La Ragazza Delle Macchinette di Scarcy90 (/viewuser.php?uid=31253)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Mi Piacerebbe Capire Che Vuole Sta Sciroccata ***
Capitolo 2: *** Adesso Mi Tocca Anche Ascoltare La Ramanzina Di Una Mocciosa ***
Capitolo 3: *** Odio Vedermi Sbattuta In Faccia La Verità! ***
Capitolo 1 *** Mi Piacerebbe Capire Che Vuole Sta Sciroccata ***
La Ragazza Delle Macchinette- Capitolo 1 (new)
La
Ragazza Delle
Macchinette
Prologo
Una sconosciuta, ecco
cos’era. Davvero avevamo
frequentato per quasi cinque anni la stessa scuola? Non avevo mai
notato quella
ragazza, eppure sin dal nostro primo incontro capii che doveva essere
speciale.
C’era qualcosa nel suo sguardo che mi attraeva e
m’incuriosiva.
Per
la mia mente lei era sempre stata una
perfetta estranea ma il mio cuore aveva riconosciuto il suo e sentivo
che
niente mi avrebbe più separato da lei.
La
odiavo, perché mi rendeva troppo fragile.
La ammiravo per la sua grinta. La detestavo perché durante i
nostri litigi
riusciva ad avere sempre la meglio. E l’amavo…
Dio, se l’amavo…
Massimiliano,
o “Massi” come amava farsi
chiamare,
era l’unico e viziatissimo figlio di Lucifero
Il Figlio Della Prof-
Capitolo 1
Capitolo
1: Mi Piacerebbe Capire Che Vuole Sta Sciroccata
-Perfetto come al
solito, Draco. Ora puoi
anche tornare a posto.-
Sarebbe stato
impossibile che un professore
pronunciasse parole diverse da quelle dopo una delle mie interrogazioni.
Il figlio di una
professoressa non si può
permettere di prendere una sola insufficienza, soprattutto se la
propria madre
insegna nella sua stessa scuola. Conoscevo mia madre. Lei mi diceva
sempre che
dovevo far finta che non fosse nel mio stesso edificio, dovevo vivere
il mio
percorso scolastico senza sentirmi condizionato dalla sua presenza, ma
non era
una cosa semplice da fare. Sapevo che lei chiedeva in continuazione ai
miei
professori quale fosse la mia media e conoscevo molto bene la sua
espressione
quando non era soddisfatta di me.
Lei non parlava ma
io capivo lo stesso.
Perciò
fin da bambino avevo imparato a non
presentarmi mai impreparato ad un’interrogazione, anche se
non ottenevo un otto
o un nove cercavo di non scendere mai sotto la sufficienza.
Negli ultimi anni i
professori erano sempre
soddisfatti di me e mia madre fingeva di non intromettersi nella mia
vita,
anche se io sapevo perfettamente che mi teneva costantemente sotto
controllo.
Non conoscevo mia
madre come professoressa,
per me era una madre che pretendeva molto ma che sapeva essere
adorabile se si
era alzata dalla parte giusta del letto.
Sentendo le voci che
giravano all’interno
della scuola, non era difficile pensare che anche la
professoressa Claudia D’Arcangelo fosse un
po’ come mia madre.
Se la si beccava in un giorno giusto le si poteva anche chiedere di non
interrogare, altrimenti era molto meglio affrontare
l’interrogazione senza
provare a replicare e prendersi il voto che lei riteneva più
opportuno.
Il professor Caputo,
il mio professore di
italiano, mi rimandò al posto anche quel giorno con il suo
solito sorriso
soddisfatto, lo stesso che vedevo giorno dopo giorno sui volti della
maggior
parte dei miei insegnanti.
-Anche questa volta
hai meritato un nove, Draco.
Continua così.-
Ritornai a posto e
mi sedetti con calma.
-Sei sempre il
solito-, mi sussurrò il mio
compagno di banco trattenendo a stento una risata.
Marco Iovine. Ormai
non ricordavo neanche più
quando era cominciata la nostra amicizia. Mia madre mi aveva raccontato
di come
Marco ed io ci eravamo conosciuti, ma avevamo solo due anni quindi io
non
potevo ricordarlo. A quanto sembrava era stato un incontro piuttosto
casuale avvenuto
tra i nostri genitori. Un giorno d’estate le nostre famiglie
si erano ritrovate
ad essere vicine d’ombrellone e mia madre aveva ovviamente-
come sempre, lo
faceva con ogni donna più o meno della sua età-
attaccato bottone con la madre
di Marco. Nel frattempo Marco ed io stavamo giocando con la sabbia fino
a
quando non avevamo cominciato a litigare come due pazzi.
Da quel giorno non
avevo più rivisto Marco,
almeno fino a quando le nostre madri non avevano deciso, per pura
coincidenza,
di iscriverci allo stesso asilo.
La nostra amicizia
era cresciuta molto
lentamente, e nel giro di un anno eravamo diventati praticamente
inseparabili.
Due piccole pesti brave solo a far danni.
-Lascialo in pace,
Marco-, disse una voce
dietro di me.
Sorrisi nel
sentirla.
Era Sabrina De
Giorgi la nostra unica amica
che non avesse voglia di strapparci i vestiti con la sola forza del
pensiero.
Era entrata nelle
nostre vite quando avevamo
all’incirca sei anni. Si era trasferita a Lecce da un paese
di provincia dove
aveva vissuto con i genitori a casa dei nonni. Era diventata la mia
vicina di
casa e in più una mia cara amica. La gelosia di Marco non
poteva sopportare una
cosa del genere e quindi aveva dato subito del filo da torcere alla
povera
Sabrina che aveva sempre sopportato le frecciatine di Marco.
Ad un certo punto,
senza rendermene conto,
dovevo anche essermi preso una mezza cotta per Sabrina, ma era stata
solo una
cosa passeggera e piuttosto infantile. E per fortuna, visto che alla
superiori
Sabrina e Marco avevano deciso di abbassare le armi e di diventare una
coppia.
La loro era stata
una storia bellissima,
intensa e vissuta appieno, ma il loro istinto li aveva portati a capire
che
quella che era nata come un’amicizia alla fine sarebbe
tornata ad essere tale,
perciò troncarono, decidendo di restare amici per tutta la
vita, o almeno fino
a quando non si fossero uccisi a vicenda.
-Ma non vedi che sta
diventando un vero
secchione?- chiese Marco scocciato.
-Il fatto che stia
studiando sodo non
significa che Massi sia un secchione! Almeno prende più di
qualche sei stentato
come fai tu, razza di somaro!- esclamò Sabrina a bassa voce.
Marco stava per
rispondere ma proprio in quel
momento suonò la campanella della ricreazione.
Come ogni giorno,
Marco ed io ci fiondammo
fuori dall’aula pronti a farci vedere da quanti
più soggetti di sesso femminile
fosse possibile. Non che avessimo bisogno di andarci a cercare delle
ragazze,
venivano da sole senza che noi le incoraggiassimo in alcun modo.
Tra noi due era
sempre stato Marco quello che
era riuscito ad attirare più ragazze, con i suoi seducenti occhi azzurri- che a me
ricordavano tanto quelli di un
pesce lesso- e i suoi meravigliosi- sì, come no!- capelli
scuri. Non avevo mai
capito che ci trovassero le ragazze in un tipo come lui, ma essere suo
amico
aveva diversi vantaggi. Uno dei miei preferiti era la
popolarità. Fin da bambino
avevo sempre amato essere al centro dell’attenzione,
probabilmente era mania di
protagonismo, ma a me piaceva che si parlasse di me e che la gente si
voltasse
a guardarmi quando passavo per strada o per i corridoi della scuola.
Era una
sensazione unica sapere che tutti gli occhi erano puntati su di me.
Forse
potrei apparire un tantino egocentrico… Be’ non me
ne importa nulla!
-Ciao Massi!-
-Oddio, quello
è Marco Iovine!-
-Quanto sono belli!-
-Potrebbero fare i
modelli!-
-Ma da quale gene
della D’Arcangelo è uscito
quel capolavoro?!-
I commenti delle
ragazze che ci vedevano
durante il momento della ricreazione era sempre su questi toni. Erano
ammaliate
dalla nostra presenza e dai nostri atteggiamenti. Le ragazze si
professavano
costantemente le più intelligenti e le più furbe
ma poi bastava un ragazzo con
un bel viso e un bel fisico per farle capitolare.
Dubitavo che
nell’intero complesso del Liceo
Classico Virgilio ci fosse un solo essere di sesso femminile che non
desiderasse parlare con me e Marco. Noi eravamo il sogno proibito di
ogni ragazza
e ci piaceva esserlo.
-Oggi non ho proprio
voglia di avere a che
fare con questo branco di galline starnazzanti-, mormorò
Marco con aria
afflitta mentre ci dirigevamo verso le macchinette.
-Come mai? In genere
ti piace parlare con le
ragazze-, risposi sorpreso.
-Non pensi mai che
tutte queste oche ci
vengono dietro solo perché siamo popolari? A volte penso che
sarebbe molto
meglio trovare una ragazza che mi odia e provare a farla innamorare di
me,
almeno sarei certo che i suoi sentimenti sono sinceri e non dettati dal
fatto
che tutte le sue amiche hanno una mia foto sotto i loro cuscini.-
-Sinceramente credo
che far innamorare una
ragazza che mi odia sarebbe troppo faticoso, con tutte quelle che
cadono ai
miei piedi con solo un mio sguardo perché dovrei complicarmi
con qualche pazza
che non è già cotta di me?-
Era la
verità. Non avevo né il tempo né tanto
meno la voglia di impantanarmi in una storia seria, e quindi
complicata, a soli
diciott’anni. Meglio divertirsi finché ce
n’era la possibilità.
Agli occhi della
gente, tra me e Marco, il
bravo ragazzo sembravo io, forse perché i miei voti erano
sempre alti. In
realtà era Marco quello che poteva essere il tipo da
fidanzata fissa, domeniche
a pranzo dei genitori di lei, anello di fidanzamento e matrimonio.
Non che io fossi una
specie di pericolo
pubblico però odiavo impegnarmi troppo con una ragazza e
fare troppo lo
sdolcinato. Non erano cose da me!
-Vorrei solo
qualcuno da poter amare sul
serio-, concluse Marco quando ormai eravamo davanti alle macchinette.
-L’amore
è complicato e non segue mai i nostri
desideri e le nostre aspettative. Penso sia molto meglio evitare
accuratamente
d’innamorarsi.- Forse la mia era un’idea un
po’ troppo cinica ma era sincera e
ponderata.
-Scusate, ragazzi-,
disse una voce femminile
alle nostre spalle.
Marco ed io ci
voltammo trovandoci davanti tre
mocciose che potevano essere al massimo del secondo anno. Mi scocciava
dover
parlare con delle ragazzine ma non sarebbe stato da me cacciarle via in
malo
modo, come invece avrei voluto fare.
-Dite-, cominciai
con un sorriso.
-Ci stavamo solo
chiedendo…-, cominciò una di
loro, quella che poteva essere la più carina del gruppo,
-… Ecco, abbiamo
sentito dire che voi siete amici fin dall’asilo, e che siete
stati sempre inseparabili.
Volevamo solo chiedervi se è vero?-
Ah, che dolci ed
innocenti ragazzine! Stavano
usando l’approccio del sentito dire. Non erano le prime a
provarci ma era
sempre divertente trovarsi davanti a ragazze che usavano atteggiamenti
più
maturi per riuscire a conquistare me o Marco.
-Sì,
è vero-, rispose Marco sorridendo.
Mi lanciò
un’occhiata d’intesa. Eravamo appena
entrati in modalità “rimorchio”. Non lo
facevamo spesso con ragazze più piccole
di noi ma quelle tre erano davvero carine.
Come al solito
assumemmo un’aria decisa e ci
poggiammo alle macchinette per ostentare una posizione più
attraente.
Non potevo metterci
la mano sul fuoco ma mi
era sembrato che le ragazze sospirassero vedendo il nostro cambiamento.
-Massi ed io siamo
diventati amici durante il
periodo dell’asilo-, continuò Marco facendo
l’occhiolino in direzione della
ragazza che poco prima ci aveva rivolto la domanda. –Eravamo
inseparabili.-
-Ed avevate
già tutto questo fascino?- chiese
la seconda ragazza, un po’ più alta rispetto alle
altre e di certo molto più
sfrontata.
Le riservai un
sorriso conturbante, ma proprio
mentre stavo per risponderle accadde qualcosa d’inaspettato.
Un leggero colpo di
tosse attirò la mia
attenzione per un istante ma decisi di non dare peso a quel rumore.
Riprovai a
rispondere alla domanda di quella ragazza ma qualcos’altro mi
costrinse ad
alzare lo sguardo.
-Scusate-, disse una
voce piuttosto scocciata.
Era una ragazza. Di
certo anche lei doveva
essere all’ultimo anno come noi ma aveva un viso serio e
deciso che la faceva
apparire addirittura più matura della sua età. I
capelli castani le ricadevano
sulle spalle in fluidi boccoli appena accentuati e il suo viso non
troppo
piccolo era di una forma un po’ paffuta ma molto attraente.
Sarebbe potuta
essere una ragazza bellissima se solo i suoi profondi occhi castani non
continuassero a scrutarmi in modo così severo.
-Serve qualcosa?-
chiese Marco senza accennare
ad abbandonare la modalità “rimorchio”.
Lo sguardo di quella
strana ragazza si fece
ancora più penetrante.
-Sì, fino
a prova contraria i distributori
servono a prelevare cibo e bevande. Non mi sembrava che servissero
anche come
salotto.-
Ci lanciò
un’altra occhiata dura e penetrante.
Doveva essere proprio incavolata nera, nessuna ragazza mi aveva mai
rivolto
sguardi di quel genere. Ero abituato davvero a tutto ma non
all’odio.
Sembrava che Marco
si fosse imbambolato a
fissarla. Non ne capì subito il motivo ma non mi ci volle
troppo ad arrivare ad
una conclusione di certo esatta: quella ragazza lo aveva colpito e
anche
parecchio.
In effetti era
bella, anche se la sua era una
bellezza del tutto ordinaria. Niente splendenti occhi color del cielo o
setosi
capelli biondi. Niente che potesse distinguerla dal resto della
marmaglia
femminile diffusa sul pianeta. L’unica cosa che la rendeva
diversa ai miei
occhi, e sicuramente anche a quelli di Marco, era il fatto che non
nascondesse
di detestarci. Si vedeva a chilometri di distanza che non le stavamo
simpatici
e la cosa m’incuriosiva parecchio, ma mai quanto potesse
interessare a Marco.
