Morte di una ragazza giovane

di ross_ana
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Imma POV ***
Capitolo 2: *** Dodo POV ***



Capitolo 1
*** Imma POV ***


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Storia classificatasi seconda al Flash Multifandom Contest, indetto da Only_Me e Lilyblack. Vincitrice del Premio Giuria Lily, e vincitrice del Premio Fungirl Lily.

Dedicata a Morgana che l'ha letta in anteprima, e dedicata a Valaus che ieri mi ha ascoltato pazientemente <3
Buona lettura :)


NICK AUTORE: ross_ana@ sul forum, ross_ana su EFP
TITOLO: Morte di una ragazza giovane
FANDOM: originale
PERSONAGGI: Imma, Dodo
PAIRING: nessuno
GENERE: Malinconico, Triste, Sentimentale
RATING: verde
AVVERTIMENTI: nessuno
PROMPT SCELTO: blu
INTRODUZIONE: Sono due capitoli, doppio POV, il prossimo arriverà settimana prossima!
NdA:La protagonista di questa storia prende il nome da una canzone, mentre il suo soprannome deriva da un'altra canzone, Quest'ultima vi consiglio di ascoltarla alla fine della lettura.Ogni riferimento a cose o persone realmente esistite è puramente casuale :P





Imma POV

Attraversai le porte scorrevoli dell'entrata dell'ospedale e mi fermai sul primo gradino della scalinata per prendere un sospiro.
Dovevo ancora recepire il significato delle parole del medico, dovevo ancora realizzare la verità che mi aveva appena confessato.
Respirai una volta, un'altra ancora.
Poi cominciai ad assimilare il peso di quelle parole, e con movimenti frenetici scossi la borsa per trovare le chiavi dell'auto. Sentii il bisogno di muovermi, di correre, di scappare, di fuggire.
Arrivai all'auto tutta trafelata, con i capelli che erano scappati dalla coda in cui li avevo costretti, e con mano tremante tolsi l'allarme. Buttai la borsa sul sedile del passeggero e sbattei lo sportello.
Non mi concessi nemmeno un secondo per pensare, ma infilai la chiave nel quadro, accesi il motore e accelerai.
Superai le macchine che ostacolavano la mia corsa, attraversai i semafori con il rosso, la lancetta del contachilometri continuava a salire e a me non importava dei limiti che stavo infrangendo: avevo bisogno di correre, avevo bisogno di bloccare i pensieri che stavano affollando sempre più prepotentemente la mia mente. Avevo bisogno di urlare, di sfogarmi. E allora mentre lasciavo la città alle mie spalle lo feci: urlai e mi disperai. Con tutto il fiato che avevo in gola gridai in faccia al mondo, e non riuscii ad impedire alle lacrime di rigare le mie guance.
La strada continuava a scorrere veloce davanti ai miei occhi, nessuna macchina andava troppo veloce da non essere superata. E non importava se il sorpasso avveniva in curva, non volevo staccare il piede dall'acceleratore. Perché a vent'anni non si può morire, a vent'anni non si può dire addio alla vita che è appena cominciata.
E allora perché continuavo a correre?
Perché avevo bisogno di decidere io quando morire, avevo bisogno di sentirmi potente, avevo bisogno di darmi una possibilità, una speranza.
E mentre facevo questi pensieri, il ricordo prepotente di pochi minuti prima rimbalzò forte al centro della mia mente.

