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Disclaimer: I personaggi ed i
luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente,
a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti.
I personaggi originali e la trama di questa storia sono
invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e
preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una
citazione da essa.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per
puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.
Black Smile
Quel giorno lacrime chiare scesero dal cielo per assistere
impotenti a quell’empio spettacolo.
Un uomo giaceva a terra, in ginocchio, madido di sangue e
pioggia.
Nonostante le numerose Cruciatus
ricevute si rialzò a fronteggiare il mostro che aveva davanti.
- Ah ah ah! Come ci si sente ad avere il potere e non
potersene servire? Ci si sente una nullità, vero, mio Signore? – fece un
inchino mentre le sue labbra si stirarono in un ironico sorriso.
Il mago lo stava sfidando apertamente.
Una strega dallo sguardo di un folle assassino corse verso
Severus con la bacchetta stretta tra le mani in modo furioso.
- Come osi ridere dell’Oscuro Signore! – gli urlò Bellatrix
frapponendosi tra i due. – Sei un codardo che si nasconde dietro parole. –
aggiunse.
Il volto di Severus divenne marmoreo, le labbra si serrarono
e gli occhi neri rilucevano di ardente rabbia.
- Non immischiarti, Bella – e le intimò di togliersi di
mezzo – Sparisci!
Ma la maga non si mosse.
- Avada Kedavra! –
urlò Severus mentre un fascio di luce verde colpì in pieno petto Bellatrix.
Ci fu un attimo di silenzio e tutti si bloccarono come se
fosse stato fermato il tempo.
- Ah ah ah! Sono stato un vero codardo ad uccidere una
donna. – la sua risata si propagò per la radura, - Che vigliaccheria da parte
mia. Mi scuso profondamente. – e s’inchinò con riverenza per scusarsi con la
donna che giaceva morta ai suoi piedi.
Gli occhi di Voldemort si fecero ancora più rossi e la sua
furia cieca si scagliò implacabile su Severus che cadde nuovamente a terra,
dolorante, con il sangue che fuoriusciva copioso dai numerosi tagli che un Sectumsempra gli aveva provocato.
- Non ridi più, Severus? Dov’è finita tutta la tua
spavalderia?
Voldemort allargò le braccia parlando ai suoi fedeli
Mangiamorte come a volerli incitare: ora erano loro a ridere.
Oscena risata di vili e crudeli uomini.
L’oratore camminava intorno al corpo inerme della sua
vittima incitato dal suo pubblico che lo stava acclamando.
Il viso del mago era nascosto dai lunghi capelli neri, un
velo scuro a coprire il suo amaro sorriso.
Rideva Severus, come mai aveva fatto nella sua vita e si
rialzò di nuovo a fronteggiare l’Oscuro Signore.
- Vedo che non demordi, Severus. Mi è sempre piaciuta questa
tua ostinazione e resistenza, ma non ti servirà. Mi prenderò ciò che voglio, lo
farò direttamente dalla tua mente.
Di nuovo Severus rise: - Prego. – disse allargando le
braccia in segno di resa – Si accomodi pure.
Il suo sorriso stava irritando Voldemort che corse furioso
vicino a lui e con la Legilimanzia cercò di penetrare la sua mente, ma come
sempre vide quello che Severus voleva che vedesse: polvere.
L’Oscuro si ritrasse e sulla sua faccia v’era dipinta
incredulità.
- Ah ah ah! Non ha mai visto niente nella mia mente, l’ho
sempre ingannata, mio Signore – e di nuovo fece un inchino.
Voldemort furente gli lanciò l’ennesima Cruciatus che lo gettò a terra definitivamente privo di sensi.
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Il
Bianco Dolore
C’è una strana quiete intorno a me, un silenzio quasi
irreale.
D’un tratto una fitta lancinante percorre le mie membra
facendomi contorcere e gridare appena.
Apro gli occhi un istante e un odore nauseabondo invade le
mie narici: odore di sangue.
Il mio.
Lo sento pulsare potente sulla mia giugulare, cerco di
allungare una mano verso di essa, ma mi sento vuoto, spossato, senza più forze;
si stacca di qualche centimetro dalle candide lenzuola, ma ricade come morta.
Qualcosa mi stringe la gola.
Credo sia una benda.
Non ricordo nulla, solo visioni frammentate della Stamberga,
del Signore Oscuro e… Nagini…
Sento i suoi denti ancora conficcati nella mia carne e una
leggera nausea m’assale.
Perdo nuovamente i sensi.
- Severus!
- Albus? – chiedo stupito – Sono finalmente morto, vero?
- Oh no, Severus, sei solo un po’ malandato.
Lo vedo sorridere, quel suo sorriso sempre così spensierato.
Riapro gli occhi come se quella voce mi avesse infuso calore
e vita.
Riapro gli occhi e lui non c’è più.
Un triste velo di malinconia mi pervade e una fitta di
dolore mi gela il cuore, un dolore profondo, un dolore atroce per aver ucciso
quel sorriso… per sempre.
Sento ancora il mio corpo vuoto, debole, sembro quasi un
burattino, la mia mente è ancora vigile, ma il mio corpo non risponde ai suoi
comandi.
Dovrei essere morto, non inchiodato in questo letto
d’ospedale!
Alzo appena la testa dal cuscino per riuscire a capire da
dove provengono queste voci.
Cosa diavolo è questo baccano! Non lo sanno che siamo in un
ospedale?
Poi mi volto e tra una densa nebbia che appanna la mia
vista, li vedo: i suoi occhi, luminosi come un astro, preziosi come lo smeraldo
che gli ha rubato il colore.
- Li… Lily! – le parole mi muoiono in gola.
- Mi dispiace, professore, non… non sono lei. - e vedo gli
occhi di Harry, gli occhi di Lily che diventano lucidi per la mia accorata
richiesta rimasta sulle labbra, ma uscita potente dal mio sguardo.
Lily, l’amore a cui sono stato fedele e legato per tutta la
vita.