Lui amava le sfide, e quindi tendeva a prendersi cotte per ragazze che
non lo
consideravano cercando di farle innamorare di lui. Era accaduto solo
una volta
con Sabrina e alla fine erano rimasti amici, forse non gli conveniva
provarci
una seconda volta.
-Hai ragione-, disse
Marco con il suo solito
sguardo da angioletto che di solito riservava alle ragazze che gli
piacevano
sul serio. –Ci spostiamo subito.-
Forse non avevo
sentito bene? Aveva usato il
plurale, per caso?
“Ci
spostiamo subito”. Da quando in qua
esaudivo i desideri di una stupida ragazzina che giocava a fare
l’adulta? Non
gliel’avrei data vinta così facilmente!
-Aspetta, Marco.-
Le riservai uno
sguardo pieno di sicurezza e
continuai fissandola negli occhi.
-Scusa, tesoro. Ma
questo è un paese libero,
perciò io e il mio amico abbiamo il diritto di stare dove ci
pare e piace!.-
Notai immediatamente
che gli occhi di lei si
stavano stringendo in una smorfia di stizza. Sembrava che non fosse per
niente
influenzata dal mio fascino e tantomeno da quello di Marco. Non sapevo
cosa mi
stesse spingendo a farlo ma in quel momento far arrabbiare quella
sciroccata
era diventato il mio gioco preferito.
Si vedeva che stava
per esplodere, e io avevo
il detonatore per innescare quell’ordigno colmo di ira.
-E’ vero,
però io ho bisogno di una
bottiglietta d’acqua. Basta che uno di voi due tolga il suo
regale fondoschiena
di lì, così io prendo la mia acqua e sparisco di
qui in meno di un secondo. Non
mi sembra di chiedervi chissà che cosa.-
La sua voce era
più calma rispetto a poco
prima, forse si era trattenuta apposta dallo sbraitarmi contro, ma la
mia
risposta fu molto più decisa e perfida della sua.
-No!-
Fregata! A quella
piccola ed innocua parola il
suo viso di era gonfiato di rabbia e il suo sguardo avrebbe potuto
anche
uccidermi. L’avevo davvero fatta imbestialire, e la cosa mi
piaceva.
-Come, scusa?- il
suo tono era gentile, però
si sentiva che era solo una copertura per evitare di mettersi ad
urlarmi
contro.
-Ho detto di no!-
Incrociai le braccia con
fare deciso e la fissai, la stavo sfidando. –Non ci
spostiamo.-
-Massi, smettila di
fare l’idiota-, disse
Marco. Come al solito il suo gene da “principe azzurro pronto
a salvare una
fanciulla in pericolo” aveva preso il sopravvento su di lui.
–Falle prendere
l’acqua.-
Mi voltai per
rispondere a Marco, ma quella
ragazza fu più veloce di me.
-Dai retta al tuo
amico Massi.-
Come mi aveva
chiamato? Il tono che aveva usato
per pronunciare il mio nome... Ci aveva messo tanto sarcasmo da poter
riempire
il Gran Kanyon, ed era una cosa che non potevo sopportare.
Probabilmente se non
fosse stata una ragazza le avrei tirato un pugno.
La ragazzina aveva
raccolto il mio guanto di
sfida e non sarei stato io a perdere.
-Non ho alcuna
intenzione di spostarmi-,
risposi anche a costo di sembrare un bambino stupido e cocciuto.
-Massi, adesso basta
fare l’imbecille.- Marco
tentò ancora una volta di farmi ragionare ma io non avrei
ceduto. Non volevo
dare soddisfazione a quella ragazzina idiota e impertinente!
Proprio in quel
momento la campanella suonò.
Lanciai uno sguardo tagliente in direzione di quella tizia ma lei si
era
voltata all’improvviso facendo qualche passo deciso verso le
scale. La mia
reazione fu immediata.
-Vai già
via?- chiesi con tono compiaciuto.
Si era fermata solo
per un istante che forse
avevo colto solo io e ricominciò a camminare in direzione
delle scale. Non mi
conosceva, non ero il tipo che si arrendeva così facilmente.
Aveva appena salito
il primo gradino quando
dissi: -Non mi hai sentito per caso? Sei una che molla facilmente.-
Avevamo aperto una
sfida e adesso lei non
poteva andarsene via in quel modo.
Nel sentire quelle
mie parole la ragazza si
bloccò e lentamente si voltò verso di me.
I suoi occhi castani
erano puntati dritti nei
miei e per un attimo avvertì come uno strano brivido lungo
la schiena, anche se
non sapevo da cosa fosse stato causato.
-Sai Marco-, disse
con un sorriso, - è inutile
che continui a ripetere al tuo amico di non fare l’imbecille,
si sa che
difficilmente un essere umano riesce ad andare contro la sua natura.-
Non potevo crederci!
Aveva vinto lei. Le sue
parole mi avevano trovato talmente impreparato che non avevo idea sul
modo in
cui poter ribattere.
Lei mi sorrise
soddisfatta.
-Rifletti un
po’ su questa mia pillola di
saggezza, caro Massi.- Detto questo si voltò con i lunghi
capelli che le danzavano
sulle spalle mentre la mia mente era come annebbiata da quello che era
appena
accaduto.
Nessuna ragazza mi
aveva mai trattato in quel
modo e non sapevo come ma prima o poi avrei ottenuto la mia rivincita.
Non
potevo permettere che lei si sentisse superiore a me solo
perché era riuscita a
lasciarmi di stucco con le sue parole acide.
-Quella ragazza
è stata davvero maleducata.-
Mi voltai verso una
delle ragazzine con cui io
e Marco stavamo parlando fino a pochi minuti prima.
All’improvviso non m’interessava
più di tanto rimorchiare una di loro. La rabbia che quella
strana sciroccata mi
aveva fatto esplodere dentro era troppo intensa perché
potessi pensare ad altro
e fingermi dolce con delle mocciose.
-Torniamo in
classe-, dissi a Marco.
-Tu vai avanti, io
devo fare una cosa-,
rispose lui tirando fuori qualche monetina dalla tasca. Le
inserì nella
macchinetta e premette il pulsante per la bottiglietta
d’acqua.
-Non vorrai
mica…-, mormorai incredulo.
Prese la
bottiglietta d’acqua caduta nel
contenitore e si voltò verso le ragazze.
-Scusatemi ma ora
Massi ed io dobbiamo andare,
e anche voi dovreste tornare in classe.-
Loro ci guardarono
un po’ deluse e annuendo
andarono via.
-Marco non puoi
farlo!- esclamai appena
rimanemmo da soli.
-Lo sto
già facendo-, rispose lui sorridendo
come un ebete.
Ormai era andato.
-Quella ragazza
è fuori di testa, non ci starà
mai-, era la verità, Marco avrebbe potuto provare di tutto
ma quella tipa non
era alla sua portata, non era per niente adatta per lui. Di certo era
troppo
impegnativa per il mio amico.
-Mi piace, e non la
tratterò male come hai
fatto tu. Le ragazza vanno corteggiate non prese a frecciatine-,
rispose con
sguardo di rimprovero.
-Perché
mai avrei dovuto corteggiarla?- chiesi
incredulo.
Marco mi rivolse uno
sguardo strano.
-Non dirmi che
quella ragazza non ha colpito
anche te. Non sono molte quelle che ci trattano come degli stupidi, e
lei è
fantastica. Non ho intenzione di lasciarmela sfuggire!-
Aggrottai la fronte
scocciato.
-Fai quello che ti
pare-, risposi voltandomi
per tornare in classe. –Ma quella tizia è
completamente fuori di testa e tu con
le ragazze come lei non ci sai fare. Avrai solo problemi.-
Non attesi la sua
risposta e voltai l’angolo
per tornare in classe.
Pensandoci Marco
aveva ragione. Quella ragazza
mi aveva colpito ma questo non significava che io ci dovessi provare
con lei.
Era complicata sia da capire che da trattare e io non avevo alcuna
voglia di
affondare in una situazione così difficile.
Se Marco ci teneva
tanto a portarle la sua
bottiglietta d’acqua e a fare la parte dell’eroe
che aveva sconfitto il mostro
cattivo, erano solo affari suoi. Sinceramente avrei preferito non
rivedere mai
più quella pazza. Era bella, ma non aveva niente per cui
valesse la pena di
perdere tempo a corteggiarla. Era tutta di Marco se proprio la voleva
così
tanto.
Tornai lentamente in
classe e vidi, senza
alcuna sorpresa, che era vuota. Avevamo educazione fisica e il
professor
Serrano doveva essere già arrivato. In genere anche se Marco
ed io non eravamo
in classe al suo arrivo non diceva nulla: forse eravamo un tantino
favoriti con
Serrano. Probabilmente perché eravamo i migliori in
educazione fisica e grazie
a noi, l’anno precedente, la squadra di calcio e la squadra
di pallavolo della
nostra classe avevano vinto il campionato scolastico.
Mi diressi verso il
mio banco e presi i miei
Reyban nuovi di zecca e gli indossai.
Lo sguardo mi cadde
sui Reyban identici ai
miei che stavano sul banco di Marco. In quel momento l’idiota
del mio amico
stava facendo la figura dello stupido e probabilmente stava mettendo in
tremendo imbarazzo quella fusa di testa. Stranamente a quel pensiero un
sorriso
mi si allargò traditore sulle labbra: mi piaceva
l’idea che quella ragazza
antipatica fosse infastidita da qualcuno che non le piaceva. Se lo
meritava!
Presi gli occhiali
di Marco e mi diressi verso
le scale.
Avevo sceso quasi
tutti i gradini quando udì
due voci conosciute.
-Giovanni, come
è andato Massi?- chiese la
voce femminile mentre sentii che la macchinetta stava riempiendo un
piccolo
bicchierino di plastica di caffè.
-Puoi stare
tranquilla, Claudia. Tuo figlio
non ha alcun tipo di problema, né con me né con
altri suoi professori. Oggi gli
ho messo un meritatissimo nove. Il suo percorso scolastico è
davvero lodevole.-
Un altro bicchierino
si stava riempiendo.
-Sono contenta di
sentirtelo dire. Cerco
sempre di non fargli pressioni ma non riesco a starmene in un angolo
senza
sapere tutto quello che combina.-
-E’ del
tutto normale. Diventa difficile
essere razionali quando ci sono di mezzo i propri figli, sono certo che
Massimiliano non direbbe nulla se sapesse che t’informi sul
suo andamento
scolastico.-
Questo era da
vedere! Odiavo quando mia madre
s’intrometteva nella mia vita. Avrebbe potuto chiederlo a me
come era andata
l’interrogazione, ma lei si fidava più delle
parole dei suoi colleghi. Quando
faceva così la odiavo!
-Spero che sia
così-, rispose lei.
-Adesso dobbiamo
tornare in classe, prima che
i ragazzi decidano di buttare giù l’edificio.-
-Devo andare in
seconda liceo ora-, rispose
mia madre sbuffando. –Quella classe è impossibile,
non studiano mai. I sette
sul mio registro si contano sulle dita di una mano.-
Il professor Caputo
fece un risatina divertita
e sentii il rumore dei due bicchieri di plastica che erano stati
buttati nel
cestino dell’immondizia.
I passi di mia madre
erano chiari e decisi
mentre si allontanavano da me.
Scesi gli ultimi due
gradini e sospirai.
Sarei mai stato
libero? Mia madre avrebbe mai smesso
d’intromettersi nella mia vita?
Troppe domande,
poche risposte.
Non sopportavo
l’idea dell’ignoto e ancora
meno riuscivo a concepire il fatto che mia madre avrebbe sempre saputo
tutto di
me, addirittura prima ancora che lo sapessi io.
Insomma, non ero
più un bambino! Avrebbe anche
potuto lasciarmi vivere la mia vita in pace!
-Ehi, amico!-
Sussultai nel
sentire quell’esclamazione
dietro di me.
-Marco!- dissi
voltandomi. –Mi hai fatto
prendere un colpo, accidenti a te!-
-Scusa-, rispose
scendendo il gradino che ci
separava. –Te ne stavi imbambolato a fissare il vuoto.
E’ successo qualcosa?-
Alzai le spalle.
-Mia madre ha
attivato il suo sensore da CIA,
niente di nuovo.-
-Ha chiesto a Caputo
della tua
interrogazione?- domandò mettendomi una mano sulla spalla.
Annuì con
un gesto stanco.
Non volevo
più parlare di mia madre, era
meglio cambiare argomento.
Mi voltai verso
Marco.
-Vedo che sei ancora
tutto intero, è andata
bene?-
In realtà
non m’interessava un fico secco di
come quella ragazza avesse reagito nel vedersi arrivare in classe un
Marco
Iovine sorridente e con una bottiglietta d’acqua in mano,
neanche fosse un
anello di fidanzamento. Però volevo parlare di qualcosa che
non riguardasse mia
madre o il mio andamento scolastico.
-Benissimo!-
esclamò Marco entusiasta.
-Davvero?- non
credevo che quella ragazza
avrebbe ceduto così facilmente.
-Credo che abbia
cercato di liquidarmi in
tutti i modi, ma alla fine è stata la professoressa a
cacciarmi via minacciandomi
con un invito in un party nell’ufficio della Preside-,
rispose lui con un
sorriso.
Era questa
l’idea che aveva di “benissimo”?!
Come avevo immaginato la sciroccata
non voleva avere nulla a che fare con lui. Avrebbe fatto meglio ad
arrendersi
subito e a metterci un bella pietra sopra, anzi un macigno.
-So cosa stai
pensando: secondo te non ho
speranze.-
-In
effetti…-
-Non ho voglia di
arrendermi-, continuò lui
sempre sorridendo mentre ci avviavamo verso il cortile. –Lei
mi piace, mi piace
molto.-
-La cosa proprio non
m’interessa.- Non volevo
più sentir parlare di quella ragazza, il solo ricordarla mi
faceva uscire fuori
dai gangheri.
-Lo sai, abbiamo
parlato anche di te durante
il nostro breve ma intenso incontro-, disse poi Marco guardandomi con
un
ghigno.
-Ah, sì?-
chiesi con tono disinteressato.
-Più che
altro è stata lei a parlare, credo
che abbia detto che sei un egocentrico, megalomane,
narcisista… O qualcosa del
genere.-
Mi bloccai di scatto
mentre la rabbia mi
saliva alla testa facendomi annebbiandomi la mente.
