazza. Non sapeva
cosa dire. Aveva paura di dire o fare qualcosa che la facesse sembrare
stupida agli occhi del ragazzo. Poi si riscosse. Cosa le importava di
quello che pensava lui? Solo perché lo trovava carino non
significava che doveva permettergli di fare il bello e il cattivo tempo
nella sua vita.
Si decise ad alzare gli occhi per incontrare quelli di lui, pronta a
dargli un assaggio della sua linguaccia velenosa e di come riusciva a
vendicarsi di chi era cattivo con lei. Ma appena incontrò lo
sguardo di lui notò qualcosa che la mise ancora di più a
disagio. Anche se aveva un’espressione allegra sul volto i suoi
occhi erano cosi tristi!
- Io… - non riusciva a dire niente di senso compiuto.
Ecco! Brava! Ti piace e fai la figura
della ragazzina stupida solo perché ha quei due occhioni da
cucciolo e il sorriso più dolce che tu abbia mai visto.
Svegliati ragazzina! Tu per lui sei solo una collega, e neanche tanto
simpatica.
In quel momento la porta alle loro spalle si aprì lasciando entrare Morgan.
- Allora, Collins? Come va con i dossier?
- Bene, grazie. Sto scrivendo le mie annotazioni. Ho delle domande su alcuni casi.
- Bene, se vuoi dopo ne possiamo parlare nel mio
ufficio. Anzi, meglio – disse voltandosi verso Reid –
scusaci un attimo… Reid puoi venire un secondo fuori?
- Se mi prometti di fare il bravo e non fare stupidaggini, puoi seguire tu Sarah mentre studia quei casi.
- Davvero?
- Reid? Hai capito cosa ti ho detto? Sei sicuro di
farcela a tenere la mani a posto e la lingua chiusa nel palato?
Spencer sospirò. Sarebbe stata dura, ma era una possibilità per permettere a Sarah di conoscerlo di nuovo.
- Te lo prometto.
- Perfetto, allora vieni con me.
Rientrarono nella sala riunioni dove Sarah era di nuovo tutta intenta a spulciare quei vecchi casi.
- Collins, se hai delle domande sui casi puoi chiedere a Reid.
Sarah guardò prima l’uno poi l’altro e annuì
mentre tornava a girarsi verso i fascicoli e il suo block-notes.
I due uscirono dalla sala interdetti. Sembrava la Sarah che avevano
conosciuto all’inizio. Di poche parole e sempre restia ad
interagire con gli altri.
Perfetto! Morgan vuole che io mi
metta a studiare questi casi, ma non mi vuole in mezzo ai piedi a fare
domande. E allora mi affibbia a Reid, che magari sarà pure
scocciato della cosa ma che non può dire di no al suo capo. Se
prima mi trovava antipatica, finirà con il considerarmi una
rottura.
Forse non era stata una buona idea il ritorno alla squadra...
Continua…
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Capitolo 4 *** Capitolo III: Who am I? ***
Capitolo III
Capitolo III: Who am I?
Il suo stomaco cominciava a brontolare. Era ora di pranzo e forse si
sarebbe potuta concedere una piccola pausa. In fin dei conti non doveva
saltare i pasti, aveva già perso quattro chili e i suoi vecchi
vestiti le cadevano addosso in modo orrendo. Doveva decidersi ad andare
a fare un po’ di shopping, ma non era sicura di sapere cosa
indossasse una ragazza di ventisei anni… non aveva nessun a cui
chiedere quel genere di consigli. Si girò verso
l’openspace e vide Prentiss alzarsi per andare a pranzo con
Morgan. Lei si che era vestita in modo impeccabile. Oltretutto quei
vestiti le donavano… Sarah avrebbe ucciso per essere bella e
attraente come lei. Sospirò.
Che importanza può avere? Tanto i ragazzi non mi invitano ad
uscire… o meglio, mi invitano nella speranza che il dessert sia
io. Invece Prentiss e Morgan sembrano veramente innamorati, anche se
fanno di tutto per sembrare due semplici colleghi. Deve essere bello
poter vedere la persona che ami tutti i giorni.
Si riscosse dai suoi pensieri. Che ne poteva sapere lei? Non si era mai
innamorata. Non conosceva ragazzi interessanti e quei pochi che aveva
conosciuto quando scoprivano che era un genio sembravano intimoriti.
Preferivano vederla come un mero oggetto piuttosto che come un cervello.
Si stava decidendo ad alzarsi quando senti il rumore del bastone da
passeggio di Reid dietro di lei. Si girò ad osservarlo. Lui la
stava fissando con un sorriso.
- Allora? Come va con questi casi?
- Bene, grazie – rispose lei abbassando lo sguardo sui dossier.
Non riusciva a guardarlo negli occhi, era imbarazzata anche se non ne
capiva il motivo. Intanto lui si mise a sedere sulla sedia accanto.
- Avevi detto di aver preso appunti e di avere delle domande…
- Non… non ti devi sentire costretto solo perché il capo ti ha chiesto di seguirmi.
- Lo faccio con piacere.
Lei si voltò a guardarlo. Sembrava sincero e il suo sorriso era
incoraggiante. E poi successe una cosa imbarazzante… il suo
stomaco decise di fare le sue rimostranze proprio in quel momento. Lei
si sentì avvampare e abbassò di nuovo gli occhi. Reid
proruppe in una fragorosa risata.
Maledizione! Che figuraccia! Cosa penserà lui ora?
- Sarà meglio che ti porti giù alla
mensa a mangiare qualcosa… non vorrei che si spargesse la voce
che facciamo morire di fame i profiler – cercava di rimanere
serio ma un’altra risata gli usci dalle labbra.
Lei si alzò con il viso imbronciato.
- Non c’è bisogno che qualcuno mi
accompagni! So badare a me stessa – dicendo cosi fece per
andarsene ma Spencer la trattenne per un polso.
- Andiamo, ti offro il pranzo.
Resistere a quel sorriso era impossibile e Sarah capitolò subito.
Erano seduti a uno dei tavoli della mensa e Sarah era tutta concentrata
sulla sua insalata. Non osava alzare gli occhi. Quel ragazzo la metteva
in uno stato di agitazione unico.
- Allora, Collins, va un po’ meglio?
- Si, grazie.
- So che non deve essere facile per te, ma vorrei che capissi che non è facile neanche per noi…
- Cioè? – lei finalmente alzò la testa dal suo piatto.
- Beh… ci avevano detto che soffri di amnesia,
che difficilmente recupererai la memoria, che non saresti più
tornata e poi di punto in bianco eccoti qui.
- Perché sei cosi gentile con me?
- Scusami? Che vuol dire? Siamo colleghi.
- Questo non ti obbliga a seguirmi mentre ripasso
quei vecchi casi o ad offrirmi il pranzo. O a cercare di consolarmi
perché gli altri mi evitano.
Lui la fissò a lungo negli occhi e lei sentì il rossore
imporporarle di nuovo le gote. Sembrava che lui le volesse dire
qualcosa, qualcosa di importante. Si trovò a trattenere il fiato
suo malgrado. Perché lui aveva quell’effetto su di lei?
- Ehilà! Spero di non disturbare! – disse una voce allegra ed inconfondibile.
Si voltarono verso la nuova arrivata. Garcia era lì con Kevin e un vassoio pieno di patatine fritte.
- Possiamo sederci o volete rimanere soli? – riprese Penelope facendo l’occhietto a Sarah.
- Garcia! Collins non sa che tu scherzi sempre cosi!
Potrebbe interpretare male! – Spencer sembrava risentito con la
bionda informatica.
- Beh, adesso grazie a te sa che era solo uno scherzo
e quindi non riuscirò più a farla arrossire! Allora?
Possiamo sederci.
Senza aspettare la risposta lei e Kevin si misero al tavolo con loro e cominciarono a scherzare cercando di coinvolgere Sarah.
Per il resto del pomeriggio Reid le tenne compagnia e cercò di
rispondere alle sue domande. Si accorse di essere partito per la
tangente come al solito e di aver parlato per venti minuti buoni di
statistiche e studi scientifici. Ma lei non sembrava annoiata. Se ne
stava li con la testa appoggiata alla mano e lo ascoltava attenta.
La sera stava ormai calando quando Reid le chiese se c’era dell’altro.
- Si – rispose lei pronta – vedi qui. Non capisco questa cosa…
Lui le si accostò per vedere meglio e le loro spalle si sfiorarono.
Insomma, Sarah! Ho capito che la tua memoria è ferma ai tuoi
diciassette anni ma farti partire il cuore in questo modo solo
perché lui ti ha sfiorato è ridicolo! Ti sei presa una
cotta per il bel dottorino, ma ora vedi di farla finita.
Più facile a dirsi che a farsi. Lui le si era accostato ancora
di più mentre le mostrava un grafico e lei aveva sentito il suo
odore. Il cervello le era andato completamente in tilt. Eppure lo
conosceva appena!
Lui era tutto concentrato sui grafici e continuava a parlare, mentre
lei riusciva solo a fissargli le labbra e a chiedersi se erano morbide
come sembravano. Si accorse di stare per avvicinarsi pericolosamente a
lui quando sentirono bussare alla porta.
Spencer si girò placidamente mentre lei riuscì a stento a trattenersi dal fare un salto sulla propria sedia.
- Come va Collins? – chiese Morgan.
- Bene grazie. Il dr Reid mi stava aiutando.
- Vedo – rispose lui con un sorriso – ma
per oggi direi che è meglio interrompere qui. Si sta facendo
tardi e tu non devi stancarti troppo il primo giorno. Ok?
- Sissignore. Adesso vado – dicendo cosi si
alzò e cominciò a raccogliere i fogli sparsi sul tavolo
delle riunioni.
Erano di nuovo soli e Spencer si alzò a sua volta per aiutarla
ma la gamba lo tradì. Sarah lo sorresse prontamente e i due si
ritrovarono con i visi pericolosamente vicini. Lui cercò di
recuperare l’equilibrio aiutandosi con il bastone.
- Scusami, non volevo – ora era lui ed essere in evidente imbarazzo.
Il respiro caldo di lui le sfiorò la guancia facendo galoppare il suo cuore in modo incontrollabile.
- Come… come ti sei fatto male?
- Un S.I. mi ha sparato alla gamba.
Sarah lo fissò. Voleva perdersi in quegli occhi nocciola, ma si
riscosse prontamente e si scostò da lui il più
delicatamente possibile. Avrebbe voluto indugiare ancora un po’
in quel goffo abbraccio dettato solo da un equilibrio precario, ma che
su di lei aveva il potere di un tornado.
Si ritrovò sola e stanca nel suo appartamento. Andò verso
il frigorifero alla ricerca di qualcosa di commestibile. Mentre apriva
lo sportello il suo pensiero andò a Reid. Avvertì di
nuovo la sensazione di calore sulle guance. Si, decisamente si era
presa una cotta con i fiocchi per il bel dottore gentile.
Era decisamente un’adolescente in un corpo adulto. Erano colleghi
e il protocollo parlava chiaro. Niente fraternizzazione… il modo
carino del bureau per indicare i rapporti intimi. A quel pensiero il
suo viso andò letteralmente a fuoco.
Come diavolo ti viene in mente? Lo conosci appena e già
fantastichi di andarci al letto? Allora le voci sul tuo conto non sono
sbagliate! Sei una che va al letto col primo venuto pur di favorire la
propria carriera!
Sbatté lo sportello del frigorifero con rabbia, la fame era
ormai solo un lontano ricordo. I pettegolezzi che giravano su di lei
erano infamanti.
Nell’ordine: avrebbe sedotto il suo professore, Jason Gideon, per
avere una raccomandazione per un posto nell’Interpool; arrivata
lì si sarebbe data alla pazza gioia con un certo Mark McGregor
che l’aveva aiutata ad ottenere incarichi prestigiosi; tornata a
Quantico avrebbe sollazzato il suo supervisore, l’agente
Hotchner, che l’aveva favorita nella sua carriera; non contenta,
per partecipare alle irruzioni e mettersi cosi in evidenza durante i
casi, si sarebbe portata a letto l’agente Morgan, che era il suo
nuovo capo (e questo spiegava la freddezza di Prentiss che
evidentemente non voleva l’ex amichetta del suo ragazzo in giro
per l’ufficio).
Batté un pugno contro la parete. Che razza di persona era?
Semplice, una che era in vendita. Una che si dava al miglior offerente.
Se le cose stavano cosi lei non aveva la minima speranza che Reid la
guardasse in modo diverso da una semplice collega. Oppure sapendo
quanto era facile fare sesso con lei, ne avrebbe approfittato.
Lacrime di frustrazione le rigarono il viso. Ecco spiegata la
gentilezza del dottor Reid, semplicemente era una tattica per
avvicinarsi a una ragazza facile. Invece lei… lei era veramente
interessata a lui. Le piaceva e voleva conoscerlo meglio.
Non ci sarà nessuna storia d’amore, mia cara. Se glielo
permetterai lui si divertirà con te e poi ti butterà via.
Cosa ti aspettavi? Ecco cosa si ottiene a essere una ragazza leggera.
Perché sono tornata lì? Non ho amici, non ho legami di
nessun tipo con loro. Allora perché questa smania di tornare
all’unità?
Poi si rese conto che non era del tutto vero… Garcia! Garcia era
stata gentile e amichevole, aveva cercato di metterla a suo agio e le
aveva detto che se le serviva qualcosa… non era sembrata una
frase di circostanza.
Un lampo nella sua mente “Grazie per essere il nostro raggio di
sole ogni giorno” “Di niente, francesina. Quando
vuoi”.
Una sensazione di trionfo la invase. Aveva ricordato qualcosa senza
sentirsi scoppiare il cervello e senza che le uscisse il sangue dal
naso. Era riaffiorato un ricordo! Lei e Garcia in una stanza piena di
computer abbracciate.
Lo psicologo che l’aveva seguita le aveva detto che nel suo
passato c’era un trauma profondo. Era quello che la sua mente
aveva cercato di rimuovere con l’amnesia. Eppure aveva recuperato
un ricordo.
Certo era un frammento infinitesimale, ma era sempre meglio di niente!
Sorrise. Si! La decisione di tornare al lavoro non era stata sbagliata.
Continua…
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Capitolo 5 *** Capitolo IV. The clothes make the man (or the woman) ***
Capitolo IV
Capitolo IV: The clothes make the man (or the woman)
Guardava negli occhi quell’uomo biondo dagli occhi azzurri.
Provava un’indicibile rabbia ma aveva anche paura. Gli occhi di
lui erano cattivi e il ghigno sul suo volto non prometteva niente di
buono.
- Tu sei entrata nel mio letto… e tu non
saresti in vendita? Andiamo, piccolina, quelle come te hanno sempre un
prezzo!
Si svegliò di soprassalto sudata e impaurita. Era un incubo o un
ricordo? Chi era quell’uomo? Sospirò. Il vuoto nella sua
memoria era qualcosa di snervante. Era andata a dormire con in mente i
pettegolezzi che giravano a Quantico e quello era il risultato. Sperava
che fosse solo il frutto delle sue elucubrazioni mentali e non il
ricordo di qualcosa successo davvero. Non voleva credere a quelle voci,
sperava con tutta se stessa di essere stata una persona migliore di
cosi. Qualcuno di cui i suoi genitori avrebbero potuto andar fieri e
non una sgualdrina pronta a tutto per scalare la carriera di profiler.
Si voltò verso la sveglia. Erano le 4,30. Non sarebbe riuscita a
prendere di nuovo sonno, tanto valeva alzarsi. Dopo una doccia veloce e
un caffè bollente si mise davanti al guardaroba. Voleva
indossare qualcosa di carino, non provocante o volgare. Qualcosa che le
stesse bene e che le permettesse di girare per i corridoi
dell’ufficio senza sentirsi un pesce fuor d’acqua.
Provò i suoi vecchi tailleur, niente da fare. Le stavano
malissimo addosso vista la perdita di peso. Sospirò. Forse un
pantalone elegante con una maglia a maniche lunghe? Peggio di prima. Il
pantalone non stava su e continuava a cadere da una parte e la
maglietta era troppo larga e antiestetici risvolti di stoffa
percorrevano tutto il suo torace. Sbuffò spazientita.
Provò di nuovo ad immergersi nell’armadio a muro e
trovò qualcosa di veramente strano. Infondo, nascosto dietro
tutti i suoi vestiti, c’era una custodia che nascondeva al suo
interno un vestito di seta bianco. Era molto bello e sembrava quello
che una ragazza avrebbe comprato per un ballo studentesco. Ma lei non
era mai stata ad un ballo… chi aveva voglia di invitare una
tredicenne al ballo di fine anno? In che occasione avrebbe potuto
indossare un vestito del genere?
Decise di soprassedere non appena sentì un accenno di mal di
testa cominciare a pulsare dietro l’occhio destro. Era meglio non
pretendere troppo dal suo cervello.
Passò in rassegna una serie di vestiti dalla gonna ampia, ma
nessuno sembrava adatto per andare in ufficio. Cominciava a trovare la
cosa veramente irritante. Finalmente le capitò sotto mano una
semplice camicia blu e provò ad indossarla. Sicuramente le
sarebbe stata meglio con un paio di chili in più, ma non le
stava proprio male. Almeno non la faceva sembrare una bambina che aveva
rubato il vestito alla mamma. Decise di abbinarla con un paio di jeans
e delle scarpe con poco tacco. Si specchiò soddisfatta. Certo
non sembrava una donna in carriera, ma non sembrava neanche una
ragazzina che doveva andare a lezione.
Meglio di niente… dovrò decidermi ad andare a fare un
po’ di shopping il prima possibile. Non posso continuare ad
andare in giro con i vestiti che usavo alla clinica. Dovrei cercare di
sembrare un agente federale, non una marmocchia con una pistola.
Arrivò in ufficio molto presto. Le scrivanie erano tutte vuote.
Decise che quel tempo poteva impiegarlo per portare a termine un
piccolo furto. Andò in archivio e trovò quasi subito
quello che cercava. Si chiuse nella sala riunioni e diede le spalle
all’openspace.
I suoi colleghi non morivano dalla voglia di averla in mezzo ai piedi.
Tanto valeva rendere loro la vita più facile e renderla meno
difficile a se stessa.
Alcuni di loro non la volevano lì. L’avevano dimostrato
con l’atteggiamento del giorno prima. E poi… c’era
chi cercava di essere gentile solo per proprio tornaconto.
Per quanto le piacesse Reid, aveva capito il suo gioco. Non ci sarebbe
più caduta. Doveva resistere. Per quanto lui si mostrasse carino
lei non doveva cedere alla tentazione di credere che fosse veramente
cosi.
Lui vuole solo divertirsi con me… beh scoprirà che la
ragazza facile non c’è più e che lui non
entrerà nel mio letto con un paio di moine e qualche gentilezza.
Era ferma e decisa. Stavolta non si sarebbe lasciata incantare dal
sorriso di lui. Era tutta una finta, lui si aspettava qualcosa in
cambio e lei non era disposta a essere trattata cosi. Fine della
discussione.
Si immerse nella lettura dei fascicoli sperando che gli altri non la
notassero e comunque che nessuno di loro decidesse di approfondire i
motivi per cui lei non era gradita in quel posto.
Un’ora dopo l’ufficio cominciò ad animarsi. Tutti
arrivavano con un caffè o un giornale in mano. C’era chi
entrava da solo, ma anche gruppi di colleghi che scherzavano tra loro.
Prentiss e Morgan uscirono insieme dall’ascensore e poi si
separarono. Morgan diretto al suo ufficio e Prentiss che si dirigeva
verso la scrivania.
Posò la borsa sul ripiano e spostò lo sguardo sulla scrivania di Sarah.
Perché non posso dirle la verità? Perché non posso cercare di riavere la mia migliore amica?
Ma ricordava quello che le aveva detto Morgan. I dottori si erano
raccomandati. Se la memoria di Sarah fosse tornata doveva essere
qualcosa di spontaneo e non una forzatura esterna.
Alzò lo sguardo verso la sala riunioni e vide la ragazza intenta
a rileggere dei dossier. Sorrise pensando che al suo ritorno Hotch
avrebbe trovato qualcuno più stacanovista di lui.
Andò verso il cucinino a preparare il caffè. Mentre se ne
versava una tazza si disse che non c’era niente di male se andava
a portarne un po’ anche a Sarah. E non ci sarebbe stato niente di
male neanche se si fosse fermata a chiacchierare con lei. Non per dirle
qualcosa del loro passato, ma solo cosi… per rompere un
po’ il ghiaccio. Uscì canticchiando diretta verso la sala
riunioni. Oggi avrebbe cercato di riconquistare l’amicizia di
Sarah.
Collins era tutta presa da quel fascicolo che era riuscita a
sgraffignare dall’archivio. Il dossier Rambaldi. Il primo caso
che aveva affrontato con la squadra. Visto che nessuno si decideva a
dirle qualcosa del suo passato, voleva provare a sollecitare le sua
memoria con i casi che aveva aiutato a risolvere.
Girava le pagine alla velocità della luce. Doveva trovare
qualcosa, qualsiasi cosa… poi ecco un appunto volante. Non
conosceva la grafia sul foglio ma il contenuto l’interessava
molto. Si parlava del fatto che l’S.I. avesse provato ad uccidere
lei e il dr Reid investendoli con una jeep. La prontezza di riflessi di
lei aveva salvato la vita ad entrambi.
