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di Abraxas
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** #1: Ricominciare ***
Capitolo 3: *** #2: La Push, popolazione 704. Anzi, 706. ***
Capitolo 4: *** #3: Questi sono gli ordini, soldato. ***
Capitolo 5: *** #4: 'cause everytime we touch, I get this feeling... ***
Capitolo 6: *** Intermezzo 1: My! My! Time flies! ***
Capitolo 7: *** #5: Houston, abbiamo un problema... ***
Capitolo 8: *** #6: Niente panico. ***
Capitolo 9: *** Intermezzo 2: On Earth as in Heaven ***
Capitolo 10: *** #7: I don't know you, but I want you... ***
Capitolo 11: *** #8: Aria ***
Capitolo 12: *** Intermezzo 3: Cry havoc, and let slip the dogs of war! ***
Capitolo 13: *** #9: Incontri ravvicinati del terzo tipo ***
Capitolo 14: *** #10: Convivere ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


- PROLOGO -


Viaggiare per lui era… curioso. Di norma chi doveva incontrarlo per un qualsiasi motivo, volente o nolente, faceva i bagagli e si portava ossequioso al suo cospetto. Non in questo caso. Era stata più una necessità che altro a convincerlo a partire, ma aveva accolto la novità con entusiasmo quasi infantile. Ogni tanto cambiare aria gli faceva bene, doveva ammetterlo. Certo, doversi separare dalla sua scorta era un qualcosa di tremendamente scocciante, ma una scorta in questo caso sarebbe stata estremamente appariscente, e da qualche tempo a questa parte era meglio se evitava di farsi notare. Le cose non andavano troppo bene, ma presto tutto sarebbe cambiato.
Sospirò lievemente, un’azione inutile per lui e puramente scenica, ma che sentiva essere davvero adatta all’occasione. Provava un certo fastidio per la lentezza del trasporto, ma era troppo esperto per darlo a vedere tamburellando sul bracciolo del suo sedile o rivelandolo con altri gesti del genere. No, la sua irritazione trapelava dal modo in cui fulminava con lo sguardo le assistenti di volo e chiunque altro osasse rivolgergli la parola per qualunque motivo non fosse sufficientemente importante da rendere indispensabile una sua risposta. Cioè tutti.

“Avvisiamo i signori passeggeri che attraccheremo alla stazione spaziale Calypso fra quindici minuti. I signori passeggeri sono pregati di tornare ai loro posti e di allacciare le imbracature di sicurezza, grazie.”

Si risolse a legarsi intorno alla vita quella scomoda cintura, rassegnandosi al fatto di dover spiegazzare irrimediabilmente il suo raffinato abito nero da viaggio.
Che seccatura.

Attese pazientemente che il pilota portasse la navetta nell’hangar, e seguì scrupolosamente le istruzioni che gli vennero date per poter sbarcare. Sbrigò in fretta le procedure doganali e fu uno dei primi passeggeri a lasciare lo spazioporto per entrare nell’enorme arcologia che era Calypso.
La gente si apriva spontaneamente di fronte a lui, creandogli un percorso nel mezzo della folla che occupava le strade della città orbitante. Poteva sembrare uno dei tanti terrestri che arrivavano ogni giorno per affari su Calypso, eppure qualcosa lo distingueva da tutti gli altri. Il suo modo di muoversi rivelava un’eleganza nobile che non si vedeva spesso da quelle parti. Ogni dettaglio del suo vestiario sembrava trasudare ricercatezza ma, al tempo stesso, semplicità. Avanzava tranquillo, con passo spedito, rivolgendo occhiate interessate alle costruzioni intorno a sé, mentre le sue gambe lo conducevano verso uno dei quartieri più malfamati.
Non pochi malintenzionati lo scrutarono allettati dai gioielli che sfoggiava con tale naturalezza, ma tutti quanti si ritrassero timorosi. C’era qualcosa, nella sua figura, che sembrava voler indicare una sorta di minaccia nascosta dietro la facciata da tranquillo gentiluomo.
Era come un’isola di grazia nel mare di squallore di quella parte della città. Si sistemò meglio la giacca, composto come sempre,  prima di proseguire all’interno di un’unità abitativa diroccata quanto le altre, apparentemente indistinguibile dalle altre centinaia.

“Kain?”, chiamò.

Sapeva che era lì, poteva avvertirne distintamente l’odore. Un odore nauseabondo, notò con disappunto.

Attese qualche secondo, nascondendo alla perfezione la sua impazienza. Aveva aspettato secoli, poteva anche permettersi di spendere cinque minuti in più, no? Eppure si era scoperto bramoso di incontrare faccia a faccia la persona di cui i suoi segugi gli avevano tanto parlato. Tempo… era tutta questione di tempo. Il tempo era il motivo per cui si trovava lì in quel momento. Il tempo, il suo scorrere, e la possibilità di cambiarlo… La possibilità di rimediare a vecchi errori. Ad un vecchio errore in particolare.
Poi Kain si fece avanti, emergendo dall’oscurità in cui era rimasto nascosto. Tremava, era visibilmente impaurito, come se avvertisse il pericolo proveniente da quel visitatore così ben vestito. Lui gli sorrise, allungandogli la mano in quello che sarebbe potuto normalmente passare come un gesto di amicizia, ma che entrambi sapevano non esserlo.

“Non avere paura, Kain. Non ho intenzione di farti del male. Sono qui per aiutarti… se tu aiuterai me.”

Kain continuò a scrutarlo, il terrore che si agitava chiaramente in fondo a quegli occhi così scuri.

“Cosa… cosa vuoi?”, gli chiese sgarbatamente.

“Te.”

“P-perché?”

“Mio caro Kain, tu possiedi un dono che non sai ancora di avere… un dono molto importante per me, un dono che mi permetterà di riprendere ciò che legittimamente mi appartiene. Tu hai il potere di parlare attraverso le epoche. Unisciti a me. Con te io ricostruirò il mio regno, ed in cambio ti offrirò una vita di ricchezze… una vita senza fine. La vera immortalità. Non quella squallida imitazione che offrono oggi nelle cliniche private con il ringiovanimento cellulare. Mi seguirai?”

Kain restò tentennante qualche minuto, per poi cedere alle allettanti parole del suo visitatore, annuendo impercettibilmente.

“Eccellente! Seguimi!”, ordinò l’uomo, battendo allegramente le mani, voltandosi verso la porta ed uscendo alla luce del giorno artificiale. La giornata si preannunciava decisamente interessante, notò eccitato. Si sentiva strappato dalla sua solita apatia… in un certo senso, si sentiva vivo come non mai. Quel viaggio era stato proprio un’ottima idea, pensò, pienamente soddisfatto. Forse avrebbe dovuto concedersi più frequentemente distrazioni del genere… e chissà, forse avrebbe anche trovato un paio d’ore da dedicare ad una comune visita alla stazione spaziale. Era emozionante vedere come gli esseri umani si fossero lanciati sulla strada del progresso. Li aveva visti erigere i primi rozzi monumenti al potere dei faraoni, ed ora era testimone della loro conquista dello spazio. Emozionante, sì, era proprio il termine giusto.
Kain tuttavia tentennava, ignaro delle riflessioni del suo visitatore, non ancora pienamente convinto.

“Tu… chi sei?”, si risolse infine a chiedere.

L’uomo si voltò, sorridendo accondiscendente e guardandolo dal profondo dei suoi occhi rosso sangue come si guarda un bambino che ha appena fatto una domanda estremamente stupida.

“Il mio nome è Aro. Ma da oggi Maestro andrà più che bene.”

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Capitolo 2
*** #1: Ricominciare ***


- #1: Ricominciare -

 
Buio e silenzio. Lampi improvvisi illuminano a scatti lo stretto abitacolo in cui sono costretto, soffocando la fioca illuminazione della strumentazione olografica intorno a me. Un’insistente spia rossa cerca di richiamare la mia attenzione sull’esaurimento degli scudi posteriori, senza troppo successo. Lancio il caccia in una brusca picchiata nel vuoto siderale, inseguito dalle raffiche laser del mio avversario, che non sembra avere alcuna intenzione di mollarmi.
Mormoro un’imprecazione mentre perdo secondi preziosi nel portarmi alle sue spalle con consumata abilità, per abbatterlo subito dopo con un singolo colpo ben piazzato. Niente sta andando come dovrebbe. In teoria starei scortando il gruppo d’evacuazione Iota… in pratica sto cercando di restare vivo in mezzo a sciami senza fine di nemici che sembrano spuntare da ogni dove, e tanti saluti ai civili.
Poi lo vedo. Un convoglio di navette sta cercando di farsi lentamente strada nel campo di battaglia, zigzagando fra esplosioni e proiettili in volo da ogni parte… completamente prive di protezione.
Merda.

“Alfa Uno a Bravo Tre, ti avevo chiesto di stare incollato al gruppo Omega!”, sbraito rabbioso nel microfono incorporato all’interno del casco, mentre incenerisco un caccia sufficientemente imbecille da passarmi davanti come se niente fosse.

“Alfa Uno, ti spiace se prima mi levo dal culo questa mezza dozzina di stronzi che stanno cercando di farmi fuori?”

“Bravo Quattro doveva coprirti le spalle! Dove diavolo è quell’idiota?”

“Andato.”, risponde semplicemente.

Altra imprecazione. Si mette davvero male.
Una rapida occhiata al controllo squadriglia conferma le mie paure. Siamo rimasti in quattro.
Controllo velocemente il radar. Il gruppo Iota è a meno di un chilometro dal portale per Vega, quindi fra sessanta secondi circa saranno tutti al sicuro. Decido rapidamente che quelle navi possono anche cavarsela da sole, e che io invece posso concentrarmi sul nuovo nugolo di avversari che sta puntando con decisione verso la fregata Fortuna, impegnata ad allontanarsi vittoriosamente dal relitto della nave con cui stava scambiando colpi fino a qualche secondo fa.

“Alfa uno a Fortuna, avete sei bombardieri in avvicinamento a otto-tre-due, velocità quattro-due metri/secondo.”

“Ricevuto, Capo Alfa, ci penserà la contraerea. Vai a dare una mano al gruppo Omega, piuttosto. Da qui non possiamo farlo, e la scorta di Bravo Tre è appena andata a farsi benedire! Fai muovere quella carretta che piloti, ragazzo, vai!”

Un cerchio nero dal bordo rosso sul display mi conferma impassibile l’abbattimento del mio compagno. Perdo altri secondi preziosi rimanendo a bocca aperta come un ebete, incapace di compiere qualsiasi azione. Lei… non può… non è possibile…

“Alfa uno, sei ancora vivo? Al gruppo Omega serve copertura ORA!”

Ignoro la radio e le prime lacrime, per lanciare il caccia in una rapida cabrata e spingere i motori al massimo verso le navi che, realizzo solo ora, sono rimaste senza alcuna protezione. Ma per quanto spinga sui postbruciatori, non sono neppure a metà strada quando la prima bomba colpisce la navetta a capo della formazione Omega. Il buio cosmico è illuminato da una serie continua di palle di fuoco, mentre uno dopo l’altro i trasporti saltano in aria… insieme ad una buona parte dei profughi della colonia di New Haven.

. . .

“Comandante, lei non mi sta ascoltando.”

La voce melodiosa della donna sulla cinquantina al di là della scrivania mette bruscamente fine al binario dei miei pensieri. Pensieri che non hanno smesso un solo istante di tormentarmi da più di sei mesi. Stava parlando? Non lo so, e francamente, la cosa non mi interessa più di tanto. Non c’è niente che mi interessi più di tanto, ad essere sinceri.
“Sono mortificato, signore.”, le rispondo, la voce completamente atona, lo sguardo apatico fisso in un punto indefinito della skyline di Washington visibile dall’ampia vetrata a cui la mia interlocutrice sta dando le spalle, oltre i verdi parchi intorno ad Arlington. Lieutenant General Irina Novikova, dichiara la targhetta identificativa sul semplice tavolo di metallo.
Lei sospira, appoggiandosi allo schienale della poltrona ed incrociando le braccia sull’addome, puntandomi addosso quei suoi micidiali occhi di un azzurro chiarissimo. Quegli occhi che sembrano capaci di leggerti nell’anima, e che riescono sempre a metterti a disagio.

“Cosa la turba, figliolo?”

“Nulla di importante, signore.”

“Stronzate. Se la fa star male, è abbastanza serio da meritare la mia attenzione. Quindi avanti, ragazzo mio… non capita tutti i giorni di fare una chiacchierata amichevole con il suo ufficiale superiore.”, mi incoraggia sorridendo.

Non ho alcuna intenzione di parlarne. Non voglio star male di nuovo.

“E’ per quello che è successo a Polaris, Comandante?”, insiste.

Lei ed il suo dannatissimo intuito.

“Sì, signore.”, le rispondo chinando la testa.

Sospira, rumorosamente, alzandosi in piedi e mettendomi una mano sulla spalla. Rabbrividisco involontariamente per quell’inaspettato contatto fisico.

“Chi ha perso di importante?”, domanda senza troppi preamboli.

“Tutti. Del mio squadrone siamo sopravvissuti solo in tre.”

“Chi in particolare?”

“Io, il mio gregar…”

“Non ci siamo capiti, figliolo. Chi fra tutti quei morti era così importante?”

Mi mordo il labbro, chiudendo gli occhi, mentre sussurro la risposta.

“Tenente Vivianne Rodier, Aesir-02.”

“Capisco.”, dice lei, rafforzando la stretta sulla mia spalla. Se non sapessi che è assurdo, direi quasi che sta provando compassione per me.

Io e Vivianne eravamo stati insieme sin dal primo istante della nostra… rinascita. Fra i primi soggetti all’AdvancEd Soldier ImpRovement programAESIR per farla breve. Entrambi reduci da incidenti quasi mortali, ci era stata offerta la possibilità di una nuova vita al servizio dei reparti speciali dell’esercito. Che magnanimità, offrire una speranza di salvezza ad un diciannovenne in fin di vita.

. . .

Pioggia. Era l’unica cosa che riuscivo a sentire, nell’oscurità più totale. Acqua che scorreva lenta sul mio corpo martoriato. Chi aveva spento le stelle?

“Non c’è nulla che possiamo fare per lui, Capomilizia. Ha la colonna vertebrale fratturata in più punti. Volendo, potremmo arrestare le emorragie, ma sarebbe inutile.”

“C’è attività cerebrale?”

“Sì, ma non so per quanto durerà. Il cervello non è più in grado di controllare le attività corporee, una buona metà delle sue connessioni nervose è stata lesionata.”

Le voci erano confuse, lontane. Non vedevo nulla, non mi ricordavo nulla, se non lo schianto che mi aveva lanciato fuori dalla mia aviomobile. Dopo… solo il buio. Fratture multiple alla colonna vertebrale?… ecco perché non vedevo nulla, ecco perché non riuscivo a muovermi. Stavo morendo.

“Non così in fretta, signori… non così in fretta.”

La nuova voce era pacata, tranquilla. Femminile, a differenza delle altre due, con un marcato accento slavo.

“Signora, la prego di allontanarsi.”

“Non si preoccupi, Capomilizia, è tutto sotto controllo.”

Una breve pausa di silenzio. Un fruscio, come di carte ripiegate che venivano aperte.

“Capisco… Generale.”, mormorò infine la voce di quello che avevo identificato come il Capomilizia. “A cosa dobbiamo il suo interesse per un banale incidente automobilistico?”

“Voglio il ragazzo.”

“Sta scherzando, spero.”

“Ufficialmente, voi ne avete registrato il decesso… due secondi fa, diciamo.”

“Non so se…”

“Lo rimetteremo in sesto noi. Voi lo lascereste morire… con noi avrà una nuova vita.”

“Lei… lo vuole per trasformarlo in una di quelle schifose aberrazioni, vero?”

“La sua intolleranza è pari solo alla sua lentezza di comprendonio, Capomilizia. Ora, per farla breve, lei mi consegnerà il corpo adesso, o posso assicurarle che passerà il resto della sua carriera a dirigere traffico commerciale nelle miniere idriche in Antartide.”

La minaccia sembrava essere servita a qualcosa, perché mi caricarono sull’unità medica mobile per portarmi… dove?

“Stia tranquillo, figliolo…”, sussurrò la voce di donna, “quando avremo finito con lei, starà anche meglio di prima. Benvenuto nell’Esercito.”

. . .

In un certo senso, aveva avuto ragione. Mi avevano risistemato, e migliorato anche, con apparecchiature mediche di cui ignoravo persino l’esistenza. Potevo correre più veloce di quanto io avessi mai creduto possibile, muovermi con un’agilità che spaventava me stesso per primo, riuscire a ricordarmi ogni più piccolo dettaglio del più insignificante degli oggetti dopo una sola occhiata, e percepire distintamente i pericoli con una sorta di sesto senso che per quello che mi riguardava aveva molto in comune con la chiaroveggenza. Ma da novello Faust, avevo dovuto dare qualcosa in cambio di tutto ciò… nello specifico, la mia vita. Ora ero un supersoldato al servizio dell’Alleanza, una schifosa aberrazione, per usare le parole di quel Capomilizia che non ho mai conosciuto. Era naturale che legassi da subito con Vivianne, una come me, un mostro in un mondo che rifiutava persino di ammettere la nostra esistenza tranne quando gli faceva comodo averci sottomano. Ad esempio durante una guerra. Pedine sacrificabili… se moriva uno di noi, chi ne avrebbe mai pianto la scomparsa?

 “…e sento che dovrei dirle qualcosa di più che un mi dispiace, Comandante. Ma, in tutta onestà, non so cosa altro potrebbe avere anche solo un briciolo di utilità per lei.”

Ancora una volta mi sono perso nei miei pensieri, ed ancora una volta non mi importa nulla di quello che non ho sentito.

“Non si preoccupi, signore. Apprezzo il gesto.”

Sorrido con un sorriso vuoto. Da quando lei non c’è più è così che mi sento… vuoto. Rotto. Incompleto. Distaccato da questo mondo che ha perso la sua importanza.

“…ma c’è dell’altro, vero?”, continua il Generale, interrompendo la breve pausa di silenzio che si era venuta a creare.

Annuisco.

“Il gruppo Omega, signore. Li ho lasciati morire tutti. Perché? Perché non sono riuscito a salvarli?”

“Perché è umano, Comandante, per quanto lei continui a considerarsi un mostro. Non poteva essere ovunque. Ha salvato le chiappe della Fortuna, il che ci ha permesso di polverizzare quella corvetta saltata fuori dal nulla, il che a sua volta ha permesso ad un buon numero di unità d’evacuazione di lasciare il sistema prima che le cose… ah… degenerassero. Mi pare un buon risultato, tutto sommato.”

Degenerassero. Simpatica perifrasi per definire il caos incontrollato che era stata la battaglia di Polaris.

“Ho condannato a morte un intero convoglio di rifugiati civili, signore.”

“Il gruppo Omega è stato distrutto perché la sua scorta è venuta a mancare… scorta che, nella fattispecie, era composta dal Tenente Rodier. Lei si sente colpevole, vero?”

“Le ho ordinato io di proteggere quei trasporti. Sono stato io a metterla a morte.”

“Non diciamo scemenze. C’era una guerra, ricorda? Le perdite sono inevitabili. Qualcuno sopravvive, qualcun altro… molti qualcun altro… muoiono.”

“Io da solo ho causato più di cinquantamila perdite civili, signore. Tutto perché non sono riuscito a tenere viva la persona a cui tenevo di più.”

“Può darsi. Ma lei da solo ha garantito la salvezza a quasi cinque milioni di profughi. Quindi, la pianti di soffrire per niente. Si sente male per la sua amica? La capisco. Si sente male perché ci sono andati di mezzo dei civili? Questo non lo capisco.”

“Non dormo un sonno naturale da non so più quanto tempo, Generale. E devo ringraziare il fatto che l’essere un Aesir mi impedisca di fare sogni… credo che sia solo grazie a questo che sono riuscito a tirare avanti fino ad oggi.”

“Lei ha bisogno di cambiare aria, figliolo. Per questo l’ho chiamata… la rivogliono alla CHRONOS, e io la sto rispedendo da loro.”

CHRONOS. Collective Headquarters for the Regulation and OverseemeNt Of the Space-time continuum, l’organizzazione paramilitare che si occupa di controllo temporale. Era lì che… lavoravo, prima di essere richiamato per combattere la guerra.

“Come mai i temposbirri mi vogliono ancora?”, chiedo perplesso.

Lei torna a sedersi dietro la scrivania, facendo segno di accomodarmi sulla poltrona di fronte. “Una missione Infiltrazione e Controllo temporale attivo standard. Primo decennio del ventunesimo secolo.”

Mi allunga un datapad, che prendo e comincio a scorrere velocemente.

“Sistemazione a centocinquanta miglia da Seattle? Riserva indiana di La Push? Dico, siete impazziti? Come diavolo farei a passare inosservato?”

“Il contatto della CHRONOS responsabile per il Nordovest è in stretti rapporti di amicizia con l’agente locale del Bureau per gli Affari Indiani. Vi ha procurato una sistemazione senza dare fastidio a nessuno. Sperano che in questo modo l’interesse per la sua presenza rimanga limitato alla zona della riserva, senza che spiacevoli pettegolezzi si diffondano in centri urbani più grandi. Ed in ogni caso, non sarà solo. Le è già stato assegnato un compagno.”

“Tenente Comandante Eva Julia Cortéz, Aesir-27”, leggo. “Mandate due Aesir per una missione del genere? Perché non allegare un battaglione di carri armati, già che ci siamo?”

Noi Aesir siamo fatti per le missioni pericolose. Se ci mandano due di noi per assicurarsi che la storia segua il suo corso, significa che qualcuno ai piani alti teme che possa capitare qualcosa di parecchio… indesiderabile.

“Diciamo che alla CHRONOS due Aesir in più fanno sempre comodo… E pare che ci sia un rischio abbastanza elevato da quelle parti. Vogliono avere le chiappe coperte nel caso succedesse qualche casino.”

“Ci sono indiscrezioni su quale tipo di anomalia dobbiamo aspettarci?”

“Negativo. I nostri colleghi dal futuro sono stati parecchio attenti al riguardo.”

“Sicurezza temporale?”, chiedo, scettico. Novikova annuisce.

“Dicono che rivelare qualsiasi tipo di dettaglio potrebbe modificare in maniera sostanziale la timeline. Tuttavia… hanno richiesto gente dalla mentalità aperta. Adattabile.”

Inarco un sopracciglio.

“Cosa stanno macchinando?”

Lei si appoggia allo schienale, incrociando le dita di fronte al viso.

“Vorrei saperlo pure io, Comandante. Questo è uno dei motivi per cui sto spedendo lei e la Cortéz in un buco dimenticato da Dio con zero istruzioni e zero idee su quello che vi attende. Può sempre rifiutare l’incarico, se vuole. Non gliene farò una colpa…”

Solo allora mi rendo conto di quanto sia riuscita a coinvolgermi. Mi sta mandando allo sbaraglio insieme ad un supersoldato come me quasi quattro secoli nel passato… ma sono curioso di quello che preoccupa tanto la CHRONOS. L’apatia e la depressione che mi hanno accompagnato per sei mesi sembrano dimenticate. Per la prima volta da troppo tempo sento quella strana attrazione verso l’ignoto. Verso il pericolo e l’avventura.

“No, signore. Accetto.”

Un largo sorriso si apre sul viso del mio superiore.

“Non ne dubitavo, Comandante… non ne dubitavo. Si faccia trovare all’hangar sette di Fort Detrick alle 08:00 di domani mattina. Può andare.”

Faccio il saluto e mi dirigo verso la porta, prima di bloccarmi con la mano sul comando di apertura. Mi giro verso il generale, completamente assorta nella lettura di un datapad.

“Signore?”

“Sì, Comandante?”

“Grazie.”, le dico, sincero.

Sorride.

“Di niente. Bentornato nel mondo dei vivi, figliolo.”


- - -

 

“Tenente Comandante Eva Julia Cortéz  a rapporto, signore.”

La ragazza è immobile in un impeccabile saluto militare, che ricambio. Carina come sempre, penso divertito.

“Ci siamo già visti da qualche parte, Tenente?”, chiedo con aria fintamente pensosa.

“Probabilmente quella volta in cui ti ho tirato fuori prima che ti trasformassero in un colabrodo a Rigel…”

“Non esageriamo, me la stavo cavando alla grande!”, le rispondo scoppiando a ridere. Rivederla è un piacevole tuffo nel passato, quando ancora non ero uno zombie complessato dai sensi di colpa.

“Certo, certo… se per te stare di fronte ad un plotone d’esecuzione dei terroristi è cavarsela alla grande… Come stai? E’ da un pezzo che non ci si vede!”, replica abbracciandomi.

“Diciamo che si tira avanti. Negli ultimi mesi non me la sono passata un granché bene.”

“La maggior parte di quelli che conosco non hanno vissuto un gran periodo. Polaris.”

Si è improvvisamente fatta triste. La capisco benissimo.

“Mi spiace aver tirato fuori l’argomento. Colpa mia.”, sussurro, sentendomi in colpa.

“Sì, credo di sì. Come sempre… vedo che la tua capacità di dire le cose sbagliate al momento giusto non è cambiata per nulla, Matt!”, mi punzecchia, cercando di strapparmi un sorriso.

“Senti chi parla! Sei te quella che si è messa nei casini con la Commissione Disciplinare, o sbaglio?”

“Touchè!”, ammette sorridendo. “Ma solo perché quei barbogi in uniforme non hanno un minimo di senso dell’umorismo…”

“Ah beh. Giustificazione comprensibilissima… E' inconcepibile che non ti abbiano creduto!”

Mi becco uno scemo seguito da un pugno sulla spalla.

“Tre anni… non sei cambiato per niente, Matt.”

“Potrei dire lo stesso. Incantevole come suo solito, madamigella.”

Sprofondo in un mezzo inchino e le faccio il baciamano.

“Oh, sempre cavalleresco… chissà che strage di cuori avrai fatto in tutto questo tempo…”, insinua facendomi l’occhiolino. Io arrossisco.

“Non ho combinato proprio un bel niente. Non tutte anelano ad uscire con un Aesir.”

“Sì, conosco la situazione, credimi.”, risponde ridacchiando.

La osservo con più attenzione, e mi convinco che chiunque l’abbia rifiutata solo per la sua natura sia un emerito idiota. E’ decisamente più che carina… occhi di un verde purissimo, che risaltano sulla sua carnagione scura e sui capelli mori legati semplicemente in una coda. Come quasi tutti gli Aesir, il suo corpo è perfetto, e non dimostra più di diciotto anni.

“Nel tuo caso, hanno fatto un pessimo affare. Te l’ho mai detto che sei stupenda?”

“No, ma apprezzo la novità. Andiamo?”

Mi indica l’anonimo edificio dove siamo attesi. All’interno una mezza dozzina di tecnici sono affaccendati intorno ad una sfera di luce azzurra, da cui si dipanano cavi ed apparecchiature varie, intenti a fare gli ultimi controlli per poterci spedire nel passato.

“Comandante D’Aquila e Tenente Comandante Cortéz ?”, ci chiede uno di loro, asciugandosi con la manica dell’uniforme il sudore che gli imperla la fronte.

“Siamo noi.”, rispondo, mostrando i documenti di identificazione e passando per i controlli di sicurezza standard. Analisi retinica, vocale e delle impronte. Una volta confermato che siamo chi sosteniamo di essere ci aggiorna sui dettagli dell’operazione.

“Il terminale di ricezione si trova nell’installazione di Rocky Point, nel Nevada. Troverete un mezzo per raggiungere la vostra destinazione, già equipaggiato con tutto ciò di cui potreste avere bisogno per cominciare la vostra attività di inserimento, nonché le attrezzature necessarie e le interfacce personali per i cicli di rigenerazione. Nelle piastre di memoria esterne abbiamo già effettuato l’upload delle informazioni aggiuntive per l’operazione… ci sono cartine aggiornate di tutto lo Stato, i programmi scolastici, i moduli linguistici, le procedure di pilotaggio dei veicoli e via dicendo… siete già pratici di queste cose, no?”

Annuiamo entrambi.

“Non è la nostra prima operazione nel passato.”, lo rassicura Eva.

“Bene, in tal caso posso risparmiarmi la solita menata sulle misure di sicurezza… posizionatevi sulla piattaforma, per favore.”

Obbediamo, portandoci all’interno di quella sfera di luce celeste, che silenziosamente ci avvolge, cancellando ogni percezione dell’ambiente esterno. Sento un fremito sgradevole attraversarmi il corpo, mentre la macchina si prepara a scompormi in particelle da ricostituire tre secoli e mezzo prima.

“Diamo inizio al trasferimento… Signor Puskin, energia ai focalizzatori primari. Comandante, Tenente… Bon voyage.”


- - -



Centonovanta chilometri orari?

“Eva, non è il caso di rallentare? Vorrei evitare di essere inseguito da mezzo corpo di polizia dello Stato di Washington…”

“Devo proprio? Non pensavo che avrei mai potuto guidare un simile gioiellino… nell’ultima missione mi hanno rifilato una Ford modello T, un catorcio che si muoveva a malapena.”

Cerco di controllare l’ansia mentre il Porsche Cayenne Turbo S imbocca una curva a quella velocità spaventosa. Dubito fortemente che io riuscirei mai a fare una cosa del genere, riflessi Aesir o meno. Eva sembra essere molto più a suo agio.

“Ricordami di nasconderti le chiavi… La prossima volta guido io.”

Ride, una risata incantevole e delicata.

“Per favore! A quest’ora saremmo ancora a Boise!”

“Può darsi, ma perlomeno non starei rischiando un attacco cardiaco!”

“Non ti piace la velocità?”, mi domanda, stupita… staccando gli occhi dalla strada.

“Preferisco fare l’idiota a bordo di un caccia, piuttosto che su un coso a combustione interna!”

Lei mi guarda scandalizzata, senza accennare a tornare a controllare la strada fuori dal parabrezza.

“Dico, questa macchina è una leggenda! Arriva a..."

“Ti spiacerebbe controllare dove diavolo stiamo andando? Magari così riusciresti anche ad evitare di centrare un TIR alla prossima curva…”

“Esagerato…”, ma perlomeno torna a guardare di fronte alla macchina. Io soffoco un sospiro di sollievo, e riprendo in mano il plico di fogli che stavo leggendo. Quanto al convincerla a rallentare, beh, ho capito che è una battaglia persa in partenza. O forse no? Stiamo stranamente decelerando a velocità più umane.

“C’è l’intersezione con l’Interstate 90 fra qualche chilometro. Meglio non farsi notare.”, mi spiega.

Dio benedica le intersezioni autostradali.

“C’è qualcosa di interessante in mezzo a tutta quella roba burocratica?”, continua, indicando con la testa i fogli che ormai hanno invaso la mia parte dell’abitacolo.

“Oltre alle classiche raccomandazioni… Vediamo… abbiamo nuovi protocolli d’ingaggio”, rispondo, cercando il foglio giusto “sul modello a discrezione delle unità coinvolte. Alias, fate quel che ritenete necessario.”

“Persino la CHRONOS non vuole dirci nulla su quello che dovremmo fare, eh?”

“Già… e la cosa non mi piace per niente. Sanno dirci solo ‘occhi aperti’… a cosa, non si sa. Ma passando a cose più allegre… vuoi farti due risate leggendo la storia di copertura ufficiale?”

“Sentiamo… Scusa!”, aggiunge all’ultimo come giustificazione all’inchiodata cui costringe la macchina per evitare una Toyota lanciata a tutta velocità che cerca di superarci da destra. Bofonchia un qualcosa che suona molto come “pezzo d’imbecille”, spinge a fondo l’acceleratore, cambia rapidamente marce e lo lascia alle spalle, alzando il medio verso lo specchietto retrovisore con un sorrisetto compiaciuto.

“Tutto a posto?”

Decisamente devo trovare il modo di impedirle di prendere in mano le chiavi dell’auto.

“A parte variazioni di velocità che non vedevo da quando ho smesso di pilotare un caccia… sì.”

Lei mi rivolge un sorriso di scuse. E’ molto più che carina…

“Dicevi?”

“Eh?” mi rendo conto solo adesso di essermi imbambolato a guardarla sorridere. Che idiota.

“Riguardo alla copertura.”, aggiunge.

“Ah sì. Beh… secondo il genio di chiunque abbia organizzato questa cosa, io e te dovremmo essere due allegri e spensierati fidanzatini figli di papà che sono fuggiti all’estero per poter vivere insieme, dato che le nostre famiglie ci hanno proibito di frequentarci. Bleah. Non ci credo che qualcuno abbia potuto pensare seriamente una cosa del genere nel ventiquattresimo secolo…”

“Simpatico remake di Cime Tempestose. Con qualche modifica, beh, ma mi pare evidente che qualcuno ultimamente si è dato alla lettura della Bronte. Solo, non chiedermi di starti incollata come una fidanzatina adorante, ok?”

“Non era mia intenzione.”, le dico con un ghigno. Beh, diciamo che non mi sarebbe dispiaciuto sacrificarmi per la riuscita della messinscena, tutto sommato.

“Sarà meglio. Non credo che apprezzerebbero se ti spezzassi un braccio prima ancora di cominciare la missione.”, mi risponde senza guardarmi.

“D’accordo, Cortéz , cercherò di considerarti una vecchia racchia, ok?”

“Adesso non esagerare, D’Aquila.”

Sorride ancora con quell’espressione meravigliosa. Ed io mi incanto nuovamente a guardarla, per poi darmi ancora una volta dell’idiota.


***

N.d.A.: Ringrazio Elly_Volturi per l'incoraggiamento!

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Capitolo 3
*** #2: La Push, popolazione 704. Anzi, 706. ***


- #2: La Push, popolazione 704. Anzi, 706. -

 
“Dimmi che è uno scherzo.”, sussurra con una vaga nota di panico nella voce.

Vorrei poterglielo dire, ma purtroppo la realtà è quella che è. In questo caso, un letto matrimoniale a baldacchino nell’unica camera da letto della casa.
Questo incarico sta cominciando con il piede sbagliato. Passi il fatto che siamo finiti nel posto più nuvoloso che io abbia mai visto, che siamo costretti in una casa di meno di cinquanta metri quadrati in due (con un solo bagno, come tiene a precisare Eva) e che la suddetta casa sia da risistemare quasi completamente, ma perlomeno potevano darci una brandina o qualcosa del genere…

“Io dormo in macchina.”, le dico, in un ascesso di spirito cavalleresco vecchio stile.

“Non diciamo idiozie. Dobbiamo fare la coppia di adolescenti felici, non i quarantenni sull’orlo del divorzio!”

“Beh, allora stendo un materasso per terra.”

“Potremmo comprare due letti nel primo negozio di arredamento che troviamo. Il fondo cassa ce l’abbiamo. Finirebbe sotto spese di ristrutturazione.”

E mi agita un fascio di banconote sotto al naso. Viva il conto corrente da dieci milioni di dollari depositato in una anonima banca svizzera che i tecnici ci hanno creato dal nulla.
Controllo l’orologio: sono le undici di sera… il mobilio dovrà aspettare quantomeno domani.

“Comincio a scaricare le valigie… La cucina funziona? La luce c’è…”

“Vado a vedere… Cosa vorresti cucinare, in ogni caso?”

Sorrido.

“Regola numero uno, pivella: quando sei in trasferimento in altre epoche, portati sempre dietro qualcosa da mangiare. Il cibo americano del ventunesimo secolo è a dir poco rivoltante… dammi mezz’ora e la spaghettata di mezzanotte è pronta.”

“Prendo nota. Il piano cottura sembrerebbe funzionare…” mi risponde dalla cucina “Spero di non far saltare in aria la casa con una fuga di gas. Da quanto tempo è disabitata?”

“Qualche anno, mi pare. Non ho ben capito come sia finita nelle mani di un contatto della CHRONOS, e sinceramente non voglio saperlo. Le loro vie legali sono… estremamente trasversali.”

“Bene. Abbiamo anche un aspirapolvere?”

“Non vorrai metterti a fare le pulizie adesso!”, gemo inorridito.

“Non so te, ma io in un letto rimasto a prender polvere per mesi non ho intenzione di dormire.”

Non ha tutti i torti. Ma non ho nemmeno la minima intenzione di mettermi a fare il domestico prima di domani.

“Se dormissimo tutti e due in macchina?”, azzardo.

Lei sembra considerare l’ipotesi. “Io dietro.”, acconsente infine.

“Ok. Vado a prendere le robe per la cucina dal bagagliaio.”

Esco da quella che ora è una catapecchia e che in qualche giorno diventerà casa nostra a tutti gli effetti per aprire la macchina. Ovviamente, la cassa che serve, quella degli alimentari, è sotto tutte le altre. Maledizione ai tecnici e alla loro idea di praticità… altrettanto ovviamente la cassa in cima a tutte è quella delle armi. Fantastico. Chi non si trova in mezzo ad una sparatoria appena arrivato nel passato? Si prospetta una sfacchinata colossale… a questo punto, tanto vale…
Faccio capolino dalla porta d’ingresso.

“Ripensandoci… che ne diresti di un panino?”, chiedo con la migliore faccia tosta a mia disposizione.
 

- - -

 
Maledizione anche al mio spirito cavalleresco. Quando mi sveglio la mattina dopo sono indolenzito dalla testa ai piedi… speravo che i sedili dell’auto fossero un filo più comodi, in tutta onestà. Dietro di me Eva continua a dormire tranquillamente. Si è disfata la coda per potersi sdraiare più comodamente, ed ora una ciocca di capelli le copre il viso, adagiata dolcemente sulla guancia, seguendo il…

Mi do dell’idiota per l’ennesima volta, ed esco di scatto dal Cayenne. Richiudendo la portiera con estrema attenzione, per non svegliarla. Se va avanti così comincerò a desiderare di non essere finito in squadra con lei. D’accordo, è oggettivamente bella… ma imbambolarsi a guardarla mentre dorme è un filino eccessivo e… da maniaci. Rabbrividisco. Dov’è finito il mio vecchio io affetto da depressione cronica? Possibile che sia sparito così in fretta grazie a lei?
Ok, affrontiamo la realtà: tre anni fa mi ero preso una cotta di quelle colossali per Eva. Diciamo che ero riuscito a superarla in qualche modo, grazie anche alla smisurata pazienza di Vivianne, senza che la diretta interessata ne sapesse niente. Vivianne… quanto mi manca. Lei, la sorella che non ho mai avuto, sempre con il sorriso sulle labbra, sempre pronta a farti tornare il buonumore, sempre disponibile ad aiutare.

Scuoto la testa, amareggiato, cercando di allontanarne il ricordo. Non devo pensarci. Sono riuscito a fingere di essere un ragazzo qualunque da quando ho rincontrato Eva, e vorrei tanto evitare di tornare ad essere l’ameba degli ultimi mesi.

Oltretutto, ora sono un suo ufficiale superiore. Una cosa del genere non è neppure lontanamente concepibile. Eva. No, accidenti, ci sono già passato! Non può capitarmi di nuovo!

Decido di fare due passi, tanto per schiarirmi le idee, ringraziando di avere indosso scarpe impermeabili. Ogni cosa sembra trasudare acqua, ed il cielo promette fulmini e saette. Secondo il bollettino meteo è così tutto l’anno… bel posticino allegro in cui sono finito, sbuffo, infilando le mani nelle tasche della felpa.
La casa ad un solo piano, dipinta di bianco, è costruita vicino alla foresta, i cui alberi più esterni arrivano quasi a toccare il muro posteriore con le loro fronde. Solo ora mi rendo conto di quanto gli alberi siano stupendi, di un verde… no, accidenti, il verde-occhi-di-Eva non esiste. Devo smettere di pensarci… allungo il passo, cercando di liberare la mente. Inspira-espira, la facevano tanto facile, all’addestramento di base…

Quando mi calmo ho ormai raggiunto una spiaggia. Le meraviglie dello Stato di Washington… dalla selva più fitta all’Oceano Pacifico in neanche un chilometro. Però… devo ammetterlo, mi piace il posto. Sarà l’odore di pino e di fresco, sarà che le nuvole non mi hanno mai dato troppo fastidio… Boh. E’… bello. Perfettamente in tono con il mio umore, oltretutto.
Ora che mi sono calmato ritorno verso la macchina. Eva si è svegliata e, a giudicare dal profumo proveniente dalla casa, sta preparando il caffè.

“Buongiorno, Tenente.”, la saluto entrando.

“Comandante…”, mi allunga una tazza di caffè. “No, non è la brodaglia che usano in America.”, mi informa anticipando la mia domanda. “Questo proviene direttamente dalle piantagioni brasiliane. Scorta personale… altro che le sue fallite pastasciuttate di mezzanotte.”

“Ottima cosa. Apprezzo l’iniziativa personale, Eva, figurerà sicuramente nel mio rapporto.”, le sorrido. “E, per favore, dammi del tu. Lasciamo le formalità nel ventiquattresimo secolo... Preferisco rimanere a quando eravamo di pari grado.”

“D’accordo. Sai, devo ancora abituarmici… Chi avrebbe mai immaginato, tre anni fa, che avresti fatto carriera?”

“L’avresti fatta pure tu, se non ti fossi divertita a finire davanti alla commissione disciplinare ogni due per tre. Sei un caso perso, mia cara!”, le sorrido, sorseggiando la scura bevanda. E’ davvero ottima, devo riconoscerlo. Avere una buona cuoca come compagna è sempre una buona cosa.

“Come no. Non pensare di comprarmi così...”, ridacchia. “C’è parecchio da fare, e cominciamo subito. Oggi attacchiamo la camera da letto. Voglio quell’affare che cerca di spacciarsi per un letto fuori di qui prima di mezzogiorno. A cercare pezzi d’arredamento penso io, faccio un salto a Port Angeles… tu occupati di imbiancare. Sei l’uomo di casa, secondo il copione, quindi vedi di comportarti come tale.”

“Uomo di casa, non schiavo personale… Non ho ancora finito di fare colazione e già cominci a darmi ordini!”

Mi strappa la tazza di mano e mi spinge fuori dalla cucina. “Su, su, al lavoro!”

“Ma…”

“Niente ma! Vorrei avere un soggiorno in cui accogliere i vicini di casa quando passeranno a trovarci…”

“Ma figuriamoci! Da quando in qua vuoi giocare alla buona donna di casa?”

“Zut! Muoviti, e vedi di scaricare la roba dal Cayenne, ho bisogno del bagagliaio libero se devo fare shopping immobiliare!”

“Ma non dovremmo anche andare a scuola, sempre secondo la copertura?”, chiedo implorante, cercando di evitare in tutti i modi la condanna che è già stata segnata.

“Una volta sistemata questa catapecchia, avremo tutto il tempo di recuperare le lezioni perdute. Siamo fuggiti improvvisamente da casa nostra, ricordi? Non abbiamo certo pianificato la nostra comparsa quaggiù per farla coincidere con l’inizio dell’anno scolastico! Muoversi, marsch!”, intima cominciando a spingermi verso la porta.

Fantastico.

Con un sospiro mi avvio a scaricare l’auto, sperando che la mia decisione di lasciarle la sovrintendenza dei lavori di ristrutturazione non si riveli un fiasco totale… Sembrerebbe avere le idee molto più chiare di me riguardo a cosa vada fatto, ed io sono lietissimo di mollarle questa incombenza. Fosse per me basterebbe dare una ripulita e stendere due sacchi a pelo.
Apro il bagagliaio, e comincio con lo scaricare la cassa in cima al mucchio. Quella con i bordi rossi, il logo dell’Alleanza stampato in gigantografia e con quattro serrature ad apertura digitale. Quella che non potrebbe passare inosservata nemmeno con le migliori intenzioni…

“Ciao!”

Merda. Quella che speravo nessuno mi avrebbe mai visto tirare fuori dal SUV. Con la scusa di spostarla per guardare in faccia chi mi ha appena rivolto la parola, la faccio sparire nuovamente nel baule, mormorando imprecazioni a non finire contro i ficcanaso mattinieri.

La ficcanaso in questione è una ragazza, dalla pelle bronzea ed i capelli di un nero corvino che le arrivano alla cintola. Ventidue anni, azzardo, e… caspita che cicatrici! Tre lunghi segni rossi che le deturpano il volto dai capelli al mento… al confronto, persino lo sfregio sul viso del Generale Novikova  sembra uno scherzo. Cerco di non sembrare troppo interessato al suo volto… sarebbe parecchio privo di tatto, credo.

“Ehm… ciao”, le rispondo, sorridendo e piazzandomi davanti al bagagliaio in modo che non possa sbirciare dentro.

“Io sono Emily”, si presenta, tendendomi la mano, “la vostra vicina di casa. Si parlava da un po’ di voi due, sapete?”

Gliela stringo, ma il sorriso mi si gela sulle labbra, mentre vedo distintamente le possibilità di passare relativamente inosservati precipitare verso lo zero totale. Dovevamo proprio andare a ficcarci in una riserva indiana? E’ come andare in giro con un campaccio al collo con su scritto nuovi arrivati.

“Matt. Davvero? Spero in bene…”, le chiedo, non troppo convinto.

“Oh, i soliti pettegolezzi della riserva… niente di che, tranquillo. Preferisco non basarmi su quelli quando devo conoscere qualcuno.”

“Mi fa piacere.”, rispondo tornando a sorridere. Forse la copertura può reggere altri tre secondi…

“Da buona vicina volevo offrire il mio aiuto per qualsiasi cosa possiate aver bisogno. Ed ovviamente invitarvi a pranzo, dato che non credo che abbiate già sistemato la cucina.”

“Oh. Beh… credo che accetteremo. EVA!

“Sì?”, urla lei di rimando dalla casa. Recitazione perfetta, quando so che con i suoi sensi potenziati non si è persa neppure una parola del nostro breve dialogo.

“Vieni fuori, ti devo presentare una persona!”

Lei appare poco dopo, con un sorriso smagliante sulle labbra. E’ bella…, sospira sognante un angolino del mio cervello.

“Io sono Eva.”

“Emily, piacere.”

Se è rimasta colpita quanto me dalle cicatrici sul suo volto, non lo da minimamente a vedere mentre le stringe la mano.

“Emily ci ha appena invitato a pranzo. Accettiamo?”

“Direi proprio di sì, caro. Almeno non devo sopportare un’altra volta i tuoi tentativi di farti onore in cucina…”

Caro? Il mio cuore perde un battito. Ah, già… noi due saremmo i fidanzatini, ricordo con delusione.

“La prossima volta ti arrangi a cucinare.”

“Ovviamente. Perlomeno otterrò qualcosa di diverso da quattro tocchi di carbone…”

“Ehi, non è colpa mia se avevo a disposizione solo un microonde difettoso!”

“Ciò non cambia il risultato.”

“Ma per piacere! Vuoi farmi credere di saper fare di meglio?”

“Non c’è bisogno di fartelo credere… io so fare di meglio, punto e basta.”

“Ah! Donne!”

Emily ridacchia al nostro scambio di battute.

“Vi aspetto per l’una, allora? Così vi posso presentare anche i ragazzi…”

Ahia. Test pubblico della storiella di copertura in avvicinamento.

“D’accordo. Grazie, Emily!”

“Di niente, figuratevi. E non dimenticate di chiedermi qualsiasi cosa vi serva!”

“Non vorremmo approfittare troppo…”

“Nessun disturbo, davvero!”

Scambio di convenevoli fra le due ragazze. Attendo pazientemente che finiscano, restando tutto il tempo con un sorriso di circostanza/idiota stampato in volto. Finalmente si scollano, Emily torna in casa sua, e io posso finalmente concludere il trasporto in salotto della cassa di armi.

“Spero vivamente che la tizia non abbia notato il fatto che tu stessi portando dentro l’arsenale…”

“Lo spero pure io, cara. Dove piazzo questa roba?”, chiedo, sbuffando per lo sforzo di tenere sollevato il contenitore.

“Possiamo nasconderla sotto il parquet in camera. A proposito, muoviti a cominciare a sistemare. Non abbiamo molto tempo…”

Sospiro, rassegnato. “Sissignora. Le pareti bianco bianco o bianco perla?”

“Pensavo più ad un azzurro chiaro.”

“Complichiamoci la vita, eh? Non basta il bianco?”

“No. Ed ora fila, o salti il pranzo dai vicini.”

“Tenente, qui stiamo esagerando.”

Lei sbuffa.

“Ok, capo. Passi te a scegliere i mobili a Port Angeles?”, domanda con una smorfia diabolica.

Improvvisamente sento un desiderio innato di dedicarmi alla soave arte della ristrutturazione.

“E come pensi di tornare in tempo per il pranzo, ossia fra meno di cinque ore?”, obietto.

“Vogliamo vedere?”, chiede con un sorriso sornione, prendendo le chiavi del Cayenne e facendomele tintinnare davanti agli occhi.

E mentre parte sgommando in retromarcia, non posso fare a meno di chiedermi per quanto ancora quell’auto reggerà i suoi ritmi.
 

- - -

 
Cosa ho fatto di male per meritarmi questo?

Camicie, camicie, camicie. Chi diavolo ha preparato la valigia con gli abiti del ventunesimo secolo? Non c’è una maglietta nemmeno a piangere. Non possono trattarmi così.
Eva fa capolino dalla porta della stanza, guardandomi sorpresa.

“Non sei ancora pronto?”

“Io dovrei mettermi addosso una di queste cose?”, chiedo indicando con orrore gli abiti ancora perfettamente ripiegati nel bagaglio.

“Queste cose, per tua informazione, costano dagli ottanta dollari in su, nessuna esclusa.”

Appunto! Ma dico io, metterci dentro un paio di felpe tanto per no, eh?”

“Spiacente, la felpa te la sei giocata usandola ieri per il viaggio in macchina.”

“Potrei rimetterla su…”

“Nemmeno per idea! Puzza!”

Mi siedo sul pavimento con un gemito. Avrei dovuto fare quattro chiacchiere con chiunque fosse a capo della sezione logistica, poco ma sicuro.

“Oh, insomma!”

Si getta sulla valigia e con abilità si fa strada nel contenuto.

“No… No… Mmm… potrebbe ma… no. No. Orrore, proprio no. Schifo. Forse. Schifoschifo. Ah, ecco.”

E mi lancia una camicia bianca ed un gilet blu scuro.

“E ringrazia che i jeans sono di moda anche nel ventiquattresimo secolo, altrimenti ti sarebbero toccati i pantaloni gessati.”

Orrore. Quelli proprio no.

“Grazie, Eva.”

Lei sospira. Solo allora mi rendo conto che anche lei deve aver litigato con la sua valigia… con risultati molto migliori dei miei. Indossa stivali in pelle, jeans chiari e un maglione nero con uno scaldacollo dello stesso colore. Si è piastrata i capelli, che adesso le ricadono fluidi sulle spalle, e si è persino truccata. Wow.

“Sei bellissima.”, le dico, sincero.

“Fare complimenti non ti aiuterà a riguadagnare i punti che hai perso per la tua totale incapacità di gestire il tuo abbigliamento”, scherza.

“Sono un soldato, io, non uno stilista! Io indosso le uniformi, e la cosa si ferma lì.”, protesto debolmente.

“D’accordo, soldato… indossa quella roba e andiamo, che è ora. Trovare una scusa per un ritardo quando abiti di fianco alla destinazione sarebbe parecchio complicato.”

D’accordo, camicia. A noi due.
 

- - -

 
“E’ scomodissima!”, sibilo, sistemandomi il colletto per l’ennesima volta.

“Oh, piantala. Fai finta di essere abituato a tutto ciò, sei pur sempre un discendente di una nobile famiglia aristocratica!”, ridacchia mentre toglie un’invisibile granello di polvere dal suo maglione.

Dannatissimo alibi che mi costringe a vestirmi come un pagliaccio.

“Odio tutto questo…”

Eva sbuffa, mettendomi una mano sul fianco. Il suo tocco mi fa sussultare, e sento un’ondata di calore improvviso. Cercando di calmarmi, circondo il suo collo con un braccio, conscio di dover fare la mia parte nella recita degli allegri fidanzatini… non che mi risulti così difficile. Bussiamo alla porta, che viene aperta da una sorridente Emily.

“Eccovi… la carne è quasi pronta. Entrate, entrate… fate come se foste a casa vostra!”

Sciogliamo il nostro abbraccio e la seguiamo in sala da pranzo, dove una specie di armadio a due ante con cassettiera allegata sta sistemando sul tavolo una teglia di carne alla brace formato extralarge.

“Sam… loro sono i nostri vicini, Eva e Matt. Lui è il mio fidanzato.”, ci spiega.

Si gira verso di noi, e in quel momento un campanello d’allarme mi suona in testa. Controllo Eva con la coda dell’occhio, e vedo che anche lei si è improvvisamente incupita; riconosco chiaramente il buffo movimento del suo labbro come un tentativo tardivo di non scoprire i denti in segno di sfida, mentre lotta contro gli istinti animaleschi che si agitano dentro di lei. Entrambi riprendiamo subito a sorridere, ma restiamo inquieti. Il sesto senso degli Aesir non sbaglia. E quel sesto senso ha appena allegato un cartello “pericolo” al colosso che abbiamo di fronte. Per la precisione, ci ha appena consigliato vivamente di stenderlo appena possibile.

