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Sbattuta fuori casa con meno della metà delle mie
cose.
Ripudiata da un patrigno che ha preferito una ragazza
più giovane. Più bionda, con il seno più alto.
Io e mia madre perse fuori nel mondo. Cosa succederà?
Chi si prenderà cura di noi?
Andremo a vivere dalla zia per un po’, ma già un’altra
brutta notizia è in agguato.
DIVORZIO.
Il terrore di mia mamma. Non perché perde Giovanni (il
patrigno) ma perché il permesso di soggiorno scade, decade con il matrimonio.
Va a saper te le leggi italiane.
Io è solo da 4 anni che sono qui, come mia madre del
resto.
Parlo bene l’italiano,ma il mio cuore rimane là.
Nonna Mary e nonno Jo sono là.
Ho diciassette anni, mi chiamo Brittany.
Nome troppo da star, lo so. Ma mi piace.
Non sono una diva, non mi atteggio da diva.
Ora siamo a piedi io e mia madre.
Il mio vero padre?
Non lo so. Non so chi sia.
È un segreto a casa mia. Mamma non ne parla mai. E io
rispetto il suo silenzio.
Abbiamo una settimana per rinnovare il permesso. Tanto
i funzionari dello Stato sanno che non ce la faremo mai.
Mamma chiama nonno Jo, parlano molto.
Il giorno dopo abbiamo già un minuscolo appartamentino
nella periferia di Los Angeles.
È mercoledì.
Sabato sarò di nuovo in America.
Sarà di nuovo a
casa.
Non sarà certo come essere a San Diego, con i miei
amici, ma è un inizio.
Una luce in fondo al grigiume.
Finalmente riuscirò a essere me stessa.
Finalmente casa.
Los Angeles, sabato inizierò a vivere di nuovo.
“Occhei lo so! Il terzo racconto. Ma con questo racconto
vorrei parlare della mia Band preferita, il primo che faccio su un argomento
stabilito. Che bello! Spero che possa piacere comunque, anche se non siete fan
degli Escape The Fate. Io li amo. ^.^
Bhe con One Waye La Vita E’ Solo Una Canzone andrò avanti,
don’t worry! BE HAPPY!
Silenzio. Ecco l’unico rumore che rimbomba nella mia piccola
camera in un minuscolo appartamento fuori Los Angeles. Fuori ogni suono era lontano dal mio piccolo
rifugio. Mi assopii di nuovo.
Mia madre entrò con una strana allegria in camera. “Alzati
o farai tardi, non vorrai essere in ritardo il primo giorno” trillò nel mio orecchio destro.
Primo giorno. Odiato,
temuto e non aspettato primo giorno.
Solo due settimane fa andavo in una cazzo di scuola italiana. Niente armadietti,
tutti conoscevano ogni tuo movimento, ogni tuo minimo spostamento. Mi ero quasi
abituata agli sguardi glaciali di tutti. A non avere troppi amici attorno, ed
essere fissata. I primi giorni avevo creduto che l’Italia sarebbe stata un
ottimo inizio per me e mia madre. Invece no. Dopo un paio di giorni, dopo solo
due giorni ero già “Passata di moda”. Non sarei mai entrata in quel gruppo
ristretto di ragazzi con la puzza sotto il naso. Non che mi dispiaccia.
Mi alzo a fatica dal mio caldo e protettivo letto. sono
le sette e venti. Tra quaranta minuti passa il Bus. Quei bus gialli, tanto
americani. Solo qualche strano Dio sa quanto mi siano mancati.
Apro il primo scatolone che urto, non ho ancora disfatto
niente, voglio aspettare il momento giusto. Chissà quando arriverà. Disfare gli
scatoloni è un po’ come rompere quel legame con una vita passata. E in un certo
senso ancora non sono del tutto pronta. Non capisco, in fondo l’Italia non mi
ha amata, io non ho amato particolarmente lei. ma chissà. Forse un giorno
capirò.
Afferro il mio amato paio di jeans stracciati e neri, mia
madre mi ripete sempre che sembro una sfollata con quei jeans. Vabbè. Infilo sopra una maglia nera e bianca piuttosto
attillata, una felpa col pelo (rigorosamente sintetico) e la mia numerosa
collezione di catene, bracciali estremamente rumorosi e pungenti, e anelli. Non
fraintendete. Nessuno ora deve fraintendere. Non mi etichetto in nessun modo. Non
sono né Metaller, Emo, o
Punk. Non sono niente, non ho etichette, non mi piace essere mescolata alla
massa. Sono me stessa. Sono Britt. Sono solo Britt. Mi guardo un attimo allo specchio, stranamente
soddisfatta di ciò che vedo. Non ho un brutto fisico. Sono ben proporzionata in
effetti. Solo un attento osservatore riesce a notare che i miei capelli neri
sono tinti, non c’è segno di ricrescita bionda. Il nero ha preso il sopravvento
finalmente.Una leggera riga di matita. Questo
è il mio trucco. Butto nella mia tracolla un paio di quadernoni,
l’orario, la piantina della scuola e un paio di penne. I libri li devo ritirare
in segreteria. Uscendo di casa afferro un biscotto e lo sgranocchio strada
facendo.
Non sono preoccupata delle occhiate, perché so già che
non ci saranno. La mia scuola è grande, praticamente mezza Los Angeles è
concentrata lì. Quindi posso essere tranquillamente invisibile, come sempre.
Una macchia gialla appare alla fine della strada, il
conducente mi saluta con un gesto brusco della mano. Salgo e cerco un posto a
sedere. È ancora tutto mezzo vuoto, il giro è ancora incominciato.
Mi siedo verso il fondo. Mi infilo le cuffiette dell’Ipod nelle orecchie e mi metto a battere il tempo con il
piede. Chiudo gli occhi e, sempre battendo il piede, appoggio la testa al
freddo finestrino. Il pullman si ferma. Salgono un paio di ragazze, più piccole
di me, devono avere quindici anni o giù di lì.
Mi giro e vedo due occhi color nocciola e dai tratti
asiatici che mi fissano. Sono due occhi parecchio scocciati. “Scusa?Ehi?Scusa?”
mi dice quasi urlando. “MMH?” rispondo il non capendo. Mi mima di togliere le
cuffiette. Le levo dalle orecchie. “Signorina potresti gentilmente smettere di
fare tutto ‘sto frastuono con il tuo piede? C’è gente che si è appena svegliata
e vorrebbe riposare. Grazie” scocciato se ne torna a sedere davanti a me,
dandomi le spalle. I ciuffi biondi e neri gli escono scomposti dal cappuccio. Smetto
di battere il tempo, anche se mi è molto difficile. “Spero di trovare presto
gli scatoloni con la Batteria e la Chitarra” penso.
Il bus si ferma. Scendo con la massa di studenti. Quel ragazzo
dai tratti asiatici è sparito tra la folla. Non ci do peso ormai.
Mi faccio strada nel cortile affollato. Tutto va come
previsto. Nessuno mi nota. Perfetto. Riesco ad essere invisibile. Solo un
ragazzo alto dai capelli corvini mi indica sorridendo a un suo amico. Hanno tutti
e due una frangia spropositata e gli occhi scuri. Mi allontano velocemente, non
vorrei si avvicinassero. Per oggi niente socializzazione. Non la reggerei già.
