Severus e...

di Cheonefer86
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Black Smile ***
Capitolo 2: *** Il Bianco Dolore ***
Capitolo 3: *** L'abbraccio del vento ***
Capitolo 4: *** La magia di un sorriso ***
Capitolo 5: *** La luce in un addio ***
Capitolo 6: *** Il fuoco brucia in una spira ***
Capitolo 7: *** Un banale gesto che scalda il Natale ***
Capitolo 8: *** Passion ***
Capitolo 9: *** Night Flavor ***
Capitolo 10: *** Tu non sei un eroe ***
Capitolo 11: *** La paura che ti incatena ***



Capitolo 1
*** Black Smile ***


Titolo: Black Smile

Storia scritta per il primo turno del concorso “Lotta all'Ultimo Inchiostro” del Magie Sinister Forum (http://magiesinister.forumcommunity.net/) sul tema “Risata di Piton”.

Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti.

I personaggi originali e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.

Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Black Smile

 

Quel giorno lacrime chiare scesero dal cielo per assistere impotenti a quell’empio spettacolo.

Un uomo giaceva a terra, in ginocchio, madido di sangue e pioggia.

Nonostante le numerose Cruciatus ricevute si rialzò a fronteggiare il mostro che aveva davanti.

- Ah ah ah! Come ci si sente ad avere il potere e non potersene servire? Ci si sente una nullità, vero, mio Signore? – fece un inchino mentre le sue labbra si stirarono in un ironico sorriso.

Il mago lo stava sfidando apertamente.

Una strega dallo sguardo di un folle assassino corse verso Severus con la bacchetta stretta tra le mani in modo furioso.

- Come osi ridere dell’Oscuro Signore! – gli urlò Bellatrix frapponendosi tra i due. – Sei un codardo che si nasconde dietro parole. – aggiunse.

Il volto di Severus divenne marmoreo, le labbra si serrarono e gli occhi neri rilucevano di ardente rabbia.

- Non immischiarti, Bella – e le intimò di togliersi di mezzo – Sparisci!

Ma la maga non si mosse.

- Avada Kedavra! – urlò Severus mentre un fascio di luce verde colpì in pieno petto Bellatrix.

Ci fu un attimo di silenzio e tutti si bloccarono come se fosse stato fermato il tempo.

- Ah ah ah! Sono stato un vero codardo ad uccidere una donna. – la sua risata si propagò per la radura, - Che vigliaccheria da parte mia. Mi scuso profondamente. – e s’inchinò con riverenza per scusarsi con la donna che giaceva morta ai suoi piedi.

Gli occhi di Voldemort si fecero ancora più rossi e la sua furia cieca si scagliò implacabile su Severus che cadde nuovamente a terra, dolorante, con il sangue che fuoriusciva copioso dai numerosi tagli che un Sectumsempra gli aveva provocato.

- Non ridi più, Severus? Dov’è finita tutta la tua spavalderia?

Voldemort allargò le braccia parlando ai suoi fedeli Mangiamorte come a volerli incitare: ora erano loro a ridere.

Oscena risata di vili e crudeli uomini.

L’oratore camminava intorno al corpo inerme della sua vittima incitato dal suo pubblico che lo stava acclamando.

Il viso del mago era nascosto dai lunghi capelli neri, un velo scuro a coprire il suo amaro sorriso.

Rideva Severus, come mai aveva fatto nella sua vita e si rialzò di nuovo a fronteggiare l’Oscuro Signore.

- Vedo che non demordi, Severus. Mi è sempre piaciuta questa tua ostinazione e resistenza, ma non ti servirà. Mi prenderò ciò che voglio, lo farò direttamente dalla tua mente.

Di nuovo Severus rise: - Prego. – disse allargando le braccia in segno di resa – Si accomodi pure.

Il suo sorriso stava irritando Voldemort che corse furioso vicino a lui e con la Legilimanzia cercò di penetrare la sua mente, ma come sempre vide quello che Severus voleva che vedesse: polvere.

L’Oscuro si ritrasse e sulla sua faccia v’era dipinta incredulità.

- Ah ah ah! Non ha mai visto niente nella mia mente, l’ho sempre ingannata, mio Signore – e di nuovo fece un inchino.

Voldemort furente gli lanciò l’ennesima Cruciatus che lo gettò a terra definitivamente privo di sensi.

Gli serviva ancora.

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Capitolo 2
*** Il Bianco Dolore ***


C’è una strana quiete intorno a me, un silenzio quasi irreale

Nota: storia scritta per il secondo turno del concorso “Lotta all'Ultimo Inchiostro” del Magie Sinister Forum (http://magiesinister.forumcommunity.net/) sul tema “Severus ricoverato al San Mungo”.

Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti.

I personaggi originali e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.

Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il Bianco Dolore

 

C’è una strana quiete intorno a me, un silenzio quasi irreale.

D’un tratto una fitta lancinante percorre le mie membra facendomi contorcere e gridare appena.

Apro gli occhi un istante e un odore nauseabondo invade le mie narici: odore di sangue.

Il mio.

Lo sento pulsare potente sulla mia giugulare, cerco di allungare una mano verso di essa, ma mi sento vuoto, spossato, senza più forze; si stacca di qualche centimetro dalle candide lenzuola, ma ricade come morta.

Qualcosa mi stringe la gola.

Credo sia una benda.

Non ricordo nulla, solo visioni frammentate della Stamberga, del Signore Oscuro e… Nagini…

Sento i suoi denti ancora conficcati nella mia carne e una leggera nausea m’assale.

Perdo nuovamente i sensi.

- Severus!

- Albus? – chiedo stupito – Sono finalmente morto, vero?

- Oh no, Severus, sei solo un po’ malandato.

Lo vedo sorridere, quel suo sorriso sempre così spensierato.

Riapro gli occhi come se quella voce mi avesse infuso calore e vita.

Riapro gli occhi e lui non c’è più.

Un triste velo di malinconia mi pervade e una fitta di dolore mi gela il cuore, un dolore profondo, un dolore atroce per aver ucciso quel sorriso… per sempre.

Sento ancora il mio corpo vuoto, debole, sembro quasi un burattino, la mia mente è ancora vigile, ma il mio corpo non risponde ai suoi comandi.

Dovrei essere morto, non inchiodato in questo letto d’ospedale!

Alzo appena la testa dal cuscino per riuscire a capire da dove provengono queste voci.