“Piacere”, mi dice, stritolandomi la mano in una morsa calda. Forse è pericoloso, ma non mi sembra una persona malvagia… ed in genere azzecco sempre le prime impressioni. Cosa ci nasconde?

“Così, voi due siete il Romeo e la Giulietta fuggiti per stare insieme?”, chiede sorridendo.

“Già.” gli dico, facendo passare il mio braccio intorno al fianco di Eva, in un tentativo di tranquillizzarla. “Cerchiamo di costruire qua il nostro felici e contenti… è una fortuna aver trovato casa in un posto così sperduto. Ho scoperto l’atto di proprietà della casa rovistando fra i documenti di famiglia poco prima della nostra  fuga. Dubito che qualcuno verrà mai a cercarci qui.”

“Direi. Non sono molti quelli che vengono a La Push, se hanno un altro posto dove andare…”

Devo prenderlo come un velato andatevene? Stai fresco, ragazzone…

La porta si apre improvvisamente, ed altri due ragazzi sopra al metro e novanta fanno il loro ingresso nella casa. Ma sono tutti così enormi da queste parti?

“Potevate almeno bussare…”, li accoglie Emily, con una punta di fastidio. “Matt, Eva, questi sono Jared e Paul.”

Stavolta la tentazione di scoprire i denti viene anche a me, ma riesco a soffocarla rapidamente. Eva trema, e la sua mano scatta verso l’anca, stringendo convulsamente il vuoto normalmente occupato dalla fondina della pistola. Dopo qualche secondo pure lei si calma. E’ successo tutto troppo in fretta perché i nostri ospiti ci abbiano fatto caso. Così torniamo a sorridere e a stringere mani grandi come badili mentre facciamo la conoscenza degli amici di Emily, sedendoci intorno al tavolo e servendoci abbondanti porzioni di carne e patatine.
 

- - -

 
“Cosa-diavolo-è-stato?”, sbotta rabbiosa mentre percorre a grandi passi la distanza che la separa dal suo armadio.
Io sospiro, appoggiandomi alla porta chiusa della camera da letto, che adesso è quantomeno abitabile. Il pranzo è andato bene, tutto sommato, e ci siamo intrattenuti fino a tardo pomeriggio da Emily. I ragazzi sembrano simpatici, ma…

Esatto. Ma.

“Calmati, Eva.”

“Ci sto provando, ma finché non capisco perché ho dovuto lottare tutto il tempo contro l’impulso di sgozzare i nostri vicini lo trovo estremamente difficile!”

“Perché trovi attraenti i ragazzoni ben piazzati?”, le sorrido stancamente.

“Non è il momento di scherzare.”

“Lo so. Scusa. E’ che… anch’io ho avuto paura di perdere il controllo.” E la cosa non mi succedeva dai miei primi incarichi… cinque anni fa, ormai.

“Perché li percepiamo come nemici? D’accordo, sono grandi e grossi, anche troppo per la loro età, ma non sarebbero mai una minaccia per noi…”

Grossi? Decisamente ipertrofici. Quando Jared e Paul avevano detto di avere diciassette anni ero stato sul punto di scoppiargli a ridere in faccia. Fortunatamente ho evitato.

“Ottima domanda. Mi piacerebbe poterti dire che probabilmente è colpa del nostro viaggio temporale, che i nostri sensi si devono ancora abituare a quest’epoca e che siamo decisamente troppo sul chi-va-là, ma sarebbe mentire a me stesso.”

“Dici che potrebbero essere loro il problema per cui ci hanno spediti quaggiù?”

E’ una possibilità, eppure…

“No.”

“Come fai a dirlo con così tanta sicurezza?”

“Chiamalo istinto.”

“Preferisco chiamarlo non-ho-una-spiegazione-logica-ma-sono-stupidamente-convinto-che-andrà-tutto-bene…

“Non dovrebbe?”, le chiedo.

Lei sembra ponderare seriamente la domanda, ma io la interrompo.

“Eva, vai a riposarti. Sei stanca, e c’è mancato un pelo che tu accoppassi tre nativi qualche minuto fa… Il tuo tentativo di autocontrollo è ammirevole, ma non strafare.”

“Non credo di…”

“Tenente. Ciclo di rigenerazione di due ore. Adesso. E’ un ordine.”

“Sissignore.”, acconsente stancamente, prendendo il necessario per attivare il ciclo di ricarica da una delle casse abbandonate alla rinfusa sul pavimento del soggiorno. La osservo mentre si stende sul letto senza nemmeno cambiarsi, legandosi sul capo la fascia elastica collegata all’alimentatore e attivando la macchina. Qualche secondo dopo le sue pupille si dilatano a dismisura, segno che è entrata in fase rigenerativa. Devo lottare con me stesso per costringermi ad uscire dalla stanza senza restare lì imbambolato a guardarla.
Maledizione. Cosa mi prende?

La risposta si fa silenziosamente strada nel mio cervello.

Ammettilo, non l’hai mai dimenticata davvero,razza di stupido.

Non mi posso permettere un ritorno di fiamma, non ora!

Non sei certo tu a scegliere, ti pare?

Scuoto la testa, cercando di non pensare a quanto posso essere ridicolo ad intrattenermi in un monologo interiore con me stesso, e per distrarmi riprendo i lavori di ristrutturazione. Accidenti, l’ho rivista per tre giorni scarsi! Ci siamo trovati subito in affinità, questo è vero, però…

Anche restare impalato a guardarla fa parte dell’affinità?

Devo smetterla.

Cosa speri di trovare in lei?

Ho detto basta!

Lei non è Vivianne, lo sai benissimo… non riuscirai a sostituirla così.

Non diciamo idiozie… sono agli antipodi. Eva è decisa, intraprendente, sicura di sé. Vivianne era dolce e riservata… non potrei mai pensare di sostituire una con l’altra. Mai.

Però stai cercando di riempire il vuoto dentro di te. Devi imparare a convivere con la perdita, non rimpiazzarla alla prima occasione.

Ma io non ci riesco! Io… lei… lei mi manca. Mi manca il suo sorriso, mi mancano le sue carezze affettuose, mi manca la sua risata scampanellante, mi manca il suo modo di curvare le labbra quando era imbronciata, mi mancano i suoi consigli sempre pronti. Lei avrebbe saputo esattamente cosa dirmi adesso. E se adesso non può farlo, è solo per colpa mia.

“Perdonami.”, sussurro al vuoto.

Lei mi avrebbe sorriso e, scuotendo la testa, mi avrebbe detto che non c’era bisogno di chiederle scusa. Noi non dovremo mai farlo, mi aveva detto una volta, perché ci saremo già perdonati.

E’ tutto così lontano…

Torno in me quando urto dolorosamente una mensola con la testa. Perso nei miei pensieri mi ero dimenticato della sua esistenza, che si è prepotentemente fatta notare sotto forma di uno spigolo. Infido mobile assassino, borbotto massaggiandomi il capo. Perlomeno ha messo un freno alle mie riflessioni che mi stavano portando verso la depressione andante. Ma il problema di fondo rimane… cosa provo esattamente per Eva?

Sospiro, tornando alla mia opera di manutenzione domestica. Conosco fin troppo bene la risposta a questa domanda.



***

N.d.A.: Lo so, il Paul canonico è sedicenne, ma me ne sono accorto troppo tardi... Oramai la frittata era fatta. Perciò, in questo universo partorito dalla mia mente malata avrà 17 anni. Non che la cosa lo cambi chissà quanto, a mio parere...


Ancora grazie ad Elly_Volturi... per quanto riguarda l'ipertecnologicità, essere un appassionato di fantascienza aiuta a tirare fuori termini astrusi che hanno una qualche parvenza logica xD Sono contento che la storia ti piaccia!

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Capitolo 4
*** #3: Questi sono gli ordini, soldato. ***


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- #3: Questi sono gli ordini, soldato -

 
“Tenente, come può notare, la busta è integra.”

“Confermo l’integrità della busta, signore.”

“Procedo all’apertura della busta contenente i nostri ordini.”

“Confermo che tutto si è svolto regolarmente, come da procedura.”, risponde annoiata. “Adesso che abbiamo messo tutto a verbale, possiamo piantarla con questo teatrino? La cena non si prepara da sola…”

Ignoro le sue lamentele mentre strappo i sigilli. Con un pesante flop, un fascicolo sulle duecento pagine cade sul tavolino.

“Molto bene…”, sospiro rassegnato, prendendolo in mano. “Diamoci dentro.”

Perché in un epoca in cui esistono datapad e nanocomputer ci costringano a dover leggere dei romanzi in carta per conoscere gli ordini è un qualcosa che è sempre sfuggito alla mia comprensione. Oh, certo, i documenti cartacei si possono distruggere senza lasciare tracce. Fatto sta che così sono costretto a leggerli, invece di poterli scaricare direttamente in memoria.

“Con l’autorizzazione del Presidente MacKenzie e dell’Ammiraglio Gordon…”

Ok, questo lo posso anche saltare. Burocratese di copertina, assolutamente inutile. Passo direttamente alla seconda pagina.

“…seguono i dettagli dell’operazione #0354964, infiltrazione e controllo temporale attivo. Unità coinvolte: Aesir-014, Aesir-027. Priorità: media, DEFCON-4. Data inizio missione...”

Un’oretta più tardi ho quasi finito, e di una cosa sono certo: la CHRONOS non è per nulla felice di dover dare in giro informazioni riservate. Eufemismo per dire che i dati che servono sono sepolti sotto capitoli e capitoli dedicati a facilitare l’attività di inserimento.

“…culturalmente parlando, il XXI secolo è stato probabilmente il periodo fondamentale per la creazione di quello spirito unitario che avrebbe condotto alla formazione della Federazione Terrestre prima e del Commonwealth poi. Per quanto i primi decenni siano stati funestati da guerre e tensioni (ricordiamo a tal proposito gli attentati terroristici dell’11 settembre 2001, la guerra Israelo-Iraniana del 2014 e l’incidente della George Washington fra Stati Uniti e Corea del Nord nel novembre 2015, solo per citare alcuni episodi particolarmente rilevanti), con l’avvento della seconda metà del secolo ed il rafforzamento del potere effettivo delle Nazioni Unite…”

Cosa abbia a che fare l’affondamento di una portaerei che avverrà fra dieci anni con noi due è una domanda a cui non saprò mai dare risposta. Sbuffando, abbandono il dossier sul tavolo, stropicciandomi gli occhi. Aesir o no, la stanchezza comincia a farsi sentire.

“Allora?”, domanda Eva, uscendo dalla cucina con due porzioni di insalata di riso. Le mostro una foto che ritrae un uomo sulla trentina, dagli evidenti tratti somatici indiani e con due enormi occhi marrone cioccolato, mentre prendo il piatto che mi offre.

“Sai chi è questo?”

“Il professor Caleb Black.”, risponde, pronta. “L’inventore del primo prototipo di motore relativistico, ed una delle principali menti dietro la creazione della rete dei portali quantici che consentono la navigazione fra sistemi solari.”

“Qualcuno ha fatto i compiti a casa.", ridacchio. "Allora, da quello che ho capito dalla mia lettura informativa, nelle vicinanze della riserva si trovano o si verranno a trovare alcuni dei suoi antenati. Secondo la CHRONOS, qualcuno sta cercando di impedirne la nascita, e questa è la ragione per cui è stata rilevata attività tachionica irregolare da queste parti. Duecento pagine per dire questo.”

Eva mi lancia un’occhiata scettica, masticando una forchettata di riso.

“Chi potrebbe avere interesse nel compiere un atto del genere? Tanto per cominciare, senza la colonizzazione spaziale le grandi potenze del nostro tempo come la Repubblica Popolare di Altair non esisterebbero nemmeno, quindi scarterei l’ipotesi di un attacco temporale da parte loro… e comunque sia, si tratta di un avvenimento storico cardine! Se non sarà Black a guidare il team di ingegneri dietro al progetto Horizon, sarà qualcun altro. Supponendo che qualcuno voglia modificare gli eventi per impedirne la nascita, dovrebbe fare molta fatica per nulla… Non riuscirebbe comunque ad impedire l’introduzione della navigazione interstellare. Il modo in cui il tempo annulla autonomamente i tentativi di modifica troppo blandi è una delle prime cose che insegnano a meccanica temporale!”

“E’ quello che hanno pensato anche loro… tuttavia, per quanto le recenti anomalie siano state pressoché irrilevanti, non sono riusciti a ricondurle ad un’origine fissa. Chiunque sia dietro a tutto ciò, è molto bravo a non lasciare tracce, e la cosa preoccupa parecchio la CHRONOS. Se adesso non è in grado di compiere modifiche sostanziali alla timeline, chi può dire che non impari? Potrebbe diventare pericoloso. Molto pericoloso.

“Cioè, fammi capire… ci hanno spedito quaggiù come riserve? Siamo qui sulla base di un sospetto, giusto per avere qualcuno nel caso in cui le cose si mettano male?”

“Parrebbe di sì.”, sorrido nel tentativo di calmarla.

“Che gigantesca, enorme, fantasmagorica stronzata.”, sbuffa, sprofondando in una delle poltroncine, tornando ad attaccare il riso. Rieccola, la Eva che ho conosciuto tre anni fa, penso sorridendo fra me e me.

“I nostri ordini per il momento sono quelli di familiarizzare con l’ambiente, inserirci nella comunità e agire da supporto esclusivamente nel caso le anomalie persistano. Per il momento, credo che potremmo anche considerarci in vacanza, fino a contrordine dal quartier generale.”

“E se scoprono che si sono sbagliati, cosa succede? Ops, scusate, è stato un errore… torna a casa, Lessie, da brava?”

“Stiamo parlando della CHRONOS, Tenente… la CHRONOS non sbaglia mai.”

“Mia nonna. Diciamo piuttosto che sono parecchio bravi a nascondere i macelli che combinano.”

“Come preferisci. Fatto sta che questi sono i nostri ordini, per il momento.”, le rispondo sventolandole il fascicolo davanti agli occhi.

“Godiamoci la gita nel passato, allora.”, borbotta. “Avrei preferito essere distaccata… che so, alle Hawaii o a Bora Bora, ma vedrò di accontentarmi della piovosa Forks.”

Oh, a me va benissimo la piovosa Forks. Zero rischi e vicinanza forzata con lei: cosa potrei chiedere di meglio?
 

- - -

 
Contemplo soddisfatto il soggiorno, che adesso può essere ufficialmente considerato abitabile. Ho ripulito tutto da cima a fondo, cambiato le assi marce del parquet, sistemato il mobilio e dato la cera. Potrebbe quasi sembrare la casa di una normalissima famigliola americana del ventunesimo secolo. Non so quante normalissime famigliole americane del ventunesimo secolo abbiano un armadio in cui sono ordinatamente disposte armi di ogni genere e tipo, ma pazienza.

Eva è a fare shopping a Port Angeles, coronando uno dei sogni proibiti di qualsiasi donna: pomeriggio in solitaria da spendere girando per negozi e carta di credito pressoché illimitata. Mentre lei fa compere, io devo procedere con la ristrutturazione… non che mi dispiaccia, francamente. I centri commerciali sono sempre stati la mia croce personale, anche prima della mia trasformazione in Aesir.

Un ronzio sommesso richiama la mia attenzione. Lo riconosco al volo come il segnale di chiamata del proiettore olografico, e corro a recuperarlo dalla sua cassa, appoggiata in un angolo del salotto insieme a tutte le altre cianfrusaglie che devo ancora finire di sistemare. Lo appoggio nel centro della stanza, lo accendo, e faccio qualche passo indietro, lasciando emergere dall’oggetto circolare la sagoma azzurrina del Generale Novikova.

“Generale…”, saluto militarmente.

“Riposo, Comandante. Allora, come procedono le cose giù nel ventunesimo secolo?”, chiede allegramente. Sempre allegra, lei.

“Discretamente. Stiamo procedendo alla ristrutturazione dell’abitazione. Dalle mie previsioni, tale attività sarà conclusa in tre giorni circa.”

“Ottimo. Avete già effettuato il primo contatto con i locali, dunque?”

“Affermativo, signore, ieri. Per ora sembrano credere alla storia di copertura. Però…”

Mi blocco. E’ il caso di dirglielo?

Però cosa? Continui.”

Sì, è il caso… questo è un ordine.

“Sia io che il Tenente Cortéz  abbiamo avuto… uh… strane reazioni alla vicinanza di alcuni di loro.”

“Sia più specifico, figliolo.”

“Beh… li abbiamo percepiti come potenzialmente pericolosi, e c’è voluto parecchio per non stenderli appena li abbiamo visti. Per il Tenente è stato particolarmente difficile. Il problema è che non abbiamo la più pallida idea di quello che ci ha portato ad un comportamento simile e la faccenda, in tutta franchezza, mi spaventa non poco.”, confesso, dando finalmente voce ai dubbi che mi hanno attanagliato dal pranzo da Emily.

“Potrei avere una risposta… forse. La CHRONOS mi ha appena contattata per informarmi della presenza di un’anomalia nel conteggio tachionico nei pressi di Regina, registrata alle ore 13.03 locali, due giorni prima del vostro arrivo. Non so quanto possa centrare con voi, ma mi sembra più sicuro avvertirvi, giusto nel caso in cui si riveli qualcosa di più grave. Hanno mandato una pattuglia a controllare, e non sono riusciti a cavare un ragno dal buco. Sono parecchio nervosi.”

“E’ possibile la presenza di un cronauta non autorizzato, signore?”

“Può darsi. La suddetta anomalia è scomparsa pochi minuti dopo essere stata rilevata. Ma per aver scomodato i vertici dell’organizzazione, deve aver combinato non pochi casini.”

“Non la seguo… Questo come si collega alle nostre reazioni?”

“Vi siete trovati di fronte ad un passato alterato, per quanto impercettibilmente, ed evidentemente i vostri sensi hanno classificato la modifica come un qualcosa di negativo e potenzialmente pericoloso. Le persone che avete incontrato non sono quelle che vi sareste aspettati di incontrare provenendo dalla stessa timeline, ma quelle invece appartenenti ad un continuum intaccato da qualcosa o qualcuno. Ciò è bastato a farvele classificare come nemiche.”

La spiegazione regge.

“Grazie, signore. Eravamo entrambi spaventati dal fatto di non riuscire a trovare ragioni al nostro comportamento.”

“Spero che ciò non abbia causato sospetti nei locali.”

“Nossignore, siamo riusciti a controllarci.”

“Eccellente. Provvederemo ad informarla immediatamente in caso di sviluppi nell’indagine sull’anomalia, Comandante. Voi proseguite con la vostra fase di inserimento. Novikova, chiudo.”

La proiezione si spegne. Perlomeno ora ho delle risposte.

Mi sposto verso la tastiera elettrica che Eva ha acquistato ieri dietro mia richiesta e che ora fa bella mostra di sé nell’angolo del salotto, alle spalle del divanetto. Rimango un attimo a guardarla prima di decidermi ad accenderla ed impostarla su organo. Le mie dita si muovono in automatico, mentre compongono una melodia già sentita. Non ci presto troppa attenzione, ma qualcun altro sì.

“In sleep he sang to me
In dreams he came
The voice which calls to me
And speaks my name
And do I dream again
For now I find
The Phantom of the Opera is there
Inside my mind…”

Eva è tornata, ha riconosciuto subito la musica, e ora sta cantando. Non mi aspettavo che avesse una voce da soprano così perfetta… e sta sorridendo, con quel suo sorriso speciale che fa solo quando è completamente in pace col mondo. Anche se è infagottata nel cappotto ed è stracarica di borse… quanto è bella…

Nonono, così non funziona. Sveglia, ragazzo!

“Sing once again with me
Our strange duet
My power over you
Grows stronger yet…
And though you turn from me
To glance behind
The Phantom of the Opera is there
Inside your mind…”

Canto la parte di Fantome chiedendomi se si rende conto che dovrebbe essere lei a farlo. Perché non riesco a levarmela dalla testa per quanto mi sforzi?

E’ solo una cotta. Passerà.

Ma sono il primo a non crederci troppo.
 

- - -

 
Esistono giornate perfette. Giornate in cui ti svegli e ti senti in completa sintonia con il naturale ordine delle cose, in cui sei in pace con te stesso e con il mondo, in cui nulla, nulla potrebbe smuoverti dalla tua benevolenza nei confronti del cosmo. Giornate in cui sai inconsciamente che tutto andrà per il verso giusto, sin da quando apri pigramente gli occhi al primo trillo della radiosveglia. Alcune giornate sono semplicemente perfette!

Altre no.

“Matt, muoviti o facciamo tardi!”

Facciamo tardi a scuola. Facciamo tardi alla dannatissima scuola della dannatissima riserva indiana in cui siamo andati a ficcarci. Assurdo. Non basta essere costretto a fare giri di pattuglia la notte, da quando il Generale ci ha nuovamente contattati dicendoci che le anomalie si stanno intensificando e che dobbiamo cercare di individuarne una, no, adesso dobbiamo anche fare i bravi studenti. Dio che nervoso.

E’ una settimana che dormo sì e no tre ore a notte per avere il tempo di andare a fare giri di ricognizione nella foresta. Ordini diretti dalla base. Inutile dire che non abbiamo trovato niente di niente, dato che i visitatori misteriosi (se di visitatori misteriosi si tratta) non lasciano tracce. Il mio fisico non risente di questi ritmi assurdi, ma il mio umore sì.

Prendo le chiavi del Porsche e getto di malavoglia lo zaino sui sedili posteriori. Eva mi sorride conciliante dal sedile del passeggero.

“Avanti, hai affrontato di peggio.”

Mugolo qualcosa mentre metto in moto. Oltretutto sta diluviando. Tanto per cambiare.

“Speravo che l’avere qualcos’altro da indossare oltre alle camicie ti avrebbe messo di buonumore…”, continua, mettendo un finto broncio.

“Oh. Beh, hai salvato la giornata dall’essere uno schifo completo.”, le rispondo con un mezzo sorriso. Sono contento del fatto che sto andando nella suddetta scuola con una comunissima felpa con cappuccio, e non impagliato in una qualche camicia da chissà quante decine di dollari. Non sono contento del fatto di essere costretto ad andare a scuola come se avessi davvero i diciotto anni che dimostro, semplicemente.

Lei mi sorride, felice di aver azzeccato i miei gusti nel suo ultimo giro a Port Angeles qualche giorno fa.

“Eva, piantala. Come faccio a continuare a fare il depresso se tu mi sorridi?”

“Lo scopo era proprio quello.”, afferma soddisfatta.

E tu piantala di guardarla come un ebete, suggerisce il mio cervello.

Fortunatamente siamo arrivati, ed il dover parcheggiare mi costringe a togliermela dalla testa dato che la maggior parte dei posti sono occupati. Riesco ad incastrarmi fra un’Honda Civic ed una Ford Fusion… due macchine che sembrano spiccare nel parcheggio riempito con auto di seconda o terza mano. Solo allora noto la cinquantina di facce che si stanno mangiando con gli occhi il Cayenne.

E io avevo pensato che sarei dovuto passare inosservato... Prendo zaino ed ombrello, salto giù e faccio il giro del SUV, aprendo la portiera ad Eva.

“Madamigella…”, le dico tendendole la mano per aiutarla a scendere… come se ne avesse bisogno.

Lei ridacchia.

“Grazie, caro.”, risponde , facendo una piccola giravolta una volta a terra con una risata cristallina.

Mi inchino mentre lei prende la sua borsa, e chiudo l’auto. Dopodiché ci avviamo con passo spedito, abbracciati per riuscire a stare in due sotto un ombrello (ricordati che ogni tanto respirare ti serve ancora, continua il mio cervello), verso l’edificio in legno con un totem davanti, sotto gli sguardi stupiti di tutti gli studenti. I visi pallidi sono arrivati, penso sogghignando.

“Qual è la nostra prima lezione?”, le domando, cercando di sovrastare i tuoni che ogni tanto si fanno sentire.

“Letteratura inglese. Seguita da Lingua Quileute, due ore di Trigonometria e due di Cultura e Tradizioni.”

“Stai scherzando vero? Dobbiamo sorbirci tutte le scemenze locali? Spiriti guerrieri e allegati vari?”, le sussurro terrorizzato mentre apro la porta dell’istituto e la lascio entrare, cercando di scuotere in qualche maniera l’ombrello per asciugarlo nei limiti del possibile.

“Integrazione”, risponde lei, con un tono di voce che considera chiuso il discorso.

Integrazione un paio di balle.

“Se la piantassero di osservarci come se fossimo due animali fuggiti dallo zoo mi farebbero piacere, comunque”, sibilo infastidito dai bisbigli e dalle occhiate perforanti che ci vengono rivolte.

“Siamo le novità del semestre, Matt. Immagino che a casa tutte le madri saranno in attesa dei racconti dei figli su come si sono comportati i visi pallidi a scuola per alimentare i pettegolezzi di questo buco di cittadina.”

“Vediamo di fare i bravi bimbi, allora.”, mormoro alzando gli occhi al cielo.

Passiamo dalla segreteria a ritirare i moduli da far firmare agli insegnanti e varie altre scartoffie, e poi ci dirigiamo verso l’aula di letteratura. Ce la siamo presa parecchio comoda, e quando arriviamo a destinazione la lezione è già cominciata da qualche minuto.

“Uno smacco inaccettabile per la nostra reputazione”, dichiara Eva, mentre bussa alla porta dell’aula.

Sgattaioliamo dentro sotto lo sguardo di fuoco del professore. Eva ha stampato in fronte un’espressione dispiaciuta talmente credibile che persino l’insegnante ha dei seri problemi a mantenere la sua arrabbiatura. Gli studenti stanno sorridendo per il teatrino che si svolge davanti ai loro occhi. Seduti nei posti dell’ultima fila intravedo Jared, di fianco ad una ragazza che se lo sta letteralmente divorando con lo sguardo, e Paul, che sonnecchia con la testa china sul banco.

“Voi dovete essere i nuovi studenti stranieri…”, la voce glaciale del professore mi richiama all’attenzione.

Complimenti per l’intuito, Sherlock.

“Dovrete lavorare sodo per rimettervi in pari con il programma svolto nei primi mesi di quest’ anno. Gli esami di fine anno sono una cosa seria, e la vostra brillante idea di iscrivervi solo per gli ultimi quattro mesi mi sembra parecchio ridicola… vedete di impegnarvi. Questa è la lista delle letture obbligatorie per il semestre.”

Leggo il foglio che ci allunga. Shelley, Conrad, Bronte, Ibsen. Che educazione vecchio stile.

“Sì professore”, cinguetta Eva, “Vedrà, non le saremo di alcun peso.”

“Sarà. Ora sedetevi e cercate di tenere il ritmo. Se non capite qualcosa, non avete che da chiedere.”

“Ma ci prende per idioti?”, le sussurro mentre prendiamo posto in fondo. Lei scrolla le spalle e si siede di fianco ad una ragazza che la accoglie con un sorriso imbarazzato, io vicino a Paul. Dopo una settimana passata con quei due che corrono avanti e indietro da casa di Emily, riusciamo a controllare molto meglio l’impulso di saltargli addosso, ma ciononostante non intendo certo far correre ad Eva rischi inutili.

“Molto bene. Tornando alla lezione… signor Miller, perché non illustra ai nuovi arrivati le considerazioni che abbiamo appena fatto?”

Paul scatta su come se l’avesse morso una tarantola.

“Oh. Beh. Ehm… d’accordo, professore. Noi, ehm… stavamo analizzando l’evoluzione degli elementi gotici nella rappresentazione della natura…”

“Mi stupisce come lei riesca a seguire anche dormendo, signor Miller. Le dispiacerebbe illuminarci su quali sono questi elementi gotici?”, chiede con un sorriso sadico.

“Uh… Eeeeeh… Dunque, vediamo… possiamo dire, che… beh, innanzitutto… Durante il Medioevo abbiamo la presenza di elementi sovrannaturali quali creature mitiche, pozioni, libri magici e via dicendo… Poi… beh… mmm… c’è l’Illuminismo… e durante l’Illuminismo, tali elementi vengono eliminati in quanto contrari al genere dominante, il poema razionale. Bisogna attendere Frankestein della Shelley per trovare una ripresa di questi elementi… ehm… in particolare il tema del doppio uomo-mostro che…”

“D’accordo, può bastare così.” L’insegnante ha tutta l’aria di aver ingoiato un rospo.

Grazie, articola Paul non appena il professore si gira per scrivere alla lavagna.

Io sogghigno, accartocciando il bigliettino che gli ho scritto e passato a tempo di record.

“Figurati.”

“Come facevi a sapere la risposta?”

“Ho già studiato l’argomento prima di trasferirmi. Lasciatelo dire, ma qui siete piuttosto indietro.”

“Ti devo un favore, amico.”

“Basterà che tu mi tenga sveglio sino a fine lezione.”

Ridacchiamo entrambi, per zittirci subito non appena il professore si volta.

Coraggio. Sono solo sette ore, dopotutto. Ce la posso fare.


***

N.d.A.: Wowow, questa settimana c'è stato un incremento esponenziale delle recensioni! Ringrazio, in ordine di apparizione, la sempre presente Elly_Volturi, CuorediStella, Jakefan e Blacksea. Che dire, è stata una fantastica iniezione di autostima, viste le lodi a profusione xD Mi fa piacere soprattutto per il fatto che quando ho cominciato questa storia, quasi per scherzo, mi vergognavo da morire di quello che stavo facendo… mi sembrava di star squartando l’universo della Meyer, inquinandolo con le mie idee strambe. Poi, non so nemmeno io perché, ho fatto leggere l’inizio a quella che ora è la mia beta reader di fiducia, che mi ha spronato a continuare. Se vi piace così tanto, beh, sono ben lieto di averle dato ascolto!

Ah, il duetto che cantano Matt ed Eva è uno dei tanti fra Christine ed il fantasma ne Il Fantasma dell’Opera, nel caso qualcuno non l’avesse riconosciuto e volesse andarlo a sentire. Bene, ci rivedremo al prossimo capitolo!

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Capitolo 5
*** #4: 'cause everytime we touch, I get this feeling... ***


- #4: “…’cause everytime we touch, I get this feeling…” -

 
Non ce la posso fare.

Il suono della campanella mi sembra più melodioso dei cori celesti. Ficco velocemente le mie cose in cartella e scatto fuori dall’aula, appoggiandomi al muro dopo qualche metro per aspettare Eva.

“Tutto bene?”, mi chiede preoccupata quando mi raggiunge, qualche secondo più tardi.

“Tutto bene? No, maledizione! Sono stato costretto per due ore a sentirmi spiegare cose allucinanti! Trigonometria…”, sbuffo esasperato.

“Le Leggi di Van Knapp saranno teorizzate solo fra un paio di secoli, così come l’approccio esadimensionale al concetto di spaziotempo…”, cerca di calmarmi, intuendo la ragione del mio nervosismo.

“Lo so, ma è assurdo. E’ come se qualcuno cercasse di convincere la gente di quest’epoca che le teorie di Aristotele sulla fisica fossero corrette… Come pensi che reagirebbero? Senza contare che siamo qui a perdere tempo, quando invece potremmo setacciare la zona alla ricerca di ulteriori anomalie e non essere costretti a farlo a notte fonda!”, sbotto passandomi una mano fra i capelli corti, inspirando profondamente.

“Direi che un ciclo di rigenerazione extra farebbe comodo anche a te.”, osserva cautamente.

“Sì, lo penso davvero.”

Sospiro, staccandomi dal muro ed avviandomi verso la mensa. Mi sento il cervello a pezzi… ha ragione lei, quello di rigenerarmi è oramai un bisogno fisico.
Qualche passo dietro di noi Paul molla un pugno sulla spalla di Jared, che ricambia dopo nemmeno due secondi sullo stomaco dell’amico. La ragazza che prima lo contemplava adorante sta ora osservando con uno sguardo a metà fra il divertito ed il preoccupato i due che cominciano a darsele di santa ragione.
Ci fermiamo anche noi, mentre Paul sembra avere la meglio e costringe l’altro contro il muro.

“Credi che dovremmo separarli?”, chiedo ad Eva con una punta di irritazione nella voce. Sono stanco, ho fame, e questi due stanno ritardando il mio meritato appuntamento con la pausa pranzo.

Lei scuote lievemente la testa, sussultando quando Jared riesce a caricarsi Paul sulle spalle e a buttarlo in terra. I due sembrano smetterla, guardandosi per qualche secondo e scoppiando a ridere insieme subito dopo.

“Sì, fanno sempre così.”, ci sussurra la ragazza, che nel frattempo si è timidamente avvicinata fino ad arrivare a pochi passi da noi. “Ed in genere non si fanno male. Non troppo, almeno…”

“Meglio.”, replico gelido, “Farglielo seriamente darà più soddisfazioni.”

“Non ti preoccupare, oggi è intrattabile. Io sono Eva.”, si presenta lei, affabile come sempre.

“Kimberly, ma tutti mi chiamano Kim. Molto piacere.”

“Avete finito, voialtri?”, sibilo rivolto ai due ragazzoni. Ha ragione, oggi sono intrattabile.

“Andiamo, Matt! Vuoi partecipare anche te?”, mi chiede Paul con un ghigno strafottente dieci centimetri sopra la mia testa.

“No, altrimenti dopo averti spezzato un braccio mi toccherebbe portarti in infermeria con una giustificazione esauriente...”, replico serafico, con un sorriso glaciale.

“Vogliamo vedere?”

E’ una sfida? Quel grosso idiota non pensa che potrei ucciderlo prima ancora che se ne renda conto?
La decisa pressione della mano di Eva sulla spalla mi ferma prima che possa cedere all’irritazione e mollare un pugno dritto in faccia all’indiano… o fare ben di peggio.

“Grazie”, le sussurro sinceramente, riacquistando lucidità mentre Paul mi guarda incuriosito. Non realizza minimamente il rischio che ha appena corso.

“Andiamo?”, chiede impazientemente Kim. Jared non se lo fa ripetere, e la prende subito per mano, guidandoci in mensa.

“Ma stanno insieme?”, domando sottovoce a Paul.

“Sì… diciamo di sì. Ora non pensare che cambiare discorso ti servirà a qualcosa, eh! Se cercavi la tua razione di botte…”

“Oh, piantala, Paul!”, sbotta Kim. Quello che è appena stato etichettato come il suo ragazzo gli lancia un’occhiata perentoria, della serie non-azzardarti-a-fare-altrimenti-o-te-la-vedrai-con-me.

“Va bene, va bene…”, borbotta lui, lamentandosi di qualcosa riguardo l’annullamento della personalità. Non ci presto troppa attenzione, dato che il mio stomaco comincia ad urlare cibocibocibo! non appena oltrepassiamo la porta.

Ci mettiamo in coda per prendere da mangiare. Il fatto che siamo in compagnia di ragazzi della riserva sembra stemperare un po’ l’aura di mistero che ci avvolge, quindi evitiamo di essere additati come due tigri a piede libero, ma ciò non ferma commentini, che grazie al mio udito potenziato riesco a sentire tutti. E’ una tortura lenta e dolorosa, l’essere costretto a partecipare involontariamente a tutti i pettegolezzi nel raggio di cinquecento metri.
Le mie speranze di trovare qualcosa di più salutare rispetto alla media delle mense scolastiche degli Stati Uniti si infrangono miseramente di fronte al bancone, dove un numero impressionante di hamburger sta sfrigolando sulle piastre di cottura, grondando grasso da ogni poro. Mi accontento di un’insalata accompagnata da quello che in chissà quale universo alternativo potrebbe passare come formaggio, insieme ad un paio di mele prese dallo striminzito bancone della frutta.
Dietro di me Eva ha scelto quasi le stesse cose, mentre Paul e Jared hanno accumulato hamburger e patatine in quantità industriale. Kim sembra essere un poco più attenta al mangiar sano, come testimonia il piatto di verdure varie sul suo vassoio. Finito il nostro giro, seguiamo i tre verso un tavolo occupato da un altro ragazzo, che li saluta allegramente appena li vede.

“Dì un po’, secondo te è merito degli hamburger se da queste parti sembrano tutti i cloni di Schwarzenegger?”, sussurro interrogativo all’orecchio di Eva. Lei fa spallucce, ridacchiando.

“Forse. Non è che mi dispiaccia che siano tutti grandi, grossi, abbronzati e decisamente carini…”

Fragilità, il tuo nome è donna!”, cito sospirando, guadagnandomi una gomitata nelle costole.

“Eva, Matt, questo è Embry.”, ci presenta Jared.

Altro giro di sorrisi e strette di mano.

“Voi siete i due…”

“…innamorati fuggiti per stare insieme, sì.”, conclude Eva.

Perché sembra essere diventata la definizione ufficiale? Comincia ad essere pesante e riduttiva, al diavolo la copertura… specialmente perché non è vero. Però, se lo fosse…, sospira sognante il solito angolino dispettoso della mia mente, prontamente messo a tacere dalla parte più razionale di me.

“E cosa vi ha portato nella nostra fantastica riserva? Credevo che la gente di fuori non sapesse neppure della nostra esistenza.”

“Infatti. Ma un nostro amico è in buoni rapporti con l’agente del Bureau per gli Affari Indiani di qui, ed è riuscito a procurarci una casa. A chi verrebbe mai in mente di ficcanasare in un posto del genere? Vogliamo solo stare tranquilli e vivere in pace la nostra vita... lontani dalle imposizioni dei nostri genitori.”

Non ci posso ancora credere che ci stiamo davvero nascondendo dietro una frottola del genere. Appena finiamo l’incarico voglio la nomination all’Oscar come migliore faccia tosta.

“Ottimo proposito.”, ci sorride. “Fatemi sapere quanto riuscirete a resistere in un posto come questo.”

“Cosa vorresti dire?”, chiede perplessa Eva mentre io comincio a sbucciare e tagliuzzare la mela, gettando i pezzettini nell’insalata in un disperato tentativo di darle un qualsiasi sapore diverso da quello di plastica. Persino le razioni da combattimento che davano sulla Carthago durante la guerra avrebbero stravinto il confronto con le foglie rigide che ho nella ciotola e che assomigliano terribilmente a pezzi Lego.

“Beh, se siete abituati alla bella vita delle città europee… non so quanto resisterete.”

“Ci adatteremo.” Noi Aesir siamo particolarmente bravi in questo. Magari non al cibo, però , penso sconsolato mentre mando giù con espressione schifata il mio primo boccone. Mensa uno, capacità culinarie del sottoscritto zero, palla al centro.

“Contenti voi…”, ci dice sorridendo. A quanto pare proprio nessuno vuole accettare il fatto che ci siamo trasferiti qui.

“Io scommetto dieci dollari che resisteranno più di due mesi.”, interviene Jared a nostro favore. Embry ride e annuisce, segno che ha accettato la scommessa.
Ma beeene… adesso giocano anche su di noi.

“Da dove venite? Se non è una domanda indiscreta, ovviamente…”, chiede timidamente Kim. E’ Eva a risponderle per entrambi.

“Io sono di Barcellona. Cesalpina, per la precisione. Matt invece è… svizzero. Canton Ticino. Ci siamo conosciuti durante una vacanza in Inghilterra e… beh, da cosa è nata cosa…”

Il boccone mi va di traverso, e comincio a tossire incontrollabilmente. Canton Ticino? Canton Ticino?
La manata che mi dà Paul mi lascia senza fiato, ma perlomeno mi libera la gola.

“Non vi preoccupate, qui non è così brutto come ve lo stanno dipingendo loro tre… abbiamo anche noi le nostre attrazioni! Vi va di venire alla spiaggia questo pomeriggio?”

La guardo incredulo. “Con questo tempo?”

“Beh… cosa pensavate di fare, bagno e poi tintarella?”

Scoppiano tutti a ridere di fronte alle nostre espressioni deluse, che chiaramente indicavano un .

“Benvenuti nello Stato di Washington, ragazzi!”

Sospiriamo in contemporanea, abbandonandoci sconsolati sulle sedie.

- - -

 
“…un giorno Bayak, il Corvo, decise di visitare il suo vecchio amico Akil, l’Orso. Akil preparò una grande cena in onore del suo amico, un vero e proprio banchetto, chiedendo a sua moglie di preparare un piatto abbondante. Akil prese del pesce essiccato, cominciando a sbatterlo per ammorbidirne la carne, mentre Bayak lo osservava attento.”

Io invece sbatto le palpebre, cercando di restare sveglio. Di tutti i tipi di favole esistenti al mondo, dovevo beccarmi quelle che raccontano come si cucina il pesce? Scuotendo la testa esasperato, torno ad osservare il foglio per gli appunti di fronte a me. O meglio, quello che dovrebbe essere il foglio per gli appunti, ma che invece ho riempito con un disegno parecchio accurato del caccia che pilotavo fino a qualche settimana fa. Il mio anonimo compagno di banco invece sta seguendo con attenzione la spiegazione. Ah beh, tanto meglio per lui.

“Akil uscì di casa, e tornò con tre bastoni: due ricurvi ad un’estremità, ed uno dritto. Conficcò i primi due bastoni nel terreno, e posò quello dritto sopra gli altri.”

La voce dell’insegnante, poi, è soporifera, e non ho nemmeno Paul a tenermi sveglio. Che rottura, le classi organizzate all’americana.

“Poi Akil prese la sua sedia, si sedette vicino al fuoco, allungò i suoi piedi sul bastone e cominciò a scaldarli al fuoco. Bayak era sorpreso! Akil stava preparando l’olio in cui immergere il pesce…”

Ma per favore. Davvero se metto a cuocere delle gambe d’orso ottengo olio?

“Akil chiese a sua moglie: “L’olio sta colando?” “Oh, sì!”, gli rispose, “Sta colando in abbondanza, e la pentola è già mezza piena. L’Orso disse: “Ah-h-h-h-h, avremo moltissimo olio da far mangiare al Corvo insieme al pesce, ed anche un po’ da dargli perché ne porti a casa.” Bayak osservava, affascinato da ciò che stava facendo Akil.”

Beh, credo che lo sarei stato anch’io… non capita tutti i giorni di essere invitato a pranzo e di vedere il tuo ospite che si mette a rosolare le zampe tanto per darti un po’ d’olio.

“La ragione per cui l’Orso si stava togliendo dell’olio dai suoi piedi era che aveva moltissimo grasso sul suo corpo, e sulle sue zampe, e dappertutto. Per questo stava tenendo i suoi piedi vicino al fuoco, per toglierne il grasso. E l’olio colava, e colava, e colava…”

Ah, davvero? Funziona così?

“Infine Akil smise di scaldare i suoi piedi per ottenere l’olio, e sua moglie mise la ciotola davanti a Bayak, così che potesse mangiare. Il Vecchio Corvo cominciò subito a pranzare, intingendo nell’olio il pesce essiccato. E quando Bayak ebbe finito, il Vecchio Orso gli disse: “Porta questo a casa da tua moglie, così che tu possa dirle come ti fa mangiare bene il Vecchio Orso.” Il Vecchio Corvo fu d’accordo, e gli rispose “Certamente. Dirò alla signora Bayak cosa ho mangiato.””

Ma tu pensa un po’ cosa vai ad imparare ascoltando le leggende dei Quileute.

“Poi Bayak disse ad Akil: “Ti inviterò a pranzo a casa mia. Anch’io ho del pesce essiccato.” Il Vecchio Orso gli rispose: “Verrò sicuramente.” Così, qualche tempo dopo Akil andò a trovare il Corvo. Bayak prese quel poco pesce che aveva, e ordinò alla moglie di accendere un fuoco. “Faremo mangiare il signor Orso”, le disse. Akil intanto osservava il Vecchio Corvo. Sapeva che stava cercando di fare la stessa cosa che aveva fatto lui, provando ad ottenere dell’olio in cui intingere il pesce. Sapeva che Bayak cercava sempre di copiare quello che facevano gli altri.
“Così Akil guardò ed osservò. Molto presto Bayak prese due bastoni ricurvi ad un’estremità, ed uno dritto che appoggiò sugli altri due. Il Vecchio Orso disse a sé stesso: “Continuerò a controllarlo, sicuramente cercherà di fare quello che ho fatto io.” Ovviamente Bayak prese una scatola, si sedette e mise i suoi piedi sul bastone, per cominciare ad arrostirli. Ben presto chiese a sua moglie: “Sta scendendo molto olio?”, e lei gli rispose “No-o-o-o, marito mio, non ce n’è una sola goccia. I tuoi piedi stanno solo diventando sempre più neri.
Allora Bayak disse: “Aumenta la fiamma. Metti più legna a bruciare, così che scaldi i miei piedi e l’olio comincerà a scendere.” Così lei mise altra legna sul fuoco, “No, no, non c’è nemmeno una goccia d’olio.”, gli disse. Il vecchio Bayak urlò: “Ahhh-sh, hoh-hoh-hoh-hoh! Ahhh-sh, hoh-hoh-hoh-hoh!” I suoi piedi cominciarono a curvarsi ed a seccarsi ed a creparsi.
La signora Bayak disse, “Cosa ti avevo detto, marito mio? Tu provi SEMPRE a copiare quello che fanno gli altri, e non ci riesci mai.
Questa è la ragione per cui, oggi, le zampe del corvo sono nere e curve.”

L’insegnante chiude delicatamente il vecchio libro che teneva in mano, guardandoci con aspettativa. Mi accorgo solo in quel momento che ho lasciato perdere il mio disegno e mi sono messo ad ascoltare seriamente. Quasi quasi mi faccio paura da solo. Eva, qualche fila più avanti, mi osserva scuotendo la testa, con aria divertita. Credo che anche lei sia rimasta sconcertata dal mio improvviso picco d’attenzione.

Cosa ci posso fare, mi piacciono le favole, le dico a gesti.

Ho notato, risponde nello stesso modo, ridacchiando.

“Allora… la leggenda in sé è abbastanza semplice, e non credo che abbia bisogno di spiegazioni particolari.”, comincia la professoressa, “Tuttavia vi pregherei di concentrare la vostra attenzione su alcuni elementi grammaticali particolarmente rilevanti, come l’utilizzo del…”

Ah, beh, ovviamente. Non appena trovo un qualsiasi motivo di interesse in quello che sto facendo, provvedono subito ad uccidere il mio entusiasmo con la grammatica. Le ingiustizie del mondo. Chissà se in questo posto hanno una libreria… potrei cercare un libro di leggende, tanto per avere qualcosa da leggiucchiare nei pochi momenti morti fra il ritorno a casa e le uscite di pattuglia. Vivianne mi aveva consigliato di leggere Notre Dame de Paris, e quel tomo mi sta osservando sconsolato da sette mesi, oramai… prima era rimasto abbandonato in un angolo della libreria durante la mia crisi depressiva, ed ora non mi va di iniziare un’opera del genere per poi lasciarla sul comodino ogni cinque minuti. Ed io avevo detto che quest’incarico sarebbe stato una vacanza? Beata ignoranza.

Controllo l’orologio, dove la lancetta dei minuti arranca faticosamente verso l’11. Mi sento dolorosamente partecipe della sua fatica, mentre macina millimetri preziosi con una lentezza esasperante. Avanti… ce la puoi fare, piccola…

“…possiamo anche trovare caratteristiche simili nelle storie della tribù di Hoh…”

Coraggio…

“…naturalmente senza fermarci ad un livello di analisi così superficiale…”

Tamburello nervosamente con il piede mentre il secco tac annuncia che l’ora X è più vicina di sessanta secondi.

“…chiaro esempio dell’origine comune che ebbero le nostre genti…”

Muoviti…

“…e per mercoledì voglio due pagine di analisi sulla storia di Bayak ed Akil. Potete mettere via.”

Cosa?

Il suono della campanella mi coglie impreparato, per quanto lo stessi aspettando con ansia. Dobbiamo anche fare i compiti a casa?

Raggiungo rapidamente Eva, lanciandole un’occhiata implorante.

“Vero che hai preso appunti?”, chiedo con un sorriso a trentadue denti.

“A dire il vero… credevo lo stessi facendo tu…”, mi risponde sconcertata. Sono sicuro che il mio volto sia uno specchio della sua espressione terrorizzata.

“Tenente, le affido la delicata missione di ottenere il quaderno della signorina Kimberly. Voglio quegli appunti.”

“Non si preoccupi, signore… li avrà.”, afferma decisa, riempiendo rapidamente la sua borsa e schizzando fuori dall’aula.
 

- - -


“V-voi avete un Cayenne?”

Liberi! Siamo fuori da scuola, davanti alla nostra auto… su cui Embry sta letteralmente sbavando.

“Se il nome sul retro è quello giusto… direi di sì”, gli rispondo con indifferenza. Lui mi guarda come se avessi appena lanciato una bestemmia, con un misto di invidia e odio.

“No ma dico io… è un Cayenne!”, sbotta, guardando protettivo il Porsche come a volergli dire quel brutto cattivo del tuo padrone non intendeva dire davvero così.

“Sì, Embry, credo che l’abbiano capito.”, interviene dolcemente Kim, mentre allunga ad Eva il quaderno con gli appunti che ci servono. “Ora, se la piantassi di fare il pesce lesso e li lasciassi salire magari riuscirebbero anche a tornare a casa con quel Cayenne, non credi?”

Ridiamo tutti e quattro, mentre lui si sposta scuotendo la testa. Li salutiamo, saliamo su, e tanto per far rodere il fegato ad Embry, parto sgommando.

“Da quando ti dedichi alla guida sportiva?”, mi chiede ironica Eva.

“Da quando posso farlo senza rischiare di capottarmi al primo tentativo di fare una cavolata qualsiasi. Adoro come l’essere Aesir mi permetta di fare queste cose.”, le rispondo con stampato in faccia un sorriso ebete. “In ogni caso… Canton Ticino? Come diavolo ti è venuto in mente?”

“Ho dovuto improvvisare… non potevo certo dirgli che sei nato su Calypso, ti pare?”

“Perché Matt è un tipico nome svizzero, giusto?”

“Beh, lo trovi in tedesco, in francese, in inglese, in belga…”, conta sulle dita con aria meditabonda.

“Esatto, non in svizzero.”

“Lo svizzero non è una lingua. Diciamo che hai madre tedesca e padre italiano, d’accordo?”

“Non sono un calderone genetico! Poi magari mio nonno è australiano già che ci siamo, no?”

“Direi proprio di no… Non hai preso proprio nulla dal fascino degli australiani. Comunque, non potevano darti un nome normalissimo?”

“Hai qualcosa in contrario, miss Iberia?”

“Prendi me, per esempio.", continua imperterrrita. "Eva Julia Cortéz. Urla Spagna da ogni lettera.”

“Se i tuoi erano nazionalisti convinti non è colpa mia. E’ l’inglese la lingua ufficiale dell’Alleanza, mia cara. Perlomeno non ho nomi assurdi come Hal, Lex, Neo o via dicendo.”

“E quindi ti trovi nella simpatica situazione di dover spiegare perché hai un nome inglese perfettamente normale ed un cognome italico.”

“Perché sono internazionale, io, a tua differenza.”

“Cioè sei solo un vozzo immigvato dalle colonie.”, insinua simulando un accento aristocratico, agitando la mano sotto al naso come a voler allontanare la mia puzza di cittadino di seconda classe.

“Come vuoi… questo però non cambia il punto.”, ridacchio.

“Non è vero.”

“Sì.”

“No.”

“Sì.”

“No.”

Continuiamo il nostro costruttivo dibattito con la stessa serietà finché non arriviamo a casa. Qui le nostre risate si spengono non appena sentiamo chiaramente l’insistente segnale di chiamata del proiettore olografico.

“Ce ne avete messo di tempo per rispondere…”, comincia infastidito l’ologramma non appena lo accendiamo.

“Chiediamo scusa, Generale. Eravamo fuori sede per la nostra… attività di inserimento.”, replico, improvvisamente acido. Il mio malumore è tornato di colpo, ed il ragionamento è sempre lo stesso: se non fossi dovuto andare a scuola, questo problema non ci sarebbe stato. Anche se, dopotutto, conoscere i ragazzi della riserva non è che mi faccia poi così schifo… sono simpatici.

“Progressi su quel fronte, Comandante?”

“Stiamo riuscendo ad allargare la nostra cerchia di conoscenze senza che nessuno palesi sospetti su di noi. Stiamo anche drasticamente migliorando la nostra capacità di autocontrollo, per quanto vi siano ancora stati alcuni… ah… riprovevoli episodi, signore.”, confesso ripensando alla tentazione di stendere Paul.

“Bene. Per questo non posso fare altro che augurarvi buona fortuna. Altro da segnalare?”

“Generale, è proprio necessario frequentare la scuola locale?”, chiedo implorante. “Ciò interferisce parecchio con le nostre attività di perlustrazione notturne…”

“Ne abbiamo già discusso, Comandante, e questo punto non si tocca. Attirereste fin troppi sospetti.”

“Perché un Porsche Cayenne non ne attira?”