Cerco di orientarmi sulla mini piantina che è stata data
a mia madre. Imbocco due corridoi sbagliati prima di trovare la segreteria. Arrancando
tra la folla di persone mi avventuro in quel largo corridoio. Un paio di volte
i miei piedi sono pestati senza pietà, due gomitate e una ginocchiata. Direi che
non c’è male come primo giorno.
La porta gialla della segreteria incombe su di me. La
scritta in rosso tiranneggia sopra il piccolo vetro. Da dentro sento una donna
che parla concitatamente, sembra arrabbiata. “Forse torno dopo” penso. Nel momento
in cui sto per aprire la porta questa si spalanca. Ne esce fuori il ragazzo dai
capelli biondi e neri, piuttosto arrabbiato. In malo modo mi spinge via mentre
passa dicendo una serie incomprensibile di parole. Riesco solo a sentire un “Va al diavolo”. Da dentro la donna
dietro al bancone urla “Guai a te se presenti un altro permesso falsificato signor
Money!”. Dopo questo nota anche me. “Ciao cara, entra. Scommetto che sei nuova.
Vieni qui va. E non fare come quello là. Mi raccomando” detto questo mi invita
ad entrare. La porta si chiude alle mie spalle. Seduta su quella sedia riesco
ancora a vedere quell’ammasso di capelli biondi sparire nella folla.
Le quattro materie della mia mattinata. Tutto sommato
come prima mattina non è andata piuttosto male. I professori hanno resistito
alla tentazione di farmi fare una presentazione, impietositi dai miei sguardi
supplicanti. Un paio di volte ho incrociato quei due ragazzi dai capelli
corvini, sono sempre assieme, bhe,per quello che li ho visti. Mi dirigo al mio
armadietto, fortunatamente non è in una zona troppo affollata, è in un piccolo
atrio vicino al laboratorio di informatica.
Ho due ore pomeridiane, mi sono iscritta al corso di arte
creativa. Adoro l’arte. Amo tutto ciò che la riguarda, come la musica e la
fotografia. Mi sono iscritta anche a quella. Ho resistito alla tentazione di
fare anche musica d’insieme. Sarebbe stato un tantino troppo.
Decido di non mangiare in mensa, non mi è mai piaciuto stare in un luogo chiuso e
troppo affollato. Frugo nell’armadietto già ingombro di libri e ripesco il mio
fedele Ipod. Con le cuffiette nelle orecchie mi avvio
nel cortile.
Uscendo il freddo autunnale mi avvolge. Siamo quasi a
novembre. Con mia fortuna sono arrivata qui che l’anno scolastico era da poco
cominciato.
Mi siedo su una panchina e addento il mio panino. Dopo
due morsi sono quasi del tutto sazia. E lo abbandono nel cestino. “Non si
dovrebbe sprecare così il cibo sai?” mi dice una voce, con una nota piuttosto
strafottente. “MMh?” rispondo io. Noto con non poco
disgusto che ormai oggi rispondo solo così. “Se toglie quelle cose dalle
orecchie magari mi senti” ride la voce indicando le mie cuffiette rotte.
Le tolgo e mi volto. Mi trovo faccia a faccia con una
nuvola di capelli corvini e due occhi neri che mi scrutano curiosi.
“Dicevo, che è uno spreco buttare quella roba da
mangiare” mi ripete accendendosi una sigaretta. “Bhe
se vuoi puoi prenderlo, non mi offendo mica” rispondo io cercando di sorridere.
“Che accento strano, di dove sei? Oklaoma?” mi chiede
curioso. “No, sarei di San Diego, ma ho vissuto quattro anni in Italia e ora
eccomi qui a Los Angeles” dico, sorpresa di essere riuscita a mettere insieme
una frase piuttosto articolata. “Capisco ragazzina” mi dice. Lo guardo
abbastanza irritata. Lui scoppia in una fragorosa risata e si siede nella
panchina che occupavo io. “Allora…” comincia lui
“dimmi” Rispondo. Mi fissa di nuovo incuriosito. Osserva un attimo come sono
vestita, alza un sopracciglio e continua a guardarmi sfacciatamente. “ecco”
penso “Ora avrà qualcosa da dire sul mio abbigliamento, mi chiederà -ma sei
Punk?- e lo odierò per questo”. Continua a fissarmi. Inizio ad essere in
imbarazzo più totale. “Che hai da fissare?”gli chiedo piano. “Perché non si
può? Comunque mi piacciono i tuoi pantaloni ragazzina” mi dice serio. “Avrò un
anno in meno di te, uomo cresciuto”rispondo ironica “No, tu avrai sui 15 anni
massimo, io ne ho diciannove,bocciato un anno”mi dice sorridendo. Il nervoso
inizia a prendere il sopravvento. Lo so di essere bassa e minuta per la mia
età, ma darmi quindici anni forse è un po’ esagerato! “Veramente ne ho 17”
rispondo stizzita. Mi guarda sorpreso. Gli angoli della sua bocca si arricciano
e inizia a ridere. ride di gusto, come se gli avessi raccontato una barzelletta
divertentissima. “Tu! Diciassette?!”ride “Ma se sembri un folletto”vedo delle
lacrime uscire dai suoi occhi scuri. Nervosa lo guardo. Capisce che non sto
scherzando e in poco tempo torna serio. “Scusa è che non sembri così grande”
dice “Lo so. Però non mi avevano mai dato quindici anni sai?”rispondo io.
Ritorna a sorridere. Quel sorriso strafottente che aveva prima. Mi da un po’
sui nervi ‘sto qui. “Che stavi ascoltando Ragazzina?” chiede guardando il
display del mio Ipod “Sex Pistols?”
mi chiede meravigliato, “Li adoro sai?” mi dice. “Buon a sapersi” rispondo io,
un po’ più allegra. “Non hai molta voglia di farti dei nuovi amici vero?”chiede
“Non è vero” Dico “Secondo me invece ho un po’ ragione, ti ho osservato
stamattina, di solito le ragazze nuove cercano sempre di farsi notare in un
modo o nell’altro, soprattutto dai gruppi di ragazzi un po’ più popolari, ma tu
invece non hai degnato di uno sguardo né le ragazze né i giocatori di quello
sport insulso” mi dice pensieroso “Ti sei incamminata a testa bassa in mezzo
alla folla, hai alzato solo una volta lo sguardo, e mi hai visto che ti
indicavo, ne sono certo che mi hai visto” “certo che ti ho visto, stavi con
quell’altro ragazzo con cui ti ho visto tutto oggi” “Mi hai visto? Ma mi
pedini?” “Na” “Tu invece sei molto distratta, hai
fatto cadere tre volte il libro di biologia mentre andavi in laboratorio e una
volta ti è scivolato il vetrino in classe”. Lo guardo meravigliato. “E tu ‘ste cose come le sai? Mi pedini tu per caso?”esclamo “No,
frequento le tue stesse ore di biologia”. Arrossisco per la pessima figura. “E
si ti ho cercato durante gli intervalli, ma sei sempre sparita, non so come fai
a mimetizzarti così bene” dice ridendo. Sto per rispondere quando la campanella
risuona. Avvertimento che è meglio tornare nelle aule, io devo correre nel laboratorio
di arte. Non vedo l’ora!