-Buonasera, dottore.
-Buonasera, signorina. Venga, si accomodi, le devo parlare.
-C'è qualcosa che non va?
Mi guardai intorno mentre lo chiesi, perché la presenza di altri uomini in camice bianco oltre al mio ortopedico mi metteva un po' d'ansia.
-Le presento il dottor Ferrara, un neurologo, e il dottor Piccetti, un radiologo.
Guardai timida le loro mani tese, e con soggezione le strinsi, chiedendomi come mai avessero quelle espressioni così rigide.
-Dottor Gilera... come mai... come mai questi signori sono qui?
Il dottor Gilera, il mio ortopedico da quando avevo dodici anni, si avvicinò con passo lento e strascicato e poggiò le sue mani grandi sulle mie spalle. Abbandonò il suo tono colloquiale e strinse la presa delle sue dita.
-Imma... forse è meglio se ti siedi, ragazza.
Il terrore crebbe prepotente in me, e continuando a guardarlo fisso negli occhi mi lasciai spingere verso la poltroncina davanti la sua scrivania.
-Dottore, la prego. Mi dica che sta succedendo. Per favore.
Ma non sentii -o non feci attenzione- alle parole che disse. La mia memoria ed il mio cervello furono in grado di recepire solo poche frasi che, come lame affilate di un'antica macchina da guerra, andarono a perforare ogni centimetro di pelle scoperta costringendomi a trattenere il respiro e a chiudere gli occhi dal dolore.
Il dottor Ferrara, il neurologo, mi strinse una mano e aspettò che alzassi lo sguardo su di lui prima di cominciare a spiegarmi ciò che l'ortopedico aveva taciuto. E il mondo sembrò crollarmi addosso con ancora più forza distruttiva, costringendomi ad alzarmi e ad allontanarmi di scatto.
Con un balzo fui alla porta, e prima ancora che provassero a fermarmi, uscii dallo studio e me la chiusi alle spalle.
Una signora con i capelli ricci teneva in braccio una bambina vestita di blu.
Aveva il braccio ingessato, ma sul visino uno sguardo allegro e spensierato.
Non appena mi vide mi sorrise, e con gli occhi che scintillavano di gioia ed entusiasmo mi porse un biscotto che teneva nella mano destra.
Il tempo sembrò fermarsi, i suoi movimenti sembrarono cristallizzarsi come in una fotografia, e il mio cervello si svuotò di ogni informazione recepita.
Ricambiai il sorriso con uno strano stato di stordimento e con passo lento e cadenzato mi trascinai verso l'uscita dell'ospedale, non facendo caso ai corridoi che imboccavo e alle persone che incontravo.
Solo quando i vetri scorrevoli della porta esterna si aprirono e un vento gelido mi colpì in pieno viso risvegliando tutti i miei sensi, la consapevolezza di ciò che era appena successo mi piombò addosso come un uragano. E scappai verso l'auto, - blu come il vestito di quella bambina, blu come i miei occhi, blu come il cielo notturno di quella serata autunnale, blu come l'oceano di dolore, e paura, e tristezza che minacciava di sopraffarmi, - dall'altra parte della strada, cercando di essere più veloce delle brutte notizie, cercando di essere più rapida della morte che mi inseguiva con il fiato sul collo.

