Special girl&special school

di dydy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** IL TRASFERIMENTO ***
Capitolo 2: *** Nuove conoscenze ***



Capitolo 1
*** IL TRASFERIMENTO ***


Special girl & Special school
 
IL TRASFERIMENTO


Era mattina. La luce filtrava attraverso le tende chiuse in modo affrettato la notte precedente. Gli occhi verdi si aprirono dopo un po’ di tempo, irritati dalla presenza del sole in quella camera che sarebbe dovuta rimanere totalmente buia per ancora alcune ore. Sollevò il corpo pigramente, strofinando una delle palpebre con la mano. Guardò il calendario appeso al muro vicino all’armadio. C’era una data cerchiata; 8 di settembre, lunedì. L’inizio della sua avventura - come diceva sua mamma -, attraverso le superiori. Mancavano ancora due giorni fino a quel giorno. E lei sperava con tutta se stessa che esso si dilungasse prima di arrivare. Ma sapeva che non sarebbe stato cosi.
 
‘Joseph! Svegliati, oggi è il grande giorno!’ sentì la voce energetica della madre provenire dal fondo delle scale. Sospirò. Come poteva avere tutta quella energia il mattino presto? Decise di andare a fare colazione. Era già sveglia, dopotutto. Si alzò dal letto, cambiò i vestiti lentamente, poi scese in cucina esattamente con lo stesso livello di eccitazione - nullo.
 
‘Joseph, figlia mia, come hai dormito?’ una donna bionda, alta e dagli occhi verdi abbaianti, abbracciò la ragazza che ancora sembrava dormiente.
 
‘Così, così’ non rispose all’abbraccio, ma sapeva che resistere sarebbe stato inutile. ‘Caroline.’ sussurrò.
 
‘Ho già detto che devi chiamarmi mamma!’ la rimproverò con un tono di voce leggermente arrabbiato.
 
‘Caroline…’ ripeté. ‘Non riesco a respirare.’
 
‘Scusami, cara!’ esclamò, lasciandola andare. Joseph controllò che stesse tutto a posto, poi si diresse verso il tavolo della cucina. Lì suo padre, un uomo di mezza età con un certo livello di calvizie, se ne stava seduto tranquillamente, con una tazza di caffè in una mano e il giornale locale nell’altra.
 
Abitare nel bel mezzo del nulla, a quasi 20 miglia di distanza dalla civiltà - che in questo caso veniva rappresentata dalla città Fort Worth, Texas -, per quella famiglia di sole tre persone sembrava essere più che sufficiente. O almeno per due dei tre componenti appena citati.
 
‘Ho fatto un sogno strano.’ commentò la ragazza, appena si sedette nella sedia di fronte a suo padre.
 
‘E cos’hai sognato, cara?’ chiese Caroline, versandole l’orzo dentro la tazza bianca a strisce verdi.
 
‘Ho sognato che oggi dovevamo cambiare casa, perché andavamo a New York.’ sorseggiò il liquido che adorava bere il mattino presto. ‘Non vi sembra buffo?’
 
‘Joseph, cara, non era un sogno.’
 
‘Cosa vorresti dire?’
 
‘Che noi ce ne andiamo sul serio via.’ la giovane riappoggiò la tazza sopra in tavolo in legno, e per un qualche motivo quelle informazioni sembrarono suscitare in lei ricordi lontani. Ricordi della sera scorsa.
 
‘Stai scherzando, vero?’
 
‘Questo posto non ti fa bene, cara. Fra poco inizierai la prima superiore e non hai neanche un amico. Come pensi di andare fino a Dallas ogni giorno e tornarci per studiare?’ le spiegò con un tono calmo e leggero, quasi stesse spiegando a un bambino a cosa serve una forchetta.
 
‘Beh, e tu davvero credi che io me ne andrò lasciando i miei animali alle spalle?’ domandò, senza aspettarsi una risposta. Si alzò da tavola, intenta a tornare in camera sua.
 
‘Abbiamo già venduto la fattoria. Ti avevo già fatto questo discorso ieri… Non credere che me ne sia dimenticata!’ afferrò il polso della figlia prima che potesse raggiungere il primo scalino. ‘Caro, diglielo che noi andremo nella grande mela con o senza la sua approvazione!’
 