Il ragazzo si alza “Che lezione hai ora?” mi chiede “Arte
creativa”rispondo “Io ho musica d’insieme, nell’aula accanto, ti accompagno”
“Grazie” cerco di sorridere.
Mi guarda divertito, non so cosa ci trova di tanto divertente
in me. Allunga la mano “Io sono Ronnie” dice serio. Afferro la sua mano e la
stringo, è calda, confronto le mie che sono gelida “Brittany,
preferisco Britt, se non ti spiace” “No, Britt, ma per me resti comunque un folletto, bel nome. Ma
mi aspettavo un nome come: Morticia Adams “ride lui.
Ridendo ci incamminiamo in classe.
Ci dirigiamo velocemente in classe. Non vorrei arrivare
in ritardo proprio il primo giorno. Sarebbe fuori luogo.
“Bhe allora ti lascio qui” mi
dice Ronnie sorridendo davanti alla porta della mia aula.
“Gr..Grazie” balbetto io.
“Ma figurati Ragazzina” Sorriso strafottente.
“Bhe allora ciao”
“Ciao..”
Appena metto un piede nell’aula sento che una mano mi
tira il cappuccio della felpa, mi giro innervosita e mi ritrovo, di nuovo, a
fissare quella nuvola di capelli neri.
“Dimenticavo.. A che ora finisci?” chiede curioso.
“Credo per le tre e mezzo” gli rispondo sovrappensiero.
“Allora aspettami qui, io esco alle tre e quaranta! Ciao”
detto questo gira i tacchi e velocemente entra in un aula dalla quale proviene un
frastuono incredibile.
Frastornata entro anche io in classe. Vedo che quasi la
metà dei cavalletti in prima fila è occupato. Opto per uno in seconda, vicino
alla finestra, così la luce sarà buona per lo meno.
La professoressa di arte entra in classe. Sembra un
quadro di un qualche pittore molto originale. È piccola, i capelli sono biondi
e gli occhi verdi. Indossa un paio di occhiali a punta rossi che la fanno
sembrare molto più giovane di quanto credo che sia. Non ha un colore abbinato
all’altro, mi piace, anche se non è del tutto nel mio stile.
“Buongiorno ragazzi, scusate il ritardo,ma… Che cosa vedo!” Esclama fissandomi. Il terrore inizia a
farsi strada nel mio stomaco, quei pochi morsi di panino iniziano a gorgogliare
nella mia pancia.
“Una nuova studentessa ad Arte Creativa” finisce la
frase. Mi indica, facendo cenno di andare lì, di fianco a lei. davanti a tutta
la classe. Intanto i miei compagni si erano già girati a fissarmi incuriositi,
alcuni anche piuttosto comprensivi, dagli sguardi. Mi rivolgevano dei
sorrisetti, quasi di incoraggiamento. Prendo il coraggio a due mani e mi alzo
dalla piccola sedia. Raggiungo la professoressa Torres, così ha detto di
chiamarsi mentre mi stringeva la mano.
“Allora, parla un po’ di te” mi dice sorridendo.
“Uhm, beh, allora..” comincio farfugliando “Mi chiamo Brittany, ma preferirei essere chiamata Britt.
Ho diciassette anni anche se vi sembrerà strano…”
alcuni sorridono. In quel momento la porta si spalanca ed entra quel ragazzo
dai capelli biondi e neri che avevo visto e SCONTRATO in segreteria.
“Scusi il ritardo” dice velocemente.
“Bryan cerca di essere più puntuale” lo richiama
senzanessuna minaccia nel tono della
voce.
Il ragazzo di nome Bryan si siede nell’ultimo banco in
fondo, e inizia a scarabocchiare qualcosa sul suo blocco.
“Continua Cara” mi incita la Torres.
“Beh, sono di San Diego, mia madre si è sposata con un
uomo italiano, siamo andate ad abitare per circa quattro anni a Milano e poi,
eccoci qui!” Dico tutto d’un fiato.
“E le tue passioni quali sono? Ultima domanda eh, poi
iniziano a creare” mi chiede divertita.
“Amo la musica” inizio, guardo i miei compagni, il biondo
ora mi sta fissando, con grande curiosità. Sento le guance scaldarsi. “Suono la
batteria e la chitarra da quando ho sette anni, me la cavo anche con la
tastiera.” Finisco cercando di sorridere. La Torres mi congeda con un “Benebene, benvenuta” e me ne torno al posto, seguita da
tutti gli sguardi, ma in particolare dal suo.
Afferro i colori e i pennelli che la Professoressa mi ha
prestato e inizio a dipingere. Non so bene cosa, ma con in mente il testo di
una canzone che ho iniziato a scarabocchiare, dipingo. Dopo un po’ di tempo,
sarà passata almeno un’ora, alzo la testa per curiosare chi fa cosa. Ci sono
ragazzi che, come me, dipingono, altri modellano creta o cartapesta, c’è chi
dipinge un’amica oppure chi infila perline o chi semplicemente cerca l’ispirazione,
come Bryan. Ogni tanto di sottecchi
lo guardo e a volte anche lui mi fissa. Uno sguardo curioso, come quello che mi
spediva quando stavo parlando.
Continuo a stendere il colore sulla mia tela, quando la
campanella suona, segnando la fine di questo primo giorno di scuola.
Velocemente raccatto le mie poche cose , raggiungo l’armadietto
e afferro la mia tracolla. Sto per uscire quando un pensiero mi attraversa la
testa “devo aspettare quel .. come si chiama? Ronald? Richard? Uhm sì, Ronnie”.
Giro i tacchi e raggiungo velocemente la porta di musica d’insieme. Da dentro
provengono assoli di chitarra, rulli di tamburi,
suoni di maracas violini e violoncelli.
Appoggiata al muro cercai di immaginare cosa potrebbe
suonare quel ragazzo. Ascoltando più attentamente mi accorgo che c’è anche
qualcuno che canta. Non riesco a capire cosa dice, non riesco a sentire bene
cosa stia cantando.
Finalmente la porta si apre, ed escono almeno una
trentina di persone. Mi affaccio per vedere che fine abbia fatto lui. Lo vedo
appoggiato alla finestra, intento a parlare col suo amico con la frangia su un
occhio.
Mi nota e mi saluta sorridendo. Bisbiglia qualcosa all’amico,
guardano entrambi nella mia direzione. Ora sono leggermente imbarazzata. Si avvicinano.
“Ehi Ragazzina” mi apostrofa.
“Ciao..” saluto io.
L’amico mi guarda con attenzione “Allora Ron, non mi
presenti la tua tenebrosa amica?” chiede, noto una punta di ironia, ma non ci
faccio caso.
“ah sì. Lei è Britt” dice
indicandomi.
“Come se già non lo sapessi” dice ridendo e lanciando
occhiate a Ronnie, che, forse imbarazzato?, si guarda la punta delle Converse
nere.
“E tu sei?” dico io, facendo finta di non aver sentito.
“Max, ma chiamami Maxi se ti va, bhe
ragazzi, ora vado! Ci si vede Ron, ciao Britt, bella
maglia” detto questo sparisce dietro la lunga fila di armadietti.
Silenzio.
Decido di rompere il ghiaccio.
“Per caso tu sai dove posso trovare un negozio che vende
articoli per la pittura? Sai i miei sono ormai vecchi e..”