C’era qualcosa di famigliare in quello scritto. Non voleva
sforzare la sua mente, la sera prima era riuscita a recuperare un
frammento di conversazione tra lei e Garcia senza sforzo. Doveva
sgombrare la mente e lasciare che i ricordi riaffiorassero da soli.
Finalmente un lampo.
Sarah guardò ancora per un momento Spencer, poi resasi conto di
avere le mani ancora attaccate alla giacca del collega le tirò
via con un rapido gesto ed indietreggiò fino a poggiarsi al SUV.
Un brivido la percorse. Un altro frammento.
- Disturbo? – chiese una voce femminile alle sue spalle.
Sarah chiuse di scatto il fascicolo e si voltò. Prentiss era
lì dietro di lei con due tazze di caffè in mano e un
sorriso dolce sul viso.
- Ehm… devo liberare il tavolo? Dovete fare una riunione? – chiese Collins abbassando lo sguardo.
- No, non preoccuparti. Ero venuta a portarti un
caffè – dicendo cosi poggiò le due tazze sul tavolo
e si mise a sedere vicino a lei.
- Grazie, agente Prentiss. Non doveva disturbarsi.
Perché è qui? Perché mi rivolge la parola? Forse
vuole farmi la ramanzina dicendomi di stare lontana dal suo uomo…
- Visto come ti stai impegnando nello studio mi
sembrava il minimo – rispose la mora portandosi la tazza alle
labbra.
Sarah guardò la tazza di caffè indecisa se prenderla o
meno. Si sentiva tremendamente a disagio. Unì la mani sul tavole
e rimase lì cosi, aspettando che l’altra svelasse il vero
motivo per cui era andata a cercarla.
Prentiss posò delicatamente una mano su quelle della ragazza,
che a quel toccò inatteso sobbalzò e la guardò con
un espressione che ricordava un animale in trappola.
- Collins, perché fai cosi? Di cosa hai paura? – Emily corrugò la fronte.
Cosa diavolo le era successo? Cosa l’aveva resa cosi fragile e impaurita? Sembrava quasi che avesse paura di tutti loro.
- Io… io… - Sarah sospirò, era
giunto il momento di mettere le carte in tavola – so della sua
relazione con l’agente Morgan, non deve temere niente da me. So
qual è il mio posto.
Emily sentiva le lacrime pizzicarle gli occhi. La loro prima
conversazione era stata molto simile e aveva gettato le basi della loro
amicizia.
- Collins, non sono qui per questo.
- Certo che no – il tono della voce della
ragazza tradiva un’amarezza che non le apparteneva – Senta
agente Prentiss, lei e l’agente Jareau con il vostro
comportamento di ieri avete chiarito benissimo la situazione. Sapevo
che non sarei stata accolta a braccia aperte e non mi aspetto che lei
si mostri gentile con me. Non si preoccupi troppo. Non sono più
una bambina. Sono qui per imparare e il resto non conta.
La ragazza si mise le mani in grembo e abbassò gli occhi.
Prentiss non si arrese. Mise di nuovo la sua mano su quella di Sarah.
- So che ieri sono stata fredda con te, ma…
non so bene come comportarmi. Ci hanno raccomandato di non parlare del
tuo passato e avevo paura di dire qualcosa che potesse turbarti…
in realtà sono molto felice di riaverti qui – il viso di
Emily si aprì in un sorriso.
- In accademia ho sentito delle voci… voci su
di me… su come ero prima… - la ragazza alzò
finalmente gli occhi, sembrava triste.
- Che genere di voci?
- Insomma… io… non ero una brava
persona – l’aveva detto finalmente! Ora avrebbe avuto la
conferma che quello che si diceva di lei era vero.
Emily la guardò stupita. Già il fatto che girassero voci
sui membri della B.A.U. all’accademia era inammissibile, ma che
addirittura si parlasse male di persone che le matricole non
conoscevano era inconcepibile.
- Quelle voci non sono vere. Tu eri una brava
persona. Anzi, eri eccezionale. Noi siamo una famiglia, Collins, e tu
ne facevi parte. Ti prendevi cura di noi e noi ci prendevamo cura di
te! Qualsiasi altra voce tu possa sentire ricorda che sono solo bugie!
- Se eravamo una famiglia, perché?
Perché nessuno di voi mi è venuto a cercare? –
sembrava sul punto di piangere.
- Avremmo voluto, ma i dottori ce lo hanno proibito.
Altrimenti non saresti riuscita a tenerci fuori dalla tua stanza
neanche con le minacce.
Si guardarono negli occhi. Collins rispose al sorriso dolce di Emily.
Si sentiva un po’ più tranquilla. Se quella donna non la
trattava male, anzi era gentile con lei, non doveva essere stata quella
persona orribile che dipingevano i pettegolezzi.
- Collins, nessuno ce l’ha voluto dire…
sappiamo che non ricordi niente del tuo periodo qui con noi…
esattamente qual è il tuo ultimo ricordo?
- Il funerale di mio padre… avevo diciassette anni.
Ecco spiegata la sua insicurezza. E’ un’adolescente di
diciassette anni che si muove in un mondo di adulti. Devo parlare con
gli altri. Dovremmo starle molto vicini ora.
- Prentiss le posso chiedere una cosa?
- Dimmi.
- Ehm… ho notato il modo in cui si veste e mi
chiedevo… io… ho provato a mettermi i tailleur che ho
trovato nell’armadio ma la perdita di peso…
- Non ti senti a tuo agio con quei vestiti? Non ti stanno bene?
- In realtà tutte e due le cose…
Emily sorrise e guardò l’orologio.
- Facciamo cosi. Io vado da Morgan a comunicargli che
saremo reperibili sul mio cellulare, tu metti in ordine queste pratiche
e poi andiamo a trovare qualcosa che ti stia bene – si
alzò facendo l’occhietto.
Sarah non perse tempo. Prese la pratica che aveva rubato in archivio e
si affrettò a nasconderla. Si sentiva felice. Andava a fare
shopping con l’agente Prentiss che era una delle donne meglio
vestite che avesse mai visto. Beh, come si dice? L’abito fa il
monaco e lei aveva tutta l’intenzione di sembrare un’agente
federale!
Continua…
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Capitolo 6 *** Capitolo V. Old me, new me ***
Capitolo V
Capitolo V: Old me, new me
Sarah entrò di soppianto nell’archivio e rimise la pratica
dove l’aveva trovata. Uscendo fece attenzione che nessuno la
vedesse e cercò di assumere un comportamento più normale
possibile. Si sentiva sempre più sola nel grigiore di quei
corridoi. Non aveva nessuno con cui parlare.
Il mio raggio di sole.
Il viso allegro di Garcia le tornò in mente, come il ricordo che
era riuscita a recuperare la sera prima. Decise che in fin dei conti
poteva anche andare a vedere come stava l’unica persona che si
era dimostrata veramente felice di vederla.
Anche se non aveva fatto commenti il giorno prima, si era accorta che
mentre erano alla mensa l’agente Jareau era entrata ed era
rimasta a fissarli per un po’. Aveva notato lo sguardo
preoccupato che aveva rivolto a Reid. Non si era neanche avvicinata al
tavolo, aveva fatto dietro-front ed era andata via.
Bussò alla porta di Garcia con il sorriso sulle labbra.
Chissà con che nomignolo l’avrebbe chiamata oggi?
Aprì la porta e il sorriso le morì sulle labbra.
L’agente Jareau era seduta vicino a Penelope e la fissava.
Dopo un momento il suo viso della bionda agente si aprì in un
sorriso tirato.
- Buongiorno Collins.
- Buongiorno, dolcezza.
Anche se fece finta di niente, Sarah aveva notato che Garcia aveva dato
un colpetto col piede sulle caviglie della collega. Ecco spiegato il
sorriso di JJ e il caffè di Prentiss. Probabile che la bionda
informatica avesse detto loro che visto che non ricordava niente del
suo passato potevano cercare di essere gentili.
- Buongiorno agente Jareau. Garcia. Non sapevo che avessi da fare… tornerò più tardi.
- No, Collins non si preoccupi. Io stavo per andare…
- Non si preoccupi lei agente Jareau. Non voglio disturbare il vostro lavoro.
Detto questo si affrettò a chiudere la porta e si incamminò lungo il corridoio con lo sguardo basso.
Era distratta e non fece attenzione. Mentre svoltava l’angolo
andò a sbattere contro qualcuno che prontamente la sorresse
prima che perdesse del tutto l’equilibrio.
- Mi scusi sono mortificata – dicendo cosi alzò gli occhi.
Due occhi nocciola ricambiarono lo sguardo. Il viso di Reid si
aprì in un sorriso gentile appena realizzò chi aveva
davanti.
- Buongiorno Collins, già qui.
- Buongiorno dr Reid. Mi scusi, non guardavo dove stavo andando.
- Non preoccuparti, neanche io prestavo attenzione.
Il sorriso di lui era caldo e rassicurante. Le faceva male al cuore sapere che lui poteva avere secondi fini.
- Stai ancora studiando quei casi? Ti serve aiuto?
- Non si preoccupi la sua spiegazione di ieri
è stata molto esauriente. Penso di potermela cavare da sola. Non
voglio disturbarla oltre.
- Figurati, nessun disturbo.
Sarah si ritrovò a camminare al fianco del ragazzo. Pensava allo
scontro di poco prima in corridoio e il ricordo che era appena
affiorato tornò vivido nella sua mente.
Il calore del corpo di lui, la sensazione di vicinanza, la stoffa della
giacca sotto le mani di lei. Perché quel ricordo la turbava
tanto?
Prentiss apparve dall’ufficio di Morgan.
- Buongiorno Reid. Ah eccoti! Sei pronta?
Spencer guardò le due ragazze perplesso.
- Dove porti la nostra Collins?
- Cose di donne… non preoccuparti, non te la
rubo – dicendo cosi prese Sarah sotto braccio e si avviarono
all’ascensore.
Subito dopo pranzo Sarah e Emily ricomparvero in ufficio. Spencer
sentì mancargli il fiato. Era di nuovo lei, era la Sarah che
ricordava. Prentiss oltre allo shopping si era premurata di portarla
dal parrucchiere e l’aveva fatta truccare un poco. Portava dei
pantaloni beige e un romeo e giulietta color verde acqua. I capelli
erano stati leggermente tagliati e lisciati, erano luminosi e setosi
come una volta. Aveva messo un po’ di matita sotto gli occhi e un
lucidalabbra trasparente.
Era ancora lontana dalla donna sofisticata che girava in tailleur su
misura, ma sicuramente avrebbe fatto voltare più di una testa
lungo i corridoi.
- Grazie, Prentiss. E’ stata molto gentile.
- Figurati, è stato un vero piacere.
Erano arrivate alle rispettive scrivanie e Sarah si voltò verso
la sala riunioni. I fascicoli di quei vecchi casi erano ancora
lì ad aspettarla. Si incamminò a passo deciso. Spencer la
osservava senza riuscire a dire una parola.
- Sorprendente, vero? – gli disse Emily.
Lui riuscì solo ad annuire.
- Reid? Non ti sembra il caso di smetterla di guardarla in quel modo e di chiudere la bocca?
- Eh? A si scusa… cosa stavi dicendo?
Prentiss si lasciò scappare una risatina.
- Mi ricorda i primi tempi che lei era qui… ti manca molto vero? – disse tornando seria.
- Si… a te no?
- Oggi ho fatto un primo passo per riavvicinarmi a lei, ma… se non recuperasse mai la memoria?
- Dovremmo costruire altri ricordi – rispose il ragazzo con un sorriso.
Anche se aveva fatto finta di niente si era accorto del turbamento di
Sarah, lei si sentiva attratta da lui… avrebbe fatto in modo di
riconquistarla, ma senza forzare troppo la mano. Non voleva che lei si
spaventasse o che si allontanasse da lui. Ci sarebbe andato piano,
anche se moriva dalla voglia di prenderla fra le braccia e baciarla.
Aveva finito di studiare l’ultimo dossier. Si lasciò
andare contro lo schienale e sospirando cominciò a massaggiarsi
il collo.
- E’ tardi – disse una voce alle sue spalle.
Lei si girò e si ritrovò davanti Morgan che la guardava sorridendo.
- Prendila con calma, nessuno si aspetta che tu torni subito in campo.
- Stamattina mi sono prese una pausa non prevista. Volevo finire entro oggi.
Si guardarono negli occhi. E il sorriso di lui si allargo.
- Beh, sei stata veloce. Pensavo che ti avrei tenuta
buona una settimana con tutti quei fascicoli. Domani ti
assegnerò un nuovo incarico. Per stasera basta cosi. Noi stiamo
andando tutti insieme a mangiare un boccone, vuoi unirti?
- Magari un’altra volta – non si sentiva ancora sicura ad affrontarli tutti insieme.
Morgan annuì e le poggiò una mano sulla spalla.
- Per questa volta va bene cosi. Ricordati,
però, che non accetterò rifiuti in futuro. Prima di
andare via riporta i fascicoli in archivio. A domani.
- A domani.
Sarah si avviò tutta soddisfatta all’archivio. Ora se
qualcuno fosse entrato mentre lei continuava a frugare avrebbe avuto
una scusa accettabile. L’agente supervisore Morgan le aveva detto
di rimettere a posto i dossier.
Entrò e accese la luce. Ormai gli uffici erano deserti e lei
poteva prendersela con calma. Chiuse la porta e si sbrigò a
mettere a posto tutte le pratiche eccetto un paio. Meglio essere
previdenti, se qualcuno fosse entrato poteva sempre dire che non
trovava il posto di quei due fascicoli.
Prese in mano di nuovo il caso Rambaldi e lo lesse più
attentamente. Era stata ferita alla testa da quella psicopatica e aveva
dovuto passare una notte in ospedale. Uno della squadra era rimasto con
lei. Andò a leggere chi le aveva tenuto compagnia: Spencer Reid.
Si svegliò senza ricordare
esattamente dove si trovasse, poi sentì un peso sul letto vicino
alla gamba. Aprì gli occhi quasi contro voglia. Spencer aveva
incrociato le braccia sul letto, vi aveva poggiato la testa e si era
addormentato in quella posizione.
Altro ricordo. Frammenti senza senso. Sospirò. Se continuava
cosi le ci sarebbe voluta una vita per riuscire a ricordare quei nove
anni di vuoto. Forse neanche ne valeva la pena. Oltre il lavoro non
c’era niente nella sua vita. Le uniche persone che frequentava
erano i suoi colleghi. Lupo solitario come sempre, non aveva mai avuto
legami di amicizia. Veramente non aveva mai avuto legami di nessun
genere.
Sentì la porta aprirsi e si sbrigò a chiudere il
fascicolo e rimetterlo a posto. Si voltò lentamente. Spencer
Reid la guardava fermo sulla soglia.
- Buonasera dr Reid, ancora qui?
- Ho dimenticato una cosa e ho visto la luce accesa qui in archivio. Non sei andata ancora a casa?
- Devo finire di archiviare quelle due pratiche e poi vado.
Lui annuì e le sorrise.
- Vado un attimo di là a prendere quella cosa
e poi ripasso da te. Ti accompagno alla macchina, ormai è tardi
e il parcheggio è deserto.
- Grazie, non deve disturbarsi.
- Nessun disturbo, arrivo subito.
Sarah trasse un lungo respiro. Lui era veramente gentile e premuroso. E poi quel sorriso… scosse la testa con decisione.
Smettila ragazzina! Datti una calmata
tu e quegli ormoni impazziti che circolano nel tuo corpo! Cerchiamo di
mantenere il sangue freddo, ti sta solo accompagnando alla macchina,
mica ti ha chiesto un appuntamento.
Archiviò le due pratiche e uscì dalla stanza richiudendo
la porta dietro di lei. Si appoggiò al muro e attese che Reid
tornasse. Anche se quello che la parte razionale del suo cervello le
diceva era vero, non riusciva a trattenere l’impazienza di averlo
di nuovo vicino mentre andavano al parcheggio.
Continua…
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Capitolo 7 *** Capitolo VI. Something more ***
Capitolo VI
Capitolo VI: Something more
Allungò una mano per spegnere la sveglia e nascose il viso sotto
il lenzuolo. Quello che era successo la sera prima nel parcheggio non
sembrava reale. Sembrava solo un bel sogno eppure sapeva che era
successo davvero.
Erano usciti dall’ascensore e si erano incamminati verso la
macchina di Sarah. Arrivati li Collins ringraziò ancora Reid
della premura. Lui la guardò sorridendo e le auguro la
buonanotte. Nessuno dei due seppe dire come, ma le loro labbra si
incontrarono. Non fu un bacio passionale, le loro lingue rimasero buone
buone al proprio posto. Ma era comunque un bacio, dolce e tenero.
Quando si staccarono Sarah riaprì gli occhi e guardò
Spencer con occhi trasognati. Lui le aprì la portiera e gli
mormorò un altro “buonanotte” all’orecchio,
contento di vederla arrossire lievemente.
Era un primo passo, un passo minuscolo. Spencer questo lo sapeva, ma
andava bene anche cosi. Non voleva andare di fretta, voleva far
rivivere il loro amore. Stavolta sarebbe stato tutto diverso. Non
avrebbe giocato all’amico con lei. Voleva farle sapere che lui
era li pronto ad accoglierla, che voleva stare con lei. No, il bravo
ragazzo che fa da spettatore stavolta sarebbe stato dimenticato. Ora
era il turno dell’uomo riconquistare la donna dei suoi sogni.
Sarah uscì dall’ascensore e guardò
l’orologio. Le 8,30 presto sarebbero arrivati anche gli altri. Si
diresse alla sua scrivania per poggiare la borsa e sollevò lo
sguardo.
Hotchner era già nel suo ufficio. Lei aggrottò la fronte,
non pensava di doverlo affrontare cosi presto. Si decise ad
andare a salutare. Doveva incontrarlo prima o poi, pensò che era
meglio ora che l’ufficio era deserto.
Bussò alla porta e sentì una voce baritonale dirle di
entrare. L’aveva visto al funerale della moglie cosi triste e
avvilito, ora invece era un uomo duro e sicuro di se. Attraente,
l’avrebbe definito.
Beh, se ci sono andata al letto almeno ho avuto buongusto… non è un vecchio rimbecillito.
Lui restò li a fissarla e lei si sentiva in imbarazzo. Doveva
trovare qualcosa da dire, ma non sapeva quali fossero i loro rapporti
prima dell’incidente e non voleva essere o troppo disponibile o
troppo fredda.
Lui la prevenne alzandosi e andandole incontro con un accenno di sorriso sulle labbra.
- Collins, è un piacere riaverti qui con noi – le disse allungando la mano per stringergliela.
Era una presa decisa e sicura, ma non forte da farle male. Poi lei
tornò a guardarlo in viso prima di lasciare la presa e un altro
lampo l’attraversò.
- Hai dimostrato a chi va la tua lealtà
– la interruppe Hotch, poi le posò una mano sulla spalla
– Benvenuta nella squadra. Hai detto bene, tu ne fai
parte… sei una di noi e lo hai dimostrato.
Stavolta invece di un semplice frammento e basta si ritrovò con
un’emicrania fortissima. Lasciò la mano di Hotchner per
portarsela alla testa. Si sentiva svenire per il dolore. Lui, notando
quanto lei fosse bianca in volto e vedendo la smorfia di dolore sul suo
viso, la sorresse con entrambe le mani.
- Forse è meglio che tu ti sieda – detto questo la scortò al divano.
Il respiro di lei era affannato e stringeva con forza le palpebre.
- Hai mal di testa? Vuoi che chiami un dottore?
Lei scosse piano la testa, ma a quel semplice movimento le sembrò che la testa andasse in frantumi.
- No – riuscì a dire annaspando – nella mia borsa… le pillole…
- Vado a prendertele, rimani seduta tranquilla.
Hotch si alzò e attraverso la porta aperta vide Spencer che li
osservava con gli occhi sgranati. Si avvicinò alla porta e si
affacciò alla ringhiera.
- Collins non si sente bene. Nella sua borsa ci sono
delle pillole. Portale insieme ad un bicchiere d’acqua – la
sua voce tradiva urgenza.
Spencer corse per quanto glielo permetteva la sua gamba ancora
convalescente. Salì i gradini pronto ad andare da lei, ma Hotch
prese il bicchiere e le pillole dalle sue mani mormorando un grazie.
Rientro nel suo ufficio e chiuse la porta con un calcio.
Si avvicinò al divano e si rimise a sedere, allungando a Sarah
l’acqua e la medicina. Dopo averla presa lei rimase ancora un
momento con gli occhi chiusi. Poi lentamente si girò verso di
lui.
- Grazie.
- Niente… ma è normale questa emicrania?
- Mi succede quando sto ricordando qualcosa…
non sempre ma se cerco di afferrare il ricordo… ecco…
- Capisco. Hai ricordato qualcosa?
- Si… lei mi dava il benvenuto nella squadra
e… diceva qualcosa a proposito della lealtà che avevo
dimostrato… per lei ha senso?
- Si – rispose lui con un sorriso – ne ha molto…
I loro occhi si incontrarono di nuovo e Sarah restò stupita da
quello che leggeva negli occhi di lui. Si, sicuramente c’era
stato qualcosa fra loro, ma non sapeva bene cosa. Lei fece per alzarsi
e lui la prevenne aiutandola. Si ritrovò fra le braccia di Hotch
che la sosteneva.
- Cerca di stare attenta e di non sforzarti troppo. Vedrai con il tempo ricorderai tutto.
Poi di nuovo, ma stavolta meno intenso.
