The Bitch In The Red Dress

di ShadoWalker
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Ink Ribbon #1 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***



L'acqua calda scivola lenta dalla punta delle ciocche corvine, scorrendo lungo tutto il corpo in un percorso che parte dalla base del collo, via via per la spina dorsale costeggiando le anse dei fianchi, prima di rallentare sulle natiche sode e ben definite; appena tocca le gambe, fremo in un brivido di piacere prima che si perda sotto un nuovo getto.
La fragranza del bagnoschiuma al loto misto al vapore intorbidisce la mente quel tanto che basta per concedersi un momento di relax mentre la schiuma confonde le forme del petto sotto una sottile coltre bianca e soffice; le mani indugiano ancora un poco, sfiorando la pelle nuda mentre i pori sembrano dilatarsi per prendere respiro.
Libertà.
Ha un odore che avevo dimenticato.
Con la destra chiudo il miscelatore cromato e, mentre gli ultimi sussurri dell'acqua che finisce nella piletta trascinano con loro ogni stanchezza, il vapore si condensa contro le pareti di vetro smerigliato della doccia, producendo strani disegni che invitano al gioco.
L'anta scorrevole si scosta senza alcun rumore ed il piede tocca la superficie soffice del tappetino verde di spugna, ignorando volutamente l'accappatoio lindo appeso poco più in là; il bagno è accogliente e, per i soliti standard, enorme: una vasca idromassaggio automatizzata, box doccia un metro e mezzo per due con miscelatore a doppio getto, pareti con lettore mp3 integrato, pavimento ricoperto in pelle color avorio con mattonelle 45x45.
Al centro troneggia il lavabo marmoreo con un enorme specchio: ovale, con una corona di lampadine a spirale rosse e bianche che diffondono una luce soffusa, rilassante.
Innaturale.
Due perle grigie si riflettono in quell'oceano bloccato ai lati da quattro zanche, dorante anch'esse: inchiodano la stessa figura che riflette all'esterno, osservano quel taglio scombussolato e schiacciato dal peso dell'acqua calda, percepiscono i lineamenti enigmatici che hanno sempre rappresentato un universo sconosciuto mentre tutto il mondo sembra continuare il suo percorso lento, senza accorgersi delle trame d'ombra che scorrono lente e insidiose sotto la luce del sole.
La boccetta di profumo, piacevole omaggio dell'albergo, reca ancora la targhetta di benvenuto: Lieti di offrire solo il Meglio.
Si apre in silenzio mentre la mano posa il tappo in plastica rossa -intagliata come fosse di cristallo- e i vapori d'oriente si sprigionano da quel piccolo recipiente.
Due gocce sono sufficienti:
Attirare attenzione non è nel mio stile.
Il corpo rimane nudo mentre l'esile figura si sposta verso la zona notte con passi fermi e intangibili allo stesso tempo, lasciando sì che si asciughi a contatto dell'aria mentre si posa sul materasso due piazze.
Pagamento a carico del richiedente.
La piccola trasmittente sul comodino, accanto allo champagne, sta ancora in silenzio mentre le nuvole della sera tagliano il tramonto in frange irregolari ed il rosso si mescola con il rosa e l'arancio, una punta di lilla ed il blu che sfuma in lontananza fino al...led inevitabile che infrange la materia di cui sono fatti sogni, per i quali qui non c'è posto.
«Hai ricevuto l'incarico?» chiede una voce atona dall'altra parte del ricevitore.
Gli occhi scorrono verso la busta di cartoncino marrone chiusa da uno spago. Il contenuto è sparso sullo scrittoio di radica: qualche foto, una mappa e due fogli scritti a computer. Non recano alcuna intestazione.
«Ce l'ho sul tavolo»
«Spero che sia alla tua altezza» ironizza.
In risposta non riceve altro che un sorriso abbozzato a metà strada tra lo scherno e la convinzione.
«...quindi questa volta non sarà così semplice» considero piatta, cercando di giocare un po' con chiunque stia all'altro capo dell'apparecchio.
«Da ciò che conosco, non sei mai stata tipo da accettare missioni qualunque»
«Solo dell'altro lavoro».
Incredibile come il mio riflesso nella finestra sia più interessante: a vedermi per intero, fossi lesbica ci farei quasi un pensiero.
«Hai tempo da stasera alle 21. Nel frattempo goditi la cena e...un'altra cosa».
Attendo qualche istante e basta il silenzio per far capire che non c'è bisogno di chiedere 'cos'altro mi vuoi dire?'.
«Nonostante tutto, hai ancora un corpo degno di una dea».
Il pulsante rosso pone fine alla conversazione.