Mi interrompe.
“Sì certo, ma tu non ci riusciresti ad arrivare. Direi che
ti posso accompagnare io domani mattina. Tanto è sabato, ci sono solo i corsi
di recupero, e immagino che tu, essendo nuova, ancora non li frequenti”
“Già, e neanche te suppongo.”
“Sì, li dovrei frequentare, ma ho di meglio da fare
domani mattina no?”
Così dicendo s’incammina verso l’uscita. All’improvviso
si gira.
“Domani mattina alle nove all’entrata principale della
scuola, non è molto distante il centro.” Sorride.
“A domattina allora” rispondo di rimando.
Mi saluta con un cenno della mano e se ne va. Raccolgo le
mie cose. E mi avvio anche io vero i Bus. Vedo il biondino che mi fissa. Non riesco
a interpretare lo sguardo. Rabbia? Indifferenza? Curiosità? Ci sto ancora
pensando quando mi trascino stanca nella mia camera e inizio a cercare la mia
chitarra in tutti quegli scatoloni.
Come al solito in camera mia non ci sono rumori. Forse
solo i rombi dei motori delle macchine che corrono troppo veloci sull’asfalto
troppo consumato.
Guardo
assonnata la sveglia. Sono le otto. Mia madre già è andata in giro, in cerca di
un qualche lavoro in un qualche squallido locale. Non voglio immaginare che
cosa troverà. Non voglio nemmeno pensarci.
Mi alzo a fatica dal letto. Mi dirigo nel piccolo cucinino
e sorseggio pensierosa una tazza di caffè freddo.
“Devo prepararmi, che sennò faccio aspettare quello là” penso. Però non dovrei
trattarlo troppo male, in fondo è l’unico che si è degnato di rivolgermi la
parola il mio primo giorno, è stato addirittura gentile. Forse fin troppo.
“Magari è un qualche tipo di maniaco” penso preoccupata.
“credo che mi porterò della lacca nella tracolla, non si sa mai.” “Si ma che
cosa potrebbe servire una stupida lattina di lacca?” mi ricredo.
Vado in bagno, sempre pensando alle cose più macabre che
potrebbero succedermi. Infilo un paio di leggings
strappati e una maglia piuttosto lunga e rossa. Sopra il mio giubbotto nero, la
tracolla e un paio di catene. Scelgo per le Vans a
quadri neri e rossi, afferro le chiavi di casa,i pochi soldi lasciati da mia
madre e mi avvio alla fermata del Bus.
Quando salgo non c’è quasi nessuno. Mi assopisco per due
minuti e al mio risveglio ho già superato la fermata della mia scuola
“Dannazione” penso “Ora mi tocca anche correre”. Accelero il passo. Alle nove e
dieci sono davanti alla High School. Seduto su una
panchina vedo Ronnie, indossa dei semplici jeans e una maglietta a maniche
lunghe, non capisco come mai non sia ancora diventato un ghiacciolo. Lo vedo
guardare nervosamente il cellulare e sbuffare. Alza lo sguardo verso di me e il
suo viso si illumina. I miei pessimi pensieri si dissolvono in un nanosecondo.
Mi viene incontro.
“Ciao Folletto” mi apostrofa, facendo mostra del suo
miglior sorriso da strafottente.
“Hei” saluto io.
“Allora andiamo?”
“Certo!”
“Maxi mi ha chiesto se poteva venire anche lui”
“Ah…” è per caso una nota di
delusione quella che sento nella mia voce?!
“ma gli ho detto di no, si è un po’ arrabbiato, ma tanto
è Max!” ride lui.
“Dove si va allora?” chiedo curiosa
“Ti porto in 3rd Street Promenade, ottimo posto per
cazzeggiare e poi nel quartiere messicano!solo in pochi riescono ad amarlo, e
io sono uno di quei pochi!”
Vedo la sua espressione eccitata sul volto, sembra un
bimbo mentre parla, gesticola tanto e sorride, come se facesse delle battute
tra sé e sé.
Ci incamminiamo. Parliamo di tutto e di più. Mi dice che
abita vicino a Santa Monica, poco più lontano da me. Che lui e Maxi hanno una
mini band, e cercano un buon chitarrista e un batterista. Ma ancora non hanno
trovato nessuno degno di quel nome. Sono amici da una vita. Mi chiede di me.
Sorvolo su Giovanni. Gli parlo molto di mia madre, di come mi abbia dovuta
crescere da sola.
“Tuo padre?” mi chiede curioso.
“Non ne ho idea” rispondo tristemente.
“Scusami”
“No fa nulla, sono vissuta con gli uomini di mia madre,
non è una cattiva donna, non pensare male. Ma vuole a tutti costi trovare una
figura maschile. Per me e perché vuole stare meglio lei. Quindi a volte sembra che ci provi con tutti, ma non
è così. Le voglio bene. E io sono abbastanza felice anche solo con lei.” dico
velocemente.
“Invece io vivo con mio padre e mia madre. Famiglia fin
troppo normale” dice annoiato.
Si ferma un attimo sovrappensiero. Mi guarda sorridendo.
“Benvenuta a Promenade Street” esclama orgoglioso.
Strabuzzo gli occhi. Mi guardo in giro e vedo una marea
di persone, di nazionalità differenti che si riversano nelle centinaia di
negozi. Rimango a bocca aperta, e questo suscita l’ilarità di Ronnie.
“Dovresti vedere la tua faccia Folletto” mi risponde
divertito.
Non riesco a spiccicare una parola da tanto che sono
sorpresa. Vedo bambini che girano con i palloncini attaccati al piccolo polso,
degli skater fanno su e giù dal marciapiede, le mamme che ridono stracariche di
borse, gruppi di amici che escono ed entrano nei negozi senza aver comprato
niente.
Ronnie mi fissa, io gli rivolgo uno sguardo più che
confuso.
“Dove caspita
lo troviamo un negozio d’arte?!” dico con voce flebile.
“Ehm, prima o poi. Chi cerca trova. Chi trova è felice”
ride.
“Pessima battuta.” Rispondo divertita io.
“Folletto incazzoso.” Fa il broncio.
“Cos’è mi metti il muso ora?”
“Sì. E te lo trovi da sola il cazzo di negozio”.
Lo guardo preoccupata. Sembra davvero arrabbiato. Invece no.
Sorride e scoppia a ridere. Sembra seriamente divertito dallo “scherzo” che mi ha appena fatto.
“Su dai andiamo, dovrebbe essercene uno più avanti.” Detto
così mi afferra per il gomito e ci
incamminiamo in quella folla di gente.
Detto sinceramente ho un po’ paura di perdermi. Gli afferro
il braccio.
“Cos’è signorina, ci provi?” mi chiede sorridente.
“Ehm, non vorrei darti una delusione ma ho paura di perdermi”
rispondi io.
“Sì dicono tutte così. Poi la sera me le ritrovo a letto.”
Mi fermo. Vedo che la sua espressione cambia. Immagino che
si stia maledicendo da solo per l’immane cazzata che ha detto.
“Scusami” mi guarda.
“No è solo che non vorrei che pensassi che io ci stia
provando, ecco tutto. Non quel tipo di
ragazza. Insomma ci conosciamo da due giorni.. tu..sei.. ma io cioè. No.” Inizio
a balbettare.