Si alzò, seguita da Hotch. Rimasero lì in piedi a
guardarsi. Successe in un baleno. Le loro labbra unite, la lingua di
lui che cercava di farsi largo. Lei ricambiò quel bacio,
trasportata dal pensiero del sorriso che lui le aveva rivolto prima.
Lei si scostò di colpo e lo guardò stralunata. Si erano
baciati, propri lì in quell’ufficio. Lei e il suo capo si
erano baciati!
Trovò rifugio nel bagno delle donne. Il ricordo appena affiorato
l’aveva lasciata senza fiato. Le storie su lei e Hotchner erano
vere! Le veniva da piangere. Quella mattina si era svegliata contenta
per quel fugace bacio fra lei e Reid. Doveva interrompere qualsiasi
cosa stesse nascendo fra lei e il giovane collega. Lei era
l’amante del capo e se avesse iniziato una relazione con Reid,
Hotchner poteva farla pagare a tutti e due.
La colpa era solo sua, lei aveva combinato quel pasticcio. Era inutile
rimproverarsi non poteva cambiare il passato. Non era più cosi
sicura di voler sapere chi era stata. Quel poco che aveva ricordato non
le piaceva per niente.
Ora doveva tornare alla sua scrivania e comportarsi il più
normalmente possibile. Nessuno doveva sospettare che lei ricordava,
soprattutto Hotchner. E se lui le avesse chiesto di riprendere la loro
relazione? Sentì il voltastomaco al solo pensiero.
Si mise a sedere e cominciò a ispezionare la posta che le era
arrivata al computer. Sentiva lo sguardo di Reid su di se, ma si impose
di non voltarsi. Non era sicura delle proprie reazioni in quel
frangente. Vide Prentiss arrivare con un sorriso sul volto.
- Buongiorno Collins!
- Buongiorno agente Prentiss – lei cercò di sorridere sperando di apparire naturale.
Prentiss la guardò e fece per dirle qualcosa, ma la voce di JJ alle sue spalle la interruppe.
- Tutti in sala riunioni. C’è un nuovo caso.
Entrò in sala riunioni per ultima. L’unico posto
disponibile era quello fra Hotchner e Reid. Perfetto! Si mise a sedere
fra il suo amante e il ragazzo di cui si stava innamorando. Che altro
le riservava questa “splendida” giornata? Cercò di
concentrarsi sul caso e non pensare ai suoi problemi.
- Dale Shrader, ha passato gli ultimi undici anni in
carcere per aver rapinato delle banche. Appena uscito è andato a
Lockport, stato di New York, e ha ucciso una ragazza Stacey Ryan.
Inoltre ha rapito la figlia, Jenny Shrader.
- Tutti sull’aereo fra mezz’ora. Collins,
per te è ancora presto. Resterai qui con Garcia – Hotch la
guardò preoccupato.
- Sissignore – lei intimamente era contenta di
aver un po’ di respiro ed allontanarsi da Hotchner e Reid.
Si stavano tutti preparando per prendere il jet, mentre lei si dirigeva
verso l’ufficio di Garcia. Sentì una voce chiamarla e si
girò. Reid le stava andando incontro con un andatura incerta.
Aveva abbandonato il bastone ma la sua deambulazione non era ancora
normale.
- Collins, non te la prendere. La prossima volta…
- Non si preoccupi dr Reid. E’ meglio cosi, non
mi sento ancora pronta a riprendere il mio lavoro. Seguirvi da qui mi
sembra molto meglio – cercava di essere fredda e distante, non
voleva illudere il dolce dottore.
- Collins… - lui le posò una mano sul braccio – tutto bene?
Lei si scostò bruscamente. Lottava contro la voglia di tuffarsi
fra le braccia di lui. Non doveva permettere che le cose tra loro si
spingessero oltre.
- Si, dr Reid, tutto bene. Se vuole scusarmi…
lei deve prendere un jet e io devo raggiungere Garcia per cominciare a
studiare il profilo di Shrader – detto questo si incamminò
a passo sicuro lungo il corridoio.
Spencer la guardò allontanarsi aggrottando la fronte. Cosa era
successo? La sera prima sembrava contenta di quel bacio e ora si
comportava come se non lo volesse vicino? Cosa era cambiato?
Continua…
Tutto tace sul fronte orientale -_-" Se ci siete battete un colpo!
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Capitolo 8 *** Capitolo VII. BFF ***
Capitolo VII
Capitolo VII: BFF
Sarah non aveva aperto bocca da quando era entrata nell’ufficio
di Garcia con il fascicolo Shrader sottobraccio. Sembrava concentrata
sul profilo, ma Penelope avvertiva la preoccupazione della giovane
profiler. Qualcosa l’aveva turbata, ma non era disposta a parlare
con qualcuno di loro.
Sospirò e si girò di nuovo verso la ragazza che era curva
sugli incartamenti. Qualcuno doveva prendere in mano la situazione e
sfortunatamente il resto del team era già in volo verso
Lockport. Sarebbe toccato a lei cercare di aiutare Sarah.
- Collins, vogliamo continuare a fare finta che vada tutto bene?
- Non so cosa vuoi dire – interloquì lei senza alzare lo sguardo.
- Anche se tu non ti ricordi di me, io ti conosco.
Quella faccia, mia bella francesina, vuol dire che hai un problema. Mi
vuoi dire cosa ti è successo?
- Non credo che sia il caso… - lei era visibilmente imbarazzata.
- E’ successo qualcosa con uno dei ragazzi?
– Penelope sorrise maliziosa, sperando che Reid avesse cominciato
a muoversi.
- Perché dici cosi? – lei alzò
gli occhi visibilmente contrariata – C’è qualcosa
che tu sai e che io dovrei sapere?
- Mi vuoi dire cosa c’è che non va? Andiamo zucchero, poi ti sentirai meglio, vedrai.
- La mia memoria… non posso fare affidamento su quello che ricordo o credo di ricordare…
- Ti sei ricordata qualcosa?
- Un paio di cose, cose sciocche e senza senso.
- Ma qualcosa di questi ricordi ti turba, giusto?
- Si… anche… ma non sono solo i ricordi
a turbarmi – fu la volta di Sarah di sospirare – Garcia, io
ti ho mai detto ehm… che sei il nostro raggio di sole?
Il sorriso di Penelope le illuminò il viso, si alzò e si avvicinò alla ragazza.
- Quando vuoi, francesina! Te lo sei ricordato!
Ma gli occhi di Sarah non trasmettevano contentezza. Sembrava tormentata e non era disposta a parlare con lei.
- Suppongo che non sia il fatto di avermi definito
“raggio di sole” a turbarti cosi tanto. Ricordi spiacevoli?
- Non so se sono spiacevoli… ero diversa, ero
un’altra persona. Come faccio a giudicare le scelte che ho fatto
se non so cosa mi ha portato a farle?
Garcia la fece alzare e l’abbracciò stretta.
- Dolcezza, qualsiasi scelta tu abbia fatto, hai
seguito il tuo cuore. In questo non c’è niente di male.
Sarah si lasciò andare all’abbraccio di Penelope. Niente
di male… come si poteva definire niente di male diventare
l’amante del proprio capo? E che voleva dire “hai seguito
il tuo cuore”? Lei era innamorata di Hotchner? Ogni ricordo che
riemergeva portava poche risposte e molte nuove domande.
I ragazzi stavano per tendere un’imboscata a Shrader e Garcia era
al telefono con Rossi e Hotchner. Sarah intervenne all’improvviso.
- Agente Hotchner… ecco…io…
- Dimmi Collins, qualche problema?
- Il profilo non corrisponde.
- Come?
- Shrader è un rapinatore di banche, è
uscito quattro anni prima per buona condotta. Poi improvvisamente
uccide una donna e rapisce la figlia? Non coincide con il profilo che
avete stilato.
Hotchner tolse il viva voce.
- Collins, con l’esperienza imparerai che a
volte le cose si risolvono facilmente. Sei ancora inesperta, lascia
fare a noi.
- Sissignore – rispose Sarah poco convinta.
C’era qualcosa che non le tornava. Era in pensiero per la
squadra. Se aveva visto giusto non sarebbe stato cosi facile prendere
Shrader. Quell’uomo aveva un piano e non si sarebbe lasciato
mettere i bastoni fra le ruote cosi facilmente.
- Garcia sono Hotch.
- Dimmi, grande capo.
- Shrader è riuscito a fuggire, ha un complice. Collins aveva ragione…
- Il resto della squadra sta bene – Garcia
rabbrividì come sempre quando i suoi ragazzi erano in pericolo.
- Prentiss è ferita, non sembra niente di grave. Morgan è con lei.
Sarah smise di ascoltare la telefonata in quel momento. Qualcosa nel
suo cervello si stava muovendo ma non alla ricerca di Shrader.
Era sotto un tendone con delle cuffie
sulle orecchie. Con lei Morgan, Rossi e Hotchner. Stavano ascoltando
Benjamin Cyrus che picchiava selvaggiamente Prentiss. Morgan
lanciò le cuffie sul tavolo visibilmente frustrato e spaventato
per Prentiss. Lei era basita, l’unica cosa che riusciva a pensare
era che qualcuno stava facendo male a Emily, la sua Emily. Più
di un’amica, una sorella.
Scosse la testa esterrefatta. Non solo aveva ricordato una situazione, ma anche tutte le emozioni ad essa connesse. Lei e Emily!
Un altro flash le si parò davanti.
Lei e Emily erano sul divano di quest’ultima e ridevano.
- Testuali parole:
“Tu sei molto più sobria nell’abbigliamento,
Prentiss comincia a lanciare frecciatine come le tue al povero Morgan,
cominciate ad avere anche la stessa gestualità… se ti
mettessi delle extension sembrereste sorelle gemelle!” –
disse Sarah imitando il modo di parlare e di gesticolare di Spencer,
poi con un sorriso timido si girò verso l’amica –
Sai Emily… mi sarebbe piaciuto averti come sorella!
Emily era in ospedale, qualcuno le aveva fatto del male, di nuovo!
Sentiva le lacrime scenderle lungo le guance. Per sfuggire
all’interrogatorio di Garcia si precipitò nel bagno.
Finalmente aveva recuperato qualcosa di veramente importante: la sua
migliore amica!
Passò tre giorni d’inferno, facendo su e giù per i
corridoi del bureau. Le sembrava di impazzire. Finalmente
l’ascensore si aprì e lei vide la squadra uscirne.
Aspettò impaziente di vedere lei. Gli altri le passavano accanto
salutandola ma lei non degnava di uno sguardo nessuno. Era lì
ferma a fissare quella ragazza con il braccio fasciato e una ferita
alla tempia.
Si scrutarono per un attimo ancora, poi Sarah l’abbracciò stretta. Non voleva lasciarla andare.
- Come stai?
- Bene, Collins. Veramente, sembra più brutto di quello che è.
- Emily, tu non mi chiami mai Collins – rispose lei sorridendo sulla spalla dell’amica.
Prentiss non collegò subito. Poi sentì le lacrime
scorrerle sul viso. Lei ricordava! Ricordava la loro amicizia.
Ricambiò l’abbraccio e rimasero cosi, senza parlarsi sotto
gli occhi sgranati del resto del team.
Spencer camminava su e giù per l’ufficio di Morgan.
- Dovresti sentirti sollevato! Se si è ricordata di Emily prima o poi si ricorderà anche di te.
- Andiamo, Morgan, quante possibilità ci sono? – sbuffò lui.
- Sei arrabbiato perché si è ricordata
prima la sua migliore amica. E’ normale che tu ti senta messo in
disparte, ma ragiona. Lei non può decidere cosa ricordare e cosa
no.
- Si, però adesso è di là con
Prentiss a chiacchierare da due ore e non mi ha degnato di uno sguardo.
- Cosa ti aspettavi?
- Dopo l’altra sera? Beh, non dico tanto, ma almeno un ciao.
- Che vuol dire “dopo l’altra sera”? Reid, cosa hai combinato?
- Nie… niente.
- Reid!
- Ok, ci siamo baciati. Ma un bacio innocente, ti giuro.
- Un bacio innocente? Tu e Sarah? E da quando i
vostri baci sono innocenti? – Morgan si alzò e guardo
Spencer in tralice.
- No sul serio. Intendo innocente. A labbra chiuse. E
poi… a essere sincero… credo che l’iniziativa
l’abbia presa lei…
- Ehi don Giovanni, non approfittarti troppo della
sua amnesia! Te lo ripeto: tieni le mani a posto e non ti far scappare
niente con lei.
- Per te è facile dirlo!
- Oh, certo. Per me è facilissimo! Lei
è la mia migliore amica. Non credi che anch’io muoia dalla
voglia di riaverla indietro? Ma non possiamo giocare con la sua mente.
Hai sentito Hotch? Quell’emicrania che quasi la faceva svenire? E
il ricordo era riaffiorato da solo… figuriamoci cosa potrebbe
succederle se forzassimo la mano.
- Ahi ragione. Scusami e… grazie – rispose Spencer mogio mogio.
- Per cosa?
- Per essere sempre la voce della razionalità.
Morgan batté la mano sulla spalla dell’esile ragazzo.
- Innocente, però un bacio te lo ha dato, no?
– gli disse malizioso facendogli l’occhiolino.
Continua…
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Capitolo 9 *** Capitolo VIII. Me and who? ***
Capitolo VIII
Capitolo VIII: Me and who?
Sentiva quel corpo muoversi sopra di
lei. Si sentiva leggera e avvertiva il proprio corpo rabbrividire di
piacere. Era una sensazione piacevole, cosi come sentire le proprie
mani scivolare su quel corpo maschile. Non voleva aprire gli occhi,
voleva perdersi in quelle sensazioni. Sentiva i gemiti uscire dalla
propria bocca, mentre le labbra di lui le percorrevano il collo. Le
loro mani erano intrecciate in un gesto intimo. Anche se non voleva,
doveva aprire gli occhi. Doveva sapere lui chi era. Due visi si
soprapposero. Reid e Hotchner. Non riusciva a distinguere chi dei due
fosse.
Si svegliò sudata. Il sogno era stato piacevole fino a che non
aveva cercato di sapere a chi erano connesse quelle sensazioni. Si
tirò su a sedere. Era un ricordo? Con chi dei due aveva fatto
sesso? Decise di farsi una doccia. Sentiva la necessità di
togliersi di dosso quelle sensazioni e quell’angoscia che
l’avevano attanagliata all’improvviso.
Mentre si lavava, ritornava con la mente a quel sogno. Forse era stata
l’amante di Hotchner e il viso di Reid si era sovrapposto a quel
ricordo per i sentimenti che nutriva per lui. Sospirò. Avrebbe
voluto chiedere a Emily. Era la sua migliore amica, lei sicuramente
sapeva a chi si era legata. Ma Emily era stata categorica la sera
prima. Non le avrebbe detto niente del passato, i dottori si erano
raccomandati. La memoria sarebbe tornata a tempo debito. Già, se
mai fosse tornata….
Emily cercava solo di proteggerla, come avrebbe fatto lei a parti
invertite. Ma aveva un disperato bisogno di sapere! Non voleva far
soffrire Reid, dopo cosi poco tempo si sentiva legata a lui in un modo
che le era incomprensibile. Poi sorrise. Aveva letto con attenzione la
scheda del ragazzo. Anche lui era stato un ragazzo prodigio. Avevano un
passato in comune, sapeva cosa voleva dire crescere fra adolescenti
prepotenti che ti prendevano di mira solo perché eri più
intelligente di loro.
Forse per questo si sentiva cosi legata a lui. O forse era per quel suo
sorriso dolce che riusciva a scombussolarla. Ricordava la sensazione
delle sue labbra sulle proprie. Erano morbide come se le era
immaginate. Ricordava di essere arrossita quando lui le aveva
sussurrato quel “buonanotte”, ma non
dall’imbarazzo… era arrossita dal piacere. Il suo alito
caldo nell’orecchio l’aveva fatta rabbrividire.
Scrollò la testa. Doveva smetterla di pensare a lui, almeno
finché non avesse scoperto quello che era successo con Hotchner.
La sua mente si rivolse al suo capo. Era un bell’uomo, senza
dubbio. Il classico maschio alfa, uno che sapeva come prendersi cura di
una donna. Se aveva scelto lui era per sentirsi protetta. Ricordava le
parole di Garcia. Che si fosse innamorata di un uomo che la faceva
sentire al sicuro?
Continuare a rimuginare era del tutto inutile. La sua memoria non
sembrava disposta a darle aiuto. Sbuffò. Meglio vestirsi e
uscire. Era sabato, non voleva stare lì a rimuginare per due
giorni tutta sola. Avrebbe potuto chiamare Emily, ma lei probabilmente
era con Morgan… non voleva disturbare. Che almeno lei potesse
viversi la sua storia d’amore in santa pace.
Decise di provare a indossare uno di quei vestiti che aveva ammirato
per tutta la settimana, ma che non le sembravano adatti
all’ufficio. Ne individuò uno che le piaceva in particolar
modo. Era blu, senza maniche e abbottonato sul davanti. Come gli altri
finiva in una morbida gonna ampia. Se lo provò e notò che
le stava bene. Essere sottopeso non era il massimo, che che ne
dicessero tante adolescenti. I vestiti cadevano male e in biancheria
intima faceva spavento. Vedere le costole di una donna sporgere dalla
pelle non era proprio il massimo del sexy…
Comunque quel vestito sembrava nascondere bene la sua recente perdita
di peso. Andò in bagno per finire di prepararsi. La visita dal
parrucchiere era servita. I capelli erano molto belli cosi curati,
mentre solo lunedì sembrava uno spaventapasseri. Sorrise. Di
punto in bianco le importava molto come appariva agli occhi degli
altri. Doveva stare attenta altrimenti sarebbe diventata vanitosa.
Ormai era pronta ma non sapeva bene dove andare. Poi ricordò di
aver ricevuto per e-mail un invito ad una conferenza sulla psicologia
criminale. Doveva essere una cosa normale ricevere quel genere di
inviti visto il lavoro che faceva. L’accademia non era lontana e
lei avrebbe fatto in tempo. Perché no? Cos’altro aveva da
fare? Si incamminò tutta contenta verso la sua metà.
Forse ci sarebbe stato anche il dr Reid… lui si che sembrava un
tipo che andava a quel genere di eventi.
Stava camminando lungo i giardini davanti all’accademia quando sentì una voce di bambino chiamarla.
- Sarah!
Si voltò e vide un bel bambino castano correre verso di lei e
aggrapparsi alla sua gonna. Aveva un’aria famigliare, ma lei non
riusciva a collocarlo. Mentre era intenta a studiare il volto
sorridente del bambino, sentì una voce maschile che riconobbe
subito.
- Jack! Non devi scappare cosi!
- Ma aveva visto Sarah – cominciò il bambino con una punta di pianto nella voce.
- Collins, mi dispiace – Aaron la guardò preoccupato, lei non poteva ricordarsi di Jack.
- Non importa, agente Hotchner – detto questo
si inginocchiò per guardare il bambino negli occhi – Ciao.
Mi dispiace ma… io non mi ricordo di te. Eravamo amici?
Il tono di Sarah era dolce. Quel bambino le piaceva. Inoltre se era
stata l’amante di Hotchner sicuramente aveva avuto modo di
conoscerlo.
Jack annuì piano e la guardò triste.
- Si. Papà mi ha detto che soffri di
ammesica… che non ti ricordi di noi… Quando vengo a
trovare papà in ufficio tu mi regali sempre delle
caramelle…
- Oh, un amore disinteressato, eh? – disse lei
sorridendo al bambino e facendo l’occhiolino – Però
oggi purtroppo non ne ho con me… alla mensa vendono anche dei
gelati, può andare lo stesso?
- Si! – rispose Jack entusiasta prendendole la mano.
- Collins, non devi…
- Per me è un piacere. I vecchi amici vanno trattati bene, non è vero Jack?
Il bambino annuì tutto contento.
Entrarono nella mensa che era stranamente piena per un sabato mattina.
Le matricole erano tutte presenti per assistere alla conferenza. Sarah
non era sicura neanche di chi fossero gli oratori, ma non le importava
molto. Era solo un modo per passare il sabato senza rimanere da sola
con i suoi pensieri. Si rese conto che molti suoi ex compagni di corso
guardavano insistentemente lei e Hotchner. Cercò di non farci
caso. Che pensassero quello che volevano. Lei era lì per la
conferenza e il fatto di aver incontrato il suo capo con il figlio era
una mera coincidenza.
Comprò il gelato a Jack e pagò due caffè per lei e
Hotchner, poi si misero tutti e tre seduti ad un tavolo libero.
- E’ buono? – domandò Sarah
contenta di vedere il bambino mangiare di gusto e sporcarsi la faccia.
- Si. Grazie! – rispose lui regalandole un altro sorriso.
Era bello vedere quel bambino sorridere, specialmente vista la tragedia
che aveva colpito quella famiglia da cosi poco tempo. Ed era ancora
più bello sapere che quel sorriso era merito suo.
Sollevò lo sguardo verso il suo capo. Stava guardando il figlio
sorridendo. Aveva un bel sorriso che trasmetteva sicurezza. Avrebbe
dovuto sorridere più spesso. Poi si voltò verso di lei e
le regalò uno dei suoi rari sorrisi.
- Grazie, Collins.
- Di cosa? Mi fa piacere passare del tempo con un
amico – rispose la ragazza scompigliando leggermente i capelli
del bambino – Come mai anche voi qui di sabato?