Mi costrinsi a deviare il binario dei pensieri, e tornai con la mente al presente.
Quando fermai la macchina, ero parcheggiata al lato di un marciapiede, segno che avevo abbandonato la superstrada e che ero entrata in qualche paesino di provincia.
Mi asciugai le lacrime con il dorso della mano, e mi accorsi che la cassetta della posta che si intravedeva dal finestrino mi era troppo familiare, e il cancello blu - come la mia auto - alla sua destra era come l'avevo visto l'ultima volta: un po' scrostato e cigolante.
Ero arrivata a casa di Dodo, il mio migliore amico, e nemmeno me n'ero accorta.
Tirai su con il naso e mi asciugai, in maniera poco elegante, con la manica della felpa. Poi con un sospiro profondo aprii lo sportello della macchina e senza nemmeno mettere l'allarme andai a suonare al citofono.
-Chi è?
Riconobbi la voce di Laura, la sorellina di Dodo.
-Sono Imma, Laurè.
Si sentì uno scatto, e il cancello si aprì. Anche il portone d'ingresso era stato aperto perciò entrai senza indugiare oltre e sulle scale incontrai la piccola che subito mi corse incontro e mi abbracciò.
-Kamala! Che bello che sei venuta!
-Ancora quel soprannome? Mi chiamo Imma.
-E che importa? Dodo ha scritto quella canzone per te, perciò tu sei Kamala, ormai.
Mi sforzai di ridere, e la seguii in casa.
Salutai suo padre e suo fratello e mi accomodai sul divano.
Mancavo in quella casa da qualche mese, ma con i corsi all'università e i weekend passati a lavorare, non avevo trovato il tempo di andare fuori città. Dodo veniva a trovarmi il sabato sera, oppure in settimana mi dava un passaggio a lezione.
-Come mai sei da queste parti?
-Sono venuta a trovare Dodo. Gli devo parlare.
Mi chiesi distrattamente come riuscivo ad essere così fredda, così razionale.
Dentro sentivo l'urgente bisogno di rompere qualcosa, di continuare ad urlare, di prendere a pugni qualcuno... eppure continuavo a fissare Laura, Giulio e Fabio con un lieve sorriso sulle labbra, e rispondevo alle loro domande con un distacco spaventoso.
-Ma lui è in sala prove, adesso. Lo sai che sono impegnati con la registrazione delle ultime canzoni. Tra nove mesi esce il nuovo cd.
E il muro di finta calma che mi ero costruita intorno crollò miseramente, perché avevo dimenticato che Dodo in quei giorni trascorreva più di tredici ore insieme al gruppo in sala prove. Non avevo pensato al fatto che erano ancora le otto, e che ne avrebbe avuto ancora per molto insieme agli altri.
Questo bastò a farmi crollare, e prima che potessi rendermi conto di cosa stessi facendo, mi ritrovai a piangere convulsamente nelle braccia del padre del mio migliore amico, stringendo i pugni sul suo petto che caldo accoglieva le mie lacrime.
Dopo pochi secondi di panico, la sua voce autoritaria risuonò forte nel soggiorno.
-Giulio, telefona tuo fratello. Digli di venire immediatamente a casa.
E chiusi gli occhi, immergendomi in una sorta di bolla protettiva che mi spense il cervello. Smisi di piangere, di pensare, di guardare, di sentire.
Chiusi gli occhi e aspettai senza muovermi che qualcosa intorno a me cambiasse. Perché non poteva essere vero che la persona che mi stava consolando fosse un estraneo e non mio padre. O mia madre. O mia sorella.
Schiusi le palpebre quando una mano ghiacciata si posò sulla mia guancia. Vidi confusamente il viso preoccupato di Dodo che mi guardava da vicino, e con ritrovata lucidità aprii gli occhi, fissando il mio sguardo nel suo e trasmettendogli il mio assoluto bisogno di restare sola con lui.
Spostò la mano dal mio viso a dietro la mia schiena, l'altra la mise sotto le ginocchia e con uno scatto fulmineo mi prese in braccio dirigendosi verso la sua stanza.
Mentre cercavo di rifugiarmi nell'incavo del suo collo, vidi Carlo e Marco, il bassista e il batterista del gruppo, guardarmi con espressioni confuse e tristi. Probabilmente era la prima volta che mi vedevano in quelle condizioni.
Dodo mi fece sistemare sul suo letto e si sedette accanto a me.
Mi strinse una mano nella sua e mi guardò preoccupato.
-Cosa è successo?