“Non sforzarti troppo folletto. Ti ho chiesto scusa. Comunque
ecco il negozio che cercavi”. Sorride indicandomi un piccolo botteghino.
Entro da sola. Ne riesco dopo venti minuti stracarica di
robe. Ronnie è appoggiato al muro. Per terra c’è un mozzicone di sigaretta
ancora fumante.
“Ehi dove sei? Dietro tutta quella roba fatico a vederti”.
Me lo immagino con il suo solito sorrisetto.
Afferra due borse.
“Ti aiuto” dice, facendomi un impacciato occhiolino.
Prendiamo il Bus, e mi porta nel quartiere Messicano. Quando
scendo noto come tutto sia diverso da Promenade Street. Mi dice che sia chiama DownTown il quartiere più vecchio di Los Angeles.
Ci dirigiamo verso El Pueblo il pezzo più vecchio. Ronnie dice che sembra che abbiano
staccato un pezzo dal Messico per trasportalo qui. E in effetti non ha tutti i
torti.
Ogni angolo che vedo è pieno di ristoranti e bar tipici. Ci
sono uomini in sombrero e dei baracchini che vendono tortillas.
“Più avanti c’è anche il quartiere coreano, giapponese,
spagnolo, italiano…” inizia ad elencarmi una serie
infinita di culture.
“Fermo fermo capo” esclamo tra il divertito e lo stupito.
“portami a mangiare che inizio ad avere fame”.
“Mmh. Direi che mangeremo nei
baracchini. Il modo più buono per gustarsi la cultura!” dice lui.
Nel quartiere messicano compriamo due tortillas
con dentro di tutto e di più. Poi è la volta degli spaghetti di soia e
involtini primavera al quartiere cinese. Prendiamo il sushi in due e poi la
pizza al quartiere italiano. La mia la finisce lui perché il mio stomaco
rischia di scoppiare.
“Mangi eh” mi chiede divertito.
“Sì, non sono una di quelle ragazze che quando esce con
un ragazzo si fa le fisse perché non vuole farsi veder mangiare”
“E fai bene! Non mi sono mai piaciute quelle.” Dice, sottolineando -quelle-.
Sono le sei quando mi riaccompagna davanti alla scuola.
Mentre ci stiamo salutando una ragazza, credo di quelle
che agitano il culo facendo il tifo ai giocatori di football, si avvicina a
Ronnie.
“CiaaaaaoRonRon”
esclama zuccherosa.
“Ehi Sophia” risponde Ronnie,
palesemente scocciato. Mi rivolge uno sguardo -cheppallequestaoralacongedopropriononlareggocazzo- .
“Allora RonnieRon quand’è che
ci rivediamo?” gli chiede la bionda ossigenata.
“Sophia non vedi che non ho
tempo?”
“Ma sei con questa”
chiede la ragazza indicandomi scocciata.
“Questa
si chiama Britt. E sì, sono con lei”.
Dio quanto sono grata a Ronnie.
“Bhe allora quando hai finito
con lei e hai casa libera torno da
te,non mi stancherei mai di rifare quello che abbiamo fatto io e te.” Dice, sottolineando -io e te-.
“No, tolgo io il disturbo. Ciao Ronnie, grazie per l’aiuto.”
Esclamo io prendendo, anzi strappando, le borse dalle sue mani.
“Brittasp…”
cerca di fermarmi.
Mi volto e salgo sul Bus, lo sento imprecare e mandare
via la bionda.
Mi siedo su un sedile di pelle. Cos’è forse sono delusa? Cosa
avrei dovuto aspettarmi? Cosa credevo? In fondo sono la nuova arrivata. Presto si
stancheranno anche qui. Ma ci speravo forse di essere sua amica. Ronnie.
Ronnie. Quegli occhi color nocciola così espressivi e il suo sorrisetto
strafottente.
“Britt calmati eccheccazzo” penso decisa.
Sento che qualcuno si è seduto affianco a me. Mi volto e
vedo il biondino che mi fissa.
Allunga la mano e con un sorriso si presenta.
“Ciao, sono Brayn Monte Money. Ma
chiamami Monte, lo fanno tutti ormai”.
Io sorpresa lo guardo. Lui rimane con la mano sospesa a
mezz’aria.
Sinceramente non so cosa dire.
“Hai un gatto?” chiede
“N-no, per chè?”
“Mi chiedevo chi ti avesse mangiato la lingua” ride lui. Ha
una risata cristallina, leggera e contagiosa.
Mi metto a ridere anche io, dimenticando la biondona e il pensiero di Ronnie.
Tra le risate mi presento anche io.
“Sono Britt, piacere”
“Lo so che sei Britt” dice lui.
Continuiamo a ridere, sotto gli sguardi curiosi e divertiti del conducente.
“Che strano questo Monte” penso, sdraiata sul mio letto. “Il
giorno prima scocciato mi dice di smettere di battere il tempo, il giorno dopo
attacca bottone sul Bus.”
Ripenso all’ora prima, quando il biondino mi ha
accompagnata davanti all’uscio di casa.
“Abiti qui?” chiese.
“Sì.”
“Ma i tuoi ancora non sono arrivati?”
“Abito solo con mia madre, e a quanto pare non è ancora
in casa, deve aver trovato lavoro” esclamai io, un po’ delusa del fatto che non
ci fosse a casa per cena.
“Se vuoi rimango con te, non è un bel posto questo”
chiede impacciato.
Non mi sembrava il caso di dirgli di sì, in fondo lo
conosco da solo un’oretta nemmeno.
“No dai, stai tranquillo” decisi di rifiutare.
“Senti io ti do il mio numero, abito due strade più
avanti, se succede qualcosa chiamami” propose.
“Va bene. Grazie mille”. Registrai il suo numero egli feci uno squillo in modo che lui avesse
il mio.
Mi salutò titubante, entrai in casa, ed eccomi qui, a
fissare l’intonaco scrostato della mia minuscola camera da letto.
Mi cambio. Metto una tuta sformata con sotto dei fuseaux
neri. La mia tenuta da casa. Come la chiama mia madre. Chissà dove ha trovato
lavoro. Chissà a che ora torna. Non mi ha lasciato nemmeno un post-it. Vabbè ho diciassette anni, so badare a me stessa.
Un rumore. Uno di quei rumori provocati da un bidone che
cade.
La mia schiena è percossa da un brivido.
“Britt non spaventarti, ci
saranno dei gatti o dei cani randagi in giro. Le finestre sono tutte chiuse, la
porta è serrata. Di cosa devi aver paura?” penso. Mi tornano in mente le parole
del biondino “Non è un bel quartiere”.
“Doveva proprio dirmi così? L’ha fatto apposta quell’idiota”
esclamo ad alta voce.
Un altro rumore, questo un po’ meno forte. Scaldo in
fretta la camomilla e mi metto sotto le coperte.
Decido di tirare giù anche le tapparelle, non si sa mai. Vado
alla finestra.
Mentre tiro giù la tapparella un viso sbuca all’improvviso
da sotto. Caccio un urlo spaventoso.
Le mie mani subito corrono al cellulare, e alla lacca. Che
cazzo può fare poi una lacca me lo spiegate eh! Il viso è sparito mentre urlavo.