‘No, non voglio altro zucchero.’ rispose l’uomo, probabilmente troppo immerso nel suo giornale per poter badare a quella discussione.
 
‘Eliot! Ma almeno mi ascolti quando parlo?’
 
‘Sì, mi piace la tua pettinatura, cara.’ proseguì, voltando pagina.
 
‘Comunque, spero che per le cinque di sera tutte le tue cose siano ben messe negli scatoloni, capito?’
 
‘Sì, Caroline.’ rispose. Sapeva benissimo che il centro di quella famiglia era sua madre, e che se lei voleva qualcosa, di sicuro l’avrebbe avuta. Provare a convincerla di cambiare idea sarebbe stato uno spreco di tempo e energie.
 
Però, non era per niente contenta di tutto questo.
 
° ° °
 
Guardò la casa al centro della fattoria per un’ultima volta. Era in legno ricoperta da un tetto rosso. Il pavimento frignava e in bagno ogni tanto pioveva dentro. Un cartello davanti alla proprietà diceva SOLD OUT. Venduto. Come un pezzo di carne, insomma. Non importava se lì dentro aveva camminato per la prima volta o se tutta la sua vita era rimasta socchiusa tra quelle mura. Adesso dovevano partire per un’altra vita, nella città che tutti amano, New York.
 
° ° ° °
 
Le vacanze estive erano finite. Adesso che si ritrovava davanti al cancello della scuola, finalmente fu in grado di capirlo. Con sé portava soltanto una piccola borsetta nera con dentro penna e matita. Per fare il test di ammissione non c’era altro di cui avesse bisogno. Quello era più che sufficiente.
 
Alcuni alunni erano già diretti all’entrata, dunque all’inizio delle lezioni. Ma lei avrebbe iniziato soltanto una settimana dopo, appena il risultato fosse stato dichiarato e dunque aggiunto alla lista con la classificazione degli alunni d’accordo con la loro punteggiatura nel test.
 
Le prime tre ore andarono bene. Era tutto estremamente facile, ciò nonostante non avesse studiato. Uscì dall’aula riservata soltanto per lei, per sfruttare la propria pausa.
 
Camminò per il corridoio vuoto. Non le sarebbe dispiaciuto rimanere lì, se il caos di quella mattina non si ripetesse. La calma era una delle cose che più apprezzava. Incontrò una macchinetta per le bevande davanti alla biblioteca. Un’aranciata costava ottanta centesimi. Cercò tra le sue innumerevoli tasche dei pantaloni larghi, ma riuscì a trovarne solo cinquanta in totale.
 
‘Dannazione.’ commentò tra se e sé. ‘Mi mancano trenta centesimi.’ Si voltò nella direzione dalla quale era appena arrivata, rimettendosi a camminare. Sentì il tintinnio di monete che venivano depositate dentro la piccola serratura del distributore automatico. Fermò i propri passi, girandosi per vedere chi l’aveva provocato. Allora incontrò un ragazzo al di sopra dei padroni di bellezza ai quali era stata abituata. Aveva gli occhi di un azzurro anormale, adornati benissimo al fisico atletico e ai capelli neri arruffati. Usava una semplice tuta, ma stava meravigliosamente bene lo stesso, quasi fosse un dio in terra. Anche la pelle era bella; abbronzantissima, senza neanche un segno dell’acne normale per gli adolescenti.
 
‘Ti presto trenta centesimi.’ mormorò.
 
‘Grazie.’ non le venne nient’altro da dire.
 
‘Non c’è di che.’ sorrise, e che sorriso. Possedeva 32 denti bianchissimi e perfettamente collocati al loro posto. La sorpassò e scomparse appena voltò l’angolo del corridoio.
 
‘Che ragazzo strano.’ sussurrò, ritornando alla macchinetta e depositando il resto delle monete per poter prendersi l’aranciata.
 
Quando tornò a casa quel pomeriggio, trovò un casino bestiale. In tutti i sensi. Gli Seymour avevano deciso di risiedere in un appartamento in un condominio nella media, un po’ al di fuori di Brooklyn, a cinque chilometri di distanza dalla scuola che aveva scelto. Le persone che li abitavano erano nella gran maggioranza di etnia asiatica oppure scuri di pelle, ma comunque tutti simpaticissimi e molto ospitali. Li avevano già invitati ad assistere ad un concerto gospel e alcune torte da parte dei vicini giacevano sopra in tavolo rotondo che stava in un angolo in cucina, sperando pazientemente il momento in cui qualcuno si sarebbe deciso a spostarlo. Il che non accadde per circa due settimane.
 