Lei sospira. “Anch’io avrei preferito darvi in dotazione qualcos’altro, figliolo, ma a quanto pare quell’aggeggio era l’unico veicolo civile del nostro parco auto con cinque millimetri di armatura ablativa già installati. E se dovete continuare la sceneggiata dei piccoli rampolli fuggiti all’estero, una macchina di lusso non può che avvalorare la storia.”

“Capisco.”

La cosa continua a non andarmi giù, ma pazienza.

“Poi… per quanto riguarda le vostre uscite di pattuglia, sopprimetele fino a nuovo ordine. Dagli elementi che abbiamo ottenuto analizzando i rilevamenti effettuati a Regina, pare che l’ipotesi di un cronauta non autorizzato sia fin troppo azzardata, per il momento. E girare a vuoto nelle foreste a caccia di tachioni impazziti sperando in un colpo di fortuna mi sembra un metodo parecchio stupido di procedere… non per nulla è stato proposto da quelle teste vuote della CHRONOS. Gli abbiamo sbattuto in faccia la prova oggettiva che le anomalie non si trovano girando a casaccio nelle foreste, e si sono dati una calmata.”, ci spiega con un tono che lascia chiaramente intendere cosa ne pensa degli scienziati che danno ordini ai soldati.

“Ci sono aggiornamenti sull’anomalia, Generale?”, domanda Eva, che è rimasta in silenzio fino adesso. “Se non è stato un cronauta, allora cosa…?”

 “L’idea che ci siamo fatti qui al Pentagono, Cortéz, è che alla CHRONOS siano prossimi all’isteria di massa. Secondo le teste d’uovo competenti il numero di particelle rilevate a Regina era insufficiente per consentire un transito temporale completo, ma qualcosa deve essere successo… solo che nessuno ha la più pallida idea di cosa sia stato questo qualcosa. Non chiedetemi i dettagli, ho un datapad con cinque gigabyte di calcoli di meccanica temporale sulla mia scrivania che dovrebbe spiegarmelo, ma per quello che ci capisco quel coso potrebbe benissimo essere scritto in dialetto ugrofinnico. Perciò, occhi aperti. Ho anche l’impressione che la CHRONOS ci stia nascondendo qualcosa… probabilmente sono convinti che se ci dicessero tutto inquinerebbero la timeline, o qualche altra stupidaggine del genere. Occhi aperti, vi ripeto. E confermo l’ordine iniziale: le regole d’ingaggio le stabilite voi. Non so dirvi come possiate riuscire a capire se intervenire o meno in queste condizioni, ma questo è quello che mi hanno chiesto di ordinarvi. Immagino stiano cercando di dirvi che se vedete un dinosauro dalle vostre parti siete autorizzati a classificarlo come anomalia pericolosa e farlo secco.”

“Faremo il possibile, Generale.”

“Non mi aspetto nulla di meno. Ah, a proposito. Ho messo al lavoro una squadra di tecnici dell’Esercito su queste anomalie, e mi hanno risposto con il loro solito ci servono rilevamenti più precisi. Fosse per me, li avrei presi a calci nel sedere tutti quanti, altro che rilevamenti più precisi. In ogni caso, dal momento che ho intenzione di rivolgermi anche a consulenze esterne, quei dati pare che servano seriamente, quindi ho bisogno che collochiate un sistema di sensori alle coordinate che vi sto inviando. Dovreste già avere fra la dotazione un Gruppo Sensori modello Y-02, e se così non è vi verrà recapitato da Rocky Point il prima possibile. E con questo, direi che ho finito.”

“Ricevuto, Generale. Provvederemo a sistemare i sensori immediatamente.”

“Negativo. Già qualcuno avrebbe potuto insospettirsi se vi avesse visto partire o rientrare dai vostri giri di ispezione... Aspettate domani pomeriggio, e fingete una scampagnata o che so io. Discrezione è la parola d’ordine per questo incarico, signori, discrezione. Novikova , passo e chiudo.”

Spengo il proiettore, lo scollego dalla sua batteria e lo ripongo rabbiosamente nella sua cassa, prima di esplodere.

“Tutta questa storia è un ammasso di ordini idioti! Prima ci dicono non fatevi notare, poi ci mollano una delle macchine più appariscenti che avremmo potuto portare in questo posto, poi ci spediscono a fare ricognizioni alla cieca per un’anomalia che è apparsa a Regina, poi ci dicono che così facendo attiriamo l’attenzione, poi ci fermano, poi…”

“Matt. Smettila.”

Sospiro, annuendo.

“Scusami.”

Lei mi sorride prendendo in mano il quaderno di Kim, mentre io mi siedo davanti alla pianola ed inizio a sfogare il nervoso suonando. Comincio a caso, come al solito, per poi seguire le note della Toccata e Fuga di Bach.

“Se continui a torturare i tasti con quella foga finirai per farli a pezzi. Non pensi che sia meglio parlarne?”, mi fa notare Eva, sollevando la testa dalla pagina che stava leggendo.

“In questo momento credo di aver semplicemente bisogno di un qualcosa su cui sfogarmi”, le rispondo.

“Che ne dici di me?”

La guardo perplesso, interrompendo bruscamente la sonata. Cosa-diavolo-sta-dicendo?

“Eh?”

“Nel tuo programma corticale ci sono anche nozioni di scherma?”

Annuisco, senza capire dove voglia arrivare.

“Benissimo! E’ da un pezzo che non mi alleno con qualcuno. Che ne dici?”

Beh, sicuramente dovrebbe dare più soddisfazioni che non pestare a sangue dei tasti innocenti.

“Ci sto.”
 

- - -

 
E così, scopro che la mia compagna è un’appassionata di scherma. E niente male in quanto a tecnica, per giunta… è da una buona mezz’ora che stiamo duellando, e per quanto mi sforzi è lei a tenere in pugno la partita. Devio all’ultimo secondo un suo affondo e mi vedo costretto a fare una buffa piroetta su me stesso per poter tornare in una posizione più facilmente difendibile.
Siamo sul prato dietro casa nostra. Ha smesso di piovere, grazie al cielo, ma il terreno rimane scivoloso… un’ottima trappola per chi, come noi, ci saltella sopra senza tanti complimenti.

“Ops!”, dice lei, e la sua stoccata si trasforma in una scivolata. La afferro al volo prima che possa rovinare a terra, e lei mi finisce addosso. Il contatto improvviso mi fa avvampare, e sento il cuore saltare un paio di battiti, per poi tornare a funzionare all’impazzata.

“Scusa…”, borbottiamo insieme, lei chinandosi a raccogliere la spada che le è caduta ed io fissando un punto indefinito della foresta, terrorizzato all’idea che si possa accorgere della mia reazione. Possibile che non riesca a controllare me stesso? Possibile che…

Piantala, babbeo, la risposta è sì. Adesso, con calma, riprendi a respirare… così, bravo… e dì qualcosa… possibilmente di pertinente con la situazione…

“Figurati. Direi che ce la siamo cavata più che bene, non credi? Siamo sopravvissuti mezz’ora al peggior campo da scherma della storia senza nessun inconveniente.”, biascico a mezza voce, sempre con lo sguardo fisso su un pino in lontananza.

“Sì, diciamo di sì… però a te manca stile.”, mi rimprovera sorridendo.

“Ehi, usare in questo modo la lama per il corpo a corpo è parecchio fuori dagli schemi! Ho fatto il possibile!”, replico punto sul vivo, dimenticando il mio momento di sbandamento di qualche secondo fa. Miracoli dell’orgoglio maschile.

“Non ho detto che non ho apprezzato lo sforzo… semplicemente, che non sei alla mia altezza.”, conclude, studiandosi le unghie perfette con aria assorta.

“Razza di vipera…”, rispondo scherzoso; l’imbarazzo oramai è solo un ricordo lontano.

“Ehi, occhio a quello che dici!”, mi minaccia mulinando l‘arma a mezzo centimetro dal mio naso. Ci guardiamo un attimo e scoppiamo a ridere.

“Dai, torniamo dentro. Fra poco passa Embry a prenderci per andare in spiaggia.”

Faccio segno di sì con la testa, e lotto con la tentazione di metterle un braccio intorno alle spalle. E’ da un bel pezzo che non mi sento così felice… ed è tutto merito suo.

“Eva?”

“Sì?”

“Grazie.”

“E di cosa?”

“Di tutto.”

Tutto tutto.

***

N.d.A.: E' il momento di ringraziare le mie abituali quattro recensrici di fiducia (accettate il neologismo xD), e che altro dire... sempre felice che vi piaccia come le cose si stanno sviluppando! Spero che la lunghezza di questo capitolo vi soddisfi più del precedente, che ammetto era un po' cortino.
La leggenda di Akil e Bayak è autentica (non avrei assolutamente la fantasia per inventarmi un qualcosa del genere). Mi sono preso qualche libertà con la traduzione per evitare una trafila infinita di ripetizioni, com'era nell'originale, ma anche così mi sembra comunque abbastanza "lenta" come stile. Evviva i Quileute che mettono online le loro storie!

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Capitolo 6
*** Intermezzo 1: My! My! Time flies! ***


N.d.A.: Lo so, lo so, dovrei postare il capitolo in cui le cose cominciano a movimentarsi. Mi spiace, per quello dovrete pazientare ancora un pò... ci tenevo a sottolineare un paio di concetti sul viaggio nel tempo che sono abbastanza importanti per la storia, e non mi andava di farlo in una nota a fondo pagina. Senza contare che, mentre scrivevo la bozza per il quindicesimo capitolo, si è fatta prepotentemente strada nel mio subconscio l'idea di scrivere una one-shot su Irina Novikova, personaggio a cui tengo molto anche se ricopre solo un ruolo marginale (per chi non se lo ricordasse, è il Generale che compare nel primo capitolo... ringrazio Elly_Volturi per avermi fatto presente che non tutti si ricordano ogni singola virgola di questa storia xD). Beh, quella cosa è in fase di ri-ri-riscrittura, dato che non mi soddisfa per niente, e dubito che la pubblicherò molto presto visto che non riesce a convincere neppure me. Quindi, idea numero due: perchè non creare una serie di intermezzi da usare per spiegare le cose più prettamente fantascientifiche senza andare ad appesantire troppo la narrazione negli altri capitoli? Possibilmente in cui far agire Irina...
Tutti i sopracitati intermezzi saranno ambientati nel ventiquattresimo secolo, cosa che mi permetterà di raccontare come le azioni dei nostri due intrepidi eroi verranno influenzate da ciò che sta succedendo nel futuro. Perchè sì, ho in mente una sottotrama anche per quello...
Ah, il titolo è tratto dall'omonima canzone di Enya che ascoltavo mentre cominciavo a scrivere questo pezzo, e che ho trovato particolarmente appropriata visto tutto questo cianciare sui viaggi temporali. Non è farina del mio sacco.

- - -

- INTERMEZZO UNO: My! My! Time flies! -

 
Sgattaiolare dentro un’aula del Massachussets Institute of Technology a lezione già cominciata fece tornare in mente ad Irina Novikova i primi spensierati anni di Accademia, quando andava a dormire tardi dopo i festini in dormitorio e la mattina seguente aveva seri problemi a presentarsi in orario. Questo accadeva prima di essere trasferita a West Point per il suo addestramento, naturalmente. Ah, il sapore agrodolce dei ricordi... si concesse un piccolo sorriso mentre richiudeva delicatamente dietro di sé la porta su cui troneggiava il cartellone Professor T.J. Ruddock – Meccanica Temporale Avanzata.
Purtroppo il pranzo di lavoro con il Segretario della Flotta si era protratto più a lungo del previsto, ed aveva perso l’occasione di parlare con il professore prima dell’inizio della spiegazione. Tutto per sorbirsi l’ennesimo rapporto d’emergenza sulla situazione sempre più tesa nel sistema Epsilon Eridiani. Come capo del Dipartimento Ricerca e Sviluppo, avrebbe gradito che la tenessero fuori da quelle riunioni inutili… oh, certo, una nuova guerra con Altair avrebbe riguardato anche lei, prima o poi, ma dato che il massimo che poteva fare lei era fornire armi alla Flotta, beh… avrebbe davvero preferito essere lasciata in pace per una volta. Sfortunatamente, non era andata così.
Pazienza, avrebbe aspettato la fine dell’ora. Non aveva altri impegni per quel sabato, ed ascoltare una lezione non poteva che fare bene alla sua, ahimè, fin troppo fallace memoria, sempre più debole man mano che i sessant’anni si avvicinavano.

Sgattaiolare, certo, ma con dignità. Era pur sempre Irina Yurevich Novikova, Tenente Generale dell’Alleanza Terrestre e rampolla di una delle famiglie più ricche di tutta la Russia. Ex-rampolla, si corresse mentalmente, dato il rapporto non esattamente roseo che l’aveva legata agli ormai defunti genitori.
Con movenze eleganti raggiunse uno dei posti dell’ultima fila, dove si sedette con un lieve frusciar di vestiti. Nonostante tutta la sua discrezione, però, la sua intrusione nell’aula semivuota non passò inosservata, ma lo sguardo seccato del professore si arrestò sulle placchette dorate con quattro sbarre nere che decoravano il colletto dell’impermeabile grigio, per venire poi ricacciato indietro da un paio di occhi azzurri duri come il ghiaccio. Con un colpo di tosse che lasciava intendere un velato rimprovero continuò la lezione, come se nulla fosse successo.

“Allora… dove eravamo rimasti?”

“Alla definizione di tempo, professore.”, venne in suo aiuto uno dei pochi studenti.

“Ah, sì, giusto. Grazie, Czerwinski. Il tempo. Come ben saprete, è stato considerato in una infinità di modi differenti… Per le applicazioni che verranno fatte in questo corso, dovrete vederlo come una retta. Una semplice linea retta.”

Tolse il tappo ad un grosso pennarello nero, e con un gesto deciso tracciò sull’antiquata lavagna alle sue spalle una linea.

“Anche nella vita di tutti i giorni siamo abituati all’uso di concetti come prima e poi, passato e futuro. Concorderete con me nel fatto che, sebbene il loro significato è abbastanza chiaro, non si può dire altrettanto della loro definizione. Cosa è futuro?”, chiese alla scarna platea in ascolto.

“Quello che avverrà?”, azzardò una voce dalla prima fila.

“Non esattamente, signor Yeboah. Le parole che sto pronunciando ora appartengono al presente, al passato oppure al futuro?”

“Al presente, suppongo.”

“Ed è qui che lei viene a trovarsi in errore. In questo istante sono passato, poco fa erano presente, e qualche secondo prima ancora erano futuro. Il tempo è come un fiume, signori, in continua evoluzione. Per citare uno di quei filosofi greci che piacciono tanto ad Oxford, panta rei. Passando ad Albert Einstein, la distinzione fra passato, presente e futuro è solo un’illusione… anche se ostinata. Se vorrete procedere con questo corso di studi, è bene che impariate ad avere una visione molto elastica delle cose. Sono molte le credenze comuni che andremo a scuotere, e non sono sicuro che tutti voi possiate comprendere fino in fondo le mie spiegazioni… ma nulla vi impedisce di provare.”, disse sorridendo.

“Ora, la metà di voi probabilmente si trova in quest’aula attratto dalla mia promessa di affrontare il tema del viaggio nel tempo. Quindi, perché non soddisfare subito questa vostra curiosità? E’ la prima lezione, dopotutto, non possiamo certo metterci ad affrontare subito le equazioni di Ramanujan!”

Sotto la linea che rappresentava il tempo, scrisse una complessa formula matematica.

“Chi sa dirmi cos’è questa?”

“La definizione quantica di tachione.”, rispose qualcuno.

“Precisamente… precisamente. Come voi tutti ben saprete, i tachioni sono particelle che viaggiano a velocità superiori a quelle della luce. Sono stati utilizzati nei primi prototipi di motori relativistici, come quello progettato dall’equipe del professor Black nel 2207, ma trovano un’applicazione ben più precisa oggigiorno nel viaggio temporale. Saprete altresì che, secondo le teorie di Einstein, una volta raggiunta la velocità della luce è teoricamente possibile muoversi nella quarta dimensione, ossia il tempo… cosa che portò al fallimento il progetto Horizon. Nelle prossime lezioni vedremo come imbrigliare opportunamente i tachioni in maniera tale da poter piegare lo spaziotempo alle nostre necessità. Ricordate, tuttavia: si viaggia solo all’indietro. Non vi sono i presupposti per una navigazione nel futuro… ma anche questo lo vedremo in seguito, fra qualche mese. Comunque sia, ritengo che il passato abbia abbastanza da offrirci per i nostri studi, senza andare a scomodare ciò che accadrà!”, concluse entusiasticamente.

“Mi scusi, professore…”, una mano scattò in aria dalla terza fila, “Secondo lei è possibile cambiare un evento storico?”

“Ah… un’ottima domanda, signor Puskin. Posso domandarle il motivo della sua curiosità, se non sono indiscreto?”

“Mio padre lavora per l’Esercito, e si occupa di trasferimenti temporali. Quindi mi sono chiesto… per quale motivo i militari dovrebbero interessarsi alla questione, se non vi fossero risvolti pratici?”

“Molto bene. Come probabilmente saprete, il dibattito su questo punto della meccanica temporale è ancora aperto. I due principali schieramenti sono la Scuola Orientale, che vede come suo massimo esponente il professor Tzu dell’Università della Scienza e della Tecnologia di Pechino, e la Scuola Europea, guidata dal professor Hoover del Politecnico federale di Zurigo. Entrambe hanno riconosciuto l’utilizzo dei tachioni come unico mezzo possibile per la navigazione temporale, ma con idee radicalmente diverse sulle conseguenze.
La Scuola Orientale propone la cosiddetta Teoria del Destino. Un nome decisamente melodrammatico, ma che sintetizza molto bene il concetto di fondo: il passato non si può cambiare, poiché il tempo è in grado di correggere da solo gli… errori che possono cercare di stravolgerne la continuità. Secondo questa teoria, se io viaggiassi nel passato per… che so, impedire al mio vicino di casa di investire il mio gatto, otterrei come unico effetto quello di far morire il mio povero Briciola in qualche altra maniera, allo stesso giorno ed alla stessa ora. Più un avvenimento è importante per il corretto svolgimento della Storia, più il tempo sarà in grado di proteggere sé stesso, e quindi replicare le condizioni originali dell’evento. Se viaggiassi nel passato per uccidere il Colonnello Davies in modo tale da impedire la fondazione della Repubblica Popolare di Altair, probabilmente incontrerei una serie di problemi che alla fine mi impedirebbero di compiere le mie intenzioni. Potrei ritrovarmi a chilometri e chilometri di distanza dal punto di arrivo previsto a causa di un guasto improvviso della mia apparecchiatura, potrei incappare in un incidente stradale ed essere costretto in ospedale… le possibilità sono pressoché infinite. E nel caso in cui riuscissi nel mio intento, per non so quale fatalità, il Colonnello verrebbe quasi certamente sostituito da un’altra persona che porterebbe avanti i suoi programmi, ripetendo esattamente le sue stesse azioni.
La Scuola Europea invece è convinta che, data la natura estremamente volatile del continuum, sia effettivamente possibile modificare il futuro con interventi molto semplici e all’apparenza insignificanti nel passato. Qualcuno di voi ha mai letto l’opera Rombo di Tuono, dell’americano Ray Bradbury?”

Un paio di allievi fecero segno di sì con la testa.

“Risale alla metà del ventesimo secolo, ma contiene i concetti fondamentali che il professor Hoover ha spiegato matematicamente solo una decina di anni fa. Un ottimo libro, se volete il mio parere… ma qui sto divagando. Il concetto fondamentale è che da un’azione insignificante, come l’uccisione di una farfalla, potrebbero derivare conseguenze imprevedibili per l’intera umanità. D’altronde, fate caso che… vediamo… schiacciate un’ape durante un viaggio nel tempo. Chi vi dice che quell’ape non avrebbe dovuto impollinare gli ultimi esemplari di una pianta in via di estinzione? Senza volerlo, avreste appena causato l’estinzione di un’intera specie.”

Rivolse un’occhiata inquisitoria alla sua stupefatta platea, per poi scoppiare in una risata.

“Oh, lo so, sembra tutto così poco scientifico. Ma una volta che avrete preso dimestichezza con la fisica postquantistica, vedrete… c’è un intero mondo che attende di essere scoperto, signori, e spetta a voi farlo. Se siete giunti fino al mio corso, significa che c’è della buona stoffa in ognuno di voi. Cercate di rendermi fiero, d’accordo?”

“Mi perdoni, professore.”, insistè Puskin, “Ma non ci ha ancora dato il suo parere su quale delle due scuole di pensiero sia più corretta…”

“Lei ha perfettamente ragione, me n’ero completamente dimenticato. Beh, secondo il mio modesto parere…” qui ci fu un serpeggiare di risatine, dato che Ruddock era uno dei maggiori esperti mondiali in campo di meccanica temporale “…queste due teorie hanno più punti in comune che punti di divergenza. Quando introdurremo il metodo di Schootz per il conteggio tachionico, vi mostrerò i calcoli precisi che mi hanno portato a questa conclusione. In ogni caso, secondo quella che siete autorizzati a chiamare la Teoria di Ruddock…” - altro coretto di risate - “…si potrebbe dire che il Destino cerca sì di limitare i danni alla continuità degli eventi, ma che ci sono limiti alla sua azione, i quali lasciano spazio aperto per alcuni interventi. Tutto il gran cianciare di Guerra Fredda Temporale con la Repubblica di Altair che si faceva prima dell’invasione degli Illuminati riguardava questo punto: tanto l’Alleanza quanto la Repubblica volevano assicurarsi il controllo sul passato, in modo da poterlo manipolare a proprio piacimento. Hanno scoperto entrambe nel modo peggiore che non è così facile indurre un cambiamento. Tutti voi ricorderete certamente l’incidente della Argo…”

Il Generale rabbrividì al solo pensiero. Una portacaccia terrestre aveva rischiato di centrare in pieno una nave di linea altariana al Cancello per Alpha Centauri, e solo per chissà quale miracolo gli skipper delle due navi avevano evitato la collisione… e la quasi sicura guerra che ne sarebbe derivata. Sì, insomma, era scoppiata comunque alla fine, ma con qualche mese di ritardo. Abbastanza per convincere il Presidente Mackenzie ad incrementare il budget della Difesa, il che aveva permesso di rimettere a nuovo la Flotta appena in tempo. Ma questa era un’altra storia, e quella era la versione ufficiale. La realtà era che la CHRONOS aveva pizzicato un cronauta altariano a bordo della Majestic e l’aveva fermato un attimo prima che terminasse le modifiche al sistema di navigazione. Ovviamente, questa parte della storia era stata opportunamente censurata…

“Beh, gira voce che sia stato un tentativo di modifica della timeline ad opera di agenti altariani. Ovviamente di ufficiale non c’è niente, ma secondo…”

Prima ancora che potesse rendersene consciamente conto, Irina Novikova aveva in mano il suo palmare e stava inviando mail una dopo l’altra. Sarebbe stato terribilmente difficile spiegare ai Servizi Segreti che stavolta non avevano licenza di uccidere nel tentativo di sistemare tutto quel casino. Chi diavolo aveva permesso una falla del genere nella sicurezza? Lo sapeva lei, avrebbero dovuto cancellargli la memoria come facevano con tutti… ma no, lui era una mente eccezionale e quindi, dietro pressante raccomandazione del Ministro della Ricerca, lo avevano lasciato andare come se niente fosse per non danneggiare le sue capacità fuori dal comune. Idiozie! Perlomeno, l’incarico che aveva in mente per lui gli avrebbe impedito di fare altri danni.

E poi si sarebbe assicurata di tenerlo lontano dall’insegnamento giusto per un paio di secoli, tanto per restare tranquilla.

Probabilmente il professore notò la sua occhiata glaciale, dato che deglutì vistosamente e liquidò la questione con un rapido ma non sono qui per parlarvi di voci di corridoio. La lezione continuò per un’altra mezz’oretta, ma lei era troppo impegnata a dare ordini per concedersi il lusso di seguire. Quando tutti i trentasei studenti furono usciti dall’aula, si alzò, facendo scivolare il palmare nella tasca destra dell’impermeabile, e marciò elegantemente fino alla cattedra, dove un nervoso professor Ruddock stava risistemando i suoi appunti.

“Io… ehm… spero di non aver detto troppo riguardo all’incidente della Argo, Generale…”, cominciò a giustificarsi prima ancora che lei potesse aprir bocca.

“Lei ha violato l’articolo sei della Convenzione di Langley sul trattamento dei dati riservati. Potrei arrestarla, lo sa?”, lo minacciò con un sorriso caloroso quanto le tormente della Siberia.

“Oh… non credevo che… insomma, cioè…”

“Tuttavia…”, continuò imperterrita, ignorando i suoi patetici tentativi di cavarsi d’impiccio, “…potrei chiudere un occhio se accetterà la mia proposta.”

“Questo è un ricatto.”, sbuffò lui.

“Lo chiami come vuole. L’alternativa sono sei anni di detenzione nelle carceri di Phobos.”

Beh, magari non l’avrebbero proprio spedito nella prigione di massima sicurezza solo per essersi lasciato sfuggire una parola di troppo, ma questo il professore non poteva certo saperlo. E lei non aveva certo intenzione di dirglielo.

“E… quale sarebbe la sua proposta?”, chiese cauto.

Fregato.

Lei allungò un datapad sulla cattedra.

“Si presenti domani mattina alle 10:00 al Pentagono. Dovrà analizzare alcuni dati riguardanti probabili anomalie temporali nel passato… lei mi offre la sua piccola consulenza scientifica per il mio problema, professore, ed io le offro la mia piccola conseguenza legale per il suo problema.”

“Immagino di non avere scelta.”

“Infatti.”

Gli rivolse un altro dei suoi sorrisi glaciali, mentre si allontanava verso la porta.

“Si ricordi, alle dieci in punto.”

“Ci sarò…”, le rispose distrattamente. Era troppo impegnato a scorrere le analisi salvate sul datapad, osservandole con uno sguardo che tradiva tutto il suo entusiasmo.

Scienziati, sbuffò lei. Dagli qualcosa da studiare, e si comporteranno come bambini in un negozio di caramelle. Beh, perlomeno un problema si era risolto. Ora doveva sistemare quella piccola fuga di notizie…
Il trillo del palmare la avvisò della mail che era appena arrivata. Trattenne a stento un’imprecazione quando la lesse, cercando di calmarsi mentre digitava nervosamente un numero. Aveva un disperato bisogno della sua sigaretta pomeridiana, ma quel piccolo piacere avrebbe dovuto attendere.

“Craig? No, esatto, ho detto no. Niet. Nein. Nisba. Nada. Niente licenza di uccidere. Dì a quegli idioti dei tuoi agenti che se vengo a sapere che anche uno solo dei nomi su quella lista si è trasformato in cadavere vedrò di prenderlo a calci personalmente… No, gestite la cosa normalmente. Sì, esatto. Il professor Ruddock da domani lavorerà al Pentagono… no, non lo sa ancora, ma non potrà farci nulla. Ha abboccato ingoiando amo, lenza e canna.”

Continuò a dare indicazioni al suo collega del controspionaggio per dieci minuti buoni, ricevendo rassicurazioni sul fatto che stavolta non sarebbe morto nessuno.
Sarà meglio, quei dannati cervelloni ci servono, pensò sconsolata, accendendo la sua meritata sigaretta mentre si dirigeva al parcheggio dell’istituto. Ogni tanto anche loro hanno modo di rendersi utili nel Grande Disegno Delle Cose.

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Capitolo 7
*** #5: Houston, abbiamo un problema... ***


- #5: Houston, abbiamo un problema... -

 
Bene, la velocità non è un vizio esclusivo di Eva. Ma un conto è andare a centosessanta su un Cayenne sapendo che c’è un Aesir al volante, un altro è raggiungere la stessa velocità con un’auto usata di terza mano che avrà minimo trent’anni, tenuta insieme da sputo e preghiere. Sto disperatamente cercando di non lasciare i segni delle unghie sul sedile.

“L’ho sistemata io questa macchina, sai?”, mi informa Embry con un sorriso.

Rispondo con un mh-mh poco convinto, tentando di scacciare dalla mente le macabre immagini della macchina che finisce per integrarsi in un abete secolare a lato della strada.Chissà se mi aggiusteranno ancora, se mi spezzo un’altra volta la colonna vertebrale…

Stupida, stupidissima paura delle auto. Non sono ancora riuscito a superarla, né credo che ci riuscirò mai. E’ così strano, per uno abituato a tenere sotto controllo ogni singola sensazione, essere costretto a cedere ad un qualcosa di così irrazionale. Beh, certo, poi c’è anche tutto il capitolo dell’attrazione per Eva che rientra nella categoria incontrollabile, ma è un altro discorso.

Immerso in queste mie riflessioni quasi non mi accorgo che abbiamo raggiunto la spiaggia, senza rischiare di schiantarci nemmeno una volta, stranamente… Embry comincia a guadagnare punti nella mia classifica.

“Ciao Eva, ciao Matt!”, ci raggiunge Jared con un sorriso enorme stampato in faccia appena metto piede a terra. Kim si limita a farci un gesto di saluto con la mano, arrossendo. Quella ragazza è fin troppo timida… mi stupisco che sia riuscita a fidanzarsi. Oh sì, è simpatica e tutto, però… si blocca troppo.
Già, perché invece io sono questo mostro di estroversione.

“Paul?”, domando.

“Figuriamoci se arriva in orario, quello.”, borbotta Embry, prendendo i teli da spiaggia dal bagagliaio. Cosa abbia intenzione di farci, considerando le nuvole nere che sembrano volerci cacciare, è fuori dalle mie capacità di comprensione. A dire il vero tutta la gitarella in spiaggia è un azzardo fuori dalla mia comprensione. Sfidare il clima dev’essere una tradizione del secolo.

“Tranquillo, non pioverà.”, mi rassicura Jared notando il mio sguardo inquisitore rivolto al cielo.

“Dici?”

“Fidati.”, insiste, dandomi una pacca sulla spalla.

Mah, sarà… non sono convinto.

“Sembra quasi che non siate mai stati in spiaggia…”, ridacchia Embry mentre stende il telo.

“Sai com’è, quella di Barcellona è un filo diversa. Niente felpe, per esempio.”, replica Eva.

“Venite a fare il bagno?”, chiede intanto Jared, che si sta… spogliando?

“Con dieci gradi?”, domando allibito.

“Ce ne saranno almeno tredici!”

“Ah beh, allora…”

“Vieni o no?”

“No, grazie, credo che darò buca e mi dedicherò ad un po’ di ciciareccio con queste affascinanti fanciulle…”

Uno, non ho la minima intenzione di entrare in acqua se la temperatura è inferiore ai venticinque gradi. Due, non ho il costume. Tre, mostrare al mondo una schiena su cui affiorano le placche metalliche che sostituiscono le prime vertebre non è un’idea brillante per mantenere la segretezza sulle nostre origini. Il tatuaggio dell’Ansuz* con numero di matricola sulla spalla può anche passare come un capriccio ricercato, ma quelle proprio no.

Noto che anche loro due hanno un tatuaggio sulla spalla, lo stesso. Sono due lupi, quelli disegnati? Belli. Sicuramente meglio della mia runa nordica.

Embry mi sta fissando con tanto d’occhi “Non ci credo. Preferisci stare a sorbirti dei pettegolezzi che venire con noi?”

A cosa non costringe la segretezza, eh?

“Sono svizzero, no? Non mi piace l’acqua.”, butto lì, cercando di giustificarmi. Fobia in più, fobia in meno…

I due Quileute ci lasciano scuotendo la testa con disapprovazione, correndo in mare mentre borbottano qualcosa riguardo alle mie stranezze. Temo di aver appena perso posizioni nelle loro graduatorie. Aristocratico, viziato, ed ora anche asociale. Che bella copertura che mi è capitata.
Guardo triste Eva che mi sorride di rimando, comprensiva.

“Beh, allora, Kim…”, comincia, sedendosi su uno dei teli, “…raccontaci qualcosa di questo posto!”

“Oh… non saprei. Cosa volete che vi dica?”, domanda titubante.

“Boh… quello che vuoi…”, intervengo, accomodandomi accanto ad Eva con le gambe strette al corpo ed il mento appoggiato sulle ginocchia. “Ad esempio, come fate a fare il bagno con queste temperature.”

“Sono abituati.”, mormora lei scrollando le spalle con noncuranza, “E poi non sta piovendo, quindi è il caso di approfittarne… non ti preoccupare, da quando li conosco non si sono mai ammalati.”

“Dev’essere qualcosa che avete qui nell’aria. Tutti grandi, grossi e sani.”

Comincio ad essere invidioso.

“Per la gioia di noi ragazze.”, ridacchia Eva, mentre Kim arrossisce. Ancora.

Le lancio un’occhiataccia perfettamente giustificata dal mio status di fidanzato ufficiale.

“Beh? Non posso guardare?”, domanda.

Muovo le labbra in una smorfia che esprime abbastanza chiaramente il mio no.

“Io te l’ho detto che avresti dovuto iscriverti in palestra… saresti parecchio più interessante.”

Sospiro, sperando che la pianti alla svelta, ma non sono così fortunato.

“Nel caso potrei sempre mollarti qui… Embry è libero, no?”, continua.

Ah, è così? Bene, se la pensa così…

Nel caso potrei invitare fuori Pocahontas, una sera…”, rispondo con aria pensosa.

“Pocahontas?”, chiede curiosa.

“Quella che era due file davanti a te a Trigonometria, hai presente? Alta, snella, capelli neri, occhi castano scuro, un fisico da…”

“Intendi Roseann Hart?”, interviene Kim.

“Non ne ho idea. Si chiama così? Per me è la copia sputata di quella della Disney", dico candidamente, cercando di non ridere davanti alla bocca spalancata di Eva. Ah, la gelosia femminile...

“Beh, devi sapere che è una delle ex di Paul che…”

Conversazione deviata con successo sull’argomento pettegolezzi. Applausi al sottoscritto per come riesce a ad allontanare l’attenzione da sé in queste situazioni delicate… Ora devo solo sorbirmi vita morte e miracoli della riserva senza crollare addormentato.

Tutto questo a soli seimila crediti all’anno? E’ ora che mi decida a chiedere un aumento.
 

 . . .


Sono troppo preso a fingere interesse nella conversazione delle due che chiacchierano come se fossero amiche da una vita per accorgermi di Embry e Jared che sono silenziosamente sgusciati alle mie spalle.

“…e tre!”, urla Jared, afferrandomi le braccia.

“Ehi, cosa…?”

Embry fa altrettanto con le caviglie, e in men che non si dica mi ritrovo a mollo nel Pacifico.

Freddo. Troppo freddo.

Il mio primo pensiero riguarda i vestiti. E’ l’ultima felpa pulita che ho, ed ora è irrimediabilmente infradiciata, grazie a quei due rompiscatole formato extralarge. Fastidio.

Il secondo è parecchio più semplice. Vendetta.

Lo sguardo che ho quando riemergo rivela vagamente le mie intenzioni assassine mentre lo arpiono saldamente addosso a Jared. Probabilmente sarei un poco più intimidatorio senza l’alga che ho sui capelli. E se riuscissi a guardarlo in faccia senza dover alzare la testa. E se le altre due la piantassero di ridere. Troppi e se mi fanno capire che ho fallito miseramente nel mio intento di apparire minaccioso.

“Voi… come… avete… osato…”

“Te lo dicevo che non avrebbe apprezzato…”, ridacchia Embry. “Non è abbastanza raffinato come scherzo…”

Se è dura cercare di tenere sotto controllo la tentazione naturale di sparare ai Quileute, figuriamoci quando fanno anche gli strafottenti. Mi convinco controvoglia che no, prenderli a sassate non è per niente un buon modo di sistemare le cose e che anche prenderli a pugni non è un’opzione accettabile.

Plotch.

Per poco non scivolo di nuovo in acqua mentre inciampo sul fondale sconnesso. Ci mancava solo fare un’altra figura del genere davanti a loro…

“Abbiamo anche problemi di equilibrio, eh, svizzero?”, chiede con finto dispiacere Jared quando lo raggiungo sulla terraferma, grondante e decisamente irritato.

“Oh, non sono l’unico…”, borbotto spingendolo in acqua con un calcio ben assestato, senza preoccuparmi troppo di dosare la forza. Non si aspetta una reazione del genere, ed il vederlo a mollo mi fa tornare il buonumore.

Uno pari.

“Ehi, non penserai di cavartela così?”, ridacchia rialzandosi.

“A dire il vero, sì…”

“Speranza vana!”

E mi trascina nuovamente in acqua.

Bene, ora non solo sono completamente fradicio, ma mi stanno anche tenendo la testa sott’acqua. Afferro il braccio colpevole dell’azione – stranamente caldo, nonostante la temperatura glaciale - e, torcendolo fin quasi al punto di rottura con una mossa decisa, riesco a liberarmi.

Tu guarda se devo essere costretto ad usare queste tecniche con un diciassettenne.

“Affogarmi fa parte della vostra idea di un pomeriggio alla spiaggia?”, domando a metà fra l’arrabbiato ed il divertito mentre mi rannicchio in posizione di difesa, respirando avidamente l’aria che fino a pochi secondi fa mi era negata. O almeno mi rannicchio per quanto consenta l'essere con l’acqua fino alla cintola.

Jared mi osserva sorpreso.

“Tutta questa tua combattività da dove salta fuori?”

“Ho… fatto un corso di autodifesa. E poi non mi va di essere sballottato in giro da voialtri solo perché avete dieci centimetri e venti chili più di me.”

Sì, credo che un anno di addestramento possa passare come corso di autodifesa.

“Jared…”, lo chiama Embry, vagamente preoccupato.

“Che c… merda.”

Mi volto anch’io nella direzione in cui stanno guardando, e vedo in lontananza altri due indiani dirigersi verso la spiaggia. Sempre formato armadio, naturalmente. Questi però hanno i capelli lunghi… apparterranno ad una banda diversa. Forse è per questo che Embry e Jared si sono rabbuiati così di colpo?

“C’è… qualche problema?”, chiedo, perplesso.

“Sì”, ringhia Embry, “Se non mi vedessero qui sarebbe meglio. Mi sa che vi lascio.”

“Ma…”

“E’ stato un piacere”, sorride, prima di voltarsi e correre nel bosco. Ancora fradicio e mezzo nudo. Guardo interrogativo Jared, aspettandomi una qualche sorta di spiegazione.

“Oh… diciamo che fra loro tre non… non corre buon sangue, ecco.”, mi risponde impacciato.

“E per questo che prende e ci molla qui così, con tanto di auto?”

“Beh… Jacob e Quil erano i suoi migliori amici ma… hanno litigato, ecco, e non gli va di affrontare adesso la questione.”

“Ha litigato?”, ripeto alzando un sopracciglio. Il mio sesto senso sta urlando balle!

“Sì. Dai, vieni fuori. Se resti ancora in acqua ti prenderai il raffreddore.”

D’altronde saranno anche fatti suoi se non li vuole vedere… ci spiegherà meglio un’altra volta i perché ed i percome. Ora è più urgente il fatto che io sia completamente fradicio e si stia alzando il vento.

“Grazie, mamma, ma dovevi pensarci prima di buttarmi a mollo.”, sbuffo uscendo, afferrando il telo che mi lancia e cercando di asciugarmi alla bell’e meglio. I due nuovi arrivati, intanto, sembrano essersi accorti della fuga di Embry, dato che si fermano brevemente a parlottare per poi fare marcia indietro. Due potenziali conoscenze in meno, sostituite dall’arrivo di Paul dopo qualche minuto. Che, essendo Paul, non può fare a meno di richiamare l’attenzione su di sé, sedendosi fra Eva e Kim.

“Parlavate di Roseann? Chi, quella put…”
 

- - -

 
Il giorno successivo, dopo la scuola, siamo sulla nostra macchina diretti verso un punto non meglio precisato della foresta di Hoh per sistemare il famigerato gruppo sensori. Trekking pomeridiano con prova pratica da antennisti inclusa nel pacchetto vacanza. Cosa si potrebbe desiderare di più?

Una poltrona davanti all’olovisione sintonizzata sulla finale di Honi, ecco cosa.

“…e comunque, dico, si può non saper giocare a schiaccia sette? E’ un gioco storico!”

Eva scrolla le spalle dal posto del guidatore. Quando ho scoperto che i ragazzi della riserva non avevano la più pallida idea di cosa fosse quel gioco era crollato uno dei pilastri portanti della mia esistenza.

“Gliel’hai spiegato, comunque. Hai portato un po’ di luce nel triste buio della loro vuota esistenza”, mi risponde mentre svolta a sinistra per prendere la Highway 110. Sempre alla sua assurda velocità di centocinquanta chilometri orari, ovviamente. Mi sono avvinghiato talmente saldamente al sedile durante la curva che mi stupisco di riuscire ancora a staccarmi dallo schienale.

Stupida, stupidissima paura delle auto.

“Abbiamo le coordinate precise di questo fantomatico posto?”, domanda, rivolgendomi uno sguardo esasperato come a volermi dire non l’ho presa poi così forte, la curva!

 “Cinque miglia in direzione sei-quattro-uno dalla fine della pavimentazione stradale. I sensori dovrebbero essere collocati entro un margine di cinquanta metri dal centro di una radura che noteremo sicuramente. Per la serie… le infallibili indicazioni militari.”

“Dopo sette anni di servizio, dovresti saperlo… così vanno le cose.”

“Certo, certo… ma la CHRONOS ha un satellite da queste parti, non potrebbero usare quello per fare le loro belle analisi senza scomodare noialtri?”

Ultimamente lamentarmi sta diventando il mio sport preferito.

“Credo che al momento sia utilizzato da una squadra di agenti in Iraq. Comunque poteva andarci peggio… alla fine è solo una passeggiata.”

Due romantici ragazzi che per stare un po’ insieme decidono di appartarsi nel bosco… ignorando gli avvertimenti dei loro cari amici Quileute sulla presenza di un enorme orso nero occupato a mietere vittime fra i campeggiatori. Certo, certo, come no. Magari c’è anche un drago dentro la foresta, già che ci siamo. Si può arrivare a credere cose del genere?

“A che pensi?”, mi domanda mentre ferma il Cayenne nello spiazzo all’inizio del sentiero. Cominciamo a conoscerci più che bene ed a saper interpretare i momenti di silenzio dell’uno e dell’altro. Per la gioia di quella piccola parte di me che non fa altro che ricordarmi quanto sia incantevole Eva.

“A quanto siano idiote le voci che circolano da queste parti. Scompaiono un paio di escursionisti, e la spiegazione migliore che riescono a trovare è un orso assassino…”, le spiego mentre prendo lo zaino con dentro i sensori, mentre Eva si mette a tracolla il borsone con gli attrezzi necessari a montarli.

“Sì, me l’ha detto Sam quando mi ha sentito accennare ad Emily che volevamo fare un giro da queste parti. Gli ho promesso che avremmo portato un bel vasetto di miele in caso d’emergenza”, mi informa mentre ci incamminiamo a passi rapidi lungo il sentiero.

“Uuuuh. Sam cuore-di-pietra si preoccupa per noi!”, commento sarcastico. Al di là della repulsione naturale per lui e per gli altri ragazzi, che lentamente stavamo imparando a controllare, aveva un modo di fare che mi lasciava perplesso. Come se dovesse a tutti i costi addossarsi una qualche responsabilità enorme e fosse orgoglioso di farlo, ecco. Emana un’aura di fierezza, il nostro caro vicino di casa, che tuttavia si scioglie tutte le volte che guarda Emily.

La sua Emily.

Ogni tanto mi ero fermato nel vederli per caso mentre si baciavano, sulla veranda o fuori di casa, e tutte le volte ero stato costretto a distogliere lo sguardo imbarazzato. Si guardavano come se fossero tutto l’uno per l’altra, e questo mi faceva vergognare. Sempre. Perché dentro di me so benissimo che nonostante tutto quello che sento per Eva, non saprei mai avvicinarmi al legame che unisce quei due, nemmeno lontanamente. Senza contare che mentre io mi blocco ancora ad osservarla con sguardo adorante (o da triglia lessa, a seconda dei punti di vista), lei non ha mai dato un solo segno che possa provare qualcosa di simile nei miei confronti… ovviamente. Per lei sono solo l’amico ritrovato dopo tre anni. Come dovrebbe essere, d’altronde… sono io quello anormale, quello che si è preso una sbandata troppo forte per una cotta che credeva superata. E sicuramente io non farei mai il primo passo verso una qualsiasi forma di dichiarazione nei suoi confronti.

Assolutamente.

Sarebbe ammettere ufficialmente che qualcosa di serio per lei lo provo, che è più di una semplice sbandata.

Sarebbe ammettere che tengo ad un’altra persona più di quanto non abbia fatto con Vivianne.

Sarebbe pugnalare la sua memoria.

D’altronde con Eva sono riuscito quasi a dimenticarla. Ho messo da parte il dolore e l’angoscia con cui ho convissuto per sei mesi.

Quindi è questo il punto? Ho paura di dimenticare?

Hai paura di ammettere con te stesso che esiste una donna più importante di lei?

Hai paura di sostituirla con un’altra?

No! Lei non sarà mai sostituita!

E allora cosa stai facendo?

Sto cercando di tirare avanti…

Come puoi pensare di tirare avanti, dopo averla uccisa? Come puoi pensare di essere in pace con te stesso, adesso che la scambi così, come una bambola rotta? Come una bambola che
tu hai rotto?

Io…

Non posso.

O sì?

Ma proprio adesso dovevo cominciare questo monologo interiore?

I tentativi di Eva per avviare una conversazione cadono nel vuoto. Mi guarda come per chiedermi se c’è qualcosa che non va, ma stringo i denti e faccio finta di nulla.

Non devo, non posso piangere. Non qui, non davanti a lei. E’ fuori discussione che mi abbandoni ad una reazione del genere. Davanti ad una ragazza, poi.

Lei continua a non dire niente, mettendomi una mano sulla spalla. Una scintilla di felicità si sprigiona per un attimo da quell’innocente contatto.

Non è possibile che mi sia ridotto così.

. . .

 
“La amavi così tanto?”, chiede dolcemente dopo il mio lungo silenzio, abbracciandomi con delicatezza. Io mi limito a scuotere la testa, conscio che se aprissi bocca crollerei, con buona pace di quella briciola d’orgoglio che mi è rimasta.

No, non era amore. Era… cosa? Complicità? Perfetta comunione? Condivisione totale? Era tutto, ma non era amore. Non quell'amore, almeno. Ma allora cosa diavolo era?

Non lo so, non riesco proprio a definirlo. Però era completamente diverso da quello che sento per Eva. Possibile che in qualche settimana sia riuscita a rimpiazzare… qualunque cosa fosse?

No, non rimpiazzare. Piantala di usare quel termine.

“Io credo di sì.”, continua, leggendomi nel pensiero le mie riflessioni autolesionistiche. “Ce l’hai scritto in faccia che lei era tutto per te.”

“Non è la stessa cosa. Era… diverso.”

Caspita. Ben sette parole pronunciate mantenendo il timbro vocale nel mio range. Niente ottave sopra la norma. Sono fiero di me.

Non era amore, perché… perché altrimenti quello che provo per te come lo dovrei chiamare?

Una domanda che non verrà mai espressa ad alta voce.

Da quando è morta mi sento come se mancasse un pezzo di me. Come se, tutto d’un tratto, avessi scoperto di essere incompleto. Una sensazione che prima non avevo mai provavo.

Non è vero.

Non così frequentemente, almeno.

E’ diverso.

Non sminuirla così!

Sto solo mostrando i fatti.

Mi sto solo dimostrando uno schifoso egoista.

Già, perché il punto non è che io sia responsabile o meno per la sua scomparsa. Ciò che mi preme di più è il fatto che io non mi senta bene senza di lei. Il punto non è lei, sono io. Perlomeno c’è ancora una parte di me capace di vergognarsi per il modo in cui sto trattando Vivianne. E’… ingiusto. Posso anche non averla uccisa sette mesi fa, ma sicuramente l’ho uccisa adesso.

E’ sempre colpa mia.

Alzo le mani di fronte ad Eva, cedendo alla mia vena melodrammatica, “…qui c’è ancora odore di sangue, e tutti i profumi d’Arabia non basteranno a raddolcire questa piccola mano…”

E’ una parte femminile, babbeo.

Ops.

Il concetto è quello, in ogni caso. Tradimento.

 “Non è tornata da Polaris, eh? Non è colpa tua. E scusa tanto se te lo dico, ma la citazione dal Macbeth non c’entra nulla. Credi che lei ti odi per questo?”

Io mi blocco un momento, e lei procede, inesorabile.

“Se ti odia è perché tu stai buttando via la vita che hai ancora... credi che lei vorrebbe vederti morto? Non pensi che forse non te ne farebbe nessuna colpa?”

“Io… non lo so.”

Resto fisso a guardarla. Poi, qualcosa dentro di me si sblocca.

Che abbia ragione?

Mi permetto il lusso di credere a quello che mi ha appena detto. Mi permetto il lusso di essere egoista. E ricambio il suo abbraccio.

“Grazie.”

“Di nulla, socio.”

Socio. Già, niente di più, constato amaramente. Beh, ben mi sta.
 

- - -

 
Piante, piante, e ancora piante. Che foresta noiosa. Uno scoiattolo ogni tanto per spezzare la monotonia è chiedere troppo?

…Victoria crede che sia molto più sensato uccidere te, anziché Edward: uno scambio equo, compagna per compagno…

E’ un attimo. Il nostro udito potenziato ci fa recepire parole solo sussurrate a qualche decina di metri più avanti da una voce deliziosamente melodiosa, ma da cui traspira violenza e morte. Ci guardiamo nello stesso momento, sorpresi. Stiamo per assistere ad un omicidio nel bel mezzo della foresta più dimenticata d’America?

Così imparo a lamentarmi della monotonia.

Qual è la procedura per questi casi? Dobbiamo intervenire o no? Secondo gli ordini…

Al diavolo gli ordini. Sei stato creato per proteggere. Proteggi.

Lascio cadere lo zaino e scatto di corsa verso la radura poco distante da cui provengono le voci. In pochi secondi la mia mente si svuota. I pensieri malinconici di poco fa non esistono più, sostituiti da  puro, semplice istinto, adrenalina che scorre incontrollata nel sangue, subconscio che ora mi urla salva.

Il fatto che sia praticamente disarmato è un dettaglio assolutamente trascurabile al momento. Così come la voce di Eva alle mie spalle.

“Vedila così, Bella. Sei fortunata che ti abbia trovata io per primo.”

“Davvero?”

“Sì. Farò in fretta. Non sentirai niente, te lo prometto. Ah, ovviamente a Victoria racconterò una bugia, per metterle il cuore in pace. Se sapessi cosa aveva in programma per te, Bella…”

Con un salto supero gli ultimi alberi ed esco allo scoperto, nella radura. Una ragazza (Bella?) è costretta contro un albero da uno degli uomini più… beh, oggettivamente, più belli che io abbia mai visto, un uomo che le sta annusando i capelli mentre con il naso segue il profilo del suo collo.

Il tizio in questione ha una delicatissima carnagione olivastro pallido, con capelli lucidi che gli ricadono sulle spalle. Quando sente il mio non troppo delicato atterraggio in mezzo allo spiazzo, si volta a guardarmi. E lì li noto.

Occhi rossi, iniettati di sangue. Un rosso così scuro da sembrare quasi nero.

Pericolo. Soggetto potenzialmente ostile.

E’ sempre un piacere entrare in simbiosi con la parte meccanica del mio cervello in queste situazioni.

La ragazza mi guarda terrorizzata, cominciando a balbettare dopo qualche secondo qualcosa a proposito di fuggire e di mettermi in salvo prima che sia troppo tardi. Ma io non la sento.

Inizializzare sequenza d’attacco.

Mi scaglio verso l’uomo, che sorride beffardo senza spostarsi, restando davanti alla ragazza come a voler sancire una sua proprietà.

Accelero per rendere il colpo rapido e letale. Al mio avversario si gela il sorriso sulle labbra mentre è costretto a muoversi per schivarmi, sorpreso dalla velocità.

Troppo lento.

Non si aspetta tutta questa foga, e ciò mi permette di balzargli alle spalle e di colpirlo alla base del cranio con tutte le mie forze.

Crack. Un suono secco, mentre il mio radio si spezza.

Dolore.

Il dolore è irrilevante, decreta la mia mente, rimuovendolo dai dati sensoriali rilevanti.

Mi allontano di scatto, notando con stupore il mio avambraccio sinistro malamente piegato ad arco. Lo stesso fa l’uomo, che mi guarda con un misto di curiosità, sorpresa e… paura?

Cosa sei?”, sibila.

Nuovi dati acquisiti. Modifiche alla sequenza d’attacco in corso… modifiche completate. Reinizializzazione sequenza.

Non riceve risposta, se non il coltello che scatta nella mano sana.

“Non importa… non mi fermerai.”

E morde la ragazza al collo, lacerandole la giugulare con una facilità impressionante.

Sangue.

Disgusto.

Il disgusto è irrilevante.