Corro in cucina e frugo dentro al cassetto. Quella faccia
però aveva un non so che di familiare, ma sarà una mia impressione.
Estraggo un coltello. Intanto il mio dito tremante ha già
composto il numero della polizia.
Il campanello suona. Mi avvicino lentamente alla porta e
guardo dallo spioncino. Vedo una nuvola di capelli corvini che sta sorridendo.
“Idiota” sibilo tra le labbra.
“Che cazzo vuoi?” urlo da dentro.
“Vengo in pace Britt” sta
ridendo.
“Sei un deficiente”
“Ti sei spaventata? Ti ho visto con il biondo prima”
“Mi ha seguita?”
“Sì, ho preso il Bus subito dopo, aprimi che fa freddo
dai”
“No.”
“Ho i Muffins, spero che ti
piacciono”
“Mmh se hai i Muffins allora ti apro, aspetta a che gusto sono?”
“Due al cioccolato e due ai mirtilli”
Apro la porta.
“Mangio io quelli ai mirtilli” dico imbarazzata.
“Certo” risponde lui divertito.
Lo faccio entrare. Lo vedo guardarsi intorno. Non riesco
a capire come mai lui sia qui.
Perché gli ho permesso di entrare? In fondo è uscito solo
oggi con me, in fondo è da due giorni che ci conosciamo.
“A che pensi?” mi chiede notando la mia espressione
imbambolata.
“A niente, ma come mai non sei con Sophie?”
chiedo sprezzante io.
“Non mi interessa lei.” mi fissa negli occhi. Sono costretta
ad abbassare lo sguardo, non riesco a sostenere quell’oceano nero che mi
scruta.
“E invece il biondo chi era?” mi chiede un po’ infastidito.
“L’ho conosciuto sul Bus, si chiama Bryan” rispondo io,
celando un sorriso.
“Ah e che ci faceva davanti alla porta di casa tua?”
“Mi ha chiesto se volevo che.. ma a te che te ne frega
scusa?”
“me ne frega! Allora? Rispondi o no?”. Alza la voce.
Lo guardo, spaventata.
“Scusami Britt, non volevo
alzare la voce con te.” Cerca di scusarsi.
“Mi aveva chiesto se volevo che rimanesse, perché questo
non è un bel quartiere e ci potrebbero essere malintenzionati in giro” gli dico
guardandolo.
“E sono arrivato io.” Sorride strafottente.
“Appunto”.
Mi alzo sulla punta dei piedi per cercare di vedere il
sacchetto di carta che tiene dietro la schiena. Lui alza le braccia, non ci
arrivo. Inizio a saltellare per riuscire a prenderlo. Continua a scansarsi. Mi ritrovo
a un pelo dal suo viso. Sento il suo profumo, ha un non so che di intrigante. Sa
di fumo di sigarette, misto all’odore di un dopobarba. Mi guarda divertito, mi
sa che si è accorto del mio cambio di umore.
Approfitto della sua distrazione e afferro il sacchetto. Cerca
di riprenderselo, corro in camera ridendo.
Ci sediamo sul letto. mi guarda spiluccare dei pezzetti
di Muffin.
“Sei buffa sai?”
“Perché?”
“E lo chiedi anche? Sembri un folletto in una felpa di
cinque misure più grandi e stai mangiando un Muffin briciola per briciola.” Ride.
“E tu ti sei visto? Con quei capelli e la matita che ti
cola?” rido anche io.
Passiamo la sera a parlare, mi racconta che Sophia è una sua ex compagna di nottate, non l’ha chiamata ragazza perché non lo è mai stata.
Decido di raccontargli del mio patrigno, sembra
dispiaciuto.
Squilla il telefono.
“Pronto?”
“Tesoro? Sono la mamma”
“Ciao mamma” esclamo felice.
“Tutto bene?”
“Sì è tutto apposto, tu? Dove sei? Quando torni?” chiedo
veloce, vedo che Ronnie ride.
“Ho trovato lavoro in un ospedale qui vicino, pulisco le
camere, le sale, e così via. Devo afre anche il turno
di notte se voglio portare a casa un po’ di soldi. Spero non ti dispiaccia.”
“No mamma, va bene” dico delusa. Ronnie mi guarda curioso
e preoccupato.
“Ci vediamo domani pomeriggio se mi fanno venire a casa,
ti voglio bene tesoro”
“Te ne voglio anche io Mamma, buon lavoro”
Riattacca.
Ronnie mi guarda e nota la delusione sul mio viso.
“Sta al lavoro?”
“S-sì” singhiozzo io.
“Ehi ma perché piangi?”
“Perché non lo so ok? Perché sono in una casa da sola, la
terza notte e mia madre è al lavoro. E sarà così finchè
non troverà niente di meglio” ora sto piangendo. Non capisco perché piango, di
solito mi tengo tutto dentro.
“Ci sono qui io. Se vuoi sto tutta la notte, tanto a casa
mia non sentiranno di certo la mia mancanza” dice dolcemente lui.
“Sicuro?”
“Al cento per cento, basta che smetti di singhiozzare.”
“Va bene” abbozzo un sorriso.
“Così va meglio”
“Se vuoi puoi dormire sul divano”
“Ti pare che io dormo su un divano? Resto qui con te!”
esclama serio.
“MMh” rispondo pensierosa.
Sono troppo stanca per ribattere. Spengo il telefono e mi
stendo sul letto, infilandomi sotto il piumone. Sento Ronnie che si sdraia
accanto a me, è un po’ piccolo il letto per due persone. Ma piuttosto che
restare da sola va bene anche così.
“Buonanotte folletto” sussurra lui.
Non riesco a rispondere. Mi sto già assopendo.
Appoggia una mano sul mio fianco. Non gliela sposto. Mi addormento,
protetta da quella mano calda.
Apro gli occhi. Nessun tipo di luce entra dalla finestra.
Inizialmente non capisco il perché.
“Ah sì, avevo tirato giù le tapparelle” penso. mi volto
nel letto, e noto che riesco a stendermi tutta. Manca qualcosa, qualcuno per l’esattezza.
Mi alzo di scatto. Con gli occhi cerco per tutta la mia
stanza, non lo vedo. Il panico inizia a farsi strada nel mio stomaco.
“Lo sapevo, cosa credevo? Che stesse qui tutta la notte?
Stupida, stupida Britt. Di sicuro sarà da Sophie. O da qualche altra ragazza tra le
centinaia che ha.” Penso arrabbiata, ma anche un po’ triste.
Vado in bagno a spazzolarmi quell’ammasso di capelli che
mi ritrovo e mi dirigo in cucina.
Appena varco la soglia lo vedo. Vedo Ronnie intento a
mandare imprecazioni alle uova, che ha fatto bruciare. Sul piccolo tavolo vedo
dei muffins, hanno una bella faccia lì, vicino al
succo di frutta.
Sorrido. Lo guardo di schiena. “Caspita però” penso “é..
Carino”.
Imprecazione. Si è bruciato.
“Tu non ci sai fare con le pentole, e poi a me piacciono
bruciacchiate le uova” dico ad alta voce.
Si gira sorpreso.
“Già sveglia?” esclama con la padella a mezz’aria.
“Sì.. Attento a non bruciarti ancora Ron”.
“Mi hai chiamato Ron?”
“N-non posso?” arrossisco.