Cosa diavolo è questo baccano! Non lo sanno che siamo in un ospedale?

Poi mi volto e tra una densa nebbia che appanna la mia vista, li vedo: i suoi occhi, luminosi come un astro, preziosi come lo smeraldo che gli ha rubato il colore.

- Li… Lily! – le parole mi muoiono in gola.

- Mi dispiace, professore, non… non sono lei. - e vedo gli occhi di Harry, gli occhi di Lily che diventano lucidi per la mia accorata richiesta rimasta sulle labbra, ma uscita potente dal mio sguardo.

Lily, l’amore a cui sono stato fedele e legato per tutta la vita.

Lily, la mia dannazione e il mio amore.

Dannazione, non posso parlare, altrimenti lo caccerei via da questa stanza!

Dannazione, sarei dovuto morire con il dolce ricordo degli occhi della mia amata e invece sono qui, su questo dannato letto di questo dannato ospedale a guardare il figlio che avrei voluto fosse il mio.

Mi giro dando le spalle al ragazzo e chiudo gli occhi cercando di rimanere solo, cercando di erigere nuovamente quella barriera che mi sono costruito negli anni.

La solitudine è stata la mia fedele compagna di vita, nemmeno la morte ha deciso di prendere il mio inutile corpo, un’esistenza triste e solitaria la mia.

Odio questa stanza, così luminosa e così bianca.

Odio gli ospedali, mi ricordano mia madre piangente e dolorante che aspettava di essere assistita.

Odio la mia vita!

- Grazie!

Una semplice parola spezza il silenzio.

Una semplice parola mi fa credere in qualcosa.

 

 

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Capitolo 3
*** L'abbraccio del vento ***


C’è una strana quiete intorno a me, un silenzio quasi irreale

Nota: storia scritta per il terzo turno del concorso “Lotta all'Ultimo Inchiostro” del Magie Sinister Forum (http://magiesinister.forumcommunity.net/) sul tema “Severus che vola”.

Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti.

I personaggi originali e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.

Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’abbraccio del vento

 

Il vento soffia forte e gelido sul mio viso, la sola candida camicia, completamente intrisa di pioggia, lo separa dalla mia pelle, le braccia stese verso quelle fredde gocce di cristallo, gli occhi chiusi ad assaporare l’autunno.

Il mio corpo completamente lasciato andare al vento per sentire il suo forte abbraccio su di me.

Mi è sempre piaciuto cavalcare questi animali, volare dove nessuno può vedermi, dove posso essere completamente me stesso.

A dorso di questa bizzarra creatura ci siamo solo io e la pioggia.

Le sue ali separano lo scroscio dell’acqua come il fendente di una lama, ed ogni loro battito spruzza liquido fresco sul mio pallido viso.

E se mi lasciassi andare e il vuoto mi abbracciasse?

E se la gravità mi spingesse verso il baratro del nulla che da tanto mi attende?

Una leggera spinta e la mia vita finirebbe con il sorriso che finalmente sarebbe preda delle mie labbra.

Mi basterebbe solo scendere da questo Thestral e gettarmi tra le braccia del vento che spira così rigido quassù, non aprirei mai le ali per volare, non le ho, non sono un angelo e scenderei presto all’inferno da demone quale sono.

Vengo quassù per essere Severus Piton.

Perché non basta indossare una maschera per coprire quello che sei, il male e il dolore che si hanno dentro non si celano così facilmente.

Io ho imparato in tanti anni, anni passati nell’ombra e nella solitudine.

Quassù le mura crollano e le barriere cedono, quassù si è soli con il vento.

Un altro battito d’ali e il Thestral mi porta ancora più in alto.

Un altro battito d’ali e i pensieri danzano nella mia mente, foglie sospinte dal vento.

Il dolore flagella la mia anima, onda che s’infrange su duri scogli.

Il male che ho fatto rinasce in me, nera fenice che risorge da scure fiamme.

Un’eco si propaga nell’aria: il lamento di un animale, l’urlo di un mostro.

Un’eco di vita tra fremiti d’aria.

Volo lontano da questo mondo crudele che con le mie azioni indegne ho contribuito a creare.

Volo lontano sperando nell’eterno abbraccio.

L’abbraccio del vento.

 

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Capitolo 4
*** La magia di un sorriso ***


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Nota: storia scritta per il quarto turno del concorso “Lotta all'Ultimo Inchiostro” del Magie Sinister Forum (http://magiesinister.forumcommunity.net/) sul tema “Severus assegna 10 punti a Grifondoro”.

Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti.

I personaggi originali e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.

Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La magia di un sorriso

 

 

Tentare di parlare seriamente degli studenti con Albus era sempre stato come parlare ad un muro.

Anzi, il muro era ben migliore, almeno non faceva battutine idiote e non sorrideva sempre.

Cosa ben peggiore era cercare di dimostrargli quanto zucche vuote fossero i suoi adorati Grifondoro.

“Sono degli incapaci! Non si applicano minimamente! Sarebbe più semplice insegnare ad un Ungaro Spinato come prendere un tè.” gli avevo detto, ma per tutta risposa aveva sorriso.

Il suo sorriso mi irrita.

“Come sei drastico, Severus, sono appena agli inizi, dagli tempo di imparare la delicata scienza e l’arte esatta delle Pozioni[1].” mi aveva risposto sogghignando.

Di rimando gli avevo dedicato un’alzata di sopracciglio.

Quello era troppo! Quello era veramente troppo! Si prendeva anche gioco di me. Drastico io?!  Se fossi stato drastico, gli avrei fatto imparare come preparare il Distillato della Morte Vivente a quegli incapaci e poi glielo avrei fatto bere!

Nel migliore dei casi qualcuno sarebbe andato all’altro mondo: irritanti incapaci di meno.

Dopo questo interessante colloquio gli venne una bellissima idea: strampalata come sempre.

Voleva assistere alla prossima lezione, come se quello che gli dico sia polvere al vento, non si fida delle mie parole.

Assurdo.

Eccolo lì che si aggira tra i tavoli degli studenti sempre con quell’aria di chi partecipa ad un banale gioco.

Non è un gioco, sono degli incapaci!

Spero solo che se ne renda conto anche lui mentre io rimango qui a sbuffare rassegnato.

All’improvviso uno scoppio fa volare un calderone proprio nella direzione di Silente, ma il vecchio preside non fa in tempo a spostarsi del tutto che viene colpito appena dal bolide metallico che gli provoca una bruciatura sul braccio destro.

