Aprire gli occhi

di Rota
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Signora Mamma ***
Capitolo 2: *** Signor Papà ***
Capitolo 3: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Signora Mamma ***


aprire gli occhi - 1
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Aprire gli occhi





**Capitolo uno – Signora Mamma**












Well I keep my eyes open
I worry for nothing
And all the sweet things I don't say
are gonna get me in trouble some day

And the harder that I try, I know
The harder I push you away
And I’ll, I’ll admit that I’m scared(*)


Hinata chiuse la portiera della propria macchina con mala grazia, lasciandola scivolare dalle dita senza poterla fermare in tempo. Così, non poté fare altro che deprimersi all’idea della carrozzeria color rosso fiammante – nuovamente – danneggiata dalla sua inesplicabile goffaggine.
Schiacciò il bottone del proprio portachiavi, facendo scattare ogni sicura con un brillio dei fari e rendendo così inaccessibile la vettura. Sorrise, allontanandosi infine con passo lesto.
Attraversò velocemente la strada di cemento, facendo appena rallentare una macchina impaziente, scusandosi alzando la mano al conducente abbastanza irritato. Si ritrovò quindi davanti al grande ingresso della Konoha Gymnasium, l’unica palestra nel giro di due quartieri e mezzo sufficientemente attrezzata per fare del lavoro fisico degno di chiamarsi tale.
Appoggiando la mano bianca alla maniglia, spinse l’anta di vetro ed entrò dentro, lasciandosi investire dall’aria decisamente più calda dell’ingresso. Sorrise a Sakura quando si avvicinò alla cassa, fermandosi quando lei fece un cenno di saluto.
Si sistemò la borsa sulla spalla mentre percorreva i corridoi fino agli spogliatoi femminili, fermandosi a qualche metro di distanza dal loro ingresso. Lasciò che alcune ragazze uscissero – felici, sudate, soddisfatte o meno: tutte ugualmente rumorose – prima di prendere coraggio e superare la porta.
L’odore di bagnoschiuma le arrivò subito al naso, assieme al vapore e a quello vago di sudore. Muovendo piccoli passi, riuscì ad addentrarsi a sufficienza per scorgere i camerini e i vari armadietti per le cose personali. Si guardò attorno un poco nervosamente, controllando l’ora all’orologio al polso.
Che avesse sbagliato ad andare lì così presto?
-Hinata, sono qui…-
La Hyuuga voltò la testa di scatto, trovando finalmente ciò che cercava: Kurenai sorrideva, anche se era evidentemente spossata. Seduta com’era sopra una panca di legno, prese l’asciugamano poggiato sulle gambe e lo portò ai capelli scuri, cominciando a strofinarli con energia.
Sorrise dolcemente, lasciandosi andare ad un sospiro liberatorio.
-Sono venuta a prenderti, Kurenai…-


*******


La donna si accarezzava il ventre mentre la città scorreva al di fuori dei finestrini della macchina.
Lo sguardo vagava sul grigio delle case, su un vuoto informe che correva assieme all’acceleratore stimolato dal piede di Hinata.
Sul sedile posteriore, in una delle due borse da passeggio gettate in fretta, c’era una busta di carta semitrasparente, i cui bordi ancora testimoniavano la fretta brutale con cui era stata aperta.
Hinata si costrinse a non guardare Kurenai cercando di non metterle addosso troppa pressione. Sorrideva, ma si poteva notare quanto il suo sorriso fosse falso e dettato dalla circostanza. Specialmente quando un imbecille le tagliò di netto la strada costringendola a frenare di colpo, ribaltando quasi il passeggero per la sorpresa. Kurenai aveva sputato parole velenose, irritata come poche altre volte.
Eppure, in quel momento, a parte qualche sguardo fugace, pareva che nessuna delle due fosse davvero intenzionata ad iniziare il discorso.
Un semaforo fornì l’occasione giusta: il momento di pausa in cui il conducente aveva la concentrazione libera da ogni impegno puramente meccanico. Ma neppure in quel frangente si riuscì a dire nulla. E la casa di Kurenai si faceva sempre più vicina.
La Hyuuga alla fine prese coraggio, attardandosi più del necessario ad uno stop.
-Senti, Kurenai, vorrei sapere… Com’è andata la mattinata?-
La donna sorrise, socchiudendo gli occhi e voltando appena il viso.
Era sempre stata così, Hinata. Aveva sempre trattenuto ogni emozione compromettente per puro scrupolo verso le persone che la circondavano – troppo scrupolo, in alcuni casi. Così, le dava ancora l’occasione di fuggire dall’argomento, senza obbligarla ad affrontarlo e specialmente non con lei. Dopotutto, era una faccenda sua privata.
Ma Kurenai non era tipo da farsi troppi riguardi, specialmente quando non ce n’era alcuna ragione. Bisognava semplicemente prendere le cose come stavano, e non parlarne certo non portava alcuna soluzione.
Guardò la strada, col sorriso sulle labbra sereno.
-Sono incinta. Le analisi hanno dato la conferma…-
Hinata ripartì, fissando a sua volta la strada avanti a sé – l’acceleratore fu abbassato troppo, per distrazione, tanto che sia la conducente che il passeggero furono schiacciati contro i rispettivi sedili.
Tentò di sorridere, con evidenti scarsi risultati.
-Beh, è bene, no? Insomma, è… bene? Era ciò che doveva succedere! Bene! Bene?-
La giovane sobbalzò quando sentì la mano della donna accarezzarle dolcemente il viso, passando il dito sulla guancia e attraverso i fini capelli scuri.
-Sì, è certamente bene…-
Hinata si girò qualche istante a sorriderle, un poco più sollevata – finendo quasi per investire in pieno un povero micio capitato sulla strada per caso.
La donna sospirò, tornando a guardare nel vuoto.