Lily, la mia dannazione e il mio amore.
Dannazione, non posso parlare, altrimenti lo caccerei via da
questa stanza!
Dannazione, sarei dovuto morire con il dolce ricordo degli
occhi della mia amata e invece sono qui, su questo dannato letto di questo
dannato ospedale a guardare il figlio che avrei voluto fosse il mio.
Mi giro dando le spalle al ragazzo e chiudo gli occhi
cercando di rimanere solo, cercando di erigere nuovamente quella barriera che
mi sono costruito negli anni.
La solitudine è stata la mia fedele compagna di vita,
nemmeno la morte ha deciso di prendere il mio inutile corpo, un’esistenza
triste e solitaria la mia.
Odio questa stanza, così luminosa e così bianca.
Odio gli ospedali, mi ricordano mia madre piangente e
dolorante che aspettava di essere assistita.
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L’abbraccio
del vento
Il vento soffia forte e gelido sul mio viso, la sola candida
camicia, completamente intrisa di pioggia, lo separa dalla mia pelle, le
braccia stese verso quelle fredde gocce di cristallo, gli occhi chiusi ad
assaporare l’autunno.
Il mio corpo completamente lasciato andare al vento per
sentire il suo forte abbraccio su di me.
Mi è sempre piaciuto cavalcare questi animali, volare dove nessuno
può vedermi, dove posso essere completamente me stesso.
A dorso di questa bizzarra creatura ci siamo solo io e la
pioggia.
Le sue ali separano lo scroscio dell’acqua come il fendente
di una lama, ed ogni loro battito spruzza liquido fresco sul mio pallido viso.
E se mi lasciassi andare e il vuoto mi abbracciasse?
E se la gravità mi spingesse verso il baratro del nulla che
da tanto mi attende?
Una leggera spinta e la mia vita finirebbe con il sorriso
che finalmente sarebbe preda delle mie labbra.
Mi basterebbe solo scendere da questo Thestral e gettarmi
tra le braccia del vento che spira così rigido quassù, non aprirei mai le ali
per volare, non le ho, non sono un angelo e scenderei presto all’inferno da
demone quale sono.
Vengo quassù per essere Severus Piton.
Perché non basta indossare una maschera per coprire quello
che sei, il male e il dolore che si hanno dentro non si celano così facilmente.
Io ho imparato in tanti anni, anni passati nell’ombra e
nella solitudine.
Quassù le mura crollano e le barriere cedono, quassù si è
soli con il vento.
Un altro battito d’ali e il Thestral mi porta ancora più in
alto.
Un altro battito d’ali e i pensieri danzano nella mia mente,
foglie sospinte dal vento.
Il dolore flagella la mia anima, onda che s’infrange su duri
scogli.
Il male che ho fatto rinasce in me, nera fenice che risorge
da scure fiamme.
Un’eco si propaga nell’aria: il lamento di un animale,
l’urlo di un mostro.
Un’eco di vita tra fremiti d’aria.
Volo lontano da questo mondo crudele che con le mie azioni
indegne ho contribuito a creare.
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La magia di un sorriso
Tentare di parlare seriamente degli studenti con Albus era
sempre stato come parlare ad un muro.
Anzi,
il muro era ben migliore, almeno non faceva battutine idiote e non sorrideva
sempre.
Cosa
ben peggiore era cercare di dimostrargli quanto zucche vuote fossero i suoi
adorati Grifondoro.
“Sono
degli incapaci! Non si applicano minimamente! Sarebbe più semplice insegnare ad
un Ungaro Spinato come prendere un tè.” gli avevo detto, ma per tutta risposa aveva
sorriso.
Il
suo sorriso mi irrita.
“Come
sei drastico, Severus, sono appena agli inizi, dagli tempo di imparare la
delicata scienza e l’arte esatta delle Pozioni[1].” mi
aveva risposto sogghignando.
Di
rimando gli avevo dedicato un’alzata di sopracciglio.
Quello
era troppo! Quello era veramente troppo! Si prendeva anche gioco di me. Drastico
io?!Se fossi stato drastico, gli avrei
fatto imparare come preparare il Distillato della Morte Vivente a quegli
incapaci e poi glielo avrei fatto bere!
Nel
migliore dei casi qualcuno sarebbe andato all’altro mondo: irritanti incapaci
di meno.
Dopo
questo interessante colloquio gli
venne una bellissima idea:
strampalata come sempre.
Voleva
assistere alla prossima lezione, come se quello che gli dico sia polvere al
vento, non si fida delle mie parole.
Assurdo.
Eccolo
lì che si aggira tra i tavoli degli studenti sempre con quell’aria di chi
partecipa ad un banale gioco.
Non
è un gioco, sono degli incapaci!
Spero
solo che se ne renda conto anche lui mentre io rimango qui a sbuffare
rassegnato.
All’improvviso
uno scoppio fa volare un calderone proprio nella direzione di Silente, ma il
vecchio preside non fa in tempo a spostarsi del tutto che viene colpito appena
dal bolide metallico che gli provoca una bruciatura sul braccio destro.
Mi
avvicino per costatare l’entità della ferita e lui continua a sorridere.
Irritante.
Un’occhiata
al braccio poi un’altra raggelante a Paciock: è Attila travestito da ragazzino
grassoccio e incapace.
-
Siamo fortunati, Severus, la nostra cara signorina Granger ha fatto un’ottima
Essenza di Dittamo, non convieni anche tu?
Davvero
irritante.
Mai
stucchevole quanto quell’odiosa SoTuttoIo che arrossisce solo per un
complimento.
Patetica.
Rispondo
con un mezzo sorriso disgustato.
Devo
ammettere che la ragazzina ha fatto un ottimo lavoro, ma non lo ammetterò mai
davanti a nessuno.
Tre
gocce bastano a curare immediatamente questa bruciatura, peccato non curino
quell’insopportabile sorriso sempre presente sulle labbra di Silente.
Insopportabile.
-
Credo che questa ragazza meriti un piccolo premio, non trovi, Severus?