-Cosa ha dettto?! Ma
come si permette quella
mocciosa?! Chi diavolo si crede di essere?!-
-Calmati, non credo
che abbia detto niente di
male, dopotutto tu sei un po’ di tutte queste cose messe
insieme, più altri
aspetti più positivi.-
-Se questo
è il tuo modo per farmi passare la
rabbia, ti comunico che non funziona!-
Lo fulminai con lo
sguardo e mi diressi a
passi svelti verso il cortile.
La nostra scuola non
aveva una palestra, o
meglio ce l’aveva, ma in quel momento ospitava una classe-
fine che avevano
fatto anche il laboratorio di scienze e la sala video-
perciò a volte capitava
che dovessimo dividere il cortile con altre classi.
Sfortunatamente a
noi era capitata una classe
del quinto ginnasio composta per tre quarti da ragazze. Fin qui non ci
sarebbe
nulla di strano a parte…
-O mio Dio! Eccoli!-
-Sono Marco e Massi!-
-Quanto sono belli!-
Attraversai il
cortile sentendo una marea di
urletti di quel genere, e la mia testa minacciò seriamente
di scoppiare. In
genere tutte quelle attenzioni mi facevano piacere ma adesso proprio
non le
sopportavo quelle ochette starnazzanti.
Marco camminava al
mio fianco e lanciava
sorrisi al gruppo di ragazze.
-Draco. Iovine. Dove
eravate finiti?- chiese
Serrano alzandosi dalla panchina dove era seduto.
-Scusi, professore-,
iniziai cercando di
ritrovare un po’ di calma. –Iovine non si stava
sentendo bene e allora siamo
rimasti in bagno. Sa, ieri ha mangiato pesante, e oggi non riesce a
stare lontano
dal water, ha l’intestino delicato.-
Guardai Marco con un
sorriso compiaciuto.
Sapevo che avrebbe voluto uccidermi ma quella piccola rivincita mi
aveva fatto
ritrovare il buonumore.
-Capisco-, disse
Serrano annuendo. –Se non te
la senti di prendere parte alla partita, Iovine, puoi restare seduto
qui.-
-No-, rispose subito
Marco. –Adesso sto meglio,
posso giocare.-
Mi lanciò
un’occhiata raggelante e io gli
sorrisi.
Giocammo una partita
contro la classe che
divideva il cortile con noi. Non era facile concentrarsi con tutte
quelle
ragazzine che gridavano il nostro nome ma alla fine l’ora
finì.
Al termine di quella
pesante giornata
scolastica stavo di nuovo davanti alle macchinette per prendermi
qualcosa da
mangiare prima di tornare a casa, quando vidi Marco venire nella mia
direzione
con un sorriso enorme stampato in faccia.
-Che ti è
successo?- gli chiesi mentre
addentavo il mio Twix.
-Lei… Lei
è… meravigliosa…-, mormorò
sorridendo ancora di più.
-Per Lei
intendi la sciroccata di stamattina?- alzai un sopracciglio continuando
a
masticare.
Lui annuì
senza smettere di sorridere.
-Le hai parlato di
nuovo?-
Non
m’interessava sapere quelle cose ma le
domande uscivano fuori prima che io potessi fermarle.
-Sì,
l’ho incontrata nel parcheggio degli
scooter. Ha voluto per forza restituirmi i soldi dell’acqua.-
Ci avrei scommesso
che lo avrebbe fatto!
Figuriamoci se avrebbe mai accettato di farsi offrire qualcosa da Marco
Iovine.
-Se non ho capito
male ti ha liquidato di
nuovo. Allora mi spieghi perché sei così
contento?- chiesi piuttosto confuso.
La ragazza stava cercando di fargli capire in mille modi che non era
interessata
ma Marco era davvero cocciuto. Conoscendolo avrebbe insistito anche a
vita, ma
sentivo che lei non avrebbe mai ceduto.
Non era adatta ad un
tipo come Marco.
-Sono contento
perché ho scoperto come si
chiama…-, disse con aria sognante.
-Wow-, mormorai
ironico. –Che bel traguardo,
adesso conosci il nome della ragazza che ti manderà a quel
paese in mille
lingue diverse. Sei grande Marco!-
-Che
c’è? Ti scoccia che io ci stia provando
con lei?- chiese lui con un sorriso di sghembo.
-Più che
altro vorrei evitare che il mio
migliore amico si ritrovi con le chiappe per terra cercando di farsi
una tizia
che non se lo fila. Quella lì non è alla tua
portata, trovate una che si possa
innamorare di te senza che rischi di essere ucciso.-
-Mi dispiace ma io
voglio lei-, rispose Marco
deciso.
-Fa come ti pare, io
sono stanco e me ne torno
a casa-, dissi gettando la carta del Twix nel cestino e dirigendomi
verso
l’uscita.
-Non puoi andartene,
hai dimenticato che
dobbiamo fare una cosa prima?- mi chiese con tono di supplica.
Conoscevo quel tono,
lo usava solo quando
voleva convincermi a fare qualcosa che non volevo, e ultimamente lo
usava solo
in un’occasione.
-Va bene, ma questa
è l’ultima volta che vengo
con te. Odio spiare Camilla, è una cosa che detesto
profondamente.-
Lui annuì
rincuorato, mentre ci dirigevamo
verso gli scooter.
***L'Autrice***
Ed ecco a voi il primo capitolo de "La Ragazza Delle
Macchinette". Alcuni di voi lo hanno già letto, visto che lo
avevo pubblicato mesi fa ma spero che non vi scocci il fatto che io lo
abbia ripubblicato. Per chi invece si trova per la prima volta davanti
a questa storia ve lo devo dire... Purtroppo potrò
pubblicare al massimo un altro paio di capitoli perchè se
vado troppo avanti si scoprirebbe tutta la trama principale de "Il
Figlio della Prof". Quindi appena avrò finito di pubblicare
tutti i capitoli de "Il Figlio della Prof" continuerò anche
con questa, promesso... ^^
Comunque a parte queste comunicazioni spero che il capitolo
vi sia piaciuto. Come ho detto anche in altre occasioni, non
è per niente semplice entrare nella mente di un ragazzo,
nella mente di uno come Massi poi è praticamente impossibile
però ci ho voluto provare lo stesso e spero che il risultato
non sia totalmente da buttare.
Rubo ancora qualche riga per ricordare a tutti che "Il Figlio
della Prof" ha un forum e un gruppo su Facebook, se li vorrete visitare
sarò felicissima di accogliervi. Ringrazio per l'aiuto
immenso che mi danno con il Forum: Alina, Bec, Bea e Mary... ^^ Vi
voglio bene!
Spero di rivedervi al prossimo capitolo, ma anche nei prossimi capitoli
de "Il Figlio della Prof"! xD
Un bacio grandissimo a tutti!
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Capitolo 2 *** Adesso Mi Tocca Anche Ascoltare La Ramanzina Di Una Mocciosa ***
La Ragazza Delle Macchinette- Capitolo 2 (new)
La
mia giornataccia non era ancora finita,
anzi
avevo
la sensazione che fosse appena cominciata.
Il Figlio Della
Prof- Capitolo 2
Capitolo 2: Adesso Mi Tocca Anche Ascoltare La
Ramanzina Di Una Mocciosa
Se c’era una cosa
che proprio non sopportavo
di quel deficiente di Marco era la sua perenne preoccupazione per la
sorella.
Tra Marco e Camilla
c’erano appena quattro
anni di differenza ma lui l’aveva sempre trattata come una
bambina, nonostante
lei fosse una ragazza piuttosto indipendente che riusciva sempre a
cavarsela da
sola. Anche per me era come la sorella che non avevo mai avuto ma, a
differenza
del mio amico, capivo che a volte aveva bisogno di avere più
spazio, come
qualsiasi quindicenne di questo mondo. Un concetto che Marco stentava a
capire,
un po’ perché aveva la mania di proteggerla e un
po’ perché fin da quando
Camilla era nata i loro genitori l’avevano affidata alle cure
di Marco,
facendogli promettere di non perderla mai di vista e di aiutarla nel
momento
del bisogno. Loro non stavano molto a casa per colpa della professione
che
esercitavano. La madre di Marco era un cardiochirurgo mentre suo padre
era un
avvocato, quindi Marco si era sempre preoccupato di sua sorella. Per
lei aveva
imparato a cucinare e a cantare la ninnananna. Camilla adorava suo
fratello ma
da quando la controllava in modo così opprimente stava
iniziando a pensare che
gli mancasse qualche rotella. Non potevo di certo
biasimarla…
C’erano
stati talmente tanti episodi di Marco che pedinava Camilla che ormai
avevo
perso completamente il conto. La cosa preoccupante era che
l’aveva sempre
pedinata, o comunque seguita, fin da quando la sorella aveva imparato a
camminare.
Da un paio d’anni
aveva cominciato anche ad
uscire con dei ragazzini. A quanto diceva lei, e io le credevo, erano
solo
amici, ma da allora Marco era diventato ancora più ossessivo
nel volerla
controllare. Così da quando Camilla aveva iniziato a
frequentare le superiori,
un anno prima, quasi ogni giorno Marco mi trascinava davanti al Liceo
Scientifico De Giorgi per controllare la sorella.
Quanto lo odiavo! Se avessi
potuto lo avrei
preso a pugni, forse avrebbe riacquistato un po’ di buon
senso con una dose
massima di violenza!
Dubitavo che al mondo
esistesse un’altra
persona che controllasse la sorella o il fratello quanto e come faceva
Marco.
Come ogni volta
parcheggiammo gli scooter
dietro l’edificio del De Giorgi e tornammo verso il cancello
principale
nascondendoci dietro ad un enorme albero da dove Camilla non avrebbe
potuto
vederci.
-Marco, se mi chiederai
un’altra volta di fare
una cosa del genere preparati la tomba perché ti
farò fuori-, sibilai
minaccioso.
-Ho capito, ho
capito…-, rispose lui distratto
mentre il suo sguardo era puntato verso il cancello.
Ormai
mancavano pochi secondi al suono della campanella.
Diversa gente, probabilmente
venuta a prendere
i propri figli, si fermava a fissarci come se fossimo dei molestatori.
Avrei voluto uccidere Marco
in quello stesso
istante ma suonò la campanella e i ragazzi cominciarono ad
uscire da scuola
creando una vera e propria marea umana.
-Eccola-,
bisbigliò Marco con voce decisa.
In effetti individuai subito
Camilla in mezzo
alla folla di ragazzi che stava uscendo dall’edificio. Era
una ragazza di
altezza media con capelli biondi lunghi fino alle spalle. Lei e Marco
si somigliavano
poco o niente, sia caratterialmente che fisicamente, ma i loro occhi
erano della
stessa identica tonalità azzurro cielo. Ereditati dalla
madre.
-Togliamoci di qui-,
mormorò Marco vedendo che
Camilla stava venendo nella nostra direzione.
Proprio mentre ci stavamo
spostando verso il
muretto in modo da andare dietro l’edificio, notai uno
scooter passare non
troppo lontano da noi. Non sapevo perché ma la ragazza che
era alla guida mi
aveva attirato. Aveva il casco e non mi sembrava di conoscerla ma avevo
sentito
il bisogno di guardarla.
-Sbrigati-,
m’intimò Marco tirandomi dietro al
muro.
Dimenticai quella ragazza
sullo scooter nel
momento stesso in cui l’avevo vista, ero troppo impegnato ad
odiare Marco per
poter pensare ad altro.
-Hai visto?- mi chiese lui
incrociando le
braccia mentre io salivo sul mio scooter.
Lo guardai confuso.
-Visto cosa?-
-Come cosa?! Quel moccioso
che camminava
affianco a Camilla, quello che aveva due chili di gel tra i capelli!-
Oh certo, come se ci fosse
stato un solo
moccioso pieno di gel che cammina accanto a Camilla. Almeno tre quarti
dei ragazzi
che erano usciti dal De Giorgi corrispondevano a quella descrizione, e
io non
avevo di certo notato proprio a quello che stava accanto a Camilla,
sempre se fosse
esistito questo fantomatico ragazzo.
-Marco, quando si esce in
ottocento da un
cancello non tanto grande può succedere che si cammini
praticamente
appiccicati. Questo non vuol dire che devi far fuori tutti quelli che
camminano
a meno di due metri di distanza da Camilla-, dissi infilandomi il
casco.
-Fidati, il moccioso che ho
visto io non le
stava semplicemente camminando accanto. La guardava in un modo che non
potrei
mai fraintendere. Se mi capita tra le mani lo prendo a pugni fino a
quando non
avrà compiuto diciott’anni.-
-Esagerato…-,
mormorai mettendo in moto.
-Andiamo a casa mia?- chiese
lui accendendo lo
scooter e infilandosi il casco.
Annuii. In genere nei giorni
in cui mia madre
doveva rimanere a scuola anche il pomeriggio mi autoinvitavo a casa di
Marco
per pranzo.
Stavamo per partire quando
lo scooter di Marco
emise uno strano rumore. Mi voltai a guardarlo e vidi del fumo scuro e
denso
uscire dal tubo di scappamento. Poi si sentì un rumore
piuttosto inquietante e
lo scooter si spense.
-Ma che
diavolo…?- si chiese Marco smontando
dallo scooter e cercando di rimetterlo in moto, senza avere alcun
successo.
Mi tolsi il casco e osservai
il mio amico
cercare in tutti i modi di rianimare il suo destriero ma non ci fu
proprio
verso. Non c’era neanche un piccolo borbottio che potesse
dare una qualche speranza
che si decidesse a rimettersi in moto.
-Secondo me è
andato-, dissi con tono di
comprensione.
-Non dire così-,
esclamò Marco provando ancora
una volta a farlo partire.
-Guarda che è
andato sul serio-, continuai
notando che era inutile provare ancora.
Marco tentò
ancora una volta e poi diede un
calcio alla ruota stizzito.
-Accidenti a questo
trabiccolo!-
In effetti non era la prima
volta che
succedeva una cosa del genere, quello scooter era famoso per i suoi
capricci.
-Possiamo portarlo al
meccanico qui vicino-,
proposi rimettendomi il casco. –Vado ad avvisarlo tu intanto
comincia ad
incamminarti, ti aspetto lì.-
-Okay-, rispose Marco
sbuffando. Odiava dover
stare senza scooter e non potevo di certo biasimarlo, dopotutto erano i
nostri
mezzi di trasporto.
Arrivato dal meccanico lo
avvisai dell’arrivo
del mio amico e quello si organizzò subito per accogliere il
suo nuovo
“paziente”.
-Non è la prima
volta che succede una cosa del
genere-, spiegai all’uomo magro, alto e sporco di olio per
motori che mi stava
davanti nella sua tuta blu scura.