Conosceva Hinata da circa tre anni, poco più poco meno. Trentasei mesi di convivenza ravvicinata, a causa del lavoro che entrambe svolgevano. Una, ingegnere aziendale; l’altra, proprietaria dell’azienda in questione. Una, che continuava a chiamarla “signora Sarutobi” nonostante fossero entrate più che in confidenza ormai da tempo; l’altra, che tentava invano ogni volta di spiegarle quanto non ci fosse niente di male se le loro mani non si toccassero sempre e solo casualmente.
Stretto contatto, voluto o meno.
Pian piano, padrone e dipendente si erano ritrovate più spesso a condividere momenti, chiacchiere, risa, intere giornate l’una accanto all’altra.
Lavoro, certo, ma non si poteva parlare di lavoro quando Hinata veniva sorpresa a fissare Kurenai per minuti interi senza avere la minima intenzione di dire qualcosa, così come non si poteva parlare di lavoro quando Kurenai si avvicinava alla Hyuuga per farle vedere da vicino cosa in un dato progetto andasse o non andasse bene.
Tutti particolari che alla mente attenta e severa della Sarutobi non sfuggirono a lungo.
Forse era stato il suo bisogno mai totalmente sopito di sentire una spalla su cui appoggiarsi nel momento del pianto, forse era stata la solitudine di una casa così vuota e fredda da far male il cuore ad averla spinta a prendere l’iniziativa.
Forse, ma Kurenai si rifiutava di dare la colpa a certi fatti – le sembrava di svilire di altri, ben più importanti.
Se quel lontano pomeriggio aveva deciso di baciare Hinata, invece che lasciarla parlare di gravità e di masse e pesi specifici, lo attribuiva solamente al desiderio che in quel momento aveva provato.
Non se n’era mai pentita, dopo. Neppure un solo istante.

La macchina si fermò, costeggiando il marciapiede.
Hinata sporse il busto verso il cruscotto, guardando con occhi attenti le case dall’altro lato della strada: non pareva esserci nessuno.
-Non ce n’è bisogno…-
La giovane si voltò a guardare Kurenai, con un sorriso un poco preoccupato sulle labbra.
Sempre, sempre accomodante – sempre avendo paura di ferire.
-Scusa…-
La vide sorridere, prima si avvicinarsi al suo viso e a posarle un ultimo bacio sulle labbra.
-Ci si vede domani, Hinata.-
La donna scese in fretta, prendendo la propria borsa e sbattendo con una certa forza la portiera, ma senza però dimenticare di voltarsi e rispondere al saluto della sua mano mentre con la macchina si allontanava sempre più velocemente.


*******


Hinata si era fermata qualche casa prima della sua, sapendo bene chi avrebbe potuto vederla e non gradire affatto la sua presenza in quei luoghi.
Ci impiegò cinque minuti netti, picchiettando nervosamente i tacchi sul marciapiede sporco.
Si ritrovò di fronte a una casa modesta, dal piccolo giardino curato e dalle finestre grandi e serrate. Con un sospiro, le bastò abbassare la maniglia della porta per ritrovarsi dentro casa.
La prima cosa che sentì fu uno strillo acuto e pieno di entusiasmo.
-Mamma!-
Quando vide il piccolo – il suo piccolo – Asuma correrle incontro, non poté che sorridergli di rimando. Appoggiò in fretta la borsa sul tavolino vicino alla porta, si accucciò e lo prese in braccio, coprendo il suo viso di baci. Il piccolo la abbracciò, felice e festante come sempre.
Un’altra voce la raggiunse, quando era ancora impegnata a dare retta al piccolo che le stava affannosamente raccontando come il suo amico dell’asilo avesse tentato di soffocarlo mettendogli la testa dentro la sabbia del giardino.
-Sei arrivata presto, vedo…-
Kurenai riservò solo un’occhiata sfuggente alla donna che le stava innanzi, ritta e rigida in volto. La stava squadrando con fare fin troppo accusatorio.
Ma piuttosto che rispondere piccata a sua madre preferiva concentrarsi sul sorriso privo di malizia di Asuma, baciandolo e baciandolo ancora.
La signora Yuhi guardò sorridendo il nipote, mentre veniva lasciato a terra e correva ancora una volta ai suoi giochi. Poi, rivolse un’occhiata severa alla figlia.
-Almeno nel tempo libero, dovresti badare tu a tuo figlio. Non puoi scaricarlo a me ogni volta che ti fa comodo!-
Kurenai sapeva dove la donna volesse andare a parere, sapeva delle insinuazioni di fondo che quella frase nascondeva. Quel discorso le era stato rivolto fin troppo spesso, in quegli ultimi tempi.
-Se ti scoccia così tanto badare a tuo nipote, la prossima volta chiamo una babysitter…-
-Potresti semplicemente non accampare impegni inesistenti per farmi correre qui!-
-Potresti smettere di rimproverarmi ogni passo che faccio fuori da questa casa!-
Silenzio, persino Asuma si era zittito nel sentire il tono irato delle due donne. Le stava spiando con aria vagamente preoccupata da dietro il divano.
Kurenai se ne accorse, gli sorrise e andò da lui, lasciando così cadere ogni eventuale discussione.