Mi avvicino per costatare l’entità della ferita e lui continua a sorridere.

Irritante.

Un’occhiata al braccio poi un’altra raggelante a Paciock: è Attila travestito da ragazzino grassoccio e incapace.

- Siamo fortunati, Severus, la nostra cara signorina Granger ha fatto un’ottima Essenza di Dittamo, non convieni anche tu?

Davvero irritante.

Mai stucchevole quanto quell’odiosa SoTuttoIo che arrossisce solo per un complimento.

Patetica.

Rispondo con un mezzo sorriso disgustato.

Devo ammettere che la ragazzina ha fatto un ottimo lavoro, ma non lo ammetterò mai davanti a nessuno.

Tre gocce bastano a curare immediatamente questa bruciatura, peccato non curino quell’insopportabile sorriso sempre presente sulle labbra di Silente.

Insopportabile.

- Credo che questa ragazza meriti un piccolo premio, non trovi, Severus?

Non sapevo che questa pozione desse simili effetti collaterali.

- Certo, signor Preside.

- E allora?

Non posso crederci! Non posso assolutamente crederci! Maledetto Albus e le sue idee balzane!

Non lo dirò mai!

Mai!

Ed ecco di nuovo il suo sorriso.

Irritante magia più efficace di un Imperius.

- 10 punti a Grifondoro. – sussurro appena.

E questo rumore cos’è? Lo sento solo io?

Ah, è solo la mia autostima che precipita in un infinito pozzo nero.

Sorridono anche loro adesso, ma non lo faranno per molto.

Pagheranno cari questi 10 punti.

Lo giuro quant’è vero che mi chiamo Severus Piton!



[1] Harry Potter e la Pietra Filosofale – Capitolo 8 - Il maestro di Pozioni.

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Capitolo 5
*** La luce in un addio ***


La luce in un addio

Nota: storia scritta per il quinto turno del concorso “Lotta all'Ultimo Inchiostro” del Magie Sinister Forum (http://magiesinister.forumcommunity.net/) sul tema “La cravatta”.

Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti.

I personaggi originali e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.

Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.

 

 

 

 

 

 

La luce in un addio

 

Era passato tanto tempo dall’ultima volta che era entrato in quella stanza.

Sul letto che si reggeva in piedi a malapena c’erano ancora le loro tracce: il dolce profumo della madre che permeava l’aria troppo poco e l’acre aroma d’alcol che entrava in casa prima del padre.

Padre? Quale padre?

“Un padre abbraccia il figlio non una bottiglia, accarezza la moglie non la picchia” pensò serrando le labbra per la rabbia.

Carezzò la coperta impolverata dov’era solita dormire la madre, dove piangeva dopo l’ennesima lite con Tobias.

Non era solito entrarvi, tantomeno profanarla curiosando in ogni dove.

Il rispetto era la cosa più importante per lui, ma quel giorno qualcosa al di fuori di ogni controllo lo spinse ad aprire il piccolo e traballante comodino di Eileen.

Avvicinò lentamente le dita tremanti alla logora maniglia di legno, cercando di aprirlo, ma non ci riuscì poiché era sigillato da un incantesimo.

Sorrise debolmente: sua madre era davvero una strega brillante.

Ma lui era un grande mago e con un colpo di bacchetta eliminò la protezione.

La mano rimase per un istante immobile come se avesse timore, sospirò per prendere coraggio e l’aprì.

Vuoto.

Perché proteggere con un incantesimo un cassetto vuoto?

Non riusciva a capire, possibile che il padre avesse trovato un modo per forzarlo?

Impossibile!

Preso da una furia cieca al ricordo dell’odiato padre, afferrò il cassetto e lo lanciò verso il muro mandandolo in pezzi.

Colto da un senso di sconforto si gettò sul letto facendo alzare una densa nebbia di polvere.

Un piccolo sacchetto di velluto nero logoro con una P d’argento ricamata da un lato attirò il suo sguardo, si avvicinò, lo raccolse da terra e lo fissò per qualche minuto: aveva timore ad aprirlo.

Emanava il tipico profumo dolce di Eileen.

Lo slacciò traendone un lembo di stoffa nera: una lacrima gli scivolò lungo la pallida guancia.

 

***

 

Quell’anno Severus aveva deciso di passare il Natale ad Hogwarts per non assistere all’ennesima scena pietosa della madre piangente e del padre perennemente ubriaco.

Come sempre non avrebbe ricevuto regali.

Era intento a leggere quando un pacchetto lanciatogli da Lucius Malfoy gli piombò sul petto.

Posò il libro e si mise ad osservare il pacco grezzo fatto con della carta e dello spago.

Lo aprì e vi trovò una cravatta nera e sulla carta in cui era avvolta c’era scritto qualcosa:

“Mio adorato, Severus,

perdona l’orribile pacco regalo, ma non dovevo destare sospetti in tuo padre.

Sai che odia qualsiasi cosa abbia a che fare con la magia.

Perdonalo ti prego.

Non è nulla di particolare, solo un piccolo pensiero.

Vorrei che la indossasi questo Natale così potrai essere elegante.

Per ricordarti di me, di tua madre che ti vuole bene e che è sempre con te anche quando non ti è accanto.

Vorrei che la indossassi per ogni momento speciale della tua vita perché ne avrai tanti, amor mio.

Sei un ragazzo straordinario e meriti tutto il bene di questo mondo e se questo significa stare lontano da qui, fallo, Severus!

Vivi la tua vita felice lontano da qui.

Ti vorrò sempre bene, e continuerò a donarti tutto l’amore possibile.

Indossala pensando a me.

Ti voglio bene!

Mamma.”

Su quel pezzo di carta sgualcito Severus mischiò lacrime amare a quelle della madre che avevano sbiadito leggermente alcune parole.

Sorrise debolmente.

 

***

 

Piangendo strinse con rabbia quella cravatta.

Amava quel pezzo di stoffa, le ricordava sua madre, era un suo regalo, l’unico che avesse mai ricevuto.

L’amava perché in una calda mattina d’ottobre l’aveva mostrata a Lily che lo aveva preso in giro.

Al contempo la odiava perché era legata alle ultime ore di vita della madre.

Eileen aveva utilizzato gli ultimi soldi del mese per comprargliela e quando Tobias l’aveva scoperto, era andato su tutte le furie e, spintonandola, le aveva fatto sbattere la testa a terra violentemente.