La clip che tiene uniti i quattro legacci sulla schiena viene chiusa mentre i fili di strass toccano la pelle nuda; il collare di stoffa sorregge il drappo che lascia scoperta buona parte di seno la parte terminale dei fianchi, allacciato sotto l'inguine mentre una gonna a fascia raggiunge forse la metà coscia; il doppio laccetto di pelle nera ferma alla caviglia le scarpe col tacco 12 adatto a muoversi senza problemi in ogni situazione; l'orologio è al suo posto e la piccola trasmittente pure.
Solo due piccoli dettagli: il primo, il collarino nero, immancabile; il secondo, un tocco di rossetto.
La pressione di un pulsante ed un getto di fiamme sprigionato dal caminetto a gas riduce in cenere i documenti letti in precedenza.
Due sono le parole che vengono inghiottite per ultime dal fuoco, due parole che forse alcuni ricordano ma che dalla mente dei più sembrano essere state cancellate.
Non importa.
Un nome non si scorda mai dopo averlo sentito almeno una volta. Il mio nome.
Ada Wong.

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Capitolo 2
*** Ink Ribbon #1 ***


La porta dell'ascensore si aprì nel momento in cui raggiunse il piano terra: la grata dorata venne gentilmente spinta dall'usciere in divisa rossa mentre un turbinio di luci e colori soffusi investiva gli occhi degli invitati.
Il responsabile della Reception attendeva gli ospiti, impeccabile: nonostante i cinquant'anni passati, il balzer nero su misura delineava un fisico tale da mettere in ombra molti sbarbatelli che, finanziati dai genitori, decidevano di trascorrere in quel luogo il loro "weekend di svago"; lontano dalla noia quotidiana si ristoravano con la pace offerta, escort incluse nel prezzo.
Quel tipo sarebbe parso una deliziosa mummia se non fosse stato per il volto sinceramente sorridente, incorniciato da una folta e corta massa di capelli grigi; gli occhietti verdi sprizzavano ancora vitalità e, sebbene fosse ingessato a causa del proprio mestiere, non aveva perso animo e cordialità. Una grande quanto piacevole maschera che, nonostante tutte queste benemerenze, nascondeva la vera realtà di quella struttura per volere del proprietario del complesso.
Dalla targhetta in metallo appuntata sul petto della casacca, spiccava il nome inciso in nero: E.Rowell.
«La sala da pranzo è situata alla vostra destra. La cena verrà servita alle ore venti. Siete gentilmente invitati al nostro cocktail di benvenuto che si terrà nella Hall centrale tra quindici minuti. Vi ringraziamo di aver scelto l'Hotel Reminiscence come vostra meta e saremo lieti di rispondere ad ogni Vostra esigenza».
Il breve e asettico discorso di benvenuto diede il via allo scorrere di quella piccola fiumana di corpi, giovani e non, verso la sala centrale dove erano già stati predisposti tavoli, bicchieri, alcolici e non. Ada fu fatta cortesemente passare avanti da due rampolli rientranti a pieno nella categoria 'fidanzato ma eternamente single se il buco è disponibile' che non risparmiarono apprezzamenti e commenti di sorta, mentre il triste tintinnio dei gioielli delle giovani ragazze pronte a concedersi per una o più notti si mescolava mestamente allo scalpiccio degli alligatori in smoking. Alcuni sarebbero pure stati tentati di allungare una mano verso le sue natiche sode se lo sguardo più che eloquente del signor Rowell non li avesse freddati sul colpo: in più di una occasione aveva chiesto discrezione in simili occasioni ma ogni volta il tutto si era tramutato in petulanti rampogne. Tuttavia detestava tali comportamenti su altre clienti che preferivano utilizzare la struttura in maniera normale.
Non che fosse nelle intenzioni di Ada sfruttare l’albergo in quella maniera ma una cosa che non aveva mai perso in tutti gli anni di servizio presso l’Organizzazione, era sicuramente la discrezione.