-Quindi ha provato a
metterlo in moto e si è
spento?- chiese lui cercando di capire.
-Proprio così.-
-Be’ potrebbe
essere qualsiasi cosa ma vedrò
di capire meglio appena avrò lo scooter sotto mano.-
Dieci minuti dopo Marco
arrivò spingendo
stancamente il suo scooter.
L’uomo con la tuta
blu lo prese in consegna e
ci disse di ripassare il giorno dopo. Avrebbe dato una controllata e ci
avrebbe
fatto sapere.
Ringraziammo e ci dirigemmo
fuori
dall’officina. Marco sbuffava ad ogni passo, era davvero
seccato e non potevo
di certo biasimarlo.
-In compenso, tolto quel
cavolo di scooter,
oggi è stata una giornata davvero interessante-, disse con
un sorriso enorme
che avrebbe fatto impallidire Eddie Murphie.
-A cosa ti riferisci?-
chiesi montando sul mio
scooter e prendendo il casco.
-A lei
ovviamente… -, rispose lui con aria sognante.
-Lei…?- mormorai
stranito, poi all’improvviso
capii. –Marco, non dirmi che stai ancora pensando a quella
pazza isterica delle
macchinette?-
-Certo-, annuì
lui convinto. –Come si può dimenticare
una ragazza simile, vorrei proprio riuscire ad avere il suo numero.-
Scossi la testa incredulo.
-Smettila di sognare-, lo
rimproverai mettendo
in moto. –Quella non è alla tua portata,
rischieresti solo di fare la figura
dell’idiota.-
Lui mi guardò per
un istante poi un sorrisetto
gli si dipinse sulla faccia mentre il mio sopracciglio si
alzò istantaneamente
sorpreso da quella sua espressione.
-Magari non è
alla mia portata ma alla tua sì,
eh Massi-, disse ammiccando. –Ammettilo che quella ragazza ha
affascinato anche
te.-
Per un attimo, ma solo per
un istante, gli
occhi di quella ragazza mi tornarono in mente, prepotenti e nitidi come
se
l’avessi avuta davanti in quel preciso momento. Erano occhi
diversi, erano occhi
che sentivo di voler conoscere meglio, ma non per questo quella tizia
mi aveva
affascinato. Più che altro, lei e il suo caratteraccio, mi
avevano decisamente
fatto girare le scatole. Piccola impertinente!
-Non dire stupidaggini,
razza d’idiota. Solo a
te potrebbe piacere una fuori di testa come quella-, risposi con un
tono
piuttosto convincente.
Marco mi fissò
ancora per qualche istante e
alla fine si arrese.
-Se lo dici tu. Per me lei
è una ragazza
davvero fantastica, varrebbe anche la pena di fare lo sciopero della
fame se
questo servisse a convincerla ad accettare un mio invito-, disse
infilandosi il
casco e salendo dietro di me.
Più lui diceva
sciocchezze del genere e più io
continuavo a pensare che per una così non avrei sprecato
neanche un secondo
della mia vita. Non aveva proprio senso perdere tempo con lei, avevo
decine di
ragazze ad aspettarmi e di certo non avrei mollato tutto solo per
seguire una
che probabilmente mi odiava già a morte.
Troppi rischi e poche
certezze per i miei
gusti.
Meglio che fosse Marco
quello a darsi da fare
per nulla, io me ne sarei stato in un angolino a guardare mentre la
pazza
isterica gli dava una sonora batosta. Una di quelle che il mio amico
non
avrebbe dimenticato troppo facilmente. L’idea mi piaceva
parecchio, lo dovevo
ammettere.
Il traffico di Lecce a
quell’ora di punta mi
sfiancava. Auto, scooter, autobus… La gente si riversava
sulle strade con
qualsiasi mezzo per prendere i bambini che uscivano da scuola, per
tornare a casa
o semplicemente per mangiare da qualche parte durante la pausa pranzo
dall’ufficio.
Marco ed io vivevamo in una
zona residenziale,
e le nostre case non erano troppo lontane l’una
dall’altra.
Quando finalmente riuscii a
divincolarmi dalle
code e ad allontanarmi dal traffico mi sentii decisamente meglio, anche
se
avevo come una strana sensazione che m’impediva di essere del
tutto tranquillo.
Era davvero strana, come di qualcosa che avevo dimenticato e che
cercava in
ogni modo di tornarmi in mente senza che io glielo permettessi. Era una
sensazione
di attesa e di ricerca. In effetti, non capivo neanche io cosa fosse ma
sapevo
che prima o poi avrei trovato il modo per appagare quel senso di
aspettativa…
Senza neanche rendermene
conto ero arrivato
davanti a casa di Marco e proprio in quel momento stava arrivando anche
Camilla
che tornava a casa con l’autobus.
-Avete fatto tardi-, disse
lei una volta che
ci raggiunse. –Che fine ha fatto il tuo scooter?-
Marco scese dal mio scooter
e si tolse il
casco.
-Non lo immagini? La stessa
fine che fa una
volta a settimana da due mesi a questa parte…-, disse
parecchio irritato.
-Ti ha lasciato di nuovo a
piedi?- chiese lei
con l’ombra di un sorriso divertito sulle labbra, ma per
fortuna lo notai solo
io. Senza farmi vedere da Marco ricambiai in pieno quel sorrisetto. Cam
era
davvero una forte, molto più sveglia e disincantata del
fratello. Se non
l’avessi considerata una sorellina, o addirittura una
bambina, ci avrei anche
potuto fare un pensierino, ma ogni volta che la guardavo mi tornavano
in mente
i nostri momenti passati, quando lei aveva ancora pannolino e ciuccio e
allora
ogni fantasia su di lei si spegnava immediatamente. Lei era
Cam… Solo questo.
Anche se ero certo che una
volta, da bambina,
lei si fosse presa una cotta per me.
Più che una
certezza era stata una sensazione.
Marco ed io avevamo appena tredici anni e Camilla ne aveva solo nove.
Era San
Valentino e a scuola le avevano fatto scrivere un bigliettino da dare
al bambino
che le piaceva. Tutte le sue amiche lo avevano dato ai bambini della
loro
classe ma lei lo aveva conservato e quel pomeriggio lo aveva dato a me
presentandolo come un regalo che voleva dare al suo “secondo
fratello”.
Nonostante avessi avuto solo tredici anni avevo capito che quella
lettera con
su scritto “Ti voglio un mondo di bene” sia in
italiano che in inglese, non era
solo il regalo di una sorella. Lo sguardo di Cam mentre mi aveva dato
quel
piccolo pensierino era inequivocabile: le sue guance erano rosse
d’imbarazzo…
Imbarazzo? Camilla Iovine non era tipo da imbarazzarsi o da arrossire.
Camilla
Iovine era forte e determinata, niente avrebbe mai potuto farla
arrossire,
tranne una lettera di San Valentino donata al ragazzo che le
piaceva… In quel caso
ero io quel ragazzo, ero io la causa del suo imbarazzo.
Non occorre dire che anche
Marco aveva capito
il vero significato del gesto di Camilla e la cosa non gli era piaciuta
per
niente. Non tardò a farmelo notare ed io non esitai a
spiegargli la mia posizione
al riguardo. In genere Marco riusciva a capire sempre quando mentivo e
quella
volta colse al volo quanto le mie parole fossero sincere.
Neanche un anno dopo,
cominciai ad uscire
seriamente con delle ragazze e pian piano vidi che lo sguardo di
Camilla
tornava ad essere quello di sempre. Lo stesso sguardo che rivolgeva a
Marco,
quindi capii: la sua era stata solo una cotta passeggera di quelle
durante le
quali si scrive il nome del ragazzo in questione sul diario, se ne
parla un po’
con le amiche, si fantastica un po’ su di lui ma niente di
più… Niente di
abbastanza duraturo, fortunatamente. Finì tutto
lì per la mia serenità ma soprattutto
per quella di Marco, che di certo non avrebbe mai permesso che la sua
sorellina
uscisse con me. Pensandoci mi veniva seriamente da ridere come un
pazzo.
-Quel catorcio!-
imprecò Marco stizzito mentre
entravamo in casa. –Devo dirlo a mamma.-
-Cosa mi devi dire?- chiese
una voce femminile
proveniente dalla cucina.
Marco, io e Camilla ci
guardammo. Erano anni
che la madre di Marco non tornava a casa per l’ora di pranzo,
in genere per lei
era più comodo restare in ospedale.
-Mamma?- chiese Marco
esitante.
Ci dirigemmo con calma in
cucina ancora
piuttosto increduli e ci trovammo davanti ad una scena più
unica che rara:
Mariangela Buttazzo era in cucina- e questo già era
incredibile- intenta a
controllare qualcosa nel forno.
-Salve ragazzi-, disse
chiudendo il forno e
sorridendoci.
-Mamma-, cominciò
Camilla esitante. –Che ci
fai qui?-
Mariangela sorrise.
-Avevo un po’ di
tempo libero e ho pensato di
tornare a casa per prepararvi il pranzo. Sono anche passata in
cartoleria, è
finalmente arrivato il libro di inglese che ti mancava-, disse rivolta
a
Camilla.
-Era ora-,
esclamò Camilla togliendosi lo
zaino e andando a vedere il libro poggiato sul tavolo della sala da
pranzo. –La
professoressa non la finiva di fare storie per il fatto che fossi
l’unica a non
avere il libro, non ne potevo proprio più.-
-Mamma-, cominciò
Marco posando a terra zaino
e casco. –Lo scooter mi ha lasciato di nuovo per strada, mi
sa che è arrivato
il momento di cambiarlo.-
Sapevo che quella frase era
costata al mio
amico almeno una mezz’ora buona di yoga interiore per trovare
la forza di
pronunciarla. Nonostante i genitori di Marco guadagnassero il triplo
dei miei
avevano sempre cercato di non viziare i loro figli. Lo scooter di Massi
era di
seconda mano e per averlo, due anni prima, aveva dovuto mantenere una
media
piuttosto alta in tutte le materie. Per lui era stato davvero uno
sforzo enorme
ma alla fine ce l’aveva fatta. Adesso era di fronte a sua
madre chiedendole uno
scooter nuovo e sapendo perfettamente che per ottenerlo lei gli avrebbe
di
certo chiesto qualcosa in cambio, un qualcosa che a lui non sarebbe
andato a
genio.
-Sai tesoro, in cartoleria
ho trovato una cosa
molto interessante.-
Marco ed io ci lanciammo
un’occhiata veloce.
Conoscevamo sua madre e quello sguardo non poteva voler dire nulla di
buono.
Lei prese la borsa e ne
tirò fuori un
volantino.
Ripetizioni
di matematica, fisica, chimica e biologia. Si accettano allievi a
partire da
scuole medie inferiori fino a scuole medie superiori. Chiamare il
numero…
-Ripetizioni di
matematica?!- chiese Marco a
dir poco sconvolto.
Sua madre sorrise sbattendo
un paio di volte
le palpebre.
-Se vuoi uno scooter nuovo
dovrai frequentare
queste lezioni e passare da un sei ad un sette in matematica altrimenti
puoi
cominciare a riempire il modulo per l’abbonamento
dell’autobus.-
Marco fissò sua
madre con sguardo di sfida.
Non era la prima volta che assistevo a quella scena, succedeva
piuttosto spesso
ma il risultato era sempre lo stesso…
-E va bene…-,
mormorò Marco in tono di resa.
Mariangela Iovine non
perdeva mai, e Camilla
era la degna figlia di sua madre.
-Bene, chiamo subito
l’insegnante.-
Mariangela
afferrò il telefono e dopo aver
composto velocemente il numero stampato sul volantino si
portò il ricevitore
all’orecchio.
Dopo diversi secondi, in cui
sapevo che Marco
stava pregando perché il telefono continuasse a squillare a
vuoto, qualcuno
rispose, per la somma gioia di Mariangela.
In quel momento Marco si
voltò facendomi dei
gesti, implorandomi di aiutarlo in qualche modo. Ma io che potevo fare?
Non era
nelle mie possibilità riuscire a fermare sua madre.
Gli feci segno di smetterla
e tornai ad
ascoltare Mariangela ma la prima parte della conversazione mi era
sfuggita.
-Salve sono Mariangela
Buttazzo la chiamavo per
sapere se è lei che dà ripetizioni di matematica.-
Un’altra risposta
affermativa e io non vedevo
più alcuna via d’uscita per Marco.
-Oh, bene-, rispose
Mariangela sollevata.
–Volevo sapere se è possibile per lei dare
ripetizioni a mio figlio.-
Lanciai un veloce sguardo a
Marco e notai il
suo sopracciglio sollevarsi, la sua solita reazione quando si trovava
davanti ad
una situazione che non gli piaceva per nulla.
La ragazza
dall’altra parte doveva aver
chiesto a Mariangela che classe frequentasse Marco visto che lei
rispose: -Il
quinto superiore.-
Dall’altra parte
doveva esserci stata una
risposta non proprio positiva perché Mariangela si
lasciò andare ad
un’espressione piuttosto sconsolata. Notai subito il
sogghigno soddisfatto e
speranzoso che si stava facendo lentamente largo sul viso di Marco.
Camilla
stava assistendo a tutta la scena con volto impassibile, sfogliando
ogni tanto
il suo libro di inglese.
-Oh-, disse ad un certo
punto Mariangela
piuttosto rattristata. Poi il suo sguardo si riaccese, cosa che a Marco
non
sfuggì.
-Credo di sì-,
rispose lei con un sorriso.
A quel punto ero curioso
anch’io di capire
cosa stesse succedendo, e soprattutto volevo capire se per la prima
volta Marco
avrebbe battuto sua madre.
Il sorriso che pochi istanti
dopo troneggiò
sul volto di Mariangela mi fece capire che anche questa volta, come
ogni volta,
l’avrebbe spuntata lei. Anche Marco doveva averlo capito
perché si rabbuiò,
sbuffando come una locomotiva.
-Lo farebbe davvero
signorina? Sa, sto
impazzendo, mio figlio non riesce a capire niente di matematica. Ho
provato
anche dei professori universitari ma non funziona nulla. Siccome
quest’anno ha
gli esami non voglio rischiare che venga bocciato, anche se riesce a
raggiungere la sufficienza.-
Marco lanciò uno
sguardo di fuoco dritto negli
occhi di sua madre, ma lei alzò le spalle divertita e lo
ignorò.
-E’
esattamente quello che ho pensato io-, disse la signora felice.