L’aveva lasciata sul pavimento agonizzante, mentre lui era andato a morire chissà dove.

Aveva visto solo una tomba grigia e spoglia sulla quale aveva posto il suo regalo, perché tenerlo gli avrebbe sempre ricordato che lei era morta a causa di esso.

Si alzò dal letto e un’altra fitta nuvola di polvere si addensò nell’aria, avvicinò la cravatta alle labbra e vi posò un bacio.

Una lacrima scese lenta, poi sorridendo parlò come rivolto alla madre: - Addio per sempre! Ti vorrò sempre bene, mamma.

Posò la stoffa sul letto intriso di polvere e ricordi.

Uscì sigillando il buio di un addio portandone con sé solo la luce.

 

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Capitolo 6
*** Il fuoco brucia in una spira ***


Faceva freddo quella sera, la neve era caduta abbondante e il castello si era tinto di bianco

Nota: storia vincitrice del sesto turno del concorso “Lotta all'Ultimo Inchiostro” del Magie Sinister Forum (http://magiesinister.forumcommunity.net/) sul tema “Il Marchio Nero”.

Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti.

I personaggi originali e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.

Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.

 

 

 

 

 

Il fuoco brucia in una spira

 

Faceva freddo quella sera, la neve era caduta abbondante e la città si era tinta di bianco.

Nella sua stanza un uomo era seduto su una poltrona consunta e fissava il fuoco che si muoveva creando un’ipnotica danza.

Solo, al buio, se ne stava lì cercando di non pensare, ma era complicato non farlo: i pensieri gli vorticavano nella mente come le fiamme che ardevano nel camino.

La sua pelle era ancora bagnata e lacrime d’acqua gli scivolavano lungo il corpo cadendo a terra dove si raccoglievano in un piccolo specchio trasparente che rifletteva il suo viso pallido e stanco.

Ogni tanto qualche goccia scendeva lenta dai lunghi capelli neri increspando il piccolo specchio d’acqua.

Il suo volto spariva nel liquido incolore e forse Severus Piton era ben felice di non vedere la sua immagine riflessa.

I suoi occhi, neri di dolore, s’incatenarono alla macchia sull’avambraccio sinistro.

 

Una macchia.

Una colpa.

Un rimorso che mi lacera dentro, un dolore che si è impresso sulla mia pelle ormai da tempo.

Un teschio di morte che sono costretto ad osservare ogni giorno della mia vita.

Un vile serpente che si avvolge alla mia anima, stringendola nelle sue spire fino a farmi mancare il respiro.

Un grido straziante fuoriesce dalla lurida macchia, è l’urlo del mio cuore ormai solo pietra inerme, la voce di ogni vita che ho spezzato per esso.

 

Tutt’intorno c’erano scaffali colmi di libri e pozioni, gli unici amici che aveva, l’unico svago che possedeva. La sua sete di conoscenza lo aveva portato a collezionare volumi su volumi e molti celavano incantesimi tra i più oscuri mai esistiti.

Le fiamme del camino carezzavano quei testi polverosi rendendoli come d’oro: il suo unico tesoro.

Il vento gelido sibilava tra le imposte della casa, creando echi mortali che s’insinuavano nella mente di Severus.

 

La mia unica colpa è stata il desiderio di conoscenza.

Il sapere sopra ogni cosa.

A cosa mi è servito conoscere tutto questo?

A nient’altro che uccidere persone su persone, solo a distillare pozioni di morte.

Vedevo la morte che arrivava a prendere quelle vite, sentivo il loro ultimo respiro.

Non ho mai avuto niente in questa mia vita, nessun bene materiale, nessun affetto.

Avevo solo un cuore e un’anima e ho perso anche quelli, barattati per un teschio e un serpente.

Si muove sinuoso tra le mie vene lasciando che il suo veleno si mischi al mio sangue.

Un veleno che m’incatena al dolore, che mi costringe alla sofferenza e alla solitudine, che discioglie la purezza della mia anima.

 

Severus si alzò di scatto e andò vicino al camino; inginocchiato osservava le fiamme che ancora danzavano come i suoi pensieri.

Avrebbe voluto mettere l’avambraccio sopra al fuoco e bruciare il Marchio, ma non sarebbe servito a nulla, perché non era una semplice macchia, era un dolore impresso nell’anima, difficile da bruciare, nemmeno con il più potente degli incantesimi.

 

Chissà se alla mia morte continuerà a sporcarmi la pelle?

Se bruciassi completamente, rimarrebbe lì?

 

I suoi erano pensieri di chi sa che presto o tardi sarebbe giunto alla fine.

Il suo unico desiderio non era vivere, anzi, la morte la aspettava da tempo: agognava che il Marchio finalmente scomparisse dalla sua pelle.

 

Vorrei solo non averti, non essere schiavo di un viscido serpente.

Vorrei morire, liberarmi da tutto questo dolore, da tutto questo male che ho contribuito a creare.

Vorrei essere soltanto schiavo di me stesso.

Ma in fondo merito di essere servo di queste mie colpe e per esse continuo a camminare portandomi dietro il peso di questo Marchio.

L’impronta di quello che sono.

 

Soltanto un asciugamano lo copriva: vicino alle fiamme sentiva le gocce d’acqua disciogliersi nell’aria e il calore bruciargli il corpo.

Avrebbe voluto vedere un teschio ed un serpente dimenarsi tra le fiamme, consumarsi lentamente fino a diventare nient’altro che cenere.

A cosa sarebbe servito?

Il dolore e le colpe sarebbero rimasti dentro di lui, perché quello che portiamo nel cuore nessuna fiamma potrà mai bruciarlo.

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Capitolo 7
*** Un banale gesto che scalda il Natale ***


Perdere tutto (53 parole)

Nota: storia vincitrice a pari merito dell’ottavo turno del concorso “Lotta all'Ultimo Inchiostro” del Magie Sinister Forum (http://magiesinister.forumcommunity.net/) sul tema “Un regalo di Natale, fatto o ricevuto da Severus.”

Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti.

I personaggi originali e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.

Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Un banale gesto che scalda il Natale

 

Non so per quale strano motivo sia venuto in questo luogo di dolore, non so perché la mia mente mi abbia condotto proprio qui.

La tua mente, Severus?

Non sarà stato forse il tuo cuore che ancora reclama quegli occhi e desidera toccare quelle labbra?