Non
sapevo che questa pozione desse simili effetti collaterali.
-
Certo, signor Preside.
-
E allora?
Non
posso crederci! Non posso assolutamente crederci! Maledetto Albus e le sue idee
balzane!
Non
lo dirò mai!
Mai!
Ed
ecco di nuovo il suo sorriso.
Irritante
magia più efficace di un Imperius.
-
10 punti a Grifondoro. – sussurro appena.
E
questo rumore cos’è? Lo sento solo io?
Ah,
è solo la mia autostima che precipita in un infinito pozzo nero.
Sorridono
anche loro adesso, ma non lo faranno per molto.
Pagheranno
cari questi 10 punti.
Lo
giuro quant’è vero che mi chiamo Severus Piton!
[1] Harry Potter e la Pietra
Filosofale – Capitolo 8 - Il maestro di Pozioni.
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La luce in un addio
Era
passato tanto tempo dall’ultima volta che era entrato in quella stanza.
Sul
letto che si reggeva in piedi a malapena c’erano ancora le loro tracce: il
dolce profumo della madre che permeava l’aria troppo poco e l’acre aroma
d’alcol che entrava in casa prima del padre.
Padre?
Quale padre?
“Un
padre abbraccia il figlio non una bottiglia, accarezza la moglie non la
picchia” pensò serrando le labbra per la rabbia.
Carezzò
la coperta impolverata dov’era solita dormire la madre, dove piangeva dopo
l’ennesima lite con Tobias.
Non
era solito entrarvi, tantomeno profanarla curiosando in ogni dove.
Il
rispetto era la cosa più importante per lui, ma quel giorno qualcosa al di
fuori di ogni controllo lo spinse ad aprire il piccolo e traballante comodino
di Eileen.
Avvicinò
lentamente le dita tremanti alla logora maniglia di legno, cercando di aprirlo,
ma non ci riuscì poiché era sigillato da un incantesimo.
Sorrise
debolmente: sua madre era davvero una strega brillante.
Ma
lui era un grande mago e con un colpo di bacchetta eliminò la protezione.
La
mano rimase per un istante immobile come se avesse timore, sospirò per prendere
coraggio e l’aprì.
Vuoto.
Perché
proteggere con un incantesimo un cassetto vuoto?
Non
riusciva a capire, possibile che il padre avesse trovato un modo per forzarlo?
Impossibile!
Preso
da una furia cieca al ricordo dell’odiato padre, afferrò il cassetto e lo
lanciò verso il muro mandandolo in pezzi.
Colto
da un senso di sconforto si gettò sul letto facendo alzare una densa nebbia di
polvere.
Un
piccolo sacchetto di velluto nero logoro con una P d’argento ricamata da un
lato attirò il suo sguardo, si avvicinò, lo raccolse da terra e lo fissò per
qualche minuto: aveva timore ad aprirlo.
Emanava
il tipico profumo dolce di Eileen.
Lo
slacciò traendone un lembo di stoffa nera: una lacrima gli scivolò lungo la
pallida guancia.
***
Quell’anno Severus aveva deciso di passare
il Natale ad Hogwarts per non assistere all’ennesima
scena pietosa della madre piangente e del padre perennemente ubriaco.
Come sempre non avrebbe ricevuto regali.
Era intento a leggere quando un pacchetto
lanciatogli da Lucius Malfoy gli piombò sul petto.
Posò il libro e si mise ad osservare il
pacco grezzo fatto con della carta e dello spago.
Lo aprì e vi trovò una cravatta nera e sulla
carta in cui era avvolta c’era scritto qualcosa:
“Mio adorato, Severus,
perdona l’orribile
pacco regalo, ma non dovevo destare sospetti in tuo padre.
Sai che odia qualsiasi
cosa abbia a che fare con la magia.
Perdonalo ti prego.
Non è nulla di
particolare, solo un piccolo pensiero.
Vorrei che la
indossasi questo Natale così potrai essere elegante.
Per ricordarti di me,
di tua madre che ti vuole bene e che è sempre con te anche quando non ti è
accanto.
Vorrei che la
indossassi per ogni momento speciale della tua vita perché ne avrai tanti, amor
mio.
Sei un ragazzo
straordinario e meriti tutto il bene di questo mondo e se questo significa
stare lontano da qui, fallo, Severus!
Vivi la tua vita
felice lontano da qui.
Ti vorrò sempre bene,
e continuerò a donarti tutto l’amore possibile.
Indossala pensando a
me.
Ti voglio bene!
Mamma.”
Su quel pezzo di carta sgualcito Severus
mischiò lacrime amare a quelle della madre che avevano sbiadito leggermente
alcune parole.
Sorrise debolmente.
***
Piangendo
strinse con rabbia quella cravatta.
Amava
quel pezzo di stoffa, le ricordava sua madre, era un suo regalo, l’unico che
avesse mai ricevuto.
L’amava
perché in una calda mattina d’ottobre l’aveva mostrata a Lily che lo aveva
preso in giro.
Al
contempo la odiava perché era legata alle ultime ore di vita della madre.
Eileen
aveva utilizzato gli ultimi soldi del mese per comprargliela e quando Tobias
l’aveva scoperto, era andato su tutte le furie e, spintonandola,
le aveva fatto sbattere la testa a terra violentemente.
L’aveva
lasciata sul pavimento agonizzante, mentre lui era andato a morire chissà dove.
Aveva
visto solo una tomba grigia e spoglia sulla quale aveva posto il suo regalo,
perché tenerlo gli avrebbe sempre ricordato che lei
era morta a causa di esso.
Si
alzò dal letto e un’altra fitta nuvola di polvere si addensò nell’aria,
avvicinò la cravatta alle labbra e vi posò un bacio.
Una
lacrima scese lenta, poi sorridendo parlò come rivolto alla madre: - Addio per
sempre! Ti vorrò sempre bene, mamma.
Posò
la stoffa sul letto intriso di polvere e ricordi.
Uscì
sigillando il buio di un addio portandone con sé solo la luce.