E le parole uscirono dalle mie labbra prima che potessi mitigarne il senso.
-Sto morendo.
Il suo sguardo si scurì improvvisamente e la sua espressione si indurì impercettibilmente.
-Che significa?
E il fiume in piena che avevo cercato di trattenere e di contenere ruppe gli argini ed esplose in quelle quattro mura che tante volte ci avevano visto dormire insieme.
-Significa che sto per morire. Significa che ho un tumore e mi rimangono sei mesi di vita.
Dodo non si mosse, non sbatté le ciglia, non respirò per qualche secondo.
E io aspettai una sua mossa prima di trasformare i miei singhiozzi in un pianto disperato. Quando mi strinse tra le sue braccia mi lasciai andare completamente alla paura che mi stava sopraffacendo.
Cosa avrei fatto?
Come mi sarei comportata?
Avrei dovuto dirlo ai miei genitori?
Avrei potuto dirlo ai miei amici?
E loro come avrebbero reagito?
Avrebbero cominciato a compatirmi e trattarmi con pena?
E i miei genitori... loro avrebbero cercato di riallacciare i rapporti con me visto che mi restava poco da vivere, o avrebbero continuato a ignorarmi fino al giorno del mio funerale?
E io sarei stata in grado di gestire il dolore?
Sarei stata capace di non farmi sopraffare dal terrore di morire? Dalla paura di perdere tutto? Dalla paura di finire di vivere ancora prima di aver cominciato a farlo?
Lasciai che tutte queste domande senza risposta si trasformassero in lacrime, e nella presa forte delle sue braccia che tante volte mi avevano stretto, mi abbandonai a me stessa, piangendo e disperandomi per quella fine prematura che mi avrebbe uccisa presto.
Non so quanti minuti scorsero indisturbati, ma restammo in quella posizione senza spostarci di un millimetro per un tempo che mi parve infinito. Poi la voce di Dodo ruppe il silenzio, ed io mi scostai dal suo petto per guardarlo negli occhi, anche se i miei erano appannati di lacrime.
-S...sei sicura? Non c'è un modo per... non ti puoi... non... operazione?
Capii la sua domanda, capii il suo bisogno di trovare una soluzione a quella che sembrava la fine del mondo, la fine del mio mondo, e scossi la testa.
La scossi con rassegnazione, con afflizione, e aspettai che l'idea della mia morte si facesse largo nella sua mente. Nella mente della persona che per me era stato amico, fratello, padre. La persona che mi aveva regalato un sogno in cui credere e un desiderio in cui sperare.
Quando vidi una lacrima ribelle sfuggire al suo controllo, i miei muscoli si sciolsero e le mie mani andarono svelte ad asciugare i miei occhi. Quando il primo singhiozzo gli scosse le spalle mi ritrovai a spostarmi di lato e portargli, dolcemente, la testa sul mio petto. E quando cominciò a piangere gli accarezzai il viso con cura, con dolcezza, con estrema lentezza. Perché sentirlo piangere mi riempiva il cuore di un sentimento potente che mi faceva sentire forte.
Perché se c'era qualcuno che piangeva per me, allora forse non ero poi tanto sola come mi sentivo.
Se c'era qualcuno che piangeva per me, allora forse non ero stata tanto tremenda nella mia vita.
Se c'era qualcuno che piangeva per me, allora forse sarei andata in Paradiso.
Strinsi con più forza il suo corpo al mio, come a cercare un appiglio stabile a cui aggrapparmi, come ad identificare le sue spalle con una via di salvezza, una via di fuga.
Dopo quelle che parvero ore, -io avevo smesso di accarezzarlo, e lui di piangere-, Dodo sfuggì alla gabbia in cui le mie braccia l'avevano costretto, e si alzò dal letto.
Poi scostò il piumone ed il lenzuolo insieme, e prendendomi in braccio mi mise sotto le coperte, accoccolandosi accanto a me.
La sua voce, bassa e roca dopo il pianto, ruppe il silenzio proprio quando le mie palpebre, stanche, si stavano abbandonando al sonno.
-Veglierò su di te finché ce ne sarà bisogno. E tu veglierai su di me come hai sempre fatto.
Fulminea si materializzò davanti ai miei occhi l'immagine di me in forma d'angelo che seguiva tutti i suoi passi, e sapendo che quella era la cosa migliore che potessi augurarmi, chiusi gli occhi sapendo che era quello l'addio che avrei voluto dare al mondo e alla mia vita.