Maledizione!

Fa freddo, il respiro si addensa in una nuvola gelida davanti a me, il mantello non riesce a scaldare il ghiaccio che mi è dentro.

I miei passi sono lenti e sento una morsa allo stomaco che si fa più forte man mano che mi avvicino al luogo della mia sofferenza.

Della mia gioia.

Quanta amara sofferenza in questa mia vita, quanto dolore è passato davanti ai miei occhi, quante vite.

Perché non la mia?

Perché continuo a camminare in questa desolazione quando non ho ormai più niente per cui vivere?

Solo e disprezzato come merito di essere.

Perché non mi trovo sotto uno spoglio cumulo di terra?

Dovrei starci io là sotto.

Odio, colpe e sangue fanno parte di me, non amore, non amicizia, non sorrisi.

Eccola lì, la sua tomba.

L’ultima dimora della mia Lily.

Mi fa male guardare quel gelido pezzo di marmo, quel suo nome coperto da una leggera coltre di neve.

Accarezzo quei caratteri nella vana speranza di sentire la sua pelle, sfioro ogni curva di quelle lettere immaginando di toccare il suo corpo.

Poi vedo il nome dell’odiato rivale e mi sale la rabbia attraverso la schiena.

Rivale?

Non essere ridicolo, Severus, tu non hai mai avuto rivali perché lei non si è mai interessata a te, non è mai stata nemmeno una vera amica.

Smettila! Lei è stata l’unica.

Un’amica non ti abbandona quando ne hai più bisogno, Severus, un’amica non ti cancella dalla sua vita se commetti un errore.

Amicizia è essere legati con il cuore e con la mente, voi lo eravate, Severus?

Lo eravate solo con la mente, ma non con il cuore, solo il tuo andava verso di lei, non il suo.

Se in un’amicizia non c’è cuore è solo un involucro vuoto, e voi eravate un involucro vuoto, Severus.

Tu la amavi, lei no.

Tu la consideravi amica, lei no.

Dimenticatela e vai avanti, Severus!

Non posso, lei è stata e resterà l’unica.

Per sempre.

 

Un rumore di passi interrompe i miei pensieri.

Devo andarmene da qui, nessuno può vedermi in questo luogo.

Sono qui solo per lei, solo per Lily.

Sono qui per dare il mio ultimo saluto alla donna che ho amato per tutta la mia vita, per volgere per l’ultima volta il mio sguardo su di lei.

- Per favore, non se ne vada! – mi chiede d’un tratto una voce quasi con tono di supplica.

Mi fermo.

Non lo guardo.

- Cosa vuoi, Potter?

Mi volto verso di lui, mi fissa, un sorriso ad increspargli le labbra, con quel volto che dopo tutto questo tempo ancora continuo ad odiare, quegli occhi che nonostante tutto continuo ad amare.

Non sembra per niente sorpreso di trovarmi lì, davanti alla tomba dei suoi genitori, sorride solamente, come se avesse incontrato un vecchio amico dopo tanto tempo.

Ma io non sono un vecchio amico, non sono mai stato amico di nessuno.

Mi sento quasi in imbarazzo a stare qui, vorrei Smaterializzarmi all’istante e sparire per sempre da questo mondo.

Rimaniamo per qualche istante fermi, immobili a guardare entrambi una fredda lastra di ghiaccio.

Una fitta mi trafigge la gola, proprio nel punto in cui un serpente al servizio di un altro mi aveva trafitto.

È il rimorso per aver posato la prima pietra di quella tomba, è il dolore per aver causato quelle morti.

- È Natale, professore, lo sa? – mi dice volgendo lo sguardo verso il cielo.

- Non vorrai mica baciarmi, Potter? – gli rispondo notando che sta guardando un ramo di vischio.

Sorride.

Non ha più timore di me, non è più il ragazzino idiota con tutta la strafottenza ereditata dal padre, ormai è un uomo, un mio pari, ma lungi da me rivelargli queste cose.

D’un tratto mi tende una mano, ancora sorride.

- Grazie, professor Piton! Devo la mia vita a lei, tutti dobbiamo la vita a lei.

Lo guardo per un attimo sorpreso: il suo braccio è ancora teso.

Allungo la mano ad incontrare quella del ragazzo che, inaspettatamente, mi abbraccia.

- Cos’è questo, Potter?

- Lo prenda come un regalo di Natale.

Tra la neve e il freddo di Godrick’s Hollow una flebile fiamma riscalda il gelo della mia anima.  

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Capitolo 8
*** Passion ***


Nota: storia che partecipa al decimo turno del concorso “Lotta all'Ultimo Inchiostro” del Magie Sinister Forum (http://magiesinister

Nota: storia che partecipa al decimo turno del concorso “Lotta all'Ultimo Inchiostro” del Magie Sinister Forum (http://magiesinister.forumcommunity.net/) sul tema “Severus distilla una Pozione.”

Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti.

I personaggi originali e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.

Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.

 

 

Passion

 

 

Le passioni animano la nostra vita, ci fanno camminare dove nessuno oserebbe, tra i sentieri intricati dell’esistenza e tra la fitta foresta di sentimenti che proviamo.

Alla passione non si può sfuggire, ti travolge come un vento e ti spazza via fino a farti crollare a terra sotto l’insopportabile peso di un sentimento che è solo tuo.

E quando una passione non può e non deve esistere?

Cosa si fa?

Si cerca aiuto in un’altra passione, una passione più materiale.

Ma può qualcosa di materiale contrastare una passione che ti viene da dentro?

 

Nella stanza c’erano densi vapori che vorticavano nell’aria, la penombra creava un’atmosfera quasi irreale, come sospesa nel tempo.

Un fuoco illuminava flebilmente un angolo della stanza dove c’erano un calderone ricolmo di varie sostanze e un tavolo pieno di strani ingredienti e boccette.

Un uomo era intento a tagliuzzare degli strani animali mentre ogni tanto distoglieva lo sguardo verso un libro completamente scuro dalle lettere argentate quasi sbiadite dal tempo.

C’era silenzio tutto intorno, talvolta rotto dal liquido che bolliva nel paiolo e dallo scoppiettio del fuoco sottostante che diveniva più forte quando alcune gocce di pozione colavano su di esso.

La concentrazione del mago non veniva meno a quei rumori, erano un’abitudine per lui, quello che non voleva erano interruzioni dall’esterno, soprattutto da lei, per questo aveva sigillato il suo ufficio con un incantesimo.