“Certo che puoi Britt” sorride.
Mi dirigo verso il tavolo, addento un muffins
ai mirtilli. Mi guarda divertito.
“Vai matta per quei cosi
eh?” chiede.
“Li amo”
“Vedo vedo, ma fai spazio per le mie favolose uova”
“Come sei modesto” dico con la bocca piena.
Scoppia a ridere.
Tutto d’un tratto si fa serio.
“E’ venuto il biondino verso le nove” mi dice arrabbiato.
“Che voleva?”
“Non lo so, non ho risposto. Ho guardato dallo
spioncino.”
“Ah..”
Mi serve la colazione, mangiamo in silenzio. Come se il
suo buonumore fosse stato spazzato via.
Ogni tanto lo guardo di sottecchi ma sembra in un altro
mondo.
“Allora…” decido di rompere il
ghiaccio “Che si fa oggi?”
“Devo provare con Maxi”
“Ok”
Alza lo sguardo. Una luce gli illumina il volto, come se
gli si fosse accesa una lampadina in testa.
“Ho visto in camera tua una chitarra, ti va di venire?”
chiede eccitato.
“Certamente” rispondo
“allora muoviti, preparati.”
mi catapulto in camera, socchiudendo la porta. Mi sfilo la tuta e metto un paio
di leggings argentati con sopra una maglietta bianca,
il giubbotto e una sciarpa nera.
Mi giro.
Appoggiato allo stipite della porta vedo Ronnie con
un’espressione ebete sulla faccia.
“t-tu!” esclamo imbarazzatissima.
“io? TU! Con quel..” si ferma a metà. Con la mano sospesa
ad indicare il mio corpo.
Lo sorpasso e vado a truccarmi in bagno, quando esco è
ancora nella stessa identica posizione.
Gli do un pizzicotto sul braccio.
“Ahia ma sei scema?!” urla.
“Se non ti sbamboli come faccio
a chiamarti scusa?”
“Eh?”
“Max ci aspetterà no?”
“Max?”
“Le prove.”
Mi fissa. Sembra davvero non capire. Poi gli si accende
la solita lampadina. Lo sguardo diventa più profondo. Mi prende la mano.
“Ora ricordo… Ma non
preferiresti restare qui?” mi
sussurra maliziosamente all’orecchio.
I miei muscoli si sono momentaneamente bloccati.
L’ossigeno non arriva più al cuore. Sento la mia manno
diventare bollente, spero non se ne accorga.
Mi guarda con insistenza.
Suona il campanello. Ronnie sbuffa.
“Briiiiiitt” urla la voce di
Monte dietro alla porta.
Vedo gli occhi di Ron diventare di fuoco.
Vado ad aprire. Ronnie si siede sul letto nervoso.
“Ciao Monte” dico aprendo la porta.
“Ciao, tutto bene?” chiede apprensivo.
“Sì certo, grazie” sorrido un po’ imbarazzata di tante
attenzioni.
“Bhe stamattina dormivi?”
“Sì, scusa, ho sentito il campanello ma non avevo davvero
voglia di alzarmi”
“Stai tranquilla. Dormito bene?”
Sorrido ripensando a Ronnie. “Sì, non ti preoccupare.”
“Ero venuto per una controllata, ci sono brutti tipi in
giro”.
Rido sommessamente, sempre pensando a lui.
“Già”
“Allora a domani, ci si vede a scuola Brittany”
Lo guardo trovo.
“Volevo solo pronunciare il tuo nome per esteso” ride
lui.
Sorrido.
“Grazie Monte, sei davvero gentile” arrossisco.
“Figurati, ciao Britt”
“Ciao Monte”. Chiudo la porta.
Dietro di me subito arriva Ronnie. Mi stringe con forza
una spalla.
“Ronnie mi fai male” esclamo io.
Non risponde. Cerco di scansarmi, spaventata.
“Mollami” ora sto gridando.
Come risvegliato da un sonno mi guarda. Vede il mio viso
spaventato. Scansa subito la mano. I miei occhi diventano lucidi.
Avanza di un passo, io indietreggio spaventata.
“Folletto non voglio farti male” si giustifica.
Una grossa lacrima cade a terra. Di scatto mi abbraccia.
Sono ancora spaventata. Non so perché, ma per un attimo ho avuto paura. Mi
stringe.
“Scusami Britt” mi sussurra la
sua voce tremante all’orecchio.
“n-non fa nulla”
“Scusami..” mi stringe carezzandomi la schiena. Mi
rilasso, rilasso i nervi, che erano tesi al massimo.
Mi lascio cullare da quell’abbraccio.
“Ci sono brutti
tipi in giro” ripenso a quello che mi ha detto Bryan. Guardo la chioma di
Ronnie.
Sento il suo respiro regolare sul collo. Cingo le mie
braccia attorno alla sua vita. Mi stringe più dolcemente.
Lo spavento di poco prima passa velocemente. Ronnie
sembra essersi tranquillizzato. Sciolgo quell’abbraccio.
Mi fissa dritto negli occhi, per vedere se in qualche
modo sono arrabbiata, quando capisce che mi sono tranquillizzata sorride
impacciato.
“Su andiamo, Max ci aspetta” esclamo io, cercando di
sorridere.
Usciamo di casa. Prendiamo il Bus e arriviamo in una zona
piuttosto…degradata.
Ci dirigiamo in un capannone abbastanza malridotto, con
le tegole del tetto che cadono e l’intonaco scrostato. I vetri delle finestre
sono rattoppati con della carta di vetro, e la porta sta su per miracolo.
“Attenta a dove metti i piedi” mi dice Ronnie mentre sto
per appoggiare il sinistro su una siringa usata.
“Bel posto questo eh” rispondo spaventata.
Vedo Ronnie che cambia espressione, non ci bado troppo.
Appena entro inciampo. Il pavimento è tutto pieno di
buchi.
“Attenta Folletto” esclama divertito Ronnie, afferrandomi
per i fianchi. Rabbrividisco a quel contatto.
“Sei arrivato! E… Hai
compagnia!” esclama la voce di Maxie.
“Essì piccoletto, una
chitarrista! Ma è solo di supporto!” risponde Ron.
“Ciao Max” mi aggiungo io.
“Ciao Britt, bei leggings” mi dice, additando le mie gambe.
“te lo taglio quel dito” gli ringhia Ronnie, subito dopo
scoppia a ridere.
“Cominciamo va” propone Max.
Sistemiamo gli strumenti, io mi siedo su un pezzo di
cemento staccato dal muro, prima di suonare voglio ascoltarli.
Max si mette al basso, mettono un Cd come
accompagnamento, in mancanza di altri strumenti.
“Uno due, un due tre” esclama Max, prima di attaccare a
suonare.
Vedo Ronnie che mi sorride.
Noto che non ha strumenti in mano, solo un microfono
attaccato a un piccolo amplificatore.
Apre la bocca.
Un suono meraviglioso scaturisce dalla sua gola.
Ha una voce stupenda. Niente in confronto a quella che ha
per parlare.
Ascolto la sua voce incantata. Non credo di aver
conosciuto in vita mia suono migliore. Le mie orecchi e il mio cuore vorrebbero
non si fermasse mai di cantare. Chiudo gli occhi e inclino leggermente la testa,
non so, per ascoltare meglio.