A mercoledì prossimo, con il Dodo POV :)
Un bacio immensissimo :)

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Capitolo 2
*** Dodo POV ***


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Dodo POV

Guardavo le nocche delle mie mani diventare sempre più bianche. Forse perché stringevo con troppa foga il legno grosso della staccionata, o forse perché cercavo di aggrapparmi ancora una volta al presente per non crollare.
Alzai gli occhi e fissai il lago, blu come lo erano i suoi occhi - che come uno specchio limpido rifletteva le montagne che lo circondavano. La luna salutava la sua gemella nell'acqua, e i miei pensieri volavano lontano, a giorni ancora riempiti dalla presenza di lei.
Non aveva più pianto. Da allora, nella mia stanza. Non aveva più versato una lacrima. E io la stimavo, perché stava per morire, eppure era lei che dava forza a noi. Ci trasmetteva la voglia di vivere, il coraggio di andare avanti. Era un pozzo di buonumore.
Solo una volta la feci arrabbiare, e feci una smorfia pensando a quella strana richiesta che mi aveva lasciato perplesso.

-Puoi fare una cosa per me? È importante.
-Certo. Tutto quello che vuoi.
-Vorrei che tu cantassi al mio funerale.
La guardai sconvolto, con un espressione confusa e agitata.
-Sei pazza?
-No che non lo sono. Voglio che canti per me, al mio funerale. Voglio che fai un concerto.
Sospirai sconsolato e scossi la testa.
-Non penso sia il caso.
E la sua espressione si indurì, divenne severa come soltanto poche volte l'avevo vista.
-Perchè?
-Perchè i funerali sono tristi, e io non mi posso mettere a cantare in chiesa.
-Infatti non devi farlo dentro... ma fuori alla porta. Dopo la messa.
Il mio sguardo si dilatò dallo stupore, e non per quello che aveva detto, ma per la foga con cui l'aveva proposto. Come se fosse una cosa naturale mettersi a suonare con una chitarra, alle scale di una chiesa, subito dopo la fine di un funerale.
-Non dire assurdità.
-Non è affatto un'assurdità. È il mio ultimo desiderio.
E allora alzai lo sguardo spaventato, perché non potevo fare a meno di rabbrividire ogni volta che sfiorava l'argomento della sua morte. Lo affrontava come se si trattasse delle previsioni meteorologiche e ne parlava con una disinvoltura disarmante che mi faceva temere il peggio. A volte avevo paura che mi privasse anche di quei pochi mesi rimasti, facendo una follia e suicidandosi prima.
-Imma, senti...
-Non Imma, Kamala. È questo il mio nome ormai.
-I tuoi genitori non vorrebbero che...
-Sono io che muoio, e io posso decidere del mio funerale. Insomma, ho la possibilità di pianificare le cose, perché non posso farlo?
Nonostante le volessi un'infinità di bene, a volte non riuscivo a stare proprio dietro ai suoi capricci e alle sue fantasie.
-Stai cercando di
pianificare la tua morte?
-No, sto cercando di pianificare il
dopo. Perché ci sarà tanto tempo per le lacrime, e per la tristezza, e per la nostalgia. Ma il giorno del mio funerale vi voglio vedere sorridenti, sereni, perché è così che io voglio sapere i miei amici, come li ho sempre visti: intorno ad un falò a cantare a squarciagola mentre tu suoni senza fermarti mai.
E la scintilla che illuminò i suoi occhi mi obbligò ad acconsentire a quella richiesta. Mi obbligò a promettere che avrei fatto come richiedeva. Ma già sapevo che quella promessa non l'avrei mantenuta.


-Dò, i tecnici hanno finito. Possiamo cominciare.
Mi riscossi dai miei pensieri e guardai Carlo che mi guardava agitato.
Era agitato come tutti noi d'altronde.
Ogni volta che salivamo sul palco l'adrenalina scorreva a fiotti e l'ansia di pre esibizione ci sconvolgeva. Ma quella volta era peggio... perché quella era la presentazione del nuovo album, e all'agitazione si univa l'emozione.
Gli sorrisi teso, e poi lo superai avvicinandomi al palco che a pochi passi da me dava le spalle allo splendido spettacolo di cui i miei occhi stavano godendo.
Vidi Marco avvicinarsi alla batteria, Michi prendere posto alle percussioni. Francesco e Dario, i nostri fiati, si sistemarono sul lato destro mentre il sinistro era riservato a Rudy, il tastierista, e a Carlo, il bassista.
Guardai Biagio e Fausto che dietro al mix alzarono l'ok e abbassarono le luci.
Feci un respiro profondo e senza prendere la chitarra mi portai al centro del palco.
Per un secondo guardai le persone sotto di me, scorgendo i visi conosciuti dei nostri amici che instancabili seguivano ogni nostro concerto. Vidi Rosa, Lucia, Francesca. Paolo, Chiara e Antonio. Noemi, Debora, Barbara e Virginia. Vincenzo, Serafino e Andrea. Quelli della prima fila, li avevamo rinominati. E ciò che mi colpì maggiormente fu notare la sua assenza in quel gruppo di scatenati che sognavano insieme a noi.
Poi un applauso rimbombò nelle mie orecchie, catturando di nuovo la mia attenzione, e le urla e i fischi di approvazione mi fecero sorridere soddisfatto.
Avevamo scelto il suo paese per la presentazione del cd, perché mi sembrava il modo migliore di ripagarla della promessa che non avevo mantenuto, che non ero riuscito a mantenere, e perché i suoi compaesani erano il pubblico più bello che potesse esistere.
-Buonasera, paesello!
Come un sol uomo risposero al mio saluto, e senza preavviso un ricordo esplose davanti al mio viso.