-Mi vergogno di te!-
La prima volta che Kurenai aveva avuto l’ardire di portare Hinata a casa propria, per farle conoscere il figlio avuto dal suo defunto marito, aveva visto sua madre furente come mai lo era stata in tutta la sua vita.
L’aveva chiamata svergognata, l’aveva chiamata traditrice, l’aveva chiamata in mille altri modi diversi che lei preferiva molto di più dimenticare.
Aveva detto che una simile donna non poteva essere madre – una donna da una morale tanto distorta da tradire il marito in quella maniera. Perché un bimbo ha bisogno di un padre e di una madre, e se lei aveva così urgenza d’entrare nel letto di qualcun altro che almeno fosse del sesso giusto.
Aveva quasi gridato che non poteva, non poteva essere così. Era infinitamente sbagliato.
Aveva insinuato il dubbio che non fosse mai stata innamorata di Asuma.
Kurenai non aveva sentito neanche il dovere di risponderle, a quel punto. Si era limitata a dire di avere abbastanza ragione e maturità da poter fare quel che la mente e il cuore le suggerivano.
Il piccolo Asuma non aveva avuto modo di sentire le parole terribili della nonna, così preso a giocare con la nuova amica che proprio non aveva altre attenzioni da distribuire. Hinata, però, ben udì. In quella casa non si fece più vedere.
Andava a trovare Asuma quando sapeva per certo che la signora Yuhi non si trovasse in città, o quando Kurenai portava il figlio al parco o a fare una passeggiata. Altri contatti non aveva col bimbo.
Ma la situazione era ancora di più degenerata quando, per un motivo o per un altro, la signora Yuhi aveva scoperto il progetto ultimo di Kurenai.

-Hanno telefonato…-
Kurenai si voltò a guardarla, aspettando il resto della frase.
-Loro. Lui e l’altro. Kaguya. Mi hanno chiesto di te…-
La giovane donna stette un attimo in silenzio, cominciando a temere seriamente la successiva parte del racconto. Lo poteva immaginare fin troppo bene.
Ma la donna non continuò, lasciando intendere le proprie azioni con un silenzio eloquente e un’occhiata raggelante.
In compenso, sputò acredine dalle labbra.
-È la cosa più vile e meschina che tu avessi mai potuto fare, Kurenai!-
Ecco, appunto.
Kurenai riprese a fare quel che stava facendo prima, senza aggiungere ulteriori commenti alla cosa. Avrebbe chiamato Kimimaro più tardi, quando sarebbe stata sola e senza orecchie indiscrete a registrare ogni sua singola parola.
Ma la donna persistette, senza lasciarle scampo.
-Come puoi fare una cosa del genere? Non pensi all’anima del povero Asuma?-
La guardò un’ultima volta, cercando di reprimere la voglia di darle una sberla – e un dolore allucinante per essere costretta dall’orgoglio a dire una simile cattiveria.
-Asuma è morto. Non mi curo di quel che ora è polvere!-


*******


Il piccolo Asuma beveva avidamente il suo succo di frutta alla pesca, facendo dondolare le gambette sull’orlo della sedia.
Era felice, lo si poteva intuire dal sorriso aperto sul suo viso. Non si sentiva spaesato neppure in mezzo a tanti sconosciuti, neppure in quel bar del centro commerciale della città, così grande e immenso, pieno di luci, colori e suoni nuovi.
Pareva piuttosto assai eccitato.
Hinata cercò di allontanargli il bicchiere dalla bocca, temendo per qualche assurdo motivo che soffocasse per la quantità di liquido ingerito tutt’assieme.
-Fai con calma! Nessuno ti corre dietro! Bevi tranquillo!-
Gli accarezzava i capelli neri, scompigliandoli e pettinandoli assieme.
Lui le sorrideva, continuando imperterrito in quel che stava facendo. In questa sua testardaggine cocciuta, assomigliava fin troppo alla madre.
La Hyuuga sorrise al pensiero, tenendogli fermo il bicchiere mezzo vuoto per non farlo cadere.
Senza rendersene conto, si era trovata a provare più che affetto verso quel bimbo dal viso paffuto. Forse per quel suo modo di fare tanto intransigente e imperioso da scaldarle il cuore, forse per il semplice pensiero che quello era il figlio di Kurenai – forse, ancora, perché quello sguardo scuro le ricordava troppo la sua donna.
Ponderò sulle sensazioni che la sua presenza le causava.
Inconsciamente, dentro il cuore pensava quanto bene potesse fare la sua presenza all’interno delle loro vite.