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Il fuoco brucia in una spira
Faceva freddo quella sera, la neve era caduta abbondante e
la città si era tinta di bianco.
Nella sua stanza un uomo era seduto su una poltrona consunta
e fissava il fuoco che si muoveva creando un’ipnotica danza.
Solo, al buio, se ne stava lì cercando di non pensare, ma
era complicato non farlo: i pensieri gli vorticavano nella mente come le fiamme
che ardevano nel camino.
La sua pelle era ancora bagnata e lacrime d’acqua gli
scivolavano lungo il corpo cadendo a terra dove si raccoglievano in un piccolo
specchio trasparente che rifletteva il suo viso pallido e stanco.
Ogni tanto qualche goccia scendeva lenta dai lunghi capelli
neri increspando il piccolo specchio d’acqua.
Il suo volto spariva nel liquido incolore e forse Severus
Piton era ben felice di non vedere la sua immagine riflessa.
I suoi occhi, neri di dolore, s’incatenarono alla macchia
sull’avambraccio sinistro.
Una macchia.
Una colpa.
Un rimorso che mi
lacera dentro, un dolore che si è impresso sulla mia pelle ormai da tempo.
Un teschio di morte
che sono costretto ad osservare ogni giorno della mia
vita.
Un vile serpente che
si avvolge alla mia anima, stringendola nelle sue spire fino a farmi mancare il
respiro.
Un grido straziante
fuoriesce dalla lurida macchia, è l’urlo del mio cuore
ormai solo pietra inerme, la voce di ogni vita che ho spezzato per esso.
Tutt’intorno c’erano scaffali colmi di libri e pozioni, gli
unici amici che aveva, l’unico svago che possedeva. La
sua sete di conoscenza lo aveva portato a collezionare volumi su volumi e molticelavano incantesimi tra i
più oscuri mai esistiti.
Le fiamme del camino carezzavano quei testi polverosi
rendendoli come d’oro: il suo unico tesoro.
Il vento gelido sibilava tra le imposte della casa, creando
echi mortali che s’insinuavano nella mente di Severus.
La mia unica colpa è
stata il desiderio di conoscenza.
Il sapere sopra ogni
cosa.
A cosa mi è servito
conoscere tutto questo?
A
nient’altro che uccidere persone su persone, solo a distillare pozioni di
morte.
Vedevo la morte che
arrivava a prendere quelle vite, sentivo il loro ultimo respiro.
Non ho mai avuto
niente in questa mia vita, nessun bene materiale, nessun
affetto.
Avevo solo un cuore e
un’anima e ho perso anche quelli, barattati per un teschio e un serpente.
Si muove sinuoso tra
le mie vene lasciando che il suo veleno si mischi al mio sangue.
Un veleno che
m’incatena al dolore, che mi costringe alla sofferenza e alla solitudine, che
discioglie la purezza della mia anima.
Severus si alzò di scatto e andò vicino al camino;
inginocchiato osservava le fiamme che ancora danzavano come i suoi pensieri.
Avrebbe voluto mettere l’avambraccio sopra al fuoco e
bruciare il Marchio, ma non sarebbe servito a nulla, perché non era una
semplice macchia, era un dolore impresso nell’anima, difficile da bruciare,
nemmeno con il più potente degli incantesimi.
Chissà se alla mia
morte continuerà a sporcarmi la pelle?
Se bruciassi
completamente, rimarrebbe lì?
I suoi erano pensieri di chi sa che presto o tardi sarebbe
giunto alla fine.
Il suo unico desiderio non era vivere, anzi, la morte la
aspettava da tempo: agognava che il Marchio finalmente
scomparisse dalla sua pelle.
Vorrei solo non averti,
non essere schiavo di un viscido serpente.
Vorrei morire,
liberarmi da tutto questo dolore, da tutto questo male che ho contribuito a
creare.
Vorrei essere soltanto
schiavo di me stesso.
Ma in fondo merito di essere servo di queste mie colpe e per esse
continuo a camminare portandomi dietro il peso di questo Marchio.
L’impronta di quello
che sono.
Soltanto un asciugamano lo copriva: vicino alle fiamme
sentiva le gocce d’acqua disciogliersi nell’aria e il calore bruciargli il
corpo.
Avrebbe voluto vedere un teschio ed
un serpente dimenarsi tra le fiamme, consumarsi lentamente fino a diventare
nient’altro che cenere.
A cosa sarebbe servito?
Il dolore e le colpe sarebbero rimasti dentro di lui, perché
quello che portiamo nel cuore nessuna fiamma potrà mai bruciarlo.
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Un banale gesto che scalda il Natale
Non so per quale strano motivo sia venuto in questo luogo di
dolore, non so perché la mia mente mi abbia condotto proprio qui.
La tua mente, Severus?
Non sarà stato forse
il tuo cuore che ancora reclama quegli occhi e desidera toccare quelle labbra?
Maledizione!
Fa freddo, il respiro si addensa in una nuvola gelida
davanti a me, il mantello non riesce a scaldare il ghiaccio che mi è dentro.
I miei passi sono lenti e sento una morsa allo stomaco che
si fa più forte man mano che mi avvicino al luogo della mia sofferenza.
Della mia gioia.
Quanta amara sofferenza in questa mia vita, quanto dolore è
passato davanti ai miei occhi, quante vite.
Perché non la mia?
Perché continuo a camminare in questa desolazione quando non
ho ormai più niente per cui vivere?
Solo e disprezzato come merito di essere.
Perché non mi trovo sotto uno spoglio cumulo di terra?
Dovrei starci io là sotto.
Odio, colpe e sangue fanno parte di me, non amore, non
amicizia, non sorrisi.
Eccola lì, la sua tomba.
L’ultima dimora della mia Lily.
Mi fa male guardare quel gelido pezzo di marmo, quel suo
nome coperto da una leggera coltre di neve.
Accarezzo quei caratteri nella vana speranza di sentire la
sua pelle, sfioro ogni curva di quelle lettere immaginando di toccare il suo
corpo.