In breve tempo raggiunse il tavolo del rinfresco e le fu offerto un bicchiere di spumante; attraverso le bollicine che fluttuavano nel calice, osservava quel nuovo mondo che le si era composto come un puzzle: ognuno di quei giovanotti recava con se un nome che valeva diverse migliaia di dollari e tra quelli si celava il suo bersaglio.
A mente ripercorse la scheda pervenutale poco tempo addietro.
Andrew Matterson, trentasette anni, figlio di Gregory Matterson e Pauline Dorin; laureatosi in biochimica all’età di ventiquattro anni, vantava di stima e rispetto tra i coetanei, oltre che suscitare una certa invidia.
Percorso di studi ineccepibile: dopo la laurea di base in Chimica aveva conseguito un master in Chimica organica per poter entrare nel laboratorio del padre, dove da qualche anno aveva preso piede una ricerca sulla rigenerazione cellulare; per quattro volte aveva partecipato come semplice spettatore ai convegni mondiali sullo studio e sperimentazione delle nuove biotecnologie ed aveva assimilato molte più informazioni che ogni altro astante.
L’unica macchia sul suo curriculum stava nel fatto che ne ricerche, ne esperimenti effettuati fossero mai stato registrato o reso regolare: ciò era stato possibile grazie alla copertura offerta dal generoso genitore e, dato ben più preoccupante, nessuno era a conoscenza della gravità o l’impegno di tali esperimenti.
Sfortunatamente per Andrew, il padre era deceduto due anni addietro, lasciandogli un immenso patrimonio in custodia poiché la moglie non possedeva alcun titolo o potere legale su di esso: difatti Gregory era riuscito ad ottenere in segreto l’annullamento legale del matrimonio tramite l’aiuto di Paul Neverhill, giudice corrotto con le mani invischiate nei traffici più loschi dell’intero paese.
Come fosse sempre riuscito a farla franca non è un mistero, vista la possibilità di poter appoggiarsi agli uomini che vantavano un capitale ad almeno dieci zeri.
Tornando al giovane Matterson, aveva uno spiccato savoire faire con il gentil sesso e più volte era stato pizzicato al Reminiscence in compagnia di diverse damigelle.
Una serata di sesso sfrenato non era cosa alla quale avrebbe saputo mai rifiutare, nonostante lo scarso successo ‘pratico’: quello che si chiama il differire della pratica dalla grammatica.
Una doccia fredda la costrinse a tornare al mondo reale, mentre un tovagliolo bianco le tamponava la pelle della schiena.
«Chiedo scusa» disse una premurosa voce alle sue spalle.
Era un ragazzo sui ventisette anni, capello scuro e occhio chiaro: sicuramente preferiva di gran lunga intrattenersi in palestra piuttosto che a letto.
«Davvero non so come scusarmi» ripeté. «Ero intento a conversare e non ho visto un gomito che…sono mortificato.»
«Ci sono danni peggiori » fu la laconica risposta della donna mentre con gli occhi inseguiva virtualmente il suo bersaglio nella sala da pranzo.
«Fortunatamente non si è macchiato il vestito altrimenti le avrei procurato il disturbo di doversi andare a cambiare».
Le tamponò la schiena con un tovagliolo asciutto prima di presentarsi.
«Il mio nome è Warren, Warren Salthon»
«Ada, Ada Wong»
«Piacere mio» disse con un sorriso schietto.
Sembrava fortunatamente diverso da quella muta di cani dediti a sbavare davanti al cibo o alle tette di una donna. Difatti i primi apprezzamenti furono sul vestito, non sul suo contenuto.
«A breve sarà servita la cena. Posso chiederle di unirsi a me?» chiese poi in preda a un atto di coraggio dettato forse dall’ingenuità.
Per poco non esplose un 'Capitan Ovvio' a caratteri luminosi sulla parete della sala principale ma la donna decise di accettare: quel ragazzo aveva attirato in qualche modo la sua attenzione.
 