Kimimaro Kaguya non dava l’aria di essere un uomo molto paterno. Tutt’altro, aveva lo sguardo spento e un’espressione in viso che sembrava voler esprimere quanta indifferenza un essere umano potesse provare.
Era la prima volta che Hinata vedeva il padre effettivo del figlio di Kurenai, e la prima occhiata non fu molto gradevole.
-Piacere, Hinata Hyuuga!-
Lui si limitò ad allungare la mano e a stringere la sua, dopodichè si sedette al tavolino e si rivolse all’altra donna.
-Fammi vedere le analisi che hai fatto…-
Kurenai gli rivolse un’espressione professionale, prendendo dalla propria borsa la busta bianca.
Hinata, a quel punto, fu quasi obbligata a rivolgersi all’altro uomo lì presente – un tizio dalla corporatura robusta e dagli improbabili capelli arancione – sorridendo mesta.
Lui, dopo averla guardata un attimo titubante, le porse a sua volta la mano e si presentò.
-Mi chiamo Juugo…-

-Il sesso del bambino non si sa quale sia, è ancora troppo presto per saperlo. Quel che però è certo è che è sano, completamente sano. Dovrebbe nascere a Novembre, verso la metà del mese. Non vi pare fantastico?-


*******


Mi è stato chiesto il perché io facessi tutto questo.
Perché crescessi un bimbo nel mio grembo per darlo a qualcun altro.
Forse è stato il fatto che Kimimaro mi ha ricordato la stessa desolazione in cui ero io prima della nascita di Asuma, prima di scoprire la gioia di tenere una creatura tra le proprie braccia.
È egoistico – forse – chiedere di avere qualcosa di piccolo e tenero da proteggere, coccolare e cullare. Forse lo è, forse è puro e semplice istinto.
Ma la cosa che più mi renderebbe felice sarebbe vedere lei con Asuma in braccio – come una mamma all’interno della nostra famiglia.
Si amano, lo vedo nei loro occhi. Lo vedo nel riflesso dei loro sguardi.
Non voglio chiedere il permesso a nessuno per amarli a mia volta.
Sono miei, entrambi.

Apro gli occhi e vedo lui – il mio piccolo Asuma.
Apro gli occhi ancora e vedo lei, Hinata.
Li apro una terza volta e li vedo assieme, tra le mie braccia. Sorridono entrambi.
Lui mi bacia la guancia, lei mi bacia la bocca.
Non c’è una sola ombra che ci oscura, non la parvenza di qualche tristezza.
Dio, è così difficile vedere quello che vedo io?









(*)Eyes Open, Gossip




Note pre-risultati:
Kurenai viene definita “signora Sarutobi”, dal primo capitolo in poi, in quanto moglie effettiva di Asuma Sarutobi. E questo per differenziarla dalla signora Yuhi, ovvero sua madre, comparsa all’interno della storia.
Se da una parte vorrei far vedere le difficoltà che una madre, così come una figlia o una donna, può provare nel vivere la sua omosessualità, dall’altra vorrei anche far vedere la “normalità” di una famiglia omosessuale, che niente – dal mio punto di vista – ha di diverso da una qualsiasi altra famiglia. Per questo, le scene di Juugo e Kimimaro sono decisamente meno tese e più tranquille rispetto a quelle di Hinata e Kurenai.
Un’altra cosa. Non mi soffermo molto su alcuni dettagli, come può esserlo la procedura di matrimonio tra Kimimaro e Juugo semplicemente perché non è propriamente quello di cui intendo parlare. Non è che mi sono dimenticata di descriverlo, non l’ho fatto per scelta mia personale e stilistica.
Poi, per quanto questa fan fiction peccherà – perché di sicuro sarà così – io mi sono ritrovata, grazie a questo contest, ad amare un’altra coppia. Indi, come dire, sono grata di avere avuto la possibilità di scriverla. Mi ha aperto un piccolo, nuovo mondo *-*




Note post- risultati:
Questa fan fiction si è classificata PRIMA al contest "Gossip e omosessualità", indetto da reki chan e Kei_Saiyu sul forum di EFP - come immagino si capisca dal banner posto lassù in alto, in bella vista XD
Che dire? Diciamo subito con il fattore sorpresa: non me l'aspettavo, sinceramente XD Avevo il terrore di essere andata fuori traccia e di aver trattato argomenti come questi in maniera non efficace. Cosa che, a conti fatti, mi avrebbe abbastanza orripilato.
Poi, era la prima volta che trattavo personaggi e pair simili. Avevo fatto un cambio, prima avevo coppie decisamente più abbordabili. Diciamo che mi sono scavata la fossa da sola X°D però, come ho già detto nelle altre note, in realtà sono felice sia di aver conosciuto questi personaggi sia di esserne riuscita, in qualche modo, a coglierne la psicologia.
E niente, in realtà sono davvero felice che, nonostante tutto, io sia riuscita a esprimere quanto volessi e sia riuscita anche a parlare di tutto ciò in maniera coerente ed efficace. Sì, è per me un motivo di orgoglio <3
Spero che il primo capitolo della mia brevissima Long fic vi sia piaciuto *O*

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Capitolo 2
*** Signor Papà ***


aprire gli occhi - 2
**Capitolo due – Signor Papà**














And the harder that I try, I know
The harder I push you away
And I’ll, I’ll admit that I’m scared(*)


Juugo cercava di seguire il discorso della donna che parlava in maniera precisa ma decisamente troppo veloce di prassi e certificati d’adozione, di soldi e al tempo stesso delle radiografie che successivamente avrebbe dovuto affrontare per vedere lo sviluppo dell’embrione.
Tempo un mesetto e avrebbero saputo se era maschio o femmina. Non che gli importasse tanto, ma pareva che la donna fosse particolarmente interessata alla cosa.
Dal canto suo, era la prima volta che la vedeva. Lei e la sua compagna – Kimimaro non gli aveva detto né che fosse lesbica né che fosse già madre di un altro pupo.
Però non importava, non importava davvero.
Kimimaro pareva conoscerla: stesso club di tennis o qualcosa del genere, stesse alte compagnie, stesso tipo di persona – pareva che il tutore di Kimimaro avesse persino lavorato a stretto contatto con la donna, per cui fossero venuti a contatto tra loro a questo modo.
Insomma, erano conoscenti di vecchia data.
Sicuramente, se così non fosse stato, Kimimaro non avrebbe permesso che suo figlio fosse cresciuto nel ventre di una perfetta sconosciuta. Avrebbe rinunciato a quella via, semplicemente, optando per un’adozione – come se fosse stato più semplice.
Ma il giovane Kaguya gli aveva già ampiamente dimostrato come quel che voleva lo facesse diventare realtà. Erano sposati, ora, no?
Quel carattere così fermo pareva quasi potesse superare l’impossibile: così lo aveva sempre visto Juugo.