Poi la getta a terra, quasi fosse stanco di giocare con lei, prima che io possa riprendere il mio assalto.

Ira.

L’ira è irrilevante.

Scopre i denti, ringhiando in segno di sfida.

Elaborazione scenario in corso… elaborazione completata. L’avversario tenterà una finta a sinistra…

Cerca di scansarmi buttandosi a sinistra, ma anticipo la sua mossa.

…per poi indietreggiare…

Indietreggia lentamente, un passo alla volta.

…e cercare un varco sulla destra sfruttando la sua velocità.

Ancora una volta prevengo le sue mosse, ed in un lampo quindici centimetri di lama di adamantio affondano nella carne del suo braccio mentre tenta di sgusciare alle mie spalle.

Carne?

Mi sembra piuttosto di incidere una roccia. Una roccia che comunque alla fine cede, cadendo a terra con un tonfo sordo. Chi diavolo ho di fronte?

Nessun riscontro in memoria. Entità sconosciuta.

Un urlo sgraziato e lancinante esce dalla bocca dell’entità sconosciuta, mentre si guarda con orrore l’arto appena amputato, stringendosi il moncherino con la mano destra. Io continuo a studiarlo impassibile, tenendo pronto il coltello per il prossimo attacco. Il mio avambraccio sinistro, nel frattempo, sta lentamente tornando alla sua posizione naturale. Avverto un fastidioso formicolio mentre i naniti** si mettono all’opera per ripristinare i tessuti danneggiati un microscopico pezzo alla volta.
Dietro di me Eva soccorre la malcapitata, tamponando la ferita alla gola. Spero che se la cavi.

Torno a concentrarmi sul mio avversario, che ora sta correndo via dalla radura, ma prima che io possa inseguirlo un ruggito come di tuono scuote gli alberi, e cinque lupi giganteschi si fanno lentamente avanti, in una processione maestosa e terrificante.

Aggiornamento priorità. Copri Eva, mi viene ordinato. Eseguo indietreggiando lentamente.

Devo proteggerla da cosa, da un incrocio fra un lupo ed un elefante?

Pensiero irrilevante. Concentrarsi sull’azione.

Quattro dei lupi si lanciano all’inseguimento dell’uomo con latrati spaventosi. Il quinto, il più grande di tutti, dalla pelliccia nera come la notte, si volta lentamente verso noi tre, scoprendo le zanne più affilate di rasoi ed emettendo un ringhio continuo, basso e minaccioso.

Analisi in corso… analisi terminata. Nessun riscontro in memoria. Entità sconosciuta.

Calcolo pericolosità effettiva in corso…

Comincia ad avvicinarsi, senza smettere di ringhiare.

Calcolo terminato. L’entità è potenzialmente pericolosa. Strategia consigliata: eliminazione preventiva.

“Se non facciamo qualcosa non se la caverà. La porto via”, mi informa Eva mentre si carica in spalla la ragazza. “Dammi un po’ di vantaggio. Ti aspetto all’auto.”

Mi lancio verso l’animale, che con un ruggito mi si avventa contro. La mia corsa diventa una scivolata che mi permette di sgusciare sotto le sue zampe e di colpirlo con un calcio allo sterno, scaraventandolo contro alcuni alberi con un soddisfacente rumore di ossa che si spezzano.

Obiettivo completato. Ripiegare.

Alias correre a perdifiato nella foresta, impiegando una manciata di minuti per ripercorrere il sentiero che prima ci aveva portato via una buona mezz’oretta. Schivando tronchi, rami bassi e radici sporgenti, naturalmente.
Nota mentale, chiedere ad Eva come cavolo ci è riuscita portandosi una ragazza ferita sulle spalle.

Pensiero irrilevante. Concentrarsi sull’azione..

Uffa, ho capito!

Eva nel frattempo ha sistemato in qualche modo Bella sull’auto, e mi fa segno di sbrigarmi a raggiungerla dal posto di guida. Non faccio in tempo a chiudere la portiera che lei pigia a fondo l’acceleratore e la macchina schizza sulla strada alla folle velocità di duecentodieci chilometri orari.
Sento il mio respiro affannoso calmarsi poco a poco, poco alla volta riacquisto lucidità. La mia simpatica testolina manifesta il suo ritorno alla normalità preparando un lungo elenco di domande. Do voce alla prima.

“Cosa diavolo era?”

“Cosa, il tizio pallido, i lupi formato mammut o quella dannatissima cosa che le ha iniettato con il morso?”, mi chiede, con lo sguardo a dir poco spiritato fisso sulla strada davanti a lei. “Non ha smesso un solo istante di urlare, le ho sparato in endovena tutta la morfina che avevo dietro... per il momento è a nanna, ma dobbiamo operarla, ed alla svelta. Non so quanto reggerà il tampone alla giugulare.”

“Non avevi la Neuroateleina?”

“Credevo che fossimo usciti per fare gli antennisti, non per ficcarci in uno scontro! E’ a casa, insieme al resto del kit medico serio!”

“Fra quanto ci arriviamo, a questa velocità?”

“Dieci minuti, anche meno.”

Spero vivamente che ci faccia il piacere di restare viva altri dieci minuti, dopo che l’abbiamo salvata da… da chi? Quel coso non rientra nelle definizioni di alcuna creatura terrestre e/o aliena che conosco, così come i lupi giganti. Coso e cosi sono un eccellente nome per entrambi, al momento.

“So che probabilmente è tardi per pensarci, ma… non avremo combinato qualche casino mettendoci in mezzo a questa storia?”, borbotto sovrappensiero.

“Dico, ma ci senti quando ti parlo? Il conteggio tachionico era fuori scala prima del tuo intervento!”

“E quando me l’avresti detto, scusa?”, domando sorpreso.

“Te l’ho urlato due secondi prima che tu partissi in quarta per sezionare il tipo.”

“Non ho sentito nulla.”

“Per forza, eri in piena modalità sadico-assetato-di-sangue. Beh, adesso mi stai sentendo. Azzarderei dire che il nostro intervento è stato un qualcosa di necessario nell’ordine degli eventi, ma propongo di discutere questo interessantissimo dettaglio più tardi.”

“Concordo.”

“...anche perchè Il nero ci sta seguendo”, mi informa controllando lo specchietto.

EH? Stai andando a…”

Duecentoventuno chilometri orari, constato lanciando un’occhiata fugace al tachimetro, cercando di controllare il mio solito terrore della velocità. Va tutto bene, sta guidando Eva… Eva non si schianta contro gli alberi… Eva non mette a rischio inutilmente la vita dei passeggeri… Eva sa come si controlla questo mezzo…

No, un attimo. Fermi tutti.

Il lupo formato maggiolino sta correndo a duecentoventuno chilometri orari? Devo essermi perso il momento in cui le leggi della natura hanno annunciato l’abbandono di questo mondo. Voglio dire, non è realisticamente possibile che un animale raggiunga queste velocità!
Sì, insomma, anche lupi di quelle dimensioni non sono realisticamente possibili, però…
E poi non si era rotto un paio di ossa quando l’ho scaraventato contro gli alberi?

“Se hai finito con i tuoi affascinanti monologhi mentali, potresti anche renderti utile. Il coso ci sta raggiungendo, e se riuscissi a togliercelo dalle scatole penso proprio che sarebbe una buona cosa!”, Eva mi urla nell’orecchio, riscuotendomi dalle mie riflessioni non proprio opportune.

“E come faccio?” le rispondo a tono, “Non è un autoblindo, questo, quindi niente mitragliatrice calibro 50 sul tetto!”

“E secondo te ci lasciavano andare in missione così alla buona? Nel baule c’è un lanciarazzi.”

Un lanciarazzi. Sono andato in giro per una riserva indiana del ventunesimo secolo con un lanciarazzi nel baule. Chissà, magari se lavorassi per l’MI6 invece che per la CHRONOS mi avrebbero dato anche un’Aston Martin con targa girevole, distributore di chiodi e sedili eiettabili. Ed avrei potuto girare per locali d’alta classe ordinando vodka Martini. Agitati, non mescolati.

“Matt?”

“Sì?”

M-U-O-V-I-T-I!

Eva non apprezza queste mie piccole divagazioni. Peccato.

Mi tolgo la cintura, scavalco Bella, distesa incosciente lungo i sedili posteriori ed imbragata in qualche modo, e salto nel baule. Prima botta, primo di numerosi altri ahia. In una delle poche casse che non ho scaricato trovo quello che cerco: un cilindro cavo lungo pressappoco un metro. Un pratico lanciamissili magnetico.
Prendo con estrema attenzione il proiettile bianco con strisce rosse, mentre ringrazio mentalmente Zeus ed un’altra mezza dozzina di divinità a caso per averci fatto capitare fra le mani un’arma ultimo modello e non uno dei soliti residuati che solitamente vengono sbolognati alle operazioni temporali. Perlomeno posso sparare al lupetto senza timore di incenerire l’auto con le fiammate di scarico del razzo.
Certo, caricare un’arma del genere costretto nel bagagliaio di un’auto che ora tocca i duecentocinquanta all’ora è un’impresa ardua, ma in qualche modo ci riesco. Qualche modo sottintende una lunga serie di testate nell’angusto spazio in cui sono accucciato, ed un’altrettanto lunga serie di fantasiose imprecazioni apprese in sei anni di servizio nella Flotta.
Alzo lo sguardo e noto che il lupo sta… accorciando le distanze?

Ok, direi che è ora di far tornare la razionalità in questo mondo.

Con una mano mi tengo al poggiatesta di un sedile e con l’altra cerco di prendere la mira mentre Eva apre il baule. Cerco di non pensare a quello che potrebbe succedermi se cadessi in strada in questo momento. Considerando la velocità, finirei spiattellato su almeno cento metri di…

Ho detto non pensarci.

D’accordo, d’accordo. Concentrazione, ora…

Bersaglio acquisito.

Au revoir, palla di pelo.”

E premo il grilletto.
 

. . .

 
Il razzo abbagliante esplode a metà strada fra il Cayenne ed il lupo, accendendo per una frazione di secondo un altro sole direttamente sulla terra. Chiudo gli occhi e mi volto, ma anche così facendo la luce è accecante. Aspetto i dieci secondi previsti dal manuale prima di rialzare le palpebre, dieci secondi in cui Eva è riuscita non so come a rimanere in carreggiata. Credo sia il caso di ringraziare il GPS incorporato nell’impianto corticale di noi Aesir.
L’animale intanto lancia un acutissimo guaito di dolore quando perde l’uso della vista, accasciandosi al suolo, incapace di proseguire.

Spero che tu ci rimanga, bestiaccia.

Ripongo l’arma e chiudo il baule, rischiando di sfracellarmi al suolo mentre mi sporgo ad afferrare la maniglia interna. Nemmeno cinque minuti dopo Eva inchioda l’auto di fronte a casa nostra.

Entriamo di corsa, posando Bella sul tavolo al centro del soggiorno che Eva libera frettolosamente con una manata, mandando un vaso di fiori ed un posacenere di cristallo ad infrangersi in mille pezzi sul pavimento. Lei poi si precipita verso l’armadio, recuperando il proiettore olografico mentre io cerco di agire con ordine e metodo sulla nostra paziente. Con una mossa fluida strappo la camicetta per poterle ispezionare meglio il collo.

Ahia.

La pelle intorno al morso è di un bianco stranissimo, che sembra marmo al tatto. Ed è gelida, come morta.
Come la pelle del nostro amichetto Occhi Rossi, a ben pensare.

“Cosa diavolo è?”, domando a nessuno in particolare. Dietro di me sento Eva fare rapporto concitatamente al Generale Novikova, che sembra comprendere al volo la gravità della situazione.

Controllo il polso dell’umana – Isabella -… è terribilmente debole. E continua a biascicare confusamente brucia in mezzo al confuso sonno regalatole dalla morfina.

E’ colpa nostra se è in queste condizioni? Se non fossimo intervenuti magari…

Se non foste intervenuti ora sarebbe dissanguata e/o nello stomaco di quei canidi troppo cresciuti.

Sì, ma…

Irrilevante. La priorità ora è salvare l’indigena.

“Suggerimenti su cosa fare?”, chiedo ad Eva mentre controllo il portafoglio di Bella, scoprendo che il vero nome è Isabella. Isabella Swan. Qualche secondo dopo ho acceso il laptop e sto saccheggiando la banca dati dell’anagrafe statunitense. Bene, adesso ho un gruppo sanguigno su cui lavorare.

“Il Generale ci sta passando per non so quali canali al CDC di Atlanta. Un altro paio di minuti ed avremo a nostra disposizione il miglior microbiologo di tutta l’Alleanza… così mi ha garantito.”, mi informa allungandomi la cassa con le attrezzature mediche.

Sarà meglio che si muova.

“Perché dal taglio al collo non esce più sangue?”

“Non lo so, ma non è nulla di buono…”

“…brucia…”

“Zitta, te.”, bofonchio preoccupato, passando un bioscanner sulla gola e leggendo preoccupato i risultati sullo schermo. Urge una revitalizzazione cutanea, poco ma sicuro. E c’è una sostanza sconosciuta nelle vene. Fantastico. Nemmeno ventiquattr’ore fa il mio problema più grosso era l’essere buttato in acqua da diciassettenni formato armadio, ed ora sono qui a cercare di salvare un’adolescente in fin di vita. Davvero fantastico. Ho decisamente bisogno di un aumento di stipendio… ne pretenderò almeno almeno settemila.

“Merda!”, esclamo quando la siringa con cui ho aspirato un campione di quella sostanza in circolo mi si fonde fra le dita con uno sfrigolare minaccioso. Sempre più fantastico, ha in circolo acido. Nota mentale: cambiare il tappeto. Quella roba che ha appena fuso la siringa ci ha anche fatto un bel buco sopra. Allarme biocontaminazione, direi.

Problemi, problemi… sempre altri problemi, sbuffo infilandomi i guanti. Piove sul bagnato.

“Ok, abbiamo la linea…” mormora Eva alle mie spalle. “Solo audio, però.”

Beh, sentiamo cos’ha da dirci questo microbiologo…

Dottor Carisle Cullen. Mi hanno detto che c’è un’emergenza… Cosa posso fare per voi?
 
***

* L’Ansuz è la runa nordica per la lettera a, dal cui nome deriva il termine Aesir. Tutti i supersoldati sono marchiati con questo simbolo al momento della loro trasformazione.
 
** I naniti sono robot sub-microscopici che agiscono a livello molecolare per curare malattie o ferite. I nostri intrepidi eroi dispongono di qualche miliardo di questi aggeggi in giro per il sistema circolatorio, il che permette loro di riparare quasi istantaneamente contusioni non letali.

N.d.A.: Questo capitolo è stato un parto. Si comincia quattro innocenti paginette di bozza. Si aggiunge una Beta che "Scusa, finisci il capitolo prima con loro che vanno in spiaggia e non ne parli?", una crisi esistenziale a metà testo ("oddio ma questa roba schifosamente patetica l'ho scritta io? Doveva essere una di quelle giornate decisamente no, assolutamente..." - e fidatevi, l'originale era mooooooolto più smielato di quello che avete letto. Ancora più smielato ed ancora più illogico, se proprio devo dirla tutta), un'illuminazione divina a tre quarti ("Nah, non sono cyborg... sono simbionti! Così la cosa funziona molto meglio! Sìsìsì!), un monologo dubitativo ("Insomma, non starò esagerando a far finire un bazooka in Twilight? Oh, amen, ogni film d'azione che si rispetti ha almeno un po' di esplosioni e qualche inseguimento in auto."), una mezza dozzina di idee per gli interludi che si sono affollate esattamente in questo periodo, e basta credo. Fatto sta che alla fine mi sono ritrovato con nove pagine.
Unica pecca? Non mi piacevano.
Di solito quando rileggo i pezzi già scritti agisco con un bisturi. Una ripetizione qui, un qualcosa di troppo lì... via, con delicatezza e pazienza. Stavolta invece del bisturi ho usato una motosega elettrica, tranciando via paragrafi a destra e manca, facendo a pezzi intere parti già costruite... ed in genere piuttosto che cancellare un pezzo già scritto ci aggiungo una pagina intera per farlo star meglio nella storia.
Il risultato sono queste dieci pagine e mezzo di word, pubblicate più perché non ne posso più di rileggerle fino alla nausea e di trovare ogni volta qualcosa che puntualmente riscrivo, che per altro. Con ben due noticine alla fine, cosa che io odio ma di cui non ho potuto fare a meno stavolta. Stavo per postare ieri notte, prima di accorgermi che ero solo a metà capitolo con l'ultima rilettura e ricordarmi che gli appunti in università non si prendono da soli. L'incoscienza di una matricola.

Senza contare che la mia insofferenza per il capitolo mi ha portato a lasciare quel piccolo cliffhanger alla fine... una delle cose che come lettore odio di più.

Per rispondere a Jakefan e Blacksea... beh, inizialmente pensavo ad Irina come a Meryl Streep nei panni di Miranda Priestly con un paio di modifiche, poi sono andato a guardare chi fosse la capa di James Bond e sono rimasto con un "E' lei!". Beh, Quantum of Solace non mi era piaciuto più di tanto (se non per quel fantasticherrimo megacomputer touch screen che hanno all'MI6 e che VOGLIO pure io!), quindi credo di essere scusato se l'avevo rimossa. La breve allusione all'agente di Sua Maestà che si fa nel capitolo è tutta merito vostro.
Poi se non fossi completamente negato per il disegno di esseri viventi vi mostrerei come immagino i personaggi, ma non ci tengo a creare imitazioni cubiste. Proprio per niente.

Bene, dopo aver scritto questo papiro, direi che posso anche chiudere qui, sperando di non aver scritto troppi strafalcioni. Ci sono un paio di storie aggiornate a tradimento che mi impediscono di andare a dormire come invece dovrei fare (sì, Jakefan, è proprio colpa tua.)
Al prossimo capitolo!

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Capitolo 8
*** #6: Niente panico. ***


- #6: Niente panico. -

 

“Duecentocinquanta di Nitroxina, subito!”

“Due e cinquanta pronti!”, risponde Eva allungandomi la siringa.

“Dovrebbe aiutarvi a neutralizzare l’azione corrosiva del veleno.”

Dovrebbe? Spero che questo Cullen abbia una vaga idea di quello che sta facendo…

“Merda… il battito sta rallentando! E' in arresto cardiorespiratorio!”

Ancora, aggiungo mentalmente. Questa ragazza è un incubo medico.

“Defibrillatore.”

“Di nuovo? Non sarà…”

“Defibrillatore, Comandante!”

“Ok, doc.”, bofonchio prendendo il dispositivo. “Via io, via tu, via tutti. Carico a cinquanta… Libera!” *

Zot.

“Niente. Carico a cento… Libera!”

Zot.

Stavolta il beep-beep dalle apparecchiature ci informa che il martoriato cuore di Isabella Swan è tornato a battere regolarmente. Fine dell’emergenza numero… tre? Quattro? Ho perso il
conto.
Inspiro profondamente, cercando di calmarmi. Sto cominciando ad odiare questa ragazza e tutti i problemi che ci sta dando… forse avremmo dovuto lasciarla ai lupi, sicuramente gli sarebbe rimasta sullo stomaco.

“Inietto la Nitroxina, dottore.”

Detto fatto. Ed ora?

“Tenente, ha terminato la reprogrammazione dei naniti?”

“Sto finendo ora...”, mormora Eva mentre le sue dita volano sulla tastiera olografica proiettata a mezz’aria, circondata da schermi su cui scorrono file e file di dati.

“…fatto.”

Mi allunga una provetta all’apparenza vuota.

“I naniti provvederanno ad eliminare il veleno presente nel sistema circolatorio, già indebolito dalla Nitroxina. Si disattiveranno autonomamente entro ventiquattr’ore, e verranno rimossi dal sistema immunitario.”, ci spiega il dottore.

D’accordo, ammetto che quantomeno parla come uno che sa il fatto suo…

“Naniti iniettati.”

“Ora proceda con la revitalizzazione cutanea. E’ un processo lungo, ma abbastanza semplice. Resto in linea nel caso di eventuali complicazioni, ma credo che da qui in avanti possiate cavarvela da soli.”

“Aye, doc.”

 

- - -

 

“Ed ora?”, mi chiede Eva, esausta.

Mi volto ad osservare il divanetto, su cui Isabella dorme profondamente il sonno degli antidolorifici. Cosa diavolo ne facciamo di lei?

“Non ne ho la più pallida idea. Spiegarle tutto sarebbe piuttosto… complicato.”

“Senza contare che anche noi non abbiamo la più pallida idea di cosa sia successo. Chi era quel tizio pallido? E quei lupi da dove sono spuntati? E poi, dovremmo proteggerla?”

Mi abbandono sullo schienale della poltrona. Troppe domande restano senza risposta.

“Sentiamo che ci dice di bello il Generale?”, propone lei.

Cinque minuti dopo la sagoma azzurrognola di Irina Novikova galleggia ad una decina di centimetri dal suolo, di fronte alle nostre facce stanche.

“Non avete una gran bella cera, ragazzi miei… rigenerarvi vi farebbe un gran bene.”

“Signore, ci servono istruzioni, e ci servono il prima possibile”, comincio.

“Immaginavo. Ho appena finito di parlare con l’equipe tecnica che si occupa del vostro caso. Le mie congratulazioni, vi siete trovati al posto giusto nel momento giusto. Non chiedetemi come, ma secondo loro avete salvato il salvabile nell’evoluzione temporale.”

“Sarebbe a dire?”

“Sarebbe a dire che la ragazza non doveva morire, e voi vi siete assicurati che non morisse. Vi meritate entrambi una pacca sulla spalla direttamente dal ventiquattresimo secolo”, annuncia con un gran sorriso.

“Ehm… grazie, signore.”, mormoro, incerto su come reagire, specie considerando i miei pensieri sul lasciarla ai lupi di poco fa.

“Tornando alle cose serie. L’entità sconosciuta numero uno è stata classificata come Vanir…”

Tipico dell’Esercito, affibbiare nomi in codice a qualsiasi cosa… Fanno molto più in, effettivamente.

“…e tutto quello che i cervelloni sono riusciti a dirmi è che forse si potrebbe eventualmente trattare di un cronauta non autorizzato che avrebbe intenzione di modificare la timeline, probabilmente, anche se non se la sentono di fare congetture così azzardate. Tradotto, non hanno uno straccio di idea.”

“E’ possibile che si tratti di un agente altariano? Anche loro stavano lavorando ad un programma per la realizzazione di supersoldati, se non sbaglio. Quel coso sembrava una versione meno avanzata di noi Aesir. Riflessi potenziati, velocità inumana… gli occhi rossi potrebbero essere dovuti ad un impianto ottico di qualche tipo”, interviene Eva.

“Stiamo vagliando tutte le possibilità, Cortéz. Fatto sta che quel coso si è messo in mezzo ad un’operazione militare segreta, e la cosa mi indispone parecchio. Se lo vedete ancora in giro, avete tutte le autorizzazioni che volete per farlo fuori. E fatemi un piacere… vi abbiamo regalato un arsenale ultimo modello, vi spiacerebbe portarvi dietro almeno una pistola nelle vostre future scampagnate?”

“Tenteremo.”

“Bene. Punto numero due… i lupi, nome in codice Fenrir. Per quelli credo che dovremmo rivolgerci agli zoologi più che ai tecnici, ma per quanto ne so io lupi che corrono a duecentocinquanta all’ora non esistono. Le indicazioni sono le stesse: se li beccate di nuovo, accoppateli. Non credo che qualcuno si metterà a piangere la loro scomparsa.”

“Crede che dovremmo dar loro la caccia, signore?”

“No. Non ai lupi. Ora, sistematemi quei sensori il prima possibile, così potremo rintracciare questo Vanir e sì, quello è un qualcosa a cui dovete dare la caccia. Non voglio altri casini temporali, la situazione è già abbastanza complicata così com’è…”

I sensori. Me ne ero completamente dimenticato… sono abbandonati a prendere freddo in un punto imprecisato della foresta di Hoh.

“…ma questo è fuori dal vostro livello di competenza. Punto numero tre: Isabella Swan. Alla CHRONOS vi hanno promesso un pacchetto di cioccolatini, come vi ho già detto sembra che la tizia sia particolarmente importante per non so quale imminente avvenimento."

“Dobbiamo proteggerla?”, domanda Eva.

“No, limitatevi a…”

“Chiedo il permesso di parlare liberamente, Generale”, la interrompo.

“Accordato.”

“Con rispetto parlando… c’è qualcuno che abbia una pallida idea del perché siamo qui? Perché mai avete mandato due Aesir se tutto quello che dobbiamo fare è correre per le foreste e sistemare antenne?”

“Comandante, la vostra semplice presenza sta alterando il corso degli eventi. Secondo le teorie del professor Ruddock – immagino lo conosciate di fama – il tessuto temporale provvede da sé a risanare eventuali tentativi di modifica, utilizzando i mezzi più immediati. In questo caso, voi due. Secondo lui, sarete un’ottima calamita per anomalie. Provvederete a sistemarle senza nemmeno rendervene conto… come avete fatto poco fa con la Swan.”

“In pratica dovremmo stare fermi dove siamo ed aspettare che le disgrazie ci piovano addosso?”

“Già. Comodo, no?”

“Mi sembra tutto un’enorme idiozia. Signore.”

“Figliolo, tutti abbiamo un posto nel Grande Disegno Delle Cose. Io dirigo progetti top secret, gli scienziati fanno le loro teorie, e voi seguite le istruzioni sparando ai cattivi. Ad ognuno il suo.”

“Farò finta di essere convinto, Generale.”

“Un’ottima mossa, Comandante.”

“Dunque, cosa ne facciamo della Swan?”, chiede Eva.

“Procedura standard. Vi fate un simpatico giretto nel suo simpatico cervellino, cancellando alcune sue simpatiche idee riguardanti Aesir, Vanir e lupi troppi cresciuti… dopodiché la mollate simpaticamente vicino a casa sua, possibilmente con una simpatica botta in testa e senza portafoglio. Crederanno che sia stata una rapina, lei non si ricorderà nulla, e tutti saremo felici e contenti. Pensate di potervela cavare?”

“Credo di sì, Generale.”

“Perfetto. Ora devo andare… non avete idea dei problemi che stanno saltando fuori in questi giorni. Tanto per farvi preoccupare, vi mando l’edizione del Times di oggi. Aggiornamento fra dodici ore, salvo complicazioni. Novikova, passo e chiudo.”

 

- - -

 

 
“Oh, merda”, borbotto dando una scorsa ai titoli di testa, freschi freschi di download. In teoria non dovrei fermarmi a leggere, ma dopo che la Swan mi ha fatto penare l’anima per tenerla viva direi che cinque minuti di pausa me li merito.

Eva mi lancia un’occhiata interrogativa, sollevando per un attimo lo sguardo dal cavo che proprio non ne vuole sapere di restare attaccato sulla tempia destra di Isabella.

“Venti di crisi ad Epsilon Eridiani, la Repubblica promette rappresaglie – dell’inviato speciale J. Fletcher”, leggo. “Non si ferma l’escalation di violenza nel sistema di Epsilon Eridiani: stamane, alle 08:15 circa (ora di Greenwich) una nave cargo altariana è stata fermata e sequestrata ad un posto di blocco dell’Alleanza con l’accusa di trasportare materiali proibiti dagli accordi di Nuova Brema. La PRAS Bering, cinquantadue membri di equipaggio, svolgeva regolarmente il suo servizio fra il sistema di Luyten e le colonie di Eridiani II quando è stata intercettata dalla corvetta Requiem. Il recente giro di vite sul commercio imposto dal Presidente Mackenzie non ha mancato di suscitare forti proteste nelle alte sfere della Repubblica Popolare di Altair. ‘La Terra dovrebbe accettare il fatto che Eridiani II non è un suo possedimento esclusivo’, ha dichiarato oggi il Segretario Generale del Partito in una conferenza stampa, annunciando altresì che la Repubblica è pronta ad intervenire con ‘qualunque mezzo’qualora continuino le ‘ingiustificate aggressioni’contro il traffico mercantile nell’area. L’insolita situazione nel sistema di Eridiani è una questione scottante nei rapporti fra le due superpotenze da più di vent’anni, da quando sui cinque pianeti abitabili si insediarono coloni di entrambe le fazioni…”

“Casini in arrivo”, pronostica Eva, annuendo soddisfatta quando il cavo si sistema al suo posto.

“Puoi dirlo forte. C’è solo da chiedersi quanto ci metteranno a tirare fuori le armi…”

“Conoscendo Mackenzie, scommetto dieci crediti che entro due settimane sposteranno qualche incrociatore per fare la voce grossa. Un mese al massimo e cominciano a volare i siluri.”

“E’ anche peggio… senti qua. La Sesta Flotta, di stanza su Saturno, è stata posta in pre-allarme ed è pronta ad attraversare il Portale per Eridiani in qualunque momento.”

“Un’intera flotta?”, domanda stupita, senza smettere di armeggiare con le complesse apparecchiature.

“Già”, rispondo amaramente. “Una flotta significa una trentina di navi da guerra, con buona pace del trattato di limitazione degli armamenti in vigore laggiù.”

“Credevo che dopo la parentesi con gli Illuminati ci fossero problemi a muovere le astronavi per un nonnulla…”

“Non è un nonnulla. Mackenzie mi sembra parecchio intenzionato a prendersi tutto il sistema, stavolta.”

“Io l’ho detto che avremmo dovuto farlo due anni fa. E’ esattamente in mezzo fra Sol ed Altair… Chiunque lo controlli è in grado di minacciare la capitale avversaria. E’ una tappa obb…”

Ammutolisce di scatto.

“Che c’è? Altri problemi?”

Per tutta risposta indica lo schermo dell’apparecchiatura, che in teoria dovrebbe mostrarci sotto forma di interminabili sequenze di numeri i ricordi presenti nella memoria di Isabella Swan.
In teoria, dato che è completamente vuoto. La scritta Error: no data found sembra voler prendersi gioco dei preparativi di Eva.

“Che… che significa?”, chiedo.

“Non lo so. Non c’è niente. O la tipa è un’ameba, oppure quest’affare non riesce a leggerle la mente.”

“Beh, la prima è pur sempre un’ipotesi che vale la pena di considerare.”

Il suo sguardo gelido uccide la mia ironia. Problemi, problemi…

“E’ rotto?”, chiedo recuperando la mia serietà.

“Cosa vuoi che ne sappia! Fatto sta che non possiamo rimuoverle i ricordi come avevamo intenzione di fare… quindi?”

“Oblivina”, rispondo dopo un attimo. “E’ un ottimo sostituto.”

“Non è un granché precisa, lo sai…”

“Non abbiamo alternative, mi pare di capire.”

“Potrei sempre cercare di risintonizzare tutto l’apparecchio.”

“No, ci metteresti troppo tempo. Voglio vedere se riusciamo a beccare ancora quei lupi prima che facciano danni qui intorno. Ricominciare tutto prenderebbe troppo tempo.”

“Ho capito, ho capito. Preparo l’iniezione.”

 

- - -

 

Ta-tlak.

Il suono del caricatore che scivola docilmente al suo posto nel fucile è la migliore rassicurazione per un soldato. Controllo nel mirino per accertarmi che non ci siano problemi con il sistema di puntamento.

Non ci abbandonare anche tu, bello.

Ah, bene, adesso parlo con le armi. Questo incarico sta mettendo a dura prova la mia psiche...

Tutto a posto. Il display mi indica che l’arma è completamente carica. Imposto la massima potenza, ed il numero di colpi disponibili diminuisce rapidamente da trenta a dieci. Dieci colpi sufficientemente forti da disintegrare un elefante, altro che un lupo.

“Dunque, ricapitoliamo… esci, controlli la strada, io la metto in macchina, salti su e andiamo a portarla a casa.”, ripete Eva per l’ennesima volta, sollevando senza alcuno sforzo dal tavolo una Isabella Swan profondamente addormentata.

“Sì, Eva, ho capito”, le rispondo impaziente. “Sarà la millesima volta che me lo spieghi.”

“Meglio essere sicura che tu abbia recepito le istruzioni”, mi risponde, facendomi segno con la testa di uscire.

Prendo un profondo respiro e spalanco la porta d’ingresso, tenendo il fucile al plasma spianato davanti a me. Nessuno. I Quileute, come tutte le persone costrette da un destino crudele in un buco di cittadina senza attrattive serali, se la stanno dormendo della grossa. Tutto d’un tratto l’idea di essere accucciato in mezzo alla strada con un’arma puntata nel buio delle strade di La Push mi fa sentire parecchio idiota.

Irrilevante. Concentrarsi su…

Che palle, concedimi tre secondi di libertà!

Distrazioni non necessarie potrebbero compromettere l’esito della missione.

D’accordo, d’accordo.

Il lato negativo dell’essere un simbionte… l’avere una vocina mentale che ti ripete costantemente cosa devi o non devi fare. Beh, non costantemente, dato che si attiva solo in situazioni di pericolo, ma è irritante comunque.

Irrilevante. Concentrarsi sull’azione.

Ecco, appunto.

Rilevato oggetto non identificato.

L'arma scatta in quella direzione prima ancora che io possa ordinare consciamente alle mani di fare così. Non premo il grilletto, realizzando che il rumore di uno sparo attirerebbe tutto il vicinato, il che mi lascia a pensare sull’effettiva utilità delle nostre armi. Che senso ha avere un arsenale ultimo modello se non lo possiamo usare? Al diavolo, male che vada posso sempre romperlo in testa a chi di dovere.

Intruso identificato. Fenrir-02.

Fantastico…

“Non è un buon momento per uscire”, sussurro, conscio che Eva può sentirmi. Infatti qualche secondo dopo è al mio fianco, una pistola in ogni mano, puntate sul lupo rossiccio che rimane immobile ad osservarci dalla boscaglia dall’altra parte della strada.

“Gli ordini sono di farlo fuori”, dice.

“Già. Però se sparo ci ritroviamo con mezza riserva qui davanti prima di poter fare altro, e non credo di poterli allontanare con scusate, abbiamo visto un lupo e gli abbiamo sparato una raffica di plasma.

“Pertanto?”

“Non lo so.”

Sicuramente restare impalati in mezzo alla strada non è la cosa migliore da fare.

“Procediamo come da programma”, decido infine. “Se ci segue, peggio per lui... se ci allontaniamo abbastanza potremo usare le armi senza problemi.”

Eva torna rapidamente sui suoi passi, prendendo Isabella in spalla e posandola poi con delicatezza in auto. Il lupo ringhia, scoprendo le zanne e cominciando ad avvicinarsi.

“Credo che non abbia ancora capito che deve rinunciare allo spuntino per oggi”, sbuffo mentre agito il fucile come per fargli intendere fermo o sparo. “Pussa via, cagnaccio. Oggi niente pappa.”

“Se hai finito di fare la Biancaneve della situazione, io starei partendo…”, mi avvisa lei seccata dal posto di guida, tamburellando sul volante. Indietreggio fino al Cayenne, per poi saltare su con una mossa rapida. Non faccio in tempo a chiudere la portiera che Eva è già partita a tavoletta.

“Non pensavo che si sarebbero avvicinati così tanto ad un centro abitato”, le dico tanto per pensare a qualcos’altro che non sia noi che finiamo fuori strada, come sempre.

“Mi pare chiaro, non sono lupi normali. Generalmente dovrebbero essere un metro e mezzo per ottanta centimetri… direi che qui sforiamo di parecchio. A quanto pare ci hanno preso in simpatia.”

Non fa in tempo a finire la frase che due lupi saltano in mezzo alla strada, un chilometro più avanti. Il nostro amichetto rosso, affiancato da uno grigio.

Identificazione positiva. Unità Fenrir-02 e Fenrir-04.

“Ecco, appunto…”, borbotta mentre accelera ulteriormente, costringendo i due animali a scansarsi per non finire investiti.

“La situazione sta diventando insostenibile”, proclamo, abbassando il finestrino.

“Cosa hai intenzione di fare?”, chiede, staccando gli occhi dalla strada. Quanto la odio quando fa così.

“Tiro al piccione”, rispondo con una smorfia.

Bersaglio acquisito.

 

- - -

 

“Diciamo che l’hanno capita”, cerca di incoraggiarmi.

“Diciamo che ho una mira da far schifo. Una volta ero più bravo”, mi lamento incrociando le braccia.

“Anche i migliori hanno i loro momenti bui.”

“Sì, ma ti rendi conto? Non sono riuscito a colpire un lupo grosso come un bisonte. Ad una distanza inferiore ai cento metri, cavolo! Cosa farò quando mi toccherà fare il cecchino?”

“Andiamo, non è il caso di demoralizzarsi! Erano parecchio veloci, in effetti...”

“Lasciami solo con il mio dolore, donna!”, replico teatralmente.

“Non ci penso proprio, stasera sei in serviz… Oh-oh.”

“Che c’è, ancora?”, chiedo preoccupato, prima di notare i lampeggianti fermi davanti a casa Swan.

“Accidenti. L’abbiamo tenuta via un’oretta scarsa, ed hanno già mobilitato la polizia?”

“Ci pensiamo dopo. Dove la molliamo, adesso?”

Mi rendo conto che stiamo spostando a dopo un sacco di cose. Quando arriverà questo temuto dopo avremo il nostro bel daffare.

“Non possiamo certo lasciarla da queste parti, adesso”, continuo, “Se hanno già cominciato a cercarla, sarebbe un problema.”

“Portiamogliela noi.”

“Come?”

“Diciamo che l’abbiamo trovata incosciente nella foresta, come effettivamente è stato. Deve aver battuto forte la testa, è rimasta incosciente, e noi l’abbiamo riportata a casa grazie ai documenti. Niente rapina.”

“Niente rapina”, concordo. “Facciamolo.”

 

- - -

 
“Dove l’avete trovata?”

Ovviamente il padre di Isabella Swan è un poliziotto. Anzi, non un semplice poliziotto, ma il capo della polizia locale. La dea bendata deve essersi presa un giorno di ferie senza dirci nulla.

“Nella foresta, signore. Più o meno ad una ventina di minuti di cammino dalla fine dell’Highway 101.”


Lui inspira profondamente, passandosi una mano sul viso, per poi voltarsi a guardare il dottore che sta visitando sua figlia.

“Non si preoccupi, Sceriffo, non ha nulla di grave. Ha solo preso una botta in testa piuttosto forte, ma fisicamente è sana come un pesce”, lo rassicura con un sorriso.

Nulla di grave?

Meglio così. Posso dirmi da solo bravo, bel lavoro se nemmeno un medico si accorge di quello che la signorina Swan ha passato. Nell’ordine, ha rischiato di morire dissanguata, sbranata da un lupo gigante, avvelenata, di arresto cardiaco (quattro volte), sbranata un’altra volta e… basta, credo. Detto fuori dai denti, con tutto l’affetto del mondo… è decisamente sfigata. Le manca solo un pazzo assassino deciso ad accopparla e completa la collezione.
Per un istante mi immagino una Isabella Swan bambina seduta sul pavimento a giocare con le figurine delle sue sciagure. Celo-celo-manca-celo…, sussurra con voce infantile.

“Nella foresta”, borbotta intanto lo Sceriffo, “E’ già la seconda volta che sparisce nella foresta senza dire nulla e facendomi prendere un colpo… di questi tempi, poi! Razza di incosciente…”

I suoi occhi, però, sono tutt’altro che arrabbiati. Esprimono sollievo, felicità, ma niente rabbia. Dietro l'apparenza burbera, il signor Swan tiene davvero a sua figlia.

“Piuttosto, voi due, cosa ci facevate nella foresta a quest’ora?”, torna a rivolgersi a noi, indagatore.

“Ehm… stavamo… facendo una passeggiata. Cercavamo un po’ di privacy, signore”, risponde Eva, arrossendo. Arrossendo. Che faccia tosta.

“Ah, sì. Una passeggiata. Naturalmente…”, mormora lui, distogliendo lo sguardo. Io alzo gli occhi al cielo, chiedendomi se lei si diverta a lasciar intendere certe cose, considerando che sarà il pettegolezzo locale per le prossime due settimane… mi sembra quasi di sentire già la storia.
- Eh, sai, si erano appartati per fare quella cosa lì e chi trovano? La figlia dello sceriffo Swan, svenuta!
- Marrì! Davvero?

“Chiamatemi Charlie, comunque”, si presenta tendendoci la mano.

“Matt”, rispondo stringendogliela. Eva fa lo stesso.

“Non vi ho ancora detto grazie. Non so cosa sarebbe potuto succederle se non l’aveste trovata.”

Tante brutte cose, signor Swan, tante brutte cose…

“Di nulla, sign… Charlie.”

“Fossi in voi eviterei la foresta, comunque. Alcuni escursionisti sono scomparsi nelle ultime settimane, e non vorrei che... ecco…”

Non vorrei che vi potesse capitare la stessa cosa, ma non termina la frase per non pensare a ciò che sarebbe potuto capitare a sua figlia.

“Nessuna idea su cosa sia accaduto loro?”, indago innocentemente.

“C’è un animale feroce a piede libero… un orso, probabilmente. I Quileute non ve l’hanno detto?”

“A dire il vero sì, ma… pensavamo che fossero sciocchezze, ecco.”

“Non sono sciocchezze, non quando delle persone svaniscono senza lasciare traccia”, replica, mortalmente serio.

“Se lo dice lei faremo più attenzione, Charlie”, lo rassicura Eva. Lui mugugna un suono che interpretiamo come un assenso.

“Ora scusatemi, ma devo mandare tutti a casa… grazie ancora, ragazzi.”

“Charlie… potremmo chiederle un favore?”, domando mentre prende il telefono.

“Sì?”

“Ecco… preferirei che nei rapporti della polizia non figurasse il nostro intervento. Sa, siamo finiti a La Push per nasconderci e se qualcuno dovesse fare il nostro nome alle persone sbagliate…”

“…i vostri genitori lo verrebbero a sapere. D’accordo, d’accordo, mi pare il minimo.”

Sospiro rassegnato. Il fatto che abbia capito subito cosa intendevo significa che sono già in giro le nostre biografie non autorizzate ad opera della gente del paese, con buona pace del non date nell’occhio. Sospiro rassegnato mentre esco da casa Swan.

“…sì, Harry, l’abbiamo trovata… ringrazia Sam da parte mia e digli che stavolta l’hanno battuto sul tempo…”

 

- - -

 

“Rock-a-bye baby, in the space dock, when the core blows, the shuttle will rock…”

“Ti sembra il caso?”, sbuffa Eva emergendo dalla boscaglia.

“Cantare durante il lavoro ha un effetto benefico, è scientificamente dimostrato!”, replico senza guardarla, finendo di fissare l’ultimo pannello di controllo al gruppo sensori. “When the hull breaks, the shuttle will fall… and down will come baby, shuttle and all!”

“Canti ninna nanne mentre fai l’antennista?”

“E’ il ritmo la chiave di tutto”, spiego pazientemente mentre litigo con una vite che oppone resistenza. “Distende i nervi e calma lo spirito, aiutando la concentrazione… ma se preferisci ho anche di meglio.”

“Tipo?”

“Mai sentite le canzoni tristi da metà ventesimo secolo, quelle da olofilm noir? Wrong… would it be wrong to kiss… Seeing I feel like this? Wrong… would it be wrong to try?”, comincio ammiccando, forse con più convinzione di quanta non dovrei mettercene. **

“Tu provaci e poi contando i denti che ti rimangono mi dici se è sbagliato o no…”, mi avvisa minacciosa, puntandomi addosso il fucile.

Peccato.

Copro il mio lavoro con una pila di foglie e rami. Con un dispositivo di occultamento avrei evitato la fatica, ma pazienza. Così è sempre meglio di niente… c’è solo da sperare che qualche imbecille non ci inciampi sopra.

“Allora… Non era un lupo quello che hai inseguito?”, chiedo, riportando l’attenzione su di lei.

“No. Cioè, non lo so. Non sono riuscita a raggiungerlo, ed è sparito.”

Annuisco, rimettendo tutti gli attrezzi nella borsa.

“Tracce del Vanir?”

“Ah… ecco. Ci sono i resti di un falò qualche chilometro ad est.”

“Quindi?”, domando. “Si è dato al campeggio?”

“Diciamo che qualcuno si è dato al campeggio con lui.”

“Sarebbe a dire?”

“L’hanno fatto fuori ed hanno bruciato il corpo. La cenere aveva tracciati biologici corrispondenti ai rilevamenti fatti dai sensori mentre lo affrontavi.”

“L’ha-hanno bruciato?”, balbetto sconvolto.

Lei scuote le spalle, mostrandomi i palmi. “E’ quello che dice lo scanner…”

“Fammi capire, io mi sono spezzato un braccio cercando di colpirlo, e tu mi vieni a dire che qualcuno non solo l’ha fatto secco, ma l’ha pure cremato?”

Alza le sopracciglia, in un silenzioso eh già.

“Roba da matti. Oggi non è giornata, ho capito.”

Alla lista delle stranezze, oltre a lupi giganti e altariani corazzati si aggiunge anche un killer ignoto. Ritiro quello che ho detto prima, la Swan ha appena completato la collezione completa delle disgrazie, sissignore.

"Meno male che le anomalie ci devono piovere addosso… se le dovessi cercare a quest'ora sarei già impazzito”, sbuffo mettendomi lo zaino in spalla ed imbracciando il fucile.

“Cosa pensi di fare?”

“Sono un soldato”, rispondo, incamminandomi verso l’auto, “io non penso, eseguo gli ordini. Direi che per ora ce ne torniamo a casa, ci rigeneriamo e poi discutiamo il da farsi.”

“Niente battuta di caccia al lupo per stanotte?”

“No, niente caccia al lupo. Abbiamo abbastanza a cui pensare anche senza di loro.”
 
Un killer?

Ottomila crediti. Non uno solo di meno.

- - -

 

Sette giorni, e non abbiamo fatto grandi progressi… anzi, diciamo pure che siamo al punto di partenza.
No, beh, qualcosa abbiamo combinato: il Cayenne non parte più, e siamo praticamente scomparsi dalla già scarsa vita sociale della riserva. Andiamo a scuola, scambiamo due parole in croce con i Quileute – che improvvisamente sembrano aver deciso di evitarci, torniamo a casa, e partiamo alla ricerca dei lupi. Snervante, come routine, considerando come tutte le volte non concludiamo un tubo.

“Questa storia fa acqua da tutte le parti”, borbotto mentre allungo ad Eva una chiave inglese.

“Non mi dire”, concorda lei, china sul cofano aperto del Cayenne, afferrando l’attrezzo e cominciando ad armeggiare con il motore. Devo dire che sembra saperci cosa fare, anche se sono abbastanza sicuro che non ne sa molto più di me. Il che non è per niente incoraggiante… per quello che mi riguarda, lì dentro potrebbe esserci un piccolo Fred Flintstone che sgambetta allegro per portarci in giro. Non credo che con questo livello di conoscenze la macchina ripartirà molto presto.
Oltre a ciò, abbiamo un assassino a piede libero, un branco di animali selvatici fuori controllo, e gente che continua a sparire nei boschi. Secondo la polizia di Forks la colpa è da dare alle belve, ma nemmeno loro sono riusciti ad incrociarle, e mi auguro che continuino a non farlo o saranno guai. Per i cacciatori, s’intende.

Che enorme casino.

“Merda. E’ proprio andato. Credo sia la batteria, ma non ne ho la certezza.”

“Non c’è da stupirsi, visto come lo hai trattato nell’ultima settimana. Adesso mi credi quando ti dico di lasciare i duecentocinquanta ai piloti di Indianapolis?”, le chiedo sorridente.

“Piantala di dire idiozie e dammi un’idea su come far controllare questo coso da qualcuno senza fargli scoprire che ha mezzo centimetro di armatura ablativa addosso.”

“Un po’ dura. Nessun supporto dalla base?”

“Lo chiedi te al Generale Novikova di mandarci quassù i pezzi di ricambio perché abbiamo rotto proprietà privata del governo dell’Alleanza Terrestre?”

Rabbrividisco immaginando la scena. No, meglio evitare e gestirla fra noi.

“Io direi che adesso andiamo da Emily e le chiediamo se ha qualcuno da raccomandarci. Fra tutti i ragazzi della riserva ce ne sarà almeno uno con il pallino dei motori! Male che vada gli facciamo il lavaggio del cervello se comincia a fare domande imbarazzanti”, continua.

“Domande imbarazzanti tipo chiedere perché abbiamo portato in riparazione un’auto a prova di carro armato?”

Lei si rialza, sistemandosi il vestito alla meglio senza rispondermi ed avviandosi verso la casa dei nostri vicini. Io sbuffo e dopo un attimo le trotterello dietro, docile.
Non facciamo cento metri che mi ferma di scatto con una mano.

“Quella non è la nostra amica Isabella?”, chiede indicando di fronte a sé.

Oddio.

Mi concentro su quella figura lontana che si allontana a passo deciso verso la spiaggia. Sì, è decisamente lei.

“Cosa. Ci. Fa. Qui”, sibilo. Eva mi lancia un’occhiata preoccupata.

“Credi che possa ricordarsi di noi?”

“Non lo so. In teoria l’Oblivina le ha confuso per bene i ricordi dell’incontro con il Vanir, ma non abbiamo modo di sapere quanto bene. Se ci vedesse le conseguenze sarebbero imprevedibili… potrebbe riconoscerci, e lo shock sarebbe sufficiente per combattere l’azione del farmaco.”

Ci mancherebbe solo di dover gestire una fuga di notizie, adesso. Per fortuna si allontana senza notarci.
Bussiamo alla porta di casa Uley, ed una sorridente Emily con indosso un grembiule da cucina ci viene ad aprire.

“Ciao! Visita a sorpresa? Capitate giusti giusti, ho appena sfornato i muffin!”

“Beh, veramente sarebbe più una toccata e fuga… Abbiamo un problemino con l’auto, e ci chiedevamo se tu sapessi indicarci un buon meccanico qui alla riserva.”, le risponde Eva.

“Uno ce l’ho in mente, ma… SAM! Posa l’osso!”

Torna in cucina a passo di marcia, brandendo il cucchiaio di legno come una spada verso il fidanzato che cerca malamente di nascondere le prove del suo crimine con un sorriso a trentadue denti. Eppure potrei giurare che qualche secondo fa ci stava vivisezionando con lo sguardo. Sto lavorando troppo, evidentemente, per arrivare a vedere problemi anche dove non ce ne sono.

“Ti ho visto, sai? Cosa c’è di non chiaro in non-toccare-i-muffin?”, continua ad assalirlo lei.

“Era solo un assaggio…”, cerca di giustificarsi con un sorriso sornione.

“Assaggio un corno!”, replica Emily ridendo, dandogli una cucchiaiata in testa. “Fuori dalla mia cucina!”

“Eddai!”, mormora lui, sfoderando un paio di occhi dolci che non mi sarei mai aspettato e cominciando a baciarla.

“Non mi compri così, Sam Uley! Fila via di qui! Fuori!”

“Sicura?”, le chiede, prendendola in braccio mentre lei cerca di allontanarlo.

Io lancio ad Eva un silenzioso e disperato andiamo-via-da-qui, avvertendo l’atmosfera sdolcinata farmi ripiombare addosso tutto il peso dei miei sentimenti. Finché sono stato distratto da lupi e Vanir sono riuscito ad impacchettarli ed archiviarli in un angolo polveroso della mia mente, ma ora che Emily li ha stuzzicati hanno ricominciato ad agitarsi per reclamare la loro libertà.

Per tutta risposta, Eva ridacchia e mi si mette a braccetto. “Sei invidioso?”, mi sussurra all’orecchio.

Io avvampo. Sì, terribilmente invidioso di non poter fare la stessa cosa con te, penso fissando intensamente il pavimento. Non mi ero mai reso conto di quanto potesse essere interessante in certe situazioni…

“Ma cosa vai a pensare”, riesco a borbottare.

“Non farti strane idee…”

Visto che Sam ed Emily non sembrano avere alcuna intenzione di finirla con il loro teatrino, esco dalla casa senza tanti complimenti. Un altro secondo in più lì dentro e sarei morto di iperglicemia. Ed Eva che se ne esce con queste domande?

Mi accorgo dopo qualche minuto che le gambe mi hanno portato verso la spiaggia. E nello stesso momento mi accorgo che Isabella è lì, insieme ad uno dei Quileute che ho intravisto settimana scorsa con gli altri. Jacob o Quil, dunque. Si stanno dando un appuntamento per domani, pare. Oh beh, molto piacere. Faccio dietrofront e la lascio con l’amichetto. Accidenti a lei, adesso non posso neppure piangermi un po’ addosso in santa pace dove voglio.

 

. . .

 

“Sicuro che vada tutto bene, Matt? Prima da Emily mi sei sembrato un attimo… strano.”

No che non va tutto bene. Anche te, hai capito che soffro perché mi sento in colpa per qualcosa di cui non sai nulla e non riesci a realizzare che per te provo qualcosa di più della semplice amicizia?

“Sì, Eva, grazie.”, le rispondo con il sorriso più falso che riesco a sfornare, prendendo la tazza di cioccolata che mi offre. “Ci sono rimasto un attimino male a guardarli mentre si baciavano.
Voglio dire, non ti sentivi fuori posto?”