Poi vedo il nome dell’odiato rivale e mi sale la rabbia
attraverso la schiena.
Rivale?
Non essere ridicolo,
Severus, tu non hai mai avuto rivali perché lei non si è mai interessata a te,
non è mai stata nemmeno una vera amica.
Smettila! Lei è stata l’unica.
Un’amica non ti
abbandona quando ne hai più bisogno, Severus, un’amica non ti cancella dalla
sua vita se commetti un errore.
Amicizia è essere
legati con il cuore e con la mente, voi lo eravate, Severus?
Lo eravate solo con la
mente, ma non con il cuore, solo il tuo andava verso di lei, non il suo.
Se in un’amicizia non
c’è cuore è solo un involucro vuoto, e voi eravate un involucro vuoto, Severus.
Tu la amavi, lei no.
Tu la consideravi
amica, lei no.
Dimenticatela e vai
avanti, Severus!
Non posso, lei è stata e resterà l’unica.
Per sempre.
Un rumore di passi interrompe i miei pensieri.
Devo andarmene da qui, nessuno può vedermi in questo luogo.
Sono qui solo per lei, solo per Lily.
Sono qui per dare il mio ultimo saluto alla donna che ho
amato per tutta la mia vita, per volgere per l’ultima volta il mio sguardo su
di lei.
- Per favore, non se ne vada! – mi chiede d’un
tratto una voce quasi con tono di supplica.
Mi fermo.
Non lo guardo.
- Cosa vuoi, Potter?
Mi volto verso di lui, mi fissa, un sorriso ad increspargli
le labbra, con quel volto che dopo tutto questo tempo ancora continuo ad
odiare, quegli occhi che nonostante tutto continuo ad amare.
Non sembra per niente sorpreso di trovarmi lì, davanti alla
tomba dei suoi genitori, sorride solamente, come se avesse incontrato un
vecchio amico dopo tanto tempo.
Ma io non sono un vecchio amico, non sono mai stato amico di
nessuno.
Mi sento quasi in imbarazzo a stare qui, vorrei
Smaterializzarmi all’istante e sparire per sempre da questo mondo.
Rimaniamo per qualche istante fermi, immobili a guardare
entrambi una fredda lastra di ghiaccio.
Una fitta mi trafigge la gola, proprio nel punto in cui un
serpente al servizio di un altro mi aveva trafitto.
È il rimorso per aver posato la prima pietra di quella
tomba, è il dolore per aver causato quelle morti.
- È Natale, professore, lo sa? – mi dice volgendo lo sguardo
verso il cielo.
- Non vorrai mica baciarmi, Potter? – gli rispondo notando
che sta guardando un ramo di vischio.
Sorride.
Non ha più timore di me, non è più il ragazzino idiota con
tutta la strafottenza ereditata dal padre, ormai è un uomo, un mio pari, ma
lungi da me rivelargli queste cose.
D’un tratto mi tende una mano,
ancora sorride.
- Grazie, professor Piton! Devo la mia vita a lei, tutti
dobbiamo la vita a lei.
Lo guardo per un attimo sorpreso: il suo braccio è ancora
teso.
Allungo la mano ad incontrare
quella del ragazzo che, inaspettatamente, mi abbraccia.
- Cos’è questo, Potter?
- Lo prenda come un regalo di Natale.
Tra la neve e il freddo di Godrick’s Hollow una flebile
fiamma riscalda il gelo della mia anima.
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citazione da essa.
Questa storia non è stata
scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del
copyright è pertanto intesa.
Passion
Le passioni animano la nostra
vita, ci fanno camminare dove nessuno oserebbe, tra i sentieri intricati
dell’esistenza e tra la fitta foresta di sentimenti che proviamo.
Alla passione non si può
sfuggire, ti travolge come un vento e ti spazza via fino a farti crollare a
terra sotto l’insopportabile peso di un sentimento che è solo tuo.
E quando una passione non può
e non deve esistere?
Cosa si fa?
Si cerca aiuto in un’altra
passione, una passione più materiale.
Ma può qualcosa di materiale
contrastare una passione che ti viene da dentro?
Nella stanza c’erano densi
vapori che vorticavano nell’aria, la penombra creava un’atmosfera quasi
irreale, come sospesa nel tempo.
Un fuoco illuminava flebilmente
un angolo della stanza dove c’erano un calderone ricolmo di varie sostanze e un
tavolo pieno di strani ingredienti e boccette.
Un uomo era intento a
tagliuzzare degli strani animali mentre ogni tanto distoglieva lo sguardo verso
un libro completamente scuro dalle lettere argentate quasi sbiadite dal tempo.
C’era silenzio tutto intorno,
talvolta rotto dal liquido che bolliva nel paiolo e dallo scoppiettio del fuoco
sottostante che diveniva più forte quando alcune gocce di pozione colavano su
di esso.
La concentrazione del mago
non veniva meno a quei rumori, erano un’abitudine per lui, quello che non
voleva erano interruzioni dall’esterno, soprattutto da lei, per questo aveva sigillato il suo ufficio con un incantesimo.
Stava tagliuzzando delle
alghe piuttosto viscide e dovette faticare non poco per riuscire a bloccarle al
tavolo per tritarle meglio.
I tagli erano precisi e
veloci e in un attimo diventarono una poltiglia uniforme di un verde piuttosto
scolorito e dalla smorfia che fece non doveva essere particolarmente profumata.
Il coltello scivolò sul legno
per prendere le alghe disintegrate, con l’altra mano si portò alla lama per non
farle cadere, e le gettò nel calderone che subito prese a fumare più
abbondantemente.
La pozione assunse all’istante
una colorazione marrone.
Ma il lavoro era ancora lungo
e avrebbe impiegato moltissimo tempo, ma non gli importava, doveva
assolutamente togliersi quel peso che l’opprimeva.