-Dovresti darmi il tuo numero di cellulare. Almeno evito di farmi chiudere in faccia il telefono…-
Kurenai fissò l’uomo con lo sguardo un po’ vago, cercando forse di ricollegare la sua frase a qualche evento che lei stessa conosceva.
Poi si ricordò e comprese.
-Devi scusare mia madre…-
No, gli occhi dell’uomo non parevano conoscere tanto il perdono – era evidente che gli fossero stati rivolti insulti che non avrebbe scusato neppure dopo anni e anni dai fatti.
Appurato questo, Kurenai gli diede il numero del proprio telefono, onde evitare altri spiacevoli incontri via telefonica.
-Non penso abbiamo altro da dirci, a questo punto…-
Kimimaro si alzò, seguito a ruota da Juugo e dagli sguardo delle due donne ancora sedute al tavolino del bar.
Asuma doveva ancora finire quanto precedentemente ordinato.
-Penso ci si possa sentire fra un mese circa, se volete fra tre settimane…-
Kimimaro fu diretto e spiccio, non lasciò neanche il tempo di ipotizzare una soluzione diversa dalla sua.
-Tre settimane vanno più che bene. Arrivederci.-


*******


-Un figlio…-
A ripensarci ancora e a mente lucida, Juugo non credeva neanche a sé stesso. Era impossibile da credere reale, tutto quello. Per cui, la litania continuò a scivolare sulle sue labbra.
-Un figlio… Un figlio….-
La metropolitana sostò ad una fermata, facendo dondolare il corpo appeso solo per un braccio ad un palo di metallo. Non se ne accorse, se non quando arrivò quasi a contatto con il corpo di suo marito. Lì, immobile, Kimimaro faceva quasi finta di non sentirlo, troppo preso a ragionare per conto suo.
Gli diede un bacio, sorridendogli pieno di gioia.
-Un figlio!-
Il giovane Kaguya lo riprese senza lasciarsi contagiare troppo dalla sua evidente felicità – anche se un lieve sorriso riuscì a sfuggirgli.
-Non è che se lo ripeti arriva prima, Juugo…-
L’altro gli sorrise ancora, dandogli un secondo bacio.
La metropolitana fermò ancora, aprendo le ante metalliche e facendo entrare persone e puzzo di città – smog, fumo e umido. La pioggia stava ancora scendendo su Konoha, mentre lentamente la gente si dirigeva verso la propria dimora.
Il chiacchiericcio di sottofondo era persistente, così come il lento battere delle gocce sull’asfalto grigio.
Quando i due riemersero dal sottosuolo, dovettero correre in fretta sotto il primo riparo disponibile.
Ridendo l’uno, sogghignando l’altro.
Fortunatamente, la loro meta non distava molto dalla fermata, solo qualche isolato e nulla più.
In un alto condominio della periferia Est erano riusciti a riservarsi un piccolo angolo solo per loro. Un posto da poter chiamare senza ombra di dubbio casa.

Juugo non aveva mai considerato l’ipotesi di diventare padre, non l’aveva mai considerata specialmente quando si era ritrovato ad ammettere di non trovare per nulla eccitante il seno morbido di una donna quanto piuttosto le forme sode e toniche di un baldo giovane.
Cosa, in effetti, lo avesse mai attratto di Kimimaro – quel malaticcio e pallido figuro tristo – non se lo spiegava con precisione neppure lui. Doveva essere il carattere, sicuramente. Il carattere forte con cui riusciva a dominare ogni impulso, trattandolo con la dovuta fermezza e indifferenza.
Pareva quasi non si lasciasse mai coinvolgere da niente, Kimimaro. Eppure, a tanti anni dal loro primo incontro, Juugo poteva affermare quasi con certezza di saper interpretare ogni singolo silenzio col quale lui comunicava.
Ed era stato quello ad averli avvicinati tanto da iniziare una relazione fino al matrimonio.
Perché Kimimaro era stato irremovibile, ad un certo punto. E come al solito lui non aveva potuto che seguirlo diligentemente.