Lei arrossisce sinceramente, forse per la prima volta da quando la conosco, e si nasconde dietro la sua tazza mentre prende un lungo sorso.

“Uno a zero per me”, dico sogghignando.

“Piantala. Mentre tu battevi in ritirata da quella casa, io mi sono fatta dire del meccanico. Pare che un paio di ragazzi di qui ci sappiano effettivamente fare con i motori. Mi ha dato gli indirizzi, domani pomeriggio proviamo a passare da loro e vedere se sanno farci qualcosa. C’è anche l’officina di Forks, ma mi sembra troppo rischioso.”

Perché non subito? Uno sguardo all’orologio mi dà la risposta: sono già le sette, e né io né lei intendiamo lasciare l’auto fuori dal nostro controllo più dello stretto necessario. Sospiro, triste. Almeno avrei avuto qualcosa da fare. Niente auto, niente pattuglia… così sono costretto a starle vicino, e stasera non è una bella cosa.
Credo che comincerò ad odiare Sam ed Emily. Possibile che mi debbano ricordare in ogni secondo quello che non sarò mai? Almeno Kim e Jared hanno la decenza di non sbattertelo in faccia ogni volta che li guardi.

“Matt? Piantala di fingere, cosa c’è che non va?”

“Niente.”, bofonchio. “Pensavo.”

Finisco la cioccolata e porto la tazza in cucina. Tornando nel salotto fisso prima Eva, che mi sta dando le spalle dalla poltrona dove è intenta a leggere un libro, e poi la pianola. Sospiro e mi siedo, cominciando a suonare nell’assurda speranza che lei colga i riferimenti.

“Sweet little words made for silence
Not talk
Young heart for love,
Not heartache
Dark hair for catching the wind,
Not to veil the sight of a cold world…
 
Kiss, while your lips are still red,
While he’s still silent
Rest, while bosom is still untouched, unveiled.
Hold another hand, while the hand’s still without a tool
Drown into eyes while they’re still blind
Love while the night still hides the withering dawn…” ***
 
***
 
* Questa simpatica filastrocca serve a non fulminare la gente per sbaglio mentre si usa un defibrillatore. Ok, all’inizio non doveva esserci, ma… non ho saputo resistere all’avere qualcuno che urlasse “libera!” mentre operavano Bella. Dottor House si fa sentire.
 
** la canzone è It can’t be wrong di Dick Haymes, datata 1943.
 
*** quest’altra invece è While your lips are still red dei Nightwish.

N.d.A.: Ok, ho ceduto alle note a pié di pagine. Ammetto che per indicare i riferimenti hanno la loro utilità.  A queste va aggiunto che la versione futuristica di Rock-a-Bye Baby è presa direttamente da Star Trek Voyager (l'ho riscoperta mentre mi documentavo per You are my sunshine, ed in un attimo di follia l'ho inserita senza un perché preciso), e che Fenrir e Vanir arrivano direttamente dalla mitologia norrena. I Vanir sono una razza di dei che in passato ha combattuto contro gli Aesir, prima di unirsi a loro in un'unica stirpe, mentre Fenrir è il nome del mostruoso lupo che ucciderà Odino durante il Ragnarock.

Ancora una volta, pubblico per via del non-ne-posso-più-di-rileggere (colpevole una Beta sottrattami dai parziali), ed ancora una volta la bozza era molto più corta e molto più sdolcinata del prodotto finale. Tuttavia, essendomi purgato delle sdolcinatezze scrivendo You are my sunshine fra domenica sera e lunedì pomeriggio, sono riuscito a realizzare che forse la cosa era fin troppo fluff per i miei gusti. Oramai ho capito che funziono a giornate... ci sono quelle in cui cerco di scrivere roba commovente, struggente & strappalacrime, e quelle in cui sono per le scene d'azione e poco romanticismo, come oggi, in cui butto giù pagine e pagine per gli interludi, chiedendomi nel frattempo come diavolo mi sia venuto in mente il giorno prima di mettere quelle note rosa. Decisione è il mio secondo nome...

Devo anche delle scuse ad Elly_Volturi per quanto riguarda le date d'aggiornamento... ho imparato che non è proprio il caso di fare promesse, anche quando mi sento sicuro su una scadenza. Sono particolarmente bravo a rimandare ciò che dovrei fare.

Concludo ringraziando chi segue questa cosa, in particolar modo Jakefan per aver aggiunto Aeon alle storie consigliate nel programma recensioni, Blacksea per aver scritto una segnalazione pro-inserimento nelle scelte, e Kukiness per aver detto che è troppo una figata assurda. Sempre mio sorriso idiota accompagnato da una camminata a mezzo metro da terra, considerando i pulpiti. Non smetterò mai di ringraziarvi = )

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Capitolo 9
*** Intermezzo 2: On Earth as in Heaven ***


- INTERMEZZO DUE: On Earth as in Heaven -

 
“Non diciamo stronzate.”

Irina Novikova si riteneva una donna estremamente pragmatica: i problemi, lei, li affrontava di petto demolendoli un pezzo alla volta, senza fare tanti complimenti. Ora si trovava nella difficile situazione di dover valutare se il professor Ruddock, impalato sull’attenti di fronte alla sua scrivania, fosse da considerare un problema alla stregua di quelli che affollavano la sua scrivania sotto forma di pile ordinate di datapad.

Non bastava il caos animalesco a La Push e l’incidente ai laboratori di ricerca su Venere che avevano fatto slittare di almeno altre due settimane la tabella di marcia per il progetto Corona, no, adesso doveva mettersi in mezzo anche un patriottico (ed estremamente imbecille, per come la vedeva lei) capitano di linea che si era rifiutato di lasciare ispezionare il suo cargo dalle autorità altariane ad Eridiani. Il suo rifiuto era stato cortesemente contraccambiato da un siluro… e bum! Niente più capitano, niente più cargo. Come aveva potuto anche solo pensare di comportarsi in maniera tanto cretina quando aveva nella stiva milleottocento tonnellate di elio liquido?

Fatto sta che il Presidente non era stato contento dell’efferato omicidio di un nostro equipaggio, proprio per niente, e la crisi diplomatica era ulteriormente peggiorata. Altro lavoro per il Pentagono, dove gli impiegati oramai facevano scommesse su quando si sarebbe passati dalle parole ai fatti. Il lato positivo era che nessuno temeva il licenziamento per quell’anno. Non era un granché, come consolazione, ma se la facevano bastare.

In aggiunta a ciò, dato che i problemi non erano mai abbastanza, lei si trovava ad affrontare il suddetto professore universitario, convinto di poter giocare con i progetti top secret a suo piacimento.

“Generale, la prego di considerare tutte le alternative…”, l’uomo ripartì volenteroso con il suo tentativo di convincimento.

“Mi spiega come accidenti faremmo a mantenere in piedi tutte le nostre operazioni?”, sbottò lei, irritata.

Non aveva tempo da perdere, aveva troppo da fare, e l’idea le sembrava insensata, come gli aveva fatto notare senza troppi fronzoli. Se fosse stato un qualsiasi altro seccatore, Ruddock si sarebbe ritrovato a mollo nel Potomac prima di poterla nuovamente infastidire. Sfortunatamente, però, era stata lei a portare Ruddock alla CHRONOS, ed ora doveva subirne le conseguenze.
Si era sistemato fin troppo bene nel suo ruolo di scienziato-consulente, con l’entusiasmo di un bambino lasciato a mano libera in un negozio di giocattoli. Qualcuno avrebbe dovuto prendersi la briga di spiegargli che da quei giocattoli dipendeva la vita di… beh, molte, moltissime persone.
Lui però non sembrava farci caso mentre proseguiva con la sua fallimentare arringa.

“La situazione sta rapidamente peggiorando. Regina è solo la punta dell’iceberg… in seguito alle mie attente analisi, mi è stato possibile determinare che vi sono stati almeno altri cinque tentativi non autorizzati di viaggio temporale nell’ultimo mese, tutti nella regione compresa fra Regina e Saskatoon. C’è qualcosa di parecchio importante, laggiù, per meritare tutta questa attenzione. E poi c’è sempre la questione della Guerra Fredda Temporale, che si sta decisamente scaldando.”

Ridacchiò nervosamente per la sua stessa battuta. Patetico.

Le dita di Irina Novikova cercarono istintivamente il pacchetto di sigarette, ma non appena si ricordò che gliene rimanevano solo tre deviarono a malincuore su una scatoletta di liquirizie. Il professore aveva ragione, il continuum stava diventando sempre più un viavai di agenti intenti a cercare di modificarlo per favorire la propria fazione. Nessuno ci era ancora riuscito, ma non sembrava un motivo valido per smettere di provarci, e nessuno aveva intenzione di stare ad assistere al successo di qualcun altro.

Altro lavoro che si accumulava sulla sua scrivania.

“E quindi la sua proposta sarebbe quella di bloccare il continuum, impedendo i viaggi temporali per un paio di mesi, eh?”

A MacKenzie l'idea sarebbe piaciuta da impazzire, ne era certa. Era esattamente nel suo stile: fare saltare in aria qualcosa di grosso e vedere cosa sarebbe successo. Peccato che lei non potesse permettersi di agire così a casaccio.

“Esattamente. Generale, è chiaro che il nostro avversario misterioso sta approfittando della crisi diplomatica per agire, ed in questo momento non disponiamo delle risorse per contrastarlo efficacemente… a tal proposito, dalla direzione mi hanno chiesto di protestare formalmente contro il richiamo dell’Unità Aesir numero 031 da Fallujah. Abbiamo dovuto inviare un’intera squadra al suo posto, ed i risultati sono molto meno soddisfacenti di quando…”

Abbiamo? Lo aveva prelevato dal MIT per farlo collaborare alle analisi, e quella testa d’uovo si sentiva già parte integrante della CHRONOS? La sfacciataggine degli scienziati non smetteva mai di stupirla.

“Maledizione, Ruddock, apra gli occhi; c’è una dannatissima guerra sul punto di cominciare, se non se n’è accorto! Gli Aesir ci servono per pilotare i caccia e sparare a quei bastardi comunisti, non per fare i cronosbirri!”, esclamò sbattendo il pugno sul tavolo, con tanti saluti al suo autocontrollo.

Lui si bloccò, terrorizzato dalla sua reazione. Irina Novikova era conosciuta in tutto il dipartimento come la donna di ghiaccio, e non era frequente che si abbandonasse a scatti d’ira. Cercò di bofonchiare una risposta accettabile qualche secondo più tardi.
“Generale, capisco perfettamente che…”

Venne interrotto da un secco gesto della mano mentre lei accendeva l’olovisione nell’angolo della stanza, da cui venne proiettato un servizio della CNN.

“…le notizie non sono ancora confermate da canali ufficiali, ma parlano di un dispiegamento di forze mai visto in tempi di pace. La Sesta Flotta, pronta per essere inviata ad Epsilon Eridiani qualora la situazione dovesse peggiorare, è stata recentemente rinforzata dalla portacaccia Cyrene e dagli incrociatori Helios ed Apollo. Il Segretario Generale della Repubblica ha definito l’atto come un chiaro tentativo da parte dell’Alleanza di fomentare il conflitto, ed ha dichiarato che la marina Altariana non si lascerà intimidire, richiedendo altresì lo sgombero completo del sistema da parte delle unità terrestri entro una settimana. Non sono responsabile per ciò che accadrà loro scaduto questo termine, ha affermato. Fonti all’interno del Pentagono confermano che per ora il Consiglio di Sicurezza non sembra avere alcuna intenzione di ordinare alla Flotta di retrocedere dalle posizioni occupate durante…”

“Ora capisce un po’ più perfettamente?”, domandò, feroce. “Non riavrà quell’Aesir, può starne certo.”

“Comprendo il suo punto di vista, ma se non impediamo modifiche sostanziali all’evoluzione temporale ci ritroveremo a combattere un’altra guerra… una guerra che non avremmo alcuna possibilità di vincere, visto il contingente estremamente ridotto che ci ritroviamo a gestire. Per evitare questa invece basterebbe un briciolo di buon senso…”

Bene, adesso gli scienziati si mettevano a spiegarle come doveva fare il suo lavoro. Dove sarebbero finiti, di quel passo?

“Ruddock”, cominciò, paziente, “ho cercato di spiegare al Presidente che non è il momento di giocare a vedere chi ce l’ha più lungo con la Repubblica, ma non ha voluto darmi ascolto. Crede che dopo Polaris la nostra reputazione di superpotenza sia andata giù nello sciacquone, e che sia il momento di mostrare che comandiamo ancora noi.”

Seppur evidentemente a disagio, il professore fece un ultimo tentativo.

“Generale, basterebbe una bomba ad antimateria opportunamente modificata per garantirci due mesi di tranquillità sul fronte temporale. Non è una richiesta assurda, e potrebbe continuare a rassegnare tutti gli Aesir che le servono.”

Lei sospirò, appoggiandosi allo schienale della sua poltrona.

“Io spero per lei che abbia ragione. Ha idea di quello che potrebbe succederle se una qualsiasi cosa dovesse andare storta?”
Cercò di non pensare a lei costretta a gestire un’emergenza temporale senza poter comunicare con i suoi agenti, né tantomeno poterli avvisare che c’era qualcosa che non andava.

“Beh… ecco…”

No.

“Lasciamo perdere. Mi spieghi come funziona quest’affare, e facciamo alla svelta”, sospirò stanca. Stava lavorando troppo, ultimamente: glielo ripetevano tutti, ma lei li ignorava. Preferiva sporcarsi le mani di persona piuttosto che dover rincorrere un anonimo sottufficiale per controllare il più insignificante dei dettagli.

“Sissignore. Dunque…”

Ruddock posò un olodisco sulla scrivania, proiettando un complesso grafico tridimensionale sopra le loro teste.

“Considerando la possibile interferenza continua causata da un’onda mesonica sul punto di intersezione dei piani di focalizzazione, e considerando altresì le costanti di esistenza che…”, cominciò, indicando con l’indice destro un punto particolarmente fitto di linee nel diagramma.

“Si risparmi queste tecnobaggianate per quando la chiameranno di fronte alla Corte Marziale, Ruddock. Voglio una spiegazione rapida ed indolore… ho abbastanza altri problemi anche senza di lei”, borbottò massaggiandosi le tempie, i gomiti appoggiati sul ripiano della scrivania.

Ci fu un attimo di silenzio, in cui era quasi possibile udire il cervello dello scienziato al lavoro per semplificare il più possibile la spiegazione.

“Dunque…”, parlò infine, “…in seguito alla detonazione si genereranno particelle anti-tachioniche, in grado quindi di annullare i tachioni. Senza tachioni non si può viaggiare nel tempo, né alterare il continuum, quindi…”

“…quindi avremo efficacemente concluso una serrata temporale. Visto che non era così difficile, professore?”

Lui sbuffò, sistemandosi la targhetta con il suo nome.

“E’ una spiegazione estremamente imprecisa e riduttiva.”

“Semplice ed efficace. Come piace a me.”

“Bah. Contenta lei… Se uno dei miei studenti dovesse esprimersi in questo modo, sarebbe sbattuto fuori dall’aula seduta stante. Non ho nemmeno accennato alla casistica di Prozn, alle cascate di…”

“Ok, ho afferrato. Presenterò la sua idea al Consiglio di Sicurezza domattina, e saranno loro a decidere se approvarla o meno. Le ho già detto che, secondo me, tagliare fuori dalle comunicazioni i nostri agenti in un momento del genere è un suicidio, ma queste cose vengono decise dai grandi capi. Ora, se lei riuscisse a spiegarmi chi è così seriamente intenzionato a incasinarci il passato…”

Odiava quando questi dettagli essenziali sfuggivano dalla sua comprensione.

“Stiamo facendo l’impossibile per scoprirlo, Generale.”

Non avevano nessun indizio. Bene.

“Lo spero per lei, professore… ma sono sicura che vi saranno sviluppi al più presto. Sa, su Phobos hanno sempre un paio di celle libere…”

Lo osservò impallidire con una certa malvagia soddisfazione.

“A tal proposito, devo ancora terminare di correggere una mia teoria. Con permesso…”

Batté frettolosamente in ritirata. Phobos non aveva una bella fama, eh no.

Dunque le cose volgevano rapidamente al peggio. Conosceva fin troppo bene i membri del Consiglio di Sicurezza per illudersi sul risultato della votazione dell’indomani… se c’era anche solo una possibilità di togliersi la preoccupazione della guerra temporale, avrebbero preso la palla al balzo, in barba ai suoi consigli. Questo avrebbe tagliato fuori le principali operazioni in atto… nello specifico Murmansk, Los Alamos e La Push. Non che le dispiacesse non doversi più preoccupare del fronte temporale, anzi… ma il suo sesto senso le diceva che tutta la faccenda era molto più grossa di quanto non sembrasse a prima vista, ed il suo sesto senso non sbagliava mai.

Oh, al diavolo, avrebbe preso le sue precauzioni. Di persona, come ai vecchi tempi.

Aprì un cassetto nascosto nella scrivania, prendendo in mano l’antiquata cornetta di un telefono: una delle poche linee telefoniche sicure ancora esistenti.

“Generale Irina Yurevich Novikova, autorizzazione India-Yankee-November-Uno-Tre-Blu-Sierra.”

“Impronta vocale confermata. Codice confermato. Tenente Generale Novikova, Irina Yurevich”, le rispose la fredda voce del computer.

“Abilitare protocollo Mercury-quattro-uno su uno-quattro, zero-tre, due-zero-zero-sei.”

“Abilitazione in corso… attendere, prego… abilitazione completata. Protocollo Mercury-quattro-uno in esecuzione su uno-quattro, zero-tre, due-zero-zero-sei. Chiamata in corso.”

Attese impaziente di essere messa in contatto con chi cercava, destreggiandosi fra subalterni e centralinisti. Dio, quanto odiava la burocrazia.
Dopo quella che le parve un’eternità riuscì a raggiungere il suo obiettivo.

“Presidente Bush? Ci sarebbero un paio di questioni che meriterebbero la sua attenzione…”
 

* * *

 
“Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante non ne sogni la tua filosofia”, mormorò Aro, lo sguardo perso nell’indescrivibile spettacolo dello spazio profondo. Una pulsar in particolare aveva attirato la sua attenzione, i battiti regolari che gli ricordavano quelli del cuore che un tempo aveva avuto. Possedeva il raro privilegio di poter percepire appieno l’arcobaleno di colori che veniva proiettato ad ogni impulso, una meraviglia negata agli occhi umani. Nel silenzio, nella pace dell’immenso cosmo si sentiva… a casa. Era così simile ai corpi celesti, lui, così antico ed immutabile da sembrare quasi eterno.

“Mio signore?”, domandò confusa la donna alle sue spalle, strappandolo dalle sue riflessioni.

“Nulla, Renata, nulla…”, sospirò teatralmente, appoggiando il raffinato calice di cristallo sul tavolino accanto a sé con un lieve tintinnio che si propagò assordante nel silenzio della stanza.
La vampira lo osservò distrattamente per qualche minuto, come se stesse scegliendo le parole giuste con cui cominciare un discorso. Aro attese pazientemente, fingendo di non aver notato nulla.

“Maestro?”, si decise infine.

“Sì, Renata?”

“Ecco… è davvero sicuro di volerlo fare?”

“Certamente. Ho atteso fin troppo…”

Poco alla volta, tutti i pezzi del suo piano stavano andando al loro posto. Presto, molto presto, avrebbe riavuto il suo regno. Presto il nome Volturi sarebbe stato nuovamente sussurrato con timore e rispetto… presto il suo errore non sarebbe mai avvenuto.
Recuperò il calice, traendo una breve sorsata del liquido rossastro. Il sangue sintetico era disgustoso rispetto all’originale, ma perlomeno lo teneva in vita. In non-vita, sorrise fra sé e sé.

“E’ pericoloso”, obiettò semplicemente lei, affossando la testa nelle spalle quasi a voler rimarcare l’ovvietà di quel concetto. “Formalmente, gli umani sono ancora in guerra con loro.”

“Noi non siamo umani, Renata, ed abbiamo qualcosa che a loro serve. Così come loro hanno qualcosa che serve a noi.”

Qualcosa di essenziale, aggiunse mentalmente mentre portava nuovamente il calice alle labbra.

“Siamo comunque loro avversari, per come vedono le cose”, continuò imperterrita.

“Può darsi. Ma io credo che sia possibile collaborare… per un poco, almeno.”

Molto poco, il tempo di ottenere ciò che gli serviva e poi sparire.

“Come desidera, Maestro”, cedette, chinando il capo in segno di obbedienza.

La cara Renata prendeva molto sul serio il suo compito, sempre attenta alla sua sicurezza… anche troppo. Aveva perso il conto delle volte in cui la sua passione per le novità era stata troncata sul nascere dalla sua guardia del corpo. E’ troppo rischioso, Maestro, era solita rimproverarlo.
Forse era solo merito suo se era sfuggito agli innumerevoli complotti orditi da quei barbari Rumeni, o forse no. Fatto sta che era lei a tutelare la sua esistenza, per quanto ogni tanto si divertisse a fare le cose a modo suo.

Ridacchiò al ricordo di quando era tornato a Volterra dopo la piccola gita su Calypso. Era quasi riuscita a farlo sentire in colpa per non averla portata con sé… quasi. Stavolta però non aveva voluto sentire ragioni, e l’aveva praticamente costretto a farsi accompagnare da un drappello di guardie.
Che tempi. Adesso erano i servi a fare la voce grossa con i padroni. Dove sarebbe finito il mondo?

“Maestro?”, lo riscosse una voce dall’intercom.

“Dimmi, Kain.”

“Sono arrivati.”

Si voltò verso la vetrata, dove il panorama stellare era ora nascosto dalla lucente sagoma, lunga ed affusolata, di una nave aliena appena emersa da un condotto quantico.

“Eccellente!”, esclamò entusiasta, “Renata, vorresti essere così gentile da chiamare Jane e Felix? Andiamo a conoscere i nostri nuovi amici!”

Presto, si ripeté, serrando rabbiosamente i pugni per quanto sul viso rimanesse stampata la solita maschera di cordialità. Molto presto.



***

N.d.A.: Aaaaaaah, aggiornamento dopo nemmeno due giorni! Ho finito questo pezzo quando avevo appena cominciato la lunga opera sul quinto capitolo, quindi niente periodo di iperattività, purtroppo. Solo che, per come sono fatto io, dovevo postarlo, altrimenti passerei il tempo a riguardarlo invece che darci dentro con il settimo come dovrei. Tanto l'azione non va avanti, è fatto apposta per innervosire i lettori xD

Dunque, dopo aver fatto a pezzi metà dei personaggi della Meyer nelle risposte alle vostre ultime recensioni (a proposito, se non l'avete ancora capito vi adoro, ragazze !), mi sento in dovere di dire che i Volturi invece mi hanno affascinato. L'idea di una razza di vampiri aristocratici intenti a sorvegliare il mondo sovrannaturale, approfittandone per guadagnare potere... sarà scontata, ma a me è piaciuta un sacco. Anche dopo aver finito Breaking Dawn continuavo a ripetermi che no, i Volturi non erano cattivi... li hanno disegnati così, semplicemente. I Cullen gli sono capitati fra i piedi, e beh, tanto peggio per loro.
Quindi mi sono lasciato un pò andare al cliché in questo pezzo. L'antagonista che sorseggia un drink contemplando il panorama e parlando del/pensando al suo piano malvagio... non ho potuto fare a meno di inserirlo. Amo i cattivi alla Blofeld, che volete farci.

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Capitolo 10
*** #7: I don't know you, but I want you... ***


- #7: I don’t know you, but I want you… -

 
“Isolare i tracciati biologici a ventuno e quarantasei.”

“Tracciati isolati.”

“Isolare il gruppo Fenrir, il gruppo Aesir e l’unità Vanir.”

“Unità isolate.”

“Inserire reticolo geografico.”

“Reticolo inserito.”

Studio con attenzione la mappa olografica della foresta di Hoh, che aleggia ondeggiando una decina di centimetri sopra al tavolino del salotto, precisa fino all’ultimo albero.

“Ingrandire settore Oscar-nove.”

L’immagine della radura si estende ad occupare tutta la proiezione. Su di essa troneggiano cinque punti arancioni, uno rosso e due blu, ad indicare rispettivamente i lupi, il Vanir, me ed Eva.

“Continuare fino a ventuno e quarantasette.”

La sfera rossa si muove a scatti in una buffa danza con una di quelle blu, per poi spostarsi all’improvviso fino al bordo della radura, inseguita da quattro delle arancioni.

“Mantenere lo stesso livello di ingrandimento, passare al settore Oscar-otto e continuare fino a ventuno e quarantotto.”

I simboli dei lupi continuano a tallonare quello del Vanir, per poi circondarlo e saltargli addosso.

“Continuare. Avanti di uno ogni dieci secondi.”

Il punto rosso diminuisce notevolmente di intensità mentre gli altri tre, dopo qualche momento fermi intorno a lui, si allontanano fino ad uscire dalla mappa. Il Vanir è oramai svanito.
Un attimo, non erano quattro?
Ah, no, rieccolo. Devono esserci dei problemi con la sincronizzazione dei sensori.

“Segnalare l’ultima posizione nota dell’unità Vanir come Midgard.”

“Posizione segnalata.”

Obbediente, un icona con su scritto Midgard appare nel luogo occupato fino a poco fa dal punto rosso.

“Ricercare altri tracciati biologici nel raggio di cinquecento metri da Midgard a partire da ventuno e cinquanta.”

“Attendere. Ricerca in corso… ricerca terminata. Non vi sono ulteriori tracciati biologici all’interno dei parametri indicati.”

Impossibile.

Vorrebbe dire che quel coso corazzato è stato fatto fuori da una combriccola di canidi troppo cresciuti. Per quanto possano essere pericolosi, non mi sembrano in grado di costituire una minaccia per un essere a prova di proiettile. Dev’esserci per forza qualcos’altro.

“Elencare tutti i tracciati biologici rilevati in precedenza.”

“Numero cinque tracciati biologici corrispondenti ad unità Fenrir. Numero uno tracciati biologici corrispondenti ad unità Vanir. Numero due tracciati biologici corrispondenti ad unità Aesir. Numero uno tracciati biologici corrispondenti ad esseri umani. Numero uno tracciati biologici corrispondenti ad entità sconosciute. Denominazione Nyx-01.”

Bingo.

“Specificare.”

“L’unità Nyx-01 è stata rilevata a ventuno quarantanove e ventidue, ed è scomparsa a ventuno cinquantuno e dodici.”

“Visualizzare per esteso il suo tracciato biologico.”

“Impossibile eseguire. Dati insufficienti. Il tracciato è troppo debole per essere visualizzato.”

Accidenti a me che ho sistemato per bene i sensori soltanto dopo aver salvato la Swan.

“E’ possibile rintracciarla con una scansione dell’area?”

“Negativo. Dati insufficienti. Impossibile eseguire un riscontro con i tremiladuecentocinquantaquattro tracciati rilevati attualmente all’interno del campo d’azione.”

Un momento.

“Concentrarsi sull’unità Fenrir-03… per quanto tempo il suo tracciato scompare?”

“L’unità Fenrir-03 è scomparsa a ventuno quarantanove e ventuno, ed è stata nuovamente rilevata a ventuno cinquantuno e tredici. Le posizioni di comparsa e di scomparsa di Fenrir-03 e del contatto Nyx-01 corrispondono.”

Cioè… uno dei lupi è in grado di cambiare tracciato genetico a piacimento?
Che casino.

“Segnalare immediatamente qualora vengano rilevate le unità Fenrir. Chiudere.”

La mappa scompare, giusto giusto mentre Eva torna dal suo giro al supermercato.

“Ho fatto anche un salto dai Black per la macchina… non c’era nessuno”, annuncia chiudendo la porta dietro di sé e posando in terra le borse della spesa. “A quanto pare tale Harry Clearwater ha avuto un infarto, e non ce l’ha fatta. Mi hanno detto che sono a casa sua a consolare la vedova ed i figli.”

“Clearwater?”, chiedo, alzando la testa dal datapad che sto compilando. “C’entra qualcosa con quel Seth e la sorella che abbiamo incrociato settimana scorsa in spiaggia con Kim? Come si chiamava… cosa… tizia… Lyla?”

Certo, noi Aesir abbiamo una memoria infallibile, ma solo quando decidiamo di ricordarci un’informazione, cosa che non ho fatto per la Clearwater. Sarebbe troppo bello memorizzare senza doversi nemmeno sforzare...

“Leah.”, mi viene in aiuto lei. “Sì, sono loro.”

Non è che ci avessimo parlato granché. Chi siete, da dove venite, come vi trovate, e la cosa era morta lì. Beh, forse al momento morta non è l’eufemismo migliore da usare.

“Dovremmo perlomeno passare a fare le condoglianze.”

Tanto per continuare con l’integrazione nella riserva. E’ da settimana scorsa che i Quileute sembrano evitarci per chissà quale ragione, e noi abbiamo altro a cui pensare per cercare di riappacificarci. Dobbiamo risolvere questo mistero dei lupi, per esempio.

“Fermo lì. Indovina chi era uno dei più cari amici del defunto Clearwater?”, mi interrompe.

Scuoto le spalle per dirle che non ne ho idea.

“Charlie Swan.”

Il che implica Isabella Swan. Ma quella sbuca fuori ad ogni angolo di strada?

“Tutte queste informazioni le hai ottenute frequentando le zabette del villaggio?”, chiedo sorridente. L’uovo che afferro al volo un attimo prima che mi si rompa in testa mi informa che non ha gradito la mia definizione della sua “raccolta informazioni”.

“Piantala di dire idiozie”, intima.

“D’accordo, passiamo a quello che ho scoperto io. Mappa.”

L’ologramma riappare in mezzo alla stanza.

“Ripetere le ultime direttive.”

Di fronte allo sguardo concentrato di Eva i punti colorati ripercorrono più volte gli stessi spostamenti che hanno compiuto poco fa. Lei cambia angolazione, sposta lo zoom, si concentra solo su poche tracce alla volta… insomma, analizza la situazione da ogni punto di vista.

“Stai cercando di dirmi…”, comincia lei spegnendo la mappa, dopo una decina di minuti, “…che non solo sono lupi giganti, ma lupi giganti mutanti?”

“Geneticamente parlando… sì. Il che ci lascia con parecchie domande sulla loro natura. Purtroppo non siamo in grado di isolare nuovamente questa traccia, i sensori non erano tarati quando hanno registrato il nostro scontro. Anzi, è già tanto se erano accesi. E’ stata fortuna con la c maiuscola se siamo riusciti ad avere questi dati.”

Lei si mordicchia il labbro, pensando a cosa fare.

“Che diciamo alla Novikova? Che ci troviamo davanti dei lupi mannari?”

“Cerchiamo di restare seri, ok? Non posso scrivere nel rapporto una cosa del genere!”

“Beh, a questo punto… direi che ci serve uno di questi lupi. Vivo, possibilmente.”

La guardo incredulo.

“Vuoi catturare uno di quei mostri?”

“Non abbiamo scelta. Ci serve sapere cosa abbiamo di fronte, con precisione.”

“E’ rischioso.”

“Un falò si è acceso da solo, bruciando un essere a prova di proiettile. Ed abbiamo un animale in grado di cambiare tracciato genetico a suo piacimento. Non ti interessa avere delle
risposte?”

“Sì, ma… d’accordo, hai ragione.”

Resto un momento con lo sguardo perso nella cartina, senza vederla davvero, prima di riprendere a parlare.

“I lupi sono animali abitudinari. Credo che potrebbero anche ripercorrere sentieri già battuti… potremmo organizzare un’imboscata. Occorrerà lasciarli in pace per qualche giorno, però.”

“Direi che in questo caso il gioco vale la candela. Da oggi comincia la nostra carriera di… come si chiamano gli studiosi di lupi?”

“Studiosi di lupi”, replico con scarso interesse, ricordandomi in quel momento che lei è entrata in casa con una borsa di surgelati che ora si stanno bellamente squagliando vicino al caminetto acceso. La priorità ora cambia in salva la cena.

“Accidenti, me n’ero completamente dimenticata!”, esclama lei nello stesso momento, venendomi dietro.

“Funghi surgelati?”, domando schifato mentre apro il freezer, riempiendolo il più in fretta possibile. “Siamo in montagna, potremmo anche cercarceli da noi, sai?”

“Perché abbiamo poco da fare, no?”, mi chiede strappandomi dalle mani il sacchetto con le crocchette, che finiscono in frigorifero.

“Ti ricordo che abbiamo appena deciso per due giorni di pausa in modo da far uscire allo scoperto i lupi.”

“Questo non significa che siamo in vacanza.”

“Peccato, ci speravo proprio.”

“Se non vuoi più rischiare la vita in angoli di galassia dimenticati avresti dovuto chiedere il congedo dopo Polaris… sei un po’ in ritardo, eh.”

Cerco di ignorare la solita stretta gelida che mi prende lo stomaco al sentire nominare quel sistema maledetto. Strano, però, non è così terribile come mi ricordo… proprio per niente.

“Già…”, le rispondo stiracchiando un sorriso. Per i miei standard è un successone.

Lei ricambia il mio sorriso, come se volesse dirmi visto? Ce la puoi fare.

“…ma non è che abbia molte possibilità in altri settori lavorativi, e non credo che ci lascerebbero andare così tranquillamente. Siamo proprietà dell’Alleanza, ricordi?”

“Prima o poi succederà… non possono tenerci per sempre, no?”, mormora sognante.

“Tu dici? A me non sembra che il nostro contratto preveda date di scadenza.”

“Fra una ventina d’anni…”

“Fra una ventina d’anni saremo esattamente come adesso. Perfettamente identici. Come ora siamo identici a tre anni fa.”

Mi guarda triste.

“Credi proprio che non ci sia speranza per noi, eh? Di vivere una vita normale, dico.”

“Eva, noi non siamo normali. Ci siamo giocati la normalità quando abbiamo chiesto una seconda possibilità di vivere. Stai avendo ripensamenti su questa tua scelta?”

“No, assolutamente!”, nega con forza. “Però… a volte mi chiedo come sarebbe stato… invecchiare, innamorarsi, avere dei bambini… non credo che mi pentirò mai della mia decisione, ma
mi sarebbe piaciuto provare tutte queste cose a cui ho dato un calcio. Non che avessi molte alternative, comunque.”

Potrei dire un paio di parole sull’innamorarsi, ma è meglio che me ne stia zitto. Insomma, presto o tardi dovrò dirle che sono cotto di lei, ma per ora tardi è molto più quotato. Che poi, accidenti, cosa ci trovo di così… così in lei? E’ oggettivamente bella, ok, ma poi?

E’ che quando sorride… eeeeeh…

Già, quando sorride ha il potere di squagliarmi il cervello. Ma non è una risposta. Perché?

Perché accanto a lei sto bene, qualsiasi cosa faccia. Potrebbero spedirmi nel posto più pericoloso e sconosciuto della galassia, ed io non ne vedrei l’ora, se dovessi lavorare insieme a lei. Anzi! Un posto remoto e sconosciuto significa che saremmo solo io e lei, ed allora…

No. No no no. Niente ragionamenti del genere, per favore. E’ già abbastanza difficile dormire nella sua stessa stanza senza andare a complicarmi la vita così.

“Cos’hai, Eva?”, le chiedo, notando che anche lei è persa nei suoi pensieri.

“Cercavo di immaginarmi una vita normale. Chissà, magari sarei stata una Emily che avrebbe trovato il suo Sam… una qualunque con il suo uno qualunque. Semplici umani.”

Mi si stringe il cuore.

“…ma non so nemmeno io perché sto perdendo del tempo dietro a queste fantasticherie. Noi due siamo una coppietta felice, no?”, domanda ironica. “Che c’è?”, continua, “Oh, lo so, non è da Aesir fare discorsi del genere.”

Non è per quello, Eva… accidenti, apri gli occhi! Hai capito tutto di me, ti basta solo un passettino in più…

“Tu ti ricordi com’era?”

“Com’era cosa?”

“Amare.”

Giuro, in questo momento desidero solo tirare una testata al muro.

“…senza sentirsi strani, senza sentirsi diversi. Semplicemente normali.”

“Ti è presa la sbornia triste?”

Pessimo intervento, ma quantomeno la smette di dilaniarmi senza accorgersene.

“Chiamali più i cinque minuti di nostalgia. Non ti sei mai fermato a pensarci?”

“Ho scoperto che è più facile fare finta di niente.”

“Sì, beh, hai ragione. Però…”

“Però?”

“Niente”, scuote la testa, come a voler scacciare strane idee, “Andiamo a fare la nostra fugace apparizione a casa Clearwater?”

Mugolo un’approvazione, mentre continuo a pensare a ciò che ha detto. Perché?
 

- - -

 
Perché è convinta che non si possa più amare?

Tiro un calcio ad un sassolino sulla strada, facendolo rotolare pigramente qualche metro più avanti. Non avrei mai pensato che Eva potesse farsi problemi del genere. Per quello che la conosco è sempre stata spensierata ed allegra…
Originalità zero nelle descrizioni, proprio. Insomma, il concetto è quello.
Probabilmente se fossimo in un olofilm sarei dovuto correre ai suoi piedi confessandole i miei sentimenti, lei avrebbe ammesso in lacrime di ricambiarli, ci saremmo baciati con tanto di canzone strappalacrime di sottofondo e…

“Ehi, ci sei?”

“No, sono al bar”, borbotto infastidito. Stavo immaginando così bene la scena, sembrava così reale…

“Simpatico, davvero”, commenta sarcastica lei, “Ti ho scombussolato così tanto prima? Continui a tenere su un muso…”

Sì.

“No, ma da una come te non mi sarei mai aspettato un discorso del genere.”

“Sarebbe, una come me?”, domanda fermandosi e guardandomi curiosa.

“Beh, da come ti conosco io sei sempre stata quella con il sorriso stampato in faccia, quella don’t worry, be happy.

“Lo so, quei discorsi non mi si addicono. Non ti preoccupare, non mi sono trasformata improvvisamente in una depressa cronica!”, replica allegramente.

“Eri molto convincente in quella parte… sicura che vada tutto bene?”

“Sì, Matt, sì…”

Torna a rabbuiarsi. “Hai ragione, è meglio non pensarci. Però…”

“Però non puoi farne a meno”, le sorrido. “Ogni tanto fa bene. E’ anche meglio se hai vicino qualcuno che ti possa dare una mano.”

“E tu puoi?”, chiede ricambiando la mia espressione.

“In quanto reduce da sei mesi di depressione cronica, credo proprio di essere uno dei maggiori esperti a riguardo, signorina”, le rispondo sistemandomi il colletto della felpa con finta superiorità.

“Ma piantala”, controbatte ridendo, tirandomi un pugno su una spalla.

“E’ anche merito tuo se non sono più un incrocio fra uno zombie ed uno stoccafisso, Eva. Ricambiare il favore mi sembra il minimo.”

“Non sono messa così male, io.”

La guardo scettico, ricevendo in risposta una linguaccia.

“D’accordo, non sei messa così male, tu”, cedo. “Cerca di evitare altri momenti del genere, però, o mi farai venire un colpo.”

“Addirittura! Gentile tutta questa attenzione per me, comunque.”

“Oh. Beh… credo di dovertelo dire, a questo punto…”

Via il dente via il dolore, no? Certo la panetteria all’incrocio fra Church Road ed Alder Street non rientra nella mia top ten dei posti ideali per una dichiarazione, ma cercherò di chiudere un occhio.

“Dirmi cosa?”

Dove sono i violini di sottofondo quando servono?

“Beh, che…”

“Eva! Matt!”

Nemmeno l’avessero pagata apposta, Kim sbuca da dietro l’angolo nel momento più sconveniente per farlo, quasi fossimo in una sceneggiatura di un olofilm rosa di serie z. La voglia di prendere a testate un muro torna ad impossessarsi di me.

“Come state? E’ da un po’ che non ci si vede…”

Già. Sembra quasi che Jared escogiti tutti i modi possibili ed immaginabili per tenerla lontana da noi, anche quando è a scuola. Persino per ridarle gli appunti siamo dovuti passare dal suo fidanzato. Spero che abbia un valido motivo per avercela sguinzagliata contro proprio adesso. Non poteva passare fra cinque minuti?

“Jared ti ha lasciato l’ora d’aria?”, chiede Eva allegramente.

“Ci siamo dati appuntamento proprio qui davanti”, risponde lei. “Voi invece? Non vi ho mai visto nel centro di questa grande metropoli!”

Caspita, fa pure la spiritosa. Dov’è finita la cara, vecchia, impacciata Kimberly, quella che non ci avrebbe rivolto la parola nemmeno sotto tortura?

“Abbiamo saputo del vecchio Clearwater…”

“Ah. State andando a fare le condoglianze? Buona fortuna…”

“Perché?”

“Beh, Leah non è mai stata un mostro di gentilezza, ed ora è anche più intrattabile del solito.”

“Correremo il rischio”

“Ignorarli completamente non mi sembra un’idea carina”, aggiungo.

“No, certo… in ogni caso, state attenti. Io vi ho avvertiti.”

“E’ così terribile questa Leah?”

“A me fa un po' paura”, risponde abbassando lo sguardo. “Oh, lo so, è una cosa stupida, ma…”

“Hey, Kim!”, la voce di Jared la interrompe mentre il ragazzo in questione arriva di corsa, infilandosi fra noi e la sua ragazza come se volesse proteggerla, nemmeno fossimo due molestatori.

“Vuole una nostra foto?”, bisbiglio ad Eva mentre la coppietta si bacia, notando l’occhiata penetrante che ci ha rivolto prima.

“Stavi insidiando la sua principessa, è logico che ti guardi male!”

“Ma… io e te… cioè…”

“Devo proprio spiegarti tutto”, sospira rassegnata, approfittando di una pausa dei due piccioncini per aggiungere un “Noi allora andiamo. Ciao!”, prendermi per il braccio e trascinarmi via. Due isolati dopo si ferma, interrompendo la sua mezza corsa.

“No, fammi capire… ho commesso l’orrendo crimine di rivolgere la parola alla sua fidanzata, e quindi sono passibile di morte?”, la affronto.

“E dire che l’uomo qui sei tu…”

“Io non mi farei di questi problemi!”

“Tu non sei innamorato perso come loro due.”

Te la concedo solo per il come loro due, sappilo.

“Sì ma… oh, lasciamo perdere”, borbotto rassegnato. Ma prima o poi glielo dirò, e vedrò di fare in modo che sia un prima piuttosto che un poi.

“Anche perché siamo arrivati. A te l’onore di suonare il campanello.”
 

. . .

 
Certo, è più facile a dirsi che a farsi. Cosa vai a dire ad una famiglia che ha appena perso un padre? Famiglia che conosci solo di vista, oltretutto. Mentre premo il tasto del campanello, rannicchiato contro la minuscola tettoia dell’ingresso per nascondermi dalla pioggia che sta cominciando a cadere, tutto d’un tratto l’idea di un telegramma di condoglianze mi sembra parecchio più appropriata.

Per me forse… ma per loro?

C’è poco che uno possa dire o fare in momenti come questo. Se c’è una cosa che ho imparato in sei anni di servizio è che la gente non apprezza i discorsi consolatori toccanti e costruiti alla perfezione. Spesso basta solo un abbraccio per dire tutto.

“Sì?”, chiede lo sceriffo Swan aprendo la porta, con voce impastata ed occhi rossi, segno che ha pianto parecchio.

 “Siamo…”

“Cosa ci fate qui?”

Questa è Leah, che a passo di carica scosta malamente il capo della polizia e socchiude la porta in modo da poterci parlare senza che altri vedano.

“Beh, noi…”

“Sentite, piantatela, ok? Ne ho abbastanza di gente che viene da noi cercando di consolarci come se fossimo due bambini! E’ morto, se n’è andato, e voi non potete farci niente! Lasciateci in pace!”

E ci sbatte la porta in faccia.

“Però, che caratterino”, commento, guadagnandomi un’occhiataccia da parte di Eva.

Qualche secondo dopo la porta si apre di nuovo, ed un Seth Clearwater che ha guadagnato una spanna in altezza dall’ultima volta che l’ho visto fa la sua apparizione.

“Dovete scusare mia sorella, è un po’…”

Si blocca di scatto. Io lo osservo un momento, preoccupato, prima di rendermi conto che sta fissando a bocca spalancata Eva come se fosse la prima volta che vede una ragazza. Gli leggo in faccia che il cervello ha momentaneamente chiuso i battenti, in perfetto stile ci scusiamo per l’interruzione del servizio, riprenderemo le trasmissioni il prima possibile. Lei invece lo sta osservando con un misto di curiosità e divertimento, incapace di distogliere lo sguardo.

Poi è il mio, di cervello, a connettere le informazioni.

Seth.

Si sta mangiando con gli occhi.

Eva.

E tutto il discorso di prima sul io non mi farei mai di questi problemi va a farsi benedire. Perché oltre alla solita aggressività che salta fuori in presenza dei Quileute, adesso si aggiunge il desiderio di fargli più male possibile per il modo in cui si è imbambolato a guardare ciò che non dovrebbe.

Reprimo a fatica la tentazione di tirargli un diretto sul naso. Piantala di guardarla così, vorrei urlargli, ma sono troppo impegnato a ringhiare versi inarticolati e a controllare gli istinti omicidi.
Fortunatamente qualcuno mi salva da questa situazione imbrazzante, afferrando Seth per la collottola e trascinandolo rudemente in casa, con mia enorme soddisfazione.

Soddisfazione che va in briciole non appena noto la faccia sconvolta di Leah, proprietaria della mano salvatrice. Se gli sguardi potessero uccidere, credo che in questo momento sarei a terra stecchito.

“Sparite”, ringhia lentamente. “Avanti, fuori dai piedi!”

L'uscio ci viene sbattuta in faccia per la seconda volta.

Brutto idiota, proprio adesso, proprio con quella ti doveva succedere? Sam ti ucciderà…”, la sento inveire dietro il legno, ma per il momento ho altri problemi.

“Eva?”

In risposta ricevo solo un mugolio indistinto.

“Ehi! Ci sei?”, domando preoccupato, afferrandola per le spalle.

“Eh? Sì, sì, ci sono! Cosa… cos’è successo?”

“Ti sei incantata a guardare un ragazzino…”, rispondo amareggiato mentre cominciamo ad incamminiarci verso casa.

“Io… oddio, è stato stranissimo. Mi sono sentita… come posso farti capire… come se lui mi considerasse la cosa più importante che abbia mai visto.”

“Io mi sono sentito ad un passo dall’omicidio di primo grado", brontolo incurvando le spalle ed affondando le mani nelle tasche dei jeans.

“Addirittura?”

“Già.”

Solo a pensarci mi prudono le mani. Come ha anche solo osato

“Sei geloso?”, chiede dopo un breve silenzio.

Chi? Io? Noooooooooooo! Perché mai?

Faccio finta di non capire.

“Geloso?”

“Volevi davvero farlo secco solo perché mi stava guardando?”, chiede ridacchiando.

“C’era sempre la solita sensazione di minaccia tipica dei Quileute…”, mi difendo debolmente.

“Tutto qui? Volevi accopparlo solo per questo?”

Si è fermata ed ora mi fronteggia a braccia conserte, inchiodandomi con i suoi occhi verdissimi.

“Io…”

Glielo dico? Non glielo dico? E poi? E se dice di no? E se invece dice di sì? E se…

Sovraccarico di richieste. Impossibile elaborare tutti i possibili scenari.

No, seriamente… grazie, pezzo di latta nel mio cervello. Prenderti cinque minuti per fumare una sigaretta no eh?

Richiesta non chiara. Specificare.

Spegniti, accidenti, e lasciami fronteggiare la cosa… Diglielo, su!

“Ecco, è quello che volevo dirti anche prima…”

“Sì?”, chiede curiosa.

“Io… cioè, tu… insomma…”

“Io cosa?”

“Tu… mi piaci”, sussurro, arrossendo subito dopo e distogliendo lo sguardo da lei.

Complimenti, razza di cretino, ce l’hai fatta. Vent’anni per dire tre parole contate, con la stessa maturità di un bambino alla sua prima cotta. Adesso incrocia le dita e spera in bene…

Rialzo gli occhi, impacciato, per notare che il suo sorriso è scomparso di colpo, sostituito da un’espressione incredula.

“Oh.”, dice lei infine. “Oh. Non… non me l’aspettavo. Pensavo che… Matt… io… io non credo che… noi due… no.”

No. Lo sapevo, ma non per questo fa meno male. No. Faccio un passo indietro, sospirando triste.

“Non prenderla male, Matt… ma…”

No.

“Non ti preoccupare. Capisco.”, le dico amareggiato, voltandomi. “Solo che…”

No.

“Solo che?”

No.

“Niente. Fantasticavo.”

No.

A passi lenti mi allontano da lei, che resta bloccata sul posto. Non so bene neppure io dove sto andando, troppo concentrato a cercare di arginare quella sensazione di vuoto che mi ha
preso all’improvviso.

La pioggia aumenta gradualmente d’intensità, ma non è mia intenzione cercare un riparo. Continuo a vagare senza meta, con l’acqua che mi tamburella addosso. Di tornare a casa per affrontarla non ho la minima voglia.

Ringrazio di aver preso la felpa impermeabile per uscire, anche se non serve a granché con il nubifragio che sta imperversando sulla riserva. Perché fa così male? Mi ha solo detto ciò che in fondo avevo sempre saputo… ma perché detto in faccia è così doloroso?

Sto piangendo?, mi chiedo, passando una mano fradicia sul viso già bagnato. No, è la pioggia. E’ sicuramente la pioggia.
 

- - -


Razza di deficiente, sottospecie di imbecille, cretino totale!

Non so quanto tempo è passato quando rientro a casa, bagnato fradicio dalla punta dei capelli fino all’angolo più remoto delle calze. Mi sento un poco meglio, abbastanza per capire che ho fatto un’idiozia a stare fermo sotto tutta quell’acqua senza battere ciglio.

Ah, l’amour…

L’amour un paio di cionfoli, stordito che non sei altro!

Apro lentamente la porta, e trovo Eva raggomitolata su sé stessa su una poltrona. Mi fissa incredula per un attimo, poi scatta a prendere un asciugamano e me lo lancia.

“Ti sei ridotto così per… ok, ne parliamo dopo. Adesso cerca di renderti presentabile, per favore. Sembri un pulcino bagnato.”

Un pulcino bagnato. Andiamo sempre meglio.

Senza una parola filo in bagno, dove una doccia calda provvede a rimettermi in sesto, almeno fisicamente. Per il resto continuo a sentirmi come se una cannonata si fosse portata via un pezzo di me. Quella maledettissima sensazione di vuoto che mi attanaglia non accenna ad andarsene. Si è infilata dentro di me, ha scavato una tana nella mia anima, e non ha intenzione di sloggiare.

Oh, certo, accompagnata dalla coscienza che un tredicenne si sarebbe comportato in maniera più matura e responsabile. Magari senza rischiare una bronchite. Quando rientro in soggiorno lei mi osserva attentamente, prima di fare un respiro profondo e mormorare un fugace “Scusami”.

“Per cosa? Per avermi detto la verità?”, le rispondo acido.

“No. Per averti ridotto così.”

Si alza e cerca di abbracciarmi, ma la blocco prima che si stringa a me, per quanto ogni singola cellula del mio corpo mi implori di lasciarla continuare.

“Eva… non lo fare.”

Lei mi guarda, e ancora una volta quei suoi occhi verde smeraldo mi inchiodano dove sono.

“Matt… oddio, mi dispiace! E’ solo che… che…”

“…che non provi per me quello che io provo per te. Lo capisco.”

Il fatto che mi faccia male è un discorso completamente diverso.

“Sì.”, ammette con aria colpevole.

Io scuoto la testa. Non posso, non riesco a prendermela con lei.

“Eva, non è colpa tua. Tranquilla. Lo so, va bene così.”

Non è vero.

“Credi di poterti lasciare abbracciare, adesso?”

“Non so se…”

Ma prima che io possa finire la frase, lei si è liberata della mia presa e mi si è incollata addosso. Non è l’abbraccio che avrei voluto… è l’abbraccio di un’amica. Stranamente, lo apprezzo per questo. Sono proprio deciso ad aggrapparmi a qualsiasi cosa, pur di convincermi che ha intenzione di parlarmi ancora.

“Lo so che è chiederti troppo, ma… credi che riusciremo a restare solo amici, come prima?”, mi domanda speranzosa.

Dovrei esserne felice. Non ha intenzione di non rivolgermi più la parola. Ma no, voglio di più.

“Non credo di potertelo promettere, Eva. Ma io non voglio perderti… quindi immagino che mi dovrò accontentare.”

Lei mi guarda triste, scuotendo la testa.

“Immaginavo. Ma dovevo provarci. Vorrei tanto che le cose per te fossero un po’ più semplici…”

“Oh, non puoi sapere quanto lo vorrei anch’io.”