-Imma, lo vuoi un bicchiere di vino?
-Naturalmente! Che domande fai?
Si mise a ridere mentre abbracciava Marco. Io le passai subito un bicchiere pieno e poi brindai.
Come al solito, si abbassò sulle ginocchia e piegò il collo di lato.
-Sei così medievale quando fai i brindisi...
Lei e Marco, ancora abbracciati, ricominciarono a ridere, e insieme cominciarono a darmi dello stupido. Che poi cosa c'era di tanto stupido in ciò che avevo detto?

Scossi la testa, tornai al presente, e guardai fisso davanti a me stringendo il microfono nelle dita fredde per darmi forza.
-È un onore e un piacere, per noi, essere qui stasera. Suonare per voi è sempre meraviglioso.
Altre urla di apprezzamento si levarono dalla gente che sotto il palco aspettava intrepida l'inizio del concerto, ma prima di iniziare a cantare avevo qualcosa di molto importante da dire.
-Stasera, per la prima volta, mi permetto di perdermi in chiacchiere prima di iniziare. Lo faccio perché sono qui, in questo paese che è un po' anche il mio ormai. Lo faccio perché è giusto e doveroso che io lo faccia. Perciò vi chiedo di avere un po' di pazienza e di prestare attenzione per due minuti. Vorrei che ascoltaste le parole che ho da dire.
Un silenzio quasi innaturale scese sulla folla e io deglutii, preso alla sprovvista da quella calma improvvisa.
Cercai di iniziare il discorso che nei giorni precedenti avevo scritto e imparato a memoria, ma non riuscivo a ricordare neanche una sola parola. Il vuoto più assoluto albergava nella mia testa, e così, all'ultimo momento, decisi di improvvisare.
-Come ben sapete, un mese fa è uscito il nuovo disco. Con stupore di tutti, esso si presenta molto diverso dal progetto originale, questo perché strada facendo, durante il percorso, il disco ha preso un'altra direzione. Questa direzione si chiama Imma, e sono di Imma gli occhi blu che grandi e scintillanti fanno bella mostra di sé sulla copertina.
Un applauso si levò alto e profondo, perché tutti ricordavano gli occhi di Imma. Blu come la sua macchina, blu come il suo lago, blu come il cielo nelle nottate autunnali.
-Imma è il nome di una ragazza. Una ragazza come non ne ho mai conosciuto altre. Sempre disponibile, dolce e gentile. Stare con lei era sempre divertente, perché la sua simpatia non mancava mai. Era un'amica sincera, che ti donava il cuore ed anche l'anima se glielo chiedevi... ed anche se non glielo chiedevi. Lei era buona oltre ogni limite, aveva un cuore grande come il mare, e aveva una voce bellissima.
Feci una pausa e attesi che qualcuno sbruffasse, ma nessuno lo fece. Il silenzio era carico d'aspettativa, e di nostalgia per quella ragazza che era stata amata da tutti.
-Imma era una forza della natura, rideva sempre, aveva una parola di conforto per chiunque ne avesse bisogno, era un raggio di sole per chiunque stesse vivendo una giornata nera. Era un'amica leale, di cui ti potevi fidare, e non ti abbandonava mai.
Presi un altro respiro, e dopo pochi secondi continuai ancora.
-Imma era la migliore amica che si potesse avere. Lei credeva in noi e nel nostro progetto fino a diventare parte del gruppo, perché lei si occupava della pubblicità, si occupava della vendita dei cd, si occupava dell'organizzazione dei progetti. Imma diceva sempre che saremmo diventati famosi, e che allora, avrei dovuto chiamarla sul palco e dargli un assegno di centomila euro, così si sarebbe comprata una villa in riva al mare, avrebbe fatto montare uno stereo sulla spiaggia, e avrebbe potuto ascoltarci comodamente sdraiata su una sdraio. Ma poi scoppiava a ridere e diceva che non avrebbe mai potuto farlo, perché lei amava stare sotto il palco, insieme a quelli della prima fila, e non sarebbe mai riuscita ad ascoltarci sdraiata.