-Hai pensato a che nome vorresti dargli?-
Kimimaro lo aveva guardato un poco soprappensiero, mentre ancora appoggiava allo schienale di una sedia il proprio cappotto, per farlo asciugare.
Lo guardò decisamente scettico.
-Non sappiamo neppure che sesso abbia…-
Juugo non si fermò neanche davanti a quella che era la fredda realtà, rivelando il proprio desiderio con una semplicità disarmante.
-Se fosse una lei vorrei che si chiamasse Sakura. Se fosse un lui…-
Ponderò la cosa, in realtà aveva sempre e solo desiderato avere una bambina – mai si era posto il problema. Kimimaro però fu più veloce di lui nel formulare la fine del pensiero.
-Sasuke. Se nasce maschio si chiamerà Sasuke.-
Juugo si fermò a fissarlo, sorpreso di così tanta determinazione.
Sinceramente, non se l’aspettava proprio che scegliesse quel nome, legato così tanto al suo passato.
Ma alla fine si aprì in un sorriso sincero, andando ad abbracciarlo da dietro la schiena.
-Come vuoi tu…-


*******


La dipendenza dall’alcool l’aveva reso quasi una bestia.
Incontrollabile, animale, violento fino all’esagerazione. Era stato fermato dalla polizia perché aveva picchiato selvaggiamente un ragazzo incontrato per strada, che aveva avuto come unica colpa quella di avere lo stesso colore dei capelli del suo datore di lavoro che l’aveva rimandato a casa per colpa della sua omosessualità.
Il ragazzo sopravvisse, anche se passò qualche giorno all’ospedale.
Lui fu rinchiuso in una clinica, a doppia mandata e buttando via la chiave.
Sotto la custodia del dottor Orochimaru, aveva iniziato la sua terapia di disintossicazione. Lentamente, a passi misurati ma continui, giorno dopo giorno.
Ma niente pareva poterlo salvare.
Per quante volte sembrava potesse guarire, alla prima occasione il suo autocontrollo cedeva.
Più di una volta lo si ritrovò con le mani serrate attorno al collo di un altro ricoverato, con l’espressione quasi esaltata e un ché di ferino negli occhi.
Sembrava quasi chiaro quanto non volesse, lui per primo, liberarsi dalla febbre che gli muoveva il corpo.
E come biasimarlo? Non si riconosceva ancora pienamente nel mondo che lo circondava – così aveva detto, febbricitante, allo psicologo che lo seguiva – non riusciva ad accettarsi né ad accettare quel che gli capitava. Essere considerato una sorta di animale era molto più semplice. Per tutti e specialmente per lui.
In un clima come quello, teso tra il desiderio di annullarsi nel proprio istinto e una parvenza di resistenza all’oblio dei sensi, conobbe Kimimaro.
Lì, il mondo cambiò radicalmente.

Kimimaro era forte. Kimimaro non si lasciava intimidire. Kimimaro gli sputava in faccia la realtà così com’era, ma era sempre disposto a porgergli la mano per aiutarlo ad alzarsi.
Questo l’aveva salvato da sé stesso, gli aveva permesso di ritornare a una vita quasi tranquilla.
Quasi, perché ogni volta che gli venivano rivolti insulti sulla propria natura sessuale lui scoppiava – diventava una furia.
Ma aveva imparato a contenersi un poco, più per paura di ritornare in clinica che per altro, o per la frase di Kimimaro quando l’aveva visto praticamente addosso ad una commessa del supermercato.
-Alza ancora le mani su una persona e non mi vedrai mai più…-
Quando Kimimaro prometteva una cosa, Juugo era sicuro che l’avrebbe mantenuta.
Cominciò a trattenersi sempre di più.


*******


Quella sera, dopo cena, il telefono squillò.
Kimimaro si alzò in fretta, sapendo bene che fosse per lui.
Infatti, dopo che Juugo lo vide allontanarsi dalla tavola e prendere in mano la cornetta, le prime parole che sentì nette gli rivelarono subito l’identità della persona al di là del filo.
-Buonasera, signor Orochimaru…-
L’uomo si alzò, cominciando a sparecchiare lentamente.
-Sì, abbiamo incontrato la signora Sarutobi questo pomeriggio. Sì, sta bene, sembra in ottima salute. Sì, sembra che dalle analisi sia andato tutto bene. Sì, dovrebbe nascere verso la metà di Novembre…-
Orochimaru continuò col suo interrogatorio – dopotutto, non lo vedeva da più di tre mesi – ottenendo sempre risposte meccaniche.
Non che lo facesse apposta, di sembrare così distante e distaccato, ma la venerazione di Kimimaro per quell’uomo era tale perché non si potesse permettere un tono colloquiale da pari a pari. La distanza che sanciva ogni volta tra loro due era solamente per mettere in risalto l’altro uomo.
Tossì, interrompendo solo per qualche secondo la conversazione.
-Sì, anche noi stiamo bene…-
Alla fine, quando Kimimaro tornò da lui, aveva già finito di sistemare i piatti nella lavastoviglie.
Gli sorrise, avvicinandolo per prenderlo in un abbraccio. Gli diede un bacio a fior di labbra.
-Sei felice?-
Lo guardò negli occhi – diretto, senza lasciargli possibilità di scappare.
-Sei felice? Ora potremmo dire di essere una vera famiglia…-
Lo sentì stringere la presa, quel poco che servì perché i loro corpi entrassero in contatto in maniera più intima. Kimimaro, alla fine, gli circondò la vita con le braccia a sua volta.
-Anche prima lo eravamo, io e te… Siamo una famiglia da parecchio tempo…-
Juugo sbuffò, un poco irritato e un poco divertito da quel volere essere sempre puntiglioso e preciso del compagno. Anche in una situazione come quella doveva avere qualcosa da ridire.
Pazzesco!
-Saremo una famiglia completa! Avremo un bambino a cui badare! Un piccolo te da crescere!-
Una famiglia, una famiglia vera. Come tutte le famiglie normali, come tutte le altre famiglie esistenti.
Due genitori e un figlio. Due figure adulte e un piccolo umano in divenire.
Due più uno, tre. Il numero perfetto.
Juugo era esaltato da tutto quello, lo si poteva leggere benissimo nel suo sguardo – e sì, anche in quello apparentemente immobile di suo marito c’era la medesima luce vibrante.
Kimimaro però rifletté a lungo sulla frase appena detta dall’uomo, considerando ogni eventuale possibilità che essa proponeva.
Poi, prima che Juugo scendesse a baciarlo in maniera seria, stroncando ogni altro tentativo di fare conversazione razionale, gli espose un dubbio che lo assillava.
-E se viene squilibrato come te?-
Juugo restò di stucco, prima di rispondere borbottando e un poco rabbuiato.
-Mi sembra difficile…-
Però, il suo sguardo si fece dolce quando portò una mano ai capelli di Kimimaro, cominciando ad accarezzarli gentilmente e con delicatezza.
-Sicuramente nascerà forte e sano. Sarà bellissimo, intelligente e atletico. Sarà assolutamente un bimbo meraviglioso. Un bimbo stupendo!-
-Non sarà semplicemente normale?-
-Certo! Ma la normalità in casi come questi è la cosa più bella che ci possa essere!-
Un piccolo sorriso, alla fine, riuscì anche ad ottenerlo.