«E così è venuta qui per un viaggio d'affari» considerò Warren dopo essersi pulito la bocca dal sugo di pesce, gioioso intingolo per palati raffinato che accompagnava le tagliatelle.
«Si, un viaggio d'affari»
«Una maledizione» disse accompagnando il tutto con una smorfia di disappunto. «E' per lo stesso motivo che mi trovo in questa prigione provvista di tutti i comfort: la voglia di mio padre di partecipare a cene di questo genere rasenta l'invisibile e voilà! Quale occasione migliore per esporre a ludibrio l'incompetenza del figlio negli affari»
«Affascinante comportamento genitoriale. Suppongo che l'economia non rientri nei tuoi interessi, Warren».
Lui posò la forchetta sul tavolo, sfregandosi poi il viso e stropicciandosi gli occhi.
«Se penso alle possibilità che mi hanno fatto sprecare, mi si rode il fegato».
Ada inclinò la testa dopo averla appoggiata sulle mani intrecciate: quel giovane era semplice, ingenuo e decisamente staccato dalla mediocre e altezzosa noblesse improvvisata da affari più che illeciti. Sembrava non accorgersi dell'abnorme quantità di pescecani che gli sguazzava attorno, neanche fosse un brandello di carne fresca.
Sfortunatamente, nemmeno lui sembrava percepire quel pericolo.
«Da dove cominciare?» chiese poi retoricamente levandosi il tovagliolo dal grembo.
«Laureato con il massimo dei voti nella prestigiosa Accademia di Preston in Educazione Fisica e Tecnica Sportiva, seguita da un master in Psicologia dello Sport. Mia madre aveva già provveduto all'iscrizione a Fisioterapia ma mio padre ha deciso di bloccare l'iscrizione per qualcosa di più proficuo chiamato Marketing ed Economia delle Aziende».
Il tono era passato dal lamentoso al decisamente depresso. Un buon salto di qualità.
«Non mi sono mai interessato di politiche, pratiche e numeri tuttavia, la mente brillante di mio padre ha voluto che acquisissi esperienza direttamente sul campo di conseguenza...eccomi qui, sbattuto su un altro pianeta, a fare la figura di perfetto imbecille mentre gente parla di quotazioni, bilanci e altre cagate incomprensibili. Ma basta, non ho più voglia di annoiarti con questi discorsi. Te piuttosto, cosa ci fai in mezzo a tutta questa bella gente».
Il tono con cui Warren le si rivolse, la fece sorridere e socchiudere gli occhi, rendendo appena visibili le iridi ipnotiche.
«Niente di interessante: mi diverto a osservare giovani rampolli che muovono i loro primi, impacciati passi in un mondo sconosciuto e mi intrattengo ridendo alle loro spalle quando registro le loro espressioni allucinate».
Warren scoppiò a ridere.
«Questo è un modo per dirmi che ognuno deve rimanere al suo posto»
«Sei un ragazzo sveglio Warren ma voglio lasciare aperta ogni possibilità» proseguì inclinando le labbra.
Ogni volta che Ada sorrideva, la mente degli uomini si perdeva in un mare di nebbia e nessun Tom Tom era riuscito, fino ad ora, a far trovare la strada di casa a quella marea di cervelli persi.