Non posso fare altro che bearmi di quell’abbraccio consolatore, finché dura. E vorrei che durasse per sempre. A dire la verità vorrei un sacco di altre cose, ma immagino che dovrò farne a meno.

. . .


Il segnale di chiamata del proiettore olografico interrompe quel momento magico, costringendoci a separarci. Continuo a fissarla con la morte nel cuore.

Credo di essere patetico, ma cos’altro posso farci?

Quando la sagoma azzurrina del Generale Novikova appare, tuttavia, sono costretto a cercare di arginare le sensazioni di poco prima. Esiste qualcos’altro, purtroppo, oltre ai miei problemi sentimentali.

“E’ un brutto momento?”, chiede notando le mie condizioni non esattamente felici.

“Non è importante, Generale. Io ed il Comandante abbiamo avuto un… ah… disaccordo professionale, e stavamo lavorando per appianarlo”, risponde Eva, lanciandomi un’occhiata preoccupata.

“Spero nulla di grave”, commenta lei. Non è il momento di crearmi altri problemi è il messaggio sottointeso.

“No, signore”, la rassicuro tentando di mantenere un tono di voce accettabile.

“Bene. Signori, sarò breve e sintetica: il fronte temporale è un fottutissimo casino.”

Al momento la cosa non mi interessa particolarmente… Davvero ha avuto il coraggio di definirlo un disaccordo professionale?

“La CHRONOS ha innalzato il livello di allerta di tutte le stazioni di sorveglianza temporale a DEFCON-2. Siamo in presenza di tentativi multipli di modifica della timeline, e la situazione non accenna a migliorare. Solo nelle ultime quarantotto ore vi sono stati sette attacchi rivolti contro obiettivi sensibili ad opera di agenti Altariani, per non parlare del proliferare delle anomalie nel vostro settore. Siamo a tanto così…”, avvicina l’indice ed il pollice quasi a toccarsi, “…dalla guerra aperta. Altair non ha preso bene il rafforzamento della Task Force destinata ad Eridiani. Comprensibile, secondo me… nessuno prenderebbe bene tre portacaccia parcheggiate sull’ingresso di casa, ma sto divagando. Perdonatemi, alla caffetteria hanno finito il Caf Pow, e tirare avanti senza è un supplizio.”

Forse è questa l’emergenza di cui ci voleva parlare.

“Il Consiglio di Sicurezza ha deliberato per l’approvazione dell’operazione Interdictor, mirata ad interrompere il flusso tachionico per un periodo di tempo limitato. Considerando che siamo sull’orlo del baratro di una seconda guerra con Altair, non abbiamo le risorse per tenere sotto controllo centinaia di eventi sparsi su eoni di storia. Domattina alle 07:00, secondo il vostro fuso, verrà fatta detonare una testata ad antimateria opportunamente modificata da un team di scienziati. Il risultato dovrebbe essere la distruzione del substrato temporale, rendendo praticamente impossibile il viaggio temporale per due mesi circa.”

“Siamo richiamati nel ventiquattresimo secolo, signore?”, domanda Eva.

“Negativo, Tenente. Stiamo evacuando gli altri Aesir dalle loro postazioni, ma voi mi servite lì dove siete. Chiamatelo eccesso di cautela, ma il vostro incarico, insieme ad un altro paio, continua. Sono punti fin troppo sensibili per essere lasciati scoperti. A tal proposito, c’è un incarico per voi direttamente dalla CHRONOS, e riguarda la vostra amica Swan. Priorità assoluta.”

“Si sono decisi a farcela proteggere?”

“No, Cortéz. A quanto pare un’azienda semisconosciuta è divenuta azionista di maggioranza della US Airways, e temono che ciò possa avere ripercussioni su alcuni eventi particolarmente delicati. La Swan, insieme a questa… dove diavolo ho messo il datapad? Ah, eccolo qui. Dunque… Alice Mary Brandon Cullen. Mai sentita?”

“No, signore.”

“Beh, dicevo, alla CHRONOS ritengono di fondamentale importanza che queste due signorine raggiungano l’aeroporto internazionale Amerigo Vespucci di Firenze il giorno venti marzo, ore 10:54 locali. Proseguiranno poi per la città di Volterra, arrivando a destinazione alle ore 11:56, ma questo non vi interessa. Il vostro compito è assicurarvi che giungano in Italia all’ora prevista, non un minuto più tardi. Non mi interessa come, basta che succeda. Dirottate un aereo, noleggiate un C-130, fate quel che vi pare… loro devono essere a Firenze per quell’ora. Sono stata chiara?”

“Cristallina.”

“Vi conviene muovervi, il volo parte fra meno di due ore dall’aeroporto di Tacoma. La sezione tecnica ha già provveduto a prenotarvi due biglietti, lasciando a terra a causa di spiacevoli complicazioni tecniche tali Bruce Ernst Wilson e Henriette Augustine Dawson. Non credo che per due pensionati che saltano la loro visita alle città d’arte italiane crollerà il continuum. Terminato questo incarico, tornate pure alle vostre ricerche sulle unità Fenrir e sull’assassino dell’unità Vanir. Per il momento la scorta delle due ha la precedenza. Domande?”

“Indicazioni su come comportarci durante la serrata temporale, Generale?”

“Cercate di ambientarvi il più possibile nella comunità locale per i prossimi due mesi. Sarete tagliati fuori dalle comunicazioni con me, ma i tecnici di Rocky Point continueranno ad assistervi per qualsiasi evenienza. Se avrete bisogno di supporto, saranno loro a procurarvelo. Comandante, da domani lei sarà l’ufficiale di maggior grado coinvolto in questa operazione, quindi è promosso controllore temporale ad interim. La responsabilità è tutta sua… cerchi di non deludermi.”

Responsabilità. L’idea di continuare con il mio solito lavoro adesso sembra così strana…

“Sissignore”, biascico distrattamente.

“Ci risentiremo fra un paio di mesi, se tutto va bene. Dovrei augurarvi in bocca al lupo, ma data la situazione non credo sia il caso. Cortéz, D’Aquila… buona fortuna. Novikova, chiudo.”

Il proiettore si spegne, lasciando dietro di sé una pesante cappa di silenzio.

“Ehm… tutto a posto, Matt?”, chiede imbarazzata Eva dopo un po’.

“Ti sembra una domanda sensata? Come vuoi che mi senta!”

“Volevo…”

“Senti, lasciamo perdere, e piuttosto troviamo un modo per arrivare a Seattle alla svelta Pensiamo al dovere”, borbotto, cominciando a ficcare in uno zaino vestiti a casaccio.

“Ma…”

“Tenente, si dia una mossa, la voglio pronta a partire in dieci minuti. Abbiamo un aereo da prendere.”


***
N.d.A.: Altro capitolo-parto, altro capitolo-non-mi-convince per eccesso di melodramma, altro originale più tragggico del risultato finale che è stato prontamente vivisezionato. Perlomeno stavolta ho avuto la mia beta, che è stata indispensabile per rimuovere un numero incredibile di milanesismi (proprio non ne voglio sapere di usare tu invece di te), ma che altresì non ha per niente apprezzato la piega della trama sentimentale. Meglio, più è incattivita più sarà spietata con il testo.

Un inchino a Jakefan, che mi ha fatto notare come, essendo Irina una donna, è Novikova e non Novikov. Tanta attenzione a documentarmi, e poi faccio queste castronate. Per fortuna ho voi lettrici.

Poi, vediamo... Il titolo riprende la prima strofa di Falling slowly, di Glen Hansard e Marketa Irglova. Altro da dire al momento non lo trovo. Oggi sono di poche parole.

Ah, sì, un pat pat virtuale sulla spalla a chi mi trova la citazione disneyana nel testo xD

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Capitolo 11
*** #8: Aria ***


- #8: Aria -

 
Ultima chiamata per il volo AA5368 diretto a Firenze. Ultima chiamata…

Ci presentiamo ansanti ed affannati al cancello di imbarco, ricevendo le occhiate omicide degli assistenti di volo. Effettivamente siamo in ritardo epocale, e solo non meglio precisati problemi tecnici hanno impedito il decollo.

“Le devo una pizza, capotecnico”, bisbiglio nel cellulare mentre sfodero il passaporto ed un sorriso galattico al poliziotto di turno.

“La Bismark è la mia preferita, Comandante”, mi risponde ridacchiando la voce. “E ringrazi l’accidentaleperdita di olio sulla pista quattro. Avvisatemi appena siete a bordo, e farò partire immediatamente l’annuncio che il problema è stato risolto. Buon viaggio, signore… ah, mi porti anche un po’ di pasta. Il surrogato che vendono qua in America è un attentato alla cucina.”

“Farò il possibile, Dawson”, sospiro stancamente spegnendo l’apparecchio prima di passare per il metal detector, sperando che non suoni. In teoria le armi sono state schermate per restare nascoste ai raggi X, ma la legge di Murphy è sempre in agguato dietro l’angolo, pronta a saltar fuori dal suo nascondiglio urlando buh! per mandare tutto all’aria.
In questo momento mi chiedo se ci sia una cosa qualsiasi che potrebbe andare per il verso giusto, francamente. Il mondo mi è crollato addosso per la seconda volta, ed vogliono farmi credere che nonostante tutto io possa andare avanti…

Stranamente tutto fila liscio, e cinque minuti più tardi siamo seduti ai nostri posti. Prima classe, non ci credo ancora.

“Ce l’abbiamo fatta”, sospira Eva, cercando di riprendersi dalla mezz’ora di corsa ininterrotta.

“Solo te potevi tirare fuori centottanta chilometri orari da una Honda Civic del 1980 ma farci arrivare comunque in ritardo…”, rispondo controvoglia.

Lei scrolla le spalle, piccata. Va particolarmente fiera delle sue doti di autista, e non accetta le mie insinuazioni.

“Non è colpa mia se quel catorcio si è fuso all’altezza della 162ma! Embry sarà tanto bravo a parlare di motori, ma alla prova dei fatti mi ha deluso. Mi aspettavo un po’ più di resistenza dalla sua auto.”

“Come minimo direi che dovremmo rimborsarlo”, aggiunge dopo qualche secondo.

“Direi che glielo dobbiamo, sì.”

L’aereo comincia a rollare sulla pista, alzandosi lentamente in volo poco dopo. Troppo lentamente.

“Ma cosa cavolo hanno da fare di così importante quelle due a Volterra?”, borbotto infastidito, cercandole con lo sguardo nei posti dietro di noi. Le intravedo una decina di file più in là: Isabella non riesce a stare ferma un attimo, mentre la sua amica sembra fare l’impossibile per calmarla.

“Non lo so e non mi interessa”, risponde Eva tirando fuori i dossier stampati in tutta fretta, per quanto glieli abbia già letti in macchina. “Piuttosto, mi piacerebbe sapere perché non c’è nulla su di loro qua in mezzo. A noi servono informazioni, e qui non ci sono.”

In risposta le indico la trentina di righe coperte da strisce nere a fondo pagina.

“Ah, giusto. Non è nel vostro livello di autorizzazione, figlioli”, sibila scimmiottando la voce del Generale e strappandomi un sorriso. “Stupidi documenti secretati…Ehi, fermo un attimo, era un sorriso quello?”

“Può darsi”, rispondo voltandomi dall’altra parte, cercando nello zaino il libro che mi sono portato da leggere. Missione o no, non riesco a togliermi dalla testa il modo in cui mi ha respinto, così come non riesco ancora a classificare quello che sento per lei. Non la sopporto per avermi rifiutato, ma non riesco ad odiarla. Non ci riuscirei mai… per adesso credo che mi accontenterò di comportarmi in maniera estremamente indisponente nei suoi confronti, anche se so benissimo che non servirà a nulla se non a sentirmi ancora peggio e a farmi fare la figura dell’idiota patentato.

“Era un sorriso, quindi!”, continua lei, ignara dei miei vaneggiamenti mentali.

“Piantala, Eva, lasciami in pace!”, sbotto sempre più irritato. Non ho voglia di parlare con lei, adesso. O sì?

Non lo so, non ci capisco più niente.

“Nervosetto, eh?”, ride, ma obbedisce e decide di ignorarmi.

Apprezzo il fatto che mi voglia ancora, anche se solo come amico. Una parte di me ne è felice e non chiede altro, ma l’altra vuole qualcosa in più… molto di più, a dirla tutta. O tutto o niente, insiste.

Nel tentativo di non pensarci troppo prendo in mano Notre Dame de Paris. Forse avrei potuto fare una scelta migliore…

L'amore è come un albero: spunta da sé, getta profondamente le radici in tutto il nostro essere, e continua a verdeggiare anche sopra un cuore in rovina, leggo in quarta di copertina.
Avrei potuto fare una scelta decisamente migliore… pazienza. Sospiro nuovamente, immergendomi nella lettura e cercando di confondere le mie preoccupazioni con quelle di Frollo.

Trecentoquarantott'anni, sei mesi e diciannove giorni or sono i parigini si svegliarono allo squillo di tutte le campane, che suonavano a distesa nella triplice cerchia della Città Vecchia, dell'Università e della Città. Eppure, il 6 gennaio 1482 non è affatto un giorno di cui la storia abbia serbato il minimo ricordo. Nulla di notevole nell'avvenimento che metteva così in moto, fin dall'alba, campane ed abitanti…
 

- - -

 
“Che accidenti succede?”

Afferro al volo il libro che mi è sfuggito di mano quando l’aereo ha cominciato a sussultare, aggiungendo la mia domanda al brusio confuso degli altri passeggeri.

“Cosa è stato?”

“C’è qualche problema?”

“Was ist los?”

“Hostess! Cosa…”

“Signore e signori, è il capitano che vi parla. Vi preghiamo di rimanere seduti ai vostri posti e di allacciare le cinture di sicurezza. Si è verificato un guasto meccanico di lieve entità che…”

“Controlla”, ordino secco ad Eva, uscendo dalla mia bolla di indifferenza nei confronti del mondo. Lei lancia rapide occhiate intorno a sé e, dopo che si è accertata di non essere osservata, estrae un datapad su cui comincia a digitare furiosamente.

“…non pregiudica in alcun modo la sicurezza del volo. Per ragioni tecniche, tuttavia, il velivolo effettuerà una sosta straordinaria all’aeroporto JFK di New York. Ci scusiamo per il disagio arrecato, e speriamo che…”

Merda.

Non sono l’unico a pensarla così, tuttavia, viste le urla furibonde che cominciano a farsi sentire. Voltandomi a controllare la nostra coppietta, noto la Swan sbiancare più di quanto già non fosse prima di cominciare a piangere, sussurrando convulsamente... E… Edgard? No, decisamente non è una g, è più… Ah, ecco, Edward. Una volta ero più bravo a leggere il labiale.

“Da Rocky Point mi assicurano che questo volo non ha subito alcun tipo di interferenza sul piano di volo, e che è atterrato sano e salvo a Firenze alle dieci e cinquantaquattro”, mi informa Eva richiamando la mia attenzione. “Almeno in teoria.”

“Bene, imprevisti… chiedi una scansione.”

“Cinque minuti e ce l’abbiamo, stanno spostando il satellite.”

Cinque lunghi, interminabili minuti.

“Ecco, è arrivata… secondo quello che dice qui sull’aereo è tutto a posto, nessun guasto o danno. Stiamo deviando dal nostro piano di volo senza una ragione valida… Dawson ha avvisato le autorità, un F-22 della Guardia Nazionale dovrebbe accodarsi a noi a breve.”

“Ci appiccicano un caccia alle costole?”

“Il governo statunitense non vuole correre rischi… ci hanno assicurato pieno supporto, purché evitiamo di far schiantare l’aereo da qualche parte. Trenta minuti, e poi danno l’allarme agli air marshals.

Tanti saluti alla mia idea di fregarmene del mondo e prendermi una giornata di riflessione. Si torna in modalità soldato dei reparti scelti.

“Quindi non ci sparano se lo facciamo girare dalla parte giusta?”, chiedo togliendo il dito che segnava la pagina dove sono arrivato e rassegnandomi a chiudere il libro.

“Precisamente. Entriamo in cabina, liberiamo i piloti, e poi consegniamo i terroristi alle autorità italiane. Muy facil.”

“Una passeggiata, davvero. A quante persone dovremo modificare la memoria?”

“Solo ai due piloti, che domande. Vediamo di muoverci, adesso… ci serve un piano.”

“Potremmo… allora… stiamo andando in bagno, sì…”

La sua espressione scettica dimostra che non è esattamente convinta della mia idea.

“…e tu sei incinta”, continuo imperterrito.

Mi fissa allibita.

“Io sono cosa?”

“Incinta”, ripeto, convinto. “Le hostess si sentiranno più… come dire… disponibili se fingi di essere una giovane donna in gravidanza che soffre qualche malore… e così giustifichiamo anche la nostra prolungata assenza dai posti con il fatto che siamo chiusi in bagno mentre te sei in preda a non so che crisi pre-parto. Muy facil, no?”

“In pratica rischio di ritrovarmi metà equipaggio addosso che mi sommerge di attenzioni. Seriamente, a volte mi chiedo da dove le vai a pescare certe trovate.”

“In quel caso tu li tieni occupati ed io avrò campo libero. Poi piazziamo una trasmittente e chiediamo a Dawson di trasmettere un po’ di suoni schifidi, tanto per tenerli distratti mentre sgusciamo in cabina. A proposito, hai preso gli occultatori, vero?”

“Certo che sì. Solo che preferirei evitare di giocare alla Donna Invisibile. Non mi va di vibrare per chissà quanto tempo.”

“Muoviamoci, và, prima che mi convinca di quanto sia idiota tutto questo.”
 

. . .

 
“Facciamo irruzione urlando ‘agenti federali’, come negli olofilm?”, chiede Eva di fronte alla porta blindata della cabina di pilotaggio.

“Cerchiamo di fare i seri, Cortéz”, replico facendo passare rapidamente un bioscanner davanti alla porta. “Quattro tracciati biologici. Umani…”

“Niente Vanir! Meglio così, un problema in meno.”

“…di cui due sono fuori fase.”

Tradotto, ci sono due cadaveri.

E’ questione di attimi prima di trovarci entrambi con una pistola in mano. Talvolta i nostri riflessi ci fanno muovere prima ancora che possiamo rendercene conto.

“Granata stordente, tre secondi”, mi avvisa prendendo dalla borsetta una sfera di metallo grande all’incirca come una pallina da tennis.

“Sì, può andare. Ora, vediamo un po’ cosa abbiamo qui…”, mormoro chinandomi a studiare la serratura, per poi trafficare qualche secondo con un passepartout magnetico.

“Trenta secondi per aprirla. Allucinante. Ricordami di cambiargli le batterie”, borbotto schifato infilandolo al suo posto nella cintura multiuso.

“Ne prendo nota, signore”, commenta lei, socchiudendo lentamente la porta. Lascia scivolare la granata sul pavimento e richiude frettolosamente. Poco dopo una forte scarica elettrica seguita da due tonfi sordi ci informa che possiamo entrare.

“Libero”, sussurro sgusciando nella cabina.

“Merda”, aggiungo quando vedo i due piloti a terra con la gola tagliata. I due dirottatori sono sul pavimento pure loro, ed Eva si precipita subito ad ammanettarli. La prudenza non è mai troppa.

“Secondo te le hostess sanno pilotare quest’aggeggio in casi d’emergenza?”, mi domanda, sinceramente preoccupata, mentre mi chino a controllare inutilmente il battito dei piloti.

“Non lo so, ma se diciamo quello che è successo ad una hostess… beh, prima di tutto finiamo nei casini, e poi ci faranno atterrare comunque al Kennedy. A noi serve arrivare a Firenze.”

“Ma capiranno comunque che qualcosa non va se dalla cabina ci sarà silenzio per il resto del volo! Non avrai intenzione di…”

“Ho esattamente intenzione di, Tenente. Frizione, freno e acceleratore, no?”, chiedo indicando i due pedali. I due pedali. “Niente frizione. Si vede che è a cambio automatico.”

La sua occhiata glaciale mi trapana la schiena mentre mi siedo al posto del comandante.

“Piantala, Eva, stavo scherzando”, sbuffo infilandomi le cuffie. “Non ho mai fatto pratica su questo tipo di velivolo, ovviamente, ma abbiamo in memoria tutte le manovre necessarie. E poi andiamo, quale sarà mai la differenza fra un 747 ed un 9900? Sempre Boeing sono.”

“Fantastico. Davvero fantastico. Cosa ho fatto di male nella vita per meritarmi questo?”

Mi hai respinto, quindi non ti azzardare a lamentarti, mia cara.

“Richiama Rocky Point, spiega la nostra situazione e guarda se ci possono aiutare in qualche modo… Ah, e fammi anche un controllo su chi sono quei due”, aggiungo indicando con un cenno del capo i due assassini mentre accendo l’interofono.

“Signore e signori, è il vicecomandante che vi parla…”, comincio nel tono più professionale che riesco a tirar fuori, “…sono lieto di informarvi che il problema tecnico di poco fa è stato risolto. Abbiamo appena ripreso la rotta per Firenze, ed il nostro arrivo è previsto per le undici meno dieci, ora locale. Mi scuso a nome dell’equipaggio per il contrattempo e per i disagi che può avervi arrecato, e vi auguro un buon proseguimento di volo. Grazie dell’attenzione.”

Un problema in meno, spero.

“Abbiamo il capotecnico in linea…”

L’oloproiettore da polso non è mai stato un granché in quanto a risoluzione, ma in questo caso va benissimo. Beh, accidenti, in questo momento mi andrebbe bene anche se dovessi ascoltare istruzioni dettate in morse.

“E così ci risentiamo di già, eh, Comandante?”, gracchia la tremolante sagoma azzurrina, allegra come sempre.

“Con tutto il rispetto, Dawson, ne avrei fatto volentieri a meno…”, brontolo cercando di orientarmi nell’oceano di comandi che ho di fronte. Dimenticavo che quattro secoli fa il volo atmosferico era un po’ più complicato di quello di adesso. “Non è che per caso ha a portata di mano il manuale del piccolo dirottatore?”

“Cosa-sta-succedendo-lassù?”, chiede dopo una lunga ed eloquente pausa di silenzio.

“Abbiamo fatto quello che ci ha chiesto, solo che i piloti hanno la gola tagliata e non ci possono aiutare. Perciò gradiremmo una mano per portare a terra questo bestione.”

Altra pausa di silenzio.

“Mi sta dicendo che voi due siete nella cabina di pilotaggio di un aereo con a bordo quasi seicento persone, e non siete capaci di farlo atterrare?”

“Non facciamo i tragici, adesso… se mi supporta nelle manovre sono certo che tutto si concluderà nel migliore dei modi.”

“Bene”, geme, “Benissimo. La Novikova mi ha detto che avrei dovuto girarvi i satelliti, non aiutarvi a portare a spasso aerei di linea!”

“Dawson, si calmi e cominci a spiegare all’aviazione che possono anche far atterrare il caccia che ci hanno appiccicato addosso. Poi… suggerimenti sulla prima mossa da fare per non far cadere questo coso?”

“Non c’è un autopilota sui voli di linea?”

“Dovrebbe… un attimo che lo cerco.”

Scorro rapidamente tasti, leve e schermi prima di trovarlo.

“Eccolo. Non ha alcuna destinazione selezionata, al momento.”

“Bene, la imposti su Firenze mentre io faccio quattro chiacchiere con i controllori del JFK.”

“Fatto… adesso?”

“Adesso cominci a pensare ad una balla da raccontare all’equipaggio, perché ne avete uno stramaledetto bisogno.”

“Tutto qui?”

“Le sembra una cosa da poco?”

“Intendo dire per quanto riguarda le manovre di volo.”

“Non si chiama pilota automatico per niente. In teoria dovrebbe anche essere in grado di farvi atterrare.”

“In teoria? Quindi…”

“Quindi in pratica si disinserisce automaticamente a cento piedi dal suolo. Vi conviene imparare alla svelta, signori, se volete tornare tutti interi a casa.”
 

. . .

 
“Dawson, se riesco a far atterrare questo ammasso di ferraglia giuro che la sua pizza gliela faccio ingoiare con cartone e tutto!”

“Preferirei di no, Comandante, il cartone è terribilmente indigesto.”

“Dawson, porca miseria…”

“Ho capito, ho capito, basta così. Torniamo a noi… abbiamo un nome per i vostri due nuovi amici. Si tratta di Luis Janicki e Ray Rodriguez, rispettivamente trentotto e quarantuno anni, entrambi con precedenti per crimini minori… piccoli furti ed una rapina a mano armata, nulla che possa far pensare al perché abbiano deciso di far saltare il vostro volo. Residenti a…”

“Qualcuno li sta usando”, commento con semplicità.

“Complimenti, Comandante, un’intuizione degna del grande Poirot! Mi chiedo come faremmo senza di lei!”

“Dawson…”, ringhio.

“Sì sì, certo, la pizza ed il cartone. Dicevo… li avete stesi, quindi saranno a nanna per altre dodici ore, immagino. Non credo di poter richiedere al governo italiano un posto discreto in cui fare un interrogatorio con le nostre… chiamiamole procedure invasive. Non abbiamo agganci a livelli così alti nell’amministrazione Berlusconi, quindi la scelta più logica è procedere con una richiesta di estradizione e poi farli spostare qua a Rocky Point.”

“Ma ci vorranno secoli!”, obietta Eva.

“Gli Stati Uniti hanno garantito la completa collaborazione. Provvederanno loro a… ah… velocizzare le cose.”

“Bah. Per me è un’idiozia.”, insiste lei.

“Siamo in una società civile, Tenente! Beh, per quanto possa esserlo il ventunesimo secolo… fatto sta che non si trascinano due persone in un motel per fare domande, non senza attirare sospetti.”

“Potremmo sempre provarci.”

“Non diciamo idiozie!”

“Capotecnico, le assicuro che…”

“Bambiiiini! Fate i bravi!”, li richiamo, scocciato. “Piuttosto, cercate di trovare un modo per farci scendere dall’aereo… possibilmente senza trovarci i Marines con i mitra spianati all’aeroporto.”

“In Italia hanno i marines?”, chiede interessata Eva.

“Ma ti sembra una domanda da fare in questo momento?”

“Chiedevo soltanto!”

“Bambiiiini!”, ridacchia l’ologramma, guadagnandosi un’occhiataccia da parte mia. “Sìsì, faccio il serio. Dunque, vediamo… per giustificarvi a Firenze potreste spacciarvi per agenti speciali che…”

“Agenti speciali? Dawson, accidenti, dimostriamo vent’anni al massimo!”

“Sono un tecnico, non un falsario. Se avete idee migliori sarò lieto di sentirle”, sbuffa infastidito.

“Oltretutto servono idee che non ritardino le operazioni di sbarco… Cullen e Swan a quanto pare hanno i minuti contati”, interviene Eva.

“Vorrei tanto sapere cos’hanno da fare a Volterra.”

“Ci pensiamo dopo, ok? La domanda resta… come scendiamo?”

Il silenzio riempire l’abitacolo.

“Oh, accidenti! Ci sarà pure un modo!”

“Ci porti su, Scotty…”, sussurra Eva.

“Eh?”

“Nulla. Fantascienza del ventesimo secolo.”

“Apprezzo la citazione, signorina Cortéz, ma disgraziatamente il teletrasporto è magia, non scienza. Vediamo… che ne direste di provare con gli occultatori?”

“Li abbiamo lasciati nello zaino. Una porta, trenta metri e quattro posti più avanti”, spiega Eva.

“Bene, Tenente, li vada a prendere.”

“E come giustifico il fatto che sono scomparsa per… diciamo… tre ore?”

“Oh, siete rimasti in bagno, no? Tutte quelle storielle su ciò che succede nei bagni ad alta quota…”

Dawson!”, urliamo insieme.

“Cercavo di dare suggerimenti…”

“Lei è un pervertito”, sbuffo irritato, concentrandomi su un indicatore a caso del quadro comandi. So di essere più rosso della bandiera di Altair in questo momento, e sto facendo il possibile per far finta di niente.

“Può darsi, ma sono un pervertito che vi deve fare atterrare sani e salvi… Perciò, signori, datevi da fare. Prendete gli occultatori, vi occultate, sgattaiolate fuori da aereo ed aeroporto, mantenete un basso profilo. Tutti felici e contenti, e poi tornate a casa con il prossimo volo. Un lavoretto pulito.”

“A parte i due cadaveri che abbiamo qui.”

“Beh, mettete i dirottatori sui sedili… così potrebbe sembrare che abbiano portato loro a terra l’aereo. No?”

“Sì, e magari è grazie a Babbo Natale se quei due non l’hanno fatto cadere su Firenze. Insomma, siamo seri!”

“Non è stagione per Babbo Natale. E’ in ferie in Austr…”

“Dawson, io la picchio. Giuro che prima o poi la picchio.”
 

. . .

 
La pesante porta blindata si apre e si richiude rapidamente.

“Presi?”, chiedo quando la testa di Eva riappare dal nulla in mezzo alla cabina, seguita dal resto del corpo.

“Lasciamo perdere”, si lamenta strofinandosi le mani sulle braccia, come a scacciare un fastidioso prurito. “Una hostess era seriamente intenzionata a farmi due domande, ed ho dovuto occultarmi dietro la tenda fra la prima e la seconda classe. Ah, l’equipaggio comincia a sospettare che ci sia qualcosa che non va. Pronostico altre due ore di calma, al massimo, prima che qualcuno venga a bussare”, sbuffa mentre mi lancia il mio zaino. “Dawson?”, domanda notando l’oloproiettore spento.

“In videochiamata con le autorità statunitensi competenti, per la faccenda dell’estradizione.”

“Ah.”

Si siede sospirando sulla poltrona del copilota, abbandonandosi sullo schienale, mentre io resto zitto e concentrato sui comandi.

“Avanti, sputa il rospo”, intima poco dopo.

“…prego?”

“Ho detto sputa il rospo. Non è da te stare zitto per tutto questo tempo. Hai intenzione di tenermi il muso ancora per molto?”

Resto interdetto un momento.

“Ma ti sembra il momento per tirare fuori un discorso del genere?”

“Adesso, dopo, che differenza fa? Prima chiariamo e meglio è”, afferma decisa.

“Chiariamo? Non mi pare ci sia molto da chiarire”, replico secco. Non che questo la fermi.

“Oh, sì che ce n’è. Non ho nessuna intenzione di lavorare con un depresso cronico, sappilo!”

“Ti dispiace se prima facciamo atterrare ‘sto coso, e parliamo dopo dei nostri problemi di coppia?”

“Sì, e molto anche. Se vuoi che me ne vada, non hai che da chiederlo.”

Eh?

“Ma cosa stai dicendo?”

“E’ da… da quando ti ho detto no che sembri essere tornato indietro di sei mesi! Hai intenzione di blindarti così ad ogni delusione che ricevi?”

“Scusa tanto se ci sono rimasto male!”

“Un conto è rimanerci male, un altro è autodistruggersi!”

“Non mi sto… Beh, ok, forse un poco, ma…”

“Niente ma! Dimmelo chiaro e tondo se preferiresti continuare senza di me!”

Ma perché?

“Io non ho mai detto nulla di simile!”

“E’ proprio questo il punto! Tu non dici… non posso essere sempre io quella che deve interpretare i tuoi silenzi!”

“Nessuno ti ha mai chiesto di farlo”, ribatto acido.

“Già, comincio a chiedermi persino io cosa me lo faccia fare. Forse avrei fatto meglio a lasciarti piangere addosso ancora un po’, se questa è tutta la maturità che sai dimostrare…”

Fa male.

Fa male perché ha ragione, ma non è certo mia intenzione dargliela vinta.

“Forse avresti fatto meglio a startene zitta, in questo momento…”, sibilo ignorando il malessere che sento dentro.

“A tua differenza, io non passo sopra ai problemi come se nulla fosse. Tira fuori le palle ogni tanto, cazzo, e dì le cose come stanno!”, urla lei.

“Non c’è che dire, hai centrato il punto. Forse avrei dovuto pensarci prima… ma è evidente che in questo momento tu sia troppo occupata a fantasticare di quel tredicenne per riuscire a formulare un pensiero logico coerente… Lo sai che si chiama pedofilia, vero?”

Come se fosse colpa di Seth se lei mi ha detto no. Non mi importa, è più facile pensarla così.
Non so nemmeno io da dove tiro fuori tutta questa cattiveria, né tantomeno perché la riversi tutta su di lei. Lei che non mi sarei mai immaginato di poter anche solo pensare di ferire. Lei che mi sta fissando allibita, tremante di rabbia.

 “Come…”, deglutisce rumorosamente, “come osi anche solo…”

Cerca di tirarmi uno schiaffo, ma le blocco la mano a distanza di sicurezza dalla mia faccia.

“La verità fa male, eh?”, rimarco, sadico.

“Mollami”, ringhia lei.

Eseguo.

“Non ti azzardare… non ci… oh, non provare nemmeno a parlare, schifoso…”

“Lo schifoso vedrà di starsene zitto, allora”, la anticipo.

“Bene”, borbotta lei, affondando il più possibile nel sedile, voltando la testa dall’altra parte.

“Bene”, ripeto io, concentrandomi sui comandi, ignorando la sensazione di vuoto che torna a farsi sentire dentro di me.

. . .

 
“Torre di controllo ad American 5368, avete l’autorizzazione per l’atterraggio.”

Bene, si comincia. Punto uno, ridurre la velocità… i motori vanno su ‘idle’…
Traffico con i comandi, e sento l’aereo rallentare con qualche scossone. Molto bene.

“Siamo a trecentocinquanta nodi”, mi informa seccamente Eva, evitando accuratamente di guardarmi.

Sposto la cloche verso il basso con una lentezza angosciante, mentre attendo che la strumentazione mi confermi che ora abbiamo un’inclinazione negativa di tre gradi. Inserisco nuovamente l’autopilota, per assicurarmi che l’aereo continui a scendere a 2000 piedi al minuto.

“Sotto i diecimila piedi la velocità deve essere inferiore ai duecentocinquanta nodi”, ci informa petulante l’ologramma di Dawson. Sì, di questo passo dovremmo farcela.

Ha annusato l’aria al vetriolo che si respira nella carlinga, ed è tornato in quattro e quattr’otto alla modalità serio professionista ligio al dovere senza chiedere nulla. Altro che una pizza, dovrei regalargli un forno intero.

Cinquemila piedi, centottanta nodi. Tutto è come dovrebbe essere.

Centosessanta nodi. Eva abbassa il carrello, mentre io spengo il pilota automatico per completare la sequenza di avvicinamento.

“Flap inclinati di venti gradi. Com’è l’assetto?”, ordina il capotecnico. Mi sembra di essere tornato al mio primo giorno di volo all’Accademia.

“Negativo tre gradi, flap giù di venti”, ripeto, obbediente. Adesso viene il peggio.

Cento piedi. Riduco il motore al minimo, attendendo il contatto con il suolo.

Bump. Il primo di una lunga serie.

Non è esattamente la mia idea di atterraggio delicato e morbido, ma può andare. In ogni caso, un bump con scossoni indesiderati è sempre meglio di un crash con esplosioni allegate.

“Inversori di spinta e motori a tre quarti… velocità ad ottanta nodi… via gli inversori, giù con il freno delle ruote, Comandante. Adesso potete anche respirare, siete a terra.”

“Dawson… le devo la vita, credo.”

“Figuriamoci, per così poco… veda di non dimenticarsi della pasta, allora, mi raccomando!”

Seguo le indicazioni della torre di controllo e parcheggio in qualche modo il velivolo dove deve essere parcheggiato. In perfetto orario, noto soddisfatto mentre i passeggeri cominciano a scendere.

“Direi che è arrivato il momento di tagliare la corda, signori… buona fortuna”, mormora l’ologramma.

“Ne avremo bisogno, capotecnico. A fra poco.”

Spero, aggiungo mentalmente spegnendo l’oloproiettore ed indossando il necessario per l’occultamento.

“Pronta?”, chiedo atono ad Eva, impegnata a sistemare i falliti dirottatori sui sedili. Non so chi potrebbe mai credere che quei due hanno riportato a terra l’aereo che volevano dirottare, ma è sempre meglio che dover stare a giustificare la nostra presenza.

“Sì”, risponde.

“Hai cancellato le impronte e…”

“Non sono una novellina, se te ne sei dimenticato. So come funzionano queste cose.”

Annuisco. Tre ore di silenzio mi hanno ucciso, e mi hanno fatto capire che forse ho reagito un po’ troppo duramente. Non ero io il primo a dire che mi sto comportando da idiota? Però anche lei, caspita, poteva andarci giù un po’ più leggera! Non voglio dover continuare a litigare, ma se le chiedessi scusa adesso lei la prenderebbe come una sua vittoria. Vorrei che anche lei capisse che ha sbagliato. Poi beh, vorrei anche che mi baciasse, ma immagino sia domandare troppo.

Però… ad andare avanti così non ci riesco. E' come se mi mancasse l'aria. Quindi alla fine borbotto un qualcosa che suppergiù suona come skufrgnp.

“Hai detto qualcosa?”

Il suo tono non è più odioso come prima. E’ tornato quello della Eva di sempre.

“Skufrgnp”, ripeto, impegnando tutta la mia attenzione sui controlli del sistema di occultamento.

“Dispiace anche a me”, risponde con un filo di voce, dopo un po’. “Non volevo dirti quelle cose. Cioè, sì, credo che tu debba prendere le cose un po’ più alla leggera, ma non intendevo essere così cattiva.”

Oh.
Credo che adesso tocchi a me ammettere di aver sbagliato.

“Io… ritiro quello che ho detto su Seth. Vorrei non averlo mai pensato”, confesso.

“Sarà infantile ma… pace?”

“Sì, pace.”

Convinco le mie labbra a stiracchiarsi in una passabile imitazione di un sorriso, mentre i miei sentimenti si mettono a ballare la samba. Hai fatto pace, hai fatto pace, continuano a ripetermi come dei bimbetti felici.

Come ho fatto a litigare con lei? Come ho potuto ferirla?
Non ci credo. Mi sto arrabbiando con me stesso per essermi arrabbiato con lei.
Forse dovrei cominciare a preoccuparmi.

- - -

 
“Beh, su, ce l’abbiamo fatta!”, gongola entusiasta Eva al mio fianco, forse con troppo entusiasmo per apparire completamente sincera, fermandosi ad osservare interessata i manichini nel negozio di Prada. Sì, siamo sgusciati fuori dall’aereoporto prima che venisse dato l’allarme, e cosa abbiamo ottenuto? Un’intera giornata di shopping in attesa del prossimo volo. Forse sarebbe stato meno stancante cercare di rispondere alle domande della polizia.

“Ti prego, piantala”, replico secco, riprendendo a camminare. Quando mi accorgo che lei non ha intenzione di schiodarsi da lì senza aver analizzato fino all’ultimo angolo dei capi in esposizione torno indietro sbuffando.

“Ok pace e tutto, ma questo non significa che adesso faccio tutto quello che mi dici!” insisto mentre resta indecisa di fronte al prezzo di un cappellino. “Ed è inutile che continui a guardarlo, con la pioggia che c’è a Forks non lo useresti mai.”

“Sì, ma è bello.”

“Hai intenzione di partecipare ai party notturni di La Push? Immagino che con quel coso addosso faresti schiattare di invidia tutte le altre ragazze della riserva…”

“Non ho bisogno di quel cappello per essere bellissima”, mi risponde con aria civettuola, chiudendo gli occhi ed alzando il naso in aria mentre scuote la testa. No, hai ragione, non ne hai bisogno, litigata o meno… Sei perfetta così, con quegli occhi in cui mi perdo tutte le volte che ti guardo, quelle labbra che volentieri…

“Ehi, sto parlando con te!”, mi riprende ridendo, agitando la mano davanti alla mia faccia.

“Non stavo seguendo”, biascico imbarazzato. Beccato, di nuovo.

“Dicevo che dovresti approfittarne, visto che siamo in Italia.”

“E’… un avvenimento così eclatante?”, chiedo confuso.

“Ma mi prendi in giro? E’ la boutique della moda mondiale! Beh, sì, c’è anche Parigi, ma…”

Ho le idee sempre più ingarbugliate.

“Dalle mie conoscenze socioculturali, la passerella della moda era Milano.”

“Oh, dettagli! Tutto il mondo è paese, dovresti saperlo…”, sbuffa impaziente, spostandosi due negozi più in là. Gucci, stavolta.

“Eva, dobbiamo passare tutta la via così?”

Soffoco un gemito al pensiero che non siamo nemmeno a metà. Ci sono ancora molti, molti negozi. Troppi.
Lei borbotta qualcosa terribilmente simile a maschi!, senza staccare gli occhi dalla vetrina.

“Potresti comprare qualcosa anche tu…”, aggiunge.

“Ah no, non ci provare.”

Si volta a guardarmi, sorridendo.

“Se curassi un po’ di più il tuo modo di vestire staresti molto meglio, secondo me.”

In un nanosecondo tutte le mie obiezioni vanno a farsi benedire.

Fregato.
 

- - -

 
Casa, dolce casa. La Push ci ha nuovamente accolto fra le sue fredde braccia, riservandoci un nubifragio extra per farci capire quanto sia felice di riaverci nel conteggio abitanti. Ne avrei fatto volentieri a meno, francamente, anche se vicino ad un caminetto scoppiettante porsi problemi per via del tempo sembra un’assurdità.

E’ più rilevante cercare di capire come accidenti ha fatto Eva a farmi tornare carico di borse e pacchetti. In genere non cedo a queste cose… mi sto rammollendo troppo, ed è inutile che cerchi di giustificarmi con un l’ho fatto per non litigare ancora. Ho accatastato tutti quei vestiti che non indosserò mai nell’armadio in camera. Beh, potrei sempre riciclarli come regali. Per chi, non ne ho idea.

“Un Range Rover?”, le chiedo dalla poltrona in cui sono accoccolato, con la rivista di automobili aperta davanti a me. Dobbiamo ancora decidere se dire o no ad Embry che gli abbiamo prima rubato e poi fuso l’auto, prima di presentarci a casa sua con un fuoristrada nuovo di zecca.

“Non è un po’ troppo eccessivo?”, mi urla lei di rimando dal bagno, dove si sta lavando. “Va bene chiedere scusa per bene, ma non esagerare. Che ne dici di una Touareg?”

E che diavolo è?, mi chiedo mentre scartabello rapido le pagine. A me Tuareg fa venire in mente solo dromedari, veli blu e tè alla menta.

“Una Volkswagen!”, mi aiuta mentre la sento chiudere l’acqua ed uscire dalla doccia.

Ah, eccola. Costa meno della metà di un Range Rover… sicuramente un punto a favore, perlomeno per quanto riguarda la nota spese. Per il resto… boh, a me sembrano tutte uguali.

“Fidati, andrà bene”, dice entrando in salotto, frizionandosi i capelli bagnati con un asciugamano. Perlomeno non è in accappatoio, il che mi evita di dover scacciare certi pensieri non esattamente casti che…

No, merda, ci sto pensando di nuovo!

Prendo un profondo respiro, liberando la mente mentre lei continua a cianciare di motori e servosterzo e trazione integrale e non so che altro. E’ normale che dopo averci litigato mi fermi a guardarla anche più di prima?

“Va bene, va bene, mi hai convinto. Touareg sia”, mi arrendo, più per interrompere il suo monologo tecnico che per altro. Oh, sì, starei ad ascoltarla per ore, ma magari mentre parla di argomenti un po’ più comprensibili.

O piacevoli.

Oppure…

“Comincio a chiedermi se riuscirò mai a sostenere una discussione con te senza uscirne vincitrice”, commenta soddisfatta, per poi guardarmi preoccupata quando si rende conto che ha appena violato la tacita regola non parliamone più. Fingo di non aver colto l’involontaria allusione.

“Non era una discussione!”, protesto con forse troppa foga, “Piuttosto uno… scambio di opinioni, ecco. E considerando come io sia digiuno dell’argomento, il risultato è piuttosto scontato.”
Ottima scusa, davvero.

“Sì, d’accordo…”, ridacchia, in parte per la mia risposta ed in parte per l’imbarazzo della gaffe. “Allora, quali erano i tuoi piani per il pomeriggio?”

“Non vorrai uscire di casa!”

Si sta così bene al chiuso… io, te… potremmo parlare… potresti ripensare alla tua decisione… potremmo fare pace in maniera più seria… potremmo essere felici…
Sì, certo, poi magari potrei anche vincere alla lotteria e ritirarmi in pensione anticipata a Los Angeles. Avanti, sforziamoci di essere realisti.

“Allora?”

“Allora cosa?”

Come al solito mi sono perso un pezzo di discorso.

“Ti ho chiesto cosa preferiresti guardare”, spiega pazientemente agitandomi davanti al naso il porta DVD.

Faccio spallucce.

“Per me…”

“Azzardati a dirmi per me è lo stesso, scegli te e stasera dormi fuori, sappilo”, ringhia esasperata dal mio comportamento accomodante.

Ahia.

“…per me è meglio Dies Irae”, mi correggo all’ultimo, salvandomi in corner.

“Già meglio. Ci diamo ai film apocalittici?”

Ci diamo all’unico film senza sottotrame amorose rilevanti, è diverso.

“Due risate non hanno mai ucciso nessuno, ed io non l’ho ancora visto. Non mi andava molto ridere, quando è uscito due mesi fa.”

Mentre adesso ne ho un disperato bisogno, temo.

“Capisco”, risponde con finta noncuranza, infilando il DVD nel lettore. Gentile da parte della sezione tecnica averci convertito in 2D un paio di olofilm appena usciti.

“Adesso invece ti va? Di ridere, intendo.”

“Sicuramente meglio che piangere.”

Piangere non è servito granché, a parte farmi sentire un perfetto deficiente con capacità mentali paragonabili a quelle di un paracarro e a farmi litigare con lei.

- Il monastero del Sacro Ordine delle Sorelle della Divina Provvidenza sorgeva in una posizione relativamente isolata lungo il corso del Bull Run, ad una ventina di chilometri dalla periferia di Portland, e di questo Suor Cecilia era maledettamente contenta, comincia la voce del narratore esterno dopo i titoli di testa e l’inquietante colonna sonora. Sullo schermo una sgangherata auto si sta arrampicando lungo una serie infinita di tornanti, puntando verso un piccolo convento visibile in lontananza. Spero che sette suore decise a fronteggiare la fine del mondo riescano a distrarmi per un paio d’ore…
 

. . .

 
“E’ pronto!”, urla Eva dalla cucina. Poco dopo sento l’inconfondibile rumore della pasta che viene scolata. Grazie al cielo la premiata ditta Cullen&Swan ha scelto l’Italia e non l’Inghilterra come meta per la loro scappatella. La nostra dispensa si rallegra per la loro decisione, e noi con lei.

“Ho sentito il nostro caro amico Dawson mentre ti lavavi”, mi informa mettendo in tavola due porzioni enormi di pasta al pesto, “sai cos’hanno fatto di bello le nostre due amiche?”

“Cosa?”, domando distrattamente, fissando con desiderio il piatto di spaghetti mentre mi siedo e comincio un delicato dibattito interiore sulla necessità o meno di aggiungere il parmigiano.

“Hanno rubato una Porsche, di un discreto giallo acceso, tra parentesi, e sono schizzate a Volterra neanche avessero visto gli Illuminati.”

“Sei gelosa perché la piccoletta è andata più forte di te in strada?”, domando innocentemente.

“Eh? Certo che no! E poi non vale, io non ho una macchina da corsa!”

“Sì, certo, certo…”, mormoro soddisfatto. Un punto per me.

“Oh, ti odio”, sbuffa.

“Lo sai che non è vero”, sorrido smagliante, per quanto avverta che ci stiamo nuovamente dirigendo su un terreno minato.

I colpi alla porta mi aiutano a cavarmi d’impiccio. Quando vado ad aprire mi ritrovo davanti metà dei ragazzi della riserva, seminudi sotto il diluvio, con fare piuttosto minaccioso.

“Sì?”, chiedo, sorpreso e vagamente scocciato per la visita inaspettata.

“Dobbiamo parlare. Adesso”, annuncia laconico Sam.


***
N.d.A.: Ok, sono in megaipersuperstraritardo apocalittico. Perdono, ma ho avuto un fantastico parziale venerdì 17, che a momenti saltavo causa neve (quando si dice la sfiga...), e 'sto dannatissimo capitolo non ne voleva sapere di scriversi. Anche stavolta è venuto fuori completamente diverso da come l'avevo pensato all'inizio (mi sono convinto che per le sparatorie a diecimila piedi esistono i film tipo Air Force One), ma vabè. Sono felicerrimo di sbatterlo via e poter finalmente pensare ad altro. Per farmi perdonare, comunque, pubblicherò a brevissimo anche l'intermezzo tre, che tanto è praticamente già scritto. Tanto per fare il bbbastardo, per intenderci... ma d'altronde, chissà cosa avrà mai da dire Sam ai nostri intrepidi eroi? -.-"

Poi, tanto per chiarire, non ho la più pallida idea di come far atterrare un 747. Ringrazio i fanatici di Microsoft Flight Simulator per aver condiviso in rete una lista dettagliatissima sui comandi da usare.
E sognatevi di poter passare così tranquillamente il metal detector, specialmente se siete di fretta. Lo dico per esperienza personale.

Bene. Arrivato a questo punto, non mi resta che dirvi a presto, mie affezionate lettrici!
(se c'è anche qualche lettore, che faccia un colpo)

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Capitolo 12
*** Intermezzo 3: Cry havoc, and let slip the dogs of war! ***


- INTERMEZZO TRE: Cry havoc, and let slip the dogs of war! -

 
“Lilith, Lilith… cosa dobbiamo fare con te?”, domandò retorico Aro, passeggiando in piccoli cerchi intorno alla vampira immobilizzata dalla presa ferrea di Felix. “Lo sai, ci sono alcune regole che vanno rispettate… sarebbe il caos, altrimenti. Il disordine, l’anarchia assoluta.”

“Le tue regole non mi riguardano, Aro!”, sputò lei, interrompendosi con urlo quando la massiccia guardia al suo fianco le staccò un dito.

“Per favore, mio buon Felix! Sono convinto che la qui presente signorina abbia bisogno di un ripasso delle buone maniere, ma non credo che la violenza sia il modo migliore per spiegarglielo”, lo rimproverò con calma il capo dei Volturi. Felix grugnì un assenso, chinando il capo in segno d’obbedienza.

“Uccidimi, Aro, e falla finita con i tuoi giochetti”, borbottò lei.

“Oh! No, no, no… mia cara, non è certo nostra intenzione ucciderti!”, esclamò inorridito. Le serviva, ed eliminarla avrebbe mandato all'aria i suoi piani. Era una delle burattinaie più talentuose che avesse mai incontrato, perfetta per ciò che aveva in mente. Scoprire che gli umani riuscivano ad interferire con il potere di Kain era stata una sorpresa sgradita, ma fortunatamente aveva trovato una soluzione, concludendo un patto equo, tutto sommato. I suoi… soci erano gente strana, ma tremendamente affascinante.
Gente? Oh, gli umani non li avrebbero classificati così. Beh, tanto peggio per loro.

“Allora ti spiacerebbe spiegarmi perché questo bestione non mi vuole mollare?”

“Mia cara Lilith, hai cercato di infrangere la nostra regola più importante… cacciando in Europa! Hai così tanta fretta di farti scoprire dagli umani?”

“Avevo sete”, rispose seccamente. “Non mi importa se mi scoprono… non riuscirebbero a prendermi.”

Perfetto. Esattamente la persona che cercava.

“E’ stata proprio una fortuna che Felix e Demetri stessero passando casualmente da quelle parti quando la tua testolina ha partorito un’idea così stramba, non trovi?”

“Grazie a questa fortunata casualità ho saltato la cena, ed i tuoi preziosi umani sono ancora vivi. Potrei sapere quindi per quale motivo mi trovo qui?”

“Con le tue azioni hai sfidato la nostra casata, Lilith”, la informò gravemente.

“La vostra casata? La tua casata appartiene al passato, Aro. Tu ed i tuoi fratelli vi ostinate a rimanere aggrappati al ricordo di ciò che siete stati un tempo… forse dovreste aprire gli occhi. Sono gli umani a mantenere l’ordine, adesso. Buffo come ci riescano senza sapere nulla di noi, eh? Non serve una famiglia di giustizieri della notte; niente Volturi, niente Tepes, nessuno. Ce la caviamo da soli.”

“Un’idea affascinante… meriterebbe senza dubbio di essere dibattuta adeguatamente, ma sfortunatamente temo che al momento non sia possibile. La pena per la tua tentata infrazione è la morte, lo sai. Tuttavia sarò clemente, e ti offrirò una possibilità di ottenere la grazia.”

“Quale generosità!”, rise lei senza alcuna traccia di allegria. “Sentiamo, per cosa ti servo? Contro chi devo sollevare un esercito, stavolta?”

Era una burattinaia, e come tale possedeva un talento naturale nel controllo dei vampiri neonati. Peccato fosse così riottosa ad entrare in pianta stabile nella Guardia, pensò Aro. Non era la prima volta che quella scenetta si ripeteva. Aveva uno spirito decisamente ribelle… doveva assolutamente trovare il modo di costringerla.