Stava tagliuzzando delle alghe piuttosto viscide e dovette faticare non poco per riuscire a bloccarle al tavolo per tritarle meglio.

I tagli erano precisi e veloci e in un attimo diventarono una poltiglia uniforme di un verde piuttosto scolorito e dalla smorfia che fece non doveva essere particolarmente profumata.

Il coltello scivolò sul legno per prendere le alghe disintegrate, con l’altra mano si portò alla lama per non farle cadere, e le gettò nel calderone che subito prese a fumare più abbondantemente.

La pozione assunse all’istante una colorazione marrone.

Ma il lavoro era ancora lungo e avrebbe impiegato moltissimo tempo, ma non gli importava, doveva assolutamente togliersi quel peso che l’opprimeva.

Si allontanò dal tavolo per andare a prendere una boccetta su di uno scaffale, vi estrasse delle radici scure e le gettò all’interno di una pentola contenente acqua bollente, doveva togliere la parte amara delle radici, non per il sapore che avrebbero avuto, ma perché erano piuttosto velenose.

Versò una pozione Inverti Veleno[1] nella pentola e tornò al tavolo per schiacciare delle bacche coltivate durante la fase di luna decrescente in modo da potenziare la mistura che serviva a rallentare maggiormente i sentimenti.

Severus non era sicuro che avrebbe funzionato, non era mai stata fatta prima, ma doveva provarci per reprimere quella passione che ogni giorno accresceva in lui.

Paradossalmente, la capacità di stare soli è la condizione prima per la capacità d'amare[2], e in Severus questo era piuttosto tangibile.

Sempre solo tra i fumi e le pozioni, ma sapeva amare come nessun altro.

Una volta pronte le radici le gettò nel calderone insieme agli altri ingredienti, mescolò due volte in senso orario, quattro in senso antiorario, poi si lasciò cadere sulla poltrona e aspettò che fosse pronta.

 

Era soddisfatto, la pozione era riuscita perfettamente e non doveva far altro che berla. Rimase con l’ampolla in mano per qualche istante, un tempo infinito, non era sicuro, ma era l’unica speranza di addormentare quella bestia ruggente che s’insinuava tra il suo cuore e la sua anima.

Non aveva scelta, doveva distruggere quella passione che aveva per quella donna, perché nonostante la guerra fosse finalmente finita, per lui continuava, continuava una guerra dentro se stesso che non gli permetteva di andare avanti e di essere felice come tutti gli altri.

Non si meritava la felicità e non si meritava i sorrisi che quella donna gli riservava e che gli facevano battere più forte il cuore e brillare gli occhi.

Non poteva, così trangugiò in un unico sorso la pozione rossa e chiuse gli occhi nell’attesa.

 

Era tardi, non aveva nemmeno dormito per preparare la pozione che lo avrebbe liberato, ma non poteva riposarsi, i suoi doveri verso Hogwarts venivano prima di tutto.

I suoi doveri, sempre i suoi doveri.

Quasi arrivato nell’ufficio che fu di Silente, la incontrò, bellissima nel suo abito rosso, rosso passione.

- Buongiorno, Severus – gli disse.

Le sorrise e rimase a guardarla per qualche secondo.

Gli bastò scrutare i suoi occhi per capire che le passioni non si sconfiggono con nessun sortilegio, ma solo con la forza di volontà.

Lui non l’aveva.

Non più.

Lui voleva lei.



[1] Non esiste, l’ho inventata io, mi serviva ai fini della pozione madre, ma non chiedete spiegazioni e ragguagli che non lo so com’è fatta :D

[2] Erich Fromm – L’Arte di Amare.

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Capitolo 9
*** Night Flavor ***


Mi svegliai di soprassalto, fuori la luna era ancora alta e il buio circondava ogni cosa, potevo sentire alcuni rumori provenire dalla Foresta Proibita, ma c’erano altri suoni che destarono la mia attenzione

Nota: storia che partecipa all’undicesimo turno del concorso “Lotta all'Ultimo Inchiostro” del Magie Sinister Forum (http://magiesinister.forumcommunity.net/) sul tema “Un profumo o un sapore e un ricordo”.

Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti.

I personaggi originali e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.

Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.

 

 

Night Flavor

 

Mi svegliai di soprassalto, fuori la luna era ancora alta e il buio circondava ogni cosa, potevo sentire alcuni rumori provenire dalla Foresta Proibita, ma c’erano altri suoni che destarono la mia attenzione.

Ero rimasto per alcuni giorni rinchiuso nelle mie stanze per riprendermi dalle torture che avevo subito, non avevo toccato cibo, e per quanto cercassi di quietare certi istinti, a volte erano più forti di qualsiasi volontà.

Maledizione, avevo fame.

Il mio stomaco stava protestando più del dovuto e non potevo non accontentarlo.

Scesi dal letto, infilati i pantaloni e la camicia, mi diressi alle cucine. Chissà se avrei trovato qualcosa da mangiare.

Faceva freddo, rimpiangevo quasi di essere sceso solamente con addosso la camicia, ma la fame che avevo non mi avrebbe permesso di tornare indietro a prendere la casacca.

Vicino alle cucine, un’intensa folata colpì il mio viso, un odore che avevo già sentito ma che non riuscivo a visualizzare bene nella mia mente.

Avevo già vissuto tutto questo, ma non ricordavo esattamente quando, l’unica immagine che mi balenò fu quella delle cucine di Hogwarts.

Entrai.

Non c’era nessuno, solamente la mia oscura presenza.

Sul tavolo c’era un grosso piatto ricoperto da un tela verde con dei ricami argentati. Vicino un calice riempito con del vino rosso che emanava un odore quasi dolciastro.

“Non dovrebbe dormire a quest’ora, signorina?”.

Una ragazza si girò di scatto guardando il suo insegnate quasi con paura, era visibilmente paonazza per essere stata scoperta.

Che stranezza, erano proprio i colori della mia casa, nasconderanno sicuramente qualcosa di buono. Un ghigno beffardo stirò le mie labbra.

Tolsi la tela e un forte profumo di cacao amaro invase i miei sensi, ma sentii dell’altro, un odore più speziato, era un dolce acre che avevo già gustato, ma non riuscivo a ricordare perfettamente quando.

“Lo so.” sospirò appena “Avevo nostalgia di casa.” aggiunse con una nota di profonda malinconia.