La mia voce si incrinò sull'ultima frase, e per coprire la debolezza in cui ero incappato, tutti esplosero in un grosso applauso, tutto dedicato alla dolce Imma, che sicuramente ci stava guardando da lassù e stava gongolando per quelle parole. Perché lei adorava i sentimentalismi.
-Imma ha avuto un cancro. Nessuno avrebbe mai potuto immaginare che i suoi frequenti dolori al ginocchio dipendessero da un tumore e non da una mancanza di calcio. Quando l'hanno scoperto, ormai era troppo tardi, perchè le cellule infette avevano causato metastasi in tutto il corpo. Si poteva amputare la gamba per allungare di un paio d'anni la sua vita, ma Imma si è categoricamente rifiutata, perché diceva che per la vita che aveva condotto fino ad allora, passare qualche tempo in più su una sedie a rotelle le avrebbe tolto la vitalità. E allora, senza fare nessuna terapia, Imma ha vissuto al meglio gli ultimi sei mesi che le erano rimasti.
Nessuno sembrava scocciato dalle mie parole, nessuno sembrava stanco, e allora io continuai a commemorare la mia migliore amica, perché non ero il solo che le voleva bene. Non ero l'unico che ancora soffriva per la sua morte.
-Imma, quando l'ha scoperto, si è messa a piangere. Poi dopo aver realizzato la notizia non ha più versato una lacrima, ma ha vissuto gli ultimi giorni della sua vita sorridendo e gioendo di ciò che aveva. Imma mi ha ispirato molte delle canzoni di questo nuovo album, canzoni che parlano di quanto è bella la vita, di quando è disdicevole rischiare di perderla, e di quanto è doveroso vivere il momento. Imma mi ha insegnato a vedere i lati positivi di ogni cosa, scovando i pregi di ogni situazione negativa. Imma mi ha mostrato cosa vuol dire vivere davvero, e io sono grato a tutte le sue lezioni, perché hanno contribuito a rendermi un ragazzo migliore, un uomo migliore.
Qualcuno gridò “Vai Dodo”, altri invece gridarono “Vai Imma”, ed io mi trovai ad annuire, e a gridare insieme a loro.
-Si, vai Imma.
Dopo che anche le ultime persone smisero di applaudire, presi la chitarra e me la misi a tracolla. Mi avvicinai al microfono e dissi l'ultima cosa che mi venne in mente.
-Imma amava il vino rosso. Ne beveva quanto me, eppure era sempre più seria di quanto lo fossi io. Le ripetevo in continuazione che era una ubriachella, perché non era possibile che nonostante tutti quei bicchieri di vino fosse ancora sobria, e lei, ridendo, mi rispondeva che aveva un segreto. Prima di morire, quando ormai era immobile nel letto, le ho chiesto di rivelarmi questo segreto... lei si è fatta un'ultima risata, e mi ha risposto che bisognava fare spesso la pipì.
L'eco della risata di Imma si risvegliò nella risata delle persone che con affetto ricordavano, insieme a me, le sue scemenze e le sue battute.
-Imma era un pezzo del mio cuore... e un pezzo del cuore di tutti noi. Parlo a nome di tutti i presenti, ma soprattutto parlo a nome del nostro gruppo, che da Imma ha tratto insegnamento e divertimento. Lei fa parte di questo cd, e fa parte delle nostre vite anche se non c'è più. Per questo motivo voglio dedicare a lei tutto il nostro lavoro e il nostro sudore, perché lei non vedeva l'ora di ascoltare il prossimo concerto, e invece ad oggi non c'è arrivata.
Abbassai la testa e suonai l'accordo di Re Maggiore. Poi velocemente feci un giro di La. E finalmente riuscii a trovare la forza e il coraggio di alzare la testa.
-La chiamavamo Kamala, e lei rideva ogni volta. E io voglio immaginarla così. Sorridente e allegra come sempre, con un bicchiere di vino in mano e l'altra alzata che si muove a tempo di musica. Io vorrei brindare alla memoria di questa ragazza speciale, amica, amante e sorella perfetta. Canta insieme a noi, com'eri solita fare, e fai brillare i tuoi occhi blu, stasera.
E asciugando una lacrima ribelle che ancora una volta era sfuggita al mio autocontrollo, incominciai a suonare la sua canzone preferita, dando il via al concerto che portava il suo nome nel titolo e nei testi.