Solo due uomini erano riusciti a resistere al suo fascino nel corso degli anni: Albert Wesker, morto l'anno precedente per una bella overdose di Uroboros -seccato in seguito dal fratello Redfield- e Jack Krauser, deceduto a seguito dello scontro con l'agente R.P.D. Leon Scott Kennedy.
Tra i due aveva sempre trovato più simpatico il secondo nonostante avesse compreso il suo doppio/triplo gioco e la sua avversione per il sesso femminile: anni di addestramento militare dovevano averlo decisamente irrigidito e, suo malgrado, non in quella zona che passava dal basso ventre all'inguine.
Di lui si ricordava lo sguardo carico di una sadica e spasmodica voglia di uccidere, forte e consapevole di essere colui che poteva porre fine alla vita di Leon.


«Chi turba i tuoi pensieri: un uomo?» la interruppe lui.
«Vuoi che sia sincera?» chiese ammiccando.
«Preferibilmente» aggiunse allargando le braccia.
«Due»
«Ah»
«Sei un ragazzo simpatico Warren» si sbilanciò lei «E con un cervello. Devo privarti della mia compagnia per qualche istante».
Dopo aver posato il tovagliolo sul tavolo, Ada si alzò in piedi facendo frusciare il suo più che succinto abito prendendo la direzione del bagno.
«Visto che abbiamo saltato il secondo, conto di vederti per il dolce»
«Troppo cliché dirti che devo incipriarmi il naso?»
«Nelle regole dell'universo femminile» osservò lui.
Senza aggiungere altro, la donna abbandonò il tavolo, lasciando il giovane Salthon di fronte ad una coppa di Chardonnay: attraversò il ristorante e il corridoio fino a giungere alla porta di mogano delle toilette.
Come il resto dell'albergo, anche i bagni rasentavano l'assurdo della raffinatezza e poco ci mancava che fosse in dotazione anche un addetto che rassettasse gli ospiti dopo aver completato le consuetudini corporali.
Aprì la pochette ed estrarre la trasmittente celata sotto le fattezze di un portacipria dopo essersi accertata che non ci fossero presenze indesiderate; indossò il minuscolo auricolare e una voce metallica percorse il suo intero canale uditivo.
«Sembra che tu sia riuscita a calarti nel pieno della festa»
«Ma sembra che qualcuno si sia dimenticato il mio tappeto rosso» commentò sarcastica, facendo trasparire una nota di risentimento.
«L'abito non era forse sufficiente?» rilanciò la voce dell’uomo dalla trasmittente.
Come in precedenza, Ada lasciò cadere l'osservazione nel vuoto.
«Ho agganciato una persona in prossimità del nostro bersaglio» proseguì riferendosi al giovane Warren.
«Sto ascoltando»
«Un giovane che non sa nulla di ciò che gli accade intorno o almeno così parrebbe».
Il silenzio che seguì prese i definiti contorni dell’attesa di chi vuole saperne di più.
«Warren Salthon, un giovane rapante con poche capacità di sapersela cavare in un mare che pullula di pescicani. Qua dentro potrebbe essere definito come il vaso di coccio tra quelli di ferro».
«Il pesce più pericoloso è quello che cela le sue fattezze con il fondale: apparentemente innocuo ma letale. Non voglio sorprese specialmente se si tratta di un vaso di coccio»
«Tranquillo. Non penso che sia il tipo da assurde manovre e, fino a prova contraria, ho sempre mantenuto promesse e lavori fatti»
La trasmissione si chiuse assieme all'ovale d'avorio.
Passando davanti allo specchio, Ada si soffermò davanti alla sua immagine riflessa e si prese un istante di pausa prima di decidersi a voler rientrare in quell’assurda mascherata: Matterson era il suo obiettivo e la presenza di Salthon disturbava quella che sarebbe dovuta essere una passeggiata. Non che disdegnasse la sua compagnia: tutto sommato si sentiva rilassata e, ameno per ora, riusciva ad evitare la marea di sguardi lascivi di un branco di lumaconi seduti alla loro sinistra.