“Non importa, qui ci sono delle regole da rispettare, non stiamo a casa sua che può fare come le pare. Cinquanta punti in meno alla sua casa! Ora vada a dormire.”.

Nel piatto c’erano degli strani dolci disposti a formare un cinque e uno zero.

Sgranai gli occhi. Certo! Il giorno in cui avevo tolto dei punti alla mia casa. Maledizione, mi chiedevo ancora come avessi fatto a non trovare una scusa per non togliere punti a Serpeverde. Quell’aroma mi aveva annebbiato i sensi tant’era forte e lo stava facendo ancora.

“Se vuole può mangiarle” gli aveva detto la ragazza porgendogli il piatto.

“Non mangerò un bel niente. Se ne vada!” rispose duro il professore, la sua voce tradiva rabbia, ma quell’aroma…

Quando fu sicuro che la ragazza se ne fosse andata avvicinò le mani a quello strano cibo.

“Si mangiano con le mani, professore” lo interruppe una voce sorridente.

“Fuori!” le intimò ancora, uscendo anch’egli dalla stanza.

Come diavolo era possibile, erano passati alcuni anni da quella notte, non c’era nessun’altro nelle cucine, chi mai avrebbe potuto organizzare uno scherzo tanto idiota.

Chiunque fosse stato l’avrebbe pagata cara.

Non riuscivo a capire e quello mi faceva salire la rabbia, ma quell’intenso profumo riuscì nuovamente a calmarmi.

Avevo fame e decisi di mangiarne uno.

Presi un piattino da una mensola e una forchetta da un ripiano lì vicino, mi sedei deciso ad assecondare finalmente il mio stomaco che ancora protestava.

Afferrai uno di quei dolci e lo posai nel piatto, era una strana crêpe arrotolata con un ripieno di formaggio dolce aromatizzato con cannella e cacao amaro, e qualcos’altro che non riuscivo a distinguere, il profumo che emanava era delizioso e l’aspetto lo era altrettanto, ma con la fame che avevo avrei mangiato anche i biscotti di Hagrid.

Con la forchetta tra le dita cercai di prenderne un pezzo, “Si mangiano con le mani, professore”, quella frase esplose all’istante nella mia testa.

Maledetta ragazzina italiana e i suoi dolci stregati!

Non c’era nessuno nella stanza, soltanto io e quell’aroma che mi stava stringendo in una morsa quasi asfissiante, ma era una sensazione bellissima che non volevo finisse mai.

Presi quel rotolo tra le mani e lo addentai.

Delizioso! Quella ragazzina sapeva il fatto suo, era davvero delizioso, una mescolanza di sensazioni si diffuse nella mia bocca lasciandomi un sapore dolce-amaro sul palato.

Lo finii in pochi istanti.

- Vedo che ha seguito il mio consiglio, professore. - esordì una voce alle mie spalle.

Sorrisi appena osservando una donna poggiata al muro che mi guardava divertita, presi il calice di vino e brindai a quel consiglio.

 

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Capitolo 10
*** Tu non sei un eroe ***


Dicono che quando nessuno piange la tua morte, il cielo lo fa per esso

Nota: storia che partecipa al quattordicesimo turno del concorso “Lotta all'Ultimo Inchiostro” del Magie Sinister Forum (http://magiesinister.forumcommunity.net/) sul tema “Severus riceve un premio.”

Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti.

I personaggi originali e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.

Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.

 

 

 

Tu non sei un eroe

 

 

Dicono che quando nessuno piange la tua morte, il cielo lo fa per esso.

Pioveva quel giorno, ma non c’era nessuna bara da bagnare, nessun fiore da inumidire con lacrime amare di dolore.

I lampi squarciavano il buio della notte, ormai era solamente un corpo freddo, lo era da tempo.

Il vento ululava tra il legno della stanza alzando appena la polvere che danzava intorno quel corpo ormai senza più un anelito di vita.

Disteso. Immobile. Freddo. Morto.

Nessun respiro tra la pozza di sangue che macchiava il pavimento, ormai denso lago di freddo liquido che non ti donava più la vita, non ti regalava più calore.

Il gelo era tutto intorno.

Il gelo era sulla tua pelle.

I tuoi occhi erano ormai spenti e non avrebbero visto più nulla su questa terra, il loro sguardo non avrebbe carezzato più nulla.

 

Ti osservi dall’alto e quasi ti viene da ridere, sai che quella è la fine che hai meritato, non avresti sperato in nulla di più.

I funerali sono per gli eroi, la gloria è per gli eroi, le lacrime sono per gli eroi.

Tu non sei un eroe.

Ma adesso sei libero, sei sereno, sei vivo.

Vivo?

Piuttosto ironica come cosa visto il luogo in cui ti trovi.

Ti chiedi dove sei, vero?

Paradiso?

Inferno?

Tu non sei un eroe, dove meriti di stare?

Sei una spia, un assassino, un traditore, che ci fai in questo luogo?

Sorridi.

Vedo il tuo volto finalmente disteso, nessun peso ormai grava più su di te.

In piedi con le braccia incrociate al petto osservi quel corpo, osservi il tuo corpo.

C’è silenzio intorno a te, una leggera brezza ti carezza i capelli corvini e ti inonda di fragranze provenienti non sai da dove.

Dei passi, un profumo, una voce.

- Grazie, Severus! Grazie per tutto quello che hai fatto per tutti noi, hai protetto mio figlio, lo hai salvato e io te ne sarò per sempre grata. Forse tra di noi sarebbe potuta andare diversamente, forse, Severus… tanti dubbi, nessuna certezza. Mi dispiace per come è andata, avrei dovuto rendermi conto di ciò che stava avvenendo in te, ti sarei dovuta stare più vicina invece di allontanarti per sempre da me. Ho dovuto capirlo quassù, mentre ti osservavo. L’ho capito troppo tardi, mi dispiace, Sev.

Sentirsi chiamare nuovamente in quel modo era il più bello dei doni.

- Lily… io…

Si avvicina a te, sfiora le tue labbra con l’indice, facendoti tacere.

- Non dire nulla, Sev, non hai bisogno di dire nulla, mi basta vedere i tuoi occhi, sei stato il nostro eroe, Sev.

Tu non sei un eroe.

Ti abbraccia.

Ne senti il calore anche se sei morto, senti qualcosa che non hai mai percepito.

Agli eroi spetta la gloria.

Non sei un eroe e ti spetta un abbraccio.