‘Com’è andato il primo giorno?’ domandò Caroline, portando uno scatolone in braccio. Sembrava pesante, ma Joseph decise di non chiederle se voleva aiuto. Non faceva parte della sua indole recitare la brava figlia.
 
‘Bene.’ rispose semplicemente. Neanche una frase insomma, prima di scomparire dietro alla porta di camera sua. Essa era l’unica stanza, tra l’altro, già perfettamente sistemata.
 
Si sedette sopra il letto, dunque girò la testa verso il comodino, e il suo sguardo ricadde subito sul suo quaderno di disegni. La sera precedente l’aveva aperto, ma non le venne niente di interessante da disegnare. Si raggirò, finendo per appoggiare i gomiti sul materasso per sostenere il peso della parte superiore del corpo che si manteneva sollevata. Allungò la mano e afferrò il quaderno. Lo aprì in una pagina qualsiasi. Aveva già il disegno di una rosa, ma lo spazio era ancora sufficiente per quello che voleva ritrattare. Sfilò la matita che sempre manteneva in mezzo alla spirale del quaderno, e iniziò a scarabocchiare.
 
Quando finì, sorrise intimamente. Quella era una bottiglia di aranciata.
 
° ° ° °
 
Finché non fosse stato dichiarato il risultato del suo test, Joseph frequentò la scuola soltanto come udente. Il che per lei era quasi come stare in mezzo alle nuvole. Si sedeva all’ultimo posto a destra dell’aula, proprio accanto ad una gigantesca finestra che si affacciava alla parete. Durante le ore disegnava, pensava oppure si ricordava dei piccoli che aveva lasciato alla fattoria. Ah, quanto le mancavano. Disegnò uno dei suoi conigli preferiti durante la terza ora del giovedì. Era totalmente bianco, non fosse per gli occhi rossi e un orecchio grigio, il quale non stava mai dritto, a differenza dell’altro.
 
Se i giorni passavano in fretta? Direi proprio di no. Non sopportava quel mare di gente che si spostava da una parte all’altra nei corridoi appena suonava la campanella. Non aveva fatto nessun amico, e dubitava che qualcuno in classe sapesse il suo nome, o addirittura se esisteva. Ma, questa era la parte bella. Cosi non avrebbero sentito la sua mancanza.
 
Non voleva fare il rientro, quel giovedì. Odiava l’educazione fisica più della scuola stessa, e non voleva far brutte figure davanti alle compagne belle e brave a fare tutto. Certo, era lontana dall’essere grassa, però con l’apparenza che aveva di solito - felpa, pantaloni larghi e capelli legati in una coda scompigliata -, non poteva certo definirsi attraente.
 
Dunque, camminò con il quaderno di disegno in mano, fino a trovare il paesaggio perfetto; il campo sportivo. Nonostante la giornata abbastanza mite e senza alcuna nuvola, esso non era proprio bello, e il panorama grigiastro della città tutto intorno toglieva parte del suo fascino, ma le piaceva l’idea di sedersi sull’erba. Così avrebbe potuto rivivere, almeno un po’, la campagna che tanto amava.  E così fece. Si accovaccio, trovò un posto adeguato, poi si mise a sedere tranquillamente.
 
Aprì il quaderno sulle ultime pagine, ritrovandosi davanti un foglio completamente bianco. Prese la sua infallibile matita, e sospirò. Guardò il campo ancora una volta, prima di immergersi nella sua immaginazione e trovare il disegno adatto. All’inizio era solo uno schizzo, ma pian piano cominciò a prendere forma.
 
Sentì il rumore di passi, ma le sembrarono talmente lontani che non rivolse alcuna attenzione a loro. I passi cessarono, e lei ringraziò in pensiero, ma non per molto. ‘Ciao.’ qualcuno disse, spezzando il suo filo di pensiero. Lei quella voce la conosceva, dunque decise di alzare lo sguardo fino al suo proprietario. Quello era il ragazzo dell’aranciata, si ricordò in silenzio. Però, subito i suoi occhi ricaddero sul foglio. Non le cambiava assolutamente niente parlargli o no.
 