Ogni riferimento a persone o cose veramente esistite è puramente casuale!
Grazie a chi ha letto, grazie a chi ha commentato, grazie a chi, indirettamente, mi ha ispirato questa storia. Ti voglio bene.




Ecco il giudizio delle GiudiciEH :D


• Grammatica e forma: 12/14
• Caratterizzazione dei personaggi: 13/14
• Originalità della trama: 18.5/20
• Utilizzo del prompt scelto: 15/16
• Gradimento personale: 9.5/10
Totale: 68/74.

Commento Lily
La grammatica è sostanzialmente buona, la forma invece in alcuni punti, AIME’, lascia un po’ a desiderare, tante parole sono attaccate, non ci sono gli spazi e avresti potuto modificare la punteggiatura quel tanto che bastava per rendere tutto più fluido.
Per quanto riguarda il resto il punteggio parla da solo, i tuoi personaggi vivono entrambi sulla carta, per quando il POV di Dodo sia stato il mio preferito; la trama è intimistica e piuttosto originale, il prompt usato in maniera naturale e per niente forzata.
Il gradimento personale al massimo, perché è una storia che mi ha emozionata e le emozioni sono quelle che tutti cerchiamo, quando leggiamo.

Commento Only
La tua storia mi è piaciuta davvero molto. Soprattutto il secondo capitolo, perché sono riuscita a impersonarmi nel narratore. Nella prima parte, per quanto fosse ben scritta, non sono riuscita a ‘entrare’ nella protagonista; forse per la situazione estrema, forse perché è più difficile entrare nella testa di una malata terminale che in quella di un amico pieno di dolore. Per questo, purtroppo, la penalizzazione nella caratterizzazione; il POV di Imma è stato senza dubbio toccante, ma non sono riuscita a farlo mio come quello di Dodo.
La grammatica è buona ma, tra la fine del primo capitolo e l'inizio del secondo, ho trovato diverse sviste specialmente di punteggiatura, perciò ti ho penalizzata anche in quel parametro.
La trama non è particolarmente originale, diciamo che ti sei 'salvata' utilizzando persone normali come protagonisti, e non celebrità o personalità importanti.
Il prompt è stato utilizzato in determinati passaggi, e ha acquistato importanza per quello. Perciò il punteggio è molto buono.
Come ho già detto, la tua storia mi è piaciuta molto, ma purtroppo la prima parte mi ha lasciata un po' interdetta, non sono riuscita a impersonarmi nella protagonista e questo mi ha portata a penalizzarti un po' anche nel parametro del gradimento. Per il resto, ho adorato Dodo e mi è piaciuto molto il suo POV.




Premi speciali:

• Premio Giuria Lily: {Morte di una ragazza giovane} di ross_ana
[Perché sei riuscita a trasmettere le emozioni, anche ad una rilettura a freddo, sempre e comunque.
Perché è una storia ben strutturata, anche quando la rileggo con una mente da giudice e non da fangirl. Perché è bella.]

• Premio Fangirl Lily: {Morte di una ragazza giovane} di ross_ana
[Perché quando ho finito di leggere questa storia, ho PREGATO che tu avessi fatto pochi o nessun errore, perché ho dovuto rileggerla per correggerla, dato che la prima volta ero totalmente assuefatta dal testo.]




Grazie infinite a Only e Lily :)

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