Si allontanò dal tavolo per
andare a prendere una boccetta su di uno scaffale, vi estrasse delle radici
scure e le gettò all’interno di una pentola contenente acqua bollente, doveva
togliere la parte amara delle radici, non per il sapore che avrebbero avuto, ma
perché erano piuttosto velenose.
Versò una pozione Inverti
Veleno[1]
nella pentola e tornò al tavolo per schiacciare delle bacche coltivate durante
la fase di luna decrescente in modo da potenziare la mistura che serviva a
rallentare maggiormente i sentimenti.
Severus non era sicuro che
avrebbe funzionato, non era mai stata fatta prima, ma doveva provarci per
reprimere quella passione che ogni giorno accresceva in lui.
Paradossalmente, la capacità
di stare soli è la condizione prima per la capacità d'amare[2],
e in Severus questo era piuttosto tangibile.
Sempre solo tra i fumi e le
pozioni, ma sapeva amare come nessun altro.
Una volta pronte le radici le
gettò nel calderone insieme agli altri ingredienti, mescolò due volte in senso
orario, quattro in senso antiorario, poi si lasciò cadere sulla poltrona e
aspettò che fosse pronta.
Era soddisfatto, la pozione
era riuscita perfettamente e non doveva far altro che berla. Rimase con
l’ampolla in mano per qualche istante, un tempo infinito, non era sicuro, ma
era l’unica speranza di addormentare quella bestia ruggente che s’insinuava tra
il suo cuore e la sua anima.
Non aveva scelta, doveva
distruggere quella passione che aveva per quella donna, perché nonostante la
guerra fosse finalmente finita, per lui continuava, continuava una guerra
dentro se stesso che non gli permetteva di andare avanti e di essere felice
come tutti gli altri.
Non si meritava la felicità e
non si meritava i sorrisi che quella donna gli riservava e che gli facevano
battere più forte il cuore e brillare gli occhi.
Non poteva, così trangugiò in
un unico sorso la pozione rossa e chiuse gli occhi nell’attesa.
Era tardi, non aveva nemmeno dormito
per preparare la pozione che lo avrebbe liberato, ma non poteva riposarsi, i
suoi doveri verso Hogwarts venivano prima di tutto.
I suoi doveri, sempre i suoi
doveri.
Quasi arrivato nell’ufficio
che fu di Silente, la incontrò, bellissima nel suo abito rosso, rosso passione.
- Buongiorno, Severus – gli
disse.
Le sorrise e rimase a
guardarla per qualche secondo.
Gli bastò scrutare i suoi
occhi per capire che le passioni non si sconfiggono con nessun sortilegio, ma
solo con la forza di volontà.
Lui non l’aveva.
Non più.
Lui voleva lei.
[1] Non
esiste, l’ho inventata io, mi serviva ai fini della pozione madre, ma non
chiedete spiegazioni e ragguagli che non lo so com’è fatta :D
Mi svegliai di soprassalto, fuori la luna era ancora alta e il buio
circondava ogni cosa, potevo sentire alcuni rumori provenire dalla Foresta
Proibita, ma c’erano altri suoni che destarono la mia attenzione
Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me
bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne
detiene i diritti.
I personaggi originali e la trama di questa storia sono
invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e
preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una
citazione da essa.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per
puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.
Night Flavor
Mi
svegliai di soprassalto, fuori la luna era ancora alta e il buio circondava
ogni cosa, potevo sentire alcuni rumori provenire dalla Foresta Proibita, ma
c’erano altri suoni che destarono la mia attenzione.
Ero
rimasto per alcuni giorni rinchiuso nelle mie stanze per riprendermi dalle
torture che avevo subito, non avevo toccato cibo, e per quanto cercassi di
quietare certi istinti, a volte erano più forti di
qualsiasi volontà.
Maledizione,
avevo fame.
Il
mio stomaco stava protestando più del dovuto e non potevo non accontentarlo.
Scesi
dal letto, infilati i pantaloni e la camicia, mi diressi alle cucine. Chissà se
avrei trovato qualcosa da mangiare.
Faceva
freddo, rimpiangevo quasi di essere sceso solamente con addosso
la camicia, ma la fame che avevo non mi avrebbe permesso di tornare
indietro a prendere la casacca.
Vicino
alle cucine, un’intensa folata colpì il mio viso, un odore che avevo già
sentito ma che non riuscivo a visualizzare bene nella mia mente.
Avevo
già vissuto tutto questo, ma non ricordavo esattamente quando, l’unica immagine
che mi balenò fu quella delle cucine di Hogwarts.
Entrai.
Non
c’era nessuno, solamente la mia oscura presenza.
Sul
tavolo c’era un grosso piatto ricoperto da un tela
verde con dei ricami argentati. Vicino un calice riempito con del vino rosso
che emanava un odore quasi dolciastro.
“Non dovrebbe dormire
a quest’ora, signorina?”.
Una ragazza si girò
di scatto guardando il suo insegnate quasi con paura,
era visibilmente paonazza per essere stata scoperta.
Che
stranezza, erano proprio i colori della mia casa, nasconderanno sicuramente
qualcosa di buono. Un ghigno beffardo stirò le mie labbra.
Tolsi
la tela e un forte profumo di cacao amaro invase i miei sensi, ma sentii
dell’altro, un odore più speziato, era un dolce acre che avevo già gustato, ma
non riuscivo a ricordare perfettamente quando.
“Lo so.” sospirò
appena “Avevo nostalgia di casa.” aggiunse con una
nota di profonda malinconia.
“Non importa, qui ci
sono delle regole da rispettare, non stiamo a casa sua
che può fare come le pare. Cinquanta punti in meno alla sua casa! Ora vada a dormire.”.
Nel
piatto c’erano degli strani dolci disposti a formare un cinque e uno zero.
Sgranai
gli occhi. Certo! Il giorno in cui avevo tolto dei punti alla mia casa.
Maledizione, mi chiedevo ancora come avessi fatto a non trovare una scusa per
non togliere punti a Serpeverde. Quell’aroma mi aveva
annebbiato i sensi tant’era forte e lo stava facendo
ancora.