‘Ma tu sei trenta centesimi!’ esclamò lui, apparentemente entusiasta. Lei semplicemente decise di ignorarlo. Prima o poi sarebbe andato via.
 
‘Io mi chiamo Josh Carter, piacere.’ si presentò, mettendosi accanto a lei e porgendogli la mano. Lei neanche si mosse. ‘Tu, invece?’ insistette. Sembrava intento a strapparle un po’ di parole, anche obbligandola.
 
‘Joy.’ si mantenne monosillabica.
 
‘Bel nome, per caso hai anche qualcosa dopo? Che ne so, un cognome andrebbe bene.’
 
‘Hmm.’ sogghignò.
 
‘Interessante. Joy Hmm.’ rise della propria battuta. Si sentì un po’ in imbarazzo, ma la prossima meta sarebbe stata farle fare un sorriso. Anche piccolo sarebbe bastato. ‘Comunque, io preferisco signorina trenta centesimi.’
 
‘Hmm.’ stavolta proveniva dal fondo della gola.
 
Ebbe l’impressione che non so stesse ascoltando, e decise di verificarlo. ‘Ma a casa tua ci sono le mucche? Sembreresti proprio una di loro con ‘sti versi che continui a fare.’
 
‘Hmm.’ ne ebbe la conferma. Lo ignorava completamente e senza esitazioni.
 
Josh non mollo. Testardo come era continuo a correre intorno. Joy fini il suo disegno, si alzo e camino in direzione dell’uscita dal parco non degnadolo neanche di uno sguardo. Josh vedendola andare via la saluto ‘ A domani signorina trenta centesimi’. Joy non ci bado neanche.
Appena a casa rivede i disegni e con sua sorpresa vide che disegno anche il ragazzo. Penso che sia molto assorta e non se ne era accorta visto che continuava a girarli intorno. Joy penso che quel ragazzo fosse molto strano e con quel pensiero si addormento.

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Capitolo 2
*** Nuove conoscenze ***