- Sono uno degli oratori e Jack è sempre
contento di venire qui. Credo che voi della squadra lo viziate troppo!
Non capisco cosa ci trovi in questo posto.
Il bambino sentendosi chiamato in causa, dimenticò per un attimo
il suo gelato e guardo il padre come se fosse sorpreso che lui non
capisse.
- Reid! Magia! – lo disse come se fosse la cosa più naturale del mondo.
- Ah, già… i giochi di magia del dr
Reid – rispose il padre tutto serio cercando di assecondare il
figlio.
Sarah trovò la scena tenera e comica insieme e non riuscì a trattenere una risata.
- E cosi il nostro dr Reid è un mago? – disse all’indirizzo del bambino.
- Già! Il più grande mago del mondo – rispose il bambino tutto soddisfatto.
- Grazie, Jack. E’ sempre un piacere avere un ammiratore.
Il giovane si era avvicinato non visto al tavolo con una tazza di
caffè fra le mani. Si avvicinò al bambino e
allungò una mano verso l’orecchio di questi. Poi con un
rapido movimento delle dita fece comparire una moneta.
- Ehi Jack, dovresti stare più attento. Guarda cosa avevi nell’orecchio!
Il bambino afferrò la moneta tutto contento e rivolse a Reid uno sguardo adorante.
- Siediti Reid. Stavamo parlando giusto di te e delle tue magie! – disse Hotch spostando una sedia.
Il ragazzo si mise a sedere cautamente. Era evidente che il ginocchio gli faceva ancora male.
- Spero che non abbiate spaventato Collins
raccontando chissà che cosa… - riprese lui fissando Hotch
in modo strano.
Sarah non sapeva perché, ma aveva l’impressione di
trovarsi fra due cani rabbiosi e che lei fosse l’osso intorno al
quale litigavano.
- L’ultima volta che abbiamo affrontato una
conversazione del genere eri stato abbastanza chiaro – rispose
Hotch con acredine.
Perfetto! Questi due litigano per me… ma la mia decisione personale non conta niente?
- La conferenza sta per cominciare… allora
Reid siamo d’accordo? Finito l’intervento passo a
riprendere Jack su in ufficio.
- Non c’è problema.
- Collins, tu sei venuta per la conferenza, giusto? Andiamo?
- Io… ehm… - non voleva rimanere sola con Hotch non dopo quello scambio fra lui e Reid.
- No! Sarah con me! Sarah con me! – intervenne prontamente Jack.
- Credo che Jack abbia esposto le sue rimostranze – intervenne Reid – Vieni con noi, Collins?
E adesso che faccio?
Continua…
Per Benny: Quanto mi sei mancata! :'( Non sparire più!
Ah! Prima che mi dimentichi... Ecco Sarah!
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Capitolo 10 *** Capitolo IX. The man behind the man ***
Capitolo IX
Capitolo IX: The man behind the man
Era lì ferma nella mensa a fissare i due uomini che fissavano
lei. Cosa poteva fare? Sembrava che nessuno dei due volesse lasciarla
solo con l’altro e lei si trovava fra l’incudine e il
martello. Sentiva che qualsiasi decisione avesse preso sarebbero stati
guai seri. Per togliersi da quel pasticcio ci sarebbe voluto un
miracolo.
Ma a volte i miracoli capitano…
- Eccoti finalmente! – la voce di Emily alle
sue spalle le fece tirare un sospiro di sollievo – Morgan ha
già occupato i posti e… Hotch, Reid non vi avevo visti,
buongiorno.
- Buongiorno – risposero i due uomini abbassando lo sguardo.
- Beh credo che ci vedremo più tardi dopo la
conferenza – dicendo cosi prese sotto braccio Sarah che la
guardò grata – Se volete scusarci… non vorrei
perdere l’introduzione di Rossi. Buona giornata.
- Buona giornata Hotch, Reid – poi Sarah si
avvicinò al piccolo Jack scompigliandogli i capelli – Ci
vediamo presto Jack, ok?
- Si! Ciao Sarah.
Camminava lungo il corridoio a fianco di Emily, che se la rideva sotto i baffi.
- Divertente, Emily, divertente! Da sbellicarsi dalle risate!
- Dai, un po’ divertente lo è. Vedere
Hotch e Reid che litigano per te è esilarante – disse
Emily cercando di trattenere le risate – Chissà cosa
sarebbe successo se non fossi passata li davanti e non avessi capito
cosa stava succedendo.
A quel pensiero Emily scoppiò a ridere.
- Forse per te è divertente! Ma io mi ci trovo in mezzo e… non so cosa fare.
- Tu cosa vorresti fare? – Emily la fissava con uno sguardo dolce e le mise una mano sulla spalla.
- Non lo so… io… so che dovrei tenermi alla larga da tutti e due, ma…
- Sarah, per il momento forse la cosa migliore
sarebbe che tu non prendessi decisioni in nessun senso. Aspetta, vedi
se la memoria ti aiuta un poco.
- E nel frattempo? Quei due finiranno con lo sbranarsi a vicenda, a meno che…
- A meno che?
- Se io dicessi a tutti e due che non sono interessata?
- Ma tu sei interessata, vero? Almeno a uno di loro sei interessata…
Sarah arrossì. Fino a pochi giorni prima lei era tutta presa da
Reid, ma ora… ricordava il bacio di Hotch e il modo in cui lui
le aveva sorriso poco prima. Che fare?
Ascolto la conferenza in modo discontinuo. Il cervello perso in altre
elucubrazioni. Reid o Hotch? Hotch o Reid? Sospirò. Non riusciva
a trovare una soluzione al suo dilemma. Il problema è che sapeva
troppo poco del suo passato per riuscire a prendere una decisione.
Ripensò alla conversazione tra quei due. Forse lei aveva avuto
una relazione con Hotch e poi l’aveva lasciato per Reid. Oppure
viceversa? Quei due si comportavano come due ragazzini che volevano lo
stesso giocattolo e lei non era disposta a farsi trattare cosi.
Si voltò verso Emily. Morgan si era messo fra loro due e non
aveva fatto domande sulla sua presenza improvvisa. Pensava che lui non
avrebbe gradito quell’intromissione, invece era stato gentile e
sembrava contento di averla li con loro. Finito l’intervento di
Hotchner, tutti si alzarono.
- Vieni a pranzo? – chiese Morgan con un sorriso smagliante.
- Non ho molta fame – rispose lei imbronciata.
- Ehi, bambolina, sei già più magra del
nostro Reid, che è decisamente sotto peso. Cosa
c’è, vuoi scomparire?
Magari fosse stato possibile diventare cosi magra da sparire alla vista di quei due. Sbuffò e si alzò.
- Ha vinto, Morgan, andiamo a mangiare.
Lui le posò una mano sulla spalla e la spinse verso la porta dell’aula.
- Sono un ragazzo fortunato! Oggi siederò al
tavolo con le due più belle agenti di Quantico – le disse
facendole l’occhiolino.
Trovarono un tavolo vuoto e si accomodarono con i loro vassoi. Sarah
sperava che Hotch avesse preso Jack e se ne fosse andato. Non voleva
vedere un altro scontro tra lui e Reid per causa sua. Poi pensò
che certamente anche Reid era tornato a casa.
Vana speranza. Vide un vassoio scivolare sul tavolo accanto a lei e la
sedia venire spostata da due mani magre e sottili. Le mani di Reid.
- Allora? Come sta andando la conferenza? – chiese a nessuno in particolare.
- Bene. L’intervento di Hotch è stato
molto incisivo. Il prossimo oratore avrà serie difficoltà
a eguagliarlo – disse Morgan, che ancora non si era reso conto
della tensione che proveniva di Sarah.
- E tu, Collins, lo trovi interessante? – riprese Spencer voltandosi verso di lei con un sorriso.
Lei si voltò lentamente e lo guardò con astio. Quella
mattina l’aveva trattata come un oggetto e ora faceva tutto il
carino? Era ora che qualcuno rimettesse a posto il dottorino.
- Troverei molto più interessante vedere i
miei colleghi che si comportano da persone adulte e non da bambini
dell’asilo!
Spencer rimase spiazzato dall’uscita di Sarah, mentre Emily
cercava di soffocare una risata nel tovagliolo. Morgan che era
all’oscuro dell’accaduto spostava lo sguardo dall’uno
all’altra cercando di capire cosa fosse successo.
- Mi dispiace se ti abbiamo dato un’impressione sbagliata… ehm… non è come credi.
- Adesso sai anche cosa credo? Nessuno ha chiesto la
mia opinione! Troppo pieni di testosterone! Mi meraviglio di lei dr
Reid – detto questo si alzò e si allontanò senza
voltarsi.
- Ehi, genietto, cosa hai combinato? – intervenne Morgan allibito dal comportamento di Sarah.
- HANNO combinato, tesoro. Il dottorino qui e
il nostro Hotch hanno avuto uno scontro di testosterone per
accaparrarsi la compagnia di Sarah mettendola in imbarazzo davanti a
tutta la mensa – svelò Emily con uno sguardo di rimprovero
rivolto a Spencer.
- Tu e Hotch? Ancora? Ma mi domando io… mi sembrava di averti detto di non forzare la mano.
- Non forzare la mano non vuol dire che lui possa
fare il cascamorto con lei! – Spencer era veramente arrabbiato
con Hotch. Cavoli! Sarah era la sua ragazza dopotutto!
- Reid, credo che questo discorso dovrò farlo
anche a Hotch – Emily emise un sospiro – Hai provato a
chiedere a Sarah qual è il suo ultimo ricordo?
- No… perché?
- La sua memoria si ferma al funerale del padre.
- Ma… aveva solo diciassette anni! – Spencer era incredulo.
- Già. Tu e Hotch avete messo una
diciassettenne in una situazione che persino una donna adulta
troverebbe difficile da gestire. Non si ripeta più! Tenete i
vostri ormoni sotto controllo – detto questo si alzò in
cerca della sua amica.
Era nel parcheggio intenzionata a prendere la propria macchina e
tornarsene a casa. Non era stata una buona idea venire a quella
conferenza. Voltando l’angolo si ritrovò di fronte a Hotch
che cercava di mettere Jack in macchina senza svegliarlo. Finalmente
era riuscito a metterlo sul seggiolino e ad allacciare le cinture. Con
una mano accarezzò i capelli del bambino e poi gli diede un
tenero bacio sulla fronte. Sarah rimase stupita di quel gesto cosi
dolce e tenero da parte del composto e serio Hotch. C’erano cose
di lui che non mostrava.
Hotch chiuse la porta dalla macchina piano per non svegliare il bambino e si voltò trovandosi di fronte Collins.
- Collins, io… mi dispiace per la scena in mensa questa mattina. Non so cosa mi abbia preso.
Lei si avvicinò piano guardandolo negli occhi. Si, era
decisamente un uomo che sapeva prendersi cura dei suoi cari e si stava
scusando con lei, una semplice subordinata.
- Hotchner…
- Hotch.
- Hotch – si sentiva stranamente insicura,
voleva fargli la ramanzina come l’aveva fatta a Reid, ma qualcosa
la tratteneva. Il ricordo di quel bacio.
Si accostò a lui e gli poggiò una mano sull’ampio
petto virile. Non sapeva cosa dire o cosa fare. Non era più
sicura di niente. Lui mise la propria mano su quella di lei e le
accarezzò piano una guancia con l’altra. Poi lentamente si
chinò verso di lei a sfiorarle le labbra. Si ritrasse
all’improvviso come spaventato.
- No, non sarebbe giusto. Tu non ricordi e io non voglio approfittarmi di te.
Sarah lo guardò ancora un momento. Era bello quello che aveva
detto, lui non voleva approfittarsene. Fu lei ad annullare le distanze
fra loro e baciarlo. Non sapeva perché ma le sembrava giusto
cosi. Come con Reid fu un bacio a fior di labbra e lei si ritrasse
quasi subito.
- Io… io ricordo il nostro primo bacio –
dicendo cosi abbassò lo sguardo mentre diventava rossa per
l’imbarazzo.
- Tu non ricordi tutto, sei confusa – dicendo
cosi lui le afferrò le spalle e la scostò da se –
Collins, non fare niente di cui poi potresti pentirti.
Poi l’avvicinò di nuovo a se e la baciò teneramente su una guancia.
- Se e quando sarai sicuro, io ci sarò. Ma
fino ad allora, i nostri rapporti saranno meramente professionali.
E… dimentica quel “primo bacio”. Reputati libera di
fare le scelte che ritieni più giuste per te.
Dicendo cosi salì in macchina e se ne andò.
Che uomo! Poteva approfittarsi di me,
poteva farmi fare quello che voleva dopo la mia ammissione eppure mi ha
lasciata libera. Che uomo!
Una nuova consapevolezza del suo capo si stava facendo largo in lei.
L’ammirazione che provava per lui in quel momento,
cominciò a farglielo vedere sotto un’altra luce. Non
l’uomo più grande e di grado superiore, ma
semplicemente… l’uomo.
Continua…
Per Benny: grazie dei commenti... almeno so che la mia storia piace a qualcuno ^^
P.S. riprovo a postare la foto di come io ho immaginato Sarah
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Capitolo 11 *** Capitolo X. You are the best! ***
Capitolo X
Capitolo X: You are the best!
Stava seduta sul divano rimuginando su quello che era successo fra lei
e Hotchner il giorno prima. Non aveva detto niente a Emily, ma
l’amica aveva capito che qualcosa era cambiato in lei. Più
conosceva Reid e Hotch più la scelta che doveva fare le sembrava
difficile. Erano due uomini splendidi. Hotch si sarebbe sicuramente
preso cura di lei, l’avrebbe trattata bene. Aveva dimostrato di
rispettarla e di volere solo che lei fosse felice.
Reid, invece, era dolce. Avrebbe sempre cercato di proteggerla. Aveva
un passato simile e quindi sarebbe riuscito a capire meglio lei e i
suoi problemi. E poi la faceva sentire cosi… non sapeva se
esisteva un termine per quella sensazione di attesa che provava solo al
ricordo di lui.
Riusciva solo a starsene lì seduta a pensare, senza venire a
capo di niente. Non sapeva con chi confidarsi. Non voleva parlarne con
Emily, lei non le avrebbe rivelato niente del suo passato.
Si alzò inebetita. Cosa poteva fare? Con chi poteva parlare?
Prese la borsa e uscì senza una meta precisa. Aveva bisogno di
riflettere e una passeggiata le sembrava una buona idea.
Era fuori già da un po’ e cominciava a sentire stanchezza
nelle gambe, intravide un pub all’angolo della strada e decise di
entrare. Forse si poteva prendere un bel tè bollente…
come si mise a sedere cambiò idea. Cavoli, ormai aveva ventisei
anni e stava cercando di decidere a chi spezzare il cuore! Al diavolo
il tè, qui ci voleva un bel whisky doppio e liscio. Lo
ordinò e rimase li seduta a contemplare il bicchiere.
Se solo i suoi ricordi non fossero stati cosi frammentari, se solo i
suoi sentimenti fossero stati più chiari. Sospirò
rumorosamente. Non sapeva cosa fare, ne come comportarsi.
- Quello è il sospiro di una con un sacco di guai!
Alzò la testa di scatto. L’agente Morgan la fissava con un
sorriso beffardo sulle labbra e una busta del supermercato appoggiata
al fianco.
- Agente Morgan, come mai è qui?
- Ti ho vista passando e sembrava che tu avessi bisogno di una spalla su cui piangere.
Lei chinò il capo e assentì.
- Vuoi che chiami Emily?
- No, lei ora non mi sarebbe d’aiuto. Forse non c’è nessuno che possa aiutarmi.
Derek posò la busta per terra e si accomodò accanto a
lei. Chiamò la cameriera e ordinò una birra.
Aspettò che arrivasse e si voltò a guardare Collins.
- Chi beve whisky liscio a quest’ora ha un problema veramente grosso.
- Più di quanto lei possa immaginare.
- Non esserne cosi sicura, ragazzina, io di problemi ne ho avuti tanti – rispose lui sorridendo.
- Ha mai dovuto decidere a chi fare del male?
- Cosa vuoi dire?
- Mpf… niente, lasci perdere.
- Ti riferisci a Hotch e Reid, vero?
Lei lo guardò triste e assentì.
- Hai mai pensato che sono due uomini adulti? Sanno a cosa vanno incontro, il rischio fa parte del gioco.
- Cosi non mi aiuta mica!
- Già. Beh ti posso dare il consiglio che mi
diede una volta una ragazza molto saggia: “se logica e cuore si
scontrano, tu segui sempre il secondo. Soffrirai e commetterai degli
errori ma almeno saprai di essere stata viva”.
Sarah lo guardò stupita. Quella frase gliela aveva detta una
volta sua padre! Era il più grande tesoro che lui le avesse
lasciato. Lo custodiva gelosamente, non l’avrebbe condiviso con
il primo venuto! Guardò meglio il suo collega. C’era
qualcosa in lui, qualcosa che…
- Non è
facile per me parlare di quello che provo, ci conosciamo appena,
ma… tu conosci molti dei miei segreti, compreso il più
importante e… l’istinto mi dice che posso fidarmi di te,
che non dirai niente a nessuno e per nessun motivo. Lo sai cosa vuol
dire questo?
- No – Sarah cercava di capire dove stesse andando a parare Derek.
- Che anche se ti conosco da meno di 48 ore, per me anche TU sei un’amica.
Sentì un principio di emicrania, anche se molto leggera. Morgan si protrasse verso di lei.
- Tutto bene?
Lei chiuse gli occhi, c’era dell’altro, c’era molto altro!
- Allora ragazzina? Come ti senti?
- Mio padre diceva
sempre che era impossibile che mi rompessi la testa visto che era
tutt’osso… sono contenta che avesse ragione –
scherzò Sarah.
Morgan scoppiò a ridere e Collins rimase ad osservarlo. Le piaceva quando Derek rideva per qualcosa che aveva detto lei.
E poi ancora.
Scoppiarono a ridere. Lei si face più vicina a lui e gli poggiò il capo sulla spalla.
- Grazie, due neuroni. Sei sempre il migliore.
- Amici per sempre, ciuffo buffo.
Non era possibile. Come aveva potuto dimenticare?
- Grazie due neuroni.
- Ehi premio nobel, io sono sempre il tuo migliore amico, no?
- Il migliore amico che io potessi mai sperare di avere.
Derek era lì e la fissava preoccupato, allungò una mano per scuoterla leggermente.
- Allora, tutto bene?
Si avvicinò ancora di più all’amico e gli
diede un bacio delicato su una guancia. Lui la strinse a se. Quel
contatto fisico lo rincuorava.
- Tu sei stato il mio primo vero amico. Sei stato il
primo della squadra a fidarsi di me e io questo non lo scorderò
mai. Vorrei aiutarti ma sta a te decidere Derek, solo a te…
Lei aprì gli occhi, si alzò in piedi e lo guardò.
Le lacrime cominciarono ad uscire senza che lei se ne accorgesse.
Passò la mano sul bel volto di Derek.
- Mi dispiace.
- Per cosa? – Derek era sempre più preoccupato e si alzò a sua volta.
- Ti voglio bene, due neuroni – rispose lei sorridendo fra le lacrime.
Poi si tuffò fra le forti braccia del suo amico e rimase cosi avvinghiata al suo possente torace.
Derek trattenne il respiro. L’aveva chiamato con il suo nomignolo
preferito! Rimase fermo ancora un attimo e poi la strinse in un
abbraccio che rischiava di stritolarla.
- Bentornata a casa, ciuffo buffo!
Il loro abbracciò fu interrotto dal suono dei cellulari. JJ aveva un nuovo caso, dovevano andare a Quantico.
- Vieni, Sarah, ho la macchina qui vicino.
Mentre erano fermi ad aspettare l’ascensore sopraggiunse Reid.
- Come va? – domandò senza alzare gli occhi. Aveva paura che Sarah fosse ancora arrabbiata.
- Magnificamente – rispose Derek – Non è vero, ciuffo buffo?
- Ehi, pollice non opponibile, spremi quei due
neuroni che ti sono rimasti e trovami un altro soprannome –
rispose la ragazza ridendo.
Spencer era cinereo. Aveva ricordato Prentiss, aveva ricordato Morgan,
aveva ricordato persino quello che si erano detti lei e Hotch quando
aveva reso inoffensiva la Strauss. Eppure ancora non si ricordava di
lui.
Morgan intuì i pensieri dell’amico e gli mise una mano sulla spalla. Non poteva fare nient’altro per lui.
- Ehi Reid? – intervenne Sarah.
- Si? – rispose lui ancora tramortito.
- Quando torniamo da questo caso, volevamo andare a
mangiare in un ristorante italiano. Sei dei nostri? – chiese la
ragazza con un sorriso.
Lui sentiva un groppo in gola. Era tornato ad essere un semplice amico per la donna che amava.
Continua…
Grazie per i complimenti lillina. Hotch o Reid... dovrete continuare a leggere per scoprirlo ;P
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Capitolo 12 *** Capitolo XI. Check mate ***
Capitolo XI
Capitolo XI: Check mate
Erano appena tornati da Atlantic City. Reid era riuscito a fermare
Samantha Malcolm senza ricorrere alla violenza. Tutti si erano
congratulati con lui, ma Spencer sembrava non curarsene. Aveva altro
per la testa.
Sarah continuava a non ricordare il loro legame e lui cominciava a
perdere le speranze. Si ritrovò di nuovo al parco pubblico dove
una volta giocava a scacchi. Si chiese perché no. In fin dei
conti non aveva più giocato dalla partenza di Gideon.