“Se vuole può mangiarle” gli aveva detto la ragazza porgendogli
il piatto.
“Non mangerò un bel
niente. Se ne vada!” rispose duro il professore, la sua voce tradiva rabbia, ma quell’aroma…
Quando fu sicuro che
la ragazza se ne fosse andata avvicinò le mani a quello strano cibo.
“Si mangiano con le
mani, professore” lo interruppe una voce sorridente.
“Fuori!” le intimò
ancora, uscendo anch’egli dalla stanza.
Come
diavolo era possibile, erano passati alcuni anni da quella notte, non c’era nessun’altro nelle cucine, chi mai avrebbe potuto
organizzare uno scherzo tanto idiota.
Chiunque
fosse stato l’avrebbe pagata cara.
Non
riuscivo a capire e quello mi faceva salire la rabbia, ma quell’intenso profumo
riuscì nuovamente a calmarmi.
Avevo
fame e decisi di mangiarne uno.
Presi
un piattino da una mensola e una forchetta da un ripiano lì vicino, mi sedei
deciso ad assecondare finalmente il mio stomaco che ancora protestava.
Afferrai
uno di quei dolci e lo posai nel piatto, era una strana crêpe
arrotolata con un ripieno di formaggio dolce aromatizzato con cannella e cacao
amaro, e qualcos’altro che non riuscivo a distinguere, il profumo che emanava
era delizioso e l’aspetto lo era altrettanto, ma con la fame che avevo avrei mangiato anche i biscotti di Hagrid.
Con
la forchetta tra le dita cercai di prenderne un pezzo, “Si mangiano con le mani, professore”, quella frase esplose
all’istante nella mia testa.
Maledetta
ragazzina italiana e i suoi dolci stregati!
Non
c’era nessuno nella stanza, soltanto io e quell’aroma che mi stava stringendo
in una morsa quasi asfissiante, ma era una sensazione bellissima che non volevo
finisse mai.
Presi
quel rotolo tra le mani e lo addentai.
Delizioso!
Quella ragazzina sapeva il fatto suo, era davvero delizioso, una mescolanza di
sensazioni si diffuse nella mia bocca lasciandomi un sapore dolce-amaro sul
palato.
Lo
finii in pochi istanti.
-
Vedo che ha seguito il mio consiglio, professore.
- esordì una voce alle mie spalle.
Sorrisi
appena osservando una donna poggiata al muro che mi guardava divertita, presi
il calice di vino e brindai a quel consiglio.
Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me
bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne
detiene i diritti.
I personaggi originali e la trama di questa storia sono
invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e
preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una
citazione da essa.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per
puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.
Tu non sei un eroe
Dicono che quando nessuno piange la tua morte, il cielo lo
fa per esso.
Pioveva quel giorno, ma non c’era nessuna bara da bagnare, nessun fiore da inumidire con lacrime amare di dolore.
I lampi squarciavano il buio della notte, ormai era
solamente un corpo freddo, lo era da tempo.
Il vento ululava tra il legno della stanza alzando appena la
polvere che danzava intorno quel corpo ormai senza più
un anelito di vita.
Disteso. Immobile. Freddo. Morto.
Nessun respiro tra la pozza di sangue che macchiava il
pavimento, ormai denso lago di freddo liquido che non ti donava più la vita,
non ti regalava più calore.
Il gelo era tutto intorno.
Il gelo era sulla tua pelle.
I tuoi occhi erano ormai spenti e non avrebbero visto più
nulla su questa terra, il loro sguardo non avrebbe carezzato più nulla.
Ti osservi dall’alto e
quasi ti viene da ridere, sai che quella è la fine che hai meritato, non
avresti sperato in nulla di più.
I funerali sono per
gli eroi, la gloria è per gli eroi, le lacrime sono
per gli eroi.
Tu non sei un eroe.
Ma adesso sei libero,
sei sereno, sei vivo.
Vivo?
Piuttosto ironica come
cosa visto il luogo in cui ti trovi.
Ti chiedi
dove sei, vero?
Paradiso?
Inferno?
Tu non sei un eroe,
dove meriti di stare?
Sei una spia, un
assassino, un traditore, che ci fai in questo luogo?
Sorridi.
Vedo il tuo volto
finalmente disteso, nessun peso ormai grava più su di te.
In piedi con le braccia
incrociate al petto osservi quel corpo, osservi il tuo
corpo.
C’è silenzio intorno a
te, una leggera brezza ti carezza i capelli corvini e ti inonda
di fragranze provenienti non sai da dove.
Dei passi, un profumo,
una voce.
- Grazie, Severus! Grazie per tutto quello che hai fatto per tutti
noi, hai protetto mio figlio, lo hai salvato e io te
ne sarò per sempre grata. Forse tra di noi sarebbe potuta andare diversamente,
forse, Severus… tanti dubbi, nessuna certezza. Mi
dispiace per come è andata, avrei dovuto rendermi
conto di ciò che stava avvenendo in te, ti sarei dovuta stare più vicina invece
di allontanarti per sempre da me. Ho dovuto capirlo quassù, mentre ti
osservavo. L’ho capito troppo tardi, mi dispiace, Sev.
Sentirsi chiamare
nuovamente in quel modo era il più bello dei doni.
- Lily… io…
Si avvicina a te,
sfiora le tue labbra con l’indice, facendoti tacere.
- Non dire nulla, Sev, non hai bisogno di dire nulla, mi basta vedere i tuoi
occhi, sei stato il nostro eroe, Sev.
Tu non sei un eroe.
Ti abbraccia.
Ne senti il calore anche se sei morto, senti qualcosa che non hai mai
percepito.
Agli eroi spetta la
gloria.
Non sei un eroe e ti
spetta un abbraccio.
Il premio più
importante che tu potessi vincere.
Hai combattuto la tua
battaglia e hai avuto il riconoscimento più bello che potessi avere: il suo
abbraccio, il suo calore, il suo profumo, la sua pelle, i suoi occhi di nuovo
incatenati ai tuoi.