Nuove conoscenze

Oggi saranno esposti i risultati degli esami e la classifica. Quella che frequenta Joy è una scuola speciale che ha una classifica degli studenti in base al loro rendimento scolastico. Questa classifica è stata sempre dominata da Josh, fino a questo giorno. Josh non guardò nemmeno la classifica, essendo sicuro della vittoria. Entrò in classe e notò qualcosa di strano, al suo passaggio tutti cominciarono a parlare a bassa voce. Appena vide il suo amico Adam gli andò incontro e gli chiese: ‘che succede qui?’ Adam: ‘Hai visto la classifica?’ Josh: ‘No, non penso ne sia bisogno, perché?’ Adam: ‘Non ne sarei tanto sicuro. Ti consiglio di darle un’occhiata.’ Josh guardò l’amico con aria interrogativa e si avviò fuori dall’aula. Arrivato davanti alla bacheca dove era appesa la classifica. Alzò lo sguardo e non credete ai suoi occhi, pensò: ‘Chi è quest’individuo di nome Joseph? Come ha fatto a superarmi? Non è possibile! Devo scoprire chi è!’ e con questo pensiero si avvio verso la classe. Per strada vide Joy e la salutò: ‘Signorina trenta centesimi!’ - Joy continuò per la sua strada come se niente fosse. Allora Josh corse incontro a lei. Quando le fu vicino ripete: ‘Signorina trenta centesimi sei anche sorda oltre che muta?’ - Joy non risposte. Lui: ‘Mi stai ascoltando?’ - Joy – ‘Stai parlando?’ – Josh – ‘Finalmente! Ormai sospettavo che fossi sorda.’ – ‘No, è che non mi importava! Comunque chi sei?’ – Josh – Come chi sono? Sono quello delle macchinette!’ Joy lo guardo con aria interrogativa. Josh: ‘Quello del parco?’ - Joy – ‘Mmm… A si quello che mi ha rovinato il disegno. – Josh – ‘come rovinato il disegno?’ – Joy – ‘Nn importa!’ e come così chiudendo la conversazione andando in classe. Josh rimase lì, in piedi nel corridoio, con una faccia interrogativa. Joy intanto entro in classe e si sedete nell’ultimo banco, per non farsi notare. Non gli piace troppa attenzione, anzi la odio. Non riesce a sopporta le situazioni in cui, sei nuova e tutti vogliono sapere qualcosa della nuova arrivata. In questa scuola non la conosceva nessuno, a parte il ragazzo che gli ha detto fastidio al parco. Come ha detto che si chiama?! Josh aveva detto, mi pare. Mah… non importa. Ora disegnammo un po’. Tanto questa lezione la so già e la prof non si è accorta di me, come tutti del resto. Ma a lei piace. Finito l’ora si avvio verso la mensa. Appena entrata nell’ampia sala. Trovo tutti divisi in gruppetti, ma non lo trovo strano. Ci era abituata. Nella sua vecchia scuola era uguale, stava sempre per i fatti suoi a disegnare. I suoi compagni si ricordavano di lei solo quando gli serviva la sua creatività e a lei andava bene così. Cerco un tavolo vuoto, ma non riuscì a trovarne neanche uno. Però cera un tavolo in disparte, a cui era seduto solo un ragazzo. Che li sembro molto isolato e solitario e decise di pranzare con lui. Non lo conosceva affatto, però li sembro simpatico ed era sicura che li avrebbe dato fastidio. Si avvicino piano e chiese: ‘posso?’-il ragazzo:’ eh?’- Joy:’dicevo, posso sedermi o ti do fastidio?’-il ragazzo la guardo storto- Joy:’se ti do fastidio mi trovo un altro posto‘ e fecce per andarsene però il ragazzo seduto al tavolo gli domando:’ma tu sai chi sono io?’- Joy rispose sfacciatamente:’No’-lui:’ah…allora capisco perché mi hai rivolto la parola’- Joy lo guardo torvo e curiosa domando:’perché?’- lui:’perché se sapevi chi ero e cosa son non mi rivolgevi la parola’- Joy:’Son nuova’- lui tento allora di ribattere, ma Joy lo interrupe dicendo:’cmq non mi importa cosa dice l’agente, non son una grande fan del pettegolezzo e cosa del genere. Volevo solo sedermi e stare in pace a disegnare, ma se do fastidio me ne vado’- il ragazzo rimase senza parole penso solo che la ragazza era una forza e che aveva un bel coraggio e per qualche motivo aveva l’impulso di farla ricredere su di lui, visto che è stato maleducato. Joy vedendo che non rispondeva gli chiese:’tutto bene?’- lui:’sisi’- Joy:’ah ok, allora posso sedermi?’- lui:’ah, sisi! Scusa ero sovra pensiero!’- Joy:’ah ok!’ e si sedete accanto a lui. Tirò fuori dalla cartella il suo block notes dove disegnava sempre e sfogliandolo rivide il disegno che secondo il suo parere “il cretino rompi gli ha rovinato”. Il ragazzo acanto a lei vide la sua faccia e gli chiese:’tutto bene?’- Joy:’sisi! Scusa!’- Lui:’scusa puoi dirmi il tuo nome? Non voglio essere sfacciato, ma mi sembra strano, non so come rivolgerti la parola’- Joy lo guardo e decise che poteva dirli il proprio nome, per qualche strano motivo si fidava. Allora gli rispose:’Joy’- allora Joy lo guardo per un attimo e lui sostené abilmente lo sguardo e allora Joy decise che il ragazzo che stava davanti a lei sarebbe diventato il suo miglior amico. Nel momento stesso in cui lo penso lo disse:’TU?! Diventerai il mio miglior amico!’- il ragazzo la guardo e penso che era fuori di testa oppure non si rivolgeva a lui, però a quel tavolo non cera nessun’altro a parte loro due, allora per togliersi il dubbio gli chiese:’Dici a me?!’- Joy:’a chi altro!’- in quello stesso istante il ragazzo si rese conto che avrebbe avuto un amico (amica), dopo tanto tempo passato in solitudine, (non è che non gli piace la sua solitudine, anzi ci sta da Dio) però vuole condividere le proprie idee strambe cn un’altra persona. E ebbe l’impressione che questa ragazza le avrebbe capite, ne aveva la certezza. Intanto Joy si accorse che il ragazzo era sovra pensiero e aggiunse:’mi dici il tuo di nome?’

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