Prima di tornare nella sala da pranzo, entrò in una delle quattro toilette e, silenziosamente, infilò nel condotto di aerazione una piccola microspia comandabile che aveva trovato nella stessa busta marrone contenente i documenti sul rampollo dei Matterson: il piccolo disco metallico produsse un piccolo tonfo sordo appena percettibile dopo esser scivolato senza fatica tra le lamelle.
Con lo stesso silenzio felino, Ada scese dalla scaletta di ceramica improvvisata e, nemmeno l’impatto dei tacchi col suolo produsse alcun rumore. Onde evitare sospetti tirò lo sciacquone.
Quando riaperse il battente bianco e dorato, notò con sollievo che nessun altro era entrato nel bagno: abbassò la maniglia d’ottone e tornò a fare compagnia al giovane Salthon che nel frattempo aveva fatto coprire i piatti del secondo tenendoglieli in caldo.
«Perdona il ritardo» esordì lei, sedendosi.
«Il trucco ti ha dato più filo da torcere del previsto?» chiese divertito lui, non ottenendo risposta.
Dopo un piccolo colpo di tosse imbarazzato, Warren si scusò per essere stato inopportuno suscitando nuovamente in lei una certa ilarità.
«Mi trovi divertente o ti faccio solamente ridere?»
«Nessuna delle due – commentò lei – te l’ho detto prima Warren, ti ritengo una persona piacevole».
Tuttavia Ada si rese conto di non avere più tempo a disposizione per scambiare chiacchiere con Warren e, senza che lui se ne accorgesse, attivò il piccolo dispositivo che aveva piazzato in precedenza nel condotto. Quel piccolo marchingegno era stato teleguidato fino ad arrivare alle giunture dei tubi dell’acqua: non appena premette il pulsantino nascosto sotto il bottone della pochette, questo esplose, danneggiando irrimediabilmente i condotti, facendo si che l’acqua rifluisse verso i bagni.
Le imprecazioni delle dame e dei signori che si trovarono investiti da acqua e liquame, non furono tra le più nobili e diverse richiamarono l’attenzione delle sfere celesti.
«Che succede?» esclamò Warren dopo aver sentito il trambusto alle sue spalle, fermando una donna che correva in direzione opposta.
«E’ esplosa merda ovunque imbecille! Non senti la tanfa?» gli urlò in faccia prima di riprendere a correre verso la Hall.
«Decisamente signorile» commentò Ada guardandola di bieco e riuscendo a stento a trattenere un risolino.
«Warren, presumo che la serata sia giunta al termine prima del previsto» disse poi «E’ stato piacevole trascorrere un po’ di tempo con te».
«Piacere mio. Ora ci conviene andarcene da qui: sembra che gli scarichi stiano pian piano raggiungendo anche i tavoli. Non vorrei trovarmi a sguazzarci dentro» osservò il giovane.
 
In pochi istanti, Ada si trovò fuori dalla Sala da Pranzo e, prima che Warren potesse avere tempo di intercettarla di nuovo, rapidamente imboccò la via che portava alle scale antincendio facendo attenzione a non essere vista.
Aprì la trasmittente e, dopo i consueti bip che seguirono l’accensione, avviò il collegamento.
«Il diversivo sembra aver fatto effetto»
«Ottimo» rispose la consueta voce metallica. «Gli ingressi per il recupero si trovano tra il sesto ed il settimo piano. Nel condotto di destra troverai tutto quello che ti serve. Se dovessero riprendersi prima del previsto, sai cosa fare».
«I dispositivi per il black out di emergenza sono già stati piazzati e basta un solo comando per attivarli» affermò la donna.
«Nuovo contatto all’arrivo».
Chiuse la trasmittente e corse velocemente verso il sesto piano, non badando ad uno strano rumore alle sue spalle.






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Ecco la prima parte effettiva del racconto che, dopo diversi cambiamenti, rimpensamenti, tagli e aggiunte, ci porta nel 'vivo' (anche se trattandosi di Resident Evil è una parola che non si adatta molto) dell'azione. A breve mi metterò all'opera per la seconda parte. Spero aver catturato la vostra curiosità ;)

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