–Le va bene se
mio figlio si fa trovare a casa sua per le quattro?-
Mi voltai subito verso Marco
e lo vidi
socchiudere gli occhi irritato. La situazione stava per precipitare,
sua madre
lo stava facendo nero: ormai quella donna aveva vinto su tutta la
linea.
Mariangela
continuò palesemente ad ignorare le
occhiatacce del figlio e guardò il volantino poggiato sul
tavolo della cucina
davanti a lei.
-Era scritto sul volantino
che ho trovato in
cartoleria-, continuò con il suo sorriso soddisfatto.
-La ringrazio ancora-,
chiuse la chiamata e
si voltò verso di noi.
Marco ed io non pronunciammo
una parola, ci
limitammo a guardare Mariangela e la sua espressione di puro godimento
genitoriale… Qualsiasi ragazzo o bambino odiava
quell’espressione di
superiorità che assumevano i genitori quando sapevano di
aver vinto. E noi
figli, che non potevamo fare nulla per contrastare il loro volere, ci
limitavamo a contraddirli fino alla morte. I ruoli e le reazioni erano
le
stesse da secoli e non sarebbe stato di certo Marco la prima eccezione.
-La signorina è
stata davvero molto
disponibile-, cominciò Mariangela tutta contenta mentre
riponeva il cordless
sulla sua base. –Mi ha spiegato che anche lei frequenta
l’ultimo anno delle superiori
quindi è possibile che non ti possa essere d’aiuto
perché magari fate un
programma troppo simile, ma è disposta a parlare con te per
vedere se può fare
qualcosa. Alle quattro devi essere da lei.-
Marco socchiuse di nuovo gli
occhi pieni
d’odio.
-Non fare quella faccia.
L’indirizzo è qui-,
prese il volantino e lo sventagliò davanti agli occhi di
Marco. –Non è molto
lontano da qui. Con il tuo scooter ci dovresti mettere al massimo venti
minuti…
Ops, dimenticavo che il tuo scooter è morto lasciandoti
senza mezzo di
locomozione.-
Ci mancò poco che
Marco non cominciasse a
sputare fiamme mentre sua madre se la rideva contenta e divertita.
-Be’ ti potrebbe
dare un passaggio Massi,
vero?-
Ma perché dovevo
essere messo in mezzo anch’io
in quella specie di faida madre-figlio? Io non volevo avere niente a
che fare
con le loro discussioni ma come al solito, in un modo o
nell’altro, quei due
riuscivano sempre a strascinarmi dentro al vortice dei loro litigi.
A quel punto lanciai uno
sguardo a Marco e uno
a sua madre. Avevo due scelte: dire tranquillamente di sì
dando la mia
disponibilità e rischiando che Marco mi facesse una testa
così, o inventarmi un
impegno urgente e togliermi da quella posizione spinosa una volta per
tutte.
Per fortuna fu lo stesso
Marco ad aiutarmi.
-Se non hai impegni potresti
accompagnarmi da
questa tizia?- mi chiese facendomi capire che era davvero inutile
insistere.
-Certo-, risposi tranquillo.
Probabilmente
anch’io al suo posto avrei fatto
la stessa cosa. I suoi non gli avrebbero comprato uno scooter nuovo se
la sua
media in matematica non si fosse alzata. Marco stava alla matematica
come un
gallo potrebbe stare agli abissi marini. Da solo non sarebbe stato in
grado di
migliorare i suoi voti quindi tanto valeva farsi aiutare dalla ragazza
delle
ripetizioni.
-Grazie mille, Massi-,
esordì Mariangela
sorridendomi contenta. –Andate a lavarvi tutti e tre le mani,
tra cinque minuti
si mangia.-
-E cosa hai cucinato?-
chiese Camilla aggrottando la fronte.
-Pollo al forno con patate-,
disse sua madre
con una nota d’orgoglio piuttosto evidente.
Marco, io e Camilla ci
guardammo per un attimo
infinito. La mamma di Marco era un ottimo cardiochirurgo, probabilmente
il
migliore di tutta la Puglia, ma le sue abilità in sala
operatoria non potevano
essere paragonate a quelle culinarie. L’ultima volta che
aveva preparato il
pollo al forno con le patate era stata una tragedia. Patate crude e
salate,
pollo dal sapore orribile- aveva scambiato il sale con lo zucchero- e
praticamente al sangue- e per fare un pollo arrosto “al
sangue” ce ne vuole
d’impegno. Con un solo boccone Marco era stato male per due
giorni mentre io e
Cam ce l’eravamo cavata con un paio d’ore trascorse
tra crampi e dolori allo
stomaco.
Perciò, in
genere, era la nonna di Marco che
cucinava dato che abitava proprio di fronte a loro.
-State tranquilli-,
intervenne Mariangela che
evidentemente aveva notato le nostre facce sconsolate, per non dire
disperate.
–Ho preso il pollo in rosticceria e le patate le aveva
preparate la nonna, io
ho dovuto solo unire il tutto e mettere a scaldare. Le vostre vite sono
salve.-
-Dio sia ringraziato!-
sospirò Camilla sollevata.
-Non fare la melodrammatica,
Cam. Non cucino
così male-, rispose Mariangela risentita.
-Mamma-, cominciò
Camilla. –Se invece di fare
il chirurgo tu avessi deciso di diventare una cuoca come minimo avresti
fatto
fuori mezza Lecce. Sei un pericolo pubblico se ti metti ai fornelli.-
Mariangela si
voltò verso me e Marco ma
nessuno dei due se la sentì di smentire le parole di
Camilla. Aveva detto la
verità, anzi io ero convinto che avrebbe fatto fuori
l’intera città con provincia
annessa.
-E’ bello vedere
che i miei figli si fidano
così tanto di me.-
-Non è che non ti
vogliamo bene-, disse
Camilla, -ma ci teniamo alle nostre vite.-
-Vostro padre non si
è mai lamentato della mia
cucina-, incrociò le braccia scocciata, come una bambina
capricciosa.
-Le uniche volte che hai
cucinato per papà sono
state secoli fa quando lui stava cercando di conquistarti. Anche se li
avessi
rifilato una bistecca cruda ti avrebbe detto che avevi delle doti
culinarie da
vera chef, quindi il suo giudizio non vale-, Camilla concluse
così la sua breve
arringa.
-Io avrei fame-, intervenni
per cercare di far
sbloccare quella situazione e per far slittare l’attenzione
su un argomento che
non comprendesse l’incapacità in cucina di
Mariangela.
-Hai ragione, Massi-, disse
lei con voce
premurosa, proprio come se si stesse rivolgendo ad uno dei suoi figli.
–Andate
a lavarvi le mani così possiamo mangiare.-
Pochi minuti dopo eravamo
seduti a tavola a gustarci
un ottimo pollo arrosto con patate. Non c’erano proprio dubbi
sul fatto che
neanche una molecola di quella pietanza fosse stata cucinata da
Mariangela.
Quando finimmo di pranzare
erano appena le tre
perciò Marco ed io decidemmo di fare una partita alla Play
prima di affrontare
lo scoglio di andare da quella
ragazza.
Eravamo nella sua camera e
come al solito gli
stavo facendo vedere i sorci verdi, quando ad un certo punto Camilla
entrò- la
porta era aperta- e si mise a fissarci con sguardo contrariato.
Marco inizialmente
cercò di ignorarla ma
quando la sua squadra prese un gol perché era distratto
bloccò il gioco e si
voltò verso la sorella.
-Ti serve qualcosa?- chiese
scocciato.
Lei lo fulminò
con lo sguardo e sapevo che
quella sua reazione non avrebbe portato a nulla di buono.
-Sì, mi serve che
mio fratello la smetta di
seguirmi ovunque io vada, ti basta come risposta pezzo
d’idiota?- incrociò le
braccia con fare calmo, il che voleva dire che era incavolata nera.
Cavolo! Ci aveva scoperto,
questa Marco me
l’avrebbe pagata cara. Stavo facendo la figura del deficiente
davanti a una ragazzina
e in più sentivo che stava anche per arrivare la
ramanzina… Me l’avrebbe pagata
eccome quel citrullo del mio migliore amico…
-Io seguire te? E
perché mai dovrei fare una
cosa del genere? Ho di meglio da fare che seguire quella stupida di mia
sorella-,
disse lui ignorandola e sbloccando il gioco tornando a fissare lo
schermo del televisore.
Cercai di fare buon viso a
cattivo gioco e
tornai anch’io a concentrarmi sulla partita.
A quel punto Camilla doveva
essersi
imbestialita sul serio perché si parò davanti
allo schermo e ci fulminò
entrambi con uno sguardo così simile a quello di sua madre
che per un attimo mi
lasciò letteralmente senza parole.
-Potresti toglierti dalle
scatole…?- cominciò
Marco provando a guardare lo schermo spostandosi a destra e a sinistra.
-Prima dai
un’occhiata a questo.-
Prese il cellulare e gli
mostrò un sms che
riuscii a vedere anch’io. Era di una certa Alessandra.
Oddio,
Cam… Non puoi capire! Ho visto tuo fratello davanti a
scuola. Era insieme a
quell’altro strafico di Massimiliano Draco. Sono riuscita
anche a fare una
foto…
Ci avevano proprio sgamati
alla grande.
Camilla ci mostrò l’mms con molta calma, ma sapevo
che stava cercando di
trattenersi con tutte le sue forze dal farci fuori. La foto ritraeva me
e Marco
proprio dietro l’albero mentre lui aveva gli occhi puntati in
direzione di sua
sorella. Non era stata scattata troppo lontana dal punto in cui eravamo
quindi
era una foto nitida che non poteva essere equivocata.
-E non è
finita…-, annunciò Camilla aprendo un
secondo sms.
Ma
mi
spieghi come fai a vivere con quello schianto di Marco senza provare a
saltargli addosso?! Io pagherei per poter vivere sotto il suo stesso
tetto, con
quell’altro figo di Massimiliano Draco che gira per casa. Tuo
fratello e il suo
amico sono troppo boni!
Marco si voltò a
guardarmi sapendo che anch’io
in quel momento avrei voluto ucciderlo. Il mio desiderio era molto
più intenso
rispetto a quello di Camilla.
-Tolto il fatto che odio
sentire le mie amiche
che parlano costantemente di voi due e dei vostri fondoschiena, lo sai
che la
devi smettere di seguirmi. Non sono più una bambina e ho
diritto ad avere
anch’io una vita che sia mia.
Quando
te lo metterai in quella testaccia di granito?!-
Era davvero arrabbiata e
sentivo che bastava
davvero poco prima che si mettesse definitivamente ad urlare. Quando mi
accorsi
che Marco stava per risponderle lo anticipai dandogli una gomitata nel
fianco e
parlando al suo posto.
-Perdonaci Camilla,
sta’ sicura che non
accadrà più. Controllerò io tuo
fratello, non ti seguirà mai più-, lo dissi con
voce talmente convincente che Camilla sembrò subito
rilassarsi un po’.
-Sarà meglio, non
ne posso più di ritrovarmi
sempre voi due tra i piedi.-
-Sta’ tranquilla-,
rincarai io mentre
avvertivo lo sguardo di Marco puntato su di me. Avrebbe fatto meglio a
non
replicare altrimenti lo avrei gonfiato di botte seduta stante.
-Lo voglio sentire anche da
lui-, continuò
Camilla fissando il fratello ed incrociando le braccia con un cipiglio
serio.
Marco guardò
prima me e il mio sguardo di
fuoco e poi Camilla e i suoi occhi fulminanti… Non aveva
molta scelta.
-Va bene, ti giuro che non
ti seguirò più-,
disse arrendendosi.
Camilla lo guardò
per qualche attimo ancora un
po’ sospettosa poi con un sorriso si diresse verso la porta.
-E’ sempre un
piacere fare affari con te, fratellone-,
ed uscì dalla stanza portandosi via anche l’ultima
traccia del buonumore- già
quasi inesistente- di Marco.
Tra la storia delle
ripetizioni e sua sorella
che lo aveva sgamato durante la sua attività di
“Bodyguard/spionaggio” Marco
era davvero depresso. Neanche la partita alla Play riuscì a
farlo sentire
meglio.
Prima che ce ne accorgessimo
eravamo già
davanti alla casa della ragazza delle ripetizioni.
Marco si tolse il casco e suonò
il campanello.
-Chi è?- disse
una voce metallica dal citofono.
-Sono qui per le
ripetizioni-, rispose Marco
con lo sguardo di un condannato a morte pronto per dirigersi verso il
patibolo
e di conseguenza verso un destino inevitabile.
-Sali.-
Quella voce era piuttosto
seria e categorica,
avevo come la sensazione di averla già sentita. Un brivido
mi percorse l’intera
schiena, all’idea di cosa avremmo trovato una volta di sopra.
Una ragazza di diciott’anni
che dava ripetizione di matematica e di tutte le materie scientifiche
esistenti…?
Come minimo doveva essere una cozza occhialuta, con tanto di
apparecchio e
brufoli annessi. Se poi avesse avuto anche capelli ricci costretti in
delle
assurde trecce sarebbe stata proprio l’apoteosi…
Un altro brivido mi attraversò
la schiena. Non potevo proprio pensarci. Bleah!
Marco cominciò a
salire le scale mentre io
parcheggiavo lo scooter di fronte alla casa. Non avrebbe dato fastidio
là
quindi mi tolsi il casco e anch’io varcai la soglia di quella
casa. Salii tranquillamente
la prima rampa di scale e appena mi voltai vidi la sagoma di Marco in
cima all’altra
rampa. Se ne stava fermo, immobile con un idiota… Era
proprio fuori.
Continuai a salire i gradini.
-Marco, ho parcheggiato lo
scooter qua di
fronte. Credi che…-
Alzai lo sguardo e fu come
se un fulmine mi
avesse colpito proprio al centro della fronte.
Sapevo di aver
già sentito quella voce
metallica, sapevo che il suono categorico della ragazza delle
ripetizioni non
mi era nuovo, sapevo che la sensazione provata poco prima nel sentirla
parlare
l’avevo già sperimentata. Ma mai avrei immaginato
di essermi sbagliato così
tanto sul corpo al quale apparteneva quella voce. E quel corpo adesso
era
proprio di fronte a me, nascosto alla mia vista solo da un sottile
asciugamano
rosa, mentre degli occhi castani, profondi e anche un po’
increduli mi
scrutavano con terrore e rabbia.