Si mise a sedere e giocò a scacchi con uno dei ragazzi. Non si
rese conto della folla di curiosi che si accalcava attorno a loro.
Pensava solo a giocare ed era un sollievo togliersi lei dalla testa
anche se per poco. Alla fine, quando Spencer dichiarò il matto,
si levarono gli applausi contenuti della folla. Recuperò la sua
tracolla e si alzò.
Lei era lì, con un bicchiere di caffè in mano che lo
guardava sorridendo. Sentì di nuovo quel colpo al cuore. Faceva
male non poterla toccare, non poterla baciare, dover tenersi dentro
tutto quello che provava per lei.
- Sei bravo. Non sapevo che giocassi a scacchi.
- Era molto che non lo facevo più – rispose lui triste incamminandosi.
- Mi piacerebbe sfidarti una volta o l’altra – disse lei camminando al suo fianco.
- Non sapevo che giocassi – lui si fermò di colpo e si voltò verso di lei.
- Non sai molte cose Reid – rispose lei con uno sguardo che lui non sapeva decifrare.
Lui guardò le scacchiere del parco.
- Se vuoi puoi sfidarmi subito. Abbiamo a disposizione le scacchiere.
- Comincia a fare un po’ troppo fresco e io non
ho portato il giacchetto… abito qui vicino, vuoi venire a
giocare da me? – di nuovo gli lanciò uno sguardo strano.
- Ok – sapeva perfettamente che non c’erano scacchiere a casa di lei.
Entrò titubante nell’appartamento di lei. Cosa aveva in
mente Sarah? Perché l’aveva invitato da lei? Rimase in
piedi fermo ad aspettare la mossa di lei.
- Vedo che conosci bene le regole degli scacchi
– disse lei sarcastica – Gli scacchi sono un gioco di
strategia militare. Due eserciti che si confrontano fino alla resa di
uno dei due. Bisogna essere cauti e avveduti per far commettere un
errore all’avversario. Bisogna saperlo provocare e innervosire.
- Cosa… cosa stai dicendo? –
perché lei si comportava cosi? Perché gli stava dicendo
quelle cose?
- Sto dicendo, mio caro dr Reid, che tu hai commesso
degli errori in questa partita. Hai abbassato la guardia –
riprese lei avvicinandosi al tavolo dove era poggiata la sua borsa
– Hai lasciato che io intravedessi la falla nella tua difesa e
che ne approfittassi.
Lentamente estrasse un fascicolo dalla borsa. Un fascicolo molto grande con il logo dell’F.B.I. stampato sulla copertina.
- Quello… quello non dovrebbe uscire dall’archivio!
- E’ solo una copia, non preoccuparti.
L’originale è al suo posto. L’ho letto molto
attentamente in questi giorni. C’era qualcosa che mi sfuggiva,
che non riuscivo a capire – buttò il dossier Brunet ai
piedi di Spencer – Tu mi hai fatto da guardia del corpo per tutta
la durata del caso. Dimmi, il mio divano è stato il tuo migliore
amico in quelle notti? Oppure ho provveduto io stessa a scaldarti?
Il sorriso di lei era cattivo. Sembrava si divertisse a torturarlo cosi.
- E’ questo? Ti manca il mio corpo? Ero cosi brava?
- Non è come pensi…
- Ah no? Tu e Hotch vi comportate come due cani in
calore e non è come penso? – rispose lei inarcuando un
sopracciglio – E com’è dr Reid? Me lo vuole spiegare
lei, com’è?
- Io… io…
- Il gatto ti ha mangiato la lingua? Chi altro
è entrato nel mio letto oltre voi due? Cos’ero? Il
giocattolo erotico della squadra? – lei si stava avvicinando
lentamente, annullando la distanza fra loro.
- Sarah…
- Oh! Ora mi chiami per nome? Eravamo proprio intimi
io e te. Talmente intimi che mi sono beccata una pallottola per
salvarti… dovevi essere bravo anche tu – dicendo cosi
poggiò le mani sull’esile torace di lui e avvicinò
il suo viso a quello del ragazzo.
- Sarah… non cosi… non… - lui
non riusciva a respirare per la vicinanza di lei, ma sapeva che era il
modo sbagliato.
Lei si protese verso di lui per baciarlo. Spencer chiuse gli occhi. Non
è lei. Lei non è mai stata cosi! Si impose di fermare
quello che stava succedendo. L’afferrò per i polsi e la
scostò da se. Si fronteggiarono. Lei voleva provocarlo, voleva
fargli ammettere qualcosa che esisteva solo nella sua testa.
- Tu non eri cosi. Fra noi non… - respirò e cercò di calmarsi.
- Com’era fra noi? – lei lo guardava con
rabbia e urlava – Perché nessuno mi
dice chi veramente ero?
Lei era frustrata dalla mancanza di ricordi. Era spaventata dal
comportamento di Hotch e dal suo. Era solo una ragazzina che non capiva
cose le stava succedendo intorno. Lui si intenerì a quel
pensiero e le sorrise dolce.
- Eri… eri un’ottima profiler, eri forte e sicura. Eri la donna dei miei sogni.
Dopo aver detto questo le fece poggiare la testa nell’incavo del
suo collo e l’abbracciò. Lei tremava e si strinse a lui.
Stava piangendo in silenzio. Sentiva le sue lacrime su collo e
allora cominciò a carezzarle piano i capelli.
Non sapeva da quanto tempo erano lì fermi in piedi al centro del
salotto, i tremiti di lei si erano andati via via calmando. Ora era
placida e abbandonata a quell’abbraccio, lui non chiedeva di
più che essere di conforto. Non voleva che lei si sentisse
ancora spaventata e sola.
Poi lei lentamente cominciò a risalire il collo di lui con le labbra.
- Sarah, non devi…
- Baciami, Spencer – era la prima volta dal suo ritorno che lo chiamava per nome.
Si scostò leggermente per guardarla in volto. Non c’era
più rabbia nei suoi occhi, solo una supplica muta. E lui
l’accontentò.
Posò le proprie labbra su quelle di lei, piano e dolcemente.
Aspettò di sentire che lei ricambiava quel bacio e poi la sua
lingua prese a stuzzicarla. La risposta di lei non si fece attendere,
dischiuse le labbra avidamente, cercando di avvicinarsi ancora di
più a lui. Sembrava non essere mai sazia di quel contatto fra
loro. Lui mise le mani in quei capelli morbide e scuri come la notte e
l’avvicinò ancora di più. Erano sospesi nel tempo,
persi in quel bacio.
Poi lei si fece più audace e cominciò a esplorare il
torace di lui con le mani. Andava tutto cosi veloce! Spencer sentiva la
propria mente svuotata, c’era solo lei. Lei e il suo corpo cosi
morbido e caldo. Le mani abbandonarono i capelli per scendere lungo la
schiena e fermarsi sui fianchi per tirarla a lui e far aderire meglio i
loro corpi.
Sarah era senza fiato, sentiva l’erezione di lui premerle contro
il ventre e si sentiva eccitata a sua volta. Lo voleva, non riusciva a
pensare ad altro. Lo voleva!
Ripensò a quello che si erano detti lei e Derek sul cuore e la
logica. Non credeva che quello che stava parlando adesso fosse il suo
cuore. Erano i suoi ormoni impazziti a guidare le sue azioni ora. Non
le importava più di nulla. L’odore di lui era inebriante e
il suo calore la stordiva in modo mai provato.
Voleva fare sesso con lui, ma non sapeva come esprimersi. Dirlo a voce
alta le metteva paura e la imbarazzava troppo. Non ricordava come si
facesse a far capire ad un ragazzo che si era disponibili… ma
forse era meglio spegnere il cervello e seguire solo l’istinto.
Si strusciò contro il corpo di lui e il gemito soffocato di
Spencer le disse che era quello che anche lui voleva. Mise le mani
sotto il golf di lui e cominciò a toglierglielo. Le loro labbra
si staccarono solo per un breve istante, poi lui tornò a
baciarla con passione. Sentiva le mani di lui armeggiare con i bottoni
della camicia e sospirò. Lui si staccò di nuovo per
guardarla come a chiedere il permesso.
Lei sorrise e gli scostò i capelli dal viso.
- Sei sicura? Vuoi che mi fermi?
- Guai a te se ci provi – rispose con un sorriso.
Erano sdraiati nel letto di lei. Sarah aveva poggiato la testa sul petto di Spencer, che lentamente le carezzava la schiena.
- Credo che questo possa essere definito uno scacco matto – disse lei mentre si voltava a guardarlo.
- Sarah… io… - non trovava le parole.
- Io non mi aspetto niente. Lo volevamo tutti e due
ed è successo. Il resto non conta. Non mi aspetto che succeda di
nuovo o che fra noi due nasca una grande storia d’amore. Lasciamo
le cose cosi – allungò una mano per carezzare il viso di
lui.
- E se invece fossi io a volere di più? – il suo sguardo era triste.
- Allora… beh… lasciami tempo e spazio
– rispose lei incerta – io non so cosa provo per te
e… non voglio prenderti in giro o farti soffrire. Dammi tempo.
Lui si girò spingendola sotto di se.
- Voglio che tu sappia solo una cosa. Io ti amo e… - lei gli poggiò un dito sulle labbra.
- Dammi tempo – lo baciò e poi si perse
di nuovo in quell’abbraccio che non voleva sciogliersi.
Continua…
Per Benny: i tuoi complimenti
mi lusingano sempre... cmq ricordarsi del suo migliore amico non lo
definire non ricordare le cose importanti... e secondo te due
personcine di nostra conoscenza permetterebbero ad un divieto del capo
sezione di rovinare la vita della loro amica? ;) In quanto alle
pressioni... beh la storia lo finita di scrivere da un pezzo... e
scusate la franchezza la adoro cosi com'è... niente ritocchi...
e poi mi piace vedere soffrire un poco il nostro genietto :))))
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Capitolo 13 *** Capitolo XII. Desire ***
Capitolo XII
Capitolo XII: Desire
Era ferma davanti alla macchina del caffè e osservava non vista
JJ e Reid che chiacchieravano nel corridoio. Lei e JJ avevano un
rapporto corretto ma freddo, molto freddo. Non si sentiva a suo agio
con la bionda e non riusciva a capire perché. Poi vide lei
levare un pelo dalla giacca del ragazzo e sentì il sangue
andarle al cervello. Sorrise. Ecco perché non sopportava la
bionda agente… lei era gelosa di Reid e non sopportava che JJ
avesse cosi confidenza con lui.
Che diritto aveva di sentirsi cosi? In fin dei conti aveva detto a lui
di volere tempo, anche se non era vero. Lei sapeva benissimo cosa
provava per Spencer. Aveva paura ecco tutto. Una dannata paura di
rimanere ferita. Dopo aver fatto l’amore con lui sapeva a chi
erano connesse le sensazioni di quel sogno. Era lui.
Si incamminò lungo il corridoio dalla parte opposta ai due. Non
voleva incontrarli. Si sentiva in difficoltà. Ed ecco venirle
incontro l’altro motivo per cui aveva dei problemi con Reid.
Hotchner, il suo capo. Non aveva più affrontato
l’argomento dopo il loro incontro in garage. Se solo avesse
saputo cosa esattamente era successo fra loro…
Si domandava perché la sua storia con Hotch non avesse funzionato.
- Buonasera, Collins.
- Buonasera, Hotch – disse continuando a camminare.
Non voleva affrontare neanche lui. Era una codarda, ecco cos’era!
Teneva in sospeso due uomini senza sapere cosa fare esattamente.
Si chiuse nell’archivio, unico posto dove poteva trovare un
po’ di pace. Si mise a scartabellare fra i vecchi casi.
Improvvisamente trovò qualcosa di strano. Qualcuno aveva
archiviato male una pratica… Era un’occasione unica!
Fuori dall’archivio Morgan sorrideva soddisfatto. Emily lo raggiunse con un sorriso complice stampato in faccia.
- Allora?
- E’ entrata… sono sicuro che lo troverà in un baleno.
- Sei sicuro?
- Se tu cercassi delle risposte nell’archivio, dove guarderesti?
- Nei vecchi casi che ho seguito.
- Beh, qualche sbadato ha accidentalmente inserito il
suo dossier personale proprio lì… - rispose Derek facendo
l’occhiolino alla sua complice.
- Il personale è di una sbadataggine unica in
questo posto – convenne lei allungandogli una tazza di
caffè.
- E se le venisse l’emicrania?
- Per questo noi stiamo qui fermi a prenderci un
caffè. Non si sa mai… qualcuno potrebbe sentirsi
male…
- Siamo sicuri che questo l’aiuterà?
- Se non l’aiuta questo non so più
cos’altro inventarmi… - Emily fece un sorriso complice al
ragazzo – In fin dei conti noi non abbiamo contravvenuto agli
ordini di non dirle niente, giusto?
- Giustissimo – rispose lui con un sorriso
sornione – noi che colpa ne abbiamo se qualcuno non sa bene come
si archiviano le pratiche?
Si era allontanata dalla squadra per un mese dopo il caso a Miami.
Perché? Cosa era successo? Rilesse gli incartamenti cercando una
risposta. Sentiva l’emicrania arrivare ma non le importava.
Doveva sapere.
- Collins c’è un’altra cosa…
- Dimmi Hotch.
- Riguarda la tua carriera all’interno dell’F.B.I.
Sarah si girò accigliata. Che diavolo di storia era questa?
- Cioè?
- Beh pensavo che visto il tuo eccellente curriculum tu fossi pronta ad avere una squadra tutta tua…
- Ma ho solo 25 anni!
- Ma sei una profiler eccezionale. Cosi ho chiesto a
Cooper se era interessato ad averti nel suo team. Sarebbe un trampolino
di lancio per la tua carriera.
Il viso di Sarah si riempi di chiazze rosse. Cosa cavolo stava dicendo Hotch?
- Io non voglio lasciare la squadra!
- Ragiona! Qui hai molti più ostacoli nel
metterti in evidenza. Cooper saprà valorizzare il tuo lavoro.
- No! Non puoi trasferirmi ad un altro team senza una motivazione! Io non intendo accettare!
Hotch si alzò e si avvicinò a lei. Sarah sgranò
gli occhi quando capì il vero motivo del trasferimento.
- Siccome non riesci a toglierti il mio corpo dalla mente e sai di non potermi avere hai deciso di punirmi?
- Non so di cosa tu stia parlando. E’ un’opportunità per te…
- No, è un’opportunità per te di toglierti da sotto gli occhi me!
- Mi stai forse accusando di scorrettezza?
- Scorrettezza? Io direi proprio che sei uno stronzo!
Hotch si avvicinò e l’afferrò.
- Ascoltami bene ragazzina…
Ma non riuscì a finire la frase. I suoi occhi caddero sulle
labbra di lei. Cosi rosse, cosi morbide, cosi sensuali. E provò
di nuovo a baciarla. Stavolta Sarah ebbe i riflessi pronti e
voltò il viso tempestivamente.
- Aaron Hotchner, sei un porco schifoso!
Hotch non seppe mai come fosse successo. Vide la sua mano partire a
rallentatore e andare a scontrarsi contro il viso della Collins.
Sarah indietreggiò. La mano sulla guancia e un’espressione costernata sul volto.
- Scusami, io non volevo, non so cosa mi sia preso – farfugliò Aaron.
La ragazza scappò via senza voltarsi indietro.
Trasse un profondo respiro. Hotch, Hotch l’aveva colpita! E tutto
perché lei lo aveva rifiutato! Che stronzo! Ma perché lei
era tornata a lavorare con lui? Perché non l’aveva
denunciato?
Ora erano lì nel salotto di Hotch a scrutarsi.
- Io non avrei dovuto darti dello stronzo e del porco…
- E io non avrei dovuto provare a baciarti e, soprattutto, non avrei mai dovuto colpirti.
Avevano gettato le basi, ma la diffidenza era ancora alta.
- Collins, io non so cosa mi sia preso… o
meglio lo so fin troppo bene… tu sei una bellissima ragazza e io
mi sono lasciato trasportare. Non proverò mai più a fare
una cosa del genere e non proverò più a trasferirti
contro la tua volontà… però di prego di essere
comprensiva… io…
- Hotch, te lo dirò una volta sola. Non
provare mai più a fare una cosa del genere. Questa volta
è andata cosi e faremo finta, o meglio, proverò a far
finta che non sia successo nulla. Ma ricorda quello che ti ho detto la
prima volta. Fra noi non ci sarà mai niente, cerca di fartene
una ragione.
Ora sapeva cosa doveva fare!
Era passato un mese dal ritorno di Sarah. Aveva ricordato i suoi
migliori amici e recuperato frammenti di conversazioni con alcuni
membri della squadra. Eppure tabula rasa su di lui. Spencer richiuse il
libro con un sospiro. Dopo quello che era successo fra loro, lei non ne
aveva più fatto menzione. Anzi in ufficio lo chiamava
ostentatamente Reid. Sbuffò. Non l’aveva vista per tutto
il giorno. Era venerdì sera e lei sicuramente era uscita con
Morgan e Prentiss.
Lui non era stato invitato… non che avrebbe accettato, la
situazione gli pesava già cosi senza dover stare tutta la sera
con lei seduta accanto che lo ignorava.
Qualcuno suonò il campanello e lui andò ad aprire senza neanche guardare dallo spioncino. Aveva il morale a terra.
- Non pensavo di trovarti a casa di venerdì
– lei lo guardava con un sorriso malizioso sulle labbra.
Aveva in dosso uno di quei vestitini che lo facevano impazzire.
- Cosa… cosa…
- Credo ti si sia incantato il disco. Mi fai entrare o mi lasci qui fuori tutta la notte?
Lui si spostò per permetterle di entrare e chiuse la porta poggiandosi contro.
- Cosa ci fai qui?
- Vedo che abbiamo recuperato il dono della parola – rispose lei con un sorriso sbiego sulle labbra.
- Allora? Devo ripetere la domanda? – lui si
sentiva estremamente nervoso, per più di una settimana lei lo
aveva ignorato e ora era venuta a cercarlo.
- Vuoi che ti risponda?
- Sarebbe meglio – cominciava ad arrabbiarsi.
Sarah si avvicinò buttandogli le braccia al collo e premendo il proprio corpo contro di lui.
- Mi mancavi e ho pensato di venire a vedere se
anch’io mancavo a te. Non sei più venuto a trovarmi.
- Mi avevi detto di lasciarti spazio e tempo…
- Sono una donna. Ho cambiato idea – dicendo cosi lo baciò.
- Sarah, non puoi… non puoi giocare cosi con me! – stava perdendo veramente la pazienza.
- Non sono qui per giocare – le rispose lei tutta seria – Hai detto di amarmi, giusto?
- Si. Ma tu mi hai risposto… - di nuovo lei gli mise un dito sulle labbra.
- Prometti di rispondere sinceramente ad una domanda?
Lui annuì dubbioso.
- Io… tu… insomma noi… - Sarah
sospirò cercando il coraggio di mettere in parole il pensiero
che la tormentava da quel pomeriggio – io ero la tua
ragazza, vero?
Lui guardò in quei profondi occhi verdi. Poteva riaverla! Poteva essere di nuovo sua!
- Si. Eri la mia ragazza – ammise lui cominciando a stringerla a se.
Lui la baciò con trasporto e la strinse ancora di più a
se. Quando si separarono erano entrambi ansanti e desiderosi di
approfondire il loro contatto.
- Non è che non mi fidi di te,ma… puoi
dimostrare di avermi detto la verità? – lei sembrava
incerta.
Spencer la prese per mano e la mise a sedere sul divano.
- Aspettami qui – le disse con un sorriso.
Prese un album dalla libreria e poi cominciò a girare le pagine
alla ricerca di qualcosa. Si mise a sedere accanto a lei e le mise in
grembo l’album aperto indicando con la mano una foto in
particolare.
Erano loro due a Falmouth. Lui la stringeva da dietro e avevano tutti e
due un sorriso felice sulle labbra. Poi girò lentamente la
pagina. Di nuovo loro stretti in un abbraccio ma stavolta si guardavano
negli occhi. Si, decisamente erano una coppia.
- Io non ricordo noi due, ma… - lei
poggiò la fronte contro quella di lui – forse con il tuo
aiuto… voglio ricordare. Posso essere ancora la tua ragazza?
- Non chiedo di meglio che riaverti nella mia vita.
Lei si alzò e lo prese per mano facendolo alzare a sua volta. Poi si incamminò verso la camera da letto.
- Sarah?
Lei si girò e lo guardò a lungo. Poi si strinse a lui e gli bisbigliò nell’orecchio.
- Non credi di poterti accontentare di riavermi nel
tuo letto, almeno finché non comincerò a ricordare?
– la voce di lei era allegra, stava sorridendo.
Continua…
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Capitolo 14 *** Capitolo XIII. Darkness out the door ***
Capitolo XIII
Capitolo XIII: Darkness out the door
Erano passati due mesi da quando lei e Spencer erano tornati insieme.
Non era sicura che “tornati” fosse il termine più
adatto. Lei non ricordava niente del loro precedente rapporto. Lui era
dolce e paziente, non faceva altro che rassicurarla che tutto sarebbe
andato bene.
- Costruiremo nuovi ricordi – le aveva bisbigliato la sera prima all’orecchio.
Era domenica sera e lui si stava preparando per tornare nel proprio
appartamento. Non si fermava mai a dormire da lei. Sarah non ci aveva
mai riflettuto su prima, ma quella sera qualcosa era cambiato. Aveva
notato per la prima volta che, anche quando rideva, il suo sguardo era
triste.