*******


Non era stato facile dire a Orochimaru quello che li legava ormai da tanti anni.
Kimimaro aveva detto di poter accettare la loro relazione solo e solamente dopo che questa fosse stata palese al suo tutore, l’uomo che l’aveva cresciuto come un padre lungo tutta la sua vita.
Juugo aveva compreso bene i sentimenti del compagno, non aveva neanche tentato di fermarlo.
Orochimaru era stato fin troppo comprensivo – o, forse, semplicemente non gliene importava poi così tanto da provare qualcosa di diverso che una tiepida simpatia per la coppia. Conosceva bene sia Juugo che Kimimaro, e se nel primo caso la cosa era stata troppo palese fin da subito, nel secondo non era così nascosta da non risultare ad un occhio attento.
La sorpresa dell’uomo era stata tutta nel fatto che si fossero trovati bene assieme. Questo, sicuramente, non se lo sarebbe mai aspettato.
Ma Orochimaru fu l’unico ad essere così comprensivo nei loro confronti.
Quando vennero a sapere dei loro progetti circa il costruirsi un futuro assieme – una cosa così naturale, ai loro occhi, una cosa così semplice e istintiva da non aver bisogno della minima spiegazione – molti dei loro conoscenti presero le distanze.
Quello che fece loro più male fu una dichiarazione detta quasi per caso da una loro intima amica.
-Il matrimonio va anche bene, ma come potete pensare di adottare un bambino? Non pensate che sia sbagliato?-
Juugo aveva gridato che no, non era sbagliato, o era sbagliato quanto averle dato la possibilità di esprimersi in merito.
Kimimaro aveva sedato fin da subito ogni altro urlo, anche se con una certa riluttanza.

Forse, era stato proprio nel vedere il disgusto dipingersi sui volti della gente che Juugo si era intestardito così tanto nel volere, a tutti i costi, quel benedetto figlio. Quasi fosse più una questione di principio che di puro e semplice amore.
Il compagno non gradiva molto l’idea di soddisfare il suo ego divenendo padre: non gli piaceva l’idea di usare anche solo l’idea di suo figlio per un doppio fine.
Di genitori frustrati e di figli considerati come semplici oggetti ne conosceva già fin troppi – a partire da quegli Uchiha, da quelli che ai suoi occhi gli avevano rubato l’amore legittimo di suo padre.
Però comprendeva bene che, di fronte alla reale possibilità di avere una prole, la malizia di Juugo sarebbe scemata in virtù di un’emozione autentica e genuina. Per questo, non disse nulla a proposito fin tanto che il progetto rimase tale nelle loro menti.

Trovarono Kurenai quasi per sbaglio, quasi per un errore di calcolo.
Kimimaro aveva ricordato il nome della donna come rientrante nel gruppo ristretto dei collaboratori vicini alla figura di Orochimaru, per un qualche motivo a lui davvero sconosciuto.
In effetti, lavoravano in due campi completamente diversi. Ma, forse, tra dirigenti il concetto di conoscenza assumeva sfumature ben diverse.
Non lo sapevano, il fatto era che ritrovarsi di fronte questa donna pronta a dare loro una mano nel loro progetto li aveva quasi sconvolti.
-Perché, mi chiedete? Perché conosco bene la vostra situazione. Anche io ho un bambino piccolo…-
La possibilità di rendere reale un sogno si era palesata ai loro occhi – ora dovevano solo accettarne davvero tutte le conseguenze.
Quella donna non aveva mai mostrato dubbi a riguardo.
Sarebbe rimasta incinta di uno di loro, attraverso la fecondazione artificiale. Successivamente, il figlio nato sarebbe stato adottato dalla coppia già legalmente unita.
Tutto era così incredibilmente perfetto, per una volta, che era quasi difficile da accettare.
Alla fine, il loro cuore aveva fatto un semplice, piccolo salto.