***L'Autrice***
Ed eccomi qui con il secondo capitolo, ve l'avevo detto che
non vi sareste liberate di me anche se Il Figlio
Della Prof è ormai concluso. Spero davvero che
vi sia piaciuto
perchè non è stato semplice da scrivere, forse
è
stato quello che mi ha creato più problemi in assoluto. Come
sapete non mi risulta semplice immedesimarmi in Massi (anche se ce la
sto mettendo tutta) e in questo capitolo non è stato per
niente
semplice riuscire a vederla come lui... Non ci posso fare
nulla, non
sono un ragazzo e non essendo un'esperta del genere maschile posso solo
immaginare come Massi si comporterebbe in una situazione come quella
che ho descritto nel capitolo.
Comunque questo è l'ultimo capitolo che avevo
già pubblicato, quindi da il prossimo in poi sarà
tutto indito... xD Chi ha scoperto le vicende di Massi e Vale in questa
mia seconda ondata di pubblicazioni non si sentirà
più in soggezione al pensiero che le altre sapevano
già tutto... xD
Volevo solo spendere qualche altra parola per tutte le
persone che hanno seguito Il Figlio
Della Prof e che adesso sono in attesa di Verso La
Maturità (che comincerò a pubblicare
dal 19 febbraio). Vi ringrazio sempre ma non credo che sia mai
abbastanza perciò lo farò in ogni occasione...
Grazie per avermi seguita e un grazie ancora più caloroso se
lo state facendo ancora, cercherò di non deludervi con
questo POV... *-*
Comunque
vi ricordo che potete trovare molto altro riguardo "Il Figlio Della
Prof" in questi siti:
Forum
Gruppo su
Facebook
Pagina su
Facebook (in cui pubblico spoiler sui capitoli successivi
e anche mie sciocche "pillole di saggezza")
Profilo au
Facebook (Scarcy Novanta)
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Capitolo 3 *** Odio Vedermi Sbattuta In Faccia La Verità! ***
La Ragazza Delle Macchinette- Capitolo 3
Quando non
faceva il cafone,
Massimiliano
Draco risultava morbosamente
affascinante
Il Figlio Della
Prof- Capitolo 3
Capitolo 3: Odio
Vedermi Sbattuta In Faccia La Verità!
In quel momento nella mia
mente poche cose
erano veramente chiare e messe a fuoco: ragazza, mezza nuda e
asciugamano.
Anche se quella davanti a me era la rompiscatole delle macchinette che
Marco
idolatrava come una dea e che io non sopportavo, restava comunque uno
schianto
di donna appena uscito dalla doccia, e io ero pur sempre un adolescente
preda
degli ormoni.
Non potei fare a meno di
fissare il suo corpo.
Ero consapevole del fatto che lei si sarebbe accorta del mio sguardo ai
raggi X
ma proprio non riuscivo a fermarmi.
I miei occhi partirono dal
basso analizzando
le sue gambe, lunghe e piuttosto slanciate, finché non
incontrarono la stoffa
rosa dell’asciugamano che cominciava a coprirla da
metà coscia. Risalii
lentamente e notai i suoi fianchi stretti in quel tessuto inutile che
li
fasciava alla perfezione, mentre sulle sue braccia nude scorrevano
delle
goccioline d’acqua che rendevano la sua pelle quasi luminosa.
Le spalle erano
ricoperte dai lunghi capelli scuri bagnati e gocciolanti e il suo viso,
sempre
imbronciato, mi fissava con un misto di sorpresa e irritazione.
Sembrava un
vulcano pronto ad esplodere da un momento all’altro e dovevo
ammettere che
l’idea di vederla sbraitare mi attirava e mi eccitava. Quella
ragazza riusciva
a farmi un effetto davvero inspiegabile.
Incontrai i suoi occhi scuri
e mi fu quasi
impossibile riuscire ad assumere un’aria diversa dallo
scocciato. Volevo farla
arrabbiare, volevo vedere le sue sopracciglia corrucciarsi e renderla
ancora
più bella. Perché era inutile negarlo: quella
ragazza era davvero bella.
Probabilmente mi stava
antipatica, o forse la
odiavo, però non potevo fare a meno di vederla incavolata.
Era qualcosa che mi
attirava e mi faceva sentire stranamente bene.
-Ci si rivede.-
Era stato Marco a parlare
con uno dei suoi
sorrisi più dolci e che io trovavo letteralmente da vomito.
Senza contare che
dubitavo che lei sarebbe stata contenta di quel suo sorriso
così mieloso.
-Che ci fate qui?- la sua
acidità mi aveva
appena dato ragione.
-Te l’ho detto:
ripetizioni.-
-Tu sei il ragazzo a cui
dovrei dare
ripetizioni di matematica?-
Sembrava parecchio sorpresa.
Forse non credeva
che Marco Iovine, il ragazzo più famoso della scuola,
potesse avere qualche
problema nello studio. Si vedeva che proprio non lo conosceva. Marco
aveva e
creava problemi in continuazione, gli piaceva sguazzare nei guai. Solo
il fatto
che volesse conquistare quella ragazza così acida e
difficile ne era una prova.
Mi sentii in dovere di
intervenire, giusto per
farla arrabbiare ancora un po’.
-La domanda è
un’altra.-
Lei mi rivolse uno sguardo
talmente duro che
per poco non decisi di azzittirmi.
-E cioè?-
ribatté lei sollevando un
sopracciglio.
Era così
allentante farla arrabbiare, non
potei davvero fermarmi.
-Tu
dovresti essere quella che darà ripetizioni di matematica?-
misi volutamente
una nota ironica in quella frase.
-Sì. Qualche
problema in proposito?-
Alzai anch’io un
sopracciglio e la fissai
dritta negli occhi.
-Mi chiedevo semplicemente
come un asino
potesse insegnare la matematica.-
-Se fossi in te, Draco, mi
chiederei come fa
un asino come me ad avere più cervello di te.-
Incrociò le
braccia, sicuramente era
incavolata nera. La rabbia era però riuscita a farle
dimenticare che indossava
solo un sottile asciugamano ed io non potei fare a meno di notare come
quell’inutile pezzo di stoffa stesse cominciando a scivolare
lungo quel corpo
così invitante.
Non potei davvero resistere
dallo stuzzicarla.
-Tu accogli sempre gli
ospiti vestita così?-
le chiesi indicando il suo corpo con lo sguardo. –Oppure
volevi riservare un
trattamento speciale al tuo nuovo allievo? In fondo ci sono un mucchio
di
insegnanti che lo fanno.-
Vidi nel suo sguardo una
voglia matta di
strangolarmi e di rispondere in modo molto poco educato.
-Se avessi saputo che avrei
incontrato voi due
mi sarei vestita da suora, ma purtroppo avete deciso di farmi questa
“gradita”
sorpresa, e dire che speravo di trovarmi davanti qualcuno che
somigliasse a
Brad Pitt o a Johnny Depp…-
Stavo per ribattere a tono
come mio solito
quando mi trovavo davanti a quella ragazza ma Marco decise di
intervenire
bloccando sul nascere la mia risposta.
-Ti è andata
decisamente meglio. Comunque sono
venuto qua per parlare davvero delle ripetizioni. Ti dispiace se
entriamo, Vale?-
Spalancai gli occhi quasi
incredulo.
-Vale?!- esclamò
lei con molto disappunto,
praticamente per poco non aveva sbranato Marco.
-Vale?- chiesi cercando di
trattenere una
risata ma senza riuscirci.
-Che
c’è? Che ho detto?-. “Marco, amico mio,
hai detto quello che basta per farmi ottenere il mio scopo: farla
incavolare di
brutto” pensai con un sorriso mentale a trentadue denti.
-Che razza di nome-, a quel
punto scoppia
veramente a ridere come un pazzo.
Vidi lo sguardo di quella
ragazza scrutarmi
per poi trapassarmi con un odio quasi palpabile.
-Che ti prende?- mi chiese
scocciata.
In tutta risposta io non
riuscivo a smettere
di ridere, e alla fine non sapevo neanche io il perché.
-Vale…?- chiesi
ancora mentre quella ragazza
mi incendiava con il suo sguardo.
-Sì, mi chiamo
Valeria Ferrari e allora? E’ un
nome italiano come qualsiasi altro.-
-Lo so perfettamente,
è solo che… Che credi
essere la regina della Giustizia, e confesso che per te mi sarei
aspettato un
nome più altisonante tipo Mariagrazia Sangirolamo o Carlotta
Maria Anna
Ambrogiani, questi sarebbero stati dei nomi adatti a te.-
Sapevo di averla fatta
infuriare sul serio. Lo
capii osservando come il suo sopracciglio destro si fosse sollevato in
modo
quasi inverosimile.
-Ma pensa al tuo di nome!-
sbottò furiosa.
–Almeno il mio nome non sembra appena uscito da un libro
della Rowling, ti
mancano solo i capelli biondo platino, Draco.-
Okay, questa battuta me
l’avevano rifilata
tante di quelle volte che ormai non avrei più dovuto farci
caso; eppure sentire
quelle parole pronunciate da lei mi irritò più
del solito.
-La volete finire voi due?-
con il suo tono
tranquillo Marco stava cercando di calmare la ragazza. –Vale
che tu ci creda o
no, siamo venuti in pace e disarmati…-
Ma perché parlava
al plurale? Io ero armato
eccome! Avevo una quantità industriale di odio da riversale
addosso.
-Io non direi-, e infatti
anche lei lo sapeva
che le mie intenzioni non era proprio buone visto il modo duro con cui
mi
guardava.
-Ti giuro che lo
terrò a bada io, ma adesso
potremmo sederci e parlare del mio problema? So che potrebbe sembrarti
melodrammatico ma sono davvero disperato.-
Marco era impazzito. Non
riuscivo a capire se
fosse così gentile con quella tizia solo per le ripetizioni
o perché gli
piaceva davvero. Una cosa era certa: se non l’avesse convinta
a parlare delle ripetizioni
sua madre lo avrebbe ucciso.
Forse avevo esagerato un
po’ mettendolo in
quella situazione, dopotutto non era affar mio se lui e la racchia avrebbero studiato insieme.
Però se per caso
mi avesse attaccato con
qualche frecciatina non mi sarei di certo risparmiato, ne andava del
mio
orgoglio e del mio amor proprio. Marco era mio amico ma non avrei
trattato bene
quella lì solo per fare
un piacere a
lui.
-Va bene-, disse lei
spostandosi dalla porta.
–Entrate pure.-
-Grazie-, rispose Marco con
quella sua voce
mielosa e con un sorriso talmente brillante da far impallidire una
stella.
Alzai un sopracciglio per
quella sua reazione
da schifo ma non dissi nulla. Volevo soltanto che quel momento passasse
il più
in fretta possibile altrimenti avrei davvero rischiato di fare quella
ragazza a
pezzi.
Ci accompagnò in
sala da pranzo. Non era male
come stanza: mobili color ciliegio in stile moderno e un enorme tappeto
poco
prima del tavolo davano un’aria molto calda a tutto
l’ambiente.
-Mi perdonerete-, quel tono
gentile che
Ferrari aveva usato era quanto di più falso avessi mai
sentito. –Andrei a
vestirmi, se non avete nulla in contrario.-
-Un paio di argomenti
contrari li avrei-, mi
aveva servito quella provocazione su un piatto d’argento, non
avrei mai potuto
ignorarla. Rincarai quella risposta accompagnandola ad un sorriso pieno
di
sicurezza.
Ci mancò poco che
Ferrari non mi saltasse
addosso per azzannarmi, dal suo sguardo si capiva benissimo che avrebbe
voluto
uccidermi.
-Massi-, mi
rimproverò Marco, -cerca di darti
una calmata.-
-Ok, ok…-, che
rottura! Neanche le avessi
ordinato di spogliarsi! Era solo una risposta come un’altra.
-Va’ pure a
vestirti, Vale-, disse Marco in
tono gentile. Tutta quella sua dolcezza stava davvero rischiando di
farmi
incazzare. Non lo sopportavo quando faceva così.
Alzai gli occhi e scossi la
testa: stavo
veramente cominciando a stancarmi di quella situazione. Per quanto
guardare
quella ragazza mezza nuda fosse un bel modo di passare il pomeriggio,
cominciavo
a credere che sarebbe stato meglio se me ne fossi andato immediatamente
da
quella casa. Ma non potevo farlo visto che ero il mezzo di trasporto
del caro
Iovine.
-Tutto bene?- chiese ad un
certo punto Marco
rivolto a Ferrari. Adesso che lo notavo se ne stava ferma in mezzo alla
stanza
a fissarci. Non aveva detto che doveva andare a vestirsi?
La ragazza prese un profondo
respiro e poi
sbottò: -Mentre sono di là, cercate di non
toccare niente, di non rompere
niente, di non spostare niente, e soprattutto state lontani dalla
cucina e dal
frigorifero.-
Restai un attimino sconvolto
da tutti quegli
avvertimenti, neanche fossimo dei teppisti.
-Possiamo respirare almeno?-
chiesi
incrociando le braccia.
-Non troppo e solo se
è necessario. Riducete
il numero delle ispirazioni al minimo indispensabile.-
La guardai quasi sconvolto
mentre si voltava e
si dirigeva verso le camere. Vidi l’orlo
dell’asciugamano sparire dietro la
porta e il mio cervello partì in quarta cominciando a
coniare nuovi insulti da
rivolgere a quella tizia idiota.
Mi voltai verso Marco che
era ancora intento a
fissare il punto in cui Ferrari era sparita pochi istanti prima.
Sembrava quasi
che avesse intenzione di ergere un altare in quel punto esatto.
-Ti prego, dimmi che non fai
sul serio con
quella lì. E’ completamente fuori di testa-, dissi
con un misto di
esasperazione e speranza nella voce. Non volevo che il mio amico si
intestardisse per una tipa come quella.
-Mi piace, mi piace davvero
tanto-, mormorò
Marco con aria sognante. –E’ forte, molto
più di quanto pensassi.-
-Forte?- chiesi scettico.
–Quella ragazza è
una mina vagante, rischia di far esplodere mezzo mondo e tu ci andrai
di
mezzo.-
-Tranquillo, lo
troverò un modo per gestirla.
Secondo me è molto dolce in fondo-, ci mancava poco che dopo
quelle parole i
suoi occhi si trasformassero in due cuoricini palpitanti. Che schifo!
-Vorrai dire molto
in fondo… Se proprio vuoi, ti procuro una pala
così cominci a
scavare? Guarda che quella lì non sa neanche cosa sia la
dolcezza-, di questo
ne ero assolutamente certo. Era l’acidità fatta
persona.
-Non chiamarla
“quella lì”, ha un nome-, disse
Marco guardandomi con aria stizzita.