“Nulla di troppo complesso”, la informò. “Un favore, diciamo, per un mio… nuovo amico. Devi solo dare il via ad un piccolo diversivo. Un escamotage, se preferisci.

Non trovi anche tu che la parola suoni molto meglio? Escamotage. Scivola via sulla lingua, come…”

E in cosa consiste questo piccolo diversivo?”, lo interruppe, con suo enorme disappunto.

“Una caccia ad alti livelli. Sei mai stata nella capitale, mia cara?”, domandò con tranquillità.
 

* * *

 
Irina Novikova odiava volare, sin quando da bambina aveva assistito all’incidente che per poco non era costato la vita a suo padre, appassionato di ultraleggeri. A dirla tutta odiava spostarsi su qualsiasi mezzo che non fosse saldamente ancorato a terra da almeno due ruote o cingoli, punto e basta. Perciò fu ben lieta quando una mezza dozzina di gorilla travestiti da Marines fece scorrere il portellone che la costringeva nell’angusta baia di carico della cannoniera, e fu ancora più lieta quando uno di loro l’aiutò a scendere urlando un “Benvenuta a Ginevra, signora!” nel tentativo di sovrastare il frastuono infernale degli aviogetti che mantenevano il velivolo a mezzo metro da terra.

Normalmente il malcapitato Marine si sarebbe subito un bel terzo grado su come signora fosse discriminatorio rispetto al più informale signore, ma le condizioni dello stomaco del Generale le impedirono di fare questa piccola correzione. Si ritrovò invece ad aggrapparsi al robusto braccio del soldato nel tentativo di non ruzzolare malamente a terra. Che figura.

“E’ la sua prima volta qui, eh, signora?”, insisté quello, mentre lei si ritrovava nella spiacevole situazione di dover star zitta ed ingoiare l’offesa per non vomitare anima e colazione sulla divisa mimetica dell’uomo. Sarebbe stato estremamente poco cortese, anche per un cafone del suo calibro. Cafone che comunque le stava impedendo di accasciarsi a terra in preda al malore, immagine sicuramente ancor meno edificante per la sua reputazione come donna di ferro. Decise quindi, dall’alto di questo suo momentaneo istante di immensa magnanimità, di lasciargliela passare liscia.

“Venga al coperto”, continuò lui, sostenendola con inaspettata delicatezza mentre si avviava verso l’ingresso del Palais des Nations, qualche centinaio di metri più avanti. Lei fece ricorso a tutto il suo autocontrollo per barcollare il meno possibile verso l’ingresso che sembrava distante chilometri. Stramaledettissimo mal d’aria.

“Mi dia pure il cappotto, Generale”, la accolse cortesemente un inserviente non appena entrò al coperto. Fece come le era stato detto, ringraziandolo con un cenno del capo. Non se la sentiva ancora di parlare, non senza il rischio concreto di rovinare il parquet d’epoca, ma perlomeno ora riusciva a muoversi sulle sue gambe. Il Marine la salutò e fece dietrofront, tornando alla sua postazione vicino all’eliporto.

Si sentì molto meglio qualche minuto dopo, seduta su una delle poltroncine della sala d’attesa con una pastiglia di atropina in bocca e la rilassante melodia dell’Autunno di Vivaldi nelle orecchie.
Sperò vivamente che il vago colorito verdastro del suo volto fosse, per l’appunto, soltanto vago. Di sicuro non aveva un'aria molto marziale al momento. Perlomeno con i capelli corti aveva agilmente scansato il rischio di ritrovarsi un’indomabile criniera dopo il trasferimento dall’aeroporto di Cointrin.

“Generale… prego, è il suo turno”, la avvisò la segretaria dietro la scrivania in mogano, indicando la porta che si era silenziosamente aperta.

“Grazie”, si azzardò a rispondere, varcandola ed entrando nell’ampio ufficio. Visto che il bliny* ora sembrava un poco più intenzionato a restare in fondo allo stomaco, decise di poter parlare senza pericolo. “Signor Presidente…”, salutò formalmente.

“Ah, Generale Novikova, si accomodi, si accomodi! Aspettavo con ansia di fare la sua conoscenza faccia a faccia!”, la accolse la voce profonda e raschiante di Garth Joshua MacKenzie, Presidente dell’Alleanza Terrestre.

Non lo si poteva certo definire un bell’uomo, ma aveva un certo non so che, un qualcosa che non attirava inevitabilmente l’attenzione. Il suo viso sembrava essere stato rozzamente intagliato in un blocco di legno da un artista troppo frettoloso, lasciando un naso troppo grosso, due occhi troppo infossati e due labbra troppo piene, quasi si fosse scordato di rifinirli. Tuttavia dietro quei vispi occhi grigi pulsava una vitalità che contrastava parecchio con il corpo sgraziato e con l’apparente debolezza fisica, rivelando l’inesauribile forza di volontà che gli aveva permesso di arrivare poltrona presidenziale partendo dal seggio irlandese nel Senato dell’Unione Europea.

“Gradisce un goccetto?”, le chiese, estraendo con aria circospetta una bottiglia di brandy da un cassetto della lussuosa scrivania dietro cui sedeva. “Si fidi, è roba di qualità… azienda di famiglia.”, aggiunse sogghignando.

Visto lo stress del viaggio sulla cannoniera, Novikova concluse che a conti fatti uno strappo alla regola poteva anche permetterselo, e al diavolo la buona prima impressione che si era promessa e ripromessa di fare.

“Grazie, signore, accetto volentieri.”

“Oh, bene, finalmente qualcuno che fa onore alla mia cantina! Solitamente devo sorbirmi tutte quelle balle sul genere di grazie ma non bevo in servizio…”

“Ho avuto un piccolo problema con il viaggio, signore.”, si giustificò buttando giù un’abbondante sorsata del liquido ambrato dopo il cin-cin d’obbligo, crogiolandosi nella sensazione di calore che le regalava la bevanda. Altro che atropina.

“Non le piace volare, eh?”

“Se avessi voluto viaggiare su uno di quei trabiccoli sarei entrata in aviazione, non certo nell’esercito. Sono più a mio agio con i piedi per terra.”

“Allora, Generale, mi dica… cosa la porta nell’ufficio di un povero vecchio alle dieci della mattina?”, chiese sorridendo, dando il via alla parte ufficiale della visita.

Uno dei sogni proibiti di Irina Novikova era sempre stato quello di riuscire a dire, un giorno, la fatidica frase Signor Presidente, abbiamo un problema, possibilmente mentre entrava imperiosa nel bunker corazzato sotto al Pentagono, con una dozzina di facce sconvolte che si giravano a guardarla. Era infantile, naturalmente, ma compariva seconda nella lista delle frasi da dire almeno una volta nella vita solo dietro all’inarrivabile autista, insegua quella macchina. Adesso, però, si rese conto che dirlo non aveva proprio nulla di entusiasmante.

“Signor Presidente, abbiamo un problema.”

“Uno solo? Dev’essere la nostra giornata fortunata…”

Aprì la valigetta che si era portata appresso, e ne estrasse alcuni documenti dall’aria parecchio importante. Il Presidente inforcò rapido un paio di occhiali –strano che un uomo con la sua posizione non si fosse concesso un intervento chirurgico per risolvere il difetto alla vista- e cominciò a scorrere rapidamente le pagine di fronte a lui.

“Pare che il nostro intervento di blocco del continuum spazio-temporale non sia riuscito completamente, signore. Secondo le informazioni raccolte passivamente dagli agenti della CHRONOS operanti nella nostra epoca vi sono indizi di mutamenti temporali di lieve entità in atto. E dato che Altair ha i nostri stessi problemi ad affrontare un viaggio nel tempo in questo momento… ciò conferma che vi sono nuovi elementi in gioco.”

“Un altra fazione è scesa in campo? Deneb? Spica?”

“Lo escludo. Non abbiamo alcun indizio che suggerisca il loro successo nello sviluppo di una tecnologia temporale stabile. L’ultimo fallimento di Spica, in particolare, è stato… pirotecnico a dir poco.”

“Una stazione spaziale in meno”, commentò lui con noncuranza, probabilmente ripensando a quella che era stata la notizia del giorno, tre settimane prima. “Quindi devo supporre che esistano altri modi per viaggiare nel tempo oltre a quelli di nostra conoscenza, e che Altair ci stia giocando?”

“Non ne ho la più pallida idea, signore.”, ammise. “I tecnici sono al lavoro ventiquattr’ore su ventiquattro per cercare di venire a capo del problema, ma non riescono a cavare un ragno dal buco.”

E sarà meglio che Ruddock salti fuori con un’idea molto alla svelta, o la sua sarà la prima testa a cadere. E’ colpa sua se siamo in questa merda. Sua, e mia che ho dato ascolto alle sue stronzate.

“Mi definisca il suo concetto di ‘lieve entità’ quando parla di mutamenti temporali, Generale.”

“Piccoli incidenti senza effetti concreti sulla timeline. Per ora.”

MacKenzie annuì in silenzio mentre continuava a sfogliare i documenti di fronte a sé, soffermandosi ogni tanto su qualche diagramma particolarmente complesso.

“Quanto è grave questa faccenda?”, chiese infine, togliendosi gli occhiali.

“Al momento crediamo che i nostri uomini distaccati nel ventunesimo secolo riusciranno a mantenere la situazione sotto controllo, anche se non siamo in grado di comunicare con loro. Tuttavia, l’idea che qualcuno sia riuscito a sviluppare un portale temporale che non faccia uso di tachioni è preoccupante. Ancor più se si considera che l’ha fatto a nostra insaputa.”

“In pratica, quella bomba che doveva risolvere tutto in uno schiocco di dita ha combinato solo danni, e ci ritroviamo con tante domande e poche risposte.”

“Mi dispiace ammetterlo, signore, ma è così. I tecnici sono convinti che il flusso tachionico sia l’unico motore possibile per il viaggio nel tempo, ma arrivati a questo punto…”

“Lei crede che sia ancora colpa di Altair?”

“Non possiamo confermare né smentire quest’ipotesi”, osservò con cautela.

“Bah. Voi e la vostra mania per le certezze assolute. A proposito di Altair, cosa mi sa dire di questi supersoldati? I… Vanir, come li chiamate qui. E’ da Aprile che Dessau mi fa una testa così con le informazioni raccolte dall’AID sulla risposta altariana al programma Aesir, e non gli ho mai dato troppo ascolto. Dover riconoscere che avevo torto sarebbe oltremodo seccante.”

“Non molto, a dire il vero, se non che finalmente sono stati visti in azione. Due agenti impegnati in attività di routine nel passato ne hanno incontrato uno mentre attentava alla vita di un’indigena, e hanno provveduto ad ingaggiarlo immediatamente. Dallo scontro è emerso che si tratta di entità umanoidi con rapidità ed agilità migliorate, epidermide corazzata ed impianti ottici dalle potenzialità sconosciute. Fatto sta che l’unità 027 ne ha confermato l’eliminazione ad opera di ignoti. Per il momento non sembrano essere una minaccia così pressante.”

Riferirsi agli uomini sotto il suo comando come unità le faceva accapponare la pelle, ma non era il momento per perdersi in discussioni etiche.

“Ignoti? C'é qualcun'altro laggiù, oltre a noi ed Altair?”

“E’ il motivo per cui ho preferito tenere in piedi l’operazione a Seattle, invece di sostituire gli Aesir con agenti normali. Prudenza.”

“Ha fatto bene, Generale. Ma via, siamo seri… epidermide corazzata?”, domandò con una punta di divertimento nella voce. “Hanno incrociato un uomo ed una tartaruga, per caso?”

“Pare che l’unità 014 abbia riportato la frattura del radio sinistro durante la breve colluttazione, mentre cercava di colpirlo al collo. Hanno la pellaccia dura, senza dubbio.”

“Soldati corazzati… credo che sarebbe una tecnologia interessante da replicar…”

Venne interrotto dall’irruzione improvvisa di un intero plotone di agenti dei Servizi Segreti ad armi spianate.

“Modulo uno, situazione C! Proteggete il Presidente!”

“Sbarrate le uscite!”

“A terra, signore, a terra!”

Irina Novikova ebbe tre secondi scarsi di tempo per realizzare cosa stesse succedendo, prima di ritrovarsi stesa sul pavimento dietro la massiccia scrivania di mogano, tenuta giù da un colosso di due metri buoni.

“Stia giù, signora!”

“Ma per piacere!”, sbuffò sgusciando via dalla presa del suo scudo umano ed estraendo la fidata Smith&Wesson SD300 dalla fondina, facendo capolino dal riparo provvisorio. Fu in quel momento che le cose cominciarono a succedere una dietro all’altra.

Prima la porta divelta dai cardini volava dall’altra parte della stanza, schiacciando due uomini della sicurezza e lasciando entrare cinque sconosciuti ringhianti.

Poi la mitragliatrice sopra la scrivania – un attimo, quella da dove sbucava? – sbriciolava il primo degli intrusi.

Dopodiché il caos.

Armi sparavano tutte insieme.

Urla.

Sangue.

Un moncone di braccio colpiva la parete poco sopra la sua testa e le cadeva addosso.

Il suo angelo custode veniva sollevato di peso e squartato sotto ai suoi occhi.

E quei pazzoidi miravano a MacKenzie. Il suo cervello si decise infine ad ingranare la marcia emergenza.


Ah no, non mentre sono in servizio io.

In una frazione di secondo Irina Novikova cercò un bersaglio, prese la mira e gli scaricò l’intero caricatore addosso.

Perché non crepa?

Il suo bersaglio si voltò a guardarla con un paio di lucenti occhi rossi, senza dare alcun segno di aver sentito i proiettili che gli erano finiti addosso.

Cazzo, un Vanir.

La manata che la scaraventò contro il muro invece lei la sentì benissimo, così come il rumore secco che indicava la lussazione della spalla sinistra.

Govno.

Il colpo di grazia tuttavia non arrivò. Uno degli Aesir della scorta le era davanti, e stava tenendo occupato il coso con un coltello. Cercò rapidamente intorno a sé qualunque cosa che potesse essere usata come arma per potergli dare una mano.

Poi avvertì un leggero formicolio alle orecchie. Cercò di ignorarlo, impegnata a sollevare con fatica un pezzo di sedia da usare come lancia, ma quello aumentò sempre più rapidamente, trasformandosi in breve in un dolore lancinante.

Esisteva solo quello, solo il dolore. Non riusciva più a pensare, oppressa da quel cupo rimbombo esattamente in mezzo alla sua testa.

Il suo cervello registrò la vetrata andare in pezzi da qualche parte alla sua sinistra, ma non fece in tempo a vedere le schegge del materiale antitutto toccare terra che aveva già perso conoscenza.
 

- - -

 
“Dove sono?”, mugolò cercando di alzarsi non appena fu in grado di riaprire gli occhi, ignorando la spalla ed il mal di testa.

“Generale, la prego! Non può alzarsi, il dottore…”, la fermò con decisione un’infermiera, spingendola nuovamente nel lettino.

Infermiera… ospedale, elaborò rapidamente mentre la sua mente tornava poco a poco in attività.

“Il dottore un paio di palle! Dov’è il Presidente?”, scattò, ora totalmente lucida, spostando la mano della donna e posando i piedi a terra.

“Non lo so, Generale! Lei si trova a…”

“Da quanto sono qui?”

“Cinque ore… signora, deve riposare! Non è assolutamente nelle condizioni…”

“Me ne fotto delle mie condizioni! Voglio un olofono, ora!”, sbraitò, alzandosi in piedi. Figuriamoci se un po’ di dolore l’avrebbe fermata! C’era un’emergenza, e lei cosa faceva? Sveniva. Sveniva, Cristo! Come una novellina alle prime armi!

“Generale, non mi costringa a chiamare la sicurezza!”

“Signorina, non mi costringa a chiedere il suo licenziamento”, ringhiò lei, barcollando fino all’oloterminale di fianco all’ingresso della stanzetta.

“Novikova”, disse dopo aver inserito la tua tessera personale nella macchina, “Chiamare numero 025.”

“Chiamata in corso… attendere, prego.”

“Fuori di qui”, tornò a rivolgersi alla malcapitata infermiera, “Non è roba che fa per lei.”

La donna restò un momento interdetta, poi uscì di corsa, probabilmente a cercare qualcuno che la aiutasse a stendere quella paziente così recalcitrante.

“Felice di rivederla tutta in un pezzo solo, Generale”, disse la voce proveniente dal piccolo ologramma.

“Abner, metta in sicurezza questa linea e veda di farmi un rapido riassunto delle ultime cinque ore. Dov'é il Presidente?”

“Al sicuro. Lo Star Force One è decollato quasi quattro ore fa.”

Si concesse di tirare un colossale sospiro di sollievo prima di continuare.

“Gli intrusi?”

“Eliminati. Sa, è stata una bella idea investire nella ricerca sulle armi soniche. A quanto pare i Vanir – ah, ecco, è confermato che fossero Vanir – sono particolarmente vulnerabili agli ultrasuoni…”

Ultrasuoni? Ecco il motivo del suo svenimento.

“…ed ora quel che resta dei loro corpi sta venendo trasferito ad Atlanta. I cervelloni sono impazienti di tagliarli a pezzettini, smontarli e vedere per bene come sono fatti dentro.”

“Bene. Altro?”

“Ecco...”, borbottò a disagio, ed allora capì che il peggio doveva ancora venire. “C’è stata una… una piccola escalation, dopo l’attentato a Ginevra.”

“Quanto piccola?”, domandò con il gelo nel cuore. Aveva un pessimo presentimento.

“La Sesta Flotta ha ricevuto ordine di cominciare le operazioni militari ad Epsilon Eridiani due ore fa. Eridiani II è sotto bombardamento, così come le postazioni repubblicane in tutto il sistema."

Ahia.

"Tuttavia, Altair ha contrattaccato a Procyon con più forza di quanto ci aspettassimo e l’Ottava Flotta riferisce che ci sono… alcune difficoltà nel contenimento. Sembra quasi che si aspettassero un nostro assalto. La cosa buona è che per ora nessuno ha tirato fuori testate a neutroni”, spiegò tutto d’un fiato. “Ah, e il Presidente ha richiesto un rapporto sullo stato del progetto Corona.”

“E’ andato fuori di melone?”, esplose lei, sentendo il mal di testa ed il dolore alla spalla sfuggire al suo tentativo di ignorarli. “Come può anche solo pensare di… lasciamo perdere. Mi faccia trovare un trasporto qui fuori, sto tornando al Pentagono. E niente storie sulle mie condizioni di salute o altre stronzate del genere, Abner”, tagliò corto, anticipando le sue prevedibili obiezioni.

Aveva perso cinque ore, saltando un incontro programmato con Ruddock e la sua equipe. Chissà se avevano trovato qualcosa di nuovo sulle anomalie di Regina.

Regina? Ti preoccupi ancora per Regina? Cazzo, siamo appena entrati in guerra.

Effettivamente Regina era l’ultimo dei suoi problemi, adesso… superare l’infermiera di turno era una questione molto più pressante.
 

* * *

 
“Ho fallito, Maestro. Edward Cullen è stato salvato.”

“Su, su, Kain… non ti crucciare. Ti sei ampiamente meritato una seconda possibilità. E le possibilità non mancheranno di certo, in futuro”, sussurrò clemente Aro, riaprendo gli occhi che aveva chiuso per poter leggere i pensieri del vampiro, appena rientrato a Volterra. “Per ora riposati. I tuoi servigi saranno richiesti nuovamente quanto prima.”

“Come desidera, Maestro.”

“Hai fatto bene a far uccidere quei due umani… ma non era meglio contattare un vampiro, Kain?”, chiese interessato. Il potere dell’ultima novità nella sua collezione personale di talenti lo affascinava parecchio.

“Credevo avrebbero completato con successo la missione”, gli rispose. “Non riesco ancora a capire cosa possa essere andato storto, in tutta sincerità. Qualcosa ha interferito… in genere gli umani si lasciano manipolare così facilmente.”

“Oh, giusto, giusto…”, mormorò meditabondo, voltandosi verso l’olovisione accesa sulla parete dell’antico salone.

“…l’unica certezza, in questi momenti confusi, è che de facto si è creato uno stato di guerra fra l’Alleanza Terrestre e la Repubblica Popolare di Altair. Il vicepresidente Callaghan terrà un discorso alla nazione fra pochi minuti, che trasmetteremo a…”

“Manipolare, sì”, ripeté con un sorriso. “Proprio la parola giusta.”

La sua parte l’aveva fatta, come da accordi. Ora toccava a loro.
 
***

* Il bliny è un tipico dolce russo, simile alla crepe, che viene servito spesso per colazione insieme a ricotta o marmellata.

N.d.A.: Come promesso, aggiornamento in meno di ventiquattro ore! Non vi preoccupate, Natale capita una volta sola all'anno. Colgo l'occasione per farvi gli auguri, allegandoci anche quelli di buon 2011 (non si sa mai). Se tutto va bene li dovrò rifare, ma tanto male non fa. Nessuno è mai morto per eccesso di auguri.

Non avete capito a chi si riferisse Aro nel suo soliloquio da buon cattivo? Perfetto, l'idea è quella. Confondervi le idee, così, tanto per. Buon Natale! (risata sadica)

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Capitolo 13
*** #9: Incontri ravvicinati del terzo tipo ***


- #9: Incontri ravvicinati del terzo tipo -

 
Farli entrare mi sembra il minimo della cortesia, anche se poi ci toccherà asciugare tutto il pavimento. Ma portarsi dietro un ombrello da casa, magari? E se ne vanno in giro a torso nudo. Spero tanto che si becchino una bronchite, così su due piedi, tié.
Sì, è la fame a rendermi irritabile.

Chiudo la porta, ed il salotto mi sembra essersi ristretto. Accidenti a chiunque li abbia cresciuti a suon di anabolizzanti… possibile che debbano essere tutti sui due metri? Per la prima volta nella mia vita mi sento basso.

“Matt… lui è Jacob, e lui Quil”, mi informa stentoreo Sam, indicando i tizi che avevano fatto scappare Embry dalla spiaggia qualche giorno fa. Sono entrati nel club, a quanto pare. Un urrà per loro.

“Non per mettervi fretta, ma ci eravamo appena seduti a tavola. Di cosa dovremmo parlare?”, chiedo dopo aver sprecato un ‘ciao’ rimasto senza risposta.

“Di parecchie cose. Per esempio… come mai avete smesso di fare i vostri giretti notturni?” Sam.

“O come mai siete spariti nel nulla per due giorni?” Quil.

“Oppure perché vi improvvisate cacciatori?” Jared.

“Magari a cosa diavolo vi è servito rubarmi l’auto” Embry.

“Cosa avete fatto a Bella.” Jacob.

“E già che ci siamo, cos’è quest’affare che abbiamo trovato nella radura.” Paul.

Merda. Io.

Merda merda merda.

Sento distintamente tutto il castello di storielle di copertura crollarmi sulla testa con uno schianto assordante. Come diavolo hanno fatto a scoprirci?

Irrilevante. Violazione delle norme di sicurezza temporale. Aggiornamento priorità: rimuovere i sei soggetti coinvolti. Immediatamente.

Non dovrebbe essere difficile. Embry è il più vicino, calcolo cinque secondi per metterlo fuori combattimento. Altri dieci per eliminare Quil e Jacob. Sam, Jared e Paul sono i più lontani, quindi avranno più tempo per rendersi conto di quello che sta succedendo… trenta secondi?

Meglio andarci cauti. Faccio istintivamente un passo indietro, sentendo il legno dell’armadio premermi sulla schiena mentre Eva fa capolino dalla cucina, fiutando il disastro in corso.

Temporeggia.

“Bella? Non so chi sia, e non capisco di cosa stiate parlando.”

Originalità è il mio secondo nome, davvero.

Sam si lascia andare ad una risata senza allegria.

“Non fare il finto tonto. Non attacca.”

Non ho nemmeno precedenti su cui basarmi. Che io sappia, nessun agente della CHRONOS è stato tanto imbecille da farsi scoprire. Già vedo il mio nome sui manuali operativi del prossimo anno in Accademia… L’esempio dell’Unità 014 è illuminante su cosa non bisogna assolutamente fare in missione, signori.

“Ripeto, non conosco nessuna ragazza di nome Bella.”

Effettivamente è vero, non ci ho mai parlato… poi si chiama Isabella, non Bella. Chiamiamo le cose con il loro nome, per favore.

“No? L’ultima volta che ho controllato era la figlia dello sceriffo. Quella che avete… trovato, diciamo, nella foresta.”

“Ah, Isabella”, rispondo calcando su quell’Isa come se facesse tutta la differenza dell’universo, mentre continuo a lanciare rapide occhiate ai Quileute. Embry è sempre il bersaglio più vicino. Dovrebbe bastare un colpo deciso al collo, manovra standard, rapida ed indolore. Cinque secondi.

Elaborazione scenario in corso…

“Ci prendi per scemi?”

Elaborazione completata.

“Non sono madrelingua, ho ancora qualche difficoltà a comprendere certi modi di dire. In ogni caso, oltre ad averla salvata dall’assideramento…”

“Dall’assideramento, certo. E dall’omicidio.”

Credo di aver appena perso un battito.

Violazione protocolli sicurezza in corso. Il civile è in possesso di informazioni riservate. Si richiedono provvedimenti. Immediatamente.

Ha appena passato la sottile linea rossa fra ‘sono un ficcanaso’ e ‘mi impiccio di cose più grandi di me’. Ma prima di agire voglio vederci chiaro.

“Come…”

“Come facciamo a saperlo? Abbiamo i nostri metodi. Sei spaventato, Matt? Il tuo cuore è un po’ troppo agitato.”

Cosa centra il mio battito cardiaco adesso?

Un attimo… come fa a sentirlo?

Digrigno i denti, sentendomi un animale in trappola. Strano, il predatore qui dovrei essere io.

Situazione anomala. Si consiglia prudenza.

“Se vi interessa, qualcosa da dire io ce l’avrei”, sorride affabile Eva, attirando l’attenzione di tutti. “Zampe in alto, fate i bravi bimbi e nessuno si farà la bua”, intima sfoderando due pistole dai pantaloni della tuta.

Sul serio, io adoro questa ragazza.

Jared sbuffa.

“Andiamo…”

“Non sto scherzando, ragazzone. Un altro passo e ti stendo”, ringhia minacciosa. Lui sorride strafottente, continuando ad avvicinarsi mentre allunga una mano verso Eva.

Ecco, si comincia.

Lo sparo coglie i Quileute di sorpresa. Prima ancora che il corpo esanime di Jared tocchi terra io sono saltato addosso ad Embry, un braccio intorno al collo e l’altra mano sulla nuca.

Una lieve pressione e…

E mi ritrovo catapultato dall’altra parte della stanza. Ammortizzo facilmente l’impatto con il muro sfruttando tutti e quattro gli arti, e poi mi lancio contro Paul, che sta per piombare addosso ad Eva.

Il mio volo viene interrotto dal placcaggio di Quil. Atterro di schiena sul tavolo, spezzandolo a metà – dolore –, sempre con Quil sopra di me. Come accidenti ha fatto ad essere così veloce?

Nuovi dati acquisiti. Elaborazione nuovo scenario in corso…

Cerca di stringermi alla gola, glielo impedisco tirandogli una craniata in faccia. Non sarà una mossa convenzionale, ma sento il sinistro crac del naso che si rompe. Istintivamente porta le mani a proteggere il volto, il che mi lascia lo spazio di manovra necessario per liberare le gambe, tirargli un calcio all’addome e saltare in piedi. Schivo per un pelo il montante di Paul, mi abbasso per raccogliere una delle ex-gambe del tavolo e, senza tante cerimonie, gliela fracasso in testa dopo aver compiuto una piroetta su me stesso per sfuggire alla presa di Jacob.

Ora, una persona ragionevole si aspetterebbe che dopo una botta del genere Paul crollasse ragionevolmente a terra, con il cranio ragionevolmente fratturato. Invece no. Scuote la testa come a volersi schiarire le idee, e poi riparte alla carica, più furioso che mai.

Il margine di successo dell’ingaggio è inferiore alla soglia critica.

Fantastico.

La situazione è insostenibile. Si consiglia la ritirata.

Dove?

Con la coda dell’occhio vedo Eva liberare il braccio dalla stretta di Sam e superare Jacob nel tentativo di recuperare almeno una delle pistole che sono cadute a terra, senza troppo successo. Embry riesce a raccoglierla prima di lei, il calcio di Eva la fa volare fuori dalla finestra.

Fuori. Finestra. Due concetti così semplici.
Che perfetto imbecille. Come ho fatto a non pensarci?

“Awt!”, urlo lanciandomi contro il vetro, ignorando il fastidio provocato dalle schegge che graffiano la pelle mentre la finestra va in pezzi e le sferzate d’acqua gelida mi colpiscono senza pietà. Poco dopo lei è al mio fianco in giardino. Proprio adesso doveva rompersi l’auto?
Corriamo verso la foresta, da cui sbucano due lupi-maggiolino.

Nessun riscontro in memoria. Denominazione Fenrir-06 e Fenrir-07.

“Me ne sbatto altamente delle denominazioni”, sbuffo mentre estraggo il coltello nascosto sotto i pantaloni. Le buone vecchie abitudini dell’esercito… quelle che ti salvano la vita in casi come questo.

Due… cinque rumori simili ad uno scoppio. Mi volto, e mi ritrovo cinque lupi di nostra conoscenza schierati di fronte a casa nostra. I Quileute sono scomparsi.
Ok, un problema alla volta.

Nota mentale: la prossima volta che sono attaccato da entità sconosciute, evitare di usare guanti di velluto e razzi abbaglianti, passare direttamente ai missili anticarro. Magari così avrei un Fenrir nero ringhiante in meno di cui preoccuparmi.

“Cazzo”, impreca Eva, fermandosi e facendo scattare anche lei la lama in mano “Da dove sbucano?”

“Non ne ho la più pallida idea. Detesto dirlo ma… porca puttana”, aggiungo finemente, voltando continuamente la testa nel tentativo di tenere sotto controllo tutta la situazione. I lupi ci stanno circondando, la pistola è finita troppo in là per poterla raccogliere, e continua a piovere. Ci manca solo di finire gambe all’aria sul fango.

“Non funziona che uccidi il capobranco e gli altri si disperdono?”, chiede, cercando anche lei una via d'uscita da questa situazione.

“Sono lupi, non grendels!”, sibilo arretrando verso di lei, per finire schiena contro schiena.

“Come a Rigel, eh, Matt?”

“A Rigel avevo un toaster a canne mozze con me, non un pungolo di dieci centimetri.”

“Non ti va mai bene niente…”, borbotta con un mezzo sorriso.

Poi sette lupi ci saltano addosso in perfetta sincronia, nemmeno fossero in collegamento telepatico, e persino lei smette di trovare la cosa divertente. Perdo cognizione del chi e del come, troppo occupato ad evitare zanne ed artigli. Sono enormi, cribbio, ma sono anche agili come non so cosa. E dannatamente pericolosi.

Schivata, affondo, salto.

Ruota, scivolata, affondo.

Schivata, salto.

Finta a destra.

Attento dietro.

Dietro?

Ci hanno separati.

Piroetta.

Affondo. Mancato.

Dolore.

Il lupo grigio maculato mi ha appena azzannato il braccio destro. Il mio pugno lo colpisce sull’occhio, ma non ne vuole sapere di mollare la presa… e so fin troppo bene che se volesse me lo potrebbe strappare di netto.

Ansia.

L’ansia è irrilevante.

“Cazzo, bestione, mollami!”

Obbedisce solo quando il coltello di Eva lo colpisce esattamente fra due costole: si accascia a terra ululando di dolore, incapace di togliersi la lama conficcata nelle sue carni.

Borbotto un ‘grazie’ di sfuggita, gettandomi a terra per evitare le mascelle del lupo rosso che si chiudono dove fino a mezzo secondo fa c’era la mia spalla. Il fango sulla ferita brucia.

Irrilevante.

Piuttosto, Eva ora è disarmata. Mi volto verso di lei, ma prima di poter muovere un solo passo vengo buttato a terra da un paio di zampe. Scricchiolii sinistri mi informano che probabilmente un paio di costole sono andate a farsi benedire, ma non è quello l’importante.

L’importante è che ho un set completo di zanne a meno di cinque centimetri dal collo, e non riesco a girarmi per allontanarle. Ciò è terribilmente seccante.

Avverto una sensazione nuova allo stomaco. Paura? No, gli Aesir non provano paura.

Ma non saprei come altro chiamare la morsa gelida che mi attanaglia il cuore nel momento in cui sento Eva venire atterrata. Mi accorgo dopo che l’urlo è mio.

“No!”

Un guaito sommesso sembra volersi unire alla mia disperazione.

Non posso perdere anche lei.
 

. . .

 
“Togligli quell’affare e portalo dentro, subito!”, sento Sam urlare a qualcuno. Cerco di voltare la testa, ma il fiato caldo sul mio collo mi convince che forse non è il caso.

“In piedi, tu!”, ringhia sollevandomi con una mano. Resto impassibile di fronte al suo sguardo carico d’odio, tirando un sospiro di sollievo nel vedere Eva ancora viva. Anche lei è marcata stretta da un lupo ringhiante, ma perlomeno è salva. Non proprio sana, ma a volte ci si deve anche saper accontentare.

Che cazzo faccio, adesso?

Mi sento umiliato nei recessi più profondi dell’animo. Sei anni di onorato servizio in dodici sistemi diversi, tre guerre ed un’insurrezione nel mio curriculum, e mi faccio pescare sulla Terra da una banda di adolescenti indiani che coopera con un branco di lupi!

Sto invecchiando.

A proposito… dove sono finiti? All’appello sono ricomparsi i Quileute, il cui capo, per inciso, mi sta tenendo sollevato per la gola a venti centimetri da terra.

“Dammi una sola ragione per cui non dovrei spezzarti il collo qui ed ora.”

I Fenrir sono solo due, gli stessi che ci hanno fermati prima che potessimo entrare nella foresta. Paul sta legando le mani di Eva dietro la schiena con un pezzo di corda, Quil e Jacob portano via Embry in un modo che farebbe impallidire chiunque abbia mai studiato le basi del primo soc…

Un momento.

Embry ha una profonda ferita al fianco. Esattamente dove il coltello ha colpito il lupo maculato.
Cinque ragazzi.
Cinque lupi.

Lupi, ragazzi, ragazzi, lupi… questo vuol dire che…

Impossibile, sbotta la parte razionale del mio cervello.

Però… ora la traccia Fenrir che diventa Nyx di punto in bianco ha un senso. Lupi giganti mutanti… nel vero senso della parola. Ma esattamente cosa sono, e che accidenti vogliono?
Cronauti anche loro?

“Per chi lavorate?”, chiedo.

“Non ci siamo capiti… qui le domande le faccio io.”

Qualcuno ha passato troppo tempo davanti a polizieschi di serie z. Mi chiedo… le anomalie tachioniche potrebbero essere causa loro?

Negativo. I rilevamenti tachionici ed i tracciati delle unità Fenrir non coincidono.

Un’agenzia parallela alla CHRONOS?

“Comincia a parlare. Cosa sapete di noi?”, mi intima.

Priorità aggiornate. Secondo la Legge Intertemporale sulla Conservazione della Cronocontinuità…

Lo so benissimo cosa dice. In barba all’evoluzione temporale, dobbiamo rimuovere i ricordi quelli che cominciano a farsi troppe domande su di noi. Prevenire la contaminazione del continuum. E se non ci riusciamo con le buone…

Connessione bioneurale operativa. Dieci secondi disponibili.

“Comandante Matt D’Aquila”, sussurro frettolosamente giocando l’ultimissima carta, “autorizzazione Mike-Delta-Alfa-cinque-uno-Blu-Tango. Richiedo un attacco cinetico sulla mia posizione.”

Trasmissione in corso… trasmissione effettuata.

Eva mi lancia un’occhiata terrorizzata mentre Paul comincia a spintonarla verso casa di Emily.

“Ya sor’v dat?”, urla per farsi sentire, come se ce ne fosse bisogno. Ne sei sicuro?

Alzo le spalle nei limiti del possibile, per farle capire che sì, spero di sì.

Lo sguardo di Sam scatta verso di lei, per poi tornare a trafiggermi con tale odio da fare… paura, sì. Paura è la parola giusta.

“Cosa-ha-detto. Rispondi!”

Forse è il caso di cominciare a considerare il mio… carceriere?

“Non sono fatti tuoi. Forse ti conviene cominciare a cercare un bunker antiatomico”, sputo fuori in un accesso di coraggio.

Sulla sua faccia si fa strada per un momento la sorpresa, seguita immediatamente dalla furia.

“Mi pigli per scemo?”

“Può darsi. Tu… non hai la più pallida idea di ciò contro cui ti stai mettendo.”

Hollywood sarebbe fiero di me. Il mio collo lo è un po’ meno, specie quando la sua stretta si fa ancora più serrata sulla mia gola, impedendomi di respirare. Quanto ossigeno ho in autonomia?

Tre minuti e ventisei secondi.

Grazie, bot.

Potrei anche dirgli qualcosa, tanto per non ritrovarmi con il collo spezzato. In ogni caso fra dieci minuti massimo saremo tutti morti, quindi pace ed amen.
Chissà, magari manderanno un altro team ad impedirci di arrivare a questo punto... fra un paio di mesi mi risveglierò nel mio appartamento a Edimburgo senza ricordare un tubo di tutto quello che è successo.

Però non ricorderò nulla nemmeno di Eva.
La tristezza mi assale di colpo. Non è giusto.

Magari non invieranno nessuno, e saremo morti e basta.

“Chi… cosa siete?”, il suo ennesimo ringhio mi strappa dalle mie riflessioni inconcludenti. A volte avere questa velocità nel produrre pensieri non è sempre utile.
Decido di rispondergli. Sì, ma cosa? Agenti temporali provenienti dal futuro, incaricati di vigilare sul corretto svolgersi degli avvenimenti. Agenti che tu e la tua combriccola state bellamente intralciando, ragazzone, infrangendo una trentina di leggi federali? No, qualcosa mi dice che non mi crederebbe.

Nel frattempo il più piccolo dei due lupi si è avvicinato a me, e adesso sta digrignando i denti.

“Cos’è, la versione locale di ‘parla o ti getto in pasto ai coccodrilli’?”, domando infastidito.

Infastidito. Sta minacciando di uccidermi ed io sono infastidito. Resto un baldo soldato dell’Alleanza fino alla fine, senza macchia e senza paura.

“Stammi bene a sentire… avete ucciso Jared, quindi vedi di fare meno spirito. O mi dici quello che voglio sapere oppure ti spezzo il collo e passo a fare le stesse domande alla tua fidanzatina. Chiaro il concetto?”

Non è la mia fidanzata, per quanto mi piacerebbe, vorrei specificare, ma visto il suo sguardo omicida, forse è il caso di cominciare da un’altra parte. Il suo problema è Jared, eh?

“Non abbiamo ucciso nessuno.”

La mia schiena che sbatte contro un albero sottolinea il fatto che anche questo non è un buon inizio. Sam sta tremando. Di rabbia.

“Non è morto”, mi affretto a puntualizzare. E’ un indigeno, le spiegazioni devono essere semplici e chiare.

Un barlume di speranza si accende in fondo a quegli occhi neri, ma scompare subito.

“Il suo cuore non batte.”

“E’… come posso spiegartelo…”

Semplicità e chiarezza. Versione per bambini.

“...in stasi, diciamo. In genere dipende dalla resistenza fisica del soggetto, ma dovrebbe riprendersi fra qualche ora, sano come prima.”

Allenta la presa sulla mia gola, visibilmente sollevato, permettendomi di inspirare avidamente l’aria che poco fa mi era negata.

“Potrei sapere come sta Eva?”, chiedo approfittando della sua distrazione. Il lupo più grosso guaisce a capo chino, come a voler mostrare che condivide la mia domanda.

“D’accordo, Seth, ho capito. Và da lei.”

Seth.

Come sarebbe a dire ‘và da lei’?

Ora sono io a guardare con odio prima Sam e poi l’ignaro lupo-Seth che si allontana trotterellando, il muso deformato da quello che potrebbe passare come un sorriso. L’altro invece scuote la testa, sbuffando dalle narici.

“Vai anche tu, Leah. Credo di riuscire a cavarmela da solo qui.”

Quella che si è appena dimostrata essere una lupa muove il capo in segno di assenso, rincorrendo il… fratello. Cerco di non pensare a quello che farei al fratello se non fossi certo che Sam coglierebbe la palla al balzo per attaccarmi. Meglio concentrarsi sulla discussione, visto che non ha intenzione di rispondermi.

“Altair?”, domando stancamente.

“Come, scusa?”

“Lavorate per Altair? ”

Mi squadra perplesso.

“Chi è Altair?”

Ops. Ennesimo errore. Pazienza, tanto ormai…

Ormai un cappero. Non dovremmo essere già saltati in aria? Qualcosa è andato storto, ancora una volta. Devo aver scritto “sfigato” in fronte.

“Avversari”, rispondo evasivo.

“Il fatto che Jared non sia morto vi ha fatto guadagnare un paio di punti, Matt, ma vedi di non approfittarne troppo.”

“Sai, questa è una di quelle cose in stile se te lo dicessi poi dovrei ucciderti.”

“Ci hai provato con un missile, e non ti è venuto granché bene”, replica con l’ombra di un sorriso sulle labbra. “Avanti…”

Sbuffo platealmente, decidendo di vuotare il sacco e al diavolo le conseguenze. Tanto mi prenderà per scemo.

“La versione breve comprende due nazioni sull’orlo della guerra, un’agenzia di sicurezza temporale, e due soldati dei reparti speciali assegnati alla suddetta agenzia. Voi vi fate chiamare i Protettori di La Push, no? Beh, diciamo che noi siamo protettori del tempo. ”

Non mi sbagliavo, mi sta osservando come se fossi appena uscito da un manicomio.

Insomma, sono a pochi passi dal bosco, bagnato fradicio dalla pioggia che cade a secchiate, e ho appena confessato ad un nativo americano di venire dal futuro… non vedo come le cose possano mettersi peggio.
Devo trovare un modo per fargli assorbire il concetto alla svelta, così da fargli capire che non siamo una minaccia per lui. Almeno finché non mettiamo le mani sul deposito armi.

“In questo momento comprende anche un vicino di casa parecchio scettico su quella che considera una balla di proporzioni smisurate. Complimenti per la fantasia”, ringhia, mortalmente serio.

“Disse il vicino che si trasformava in lupo. Andiamo, Sam, hai mai visto qualcuno combattere come noi?”

“A dire il vero, sì. Il vostro amico nella radura”, mi risponde serafico.

Cazzo di Vanir.

“E sai una cosa?”, continua implacabile, con un sorriso che mi mette i brividi, “Noi diamo la caccia a quelli così. E li uccidiamo.”

Sam passa in un nanosecondo dalla categoria ‘impiccione cronico’ a quella ‘pazzoide omicida’.

“Ma voi siete diversi”, continua, “Non puzzate come loro…”

“Ho fatto la doccia stamattina”, replico offeso.

“…avete un cuore che batte e sembrate umani. Quasi ci cascavamo.”

Lancia un’occhiata al mio braccio, dove l’unica traccia del morso ora è la manica sbrindellata della felpa. Apro e chiudo le dita per verificare che i tendini funzionino a dovere, e con mio grande sollievo verifico che è tutto a posto. Sì, ma come lo spiego?

“Ehm… guariamo in fretta”, borbotto impacciato. Potrebbe essere un ottimo punto di partenza per iniziare ad inculcargli l’idea che lui potrebbe essere il mio… vediamo… tris-trisnonno, ecco.

“Anche noi, e senza bisogno di essere viaggiatori del tempo.

Il tono con cui pronuncia le ultime tre parole non mi piace per niente.

“Non siete normali, però…”, protesto.

“Nemmeno voi. Resta solo da capire cosa siete esattamente, e quali sono le vostre intenzioni.”

“Non dobbiamo essere per forza nemici”, obietto. Alle fine, se loro non c'entrano nulla con la nostra missione potremmo anche ignorarci vicendevolmente e andare ognuno per la propria strada.

Certo, come no. Magari diventiamo anche amici.

“Comodo dirlo quando sei con le spalle al muro, no?”

Sbuffo, la cosa minaccia di trascinarsi per le lunghe.

“Se vuoi possiamo riprendere a menarci anche subito, sai?”

“Non credo. Abbiamo Eva, ricordi?”

Piccolo dettaglio tutt’altro che insignificante. Ecco perché continuavano a ripetere di non mischiare lavoro e vita sentimentale… poi si finisce in questi casini.

“Già”, borbotto chinando il capo, riconoscendo la sconfitta. “Allora, cosa volete sapere da noi?”

“Comincia a rispondere a tutte le domande che ti abbiamo fatto all’inizio. Come mai fate gitarelle notturne?”

“Per causa vostra. Non so tu, ma io non ho mai sentito parlare di lupi giganti che se ne vanno a zonzo nelle foreste del Nord America. Qualcuno si è interessato alla cosa e ci ha spediti ad indagare.”

“Ci davate la caccia?”

“Più che altro volevamo capire cosa foste. Adesso abbiamo le idee un poco più chiare… no, non è vero.”

Le sue labbra si piegano in un sorriso, ma gli occhi restano impassibili.

“Vi trasformate in lupi. Se non l’avessi visto, non ci crederei. Mi ci vorrà un po’ per abituarmi all’idea.”

“Cosa avete fatto a Bella?”

“L’abbiamo salvata, mi pare ovvio. Direi che è merito nostro se adesso è ancora allegramente zampettante per Forks… questo non vale come prova di buona fede?”

“No”, ribatte gelido.

“D’accordo”, sospiro rassegnato, incrociando le braccia ed appoggiandomi al tronco alle mie spalle. “Quindi secondo te noi due siamo brutti cattivi intenti a… fare cosa, scusa?”

“Nulla di buono, sicuramente.”

“Nulla di buono, ok… ma per fortuna il Grande Spirito ha provveduto a far nascere voialtri uomini lupo, in modo da tenerci d’occhio, visto che abbiamo commesso l’orrendo crimine di sparare quando ci siamo ritrovati davanti un lupo ringhiante taglia extralarge con intenzioni non troppo amichevoli. Cinque lupi, per l’esattezza. Seth e Leah sono una nuova aggiunta all’allegra banda degli amici del bosco?”

Annuisce.

“Da quel momento decidete di controllarci, ma quando spariamo nel nulla per due giorni vi gettiamo nel panico.”

“Siete andati all’aeroporto, e vi siete imbarcati per l’Italia. Guarda caso, insieme a Bella ed alla succhiasangue piccola.”

“Succhiasangue?”, domando perplesso.

“Scusa, la Cullen. Non andiamo molto d’accordo con la sua famiglia.”

Succhiasangue, eh? La cosa mi fa venire in mente la scontatissima trama di quel western dell’anno scorso. Quello con la figlia del capo indiano che si innamora del figlio dell’avido signorotto locale che voleva aprire una miniera nel… vabè, non è il momento. Però non era malaccio.

“Insomma, cosa volete da Bella? Perché le state così addosso?”

“Ordini dall’alto. La ragazza ha un’innata tendenza ad attirare i guai, e noi due facciamo da… parafulmine, quando le cose per lei si mettono fin troppo male.”

“Immagino che questo alto sia il vostro capo nel futuro, no?”, chiede con un sorrisetto beffardo sulle labbra.

“Che palle”, borbotto togliendomi felpa e maglietta, voltandomi a dargli le spalle. “Dimmi tu se queste le trovi addosso a chiunque…”, gli chiedo indicando le placche metalliche che sostituiscono le mie prime tre vertebre toraciche, in parte affioranti sulla pelle.

“Cosa sono?”, domanda con la solita espressione indecifrabile.

“Impianti vertebrali. Ho avuto un incidente, un po’ di anni fa, e grazie a loro sono ancora vivo”, gli rispondo mentre mi rivesto, rabbrividendo per la sensazione sgradevole dell’acqua gelida sotto ai vestiti già fradici. “Se serve a convincerti posso anche farti vedere un ologramma. Prima però vorrei…”

“Eva sta bene. Non le abbiamo fatto nulla.”

Si incammina verso casa sua e mi facendo cenno di seguirlo.
 

- - -

 

Quando entro dietro a Sam, la prima cosa che noto è Eva seduta su una delle sedie intorno al tavolo, con un grosso asciugamano sulle spalle. Ignoro le cinque paia di occhi che mi stanno fulminando per puntare dritto verso di lei.

“Dove credi di andare?”, ringhia Jacob parandosi davanti a me.

“A controllare che non abbiate ammazzato la mia socia, lupetto. E preferirei farlo senza doverti rompere qualche osso”, sibilo aggressivo. Al diavolo la diplomazia. Lei è lì, forse ferita, e non mi fanno avvicinare?

“Lascialo passare, Jacob”, ordina Sam. Lui si sposta brontolando, ed una frazione di secondo dopo sono in ginocchio di fianco alla sedia.

“Wo’bod ye?” Come stai?

“Bin godah.” Sono stata meglio. “Carino da parte tua preoccuparti così. Avete… risolto, là fuori?”, chiede tornando all’inglese del ventunesimo secolo.

“Non proprio”, le sorrido. “Ho optato per dirgli la verità, ma non ci crede.”

“Viaggi nel tempo… inventatevene un’altra”, sbotta Leah, appoggiata al muro di fianco alla porta d’ingresso.

Raggelo.

“Come…”

“Diciamo che sentiamo molto bene”, mi sorride Sam. “Cose da lupi.”

“Quante altre cose da lupi ci sono, tanto per sapere?”

“Non ti riguardano”, risponde Quil.

“Hanno scoperto il nostro segreto, Sam…”, Paul si è appena guadagnato il titolo di Capitan Ovvio, “…cosa facciamo con loro?”

“Sentiamo cos’hanno da dirci”, mormora lanciandomi un asciugamano. “E vediamo quanto sono convincenti.”

“Gli spieghiamo come funzionano i viaggi temporali?”, mi propone Eva, dubbiosa.

“Probabilmente si perderebbero all’introduzione. Non mi pare che ci sia un raduno di menti eccelse, qui dentro…”

“Ehi!”, scatta Embry, con un occhio nero ed una vistosa cicatrice sul torace. Ecco cosa intendeva Sam a proposito dell’”anche noi guariamo in fretta”.

“Hai una laurea in meccanica temporale, per caso?”, gli chiedo spazientito. “Se mi metto a parlare di imbrigliamento tachionico e di focalizzazione di piani d’esistenza mi sapresti stare dietro? Dubito, ma se non è così correggimi pure.”

La sua bocca è diventata una perfetta o. Probabilmente si è perso a laurea.

“Potreste… che so, predire un avvenimento che accadrà fra poco, no?”, propone Seth con un sorriso.

Eccolo, il rompiscatole.

“Non ci è concesso tenere in memoria ciò che accadrà. Azioni basate su preconcetti individuali potrebbero portare ad inevitabili alterazioni della timeline e, per estensione, dello stesso continuum spazio-temporale.”, gli rispondo con sufficienza, sperando di metterlo a tacere per tutta la durata dell’incontro. Mi sta sulle palle, senza perché o per come. Non mi importa che abbia solo quindici anni… o forse è proprio per quello? Il fatto che non la pianti di fissare Eva sicuramente non gioca a suo favore.

Lei interviene cercando di semplificare.

“Se sapessimo cosa sta per succedere, potremmo decidere di intervenire in maniera incorretta sugli avvenimenti, anche per scopi personali. Ok?”
Coro di assensi non troppo convinti da parte dei lupi.
Seth la osserva con una strana luce negli occhi, come se solo adesso avesse compreso chissà quale concetto e fosse esclusivamente merito suo.

Io non sono geloso. Non posso essere geloso di un marmocchio di quindici anni. No, non lo sono, affatto. Ma se non la pianta di guardarla così lo prendo a randellate sui denti, giuro… dovessi essere fatto a pezzi dagli altri subito dopo.

“Beh, allora è chiaro, no?”, continua il ragazzino, attirando le occhiate furiose di tutti “Ma come mai siete qui?”

“Non crederai a questa stronzata!”, sbotta Jacob, facendo avvampare Seth.

“No, beh, certo che no, però…”

“Ho idea che sarà una cosa moooooolto lunga”, sospira Eva mentre cominciano a dibattere. Dibattere è una parola grossa: Jacob elenca tutta una serie di ragioni per cui non ci crede, Seth ogni tanto prova a replicare, senza troppo successo. Lei scuote la testa.

“Sam non l’avevi convinto?”, mormora.

“Sì, a darci una possibilità. Per lui la mia spiegazione resta un’idiozia. Ammetto che non deve essere una cosa facile da accettare, ma gradirei un poco di collaborazione, accidenti! Anche solo per quello che stiamo rischiando quando la Novikova verrà a sapere cosa abbiamo confessato.”