*******


-Papà…-
Kimimaro lo guardò male, ancora avvolto tra le lenzuola del letto.
-Non cominciare…-
Juugo non lo ascoltò, allungandosi verso di lui e posandogli un bacio sul naso sporgente.
Sorrise, ancora pieno di gioia.
-Papà!-
Il giovane Kaguya sbuffò, volgendo lo sguardo dall’altra parte, così da non lasciare modo al compagno di raggiungere la pelle del suo viso. Ma quello persistette, senza trovare nessun ostacolo a fermarlo.
-Sei pronto a farti chiamare così da un fagottino paffuto e tondeggiante?-
Kimimaro ci pensò qualche istante – mentre sentiva Juugo abbracciargli il petto e tirarlo vicino a sé, in un abbraccio energico e possessivo – ci pensò anche quando la bocca dell’uomo cercò la sua fino a trovarla ancora un poco dischiusa, in una postura tale da ricordare il totale abbandono.
Non mostrava di volersi difendere, in alcun modo.
-Sono pronto…-


*******


Mi è stato chiesto il perché io facessi tutto questo.
Perché chiedessi il figlio di una donna come se fosse il mio.
Forse è stato il fatto che Kurenai ha gli occhi di chi conosce la mia sofferenza, non la vive più ma l’ha vissuta un tempo e fino in fondo. Sono gli occhi di chi comprende veramente
Forse non ho neanche il diritto di pretendere nulla, dacché la strada che ho scelto non è quella consona.
Eppure, sento dentro un senso di giustizia che pervade tutto quanto, senza tralasciare nulla.
Amo Juugo, amo già nostro figlio.
È la nostra vita, decidiamo noi chi essere.

Apro gli occhi e vedo lui – quello stupido che urla forte se non lo fermo con mano decisa.
Apro gli occhi ancora e vedo altro, qualcosa di piccolo e ancora non definito.
Li apro una terza volta e li vedo assieme, sfuocati in un unico disegno dai bordi confusi. Emanano quasi luce propria.
Lui mi bacia, mi bacia ripetutamente. L’altro mi chiama con la medesima insistenza.
Ed è impossibile resistere a lungo.
Non credo mi sia difficile sorridere, a questo punto. Non più.
Dio, ora che ci siamo conquistati la felicità sarai così buono da lasciarcela ancora un po’?












Note finali:
Ecco qua il secondo e ultimo capitolo.
Successivamente ci sarà l'epilogo e poi la ff sarà definitivamente conclusa <3
Giusto perché così sedo ogni dubbio a riguardo - specialmente quello delle giudici XD Sasuke Uchiha, che qui è solamente menzionato - mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa ç.ç - doveva essere una sorta di figura di confronto, per Kimimaro. Essendo stato lui cresciuto, in qualche modo, da Orochimaru, questi l'avrebbe posto al di sopra di tutti nella scala dei suoi "protetti", come un punto di riferimento per tutto gli altri. Almeno, l'idea originale era questa, probabilmente se avessi avuto tempo *e specialmente fossi stata più attenta* avrei sviluppato meglio ù.ù
Oh, ho amato il banner <3<3 *pura informazione inutile XD* Kurenai lì mi piace davvero un sacco **

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Capitolo 3
*** Epilogo ***


aprire gli occhi - epilogo
**Epilogo**









Piano, la carrozzella veniva spinta da due paia di mani.
Il bambino stava dormendo, coperto così accuratamente dalle lenzuola color crema che i genitori gli avevano sistemato fin sotto il mento. I pugnetti chiusi erano vicino al viso, appoggiati al piccolo cuscino bianco.
Pareva completamente tranquillo.
-Oh, è questo il piccolo Sasuke?-
Hinata si sporse oltre il bordo della passeggino, per vedere meglio il pargolo. Lo vide muoversi e sbadigliare, sempre con gli occhi serrati.
Sorrise, lasciando il posto ad Asuma. Il bimbo lo guardò incuriosito, come se davanti a sé si trovasse una strana creatura.
Poi, rivolto a Juugo, chiese con semplicità.
-Posso giocare con lui?-
Juugo lo guardò un po’ stranito, per rivolgersi indi a Kimimaro nella difficoltà di non sapere cosa rispondere.
Tuttavia, Kurenai fu più veloce di loro, e mentre allontanava suo figlio dal piccolo gli accarezzò dolcemente la chioma scura.
-Fra qualche tempo potrete giocare assieme, Asuma… Ora Sasuke è troppo piccolo!-
Asuma mise il broncio, senza però replicare.
Tutto attorno a lui fu un sorriso.
Sasuke si mosse ancora, cominciando a lamentarsi piano. Juugo, ricordando le istruzioni che Kurenai aveva elargito quando aveva spiegato loro come trattare un neonato, lo prese in braccio con tutta la delicatezza di cui era capace e lo appoggiò sulla spalla, accarezzandogli la schiena. Alla sua mano si unì quella di Kimimaro, quasi inconsciamente.
Si sorrisero, guardandosi negli occhi – e il mondo attorno scomparve per qualche istante troppo lento.
Da canto suo, Kurenai strinse in un abbraccio quasi possessivo sia il piccolo Asuma che Hinata. Questa, ripresasi dalla sorpresa, la baciò sulla bocca, dolcemente, imitata subito dal bimbo che, con fare abbastanza possessivo, la squadrò male e abbracciò stretto il collo di sua madre.
Risero appena di quel moto istintivo, guardandolo comprensive e intenerite.
A quel punto, la carrozzella riprese la sua corsa…


So I keep one eye open
And I keep my lights on(*)












Ed eccoci qui alla fine effettiva di questa piccola storiella.
Ringrazio di cuore chi mi ha seguita fino a qui, è stato bello poter avere qualcuno con cui condividere.
Spero a presto, su questi lidi <3

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