-Porca miseria, sei proprio
cotto-, risposi
esasperato.
-Non posso farci nulla,
quella ragazza è
sconvolgente. Ha attirato totalmente la mia attenzione-,
ribatté Marco con un
altro sorriso ebete.
Non poteva essere che
Valeria Ferrari fosse
riuscita ad attrarre così tanto Marco nel giro di poche ore.
Possibile che
avesse ragione lui e che quella ragazza possedesse qualcosa di speciale
che io
non riuscivo a vedere?
Ripensai per un attimo a
tutte le brevi
conversazioni che avevo con lei ma la sola cosa evidente era la sua
assoluta
acidità. Marco si stava sbagliando di grosso!
Pochi minuti dopo Ferrari
tornò e ci sedemmo
tranquillamente al tavolo. Aveva tirato su i capelli in una coda seria,
e non
aveva neanche un filo di trucco. Non le importava un fino secco di
apparire
affascinante per noi due.
Lei si sedette di fronte e
me e io continuavo
a fissarla negli occhi, ero curioso di capire cosa ci trovasse Marco in
lei. Sostenne
il mio sguardo senza imbarazzarsi o cedere, da quel punto di vista
dovevo ammettere
che era davvero molto determinata. In genere tutte le altre ragazze
avevano sempre
ceduto a uno sguardo come il mio.
Ferrari si voltò
verso Marco e cominciò a
parlare.
-So che abbiamo stabilito
una sorta di tregua,
ma non posso fare a meno di chiedermi perché ti sei fatto
accompagnare da
questo… cioè… dal tuo amico.-
-Preferisci che vi lasci
soli?- chiese con un
ghigno, di certo a Marco non sarebbe dispiaciuto.
-Non era questo che
intendevo-, rispose lei
scocciata. –Però le ripetizioni sono di Marco, tu
che diavolo c’entri? Non
credo che lui abbia bisogno di una guardia del corpo, e credo ancor
meno che un
tipo come te sarebbe in grado di assolvere un compito del genere.-
Le lanciai uno sguardo di
fuoco. Come si
permetteva di fare certe insinuazioni senza neanche conoscermi? Altro
che
forte, era solo una maleducata.
-Il mio scooter è
dal meccanico-, cercò di
spiegarle Marco, mettendoci anche troppa gentilezza per quanto mi
riguardava.
–Ho chiesto a Massi di accompagnarmi, è per questo
che è qui.-
Continuavo a pensare che
fosse stato troppo
gentile perciò mi sentii in dovere di dire qualcosa.
-Ti basta come risposta
Sherlock Holmes?-
Lei socchiuse gli occhi
arrabbiata ma non me
ne fregava un cavolo. Aveva cominciato lei ad offendere ed io
c’ero andato anche
troppo leggero.
Non parlò,
evidentemente aveva capito che era
meglio non rispondere alla mia frecciatina perché non le
avrei reso vita
facile.
-Lo so che probabilmente ti
infurierai-,
cominciò Marco. –Ma sono davvero curioso di sapere
che ci facevi con indosso un
asciugamano.-
Quella risposta interessava
un pochino anche
me se dovevo essere del tutto sincero.
-Hai ragione, sto per
infuriarmi-, e si vedeva
proprio che era incavolata, per poco non ci aveva incenerito con gli
occhi.
-E’ solo una
domanda-, dissi io sorridendo
sornione. –Non mi sembra tanto difficile rispondere, a meno
che in questo
preciso istante non ci sia qualcuno che sta uscendo da questa casa di
soppiatto
dopo essere stato nel tuo letto.-
Non ero riuscito a
resistere, quella
frecciatina era d’obbligo in una situazione del genere.
Volevo farla arrabbiare
ancora di più, non sapevo perché ma vederla
infuriata mi piaceva parecchio.
Lei alzò gli
occhi al cielo esasperata.
-Non
c’è nessun ragazzo, se è questo che
volevi sapere, tantomeno nel mio letto.-
Non risposi. Stranamente
sentire quelle parole
mi aveva dato un senso di sollievo che non riuscivo a spiegarmi. Marco,
dal
canto suo, sorrise soddisfatto da quell’informazione.
-Ho passato le ultime due
ore a preparare un
dolce. Quando ho finito ero impresentabile, perciò mi sono
fatta una doccia
confidando che il ragazzo che stavo aspettando fosse un ritardatario.-
Rimasi un attimo basito per
quella frase e
anche Marco si rese conto di quanto fosse comica quella situazione
visto che mi
lanciò un’occhiata veloce, che ovviamente non
sfuggì alla vipera.
-Che ho detto?- chiese
sorpresa.
-Niente-,
cominciò Marco imbarazzato. –Ecco…
In effetti ci hai azzeccato.-
-Ma se siete arrivati in
anticipo-, ribatté
lei risentita.
Sì, eravamo
arrivati in anticipo ma non per
merito di Marco, quello era in grado di fare più ritardo di
un treno bloccato
dalla neve.
-E’ vero, ma
è Massi quello puntuale, per
quanto mi riguarda invece sono perennemente in ritardo, è
più forte di me-, il
tono di Marco era sempre più imbarazzato.
Ferrari sembrò
parecchio sorpresa da quello
che Marco le aveva detto e sinceramente non riuscivo a capirne il
perché.
I suoi occhi scuri e caldi
incontrarono i miei
e per un attimo mi sentii smarrito, come se in realtà non
fossi davvero in
quella stanza. Mi fissava con odio, ma questa volta non avevo detto
nulla,
perché ce l’aveva con me? Quella ragazza era
davvero strana.
A quel punto non ne potei
più, meglio dire
qualcosa che mi avrebbe reso abbastanza colpevole da meritare quello
sguardo
pieno d’odio.
-Se avessi saputo chi avrei
incontrato venendo
qua me la sarei presa con molta più calma-, incrociai le
braccia stizzito.
–Anzi magari mi sarei dato malato, almeno avrei avuto una
scusa plausibile per
evitare questo incontro.-
-Magari lo avessi fatto-,
quella ragazza
cominciava a darmi davvero sui nervi.
-Quindi avresti preferito
non vedermi
affatto?- Non sapevo perché le avevo fatto quella domanda,
ma stranamente
speravo in una risposta totalmente diversa da quella che invece lei mi
diede.
-Senti, non credo sia un
mistero quello che
provo nei tuoi confronti, Draco-, il suo sguardo era tremendamente
deciso. –Non
mi sei affatto simpatico…-
Alzai un sopracciglio
divertito, anche se in
realtà non mi sentivo per nulla in vena di divertirmi.
-Ma no, e io che pensavo
fosse solo passione e
desiderio nascosto. Avevo il terrore che potessi saltarmi addosso da un
momento
all’altro, ora mi sento più tranquillo.-
Le sorrisi con
più decisione, per confermare
quanto le sue parole mi fossero indifferenti. Non riuscivo ad ammettere
con me
stesso che non volevo l’odio di quella ragazza. Non la
sopportavo e mi faceva
incazzare anche solo guardandomi ma non volevo che mi odiasse. Non
sapevo
perché e non ci tenevo a scoprirlo.
Ma quello che
uscì dalla mia bocca fu
totalmente diverso dai miei pensieri.
-Ti assicuro che neanche tu
mi vai a genio,
Ferrari.- La mia voce era molto più aspra di quanto avessi
voluto ma era stata
lei a provocare, io mi ero limitato a rispondere.
-Non le piace essere
chiamata per cognome-,
era stato Marco a parlare.
Mi voltai verso di lui e poi
tornando a
guardare quella ragazza che fissava Marco con sguardo omicida mi
lasciai andare
ad un ghigno. La fissai negli occhi con decisione, volevo che si
infastidisse
al punto da odiarmi sul serio.
-Preferisci che ti chiami
Vale?- mi sembrava
una domanda più che legittima visto che non voleva essere
chiamata per cognome.
Forse però il mio tono divertito non le era piaciuto per
niente.
-Perché cercare
un modo con cui mi puoi
chiamare quando io e te non parleremo mai più per tutto il
resto delle nostre
vite?-
-Mai mettere limiti al
destino, mia cara.- E
no, non l’avrei lasciata in pace tanto facilmente dopo tutto
quello che aveva
avuto il coraggio di dirmi. Doveva pagare.
I nostri occhi non si
staccarono neanche per
un secondo, cercando in tutti i modi di vincere quella battaglia
silenziosa che
si stava tenendo tra noi.
-Quando voi due avrete
finito di sembrare una
coppia di innamorati a cui piace punzecchiarsi, io avrei ancora da
risolvere un
problema con la matematica.-
Spalancai un attimo gli
occhi sorpreso per
quella affermazione. La voce di Marco era risultata piuttosto
infastidita
mentre Ferrari sembrava averlo sentito a malapena visto che i suoi
occhi continuavano
a restare ancorati ai miei. Non potei farne a meno, il suo sguardo
così caldo
mi fece uno strano effetto, qualcosa che non mi sarei aspettato. Le mie
guance
si tinsero di un tenue rosso e quando non riuscii più a
sostenere il suo
sguardo fui costretto a distoglierlo fissandolo sul cesto di frutta che
si
trovava al centro del tavolo.
Non la vedevo ma sapevo che
Ferrari non poteva
credere ai suoi occhi. Io per primo non avevo idea del
perché il mio corpo
avesse reagito così al suo sguardo.
-Cos’hai detto?-
chiese poi con tono distratto
a Marco.
-Ho detto che sembrate una
coppia di
innamorati a cui piace punzecchiarsi.-
La cosa faceva davvero venir
voglia di ridere
e lo avrei fatto se non fossi rimasto così stupito dalla mia
reazione.
-Io e
quest’individuo innamorati?- ovviamente
Ferrari non aveva avuto nessuna difficoltà a scoppiare a
ridere. Prendersi
gioco di me era davvero facile per lei. –Marco dì
la verità, quante canne ti
sei fumato prima di venire qua?-
-Più che di canne
parlerei di cannoni-, dissi
rivolgendomi a Marco con una voglia inesprimibile di farlo fuori. Aveva
capito
che quella ragazza aveva uno strano effetto su di me e non aveva perso
tempo
nel cercare di farlo notare anche a lei. –Per la prima volta
mi trovo d’accordo
con te Ferrari. Marco deve avere qualche rotella fuori posto se pensa
una cosa
del genere.-
-Stavo solo constatando un
fatto-, rispose lui
con calma. –Da come vi stavate guardando c’era poco
da fraintendere.-
-Invece mi sa che hai
frainteso tutto-,
esclamò lei continuando a ridere. –Per quanto mi
riguarda stavo cercando di
appiccare fuoco alla testa del tuo amico con la forza del pensiero.-
-Anche io stavo facendo una
cosa del genere.-
Non era proprio la verità, in quel momento stavo pensando a
tutto tranne a
quello ma Ferrari scatenava in me un’irritazione
così profonda che non potei
fare a meno di rispondere a tono.
-Stavi sperando che
prendessi fuoco?- la sua voce
lasciava trapelare tutta la rabbia che stava provando.
-Sì, lo ammetto.-
Volevo che si arrabbiasse
ancora di più, sempre di più.
-Come ti sei permesso?-
-Parli proprio tu-,
cominciavo ad arrabbiarmi
sul serio anch’io. –Sei stata tu a tirare fuori
questa storia di bruciare le
teste.-
-Stavo scherzando, idiota!-
si alzò in piedi e
batté un pugno sul tavolo. Potevo quasi respirare il suo
odio.
-Io no-, ribattei alzandomi
e fronteggiandola.
I nostri volti ormai erano
vicini e i nostri
occhi continuavano a fissarsi con quello che potei definire solo come
odio.
-La volete finire?- Marco
cercò di farci
abbassare i toni ma anche lui si era alzato per poterci affrontare.
Ferrari socchiuse gli occhi
risentita e si
rimise a sedere.
Osservai ogni sua mossa
mentre anche Marco si
sedeva.
Avrei voluto farlo
anch’io ma le fiamme di
irritazione che mi divampavano dentro non me lo permisero. Quando ero
con lei
perdevo letteralmente il controllo, l’avrei uccisa di sicuro
prima o poi, non
ne potevo più delle sue frasi sconclusionate del cazzo!
Non bastava mia madre o
tutte le ragazzine che
mi venivano dietro a rendermi la vita impossibile, adesso ci si metteva
anche
questa stupida sconosciuta che sparlava a sproposito!
Era davvero troppo e la mia
sopportazione
aveva un limite.
Ma perché cavolo
la mia vita aveva incrociato
quella di Ferrari? Stavo tanto bene prima di quella maledetta mattina!
-Massi siediti-, avvertii la
nota di
irritazione nella voce di Marco anche se stava cercando di mantenersi
calmo.
Alzai gli occhi al cielo
esasperato e
sbuffando mi sedetti.
-Ora possiamo parlare delle
ripetizioni?-
chiese Marco, e stavolta non riuscì a nascondere la sua
irritazione.
Ferrari si voltò
a guardarlo. Era evidente che
aveva deciso di ignorare la mia presenza. E no, dolcezza, Massimiliano
Draco
non è un tipo che si può ignorare!
-Scommetto che la tua torta
fa schifo.-
Era la prima frase che mi
era venuta in mente
ma aveva avuto l’effetto desiderato visto che lei
s’irrigidì e poi si voltò a
guardarmi irritata.
-Puoi pensare quello che ti
pare, tanto non
avrai mai occasione per sperimentare sul campo quello che hai detto.-
-Vuoi dire che non
offriresti un pezzo della
tua brodaglia… cioè del tuo capolavoro
ai tuoi graditi ospiti?-
Vidi la sua fronte
corrucciarsi lievemente per
cercare di trattenere la rabbia.
-Intanto solo Marco
è un mio ospite, tu sei
solo… sei solo…-
-Sono solo?- adesso volevo
proprio sentire
cosa aveva da dire su di me visto che si credeva di essere la persona
più
giusta del mondo. Sorrisi soddisfatto all’idea di un suo
sfogo.
-Tu non sei nessuno.-
Spalancai gli occhi, ero
rimasto parecchio
stupito per quella affermazione così forte.