Il premio più importante che tu potessi vincere.

Hai combattuto la tua battaglia e hai avuto il riconoscimento più bello che potessi avere: il suo abbraccio, il suo calore, il suo profumo, la sua pelle, i suoi occhi di nuovo incatenati ai tuoi.

Non sei un eroe, ma il premio che hai ricevuto è degno di un eroe.

L’abbraccio della donna che ami.

 

La pioggia si era fatta più intensa e penetrava dal tetto della stanza bagnando quel corpo inerme che giaceva a terra tra la polvere e il sangue.

Il cielo piangeva e lavava via quel fluido ambrato dalla sua carne, voleva che fosse nuovamente candido agli occhi del mondo.

Voleva che fosse un eroe nella sua tomba.

Tu non sei un eroe.

E nessuno avrebbe pianto la morte dell’eroe Severus.

Nessun fiore sarebbe stato adagiato sulla sua bara.

Il vecchio Silente magari avrebbe adagiato una bianca ninfea, simbolo di un amore non corrisposto e mai vissuto: ironico anche nella morte sarebbe stato.

Ma Silente non c’era più, morto insieme a lui, ucciso dall’uomo che non era un eroe.

Una ninfea bianca che attendeva insieme a te l’alba di un nuovo sole.

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Capitolo 11
*** La paura che ti incatena ***


Fermo

Nota: storia che partecipa all’undicesimo turno del concorso “Lotta all'Ultimo Inchiostro” del Magie Sinister Forum (http://magiesinister.forumcommunity.net/) sul tema “Severus e il Molliccio (inteso come paura proprio)”.

Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti.

I personaggi originali e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.

Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.

 

 

 

 

La paura che ti incatena

 

 

Fermo.

Immobile.

Come se qualcuno ti avesse incatenato al suolo, alle pareti. Non ci sono, ma le vedi, lunghe e pesanti catene che non ti permettono di muoverti.

Intorno a te solo silenzio, ogni rumore svanisce, ovattato dalla paura che ti colpisce all’improvviso, senza nessun preavviso, come un vecchio amico che viene a trovarti dopo anni di lontananza.

Poi in un istante un forte battito ti getta a terra, ma sei ancora incatenato dall’invisibile.

Senti il cuore esploderti in petto e i polmoni espandersi per ricevere più aria possibile, li percepisci colpire le costole: ti fa male.

La paura è un animale che ti morde senza lasciarti scampo, più cerchi di divincolarti, più la stretta aumenta, e quell’animale non aspetta altro che l’ultima goccia di sangue svanisca dal tuo corpo, esanime pezzo di carne senza più scopo d’essere.

La paura, dolce sensazione che t’attanaglia, che ti fa cadere a terra sotto il peso di un’ancora che ti trascina a fondo, ne senti l’odore, così forte da darti la nausea.

Di cos’hai paura, Severus?

Sei un uomo costantemente a contatto con il pericolo, con la morte che ti segue come un’ombra, passo dopo passo. Ne senti la presenza, ne senti la fetida puzza che t’accompagna ogni giorno.

Ma non la temi.

La desideri come si desidera una donna o un uomo.

La tua strada è tracciata da tempo, il tuo destino si deve compiere in un modo o nell’altro, nessun fallimento è contemplato, non puoi assolutamente pensare ad un fallimento. Impossibile!

Di cos’hai paura, Severus?

Hai paura di fallire, vero?

La paura distilla ogni bene in veleno, e chi meglio di te può saperlo.

Ogni notte t’immagini davanti all’Oscuro Signore, le tue difese che crollano dopo pochi secondi come una casa di legno colpita da un colpo di cannone. Nella tua testa tutto si frantuma, e ogni cosa che cerchi di nascondere sarà per lui un’arma contro l’intero mondo, ogni parola una lama che si conficca in te, rendendoti inutile e morto. Ma non temi la morte.

Temi di non portare a compimento il tuo dovere.

«Sarai pronto?», due parole sferzate come un colpo di spada, ti avevano colpito al volto e in un rivolo di sangue era uscito un «Sì», potente come un martello su un’incudine.

Ma ogni notte la paura che la risposta a quella domanda fosse solamente un “No”, t’afferrava la gola senza lasciarti respirare. Avevi risposto sì perché sarebbe stato l’unico mezzo per cancellare ogni errore commesso, ma giorno dopo giorno ti accorgevi che le macchie dell’anima non si rimuovono nemmeno con il più potente degli incantesimi.

E ogni giornata la passavi allenandoti e preparandoti all’imminente ritorno del mostro che ti aveva avvolto tra le spire di un serpente. E ogni giornata la paura di non riuscire nel tuo compito si faceva sempre più forte e la notte ti spezzava ogni anelito di vita, lasciandoti come morto nel letto umido di sudore e disperazione.

«Sei pronto?», ancora quelle due parole, più inesorabili che mai, ti costringono a fare i conti con la realtà, l’Oscuro Signore è tornato e tu hai un compito da portare avanti, nessuna paura, nessun timore, solo con te stesso.

Sei pronto, Severus a fare i conti con ciò che sei stato e con ciò che potrai essere?

Hai paura, vero? Chiunque al posto tuo l’avrebbe, ma non c’è paura se non c’è coraggio, e il timore di fallire ti fa muovere quei passi ogni giorno, un lungo percorso sconnesso tra una foresta fitta e oscura, ma quando uscirai da lì, sarai pronto, pronto per fare ciò che devi.

Quando la paura ti colpisce all’improvviso non sai cosa fare, pensi di non riuscirci, che sei soltanto un inutile fantoccio nelle mani di diversi burattinai, poi, tra le catene che non ti fanno muovere, li vedi: due meravigliosi occhi verdi, due smeraldi il cui colore si affievolisce man mano che il tempo passa, cerchi di afferrarli allungando una mano, ma quello che ottieni è soltanto un solco sulla pelle lasciato da quei vincoli di ferro. Li vedi scomparire, allontanarsi per sempre da te, ancora e ancora, ma li ritrovi negli occhi di un figlio che non è tuo, un figlio che hai giurato di proteggere a costo della tua stessa vita.

E sai che lo farai, nessuna paura, nessun vincolo, soltanto un maledetto dovere, perché chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola.[1]

E, compiuto il tuo dovere, non aspetti altro che morire e rivedere quegli occhi.

 



[1] Cit. Giovanni Falcone

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