Non sei un eroe, ma il
premio che hai ricevuto è degno di un eroe.
L’abbraccio della
donna che ami.
La pioggia si era fatta più intensa e penetrava dal tetto
della stanza bagnando quel corpo inerme che giaceva a terra tra la polvere e il
sangue.
Il cielo piangeva e lavava via quel fluido ambrato dalla sua
carne, voleva che fosse nuovamente candido agli occhi del mondo.
Voleva che fosse un eroe nella sua tomba.
Tu non sei un eroe.
E nessuno avrebbe pianto la morte dell’eroe Severus.
Nessun fiore sarebbe stato adagiato sulla sua bara.
Il vecchio Silente magari avrebbe adagiato una bianca
ninfea, simbolo di un amore non corrisposto e mai vissuto: ironico anche nella
morte sarebbe stato.
Ma Silente non c’era più, morto insieme a
lui, ucciso dall’uomo che non era un eroe.
Una ninfea bianca che attendeva insieme a
te l’alba di un nuovo sole.
Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia
non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene
i diritti.
I personaggi originali e la trama di questa storia sono
invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per
pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per
puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.
La paura che ti incatena
Fermo.
Immobile.
Come se qualcuno ti avesse incatenato al suolo, alle pareti.
Non ci sono, ma le vedi, lunghe e pesanti catene che non ti permettono di
muoverti.
Intorno a te solo silenzio, ogni rumore svanisce, ovattato
dalla paura che ti colpisce all’improvviso, senza nessun preavviso, come un
vecchio amico che viene a trovarti dopo anni di lontananza.
Poi in un istante un forte battito ti getta a terra, ma sei
ancora incatenato dall’invisibile.
Senti il cuore esploderti in petto e i polmoni espandersi
per ricevere più aria possibile, li percepisci colpire le costole: ti fa male.
La paura è un animale che ti morde senza lasciarti scampo,
più cerchi di divincolarti, più la stretta aumenta, e quell’animale non aspetta
altro che l’ultima goccia di sangue svanisca dal tuo corpo, esanime pezzo di
carne senza più scopo d’essere.
La paura, dolce sensazione che t’attanaglia, che ti fa
cadere a terra sotto il peso di un’ancora che ti trascina a fondo, ne senti
l’odore, così forte da darti la nausea.
Di cos’hai paura, Severus?
Sei un uomo costantemente a contatto con il pericolo, con la
morte che ti segue come un’ombra, passo dopo passo. Ne senti la presenza, ne
senti la fetida puzza che t’accompagna ogni giorno.
Ma non la temi.
La desideri come si desidera una donna o un uomo.
La tua strada è tracciata da tempo, il tuo destino si deve
compiere in un modo o nell’altro, nessun fallimento è contemplato, non puoi
assolutamente pensare ad un fallimento. Impossibile!
Di cos’hai paura, Severus?
Hai paura di fallire, vero?
La paura distilla ogni bene in veleno, e chi meglio di te
può saperlo.
Ogni notte t’immagini davanti all’Oscuro Signore, le tue
difese che crollano dopo pochi secondi come una casa di legno colpita da un
colpo di cannone. Nella tua testa tutto si frantuma, e ogni cosa che cerchi di
nascondere sarà per lui un’arma contro l’intero mondo, ogni parola una lama che
si conficca in te, rendendoti inutile e morto. Ma non temi la morte.
Temi di non portare a compimento il tuo dovere.
«Sarai pronto?», due parole sferzate come un colpo di spada,
ti avevano colpito al volto e in un rivolo di sangue era uscito un «Sì»,
potente come un martello su un’incudine.
Ma ogni notte la paura che la risposta a quella domanda
fosse solamente un “No”, t’afferrava la gola senza lasciarti respirare. Avevi
risposto sì perché sarebbe stato l’unico mezzo per cancellare ogni errore
commesso, ma giorno dopo giorno ti accorgevi che le macchie dell’anima non si
rimuovono nemmeno con il più potente degli incantesimi.
E ogni giornata la passavi allenandoti e preparandoti
all’imminente ritorno del mostro che ti aveva avvolto tra le spire di un
serpente. E ogni giornata la paura di non riuscire nel tuo compito si faceva
sempre più forte e la notte ti spezzava ogni anelito di vita, lasciandoti come
morto nel letto umido di sudore e disperazione.
«Sei pronto?», ancora quelle due parole, più inesorabili che
mai, ti costringono a fare i conti con la realtà, l’Oscuro Signore è tornato e
tu hai un compito da portare avanti, nessuna paura, nessun timore, solo con te
stesso.
Sei pronto, Severus a fare i conti con ciò che sei stato e
con ciò che potrai essere?
Hai paura, vero? Chiunque al posto tuo l’avrebbe, ma non c’è
paura se non c’è coraggio, e il timore di fallire ti fa muovere quei passi ogni
giorno, un lungo percorso sconnesso tra una foresta fitta e oscura, ma quando
uscirai da lì, sarai pronto, pronto per fare ciò che devi.
Quando la paura ti colpisce all’improvviso non sai cosa
fare, pensi di non riuscirci, che sei soltanto un inutile fantoccio nelle mani
di diversi burattinai, poi, tra le catene che non ti fanno muovere, li vedi:
due meravigliosi occhi verdi, due smeraldi il cui colore si affievolisce man
mano che il tempo passa, cerchi di afferrarli allungando una mano, ma quello
che ottieni è soltanto un solco sulla pelle lasciato da quei vincoli di ferro.
Li vedi scomparire, allontanarsi per sempre da te, ancora e ancora, ma li
ritrovi negli occhi di un figlio che non è tuo, un figlio che hai giurato di
proteggere a costo della tua stessa vita.
E sai che lo farai, nessuna paura, nessun vincolo, soltanto
un maledetto dovere, perché chi ha paura
muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola.[1]
E, compiuto il tuo dovere, non aspetti altro che morire e
rivedere quegli occhi.