-Credi di essere
l’individuo perfetto che ogni
ragazzo vorrebbe avere come amico e che ogni ragazza desidererebbe come
fidanzato ma non hai capito un fico secco di quello che ti accade
intorno. Le
ragazze ti vengono dietro semplicemente perché sperano di
incontrare Marco, e
poi voglio dire, ma non vi accorgete che il fatto che tutte le ragazze
vi
muoiano dietro è qualcosa di squallido? Dicono di amarvi e
di avervi sempre
sognato ma non vi conoscono affatto, se fossi al vostro posto le
manderei tutte
a quel paese. Tornando a te, sappi che i ragazzi, tutti tranne Marco
credo,
vogliono esserti amici solo perché sei il figlio della
professoressa
D’Arcangelo, anche se non hanno ancora capito che essere
amici di suo figlio
non significa essere raccomandati, visto che lei apprezza solo chi le
conviene
e non chi le viene imposto. Possibile che tu non ti sia mai accorto che
stranamente tutti quelli che ti stanno più intorno sono
nelle classi di tua
madre?-
Quella ragazza aveva davvero
passato il segno.
Non poteva sbraitarmi contro tutte quelle stronzate senza neanche
conoscermi.
-Un’ultima cosa e
chiudo qui il discorso…
Draco non credere di essere il ragazzo più simpatico che
esista sulla faccia
della Terra, non hai idea di quanti doppiogiochisti ti stiano intorno.
Davanti
ti dicono una cosa, ma appena ne hanno l’occasione ti
criticano e ti deridono.-
La fissai allibito mentre
cercavo con tutte le
forze un modo per non mandarla platealmente a fanculo! Pensava che non
sapessi
già di mio tutte quello cose? Non ero stupido, sapevo
perfettamente che molti
ragazzi mi erano amici solo per via di mia madre e io ero il primo ad
odiare le
ragazze che mi venivano dietro, anche se a volte non era male uscire
con
qualcuna di loro.
Quella vipera non mi
conosceva e non aveva
nessun diritto per farmi una ramanzina come quella. Ero arrabbiato
all’idea che
lei pensasse questo di me ed ero deluso dal fatto che una
come lei si fermasse solo alle apparenze senza neanche
cercare
di capire se i suoi pensieri avessero un fondamento o fossero dettati
solo
dall’odio che provava nei miei confronti.
La guardai, e sinceramente
non avevo idea di
cosa trasparisse dal mio sguardo in quel momento.
-Avete intenzione di restare
imbambolati come
due statue per tutto il resto del pomeriggio?-
La sua voce era calma, quasi
esitante. Aveva
notato che il suo sproloquio aveva creato un’aria davvero
pesante, quasi
irrespirabile. Cosa si aspettava? Che accettassi tutti quegli insulti
senza
sentirmi neanche un po’ incazzato?
Avrei voluto urlarle contro,
dirle che non me
ne fregava un cazzo di quello che pensava di me e che non poteva
permettersi di
parlarmi così, non a me.
Eppure non lo feci.
Abbassai lo sguardo e senza
che me ne
accorgessi un sorriso amaro prese possesso del mio viso. Sapevo che
aveva
ragione ma odiavo quando la gente mi sbatteva in faccia la
verità, e la gente
non lo faceva mai. Ma lei
sì, lei lo aveva appena
fatto.
Dovevo dire qualcosa,
l’aria stava diventando
davvero irrespirabile.
-Allora-, stavo cercando un
insulto adatto a
zittirla per sempre ma non ne trovai. –Questo schifo
di torta si può vedere?-
Avevo deciso di cambiare
argomento, di fingere
di non aver ascoltato le sue parole. Forse sarebbe stato più
logico risponderle
a tono o mandarla a quel paese, ma davvero non ce l’avevo
fatta. Non con lei,
le sue parole mi avevano totalmente bloccato.
-Draco…-
No! Non doveva neanche
provare a consolarmi!
Non volevo la sua compassione e se solo ci avesse provato mi sarei
alzato e me
ne sarei andato immediatamente da quella casa!
Le sue parole mi aveva
già ferito abbastanza,
non potevo anche permettere che provasse pena nei miei confronti.
Accidenti! Ero pur sempre
Massimiliano Draco,
non le avrei permesso di fare la crocerossina con me. Non
lei! Non con me!
Con la coda
dell’occhio vidi Marco fare di no
con la testa in direzione di Ferrari. Speravo che seguisse il
suggerimento del
mio amico, lui mi conosceva e sapeva che stavo per esplodere.
-Sei proprio sicuro di voler
rischiare?- mi
chiese lei con un sorriso ironico.
La fissai per un attimo,
incerto su come
rispondere poi sollevai un sopracciglio e con sicurezza dissi: -Al
massimo mi
pagherai i danni, Ferrari.-
Lei si alzò e
dopo avermi riservato una
linguaccia che per poco non mi fece scoppiare a ridere, si diresse con
calma
verso il frigorifero.
-Non che lo speri-, disse
aprendo lo sportello
e cominciando a cercare la torta. –Ma quando avrai assaggiato
questo
manicaretto tutti gli altri dolci ti sembreranno senza sapore. Chi mi
conosce dice
che sono un genio della pasticceria.-
-Che modestia-, rispose
Marco con una strana
ammirazione nella voce.
-Non è un mio
parere.- Posò la torta sul
tavolo e iniziò a tagliarla.
Quando mi porse la mia fetta
mi sentii ad un
tratto molto poco invogliato ad assaggiarla. L’aspetto non
era male ma c’era
sempre la possibilità che fosse uno schifo.
-Prima tu-, dissi rivolto a
Marco. –Le stai
più simpatico non cercherebbe di avvelenarti.-
-Come sei spiritoso-,
sbottò lei risentita.
Marco fece un sorriso e poi
si portò subito alla
bocca un cucchiaino colmo di Torta Mimosa. Subito notai con quanta
soddisfazione si stesse godendo quel piccolo pezzo di dolce.
-Quindi?- chiesi indeciso su
cosa fare. Tenevo
il cucchiaino sospeso a mezz’aria come se stessi aspettando
la sentenza di un giudice
che avrebbe potuto decretare la mia morte o la mia assoluzione.
-Non ci sono parole-,
rispose Marco con aria
sognante mandando giù il boccone.
–L’unico modo per capire è assaggiarla.-
Ferrari lo guardava confusa.
-Spero che questo non sia il
tuo modo per
vendicarti di quando mi hai prestato la PSP e te l’ho
riportata dopo tre mesi-,
mormorai dubbioso. Affondai il cucchiaino nel mio pezzo di dolce e ne
presi la
dose più piccola che potei.
-Conosco altri modi per
vendicarmi.- Non
sapevo se fidarmi o no delle sue parole visto che le accompagnava ad
un’aria
davvero divertita. –Assaggia e alla fine mi ringrazierai.-
Portai il cucchiaino agli
occhi osservandolo
con indecisione. Non era da me comportarmi in quel modo ma dopo quello
che
Ferrari mi aveva detto, mi risultava davvero difficile riuscire a
fidarmi di
quel suo dannatissimo dolce. Una ragazza del genere non poteva essere
poi così
brava in cucina, e non riuscivo a fidarmi di lei.
Probabilmente mi stavo
comportando davvero
come un bambino agli occhi di quella ragazza: fare tante storie solo
per
assaggiare uno stupido dolce non era esattamente uno dei comportamenti
a cui
avevo abituato me stesso e chi mi conosceva.
L’unica
giustificazione che potei trovare era
che quella ragazza mi indispettiva: qualsiasi cosa potesse mandarla in
confusione e metterla in crisi mi esaltava.
Non riuscivo a spiegarmi
come mai mi
interessasse così tanto farla arrabbiare o cedere, ma sapevo
che il mio
atteggiamento la stava irritando moltissimo.
Alzai gli occhi e i nostri
sguardi si
incontrarono. Ebbi una strana sensazione, come se quegli occhi mi
stessero
scrutando fin dentro l’anima. Erano così scuri
eppure, allo stesso tempo, erano
luminosi e arguti, non avevo mai visto una luce del genere negli occhi
di
qualcuno.
Di certo non potevo negare
che quegli stessero
cominciando ad avere un certo ascendente su di me. Ero convinto che
fosse tutta
colpa del fatto che erano così belli, molto più
belli di quanto avessi mai
notato prima.
All’improvviso mi
resi conto di quanto
guardare quella ragazza negli occhi e farla irritare mi divertisse. Mi
sentivo
davvero come un bambino in un parco giochi, felice e spensierato,
nonostante
l’acidume con cui Ferrari mi rispondeva.
Alla fine decisi di portare
a termine quella
strana scenetta comica che si era venuta a creare e assaggiai quel
piccolo
pezzo di torta. Senza volerlo i miei occhi si chiusero e assaporai
completamente
il dolce. Era buono, era tremendamente buono. Non avrei neanche potuto
trovare
le parole per descriverlo. Quella ragazza così acida e
scorbutica non poteva
essere in grado di cucinare qualcosa di così paradisiaco.
-Allora-, sentii mormorare
come in lontananza
quelle parole. A quanto sembrava Ferrari era ansiosa di ricevere la mia
risposta. –Non hai niente da dire?-
Aprii lentamente gli occhi e
subito incontrai
il suo sguardo: mi sorpresi nel notare quanto sembrasse diversa. Era
come se la
mia risposta la interessasse più del dovuto.
-Qualcosa da dire
l’avrei…-, cominciai
cercando le parole giuste per continuare.
Forse avrei dovuto
nascondere la mia
soddisfazione e cimentarmi in una delle mie frecciatine ma davvero non
ne
trovai il coraggio. Non avrei mai potuto mentire riguardo quel dolce,
non
potevo proprio. Ero certo che lei sarebbe riuscita a rispondermi a tono
se
l’avessi offesa ma in quel momento non avevo voglia di
deriderla. Non ne avevo
motivo.
-…ma non trovo le
parole per esprimermi.-
Optai per la verità, probabilmente era la mossa migliore.
–Credo che la mia
capacità di ragionare sia stata annullata da questa torta
meravigliosa.- Meglio
dare il merito di tutto alla torta e non soffermarsi su altre
sensazioni che
stavo provando.
Vidi la sorpresa dipingersi
sul volto di
Ferrari, neanche lei si aspettava quella frase e il fatto di averla
stupita
così tanto mi riempiva di soddisfazione. Alla fine sapevo
riconoscere quando
qualcuno meritava un complimento e quella torta poteva essere descritta
solo
con belle parole.
Lanciai una veloce occhiata
a Marco e non
potei fare a meno di notare una nota di disappunto nei suoi occhi. Che
gli era
preso? Avevo pure fatto dei complimenti alla torta della sua
“amata” non capivo
perché adesso si fosse rabbuiato.
Anche Ferrari lo stava
guardando e mi accorsi
che sembrava sorpresa almeno quanto me.
Io quello proprio non lo
capivo: non era mai
contento! Adesso stava facendo l’offeso senza neanche un
motivo… Perché non
c’era alcun motivo per prendersela.
-Possiamo parlare delle
ripetizioni ora?-
chiese lui cercando di essere gentile, ma io colsi subito quella nota
stonata
nel tono della sua voce.
-Certo-, rispose Ferrari con
calma. Era
tornata in possesso di tutta la sua sicurezza.
Per i minuti successivi quei
due furono
completamente assorbiti dall’argomento ripetizioni. Marco era
assolutamente
negato per la matematica e quella ragazza se ne stava lentamente
rendendo
conto.
Visto che non ero per niente
interessato ne
approfittai per prendere d’assalto quella meraviglia di torta
che aspettava
solo che io la divorassi. Per non sembrare troppo ingordo inventai un
calo di
zuccheri ma quando Ferrari mi fulminò notando che avevo
mangiato metà della
torta decisi di fermarmi perché oltre
all’indigestione stavo anche rischiando
che lei mi trucidasse.
Marco si era accorto che
Ferrari stava
iniziando ad irritarsi seriamente perché proprio in quel
momento decise che
l’incontro era finito e che era meglio andare a casa.
Non sapevo
perché ma l’idea di tornare a casa
non mi allettava più di tanto, forse volevo ancora un
po’ di quella torta.
Ferrari invece era sollevata
che andassimo
via, si vedeva lontano un chilometro.
Uscimmo da casa sua prima
che me ne rendessi
conto e pochi secondi dopo eravamo davanti al mio scooter pronti per
tornare a
casa di Marco.
-Smettila-, mi disse a un
certo punto Marco.
Stavo per infilarmi il casco ma a quelle parole mi bloccai.
-Come scusa?- chiesi
sorpreso.
-Smettila di fingere-,
continuò lui
guardandomi seriamente.
Ma si era completamente
rincitrullito?! Di
fingere? Fingere cosa?
-Fai finta di niente? O
forse neanche tu lo hai
ancora capito-, il suo sguardo era sempre più serio.
-Marco… Tu non
stai per niente bene. Stai
dicendo una marea di cazzate.-
-Dirò anche una
marea di cazzate ma almeno so
riconoscere i miei sentimenti-, detto questo si infilò il
casco e si sedette
sullo scooter in attesa che anch’io mi decidessi a salire.
Sapevo che era inutile
parlare, Marco non mi
avrebbe dato altre spiegazioni.
Che andasse al diavolo!
Lì l’unico fuori di
testa era lui. Speravo che facesse in fretta pace con il cervello!
***L'Autrice***
E anche questo nuovo capitolo è andato! Uff...
è una vera faticaccia scrivere il POV di Massi, ma devo
ammettere che quando ho finito il capitolo mi sono sentita davvero
soddisfatta per essere arrivata sana e salva fino alla fine... xD
Adesso mi aspetta il capitolo 4... AIUTO! *trema all'idea di non
riuscire a scrivere neanche un rigo decente*
Comunque, come avete notato, Vale scatena davvero l'incazzite
di Massi, e lui vuole sempre farla arrabbiare... xD Secondo me
è amore... u.u e non lo dico tanto per dire... ahahah xD
Okay, adesso la smetto di dire stupidaggini... xD
A parte i nostri cari piccioncini, questo è il mio
primo aggiornamento del 2011! E questo mi ricorda che... TANTISSIMI
AUGURI A TUTTI! Un nuovo anno è cominciato e io spero che mi
porti tante cose belle, il 2010 non è stato male ma spero
che il 2011 sia mille volte meglio. xD
Per il prossimo capitolo, non so ancora quando
aggiornerò... Purtroppo devo ancora scriverlo e visto che
tra poco ho un esame sono veramente sommersa dalla studio, comunque vi
prometto che cercherò di non farvi aspettare troppo... ^^
Ringrazio tutte le meravigliose persone che hanno lasciato
una recensione per i primi due capitoli, e tutti colo che hanno messo
questa storia tra i preferiti e le seguite, siete fantastici!
Ovviamente ringrazio ogni singolo lettore!
Comunque
vi ricordo che potete trovare molto altro riguardo "Il Figlio Della
Prof" in questi siti:
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e anche mie sciocche "pillole di saggezza")
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