“Questa discussione potrebbe andare avanti tutto il giorno”, si lamenta. “Ci serve qualcosa di decisivo da mostrargli.”

“Un’astronave. Che, disgraziatamente, non abbiamo sottomano. Un ologramma? Un seghetto laser? Un datapad? Una lezione di storia?”

“Non avevate detto che non sapete cosa accadrà?”, chiede sospettosa Leah.

“Non sappiamo cosa accadrà di poco rilevante e a breve. Se vuoi però posso farti in elenco di tutte le guerre in cui saranno invischiati gli Stati Uniti fino al 2050”, le risponde Eva.

“Se ci fate entrare in casa nostra potremmo prendere qualcosa per convincervi meglio. Sì, prometto solennemente che non tirerò fuori una granata da un armadio, e che non attenterò alla vostra vita in alcun modo.”

…per adesso.
 

. . .

 
“Avanti, prova tu, Sam.”

Fissa lo schermo olografico sospeso davanti a noi come se potesse staccargli un dito da un momento all’altro. Poi si decide a rischiare, pigiando il tasto enter.

“Risultato ricerca: Comandante D’Aquila, Matt. Unità Aesir-014. Matricola EX-AE-014. Data di nascita: XX-XX-2351. Data di ingresso nel programma: 18 novembre 2369. Codice identificativo: Mike-Delta-Alfa-cinque-uno-Blu-Tango. Stato servizio: attivo. Incarichi attuali: distaccato alla Divisione Sicurezza Temporale, Operazione 0354964. Attualmente in squadra con l’unità Aesir-027, Cortéz, Eva Julia. Ulteriori dettagli sull’operazione sono secretati. Altri incarichi: caposquadra del quarantaduesimo stormo, EAS Carthago. Incarico sospeso fino a completamento operazione corrente…”

“Meglio di una carta d’identità, no?”, sorrido mentre i miei dati vengono allegramente sbandierati ai quattro venti. A quelli della Sicurezza verrà un infarto, poco ma sicuro.

“Potreste averlo inventato voi due.”

Mi mordo la lingua prima che possa partire una lunga lista di insulti.

“Ok. Trovami un altro proiettore olografico su questo pianeta e ti darò ragione. E’ così difficile accettare l’idea che ti stiamo dicendo la verità, solo la verità, nient’altro che la verità?”

“Mi stai chiedendo di accettare il fatto che…”

“Oh, cazzo! Noi due abbiamo appena scoperto che il nostro vicino di casa è a capo di una banda di lupi giganti, e voi non potete accettare…”

“La vostra è fantascienza.”

“Il vostro è un racconto fantasy.”

“Non… non potremmo dargli fiducia?”

Seth. Perché deve assolutamente schierarsi dalla nostra parte? Mi costringe a prenderlo in considerazione come un essere senziente, anziché come palla al piede.

“Potremmo, sì. Appena ci dicono cosa sono e cosa vogliono, ed in ogni caso solo se Jared si riprende.”

“A quello possiamo rimediare subito”, sbuffo alzandomi in piedi e muovendo un passo verso la porta, per ritrovarmi bloccato fra Quil ed Embry.

“No, porca miseria, non ho intenzione di ammazzarlo, lo volete capire?”

“Non si può mai dire”, replica Quil scrollando le spalle. “Cosa vorresti fargli?”

“Iniettargli due milligrammi di Synasthisina. Lo farà…”

“Non se ne parla”, ringhia Sam.

“D’accordo”, sospiro rassegnato, dando un’occhiata all’orologio, “Volevo solo accelerare le cose.”

“Se si riprenderà come dici tu, bene. In caso contrario…”

Lascia la minaccia in sospeso. Comincio a non poterne più di questa sua diffidenza. Normalmente mi avrebbe aiutato, ma date le circostanze… è la prima volta che cerco di spiegare esattamente cosa sono ad un civile. Credo anche di essere il primo in tutta la storia operativa della CHRONOS, perciò un urrà per me.

“Va bene, aspettiamo”, borbotto incrociando le braccia e lasciandomi cadere nuovamente ai piedi di Eva.

“La cosa non vi impedisce di rispondere alle nostre domande”, sibila Embry.

“Sentiamole. Spero solo che accetterete le nostre risposte un po’ più rapidamente di quanto non abbiate fatto finora.”

“Dipende da quanto sarete convincenti.”

“Sìsì, d’accordo… prima domanda?”

“Cos’è un Aesir?”

Beh, questa è facile.

“Noi.”

“Fortuna che ce l’avete detto, sennò chissà quando l’avremmo capito…”, ringhia Leah, indicando l’ologramma su cui campeggia ancora la mia scheda identificativa.

“Simbionti”, aggiunge Eva, cercando di calmarla.

“E cosa sarebbe, un simbionte? Rispondete ancora con noi e…”

“Un essere umano interfacciato con apparati cibernetici. Un… cyborg, se volete vederla così.”

“Wow. Tipo Terminator?”, chiede Quil.

“Terminator?”

“Un personaggio di una serie cinematografica di discreto successo in questo periodo”, mi illumina Eva. “In ogni caso… non esattamente. Noi restiamo fondamentalmente umani, nonostante qualche piccola… qualità in più.”

“Ad esempio?”

“Impariamo più velocemente, prendiamo decisioni più rapidamente, siamo più rapidi nell’elaborazione di dati e strategie, ci muoviamo con più destrezza… cose così”, continua lei, “che ci hanno permesso di tenervi testa nella radura. E no, non siamo mostri.”

“Tranquilla, non credo che siamo nella posizione migliore per criticarvi per questo”, ridacchia Seth.

“Prossima domanda?”, chiedo cercando di nascondere la tentazione di prenderlo a sberle.

“Bella. Cosa le avete fatto?”

Lo sguardo di Jacob è un misto di rabbia e preoccupazione. Sta a vedere che lui e la Swan non sono solo amichetti.

“Ancora. Le abbiamo salvato la vita. Non è un concetto abbastanza chiaro?”

“Le abbiamo ripulito il sangue dal veleno del Vanir e l’abbiamo riaccompagnata a casa.”

“Del… oh, sì. Del Vanir”, mormora Sam.

“A tal proposito… possiamo sapere cosa ne è stato di lui?”

“E’… andato in fumo. Wamp!”, ride Paul, seguito da tutti gli altri.

Io lancio ad Eva un’occhiata preoccupata.

“Siete stati voi a dargli fuoco?”

Ovvio che sì… se la traccia Nyx è loro… A volte faccio domande davvero idiote.

“Ricordi quando ti dicevo che diamo la caccia a quelli come te, Matt? Beh, ad essere precisi diamo la caccia a quelli come lui”, risponde Sam.

“In pratica mi stai dicendo, con somma tranquillità, che siete degli assassini.”

“No. Non credo che uccidere un vampiro possa essere chiamato omicidio.”

Ho sentito male. Ho sicuramente sentito male.

Negativo. Gli impianti uditivi sono al massimo dell’efficienza.

“Un vampiro?”, chiede Eva con le sopracciglia che praticamente scompaiono sotto la frangetta.

“Un vampiro”, conferma solennemente Seth. Il fatto che gli scoppiamo a ridere in faccia sgonfia di colpo la sua espressione orgogliosa.

“Un vampiro, per piacere!”, rantolo tra una risata e l’altra, “E i draghi allora? Dove abbiamo lasciato i draghi?”

I Quileute ci stanno osservando come se fossimo ammattiti.

“Ma è vero!”, protesta debolmente Seth.

“Sì, certo. Ci crediamo, davvero”, mormoro mentre cerco di calmarmi. Un vampiro.

“Non c’è niente da ridere”, interviene Sam, “Non quando si parla di mostri che ammazzano la gente. E comunque, hai appena visto che esistono i licantropi… perché non i vampiri?”

“Perché sono due cose completamente diverse.”

La loro… licantropia potrebbe essere scientificamente spiegata, ne sono certo, con un po’ di microbiologia e di fisica molecolare. Anzi, forse se presentassi una teoria valida il Generale mi perdonerebbe anche la fuga di informazioni. I vampiri invece… sono roba da storie di paura.

“Puoi continuare a chiamarli Vanir, se ti senti più tranquillo, ma non puoi negare la loro natura. Ricordi gli escursionisti scomparsi di cui ti parlavo, Eva?”, domanda Sam.

“Sì. Dicevi che probabilmente erano stati ammazzati dall’orso killer. Non mi dirai che adesso c'entrano i tuoi vampiri, vero?”

“Esattamente.”

“Ammettiamo per un istante che tu abbia ragione”, comincio, chiedendomi se ora non è lui a considerarmi un testardo cronico, “mi stai dicendo che, oltre a uomini capaci di trasformarsi tranquillamente in lupi, esiste anche una razza di creature della notte che se ne va allegramente in giro ad ammazzare gente… per berne il sangue, immagino. Tutto questo senza farsi beccare, dato che non ci sono tracce della loro esistenza nemmeno nel nostro tempo.”

“Il vostro primo incontro è stato quello nella radura?”

“Sì. Dalla base credono che si tratti di un progetto segreto di Altair, una risposta agli Aesir. Certo, è strano che li abbiano sviluppati nella più assoluta segretezza, però…”

“Di nuovo questo Altair. Chi è?”

“E’ una nazione. Una delle più importanti, in rapporti non proprio amichevoli con la nostra.”

“Cioè?”

“L’ultima guerra è finita neanche un anno fa, per… cause di forza maggiore.”

Che simpatico eufemismo.

“Adesso voi ci venite a dire che abbiamo preso un granchio a considerarli supersoldati?”, chiede Eva.

“Perché complicarsi così tanto la vita? Sono vampiri, punto e basta”, interviene Quil. “Niente viaggi nel tempo o cose strane… mi sembra tutto abbastanza semplice.”

“Da oggi vedrò di portare sempre al collo una collana d’aglio, allora.”

“Non so quanto ti convenga”, dice lui. “Il folklore popolare sui vampiri non è… aggiornato, ecco.”

“Sarebbe a dire?”

“Niente aglio. E dovreste ringraziare di essere ancora vivi, voi due.”, si intromette bruscamente Paul. “In genere nessuno sopravvive ad un incontro ravvicinato con un succhiasangue.”

“Tranne noi, ovviamente!”, Seth esclama con entusiasmo, “Gli diamo la caccia e li uccidiamo. Siamo fatti apposta per questo, sapete? Loro sono veloci, ma noi siamo più veloci. Sono forti, ma noi siamo più forti. Sono resistenti, ma noi più resistenti.”

Ma quello ha intenzione di bruciarsi tutte le occasioni che ha di stare zitto?

“Questo come lo scrivo nel rapporto?”, mugolo. Eva si lascia andare ad un sorriso tirato. “Suggerisco parecchi tagli per ragioni di sicurezza, signore.”

“Mi attende un incubo burocratico. Ma mi vedi andare dalla Novikova  e dirle che stiamo sguazzando fra vampiri e licantropi? No, Generale, tutto sotto controllo. No, non ho un malfunzionamento ai banchi di memoria. Sì, ha capito benissimo, Altair non c’entra. Licantropi e vampiri, esatto. Come? Non ci crede? Dio che incubo.”

“Abbiamo ancora due mesi per trovare una spiegazione accettabile…”, cerca di rincuorarmi.

“Scusate, chi sarebbe questo Generale?”, chiede Seth, visibilmente impaziente di scoprire sempre di più su noi due. E’ su di giri come un bambino, il moccioso… e continua a guardarla con quella dannatissima espressione da pesce lesso.

Giuro, provo a controllarmi. Ma non ci riesco. Mi sta troppo sui nervi.

“E’ quella a cui dovrò spiegare perché ho ficcato una pallottola nel cranio di un rompipalle di quindici anni che continua a rompere l’anima!”, ringhio.

“Ehi, chiedevo e basta!”, cerca di difendersi.

“Seth, piantala e chiudi quella bocca.”, gli intima Sam. Lui china il capo, deluso.

Stupido moccioso irriverente.


***
N.d.A.: Ta-dah! Aggiornamento di capodanno! Ringraziate Kagome che ha... rotto l'anima, ecco, per averne uno in tempo. Il prossimo, in cui si continuerà la discussione lasciata a metà qua così, probabilmente richiederà un po' di più... le vacanze sono finite, ricominciano gli esami, ergo dovrei riprendere a studiare xP

Beh, insomma, buon anno a tutte! Che sia pieno gioia, pace, amore, felicità e tante altre belle cose.

Mmm, sto diventando sempre più loquace ad ogni capitolo che passa...

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Capitolo 14
*** #10: Convivere ***


- #10: Convivere -


 
“Comandante, si è bevuto il cervello?”

Cercavo di limitare i danni, Dawson!, articolo irritato, chino sul proiettore olografico da polso con una cuffia ficcata nell’orecchio destro e due strisce recettrici appiccicate sulle labbra. Un sistema assolutamente perfetto per comunicare senza alcun rumore, ma che purtroppo non annovera la comodità fra i suoi vantaggi. I sensori sono terribilmente irritanti.

“Radere al suolo La Push non è la mia idea di ‘limitare i danni’. Grazie al cielo le autorizzazioni per il satellite le devo autenticare io… Richiedere un attacco cinetico su un centro abitato, roba che persino in questo secolo se la sognano! Ha idea dei danni che avrebbe potuto causare all’evoluzione temporale? E come cavolo pensava di giustificare una cosa del genere al governo? Si aspetti una nota negativa nel mio rapporto. Molto negativa.”

E’ l’unica soluzione che mi era venuta in mente, non era certo lei quello con una mano formato badile alla gola, cazzo!

“Moderi il linguaggio, Comandante, trovo che la sua permanenza qui stia influendo negativamente sul suo repertorio linguistico. Poi non mi venga a dire che era l’unica possibilità. Non ve la siete cavata poi così male, non trova?”

Se così fosse non sarei barricato in bagno cercando di non farmi sentire mentre parlo con lei!

“Una vera e propria riunione di gabinetto”, ridacchia sotto il mio sguardo omicida. “Chiedo scusa. Quanto è grave questa violazione dei protocolli?”

Non è ancora critica. Per adesso. Quanto dovrò aspettare prima che venga inviata una squadra di supporto?

“Un bel pezzo, il continuum resterà instabile per altri cinquanta giorni minimo, e non è mia intenzione lasciare sguarnita Rocky Point mandandovi i Marines. Cerchi di adattarsi. Noi continueremo a monitorare la situazione da qui, e vi informeremo nel caso compaiano ulteriori anomalie. Tutto sommato, l’operazione in Italia può essere considerata un successo, il corso degli eventi è stato preservato. Ora attendiamo la loro prossima mossa, chiunque siano questi loro.”

A che punto è l’estradizione?

“Ah, quella”, mormora cupo. “I due dirottatori sono stati uccisi. La polizia sta ancora cercando di capire come un sicario sia riuscito ad entrare e uscire dal carcere senza lasciare tracce, ma non credo che arriveranno a qualche conclusione.”

Il satellite non ha rilevato nulla? Mi sembra impossibile…

“Comandante”, mi interrompe con un sospiro, “C’è un satellite –uno– a nostra disposizione. Ci sono approssimativamente due milioni per dieci alla ventiseiesima metri quadri di superficie terrestre da controllare. Al momento, oltre a La Push, è in corso una delicata operazione di controspionaggio a Fallujah, una a Seul ed una a Norfolk, una vera e propria battaglia a Mogadiscio ed una serie di rilievi a Gutach, Montreal e Sidney, per un totale di cinquantadue agenti provenienti da otto epoche diverse coinvolti in sette nazioni diverse. Vi è altresì la necessità di mantenere il contatto costante con un numero impressionante di signori della guerra africani, sempre per via della situazione in Somalia. Perciò, mi scusi tanto se il satellite non era impegnato a sorvegliare una dannatissima prigione nella dannatissima Italia!”

Forse ho peccato un poco di egoismo. Eh, già.

Mi perdoni, Dawson. Tendevo a dimenticare che i problemi non sono una nostra esclusiva.

Borbotta qualcosa che suona come un “Aesir”, per poi prendere un profondo respiro e ricominciare a parlare come se non fosse successo nulla.

“Allora. Faremo il possibile per scoprire i responsabili, anche se al momento dubito fortemente che le nostre indagini possano condurre a qualcosa. Per quanto riguarda voi due, invece, mi pare di aver capito che anche i vostri simil-carcerieri abbiano qualche scheletro nell’armadio. Finché riuscirete a mantenere questo stato di cose ritengo non vi siano seri rischi di contaminazione, nonostante vi siate fatti beccare. Lo veda un po’ come un caso di mutua distruzione assicurata, ecco. Loro spifferano in giro i nostri tabù e noi facciamo altrettanto con i loro.”

Tenterò…

“Mi aggiornerà più nel dettaglio quando le acque si saranno calmate, per il momento cerchi di sfruttare i Fenrir per ottenere ulteriori informazioni sui Vanir. A questo punto potrebbe anche cercare di stabilire un’alleanza, avremmo solo da guadagnarci. Ed una volta che questa storia sarà conclusa, manderemo un team a fare un po’ di pasticci nei loro ricordi.”

Un’alleanza? E’ fuori discussione. E’ un miracolo se non ci hanno fatti secchi subito, figuriamoci se saranno disposti a collaborare. In più, a dirla tutta, non mi fido di loro.

“Come preferisce. Era solo un’idea… Vada, adesso, non vorrei pensassero che è rimasto incastrato nel water. Dawson, chiudo.”

Sospiro, spengo l’apparecchio, lo infilo nel cesto dei vestiti sporchi e mi lavo le mani. Tu guarda se in casa mia devo mettermi a fare queste cose… e non ho ancora detto a Dawson della storia dei vampiri.

“Era ora”, sbuffa Quil quando apro la porta, “Sei rimasto incastrato nella tazza?”

Nota mentale: evitare di far conoscere lui e Dawson. Sarebbe un mix potenzialmente letale.

“I licantropi hanno la supervelocità anche quando vanno al cesso? Mi spiace deluderti, ma noi impieghiamo ancora tempi umani.”

Chiude gli occhi, probabilmente cercando di resistere alla tentazione di mollarmi un pugno, mentre mi fa cenno di andare avanti. Obbedisco controvoglia. La nostra politica è fare i bravi bambini, per quanto l’opzione “prendiamo un fucile e li stendiamo tutti” implori in ginocchio di essere rivalutata ogni minuto che passa. E dato che sono passate più di dodici ore le sue implorazioni sono piuttosto convincenti.

In cucina Eva sta preparando il pranzo sotto lo sguardo vigile di Embry. Sam non vuole correre rischi, non sia mai che fra le pentole abbia nascosto una bomba. Così lui se ne va a parlare con il Consiglio, noi invece restiamo tappati in casa con due angeli custodi che ci seguono ad ogni passo.
In maniera estremamente distratta ed approssimativa, noto. Tanto vale spiegargli come dovrebbero fare il loro lavoro.

“No, Quil, così non va. Non puoi lasciarmi passare accanto al portacoltelli se pensi che io possa essere pericoloso.”

“Ti sto tenendo d’occhio. Tu allunga anche solo un dito e poi vedi come ti ritrovi.”

“Errore numero uno: non si reagisce agli attacchi. Gli attacchi vanno prevenuti”, spiego pazientemente. “Se l’attacco comincia è già troppo tardi. Giocheresti secondo le mie regole, non avresti l’iniziativa, e ciò sarebbe sufficiente per darmi la vittoria. Capito?”

Mi lancia un’occhiata a metà fra il confuso e l’irritato.

“Perché me lo vieni a dire?”

“Perché se proprio volete giocare a fare i duri potreste anche impegnarvi. E stavo cercando un modo per romperti le scatole”, sorrido mentre sbircio nella pentola più vicina. “Pancetta?”

“No, funghi. Certo che è pancetta, cos’altro ti sembra?”, brontola Eva. Odia che gli si metta pressione quando è ai fornelli, e adesso si ritrova con ben tre persone in cucina.

“Dicevo tanto per dire…”

“Sempre tanto per dire, fila a preparare le uova, và. Almeno ti rendi utile.”

“Sissignora”, rispondo obbediente aprendo il frigorifero.

“Voi due, apparecchiate”, ordina poi a Quil ed Embry. “Non state lì con le mani in mano! Volete mangiare sì o no?”
 

. . .

 
“Come sarebbe a dire, ce n’è ancora?”, ringhia Eva.

Hanno spazzolato primo, secondo, contorno e frutta ad una velocità impressionante. Svuotando un intero preziosissimo, insostituibile pacchetto di fusilli provenienti da Firenze. Vera pasta italiana, probabilmente il bene più prezioso in casa in questo momento.

“Ma… è tutto qui?”, domanda sorpreso Quil.

“Tutto qui? Vuoi dire che hai ancora fame?”

“Non hai preparato praticamente niente!”

Sospiro, incrociando le braccia e rilassandomi sullo schienale, pronto a godermi lo spettacolo. Mai criticare Eva in cucina.

“Non mangiate nient’altro?”, insiste lui.

“No. E ringrazia che ti abbiamo riempito la ciotola, lupo. Non c’è scritto da nessuna parte che dobbiamo anche prepararvi da mangiare, quindi o ti fai andar bene quello che facciamo qui, oppure aria.”

“Ma…”

“Se volete ci sono delle barrette ipercaloriche.”

“Tipo quelle delle diete?”

“No, quelle sono ipocaloriche. Con queste una basta e avanza per mezza giornata… con noi, almeno. Con voi due non so. Mangiate sempre così tanto, oppure state approfittando della mia cucina?”

“Siete voi che mangiate poco, è diverso.”

Le parole di Quil vengono sottolineate dal brontolio del suo stomaco.

Mi alzo e apro la dispensa. In fondo c’è una scatola piena zeppa delle suddette barrette ipercaloriche, ancora avvolta nella plastica presurizzata. Quando all’addestramento spiegano che servono per i casi d’emergenza le reclute tendono a prendere l’avvertimento molto sul serio… nessuno tiene particolarmente ad assaggiare qualcosa che sa di cartone umido. Se penso che ho passato tre mesi mangiando praticamente solo quelle cose lì mi viene ancora la nausea.

“To’, piglia”, dico aprendo la scatola e lanciandone due ad Embry, che le afferra al volo senza fatica.

“Hypocal?”, domanda studiando un pacchetto ed allungando l’altro a Quil.

“La fantasia non è mai stata una peculiarità dell’Alleanza”, spiego.

Mi scruta con aria spaesata.

“L’Alleanza?”

“E’ il nostro governo.”

“Perché non ci spiegate per bene come funzionano le cose da voi? Almeno eviteremmo di perderci ogni due nomi”, propone.

“Perché non ci spiegate per bene come funzionano queste cose da licantropi?”, chiedo per risposta.

“E’… è un segreto.”

“Ecco, stessa cosa. Quando ci direte qualcosa su di voi, vi diremo qualcosa su di noi. Facile, no?”

Alza le spalle e addenta la merendina antifame. Come previsto, tre secondi dopo sul suo volto si dipinge un’espressione di puro disgusto.

“Ma sa di…”

“…cartone bagnato? Io l’ho sempre detto. Pensa che ho passato tre mesi sopravvivendo praticamente solo con quelle.”

“Tre mesi? Però, complimenti per il masochismo”, dice Eva con un fischio d'ammirazione.

“La Carthago era rimasta isolata ad Alphard con i rimasugli della Settima Flotta, e ci abbiamo messo un po’ per sfondare il blocco. Non è che avessimo tutta questa scelta... o quelle, o vero cartone bagnato.”

“Hai tutta la mia compassione”, borbotta Embry masticando lentamente. “Bleah. Adesso capisco perché mangiate così poco.”

“Poi sono io quello che si lamenta, eh?”, ridacchio rivolto ad Eva. Lei scuote la testa, cominciando a sparecchiare mentre sentiamo i passi di uno dei lupi avvicinarsi alla casa.

Analisi frequenza in corso… analisi terminata. Uley, Sam.

“Prego, Sam, non serve bussare”, commenta lei acida rivolta al Quileute appena entrato nella stanza.

“Grazie, Eva”, replica imperturbabile lui.

“Allora, cosa ha deciso il Gran Consiglio dei Jedi?”

Lui ignora la mia frecciatina.

“Per adesso potete restare, ma sarete sorvegliati a vista. Uno di noi resterà sempre con voi, e dovrete chiedere il permesso prima di allontanarvi dalla riserva. Se vi dimostrerete meritevoli di fiducia… potreste anche essere lasciati liberi. Forse.”

Non è proprio l’ideale, ma è sempre meglio di quanto mi aspettassi. Spero solo che Dawson non faccia partire il bat-segnale nei prossimi giorni.

“Quil, Embry, andate a casa. Resto io con loro.”

“Ok. Ciao a tutti”, saluta Quil uscendo, con Embry subito dietro che ci rivolge un cenno… quasi amichevole. Quasi.

“Vi siete convinti che non siamo i cattivi che pensavate, allora?”, chiedo a Sam, invitandolo a sedersi con un gesto della mano.

“Ci siamo convinti a tenervi d’occhio. Non mi avete ancora spiegato per bene in cosa consisterebbe il vostro lavoro qui.”

“E non è nostra intenzione farlo”, risponde Eva. “Come diceva prima Matt ad Embry, non vedo perché dovremmo dirvi i nostri segreti mentre voi vi tenete abbottonati i vostri. Vi abbiamo già spifferato anche troppo, ieri.”

“Perché siete nostri prigionieri?”

Ammetto che sarebbe un’argomentazione piuttosto valida, normalmente. Ma la normalità sembra essersi presa un paio di giorni di ferie.

“E su quali basi siamo trattenuti, di grazia? Qual è il nostro crimine? Dov’è il nostro avvocato?”

“Piantala, Matt.”

“Insomma, tecnicamente è una violazione dei nostri diritti, sai?”

“Non mi pare che voi due siate cittadini americani. Tecnicamente siete anche clandestini. O sbaglio?”

“E tecnicamente voi sette siete fuori dalla lista ‘specie protette’ del Dipartimento dell’Interno. O sbaglio?”

“Ok, ragazzi, finiamola qua. Che ne direste di fare il buon vecchio gioco dei segreti? Io ne dico uno a te e tu ne dici uno a me…”, propone Eva finendo di sistemare i piatti sporchi nel lavandino e sedendosi anche lei a tavola.

Sam ci squadra sospettoso, per poi annuire.

“Comincio io…”

Sto per ribattere, ma il calcio che Eva mi tira sullo stinco mi ferma.

“…allora, cosa fate voi Aesir?”

Domanda delicata.

“Siamo un corpo speciale dell’esercito. Facciamo… beh, di tutto, non abbiamo un ruolo preciso. Scelgono dove mandarci, caricano i programmi necessari nel simbionte, e via. Io sono un pilota di caccia, Eva lavora per la Sezione 66. E siccome in questo caso servivano due Aesir in una missione temporale… eccoci qui.”

In questo caso cosa siete qui a fare?”

“Te l’ho già detto. Controlliamo che la storia segua il suo corso.”

“E come fate a sapere cosa controllare, se non conoscete il futuro?”

“Questo non possiamo dirlo. Dovremmo spiegare leggi fisiche che verranno teorizzate solo fra tre secoli, e sarebbe un grosso problema per la sicurezza. Ti basti sapere che ci sono strumenti in grado di rilevare eventuali deviazioni dalla timeline originale con una certa precisione, permettendoci di intervenire quando è necessario.”

“E’ per questo che siete così attenti a Bella? Per questo l’avete difesa quando quel vampiro l’ha trovata nella radura?”

“L’incontro con la signorina Swan è stato del tutto casuale, e si può dire altrettanto del nostro… primo contatto. Stavamo svolgendo operazioni di routine che…”

“A proposito, si può sapere cos’é quella specie di cilindro?”

“E’ – era, visto come l’avete ridotto – una delle apparecchiature di cui ti parlavo. Serviva a determinare con precisione la fonte di eventuali anomalie.”

“Spiacente di aver rotto il vostro giocattolo. Non potete aggiustarlo?”

Lo guardo con un’espressione che spero sia sufficiente a fargli capire il livello di idiozia della domanda.

“Chiedevo”, mormora con noncuranza, con tutta probabilità ignorando il costo di un gruppo sensori. Sono sempre più convinto che la Novikova vorrà la mia testa… Forse questi due mesi di isolamento forzato non sono una cosa così brutta, tutto sommato.

Intanto Sam continua a rivestire con una certa convinzione il ruolo di inquisitore. “Quanti siete in tutto?”

“Io ed Eva, basta. Due Aesir bastano e avanzano per missioni del genere.”

L’esistenza di Dawson sarà il nostro personalissimo asso nella manica.

“In due a controllare tutta la storia?”

“Interveniamo attivamente solo su segnalazione diretta, come in questo caso. Non c’è bisogno di avere un esercito sparpagliato su cinque millenni di storia.”

“Sarebbe estremamente improduttivo”, puntualizza Eva.

Non c'è bisogno di fargli leggere il libro paga della CHRONOS.

“Beh, mi sfugge ancora il dettaglio più importante”, dice chinandosi in avanti. “Contro chi combattete?”

“Contro chi ha intenzione di violare l’ordine naturale degli avvenimenti, mi pare ovvio”, risponde Eva.

“Potrei sapere nello specifico di chi stiamo parlando, in questo caso? Continuavi a chiedere se eravamo sul libro paga di Alter, sono loro?”

“Altair”, lo corregge lei.

“Alter, Altair, quello che é.”

“Non… non lo so”, ammetto a malincuore.

“Non lo sai?”, sbotta incredulo. “Tu non lo sai? Mi pigli per il culo?”

“Vorrei, credimi. Altair era una delle nostre supposizioni… da mesi si vociferava che avessero completato un programma per ottenere supersoldati con cui contrastare noi Aesir. Tuttavia ci avete così gentilmente spiegato che si tratta di vampiri, quindi la nostra supposizione è bellamente andata in fumo.”

“Siete qui senza un’idea precisa di cosa dovete affrontare?”

“Siamo qui per preservare, e questo ci basta. Passiamo a te, invece… cosa fate voi licantropi?”, contrattacca Eva.

 “Proteggiamo La Push dai vampiri.”

Lo guardo aspettando che aggiunga qualcosa, ma mi rendo conto che è inutile. Dobbiamo tirargli fuori le informazioni una alla volta.

“Attaccano regolarmente la riserva?”

“No. Ogni tanto capita che qualche succhiasangue di passaggio vada dove non dovrebbe… in quel caso ci pensiamo noi.”

In testa mi si affollano idee confuse su come sia possibile che un’intera razza di assassini abbia mantenuto il segreto della propria esistenza per tutto questo tempo. Quanti omicidi irrisolti, quante sparizioni misteriose hanno dietro il loro zampino? E noi li abbiamo scoperti così, per puro caso. L’idea di essere nulla di più che una preda per questi tizi mi dà il voltastomaco.
E quanto sono coinvolti nella nostra missione?
No, direi che è il caso di evitare il panico da intrigo internazionale. Abbiamo già abbastanza problemi così…

“Quanti licantropi ci sono?”, chiede Eva.

“Noi siamo in sette, per adesso. Non è escluso che altri ragazzi possiedano il gene, e che si trasformino in un anno o due.”

Il gene. Sono certo che se riuscissi a portare dei campioni biologici alla Novikova probabilmente si degnerebbe di ascoltarmi… prima di sbattermi davanti alla corte marziale per inattitudine al comando e chissà quanti altri capi d’accusa. Chissà, magari chiuderebbe anche un occhio su quello che è successo. Uno solo, l’altro lo userebbe per accertarsi che io finisca in primissima linea nella prossima guerra.

“E… come si manifesta, questo gene?”

“Non è difficile da notare. Vi sarete sicuramente accorti che siamo più alti e più grossi dell’umano medio. In più abbiamo una serie di qualità… lupesche, diciamo. Sentiamo e vediamo molto meglio di chiunque altro. La nostra pelle è molto calda. Ed i più giovani hanno alcune difficoltà nel controllare le proprie emozioni, in particolare la rabbia.”

“Per questo continuavate a tremare, prima?”

Annuisce.

“Fra tutti, Paul è quello con meno autocontrollo, per quanto abbia avuto la mutazione parecchio tempo fa. Mi sono sorpreso non poco del fatto che non si sia trasformato quando l’hai colpito con la gamba del tavolo.”

“Io mi sono stupito che la sua testa non abbia fatto crac.”

“Paul ha la zucca dura”, ride quasi sinceramente, “ma in generale siamo parecchio resistenti. Vi consiglierei quindi di evitare gli scontri, per il vostro bene.”

Vediamo se resistete ad un proiettile calibro 80 in mezzo agli occhi, bestione?

No, non è l’atteggiamento giusto. Secondo il copione dovremmo essere spaventati e sottomessi. Certo, come no.

“Vi abbiamo già detto che faremo i bravi bambini”, interviene Eva, “Non c’è bisogno di scaldarsi tanto.”

“Sarà meglio.”

“Passando a cose più pratiche…”, continua lei, “avremo un ospite a sbafo a colazione, pranzo e cena, tutti i giorni?”

“Esatto.”

“Spero che la voracità di Quil ed Embry sia un caso isolato. Non ho intenzione di sfornare roba a ripetizione solo per farvi mangiare… se al prossimo giro al supermercato dobbiamo prendere anche una scatola di croccantini extralarge dimmelo subito.”

“Chiederò ad Emily di preparare dei panini per loro, se la cosa vi scoccia.”

“Ecco, a proposito di Emily…”, domando, “…lei ha accettato senza fare storie che tu sia un canide gigante?”

“Non sono affari tuoi”, replica gelido.

“Era tanto per fare conversazione”, sbuffo, archiviando in un cassetto mentale la pianificazione dell’operazione rapiamo Emily Young e sistemiamo le cose.

“Non serve fare conversazione.”

“D’accordo, ce ne staremo muti e zitti a fare i bravi prigionieri. Contento?”

“A dirla tutta, sarei più contento se non vi foste fatti vedere da queste parti. Ci avreste risparmiato un sacco di problemi.”

“Credimi, comincio a pensare la stessa cosa”, sbuffo alzandomi e rimboccandomi le maniche per lavare i piatti.

“Ti do una mano”, dice Eva prendendo lo strofinaccio.

“Quando ve ne andrete?”, chiede.

“Non ne ho la più pallida idea. Sicuramente resteremo per un altro paio di mesi.”

“E se non vi volessimo?”

“Hai detto che il Consiglio ci permette di restare”, sorrido aprendo l’acqua. “Quindi…”

“Quindi un tubo, ho detto che forse potrete restare. E in ogni caso, voglio parlare con il vostro capo.”

“Questo temo non sia possibile.”

“Cercare di collaborare potrebbe esservi d’aiuto nel guadagnare un poco di fiducia.”

“Oh, cribbio!”, sbotto lasciando ricadere nel lavandino il piatto che avevo appena preso in mano e spostandomi in salotto, con gli occhi di Sam saldamente inchiodati sulla schiena.

“Comandante Matt D’Aquila”, recito nella stanza spoglia, mentre lo schermo olografico si materializza accanto a me, “autorizzazione Mike-Delta-Alfa-cinque-uno-Blu-Tango. Abilitare protocollo Mercury.”

“Impossibile eseguire. Anomalie nel flusso tachionico. Il protocollo non è stato abilitato.”

“Contento?”, mi volto e praticamente glielo ringhio in faccia.

“No. Cosa ha detto?”

Lo guardo perplesso, prima di realizzare che anche quello del computer è futurese. E’ ovvio che lui non capisca.

“Modificare i codici di comunicazione aggiornandoli a due-zero-zero-sei.”

“Modifiche effettuate.”

Ora che mi sono assicurato che anche Sam possa capire ripeto lo stesso comando, ottenendo lo stesso rifiuto.

“Visto? Non c’è verso di mettersi in comunicazione con la base.”

“Come mai?”

“Per farla breve, trasmissioni temporali e viaggi utilizzano lo stesso conduttore. Qualche giorno fa hanno fatto detonare una bomba che ha scombussolato il subspazio, rendendo impossibile spostamenti e comunicazioni per un paio di mesi. Perciò, non puoi parlare con la Novikova. La persona di maggior grado a cui puoi rivolgerti sono io”, concludo con uno dei sorrisi più falsi che abbia mai fatto.

“Ma che caso, eh? Cosa mi assicura che non sia un’altra frottola?”

“Il fatto che adesso tu e il tuo branco state ancora zampettando allegri per La Push ululando alla luna, invece di ritrovarvi stesi ciascuno con mezza dozzina di mitra puntati alla testa. In genere prendiamo piuttosto sul serio la faccenda della segretezza. Gli interventi in caso di falle sono estremamente rapidi ed efficaci.”

“Quindi dobbiamo aspettarci un vostro attacco da qui a due mesi?”

Impara in fretta, il ragazzo.

“Secondo te verrei a dirtelo?”

Lui sorride, avvicinandosi.

“Secondo te siamo disposti a correre un rischio del genere?”, mormora minaccioso qualche centimetro più in alto della mia testa.

“Bene, facciamo così: voi ci lasciate in pace, noi vi lasciamo in pace, nessuno si fa male. Fine della storia, tutti felici e contenti.”

“Credi davvero che vi lasceremo fare le vostre… cose così tranquillamente?”

Niente da fare, sarebbe più semplice provare a convincere un mulo.

“Sai, in teoria dovresti. Siamo i buoni, noi.”

“Sai, in pratica non penso di farlo.”

E Dawson mi chiedeva di collaborare?

“Per adesso teneteci d’occhio quanto volete. Chissà… potreste scoprire che i nostri interessi, come dire, coincidono”, gli dico senza troppa convinzione.

“Certo, come no.”

Collaborare. Con mostri che non vedono l’ora di tirarci il collo.

Figuriamoci.
 

- - -

 
“…I New York Blazers, in vantaggio per 4-2-3, sembrano in difficoltà ora che gli Aztecs hanno riorganizzato il proprio schema difensivo.”

“Andiamo, imbecille, passala! Noxton è libero, passa quella dannata palla!”

“Ottima azione di Kutov, che intercetta il lancio di Delcourt e porta i Glasgow Rockets all’attacco…”

“Magari non quando arriva l’attaccante… No ma dico, cosa fanno i difensori, dormono? Hey, sveglia, stanno per andare in porta!”

“Goal! Kutov segna per i Rockets, portando il punteggio a 4-2-4 e segnando la fine della partita!”

“Che squadra di rincretiniti”, borbotto seppellendomi sotto un cuscino. Dall’unica poltroncina sopravvissuta allo scontro con i licantropi, Eva se la sta ridendo di gusto.

“Oh, andiamo, cosa pensavi? Che i Blazers avrebbero vinto il match? Il risultato lo sapevi già...”

“Con quello che li pagano, sì. Avrei giocato meglio io.”

“Sport singolare”, commenta Sam, seduto sul pavimento con me. “Tre squadre che giocano insieme…”

“Quello non era giocare. Quello era girare in tondo sul campo”, mi lamento. “Non sono riusciti a portare a casa sei punti nemmeno stavolta.”

“Sì ma ripeto, il risultato avresti dovuto saperlo. Hanno giocato una settimana fa.”

“Ho evitato apposta la sezione sportiva dell’ologiornale. Forse se l’avessi saputo prima non avrei perso quaranta minuti per niente.”

“Bisogna saper perdere”, commenta con aria saputa.

“Sì, ma la squadra dovrebbe anche saper vincere. Quest’anno la finale ce la sogniamo.”

“Magari la prossima volta le cose cambieranno.”

“E devo aspettare due mesi per scoprirlo… sicura che fosse l’ultima partita che ci hanno mandato?”

“Vi hanno mandato?”, chiede Sam.

“Era una partita in differita. Quelle buonanime dei nostri superiori si preoccupano di non farci annoiare troppo in missione”, gli spiego. “Allora, cosa ne pensi dell’Honi?”

“Penso che è arrivato Seth”, risponde alzandosi. “Resterà con voi fino a stanotte.”

Il telecomando cigola in maniera poco rassicurante quando inconsciamente stringo la presa.

Moccioso. Quindici anni. Non è assolutamente il caso di abbassarsi al suo livello. Respira.

“D’accordo”, Eva si alza anche lei per accompagnarlo alla porta. “E’ stato un piacere, Sam”, sorride ironica.

“Piacere tutto vostro.”

“Alla prossima”, riesco ad articolare, conscio che probabilmente sono appena passato dalla modalità ‘tifoso arrabbiato’ a quella ‘Lurch Addams’.

“Ciao Eva!”, esordisce il rompiscatole con un sorriso a trentadue denti. La manata sulla nuca che gli tira Sam ha tutta la mia approvazione.

“Vedi di non combinare danni, tu…”, borbotta con un mezzo sorriso, passandogli accanto.

“Certo che no!”, risponde senza staccare gli occhi da lei.

Peccato aver sprecato la gamba del tavolo su Paul, prima. I denti di Seth sono un bersaglio molto più invitante… chissà se anche quelli sono resistenti?

Ok. Calma. Autocontrollo. Respira.

Perché accidenti sono geloso? Lei non ricambia. Figuriamoci. Ha sei anni in più, e lo sanno tutti che non si stringono relazioni del genere in missioni temporali.

Certo che se la piantasse di guardarlo sarebbe molto più facile crederci.

“Allora, vuoi entrare o intendi mettere radici lì fuori?”

“Oh… ciao, Matt”, risponde infastidito, come se si fosse accorto di me solo in questo momento.

“Ciao, Seth”, rispondo tra i denti quando entra, sfogando la mia frustrazione sulla maniglia della porta.

Respira.

Non mi è mai capitato di reagire in questo modo. Per motivi così futili, poi.

Non sono motivi futili!

Io… non lo so. Ho il timore che forse lui potrebbe eventualmente essere, magari, ricambiato. Nemmeno i politici ai talk show usano così tanti condizionali.

“Allora… dove vuoi andare oggi?”, le chiede, ancora una volta completamente dimentico di me.

“Credevo fossimo confinati in casa!”, esclama lei con finta innocenza. Cribbio, ragazzo, sei talmente cotto da fare invidia ad uno spezzatino, e te lo sto dicendo io. Ti sta raggirando come niente.

“No, basta che ci sia uno di noi vicino”, risponde con uno dei sorrisi che riserva solo a lei.

“Oh, bene, non ne potevo già più di stare barricata qua dentro. Che ne diresti di andare a Port Angeles a fare un giro nei negozi d’arredamento?”

Annuisce estasiato, come se l’avesse appena invitato a passare un weekend in montagna da soli. Per un breve istante quasi lo compatisco. Quando si tratta di reperire materiale, come dice lei, Eva è maniacale. Quasi. In amore e in guerra, tutto è lecito.

Imbambolato così mi ricorda quei cagnolini con le teste a molla... quelli che li schiacci e cominciano a dondolare allegri per mezz'ora.

“E come ci arriviamo a Port Angeles, genio?”, gli chiedo smontando la sua espressione felice.

“Non avete la macchina?”

“E’ guasta.”

“Ah.”

Resta pensoso qualche secondo, per poi tornare alla carica.

“Posso portarti io!”

Ovviamente, può portare Eva, lui. Io invece devo restare qui a prendere polvere, a quanto pare.

“Prego?”, domanda Eva scettica.

“Posso trasformarmi e portarti in groppa fino a Port Angeles! Lì poi pot…”

“Ed io, genio?”

Si volta nuovamente a considerarmi con la stessa espressione che riserverebbe ad un impaccio di poco conto.

“Beh…”

“No, prego, andate pure. Mi godrò un pomeriggio di solitudine standomene per i fatti miei.”

Sembra illuminarsi un attimo, prima di spegnersi definitivamente.

“Oh”, mugola deluso. “Non penso che Sam approverebbe… mi dispiace.”

Certo che non approverebbe, imbecille.

Stupido moccioso irriverente.
 

- - -

 
No!

Mi alzo di scatto dal letto, ansante, imbestialito e a dir poco terrorizzato, cercando disperatamente di riprendere il controllo, di dimenticare le immagini che vorticano ancora davanti ai miei occhi.

Ok, calma, non è nulla. Non è nulla. Non è nulla?

Bot, eseguire diagnostiche dei sistemi principali.

Attendere. Diagnostica in corso…

Calma. Controllo. Rilassati.

Diagnostica conclusa. Tutti gli impianti sono operativi.

E allora… come si spiega quello che ho fatto prima di svegliarmi così bruscamente?

Attendere. Ricerca definizione appropriata… Ricerca terminata. Definizione comune: sogno.

Sognavo?

L’ansia torna ad assalirmi. Sono malato. Io non posso sognare.

Negativo. Tutti gli impianti sono operativi.

Ma io non posso sognare!

L’ultima azione compiuta da questa unità è stata la rielaborazione di ricordi al fine di creare uno scenario plausibile per il futuro. L’azione ha causato uno squilibrio nei livelli di C19H28O2. Ciò ha interferito con la corretta elaborazione dello scenario.

E’ orribile avere una voce nella testa e non poterla zittire.Comunque avevo ragione io, c’è stato un conflitto di funzionalità.

Affermativo. L’elaborazione dello scenario è stata influenzata da fattori emotivi indipendenti dal controllo di questa unità.

Ecco spiegato il sogno. Non un sogno qualsiasi.

Ho sognato lei.

Sposto bruscamente le coperte, infilo le ciabatte e mi trascino in bagno per lavarmi la faccia, il più silenziosamente possibile in modo da non disturbarla, dato che sta ancora dormendo.

Mi sento a pezzi, come se avessi fatto chissà quale fatica. Beh, insomma, senza dubbio è stato stancante, ma… oh, lasciamo perdere.

L’acqua gelida aiuta a farmi riacquistare un poco di lucidità, quel poco che posso sperare di avere alle sei di mattina. Abbastanza per permettermi di fare chiarezza nei ricordi. Allora c’era lei e poi…

Digrigno i denti.

E poi quel moccioso che deve sempre rovinare tutto. Adesso me lo sogno anche di notte… bella roba, davvero. Non basta pensarci tutto il giorno, mi viene sbattuto davanti persino quando dormo.

Lui la guarda come Sam guarda Emily, come Jared guarda Kim.

Sbuffo ancora, cercando inutilmente di calmarmi. Non credo riuscirei a riaddormentarmi, quindi mi sposto in salotto e mi siedo alla pianola, regolandola al minimo e cominciando a cantare in un sussurro. Dopotutto gli psicologi avevano ragione… suonare uno strumento aiuta parecchio.

“I dream of rain, eley-elee…
I dream of gardens in the desert sand,
I wake in vain, eley-elee…
I dream of love as time runs through my hand…”


Credo di essere arrivato ad uno stadio preoccupante. Quella per Eva non è più attrazione… sta diventando sempre più un’ossessione. Non riesco a non pensare a lei, in qualsiasi momento della giornata, non riesco a fare a meno di lei. Lei invece sembra cavarsela benissimo senza di me.

“I dream of fire, eley-elee…
Those dreams are tied to a horse that will never tire
And in the flames, eley-elee…
Her shadows play in the shape of a man's desire”


Avrei dovuto sognare Vivianne, no? Sarebbe stato più… giusto. Invece no, Eva. Mi chiama a sé in un modo che Vivianne non ha mai saputo fare. E’ un… un qualcosa di completamente nuovo, ecco. Sensazioni mai provate.

O forse sì?

Poco importa. Per un gentile regalo dell’Alleanza non ricordo nulla della mia vita da umano, quindi è inutile scervellarsi su questo punto.

“This desert rose, eley-elee…
Each of her veils, a secret promise,
This desert flower, eley-elee…
No s
weet perfume ever tortured me more than this!”

Io sono attratto da lei, lei non è attratta da me. Fine. La situazione sembrerebbe abbastanza semplice, la risposta più razionale sarebbe spostare la mia attenzione su qualcuna più facilmente raggiungibile.
Bello. Mi ha detto no… basta, fine, giro l’interruttore Eva su off. Tanti saluti a casa, si tira avanti come se niente fosse, ed avanti la prossima. Disgraziatamente, quello che mi spinge verso Eva sembra essere completamente fuori del mio controllo. E visto che non posso averla nella vita reale, allora nel sogno io e lei…

Oh.

E’… è… imbarazzante, ecco. Censuriamo.
Però ero felice, questo me lo ricordo.

“And as she turns, eley-elee…
This way she moves in the logic of all my dreams,
This fire burns, eley-elee…
I realize that nothing's as it seems.”


Poi non ero più io, ma Seth. Incubo. Quello osava…
Ah, sorvoliamo anche qui, che è meglio.

Quello che mi fa stare peggio è che Eva era…

Sono talmente nervoso che sbaglio le note successive, troncando di netto la canzone.

Il peggio è che Eva era felice. Felice fra le braccia di quel moccioso quindicenne.

La rabbia ha il sopravvento. La rabbia cieca, quella che ti sale alla testa e non ti lascia più, quella che ti fa venire voglia di fare a pugni per i motivi più inutili, quella che senti come una seconda coscienza, che annulla i tuoi pensieri per tramutarli in istinti primordiali. Violenza, dolore, sangue, come se potessero davvero servire a qualcosa.

Aria. Mi serve aria.

Esco di casa, inspirando profondamente nella speranza che il gelo mattutino possa aiutarmi a riprendere il controllo. Per una volta non sta piovendo.

Non so, non capisco. Mi sto comportando in maniera irrazionale. Assurda, persino per i miei standard.

Ed ho paura.

Paura che quella di Seth sia ben più di una cotta momentanea. Sam e Jared… entrambi sono felicemente fidanzati. Non posso fare a meno di immaginarmi anche lui con una ragazza accanto. Una presa a caso, eh. Che magari ricambia pure.
Non ci voglio nemmeno pensare.

Direi che la diagnosi è semplice: sono innamorato, no? Quindi il mio più grande desiderio dovrebbe essere che lei sia felice.

Certo, assolutamente. E’ questo quello che voglio. Però con me, grazie tante, non con un altro.

Non con Seth.

Devo fare qualcosa, qualsiasi cosa che mi possa tenere occupato. Mi incammino verso la spiaggia, con le mani saldamente infilate sotto le ascelle. Una passeggiata alle sei di mattina con la temperatura prossima allo zero e nient’altro indosso se non la tuta - pigiama non è l’idea migliore che mi potesse venire, credo, ma non mi va di tornare in casa solo perché fa freddo. Non mi va di fare nulla.

Beh, a dire il vero mi andrebbe di prendere a badilate Seth.

Insomma, perché le cose devono essere così difficili? Doveva essere per forza Eva? Hey, tu lassù, sì, dico proprio a te! Costava troppo far fare un corso di mira a Cupido?

Un ringhio proveniente dal bosco mi riporta bruscamente ad una realtà in cui dal mio rapporto con lei non dipendono le sorti del mondo.

“Oh, che cavolo, sto solo andando alla spiaggia!”, brontolo rivolto agli alberi.

Il lupo dal pelo marrone che si fa lentamente avanti a tagliarmi la strada non sembra voler liquidare la faccenda così alla svelta.

Identificazione positiva. Unità Fenrir-03.

Grazie, bot, ma non mi serve adesso.

“Paul?”, domando. Il licantropo scuote la testa.

“Embry?”

Altro cenno di diniego.

“Jared?”

Stavolta muove il capo su e giù, prima di allungarsi in direzione della casa, quasi a volermi intimare di tornare dentro.

“Ma anche no”, mi rifiuto.

Scopre i denti, ringhiando ancora.

“Piantala, non ho intenzione di fare dietrofront. Non credo che succederà un disastro se mi lasci dieci minuti per i fatti miei.”

Non accenna a lasciarmi passare. Accidenti a Sam e alla sua idea di ‘sorvegliati a vista’.
Cerco di girargli intorno per poterlo sorpassare, ma vengo bloccato da una zampa sul petto.

“Dai, cosa ti costa!”

Mi indica ancora una volta la casa.

“E va bene, hai vinto”, sbuffo voltandomi e tornando sui miei passi. Lui trotterella al mio fianco, accompagnandomi fino alla porta, per poi fissarmi con aspettativa, probabilmente attendendo che torni dentro.

“No, Jared, ti ho già detto che non voglio rientrare. Io resto fuori, se vuoi stare qua con me…”

Incredibilmente si accoccola per terra e sbuffa rumorosamente, continuando a fissarmi. Non ha intenzione di sloggiare.
Mi siedo accanto a lui, ignorando il suo ringhio di protesta.

“Sei caldo, sai? Quasi meglio di un termoregolatore.”

Alza gli occhi al cielo ed appoggia la testa sul terreno, probabilmente aspettando la fine del suo turno di guardia. Chissà a cosa sta pensando.

Bah, la domanda non è così difficile. Nove su dieci a Kim, così come io sto pensando ad Eva. Con la piccola differenza che anche Kim lo starà pensando/sognando, mentre Eva… lasciamo perdere.
Com’è ingiusto il mondo.

Ottima scoperta, ragazzo. Adesso che ne dici di fare qualcosa di utile al suddetto mondo, invece di startene qua a lamentarti come una quattordicenne alla prima cotta?
Più tardi, magari.

Mi rannicchio fino a toccare le ginocchia con la fronte. Non devo pensare, non devo pensare…

Eva.

Ecco, appunto.

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