- Ci vediamo domani – dicendo cosi le diede un
bacio sulla fronte e aprì la porta – buonanotte.
- Buonanotte – rispose lei con un sorriso finto stampato in faccia.
Come la porta si richiuse, inserì l’antifurto e diede
tutte le mandata. Si diresse in camera e si buttò sul letto
ancora sfatto. Le lacrime arrivarono subito, seguite dai singhiozzi. La
battaglia nella sua testa era ancora aperta e lei non ne poteva
più.
- Cosa ti aspettavi, ragazzina? Lui è un uomo eccezionale, come potevi sperare che durasse.
- No! Lui non mi frequenta solo per finire al letto con me! Lui è diverso!
- Ah si? E allora perché non dormite mai
insieme? Perché lui si affretta ad andarsene? Te lo sei mai
chiesto?
- Sta zitta! Non voglio sentire!
- Già non vuoi sentire… tipico di una
marmocchia! Allora cosa pensi di fare? Sai perché lui non
è felice con te, vero?
- Cosa c’è di sbagliato in me? Anche se le somiglio io non sono lei…
- Brava! Ci sei arrivata! Sei solo un involucro vuoto per lui. Non potrai mai renderlo felice.
- BASTA!
Si alzò di colpo dal letto. Lei amava Spencer, ma lui non la
ricambiava! Ecco perché non era felice, ecco perché era
sempre triste quando la guardava! Lui era innamorato di una Sarah
Collins che non esisteva più, non di quella ragazzina che le
somigliava tanto. Si sentiva impazzire.
Lui non era cosi! Lui non l’avrebbe mai usata in quel modo! Si
vestì di corsa e usci di casa. Non voleva che finisse cosi, lei
aveva bisogno di lui come dell’aria che respirava.
Era fuori dalla sua porta e bussa freneticamente. Doveva chiarire. Se
lui non era felice tanto valeva lasciarlo andare, anche se le si
spezzava il cuore al solo pensiero. Lui aprì la porta
contrariato.
- Sarah? Cosa è successo?
Come incontrò lo sguardo di lui le lacrime cominciarono a
scendere sul suo viso. L’unica cosa che voleva era renderlo
felice, vederlo sorridere di nuovo come quando l’aveva
conosciuto…
- Perché piangi?
- Mi dispiace cosi tanto – si buttò fra le sue braccia facendolo quasi cadere.
- Di cosa? Perché piangi cosi? – chiuse
la porta con una mano mentre con l’altra la teneva stretta a se.
- Vorrei ricordare…per te… per vederti
felice – non riusciva a trattenere i singhiozzi – anche se
non lo dici mai io so che… sono diversa, non sono più
quella che amavi.
- Tesoro, non è cosi! Siamo insieme, non importa. Non devi sforzarti di ricordare. Va tutto bene.
- Non va bene! Tu non sei felice con me! – si
scostò dall’abbraccio e si nascose il viso fra le mani.
- Sarah… io…
- Io… io ti amo! Vorrei solo renderti felice.
Lui le prese il volto fra le mani e cominciò a baciarla piano. Lei lo guardò. Finalmente lui stava sorridendo.
- Dillo di nuovo!
- Cosa? – lei si era persa nei suoi occhi nocciola come le succedeva sempre.
- Dimmi ancora che mi ami – rispose lui con un caldo sorriso.
- Ti amo.
- Ora sono felice.
La baciò dolcemente e si sentì veramente felice per la prima volta dopo tanto tempo.
Erano appoggiati al bancone del bar nell’attesa che le loro
ordinazioni fossero pronte. Guardavano Emily e Sarah sedute ad un
tavolo dall’altra parte del locale.
- Non ricorda proprio niente? – chiese Morgan
- Tabula rasa – rispose Spencer con una smorfia.
- Deve essere difficile per te…
- Potrebbe andare peggio, almeno…
- Almeno cosa? – chiese Derek curioso.
Spencer divenne tutto rosso. Non gli piaceva parlare di cose cosi private con gli altri.
- Ha a che fare con il sesso? – il solito sorriso malizioso apparve sul volto del ragazzo moro.
- Possibile che tu sia mono argomento per quanto riguarda i rapporti sentimentali?
- Andiamo, a me puoi dirlo – rispose lui facendogli l’occhietto.
- Almeno – sospirò Spencer con un
sorriso contento sulle labbra – si è innamorata di me
un’altra volta.
- Te lo ha detto lei? Non ci eri arrivato da solo?
- Come scusa?
- Andiamo! Possibile che tu non abbia mai notato come
ti segue con lo sguardo quando ti muovi per l’ufficio o come sia
tesa quando Hotch ci manda a fare le irruzioni? Sei un genio ma non
capisci proprio niente di donne! – sbottò a ridere Derek
davanti al volto allibito di Reid.
- Cioè tu sapevi che si era innamorata di nuovo di me e non mi hai detto niente?
- Ragazzo, quella è cotta di te dal primo
giorno che ha rimesso piede in ufficio. Solo che come te ha la testa
troppo dura per ammetterlo.
Emily guardava i ragazzi fermi al bancone mentre dava leggeri colpetti sulla mano di Sarah.
- Va cosi male?
- Non so cosa dirti… lui… - Sarah aveva gli occhi lucidi – non lo so…
- Gli hai parlato? Voglio dire… se la cosa per
te è un problema dovresti poterne parlare con lui.
- Cosa dovrei dirgli? Non voglio che lui si senta obbligato a fare qualcosa che non vuole.
- Gli hai mai chiesto perché?
- Mpf… cosa dovrebbe rispondermi?
- Hai paura della risposta vero?
- Si… è stupido lo so…
- Non è stupido. Se lo ami cosi tanto è
normale avere paura. Ascolta… - Emily si interruppe vedendo i
due tornare con le birre – ne parleremo più tardi, ok?
Sarah annuì e cercò di sembrare allegra.
La serata continuò fra le risate generali, fino a che il cellulare di Sarah non si mise a suonare.
- Non ci vorranno richiamare in ufficio di sabato? – si spazientì Morgan
- Due neuroni, se fosse JJ avrebbero squillato prima i vostri – rispose Sarah facendogli la linguaccia.
- Donne! Mi domando come facciamo a sopportarvi
– disse Derek mentre passava un braccio intorno alle spalle di
Emily.
- Non preoccuparti… se continua cosi tu non
dovrai sopportarmi ancora a lungo! – rispose lei facendo
l’offesa.
Mentre tutti ridevano, Derek guardò Sarah che era ancora immersa
in quella telefonata. Il suo viso si era fatto bianco e aveva
spalancato gli occhi. Sembrava sul punto di sentirsi male.
- Ehi! Tutto bene?
Spencer si girò vedendo lo sguardo preoccupato di Morgan. Mise
una mano sulla spalla della ragazza, stranamente silenziosa.
- Si, ho capito… certo, arrivo subito – chiuse la telefonata con lo sguardo perso nel vuoto.
- Sarah – provò Spencer scuotendola leggermente – tutto bene?
- Era l’ospedale… mia madre… il
cuore ha ceduto – si girò verso i suoi amici con lo
sguardo di un cucciolo smarrito.
Continua…
Per Benny: JJ
non ha nessun ruolo in questa storia... non so se si è capito ma
mi sta proprio sul gargarozzo con quell'aria da perfettina (sono una
delle poche che ha festeggiato quando è uscita di scena). Ora
riprovo a postare la foto di Sarah... se non dovessi vederla neanche
cosi ti do il link.
Per Yoyo: grazie del
complimenti e non ti preoccupare... sto già lavorando su una
nuova FF e il mio cervellino matto mi ha dato un paio di ideuzze che ho
una voglia matta di approfondire! XD
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Capitolo 15 *** Capitolo XIV. Can I hold you? ***
Capitolo XIV. Can I hold you?
Capitolo XIV: Can I Hold you?
Tutti i membri dell’unità erano intorno a lei. Sua zia le
teneva la mano e piangeva. Lei aveva gli occhi asciutti e sembrava solo
triste. Aveva pianto tanto in quei due giorni. L’unico testimone
di quel pianto era stato Spencer, che ora la stringeva a se senza dire
niente. Si voltò per incontrare il suo sguardo. Lui c’era
sempre per lei, sapeva che non l’avrebbe mai lasciata. Era il suo
punto di riferimento ora che non aveva più nessuno. Era sola.
Tornò a guardare la bara. Sua madre alla fine se ne era andata,
forse era meglio cosi. Negli ultimi nove anni era stata attaccata ad un
respiratore, quella non era vita. Era stato un lungo addio e quello era
l’atto finale.
Una persona dall’altra parte della bara attrasse la sua
attenzione. Era un uomo brizzolato. Le era stranamente familiare, ma
non sapeva dire dove l’aveva incontrato. I loro occhi si
incrociarono e lei vi lesse tenerezza e preoccupazione. Chi era
quell’uomo?
La veglia funebre fu allestita nella casa dei suoi genitori. Spencer,
Derek, Emily, JJ e Garcia si guardavano ricordando l’ultima volta
che erano stati tutti insieme in quella grande casa. Spencer seguiva
continuamente Sarah con lo sguardo timoroso che lei potesse avere un
crollo emotivo.
Poi fu distratto dall’arrivo inaspettato di un vecchio amico.
- Gideon.
- Reid… come sta?
- Sembra che regga, ma…
- Già. Come va la sua memoria?
Spencer lo guardò a lungo.
- Non ricorda e forse adesso è meglio cosi.
Jason annuì stanco e si stropicciò gli occhi.
Sarah osservava Spencer parlare con quell’uomo. Allora lui lo
conosceva. Più tardi gli avrebbe chiesto chi era. La sua
attenzione fu attratta dalle scale. Ricordava di essere tornata a casa
dopo il funerale di suo padre, ma i suoi ricordi si fermavano ai piedi
delle scale della soffitta.
Si guardò intorno. Ora nessuno badava a lei e decise di salire
al piano superiore. Abbassò le scale e rimase lì a
guardare quel buco nero in un misto di impazienza e paura. Il trauma
che l’aveva privata della memoria risiedeva lì, in quella
soffitta. Ora ne era più sicura che mai. Aveva ricordato quasi
tutto della sua vecchia vita tranne cosa fosse successo lassù
e… Spencer. Tutti i ricordi connessi a Spencer erano stati
spazzati via. Perché? Cosa era successo in quella soffitta nove
anni prima?
Prese un respiro e si arrampicò con piglio deciso verso la soluzione alla sua amnesia.
Riscese piuttosto scossa circa mezz’ora dopo. Si sentiva insicura
sulla gambe e si poggiò alla ringhiera. L’emicrania
stavolta era fortissima. Aveva avuto ragione. Era lì che
risiedeva il motivo della sua amnesia. Faticava ad accettare quella
verità cosi scomoda e scioccante. Si decise a ritirare su le
scale e si voltò per scendere, in quel momento Spencer saliva le
scale.
Si fronteggiarono. Lui le si avvicinò incerto.
- Tesoro, sei pallida. Non ti senti bene?
- Tu sapevi? – chiese lei visibilmente arrabbiata.
- Di cosa stai parlando?
- Tu sapevi?
- Si – si arrese lui – si.
- Perché non me lo hai detto?
- Perché… lo sai perché –
la prese fra le braccia e la strinse a se – Non volevo che tu
soffrissi di nuovo.
- E allora meglio tenermelo nascosto, vero? – lei tremava – Lui dov’è?
- Di sotto nella camera da musica – la lasciò andare, sapeva che non poteva fermarla.
- Devo… devo parlare con lui.
- Si, capisco. Noi stiamo andando via. C’è…
- Un’emergenza – lei sospirò e
sembrò che tutta la rabbia fosse scomparsa – Mi chiami?
- Certo. Cerca di riguardarti. Per qualsiasi cosa chiamami immediatamente.
Lei gli carezzò il viso e poi si strinse a lui.
- Stai attento – gli bisbigliò nell’orecchio – Torna da me.
- Sempre – le rispose lui prima di baciarla – Ti amo Sarah.
Salutò il resto della squadra sulla porta di casa. Poi si
incamminò lungo il corridoio. Doveva affrontarlo subito, prima
di perdere il coraggio. Ora l’adrenalina causata dalla rabbia
l’aiutava a non avere paura di quello che si sarebbero detti.
Chiuse la porta scorrevole alle sue spalle e chiuse a chiave. Lui si
girò e la osservò. Finalmente si sarebbero parlati e
chiariti. Non era sicuro che lei lo avrebbe mai perdonato, ma doveva
fare quel tentativo. Doveva rimediare in qualche modo.
I ricordi di Sarah erano ormai come un fiume in piena.
Suo padre era appena morto e sua
madre era in coma. Dopo i funerali era tornata in quella grande casa
vuota. Doveva riordinare tutti i documenti dei suoi. Doveva fare
ordine. Dare via delle cose. Impacchettare il resto. Forse avrebbe
fatto bene a vendere quella casa, la casa che racchiudeva i ricordi
felici della sua infanzia.
Mentre era in soffitta aveva trovato
un baule che era appartenuto a sua madre. C’erano foto di lei da
ragazza, il suo vestito da sposa, pacchi di lettere e dei diari.
Cominciò a leggere i diari per rievocare il ricordo di lei,
della sua adorata mamma. Quello che vi lesse distrusse le ultime
vestigia della sua innocenza.
Suo padre, Richard Edward Collins,
era sterile e non poteva dare a sua moglie quel bambino che lei tanto
desiderava. Erano cominciati i litigi per le cose più stupide e
alla fine Elizabeth aveva preso armi e bagagli e si era trasferita da
sua sorella Erin. Sua sorella all’epoca lavorava con un gruppo di
profiler dell’F.B.I., anche se voleva far carriera e abbandonare
il lavoro sul campo. Uscivano spesso tutti insieme e dopo la
separazione Elizabeth si era unita alla brigata.
Aveva conosciuto uno dei colleghi
della sorella. Un uomo pacato e gentile che le aveva fatto battere il
cuore. Prima di rendersene conto si era innamorata di quest’uomo
che sembrava ricambiare i suoi sentimenti. Nonostante Elizabeth
desiderasse più di qualunque altra cosa dividere la sua vita con
lui, sapeva che il lavoro lo avrebbe sempre tenuto lontano. Poi si era
resa conto di essere incinta. Erano cominciati i ripensamenti. Lui
aveva già un matrimonio fallito alle spalle, non sarebbe mai
stato un buon padre per quel bambino,non avrebbe mai lasciato il lavoro
che tanto amava. Cosi lei si era riavvicinata a Richard che aveva
accettato di crescere quel bambino a condizione che quell’uomo
sparisse dalla vita di sua moglie e non facesse mai parte della vita di
quel figlio che avrebbe cresciuto come suo.
Cosi era stato. Richard era stato un
padre fantastico e aveva voluto bene a quella bambina come se fosse
veramente figlia sua. All’interno del diario trovò una
vecchia foto di sua madre e quell’uomo. Quello, quello era il
volto del suo padre biologico. Non riusciva a crederci! Sua madre aveva
rispettato la promessa fatta a Richard. Non aveva mai detto a sua
figlia la verità sulla sua nascita. Per quella bambina Richard
era a tutti gli effetti suo padre.
Rimise a posto i diari e le lettere
che l’altro le aveva mandato. Chiuse la porta di casa e se ne
andò per non tornarci più. Per lei quella non era
più la casa felice della sua infanzia. In quella casa lei era
vissuta nella menzogna per diciassette lunghi anni.
Aveva preso il suo secondo dottorato.
Continuava a chiedersi che tipo di persona fosse suo padre.
Perché aveva scelto il lavoro invece di sua figlia e della donna
che amava? Cosa c’era nel profiling di cosi importante?
Cominciò a studiare psicologia
e decise di andarlo a cercare appena conseguito il terzo
dottorato. Ricordava ancora il loro incontro. Lui era nervoso, sembrava
vergognarsi di doverla affrontare.
- Io… non sono un tipo molto paterno.
- Lo so, ho letto le lettere… perché non hai scelto noi?
Lui sorrise in modo strano.
- Non puoi capire.
Quando sei un profiler c’è troppo da proteggere, troppe
persone da difendere, troppi cattivi da fermare…
- Io… voglio entrare nell’F.B.I.
- Vuoi seguire le miei orme?
- Voglio capire. Credo di averne il diritto.
- Farò in
modo che tu venga ammessa all’accademia. Naturalmente nessuno
dovrà mai sapere che…
- Che io sono tua figlia e non una matricola come tante… capisco.
Sei mesi dopo era pronta. Era la
prima del suo corso, era superiore a tutti gli altri. Aveva anche
seguito il corso speciale di comunicazione non verbale. Aveva tutte le
carte in regola per entrare nella B.A.U.
Di nuovo ebbero un incontro privato.
- Sarah, tu non puoi entrare nell’unità.
- Perché? Sono preparata! Sono la migliore del mio corso!
Lui sospirò.
- Non
c’è posto per te nella squadra, sarebbe… sarebbe
inappropriato. Farò in modo che tu venga presa
nell’Interpool, mi sembra la soluzione migliore per tutti e due.
- Dove?
- In Francia, a Lione.
- Mi stai mandando in esilio?
- Ti sto tenendo al
sicuro. Quando sarai pronta farò in modo che tu torni qui.
Preferisco cosi. E’ meglio per tutti.
- Ti vergogni di me?
Lui alzò lo sguardo e per la
prima volta da che si conoscevano lei vi lesse dolcezza. Quella
dolcezza di cui sua madre si era innamorata.
- No.
Ora si fronteggiavano in silenzio. Lui l’aveva ferita con il suo
rifiuto di ammettere che era sua figlia. Lei l’aveva estromesso
dalla sua vita.
- Sarah…
- Non hai mai risposto in modo esauriente alla mai domanda.
- Quale?
- Jason, ti vergogni di me?
- No! Se mai mi vergogno di me stesso. Sarah,
chiunque sarebbe orgoglioso di averti come figlia! Io almeno lo sono!
Lei gli gettò le braccia al collo e pianse. Lui la teneva stretta a se.
- Ti ho mandato in Francia convinto di proteggerti, di tenerti al sicuro.
- Lo so. Ho capito perché hai preso quella decisione.
- Potrai mai perdonarmi?
- Papà…
Non c’era altro da dire.
Continua…
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Capitolo 16 *** Capitolo XV. Changes ***
Capitolo XV
Capitolo XV: Changes
Spencer sentì bussare alla porta della sua camera. Aprì
titubante. Chi mai poteva essere a quell’ora? Si trovò
faccia a faccia con Prentiss che gli sorrideva placida.
- Posso parlarti un attimo?
- Si, certo… - si scostò per farla entrare – Cosa c’è?
- Sarah – rispose lei guardandolo seria.
Era sorpreso, Prentiss non era il tipo che si intrometteva nella vita
degli altri. Non parlava molto con lui di cose non riguardanti il
lavoro e non parlava assolutamente mai del suo rapporto con Sarah.
- E’ successo qualcosa? Ti ha chiamato?
Lei scosse la testa.
- Sai che sono contraria a… intromettermi.
Sarah è la mia migliore amica e non voglio vederla soffrire.
Spencer trattenne il respiro. Non capiva cosa stava succedendo.
- Lei ha paura di farti una domanda che la tormenta e credo che tu ne debba essere al corrente.
- Quale domanda?
- Perché le chiedi continuamente se ricorda qualcosa di voi due? E’ cosi diversa?
- No, non è per quello – Spencer era
visibilmente imbarazzato – Lei ti ha detto che le da fastidio?
- No, mi ha detto che non è sicura che tu la ami.
- Cosa? Ma…
Emily alzò una mano per interromperlo.
- Ascoltami. Lei si chiede se voi due state ancora
insieme solo perché tu speri che le torni la memoria. Non credi
che lei meriti qualcosa di diverso? Qualcosa di più?
- Io… - Spencer si lasciò cadere sul
letto – La verità è che… io vorrei
riprendere da dove avevamo lasciato. So che il mio è egoismo,
però… io la amo.
- Sai che se riacquistasse la memoria sarebbe tutto
più facile, capisco. Hai paura di porle di nuovo quella domanda?
- Se lei non ricorda…
- Non credi che il primo a cui direbbe di aver
recuperato la memoria saresti tu? – lo interrogò ancora
Emily con un sorriso dolce.
- Hai ragione – ammise Reid con un sorriso – Devo smetterla di tormentarla. Grazie Prentiss.
Lei gli poggiò una mano sulla spalla continuando a sorridere.
- Non l’ho fatto per te, l’ho fatto per lei. Reid, non farla soffrire. Prenditi cura di lei.
- Non chiedo di meglio! – rispose lui convinto.
Prentiss era appena uscita e lui prese in mano il cellulare.
Cercò in memoria quella foto che le aveva scattato di nascosto
mentre dormiva. Era cosi bella addormentata e provava una tenerezza
infinita nel vedere il bel viso di lei cosi placido nel sonno.
Passò piano un dito sullo schermo del telefono e sorrise.
Doveva prendersi cura di lei.
- Ci sarai tu a proteggermi, no? E’ questo
quello che fa un uomo, no? Protegge la sua donna, giusto? – gli
disse mentre lo abbracciava e nascondeva il viso nel petto di lui.
Spencer la guardò e negli occhi di lei lesse la certezza che lui l’avrebbe protetta.
Non l’avrebbe delusa!