All’improvviso sento che quel suono meraviglioso si è
fermato. Spalanco le palpebre. Cerco un qualcosa nell’aria che possa essere
simile alla sua voce, ma non trovo nulla. Sento una sensazione di vuoto nel
cervello, come se mancasse qualcosa.
“Allora?” mi chiede Ronnie, cercando di capire se mi è
piaciuto o meno.
“W-wow” riesco a bisbigliare io.
“Ti è piaciuto??” chiede curioso Max.
“Hai una voce.. stupenda!” esclamo, ritrovando la mia.
Vedo Ronnie arrossire lievemente.
“No, grazie, sei mooolto
gentile eh” mi dice offeso Max.
“Eh? Ah già, scusa. Sei molto bravo anche te. Vi mancano
solo un paio di membri direi”
“Ti va di suonare?” Mi chiede Ronnie, con gli occhi che
brillano.
“Sì molto, ma.. non so. Non sono così brava come voi,
devo imparare un po’ le canzoni” dico, imbarazzata di tante attenzioni.
“Però la prossima volta suoni?” insiste lui.
“Sì..”
“Promesso?”mi
chiede, porgendomi il mignolo, come facevo con le mie amiche da piccola.
“Promesso” dico io, ridendo e afferrando il suo dito
magro, stringendolo.
Max ci guarda tra l’allibito e il divertito.
“Ragazzi, siete proprio messi male” esclama lui,
passandosi la mano nei capelli neri, che vengono spettinati senza pietà.
Ridiamo, sempre stringendo il mignolo dell’altro.
Max ci guarda sconsolato per un’ultima volta, salutandoci
sotto voce e aggiungendo un sacco di altre cose a me incomprensibile, gira le
spalle raccogliendo il basso.
“Ragazzi io vado” ci dice.
“Cosa?” chiede Ronnie, cadendo dalle nuvole, provocando una
mia risata.
“Io vado bell’addormentato” ripete ad alta voce il povero
Maxie.
“vai già?”
“Si vado, devo lavorare per prendermi un amplificatore
nuovo”
“Ah ok”
“Ciao ragazzi” dice, spedendo un’occhiata d’intesa a Ron,
che gli fa sorridendo un occhiolino, credendo di non essere notato da me.
“Maxi stasera non so se torno!” gli urla Ron, indicandomi
“in segreto” col dito.
“Occhei, tanto c’era Sarah, non
saresti potuto rientrare!” gli urla di rimando il piccolo, ridendo.
Sento la porta aprirsi con un gran rumore, e Max sparisce
dietro quel portone mezzo distrutto.
“Ma non abitavi coi tuoi?” chiedo sospettosa.
“Piccola bugia.” Ride.
“Come mai?”
“Così, mica ti potevo dire che non sapevo dove andare a
dormire perché c’era la ragazza di Maxi da noi, quindi ti ho detto che vivo con
i miei, e che non gli interessa quando torno” sorride.
“Ah, dove vivete?”
“In un appartamento minuscolo, poco lontano dalla scuola”
“E i tuoi sono d’accordo?”
“Chi mio padre? Certo, basta che lo vado a salutare ogni
due giorni. Anche perché così mi da qualche spicciolo” Ironizza lui.
Mi guardo imbarazzata i piedi, vorrei chiedergli perché
non ha nominato la madre, ma sono troppo imbarazzata, so per esperienza che se
qualcuno non nomina un genitore è perché ha avuto in passato un.. trauma.
“A che pensi?” mi chiede, sedendosi accanto a me.
“No, niente…”
“Non ho una madre, se è questo il pensiero che ti
tormenta..” dice, rispondendo alle mie domande silenziose.
“Mi.. Mi dispiace”
“No, non devi.. neanche io l’ho mai conosciuta, come tu
non hai mai conosciuto tuo padre. Ma non ne sento la mancanza, mio padre ha
fatto il lavoro di entrambi i genitori”
“Gli vuoi davvero bene eh?”
“Da morire..” sorride, intenerito.
La mia gamba inizia a formicolare, per il troppo tempo
passato a gambe incrociate. Mi alzo e guardo fuori dal vetro rotto.
Lo spettacolo che si affaccia davanti a me è stupendo.
Il cielo si sta annerendo per la notte che avanza, i
palazzi, i grattacieli si stagliano nel crepuscolo, illuminati dalla luce
proveniente da mille finestre.
Ne resto incantata, come al solito. Ripenso all’Italia, a
quanto era diverso il paesaggio, a volte c’erano sconfinate aree verdi. Qui ci
sono i grandi grattacieli, che prendono il posto degli alberi. Amo la natura, ma
questo è uno spettacolo imperdibile.
Persa nei miei pensieri non sento Ron che si avvicina.
Mi accorgo della sua presenza solo quando sento le sue
mani avvolgermi i fianchi e il suo viso appuntito che si appoggia sulla mia
spalla.
Vista dall’esterno come scena potrebbe anche essere
piuttosto comica. Io nel mio metro e sessanta cinta da lui, nel suo metro e
ottanta, incurvato in avanti a stringere me.. un folletto.
Mi giro. Per guardarlo.
Lo vedo di fronte a me, con i suoi capelli neri, sparati
dappertutto. I suoi occhi mi scrutano, desiderosi di.. qualcosa.
Con le mani sottili continua a stringermi i fianchi.
Accarezzandomeli.
Sento la mia schiena percorsa da mille e mille brividi,
che mi fanno impazzire.
“Hai perso la parola?” mi sussurra all’orecchio.
Non riesco a rispondere.
Riesco solo ad abbassare ancora lo sguardo e fissare il
pavimento smesso.
Mi spinge lentamente contro la parete incrostata da
vecchi e nuovi graffiti. Scritte contro l’amore, contro l’amicizia, contro il
sistema, scritte per la pace e la speranza. Scritte di artisti non capiti,
scritte fatte da sognatori per aiutare a sognare.
Indietreggio lentamente finche le mie spalle non si
appoggiano contro la parete fredda. Rabbrividisco al contatto.
“Hai freddo?” chiede in un sussurro.
Annuisco, senza parlare.
Mi stringe delicatamente,sento il suo calore invadere nel
mio corpo, sento il suo petto aderire contro il mio. Le sue mani mi accarezzano
la schiena, e mi stringono, avidamente.
Con mio dispiacere si libera da quel contatto, solo per
potermi guardare negli occhi, abbasso lo sguardo, intimorita.
Con la mano mi solleva il mento.
Si abbassa, di molto.
Sento le mie mani fremere.
Le sue labbra sfiorano per un secondo le mie, allontanandosi
velocemente.
Mi guarda divertito.
“Che succede?” chiede strafottente.
Cerco di sorridere, ma mi esce solamente un ghigno
deformato.
“Cosa.. aspetti?” riesco a sussurrare io.
“Niente” mi dice.
Si china ancora.
Stavolta le sue labbra si fermano a lungo sulle mie,
giocando con loro.
Lo stringo per le spalle forti.
Ricambiando il bacio.
Il
Mio Angolino:
Scusate per il tremendo ritardooT.T
Ma ho avuto un po’ il blocco dello
scrittore,
però eccomi qui! A scrivere degli ETF e Britt.
Spero vi piaccia e spero che durante questa
mia assenza