Era sdraiata nel proprio letto. La squadra doveva essere rientrata da
circa un’ora. Lei non li aveva aspettati, temendo che Spencer le
facesse la solita domanda, ma ancora più timorosa che lui si
sentisse obbligato ad andare a casa con lei. Non voleva costringerlo a
fare qualcosa che non voleva. Ora guardava la sveglia con odio. Stupide
lancette! Perché non si muovevano più veloci? Voleva
rivederlo, ma aveva anche paura. Era una sensazione che non sapeva
definire.
Aspettava sempre con ansia il momento in cui sarebbero stati ancora
vicini, poi arrivava la paura di dire o fare qualcosa di stupido o
peggio ancora di vedere quell’interrogativo negli occhi di lui.
Sospirò. Nonostante avesse ricordato Jason e tutto quello che li
legava, non riusciva a recuperare neanche un ricordo di Spencer.
Sorrise rendendosi conto di quanto lo amava. Poi sentì un rumore
e si alzò a sedere.
Una sagoma scura si stagliava sulla porta della sua camera e lei
avvertì brividi di paura correrle lungo la schiena finché
non sentì quella voce familiare.
- Scusa, non volevo svegliarti.
Lui venne avanti e si tolse la tracolla lasciandola cadere per terra.
Si mise a sedere sul letto in modo da poterla guardare, i loro fianchi
si toccavano. Allungò una mano per scostarle i capelli dal viso.
- Ti sono mancato?
Sentiva la bocca incredibilmente secca. La mano di lui sulla sua
guancia e i loro visi sempre più vicini le toglievano il fiato.
Ormai le loro labbra si sfioravano.
- Allora? Ti sono mancato?
Avrebbe voluto rispondere ma il cervello non mandava impulsi alle sue
corde vocali. Si sentiva come un computer a cui qualcuno aveva staccato
i fili di connessione al monitor. Peggio ancora! Si sentiva come un
computer a cui avevano staccato la spina di alimentazione.
Quando lui era cosi vicino sentiva il proprio cervello andare in tilt e
spegnersi. Semplicemente la sua mente da 178 Q.I. rifiutava di venirle
in aiuto.
Sentì le labbra di lui sulle proprie e cercò di farsi
largo con la lingua. Lo desiderava sempre, come se non potesse farne a
meno. Si ritrovava ad essere solo un assetato che chiedeva, supplicava
di dissetarsi a quella fonte. Quando lui si staccò da quel
contatto, lei si ritrovò a gemere contrariata.
Lo sentì poggiare le labbra sul suo orecchio e avvertì l’alito caldo di lui scuotere tutto il suo essere.
- Dio! Sarah…
Si lasciò andare ad un sorriso. Sapeva cosa stava avvenendo, ma
si meravigliava sempre di come lui riuscisse ad esprimere
quell’insieme di emozioni e sensazioni in due semplici parole.
Le labbra di lui cominciarono a scendere lungo il collo, mentre con le
mani le apriva la camicia. Non ci fu lotta, lei si protese per offrirsi
a lui e dimenticò tutto il resto in balia di quella marea che la
sconvolgeva nel profondo.
Si svegliò e il ricordo di quello che era successo la sera prima
la fece raggomitolare nel piumone. Non voleva girarsi, sapeva che lui
non sarebbe stato lì al suo fianco. Voleva aggrapparsi alla
notte appena trascorsa, alla consapevolezza dei loro corpi uniti.
Cercava di cullarsi ancora un po’ nel suo amore per Spencer.
Capiva di doversi alzare e affrontare il fatto che ancora una volta lui
non fosse lì con lei, ma cercava di procrastinare quel momento
il più a lungo possibile. Lui era sembrato diverso, aveva avuto
la netta sensazione che qualcosa fosse cambiato fra loro. Aveva sperato
che le cose sarebbero state diverse ora. Sentì una lacrima
cercare di farsi largo fra le ciglia chiuse. Non voleva piangere!
Poi sentì un braccio avvolgerla e stringerla ad un corpo magro
dietro di lei. Lui era rimasto! Non osava voltarsi. Poi le labbra di
lui si posarono sul suo orecchio in un bacio delicato.
- Buongiorno amore.
Sarah sorrise contenta e cercò di avvicinarsi ancora di più a lui. Si qualcosa era cambiato.
Continua…
Sarah
Proviamo a vedere se cosi si vede la foto di Sarah... fatemi sapere.
Comunque
tornando a Gideon: se avete letto Chimera, Sarah diceva che il suo
lavoro a Lione era dietro una scrivania e non sul campo. Gideon voleva
tenerla al sicuro, lontano dai pericoli del loro lavoro a Quantico. Per
quanto riguarda averla abbandonata, lui ha semplicemente deciso
(insieme alla madre di Sarah) che la bambina sarebbe stata meglio con
Richard che poteva starle accanto e crescerla come un buon padre
(infatti lei ribadisce più di una volta nell'arco delle varie FF quanto
adorasse suo padre). Spero di essere stata esauriente^^
E' vero manca solo Spencer perchè la memoria torni del tutto... ma dovrete aspettare ancora un po'... spiacente ;P
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Capitolo 17 *** Capitolo XVI. Without control ***
Capitolo XVI
Avvertenze: in questo capitolo e nel prossimo una personale versione
dell’episodio 14 della quinta stagione “La rete
dell’inganno”.
Capitolo XVI: Without control
Cacciò un urlo sentendosi afferrare da dietro.
- Dico, ma sei impazzito? – cercava di sembrare
severa e arrabbiata, ma la cosa non le riusciva come sperato.
- Sei tu che vuoi farmi impazzire – rispose lui ridendo mentre la stringeva di più.
- Non dovresti arrivarmi alle spalle in questo modo
quando ho un coltello in mano – il tono non le era uscito deciso
come voleva, la sua voce tremava mentre le mani di lui scivolavano
sulla sua pelle.
- E tu non dovresti metterti a cucinare con solo la
mia camicia addosso – la riproverò lui mentre tornava a
stuzzicarla.
- Spencer Reid, sei incorreggibile! – rideva contenta mentre lui cercava di “distrarla”.
Lei lasciò andare il coltello mentre lui la faceva girare.
- Devo preparare il pranzo. Devi mangiare – lui la zittì con un bacio.
- Ho un altro tipo di fame ora – le
mormorò mentre la metteva a sedere sull’isola della cucina
– e la colpa è sola tua.
- Stai diventando un maniaco – rise lei mentre lui tornava a baciarla.
Spencer l’afferrò per le gambe e le divaricò per
far aderire meglio i loro corpi. Dopo di che si dedico con
meticolosità al collo di lei.
Il telefono ruppe l’incanto e lei si allungò per prendere il cordless.
- Non rispondere – la pregò lui mentre
affondava il viso nei suoi capelli – prometto di farti
dimenticare il lavoro.
- Se dessi retta a te non dovrei mai uscire dal letto
– rise lei, poi finalmente prese la chiamata – Collins.
Divenne un attimo seria e lo staccò da se. Lui rimase a fissarla, sicuramente era un nuovo caso.
- No, non è possibile ora… ne
riparliamo domani in ufficio… No, sul serio… a che ora?
Si, certo ci sarò – dicendo cosi riattaccò.
- Chi era?
- Zia Erin.
- E’ successo qualcosa?
- Niente di serio – rispose lei, ma si vedeva che non era convinta.
- Sarah… non le sai dire le bugie.
- L’Interpool vorrebbe che io tornassi a Lione.
- Perché?
- Hanno bisogno di profiler in gamba e hanno pensato a me.
- E tu cosa hai risposto? – Spencer sembrava preoccupato.
- Ho già detto che non mi interessa. Ma loro insistono…
- Sarah – lui l’afferrò per i
polsi e la guardò dritta negli occhi – tu vuoi…
andare?
Sembrava terrorizzato all’idea che lei potesse partire.
- E dove vuoi che vada? – rispose lei sorridendo – La mia vita è qui adesso.
Detto questo si sporse verso di lui per baciarlo, ma Spencer si ritrasse.
- Se hai detto di no, perché tua zia ti vuole parlare?
Lei fece spallucce, mentre lui le lasciava andare le mani.
- Non saprei proprio. Ormai dovrebbe avere imparato
che quando dico no è no… comunque adesso dr Reid…
sarebbe il caso di riprendere quel discorso sul farmi dimenticare il
lavoro – disse lei maliziosa mentre incrociava le gambe intorno
al bacino di lui per tirarlo più vicino.
Sarah batteva il piede contro la gamba della sedia. Era tesa e si
vedeva lontano un chilometro. Sua zia guardava fuori dalla finestra.
Ricominciò a insistere.
- Ti rendi conto, spero, che è
un’opportunità unica! Hai solo ventisei anni e hanno
pensato a te! Il tuo curriculum è eccellente, ma sei ancora
molto giovane… non credo che qui avresti le stesse
possibilità.
- No.
- Sarah! – ormai era spazientita – Ti
hanno offerto di dirigere la sezione di criminologia! E’ molto
più che essere un agente supervisore!
- No. E poi non capiscono perché lo propongano a me.
- Battemberg va in pensione quest’anno. Il suo
successore doveva essere McGregor, ma… lo sai… è
morto.
- Quindi me lo chiedono per mancanza di candidati, giusto?
- Andiamo! Che cosa importa perché? Dovresti
accettare! Ti ci vorranno anni qui per avere anche solo la speranza di
avere una squadra tua. E poi non è neanche detto che tu possa
ottenerla.
- Ho detto no! – perché sua zia non capiva.
- Sei ancora giovane – sospirò la
Strauss – Non capisci. Che garanzie ti da lui per il futuro? Ne
avete mai parlato?
- Non è questo il punto!
- Dovrebbe esserlo, Sarah. Se la cosa è cosi
seria, dovreste poter parlare dei vostri progetti… comunque
l’offerta rimarrà valida ancora per un po’. Pensaci.
Lei non voleva pensarci, non voleva neanche parlarne con Spencer. Certo
come capo della sezione avrebbe potuto portare Spencer con se, ma
qualcosa le diceva che lui non l’avrebbe seguita. Non voleva
andarsene, non voleva lasciarlo.
Uscì dall’ufficio di sua zia sbattendo la porta. Era
nervosa e desiderosa di sfogarsi con qualcuno. Le ultime due domande
che le aveva rivolto Erin le maceravano dentro. No, con Spencer non
avevano mai parlato del futuro, lui non le aveva dato garanzie ne fatto
promesse. Finora era riuscita a vivere cosi, alla giornata,
accontentandosi di quello che lui le dava. Sapeva di volere di
più, ma non osava parlarne con lui.
In fin dei conti lui non le aveva mai dato motivo di credere che
avessero un futuro insieme. Si fermò di colpo. Sapeva di
quell’anello chiuso nel cassetto del comodino di lui, ma non ne
avevano mai parlato. Lui non glielo aveva mai chiesto e ora…
soprattutto ora aveva la necessità di poter programmare il suo
futuro. Voleva che lui le dicesse di restare, di non partire. Le
sarebbe bastato quello. Riprese a camminare verso l’openspace.
Erano tutti in fermento e stavano prendendo le valigie.
- Cosa succede? – chiese a Prentiss.
- Sbrigati, dobbiamo partire.
- Dove andiamo, stavolta?
- Miami.
Prese la borsa da viaggio da sotto la scrivania e si accorse di due
occhi nocciola che la guardavano. L’ultima volta che erano stati
a Miami lei era fuggita dalla squadra. Non sapeva bene perché,
forse per quello che era successo fra lei e Hotch ma non ricordava di
preciso. Aveva avuto dei flash. Ricordava di essere tornata in camera e
di aver cominciato a fare le valigie di corsa. Quel ricordo era
accompagnato dalla sensazione di dover scappare lontano. Ma scappare da
cosa?
- Voi due siete incredibili! – Morgan li
osservava stranito – Sembra quasi che vi stiate divertendo!
- Adoro le piste documentali – rispose Reid
continuando a scartabellare – Sono fonte di ispirazione.
- E poi questi rapporti sono cosi accurati e messi in perfetto ordine… – convenne Collins.
- E’ difficile per voi due essere normali,
almeno per una volta? – li scrutavano non riuscendo a capire cosa
ci trovassero di divertente in quella marea di fascicoli.
Sorrise, pensando che quei due si erano proprio trovati. Eccoli
lì, uno affianco all’altra, a leggere quei fascicoli.
Certo Sarah era più lenta di Spencer nell’esaminarli, ma
nessuno era veloce come Reid a leggere.
Hotch entrò nella stanza annunciando che l’S.I. aveva
ucciso un’altra vittima dei suoi inganni, bruciando cosi
un’altra identità. Spencer si alzò, mostrandogli i
dati sulla permanenza del truffatore in varie città. Ma a San
Diego si era fermato per ben tre anni e mezzo.
- Tu e Collins seguite questa pista, vedete dove ci porta.
- Dopo San Diego ha cambiato il suo stile di vita – interloquì Spencer girandosi verso Sarah.
- Direi in modo radicale. Auto diverse, case diverse.
Cosa può spingere un uomo a cambiare cosi tanto? – gli
chiese lei reclinando la testa sulla mano.
Reid si fece distrarre un attimo da lei. Il modo in cui i suoi occhi
brillavano, il modo in cui il sole che entrava dalla finestra
strappando riflessi intensi da quella massa di capelli neri, le sue
labbra cosi rosse…
Si riscosse prontamente girandosi di nuovo verso il tabellone. Non
poteva farsi distrarre cosi! Doveva concentrarsi sul caso. Cosa
spingeva un uomo a cambiare cosi tanto? Si voltò di nuovo a
guardarla. Stava giocherellando con una matita. Anche lui era cambiato
molto. Era cambiato per amore di lei.
Un lampo. Cosa spinge un uomo a cambiare?
- Ha messo su famiglia! – sbottò Spencer convinto.
- Sei sicuro? – Sarah non seguiva il suo ragionamento.
- Si – disse lui fissandola intensamente
– La cosa che spinge un uomo a cambiare è il desiderio di
una famiglia.
Sarah lo guardò, non era sicura che si riferisse solo all’S.I.
Continua…
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Capitolo 18 *** Capitolo XVII. Decision ***
Capitolo XVII
Avvertenze: in questo capitolo una personale versione
dell’episodio 14 della quinta stagione “La rete
dell’inganno”.
Capitolo XVII: Decision
Era in macchina con Hotch e Rossi. Spencer aveva appena chiamato,
comunicando che l’S.I. e la moglie erano a casa di una delle
vittime. Sarah trattenne il respiro, era la prima volta dal suo ritorno
che partecipava ad un’azione. Tutta la squadra aveva cercato
sempre di tenerla al sicuro dietro una scrivania, ma ora sapeva di
dovere tornare in campo.
Si pentì di non aver parlato con Hotch o a Spencer, ma ormai era
troppo tardi per i ripensamenti. Sperò che andasse tutto bene.
Il suo cellulare vibrò per l’arrivo di un messaggio.
Spencer le chiedeva di stare attenta e di tornare da lui. Sorrise.
Erano appostati davanti alla porta di ingresso quando questa si
spalancò. L’S.I. uscì trascinando il figlio con se,
seguito dalla moglie visibilmente spaventata. Estrassero le pistole
tutti e tre insieme. Prentiss sbucò dalla porta e spostò
la donna dietro di se.
L’uomo abbracciò il figlio e gli disse di andare dalla
madre. Sarah sperava che tutto si risolvesse cosi, senza violenza. Non
voleva che il bambino assistesse alla morte del padre. L’uomo
aveva messo la mano in tasca e stava per estrarre qualcosa.
L’agente Goldmen sparò. William Hodges era morto.
Mentre i poliziotti finivano i rilevamenti, Sarah osservava la villa
appoggiata al SUV. Ripensava a quell’uomo morto. Persino lui era
riuscito ad avere una parvenza di vita “normale”. Anche lui
aveva amato ed era stato amato. Lo vedeva lì, steso a terra con
il foro del proiettile perfettamente visibile. Anche lei si era
ritrovata stesa sull’asfalto con una pallottola in petto. Lei
aveva rischiato la vita per amore di Spencer.
Hotch le si avvicinò.
- Collins, tutto bene?
- Non sei mai stanco? Non hai mai voglia di mollare tutto?
- A volte. Tu vuoi mollare?
Sarah sorrise di sbiego. Mollare tutto! Lasciarsi alle spalle quel
lavoro che dava poche soddisfazioni e riempiva l’anima di demoni.
Si, a volte avrebbe voluto andarsene, ma poi si diceva che quella era
la sua vita. Era il lavoro che amava, che aveva scelto. Ripensò
ai suoi sogni. Una casa, dei figli, una vita più regolare. Il
lavoro che le avevano offerto le avrebbe permesso tutto questo. Per
rendere tutto perfetto mancava solo una cosa: Spencer.
Era in camera a finire di preparare i bagagli. Spencer entrò bussando alla porta con un sorriso stampato sul volto.
- Sei pronta?
- Si – rispose lei mentre chiudeva la valigia.
- Sei strana. E’ successo qualcosa?
- Ti ho mentito – sospirò e chiuse gli
occhi – L’incarico a Lione… beh, vogliono che
diventi il capo sezione. E’ un’ottima offerta.
Spencer la guardava in silenzio.
- Come capo sezione posso decidere di chiamare i
profiler a lavorare da noi – si avvicinò stringendosi al
collo di lui – Potrei portarti con me… potremmo andare a
vivere insieme, lì il lavoro è meno stressante. Niente
viaggi, orari regolari…
Reid ancora non diceva niente, la mani abbandonate lungo i fianchi. Si
guardarono negli occhi e Sarah vi lesse la risposta che lui non trovava
il coraggio di darle.
- Tu non verresti mai con me, vero? –
abbassò lo sguardo e lo lasciò andare – Io…
non ti ho mai chiesto niente, non ho mai voluto che tu facessi qualcosa
che non sentivi o non volevi.
Si voltò per prendere la valigia e con gli occhi bassi si avviò verso la porta. Si fermò al suo fianco.
- E’ questa la differenza fra noi due…
io non avrei esitato un solo istante a seguirti fino in capo al mondo.
Uscì dalla stanza chiudendo la porta dietro di se e si incamminò lungo il corridoio.
La decisione era stata presa, lui non avrebbe più fatto parte
della sua vita. Non aveva mai creduto all’espressione
“cuore spezzato”, ma ora quel dolore che sentiva nel petto
le diceva che il suo non sarebbe più riuscita a rimetterlo
insieme.
Spencer le aveva detto che fra loro non c’erano segreti, che lei
gli aveva svelato tutti i propri e cosi aveva fatto lui. Ora
c’era un segreto gelosamente custodito fra loro. Entrò in
ascensore e premette il tasto. Sorrise mentre si passava una mano sul
ventre. Quel segreto sarebbe stato solo suo.
Sull’aereo tutti si erano accorti che qualcosa era successo fra
loro due. Normalmente si sedevano sempre vicini e quando pensavano che
nessuno badasse a loro Spencer prendeva la mano di lei nelle proprie.
Ora erano seduti alle due estremità dell’aereo, tutti e
due concentrati a guardare fuori dal finestrino. Non si erano scambiati
una parola da quando era usciti dall’albergo tutti insieme.
Emily si accomodò accanto all’amica.
- E’ successo qualcosa? – le domandò in un sussurro.
- Tanto prima o poi lo verreste a sapere. Mi hanno
offerto la carica di capo sezione di criminologia a Lione. Ho
intenzione di accettare – aveva alzato leggermente la voce in
modo che tutti la sentissero, era inutile tornare mille volte
sull’argomento.
- Cosa? – Derek scattò in piedi e la guardò allibito – Vuoi lasciarci?
- E’ un’occasione unica, Derek. Io… voglio andare.
- Sei impazzita o cosa? Tu mi hai sempre detto che
odiavi stare a Lione – Derek ormai urlava – E tu Reid? Non
le dici niente?
Spencer si limitò a guardarlo per un momento e poi si
voltò di nuovo verso il finestrino. Emily aveva poggiato la mano
su quella dell’amica.
- Ripensaci Sarah. Abbiamo bisogno di te!
- Troverete un altro profiler – Sarah si
rifiutava di guardarli in faccia, stava scappando di nuovo anche se per
motivi diversi.
- Nessuno può prendere il tuo posto e questo
lo sai – persino il compassato Hotch si era alzato in piedi e la
guardava stralunato.
- E’ una decisione che spetta a me. Se
veramente foste miei amici sareste contenti per me e non cerchereste di
farmi cambiare idea.
Rossi si alzò solo per andarsi a sedere di fronte a lei.
- Se è questo quello che vuoi… allora vai. Cerca solo di avere cura di te!
Continua…
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Capitolo 19 *** Capitolo XVIII. Long way home ***
Capitolo XVIII
Capitolo XVIII: Long way home
Erano seduti al tavolino di un bar del centro. Spencer continuava a
guardare il suo bicchiere di whisky mentre Derek lo fissava
intensamente.
- Hai provato a farle cambiare idea?
- Sai che quando prende una decisione nessuno può smuoverla di un millimetro.
- Ma tu ci hai provato?
- Cosa dovevo fare secondo te? Lei non mi ha chiesto il permesso.
- Cosa ti ha detto? Deve pur averti detto qualcosa, almeno il perché.
- Mi ha detto che era un’ottima offerta e che poteva portarmi con se.
- Ti ha chiesto di seguirla? E tu che le hai risposto?
- Niente. Non c’è stato bisogno che le
rispondessi, ha capito che io non volevo andare in Francia.
- E cosa ti ha detto quando le hai chiesto di rimanere?
Spencer alzò la testa e lo guardo stordito.
- Io… io…
- NON LE HAI NEANCHE CHIESTO DI RIMANERE? MA SEI SCEMO?
- Non voglio essere egoista, se lei ritiene che il trasferimento sia meglio…
- Sarò monotono, ma forse la prima volta non hai afferrato il concetto: SEI SCEMO?
- Secondo te dovrei chiederle di rimanere? – Spencer sembrava incerto.
- Cosa provi per lei? E non affrettarti a rispondermi, pensaci bene.
- Io… - Spencer chiuse gli occhi e cercò dentro di se la risposta.
Ricordò tutta la loro storia. Le risate, la tenerezza, la voglia
di prendersi cura di lei. L’amava, su questo non c’era
dubbio. Era cosi tremendo voler essere egoista? Volerla accanto per
tutta la vita?
- Io… devo andare!
Dicendo cosi si alzò e corse via. Derek finì di bere il
proprio drink con un sorriso furbo stampato in faccia, mentre dal fondo
del locale Emily si avvicinava al tavolo e si metteva a sedere.
- Allora? – chiese mentre poggiava una mano sul braccio di lui.
- Ci ha messo un po’ a capirlo, per essere un
genio ha seri problemi ad afferrare le situazioni – rispose lui
strizzandole l’occhio.
- Per fortuna ci sei tu a indirizzarlo – disse
lei mentre faceva scivolare la mano fino ad intrecciare le proprie dita
con quelle di lui.
- Ora però potremmo anche dedicarci a qualcosa di più importante della relazione di quei due.
- Cosa? – chiese lei alzando un sopracciglio.
- La nostra – rispose lui con un sorriso malizioso mentre la tirava a se per baciarla.
Entrò in casa e buttò valigia e cappotto sul divano. Non
aveva ancora parlato con sua zia che era andata via dall’ufficio
prima del loro ritorno. Si strinse sulle spalle. Avrebbe voluto andare
da Spencer, ma lui non le aveva neanche chiesto di rimanere. Era di
nuovo sola.
No! Non sono sola, non sarò mai più sola!
Si accarezzò piano il ventre. Non sarebbe più stata sola.
Aveva qualcosa da proteggere, qualcuno di cui prendersi cura. Il
motivo, l’unico vero motivo, per cui voleva accettare
quell’incarico era di poter essere a casa tutte le sere ad
un’ora decente. Voleva poter rimboccare le coperte a suo figlio e
leggergli la favola della buonanotte. Non voleva che fosse cresciuto da
altri, senza la presenza di sua madre.
L’avrebbe cresciuto bene, si sarebbe presa cura di lui. Non
avrebbe permesso a niente e nessuno di fare del male al suo bambino.
Sospirò. Quello doveva essere il momento più felice della
sua vita. Quando aveva parlato a Spencer l’ultima volta voleva
dirglielo, ma il rifiuto che aveva letto negli occhi di lui…
Non ricordava niente di loro due. Il primo ricordo che aveva di Spencer
era al funerale di Haley Hotchner. Sorrise, ricordando come si era
sentita quando i loro sguardi si erano incontrati per una frazione di
secondo. Forse la sua mente non ricordava, ma il suo cuore non aveva
mai dimenticato Spencer.
Si diresse verso la camera da letto, passando accanto alla libreria.
Qualcosa la distolse dal suo proposito di andare a dormire. Il
fascicolo Brunet era ancora lì. Lo prese in mano. Cosa
c’era di cosi speciale in quel dossier? Perché sentiva
qualcosa smuoversi sul fondo della sua mente ogni volta che lo leggeva?
Lo aprì di nuovo, anche se ormai lo conosceva a memoria.
Cominciò a voltare le pagine senza leggerlo veramente, facendo
scorrere i suoi occhi sulle righe con noncuranza.
Si soffermò sul referto medico dell’unica vittima maschile
di Chimera. Era raccapricciante quello che aveva subito. Poi lesse di
nuovo la copia del biglietto lasciato da Brunet.
Sapeva che quello che era successo era legato a lei, ma cosa voleva
dire “giustizia poetica”. Anche se quell’uomo
l’aveva corteggiata, arrivare a tanto… perché?
Perché menomarlo in quel modo?
Poi finalmente arrivò l’emicrania. Lei si accasciò
per terra senza la forza di alzarsi, il mondo intorno a lei non la
smetteva di girare. Il trauma che il suo psicologo aveva tanto cercato
non era Jason, suo padre. Era qualcosa di molto più recente,
qualcosa che l’aveva ferita profondamente. Il suo trauma aveva un
nome e un volto. Mark McGregor.
Sentì il sangue cominciare ad uscirle dal naso e la testa cosi
dolente che aveva paura che le sarebbe scoppiata. Rimase lì
inerme sopraffatta dall’onda dei ricordi. Ricordi belli e brutti,
alcuni terrificanti, altri meravigliosi. E poi si lasciò andare,
non aveva più la forza di combattere. Finalmente la diga aveva
ceduto sotto la pressione di una marea che doveva sfogarsi.
Spencer era passato dal suo appartamento per prendere la cosa
più importante, l’unica che forse poteva tenerla ancora
lì a Washington con lui. Quando usci di nuovo dal portone di
casa vide la strada completamente bloccata dal traffico. Non poteva
aspettare, erano solo cinque isolati. Si mise a correre più
veloce che poteva. Doveva fermare tutto. Voleva disperatamente essere
egoista e tenerla con se. Non le avrebbe mai permesso di andarsene.
Irruppe in casa di lei sbattendo la porta alle sue spalle.
- Sarah! – l’urgenza nella sua voce tradiva la sua disperazione.
Si voltò e la vide rannicchiata per terra. Corse a soccorrerla e l’abbracciò.
- Tesoro.
- Spencer – la voce di lei era cosi flebile.
- Cosa? – si fermò notando il rivolo di sangue che le usciva dal naso.
L’aiuto delicatamente ad alzarsi e poi la fece sdraiare
altrettanto delicatamente sul divano. Andò in bagno e prese un
asciugamano che inzuppò nell’acqua. Poi si mise a sedere
vicino a lei e cominciò a tamponarle il naso.
- Ti senti bene? – la guardava preoccupato.
- Ora si, ora che ci sei tu – si tirò su
lentamente e nascose il volto nell’incavo del collo di lui.
- Non partire! – lui la stringeva con quanta
forza aveva in corpo – So di essere un egoista, ma… tu hai
detto che mi seguiresti in capo al mondo. Beh io non voglio andare in
capo al mondo, voglio che tu rimanga qui con me!
- Perdonami – disse lei ricambiando l’abbraccio.
- Per cosa?
- Volevo tornare ma… non trovavo più la
strada di casa – dicendo cosi si scostò per guardarlo
negli occhi – Abbiamo preso Chimera, ora… ora chiedimelo
di nuovo!
Continua…
Per Benny: adoro le tue
recensioni^^ riesci ad analizzare perfettamente le situazioni che vi
propongo. E' un piacere entrare nel sito e trovare uno dei tuoi
commenti^^ Mi rallegri la giornata!
Non so esattamente chi sia la ragazza ritratta nella foto. Lo trovata
su internet e proprio per il suo sguardo gelido ho cominciato a pensare
ad un personaggio per CM che poi si è evoluto in Sarah
Collins.
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Capitolo 20 *** Capitolo XIX. A little riddle: you and I ***
Capitolo XIX
Siamo arrivati alla fine. Grazie per la pazienza e per avermi seguito
in questo viaggio. Un ringraziamento speciale a Benny per le sue
splendide recensioni, sei mitica!
Per Giunone, lillina913, Purisuka e _yoYo_: grazie per avermi inserita
fra i vostri autori preferiti, voi siete inserite fra le mie lettrici
preferite ;)
Ringrazio Mamogirl e Nekhbeth per aver inserito questa FF fra le preferite. Ulteriori ringraziamenti a:
- Giunone
- Lelina
- Licia88
per averla inserita fra le seguite.
Capitolo XIX: A little riddle: you and I.
I loro corpi sudati erano ancora stretti, mentre le loro bocche aperte
e ansanti rincorrevano quel respiro che non voleva tornare normale,
come i battiti accelerati dei loro cuori.
- Volevo fare le cose per bene… - disse Spencer con un accennò di broncio.
- Mi pare che tu te la sia cavata piuttosto bene…
- Intendevo che volevo sposarti prima di mettere su famiglia.
Lei sorrise mentre con la mano gli scostava i capelli dal volto. Un anello di diamante splendeva sul suo anulare sinistro.
- Riusciremo a sposarci prima della nascita del bambino… mancano ancora otto mesi.
- Si, ma…
- Ok – disse lei scostandolo leggermente da se
– Facendo un rapido calcolo… ehm… vediamo…
direi che in tre settimane dovrei essere in grado di organizzare tutto.
- Tre settimane? Non basteranno mai! Ci sono gli
inviti da spedire, il catering, la torta, la… - un bacio
azzittì il giovane genio.
- Ascolta, per gli inviti non c’è
problema… voglio dire sarà una cerimonia intima.
Vediamo… la lista degli invitati è piuttosto breve…
- Voglio Morgan come testimone! – intervenne lui.
- Certo! E la mia damigella d’onore sarà
Emily. Poi c’è mia zia con la famiglia, Hotch con Jack,
Rossi, Garcia e Kevin…
- JJ e Will.
- Il piccolo Henry.
- Piuttosto breve.
- Ne manca uno.
- Chi?
- Jason – rispose lei con un sospiro mentre accomodava la testa sul petto di lui.
- Ti accompagnerà lui all’altare?
- Direi di si… per quanto riguarda l’altra cerimonia…
- Quale altra cerimonia?
- Tua madre odia volare. Non vorrai che il nostro
matrimonio lei lo associasse al ricordo di un volo aereo che l’ha
terrorizzata.
- Vuoi sposarmi due volte? – chiese lui perplesso.
- Se fosse per me ti sposerei ogni giorno della mia vita – disse lei ridendo mentre lo baciava ancora.
Due giorni dopo, Sede della B.A.U., Quantico, Virginia
- Come sarebbe ti sposi? – sua zia la guardava sgranando gli occhi.
- Sai quella cerimonia in cui due persone, davanti ai
parenti e agli amici più cari, si dicono che…
- Non fare la spiritosa. So cos’è un
matrimonio! Solo che non mi aspettavo un cosi breve preavviso…
posso domandarti chi è lui? – sua zia rideva sotto i baffi.
- Se proprio ci tieni… Tra tre settimane
sposerò il dr Spencer Reid, agente speciale della B.A.U.
Naturalmente tu, lo zio e i ragazzi siete invitati.
- Immagino questo voglia dire che…
- Ho recuperato tutti i ricordi – annuì lei.
- Allora? Cosa devo rispondere all’Interpool? – chiese Strauss guardando la nipote.
- Che non ho intenzione di accettare l’incarico. Te lo avevo detto.
- Quindi rimarrai qui con il resto della squadra…
- Oh no! Io lascio la squadra, questo è fuor di dubbio!
- Cosa?
- Preparati a diventare pro-zia… non voglio correre pericoli. Capisco cosa voglio dire vero?
- Ci mancherebbe! – dicendo cosi si alzò
e l’abbracciò stretta – Devi assolutamente prenderti
cura di te e del piccolo. Ma cosa farai ora? Diventerai una casalinga
modello?
- Non è nella mia indole. E poi io amo troppo il profiling per non continuare a lavorare qui.
- E che soluzione proponi?
- Beh… Dickson va’ in pensione tra un
anno… potrei cominciare ad affiancarlo prima di andare in
maternità e poi tornare per sostituirlo…
- Sei sicura? Non che ci sarebbero problemi, sei una
profiler eccellente e il tuo curriculum, beh… non serve che te
lo dica io! Voglio dire… ti basterà? Non sentirai la
mancanza della squadra? Un giorno potresti pentirti…
- Se quel giorno arriverà, e non credo, beh
posso sempre tornare indietro… sai che Dickson dovrebbe fornire
consulenze ai team su richiesta? Qualche volta va persino con
loro…
- Hai pensato proprio a tutto, vero?
- Organizzazione è il mio secondo nome – rispose lei ridendo.
Tre settimane dopo, in una piccola cappella
Spencer era raggiante ai piedi dell’altare, mentre Derek gli
batteva una mano sulla spalla in segno di incoraggiamento. La musica
partì mentre Emily percorreva la navata con passo lento. Spencer
si ritrovò a chiedersi che tipo di vestito avesse scelto Sarah,
ma poi si disse che non importava. Sarebbe stata splendida comunque.
Ed eccola apparire in fondo alla navata al braccio di un Gideon
visibilmente commosso, il velo a coprirle il viso e un vestito bianco
di seta. Mentre si avvicinava al suono della marcia nuziale, Spencer
realizzò. Aveva indossato il vestito che le aveva regalato lui
per San Valentino!
Cinque mesi dopo, ufficio di Aaron Hotchner
Hotch esaminava il fascicolo battendo il dito sul tavolo per tutto il tempo.
- Siamo sicuri che sia all’altezza? – domandò rivolto alla donna seduta di fronte a lui.
- Hotch, la sto istruendo io personalmente. Dubiti
del mio giudizio? – due occhi verdi e penetranti lo fissavano.
- Mi fido del tuo istinto. Se dici che questa
è la matricola più promettente del corso… sei
sicura che possa sostituirti?
- Impara in fretta e non si lascia spaventare facilmente. Sarà pronta il prima possibile.
- Aspettiamo che tu torni dalla
maternità… voglio essere sicuro di non correre troppo.
E’ ancora molto giovane.
- Sarà pronta.
Ospedale, reparto maternità
Correvano tutti lungo il corridoio. Erano appena tornati da una
missione ed erano ansiosi di dare il benvenuto al nuovo membro della
famiglia.
Entrarono in camera, dove Spencer e Gideon erano in adorazione ai lati
di un letto occupato da una giovane donna mora con in braccio un
neonato.
Lei alzò lo sguardo ad abbracciarli tutti e un sorriso dolce le
illuminò il volto. Garcia fu la prima ad avvicinarsi al letto.
- Posso vederlo?
Sarah scostò la copertina che avvolgeva quel corpicino.
- Piccolo questa è la tua squadra di zii.
Squadra vi presento Christopher Gideon Reid – disse Spencer con
un moto di orgoglio mentre si chinava a carezzare quel visetto rugoso.
Quattro mesi dopo il parto, Accademia F.B.I., Quantico, Virginia.
Era nervosa, lì seduta nell’ufficio della professoressa
Reid. Cosa voleva da lei? La Reid era famosa per essere la migliore
istruttrice di profiler di Quantico, ma era anche severa ed esigente.
Non esitava un attimo a stroncare i sogni di giovani matricole con
commenti lapidari e voti bassi.
L’aveva convocata nel suo ufficio ed ora stava rileggendo il suo
fascicolo con una lentezza esasperante. La matricola corrugò la
fronte. Ma cosa voleva? E quanto tempo ci sarebbe voluto?
- So che desideri entrare in un team dalla B.A.U., giusto?
- Sissignora – rispose con un timbro forte e deciso.
- Bene… seguimi – dicendo cosi chiuse il
fascicolo che prese sotto braccio e usci dall’ufficio senza
voltarsi.
La ragazza scattò in piedi e la seguì velocemente lungo
il corridoio fino all’ascensore. Non era mai salita ai piani
alti. Nessuna matricola poteva sperare di farlo. Loro erano relegati
lì, in attesa di avere l’approvazione… la cosa era
snervante, specialmente quando sentivi di essere pronta da un bel
po’!
Sarah guardò la giovane di sottecchi e un sorriso le
aleggiò sul volto. Era dura, forte, decisa e testarda. Le
ricordava se stessa quando era entrata nel team… e come lei
sotto quella scorsa c’era un cuore generoso e una mente in
costante movimento. Il suo passato turbolento preoccupava Hotch, ma non
lei, che giudicava quella ragazza il meglio per la squadra.
Arrivarono al piano ed entrarono nell’openspace. Sarah fece cenno
alla ragazza di aspettarli li e le indicò una scrivania.
- Siediti lì e aspetta – il tono perentorio non accettava repliche.
La ragazza ubbidì sbuffando ed incrociando le braccia sul petto.
Diventava sempre più impaziente, mentre la professoressa
saliva i gradini e bussava decisa ad un ufficio. Un bell’uomo
moro si affacciò e le sorrise.
- Oh, sei arrivata, allora?
- L’ho portata – rispose lei allungando il fascicolo.
- Ok, andiamo – dicendo cosi uscì dall’ufficio e la segui nell’openspace sottostante.
- Agente supervisore Hotchner – iniziò
Sarah tutta seria – le ho portato la persona di cui le parlavo.
Hotch annuì serio. Sarah si voltò seria a sua volta verso quella ragazza che scattò in piedi.
- Quella una volta era la mia scrivania… cerca
di tenerla in ordine agente speciale Cameron Leane! – dicendo
cosi la signora Reid le allungò il distintivo.
La ragazza trattenne il fiato. Ce l’aveva fatta! Era entrata nel team!
Sette anni dopo, sede dalla B.A.U.
Sarah camminava spedita lungo l’openspace. Si fermò accanto a Emily che le sorrideva.
- Sarah! Come mai da queste parti?
- Il capo sezione ha chiesto di vedermi per una consulenza… come va il nuovo capo della squadra?
- Se la cava… anche se oggi è
più irritante del solito! – rispose lei con un sorriso.
- Guarda che ti ho sentita! – disse una voce
famigliare alle loro spalle – Ehi ciuffo buffo! Convocata dal
terribile capo sezione?
- Ci puoi scommettere due neuroni, sai che si diverte
a tormentarmi – i due scoppiarono a ridere abbracciandosi –
Come se la cava la mia pupilla?
- Ron? E’ una tosta, se fossi un S.I. tremerei
al solo sentirla nominare! – i tre scoppiarono a ridere.
- Mi piacerebbe fermarmi a fare conversazione, ma… - disse Sarah ridiventando seria.
- Sbrigati e stai attenta! Il capo sezione potrebbe
mangiarti in un boccone! – le disse Morgan facendole
l’occhiolino.
Sarah si incammino con passo sicuro lungo il corridoio. Si voltò
ad osservare il vecchio ufficio di JJ. Oramai qualcun altro occupava
quel posto. Sospirò. Quanti cambiamenti… mentre
percorreva il corridoio tutti i ricordi legati a quel luogo le
scorrevano in testa. Lì era stata felice, lì aveva
imparato ad amare, lì si era sentita a casa.
Bussò con decisione alla porta dell’ufficio. Una voce da dentro le disse di entrare.
- Buonasera.
- Buonasera – rispose la persona che aveva
davanti – Per te deve essere difficile entrare qui e non trovare
più tua zia…
- Le cose cambiano. Per cosa mi hai chiamato?
- Un paio di casi… mi serve una seconda opinione in merito ai filmati delle deposizione e…
- Chi meglio di un’esperta in comunicazione non
verbale? – fini lei con un sorriso – Per quando ti servono?
- Puoi cominciare lunedì. E’
venerdì sera e tu avrai da fare con i bambini… a
proposito come stanno?
- Christopher è arrabbiato con me e il padre
perché non vogliamo fargli saltare le classi…
- Ve l’hanno proposto?
- Si, ma noi abbiamo rifiutato. Voglio che mio figlio viva il più normalmente possibile.
- Anche se è un piccolo genio come i suoi genitori?
- Soprattutto per questo. Diane Elizabeth… beh
come tutti i bambini di quattro anni ha scoperto la gioia di disegnare
sui muri…
- Vi costerà un patrimonio in ritinteggiatura!
- Spencer trova che abbia del talento… non
vuole coprire le opere d’arte di sua figlia – disse Sarah
con un alzata di spalle.
Il suo interlocutore sbottò a ridere poi si fermò a guardarla e sorrise.
- Ora sarà meglio che tu vada o farai tardi.
- Credo di si. Buon fine settimana Hotch.
- Anche a te.
Ripercorse il corridoio sopra pensiero. Si molte cose erano cambiate
negli ultimi otto anni… poi si sentì afferrare da una
mano e venne trascinata nell’archivio. La porta si richiuse e lei
si ritrovò stretta a qualcuno che la baciava con passione.
- Dovresti smetterla di trascinarmi qua dentro… - disse trattenendo a stento una risata.
- Ti ho vista e non ho saputo resistere – le
rispose suo marito mentre la teneva stretta – Come quando
lavoravi ancora qui…
- E tu cercavi sempre di distrarmi – rispose
lei fintamente severa – e poi dovresti sapere che effetto ha
questo posto su di noi…
- Cioè?
- Ti ricordo che la tua secondogenita è stata
concepita qui dentro… la tua memoria eidetica comincia a fare
cilecca? – chiese lei prendendolo in giro.
- Ti ho mai detto che ti amo?
- Milioni di volte – rispose lei accendendo la
luce per guardarlo in volto – E io quanto volte di ho detto di
essere incinta?
- Due! – rispose lui sicuro.
- Beh allora… questa è la terza!
Fine
Aspetto di sapere se vi è piaciuta la storia d’amore tra Spencer e Sarah^^
Un’altra FF è in lavorazione, fatemi sapere se può interessarvi^^
Nota Bene: il personaggio di
Cameron Leane non mi appartiene, è di Robin89 del forum di CM.
La sua presenza in questa FF è solo un omaggio alla sua
ideatrice.
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